Ricordi di Severus Piton

di lovegood_30
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capelli color fuoco e occhi verde giada ***
Capitolo 3: *** Finalmente...Hogwarts ***
Capitolo 4: *** Sicuro di me ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era una triste giornata di ottobre. Le nuvole grige inondavano il cielo, e del sole rimaneva solo un pallido ricordo. La neve ricopriva interamente la cittadina di Godric's Hollow, tingendo di bianco i tetti e le strade. Passai davanti ad un parco dove dei bambini si rincorrevano e giocavano rumorosamente, felici di quel regalo prematuro concessogli dal cielo. Svoltai l'angolo e difronte a me si presentò una piccola chiesetta gialla, molto semplice, quasi anonima, che si confondeva con le altre abitazioni della cittadina. Aprii il cancelletto arrugginito e mi incamminai lungo una stradina lastricata di mattoncini rossi, che conduceva sul retro di quella spoglia chiesetta. Dietro di essa si trovava un altrettanto spartano cimitero, dove spuntavano tra la neve diverse lapidi, grige come il cielo di quel 31 ottobre. Mi inoltrai in quel giardino di morte, dirigendomi verso la lapide che conoscevo meglio. Mi fermai e contemplai quel freddo marmo come se lei mi fosse di nuovo davanti. Chiusi gli occhi e rievocai nella mia mente il suo viso, che nonostante gli anni era comunque nitido, impresso nella mia memoria come un tratto indelebile. Rividi i suoi capelli rosso fuoco, le sue labbra sottili e le sue piccole efelidi che punteggiavano delicatamente il piccolo naso. E poi per ultimo, non so perché, rividi i suoi occhi, di un verde più intenso della foresta piú rigogliosa, ed una fitta di dolore mi lacerò lo stomaco, togliendomi il respiro. Perché sapevo che era solo colpa mia se quegli occhi non si sarebbero aperti mai più ed il mondo era stato privato della bellisima vista che era il suo sorriso. Mi inginocchiai difronte a lei, perché le gambe non riuscivano piú a sostenermi e, con la punta delle dita, sfiorai il suo nome. Cercai di ignorare il cognome affianco ad esso e con la maggiore cautela possibile, quasi stessi maneggiando una bomba, presi il mazzo di gigli che avevo nascosto nel mantello e lo adagiai ai piedi della lapide. «Lily» sussurrai e di nuovo, come succedeva ogni anno ormai, mi ritrovai a rievocare tutti i più importanti momenti della mia vita insieme a lei, quasi fosse un modo per onorarla e per mantenerla viva dentro di me.

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Capitolo 2
*** Capelli color fuoco e occhi verde giada ***


Correvo verso il parco veloce come il vento, mentre lacrime amare mi solcavano il viso e mi appannavano la vista. Nella testa rimbombavano ancora le urla dei miei genitori che avevo sorpreso in una litigata più violenta del solito. «Cosa ci fai qui? Sparisci e non farti rivedere fino a stasera se non vuoi fare una brutta fine!» mi aveva intimato mio padre, e non me l' ero fatto ripetere due volte, visto che sapevo che poteva diventare molto violento quando voleva. Nonostante non fosse la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, non ero riuscito a non piangere, forse perché speravo sempre che i miei genitori si pentissero e si scusassero con me per come mi avevano trattato, e poi avremmo potuto vivere come una bella famiglia felice, ma ogni volta la realtà mi ributtava a terra con la pesantezza di un macigno. Come meta avevo scelto un vecchio parco, luogo che era diventato per me un vero e proprio rifugio. Chiamarlo parco era un'esagerazione, si trattava infatti di un piccolo prato ingiallito in una zona non molto frequentata della cittadina, dove spiccavano uno scivolo di legno scolorito, che un tempo era ricoperto di tonalità vivaci, un paio di altalene arruginite e dei copertoni messi in fila l'uno dopo l'altro. Di solito gli altri bambini lo evitavano perché le loro madri glielo proibivano e poi c'erano molti altri parchi con giostre più nuove e invitanti di quei ferri vecchi. Per questo fui sorpreso quando scoprii di non essere solo. Lì infatti c'erano due bambine che si dondolavano mollamente sull'altalena, accompagnate dal cigolio delle giunture arrugginite. La prima si alzò di bottò e disse: «Andiamo Lily, mi annoio! Voglio tornare a casa» «Ti prego Tunia rimaniamo ancora un po'» «Ma qui non c'è niente da fare!» «Solo qualche minuto, mi piace questo posto» La bambina allora si risedette sull'altalena sbuffando ed esclamò«E va bene!» I miei occhi studiarono attentamente le due sconosciute, ma si soffermarono di più sulla seconda, quella che sembrava condividere con me il fascino per quel parco abbandonato e fatiscente. Doveva avere all' incirca la mia età nonostante fosse minuta, al contrario dell'altra che era una splilungona. Le bambine probabilmente erano sorelle, ma non si somigliavano per niente. Lily, da quanto avevo capito dalla conversazione era quello il suo nome, aveva una lunga matassa di capelli rosso fuoco, raccolti in una treccia disordinata e due occhi verde giada che da subito catturano il mio interesse. Erano grandi e mi ricordavano le foreste incontaminate e rigogliose che ritrovavo solo nei miei sogni. Il viso era punteggiato da tante piccole efelidi, concentrate maggiormente sul suo piccolo e proporzionato nasino. La sorella invece aveva dei boccoli biondi che ricadevano ordinati sulle spalle, lineamenti spigolosi e una strana dentatura cavallina, in perfetta contrapposizione con i denti perfetti di Lily. Sarei potuto restare lì a guardarla per ore notando ogni volta un particolare diverso, come le fossette che aveva sul viso quando sorrideva e il luccichio dei suoi occhi. Ma, dopo qualche minuto le bambine si alzarono e si incamminarono sulla via di casa, lasciandomi deluso, perché avrei voluto continuare a guardare quegli splendidi occhi verde giada. Nei giorni seguenti tornai al parco nella speranza di rincontrare quelle due bambine, ma non si ripresentarono più e quindi persi la speranza. I miei pensieri però ogni tanto tornavano a quella bambina dai capelli rosso fuoco e gli occhi giada che tanto mi aveva affascinato. Erano passate due settimane da quell'incontro ed io girovagavo senza nulla da fare. All' improvviso pensai di andare al parco per distendermi un po' sotto l'ombra di una grande quercia lì vicino e mi avviai tutto contento immaginando il bel pomeriggio che mi attendeva. Stare solo non era mai stato un problema per me. Gli altri bambini mi evitavano sia per la fama della mia famiglia, sia per il mio aspetto da straccione, ma la cosa non mi aveva mai pesato più di tanto. Per me non c'era nulla di meglio di un bel pomeriggio tranquillo trascorso con il naso all' aria ad osservare le nuvole. Qualche volta riuscivo addirittura a sgraffignare qualche libro consunto dalla vecchia libreria che mio padre aveva nel suo studio e allora era una festa per me perché amavo leggere. Avevo appena imboccato il sentiero per il parco quando mi accorsi di una figura seduta su una delle due altalene. «Ciao» mi disse. Io rimasi pietrificato, di solito nessuno mi rivolgeva la parola. Lei però non si scoraggiò di fronte al mio silenzio e mi tese la mano. «Io mi chiamo Lily e tu?» «S-Severus» risposi a bassa voce afferrando la sua manina candida. «Che c'è il gatto ti ha mangiato la lingua?» «N-No è che d-di s-solito la gente non p-parla con me» «E perché?» «Non lo so» le risposi scrollando le spalle. «E non hai amici?» Scuotei la testa. Il suo sconcerto era così sincero che non potei fare a meno di sorriderle. «Se vuoi posso essere io tua amica» disse lei convinta. «Davvero?» «Certo!» Poi mi afferro di nuovo la mano e mi disse con quell' innocenza infantile e quella sicurezza che si hanno solo a quell' età «Saremo amici per sempre»

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Capitolo 3
*** Finalmente...Hogwarts ***


Vagavo invano per il treno da circa un'ora e ancora di Lily non c'era traccia. Appena arrivato al binario l'avevo cercata con lo sguardo, ma senza successo, e allora ero salito pensando che si fosse già sistemata in uno scompartimento. Purtroppo però, avevo perlustrato ogni centimetro dell' Hogwarts Express senza trovarla e cominciavo a preoccuparmi. Il sospetto che i genitori e la sorella babbana non l'avessero fatta partire mi assillava e già cominciavo a pensare di aver perso la mia unica amica. Mi affacciai all'ennesimo vagone, nella speranza di scorgere una traccia dei suoi capelli vermigli, o dei suoi occhi smerardo, ma ancora una volta rimasi deluso. Decisi allora di cercare un posto a sedere, anche se a quell' ora il treno doveva essere già tutto occupato. Vagai ancora un po', finché non avvistai uno dei pochi scompartimenti con qualche posto libero rimasti. Mi ci buttai dentro, con la paura che qualcun'altro lo adocchiasse e senza volerlo inciampai sulla soglia della porta. Sentii una risata provenire dall' interno e mi girai per vedere da dove provenisse. Seduto di fronte a me c'era un ragazzo della mia età, anche lui con i capelli neri come la pece, sparati da tutte le parti. Aveva due occhi vispi e vivaci di un caldo color nocciola nascosti dietro due lenti rotonde, e dalla sua bocca, ancora piegata in sú per la recente risata, si intravedevano una sfilza di denti bianchi. «Attento amico!» mi disse. Non so cosa mi diede più fastidio di lui. Forse il fatto che avesse riso di me o perché aveva quell'aria da bambino viziato e curato che io non avevo mai avuto e che di certo non avrei avuto mai, ma gli risposi con astio: «Non chiamarmi amico» Il suo sorriso si tramutò in una smorfia infastidita a causa del mio tono antipatico, ed era proprio sul punto di ribattere quando una voce mi chiamò dal fondo dello scompartimento. Mi voltai e una sensazione di sollievo mi invase. Appoggiata al finestrino, con gli occhi velati di lacrime, c'era Lily Evans, che mi guardava. «Lily ma dove ti eri cacciata?»le chiesi, dimenticandomi completamente del ragazzo. Lei si asciugò gli occhi con il dorso della mano e mi rispose alzando le spalle: «Sono sempre stata qui» Detto questo mi fece segno di sedere affianco a lei e mi raccontò il perché delle sue lacrime. In poche parole sua sorella aveva fatto l'ennesima scenata, accusandola di essere un mosto e uno scherzo della natura, e lei non aveva retto a quegli insulti ed era corsa a rifugiarsi sul treno. Io cercai di consolarla dicendole di non badare a quella babbana invidiosa, ma di rallegrarsi perché finalmente stavamo arrivando ad Hogwarts, il luogo sul quale avevamo fantasticato per mesi. All'improvviso proprio a conferma delle mie parole apparve fuori dal finestrino il maestoso profilo del castello. Tutti gli occupanti dello scompartimento alzarono gli occhi e abbandonarono le loro conversazioni per osservare quella meraviglia. Io non avevo mai visto nulla del genere, e non riuscivo a capacitarmi delle proporzioni di quell' enorme e millenaria costruzione. Nonostante di Hogwarts sapessi ben poco, appena vidi il castello ebbi la sensazione di essere a casa. Qualche volta ero riuscito a estorcere a mia madre qualche dettaglio, aiutato da uno o due bicchierini di sherry, ma niente di più. Eppure era come se fossi connesso con quel luogo e sentivo di conoscere ad una ad una quelle torri e quelle guglie che stagliavano nel cielo notturno. Poco dopo fu per noi ora di scendere dal treno e ad accoglierci, dotato di un sorriso lungo da un' orecchio all'altro, c'era un omone con una folta barba bruna che si presentò come Hagrid. Ci condusse tutti verso un piccolo molo, dove ci divise in gruppi di sei, dicendoci di salire su delle barche strette e lunghe, simili a gondole. Ci spiegò inoltre che, essendo del primo anno, avremo attraversato il Lago Nero per recarci al castello e che avremmo goduto di una vista mozzafiato. La vista si rivelò, come aveva detto il gigante, bellissima, ma nessuno ci le dedicò la dovuta attenzione visto che eravamo tutti presi dall'imminente Smistamento. Alcuni, come Lily, non vedevano l'ora che cominciasse, mentre la maggior parte, me compreso, avevano solo una gran paura. Uno dei più spavaldi era proprio quel ragazzo dagli occhi nocciola che avevo incontrato sul treno e che, da quello che avevo capito, si chiamava James Potter. Costui non faceva altro che vantarsi del fatto che sarebbe stato sicuramente smistato in Grifondoro come tutta la sua famiglia prima di lui. In ogni caso la cerimonia giunse in fretta e mi ritrovai, senza rendermene conto, in fila, in attesa che il cappello parlante mi sbirciasse dentro e decidesse il mio futuro. Uno dei primi ragazzi ad essere smistati fu un certo Sirius Black, che andò a Grifondoro, seguito da altre due ragazze che capitarono a Corvonero. La fila scorreva, seppure lentamente, e infine si arrivò alla lettera E. Io sgusciai fuori dal turbinio dei miei pensieri per vedere la mia migliore amica sedersi sullo sgabello di legno e attendere che le venisse posato il Cappello Parlante sulla testa. Attesi impaziente e dopo pochi ed interminabili secondi il Cappello esclamò squillante. «Grifondoro» La seguii con lo sguardo mentre si dirigeva al tavolo rosso-oro, acclamata a gran voce dai suoi nuovi compagni di casa. Quando arrivò il mio turno avevo le mani sudate e le gambe tremolanti, mi sembrava di vivere un'esperienza extracorporea. Vidi le mie gambe muoversi e salire quei pochi gradini che mi separavano dal mio futuro ad Hogwarts, ma era come se fosse stato un altro ad ordinare quel gesto. Rispetto a Lily, il cappello parlante impiegò diversi minuti per collocarmi. Sentivo nella mia testa il flusso dei suoi pensieri, ma non ebbi il coraggio di interromperlo, e rimasi a fissarmi i piedi per tutto il tempo. Quando questi esclamó:«Serpeverde» il mondo mi crollò addosso. Da lontano vedevo Lily che mi sorrideva gioiosa, ma io non riuscivo a ricambiare il gesto, e quindi mi voltai per evitare il suo sguardo. Per tutta la cena, non toccai quasi nulla, ne tantomeno rivolsi una parola agli altri primini che, superata la timidezza, cominciavano a fare conoscenza fra loro. Finito il pasto mi avviai al seguito del prefetto di Serpeverde verso i dormitori, ma prima di imboccare le scale fui bloccato da una bambina che mi si parò davanti. «Cosa vuoi Lily?» le chiesi più bruscamente di quanto avrei voluto. Vidi una piccola ruga disegnarsi fra le sue sopracciglia e il suo sguardo inquisitorio inchiodarmi al suolo. Poi, tutto ad un tratto, mi abbracciò davanti a tutti come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi sorrise e si mise in coda agli altri grifondoro, scomparendo dietro un muro di pietra. In tutto questo io ero rimasto immobile e credo che sarei rimasto lì tutta la notte se non fosse stato per un altro ragazzo che, molto gentilmente, mi disse: «Allora ti muovi o no?» Quella notte mi sentii meglio e potei dormire sogni tranquilli. Con quell' abbraccio Lily mi aveva fatto una promessa, cioé che nonostante tutto, la nostra amicizia non si sarebbe mai scalfita, ma solo rafforzata. E, pensando al mio futuro ad Hogwarts, mi sentii felice come non lo ero mai stato.

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Capitolo 4
*** Sicuro di me ***


Mi infilai in un'aula vuota e tirai un sospiro di sollievo. Per questa volta l'avevo scampata. Tutto era iniziato un bel giorno, durante l'ora di pozioni, che avevo scoperto essere la mia materia preferita insieme a Difesa contro le Arti Oscure, oltre a quella in cui riuscivo meglio. Il professor Lumacorno si era messo a lodarmi, con le sue solite maniere pompose, dicendo che avevo sicuramente un futuro come pozionista. All'inizio mi ero sentito lusingato per questi elogi, non essendo abituato a ricevere complimenti, ma poi due miei compagni avevano cominciato a prendermi in giro e a chiamarmi "cocco del prof". I ragazzi in questione erano il famoso James Potter, che cominciavo a detestare, e quello che era diventato il suo compare, Sirius Black, rampollo di una delle famiglie purosangue più  celebri ed importanti del mondo magico. Lily mi aveva detto di non curarmi di loro, perché erano solo invidiosi dei miei risultati scolastici, ma poi erano iniziate le battutine sul mio naso, sui miei capelli, sulla mia andatura e su tutto quello che mi riguardava. Io non riuscivo a trovare il coraggio di ribattere e per questo mi limitavo ad abbassare gli occhi e a evitarli il più possibile, al contrario di Lily, che mi difendeva con ardore. Quando lo faceva i suoi occhi verdi scintillavano di una luce che non avevo mai visto aleggiare in quelle iridi e il suo naso si arricciava in una maniera che, se non avesse avuto quello sguardo, avrei trovato persino buffa. Ed infine, proprio a conferirle l'aspetto di una divinità guerriera, c'erano i suoi capelli rossi, che le ricadevano disordinati sulle spalle. Non riuscivo a non ammirarla in quei momenti, e avevo notato che anche i miei aggressori la fissavano intimoriti per qualche secondo, prima di indossare nuovamente la loro maschera di strafottenza. Però, nonostante le fossi molto grato per questo, in realtà non faceva altro che peggiorare la situazione, visto che stavano iniziando a prendere di mira anche lei. Finché si erano limitati alle semplici battutine la situazione era stata sostenibile, ma adesso i loro scherzi iniziavano ad essere più pesanti, e non era raro trovarmi appeso al soffitto dell' aula alla fine delle lezioni, in attesa che qualcuno mi tirasse giù. Solevano anche rincorrermi nei corridoi gridando «Mocciosus, Mocciosus!» che era il nuovo soprannome che mi avevano affibbiato. In questi casi Lily si arrabbiava a tal punto da diventare rossa come un bel pomodoro maturo, e toccava a me ricordarle che la cosa migliore da fare era mostrare indifferenza. «Devi mandare un gufo ai tuoi genitori, o parlare con la McGranitt. Non si può continuare così, Sev» mi aveva detto lei la sera prima, ma io avevo scosso la testa perché entrambe le opzioni mi sembravano impraticabili. Tremavo al solo pensiero della reazione di mio padre alla vista di un gufo planare nel suo studio mentre fumava la pipa, e anche parlare con la vicepresidente sarebbe stato inutile, visto che li avrebbe sicuramente puniti entrambi alimentando il loro odio nei miei confronti. Cosa mi restava da fare quindi oltre che subire in silenzio? Infondo era quello che avevo fatto per tutta la vita, solo che questa volta al posto dei miei genitori c'erano James Potter e Sirius Black. Ad accompagnare questo pensiero ci fu una fitta di dolore che mi colpì lo stomaco. «No» dissi. Non avrei permesso a quei due idioti di rovinarmi la vita, avevo sofferto abbastanza. "Che mi appendessero pure" pensai "finché ci sarà Lily al mio fianco, non avrò paura di loro". E detto questo mi alzai e uscii la porta dell'aula dove mi ero barricato, sentendomi per una volta sicuro di me.

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