Effetti Collaterali

di RebelRain
(/viewuser.php?uid=987515)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anna e Alberto ***
Capitolo 2: *** Non so perdere ***
Capitolo 3: *** Stato e Chiesa ***
Capitolo 4: *** Nane a rapporto ***
Capitolo 5: *** Odore di casa ***



Capitolo 1
*** Anna e Alberto ***


- Ti muovi bene a letto – Sorrise
- Ti piace? – Il tono era decisamente malizioso.
- Continua troia, dai cazzo, fammi venire… Così si, brava, sono venuto.
Il tempo di spostarsi dal cazzo e mi girai.
Era il quinto uomo in una settimana, forse dovevo smetterla.
- Dove vai? – Mi chiese.
- Scendo giù, in albergo non si può fumare.
Misi una vestaglia di seta rosa, delicata leggermente trasparente. Mi rinfilai le mutande, la pelliccia di volpe appena comprata e le converse. Presi la borsa con le sigarette e le chiavi della stanza.
- Non lo so quando torno, tu dormi e domani mattina non farti trovare. Alle 8.00 in punto devo partire per tornare a casa. Buonanotte. – Chiusi la porta.
Scesi nella hall, tra lo sguardo di un gruppo di ragazze ventenni che stavano per andare a ballare vestite, se così si può dire, come delle puttanelle fashion blogger in cerca di un’avventura di una notte.
- Cameriere mi porti un martini, ci metta dentro due olive. Mi trova in sala fumatori, le lascio la carta. Ah, e dica a quelle sgualdrine che le Converse sotto la pelliccia non possono indossarle tutte.
- Certo, sarà fatto. Per il messaggio non so… - Lo interruppi.
- Mi porti il martini, grazie.
Mi recai in sala fumatori, mi sedetti su quelle fantastiche poltroncine rosse e morbide, allargai le braccia sui braccioli, accavallai le gambe, presi le sigarette e appoggiai il posacenere sul bordo del tavolino di legno davanti a me. Accesi la sigaretta, probabilmente le Marlboro rosse mi avrebbero portato alla morte. Sollevai la testa. Gli alberghi a Venezia sono così maestosi, a volte eccessivi.
“Che affreschi di merda” pensai “E chissà quanti soldi hanno speso per questa cagata!”
- Signora, ecco il suo martini, la carta e lo scontrino. – Arrivò il cameriere.
- Lascia pure tutto sul tavolo, grazie. – Non lo degnai di uno sguardo, avevo sempre la testa in alto, la sigaretta in bocca pensando al prossimo viaggio a Venezia, magari in un albergo più decente.
Presi il martini e iniziai a sorseggiarlo. I cocktail li sapevano fare. Mentre mettevo qualche like a caso su Instagram, un messaggio. Era Alberto, mio marito.

Il messaggio diceva:
Buonanotte Anna, le bambine non vedono l’ora di vederti. A domani
Io risposi:
Dai un bacio alle bambine da parte mia. Arrivo domani alle 18. Buonanotte.

Mio marito non si sarebbe mai aspettato da me un tradimento, in realtà nessuno. Stavamo insieme da 15 anni. Cinque di fidanzamento, dieci di matrimonio. Eravamo la “coppia” quella che alla domanda “da quanto tempo state insieme?” pur essendo solo tre mesi, si è sempre sentita rispondere “Ah sembra di più”.

2000
Lui è un famoso grafico pubblicitario, io ai tempi una semplice studentessa di Giurisprudenza in preda al panico degli esami e poi della tesi. Lo conobbi al cinema. Settima fila posto cinque, lui, con la sua fidanzata. Ottava fila, posto cinque, io, con i pop corn. Ricordo che starnutiva continuamente, era raffreddatissimo. Il naso rosso che gli gocciolava perennemente.
- Vuoi qualcosa di caldo, amore? – disse lei con quella bocca che io continuo a ribadire fosse rifatta.
Intanto la gente si stava innervosendo, ogni tre parole, uno stranuto.
- Povero cucciolotto, appena torniamo ti coccolo tutto. – Porca troia che nervoso questa.
- Non gli serve la comprensione… - sussurrai, poi tirai fuori un pacco di fazzoletti dalla borsa e glieli diedi. – Esci fuori, soffiati il naso cazzo. E comprati un tappo la prossima volta. – Lo guardai stizzita.
Era buffo con il suo naso, ma aveva uno sguardo… Capelli neri, occhi neri. Eravamo Aladin e Jasmine. Si vedeva che era più vecchio di me. Ho un debole per gli uomini maturi. Il tempo di soffiarsi il naso e di sporcare il fazzoletto di sangue.
- Oh Dio amore che schifo, vai in bagno – disse lei. Secondo me si è rifatta le labbra, quella forma a culo di gallina non può essere naturale, ma Alberto da 15 anni a questa parte smentisce.
- Vieni, ho fatto un corso di primo soccorso, ti accompagno in bagno.
- Grazie. – E uscì fuori, tra i sussulti della gente che finalmente poteva godersi gli ultimi 20 minuti del film in pace. Lo accompagnai in bagno, tirai fuori delle salviette umidificate, utili in ogni situazione, soprattutto quando mangio.
- Ecco, metti la testa così, no, non in alto, è questo il trucco. – Lo misi in posizione.
- Sei un medico? – quasi con tono disperato.
- No, futuro avvocato, so solo gestire le situazioni, non come la tua ragazza che quando parla non sa gestire nemmeno la direzione delle sue labbra. – Sorrisi e aprii il rubinetto dell’acqua. Rise.
- Sta con me solo per i soldi, dirigo un’azienda di grafica pubblicitaria. È solo un insieme di buchi dove poter infilare il mio cazzo. – Abbassò la testa indicando il suo pene, si irrigidì.
Non esitai due volte ad abbassarmi. Lo guardai dritta negli occhi, gli abbassai il pantalone.
- Trova altri buchi, mi farò i soldi da sola. – Mi alzai in piedi e misi la mano sul suo naso, per controllare la situazione.
- Questo è il mio biglietto da visita, un grafico può sempre servire. – Ironizzava.
- Quanti anni hai, 30, 31? E non sai ancora invitare a cena una donna? Sushi a piazza Euclide, domani alle 20.30. L’invito è per una persona. Se non vieni sappi che il sushi sarà sempre una compagnia migliore della tua. Tachipirina e letto questa sera. – e aggiunsi sussurrando - Chissà potresti i riempire i vuoti di qualcun’altra da domani…
- Amoruccio sono fuori dal bagno, tutto bene? – Eccola, sempre lei.
- Sei bella con la tuta e le Converse. A presto – Soggiunse – Io sono Alberto, tu?
- Anna, a domani.
È inutile dirvi che a quell’incontro si presentò e non solo riempì i miei vuoti, ma li colmò di sperma più volte fin quando non nacquero Marta e Giulia, le mie figlie.
“Cazzo, sono già le 3…” pensai guardando il telefono. Poggiai il bicchiere vuoto sul tavolo. Alle 8.00 dovevo partire, alle 9.00 l’aereo. Dopo una settimana, finalmente, tornavo a casa.
So che non si dovrebbe scrivere nulla in fondo al capitolo e i messaggi subliminali sono vietati, ma volevo ringraziarvi perché avete il "coraggio" di leggere questa storia. Il vostro parere è fondamentale, aspetto le vostre recensioni.
Grazie, Stella.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non so perdere ***


Tornai in stanza, sconsolata. Mi spogliai mi piace dormire nuda, caricai il telefono.
- Siri imposta la sveglia per le 7.00
- Ok, sveglia impostata per le 7.00, Anna.
Quattro ore di sonno e poi sarei tornata a casa, a Roma. A pranzo avevo un appuntamento importante. No, non di lavoro. Con mia madre. Povera donna, da quando è morto papà è diventata un’assidua frequentatrice di chiese, proprio come me. Lei pregava, io giravo le cappelle, come girano i turisti nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. L’ultimo sguardo al mio amico di letto, e poi sonno profondo. L’indomani suonò la sveglia. Mi svegliai frastornata, avevo un leggero mal di testa.
“Meno male che questo se n’è andato” pensai. Solitamente gli uomini non resistono al mio fascino e si fanno ritrovare il mattino dopo con rose, lettere, cioccolatini. Ma chi cazzo se ne frega. Questi sentimentalismi stupidi, solo con mio marito. Già mio marito. Come è possibile che siamo arrivati a questo? No, non sono i figli, quelli per fortuna non c’entrano. Bisogna smetterla di dare sempre la colpa a loro. Bussano alla porta. Mi reco in bagno.
- Avanti!
Era il cameriere.
- Signora, la sua colazione. Alle 8.00 il taxi sarà fuori dalla hall come previsto. Se non serve nulla io posso andare.
- Ho finito i prodotti per la doccia, mi porti due scatole.
Non avevo finito i prodotti per la doccia, mi piace rubare tutti i prodotti e portarmeli a casa. Sarò anche ricca, ma a questi sfizi da borghesuccia non mi dispiacciono.
- Certo signora, glieli lascio. Buona giornata e grazie per essere stata nostra ospite.
Pipì veloce, doccia veloce, espresso. Il tempo è prezioso. Outfit leggero, ad ottobre a Roma fa ancora caldo. Tacco alto. “Le donne Spada camminano solo sui tacchi, puliscono e guidano anche con il 12. Non eccedere con il plateau.” Se non avessi messo i tacchi, chi avrebbe sentito mia madre?
Prendo le valigie e scendo in hall. 7.58, bene ho il tempo per mettermi il rossetto. Lego i capelli con una treccia molto disordinata. Vedo il taxi. Direzione Aeroporto.
Arrivo per ultima al gate, ma entro per prima sotto lo sguardo della gente in piedi da ore per fare la fila. A cosa servono altrimenti i soldi? Ultimo sms a mio marito:
Decollo tra poco, pranzo con mia madre sul lungotevere. Vado a prendere le bambine a scuola alle quattro, occupati della cena.

Decollo. Il viaggio fila liscio, tra la lettura di un quotidiano e le frenetiche hostess intente a vendere i biglietti della lotteria.
- Compro venti biglietti! – Esclamo, guardando negli occhi l’hostess.
- Complimenti signora, lo sa che c’è in palio un stupenda Fiat 500?
- Ho quattro macchine, lo faccio per beneficenza.
I passeggeri mi guardano con stupore, ma sono menefreghista. Ho lavorato tanto per potermi permettere questa vita, e come sempre ho ribadito, non alle spese di mio marito. Laurea con 110 e lode nella più prestigiosa università di Roma; master a Londra e a Bruxelles sull’importanza del diritto Internazionale; 124 pubblicazioni; due libri, i miei secondi figli, sul diritto europeo e sul diritto penale. Presente anche nella commissione di diversi casi di importanza internazionale.
Il mio nome era una garanzia per tutti coloro che cercavano un’accusa decisa e autorevole.  Un’unica delusione: bocciata al concorso in magistratura. Due anni fa. Non ho mai perso. Qui è cambiato tutto.
Finalmente a Roma Fiumicino, scrivo un messaggio a mio marito e a mia madre, identico:
Viva e vegeta. A dopo

Il taxi mi accompagna fino al ristorante dove avevo appuntamento con mia madre. Il viaggio è lungo. Il tassista era carino, sulla quarantina, brizzolato, occhi azzurri. Dallo specchietto mi guardava, ogni tanto lasciava scivolare lo sguardo sulle mie gambe scoperte. Io ero attenta alla strada. Si sentiva nell’auto il profumo dell’Arbre Magique e One Million. Io odio i profumi, e soffro per i viaggi in auto.
- La prego, accosti se non vuole che le vomiti in macchina.
- Come ha detto scusi?
- Si fermi. – Urlai.
Accostò pochi metri più avanti, vicino la stazione di servizio.
- Si sente bene? – Mi chiese preoccupato.
- Si, mi danno solo fastidio gli odori, le dispiace se le chiedo di togliere il profumo in auto?
- Non sapevo fosse incinta, provvedo subito.
- Non sono incinta, non sono nemmeno sposata.
Non porto mai la fede al dito quando faccio i viaggi, almeno da due anni a questa parte la tengo sempre in borsa, dove c’è la cerniera per tenere le cose al sicuro. Mi sento colpevole se faccio sesso con un altro uomo e porto la fede.
- Vuole un bicchiere d’acqua? – Mi chiese il tassista.
- Perché fissa le mie gambe? – Chiesi maliziosamente.
- Io, no… Signora… - Balbettava.
Agli uomini non piacciono le donne dirette, e nemmeno troppo intelligenti, e nemmeno quelle che sanno prendere una posizione. Sono uomini, sono loro che fanno queste cose “da uomo”. Avevo pensato anche di farmi suora una volta, mi sono detta “Non mi vorrà mai nessuno, io non scendo a compromessi”. Eppure sono sposata e di compromessi, purtroppo o per fortuna ne ho fatti tanti.
- Saliamo, sto meglio. - Eravamo quasi vicino Roma. Il tassista salì sul taxi sconcertato. Io mi divertivo a cambiare la posizione delle gambe, le accavallavo prima da un lato e poi dall’altro. Ogni tanto le aprivo, e lui ogni tanto sbagliava la strada. Avevo una mano tra le gambe, la facevo scendere spesso. Ecco come faccio passare il mio mal d’auto, prendendomi gioco degli altri. Ero appena giunta a destinazione. Vedo mia madre dal finestrino.
- Sono 90 euro. – Il tassista non mi degna di uno sguardo.
- Se fosse stato più attento alla strada avrei pagato 80. Tenga 100, 10 li spenda in preservati, ha proprio la faccia di uno che non resisterà questa sera.
Il tempo di mettermi la fede al dito, e scesi dalla macchina.
Mia madre, che donna. Sulla sessantina, un metro e 62 precisi. Truccata, profumata, sempre con la manicure appena fatta.
- Anna bentornata, come è andato il viaggio? - Mi accolse calorosamente.
- Sediamoci mamma... - sospirai - Ho molta fame.

So che non si dovrebbe scrivere nulla in fondo al capitolo e i messaggi subliminali sono vietati, ma volevo ringraziarvi perché avete il "coraggio" di leggere questa storia. Il vostro parere è fondamentale, aspetto le vostre recensioni.
Grazie, Stella.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Stato e Chiesa ***


Mia madre ha sempre saputo leggere dentro di me. Non riuscivo ad avere filtri con lei, aveva notato i miei cambiamenti. Ma a me non è mai piaciuto parlare.
- Cosa ordini?
- Una carbonara, grazie, tu?
- Due. – rise. – Ti è mancata la cucina romana?
- No, ma ho mangiato schifezze in questi giorni. – presi il telefono dalla borsa, aprii Instagram, non ero molto interessata alla conversazione.
- Ieri le bambine e Alberto hanno mangiato a casa, lo sai? – Era intenta a parlare.
Silenziosamente le giro lo schermo del telefono e glielo indico.
- Ci parlo ancora con mio marito.
- Non è cambiato nulla? Soggiunge.
- In chiesa come sta andando? Avete proposto qualche messa per papà?
- Non fare l’avvocato con me Anna. Non serve, so quello che pensi.
- Cosa penso? Dimmelo, perché non lo so nemmeno io.
- Tu non lo ami più. Vero? – Alzò il tono della voce.
Arrivò la pasta, mangiai in silenzio.
- Anna devi parlare, non potrai salvarti così. Cosa ti angoscia? Perché non lasci alle spalle il concorso?
- Io non ho mai fallito, mamma. IO NON HO MAI AVUTO UN CAZZO DI FALLIMENTO. Vedi? Sono una bella donna, ho due bellissime figlie ed intelligenti. Mio marito è un bellissimo uomo. Cosa mi sento dentro mamma? Io voglio sempre di più dalla vita, io non mi accontento. Non lo so se questo mi basta, non lo so più. Se avessi vinto…
- È pur vero che non ci hai mai riprovato. – Alzò il tono di voce. – Non parlarmi così, sono tua madre.
- Lo so, scusami. È vero non ci ho mai provato, ma tra i figli, mio marito.
- BUGIARDA. Non hai voluto tu, perché non hai mai saputo perdere. È facile vincere, ma non puoi arrenderti così. Non hai pianto nemmeno per la morte di tuo padre… Vuoi diventare come lui?
- Non tirare in ballo la storia di mio padre. Cameriere per cortesia il conto.
Mio padre era un poveraccio. Lo ringrazio solo per avermi donato la vita, poi è sempre andato a puttane. Mia madre si è fatta il culo per farmi crescere, ero figlia unica, per fortuna. Ma non per scelta. Ero figlia unica perché mio padre scopava con altre e non con mia madre. Ho sempre pensato che forse avessi qualche sorella in chissà che sperduta parte del mondo. L’ho sempre odiato, e adesso mi stavo trasformando in lui. Che schifo.
I sentimenti non sono come interruttori, non si possono spegnere così da un momento all’altro.
Cosa si è spento in noi non lo so ancora. Ricordo quando Alberto mi chiese di sposarlo. Era il giorno della mia Laurea, dopo la proclamazione, dopo le parole “110 e Lode”, prima di abbracciare mia madre e di guardare in ultima fila in alto mio padre. Vedo Alberto che corre ad abbracciarmi, si fionda verso di me con la corona d’alloro, me l’appoggia in testa e mi abbraccia, mi bacia, mi guarda.
- Io sono troppo vecchio per aspettare… vuoi sposarmi?
Presa dall’euforia del momento non capii, lo guardai stranita.
- Ma io non lavoro. – Gli dissi, mentre gli altri mi abbracciavano. – Ti rispondo stasera, quando sarò più ubriaca.
Lui rise per fortuna, se ci penso ancora avrebbe potuto sfancularmi davanti a tutti.
È che io non sono mai riuscita a mettere un limite tra la mia carriera e la mia famiglia. Non volevo vivere nell’assoluta ricchezza, ma volevo sentirmi realizzata. Come dice una nota serie tv di cui sono fan “Stato e Chiesa”. Forse è questo che ha rovinato tutto.
La sera della mia laurea faceva freddissimo, mi ricordo di essere in questo locale che ti forniva anche le coperte per uscire fuori, nel caso sentissi freddo. Prendo le Marlboro rosse dalla mia borsa, prima non fumavo, ma l’Università ti riduce anche a questo, ed esco fuori con la coperta.
Il locale si affacciava sul Colosseo, gran bella vista. Fuori mio padre con un sigaro in mano.
- Volevo dirti, ancora, che sei stata bravissima. Sono fiero di te.
- Grazie, hai da accendere?
- Si. Ecco tieni. – Caccia dalla tasca un accendino con la statua della Libertà.
- New York, bello, ci farò un viaggio dopo la laurea.
Segue un lungo momento di silenzio.
- Ho conoscenti lì, sai?...
- Donne? – Lo interruppi e abbassai lo sguardo. – Come sempre immagino.
- So di non essere stato un grande esempio, ma…
- Bella camicia – Lo interruppi ancora. - Entro dentro, questa sigaretta è buona, ma non sono pronta a rischiare di congelarmi per lei. Andiamo da mamma.
La spensi e rientrai. Raggiunsi mia madre intenta a parlare con Alberto.
- Mi sposate e non mi avete detto nulla? Congratulazioni.
- Io veramente non sapevo… - stetti in silenzio e aggiunsi – Si ci sposiamo. Non lo so quando, forse tra due o tre mesi. O tra un anno, o appena trovo un impiego. A luglio c’è l’esame da Avvocato, però ho già fatto praticantato, insomma posso farcela.
- Anna, stiamo parlando di matrimonio e non di lavoro, rilassati. – Alberto mi mise una mano sulla spalla.
Facile per lui che aveva già un’azienda.

Guardo l’orologio. 
- Mamma sono le 14.30, alle 16 meno 10 devo stare davanti scuola di Marta e Giulia. Prendiamoci un caffè, voglio andare con i mezzi.
- Ma ci vuole un’ora! Un bus e poi il tram.
- Ho un libro con me, David Foster Wallace.
Ho sempre avuto gran bei gusti in campo di libri.
Prendiamo il caffè al bar, saluto mamma con un bacio.
- Fai attenzione! – Mi urlò
Ho 38 anni, ma certe cose non cambiano.
Arrivai alla fermata del bus, c’era molta gente. Tirai dalla mia Louis Vuitton il libro e iniziai a leggerlo. Ancora non capisco lo sguardo della gente che fa quando vede una persona leggere, ma non un libro, dico leggere in generale. Sono così strani gli incontri sul bus. C’è gente che ti guarda, come se tu fossi l’amore della sua vita, e vedi quello sguardo di delusione nei loro confronti quando scendono a delle fermate prima della tua. C’è il classico uomo addormentato con la bocca aperta, la coppia di fidanzati, lo straniero che parla al telefono nella sua lingua e tu nella mente pensi ai discorsi più strani ed assurdi. E poi lei, la donna con il burqa, il bambino e la busta gigante sospetta.
Non è per razzismo che dico questo, e non fate i soliti stupidi moralismi. Anche tu, si proprio tu, la guardi con sospetto.
Scendo dal bus e mi accingo alla fermata del tram. Metto il libro in borsa, ho avuto senso di vomito nel bus. Pochi minuti e sarei stata dalle piccole.


So che non si dovrebbe scrivere nulla in fondo al capitolo e i messaggi subliminali sono vietati, ma volevo ringraziarvi perché avete il "coraggio" di leggere questa storia. Il vostro parere è fondamentale, aspetto le vostre recensioni.
Grazie, Stella.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nane a rapporto ***


"Prima di imparare ad essere madre, si impara ad essere figlie."
(Ho provato a cercare su internet di chi fosse questa citazione, ma a quanto pare credo che sia la mia.)

 
Io odio le mamme delle compagne di classe delle mie figlie. Le odio. È più forte di me. Eccole, lì a pochi metri da me che fanno nicchia. Oh sì, eccole che iniziano a sparlare di me, quanto godo.
“ Non si è fatta vedere per una settimana / Chissà come fa con il marito / Secondo me non sa fare nemmeno una lavatrice / Guardala, gli si è incastrato il tacco nella terra del giardino! “
Si, purtroppo mi scordo sempre di cambiare scarpe, e puntualmente le rovino.
Suona la campanella. Prendo le salviette dalla borsa, pulisco il tacco sinistro, e mi avvicino all’uscita di scuola, precisamente affianco a queste sgualdrinette da quattro soldi, guardandole, trascinando la mia valigia e sorridendo.
Marta ha 8 anni, fa la terza elementare e oggi è la prima ad uscire da scuola. Il venerdì esce sempre per prima rispetto a Giulia perché fa educazione fisica all’ultima ora. Lei la chiama solo “Fisica” e mi diverto quando a cena con amici, lei tutta sorridente, ribadisce di fare fisica a scuola, a 8 anni. Tutti pensano sia un piccolo genio, io lo credo. D’altronde è genetica. Eccola, sul ciglio dei gradini che cerca attentamente, con gli occhi grandi neri che si fanno piccoli per vedere da lontano, chi la porterà a casa. E poi mi guarda, lentamente apre gli occhi quasi stupita. È come quando il giorno di Natale, finalmente scarti il regalo, e si cazzo, è lui, il regalo che volevi, e poi dopo due giorni non ci giochi più. È così una mamma, come sono così tutte le cose che diamo per scontato, così io sono per loro. Si fionda verso di me. Amo questo momento.
Ricordo il giorno in cui ho scoperto di essere incinta di lei.
2006
Avevo appena superato il concorso da avvocato. Lo feci un anno e mezzo dopo circa. Perché? I preparativi per il cazzo di matrimonio, ovvio. Ma non mi bastava, volevo tentare anche il concorso in magistratura.
Alberto usciva sempre dall’azienda alle 18.00 e mi trovava in una stanza grande con una scrivania e una libreria, a studiare. Ai tempi, quello doveva essere lo studio, poi divenne la stanza di Marta. Non lo sentivo mai rientrare.
- Amore ti porto un thè caldo? – Apre la porta della stanza.
- Ciao Albi, si grazie, sto esaurita. – Bacio sfuggente, capelli raccolti, brufolo sul mento, occhiali e occhiaie.
- Si, ma apri ‘sta cazzo di finestra che la puzza di fumo è micidiale. – Schifato.
- Per cena faccio la pasta con le zucchine e lo speck.
E ogni volta, entrava con la tazza di thè caldo al limone, con un cucchiaio di miele, e me la portava in stanza. Tutte le volte, tranne il pomeriggio del 17 ottobre, quando bussò alla porta dello studio, e non mi trovò.
- Amore dove sei? – Chiese preoccupato.
- In bagno, sono qui. – Io sono una persona molto abitudinaria, mi sveglio e vado a letto sempre nello stesso ed identico modo. 
- È grave? – Rideva.
- Te lo dico tra due minuti. – Seria, guardando il test di gravidanza.
Ho sempre sognato di diventare mamma, mi piaceva da sempre l’idea di avere dei figli. Io e Alberto avevamo già scelto i nomi. Due figli, quattro opzioni per nome. La cosa ci è sfuggita di mano così tanto che ogni volta che mi veniva sul seno, o in bocca, salutavamo i nostri piccoli bimbi a metà, tra una serie di finti pianti e risate. Il 17 ottobre io non volevo diventare mamma. Magari l’anno prossimo, non a pochi mesi dal concorso in magistratura.
- UNA LINEA, ah no! – Urlai, e poi abbassai la voce.
- Cosa hai detto? Esci dal bagno! – Alberto era scettico. Esco dal bagno.
- Ho detto che o è Marta o è Davide! O sono entrambi! – Ero più esaurita di prima.
Segue un lungo abbraccio. Il 17 ottobre, incinta già da due settimane, aspettavo Marta.
- Vestiti, andiamo a cena fuori, immagino tu abbia le voglie adesso! – Non lo fermava più nessuno
- Aspettami.
Il tempo di tornare in studio, chiudere i libri e i vari codici. “Ritenterò dopo la gravidanza.”

Ecco da scuola che esce Giulia, lei ha 6 anni e frequenta la prima elementare. Lei ama la musica rock e cambia la musica in auto. Da quando ha imparato a scrivere, non fa altro che chiedermi l’indirizzo della Warner Bros per spedire loro una lettera. Non sopporta che Titti sia in realtà un maschio. Anche per Giulia si è ripetuta la stessa ed identica storia. Stessa uscita dalla scuola, stesso discorso per la mia gravidanza.
Ma non ho rinunciato alla mia carriera. Non sarei a questo livello adesso. Ma ve ne parlerò un altro giorno.
Un coro allegro risuona per tutto il giardino della scuola “MAMMA!”. Il mio cuore si riempie di gioia!
- Lo sai che… - Partono i commenti a raffica. Le abbraccio forte e le bacio.
- Mi raccontate tutto strada facendo, ci sono dei bellissimi regali per voi in valigia, ma alt, dobbiamo tornare a casa!
- Andiamo con la metro? – Le loro facce si illuminano. Conoscono a memoria tutte le fermate metro. Tiro fuori la tessera.
- Giulia dammi la mano, Marta tu tieni la mano vicino la valigia.
Ed eccole, pronte a riempirmi la testa con tutte le loro idee sul mondo. Se potessi tornare bambina.
- Dopo ci fermiamo, prendiamo un gelato, e facciamo un po’ di spesa.

Ultimo messaggio a mio marito:
Nane a rapporto, in metro non prenderà.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Odore di casa ***


- Scendiamo a Flaminio, facciamo un giro a villa Borghese. È la prossima forza!
Non potrò mai dimenticare il loro sguardo triste ogni volta che dico che siamo arrivate.
Uscimmo dalla metro, mi cambiai le scarpe e salimmo la scalinata verso il Pincio, un po’ affannata visto che avevo sempre la valigia dietro. Le portai vicino alle giostrine, diedi loro qualche spiccio, mentre io seduta le guardavo e cercavo di riposare un po’ le gambe. Ne approfittai per acchiappare qualche Pokemon. Dicono che ci sia Snorlax nelle vicinanze.
- Mamma, ma stanno girando un film? Sono quelli della “Wannen Bos”? – Sguardo stupefatto di mia figlia Giulia. Risi.
- Amore non lo so, possiamo controllare! – Ci avvicinammo alle riprese, non erano loro.
Giravano un film comico, credo. C’era Fabio De Luigi. Presi le bambine e passai davanti alle riprese, dietro agli attori, come se fossimo delle comparse.
- Mamma ma siamo state in tv! – Non potevano crederci. Giulia era emozionata, Marta mi guarda e scoppia a ridere. A volte basta poco per rendere felice qualcuno…
- Speriamo non taglino la scena, lo scopriremo l’anno prossimo! – Sospirai “La taglieranno!”
Un ghiacciolo alla menta, uno al limone e uno alla fragola, un selfie vicino al laghetto, e uscimmo verso la direzione di casa. I miei piedi erano stanchi, per fortuna il supermercato era sotto casa.
- Tessera? – Mi chiese la cassiera.
- Oh sì, aprii il portamonete. – Provo un certo imbarazzo quando non riesco a trovare la tessera in meno di cinque secondi.
Pagai la spesa. Finalmente ero davanti casa. Aprii il portone, ascensore, ultimo piano.
Infilo la chiave nella toppa della serratura, una sola mandata.
- Alberto sei a casa? – Chiesi spaventata.
- Si, sono in bagno! – No, lui non è incinto, tranquilli.
- Piccole, a scuola come è andata? – Era sorridente.
Io portai la valigia in stanza, mi tolsi le scarpe. Mi sedetti sul letto. Sul comodino la foto di una nostra vacanza a Cortina, la presi in mano. Sorrisi.
- Avete i compiti da fare? – Chiese Alberto, mentre sentivo i suoi passi stava per raggiungermi in stanza.
- Solo un esercizio di Mate io! – Disse Marta.
- Io niente, guardo la tv! -  Appuntamento fisso con Disney Channel per Giulia.
- Toglietevi le scarpe ha detto mamma! – Alberto mi guardava immobile sul ciglio della stanza.
- Ciao. – Mi guardò e sorrise. – Il viaggio è andato bene? – Si sedette vicino a me sul bordo del letto.
- Ciao. – Replicai, con lo sguardo basso – Molto bene, grazie. Sono stanca, mi faccio una doccia. – Lo guardai con un mezzo sorriso. – Cosa c’è per cena?
- Spaghetti con i gamberi e pomodoro e dell’ottimo vino bianco. Sei bella quando sei stanca.
- Grazie. Anche tu non sei male, non ti avrei sposato altrimenti. – Mi tolsi la collana, e la poggiai sul comodino.
- Se vuoi, visto che devi spogliarti per entrare in doccia, ci penso io… - Mise una mano sul seno e me lo strizzò. Gliela tolsi.
- Sono stanca, vado a farmi la doccia. – Non lo guardai, ma non perché non ne avessi il coraggio. Non mi andava.
Lui uscì dalla stanza, capì la mia stanchezza fisica, ma quella interiore, quella che avevo accumulato dopo tutti questi anni insieme, no.

Lentamente tiravo fuori tutto dalla valigia, appoggiai i panni puliti in armadio, misi in lavatrice i panni da lavare e l’azionai. IO LE LAVATRICI SO FARLE. Mi spogliai davanti allo specchio, facendo attenzione ad ogni singola parte del mio corpo. Sfilai lentamente le mutande, e le raccolsi. Mentre mi guardo mi accorgo di un leggero dettaglio: due graffi leggeri sul fianco, al terzo uomo piaceva scoparmi così.
Mi infilai ciabatte ed accappatoio. Entrai in bagno. Mi sedetti cinque minuti sul water, il bagno di casa è stimolante, mentre tentavo di superare l’ultimo livello di Candy Crush Saga. Musica di sottofondo e doccia. Mi piace cantarci sotto. La doccia è veloce, raccolgo i capelli nell’asciugamano, crema per il corpo, una veloce serie di smorfie davanti allo specchio, e poi lui eccolo, il punto nero che si posa sempre sul mio mento. Premo per toglierlo, ma la mia pelle troppo delicata decide di farlo diventare rosso come un pomodoro. Asciugo i capelli, in bagno solo odore di balsamo al cocco. Poi la mia classica lingerie nera, un pantaloncino e la maglia degli Iron Maiden. Raggiungo le mie figlie in salone sul divano, mi piacciono i cartoni animati.

- È pronto! Metti su Rai 1 che c’è il telegiornale. – Alberto alza la voce.
Spengo la tv in salone, accendo quella in cucina e aspetto Marta e Giulia che, dopo aver lasciato lo zaino vicino la porta di casa, pronto per il giorno dopo, corrono a lavarsi le mani. Trasmetto il mio amore attraverso l’educazione, molti dicono sia una cosa “singolare”.
In cucina il profumo dei gamberi; la cena scorre veloce, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino. Tutti mi chiedono di Venezia, io in realtà di Venezia ho visto solo il tribunale, piazza San Marco e alcuni cazzi veneziani, che non sono male.
- Aspettatemi un attimo! -  Corro in stanza da letto e prendo dalla valigia i regali - Da piazza San Marco ho preso queste per voi! – Due piccole maschere per Marta e Giulia.
- E per me? – Alberto era curioso.
- Non c’è nulla per te. – Ridemmo tutti quanti.
La cena finì molto serenamente, le bambine erano così contente delle maschere!
Le portai a letto, mentre Alberto faceva i piatti. Un bacio, una carezza, le loro coccole, il loro profumo. Inebriante. Arrivai in soggiorno, cambiai canale in tv.
Presi del Gin dalla vetrina dei liquori, un bicchiere, lo portai sul tavolo vicino al divano. Mi sedetti.
- Da quando bevi di sera? – Lo sguardo di Alberto posato sulla bottiglia di Gin.
-  Da quando ho scoperto che l’alcol fa più effetto di un sonnifero. – Risposi.
Prese anche lui un bicchiere, si mise dall’altro lato del divano.
- Domani è sabato, vogliamo fare qualcosa?
- Decidi tu. – Sorseggiavo lentamente.
- Ti va di fare l’amore adesso? – Mi tolse il bicchiere dalle mani.
- No. – Secco e deciso. Posò il bicchiere sul tavolo e si alzò di scatto. Non si girò nemmeno a guardarmi.
- Buonanotte Anna.
- Buonanotte Alberto.
Riaccesi la tv e mi addormentai sul divano. Una notifica di Instagram mi svegliò alle 3.20 di notte. Andai in stanza da letto, mi misi a dormire di nuovo, tra il freddo delle lenzuola pulite.


Ciao a tutti, cari lettori e lettrici! Purtroppo riprenderò la storia a Gennaio per motivi di studio e soprattutto personali. Non mi farò attendere, sono pronti già altri capitoli per voi, ma ho bisogno di staccare un attimo per adesso. Grazie a tutti, Stella

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3594637