The end of an era

di DarkSoul001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'addio al celibato ***
Capitolo 2: *** Sentimenti Nascosti ***
Capitolo 3: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 4: *** Notte di nozze ***
Capitolo 5: *** La scomoda verità ***
Capitolo 6: *** Indizi celati ***



Capitolo 1
*** L'addio al celibato ***


L'addio al celibato

“Sono umano?”
“Certe volte”
I due ex coinquilini erano seduti, o meglio afflosciati, nelle rispettive poltrone, uno di fronte all’altro, entrambi con un bicchiere di Brandy in mano ed un foglio attaccato alla fronte. L’alcool non gli permetteva di essere completamente lucidi, o di riuscire a tenere gli occhi aperti o una posizione anche solo lontanamente composta. Nessuno dei due sapeva esattamente come erano finiti a fare quel gioco e nessuno dei due si pose domande particolari, ma John aveva visto un’occasione da non perdere e l’aveva colta al volo: poter finalmente confessare cosa provava veramente per quella macchina calcolatrice e, apparentemente, senza sentimenti che aveva di fronte. Quell’uomo che l’aveva impressionato dal primo momento in cui l’aveva visto, che sapeva tutto di lui ancora prima che si fosse presentato, che l’aveva salvato dal suo stato di noia e torpore che aveva provato tornato dalla guerra e gli aveva fatto riscoprire la voglia di vivere.
“Come mi definiresti John?
“Ritardatario…”
Quell’episodio gli tornò in mente all’improvviso prima che potesse fermarlo. Il suo corpo si mosse senza pensarci avvicinandosi all’amico e posandogli una mano sul ginocchio. Si avvicinò a lui sempre di più, la sbronza gli stava dando un coraggio che non credeva di possedere, non il coraggio di un soldato, di quello ne aveva da vendere, ma coraggio nell’esprimere i propri sentimenti e dire finalmente quello che pensava davvero.
Ritardatario ecco cosa sei! Sei sparito per due anni e ti rifai vivo ora che ho trovato quest’altra donna, che ora sono costretto a sposare, ma non pensare neanche per un secondo che io provi per lei quello che provo per te…
Per fortuna una piccola parte del suo cervello che non era ancora stata corrosa dalla spontaneità e dalla sincerità che veniva sprigionata così facilmente dal restante di esso riuscì a fermarlo in tempo.
“Mmm… non importa…”
Se solo sapesse quanto aveva sofferto per tutto il tempo in cui aveva pensato che fosse morto, era come se una parte di lui fosse caduta da quel tetto insieme a Sherlock. Nel momento stesso in cui lo vide precipitare sentì il suo cuore mancare un battito e il panico che si dilagava dentro di lui. Non aveva mai avuto così tanta paura nella sua vita, nemmeno nel momento in cui gli avevano sparato. Si sentì vuoto e impotente, per la prima volta nella sua vita capì cosa significava “avere il cuore spezzato”. Aveva sempre pensato che fosse un semplice modo di dire, aveva sempre ritenuto ridicoli i film che lo prendevano come una sensazione vera e propria, ma quel giorno, ai piedi del Barts, col cadavere del suo migliore amico davanti agli occhi sentì letteralmente il suo cuore che andava in mille pezzi. Non c’era altro modo per descrivere quella sensazione, si vide il mondo crollargli davanti. La sua vita non avrebbe avuto più senso da quel momento in poi.
Passarono i mesi e il suo dolore non accennava a sparire. “Ci vuole del tempo” gli ripetevano tutti “Vedrai che passerà” ma il tempo passava e nulla cambiava. Fu quando era ad un passo dal toccare il fondo che arrivò Mary. Lei lo risollevò, o meglio lo distrasse, e lo fece sentire un po' meglio. Non sarebbe mai riuscito a dimenticare Sherlock ma almeno con quella donna saltata fuori dal nulla sarebbe riuscito a sopravvivere. Appena rivide il volto del suo amico al ristorante fu assalito da una gioia e un odio così potenti che, fino all’ultimo secondo, non seppe se abbracciarlo o prenderlo a pugni. Non avrebbe mai immaginato che due emozioni così opposte potessero essere provate nello stesso momento.
E dopo tutto questo si era ritrovato di nuovo nel loro appartamento, il 221B di Baker Street, con il suo amico ritornato dalla tomba, che facevano uno stupido gioco mezzi ubriachi, il giorno prima del suo matrimonio. Come diavolo era successo?
“Non so chi sei non so chi potresti essere”
“Tu hai scelto il nome!”
Era sempre così con lui. Riusciva a conoscere la vita di una persona soltanto guardandola ma in quanto ad emozioni umane era e resterà sempre un disastro.
“Non ti stai applicando a questo gioco, Sherlock”
“Sono un umano, non sono alto quanto si crede… sono… sono belloccio, intelligente, importante per qualche persona ma tendo a trattarla nel modo sbagliato… ha ho capito!”
No no no! Non hai capito brutto genio pazzoide non hai capito!
“Spara allora”
“Sono te!”
Entrambi si misero a ridere, Sherlock credendo di aver indovinato e sentendosi molto fiero di sé stesso, John per frustrazione, in parte, e in parte perché si rese conto che per la prima volta il suo amico l’aveva definito intelligente, non ché di bell’aspetto. Poteva ritenersi abbastanza felice di come si era concluso questo gioco infondo.
“Allora? Ho indovinato vero?”
Lo sguardo languido del detective lo fece sorridere, e anche arrossire se non fosse che le sue guance erano già calde a causa dell’alcool.
“Sì, hai indovinato” rispose quindi, senza riuscire a distogliere lo sguardo dall’esemplare che aveva di fronte, non l’aveva mai visto così spontaneo, così… meno intelligente forse, meno calcolatore attento ad ogni tua mossa, così… vulnerabile.
“Ha! Ti ho battuto! Non puoi… competere con un… ”  gli occhi di Sherlock cominciarono a chiudersi e il suo corpo si abbandonò completamente sulla poltrona. John non poté fare a meno di sorridere.
“Un detective di fama internazionale?”
“Sì sì quello!” rispose l’altro svegliandosi improvvisamente dal suo torpore per poi tornare alla posizione precedente.
Il dottore continuava a fissarlo con sguardo dolce. Sentiva che la sbronza gli stava lentamente passando e riacquistava lucidità. Ma probabilmente era solo una sensazione perché da lucido non avrebbe mai fatto quello che stava per fare. Si alzò di scatto dalla poltrona, ma solo per potersi inginocchiare di fronte al suo amico, lo tirò delicatamente dalle braccia per portarlo alla sua altezza e farlo alzare dallo schienale, prese il bicchiere che il detective teneva ancora in mano e lo appoggio sul tavolino alla sua sinistra. L’altro lo guardava confuso, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, John se ne accorse e gli sfuggì un altro sorriso dalle labbra, nonostante tutto adorava anche questo lato di lui, in questi momenti sembrava quasi un bambino e toccava a lui insegnarli come funzionavano le cose nel mondo reale. Portò la sua mano al volto dell’altro, staccandogli quel foglietto dalla fronte e lasciandolo cadere a terra, posò la mano sul collo magro e lungo dell’amico, accarezzandogli la guancia col pollice e avvicinandolo dolcemente a sé. Vide la consapevolezza farsi strada negli occhi dell’altro e capire finalmente cosa stava succedendo. I loro volti si avvicinarono, John si alzò leggermente per riuscire ad arrivare all’altezza dell’amico, Sherlock continuava a fissarlo, quasi impaurito, ma si lasciò guidare dalle mani dell’altro. Si ritrovarono faccia a faccia, entrambi sentivano il respiro dell’altro sulle proprie labbra, i loro nasi si fioravano e John appoggiò la fronte su quella del detective. Stare così vicino a lui lo riempiva di gioia, sentiva il cuore battergli forte nel petto e il respiro farsi più pesante. Quanto aveva aspettato questo momento. La mano destra era ancora sul collo dell’amico mentre con l’altra gli stava accarezzando la mano. La sentiva tremare sotto il suo tocco e sentiva le pulsazioni del collo che andavano a mille, esattamente come le sue. Sorrise, e riuscì a sussurrare il suo nome, prima che le loro labbra finalmente si unissero nel bacio che avevano sognato per anni.

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Capitolo 2
*** Sentimenti Nascosti ***


Sentimenti Nascosti
 
 “…Sherlock…”
La sua voce era stata un sussurro, poi non riuscì più a trattenersi e colmò quei pochi centimetri che ancora li separavano. Le sue labbra si posarono dolcemente su quelle dell’altro, che rispose subito al bacio. Sherlock fece passare le dita fra i corti capelli dell’amico, scivolando giù dalla poltrona e inginocchiandosi di fronte a lui. John allora prese il volto dell’altro con entrambe le mani avvicinandosi sempre di più. Le loro labbra si cercavano, nessuno dei due aveva intenzione di allontanarsi, sarebbero rimasti così per sempre, se non fosse stato per un barlume di lucidità che attraversò la mente di Sherlock: il giorno dopo la persona che teneva fra le braccia non sarebbe stata più sua e avrebbe dovuto dirle addio per sempre. Questo pensiero lo fermò di colpo e lo fece allontanare da quel contatto. La faccia sconvolta di John gli fece piangere il cuore e si pentì immediatamente di quello che aveva fatto. John si alzò di scatto, portandosi una mano alle labbra e mormorando un “Mi dispiace” pieno di vergogna e di senso di colpa. Si girò per andarsene dalla stanza e, possibilmente, dalla faccia della terra ma Sherlock lo fermò tirandolo per il polsino della maglia. John si girò e vide il detective ancora inginocchiato che lo guardava con una dolcezza infinita e il desiderio che ancora gli ardeva negli occhi, il desiderio di toccarlo, di abbracciarlo, di farlo suo. I due si guardarono per qualche secondo, entrambi non sapevano cosa fare. Erano consapevoli che tutto questo fosse sbagliato, eppure lo desideravano così tanto da provare un dolore quasi fisico nel negarselo. Soprattutto dopo tutto questo tempo. Sono sempre stati così vicini, così uniti, eppure non abbastanza. Si desideravano a vicenda, i loro corpi bramavano di toccare e di essere toccati da quello dell’altro, ma nessuno dei due si muoveva.
Alla fine fu Sherlock a fare la prima mossa. Lasciò la presa sulla manica di John e si alzò in piedi, avvicinandosi lentamente a lui. Il cuore dell’altro cominciò a galoppare, una parte di lui sperava che l’uomo che desiderava, l’unico uomo che avesse mai desiderato, si avvicinasse ancora di più fino a poterlo toccare e baciare di nuovo, l’altra parte invece sperava che si fermasse, voleva gridargli di fermarsi perché era sicura che, una volta che si fosse avvicinato troppo, una volta che avesse superato quel muro che nessuno dei due in tutti quegli anni passati insieme aveva mai avuto il coraggio di superare, non sarebbe più riuscito a tornare indietro, non sarebbe più riuscito a fermarsi e tanto meno ad andare all’altare il giorno seguente e riuscire a dire “Lo voglio” con tutto l’amore che quella donna fantastica meritava. L’aveva letteralmente salvato, non meritava di soffrire, e non meritava di essere lasciata il giorno prima del loro matrimonio. Fu questo pensiero ad imporre al suo corpo di fare un passo indietro ed evitare il contatto con quelle dita lunghe e affusolate che aveva sempre ammirato e che in quel momento si stavano tendendo verso di lui.
Sherlock non nascose la delusione a questa reazione fredda e inaspettata. Riportò la mano lungo il fianco e impose al suo cuore di rallentare i battiti. Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Aveva sempre provato qualcosa per John, qualcosa di profondo, qualcosa che non aveva mai provato per nessun’altro. Aveva cercato di farglielo capire, a modo suo ovviamente, ma persino Lestrade se ne era reso conto, perché lui no? Cosa aveva sbagliato? Quando l’aveva visto con quella donna, quando aveva visto l’anello… aveva capito di non avere speranze, se n’era fatto una ragione. Sono state tante le volte in cui avrebbe voluto confessargli quello che provava, che avrebbe voluto prenderlo, sbatterlo contro il muro e baciarlo appassionatamente. Ma non l’aveva fatto. Non l’aveva fatto perché rispettava i suoi sentimenti, perché non voleva creare imbarazzo fra di loro, perché non voleva perderlo e perché suo fratello Mycroft gli aveva sempre insegnato che i sentimenti sono uno svantaggio, se vuoi andare avanti nella vita devi ignorarli, nasconderli, seppellirli. E così aveva fatto. Mai si sarebbe aspettato che John facesse la prima mossa. E mai si sarebbe aspettato che la facesse in un momento del genere. Cosa diavolo gli era venuto in mente?
Forse era colpa dell’alcool, infatti ora si era allontanato da lui, quasi lo disgustasse. Forse aveva interpretato male quello che era appena successo. Ma era un bacio come diavolo poteva essere interpretato? Sherlock si sentiva stordito, una leggera sensazione di vomito stava cominciando a salirgli dalla bocca dello stomaco. Non riusciva a ragionare e tanto meno a decidere cosa fare in quella situazione. Le gambe smisero improvvisamente di reggere il suo peso e cominciò a barcollare. Sentì le braccia di John che lo sorreggevano e sentì la sua voce pronunciare il suo nome.
“Non mi serve… il tuo aiuto…” cominciò a sbiascicare, agitando convulsamente le braccia, ma senza troppi risultati. L’altro lo sorresse e lo trasportò fino al suo letto. Lo aiutò a stendersi, gli tolse le scarpe e lo mise sotto le coperte, cercando di rimboccargliele meglio possibile. Si inginocchiò all’altezza del letto, ritrovandosi nuovamente faccia a faccia col detective, che aveva già chiuso gli occhi e stava per perdere definitivamente i sensi. Cosa aveva fatto? Aveva rovinato tutto? No non poteva nemmeno pensare che quella sarebbe stata la fine della loro amicizia, non sarebbe riuscito a sopportarlo.
Appoggiò le braccia sul materasso morbido e sospirò fra sé e se cercando di attenuare un po' la tensione, ma non servì a molto. Fissando quel volto che lo aveva sempre affascinato, con quegli occhi piccoli e taglienti, che nascondevano però una dolcezza infinita, quegli zigomi così pronunciati e quelle labbra, ormai lo sapeva, così calde e piacevoli, non riuscì a trattenersi dall’accarezzarlo dolcemente e gli si scaldo il cuore vedendo che grazie a quel gesto, su quelle labbra così dure e sottili, spuntò un leggero sorriso.
John tornò in salotto, si versò un altro bicchiere di brandy e si lasciò cadere sulla sua poltrona. Appoggio il bicchiere alla fronte, cercando di rinfrescarsi un po' il volto bollente e solo in quel momento si rese conto di avere il foglio ancora attaccato. Lo staccò e lesse il nome scritto sopra. “Madonna” come faceva Sherlock a non conoscerla? Gli scappò un sorriso dalle labbra pensando a quanto quel genio sociopatico potesse ignorare cose che alle persone normali sembrano così ovvie.
Continuò a fissare quel foglietto di carta e a bere per qualche minuto, finché non sentì la prima lacrima scorrergli sulla guancia. 

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Capitolo 3
*** L'inizio della fine ***


L’INIZIO DELLA FINE
 
La casa era vuota, fuori ormai era scesa la notte e Londra era diventata improvvisamente silenziosa. La porta del 221B si aprì con uno scatto e Sherlock Holmes varcò la soglia. Si tolse velocemente cappotto e sciarpa, salì le scale e si distese sul divano. Cominciò a fissare il soffitto, cercando di distrarsi pensando a qualche caso irrisolto o facendo qualche gioco mentale. Niente. Accese allora il computer per vedere se qualcuno aveva un vero caso da proporgli, ma non c’era nulla di interessante.  Pensò più volte di chiamare suo fratello, ma dopo la conversazione avuta al matrimonio si aspettava solo un “Te l’avevo detto”
Quant’era snervante quel suo avere sempre ragione. “Ti avevo avvertito fratellino di non farti coinvolgere”. Quanto lo odiava. Acerrimo nemico sminuiva i veri sentimenti che provava per lui in quel momento.
No era inutile non riusciva a resistere. Tirò fuori la sua ciabatta persiana da sotto il divano e ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino. Cominciò a fumare e sentì i nervi del suo corpo che cominciavano già a rilassarsi e la mente che si distaccava lentamente dai problemi della vita reale. Essa però continuava come un disco rotto a ripetergli un'unica parola: “John”
Non riusciva a pensare ad altro, da quando l’aveva visto lì, sull’altare, ad aspettare Mary con impazienza, a come l’aveva guardata dicendo “lo voglio”, a come erano felici mentre ballavano…
Sentì una calda lacrima scendergli lungo la guancia. La sciugò velocemente, come se dovesse nascondersi da occhi indiscreti. Cercò di respirare profondamente e convincere la sua mente che il suo cuore non stava per rompersi in mille pezzi.
Cuore? Quale cuore? Io non ho un cuore…
“Sappiamo entrambi che non è così…” quella frase si insinuò nella sua mente prima che potesse fermarla e un brivido gli corse lungo la schiena.
Fece un tiro molto lungo, forse anche troppo, che gli fece sentire una sensazione di bruciore lungo la gola per qualche secondo, ma la mente piano piano diventava più leggera e i sentimenti che minacciavano di scoppiargli nel petto sembrava che si stessero allontanando… sembrava…
Si avvicinò alla finestra che dava sulla strada solitaria e buia, la nebbia caratteristica di Londra cominciava a condensarsi sul marciapiede, rendendo sempre più difficile distinguerlo dalla strada.
Il detective finì la sigaretta e cercò di distrarsi in ogni modo per cercare di non fumarne una seconda, o fare di peggio.
Per qualche momento suonò il violino ma, non si spiegava come, ogni canzone che cominciasse a suonare finiva per ricordargli quella che aveva dedicato a John e Mary al matrimonio e cominciava inconsciamente a suonarne le prime note sentendo le lacrime che combattevano contro di lui per poter uscire liberamente. Dopo averci rinunciato vagò per la casa senza una vera e propria meta, osservando ogni dettaglio che già conosceva a memoria ma cercava comunque di ingannare la mente e registrare di nuovo quelle informazioni, passatempo che si rivelò presto inutile. Provò a procedere con i suoi esperimenti che aveva lasciato in sospeso ma non riusciva a concentrarsi e continuava a sbagliare le dosi dei vari prodotti chimici.
In tutto questo, quelle che a lui erano sembrate ore, in realtà erano 20 minuti e la voglia di cocaina aumentava sempre di più.
Alla fine decise di versarsi un bicchiere di Brandy, il giorno prima l’esperienza non gli era piaciuta particolarmente ma cercò di accontentarsi, se non altro per evitare alla sua mente di torturarlo.
Si sedette sulla sua poltrona con il bicchiere in una mano e la bottiglia nell’altra. Bevve tutto il liquido ambrato in un sorso e sentì un dolce calore scendergli giù per la gola. Chiuse per qualche secondo gli occhi ma, inevitabilmente, appena li riaprì essi si posarono sulla poltrona vuota che si trovava di fronte a lui.
Non ci volle molto perché la bottiglia finisse e il bicchiere venisse lanciato in un punto imprecisato della stanza. Nonostante tutti i suoi sforzi, però, il desiderio della seconda sigaretta era rimasto latente nella mente di Sherlock che, non avendo più nulla di liquido, si arrese alla sua dipendenza. Recuperò la sigaretta e l’accendino per poi tornare barcollando al suo momentaneo rifugio dal mondo reale. L’alcool però gli impedì di prendere le distanze a dovere e il detective si ritrovò a terra, con la testa che girava e una sensazione di vomito pericolosamente vicina a diventare realtà. Cadendo la sigaretta gli era sfuggita di mano rotolando sotto la poltrona, lui la spostò leggermente trovando la piccola fonte di stordimento che stava cercando e, vicino ad essa, un pezzo di carta bianco con una scritta sul retro. Sherlock lo prese e, con non poca difficoltà, lo lesse. Sopra c’era scritto il suo nome, con una scrittura tremolante e imprecisa. Un momento di lucidità prese possesso di lui per qualche secondo e si ricordò la provenienza di quel biglietto. Era quello che si trovava sulla sua fronte il giorno prima… o meglio la sera prima. Ebbe un flash del momento in cui John l’aveva fatto cadere a terra, poco prima che le loro labbra si toccassero…
Questa volta Sherlock non riuscì più a trattenere le lacrime che, forse anche a causa dell’alcool, cominciarono a scendere copiose lungo le sue guance. Dove aveva sbagliato? Forse avrebbe dovuto dirgli prima quello che provava per lui… forse non avrebbe dovuto nemmeno provarli quei sentimenti… se si fosse allontanato da lui quando aveva ancora la forza di farlo, quando non era ancora… innamorato? Questa parola era adeguata a descrivere i suoi sentimenti? Non ne aveva idea, non essendo mai stato innamorato prima, ma non sapeva come altro chiamare quello che stava provando se non amore. Era veramente così doloroso? Perché le persone desiderano così ardentemente provare questo sentimento? Sherlock non si era mai sentito così male in vita sua. Gli sembrava di avere una voragine al posto del cuore in quel momento. Forse se si fosse allontanato in tempo adesso non se ne starebbe seduto a terra, ubriaco, con uno stupido foglietto senza alcun valore in mano, che però in quel momento sembrava la cosa più preziosa al mondo, con gli occhi gonfi e le lacrime che non accennavano a smettere di scendere.
Passò qualche minuto, il detective si trovava ancora nella stessa posizione, indossando ancora il completo che aveva comprato apposta per il matrimonio del suo migliore amico. La manica sinistra era bagnata dalle lacrime che aveva finalmente deciso di asciugarsi dagli occhi e dalle guance, mentre con la mano destra teneva ancora il foglio, ormai accartocciato, dove spiccava la scritta “Sherlock Holmes” che ai suoi occhi ormai era diventata quasi irreale. Tutto in quel momento gli sembrava irreale, come se fosse in un sogno. L’unica cosa che restava ancora palpabile era il senso di vuoto e di tristezza che albergava nel suo petto, quasi come un macigno, che lo stava portando giù, nelle tenebre, in una parte di sé stesso dove non aveva mai osato guardare, dove aveva segregato tutte le sue paure e le sue delusioni.
Continuava a fissare il suo nome, finalmente non più annebbiato dal velo di lacrime che fino a poco prima rendevano il mondo un posto meno definito e governato dal dolore. Stava analizzando ogni lettera con estrema attenzione, come se dovessero contenere chissà quale segreto.
Ad un certo punto allungò la mano verso l’accendino che aveva abbandonato sul pavimento, lo accese e lo avvicinò all’angolo dell’insulso pezzo di carta, guardandolo bruciare lentamente. Il povero “Sherlock Hol…” cominciava a lasciare definitivamente questo mondo, diffondendo un leggero odore di bruciato nella stanza. Le lacrime accennavano a voler tornare sui lineamenti decisi del volto di Sherlock quando, senza un motivo apparente, una frase gli tornò in mente, improvvisamente e con tutta l’intenzione di rimanergli in mente per molto tempo.
“Ti brucerò. Ti brucerò il cuore, te lo garantisco”
Un altro brivido percorse la schiena di Sherlock, mentre anche l’ultimo pezzetto di carta diventava cenere. Sherlock lo fissò per qualche istante prima di accasciarsi sul pavimento, sfinito da tutte quelle emozioni mai provate prima.
 
 
“Che bellissimo matrimonio!”
La signora Hudson stava rientrando in casa accompagnata da Lestrade, o meglio sorretta a causa dei bicchieri bevuti fino a quel momento.
“Sì molto bello…” l’ispettore la accompagnò fino alla sua camera con non poca difficoltà, l’aiutò a sedersi sul letto e non ebbe nemmeno il tempo di darle la buonanotte che la donna era già svenuta abbandonandosi ad esso. Greg sorrise con dolcezza, prese una coperta e gliela mise sopra, poi spense la luce e la lasciò dormire. Stava per andarsene quando d’istinto diede un’occhiata alle scale che portavano al piano di sopra, provando un brutto presentimento. All’inizio cominciò a salire senza pensarci ma si fermò al terzo scalino, riflettendo se fosse la cosa giusta da fare. Lestrade non era stupido come Sherlock voleva far credere. Aveva visto come stava guardando John al matrimonio, aveva sentito il suo discorso, quelle bellissime parole che non poteva credere fossero uscite dalle labbra di quel sociopatico, come amava definirsi lui. E ovviamente aveva capito cosa intendeva con la frase “Sarò lì per tutti e tre”. Aveva intuito subito chi sarebbe stata la terza persona di cui avrebbe dovuto prendersi cura. In quel momento non aveva potuto evitare di farsi attraversare da un’ondata di tristezza. Sapeva cosa il detective provava per l’amico, l’aveva sempre saputo. E quanto era stata dura non dirlo a John dopo la sua morte. Era così tirste… ma pensava che dicendolo avrebbe solo peggiorato la situazione. Poi era arrivata Mary e, per quanto la conoscesse poco, lo rendeva felice e questa era la cosa importante. E dopo lui è tornato…
Già la notizia del matrimonio era convinto che l’avesse distrutto ma adesso addirittura un bambino?
Forse però avrebbe dovuto lasciargli la sua privacy, insomma non aveva mai visto Sherlock in uno stato di… be in qualunque stato, se non saccente e sicuro di sé. Era una buona idea interromperlo in quel momento?
Oh al diavolo
 l’ispettore salì velocemente gli ultimi scalini e spalancò la porta senza bussare. La stanza era buia, un odore di alcool e di sigaretta impregnava tutto l’ambiente. La luce che entrava dalla porta illuminava dei vetri rotti nell’angolo della stanza e un corpo disteso a terra di fronte alla poltrona del detective. Lestrade si fece attraversare da un’ondata di panico, si avvicinò velocemente a Sherlock aspettandosi il peggio e tirò un respiro di sollievo quando vide che, almeno fisicamente, era tutto a posto.
Prese l’amico sotto braccio e lo trasportò fino al letto. Lui protestò con qualche verso e qualche frase sconnessa da cui Greg riuscì a riconoscere solo la parola “John”.
“Va tutto bene, adesso ti porto a letto…”
Lo stese sul materasso, gli tolse la giacca e gli mise sopra la coperta. Stava per andarsene quando una mano lo prese per l’orlo della manica, facendolo voltare. La sorpresa si dipinse sul suo volto quando vide Sherlock Holmes che stava piangendo come un bambino. Si avvicinò subito a lui per cercare di consolarlo meglio che poteva, si sedette sul letto e cominciò ad accarezzargli dolcemente la testa. Non disse nulla, non sapeva cosa dire, non sapeva come confortarlo se non mostrandogli tutto il suo dispiacere e la sua comprensione.
In mezzo alle lacrime e alle parole biascicate riuscì a distinguere una sola frase.
“…  io…  lo…  a..mo…” Lestrade ebbe un tuffo al cuore e non poté trattenersi dall’abbracciare l’amico in lacrime.

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Capitolo 4
*** Notte di nozze ***


Notte di nozze
 
La macchina stava sfrecciando in mezzo alla nebbia portando i due novelli sposi sulla via di casa. Il matrimonio era andato molto bene, tralasciando il tentato omicidio del generale Sholto, e la signora Hudson ubriaca che non riusciva a reggersi in piedi. Era stato proprio un bel matrimonio, allegro, pieno di risate e di balli…
Allora perché mi sento così vuoto?
La macchina rallentò lentamente, Mary aprì subito lo sportello per scendere, lamentandosi della scomodità del vestito e della quantità di regali, ma John la ascoltava a malapena. Aveva la testa su qualcos’alto… su qualcun’altro…
Sentì distintamente la sua voce dirle che sarebbe entrato tra qualche minuto e la vide con la coda dell’occhio mentre si allontanava. Cominciò a fissare la strada di fronte a sé, le mani che stringevano il volante con tutta la forza di cui erano capaci e la sua mente che lo riportava allo stesso momento, in continuazione, come un disco rotto. Che lo riportava a quel bacio…
Non poteva credere di averlo fatto veramente, avrebbe potuto dare la colpa al Brandy all’infinito, ma in cuor suo sapeva che quello non aveva fatto altro che dargli il coraggio che gli serviva. Non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva, e se ne era pentito per ogni secondo durante quella giornata, ogni parola che il suo testimone di nozze pronunciava gli procurava una fitta al cuore e un senso di colpa insopportabile.
“Dr & Ms Watson” questo era rimasto di lui, una busta con dentro una canzone scritta appositamente per loro. Nient’altro. Non l’aveva nemmeno visto andarsene. Aveva annunciato la nascita di suo figlio e l’aveva lasciato. Un classico lo aveva abbandonato, pensando solo a sé stesso…
Un urlo gli uscì dalle labbra mentre cominciava ad agitare convulsamente le mani contro il volante. Era un urlo di rabbia, di frustrazione e di completa impotenza contro gli eventi che stavano lentamente portando la sua vita per una strada che lui non voleva percorrere. Lui un padre? Non sarebbe mai stato in grado di badare ad un bambino. Non avrebbe mai voluto badare a un bambino.
Perché si sentiva così triste? Si era appena sposato per l’amor del cielo avrebbe dovuto essere la persona più felice al mondo. Forse si era sposato con la persona sbagliata…
Scacciò velocemente quel pensiero dalla mente e uscì dall’auto sbattendo la portiera con tutta la forza che possedeva, credendo di poter sfogare così la sua rabbia.
Entrò in casa, cominciando a togliersi la cravatta. Sentì il rumore dell’acqua scrosciante provenire dal bagno e, non avendo nessuno con cui fare conversazione per distrarsi, cercò qualcosa in casa di cui occuparsi. Non trovando nulla optò per il lavoro. Cercò le cartelle di qualche paziente, giusto per controllare che tutto fosse in ordine. Si recò in camera alla ricerca di quei fogli palesemente inutili ma che sperava avrebbero occupato il suo tempo, almeno fino al momento in cui sua moglie non fosse uscita dalla doccia. Niente non erano nemmeno lì. A un certo punto adocchiò la borsa di Mary
Tentar non nuoce
La aprì e cominciò a rovistarci dentro. Non trovò quello che cercava ma, dentro una tasca laterale quasi invisibile, sentì un piccolo oggetto rettangolare. Incuriosito lo tirò fuori per esaminarlo. Era una chiavetta. John la guardò perplesso e, girandola, si accorse che dietro c’era scritto qualcosa.
A.G.R.A.? Cosa significa?
Prese velocemente il computer e la inserì.
I file erano tantissimi e tutti con un nome indecifrabile. Ne aprì uno a caso e trovò alcuni numeri e delle piante di alcuni edifici. In allegato c’erano degli articoli di giornale.
Ufficiale della marina assassinato… ma cosa?
Ne aprì altri trovando lo stesso genere di dati. Ad un certo punto riconobbe qualcosa di familiare: era il circo di quei contrabbandieri, “Il loto nero”, era tutto documentato il codice, gli omicidi, le aste dei pezzi rubati.
John era sempre più perplesso, non riusciva a capire cosa centrasse tutto questo con sua moglie. E poi aprì il file giusto. Era la piscina dove Moriarty aveva minacciato lui e Sherlock. C’era il progetto della bomba e i vari appostamenti dei cecchini.
La consapevolezza si fece largo nella sua mente.
No… non può essere vero…
L’acqua improvvisamente si spense, i sensi da soldato di John si riattivarono improvvisamente. Abbandonò il computer sul letto per andare a recuperare la sua pistola ma la figura della donna si stagliò davanti a lui, sorridente e con i capelli ancora bagnati.
“Tesoro cosa…?”
Lei si bloccò vedendo lo sguardo dell’uomo di fronte a lei. Era gelido, indagatore e, forse, anche spaventato. Cosa mai avrebbe potuto spaventare il soldato John…
Poi lo vide, sul letto, la chiavetta ancora inserita. Improvvisamente il sorriso le sparì dalle labbra e i suoi occhi diventarono taglienti, tutta la simpatia e l’amorevolezza che possedeva erano svanite, lasciando il posto ad un freddo sguardo assassino.
Il sangue si gelò nelle vene di John vedendo la donna che aveva sposato diventare irriconoscibile. Non sapeva perché ne aveva così tanta paura, aveva affrontato criminali di gran lunga peggiori, ma quegli occhi quasi robotici, gli facevano intuire che non avrebbe avuto nessun problema ad ucciderlo all’istante. Sembrava un predatore che aveva appena adocchiato la sua vittima.
Le labbra di lei si sollevarono in un leggero sorriso, mentre si avviava verso la cassettiera che si trovava di fronte al letto. Cominciò a svuotarla con una calma quasi inquietante. John colse l’occasione per raggiungere il comodino dalla sua parte del letto, in cerca della pistola ma non la trovò.
Merda
L’aveva lasciata al piano di sotto. Lentamente si avvicinò alla porta ma proprio in quel momento Mary aveva raggiunto lo scomparto segreto sul fondo del cassetto. John si bloccò fissando l’oggetto nelle mani della donna che poco prima gli sorrideva e diceva di amarlo.
“Bravo, hai già capito che non ti devi muovere”
“Mary ti prego… sta’ calma… “
Cercava di mantenere una voce tranquilla, ma un leggero tremolio lo tradì, e fece comparire un altro sorriso, tutt’altro che divertito, sul volto di sua moglie. Questo lo fece terrorizzare ancora di più. Non ne sapeva bene il motivo, era sicuro di poter uscire da quella situazione ma quegli occhi, quelle labbra sottili e intimidatorie… gli facevano venire i brividi.
“Mi dispiace John, non avresti dovuto scoprirlo, ormai è troppo tardi. Ora da bravo avviati verso le scale, prendi il cellulare e chiama il tuo caro amico Sherlock”
John aveva già cominciato ad andare verso la porta, pensando a un piano per metterla fuori combattimento, ma non appena sentì il nome del suo amico si girò di scatto, rischiando di farle premere il grilletto.
“No, lascialo fuori da questa storia”
Una risata acuta uscì dalle labbra di Mary
“Mio caro maritino, questa storia riguarda lui, non te”
La sola idea di far cadere Sherlock nelle mani di quella donna incontrollabile che aveva di fronte lo inondò di terrore. Senza pensarci due volte si avvicinò a lei, alzando un braccio con il pugno serrato.
Cercò di colpirla con tutta la forza che aveva, ma non riuscì nemmeno a sfiorarla.
Il boato dello sparo riecheggiò per tutta la casa.

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Capitolo 5
*** La scomoda verità ***


La scomoda verità
 
La luce filtrava dalle finestre lasciate aperte, e doveva avere una mira straordinaria perché si posava esattamente sugli occhi del detective. Lentamente cercò di aprirli del tutto e di mettersi seduto, ma appena lo fece un furioso mal di testa cominciò a martellargli le tempie.
Ok l’alcool non fa per me
Sherlock si alzò lentamente dal letto cercando di ricostruire gli eventi della sera precedente ma senza troppo successo. Una parte di lui li aveva rimossi e l’altra gli stava caldamente consigliando di non riportarli alla mente.
Una volta che il suo corpo si decise a collaborare e a farlo stare in una posizione almeno in parte eretta, si rese conto di indossare ancora i vestiti della sera prima, ma che la sua giacca era stata ordinatamente ripiegata e posata su una sedia. Il suo primo istinto fu quello di pensare a John ma si pentì subito di quel pensiero involontario e cercò di levarselo dalla testa. Infilò velocemente qualcosa di più comodo, rigorosamente abbinato ad una vestaglia, e uscì dalla camera.
La sorpresa non fu poca nel vedere Lestrade addormentato sul divano, con la bocca spalancata ed un braccio e una gamba che penzolavano dal bordo. Il detective si avvicinò lentamente a lui, cercando di capire cosa lo avesse portato lì. Ovviamente era arrivato direttamente dal matrimonio, e dall’assenza del suo tè mattutino, probabilmente aveva accompagnato a casa una povera signora Hudson terribilmente ubriaca. Qualche flash della sera precedente apparirono alla mente di Sherlock prima che potesse fermarli e le immagini che vide lo preoccuparono a morte. Si era veramente fatto vedere in quello stato? Come era potuto succedere?
No decisamente l’alcool non fa per me
Si avvicinò all’ispettore cercando di svegliarlo, evitando il più possibile un contatto fisico. Provò a scuoterlo leggermente ma ottenne solamente un verso indefinito, stranamente proveniente dal naso.
“Lestrade?” la risposta fu ancora più deludente di quella precedente: la bocca si aprì di qualche centimetro in più e il braccio scivolò ancora più inesorabilmente verso terra.
Il detective di fama internazionale dovette rinunciare all’attacco diretto e optò per la classica sveglia. Prese il violino dalla custodia e cominciò a suonare, all’inizio melodie dolci e lente, ma vedendo che nemmeno questo aveva alcun effetto passò a qualcosa di un po' più vivace. Questa volta ottenne l’effetto sperato.
“Buongiorno Lestrade”
L’ispettore si mise velocemente seduto e cercò di rendersi il più presentabile possibile, cosa abbastanza inutile contando la notte passata sul divano.
“ ‘Giorno” si stropicciò gli occhi e cercò di convincere il suo corpo a svegliarsi. Il suono del violino era tornato ad essere delicato e la musica minacciava di farlo tornare nel mondo dei sogni. Il suo cervello fece un rapido backup della sera precedente e, ricordando quello che era avvenuto, riuscì finalmente a svegliarsi del tutto.
“Come ti senti?”
Sherlock smise improvvisamente di suonare, chiuse per qualche secondo gli occhi, stringendo le labbra e un senso di vergogna lo pervase. Perché era dovuto tornare sull’argomento? Non poteva semplicemente ignorarlo?
“Ho bisogno del mio tè, MS HUDSON!”
Dal piano di sotto non arrivò nessuna risposta.
“Sherlock…” la voce di Lestrade era comprensiva e preoccupata. Quanto la odiava.
“MS HUDSON” ancora niente. Doveva essersi bevuta anche l’ultima goccia di champagne.
“Sherlock ti prego, so che non ami parlare di queste cose…”
“Non è che non le amo, io non ho queste cose… i sentimenti…” lo sguardo che l’amico gli stava lanciando gli fece capire che ogni tentativo di negazione sarebbe stato vano. Del resto dopo quello che era successo sarebbe stato impossibile negarlo.
“E sì, non li amo” il detective tornò a suonare, guardando fuori dalla finestra e sperando ardentemente che la conversazione finisse lì.
Lestrade lo fissò per qualche istante, decidendo cosa fare. Se avesse approfondito l’argomento i risultati sarebbero potuti essere solo due: un’ammissione da parte di Sherlock e, successivamente, molte lacrime e molto sconforto, oppure, più probabilmente, la defenestrazione immediata.
Fece un respiro profondo e un piccolo sorriso gli increspò le labbra.
Cosa devo fare con te?
Stava per dire una delle solite banalità che vengono spesso ignorate, del tipo “Sono sempre qui se hai bisogno” o “Con me ti puoi sfogare” ma lo squillo del telefono lo interruppe prima che potesse cominciare.
L’ispettore rispose velocemente, più per interrompere quel suono insopportabile che per il desiderio di sentire chi ci fosse all’altro capo della linea.
Sherlock rinunciò alla sua (non) governante per un giorno e andò in cucina per scaldarsi l’acqua. Era così assorto nei propri pensieri che non ascoltò la conversazione che si stava tenendo nell’altra stanza. Era arrivato alla conclusione che avrebbe dovuto togliere la poltrona del suo, ormai ex, coinquilino quando Lestrade fece irruzione, gli occhi spalancati, il terrore che veniva emanato da essi era tale da far preoccupare persino Sherlock, che lo guardò con sguardo interrogativo. L’altro fece un paio di respiri prima di rispondere a quella silenziosa domanda.
“Si tratta di John…”
 
La macchina della polizia stava sfrecciando lungo le strade, per fortuna non ancora intasate, di Londra. I due uomini seduti all’interno non proferivano parola, entrambi stavano involontariamente ipotizzando il peggio e, consciamente, negando subito dopo ogni teoria pregando di sbagliarsi. Gli occhi di Sherlock erano spalancati e pieni di preoccupazione, che si manifestò in modo ancora maggiore quando arrivarono sulla scena, dove si erano già accalcati diversi spettatori bloccati dalle auto della polizia, sulla quale si potevano già intravedere delle macchie di sangue. Il detective non aspettò nemmeno che la macchina fosse completamente ferma, appena vide che aveva rallentato abbastanza si buttò fuori, correndo verso la casa. Vedendo la quantità di sangue il suo cuore mancò un battito e per un secondo ebbe quasi la sensazione di svenire. Uno dei poliziotti si avvicinò a lui per sorreggerlo, ma non fece in tempo a sfiorarlo che lui aveva già cominciato a seguire la scia fin dentro casa, senza staccare gli occhi da terra, misurando approssimativamente i litri di sangue e ignorando le proteste dei criminologi, presto tranquillizzati da Lestrade che si trovava subito dietro di lui.
Salirono velocemente le scale e arrivarono all’origine di quel sangue. La macchia in terra era grande, quasi secca il che significava che non era lì da poco. Sherlock si portò le mani al volto e il panico che fino a quel momento era stato espresso solo in parte prese il completo possesso di lui. Il cuore gli batteva forte e la testa si era improvvisamente riempita di immagini che prevedevano il peggior futuro possibile. Lestrade si avvicinò a lui cercando di aiutarlo, ma il detective gli fece segno di restare dove si trovava. Non poteva permettersi di farsi vedere di nuovo debole e, soprattutto, non poteva farsi sopraffare dalle emozioni che a quanto pare avevano deciso di tornare attive in lui nel momento meno opportuno. Fece un respiro profondo, cercò di far smettere alle sue mani di tremare e alla sua mente di ricordargli scene veramente poco piacevoli.
Andò sul punto dove apparentemente era avvenuta la sparatoria. No, non una sparatoria ma un singolo colpo, sparato da davanti. Dagli schizzi di sangue si poteva intuire che il colpo era stato inferto all’altezza della vita. Sherlock tentò di ignorare il brivido di paura che gli corse lungo la schiena e proseguì. Cominciò a rovistare nella camera per cercare degli indizi ma non trovò nulla, allora decise di aprire armadi e cassetti, posti molto meno probabili che avrebbero potuto aiutarlo, invece nella cassettiera di fronte alla macchia di sangue, nel primo cassetto, i vestiti erano riposti ordinatamente e con cura sulla parte destra, mentre in quella sinistra erano buttati alla rinfusa. Senza pensarci due volte il detective li tolse velocemente, scoprendo che sotto di essi c’era un secondo fondo. Lo esaminò attentamente, trovando dei residui di polvere da sparo.
La sua mente in pochi secondi ricollegò tutto, ma una parte di lui non poteva credere che fosse vero. Quei vestiti erano sicuramente di Mary, quindi anche la pistola…
“Pensavo fosse una citazione biblica, uno spam e invece no, sembra un codice…”
“Il destino degli orfani, amici è tutto quello che ho”
“la 207…”
No non poteva non essersene accorto, non poteva…
Bugiarda
No non poteva non essersene accorto… infatti se ne era accorto…
“Signore abbiamo trovato l’auto dei signori Watson”
Sherlock tornò bruscamente alla realtà e ripercorse la strada a ritroso, osservando ogni dettaglio che ci fosse in casa per scoprire qualcosa di più sulla donna che aveva sposato il suo migliore amico.
Non trovò nulla del genere, ma osservando nuovamente le macchie di sangue notò che dopo una macchia più allargata, diminuivano sensibilmente. Mary doveva aver tamponato la ferita e cercato di fermare l’emorragia.
Lo vuole vivo

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Capitolo 6
*** Indizi celati ***


Indizi celati
 
“Siamo arrivati”
La voce di Lestrade risvegliò improvvisamente il detective dai suoi pensieri. L’eco della voce di Moriarty risuonava ancora nella sua mente.
Ti brucerò il cuore…
“Sherlock va tutto bene?”
L’ispettore non sapeva come comportarsi. Solo la sera prima aveva visto l’uomo di fianco a lui in lacrime, per la prima volta si era reso conto veramente dei sentimenti che provava per John. Si era accorto dal primo momento che ci fosse qualcosa oltre la sola amicizia ma non aveva idea che il cuore, apparentemente di ghiaccio, del suo amico fosse capace di amare veramente un’altra persona, con tale devozione e, di conseguenza, poterne soffrire così tanto la sua perdita.
Perdita? Sul serio?
Cercò di scacciare quella parola dalla sua mente, ma senza successo. Poteva solo immaginare cosa sarebbe successo se John fosse veramente…
Piantala!
“è veramente questo il posto?”
Sherlock era finalmente tornato completamente alla realtà e si era appena accorto di dove fossero. Era lo steso posto dove lo aveva portato il tassista, era dove John gli aveva salvato la vita… era il primo caso che hanno risolto insieme. Era stata la prima volta che aveva sentito il nome di Moriarty.
“La telecamera gli ha ripresi mentre entravano in quell’edificio”
“Telecamera?”
Il poliziotto che si era avvicinato all’auto per informare Lestrade lo guardò come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.
“Quale telecamera? Qui non ci sono telecamere”
Se così fosse avrebbero ripreso sia lui sia John che entrava nell’altro edificio e saprebbero chi aveva sparato al tassista.
“Sì ce n’è una proprio lì”
Sherlock si girò e la vide. Era nuova, installata da poco. Forse solo da qualche ora.
“Sherlock…”
La voce di Lestrade era sempre più preoccupata. Era convinto che non sarebbe riuscito a gestirlo, non questa volta.
Oh per l’amor di Dio
Il detective scese velocemente dall’auto. Cominciava ad odiarlo. Era sempre lui, non aveva bisogno di conforto o rassicurazioni, si limitava ad attenersi ai fatti, come al solito. Si pentì ancora una volta di essersi fatto vedere in quello stato.
Continuerà ancora per molto a preoccuparsi? Sta diventando insopportabile
Senza pensarci due volte si avviò verso all’edificio dove lo aveva portato il tassista, quello di destra.
“Signore, mi scusi non è quello. I due sono entrati nell’edificio di sinistra”
Sherlock si voltò lentamente. Guardò prima il poliziotto, poi diede un’altra occhiata alla telecamera.
Ah ora capisco.
“Giusto, mi scusi”
Gli occhi di Lestrade saettarono verso di lui e su di essi si dipinse un misto di sorpresa e, quasi, preoccupazione.
Mi scusi?!
Si avvicinò velocemente all’altro, che si stava avviando verso l’edificio di sinistra.
“Cosa non mi stai dicendo, Sherlock?”
A volte dimenticava quanto fosse effettivamente intelligente… o meglio meno stupido di quanto pensasse.
“Niente, ho dato per scontato fosse l’altro edificio, non mi sono attenuto ai fatti. Guarda anche la scia di sangue porta qui, è stato un mio errore”
“UN TUO… ok senti so che vuoi sempre fare tutto da solo, ma qui stiamo parlando di un assassi… di una persona pericolosa, hai bisogno di noi”
Sherlock fece un respiro profondo. Avrebbe voluto evitarlo ma a quanto pare non c’era altra scelta.
“Odio ammetterlo ma… non sono del tutto lucido… continuo a pensare a John… a cosa potrebbe essergli successo e…” La sua voce si spezzò e una lacrima solitaria cominciò a scendere sulla sua guancia. Lui se la sciugò velocemente, fissando lo sguardo a terra per evitare di incrociare occhi indiscreti.
Il cuore di Lestrade si riempì di tenerezza, il suo sguardo si addolcì. Mise una mano sulla spalla dell’amico. Avrebbe voluto abbracciarlo ma aveva paura di come avrebbe potuto reagire.
“Tranquillo, vedrai che andrà tutto bene”
Sherlock annuì mestamente, tenendo lo sguardo verso terra.
L’ispettore lo precedette, seguendo le tracce di sangue insieme al resto della squadra. Sherlock si tenne in disparte e sul suo volto si dipinse un sincero senso di colpa. Ma non aveva scelta.
Non appena si ritrovò da solo uscì dall’edificio.
 
Tutto era esattamente come lo ricordava: il corridoio lungo, le porte imponenti e le stanze spoglie, con grandi vetrate.
Sherlock stava esaminando attentamente ogni stanza, ma senza trovare nulla di rilevante. Non aveva molto tempo, presto si sarebbero accorti della sua assenza e che le macchie di sangue non portavano a nulla…
Giusto il sangue! Che idiota…
Scese velocemente le scale, fino a ritrovarsi in un piano sotterraneo. Sembrava una cantina, ovviamente non veniva usata da molto, c’erano polvere e ragnatele ovunque. Alcuni schedari erano ammassati su una parete mentre le altre erano completamente spoglie, ad eccezione di qualche scaffale. Fogli e documenti erano buttati a terra alla rinfusa.
Il detective cominciò a esaminare ogni angolo, ogni crepa, ogni fessura.
Trovato!
Una delle ragnatele, sulla destra di uno scaffale, stava ondeggiando leggermente a causa del vento. Vento che proveniva da una piccola fessura del muro, o meglio da una porta segreta.
Sherlock la aprì velocemente, constatando che lo scaffale era attaccato alla parete e dandosi una spiegazione di come avesse fatto a tornare al suo posto.
Per quanto Mary possa essere forte, trasportare un cadavere…
Una fitta al cuore interruppe i suoi pensieri. Scosse velocemente la testa cercando di scacciare l’immagine che gli era balenata davanti.
…Trasportare un corpo su e giù per le scale richiede un enorme sforzo. L’unico modo, e anche il più sicuro, per portarlo da un edificio ad un altro è un passaggio sotterraneo che li colleghi.
La struttura del corridoio era uguale a quella del resto dell’edificio, quindi doveva essere stato costruito dal principio in modo che le due strutture fossero collegate.
Hanno costruito questo posto per me? O l’hanno semplicemente trovato?
Sherlock stava continuando ad avanzare per quell’unico, stretto corridoio, illuminato da qualche luce neon che si trovava sul soffitto. La maggior parte erano bruciate ma quelle rimanenti bastavano per vedere abbastanza da non sbattere contro una parete.
Più avanzava, più i suoi sentimenti rischiavano di prendere il sopravvento. Per quanto cercasse di impedirlo il suo cuore non smetteva di battere così forte da rischiare di uscirgli dal petto, la paura prendeva il possesso della sua mente impedendogli di pensare con completa lucidità.
John resisti, sto arrivando
All’improvviso il corridoio si apriva in una stanza più grande e completamente buia. Sherlock tirò fuori una torcia e una pistola che aveva recuperato poco prima da uno degli agenti. Il fascio di luce non lo aiutò molto, non vide altro che pareti grigie e spoglie e, dall’altra parte della stanza, una grande porta blindata d’acciaio. Cominciò a camminare lentamente illuminando ogni angolo, sempre con la pistola pronta per ogni evenienza.
Avvicinandosi alla parete destra si accorse che c’era una seconda porta, questa volta di legno, e leggermente aperta. Con cautela entrò per esaminare l’interno.
Un misto di puro terrore e incedibile sollievo si fecero strada in lui ad una velocità tale che ebbe la sensazione di cadere. La sua mente si distaccò immediatamente da qualsiasi pensiero logico, abbassò la pistola, che per poco non gli cadde di mano, per avvicinarsi a quella figura, stesa a terra, raggomitolata su sé stessa.
Sherlock si inginocchio di fianco ad essa, eliminando completamente il terrore e lasciando spazio solo al sollievo quando la sentì respirare. Una lacrima di gratitudine gli scese sulla guancia e, quasi come una preghiera, pronunciò il suo nome.
“John…”

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