3 The Exorcist - Il colore del tradimento

di Sarah M Gloomy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***



Capitolo 1
*** 1 ***






Siamo otto esorcisti. Per un qualche motivo sconosciuto ci siamo reincarnati dopo che mia sorella,
nel 1400, tradì e rivelò il nostro ordine. Dopo secoli in cui fui creduta la vera traditrice,
sono rientrata nelle grazie della mia famiglia e l’ho aiutata a proteggere la città.
Ci siamo ritrovati e, ancora spossati dall’ultimo scontro, compare un altro fantasma
del nostro passato. Credo di essere l’unica del gruppo a vedere il fatto divertente
in cui degli esorcisti ricevono la visita di qualcuno che dovrebbe essere morto.

 
 
 
  
 
 
1
 
 
 
          Julia sta ansimando, reggendosi il fianco. Philippe è indeciso se incamminarsi verso il nostro vecchio mentore, ma non sono l’unica ad essere perplessa. Chase allunga una mano, per fermare chiunque avesse pensato di muoversi. Di risposta, il sorriso di Johannes si fa più sincero e si incammina di qualche altro passo.
   «Se si avvicina troppo, preparatevi ad attaccare.» Replica Chase, serio.
A dir tanto mi riesco ad alzare in piedi, figuriamoci se pure mi metto ad attaccare qualcuno! L’uomo è identico al nostro mentore. Riconosco le fossette sulle guance, le rughe intorno agli occhi e quello sguardo penetrante, di una durezza infinita. Il mento volitivo e la fronte spaziosa, indice di un uomo di grande intelletto. L’unica differenza, in effetti, sono in capelli, acconciati corti, come un uomo di quest’epoca. Sì, pure i jeans e la giacca aperta da cui sbuca la camicia azzurra fa molto anti Medioevo.
   «Ho letto molto di voi.» Si ferma poco prima che noi possiamo dichiararci in pericolo e lo attacchiamo. Si ferma a due metri da Robert, ancora steso a terra. Incrocio il suo sguardo confuso quando, come me, si chiede chi sia l’uomo davanti.
Siamo otto esorcisti. Per un qualche motivo sconosciuto ci siamo reincarnati dopo che mia sorella, nel 1400, tradì e rivelò il nostro Ordine. Dopo secoli in cui fui creduta la vera traditrice, sono rientrata nelle grazie della mia famiglia e l’ho aiutata a proteggere la città. Ci siamo ritrovati e, ancora spossati dall’ultimo scontro, compare un altro fantasma del nostro passato. Credo di essere l’unica del gruppo a vedere il fatto divertente in cui degli esorcisti ricevono la visita di qualcuno che dovrebbe essere morto.
Johannes apre le mani, in segno benevolo. «Spero non mi vogliate attaccare.»
   «Stiamo valutando.»
L’uomo ride. Johannes ride? Strano. Ero sempre stata convinta che fosse incapace di qualsiasi atto umano. Di certo, io non l’avevo mai visto mangiare. «Sì, vi capisco. Io so tutto di voi ma, all’opposto, io sono quasi un nemico. Mi chiamo Marco Watson. Mi mette un po’ a disagio che abbiate tutti le mani alzate.»
Non mi sono accorta di aver alzato la mano e, specularmente, anche gli altri. Tutti pronti per il primo esorcismo. Quando si dice aver fiducia nel prossimo.
Chase è l’ultimo a ubbidire alla richiesta, avvicinandosi all’uomo che ha tutto l’aspetto di Johannes, sospettoso. «Ha detto di chiamarsi Marco Watson?»
   «Esatto. E voi dovreste essere gli esorcisti. Ho letto di voi sul diario di un mio antenato.» Con due dita scosta la giacca, mostrando un libricino che fuoriesce dal taschino. Infila, sempre con molta calma, la mano dentro la giacca ed estrae quello che, inconfondibilmente, è il vecchio diario di Johannes. Tutti noi lo abbiamo visto. Lo tirava fuori ogni volta che dovevamo fare un qualche esorcismo. Poteva vedere molto limitatamente gli spiriti, e non aveva nessun tipo di potere da esorcista. Era del tutto umano, ma non per questo meno affidabile. In quel diario c’era scritto tutto quello che si poteva sapere su di noi. E non sapevamo se quel uomo l’avrebbe usata come arma contro di noi.
   «Come ha avuto il diario?»
   «L’ho trovato in un vecchio scrittoio, appartenente alla mia famiglia da secoli. Credo che voi abbiate conosciuto un mio pro-pro …prozio, un certo Johannes.»
Warren si muove a disagio, guardando quel libricino. Un po’ tutti ci chiedevamo cosa mai potesse aver scritto Johannes su di noi. Marco intuisce il nostro sospetto. Porge il diario a Robert, il più vicino, ancora intento a capire come ci si mette a sedere. Con un gemito prende il diario, alzandosi in piedi per porgerlo a Chase. Il nostro capo è parecchio perplesso. Lo vedo sollevare le sopracciglia, accigliato, sfogliando le pagine. «Chi ha fatto questi ritratti?»
   «Non so. Quando è stato scritto il diario io dovevo ancora nascere.» Abbozza un altro sorriso. Che persona spiritosa. Noi quando abbiamo visto il libro, avevamo addirittura un altro aspetto!
I miei occhi sono concentrati in quelle pagine giallognole che Chase regge tra le mani. Sta fissando un ritratto e io guardo il mio aspetto passato. So che sono io perché il disegno è molto simile al quadro che ha nonna appeso nella sua casa. E da reminiscenze passate, so che Lartia aveva folti capelli rossi e ricci, mentre Sura lunghi ma di un biondo sporco. Sì, sono inconfondibilmente io.
Alzo lo sguardo e Chase mi sta fissando. Come fa Marco a conoscerci? Non lo so. Come fa a sapere che siamo quelle reincarnazioni? Non so neppure quello. E perché ha visto attraverso la nostra nuova forma?
Il nuovo arrivato, Marco, interviene. «Immagino che non vi fidiate di me. È del tutto plausibile. Sono un perfetto sconosciuto. Se qualcuno venisse da me con un vecchio diario …»
Chase allunga la mano, restituendo quel libricino. È troppo impulsivo, a volte. L’essersi trovato faccia a faccia con quel uomo lo rende nervoso. Lo vedo dallo sguardo irritato, dalla postura del tutto simile a quella che aveva il suo io passato, Titus, quando era costretto a eseguire un ordine. Voglio prendere il diario, vedere che cosa nasconde. Ci sono troppi misteri sepolti intorno alla nostra rinascita, troppi fantasmi da portare alla luce per gettare quel passato dalla finestra. Marco sorride amabilmente. La voce di Chase è tagliente come le nostre catene. «In verità non è il diario che ci crea problemi.»
Sbatte gli occhi. Non riesco a distogliere lo sguardo dal libricino, neppure quando l’uomo lo prende e lo nasconde dentro alla giacca. Sono legata da un filo invisibile a quei ritratti. «Ah, no?»
Warren si sposta lentamente, in modo da trovarsi alle spalle di Chase. Io mi alzo in piedi, imprecazioni libere nella testa, allungando la mano e stringendo il polso esile di Robert. Dietro di me. È l’unica cosa che penso quando faccio scudo con il mio corpo. Stupidamente, una parte della mia mente ritiene ancora che Robert sia il piccolo Oppius.
   «Come fa a sapere che conoscevamo Johannes?»
Julia corruccia la fronte, Eliza accarezza distrattamente il sacchetto di panini che stringe con una mano. Marco è tranquillo. «Capisco. Sì, non dovrei conoscervi. Però ho visto molti di quelli che il mio antenato definiva spiriti.» Si appoggia una mano al cuore, esattamente nel punto in cui tiene il diario. «Ho visto degli spiriti, in questa città, non più di un’ora fa. E … quell’essere. È stato straordinario il modo in cui lo avete …. Straordinario.»
   «Supposizioni, quindi.» Interviene Jamar, incrociando le braccia. Mi sorprendo il fatto che non sia intervenuto prima. I capelli sono arruffati dopo lo scontro, dandogli l’aria del teppista sexy che attira il gentil sesso. Il sorriso è leggermente inclinato, malvagio, gli occhi ridotti in due fessure. «In una città di milioni di abitanti, lei vede uno spirito, pure bello grosso, aspetta che l’aria si faccia meno densa … già che c’è meglio aspettare pure che qualcuno se ne sbarazzi …. E poi, come se niente fosse, viene qui, trova otto persone e deduce che possano essere esorcisti.»
   «No. Questo me lo avete appena detto voi.»
Alzo una mano, per bloccare la serie di imprecazioni che Jamar rivolterà contro. «Perché è venuto qui, allora?»
   «Come ho detto …»
   «Lei non ha detto nulla.» Lo interrompo, con voce più seria. Robert è alle mie spalle, tra me e Chase. Faccio un cenno alla testa agli altri, che si spostano senza tanto nascondere i movimenti, per avvicinarsi a Warren. «Basta giocare con le parole. Perché lei è venuto qui.»
Marco annuisce, concentrandosi su di me. Sedici anni, bassa, non particolarmente femminile, ho la certezza di avere pure un aspetto indecente. Mentre non correvo come una disperata per mezza città, mi ero impegnata a prenderle nel sedere con tutti gli spiriti che incontravo lungo il cammino. Di certo, avevamo l’aspetto meno minaccioso possibile. «Johannes ha parlato di voi. Ho sempre sospettato che ci fosse qualcos’altro in questo mondo, non prettamente visibile, quindi quando ho trovato il diario non ne sono rimasto sorpreso. Il mio antenato parlava di fantasmi, di spiriti e di Città che ne venivano dominate, della Chiesa e dell’Ordine degli Esorcisti. A quel punto, nel diario ci sono dei ritratti di questi otto esorcisti. Veniva accennato al fatto che, causa morte violenta …» Morte violenta che Johannes non ha cercato di fermare. «… questi esorcisti potessero rinascere. A tempo opportuno.»
   «Siamo europei.» Bisbiglia Chase. «E siamo rinati in America. Niente avrebbe fatto pensare che saremmo rinati qui.»
   «Come si chiama questa città?»
   «Lubris.» Sì, me la vedo proprio Julia non rispondere alle domande delle interrogazioni ma essere pronta per quelle di un perfetto sconosciuto.
Marco unisce le mani nel gesto di un applauso. O di una preghiera, visto, i nostri discorsi. «Lubris. Mai una città è stata più adatta per la vostra rinascita. Lu e Bris. L’unione del vostro essere, la complementarietà della vostra natura. Lux …» Indicò il cielo, cui un pallido sole stava facendo capolino tra le nubi. L’altra mano indicò l’asfalto. Avrei riso per la sua imitazione di Elvis Presley. No, non è il caso. «… e Tenebris.»
Ci sorride, portando le mani al petto in segno di preghiera. «Luce e tenebra. Quale migliore città per la vostra rinascita?»

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Capitolo 2
*** 2 ***


2
 
 
 
            Ci sono … non so, un miliardo di città al mondo? Ci sta? Ma con che botta di culo ci siamo reincarnati nell’unica che aveva al suo interno luce e tenebra in latino? Voglio dire, proprio ci siamo impegnati! Il che spigherebbe, però, il motivo per cui ho sempre odiato il nome della mia città. Chiaro. Ovviamente a livello inconscio avevo già compreso la fregatura.
Abbiamo lasciato Marco davanti alla scuola, con la promessa di metterci in contatto con lui appena la situazione ci fosse stata più chiara. Immagino avesse un vago sospetto che io fossi l’esorcista della menzogna, perché l’ultima volta che l’ho guardato non era molto fiducioso nei miei confronti.
Interessante anche la conversazione tra Warren e Chase, in cui il primo, senza tanti giri di parole, ha mostrato la pistola al secondo, chiedendo se poteva usala contro Marco. Così, a sangue freddo. Non che mi fidassi di questo fantomatico pro-pro che so io nipote, ma un colpo di pistola alle spalle non mi sembrava consono alla nostra natura. Né la risposta ambigua di Chase, «Non ora», era molto confortante. Forse qualche volta anche noi non siamo proprio buoni.
Sono tornata a casa, infilandomi nella doccia senza neppure passare per la mia stanza. Mamma è andata a prendere Edward. Meglio per me. Mi sfilo la maglia e poi i pantaloni. La collana, regalo di Chase per controllare gli esorcismi, è decisamente usurata al mio collo. Me la sfilo, sentendola solo come un pezzo di metallo. Benedizione finita, si ritorna a patire le pene dell’inferno.
Il metallo è bruciacchiato in più punti, passandoci sopra con il dito mi rimane attaccato il nero del carbone. Confortante pensare che io tutte quelle fiamme me le tengo dentro. Appoggio la collana sopra agli indumenti sporchi. Alla prima occasione vado in chiesa e immergo la collana nell’acqua benedetta. Dovrebbe portare allo stesso risultato. O, meglio, potrei darla a Chase e dirgli che la protezione è finita.
Mi sfilo le bende dalle gambe. Okay, ora sono preoccupata. Le ferite si stanno allegramente arrampicando sulle mie gambe, facendosi più aggressive e profonde. È chiaro che continuo a bruciare nel fuoco come nel mio passato. Meno chiaro è come, con quelle gambe, io non senta dolore. Muovo i piedi, storcendo il naso. Niente. Sono più preoccupata adesso della prima volta che mi sono svegliata nel sonno con i primi segni di ustione.
Sento la porta di casa che si apre, d’istinto mi infilo dentro la doccia. Porcamerda. Apro l’acqua, pensando che sarà un bel problema uscire dal bagno solo con l’accappatoio. Di certo noteranno due o tre cosette. Mi friziono i capelli, un pezzo di cemento cade sul piatto della doccia. Addirittura! Neppure un muratore ha così tanto feeling con il suo lavoro. Strofino con forza, togliendo tutta la giornata. Ormai so a mie spese che per quanto io cerca di togliermi dalla pelle la sfortuna, questa si è insinuata nella mia vita.
Chiudo l’acqua, i capelli gocciolanti davanti agli occhi. Quanto è passato da quando credevo di essere una semplice sedicenne? Solo un mese fa vivevo la mia vita, correvo a scuola e, seppur limitata, avevo una vita sociale. Adesso sono rinchiusa in un mondo fatto di esorcismi e fantasmi. A sfondo della questione, rimane il mistero di quel Marco. Non ho percepito menzogne, da lui, ma che probabilità abbiamo di incontrare un erede di Johannes nel ventunesimo secolo? Qualcuno deve essersi impegnato parecchio per metterci tutti quanti vicini.
   «Tutto è tornato alla normalità.»
Scivolo un po’, appoggiandomi alla parete della doccia con gli occhi sbarrati. Sto iperventilando e un sacco di imprecazioni, molte delle quali insegnate da Jamar nell’ultimo giorno, mi vogliono uscire dalla bocca. Apro un po’ le porte scorgendo Lie, il mio vizio, seduto sul bidè. Brutto marmocchio spettrale! «Lie! È … imbarazzante farsi vedere nuda! Lo sai.»
   «Ti ho già vista nuda.» Brutto maleducato. Alza un sopracciglio, sedendosi meglio. Gli mancano un pacchetto di pop corn e poi siamo al cinema. «Non mi consideri così tanto umano da violare la tua intimità, quindi deduco che le tue ferite siano peggiorate. La croce benedetta ha smesso di fare effetto?»
Colpita e affondata. «Evitiamo di parlarne.»
Sospira. «Come vuoi. Ho parlato con Endive.»
Endive è il vizio di Philippe. Direi che è invidia allo stato puro, ma ho così tanto feeling con quello spettro che cerco di pensare a lei il meno possibile. Solo vedendola, a metà tra donna e serpente, ho ringraziato per il fatto che Lie ha acquistato un corpo più umano. Nel passato, la maggior parte degli incubi infantili erano causati a causa sua. Non era piacevole neppure nel 1400 essere svegliati dalla copia del Nano Nero. Allungo la mano per prendere l’accappatoio. Lie si sistema meglio sul bidè, socchiudendo gli occhi e osservando le mie gambe. «Dice che ho una manifestazione strana.»
Prendo l’asciugamano dall’armadietto, tamponandomi le gambe. «Non sono avvezza a parlare delle vostre manifestazioni strane.»
   «Significa che ho un aspetto diverso.»
   «No, non mi dire! Neppure me n’ero accorta. Dovresti dire a Endive di prendersi degli occhiali. E potenti. Quella parte la so pure io.»
Lie sospira, alzando un sopracciglio. «Accantona l’ironia con me, Dalila. La manifestazione cui si riferiva Endive, in ogni modo, è di altro tipo.»
   «Cioè?»
   «Dovrò assentarmi per un po’ e parlare con qualcun altro di noi vizi.»
Il pensiero di Lie in mezzo ai vizi degli altri esorcisti mi mette a disagio. Lo so. In passato deve aver avuto altri incontri con loro. Non me l’ha mai detto, ma lo so. La parte più strana è appunto Lie che mi avvisa di questo. Annuisco. Mettere per voce tutti i pensieri mi richiede troppo sforzo. Ho corso per tutta la giornata, con gli altri abbiamo fatto più esorcisti di quanti i nostri corpi possano reggere, ho troppa fame, la Città degli Spiriti sembra essere stata domata e, non ultimo, l’incontro con Marco. Il mio cervello ha alzato bandiera bianca.
Apro la porta del bagno, controllando l’esterno. Vedo un ciuffo di Ed oltre la poltrona, la porta della stanza di mamma è chiusa. Uno, due. Scatto prima che qualcuno mi possa fermare, infilandomi nella stanza con un tonfo. Chiudo la porta, apro un cassetto e agguanto degli indumenti. Mi sono appena infilata i pantaloni della tuta quando mamma apre la porta della mia stanza, con il carico della biancheria della latrice. «Oh, scusa tesoro. Non sapevo che fossi in camera.»
Ho il volto paonazzo. Sono consapevole che me la sono cavata per pochissimo. Lie se ne sta appoggiato alla porta, apparentemente calmo. «Tua madre non mi vede.»
   «Non ti preoccupare.» Prendo gli indumenti dalle sue mani. «Grazie.»
   «Tuo fratello, però, sì.»
Riesco a reggere tutto solo perché mi ostino a non far vedere nulla. Mamma mi sorride e mi dice che tra poco mangiamo. Credo di annuire. Lei appoggia una mano sulla porta, Lie arretra di un passo, in modo da seguirla. «Niente, credevo che volessi saperlo.»
Oh, merda.
 
                                                             † † †
 
       Siamo seduti a tavola. Mi sono presa la bistecca più grande della padella e, con una pagnotta, mi sto facendo un maxi panino. Mamma sbarra gli occhi. «Hai parecchia fame.»
Appiattisco con una mano il pane. «Da morire.»
Edward mi fissa, prima di prendere la sua bistecca e di imitarmi. Vedo mamma sorridermi. Ogni volta che mio fratello decide di mangiare qualcosa di più dei dolcetti, è un passo avanti. Ormai è cresciuto per essere inseguito con una forchetta! La televisione sta trasmettendo il solito telegiornale. Si parla dello strano avvenimento del pomeriggio e degli edifici che sono stati colpiti da quel forte terremoto. Non è stato trovato l’epicentro, anche perché un ottavo livello non ha molto epicentro, quindi gli scienziati stanno facendo non so che cosa. Dire la verità, ovvero che si è avuto culo e per pure miracolo non si è diventati spezzatino per fantasmi, potrebbe creare un po’ di panico. E ora, passiamo alle notizie più importanti: un attore famoso si è lasciato con la sua ragazza.
Ingoio un boccone particolarmente ostico, ingurgitando un bicchiere di acqua. Fortunatamente mamma sta guardando la televisione. «Oh, in città c’è quel modello.»
Ha le guance rosse. Mi giro appena per scorgere il profilo di Philippe mentre si infila dentro un condominio. Tossisco l’acqua, facendola uscire perfino dal naso. Edward mi dà dei colpetti gentili sulla schiena. Ho dimenticato che mamma ha una cotta per quello che in realtà è l’esorcista dell’invidia. Osservo di sottecchi il condominio dove è entrato. Devo ricordarmi di fare attenzione. Philippe è nel centro del ciclone e i media seguono ogni sua mossa. Il che significa che se noi ci avviciniamo a lui anche solo per compiere la nostra missione, siamo belli che per televisione. Chissà se i fantasmi sono fotogenici.
Mi pulisco la bocca, appoggiando sul piatto gli avanzi. Ho così tanta fame, che quello che ho lasciato sono solo le croste del pane. Sono piena come un uovo.
Mamma distoglie lo sguardo, fissando il mio cellulare vicino al telefono. Sta suonando. Chiedo scusa e mi alzo. Lie è seduto sul divano, lontano dallo sguardo di mio fratello. Gli do una veloce occhiata, prima di prendere la chiamata. Non capisco il perché il detective Ridley mi voglia parlare.
   «Pronto.»
   «Ciao Ama, sono Ridley. Tutto bene?»
Giusto. L’avevo chiamato al pomeriggio. Dirgli per telefono, ma ora che ci penso anche solo parlargli, che a causa sua la città ha rischiato di essere distrutta è un po’ traumatico. Beh, forse non è la verità. A rigor di logica, per il solo fatto che io l’ho aiutato a risvegliarsi dal coma, sono anch’io colpevole. I fantasmi devono essere relegati in un mondo tutto loro. Sono riuscita a incasinare anche quella parte della mia vita.
Distrattamente mi avvicino al divano, allontanando dalle orecchie di mamma. «Sì, tutto bene. Tu?»
   «Non puoi parlare, giusto?»
   «Ti serve proprio l’esercizio? Okay. Aspetta che vado a prendere il quaderno.»
Sospira. «Adesso ricordo il perché eri l’indiziata migliore.»
Gli avrei riattaccato il telefono in faccia, se non fosse che in effetti oltre ad essere stata l’indiziata migliore ero pure la diretta colpevole.
Apro la porta della stanza, lasciandola aperta quel tanto da fare capire a Lie di seguirmi. Con riluttanza acconsente, fissando le spalle di Edward. Bisbiglio. «Ora posso parlare.»
   «Non mi ha spiegato il perché della chiamata, questo pomeriggio.»
   «Niente di che. C’erano un po’ di fantasmi in giro.»
   «Adesso è tutto sistemato?»
   «Sì.» Sono soddisfatta dal livello di conversazione. Così fiera di me che pure Ridley si accorge che qualcosa non va. «Mi stai mentendo.»
   «Mi piace dire che manipolo la realtà in modo da renderla più abbordabile. Ora scusami, Ridley. Ho un fantasma in casa e ho una missione da compiere. Ciao ciao.»
Gli riattacco il telefono in faccia, prima che metabolizzi che anche Lie, nel suo essere incorporeo, può essere un fantasma e io posso averlo usato come scusa. Gli ordino di rimanere in stanza, mentre mi dilungo con mamma dicendole una delle mie solite bugie. Scuola, nonna, amici, sport. Ormai i miei discorsi sono monotoni, come un disco rotto che trasmette sempre quella quattro canzoncine.
Guardo la televisione, non riesco a tenere la testa sollevata. Ho bisogno di dormire. Saluto e auguro la buona notte. Sono appena le venti e trenta. Non mi reggo in piedi.
Mi infilo sotto le coperte, Lie agguanta un libro e lo appoggia alla scrivania. Vorrei chiedergli che cosa fa durante la notte, se andrà a parlare con gli altri vizi. Chiedo domani, lo prometto. Ho appena chiuso gli occhi e già sono partita per il mio viaggio. Mi ritrovo incatenata dal legno, con i polmoni pieni di fumo. Gli occhi sono chiusi, pesanti. Intorno a me vedo solo grigio e la voce dalla folla. C’è qualche urlo. La mia gola è dolorante, ingoio qualcosa che sembra essere il mio stesso sangue. Vorrei muovermi, ma per cosa? Che ragione ho di dibattermi se ho perso tutto? Non ho più una famiglia. Malachite ha venduto gli esorcisti all’Inquisizione, lei ora mi sta fissando e aspetta che io esali il mio ultimo respiro. Ho perso sia la mia famiglia effettiva, per peste e per odio, sia quella che in lunghi anni ho accettato e desiderato essere la mia casa. Mi scende una lacrima. No, mi dispiace. Non posso mantenere quella promessa. Se le cose fossero cambiate, forse, non so … magari avrei potuto aver un futuro diverso. Emetto un gemito e mi sveglio. Apro appena gli occhi, sentendo il sangue colarmi dalle cosce. Sta salendo. Inesorabilmente, tutto si sta complicando. Mi giro, socchiudendo gli occhi. Non voglio essere vista, non voglio dare spiegazioni. Lie si è spostato, la stanza è diventata più buia. Deduco di aver dormito un paio di ore. Il mio vizio sta guardando fuori dalla finestra, controllando quella stupida normalità che noi abbiamo difeso così strenuamente. Beh, quasi. Ormai sono certa che non mi rimane molto tempo da vivere. Sto morendo … di nuovo. È l’unica amara consolazione della giornata.

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Capitolo 3
*** 3 ***


 
3
 
 
 
         È arrivata una circolare, imponendo a tutta la scuola di fare un pomeriggio per un non so quale corso di preparazione. Per la quinta questo è normale. Molti pomeriggi, attività extrascolastiche permettendo, gli studenti più grandi simulano le prove d’esame, o si preparano per la carriera universitaria. Noi, poveri studenti più giovani, li sbeffeggiavamo.
Dopo quella circolare, ci ritroviamo a dover passare quel mercoledì pomeriggio a scuola. Sfortunatamente, non ho neppure più la scusa di saltare per l’allenamento. Peccato.
Mi siedo sulla sedia di legno duro intorno a un tavolo, aprendo il contenitore del pranzo. L’aula studio, di norma silenziosa e immacolata, è all’opposto della sua natura. Essendo l’unico posto abbastanza grande per contenerci tutti, e avendo pure le macchinette per caffè e merendine, è l’unico posto della scuola che ci permette di spiluccare qualcosa da mangiare. Strano a dirsi, ma essendo il luogo in cui si dovrebbe studiare ha le sedie più scomode dell’intera scuola.
Julia si siede vicino a me, aprendo il sacchetto del panino. Come me sembra aver passato una notte burrascosa. O forse la giornata di ieri ha lasciato il suo segno. Mary si avvicina a noi, sorridendo. Sembra essere tornata la ragazza di sempre, quella prima che io esorcizzassi suo fratello in coma. Si siede davanti a noi. Il suo cambiamento, quella mattina, era stato evidente. Sorride, scherza, fa pure le battute sul fatto che io e Julia ancora ci parliamo. Magari invece di aver esorcizzato la città abbiamo pure fatto ascendere i brutti pensieri. Apre il suo contenitore, il mio naso viene aggredito dal forte odore del peperoncino. Ha origini brasiliane, ma secondo me … qualcosa deve essere pure messicano. Un occhio ignobilmente mi inizia a lacrimare. «Oh, avanti! Non fate quella faccia. Sembra che non vogliate passare il pomeriggio a scuola.»
   «In effetti …» Biascica Julia. «… non voglio passare un pomeriggio a scuola.»
Mary ridacchia. «Sarà divertente.»
Distolgo l’attenzione dalle mie crocchette di pollo. «Stare a scuola non è mai divertente.»
Attacca qualsiasi cosa abbia nel piatto. Davanti a lei ha una bottiglietta d’acqua. «Beh, forse non proprio divertente. In ogni modo ci prepariamo meglio per il compito di domani.»
Abbandono la forchetta nel contenitore con un cionk sospetto. Di fianco a me, sento lo sgranocchiare della carta, come se Julia l’avesse stretta tra le mani. La sua voce è flebile. «Compito?»
Nella mia testa c’è pure l’eco. Di che compito sta parlando? E poi, finalmente, emerge quel giorno di due settimane fa. Io, durante l’assemblea di istituto, con un libro di letteratura mai aperto. Ricordo pure la botta di culo durante l’interrogazione: mai un sesto livello è arrivato più benvoluto. Dannazione. Vorrei dire che ho aperto il libro durante questa settimana ma, no, per niente. I giorni mi stanno passando ignobilmente davanti. Apro la bocca, giustamente secca. «Oddio, letteratura.»
Julia mi fissa. «Domani c’è il compito di letteratura? Non so neppure che cosa stiamo facendo in classe!»
Sono completamente solidale con lei. Non so dove diavolo siamo arrivati. Mi sembra di essermi persa un’intera settimana di scuola, senza aver la minima idea di come ho fatto. Oh, sì. Una vaga idea del perché me la sia persa c’è. Dubito che la docente capisca che ho avuto dei problemi dell’Altro Mondo!
Qualcuno mi colpisce alla testa con una mano, mi giro per vedere dei ragazzi alle mie spalle che parlano. Quando ritorno a fissare Mary, però, il posto di fianco a lei è stato preso da quel simpaticone di Jamar. Anche la mia amica lo fissa sbalordita. Jamar è un bel ragazzo, più o meno le stesse che filano Chase gli sbavano dietro. Solo che, beh, non ha proprio una buona reputazione. L’unica che non sembra sorpresa della sua presenza è Julia. Il che mi ricorda che devo dirle che ho esorcizzato la figlia che ha partorito nel passato. Dirlo davanti al padre, però, non è particolarmente intelligente. Mi ucciderebbe per essere stata complice e, poi, ammazzerebbe pure la madre di sua figlia. Li fisso distrattamente, cercando di capire se quella relazione che Lartia mi aveva assicurato essersi conclusa, continua nel presente con Julia.
Jamar sorride a Mary. «Ciao bellezza»
Julia bisbiglia appena «No», e l’attenzione del ragazzo si scosta dalla nostra amica. Pessima entrata in scena per il caro lussurioso. Lo conosciamo fin troppo bene che, anche se dall’aspetto sembra un bravo ragazzo, l’unica che può soffrire qui è solo la nostra amica. Deve aver avuto ginnastica durante la mattinata, perché ricordo molto bene Damine, e di certo non era il tipo da mettersi la tuta. Piuttosto, era uno di quelli che andava nei bordelli a passare il tempo, cercando di plagiare la lussuria del signorotto del villaggio con la più disperata delle donne.
Jamar si sistema meglio sulla sedia, strizzandomi l’occhio. «Mi ero completamente dimenticato che oggi avevamo pomeriggio. Non ho niente da mangiare. Ehi, Ju, mi dai il tuo panino?»
Di risposta Julia addenta un grosso morso, sfidandolo a reclamarlo. Il ragazzo scosta la sua attenzione su di me. Con un sospiro gli passo il piatto. Mi è passato l’appetito. Come faccio a studiare durante la notte tutto quanto? Jamar prende il contenitore senza fiatare, alzando leggermente un sopracciglio. Gli svuoto il pollo in testa se ha pure da ridire su quello che mangio. Mary mi guarda con gli occhi sbarrati. A lei è sfuggita la nostra insana amicizia con il male primordiale.
   «Sembra che tu abbia visto un fantasma.» Jamar ridacchia alla sua battuta, ingoiando intera una crocchetta.
Julia sbuffa. «Domani abbiamo il compito di Letteratura e non sappiamo neppure l’argomento.»
Ottima sintesi. Jamar alza le spalle. «Che problema c’è? Basta che lei vada dal suo ragazzo e gli fa gli occhi dolci.»
È troppo lontano perché io possa mollargli un calcio. Quel che è peggio, Julia annuisce e bisbiglia qualcosa di tanto simile a un «Giusto, è vero».
Distolgo l’attenzione da Jamar, scrutandola torva. Io le paro il culo, nel passato e nel presente, e lei ha pure il coraggio di fare la donna vissuta? Bella amica che mi ritrovo. Mary ridacchia. Sono attaccata da tre angoli diversi e non so esattamente con chi prendermela, se con l’autore della discussione, la spalla o l’osservatrice. Il ragazzo abbozza un sorriso. «Parli del diavolo … ciao Chase. Stavamo parlando che la tua ragazza domani ha un esame e non è preparata. Non sa neppure l’argomento!»
Chase si ferma vicino a noi. Non alzo lo sguardo finché non vedo la sua ombra sulla mia mano. Solo allora incrocio la sua attenzione. Per la prima volta, se fossi Pinocchio a questa affermazione avrei il naso chilometrico per l’affermazione, ho l’istinto di baciarlo. Non un bacio casto, sulla guancia. Ho l’irresistibile necessità di avvicinarmi a lui e di rompere quella distanza tra di noi. È più forte di me. Tento di resistere, incrociando i piedi sotto al tavolo. Se ci fosse stata un’emergenza, un terremoto o un incendio … ecco, sarei morta di certo, inciampata dalla mia stessa protezione. Con gli occhi faccio cenno di andare via, ma lui continua a fissarmi. Si mordicchia il labbro e, al diavolo ogni nostro desiderio di stare lontani. Scosto un po’ la sedia e lo vedo avvicinarsi di un passo. Da qualche parte, Jamar parla. «Avete bisogno di un po’ di privacy?»
È stato rotto qualcosa. Io distolgo lo sguardo, lui arretra di un passo. Mary alza un sopracciglio, controllando alternativamente me e Chase. È a lei che Chase si rivolge. «Su che cos’è l’esame?»
   «Ehm … Dante e Petrarca.» Pigola la mia amica. Julia sbuffa. Troppi svenimenti per un ragazzo, per i suoi gusti. Di risposta alzo lo sguardo verso Jamar. C’è troppa attrazione nell’aria perché non ci sia il suo zampino. E lui gongola.
Magari è sfuggita qualche notizia importante: ecco, noi siamo esorcisti. In quanto tale, abbiamo dei vizi che ci guidano, che la cristianità ha definito i sette vizi capitali. Otto, se si tiene conto che io, esorcista della menzogna, faccio parte del club. Essendo molto legati alla nostra natura, io ho la capacità di percepire e in parte anche condizionare le parole di una persona. Se uno mente, io lo so. Se ho bisogno che qualcuno menta … beh, devo lavorarci un po’ su, ma dovrei essere in grado di usarlo a mio vantaggio, anche se la natura della menzogna è al di fuori del mio controllo. Jamar, esorcista della lussuria, è in grado di attivare l’attrazione carnale degli altri, con la premessa che ci deve essere un qualche tipo di interesse alla base. A me già piace Chase, quindi deve aver fatto una fatica infima. Sì, apprezzo di più Julia: per lo meno se mi incazzo con qualcuno lo posso gestire.
Con un sospiro guardo Chase, che apparentemente sembra essere all’oscuro dell’intromissione di Jamar sulla mia libidine. «Se vuoi io ti …» E poi lo capisce. È un qualcosa di impercettibile, appena di qualche secondo. Il ragazzo distoglie lo sguardo da me, fissando un punto alla mia sinistra, esattamente dove si trova Jamar. «Sì. In bocca al lupo e studia bene.»
Si permette di darmi una pacca sulla spalla prima di scappare senza molta dignità. Mary è un po’ sconcertata. «Ehm. Credo di essermi persa qualcosa di importante.»
   «Non sai quanto.» Sghignazza Jamar.
Mi sistemo sulla sedia e, casualmente, un mio piede colpisce esattamente la gamba di qualcuno. Lo intuisco dall’imprecazione. E, davvero, se lo merita.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
 
 
         Ho trovato una scusa per non allenarmi. Lowry è un po’ delusa, ma ho le mie priorità. Le esigenze della mia allenatrice o le mie? Tenendo conto che a malapena riesco a fare un passo senza sentire un dolore lancinante alle gambe, direi che le mie necessità hanno decisamente la priorità. E poi è da parecchio che non ho un pomeriggio tutto per me, senza Lie che mi invita a esorcizzare qualche spirito, il compito urgente della mattina dopo … o Chase che ci manda all’attacco contro un’intera città. Io, il divano e magari qualche libro di scuola. Giusto per non dover passare l’estate a recuperare tutte le mie insufficienze.
Qualcuno mi batte sulla spalla e il mio sorriso si gela sulle labbra. «Ho il pomeriggio libero! Solo uno!»
Chase sorride e mi sembra di essere tornata a uno dei nostri due appuntamenti … entrambi finiti molto formalmente, lo ammetto, ma sempre di appuntamenti si tratta. A eccezione dell’ultimo, in effetti. Ora che ci penso, il solo ricordarlo mi porta ad allontanarmi da quel ragazzo. Riflettendo meglio, anche la mia reazione alla sua vista, ieri, non è stata la più encomiabile. E Jamar sarà pure l’esorcista della lussuria, ma qualche pensiero devo averlo avuto pure io. «Ciao, Bel.»
   «Chase. Non sei qui perché dobbiamo lavorare, c’è qualche esorcismo da fare o non sei soddisfatto della spiegazione di Watson? Vero?»
   «Non sono qui per questo. Anche se ammetto di non essere soddisfatto della spiegazione di questo Marco. Dopo secoli riesce, casualmente, a trovare un diario in cui ci sono i nostri vecchi ritratti, e a ricollegare le nostre identità attuali a quelle passate? Nasconde molto più di quello che dice.»
   «E non pensi sia solo la reincarnazione di Johannes.»
   «Non avrebbe potuto. La reincarnazione è una prerogativa solo degli esorcisti e, come già detto, anche noi siamo l’eccezione alla regola.»
   «Quindi stai andando da Marco?» Lo deduco dal fatto che sembra in tenuta di battaglia, con un semplice maglioncino e un giubbino in pelle, molto cool e parecchio da concerto rock. Sembra interessato a dare qualche calcio nel culo a chiunque gli mette i bastoni contro.
Però Chase annuisce. «Io e Philippe andiamo in perlustrazione. Vediamo come questo si comporta durante una visita informale, dov’è questo edificio e perché ci conosce.»
   «Dovresti dirlo anche agli altri.» Mi riferisco soprattutto a Warren e Jamar. Un qualcosa legato al loro essere uomini che devono proteggere la città e le loro compagne indifese. Sì, un maschilismo molto stupido, ma se non gli diamo qualche soddisfazione, cosa gli rimane? Nel passato ero stata, con Titus e in parte con Maximus, una delle poche a raggiungere l’evocazione dell’ottavo esorcismo. A tempo debito, quando ricompariva la parte del difendere la donzella indifesa, ero pronta a rinfacciarglielo.
Chase annuisce, ma non conferma questa necessità. Mi invita a camminare. Con una certa fatica, fingo che non mi facciano un male cane le gambe. «La memoria come va?»
   «Bene. Ho ancora qualche lacuna, ma è gestibile. Per lo meno se adesso mi accusaste di avervi tradito riuscirei a capire di cosa parlate. Prima mi sembrava di essere rimasta indietro di un intero libro. Ammetto, anche, di aver in parte sospettato di Johannes, per un eventuale tradimento.»
   «Non saresti la sola. Johannes era quello che sapeva più delle nostre origini. Ci hanno messo relativamente poco a trovarci.»
Scuoto la testa. «Se io non avessi protetto Malachite, se l’avessi uccisa … probabilmente saremmo morti di vecchiaia.»
   «Con la vita che facevamo? Essere uccisi per stregoneria è stata la morte più veloce.»
Beh, insomma. Non ricordo di essermela goduta poi molto. Avrei preferito un bel colpo in testa, pur di non sentire le gambe bruciarmi. «Eliza si arrabbierebbe con te.»
   «Eliza è morta in poco tempo. Warren, all’opposto, ha patito le pene dell’inferno. Ha subito la gabbia. Non ho potuto fare nulla per lui.»
La gabbia: pessimo modo per morire. Essere rinchiusi in una piccola prigione, sospeso in aria e sotto il sole, incapace di muoversi e soggetto a qualsiasi tipo di animale. Alzo lo sguardo per fissare il profilo di Chase. «Avrei potuto aiutarli io.»
   «In che modo? Siamo morti dopo di te. Lo so perché hanno avuto la gentilezza di uccidermi per ultimo, permettendomi di vedere gli ultimi istanti dei miei compagni. Quando è finita, lo ammetto, ero felice per voi.»
   «Ci hai visto morire?» Solo pensarlo mi fa male.
Chase alza le spalle. «Non te. Ero troppo adirato e avevo ancora la speranza di salvare almeno Oppius dall’Inquisizione. Ci hanno intercettato prima di arrivare al mare e di farlo imbarcare con un mercantile. Ero pronto a tramortirlo per lasciarlo andare. Fu torturato …» Butta lì Chase, come se parlasse di qualcosa che non lo riguardasse. «… fu torturato selvaggiamente. Non parlò, non disse nulla su di noi.»
   «L’avevamo addestrato bene.»
Chase si ferma per guardarmi. Ricambio il suo interesse, con un sorriso. Johannes aveva addestrato lui, lui me e io, ad un certo punto, Oppius. Ecco perché eravamo una famiglia. Potevi attaccare singolarmente ognuno di noi, ma non saremmo mai crollati. O almeno così credevamo.
Il suo sguardo mi ferisce, così fingo di scacciare una mosca e sparisce anche il filo magnetico che ci lega. «E tu? Come sei morto? Non è da tutti poterlo raccontare.»
Abbozza un sorriso. «Quando mi trovarono con Oppius, mi amputarono un braccio. Poi fu il turno di Lartia, e mi segarono una gamba. Damide fu avvelenato da una guardia e, per ripicca, decisero di amputarmi un braccio e la gamba che mi rimaneva. Aspettavano quel tanto che potessi star meglio, prima di torturarmi mostrandomi le morte dei miei compagni. Daulus fu l’ultimo e ne fui sollevato. Ero così debole che morii prima che mi segassero in due.»
Chase sospira, passandomi una mano sulla guancia. La sua pelle, a contatto con la mia, è calda. «Smettila di piangere. È passato. Solo passato.»
   «Prima di morire avevo pregato che voi non foste torturati, che moriste velocemente. È … è colpa mia. Se non avessi protetto Malachite, se avessi capito quello che stava succedendo … ho la speranza che sarei riuscita a salvarvi.»
   «Ho anch’io molto di cui farmi perdonare.» Ammise. «Avevo visto che c’era qualcosa che non andava, in te. Era lampante. E ho trovato più facile fidarmi dei miei occhi piuttosto che credere alla tua innocenza. Quando ho iniziato a ricordare, ti ho odiata. Ho odiato ogni parte di te, ogni sorriso, ogni tuo gesto. E volevo ferirti, volevo che confessassi tutto senza che io te lo chiedessi.»
Annuisco. «Ecco perché mi chiedevi di uscire.»
Abbozza un sorriso. «Sì, però gli appuntamenti non avevano sempre un fine così elevato.»
Quella promessa, fatta quella volta, sembra dilatarsi tra di noi. Vedo il ragazzo abbassare la mano e infilarsela in tasca. «Bel, quella …»
No, non voglio sentire. «Sono felice che ci siamo risvegliati. E che il passato si sia chiarito.»
Mento, e lo so. Mi ero ripromessa di non dirgli mai bugie, ma c’è sempre una prima volta. Lui annuisce. «Com’è andato il compito di questa mattina?»
Alzo le spalle. «Non c’è male. Poteva andare peggio, visto che fino a ieri non sapevo neppure l’argomento.»
   «Devi studiare di più.»
   «E devo anche lavorare di meno. Non si vede, ma ormai sono una vecchietta.»
Gli riesco a strappare un sorriso. Scuote la testa. «Porti piuttosto bene i tuoi anni.»
Mi colpisco con una mano la fronte, mentre con l’altra mi sfilo la collana. Gliela metto tra le mani di Chase. La osserva. In più punti è bruciacchiata e non sembra neppure la croce che mi ha dato. Decisamente, l’ho consumata. «Credo di aver fatto troppi esorcismi. La croce non è più benedetta. Mi dispiace per avertela ridotta in questa maniera.»
La maneggia cauto. «È un regalo. La benedico e poi te la restituisco. Nessun ma, Bel. Ti riporto a casa.»
   «Paura che qualcuno mi faccia male?»
   «Per niente. So a mie spese che sei forte. Sono un uomo all’antica. Mi hanno insegnato che le donne vanno portate fin davanti alla porta di casa.»
La sua mano mi sfiora la schiena, obbligandomi a camminare. Penso al passato, a quando in poche occasioni noi due abbiamo camminato così, fianco a fianco. Il capo dell’Ordine e il suo secondo non se ne possono andare in giro, insieme. Le forze sarebbero state troppo mal distribuite. Continuavo a ripeterlo, eppure adesso stiamo passeggiando fianco a fianco. Al diavolo come veniamo visti o i punti bonus dei nostri attacchi.
Oddio, ci capitava di avere delle missioni insieme, per lo più con spiriti di livello superiore o quando gli altri erano in giro per missioni solitarie. Ogni volta mi sembrava di rubare qualcosa a qualcuno, di comportarmi come non conveniva a un’esorcista. Di notte, raggomitolata vicino al fuoco, mi ritrovavo a fissare il suo profilo in ombra. Poi mi ammonivo e mi costringevo a dormire. Non mi piace il presente. Mentire alla mia famiglia, sapere che la sola mia presenza può recargli male, avere papà in coma e sperare, con tutta l’anima, di non vedere mai il suo spirito che chiede di esorcizzarlo. Non posso dire di essere felice di vivere in questo tempo. Sarò morta nel passato, ma di un fatto sono certa. La mia famiglia adottiva, l’Ordine: nessuno di loro sarebbe mai apparso come spirito. Nessuno di loro sarebbe tornato in altra forma perché qualcosa era rimasta incompiuta nel mondo terreno, o perché provava rancore. Quella è una certezza.
Chase si irrigidisce. «Chi è quel ragazzo?»
Ridley è fermo davanti al cancello di casa. È palesemente a disagio e aspetta qualcuno. Ho una mezza idea che sono io la vincitrice di quelle attenzioni. E ora, che dico a Chase? Che è il ragazzo che ha permesso il sorgere della Città degli Spiriti? Lo esorcizzerebbe senza neppure pensare che è ancora vivo. Alzo una spalla. «L’ho aiutato un po’ di tempo fa. Sa di noi.»
Non indaga oltre, ma è intelligente. Probabilmente sta già collegando tutti i pezzetti del puzzle. Ha già il sospetto che sia a causa sua l’ultimo feroce scontro, almeno dalla camminata rigida. Ci fermiamo davanti al detective, che ci osserva con curiosità. Giusto, presentazioni. «Ciao. Lui è Ridley. Ridley, questo è Chase.»
Il detective allunga una mano, che viene ignorata dal ragazzo. Di risposta, si gira verso di me. «Ti riporto la collana appena possibile. Cerca di non fare nulla che metta a rischio la tua vita.»
Annuisco con la testa e Chase fa un qualcosa mai fatto prima. Si avvicina a me, come se volesse darmi un bacio sulla guancia. Sento le sue labbra premere leggermente vicino all’orecchio, un brivido di desiderio si alza dal ventre. Che diavolo sta succedendo? Dov’è Jamar, così posso incolparlo di quello che provo? «Non provare a dire notizie importanti su di noi. È un ordine.»
Chase mi fa un cenno di saluto, ignora nuovamente Ridley prima di girarsi e rifare la strada per allontanarsi da noi. Ridley storce il naso, fissando le spalle di Chase. «Quel ragazzo non mi piace.»
Come Ridley, anch’io non riesco a distogliere lo sguardo da lui. Le sue spalle ampie, così rassicuranti, mi hanno da sempre sorretto. Lo avevo visto un’infinità di volte incamminarsi in solitaria lungo un sentiero, scomparire tra la folla. Mi massaggio distrattamente l’orecchio, che trema per quel alito di benvenuto. «Chase è uno dei migliori esorcisti che conosco. È stato lui, nel passato, a insegnarmi tutto quello che so.» Sorrido. «Credo che sia ininfluente che ti piaccia o meno. Lui è il mio capo.»
Ridley alza un sopracciglio, obbligandomi a ridacchiare. Ora non vedo più Chase, ma non sono stata del tutto sincera. È vero, Chase è stato ed è tutt’ora il mio capo. È vero che è il miglior esorcista che conosco. E per quanto possa essere arrogante, sicuro e a volte anche dispotico, nessuno di noi esorcisti metterebbe mai in dubbio la sua egemonia. Eppure, nel passato, tra di noi c’era stato qualcosa. Platonico, vero, ma il mio corpo è sempre stato attratto da lui come un magnete al ferro, come un’anima al corpo, come un fiore dal suo sole. 

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Capitolo 5
*** 5 ***


5
 
 
 
          Ridley tossisce, richiamando la mia attenzione. Chase è un problema che non posso superare così, a cuor leggero. Meglio affrontare qualsiasi situazione che mi pone il detective. Ridley è parecchio maldisposto nei miei confronti. Sono certa che farebbe amicizia con Jamar, che non mi sopporta di sua natura.
   «Ti sei ripresa?»
Alzo un sopracciglio, ma non discuto. Se pure Ridley si è accorto della mia cotta, questa deve essere più che palese. Mi passo una mano sul viso. «Sì. Immersa nei miei pensieri.»
   «Bel ragazzo.»
   «Dirò che hai una cotta per lui. Oltre a sbavargli dietro, c’era qualcosa che dovevi dirmi?»
Alza una spalla. «Avrei solo bisogno di parlarti.»
Immagino che anche questo pomeriggio lo studio passa in secondo piano. Un capello mi si infila su un occhio, così penso a cosa sta succedendo intanto che cerco di estrarlo. Ridley sbuffa, bloccandomi con una mano le mie e sfilandomi il capello. Beh, grazie. Però non ti ho chiesto di aiutarmi.
   «Possiamo parlare in un luogo più appartato? Mi sento osservato.»
Alzo lo sguardo verso il mio appartamento. Non c’è nessuno che guarda. Anch’io, però, ho la brutta sensazione di essere osservata. O forse è una brutta sensazione e basta. Annuisco, incamminandomi lungo la strada. Non molto lontano da casa c’è un piccolo parco. Da piccola ci andavo spesso, prima che togliessero quel poco di erba che c’era e creassero un campetto di pallacanestro. Avrà avuto vita per, non so, tre mesi? Ora il suo aspetto è deludente e malconcio. Le panchine sono state rotte e ridipinte con offese, un canestro è stato staccato mentre l’altro è in procinto di tentare il suicidio. Neppure i bambini, visto lo spettacolo, vengono più sulle altalene. Ne agguanto una, ancora integra, lasciandomi scivolare sopra. Che bei ricordi. Io, piccola, che dondolavo e chiedevo a papà di spingermi più in alto. Ridley si appoggia alla panchina davanti a me. Ho quasi la tentazione di iniziare a dondolarmi. Troppo infantile? Usando i talloni mi spingo un po’ avanti e indietro.
   «Continuo a vedere i fantasmi. Per la verità, solo oggi mi sembra che la mia vista si sia un po’ normalizzata.»
Storco il naso. «No, la tua vista non si è normalizzata. E comunque, che schifo! E che siamo, in un qualche romanzo di Tolkien, con Sauron versione occhio che tutto vede e tutto osserva?»
Sospira, scuotendo la testa. «Tu come chiami quando vedi i fantasmi?»
   «Non dico niente. Vedo i fantasmi. Punto.» Per la verità, distinguiamo solo quando parliamo con gli esseri umani. Il che, ora che ci penso, sembra anche peggio. «In ogni modo, la città ha avuto un piccolo incidente. Troppo lungo da spiegare, ma sta di fatto che adesso anche altri hanno la capacità di vedere gli spiriti.»
   «Questo è orribile.»
Vaffanculo. Io così ci sono nata! «È la prima volta che lo vediamo, quindi non sappiamo gli esiti. Può essere che tra qualche giorno tutto si risolva. Umani da una parte, fantasmi dall’altra.»
   «E voi esorcisti nel mezzo.» Ottima deduzione. «Credi che chi veda i fantasmi possa fare un … un esorcismo?»
Dal tono di voce sembra quasi sperarci. Ed ecco il motivo per cui è qui. Riuscirà, il detective, a esorcizzare uno spirito? «Ovviamente no. Non riusciresti a esorcizzare neppure uno di primo livello. Tanto per essere chiari, quando eri un fantasma tu eri uno di primo livello. Solo gli esorcisti ne sono in grado. Anche il nostro mentore del passato riusciva a vedere i fantasmi (beh, per lo meno qualche spirito di primo livello), ma non ha mai potuto neppure fargli il solletico. All’opposto. Se uno spirito scoprisse che tu li vedi, come ti ho detto, sarebbe abbastanza insistente. Se lo spirito, poi, è di livello superiore … non so se ti può uccidere. Forse dal quinto in poi rischieresti la vita.» Dal quinto in poi ogni essere umano rischierebbe la vita, in effetti. Che lo spirito si senta osservato o meno.
   «È un piacere parlare con te. Sai esattamente come rassicurare le persone.»
   «Figurati.»
Ridley si tormenta una mano. Con il pollice, si tocca la punta di tutte le dita come se volesse contare. Strano tic nervoso. Oh, giusto. Parlo proprio io che mi mordo le labbra!
Osservo lo zaino appoggiato a terra. Se tirassi fuori un libro Ridley capirebbe che voglio studiare? In effetti, però, preferisco parlare di fantasmi che affrontare i miei scheletri. Mi alzo in piedi sull’altalena, in modo da toccare il metallo sopra la mia testa. Lascio con una mano la presa, agganciando l’asta. Poi lascio l’altra e, solo con la forza delle braccia, mi arrampico. Seduta come un gatto sopra all’altalena, vedo il mondo come doveva vederlo Dalila. Di certo, quell’agilità non è del presente. Fico. Sono un ibrido, metà Dalila metà Bel. So che il mondo è tondo, che l’universo è infinito e noi siamo una piccola parte di una vastità, ma allo stesso tempo ho l’agilità di Dalila, caccio ancora i fantasmi e … sì, credo ancora nei negromanti.
   «Ama, ti volevo dire anche un’altra cosa. Io e Megan ci siamo lasciati.»
Per poco non perdo la presa. Okay. Non mi interessa granché della situazione sentimentale di Ridley. Né lo conosco così a fondo da poter dire di essere dispiaciuta per lui. La ragazza l’ho vista solo in un’occasione, e neppure ha fatto chissà quale discorso che dimostrava il suo carattere brillante. Ciondolo con i piedi. Gli dico “okay”? Lui alza lo sguardo, ritrovandomi appollaiata lì. Non ride, non abbozza un sorriso. Nei suoi ventisei anni mi sembra fin troppo maturo. E lo conosco abbastanza bene. Conosco i suoi difetti, le sue ossessioni, la sua petulanza. E pure i suoi pregi, il suo essere ostinato. Lui cosa ha visto di me? Oddio, cosa ha detto il docente in classe, alla mattina? Non è la sindrome di Stoccolma quel sentimento che una persona che subisce violenze riversa nei confronti del suo aggressore? Da un punto di vista meramente spettrale, io posso essere un aggressore e Ridley una vittima? No, sarebbe assurdo. E allora perché mi fissa in quel modo? Sto interpretando i segni in maniera sbagliata?
Socchiudo gli occhi, sentendo ancora quella strana presenza che ci osserva. Guardo alle mie spalle, ma non c’è nessuno spirito. Ridley si avvicina. «Cosa c’è?»
Aggancio con le mani l’asta, scivolando verso il terreno e poi lasciandomi cadere. Mi alzo, osservando alle mie spalle. Ci sono dei condomini, in un quartiere tranquillo. Non possono esserci spiriti. È materialmente impossibile. Dopo l’esorcismo della Città degli Spiriti, nessun fantasma può essere sopravvissuto. Erano tutti legati tra di loro. «Ama?»
Alzo una mano per zittirlo. Non c’è puzza di morte. In effetti, tranne quella brutta sensazione di stalking, tutto è tranquillo. Mi inumidisco le labbra, alzando una mano. No, non è solo una mia percezione. Qualcuno è nelle vicinanze e, ci scommetto le mutande di Jamar, non è una presenza benevola.
   «Ridley, arretra lentamente.»
Sento i suoi passi allontanarsi. La mano sinistra è sollevata. Non è uno spirito di primo livello. Vorrei tanto che lo fosse, ma non è di primo livello. Non c’è movimento, solo questa sensazione di avere a che fare con uno spirito Caino. Ti prego, fa che non sia un settimo livello. O forse meglio che lo sia. Non so cosa pensare. Ovviamente non è nelle mie intenzioni esorcizzare nell’unico pomeriggio libero, ma meglio che i livelli più elevati siano miei o di Chase.
Guardo il terreno, in attesa. Sento il respiro pesante di Ridley alle mie spalle, in attesa quanto me di un attacco che desiste ad arrivare. Bisbiglio. «Non ti muovere.»
Il cellulare comprime dentro la tasca della giacca. Senza la croce benedetta posso essere ferita facilmente. Abbasso la mano sinistra, togliendomi il giubbino e lanciandolo alle mie spalle. Il freddo mi aggredisce, ma se è come immagino non avrà grande importanza tra un po’. Un movimento tra gli edifici. Finalmente!
E poi capisco che non è un settimo livello. È un sesto, per quanto di piccole dimensioni. Non è tanto maestoso, quanto piuttosto sembra essere una pantera un po’ troppo cresciuta. Completamente nera, tra le fauci regge un ratto che ancora si dibatte. I suoi occhi rossi sono puntati su di me. Perlustra il terreno, con piccoli balzi. È agile. Porcamerda, è più veloce di quanto potrei essere io. Saltella come un coniglio, acquattandosi sul terreno prima di un nuovo balzo. Il ratto squittisce indispettito.
Mi ritrovo a fare un sospiro di sollievo. Voglio dire: perché diavolo ne sono sollevata? Ho la convinzione che più piccolo è, meno omicidi ha commesso. Oppure di qualche omicidio si è pentito. Non so. La psicologia dei fantasmi non è il mio campo di specializzazione.
Stringe le fauci, un getto di sangue colpisce il terreno e il ratto si divide a metà. La coda si muove un attimo prima di giacere a terra come una gomma vecchia. Okay, non voglio che le sue fauci di metallo mi tocchino. Per quanto vorrei essere più alta, preferisco avere le mie parti del corpo ancora attaccate a fine giornata.
Mi tiro su le maniche, per quanto la mia tentazione sia quello di andare da lui e dirgli di andarsene. Davvero. C’è un limite per il lavoro degli esorcisti. Una voce, assomiglia terribilmente a quella di Chase, mi ricorda i doveri del nostro Ordine. Lasciare andare uno spirito, per quanto noi possiamo essere feriti o in procinto di morire, è una colpa che dovrebbe essere pagata con la vita. Se stai sanguinando a morte, lo ammetto, non fa poi tanta differenza.
Il respiro affannoso di Ridley alle mie spalle mi ricorda che lui è ancora lì. «È una pantera?»
   «Usa il cervello: che diavolo ci fa una pantera in città? Gita scolastica?» La paura che Ridley possa avere una cotta per me mi fa essere più diretta e maleducata del solito. E aiuta il fatto che il fantasma sia davanti a me, intento a perlustrare il terreno. Ha la camminata simile a un gatto. Le zampe anteriori seguono una qualche linea immaginaria, quelle posteriori aiutano la coda a ondeggiare a destra e sinistra in una sculettata diabolica. Non guarderò più il “National Geographic Channel” con gli stessi occhi.
Okay. Tanto il male arriverà, quindi smettiamola di contare i peli della coda e rimbocchiamoci le maniche. Mi inginocchio per terra. Spero tanto che un cane non ci abbia fatto i bisognini, perché mi sembra particolarmente umido in quel punto, per una giornata in cui non è piovuto. Mi ripeto che è l’umidità. Ci spero, più che altro! Sollevo le braccia al cielo. Se qualcuno che non vede i fantasmi mi vede così, penserà di certo che stia facendo la pubblicità di “Altolà al sudore”. Non ora, Bel. Le cazzate meglio pensarle in un altro momento. «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
Non so neppure se ci speravo che funzionasse velocemente. Un esorcismo pulito e sbrigativo avrebbe fatto comodo a me quanto a lui. Invece dalle mie mani partono le solite catene nere e rosse, le ferite si aprono ma di quello ho fatto l’abitudine … e tutto va a rallentatore. Ecco, potrei esorcizzare lo spirito solo se questo mi si buttasse volontariamente sulle catene. Ridley non aiuta. «È normale?»
Lo spirito balza di lato, come se avessi in qualche modo attentato alla sua vita, obbligandomi a scivolare di lato e a rompere di mia volontà il contatto. Nel ventre sento una ferita aprirsi e la maglia mi si inzuppa velocemente. Ho salvato il giubbino! Sì! Urlo al nulla. «Lie!»
Apro la mano, accennando a dare una sberla allo spirito. Un nuovo balzo mi fa capire che è sorpreso dalla mia reazione quanto io dalla sua incapacità di fare i terremoti. Intendiamoci: non che mi dispiaccia questa mancanza!
Lie compare al mio fianco, apparentemente a suo agio. Allungo la mano e afferro la sua. La Falce degli esorcisti si materializza nella mano sinistra, obbligandomi a spostarmi verso destra per evitare l’attacco. Lo spirito mi ha graffiato leggermente, facendo tre tagli trasversali sulla manica. Agguanto con la destra l’asta, caricando tutta la mia forza sul colpo. Vado a segno e lo spirito non ne sembra soddisfatto. Un nuovo fendente va a segno. «Non. Ti. Permettere. Di. Attaccarmi. Me. Le. Rovinate. Tutte.»
Ogni parola un colpo, ogni colpo un rantolo da parte dello spirito. Sarebbe più facile se si mettessero buoni ad aspettare l’esorcismo. Non sarebbero, però, spiriti Caini. Con un ultimo colpo atterro lo spirito, bloccando le sue mosse. Mi ci siedo sopra, in un personale divano dibattente di gelo. Alzo le mani al cielo. «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
Troppo vicina. Mantengo il contatto ma vengo sbalzata a un metro di distanza. Cado sulla schiena, l’aria mi esce di botto dai polmoni e un’imprecazione mi rimane sulla lingua. Come se non bastasse, entro in sintonia con lo spirito e vedo la sua penosa vita di furti e omicidi. Perché la gente uccide? Dopo sono io che ne subisco le conseguenze! La ferita al ventre esulta soddisfatta, facendo sgorgare più sangue di quello che il mio corpo può produrre. Mi gira pure la testa. Rompo il contatto all’ascesa dello spirito. Ti prego, chiunque tu fossi, quando torni sulla terra vedi di essere buono.
Sto ansimando, fissando il cielo. Male, sangue, mente distrutta. Il volto di Lie compare, una pessima visione dopo un pomeriggio che non è dei migliori. Solleva un sopracciglio. «C’è qualcosa che devi dirmi?»
   «Abbiamo forse un problema?»
   «Dimmelo tu.»
Mi alzo con un gemito. Ridley è a una decina di metri, agganciato alla mia giacca. Stringo i denti. «Sì, abbiamo un problema.»

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Capitolo 6
*** 6 ***


6
 
 
 
         Sto camminando per il convento. È pomeriggio inoltrato di un freddo inverno. La poca luce che filtra dalle finestre è opaca e si spegne poco dopo tra le pesanti mura. Sono avvolta nel mantello nero, spettrale come tutto quello che mi circonda. Gli altri sono in missione, io sono appena rientrata. Lartia, prima di andarsene, si è avvicinata dicendomi che qualcuno ha bisogno di me. In condizioni normali, quel qualcuno sarebbe stato solo uno spettro. Ora, so che è Titus. Durante uno scontro è rimasto gravemente ferito. Il suo corpo è completamente segnato, anche se non so quanto. Nasconde ogni lembo di pelle sotto bende e tessuto, così che possa vedere solo metà del suo volto, dove una cicatrice si fa strada da una benda per congiungersi alla mascella opposta. Ciò che so è che ogni volta che mi allontano, al mio ritorno, la sua mente sembra più fragile. I demoni contro cui sta combattendo sono più pericolosi di quelli che affrontiamo noi.
Apro con un cigolio una porta, chiudendomela poi alle spalle. Prendo una torcia accesa alla parete, il suo cono di luce mi mostra la scala che scende fin nei sotterranei. Zampetto lungo le scale, accompagnata da rumori furtivi di altri animali che si muovono con me. Apro un altro portone, immergendomi nel buio della biblioteca. Tra gli scaffali di libri antichi, immersa in quell’odore di muffa e pergamena, non c’è presenza umana. Titubante, chiedendomi se ho sbagliato a interpretare lo sguardo di Lartia, continuo a camminare.
Poi lo vedo.
Dall’ultima porta, che si apre verso la stanza di lettura di Johannes, una luce. Busso piano, nello spioncino la luce traballa, poi la porta viene aperta. Ogni volta che gli sto lontana dimentico quanto è alto, il colore ambrato del suo occhio, il rosato della cicatrice che attesta la sua forza. Un ciuffo di capelli neri si fa strada dal cappuccio sollevato. Non lo guardo mai abbastanza per memorizzare ogni particolare, eppure quando sono con lui non mi sembra di fare altro. Mi inchino in cenno di saluto, un piccolo accenno con la testa che lui ricambia. Poi si scosta, permettendomi di accedere.
Sulla scrivania, due candele accese illuminano un geroglifico di simboli. Aggancio la torcia alla parete, avvicinandomi poi al tavolo. Scosto i fogli. Riconosco il disegno della tavolata cui noi otto esorcisti siamo soliti prendere gli ordini.
   «Lartia mi ha detto che avete bisogno di me.»
Sbuffa. La porta viene chiusa alle sue spalle, sigillando all’esterno gli spifferi di aria. Ho già fame d’aria, in un ambiente così angusto e sotterraneo. Un rivolo di sudore freddo mi scivola lungo il collo. Detesto gli ambienti ristretti. Sono avvezza a spazi aperti e a foreste inesplorate. «Avevo solo bisogno di stare in solitudine. Se siete preoccupata per me non ve n’è motivo.»
Non mi apre la porta, quindi immagino che desidera che io rimanga con lui. Guardo ancora quelle carte. Non sono di Titus. È più pragmatico. Quelli sono gli studi di Johannes e, per quanto possano interessarmi, al momento ho altro per la testa. «Non dovreste stare da solo.»
   «Temete che possa fare qualche gesto sconsiderato?»
   «Giammai!»
La parte del volto non completamente sfigurata si apre in un sorriso. La mano si avvicina al volto, sistemandosi le bende. «Avete un’alta opinione di me.»
   «E voi non l’avete affatto. Rimanere qui non servirà a nulla. Ve ne prego, Titus. Qualunque punizione vi state infliggendo, non ne vale la pena.»
Si avvicina al tavolo, osservando le carte di Johannes. Come me, non le ritiene di degna importanza. «Fareste meglio ad andarvene da questa stanza.»
   «È il consiglio che vi rimando anch’io.» Allungo una mano, offrendogliela. «Titus, ve ne prego.»
La sua mano guantata la sfiora, obbligandomi ad abbassarla. È un no? Sta allontanando la proposta o me? «Dalila, ho troppo da recriminare per sopportare di ferire anche voi. Non ho la forza di imporvelo. Andatevene di vostra iniziativa.»
   «Non avete nulla da recriminare. Queste.» Prendo il suo volto tra le mie mani. È la prima volta che non mi allontana, che non fugge. È la prima volta che tocco la sua pelle calda, le sue bende umide. Vorrei vedere il suo volto, ma so che non me lo permetterebbe. Passare il dito sulla cicatrice, fargli capire che quello è il segno del suo coraggio e non un qualcosa da nascondere. «Queste ferite sono la prova della vostra forza. Nessun uomo ha abbastanza temerarietà da rifiutare tutto per salvare altri. Non compiangetevi. Voi siete la dimostrazione che anche gli uomini sono in grado di fare un bene divino.»
Una sua mano mi prende il polso, stringendolo. Il pollice solleva un poco la manica, così da vedere un lembo della mia pelle diafana. «C’è molto da recriminare, Dalila. Sopportavo la nostra condizione nella speranza che un giorno, a guerra finita, quando nessuno spirito sostasse nel nostro mondo, potessimo vivere come uomini e donne normali.»
   «Possiamo ancora farlo. Non è cambiato nulla.»
   «Dalila, la donna che amo mai vorrebbe passare la sua vita con un … con un mostro.»
Scuoto la testa, una piccola stretta al cuore mi fa capire che le sue parole non mi sono del tutto indifferenti. C’è qualcuno, allora. «Questa donna, allora, non vi merita. Nessuno può permettersi di offendervi. Se voi siete un mostro, allora di certo lo è tutta l’umanità.»
   «Se vi chiedessi, a guerra finita di venire con me voi accettereste?»
Lascio il suo volto e arretro di un passo. Apro la bocca, perché il solo naso non riesce a permettermi di respirare. Titus indietreggia di un passo, ferito. Chiude l’occhio. «Vi chiedo perdono per le mie parole. Sono stato troppo impulsivo e ho frainteso la vostra gentilezza.»
Non lo sto ascoltando. Fisso il suo collo, vedo la fatica del respiro e mi chiedo se ciò che ha detto sia il risultato di una scelta pensata o di mera impulsività. Titus è razionale. Prima di mettere in pratica un piano, lo stila dettagliatamente. Di certo, lui non ha parlato per dare fiato. «Me lo promettete?»
Fisso Titus, che ora ricambia il mio sguardo. Mi avvicino di un passo, per l’urgenza di sapere. «Me lo promettete? Mi promettete che a guerra finita mi porterete con voi?»
   «Dalila, voi non capite.»
   «Di certo non comprendo.» Ammetto cauta. «Eppure ho la speranza che almeno un poco voi mi vediate come una donna.»
   «Vi vedo come una donna. Tuttavia, al vostro fianco dovrebbe esserci un uomo vigoroso, in grado di darvi sicurezza.»
   «L’uomo che ho scelto siete voi. Promettetemi che mi porterete con voi. Posso rimanere al vostro fianco, come mera presenza. Ve ne prego, però. Se questa guerra un giorno avrà fine, se un giorno potrò essere solo donna e non esorcista … ve ne prego, portatemi con voi.»
Abbozza un sorriso. «Dalila, voi siete la donna che vorrei al mio fianco. Io posso essere l’uomo che voi volete al vostro?»
   «Senza alcun dubbio.»
Mi prende il volto tra le sue mani. Appoggia la sua fronte alla mia, in un gesto intimo. Chiudo gli occhi, trattenendo le lacrime. Per tutto questo tempo, per questi anni, ho sempre desiderato essere qualcosa di diverso di un suo sottoposto. Ora poteva esserci un futuro. Avrei esorcizzato chiunque, senza pietà, con la speranza che un giorno, magari da anziani, potessimo accoccolarci nel nostro letto, dormendo abbracciati. Condividendo gli incubi e cercando di dimenticare la verità della nostra natura. «Io ve lo prometto, Dalila.»
Con un gemito apro gli occhi. Fisso il soffitto buio della stanza. Appoggio il braccio sugli occhi, scossa da singhiozzi. Non hai mantenuto la promessa.
Stronzo.
Non hai mai mantenuto quella dannata promessa!

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Capitolo 7
*** 7 ***


7



         Mamma è in riposo. Significa che si è svegliata per prepararci la colazione e mi sta osservando rigirare la ciottola dei cereali. È bello vederla a casa, ogni tanto. Ho lo stomaco chiuso. Ripensando a quanto ho mangiando in quest’ultimo periodo è un miracolo. Finalmente sono satura.
Mi ero ricordata quella promessa già prima del sogno. Quello che non ricordavo era la felicità di poter stare finalmente con l’uomo che amavo. Se mi fossi innamorata di chiunque altro, che mi avesse ricambiato, sarebbe andato bene. Johannes o meno, sarei stata una donna a tutti gli effetti. Un amore proibito: che c’era di male? Amare Titus era diverso. Lui rispettava le regole, anche a scapito della sua felicità. La missione dell’Ordine era più importante della sua vita, della mia e della nostra felicità. Mi ostino a parlare al passato, eppure Chase non è tanto diverso da Titus. Due appuntamenti e non mi ha neppure baciata. Certo, avrebbe baciato qualcuno che non ricordava chi era e che lui odiava perché riteneva una traditrice, ma poi? Quello che c’era tra di noi se n’è andato per sempre? Perché io sono ancora innamorata di lui. Se la lussuria fosse il vizio di qualcun altro, avrei chiesto aiuto. Di fatto, non avrei detto nulla a Jamar.
   «Tesoro, hai intenzione di mangiare quei cereali?»
Alzo lo sguardo stordita. Dentro la ciotola c’è un mucchio di poltiglia dalla dubbia origine. Mamma mi sfila la colazione dalle mani. Tanto non l’avrei mangiata comunque. Si siede vicino a me, mentre Edward si mangia la pastina con gli occhi sbarrati davanti ai cartoni animati. «C’è qualche problema?»
   «No, va tutto benissimo.»
   «Con … Chase va tutto bene?»
Perché le mamme hanno i radar per certe situazioni? Abbasso lo sguardo, fissando il cucchiaio che reggo ancora tra le mani. «È … complicato.» 
   «Tesoro, se quel ragazzo ti sta forzando a fare qualcosa che non vuoi, di certo non è il ragazzo per te.»
Chase che mi forza? Magari lo facesse! Dannazione, mi sono innamorata di un ragazzo moderno che è bloccato nella mente della sua reincarnazione del 1400! Alzo una spalla. «Chase è un ragazzo all’antica. È un cavaliere.»
   «E qual è il problema?»
Come fai a dire a tua madre che è proprio il suo self-control il problema? Ci farei una pessima figura. Non crederebbe mai che gli sbavo dietro da secoli e ancora non ci siamo presi per mano. Questo non è controllo: è masochismo allo stato puro. Mamma aspetta che gli spieghi il problema e, prima di pensarci, mi escono parole sincere. «Ho paura che lui mi piaccia più di quanto io piaccia a lui.»
   «Gliene hai parlato?»
   «No.»
Mamma pulisce con una mano la tavola. Il risultato è una marea di briciole per terra e una serie di impronte sbavate sul piano. Ottima scena del crimine. Oggi pulisce lei. Mi passa una mano sui capelli, la stessa tra l’altro che ha atterrato tutte quelle briciole. Grazie, mamma. Non sia mai che gli abiti sgualciti per gli esorcismi e l’aspetto da affamata non bastino ad affermare la tristezza della mia natura. Pure un formicaio in testa, devo avere. «Mi piacerebbe conoscere questo ragazzo. Devo fargli una bella ramanzina. Stasera invitalo a mangiare da noi.»
Cosa? Chase in casa mia? La superbia che cammina per lo stesso corridoio in cui io gattonavo? Che parla con mamma? E mamma gli risponde? Chase conosce fatti della mia vita passata e sfaccettature del mio carattere che mamma ignora. Dall’altra parte, mamma ha una serie di aneddoti spassosi sulla mia infanzia che di certo mi faranno morire. Sono attaccata da due fronti. Lie compare vicino a me, cercando di non attrarre l’attenzione di mio fratello che, a quanto pare lo vede. E se vede il mio vizio, ora che ci penso, vede pure i fantasmi. Prenderò a craniate il tavolo tra … tre, due, uno. «Stasera? Va bene, gli chiedo se può.»
Chase sicuramente sarà occupato. Prendo per mano Ed e mi convinco per tutta la strada. Di certo ha altro da fare. Lascio Edward davanti alla sua scuola. Fa uno scatto e corre incontro a un suo amichetto. Ha un’aria stranamente familiare. Potrebbe essere quel maleducato del suo amico che ha osato chiamarmi “signora”. Ho sedici anni, marmocchio. Dammi del tu e tira via quella “signora”, moccioso! Sospiro. 
Una mamma sta bisbigliando alla sua vicina, indicandomi. Sono certa di essermi messa i pantaloni e la faccia è pulita. Le ferite sono medicate e mi sembra di essere okay. Le briciole in testa! E che cavolo … sono dei piccioni se le individuano da quella distanza, però. Non mi piacciono che mi fissino. Forse sono solo paranoica e ho paura che, se mi giro, un fantasma mi saluta con la mano. Un’altra donna sta cercando in borsa un qualcosa. Ho il sospetto che ci sia l’invidia di mezzo. Sospiro un’altra volta e mi ritrovo Philippe a un passo da me. «Dimmi che non ti hanno seguito e non mi ritroverò la mia faccia su un qualche telegiornale.»
Abbozza un sorriso, incitandomi a camminare. La donna si è letteralmente buttata dentro la borsa e credo che invece di cercare un pezzo di carta lo stia fabbricando con i denti. Il tutto per un possibile autografo. «Avevo bisogno di parlarti.»
   «Mi fa piacere, ma la mia idea di giornata non prevede di camminare per strada con un modello famoso, rischiando di essere fotografata e di dire addio a quel poco di vita normale che mi rimane.»
   «Non ti preoccupare. Ti rubo giusto il tempo per accompagnarti a scuola.»
   «Ti accontenti di poco se ti basta l’invidia di un gruppo di mamme e di adolescenti.»
Sbuffa. «Stai zitta e ascoltami. Sono convinto che Chase non abbia l’intenzione di dirti tutto quello che è successo ieri. E tu vuoi la versione completa, giusto?» Il mio silenzio è una risposta più che esauriente. So già che Chase ha la tendenza a non dire tutta la verità. O per lo meno non dice le parti che ritiene più impressionanti ed è così abile da nascondermi le menzogne, perché non puoi mentire se non dici nulla. Dall’altra parte, Daulus è sempre stato privo di questo genere di premura. Come sempre, il nostro passato e il presente combaciano. Mi fa cenno con la testa di seguirlo. «Ieri siamo andati all’incontro con Marco. Non ne so molto di menzogne, ma quell’uomo nasconde più di quello che mostra. Chase lo ha punzecchiato sul nostro passato, sulle nostre morti, sul nostro aspetto. Ha sviato la conversazione dicendo che ha letto molto.»
   «Sul diario di Johannes non può essere scritto tanto.»
   «Ha parlato di altre fonti, molto generali. Sappiamo già che l’Inquisizione annotò la nostra morte nei suoi registri, quindi tutto quello che ci riguarda, almeno lì, è giustificato.»
Non ha senso. «E il nostro aspetto?»
   «Avevamo appena liberato la Città degli Spiriti e lui ci ha visto esorcizzare l’ottavo livello. Collegamento causa – effetto piuttosto semplice.»
   «L’aria era troppo carica di negatività. Non sarebbe potuto sopravvivere.»
   «Si è avvicinato quando lo spirito ha iniziato a perdere il suo potere.»
Sbuffo. «Okay, è chiaro che Chase ha già portato avanti questa conversazione meglio di quanto possa fare io. Qual è il punto che Chase non direbbe?»
   «Marco fa parte di un Ordine cattolico particolare.»
   «Non mi interessa la setta di cui fa parte quell’uomo.»
   «Strano.» Fa notare Philippe, massaggiandosi il mento. «Strano che non ti importi, visto che è la stessa setta cui facevamo parte anche noi.»
Mi immobilizzo, fissando Philippe camminare per altri quattro passi prima di fermarsi e osservarmi. «L’Ordine degli Esorcisti è integro? Dopo tutti questi secoli?»
   «Non lo definirei integro. È chiaro che vengono mantenute le stesse leggi, gli stessi principi e che la missione principale della setta sia quella di esorcizzare gli spiriti. Ma si ferma tutto lì. Loro si concentrano più sulle possessioni.»
   «Le possessioni?» Sono solo spiriti di quarto livello che, a volte, entrano in contatto con persone dalla mente instabile. Una rarità anche per noi. «Quanti sono? Uno su un milione?»
   «All’incirca.» Mi sorride. «Conosco qualcosa di noi per fama, sanno che il loro lavoro è … mediocre e … cosa ha detto Marco? Giusto, di minimo interesse. Ha accennato al fatto che noi potremmo riprendere il nostro posto.»
Siamo stati uccisi perché eravamo esorcisti. Con che coraggio ci possono richiedere di tornare al ruolo che ci ha portato alla morte? «Chase cosa ha risposto?»
   «Ha usato un linguaggio colorito che non ho intenzione di riportare. Credo che la tua espressione sia abbastanza esaustiva.» Fino adesso le mosse di Chase sono identiche alle mie. Quando non ci diceva qualcosa era perché la sua decisione, nell’immediato, era contraria ai nostri principi. Ad esempio, una volta Titus ci aveva dato l’ordine di rientrare da una missione senza averla portata a termine. Costretti ad ubbidire, poco dopo il nostro rientro avevamo subito un attacco da più spiriti di quanti saremmo stati in grado di combattere in solitaria. Infrangendo la nostra missione, avevamo in realtà salvato la nostra dimora.
Philippe abbozza un sorriso, incitandomi ad affiancarlo e a continuare a camminare. In effetti dovevo pure muovermi per andare a scuola! «Marco ha persuaso Chase a pensarci più attentamente. Secondo lui, se ci siamo reincarnati è per riprendere il nostro posto all’interno dell’Ordine.»
   «Lo sta prendendo in considerazione?»
   «Sì. Non mi ha detto di tacervi la questione, ma tu sei l’unica che può farlo desistere. Se torniamo all’interno dell’Ordine sarà come secoli fa. Saremmo alla loro mercé, sbattuti da una parte all’altra del globo per eseguire degli ordini. Chase è il nostro capo, lo sai che tutti noi lo seguiremo. Questo Marco, invece, non lo conosciamo. Sa esattamente dove puntare.»
   «Chase. La missione.»
Tutto, questa mattina, si concentra su queste due parole. Chase e la sua ossessione nello svolgere il nostro compito di esorcisti. Per questo non avevo mai potuto stare con lui e, guarda un po’, è lo stesso motivo che mi farà riprendere la Falce dal mantello.
   «Chase farà la scelta migliore per l’Ordine. Se c’è la minima possibilità che la nostra missione possa essere completata con un’alleanza con Marco, stai sicura che lui lo farà. Indipendentemente da tutto il resto.»
   «Quanto si aspettano la risposta?»
   «Non è stato detto.»
Annuisco. Ovvio, devo parlare con Chase della questione. In ogni modo, anche lo spirito di livello superiore del giorno prima è preoccupante. Philippe mi saluta poco prima di arrivare all’entrata della scuola. Il nostro capo può non avergli detto di tenere per sé le informazioni, ma c’è una buona possibilità che io dovessi essere l’ultima persona a essere informata.
Natalia, una delle rappresentanti d’Istituto, mi fissa con sguardo carico di odio. Beh, bellezza, la mia giornata non sta andando per le migliori, quindi puoi sopportare la gelosia. Non vedo la schiera di ragazzi e ragazze che circondano Chase, quindi lui deve essere all’interno. O sta scappando o, più probabile, sta pensando seriamente alla proposta di Marco. È anche possibile che a molti non sia scappato l’avvicinamento di Chase a me, il che giustificherebbe per lo meno come il camminare per il giardino mi renda vittima di una serie di occhiatacce degne di un malocchio. All’interno dell’edificio mi sento più sicura. Vedo pure due docenti che parlano prima dell’inizio della lezione. Nessuno può colpirmi! Sono salva. 
Chase è al suo armadietto. I capelli sono arruffati e il suo viso è più magro e pallido. Eppure non l’ho mai visto con occhi migliori. Indossa una semplice felpa con il cappuccio e un paio di jeans. Le sue mani lavorano nel tentativo di estrarre dallo zaino un libro ostico. 
Sospiro, appoggiandomi all’armadietto vicino. Il prossimo film in cui vedo una ragazza che flirta con successo con un ragazzo … ecco, diciamo che il regista non sarà particolarmente felice della mia lettera minatoria. «Ho parlato con Philippe. Hai preso qualche decisione?»
Chase sfila da una pila di libri un quaderno distrutto. I movimenti sono calcolati, come se volesse evitare un confronto. «Ci sto ancora riflettendo.»
   «Okay.»
   «Mi vuoi dire che non è detto che, se ci siamo reincarnati, dobbiamo tornare all’Ordine?»
   «L’Ordine ci ha portato via abbastanza vita. Di questo ne sono convinta. È vero, ho contribuito alla mancanza di fiducia tra di noi, ma la vita ce l’hanno strappata loro. Johannes avrebbe dovuto difenderci.»
Chiude l’armadietto con stizza, buttando lo zaino al suo interno, una scossa si percuote intorno e mi fa vibrare il sedere come se fossi appoggiata a un idromassaggio. «Questo lo so. Credimi, vorrei davvero voltare le spalle alla nostra missione e dire che ci hanno portato via già troppo. Lo vorrei davvero, Bel. Marco ha delle informazioni sul nostro conto che solo Johannes conosceva. Non riesco a capacitarmene. Dobbiamo indagare, e anche questo punto non può essere tralasciato. Inoltre, siamo ritornati in vita. C’è sempre un motivo, per tutto quello che accade.»
   «Non è giusto.» Replico con stizza. Mi sento una bambina a cui è stato negato qualcosa. Mi mordicchio un labbro, vomitando in cuor mio parole che avrebbero dovuto rimanere sigillate. «Dovevo sapere che le tue promesse sono solo parole.»
   «No, Bel.» Mi prende il volto tra le sue mani, stringendolo appena. È il contatto più ravvicinato che abbiamo avuto da … beh, da parecchio tempo. Scuote la testa, appoggiando la sua fronte alla mia. Come quella volta. Socchiude gli occhi e posso dimenticare anch’io che siamo in una scuola, che ci sono altre persone oltre a noi. Non importa neppure se guardano, e state certi che chi ha due occhi sbircia tutto. «Te l’ho promesso. Non erano solo parole.»
   «Ci vuoi mandare ancora a morire.»
   «No. Impedirò che veniate feriti. E noi due avremmo la nostra vita. Questo mi spinge ad andare avanti. Devi fidarti di me. Fidati di noi.»

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Capitolo 8
*** 8 ***


8
 
 
 
            Cambio di programmi. Chase ha accettato l’invito. Non serve puntare sulle emozioni del mondo, sul rinfacciare una promessa mai mantenuta o su una guerra che potrebbe ricominciare. Non importa. Se una giornata deve andare male, di certo lo farà. Così Chase ha accettato l’invito di mamma e io mi ritrovo a dover fronteggiare tre fuochi: il mio rapporto con Chase, gli aneddoti di mamma e le psicosi di Lie. Non necessariamente in questo ordine. Non necessariamente una alla volta.
Mamma ha pulito casa. È uno specchio. La tavola è imbandita, un cesto mai visto prima accoglie della frutta, mai vista prima neppure quella. Se non fossi agitata per conto mio, mi arrabbierei con mamma. Cosa siamo io e Edward? Perché noi mangiamo sempre cibi precotti del take-away? O pasta che dura una settimana almeno? Sul fornello mamma sta cucinando della pasta, mentre nel forno c’è lo sfrigolio dell’arrosto. La casa profuma di famiglia, per quanto le foto di papà fanno notare che qualcuno manca all’appello. Il campanello suona. Sono così tesa e agitata che corro alla porta prima che Chase decida di omaggiare la casa con un altro scampanellio. La apro. Il ragazzo è agitato quanto me, seppur per lui la cosa è meno palese. Stringe spasmodicamente il contenitore che regge con una mano, mentre l’altra è ancora sollevata nell’atto di suonare il campanello. Indossa un paio di jeans neri e una maglia a maniche lunghe bianca. Il giubbino è aperto e immagino si stia già pentendo di essersi vestito troppo. Con tutti quei forni accesi, in casa c’è rischio di cottura involontaria degli ospiti. «Ehm, ciao.»
Gli prendo il contenitore, qualunque cosa sia, dalle mani. «Ti prego Chase. Ti prego. Niente battute, niente … niente cose che mamma potrebbe usare contro di me. Per piacere.»
Si lascia andare a una risata. «Ti sembro il tipo?»
   «Ti devo rispondere?» Menzogna e arroganza: su, seduti tutti a tavola che inizia lo spettacolo. Mi sposto per farlo entrare, accorgendomi solo in quel momento che il poveretto si è pure fermato in pasticceria per prendere un cabaret di pasticcini. E l’ingrata che lo ha invitato a casa è quella che lo ha aggredito alla porta. «Grazie, ma non ti dovevi disturbare.»
Pigolo piano, spostandomi come uno spettro che segue le ombre. Mamma ha appoggiato su una sedia il grembiule e sorride nervosa. «Mamma, lui è Chase. Chase, lei è …»
Mamma allunga la mano, stringendola. «Sono Emma.»
   «Piacere.»
Appoggio sul piano i pasticcini, mamma si dilunga su una serie di “grazie ma non dovevi” a cui viene risposto con un “si figuri e grazie per l’invito” un po’ classici. Per il momento nulla di grave. Da una veloce occhiata, credo pure che Chase possa piacere a mamma come ragazzo. Certo, questo mi lusingherebbe se io e lui fossimo una coppia. Solo che non so ancora bene che cosa siamo.
   «Ciao Chase!» Edward gli corre incontro, felice. Basta poco per conquistare mio fratello. Un dinosauro va benissimo, ma in mancanza d’altro anche una moto. «Sei venuto in moto? Sai mamma che Chase mi ha fatto salire sulla sua moto? È stato divertentissimo.»
Okay, i punti da cui posso essere attaccata sono quattro. D’istinto fisso mamma, che ha assottigliato gli occhi con fare minaccioso. Quando Chase se ne andrà, io e Edward dobbiamo fare una bella chiacchierata fraterna. Sempre che sopravviva a una molto probabile sfuriata. «Ehm. Mamma, la moto … ehm …»
Chase passa una mano sui capelli di Edward, arruffandoglieli. «Già. Se non sbaglio quel giorno eri stato male a scuola e non te la sentivi di camminare.»
   «Sì. La prossima volta però voglio correre in moto. L’altra volta tu la spingevi e basta.»
Chase sorride. «Se ne parlerà quando sei più grande.»
Okay, pericolo scampato. Mamma annuisce e fa sbocciare un nuovo sorriso. Controlla la cottura delle verdure alle sue spalle, prima di prendere la giacca di Chase e dire a mamma che gli faccio vedere la casa. E colgo l’occasione per un sospiro di sollievo. Potrei arrivare a domani. Chase si avvicina a Edward, mamma mi fissa e io le sillabo di non preoccuparsi, la porta della stanza rimane aperta. Avrei potuto mimarle la cintura di castità, per la mentalità di Chase, ma non ero certa che la mia arte mimica fosse così ottimale. Per quanto ne sapeva lei, avrei potuto dirle esattamente l’opposto.
Edward ha già mostrato il salotto, facendogli pure vedere un pezzo del “Re Leone”. Sì, oggi in casa c’è molta Hakuna Matata. Lo libero da mio fratello, mostrandogli … beh, il bagno. Per ogni problema, fisico o psicologico, quello sarebbe stato la sua unica fuga.
   «Quindi è qui dove vivi.»
   «Sì. Non ho trovato cripte o monasteri per la mia famiglia. Meglio accontentarci. Questa è la mia stanza. Lì vicino alla finestra c’è la mia scrivania e … quello è Lie.»
Lie se ne sta seduto, apparentemente senza interesse, fissando me e Chase che ricambiamo lo sguardo. Beh, in particolari occasioni era capitato di vedere qualche vizio altrui, per quanto Lie e Titus insieme mi sfuggisse. Sarà perché a quel tempo, Lie era consistente quanto un’ombra. Sarà anche perché, essendo una bugiarda, il mio vizio mal si collocava in una qualsiasi riunione tra esorcisti. Chase si avvicina, inclinando la testa da un lato. «Interessante.»
Gli occhi di Lie si spostano da Chase a me. Sta chiedendo aiuto. D’istinto mi avvicino. «I suoi poteri sono rimasti invariati, nonostante abbia questo nuovo aspetto?»
   «Sì. Lie ha gli stessi poteri di un tempo. Ha questo nuovo aspetto dopo aver fatto un patto con uno spirito. Prima di liberare il bambino, Lie ha preso la sua … ehm … manifestazione fisica.»
Chase lo sta guadando come uno scienziato farebbe con un esperimento. Gli fa cenno di alzarsi e, seppur riluttante, Lie fa un giro di trecentosessanta gradi su sé stesso prima di risedersi. Non mi sorprenderei se Chase costringesse Lie a stendersi su un vetrino. E dal terrore del mio vizio, è probabile che acconsentirebbe pure. «Il suo aspetto è interessante. È un vizio ma gli manca tutta la parte del solo spirito. È come fermo tra due realtà, la mortale e la viziosa.»
   «E questo è un bene?»
   «Non abbiamo mai indagato da quel punto. È possibile … è possibile che potrebbe vivere per un certo periodo anche se il suo esorcista fosse morto.»
Mi fa piacere saperlo e, per scaramanzia, tocco ferro. Le mie condizioni di salute non sono delle migliori, ma non morirei più felice se Lie mi sopravvivesse. Non so se intendo. Chase continua incurante. «Gli altri vizi di certo sapranno dare più informazioni in merito.»
   «Stanotte ci dobbiamo incontrare.» Biascica Lie, a bassa voce. Edward potrebbe sentirlo e vorrei tanto che non entrasse nella stanza per vedere noi due parlare con un fantasma. «Anche Endive ha detto che la mia manifestazione è strana. Credo che gli altri vizi stiano valutando di prendere in prestito l’emanazione di uno spirito.»
Corruccio la fronte. Perché diavolo parla tanto liberamente con Chase, quando io per fargli dire la verità devo pungolarlo per due volte? Chase mi guarda. «Devi aver fatto qualcosa per permettere allo spirito di ascendere senza esorcizzarlo.»
Cerco di ricordare quel lontano giorno. Certo, i ricordi non sono particolarmente piacevoli e lo spirito bastardo che ho davanti non mi ha aiutato in nessun senso. «Sì. Ho risolto il mistero della sua morte. Lo spirito mi ha chiesto di aiutarlo, l’ho seguito e ho smascherato chi l’ha ucciso. Cosa pensi?»
Scuote la testa. «Ti ricordi quella volta, quando vi ho richiamato dalle vostre missioni per proteggere l’Ordine? Quella volta ho avuto la sensazione di dover fare qualcosa. Come quel giorno, adesso so che è importante l’aspetto di Lie. Penso che prima o poi ci tornerà utile.»
   «Ci tornerà utile avere dei vizi con manifestazioni strane?»
   «No. Ci tornerà utile dei vizi che possono sopravvivere alla nostra morte.»
Dopo questa interessante conversazione, la serata poteva solo peggiorare. Mamma ci chiama, Lie se ne va per la sua riunione con gli altri vizi, Edward reclama l’attenzione di Chase. Mi sa che il cuore di quel ragazzo sarà la sfida dei fratelli Wright. Rispetto alle mie aspettative, la serata sta andando bene. Ho tentato il suicidio solo due volte, l’ultima delle quali quando mamma ha riportato una conversazione in cui affermavo che preferivo Chase a Philippe. Sì, molto divertente. Lei muore dal ridere, io muoio e basta, Chase abbozza un sorriso prima di guardarmi serio. Si sta pentendo di essere venuto a casa mia, almeno quanto me di averlo invitato?
Mamma continua le sue indagini alla Law & Order, scoprendo che Chase è figlio unico di padre avvocato e mamma casalinga. Vive con il nonno infermo e una nonna pettegola, a questo punto vorrei far tanto incontrare la mia di nonna, che li stenderebbe entrambi con un colpo alla Wright.
Chase ride, portandosi una mano alla bocca e appoggiando il pasticcino sul piatto. Con me non ha mai riso con tanta libertà. Forse la nostra morte non è stata un qualcosa di pianificato. Sai, Chase, ho la sensazione che ci abbiano solo voluto punire. Come Icaro, avevamo iniziato a voler qualcosa che non potevamo toccare. Come Icaro, siamo crollati al calore dei nostri stessi desideri. Se fosse così, davvero, sarebbe orribile.
 
† † †
 
          Eliza mi apre la porta. Entro in casa, pensando che ne ho fatta di strada. Prima Eliza non mi avrebbe mai voltato le spalle, ora vedo pure Warren annotare su un block notes tutti gli oggetti sul tavolo. Ne avevo avuto il sospetto con l’auto, ora ho la certezza che l’avarizia di questo secolo è un ladro. Di che mi sorprendo? Anche nel passato Maximus era un po’ duro di comprendonio sugli aggettivi possessivi. Doveva essersi perso quella lezione anche alle scuole elementari di questo secolo. Mi siedo su una sedia libera vicino a lui, mentre Robert ridacchia alla battuta del protagonista della sitcom che trasmette per la televisione. Julia si mordicchia un dito, intenta a leggere un libro di scuola. Oddio, scuola. Devo studiare anch’io! Jamar, per terra con la schiena appoggiata al muro, ha gli auricolari alle orecchie, canticchiando a bassa voce quella che deve essere una delle nuove canzoni del gruppo. Bene. La cosa positiva della faccenda è che sarò sempre informata su quello che succede agli Amantine. All’appello mancano Chase e Philippe. Dopo la brutta figura della sera prima su chi dei due mi piacesse di più, il saperli insieme mi mette a disagio. Chase è abbastanza cavaliere da non dire a Philippe che io lo preferisco a un modello, Philippe in ogni modo si disinteresserebbe della questione, ma non vorrei mettere troppo la mano sul fuoco. Il mondo maschile è complicato. In più dubito che l’invidia sia felice di essere considerata seconda alla superbia.
Warren mi colpisce il gomito, passandomi un coltellino e un orologio. «Visto che non hai nulla da fare, cancella il numero identificativo.» È sempre stato il mio sogno fare la ricettatrice. Sospiro, iniziando a raschiare piano. Mi chiedo perché lo sto facendo e, soprattutto, perché non mi crea problemi a livello morale. Probabilmente il vero motivo del mio disinteresse è che non ho una vera e propria morale. Quando ci hanno distribuito le virtù, il gruppo degli esorcisti deve essere stato saltato di netto.
Eliza apre di nuovo la porta, Chase e Philippe entrano. Sono entrambi seri, quindi non ci sono buone notizie nell’aria. Anche il fatto che Chase si è avvicinato a me e Julia alla mattina per bisbigliarci che al pomeriggio ci dovevamo incontrare da Eliza non annunciava un’Exorcist Party.
Chase fa un cenno con il capo, Philippe prende posto vicino a me nel tavolino, mentre Eliza si siede sul divano tra Julia e Robert. Jamar appoggia gli auricolari a terra, alzando la testa verso il capo. Si muove con passi cauti. Non c’è nervosismo, seppur ha un’espressione dura. «Immagino che tutti sappiate cosa ci ha proposto Marco.»
Robert sbarra gli occhi, guardandosi in giro smarrito. Le risate registrate accolgono la sua domanda. «Cosa?»
Eliza spegne la televisione con un clic. Siamo immersi in un silenzio quasi sepolcrale. I rumori esterni, il chiasso delle auto, le grida per la strada, ci giungono stranamente ovattatati. «Per evitare incomprensioni, ripeterò. Marco Watson, l’uomo che abbiamo incontrato, ci ha proposto di rientrare a far parte dell’Ordine degli Esorcisti, l’ordine cui facevamo parte quando fummo uccisi. Prima che si alzino cori di protesta, non ho ancora deciso come agire in tal senso. Ci sono delle questioni non chiare sul motivo per cui ci siamo risvegliati. L’unico modo per indagare sarebbe di ritornare alla nostra missione, meglio se con la protezione dell’Ordine. In ogni modo, sia l’Ordine sia questo Marco nascondono qualcosa, quindi vi inviterei ad agire con maggior cautela.»
   «Sì.» Ammette Philippe, picchiettando con un dito sul tavolo. In mano reggo ancora l’orologio con metà del codice identificativo cancellato. «E poi la situazione attuale non è proprio delle migliori. Chiunque abbia dei fatti in sospeso con il suo passato, sarebbe meglio che li mettesse in chiaro.»
È una mia impressione, o un sacco di gente distoglie lo sguardo? E come mi permetto di parlare dei segreti degli altri, nella mia situazione? Jamar alza le spalle, tamburellando con una mano sul ginocchio. «Che venga chiunque del mio passato. Io non ho segreti.»
   «Davvero? Neppure la figlia tua e di Lartia, esorcizzata da Amabel di recente?»
Dio, se stai aspettando un momento giusto per fulminarmi … ecco, adesso sarebbe ben apprezzato!

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Capitolo 9
*** 9 ***


9
 
 
 
          Jamar è immobile, gli occhi fissi su Julia. Chase si permette di guardarmi con mite sopportazione, alzando un sopracciglio. Io, nel passato, non ho mai avuto rapporti con nessuno. Ero casta e pura. E ora che ci penso, lo sono pure adesso, quindi doppiamente non dovrebbe permettersi di guardarmi così. Ho il terrore di guardare Julia. Credo, ma credo, di essermi dimenticata di dirle che ho esorcizzato sua figlia di recente.
   «Avevo una figlia?» Si permette di chiedere Jamar con voce strozzata, dopo quello che mi sembra un’eternità. Julia alza le spalle. «È stato tanto tempo fa. E come ha detto Philippe, non c’è più nulla da fare. Amabel l’ha esorcizzata.»
   «Sì, ma non sono stata io a partorirla!» Mi difendo. Lartia l’ha partorita! È quello il punto del discorso. Il fatto che io l’abbia esorcizzata è solo stato un increscioso susseguirsi di botte di culo che hanno fatto in modo che io, l’unica che l’aveva vista nascere, sia stata anche la persona che l’ha esorcizzata. Puntare il dito sulla solita bugiarda non è molto gentile, a questo punto!
Io e Jamar non siamo mai andati particolarmente d’accordo. In qualsiasi situazione ero convinta che mi avrebbe puntato il dito contro, colpevole o innocente. Mi sorprende. Alza una mano, scacciando una qualche mosca. «Lascia stare Amabel. Avevo una figlia?»
Julia incrocia le braccia al petto. «Sì.»
   «Quando diavolo pensavi di dirmelo?»
D’istinto Julia alza lo sguardo per incrociare quello di Chase. Il ragazzo ne sembra quanto mai sorpreso. Questione di un minuto, poi il ragazzo fissa Jamar. È chiaro che Chase non sia felice di doversi introdurre in una discussione in scivolata, almeno dal tono incerto della voce. «Lo so che la situazione è particolarmente importante. Ti chiedo di pazientare un po’. Dobbiamo …»
   «Ho avuto una figlia, Chase. Al momento ho altre priorità.»
Chase continua, più sicuro. «Philippe ha detto il giusto. Marco e l’Ordine ci stanno nascondendo qualcosa. Noi per primi dobbiamo fidarci gli uni degli altri, perché qualcosa nel nostro passato vuole che noi siamo qui, in questa città e in questo secolo. Dobbiamo mettere in luce tutti i nostri segreti, perché è chiaro che chiunque ci sia dietro questa storia se la prenderà con noi. Capisco, Jamar, che in questo momento tu possa essere adirato. Non ti sto dicendo di dimenticare. Devi darci qualche minuto, in modo da capire se eri il solo ad avere dei segreti.» Mi fissa un attimo, prima di aggiungere. «Oltre alla sorella di Dalila.»
Abbasso lo sguardo. Vorrei non essere arrabbiata con lui o con me stessa. Immaginatevi di aver avuto un futuro felice a un passo da voi e averlo perso per così poco. E per di più a causa vostra. Sono convinta che se non avessi taciuto di Malachite, un giorno, io e Titus avremmo avuto una nostra casetta in un piccolo villaggio. No, aspetta. Troppo ottimisticamente ingenuo.
Robert si gratta la testa. «Non so, Chase. Sembra assurdo che qualcosa fatto nel passato si ripercuoti nel presente. Possiamo anche dire che qualcuno nel passato ci volesse morti, ma …. Noi non abbiamo pestato i piedi a nessuno.»
Sei paia di occhi, escluso Robert, si concentrano su Warren. Nel passato era taciturno, niente da dire, ma stronzo abbastanza da mollare pugni alle persone senza neppure chiedersi il perché. E davanti a lui, pure tra le mie mani, ci sono validi motivi per cui ogni persona che parlava con Maximus avesse una mano sulla cintura e l’altra sulla borsa. Alza una spalla. «Ehi, sono un ladro litigioso ma non ho mai picchiato nessuno che potesse riportarci in vita. Cambiate bersaglio. Avrò rotto parecchie ossa e di certo non ero l’esorcista più apprezzato, ma qualcun altro faceva saltare i nervi!»
La partita di tennis si sposta, concentrandosi su Philippe. È piacevolmente seduto e ci sorride. «Confermo, ma chi ha fatto la prova sugli spiriti, per vedere il loro livello di sopportazione alle nostre armi?»
   «Ti avverto, Philippe, che una volta usciti da qui ti massacro di botte.» Ringhia Julia, colpita nel segno.
Il ragazzo sospira, sognante. «La voce della verità. E parliamo di Robert. Anche lui ha fatto innervosire parecchie persone. Ricordo che un intero villaggio ha chiesto che tu fosti fustigato. Ogni volta che qualcuno ti chiedeva qualcosa, sempre, tu dicevi solo che non ne avevi voglia.»
   «Il mio vizio è l’accidia!» Si difende Robert.
Philippe alza le spalle. «E il mio è l’invidia. Non significa nulla. Non tutti si fanno dominare come te. O Eliza. Anche con te le persone ce l’avevano. Quando volevi un qualcosa la prendevi, sempre e comunque. E Jamar, siamo amici ma, ragazzo, quante donne altrui ti sei fatto?»
Jamar è troppo concentrato su Julia per aver la forza di rispondere. Con un sospiro, Philippe fissa me e Chase. «Rimangono i nostri due capi. Credo che sappiate anche voi quante persone volessero le nostre morti. Il problema non è se c’era qualcuno nel nostro passato che aveva un buon motivo per ucciderci. Quello che preme sapere è chi, adirato con noi nel passato, possa volerci morti nel presente.»
Eliza passa una mano sulla spalla di Julia, in un tenero abbraccio. «Forse non è neppure quella la parte importante. Chiunque ci abbia voluti morti nel passato ha compiuto la sua missione. Siamo morti. Fine della storia. Anche noi eravamo all’oscuro della possibilità di reincarnarci.»
Appoggio l’orologio al tavolo, allontanandolo da me. Avevamo fatto incazzare davvero così tante persone? Ho la sensazione, non c’è altro modo di dirlo, che il vero motivo di quegli omicidi fosse altro. Eravamo solo otto persone che si spostavano per i villaggi, esorcizzando spiriti e avendo il meno rapporto possibile con i vivi. Tranne che con noi, il nostro rapporto con i popolani era a dir poco assente. Maximus poteva aver i suoi giri nelle osterie, poteva rubare e litigare con le persone, ma per lo più era normale. Ti ritrovavi in un luogo in cui sapevi perennemente che la borsa e la vita avevano la stessa importanza. Noi che cosa potevamo offrire? Senza di noi, il mondo era andato avanti piuttosto bene lo stesso.
Robert si sta massaggiando la testa. Cerco di incrociare lo sguardo di Jamar, per chiedergli scusa ma il suo rancore è tutto per Julia. Distolgo lo sguardo dalle loro debolezze perché questo mi permette di dimenticare che anch’io, come loro, sono in trappola. «Non abbiamo modo di scoprire nessun tipo di verità, né che riguardi il nostro passato né il nostro futuro. Guardaci, Chase. Facciamo fatica a stare nella stessa stanza. Ci sono troppi segreti nel nostro passato per metterli alla luce adesso, nero su bianco.»
   «Allora siamo tutti perduti.» Ammette lui.
Julia si allontana da Eliza dolcemente. La vedo alzarsi in piedi e dirigersi verso di me. Appoggia una mano sulla mia, in un gesto rassicurante. Mi abbozza perfino un sorriso quando alzo lo sguardo, un modo per farmi capire che non ce l’ha con me.
Lascia la mia mano, inginocchiandosi davanti a Jamar. «Noi due non saremmo dovuti stare insieme.»
   «Un po’ tardi per dirlo.» Replica sprezzante il ragazzo.
   «Jamar, ti prego, lasciami parlare. Sei libero di odiarmi, se vuoi, ma hai ragione: ti meriti una spiegazione. Noi due non dovevamo stare insieme. Lo avevamo fatto per capriccio, forse. Di certo per opporci agli ordini di Johannes e Titus. I nostri sentimenti non erano dei più nobili e tu, più di qualche volta, mi hai detto che noi non siamo destinati ad avere figli. Quando ho scoperto di essere incinta, sapevo che era sbagliato. Johannes avrebbe preso la bambina. Ho la convinzione che l’avrebbe potuta uccidere, perché non sappiamo cosa due esorcisti potenti come noi potevano creare. Quando non ho più potuto tenerlo segreto, ho chiesto aiuto a Dalila. Sapevo che mi avrebbe aiutato, sapevo che mi era fedele e che non avrebbe detto nulla. Arrivò subito e rimase con me per tutto il tempo della gravidanza. Il parto fu doloroso. Non potevamo chiedere aiuto a una levatrice, solo Lie e Ire ci potevano aiutare. Era una bambina, Jamar, una bella bambina. L’ho amata subito e, credimi, in cuor mio sapevo che saresti stato un ottimo padre. La nostra vita, però, non era per lei. Sarebbe stata inseguita, l’avrebbero cacciata, sarebbe stata una diversa. Volevo darle una possibilità. Un giorno, quando tutto fosse finito, te lo avrei detto e saremmo andati da nostra figlia. Lo avrei fatto, Jamar. Fino ad allora, non potevamo averla vicino. Obbligai Dalila ad abbandonarla in una chiesa …» Julia si asciuga una lacrima con il dorso, tirando su il naso e soffocando un singhiozzo. «La obbligai e sperai che un giorno nostra figlia avrebbe capito … avrebbe …»
Jamar sospira, allungando le braccia. Julia gli crolla sul petto, piangendo un pianto di seicento anni, un rancore e un pentimento che quel settimo livello non era mai riuscito a comprendere. Glielo avevo detto. Sei stata amata. Quella bambina era stata amata.
Mi bruciano gli occhi e mi pento di essere così debole. La mano forte di Warren mi attira a sé, stringendomi in una strizzata burbera. «Su su, basta piangere. Altrimenti come diavolo fai a cancellare la matricola?»
Da qualche parte Jamar bisbiglia “idiota”. Sì. Siamo tutti un po’ idioti.
Mi allontano e mi asciugo con la manica della maglia le lacrime. Chase sospira. «Prima di prendere qualsiasi decisione, gradirei che tutti voi veniste a vedere la sede dell’Ordine. Johannes … Marco ci ha invitato a farlo, prima di rifiutare l’offerta.»
Philippe tamburella con un dito sul tavolo. Robert osserva prima me, poi Chase. «Beh. Non c’è nulla di male, no?»
   «Già. Che male c’è se andiamo nella tana dell’orco?» Chiede Eliza, giochicchiando con il telecomando. Quando alza lo sguardo, sembra quasi che lo stia chiedendo a me. Mi passo nuovamente una mano sugli occhi, cercando di non concentrarmi su Jamar che sta abbracciando Julia. È un momento delicato. Noi non dovremmo essere lì. O forse sì? Abbasso lo sguardo. «Sì. Non piace neppure a me l’idea ma dobbiamo andare dall’Ordine. Non è una risposta. Non significa che noi torneremo a lavorare per loro. Stiamo solo …»
   «… prendendola in considerazione.» Replica Philippe, serio.
Chase annuisce. Sicuramente si aspettava che avremmo concordato nell’andare a vedere questo nuovo Ordine. O forse era lo stesso Marco ad aver sobillato in lui questa necessità. Quando mi alzo in piedi, anche gli altri mi imitano e seguiamo Chase. Usciamo dal condominio di Eliza, Jamar e Julia stanno parlando alle mie spalle. Sento l’urgenza di allontanarmi da loro, perché è sbagliato ascoltarli.
Philippe fa scattare l’apertura della sua auto, Eliza fa lo stesso a una decina di metri da noi. Domanda: se ha l’auto, perché Warren è stato costretto a rubarne una? Beh, conoscendo Warren, forse non è stato proprio costretto. Voleva solo un’auto. Philippe, Jamar e Julia entrano nell’auto, gli altri tre si dirigono in quella di Eliza. Sto per muovermi per seguire Warren, ma la voce di Chase mi blocca. «Bel, tu vieni con me.»
Ne ho combinata una delle mie? Mordicchiandomi le labbra, seguo Chase. Ha parcheggiato la moto in una via secondaria. Strano. Avrebbe potuto metterla anche davanti al condominio di Eliza, nessuno gli avrebbe detto nulla. A meno che non l’abbia nascosta perché quella via non sembra proprio portata alla legalità. Si gira, infilandomi al collo la collana con la croce. È gelida. «L’ho benedetta.»
   «Mm.»
   «È meglio che la tieni sempre al collo. Hai un aspetto orribile.»
Borbotto. «Molto gentile, Chase.»
   «Non so se te ne sei accorta, ma sei pallida come un fantasma. Cerca di fare meno esorcismi possibili senza … beh, hai capito.»
Mi mette tra le mani il casco, infilandosi il suo. Mi accorgo che è stranamente rosso in viso. Sposta la moto, sedendosi. Con una certa fatica, e un’agilità che mi vergogno di non avere in quella situazione, mi aggrappo a lui. Gli passo le mani sul petto. Dannazione. Il giubbino non nasconde il fatto che ha dei bei pettorali e che il suo corpo è estremamente caldo. Salire in auto con gli altri, ora come ora, sembra essere la scelta migliore. Sotto di me il motore ruggisce, mi avvicino di più a lui. Sento la sua mano soffermarsi sulle mie dita, prima di inclinare la moto per fare una curva. Mi torna in mente Edward con i suoi “Brum brum”. Usciamo dalla via, vedo Philippe che ci aspetta e, dietro di lui, Eliza ci fa i fari. Ottimo. Siamo pronti.
Non sono mai stata in moto. Però ricordo che mi piaceva correre a cavallo. È un po’ la stessa cosa. I capelli mi sbatacchiano sulla schiena, il mio corpo stretto attorno a quello di Chase. Ecco perché mi piace correre. Non è tanto l’esercizio fisico, per quanto la modernità dice e ridice che fa bene. Non è neppure il senso della libertà. È solo la velocità. Correre così veloce che ti sembra di lasciare indietro tutto il mondo, inseguire una scia sapendo che non hai molte possibilità di raggiungerla se rimani a poltrire. Mi sembra di poter quasi sfuggire ai miei stessi pensieri. Di certo il nostro destino non può raggiungerci.
Troppo presto ci fermiamo. Alle nostre spalle abbiamo lasciato la città, con le sue vie trafficate e gli alti edifici. Abbiamo imboccato una via sterrata vicino alla strada principale, immergendoci in un boschetto. Rallentiamo al cospetto di una grande cattedrale. Semplice, nulla di appariscente. Un grade edificio minimale di pietra, dalla facciata slavata a causa degli agenti atmosferici, dal tempo, o semplicemente per il materiale scadente. Nessuna statua, nessun orpello. Immobile, sospesa nel tempo.
Nonna mi ha sempre detto che dovevamo andarci, prima o poi, ma la lista di attesa per le visite guidate era così lunga che ha sempre desistito. Ora ne comprendo il motivo. È enorme, per quanto nulla del suo aspetto mi faccia pensare alla maestosità di una grande religione.
Scendo dalla moto, togliendomi il casco e alzando lo sguardo. Sento lo sbattere delle portiere e i ragazzi mi affiancano. Robert ha la bocca aperta. «Mi sento così piccolo.»
Jamar sembra arrabbiato con la struttura. «Tu sei piccolo, Robert. Non è solo una sensazione.»
   «Su, fratellino. Non essere così maleducato.»
Un lampo di gelo. Jamar fissa Warren che sta sghignazzando. «Lo sai che lo odiavo anche in passato. Non chiamarmi fratellino
   «Come vuoi tu, pervertito.»
   «Un giorno o l’altro, Warren, riverserò tutto il mio vizio su di te. Vedrai come sarà divertente non riuscire a contenere le tue voglie nei pantaloni.»
E con questa nota, siamo decisamente pronti per entrare in una chiesa. Cosa c’è di meglio del parlare di voglie e pantaloni? Sono tutte confessioni che farebbero inorridire un prete. Chase spinge il portone, noi lo seguiamo quando entra.
Conosco i déjà-vu. Nel bene e nel male ho imparato ad accettarli. Ma quello è un qualcosa di più sbagliato. Non siamo entrati nella nuova sede dell’Ordine degli Esorcisti. Quello ha tutto l’aspetto di essere la nostra vecchia dimora, piazzata in una nuova città. Siamo appena stati catapultati indietro nel 1400.

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
 
 
 
        È pomeriggio, fuori un pallido sole illumina la città. Eppure, lì dentro, sembra di essere immersi nei tempi più bui del nostro passato. È più freddo e nell’aria c’è un odore strano. Non assomiglia neppure a una cattedrale, se non per la struttura all’esterno e per una mia sensazione. Non ci sono panche, non ci sono sedie, non ci sono statue e dipinti. Solo un crocefisso enorme che troneggia dal centro della sala altrimenti deserta. È sbagliato. È tutto sbagliato.
Chase e Philippe sono già stati lì, per parlare con Marco. Riesco a percepire che, anche per loro, essere di nuovo lì non va bene. Di nuovo: non è il nuovo Ordine. È solo quello vecchio che è stato portato alla luce.
Jamar sospira, indicando un punto vicino alla croce. «Io sono stato catturato lì. A me va benissimo bruciare il posto, sia chiaro.»
Bruciare. Rabbrividisco, passando una mano sul braccio. È molto simile pure al posto dove mi hanno torturato prima di bruciarmi sul rogo. Come ha detto Jamar, sembra esattamente il posto del nostro passato. Se non fossero passati seicento anni, potrei giurare che proprio vicino quella croce Damide fu catturato. E in una di quelle stanze io potrei essere stata torturata. O tutti e otto, da quelle porte, siamo rientrati da una missione.
Robert trema, Warren gli mette una mano sulla spalla. «Avanti, Robert. Tranquillo. Qui nessuno può farci del male.»
Chase gira appena la testa. Mi irrigidisco. Il suo sguardo sembra chiedere se siamo sicuri di quell’affermazione. Sto tremando, ma mi costringo a camminare. È semplice fare un passo. Basta mettere un piede davanti all’altro. Lo stesso principio dell’indietreggiare, con la sola differenza che sarebbe più semplice scappare da lì.
Chase ci precede. Esattamente dove era in passato, una porta ci conduce in un lungo corridoio. Delle torce con le lampadine sono accese, illuminando con luce fioca le pareti. Mi tocco il sedere, accertandomi che indosso ancora i jeans e che ho il cellulare in tasca. Okay, siamo ancora nel presente. Devo continuamente ricordarmi che sono Amabel, la reincarnazione di Dalila, l’esorcista della menzogna. Lì, tra quelle mura, mi sento solo Dalila. Philippe bisbiglia alle mie spalle. «Vuoi che controllo io se hai i pantaloni?»
Per lo meno la sua affermazione mi fa abbassare le mani e dimenticare il perché mi sento tanto inappropriata.
Il pavimento di pietra è pulito, come se ci fossero molte persone che si occupano della pulizia dell’edificio. Eppure non incontriamo nessuno. Una scia di ombra sembra inseguirci, ricordandoci che non apparteniamo a quel tempo. E non apparteniamo neppure al mondo di fuori. È esattamente come nel passato, quando all’improvviso ci siamo accorti che non potevamo essere considerati mortali e, allo stesso tempo, neppure spiriti. Né l’uno né l’altro. Noi cantiamo per l’oltretomba. Stranamente vivi, eternamente per i morti.
Mi immobilizzo quando Chase apre una porta. I suoi occhi, quando mi fissano, mi dicono di mantenere la calma. Sono la prima a entrare nella stanza e per poco non urlo. La tavola ottagonale è al centro di quella stanza enorme. Delle piccole finestre con un mosaico di colori illuminano debolmente il tavolo. Otto finestre, come otto sono i posti in quella tavola, come otto sono gli esorcisti. Alzo lo sguardo per scorgerne i disegni. Lie è raffigurato come una macchia indistinta di viola e nero, dietro a dove ero solita sedermi. La mia postazione è sempre stata la più buia. Forse anche per questo è stato così facile dimenticare che la menzogna è un vizio. Endive è un serpente, i cristalli sono per lo più delle tonalità di verde e giallo. Lust è un ammasso rosso, neppure vagamente somigliante all’uomo con le fattezze di leone che è in realtà. Avarice è un cane dai colori così forti che il posto di Maximus sembrava brillare d’oro. Ire è un’aquila che viaggia tra terra e fiamme, rosso e marrone. Arrogance è una superba pantera color bianco; Hunger un felino circondato da edifici e cibo; Sloth una sorta di orso con un’infinità di colori, come per dimostrare che l’accidia è troppo stanca pure per scegliere.
È sbagliato. Tutto è sbagliato.
Mi avvicino al tavolo, sfiorando il legno. È antico, come le scritte in latino dei nostri nomi. A quelle, nei secoli, sono state aggiunte incisioni in italiano, greco antico e inglese. Forse altre lingue si sono aggiunte, ma non ne riconosco alcuna. So qualcosa di greco perché l’ho studiato. Conosco il latino perché era la nostra lingua. So l’italiano perché Dalila e gli altri esorcisti hanno vissuto per la maggior parte della loro vita in Italia. L’inglese è la lingua della mia nuova me. Di altro, tuttavia, non so nulla.
Jamar passa un dito sul nome di Damide, corrucciando la fronte. Julia legge il nome di Lartia come se qualcuno le avesse fatto un dispetto di pessimo gusto.
   «Se avessimo saputo che arrivavate, vi avremmo accolti in modo migliore.»
Marco è sgusciato fuori da una delle porte della stanza. Non mi sono accorta che, oltre a quella da cui siamo emersi, altre quattro porte portano in altre zone della cattedrale. Alzo lo sguardo, chiedendomi come mai da tutti gli angoli emerge la luce. Lo vedo chiudere la porta, la curiosità mi assale. Da dove è arrivato? I suoi occhi si soffermano su di me. Lui lo sa. Sa cosa penso, sa chi sono e sa cosa voglio fare. Mi sorride. «Che maleducato. In tutto questo tempo non ci siamo mai presentati. Ovviamente voi mi conoscete ma …»
   «Lei sa chi siamo.» Replico dura. Sono di nuovo imprigionata in quella cella, con la certezza che non posso liberarmi. A differenza di allora, non rimarrò ad aspettare che Malachite riversi su di me la sua frustrazione, che l’Inquisitore arrivi per strapparmi verità che lui stesso non vuole sapere. So difendermi, se voglio. «Lei sa esattamente chi siamo. Lo dimostri.»
Vedo Marco irrigidirsi. So quello che dico e so quanto in là posso spingermi. Distoglie lo sguardo da me, puntando un dito verso Chase. «Tu sei il vecchio capo dell’Ordine, Titus. Mentre tu …» Oltre a vedere il suo odio sono accarezzata anche dalla voce del rancore. «… sei la seconda in carica. Dalila.»
Indica piano tutti, concentrandosi su di noi quel tempo necessario per dire i nomi. «Damide sta toccando il suo vecchio posto. Lartia. Credo che Oppius dovrebbe sedersi. Non ha una bella cera. Sura, incantato. Maximus e … Daulus.»
   «Otto su otto. Complimenti.» Replica Philippe. Il suo tono, però, non è esattamente quello di una persona colpita piacevolmente da una dote. «Come ha fatto?»
   «Semplice fortuna.»
Schiocco la lingua. «Mente.»
Chase si avvicina. Sento la sua elettricità solleticarmi la schiena. «La fortuna le permette di indovinare uno, due nomi. È stato fin troppo certo di chi siamo.»
Marco ridacchia, cercando di minimizzare la cosa. «Oh, mi sopravvalutate troppo. O vi sottovalutate. È palese quali sono i vostri vizi. Non credo che molte ragazze se ne vadano in giro con un panino nella tasca della giacca.» … Eliza! «Né che un’altra ragazza abbia tutta l’intenzione di prendere a pugni, senza apparente motivo, me.» Okay, ci sta mettendo nel sacco e tutto perché Eliza ha sempre troppa fame e Julia è troppo arrabbiata. Per eliminazione, l’unica altra donna rimasta sono io, quindi è chiaro chi sia. Sorride a Chase. «Non ti rendi conto di come gli altri si mettano tutti intorno a te, e io so che Titus era a capo dell’Ordine. Anche lì è stato facile. Il ragazzo laggiù sembra stanco, ovviamente è Oppius. Degli ultimi tre, lo ammetto, mi sono basato su percezioni.» Del tipo che la lussuria non può essere un omaccione cleptomane e neppure un modello che cambia le ragazze ogni altra stagione perché vuole qualcosa di più.
L’uomo ci invita a sederci. Preferirei andarmene a gambe levate, ma mi costringo a essere forte e a prendere il mio posto. Accarezzo il mio nome, con un rantolo appoggio il sedere su quella sedia di altri tempi. Un brivido e poi un dolore si propaga per il corpo dal basso verso l’alto. Stringo la mano a pugno, cercando di non dare a vedere che qualcosa non va.
È sbagliato.
Vicino a me Philippe sembra altrettanto a disagio, si massaggia la testa e la scuote nervosamente. Jamar ha la mano sul collo, come se tentasse di contenere un conato di vomito. Robert, al mio fianco destro, ha le pupille ridotte a uno spillo.
C’è qualcosa, in quel vecchio tavolo, che nel passato mancava. Una voce nella mia testa continua a dire “scappa, Dalila” ed è una voce che assomiglia in maniera impressionante a Lie. Marco appoggia una mano sulla mia spalla. Anche Johannes … anche lui lo faceva. Aveva quell’abitudine, mai dimenticata, di iniziare a parlare toccandomi la spalla, percorrendo tutto il tavolo e sfiorando anche gli altri. Che possibilità abbiamo che antenato ed erede abbiano lo stesso aspetto, modo di parlare e atteggiamenti? Guardo Marco e, come se intuisse cosa mi passa per la testa, allenta la presa e si allontana. Si inumidisce le labbra. «Sono felice che voi abbiate deciso di tornare all’Ordine.»
   «Non abbiamo deciso niente.» Chase si alza, una vecchia abitudine presa quando ancora era a capo di quell’Ordine. Se parlava, doveva farlo guardando nel volto il suo interlocutore. «Non abbiamo ancora accettato di tornare qui.»
   «Oh. Pensavo.»
   «Quando decideremo, sarà il primo che lo verrà a sapere.» Replica con tono duro. «I miei compagni dovevano solo vedere l’ambiente.»
Marco abbozza un sorriso. «Certo. Spero che sia di vostro gradimento. Abbiamo cercato di ricreare la vostra antica abitazione.» Jamar emette un borbottio che riesce a trasformare in tosse. «Ovviamente, ci sono delle stanze che non vi possiamo mostrare perché … ecco, per chi non è dell’Ordine non sarebbe saggio vedere.»
Chase batte un unico dito sul tavolo, sette paia di sedie si allontanano. È il segnale della ritirata. Lo adoro. Detesto ogni attimo di più quel posto, non mi piace quel Marco, amico o familiare di Johannes che sia. E più di tutto odio questo posto, questo tavolo e ritrovarmi a guardare i nostri vizi su quelle vetrate. Sarebbe più piacevole tornare a casa di mamma e dirle che sono una pazza che vede i fantasmi e che li esorcizza per lavoro. Sul serio! Mi sentirei meno a disagio.
Chase abbozza un sorriso. È bravo a eseguire gli ordini, niente da dire, ma detesta farlo se non ne conosce il motivo. Anche lui, ora che gli è stato proibito, ha l’impellente desiderio di aprire tutte le porte e scoprire gli altarini. Stringe le labbra. «Ovviamente.»
Marco allunga una mano, nel tentativo di stringerla, Chase distrattamente si sposta e finge di non averlo visto. Ho già detto che amo quel ragazzo? Il vedere Marco con la mano sollevata, sorpreso, mi fa sentire meglio. Quando ci fa un cenno di saluto, solo Warren alza una mano. So per certo che qualunque cosa ci fosse nella stanza, non attaccato al terreno e abbastanza piccolo da essere nascosto, è in una sua tasca.
   «Mi auguro che, se la necessità lo richieda, voi ci aiuterete.»
Chase solleva una mano. «Abbiamo la tendenza a lasciare le nostre emozioni fuori dalla nostra missione.»
Fottuto! Cerca tu di capire se lo aiuteremmo oppure no! Di certo, eseguiamo solo gli ordini del nostro capo. E su una cosa tutti noi siamo certi: Marco non lo è.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
 
 
 
           Sono davanti al mio armadietto. Dove è andato il giorno prima? Dopo l’incontro con Marco, sono certa di essere tornata a casa, ma non posso aver dormito fino alla mattina dopo, giusto? Mamma mi aveva pure scritto un biglietto. Non era riuscita a svegliarmi e aveva preferito farmi saltare la cena. Questo, per lo meno, avrebbe spiegato perché questa mattina avessi mangiato più del solito.
Agguanto qualche libro. Una mano si appoggia all’anta, chiudendomela davanti. Natalia è proprio una maleducata. Non importa che sia una rappresentante d’istituto, e che con me non abbia mai parlato. Mi stava pure iniziando a piacere, nonostante il suo modo di fare da bellezza esotica. È più alta di me. Okay, anche i nani di Biancaneve potrebbero essere più alti di me, ora che ci penso. I suoi riccioli sono perfetti, truccata, labbra carnose, fisico asciutto anche se non magro. In confronto a lei, io sono davvero una tavola da surf sciattona. Mi sorride, il suo modo di avvisarmi che sono la sua nuova valvola di sfogo. «Ciao.»
   «Ciao.»
Fisso la sua mano, le unghie chilometriche rosa e mi sento inorridire. Barbie stronza sta cercando di farmi paura. Cerco di aprire l’armadietto, ma lei appoggia pure la spalla. Qualcosa mi dice che vuole parlare con me. Si passa una mano sui capelli, muovendo quei riccioli perfetti. Si deve essere svegliata due ore prima per renderli così uniformi. I miei capelli hanno tutto l’aspetto di essersi appena azzuffati con un cuscino. «Girano delle voci.»
   «Mi fa piacere. Natalia, devo prendere dei libri e tu mi stai bloccando l’armadietto.»
   «Si dice che tu sei la ragazza di Chase. È vero?»
   «Potresti andarlo a chiedere a chi mette in giro questa diceria.» Tento nuovamente di aprire l’armadietto, ma è chiaro che la conversazione non è finita. Okay, non so se io e Chase siamo fidanzati. Quello che so, è che una promessa di secoli prima ci tiene ancora legati. So per certo che io sono innamorata di lui, ma lui è … come si può dire … troppo ossessionato dai fantasmi per degnarsi di far capire qualcosa dei suoi sentimenti. Quindi, no, non lo so se stiamo insieme. Di certo non facciamo nulla di quello che fanno le coppie normali. E no, non le dirò nulla del genere.
Natalia allunga la mano, sfilando la collana con la croce che ho al collo. Mi scivola da sotto la maglia, lei la maneggia cauta. È d’argento, quindi se la ragazza decidesse di toglierla strappandola, ecco … credo che il mio collo ne risentirebbe non poco. «Questa è la collana di Chase. Perché la indossi?»
   «Me l’ha data lui.»
Natalia tira la catenella quel tanto che sega la pelle. Ho patito mali peggiori, ma non ne vado tanto fiera. «Tu sai che molte vorrebbero essere la ragazza di Chase.»
   «Ho il vago sospetto che tu sia una di quelle.»
Sorride. «Ovviamente. Conosco Chase dalle medie, sono stata sempre in classe con lui, abbiamo lavorato fianco a fianco nelle assemblee di classe, in quelle d’istituto, nei lavori di gruppo. E poi arrivi tu, una ragazzina del tutto comune e, cosa succede? Lui ti regala la sua collana.»
   «Hai mai pensato di dirglielo, invece di osservarlo da lontano? Sarebbe più facile.» Tira ancora di più. Ne sento l’alito in volto. «Natalia, davvero. Sarebbe veramente utile se ti lavassi i denti alla mattina. Hai l’alito che stende.»
Lascia la presa, arrossendo. D’istinto si porta una mano nella tasca, agguantando una chewing gum. Ottimo rimedio, se non fosse che l’ho respirato per bene e la colazione è piuttosto restia a starsene tranquilla nello stomaco. Tento nuovamente di aprire l’armadietto, ma questa volta Natalia mi ci butta addosso. Rantolo. Dannazione, sono dolorante senza aiuti esterni. Dovrebbero capirlo che sono una reduce da combattimenti e roghi. Ho la collana solo dal giorno prima! Un po’ di tregua, per piacere. Almeno il tempo di non assomigliare a una torturata medievale. «Ti diverti, Amabel?»
   «Mi dispiace per la battuta sull’alito.»
Mi tira i capelli. Ahia! Perché i maschi si mollano i pugni e le donne attaccano i capelli? Non voglio essere Raperonzolo. Biascico. «Mi dispiace pure per le voci che girano.»
Se avessi libertà di movimento, cercherei con lo sguardo Julia. È ancora arrabbiata con me? Se sì, non dovrebbe usare Natalia per sfogare la sua frustrazione. Ho, però, la sensazione che l’ira non sia coinvolta. O per lo meno, non è Julia ad aver aizzato Natalia contro di me. Credo che sia uno di quei momenti, che avveniva anche nel passato, in cui una persona mi odiava per il solo fatto che ero io. In un certo senso, io sono la causa del mio male. Natalia mi tira i capelli con più forza, qualcuno abbandona il mio cuoio cappelluto con protesta. «Dovresti parlarne con Chase.»
   «Non dire stupidaggini. Io ne parlo con te!»
Professori, aiuto! Ci siete sempre quando sono impreparata per l’interrogazione, ma quando ho bisogno di voi non sia mai! Una mano afferra quella di Natalia, lei fissa il nuovo arrivato e, sbiancando, arretra di un passo. Sono felice di avere ancora tutti i capelli. «Chase.»
La mano di Chase afferra la mia spalla, avvicinandomi a lui. Alzo appena lo sguardo, per vederlo arrabbiato contro qualcuno che non è uno spirito. La ragazza si sistema i capelli. «Lei … lei ha offeso mia madre. Mi dispiace, ho perso il controllo.»
Brutta Barbie ingrata! Stai mentendo davanti alla menzogna! Solo io posso farlo! Sento il mio vizio formicolarmi la punta delle dita, che ancora si stanno massaggiando i capelli. Natalia alza una spalla. «In verità l’ho attaccata. Volevo sapere se le voci che circolano sono vere.»
Natalia corruccia la fronte, sorpresa di quello che ha detto. Beh, bellezza. Ringrazia solo che non ci sia Jamar nelle vicinanze, perché almeno il mio vizio è la menzogna. O, nel tuo caso, il bloccare le menzogne. Si porta una mano alla bocca. «Chase io … io non so cosa ho detto.»
   «Va tutto bene.» Dal tono proprio non si direbbe. «Lascia solo stare Amabel.»
   «Certo. Lo sai che non lo farò.» La ragazza sbatte un piede per terra. «Che mi succede?»
Sì, dentro di me Dalila sta sollevando il dito medio con profonda gioia. Chase solleva un sopracciglio. «Natalia, per piacere. Lascia stare la mia ragazza.»
Ecco, ho perso quel briciolo di controllo sulle sue menzogne. La vedo annuire piano e andarsene. Dove è andata a finire la mia vendetta? Chase mi allontana con la mano, sistemando la collana dentro alla maglia. «Sei troppo simile a Philippe e Jamar. Non dovresti controllare così il tuo vizio.»
   «Stava mentendo quando ti ha detto che ho offeso sua madre! E davanti a me!»
Chase sbuffa, sistemandomi i capelli. «Lo sapevo che mentiva. Sua madre è scappata due settimane fa con un suo collega di lavoro.»
Inclino la testa. Okay, oltre a non sapere che a scuola manca sapone, carta igienica e che girano voci su me e Chase, adesso mi sono pure persa che la madre della rappresentante d’istituto è scappata con un altro. Si può sapere perché non sono come tutte le altre femmine, e non mi occupo un po’ più di gossip? Chase sospira, togliendo dalla spalla i capelli che si sono staccati. «Ha detto la verità quando ha detto che ti avrebbe lasciato in pace?»
   «Per niente. O almeno credo. Sai, la parte del “lascia stare la mia ragazza” mi ha fatto perdere il controllo. È già tanto se non se ne va in giro a dire la verità a ogni persona che incontra.» Oh, questo sarebbe decisamente un ottimo modo per vendicarsi.
Chase mi colpisce piano la testa. «No, non ci provare. Noi non puniamo gli esseri umani. Vedi di ricordartelo. Il nostro compito è di altro genere.»
Alle spalle di Chase, delle ragazze mi stanno fissando imbronciate. Sì, come no. Non puniamo gli esseri umani, ma tanto sarò solo io bersagliata dal suo fan club. «Lasciale stare. Anch’io ho dovuto sopportare le accuse dai tuoi ammiratori.»
   «Io? Ammiratori? Uno? Chi?»
Chase distoglie lo sguardo. Okay. Qualcuno che conosce anche lui. Ho la pessima sensazione che non voglio sapere chi sia. Sì. Non lo voglio proprio sapere.
 
† † †
 
         Per la prima volta, dopo tanto, sono certa di aver dato il massimo per l’esame della mattina. Non sarò una cima in biologia, ma sono certa di aver studiato tutti gli argomenti! Ho fatto conversazione in classe, ho rifiutato la possibilità di uscire dall’aula … troppe possibilità di incontrare fantasmi. Julia e Mary mi hanno fatto compagnia e, sì, la mattinata non poteva essere delle migliori. Avrei preferito tornare a casa con le mie amiche, ma Mary doveva andare non so dove. E Julia ha alzato gli occhi al cielo, sillabando Philippe. Non voglio rischiare di essere ripresa in sua compagnia, uno. E, ancor meglio, non sono stata invitata. Mi era sfuggita la parte, passata e presente, in cui Julia e Philippe fossero diventati amici. All’opposto, semmai.
Mi mordicchio il labbro. È stata una bella giornata, quindi posso regalarmi un gelato. Dentro la gelateria non c’è nessuno. Sai, forse novembre non è il mese migliore per qualche dolcezza. Mi ostino a prendere il gelato e me ne esco con una coppetta con due palline. Quello sarà il mio pranzo. La giornata non può peggiorare! Nessun fantasma mi farà visita, il mio stomaco non ruggirà di protesta e tutto andrà benissimo. Sono seduta sulla panchina e osservo la vetrina che viene allestita da un uomo. Osservo il modo in cui toglie le braccia al manichino e poi infila la maglia. Quindi è così! Ho sempre avuto l’impressione che li vestissero come io vestivo le mie bambole da piccola. Mi sembrava strano, visto che sudavo per mettere quel dannato vestitino. E aveva la cerniera sulla schiena, non per dire!
Butto la coppetta vuota nel cestino, stiracchiandomi.
   «Ciao.»
Una ragazza sconosciuta mi sbarra la strada, sorridendomi con fare troppo allegro. La fisso titubante, prima di rendermi conto che un saluto non ha mai ucciso. E comunque, in una conversazione troppo audace, le avrei sempre potuto dire che non la conoscevo. «Ciao.»
   «Forse tu non mi conosci, ma io ti ho visto spesso.»
È da un po’ che non ho un personale stalker. Certo, di solito mi pedinano i fantasmi, ma essere seguiti da vivi, anche se donne, da uno sprint in più alla mia femminilità. È una ragazza carina, capelli rossi e una spruzzata di lentiggini che le rendono il volto quasi abbronzato. Molto magra e alta almeno quanto me. E come me si mangia le unghie. Sta sanguinando al pollice dopo esserselo martoriato. Sono indecisa su come comportarmi. «Okay.»
Un “okay” non fa male a nessuno. Non ho la più pallida idea a cosa dessi il consenso, ma di certo a lei deve aver fatto piacere. Mi sorride. Si scosta un ciuffo dalla fronte, mi ritrovo a fissarle il polso destro. Immobile.
Un brivido freddo mi percorre la schiena, fino ai piedi. La ragazza mi parla. Non sento neppure la sua voce.
Sbatto gli occhi, guardandola in volto. Mi sorride, e ne riconosco qualcosa. Forse è solo una mia suggestione. Con tutto il cuore lo spero.
   «Scusami.» Biascico disorientata. «Solo che … ti ho confusa con qualcuno che conoscevo. Perdonami.»
La ragazza sorride. «Oh, non ti devi preoccupare. Capita a tutti di scambiare una persona per un’altra. È strano. Stavi guardando il mio polso.»
Gira la mano, in modo che quella cicatrice impressa luccichi alla luce del sole. Uno strano segno semicircolare. Di nuovo, il cuore si ferma. «Questa me l’ha fatta mia sorella. È stata molto cattiva e non penso che mi andrà mai via.» Si mordicchia il labbro inferiore. «Non mi ha mai chiesto scusa per questo. Beh … ma di cosa stavo parlando? Scusa, mi distraggo molto facilmente ultimamente. Sai, è successa una cosa che mi ha dato molto fastidio e sto ancora cercando di capire perché. Vedi, quando una persona muore, dovrebbe esserlo per sempre, no? Quindi io mi chiedo … mi chiedo perché diavolo, dopo tutto il sangue che ho sputato, sei ancora viva, Dalila?»
 

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Capitolo 12
*** 12 ***


12
 
 
 
          Sono ancora paralizzata dal suo sorriso falso. E arrabbiata per la cagata di Chase, sul fatto che solo gli esorcisti si potevano reincarnare. Ho la prova, vivente e perversa, che è una bugia. Non gradire la cosa è solo un eufemismo. L’ultima volta che ho avuto un confronto con lei non ero decisamente nelle condizioni di fare qualcosa. Giusto appena ne porto ancora i segni.
   «Allora? Non saluti tua sorella?»
   «Malachite sei … viva.»
Lei sorride, alzando le spalle. «Tra le due quella delusa dovrei essere io. Ti ho visto bruciare sul rogo. La decenza vuole che tu ci rimanga, morta.»
Ho la bocca arida. «Vorrei dire che sono felice di vederti ma …»
Quella ragazza è la reincarnazione di mia sorella gemella. Ha gli stessi occhi liquidi di un tempo, la stessa espressione malvagia e mi fissa fiera. Come quella volta, dalla prigione, sembra godersi la mia confusione. Sbuffa, abbassando lo sguardo. Di nuovo, non vedo un gesto di sottomissione quanto di compiacimento. Mi fissa dal basso verso l’alto. Mi pento di essermi messa un paio di jeans senza carattere e di essere sigillata in quel giubbino. Mi rende più debole di quello che sono. All’opposto, lei rinchiusa in quel vestitino nero sembra quattro volte più potente di me. Ha avuto seicento anni per coltivare meglio il suo odio. In compenso, io ho continuato a esorcizzare spiriti e a dimenticare quel tradimento. Ero convinta che nessuno, nel presente, potesse ferirci. Lo ammetto: un cecchino con un kalashnikov mi avrebbe fatto meno paura. Mi sarei pure messa in posa.
Malachite distoglie l’attenzione da me. La mia pelle viene accarezzata dalla forza di un altro esorcista. Sono così sulla difensiva che sento l’elettricità di Julia.
   «Ciao.»
L’allegria di Malachite è pari all’espressione adirata di Julia. Certo, se non si tiene conto che è la sua normale espressione. Julia alza un sopracciglio, non calcolando neppure la ragazza davanti a me che l’ha appena salutata. «Ehi, ti cercavo. Ho parlato con Philippe e …»
Sto ancora fissando Malachite, che non si perde un attimo della conversazione. Mi dà fastidio che sia lì. Dannazione, sono già morta bruciata sul rogo una volta e continuo a portarne il segno. Per quello che ne so, il mio continuare a peggiorare può essere legato alla ragazza davanti. Senza contare che è causa sua la continua mancanza di fiducia tra noi esorcisti.
Julia sospira, fissando la rossa. Non gradisce la mia distrazione. «Scusa, ma dovrei fare una conversazione un po’ privata con la mia amica. Vattene.»
   «Come ti chiami?»
Julia solleva un sopracciglio. «Julia. Ora puoi andartene.»
Malachite si mordicchia un labbro. «Julia … Julia. No, non mi ricordo proprio di te. Non è che per caso hai un altro nome?»
   «No, nella carta d’identità c’è solo quello.» Ribatte acida. So cosa vuole fare. So qual è il vero nome che vuole sentire. Mi inumidisco le labbra. «Lei è Lartia.»
   «Lartia … l’esorcista che morì annegata, se non sbaglio. Oh, la tua morte è stata fantastica. I soldati avevano puntato tutte le lance in direzione del fiume, nel terrore che tu emergessi in un qualche modo. Ho applaudito quando è stato certo che tu fossi morta.»
Julia mi fissa, l’espressione gelata nel volto. Malachite allunga una mano, stringendo il polso della mia amica. «Che maleducata! Non mi sono presentata! Mi chiamo Susan Brennan.»
Deglutisco. «Lei è Malachite.»
   «La psicopatica figlia di puttana di tua sorella?» Adoro il carattere iracondo di Julia. Lo adoro perché riesce a fare sempre quello che vorrei fare io e che, per un qualche motivo, non mi è mai possibile mettere in atto. Usando la mano che Malachite aveva teso, Julia la getta contro il muro. La ragazza emette un gemito di dolore. «Quindi sei tu la stronza che ci ha fatto uccidere.»
   «Non è educato attaccare una persona appena conosciuta.» Replica Malachite, con tono divertito. «E poi, a che offesa mai potresti rispondere? Chi mai ti crederebbe che ho commissionato le vostre morti? Sono solo una ragazza di sedici anni. Nessuna persona è mai stata uccisa da me. Voi siete vivi
Julia ringhia. Se le fosse possibile, sono certa che esorcizzerebbe l’intera città solo per uccidere Malachite. «Non fare giochetti mentali con me, ragazzina.»
Malachite appoggia le mani a entrambi i polsi della mia amica. «Se fossi in te lascerei la presa. Stanno arrivando le mie amiche. La mia parola contro la vostra. E, ad essere sincere, la vostra vale molto poco. Quelle ragazze confermeranno che sono impeccabile.»
   «Sei in debito di otto vite, stronza. Credi che mi importa di un gruppo di ragazzine di quest’epoca?»
Appoggio una mano sulla spalla di Julia. È arrabbiata … molto più del solito. Mi accosto a lei, quel tanto da sfiorarle con le labbra l’orecchio. «Calmati. Non fare nulla di stupido. Lei qui è protetta e noi siamo solo delle ragazze. Pensa alle conseguenze.»
Le amiche di Malachite si stanno avvicinando. Sento il ridacchiare delle ragazze e se si avvicinano ancora sarà chiaro che non la stiamo decisamente salutando. Julia è accecata dalla vendetta. «Non m’importa.»
   «Pensa a come reagirebbe Titus.»
Ecco le paroline magiche. Automaticamente la presa si allenta e Julia fa quel passo indietro da permettere all’altra di sistemarsi il vestito, come nulla fosse. Fa un cenno con la mano alle amiche di attenderla, che ha quasi finito. Ovviamente non l’hanno riconosciuta per quello che è veramente: scopa e cappello deve averlo lasciato in una verruca nascosta. «Da quello che ho capito, non solo voi due vi siete salvate.»
Julia stringe i denti. «Definisci salvare.»
   «Intendo dire che state camminando per la città come nulla fosse, apparentemente senza danni.» Julia stropiccia nervosa i piedi, cosa che fa sorridere Malachite. «O almeno non sembra che i danni siano così evidenti. Che fate? Ve ne andate ancora in giro a salvare anime?»
   «Si direbbe che è il nostro compito.» Ho ancora la mano sul braccio di Julia. Sento l’energia che si attiva poco prima di un’evocazione. Dopo la Città degli Spiriti, un sacco di mortali potrebbero vedere più del primo esorcismo. E anche quello, compiuto su un vivo, è solo un omicidio. Quello … è solo omicidio. Stringo appena, per calmarla. «Però qualche volta mi capita di confondere gli umani con i fantasmi. Se fossi in te non starei tanto tranquilla. Non siamo più sorelle.»
Malachite ridacchia. «Sul fatto che non siamo sorelle non posso darti torto, ma lo siamo state. È un legame che non si scioglie. Un po’ come voi e la vostra natura. Poteri così elevati e quando è il momento di fare i duri, vi tirate indietro come degli infanti.»
   «Di che stai parlando?» Ringhia Julia.
   «Non so se dirvelo o meno. Però, in verità, so che non lo userete quindi a che scopo tenerlo segreto? Però se voi foste abbastanza folli …» Malachite sorride, avvicinandosi a me. Sento il suo alito di caffè sulle mie guance, posso contare le lentiggini al suo naso. «C’è una tecnica, sorellina, che voi esorcisti non usate. È una tecnica pericolosa, così tanto potente da piegare la realtà. Tu sai di che tecnica sto parlando, giusto?»
   «Sì.» Mento. «E se non la usiamo c’è un suo motivo. Potrei fare un’eccezione, però. Sai … ho già provato a esorcizzarti come sorella.» Allungo una mano, sfiorandole il polso e mostrandole la cicatrice come monito. Il marchio del peccatore si è trasmesso con chiara sollecitudine, al pari della sua memoria. Sono soddisfatta che anche in punto di morte la mia anima sia riuscita a mantenere una maledizione. Un po’ sorpresa, dal momento che non sapevo di esserne in grado. «Cosa ti fa credere che dopo seicento anni di lontananza io abbia sviluppato quel poco di amore che mi era ancora rimasto?»
Sotto la patina di lentiggini, Malachite sembra essere ancora più bianca. Molto bene. Ora dobbiamo solo scoprire che diavolo sa lei di noi, che noi stessi ignoriamo. Un’inezia, insomma.
 
                                                             † † †
 
        Julia mi fissa arrabbiata. Stringe le mani a pugno ed è chiaro che sono io l’oggetto della sua rabbia. Sto già dicendo addio a una guancia. Sono convinta che il mio profilo di sinistra sia più simmetrico, quindi giro appena la testa, in modo che colpisca la destra. Sì. Meglio.
Calcia un sasso che saetta e si immerge nel traffico. «Si può sapere perché diamine mi hai fermato? Avevi detto che non ti importava nulla di lei.»
   «Non ho cambiato idea. Solo che …. Julia, Malachite non avrebbe dovuto reincarnarsi. Lo sappiamo entrambe. O per lo meno ne era certo Chase.»
   «Non ho le traveggole.»
   «Prima di morire, ho impresso al polso di Malachite il marchio del peccatore. Confermo che quella ragazza, quella Susan è in realtà la reincarnazione di mia sorella.»
   «E con ciò? Perché mi hai fermato?»
   «Non possiamo ucciderla.»
   «Di questo non ne sarei tanto sicura.» Ribatte acida. Apre e chiude le mani a pugno, come tenaglie. Adesso che ci penso, potrebbe strizzarmi il collo come un pollo. E visto che nel passato aveva l’agilità di uccidere le galline con una mano, mi sposto un poco dalla panchina. Meglio non starle vicino.
Mi mordicchio un’unghia, finché non ricordo che anche Malachite ha quella brutta abitudine. «Mi stavi dicendo che hai parlato con Philippe.»
La sua espressione può voler dire “ne parliamo in questo momento?”. Sospira. «Sì. Endive ha completato con successo il cambiamento di manifestazione. Significa che come Lie ha un corpo più umano.»
Bene. Vederla come un serpente donna non mi avrebbe dato più gli incubi. Non mi è chiaro perché io sia stata l’ultima ad avere avuto informazioni in merito, ma meglio non mostrarsi troppo permalosi. Non dopo l’incontro con Malachite. Julia continua. «Dopo Arrogance e Endive, anche gli altri vizi devono completare la manifestazione.»
   «Bene.»
   «È ridicolo. Con Malachite in giro noi ci preoccupiamo del cambio di abiti dei vizi.»
   «Secondo Chase, in futuro ci sarà utile.»
   «E noi ci fidiamo di Chase.» Sembra una battuta molto crudele. Però sì, ci fidiamo di Chase. La maggior parte delle volte ci azzecca. Continuo a osservare la mia amica. Tra pochissimo, le uscirà fumo dal naso. Respira profondamente, come per ricordarsi qualcosa. Magari ha iniziato un corso di yoga e io non ne sono stata informata. «Bel, la verità. Perché mi hai fermato con Malachite?»
La verità è un qualcosa di non indentificato, per una come me. Le uniche volte che mi sento pienamente sincera sono con Chase, e il motivo non è dei più onorevoli. Lartia, però, mi ha dimostrato più volte che si fida di me. Mi ha chiamato per parlarmi di sua figlia. E Julia, nonostante tutto, continua a chiedermi la verità. Con i miei precedenti, fidarsi è difficile. «Malachite non può reincarnarsi. Non ne aveva il potere. E, ancora meglio, non ce l’ha neppure adesso. Sono certa che lei non possa vedere gli spiriti e, se mi ha individuato, è perché qualcuno le ha detto che gli esorcisti sono vivi.»
Sento lo sguardo di Julia su di me. È rassicurante che non mi prende a pugni o mi interrompa. Continuo. «Lei odia me. Quando vi ha attaccato, era per ferire me. Questo, almeno, era quello che pensavo. Voi eravate la mia famiglia e … e sarebbe stato facile distruggere me attaccando voi. Io, però, sono stata la prima. Non vi ho visto morire, la mia sofferenza è stata in qualche modo controllata.»
   «Stai parlando del coinvolgimento di un’altra persona.»
Schiocco le labbra. «Ho questo sospetto, sì.»
   «E?»
   «Vorrei che tu non ne parlassi con gli altri. Almeno per un po’. C’è un’indagine che devo fare.»
   «Non è un segreto che possiamo mantenere.»
Scuoto la testa. «Lo so. Appena so qualcosa di più ne parliamo con gli altri.»
   «Ti concedo un giorno.» Dal tono di voce so che è più di quanto posso sperare. Solo un giorno. Annuisco al marciapiede. Stupida nel pensare che la giornata non potesse peggiorare. Mi sembra di aver preso un ascensore diretto per il Tartaro. Molto confortante. Julia mi batte sulla spalla, poi si allontana. Non parliamo di sua figlia, né del suo esorcismo. Si aprirebbe una porta che entrambe non siamo in grado di gestire.
Mi porto le mani alla testa. Nonostante mi sia stato concesso un giorno, non so cosa fare. Malachite, o Susan che sia, ha detto un qualcosa. Ha detto che c’è una tecnica, conosciuta da noi esorcisti, in grado di piegare la realtà. Se fosse quella … no, sarebbe impossibile. E lei, in ogni modo, non la dovrebbe conoscere. Solo una persona, oltre a noi, poteva esserne a conoscenza. Sospiro, il gelato che si contorce nel mio stomaco. Piegare la realtà. Quindi c’è qualcosa che è diverso da come appare.
Trattengo il fiato e mi alzo dalla panchina. So dove andare e, quando inizio a correre, mi sembra di aver aspettato troppo per muovermi. Apro la porta della mia stanza con un cipiglio riottoso. Lie si trova disteso sul letto, gli occhi sbarrati alla ricerca di spiegazione. Chiudo la porta, ansimante.
   «Hai la testa in subbuglio.» Si sistema meglio nel letto, come nella ricerca di una buona posizione. Invisibile ai vivi, fantasma, mi chiedo ancora come fa a toccare gli oggetti a piacimento. Ah, giusto: tranne quando è utile alla mia sopravvivenza, dove gli diventa impossibile spostare un oggetto se non al terzo tentativo. «Non mi piace la tua mente in questo momento. Sembra proprio quella di una ragazzina di sedici anni di quest’epoca.»
   «Ho appena scoperto che Malachite è viva. Si è reincarnata anche lei.»
Lie si solleva dal letto, corrucciando la fronte. «Malachite era umana. Non ha potere e forza per reincarnarsi. Ti sei sbagliata.»
   «Prima di morire ho cercato di esorcizzarla.» Istintivamente mi passo la mano al polso destro. «Le ho lasciato un marchio, il marchio del peccatore. Non si cancella e lo so riconoscere in una persona. È abbastanza caratteristico. E lei mi ha riconosciuto come Dalila.»
   «Non ha senso.»
   «Perché ha senso ritornare in vita dopo seicento anni?» Rimbecco con più rabbia di quanto avessi mai usato con Lie. «Scusami. Sono un po’ nervosa. Ero venuta qui solo perché ho bisogno del tuo aiuto.»
Lie alza le spalle. «Dubito di poterti aiutare. Sono solo un vizio. Gli esorcisti siete voi. Posso aiutarti a perfezionare qualche esorcismo, migliorare le tue reazioni agli attacchi, ma il mio aiuto si ferma lì.»
   «Malachite ha parlato di una tecnica pericolosa, che neppure noi esorcisti osiamo fare.» Continuo, come se Lie non avesse parlato.
   «Ci sono molte tecniche che gli esorcisti non usano. Di norma, gli omicidi in cui tua sorella sembra essersi perfezionata non sono molto graditi dall’Ordine. Tendenzialmente, gli esorcisti aborrono la violenza fisica.»
   «Ho un sospetto della tecnica che ha menzionato.» Ammetto. «Lie, ho bisogno di imparare … ho bisogno che mi insegni il decimo esorcismo. Devo imparare L’occhio di Dio

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Capitolo 13
*** 13 ***


13
 
 
 
          Lie mi fissa, immobile, le labbra leggermente socchiuse. Si mette a sedere sul letto, così che le gambe cadono a penzoloni. «Vuoi imparare L’occhio di Dio? E con quale corpo riuscirai a portare a termine la missione, se mi è lecito sapere? È un esorcismo mitologico.»
   «Esiste.»
   «Certo che esiste. E non può essere usato. Già il nono esorcismo ha una forza tale da quasi ammazzare l’esorcista che lo compie.»
   «Titus è riuscito a compierlo.»
   «A che prezzo?»
Titus riuscì a evocare il nono esorcismo. Non ero lì presente, seppur sentii la sua forza dal villaggio in cui mi ero fermata. Quando accorsi in suo aiuto, la parte destra del volto era segnata da profonde ustioni che si portò fino al giorno della sua morte. Il resto del corpo non seppi mai in che condizioni era. Rifiutava di farsi curare da chiunque non fosse Johannes. Dopo quell’esorcismo, l’unica parte del volto che mi permise di guardare fu un occhio e le labbra. Ricordarlo così mi fa ripensare alla nostra promessa. Abbasso lo sguardo. «Non importa il prezzo. Titus è riuscito a compierlo. È fattibile anche il decimo esorcismo.»
   «Ne hai parlato con lui?»
Chiaramente no. Di certo farebbe di tutto per farmi desistere. O lo compierebbe lui stesso per proteggermi, il che a conti fatti è peggio. E ho solo un giorno, da quello che mi ha detto Julia, per informarmi sulla questione. Un giorno per far sputare la verità a Lie. Visto da quel punto di vista, dannazione, ho pochissimo tempo.
Traggo un profondo respiro. «Lie, sono consapevole di quello che faccio. Ho solo bisogno che tu mi dica come attuare un decimo esorcismo.»
   «Non lo farò.»
   «Questo è un ordine.» Si irrigidisce. Sembra proprio che gli abbia fatto un incantesimo di pietrificazione, seppur non è nelle mie capacità. È combattuto, in parte posso anche capire il perché. Cerco di cambiare il tono di voce. Da aggressivo lo modifico quel tanto da sembrare un miagolio accondiscendente. Del tipo “lo so che lo fai per il mio bene” ma, dannazione, voglio la risposta lo stesso. «Le informazioni che mi darai saranno usate solo a scopo informativo.»
   «Sono il tuo vizio, Dalila. Tralascia queste moine per gli altri esorcisti.»
Ho l’impellente desiderio di dargli quattro calci in culo. E addio al cambiamento di tono, perché sembra ancora più aggressivo di quello usato in precedenza. «Dannazione. È un ordine.»
   «Non lo farò.» Ribatte cocciuto. «Il rischio per la tua vita è troppo elevato. E, in ogni modo, dubito profondamente che Malachite sia a conoscenza del decimo esorcismo. Oltre a voi, solo un’altra persona lo sapeva.»
E quella persona è uno dei sospettati della nostra morte. Mi mordicchio il labbro inferiore, fino a far uscire sangue. «Molto bene. Non puoi disubbidire a un ordine diretto, e questo è il terzo. Quindi, Lie, hai tre secondi per dirmi …»
Vedo appena Lie lanciarsi attraverso il vetro. Con un borbottio mi avvicino alla finestra, per vedere solo la strada pomeridiana sbocciare nel suo deserto. «Brutto stronzo psicopatico. Non puoi rimanere lontano da me a lungo, e lo sai. Lie. LIE!»
 
† † †
 
            La casa è silenziosa. Mamma torna a casa per l’ora di cena. Immagino che sia andata da nonna, a trovare papà. Continua a farmi un certo che andare da lui, come se mi aspettassi che da un giorno all’altro lui smettesse di combattere. Cosa farei? L’ho detto a Julia, e credo proprio di non aver mentito. Sarei costretta a esorcizzare papà se me lo chiedesse. Con quell’entusiasmante affermazione, storco il naso. Edward è a casa di un suo qualche amichetto. Me lo immagino entrare dalla porta, con le guance rosse e lurido. Lie, invece, se n’è andato di casa e, a meno che il mio umore non cambi, lui non ritornerà. Ho come l’impressione che, dopo la conversazione sul decimo esorcismo, non sarà facile fargli cambiare opinione. Diciamo che una differenza l’ho notata: nel passato, a un ordine diretto Lie sarebbe stato costretto a ubbidire. Ora no.
Sbuffo. Ho fame. E ho voglia di pizza. Una maxi pizza super condita che ti fa ingrassare solo a guardarla. In questo periodo non ho proprio problemi di peso. Anzi. Se mettessi su qualche chilo avrei meno l’aspetto di una persona denutrita.
Esco di casa, portandomi dietro solo portafoglio, cellulare e chiavi. La collana al collo sbatacchia dentro la maglia, fredda a contatto con la pelle. Mi passo le dita sulla catena d’argento.
Vicino a casa, beh, non proprio dietro l’angolo, c’è una pizzeria d’asporto che fa una pizza fantastica. Doppia dose di mozzarella, pomodoro, pasta grossa … solo al pensarla ho l’acquolina in bocca. Nonostante siano solo le diciotto, è già crepuscolo, i lampioni sono accesi e le vie sono trafficate. Mi avvicino alla cassiera, chiedendomi cosa voglio. «Mm. Una vegetariana grande.»
Mamma si lamenta che mangio poca verdura. Così sarà felice di me. La ragazza mi dice che sarà pronta tra dieci minuti. Annuisco e mi sistemo vicino alla porta. C’è un bel profumino lì. Mi viene voglia di tuffarmi nel forno e di abbrustolirmi per bene con qualche cibo. Le persone all’esterno camminano. Un bambino con lo zaino di scuola viene trascinato imbronciato dal padre, due vecchietti parlano in mezzo al passaggio indispettendo la folla, un fantasma mi sta fissando con occhi iniettati di sangue. Una normale serata, insomma.
Sospiro. Sì sì, è il mio compito … bla bla … devo farlo … bla bla. Mai una volta che si parla del riposo di un’esorcista. Tentenno un attimo, fingendo di guardare l’ora sul cellulare. «La pizza è pronta fra dieci minuti, mm? Dopo torno.»
Me ne esco prima che la cassiera mi parli, anche solo per chiedermi se sto bene. Il fantasma mi vede e sguscia lontano. Non so quante persone riescano a vederlo, gli effetti di una Città degli Spiriti mi sono ancora ignoti. Quello che so è che non posso fare un esorcismo davanti a dei mortali. Credo che sia un po’ troppo ultraterreno perché lo comprendano. E, come sempre, i fantasmi sono attratti dalla via più lurida e meno illuminata delle vicinanze. Un piede schizza sulla pozzanghera, abbasso lo sguardo solo per accertarmi che sia acqua e non qualcosa di meno puro. Per quando il fatto che una scarpa sia immersa in una fanghiglia marrone non mi renda fiera di me.
Il fantasma si muove furtivo, cercando di soppesare le mie mosse. Credo che sia chiaro il perché sto imprecando. «Perché non andate mai in una via illuminata? Diamine. Che schifo.»
Non è uno spirito Caino. Sono sincera: spero che non sia un quarto livello, per quanto in cuor mio so che mi avrebbe già attaccato. Primo livello? Probabile. Mi insospettisce il fatto che non parli. Sospiro. Non ha l’intenzione di fare una bella chiacchierata a tu per tu. «Senti, davvero. Non ho nulla contro di te, ma vorrei sbrigarmi con la questione.» La pizza mi sta aspettando.
Lo spirito emette un urlo, mi ritrovo a fare una scivolata di schiena contro il muro. No, scherziamo? Un settimo livello? Lo spirito si avvicina con passo ferino. Solleva una mano e aggancia la mia caviglia. È estremamente caldo, per essere uno spirito. Con facilità mi solleva e sbatto contro il cassonetto delle immondizie, con un rantolo indispettito. Fa dannatamente male. Tossisco e sputo un po’ di sangue per terra. Nuovamente, lo spirito si avvicina e mi solleva. Sento la pelle sfrigolare sul collo, seppur mi preme di più cercare di respirare, visto che sta stringendo dannatamente bene con la mano.
Compaiono dei pallini rossi e neri ai lati degli occhi. Bel, non ti azzardare a svenire. Non in un momento del genere. Sollevo piano le mani, congiungendole al mio petto. Lo spirito è troppo concentrato sul mio volto paonazzo, quindi le dita che si congiungono nel formare un triangolo sono del tutto ignorate. Stringe più a fondo, la lingua sembra volersi staccare dalla gola e fare un salto nello stomaco. Mormoro. «Settimo. Esorcismo. Imposizione.»
Le catene colpiscono lo spirito al petto con un assordante clang. Gli si avvolgono attorno al busto, per poi salire verso le braccia. Allenta la presa, io cado a terra e mi reggo in piedi traballante. Ignoro le anime che si sono unite, la marmaglia di pensieri che affollano quella mente. Cerco di non pensare che la collana al mio petto sta letteralmente bruciando, o i segni delle dita dello spirito sul collo. Ci sono un sacco di cose che al momento non devono avere importanza. Mi appoggio al cassonetto, osservando le catene multicolor che si avvolgono come la seta attorno a quello spirito. Lo lascio ascendere, abbandonando la congiunzione delle mani quando sono certa che non ci sia altro da fare. Mi massaggio il collo. Vaffanculo alla missione degli esorcisti. Un giorno o l’altro mi troveranno distesa per strada, in una posizione assurda, magari pure con le mani congiunte per fare un esorcismo. Porcamerda.
Mi pulisco meglio che posso con vigorosi colpi di mani. Controllo di aver tutto nelle tasche, mi massaggio il collo dolorante, rientro nella pizzeria e agguanto la mia cena. Non sono neppure certa, per quanto grande sia, di riuscire a lasciarne qualche fetta anche a mamma.
Il rientro a casa è tranquillo. Mi ostino a fissare il cartone della pizza fumante, ricordandomi che se non vedo i fantasmi loro non possono chiedermi nulla. E io non è che ignoro la mia missione: sono solo occupata in altro. Appoggio il cartone sul tavolo, agguantando una lattina di coca cola. Apro, vedendo che mi hanno anche tagliato la pizza a fette. Grazie. Un motivo in più per non usare coltello e forchetta.
Ho appena preso una fetta di pizza, quando qualcuno bussa alla porta di casa. Non aspetto visite. Con la fortuna che ho, Malachite ha appena messo insieme un esercito di spiriti Caini. Strano che bussino alla porta. Butto la fetta dentro al cartone. Guardo dallo spioncino e corruccio la fronte.
Apro la porta con un «Quando diavolo ti ho detto dove abito?»
Credo che Robert si aspettasse un “ciao”. Povero ragazzo. Arretra di un passo, stessa reazione che avrei avuto io se davanti alla porta ci fosse stata davvero la mia precedente sorella. «Chase me l’ha dato.»
Ovvio. «Perché?»
   «Posso andare via, se vuoi.» Dalla voce sembra proprio che apprezzerebbe veramente una fuga. Mi scosto, invitandolo a entrare. Sospiro, prendendo due piatti tesi, bicchieri e posate. Faccio cenno a Robert di sedersi davanti a me. Sono educata e disposta a dividere la mia cena con lui. Oppius era un fratello minore, nel passato. Per quanto fossimo quasi coetanei, ho sempre avuto l’impressione di doverlo proteggere.
Afferro una fetta di pizza e lui fa altrettanto. Sì, è un bambino. «Grazie.»
Ho la bocca così piena che se parlo il ragazzo si troverà uno tsunami di formaggio in faccia. Lo vedo abbozzare un sorriso. «Mi ricorda tanto il passato. Come quella volta che mi hai cucinato quel ratto e mi hai obbligato a mangiarlo.»
Sono costretta ad appoggiare sul piatto teso la mia fetta mangiucchiata. Non so, il pensare che nel passato non mi creava problemi mangiare topi grandi quanto gatti mi ha un po’ chiuso lo stomaco. Robert storce la bocca e mi imita. «Pessimo argomento.»
Bene. Ci sei arrivato che topi e cibo non vanno d’accordo. Sorseggio un po’ di coca. «Tutto bene?»
   «Sì, certo.» Mente e si rende conto della persona che ha davanti un secondo dopo. «Cioè … diciamo di sì.»
Stacco con le dita la crosta, giochicchiando finché non dimentico che ho mangiato un topo. Dannazione, che schifo. Ricordo pure che ho preso un bastone e l’ho infilzato da parte a parte per cucinarlo per bene. Se non mi avessero bruciato, credo che sarei morta per una delle schifezze che ingurgitavo. Aspetta un attimo: se ho infilato il bastone dalla bocca del ratto, l’altro …. Oddio, che schifo! Robert pigola piano. «E tu? Stai bene?»
   «Penso ai topi.»
   «Scusa.»
Mangiucchio un peperone. Al diavolo. Ingoio in un boccone la fetta, allungo la mano e ne prendo un’altra. Robert si trastulla con un fungo. Contento lui. Con quell’aspetto sembra innocente e giovane. Ha la stessa età di Jamar, quindici anni, e solo un anno in meno di me, ma sembra in un qualche modo più piccolo. Lo è sempre stato. Anche se Sura fu l’ultima esorcista a essersi unita al gruppo, quando parlavamo di Oppius ci riferivamo a lui come al piccolo della combriccola. E l’età aveva poca importanza. Gli occhi verdi sono concentrati sulle sue dita, che si muovono nervosamente. Alzo un sopracciglio. «Sei più attivo.»
Robert si riscuote, fissando le sue mani. Ridacchia, mangiucchiando la poltiglia che ha creato. «Qualche volta anche io mi ostino a non essere pigro. Tu non ti ostini, forse, a essere sincera?»
Stendiamo un velo pietoso su quel punto. Nascondo ancora al gruppo che mia sorella Malachite è ancora viva. Robert traduce il mio silenzio come conferma. «Ho paura, Bel. Ho paura che saremo costretti a ritornare a far parte dell’Ordine. Non credo di poterlo reggere. Non di nuovo.»
La pizza inizia ad assumere un cattivo sapore, come un qualcosa di rancido che è sceso nello stomaco e poi ha deciso di ritornare in gola. «Chase lo sa. Ne terrà conto.»
Sbuffa. «Questa è una bugia che capisco anche io. Chase non tiene conto se una persona può o non può reggere una situazione. Lui guarda le necessità.»
Mi appoggio allo schienale. Perché c’è la necessità di una tecnica per piegare la realtà? Robert dice, e a ragione, che Chase non guarda il singolo, quanto alla totalità. Perché, con questi presupposti, noi dobbiamo usare un qualcosa per modificare il reale? Alzo lo sguardo per vedere gli occhi sinceri di Robert trapassarmi da parte a parte. Sembrano chiedermi di essere sincera. Sfortunatamente per lui, non posso farlo. Non lo reggerebbe. È il più debole di noi otto. Se ci fosse Warren, sul serio, avrei meno problemi. Mi guarderebbe, borbotterebbe qualcosa e basta. Pace fatta. Lui ne sarebbe solo distrutto. «Ne parlerò con Chase.»
   «E quello che gli dirai avrà un qualche peso?»
Assolutamente no. Se lo avesse, credi che me ne starei a casa a mangiarmi una pizza? Alzo una spalla in un gesto non compromettente. Un problema alla volta.
Robert sbarra gli occhi, guardando la porta. Dal rumore, direi che mamma è tornata a casa. Bene. È pure fortunata perché io e Robert non abbiamo mangiato neppure mezza pizza. C’è da dire che ho ancora fame, quindi questa fortuna non le durerà ancora a lungo.
Vedo il profilo di mamma, lei che si ferma e fissa il ragazzino che è davanti a me. Stringe le labbra. «Ciao.»
Mi alzo dalla sedia, per prenderle un piatto e un bicchiere. «Ciao mamma. Lui è Robert, un … mio amico.»
Robert è rosso. Sembra una bandiera color peperone e oro. «S-salve.»
Mamma gli sorride, scrutando me. Le preparo un posto a tavola. «Che c’è? È un mio amico e ha un problema.»
Robert si stropiccia i piedi, guardandosi le scarpe. «Mi dispiace tanto, signora. Io non volevo disturbare. Ho litigato con i miei e … e l’unica persona che non mi giudica è Amabel. Chase si arrabbia se scopre che me ne sono andato di casa.»
Fingo di essere stata consapevole di questa storia, cosa che comunque potrebbe giustificare il perché, tra tutti, è venuto proprio da me. Me lo vedo proprio, Robert, andare o da Philippe o da Jamar. Lo avrebbero distrutto. E Warren? Di certo lo avrebbe coinvolto in qualche atto non lecito. E, come detto da Robert stesso, Chase lo rimanderebbe a casa senza neppure ascoltarlo. Mamma, però, sembra solo aver capito che è un amico pure di Chase. Non so cosa gli passi per la testa, ma di certo trovare sua figlia a casa da sola con un ragazzo deve aver fatto girare le rotelle a mamma. Cerco di guardare Robert con i suoi occhi ma, no, mi dispiace. Rimane sempre un bambino che ha bisogno di aiuto.
Mamma si siede vicino a me, Robert guarda il piatto vuoto. Con un sospiro prendo una fetta di pizza e gliela spiaccico sul piatto. Penso di aver detto pure «mangia» con tono autoritario. Di certo lui si è messo a mangiare con solerzia.
Mamma si ostina a fare conversazione ma non ha calcolato che Robert è timido, con gli sconosciuti. Ogni volta che gli rivolge la parola, mi guarda atterrito e sono costretta a rispondere al suo posto. Al terzo tentativo, mamma decide di parlare direttamente con me. La pizza pian piano scompare, mentre parlo con mamma che il compito di biologia è andato bene. Mi sembra strano di essere uscita solo alla mattina e di aver pensato che la giornata non poteva peggiorare. Stupida ingenuità adolescenziale.
Guardo l’orologio. Sono le ventuno e qualcuno deve tornare a casa. Prendo in mano la situazione, anche a costo di sembrare molto Chase e poco Bel. Il ragazzino, volente o meno, deve tornare subito dai suoi. Con sollecitudine, e senza farmi impietosire, lo accompagno alla porta. Robert si tira nervosamente un orecchio. «Beh. Grazie per la pizza e … il resto.»
   «No problem, fratellino.» Davvero, non l’ho detto intenzionalmente. Il ragazzo abbozza un sorriso nervoso. «A me piaceva. Sai … quando ci chiamavamo così. Mi è sempre piaciuto.»
   «Bene.» Spero che non mi scappi mai davanti a qualcun altro una frase del genere. Sono certa che pochi capirebbero il legame che ci unisce. Mi sorride, prima di zoppicare per le scale.
Chiudo la porta davanti a me, tornando in cucina. Mi accorgo con una parte del cervello che c’è qualcosa che non va, ma non ho ancora capito cosa. Mamma sta lavando i piatti e mi volta le spalle. Raccolgo con una spugna le briciole, buttandole nel cestino. «È tanto dolce il tuo amico.»
   «Come un bambino.» Confermo. Che diamine è questa sensazione?
   «Amico anche di Chase, da quello che ho capito.»
   «Più o meno. Cioè … sì, ma Chase si occupa di lui come se fosse suo fratello minore. Sai, è più piccolo, ha sempre quell’espressione di cane bastonato. Fa un po’ tenerezza.» E io gli sto dando una pessima reputazione. Sospiro. «No. Robert è un tipo apposto, solo che ha la tendenza ad essere troppo emotivo. Chase lo conosce da tanto e sa come prenderlo.»
   «Da quanto siete amici?»
Da seicento anni, anno più, anno meno. «Parecchio.»
Mamma asciuga i piatti con un canovaccio. Mi mordicchio un labbro. Sento l’odore del detersivo e qualcos’altro. Mi controllo le gambe, ma non sembra che stia perdendo sangue. Almeno non così tanto da giustificare l’odore metallico. Corruccio la fronte, accucciandomi per vedere la chiazza di sangue sotto la sedia. «Merda»

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
 
 
 
            È inutile affrontare più problemi contemporaneamente. Rischio di non portare a compimento niente. Problema numero uno: Lie mi evita. Quel brutto stronzo non si è ancora presentato dal giorno prima, quindi le mie richieste che ritorni a casa sono state inutili. Complimenti a Malachite per il fatto di essere riuscita a rivoltarmi contro il mio stesso vizio. No, sul serio. Complimenti.
Problema numero due: scaduto il tempo. Devo dire ai ragazzi che Malachite è viva e si fa chiamare Susan Brennan. Vediamo il fatto positivo: non siamo più gemelle, quindi col cavolo che mi scambiano per lei. Di contro, il fatto che lei sia viva non mi entusiasma particolarmente. Inacidire la nostra fiducia è stato facile. Ancora non ci siamo ripresi dalla sua passata intromissione, letteralmente rischiamo di buttare legna su un fuoco già allegro. E io me ne intendo, di fuoco.
Problema numero tre. Decido di puntare su questo perché, a cascata, gli altri verranno fuori in giornata.
Mi metto un paio di jeans e una maglia, sopra una giacca e prendo lo zaino. Per la strada lo sento troppo leggero, quindi di certo ho dimenticato tipo il novantacinque percento dei libri o a casa o, e qui pongo tutta la mia speranza, nell’armadietto a scuola.
Mi dirigo come prima cosa nell’armadietto, dove metto al suo interno lo zaino. È troppo presto, quindi decido di prendere i libri in un momento più opportuno. Tamburello con la mano, scorgendo i numeri sul cellulare. Mi ero dimenticata che Eliza ha aggiunto tutti i numeri degli esorcisti. Decido di chiamare Julia cosa che, a pensarci bene, potevo farlo anche da casa, invece di presentarmi all’istituto con il canto del gallo. Dal bagno giunge una suoneria conosciuta. Riattacco il cellulare. Neppure penso alla fortuna di trovare la mia amica in bagno, in quanto io e Tyche non andiamo particolarmente d’accordo. Appoggio una mano alla porta e … cioè, mi ricordo il nome della divinità greca della fortuna e devo studiare il 1400 dai libri? Dalila aveva proprio degli strani interessi.
Julia si sta lavando le mani e gira appena la testa alla mia entrata. «Ciao. Eri tu, al telefono?»
   «Sì. Ho bisogno di parlarti.»
   «No, oggi diremo agli altri di tua sorella.»
Socchiudo gli occhi, scacciando un pensiero. Okay, trovare scappatoie sono la migliore, ma anch’io non mi permetterei mai di nascondere un fatto del genere. … bugia! «Non sono venuta qui per posticipare. Lo dirò io stessa a Chase, dopo averti parlato. Anzi. Non occorre neppure che parli.»
L’espressione di Julia allo specchio esprime tutto il suo scetticismo. In poche mosse fulminee, mi avvicino a lei e le sollevo i pantaloni ad altezza ginocchio. Non ha ferite evidenti. Niente ustione, niente sangue. Però non sono perfette. In un certo senso, ha la pelle avvizzita, come di una persona che ha passato tanto tempo in acqua e ne è appena emersa. Trattengo il fiato. Julia fa un passo, i pantaloni le cadono giù e si accinge a coprirsi in maniera frettolosa. «Non ti ho dato il permesso …»
   «Sei annegata.»
È chiaro il perché, quando abbiamo attraversato il ponte, lei ne abbia avuto paura. Sotto di lei, il fiume Hudston le ricordava la sua morte. Sono chiare anche le ferite di Robert, sotto quella luce. Il ragazzino è stato torturato, prima che lo uccidessero.
Mi ostino a mantenere la calma. Tre su otto, non significa nulla. È presto per focalizzarsi su quel pensiero. Julia mi fissa, preoccupata. Ha la bocca leggermente aperta, una domanda inespressa che le vortica tra le labbra. Il lavandino mi sembra ballare davanti ai miei occhi. «Bel, stai bene? Hai perso colore.»
Con mano tremante controllo nuovamente i numeri sul cellulare. Leggo quello di Chase e premo per dare avvio alla chiamata. Aspetto … aspetto. Mi sembra che tutta la mia vita si concentri in quella fottutissima chiamata, come se tutto dipendesse da quello. Dannazione. Forse è esattamente così.
Ho preso la linea. «Dove sei?»
La voce di Chase è sorpresa. «A scuola. Perché?»
Con cipiglio riottoso, riattacco il telefono e quasi contemporaneamente esco dal bagno. Non è detto. Continuo a ripetermi che posso aver interpretato male. Lo vedo. Non mi sente perché sta ancora guardando accigliato il cellulare. Non c’è nessuno a scuola, o quasi. Sento in lontananza delle persone che parlano, una porta che viene chiusa. Mi avvicino così velocemente e silenziosa a Chase, che si accorge solo che lo spingo contro gli armadietti. Emette un rantolo. «Amabel!»
Ha la camicia e, con mani tremanti, gli slaccio il primo bottone. Le sue mani guizzano per fermare le mie, ma sono così veloce che gli apro la camicia per guardare il braccio destro. All’attaccatura della spalla non ci sono ferite. Sto ansimando. Dovrei essere felice, no? I fatti mi hanno smentito. Chase mi prende le mani, abbassandole. Continuo a fissare la sua pelle liscia, vicino al collo.
No. Non così.
Faccio resistenza e, con più calma, mi avvicino alla spalla sinistra. Scopro la pelle e lui me lo concede. Se lo è fasciato. Vedo uno striscio di sangue secco, perfettamente dritto, come fatto da una lama. Arretro di un passo, le dita mi scivolano dal bordo della camicia. Ho la bocca leggermente socchiusa, i miei occhi non si staccano dal punto in cui so esserci quella ferita.
No, non pensare. Non formulare quel pensiero, non collegare i punti. È presto. No.
Chase si allaccia la camicia. «Ti sei calmata?»
No. Per niente. Mi mordicchio le labbra e, di nuovo, quel pensiero si inizia a formulare. La sensazione che tutto fosse sbagliato, quella imprecisione che ha sempre galleggiato nell’aria … tutto si sta concretizzando e i punti si stanno unendo a formare una figura. Sbatto ripetutamente gli occhi. Non riesco ancora a fissarlo in volto. «Ieri ho incontrato Malachite.»
   «Malachite?»
Annuisco. «Sì. Si è reincarnata anche lei.»
   «Tua sorella gemella si è reincarnata?»
Mi sembra di parlare con qualcuno un po’ duro di comprendonio, ma so il perché me lo chiede più volte. Annuisco e, finalmente, riesco ad alzare lo sguardo. Pessima idea. Ha corrucciato la fronte, espressione dura e segnata. È la copia di Titus e, dentro di me, non so quanto amo di più tra passato e presente. Né chi, tra i due, in questo momento ce l’ha di più con me. «Perché non me l’hai detto subito?»
Mi inumidisco le labbra con la lingua. Se il gesto di sottomissione lo addolcisce, di certo non lo fa vedere. «Ha parlato di un qualcosa, ieri. Ha detto che noi esorcisti non usiamo una tecnica che serve per piegare la realtà. Sembrerebbe che … non so … questa tecnica possa in qualche modo essere usata contro di lei.» Sospiro, per prendere coraggio. È presto per dare voce a un’altra persona coinvolta. Presto. «Volevo chiedere a Lie di questa tecnica. Presumo che sia … il decimo esorcismo.»
   «L’occhio di Dio
   «Precisamente.»
Chase solleva un sopracciglio. «Devi dirmi altro? Tipo il perché lo hai chiesto a Lie.»
   «Perché se Malachite … cioè, se questa Susan dicesse la verità … ecco … potrebbe significare che sia implicato qualcun altro.»
Chase annuisce. «Continua.»
   «Beh. Non c’è altro da dire.»
   «Quindi tu non me l’hai voluto dire subito perché temi il coinvolgimento di una persona che già tutti ormai sospettiamo? È questo che stai dicendo? Pensavo tu avessi aspettato perché avevi l’errata convinzione che Lie ti dicesse come fare il decimo esorcismo, così da poterlo fare e in qualche modo espiare una tua assurda mania di colpevolezza. Il tuo vizio è a casa mia e si è rifiutato tassativamente di dirmi il perché.»
Tratto troppo male Lie, tenendo conto che mi ha coperta. E, logicamente, dove mai poteva andare a rifugiarsi?
Il ragazzo attende. Abbasso lo sguardo sconfitta. Malachite è una mia responsabilità. Se tutto quanto è nato per un suo rancore, allora è colpa mia. A questo punto, è quasi una speranza perché l’alternativa è agghiacciante.
Ormai Chase mi ha smascherata, io ho le mie risposte e un’infinità di domande che emergono.
E poi quel pensiero arriva. Si concretizza con facilità, perché siamo umani. Noi pensiamo. E in cuor mio l’ho già accettato.
Ecco la verità: non sono solo io la destinata. C’è sempre stato un qualcosa che non andava, che non giustificava il mio corpo. La croce benedetta non mi sta salvando. In verità mi sta solo complicando la vita. Non è, come pensavo, un mezzo per bloccare l’avanzata della mia morte. È solo lo strumento che mi permette di non sentire il dolore. Il mio corpo sta già morendo. È inevitabile.
Quello che non sapevo è che ognuno di noi, a suo modo, sta rivivendo gli ultimi attimi di vita, ripetendolo in un sogno macabro finché il nostro corpo non sarà più in grado di contenerlo. Tutti gli esorcisti moriranno.
E ho ragione di credere che io sarò solo la prima.

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Capitolo 15
*** 15 ***


15
 
 
 
         Sono imprigionata all’interno del mio corpo. La croce benedetta inizia a pesare. L’orologio ticchetta piano, scandendo la fine della mia vita. Non manca molto. Tic tac … tic tac. Prima di morire volevo viaggiare. Ora non so neppure se riuscirò a diplomarmi. L’ottimismo è il profumo della vita. Beh, al brutto stronzo che ha detto una cagata del genere: vaffanculo. «Chase … noi stiamo morendo, lo sai?»
Si massaggia la spalla sinistra, nel punto in cui il segno della lama ha lasciato la scia di sangue. «Sì. Lo so.»
   «È stupido ma credo di voler saltare scuola.»
   «Sì. A conti fatti credo sia meglio incontrare gli altri.»
Non la vedo come una questione di migliore o peggiore. Semplicemente il sapere la verità mi ha, come si può dire, demoralizzato. È confortante sapere che morirò bruciata anche se passerò il resto della vita che mi rimane immersa in una piscina. Rende la parola “inevitabile” più dura e comprensibile. Al diavolo il mio destino di esorcista. Passa in secondo piano.
E poi, siamo sinceri: voglio morire a sedici anni senza aver mai bruciato? Non siamo ridicoli. A conti fatti, non ho neppure mai baciato un ragazzo, ma infilare la lingua in bocca a Chase potrebbe essere un po’ più difficile del previsto. Come se avesse intuito cosa penso, incrocio il suo sguardo perplesso. Lui non sa leggere nel pensiero. Devo ripeterlo prima di raggiungere il mio armadietto e prendere lo zaino. Fisso i libri e decido che la cosa migliore è prenderli. Non sia mia che nella lapide mettano “ignorante come una capra”. Senza offesa per le capre. Io le adoro. Soprattutto nello spezzatino. Pensiero di Dalila.
Sbatto violentemente le ante. Odio quella parte. Dalila nel mio corpo … o la sua mente dentro di me. Non mi è ancora chiaro il nostro rapporto, e tanti saluti al fatto che siamo la stessa persona. Sono convinta che molte scelte di Dalila non le avrei mai fatte. Innanzi tutto, quella psicopatica di mia sorella l’avrei annegata. Primo. Secondo, sono certa che mi sarei fidata dei miei compagni. Okay, forse non la seconda parte. Una parte di me è consapevole che solo la presenza di Julia mi ha obbligato a parlare loro di Susan. No. Io e Dalila ci meritiamo a vicenda.
Chase sta guardando il cellulare. Lo vedo selezionare un numero dalla rubrica e, vedendo che lo fisso, mi sillaba “Philippe”. Julia ci sta osservando scettica, le faccio cenno di uscire con noi. All’entrata, Jamar sta varcando la soglia. Strano che sia così mattiniero, tenendo conto che è uno di quelli che a scuola neppure si presenta. Con l’indice faccio un cerchio e, imitando il mio gesto, fa dietrofront. Beh, facile convincerlo.
Con le mani infilate nelle tasche, sento il cellulare muoversi come un serpente alla musica dell’Incantatore. Con la fortuna che ho, nella migliore delle ipotesi mentre esco da scuola incontro nonna; nella peggiore, l’intero corpo insegnanti.
Con un sospiro prendo il cellulare. Mamma è a lavoro, sono le otto e molto probabilmente è troppo impegnata per darmi retta. Abbastanza libera, tuttavia, da rispondere al cellulare. «Ciao mamma. Senti, stamattina non vado a scuola.»
Punto tutto sul fatto che mamma si fida di me. «Perché?»
Rimane, però, lo stesso la mia mamma. Mi mordicchio il labbro inferiore. «Perché … Julia sta poco bene e devo accompagnarla a casa. È il primo giorno di ciclo e sta malissimo. Sua mamma non è a casa e, davvero, la dovresti vedere. Preferisco stare con lei.»
   «Bel!» In confronto, sono più pallida io di lei. Soprattutto adesso, che mi guarda indignata, con le guance rosse.
   «Che ciclo fotonico.» Rimbrotta Jamar.
Immagino che mamma annuisca, ignorando come la mia menzogna sia stata presa dai miei compagni. E spero pure non sentendo i loro commenti. «Certo, tesoro. Mi dispiace per Julia.»
   «È meglio che vada. La sto letteralmente trascinando.» E lei ha tutta l’intenzione di farmi fare la strada con il suo piede a diretto contatto con il mio sedere. Riattacco soddisfatta. Non c’è dubbio che mamma mi giustificherà l’uscita, ora Julia è arrabbiata e mi cammina spalla-spalla … sì, potrebbe andare. Di certo mi sta così attaccata che è passabile la scusa sul fatto che la sto trascinando.
Julia mi prende il polso. Giusto. È molto più forte di me e lo ricordo perché le ossa mi sembrano rompersi. Ahia! «Quante volte hai usato una scusa del genere? Amabel? Quante volte?»
Mi sento come Lie quando, dopo al secondo richiamo, è costretto a dirmi la verità. E come lui, sono costretta a dirla controvoglia. Forse non è tanto la necessità dell’essere sincera, quanto che se non lo faccio, Julia mi sbatte a terra e mi usa come straccio per il marciapiede. «Un po’ di volte. Parecchie. Diciamo che sei la mia scusa preferita.»
   «Che genere di scuse?»
Alzo una spalla. Sono convinta che se Chase non riattacca quella dannata chiamata, gli esorcisti al suo comando diminuiranno di numero. Che diavolo deve dire a Philippe al telefono? Una dichiarazione d’amore è più breve. «Non so. Non le ricordo tutte. Sì, ecco … ecco … potresti avere come cugino un detective. Tuo papà potrebbe avere una fidanzata che tu odi … forse si è anche lasciato con quella e tu mi hai chiamato per festeggiare. E … Ju, mi fai davvero male il polso.»
   «Solo queste?»
Ovviamente no. Sono le ultime che ricordo. «Sì. Ahn, e praticamente studio molto spesso con te e Mary, ma a parte queste basta.»
Mi lascia il polso prima di sillabare abbastanza distintamente la parola «Menti». Sì, okay. E tu sei incazzata, sempre. Siamo pari.
Chase attacca il telefono. Alleluia! Ci indica il McDonalds. Per essere solo le otto di mattina, strano luogo per darsi appuntamento. Appena mettiamo il piede lì dentro, veniamo colpiti dal profumo di uova e pancetta, mischiato a qualcosa che potrebbe essere caffè molto condito con olio. Insomma, una classica colazione. Arriccio il naso, individuando Warren e Eliza seduti piacevolmente a un tavolo. Sembrano pure normali fidanzati, se Eliza non avesse due Happy Meal con una vagonata di patatine fritte davanti e Warren un piatto di pancetta con almeno due portafogli di contorno. Più due coca cola formato gigante, una delle quali terminata.
Mi siedo vicino a Eliza, Chase prende posto vicino a me. Davanti, Warren conta i soldi e se li infila in tasca, Jamar agguanta con le mani una fetta di pancetta e Julia ha la stessa espressione di una che entra in bagno e non gradisce la visione. D’istinto osservo Warren irrigidirsi, mentre il cibo gli viene sottratto dal piatto e finisce in bocca a Jamar. Piccola spiegazione, magari d’obbligo. Ecco, Eliza e Warren stanno molto spesso insieme, nel passato e anche nel presente, perché hanno qualcosa che li accomuna. Primo fra tutti, mai avere oggetti di valore con loro. Per quanto Eliza sembra buona, sincera e compagnia bella, Sura era una ladra. Quando si parla della gola, non si intende solo fame di cibo. È voglia di tutto. È per quello che mi sono seduta in modo da lasciare scoperto il fianco sinistro: lì non ho nulla.
Warren può essere un ladro, perché di certo ha il concetto di “mio” e “tuo” molto alterato, ma ha un qualcosa che lo distingue da Eliza. Se la ragazza perde un oggetto, alza le spalle e pace fatta. Se a Warren viene sottratto qualcosa, ecco … dire che è avaro significa che prima ti ammazza e poi si riprende l’oggetto. E diventa suo nello stesso momento in cui ci mette sopra le mani. Per quello sono sorpresa dal coraggio di Jamar.
Eliza, percependo il pericolo, tamburella con un dito sul suo piatto. «Avete fame?»
Chase la ignora, fissando Warren. Percepisce anche lui il pericolo? Osserva le bibite, poi agguanta la mano di Jamar prima che possa rischiare la vita per prendere un’altra fetta di pancetta. «Sei disidratato, Warren.»
Warren alza le spalle. Assomiglia a un gorilla che cerca di scrollarsi il pelo dal corpo. «Na. Voi non dovreste essere a scuola? I bravi bambini sono in classe, a quest’ora.»
Chase lascia la mano di Jamar, un invito a non provarci neppure a fare qualcosa di stupido. Osservo Warren. Nonostante abbia già bevuto una coca cola grande, le sue labbra sono secche e stranamente rosate. Poco più scure della pelle del volto, in effetti. «La gabbia.»
Julia mi fissa, accettando una patatina da Eliza. Mi allontano dalla sedia, Chase blocca il movimento alzando una gamba e agganciando la sedia sotto di lui. Il suo tono non ammette repliche. «Non ne parleremo qui.»
   «Parlare di cosa?» Fa eco Eliza, svuotando tutto il vassoio su un sacchetto della spesa. Immagino che trovare sei esorcisti su un tavolo del McDonalds prima delle nove di mattina non preannunci una bella giornata. Ha tutte le aspettative di essere un giorno disgustoso come le ultime due settimane. Chase mi fissa, invitandomi a non parlare. E chi ci prova? La conversazione “ragazzi, stiamo tutti per morire. Chi vuole il caffè?” mi attirerebbe molti sguardi indisponenti. Tanto più che all’appello ne mancano due.
Jamar sospira. «Immagino che aspettiamo Philippe. E Robert.»
   «No. Il posto è troppo vistoso.» Non è il luogo a essere inadatto, Chase. È solo Philippe. Averlo qui attirerebbe i media che non possiamo permettere di avere. «Ci troviamo a casa di Eliza.»
   «È un piacere invitarvi.» Redarguisce lei. Warren sghignazza. Immagino che se fosse sua la casa da utilizzare sarebbe meno gaio.
Il ragazzo beve d’un fiato la coca cola, mentre ci alziamo. Subito qualcuno occupa i nostri posti ancora caldi. Non ci sono regole nella jungla. E neppure al McDonald alla mattina.
Julia mi si affianca nella camminata. Sembra avere tutta l’intenzione di chiedere spiegazioni. Mi sembra ovvio pure il motivo. Sono stata io a “spogliarla” in bagno, e non le deve essere scappato neppure il tentativo di vedere Chase mezzo nudo. Per quanto possa essere attratta dalla nudità, e spero che Julia non lo pensi sul serio, devo aver avuto un motivo per comportarmi in quel modo. Quindi, ho aumentato il passo e ho affiancato Warren. È il più taciturno del gruppo e non penso sia interessato a tutte le nostre ipotesi. Mi passa una mano sui capelli, schiacciandomi la frangetta sulla fronte in una vaga imitazione del cugino It.
Davanti alla porta di Eliza c’è Robert. Si sta mangiucchiando un labbro, lo zaino appoggiato a terra. È decisamente fuori posto. Gli manca la maglietta dei Minions e lo avrei portato io stessa alle elementari. Alza lo sguardo, Philippe emerge da un angolo. Tipo vampiro. Si muove addirittura tra le ombre. Dubito che chi vive in quel condominio sia un suo ammiratore. Più che altro, lo vedono come una persona con tanti soldi da poter essere un buon partito.
Eliza apre la porta. La sera prima deve aver cucinato cipolla, perché è quello l’unico odore che sento. Con le guance rosse, si avvicina alla finestra e la spalanca. Ci intrufoliamo dentro, chiudendo il mondo e quel secolo alle spalle.
Faccio cenno a Robert di sedersi. Lo vedo corrucciare la fronte ma, in un ricordo passato, si sente obbligato a ubbidire. Ora sanno tutti che qualcosa non va. Chase ci fissa, senza preamboli. Senza preavviso. «Stiamo morendo.»
E con questa entusiasmante uscita, direi che siamo entrati nello spirito della giornata.

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Capitolo 16
*** 16 ***


16
 
 
 
            Eliza ha messo su il caffè. Lentamente lo sento borbottare, mentre il silenzio continua a essere mantenuto. Sono appoggiata alla finestra, che ho chiuso prima di diventare un ghiacciolo che sa pure di cipolla, gli occhi fissi a osservare il paesaggio. Non mi piace molto il quartiere di Eliza. Ha un che di malfamato che, conoscendo Warren, è del tutto plausibile. Stupidamente, mi chiedo delle loro famiglie. In passato, la situazione era complicata. La mia famiglia fu decimata dalla peste e, con Malachite, siamo vissute da sole. Fino a quando non mi hanno trovata, nessuno sapeva che potevo vedere gli spiriti e passavo le notti con gli occhi chiusi, nella speranza che loro non vedessero me. Degli altri, in verità, non sapevo nulla. So che Sura, l’ultima di noi, era stata bollata come pazza o strega. O entrambe. Sapevano che vedeva qualcosa che non c’era e che ne era terrorizzata. Quando arrivammo noi, ci mettemmo il nostro tempo a convincerla. E ora? Abbiamo tutti una famiglia e, lo so, è solo un punto debole. Se qualcuno lo scoprisse, sarebbero loro a pagare per noi. Ma chi lo potrebbe scoprire?
Non che sia nelle condizioni di pensare alla mia famiglia. Quanto mi rimane da vivere? Mah. Direi a occhio e croce … neppure un anno. E vaffanculo a tutto.
   «Chi può volerci morti?» Chiede Robert, sbarrando gli occhi.
Jamar ridacchia. «Vuoi davvero l’elenco? Credo che la prima della lista sia la stessa che ci ha già ucciso nel passato. Malachite è viva e, di certo, ha abbastanza rabbia da tentare nuovamente alla nostra vita.»
   «Malachite ne ha di certo il desiderio, ma in quanto a forza?» Chiede Julia, massaggiandosi le braccia. Già. La prima parte della riunione è stato parlare della mia sorellina, e buttarle benzina contro c’è molto facile.
   «Johannes. Ha il potere. E quel Marco mi sembra abbastanza sospetto senza la storia del rivivere le nostre morti.» Philippe.
   «Chase ha parlato di un vescovo.»
   «Un vescovo del passato cerca di ucciderci? Non gli abbiamo fatto nulla. Anzi, a dirla tutta la Chiesa doveva solo ringraziarci. Non ricordate? Noi siamo i mediatori di Dio. Gli esorcisti hanno salvato le anime a chissà quanti. Se non fosse per noi l’Europa sarebbe corrosa da fantasmi di livello superiore.» Eliza ha ragione. Eppure è stata proprio la Chiesa a lavarsi le mani … beh, non proprio. Si dà il caso che la morte ce l’hanno inferta proprio loro.
Nell’aria inizia a diffondersi l’odore del caffè. Che diavolo ha cucinato Eliza perché in casa pure i muri siano impregnati di cipolla? È un mix davvero disgustoso. Peggio di avere il the con i biscotti nello stomaco e sentire il fritto del McDonald. Eliza ha un grosso problema culinario.
Jamar è piegato, con i gomiti appoggiati alle ginocchia. «Perché questi scrupoli. Tutti lo pensano, io sono l’unico che ha il coraggio di dirlo. Johannes.»
Sì. Il suo nome è in cima alla lista delle persone che potevano ucciderci. Tutta la situazione intorno a lui è dannatamente sospetta. Ma ci sono troppi misteri legati al suo coinvolgimento. Mi inumidisco le labbra con la punta della lingua. «È stata Malachite a dire i nostri nomi.»
   «Sì, beh, tua sorella non sarà stata una santa, ma …» Gli muoiono le parole in bocca. Mi giro appena per vederlo corrucciare la fronte. Già, giusto. Continuo io per lui. «Malachite odiava me. Se ero solo io il suo obiettivo, e di questo ne sono certa, sarei dovuta morire per ultima.»
Robert si mangiucchia un’unghia. «Johannes? Non siamo ridicoli. State insinuando che Johannes poteva essersi alleato con Malachite?»
Guardo Chase. «Qual è stata la reazione di Johannes alla confessione di Malachite?»
   «Impassibile. Come altro avrebbe dovuto essere?»
Non lo so. Sarebbe più facile se fossimo nel passato, possibilmente ancora vivi, a interrogare i diretti interessati. Ora, ancora meno che nel passato, possiamo fare solo congetture difficilmente validabili.
Eliza versa nelle tazze il caffè. Io, Robert e Julia decliniamo l’offerta. Osserva il liquido nero, passa le tazzine e, con altrettanta calma, espone le sue elucubrazioni. «Riflettiamo: Malachite aveva il desiderio di uccidere Dalila, ma non il potere. Johannes aveva le conoscenze sugli esorcisti, ma non il desiderio di volerci morti. Infine c’è l’Inquisitore, che di certo aveva il desiderio e il potere di ucciderci, ma non le conoscenze.»
Philippe appoggia appena la ceramica alle labbra. «Sono coinvolti tutti e tre?»
   «Sarebbe assurdo il contrario. Malachite ha confessato al posto di Dalila, facendo nomi che solo Johannes conosceva. Però, chi ci ha dato la morte è stato l’Inquisitore.»
Tre che volevano la nostra morte. Possibile. Come ha detto Eliza, sarebbe assurdo il contrario. Trattengo il fiato, perché il collegamento sorge spontaneo. «Malachite si è reincarnata in una ragazza che si chiama Susan.»
   «Sì, ce l’hai già detto prima.» Mi interrompe Jamar con stizza.
Scuoto la testa. «No. Malachite si è reincarnata. È normale supporre che … che anche qualcun altro potrebbe averlo fatto.»
D’istinto guardo Chase, e lui ricambia. I suoi occhi verdi, nella penombra dell’appartamento, sembrano pozze di acqua melmosa. So che non fissa me. No. Quello che adesso gli preme sapere è se effettivamente qualcuno nel passato può essersi reincarnato, con il suo bagaglio di ricordi e di rancore. Mi si stringe il petto, ho la certezza di aver fatto qualcosa che non dovevo. Oh, beh. Si aggiungerà all’infinità delle cazzate della mia … volevo dire delle mie due vite. «Si può dedurre che Johannes e l’Inquisitore, oltre a Malachite, sono in questo secolo.»
Warren espone la sua felicità con una bestemmia che obbligherebbe nonna a lavargli la bocca con acqua e sapone. Eliza alza un sopracciglio, così da obbligarlo a cambiare tono. «Che diavolo state dicendo? Solo gli esorcisti possono reincarnarsi.»
   «Inizio ad avere dubbi a tal proposito.» Ammette con stizza. È indubbio che Chase non sia soddisfatto della piega della nostra nuova condizione.
Julia stringe le mani a pugno. «Allora? Che dobbiamo fare?»
   «Non sappiamo di chi fidarci.» Espone con calma Chase. «Solo tu e Bel avete visto Malachite. Se mostrasse il polso, probabilmente la riconosceremo anche noi, ma invito lo stesso la cautela. Evitiamo qualsiasi ragazza dai capelli rossi.»
Senza offesa per le rosse, ma le avrei evitate come la peste. Il nostro capo continua. «I problemi sorgono se pensiamo ci siano altre due reincarnazioni. Non è detto, certo, ma sarebbe sconsigliabile non prendere in esame la possibilità. Non abbiamo nessuna certezza della loro esistenza. E ne chi potrebbero essere.»
Marco … Marco … Marco. In cuor mio so che è lui una delle persone che hanno attentato alla nostra vita. Perché? Spiegatemi come, dopo seicento anni, ricompare nella stessa famiglia una persona identica, dall’aspetto, al modo di parlare, pure certi modi di comportarsi, a un suo antenato? Non è un miracolo della genetica. Puzza troppo per non essere sospetto.
   «Tutti sono sospetti. Anche le nostre famiglie.»
Alzo la testa, sperduta. Devo essermi persa parte della conversazione perché la conclusione di Chase mi giunge del tutto inaspettata. Okay, tutti sono sospetti. Ma le nostre famiglie? Come posso, con quel pensiero, guardare in volto Edward questa sera? Siamo certi che non è quello che vogliono? La comparsa di Malachite ha messo in moto una ruota e ora siamo arrivati alla conclusione che non possiamo fidarci di nessuno. È assurdo. Non posso tollerarlo. È solo zizzania allo stato puro.
Mi allontano dalla finestra, avvicinandomi a Chase. «Ti dovrei parlare. In privato.»
Alza un sopracciglio, ma con grazia allontana la tazza da sé e mi invita a precederlo. Decido che è meglio allontanarsi dagli altri. Potrebbero origliare. Inoltre, mostrare che i due pseudo capi dell’Ordine litigano, in un momento del genere, creerebbe del panico. Apro la porta e mi intrufolo lungo il corridoio. Un guardone, che di certo conferma l’idea che ho del quartiere malfamato, sbircia i nostri movimenti. Apro un’altra porta, bloccandomi alla vista delle scale di emergenza molto sgangherate. Se ci fosse un incendio, mi butterei direttamente giù.
Chase socchiude la porta, in attesa. Lo attacco, senza dargli un avviso. «Non puoi arrivare a conclusioni del genere. Non fidarsi di nessuno? Neppure delle nostre famiglie? È assurdo.»
   «Ti prendi tu la responsabilità? Di chi possiamo fidarci? Dimmelo.»
Oh. Addirittura! «Beh, ovviamente non lo so.»
   «È finito il tempo dei fiori, bellezza. Ci hanno ucciso nel passato perché ci siamo fidati troppo di loro. È giunto il momento di essere un po’ più malfidenti.»
Credo di essere arrabbiata per essere stata chiamata “bellezza” da Chase. Strano, visto che Philippe non mi chiama che in quel modo. «Ci stai isolando.»
   «Non apparteniamo completamente al loro mondo. Devi fartene una ragione. Sono certo che le reincarnazioni prendano il possesso del corpo solo se viene mantenuto il sesso. Quindi, stiamo cercando due maschi. E sono certo che tuo fratello non è coinvolto.»
   «Molto confortante, ma dimentichi gli altri. Stai dicendo a … a Robert di guardare suo padre con diffidenza!»
   «No. Lo sto dicendo a tutti.»
Bene. Nell’eventualità che papà si risvegli dal coma e manifesti manie omicide nei miei confronti perché è, ad esempio, l’Inquisitore, io sarei felice e incazzata nello stesso tempo. Probabilmente Chase legge la mia perplessità nel volto, perché continua nei suoi bisbigli. «Bel, è vero, non possiamo fidarci di nessuno. Però sono anche convinto che riusciremo a riconoscerli.»
   «Come?»
   «Hai riconosciuto Malachite prima che lei si presentasse. Non solo per il marchio del peccatore. Dalila ha visto Malachite. Cerca di avere fiducia in noi. Vedremo qualcosa in loro, del passato. E se è corretto, ho ragione di credere che si siano risvegliati i ricordi da poco. Perché non puoi fidarti di noi?»
   «Perché non posso permettermi di perdervi di nuovo.» Non posso lasciarlo andare come nel passato. Ovviamente quello non posso dirlo, ma sembra intuirlo. Appoggia una mano sulla guancia, accarezzando con il pollice. Appoggia la fronte alla mia, stringendomi. Sono costretta a chiudere gli occhi per due motivi: quello più onorevole, è che il fissarlo da così vicino mi spinge a baciarlo. E lui non lo accetterebbe. La ragione meno onorevole è che sono convinta di non fare una bella impressione da strabica. «Vi proteggo.»
   «Uomini. Hai intenzione di proteggerci, ma chi si occuperà di te.» Abbozzo un sorriso, pensando che sto facendo una domanda del genere alla superbia. Praticamente è il maschio alfa, beta, gamma e delta per eccellenza. Chiedere aiuto? Mai. Bisbiglio. «Scusa. Ho ricordato il tuo vizio.»
   «Fa niente. Ho ricordato anch’io il tuo.» Un modo molto carino per dirmi che sa che mento. Mah. Forse non sono del tutto sincera sulle scuse. Anzi. Non sono pentita per niente.
Appoggia le labbra alla fronte, allontanandosi di un passo e mettendo un muro di cemento armato tra noi due. In fondo abbiamo solo condiviso una comune chiacchierata. Lui continua, indifferente. «Dobbiamo mostrarci uniti su questi punti.»
   «Certo.»
Prima di aprire la porta mi lancia un’occhiata. Sì. Non sono solidale con lui, però poco importa. Sono troppo abituata a stare dietro di lui per farmi tanti scrupoli in merito.

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Capitolo 17
*** 17 ***


17
 
 
 
         Sono seduta sul letto. Papà sta dormendo. Alzo gli occhi, controllando se quell’odiosa pappetta è ancora dentro al contenitore. Vicino al comodino, un altro recipiente attende il suo turno. Sento l’odore di bagnoschiuma, che nasconde appena quello più sotto. L’odore di una persona malata.
Sfioro con un dito la guancia di papà. Nessuna reazione. Sei lì? Lo spero proprio. «Ciao papà.»
Neppure la mia voce riesce a risvegliarlo. Non ho idea di cosa sia, per la nonna, vedere suo figlio in quelle condizioni. Fisicamente non sembra avere problemi. Oddio, a parte quel tubo nello stomaco che gli permette di nutrirsi. O quel crocevia di tubicini che si vede appena sotto le coperte, vicino al collo. O il ventilatore meccanico. Quella zona è tabù. Evito pure di guardarla. Rende troppo l’idea dell’ospedale.
Gli sposto una mano, fredda, infilandola sotto le coperte. «Che ne dici di svegliarti? Qui sta andando tutto male e …»
Oh. Cos’è questa lacrima che mi scende? Con la mano la ricaccio via, tirando un poco su con il naso. Troppe emozioni. «Papà, svegliati, per piacere. Vedi, …»
Mi mordo il labbro inferiore. Vedi, papà. Se non ti svegli, mamma impazzirà. È un dato di fatto perché non può dividere il cuore in due. O piange per te o piange per me. E io non rimarrò ancora a lungo. Nella mia testa, una me più decisa gli sta spiegando la situazione. Nella realtà, faccio già fatica a trattenere le lacrime.
In fin dei conti sarebbe pure facile così. Nessun mistero da risolvere, nessun Inquisitore da trovare. Solo io e gli esorcisti. E Malachite. E un sacco di fantasmi che rimarranno nella terra, se non interveniamo. E Dio sa che altro c’è. Ripensandoci, la situazione mi fa parecchio schifo anche così.
Guardo lo zaino a terra. Devo studiare e un qualcosa mi respinge. Devo avere un’anti calamita nello zaino, perché non ho mai avuto così poca voglia di studiare come in quel momento. Gli schiocco un bacio in fronte, ricordandogli che deve svegliarsi. Davvero. Mamma non può reggere la situazione in cui la sto portando.
Agguanto tutto, chiudendo la porta della stanza alle spalle. Esattamente come l’ho trovata. Nonna non si accorgerà neppure che sono stata da lei. Ho un futuro, breve per la verità, come palo per Warren.
Osservo il vecchio ritratto di Dalila, che mi guarda impettita dal giallo della pergamena dei suoi tempi. Dei miei tempi. Beh, dal passato. Ha lo sguardo serio e rassegnato. Non ci aspettavamo di tornare in vita.
Il cellulare nella mia tasca vibra. Nonna ha i sensori? Sa che sono in casa? Lo estraggo con una certa difficoltà, dirigendomi in punta di piedi alla porta d’entrata. Sbircio dal vetro, ma non c’è nessuno. E, in ogni modo, al telefono c’è il numero di telefono di Ridley. Okay. Uno degli esorcisti è stato visto? Stanno ancora indagando sul caso di Dalila? Vuole sapere perché vede i fantasmi? Perché diavolo mi chiama? Esco da casa, avviandomi verso il cancello e uscendo. Una veloce occhiata mi conferma la via libera e, solo allora, rispondo. «Sì?»
   «Ciao Ama.»
   «Ciao.» Il presidente Obama risponderebbe con meno diffidenza se al telefono ci fosse un dichiarato futuro kamikaze.
   «Puoi parlare?»
Mi sto allontanando a passo di trotto da casa di nonna, ma il vero motivo per cui non parlo volentieri con Ridley è Chase. Ha detto di non fidarci di chi non è un’esorcista. E a meno che Ridley non sia diventato durante la notte, che ne so, l’esorcista Bugiardino, lui non è come noi. Però di natura non posso mostrarmi così malfidente, non di punto in bianco. «Sì, sì. Dimmi pure.»
   «Dove sei?»
   «Devo andare da una mia amica. Ho un libro da darle.» In parte vero. Vero, devo andare da Mary. Falso, è lei che mi deve dare il quaderno degli appunti di diritto. I miei, al momento, sono alquanto inutili. A meno che non voglia vedere un disegno abbastanza dettagliato di dove il docente può mettersi una penna. Non so neppure perché gli ho mentito. Noo. Lo so. Riguarda la mia natura. Devo pur allenarmi a mentire, no?
   «Ti va se ti accompagno?»
Mi blocco a metà di un passo. Accompagnarmi a casa di Mary non è una brutta idea. Non ho nessun motivo per rifiutare, se non che … Tutti sono sospetti. È anche vero che Ridley ha avuto più di un’occasione per farmi del male, e non l’ha mai fatto. Dovrebbe essere escluso dalla rosa dei sospetti. Per Dalila, no. Non ho avuto molto a che fare con la gentilezza gratuita in passato, quindi con i ricordi di Dalila non posso che essere diffidente. C’è una piccola parte, quella di questo secolo e che continua avere sedici anni, che dice che Ridley è un amico. O per lo meno, non si è ancora dimostrato un nemico. Tieni vicino gli amici e ancor più vicini i nemici. «Ci sei?»
   «Certo. Ti va di vederci direttamente dalla mia amica?» Gli dico l’indirizzo, spiegando velocemente la strada. Mi incammino con più lena, lasciando scivolare cellulare e mani nelle tasche. Incontro un fazzoletto di carta, nascosto nei profondi meandri della stoffa, dimenticato, lavato e infine asciugato.
Riflettiamo: perché diavolo ho invitato Ridley? Un motivo potrebbe esserci. Potrei non voler parlare con Mary, in un territorio non propriamente neutrale come la sua casa. Dall’altra parte, ho la bruttissima sensazione di fare qualcosa di sbagliato. Forse è solo perché sto infrangendo le regole di Chase. Jamar e Philippe lo fanno sempre, eppure sono ancora vivi. Sì, ma c’è anche da dire che io, in teoria, dovrei essere più matura di loro e comportarmi come il secondo di Chase. Oddio, che schifo. Philippe è più grande di me, e io devo essere più matura solo perché nel passato Dalila era la seconda di Titus. Sì, è assurdo. Un giorno dovremmo fare delle nuove votazioni, se mai le abbiamo fatto, e decretare in modo giusto i vari ruoli. Apprezzerei anch’io un ruolo più anticonformista.
Il detective è appoggiato a un lampione vicino alla casa di Mary. Un appostamento in piena regola. Faccio cenno a Ridley di aspettarmi. Ho un buon motivo per metterci poco. Mi sento in profondo imbarazzo solo al pensiero di mettere ancora piede nella casa di Mary dopo l’esperienza che ho avuto con suo fratello. Busso velocemente alla porta, strisciando i piedi per terra. Non sua madre … non sua madre. Il mio mantra viene accolto, perché mi apre la porta Mary. Ha una semplice tuta e in mano regge le fotocopie che mi ha fatto. Come me, ha tutto l’interesse che la conversazione si svolga il più velocemente possibile. Si tira su il bavero, tossendo. «Scusami, sono un po’ raffreddata.»
   «Oh, certo.» La cosa che più odio della mia condizione è il fatto che sento quando una persona mi mente. Mi fa stare peggio sapendo che è una delle mie migliori amiche. Mi sforzo di abbozzare un sorriso, prendendo i fogli che mi offre. «Meglio starti lontana, allora.»
O mi ha sorriso o fatto una smorfia. Difficile a dirsi, con metà del volto coperto. Alzo una mano in cenno di saluto e dopo neppure due minuti sono già di ritorno da Ridley. Infilo i fogli nello zaino. Porcamerda. Mary sembrava essersi ripresa e ora … forse è solo una mia impressione. Oh, piantala di essere così ottimista.
Ridley mi affianca nella mia camminata indispettita. «Tutto bene?»
   «Sì.»
   «Dal tono non si direbbe. Né la tua amica sembrava stare tanto bene.»
Alzo una spalla, in un gesto non compromettente. Inutile, visto la risposta. «Pensa per te.»
   «Nervosetta?»
Ingoio un’altra rispostaccia. Sfogare su altri la mia frustrazione non mi dà benefici. Sospiro forte per due volte, un rimedio letto in qualche rivista di mamma acchiappata per casa, poi guardo di sottecchi il ragazzo. «Allora? Perché mi volevi vedere?»
   «Due amici non si possono voler vedere?»
Perché io e lui siamo amici? Il telefonino vibra e abbasso lo sguardo per controllare. Mi sono state inviate due fotografie da Philippe. Nell’attesa che si caricano, guardo di nuovo Ridley. «Sul serio? Volevi vedermi solo perché sono tua amica? Non c’è … che ne so … qualcosa legato alla differenza di età? Sei un detective e io, decisamente, sono minorenne.»
Arrossisce un poco. «No … Ama!»
Le immagini si sono caricate. Alzo un sopracciglio. Philippe mi ha inviato due foto che lo ritraggono, con due costumi da bagno: uno è un boxer nero così attillato da essere denunciabile; l’altro è una mutanda che, in ogni modo, è abbastanza succinto. Mi vibra di nuovo. “Secondo te, quale mi sta meglio?”
   «C’è qualcosa che ti fa ridere?»
Scuoto la testa, sillabando piano quello che scrivo per messaggio. «Sono – uguali. – Sempre – un – coglione – rimani. Invio. Fatto. Senti, Ridley, mi dispiace essere scortese, ma se non hai problemi io preferirei andare. Ho un po’ di cose da studiare.»
Il ragazzo mi prende il polso che ancora regge il cellulare, avvicinandosi. Il suo volto si avvicina al mio. Ridley mi sta per baciare. Arretro d’istinto di un passo, alzando una mano per difendermi. O mollargli un ceffone, all’occorrenza. Lui abbozza un sorriso dispiaciuto, lasciando il polso. «Scusa.»
Mente. Continuo a fissarlo. Lui si sistema i capelli, socchiude gli occhi per ritrovare la calma. Si inumidisce le labbra. «Scusa. Ho pensato che tu …»
   «No, per niente.» Come gli è venuto in mente che a me potesse piacere? Non ho mai fatto nulla per farglielo pensare. Non sono stupida, lo so che è carino e in un’altra vita il bel ragazzo tenebroso mi sarebbe piaciuto di più del … sempre bello e sempre tenebroso ragazzo che mi piace. Io non ho fatto nulla per dargli quell’impressione. L’ho aiutato da fantasma perché era il mio compito. Ho parlato con lui fino a questo momento perché mi sento in colpa di averlo costretto a vivere a metà tra il mio mondo e quello degli umani.
Abbasso lo sguardo. Di nuovo quel suo dannato tic, quel suo contare con il pollice tutte le altre dita.
   «Senti, Ama …»
Distolgo lo sguardo dalle mani. «Nessun problema.»
   «Quindi …»
   «Contattami solo se hai bisogno veramente di me.» Qualcosa mi ha dato fastidio, e l’aver tentato di baciarmi è solo una piccola parte del problema che non ho ancora inquadrato. «Ecco, se vieni attaccato da uno spirito potresti chiamarmi. Per tutto il resto, evita di fare il mio numero. Stammi bene.»
Gli volto le spalle. Cosa mi sta dando fastidio? Ahn, giusto. Sono incazzata. Chase ha di nuovo avuto ragione. E non ho nessuna intenzione di andarglielo a dire.

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Capitolo 18
*** 18 ***


18
 
 
 
      Stiamo camminando a testa bassa. Ho fatto schifo all’interrogazione. Il docente di diritto ha avuto pietà di me, ma la sua espressione era esaustiva. Dubito che arricciare le labbra come dopo aver mangiato un limone sia un complimento. Anche Alex, interrogato con me, ha fatto alquanta pietà e, dopo essersi mosso a disagio sulla sedia, il docente ha fatto qualche domanda qua e là alla classe. Su una cosa siamo uniti: non siamo grandi studiosi. Le risposte ricevute hanno fatto capire che la sua materia non era al centro del nostro cuore, ha scritto una di quelle che chiamo “note di congratulazioni” e domani interrogherà, questa volta seriamente. Mi prude l’occhio, pensando che so già qual è uno dei nomi della sua lista. Meglio non sperare in una botta di culo o in un fantasma agguerrito. Anzi. Dovrei pure essere felice di avere un giorno in più per studiare una materia che non mi è entrata in testa fino ad ora.
Julia sospetto stia pensando alla stessa cosa. Solo che lei non fa schifo quanto me in diritto e il docente non le ha neppure fatto una domanda. Leccaculo.
   «Mary mancava oggi.»
Cerco di distogliere l’attenzione da diritto. E dal fatto che dovrò passare un pomeriggio a studiarlo. «Mary? Sì, ho visto.»
   «Non pensi che …» Esita. Non penso cosa? Sospira. Strano che Julia dimostri così tatto, quando di norma sembra una mandria di bue inferociti. «Non pensi che stia ancora pensando a Carlos?»
La delicatezza di Julia è giustificata. Abbasso lo sguardo. Vorrei dire che ho smesso di pensare a quel ragazzino, disteso sul letto di ospedale, e al suo spirito. Vorrei proprio averlo fatto. Eppure, ogni volta che guardo papà mi dico che sono stata ingiusta. Avrei dovuto convincerlo, dirgli che la vita deve essere vissuta. Ci sono altri modi che non prevedono un primo esorcismo. Non c’ho neppure provato, e solo perché come esorcista mi occupo degli spiriti, non dei vivi.
Il brusio della folla mi richiama. Alzo la testa, per vedere una calca di curiosi che sta fissando qualcosa. Una signora si passa un fazzoletto sugli occhi, seppur non vi è presenza di lacrime. Con discrezione ci avviciniamo. Siamo praticamente minuscole e non vediamo al di là delle schiene. O dei sederi, ma di fatto preferisco le schiene. «Povera ragazza. Povera ragazza.»
Un uomo è in punta di piedi, arrabbiato. Alto com’è, deve avere la visione di quello che sta succedendo. Noi due, invece, potremmo essere delle zingare che parlano alla “grande sfera” che ci guarda direttamente in volto. Julia gli si avvicina. «C’è stato un incidente?»
Lui abbassa lo sguardo. Non so cosa veda. Forse solo due ragazzine di sedici anni curiose, forse delle giovani donne con gli occhi più maturi della realtà. Lo vedo corrucciare la fronte e storcere il naso. «Andate a casa.»
Julia si irrigidisce. Stringe la mano a pugno. La sua rabbia passa da lei a me e, d’istinto, arretro di un passo. Un ragazzo davanti a noi urta accidentalmente una donna con la borsa della spesa, e manca poco che entrambi si azzuffino. Appoggio una mano sulla spalla di Julia, stringendo appena. La donna davanti a noi scuote la testa e infila nella sportina la busta del pane. Non è il caso che un’innocente commetta un omicidio con il sacchetto della spesa. La mia amica continua. «Allora. Cosa succede?»
L’uomo, un po’ maleducato, mi urta con la mano per farmi capire che proprio dobbiamo andarcene. Un ulteriore spinta mi fa arretrare e decido di spostarci da lì. Le persone sono razionali; insieme, sono solo un branco di animali.
Mary sta fissando la folla. Per un qualche strano motivo, mentre la guardo ho un brivido di freddo. Julia sta cercando di seminare zizzania. La sua frustrazione mi passa tra le dita. Cerco di tirarla e, fortunatamente, riesco a farla arretrare. La nostra amica ha gli occhi sbarrati, al limitare del marciapiede. Vicino a lei, due persone stanno guardando il tratto di strada dove deve esserci stato l’incidente.
   «Andiamo da Mary.» Tiro Julia da un braccio. «Lì di certo vediamo meglio.»
Julia capisce solo il nome della ragazza, alza lo sguardo e la sento imprecare. A cui poi, in ritardo, fa eco la mia comprensione.
 
                                                             † † †
 
            Siamo vicine a Mary. Ci fissa titubante, come se non sapesse perché è al centro della nostra attenzione. Ora abbiamo un’idea precisa dell’incidente che c’è stato. Julia parla a bassa voce. «Stai bene?»
   «Sì!» Mary è indignata. «Avevo solo un po’ di mal di gola, stamattina. L’ho pure detto a Bel, ieri.»
Mi passo un dito sotto il naso. «E … ora stai bene?»
Mary si massaggia il petto, storcendo la bocca. «Mi fa un po’ male qui. Mi brucia un po’, ma a parte quello sto bene.»
L’ironia non mi sfugge. Le guardo il petto, ma non ci sono ferite. Mi inumidisco le labbra. «È meglio che ci spostiamo da qui.»
La nostra amica tenta di allungare il collo, cercando di vedere oltre quelle persone l’origine di quell’ingorgo. «Volevo vedere solo cosa stava succedendo.»
   «Sarebbe preferibile di no.» Replica Julia con stizza, incamminandosi per la strada. Con il mento incito Mary a precedermi, seguendola. Mi sento parte di un triumvirato piuttosto particolare. La coda ballonzolante di Mary è come sempre. Lei, in effetti, non è cambiata. È la solita ragazza che si è seduta vicino a me alle medie, che ha accettato il carattere di merda di quelle due amiche, che sbavava con me dietro a Chase. Non è cambiata di una virgola. Forse è più magra, più adulta per il tempo, per il lutto in famiglia, ma la vedo ancora come quella prima volta. È un’ingiustizia.
Mary volta appena la testa. Devo avere gli occhi lucidi, perché corruccia la fronte. «Ehi, Bel. Stai bene?»
Non se ne accorge, troppo concentrata su di me, ma la vedo passare attraverso a una signora con le borse della spesa. È solo la conferma di quello che sapevamo già. Dannazione. Julia entra in una via deserta. C’è da dire che la nostra città si impegna proprio. Nelle vie trafficate non c’è un pezzo di carta messo male, ma se ti addentri un pochino, entri nella migliore discarica a cielo aperto del mondo. Mary arriccia il naso, Julia si appoggia al muro pieno di graffiti. Io mi limito a voltare le spalle alla via, cercando di dimenticarmi che è lì che finisce tutto.
Semplice. Non c’è un traguardo da raggiungere, un muro da scavalcare. Tutto inizia e finisce inaspettatamente. I genitori percepiscono il momento in cui emerge una nuova vita? Una persona comprende in momento in cui inizia il declino? Mi passo una mano sugli occhi. Gli esorcisti non piangono.
Mary mi fissa. La durezza di Julia la preoccupa almeno quanto la mia debolezza. Capisce che c’è qualcosa che non va, ma non comprende cosa. E poi vedo Julia portarsi una mano agli occhi, cercando di mostrarsi più forte di quello che in realtà non è. Gli esorcisti non piangono, ma anche i nostri cuori sanguinano.
   «Mary.» Inizio, seppur non so come continuare.
La nostra amica ci fissa alternativamente, prima una poi l’altra. «Ragazze, che vi prende? Mi fate preoccupare.»
Non ci sono sinonimi che rendono adeguatamente l’idea. E, in ogni modo, non si può cambiare la realtà. «Mary, tu sei morta.»
Mary ci sorride. «Okay, bello scherzo.»
Julia mi viene in aiuto. «No. Non è uno scherzo.»
E poi si abbassa, prende quella che sembra essere una scarpa rosicchiata dai topi e gliela lancia. Mary allunga la mano per prenderla, l’oggetto le passa attraverso e lei arretra, gli occhi sbarrati. Sì, non ci sono tanti giri di parole per dire quello che è. Nessun manuale del post-morte ti prepara a quel momento. «Cosa?»
   «Quando una persona muore, non sempre scompare. Il suo spirito, se legato a qualcosa di questa terra, a un’idea, a un desiderio inesaudito … il suo spirito rimane.» Mary mi guarda terrorizzata. Beh, tenendo conto che è sempre stata lei quella più preparata delle tre in materie scolastiche, essere informata su un qualcosa la sorprende. Seppur credo che sia altro che la preoccupa.
   «Morto? Spirito?» Fa eco, con voce acuta.
   «Noi siamo esorcisti, Mary.» E come sempre, la ragazza fissa le mie mani. Sbarra un po’ gli occhi, come se si accorgesse solo in quel momento della loro natura. D’istinto, Julia se le infila in tasca, abbassando lo sguardo. Le mie mani al neon sono in bella vista, perché non saprei proprio come nasconderle. Non ho le tasche, dannazione. «Esorcisti?»
   «Mediatori di Dio. Armi del trapasso. Aiutiamo gli spiriti ad andare oltre.»
Mary inclina la testa. «Andare dove?»
Questa volta fissa Julia, che ostinatamente guarda le sue scarpe. È la domanda che molti spiriti fanno, ma noi non possiamo sapere cosa ci sarà dall’altra parte. Ho avuto solo in un’occasione un flashback, neppure tanto piacevole, di un luogo buio. Se è quello il luogo che ci aspetta dopo la morte, dannazione, meglio l’eterna ignoranza. «Nel luogo in cui vanno le anime.»
Un po’ come dire tutto e niente. «È lì che c’è Carlos?»
Julia alza lo sguardo per lanciarmi una penetrante occhiata. Non posso dirle cosa ho fatto. Rischio di obbligare la mia migliore amica a diventare uno spirito di livello superiore, un secondo o un terzo livello, solo per aver la mia anima meno oppressa. «Sì.» Mente Julia. «Sì, è lì che si trova Carlos.»
Non si vedranno mai. O se succede, di certo non ne avranno memoria. Non sappiamo come vivono le anime, cosa succede quando noi li esorcizziamo. Non è il nostro compito. Noi li aiutiamo a trapassare.
Mary abbozza un sorriso. «È … è assurdo. Sono morta. Io … io non me ne sono neppure accorta.»
Non tutti sono così fortunati. D’istinto mi sfioro le gambe tra loro, come per ricordarmi che è solo un bene per lei che sia stato indolore. Alza lo sguardo. «Lo direte alla mia famiglia.»
Scuoto la testa. «Noi lavoriamo in segreto, Mary. Non parliamo mai degli esorcismi, non capirebbero. Gli saremmo vicino, però.»
Annuisce, aprendo le braccia. «Io mi fido di voi.»
Stringo i denti e so che da sola non posso farcela. Vorrei essere forte, ma lei è la mia migliore amica. Dirle addio non è mai stato contemplato. Julia non tenta più di nascondere le lacrime, mentre mi affianca. La sento tirare su con il naso e, specularmente, alzare la mano sinistra con me. «Primo esorcismo: catena della purificazione.»
Fanno male quando escono dai palmi. È un dolore che lacera il petto, perché è sbagliato. Di fatto, ho distrutto il futuro della famiglia Costela. Ho ucciso Carlos, sto esorcizzando Mary. In quella generazione i loro geni sono stati persi, mentre io continuo a portare dentro ancora qualcosa di Dalila. Non è giusto. È tremendamente sbagliato distruggere così una famiglia. Non c’è giustizia. Qualcuno, indubbiamente, deve giocare a freccette con le vite altrui.
Mary ci fissa. Alza una mano, come per imitare il nostro esorcismo. «Ricordo. Ricordo.»
Le catene la stanno facendo ascendere, il suo volto si rilassa e chiude appena gli occhi. È così rilassata, come quella volta che ha chiuso gli occhi nella piscina, lasciando che le leggere oscillazioni la portassero alla deriva. «Io ricordo. Lei mi ha detto che è colpa vostra. Ma io so che non è vero.»
Cosa? Stringo la catena, in modo da bloccare l’esorcismo. Julia mi ammonisce con lo sguardo. «Chi ti ha detto che è colpa nostra. Mary?»
Ho paura che l’esorcismo sia troppo avanti, che la sua anima sia in parte ascesa perché Mary è rilassata, le mani a peso morto lungo il corpo, con quei serpenti che la sigillano e la liberano. «Lei …» Bisbiglia piano. «La ragazza dai capelli rossi e dalla cicatrice al polso. Me lo ha detto lei.»
Le catene le si chiudono intorno come un bozzolo, lascio la presa e l’energia si espande. Mi ritrovo, spalla a spalla con Julia, a fissare il posto vuoto della nostra migliore amica.
Capelli rossi … cicatrice al polso. Brutta puttana.

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Capitolo 19
*** 19 ***


19
 
 
 
           Stringo una mano a pugno. Se Malachite avesse la sfortuna di passare in quella via, gli spaccherei la faccia. Ora sappiamo chi ha ucciso Mary e non si deve cercare tanto lontano. Giusto un isolato, a un passo dal nostro passato. Come diavolo faceva, però, a sapere che Mary era nostra amica?
Non so se sono arrabbiata per conto mio, o se c’è l’influenza di Julia in giro. Vorrei piangere la morte della mia amica, ma anche cercare Malachite non mi sembra una cattiva idea.     Scaglio un pugno contro il muro. Oltre a stare male, ora ho pure la mano tutta indolenzita. E il muro mi sembra pure gongolare. Stringo i denti, mentre Julia alza un sopracciglio. «Farti male non ti farà stare meglio.»
Il classico bue che dice cornuto all’asino. Ora le dico che le bugie hanno le gambe corte e poi possiamo stringerci la mano. O quella che mi resta. «Dannazione.»
La mia mente è affollata di tanti pensieri, la maggior parte di morte e da serial killer. Fortunatamente sono viva, se no diventerei una degli spiriti che combatto con più forza. Appoggio la schiena alla parete. Mi dà fastidio la puzza di cibo, escrementi e chissà cos’altro, eppure non riesco a muovermi da lì. Abbiamo esorcizzato Mary. Lei è morta. Domani mattina lei non andrà a scuola, con la sua perenne coda. Non si siederà vicino a me alle assemblee d’istituto, bisbigliando i suoi apprezzamenti per Chase. Non mi farà una testa grande come una casa parlando di Philippe, il modello. Non riderà ai battibecchi tra me e Julia. Lei non avrà un futuro.
   «Qualcosa non va.»
Julia sbuffa. «Solo qualcosa? Mi sembra che l’intero mondo sia diventato un puttanaio.»
Tamburello con la testa sulla parete. «Malachite sa di noi. Non poteva conoscere Mary.»
   «Ci avrà visto con lei.»
No, non può essere. Dopo averla incontrata come Susan, siamo stati ben attenti a evitare le rosse. E, in ogni modo, è passato poco tempo per fare un’indagine. Fuori dalla scuola, non siamo più stati con lei. In un certo senso, Mary è stata protetta. Sento gli occhi di Julia, le sue domande inespresse, le sue supposizioni che devono essere confermate. E poi, magicamente, tutto si mette in ordine. La preoccupazione, i gesti incomprensibili, la mia ritrosia. Tutto si ordina. «Marco è Johannes.»
Un nuovo sbuffo da parte di Julia. «Sì, questo lo ipotizzavo anch’io. Non che ci sia di grande aiuto, comunque. Rimane sempre una reincarnazione …»
   «No, non una reincarnazione. Io penso sia Johannes.»
La mia affermazione mi sembra strana pure a me. Johannes, il nostro mentore del passato, dovrebbe avere più di seicento anni in questo secolo. L’uomo che abbiamo incontrato, non ne dimostra più di quaranta. Però la mia mente ne è certa. Puoi avere innati degli atteggiamenti, ma non puoi avere gli stessi comportamenti di una persona del passato. Io e Dalila, per quanto siamo la stessa persona, siamo diverse. Abbiamo atteggiamenti diversi: primo fra tutti, Dalila non si morderebbe mai le labbra. Credo, ma non ne sono certa, che nel passato quando ero nervosa contavo le sfere del rosario. Ora, senza offesa, non penso neppure di avere un rosario in casa! Quindi come ha fatto a riconoscerci? Come sapeva le nostre postazioni? Perché sa di avere così tanto ascendente su di noi? Lui ci mente su troppi argomenti. Lui ci deve tenere d’occhio da tempo.
Ricambio l’attenzione di Julia, che mi fissa con gli occhi sbarrati. «Lui non è chi dice di essere. È Johannes, non un suo erede.»
   «Bel, sei sotto shock.»
   «No!» Ecco spiegato perché è tanto calma. Pensa che sia impazzita. «No, Julia, smettila di affidarti ai sensi. Smettila di pensare che non è vero solo perché è impossibile. Devi dirmi cosa pensi di Marco. Sinceramente.»
   «Penso che sia un manipolatore.»
   «E …?» Tentenno, come sul ciglio di un baratro. Julia abbassa lo sguardo verso le sue scarpe, stringendo le labbra. Quando alza gli occhi, vedo preoccupazione. «Non può essere Johannes. Ho visto anch’io che gli somiglia, che … si comporta con noi come se ci conoscesse. Ma riflettici anche tu: non può … non può essere così vecchio.»
   «È improbabile, non impossibile.»
   «Conosci l’elisir dell’eterna giovinezza?»
Alzo le spalle. «Il fatto che non lo conosco è ininfluente. Prima di entrare nell’Ordine pensavamo che gli spiriti fossero demoni.»
   «Oh, dannazione, Bel! Stiamo parlando di seicento anni fa! Se per quello pensavamo pure che fosse impossibile volare.» Con l’indice indica il cielo. «Ta-dan!»
   «C’è qualcun altro che fugge alle regole del tempo. I negromanti, per esempio.»
   «Sono rari, Bel. Direi che si sono estinti come i dinosauri già ai nostri tempi. E se ci fosse qualcuno di loro in giro, penso proprio che lo riconosceremmo.»
   «Non sto dicendo che Johannes è un negromante! Ci possono essere … non so, altri modi per vivere a lungo.»
   «Certo. Vivere fino agli ottant’anni era già un miracolo, a quei tempi. Tu stai parlando di secoli.»
   «È una mia sensazione.»
   «Sbagliata. Ed è meglio che avvisiamo gli altri. Malachite ha ammazzato qualcuno, quindi direi che ha iniziato a fare la sua mossa.»
Appoggio una mano sul cellulare che ha appena estratto. «No, aspetta. Prima di dirlo a Chase, dobbiamo indagare. Come te, Chase non mi darebbe retta e penserebbe che Marco sia solo una reincarnazione. Lo so che è difficile, ma ti devi fidare di me.»
   «Non è mai stata una questione di fiducia …»
Continuo come se non avesse parlato. «Lui è Johannes.»
Nella sua espressione vedo la richiesta che non posso esaudire. Deve esserlo, perché solo quello spiegherebbe perché ha ucciso Mary. È il suo modo di farci fare una mossa, di decidere di tornare effettivamente all’Ordine. In assenza, noi saremmo ancora concentrati su di lui. È chiaro. Julia si inumidisce le labbra, infilando il cellulare in tasca. So di aver guadagnato poco tempo, ma ho tutta l’intenzione di farmelo bastare. «Che intendi fare?»
   «Dobbiamo andare all’Ordine. E non devono sapere che siamo là.»
   «Ti va di scherzare? Come pensi di andarci, di nascosto, poi?»
Si sta tutto formando nella mia testa. Grazie, Dalila. Sono certa che come Amabel me ne starei immobile, con gli occhi sbarrati a pensare a un qualcosa. Invece, prendo il polso di Julia e me lo trascino. Ci fermiamo alla fermata dell’autobus, controllo velocemente l’ora e poi il cartellone. Dobbiamo prendere il numero quattro, che passa tra dieci minuti. Julia lo intuisce. È molto pallida e un rivolo di sudore le scende lungo la tempia. Lascio la presa, mordendomi a sangue il labbro. Okay. Se ci dovessero trovare posso inventare una scusa. Meglio trovarne una valida, perché per esperienza so che la mia parola vale poco. Di conseguenza, Julia deve avvalorare la mia tesi. E deve pure essere convincente. Certo. Stiamo parlando con la ragazza sincera. Un passo alla volta. Io punto sulla sottoscritta, la bugiarda.
Saliamo nell’autobus. È quasi vuoto e puzza di sigaretta. Oblitero un vecchio biglietto già usato, Julia preferisce prenderlo dal conducente. Mi siedo dietro a una signora anziana che sta chiacchierando con qualcuno vicino a lei. Inesistente, ovviamente. La mia amica si siede tremante al mio fianco, non rivolgendomi la parola per tutto il viaggio. È tesa e me la sono portata dietro solo perché avrebbe potuto dire qualcosa a Chase. La miglior difesa è l’attacco, e me l’ha insegnato proprio lei.
Appoggia la fronte nel sedile davanti, incurante della sporcizia che un mezzo pubblico può accumulare nel corso della giornata. E questo non sembra neppure tanto pulito di suo. Il finestrino è coperto di organi genitali maschili di vari dimensioni, un insulto, visto che è l’unico che passa vicina alla cattedrale cui noi siamo diretti.
Che diciamo? Se Johannes ci trova, la scusa deve essere abbastanza convincente. Tuttavia, sarebbe preferibile non essere scoperti. «Perché cazzo se l’è presa con Mary?»
Lo ha bisbigliato. L’ho sentito perché è anche una mia domanda. Al posto di Mary, però, poteva esserci chiunque delle nostre famiglie. Solo che avevano bisogno di una persona abbastanza vicina a noi da obbligarci a prendere in mano la situazione, ma … ma cosa? Non volevano un attacco personale? Invece era personale eccome.
Chiamo la fermata, io e Julia siamo le uniche a scendere. Il tempo promette una pioggia violenta. L’aria è umida, sa di salmastro e si è alzato un vento gelido. Mi stringo nel giubbino, ingobbita dal peso di uno zaino che può essere un ostacolo o la nostra unica via di fuga. Il boschetto alle nostre spalle sembra invitarci al suo interno. In effetti, entrare nell’Ordine così presto non è nei miei sogni.
Prendo il gomito di Julia, la trascino vicino a una muretta e la obbligo a sedersi per terra. Da qualche parte, una macchina parcheggia e una porta viene chiusa. Mi sporgo un po’, per vedere un uomo trascinare qualcosa all’interno della cattedrale. Il bagagliaio è rimasto aperto.
Le metto in grembo il mio zaino. «Devi rimanere qui. Se ci sono problemi ti chiamo. Non entrare per nessun motivo.»
   «Mi chiami?»
Le mostro il cellulare. Sbarra gli occhi. «No, non se ne parla neppure. Se hai ragione, non puoi entrare lì dentro da sola.»
   «Inventerò una scusa.»
   «Posso farlo anch’io. In due …»
   «Non posso permettervi di morire di nuovo.» La mia voce la zittisce. «Non posso dimenticare quello che è successo con Malachite. Non posso permettervi di morire di nuovo.»
   «Stiamo morendo, Bel. È un dato di fatto.»
   «È un ordine.»
Scavalco la muretta e mi introduco furtiva nella chiesa.

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Capitolo 20
*** 20 ***


20
 
 
 
       L’operaio sta lavorando a un qualcosa. Vedo le sue spalle curve e il sacco che ha portato a una decina di metri dalla porta d’entrata. Mi nascondo dietro alla porta, pronta a scattare alla prima occasione. Dannazione. Non c’è un oggetto per nascondermi a pagarlo oro, se non quel crocefisso proprio in centro. Arrivare lì senza essere intercettata sarebbe proprio un miracolo.
Il telefonino mi pulsa nella tasca. Tolgo la suoneria e mi apro un po’ il giubbino che mi impedisce i movimenti. Sento una patina di sudore che si inspessisce sotto la maglia. Adocchio ancora. L’uomo si alza, volta lo sguardo verso di me e io mi mimetizzo meglio che posso. Il mio cuore, traditore, continua a battere.
Sento dei passi che si avvicinano, deglutisco a forza, poi si allontanano verso l’auto. Bene. O adesso o mai più. Scatto prima di cambiare idea, aprendo la porta già percorsa con gli altri. Il corridoio è fiocamente illuminato e, fortunatamente, deserto. Sento solo i miei passi furtivi. Mi avvicino alla porta, adagiando tutto il mio corpo alla parete. Sono un’enorme lucertola che cerca di passare inosservata. Inutile dire che sono più che visibile. Accosto un poco, sbircio dalla fessura. Il tavolo ottagonale è deserto, la stanza non produce suoni. Mi introduco con calma, accostando la porta senza fare rumore. No. Non mi sembra di essere nel nuovo Ordine degli Esorcisti. Come la volta scorsa, ho la certezza che è il mio vecchio Ordine, solo con qualche secolo alle spalle.
Mi avvicino al tavolo. Un dedalo di nomi di varie lingue: alcune conosciute, altre un po’ meno. Con un dito passo sul nome di Titus. Una linea sottile collega il suo nome al centro del tavolo. Un raggio di sole, chissà da dove proviene visto il tempaccio esterno, fa brillare una scritta. Passo con un dito, seguendone i contorni. È stata graffiata sul legno con qualcosa di affilato. Il mio dito ne segue il contorno, strizzo gli occhi per la concentrazione: l-a-c-e-r-a-t-i-o. Laceratio.
Sento una porta aprirsi e mi infilo sotto al tavolo. Gattono al centro, cercando di respirare il più debolmente possibile. Se mi trovano, sono fregata. Qualcuno è fermo, dei passi si aggregano e la porta viene chiusa nuovamente. Ho il terrore di sporgermi per vedere chi è, perché nascondersi sotto il tavolo non è la migliore delle soluzioni. Tutti ci guardano. L’unica speranza che ho è che pensino sia troppo stupido come nascondiglio. Prendo in mano il cellulare. In cuor mio so che non chiamerò Julia: sarei troppo crudele a trascinarla con me.
Vedo delle scarpe maschili lucide, nere, con un po’ di tacco. Vicino, altre scarpe, anch’esse maschili. La voce di Johannes parla e io sobbalzo, stupidamente. «Ti nasconderai ancora per molto?»
Oddio. Sa che sono qui. Faccio un respiro, pronta per sgusciare fuori, ma Johannes prevede la mia mossa. «Io credo che tu debba fingere ancora.»
Non sta parlando con me. Okay. Mi dovrei sporgere un po’ per guardare chi è la seconda figura, ma muovermi richiede rumore, e il rumore è molto cattivo. La seconda figura non parla, o se lo fa ha una voce così flebile che per me non è neppure un bisbiglio. Sono appoggiata con le punte dei piedi e queste già iniziano a protestare. All’occasione, però, potrebbe essere una posizione da velocista.
Alzo gli occhi, per vedere il retro del tavolo, fatto di legno e per poco non emetto un’esclamazione. Un reticolo di parole, complicate quanto quelle sul fronte, si aprono a ventaglio sopra la mia testa. Strano luogo per fare delle iscrizioni, visto che nessuno avrebbe mai potuto vederle. Lancio una veloce occhiata ai piedi fermi vicino a me. Sento dei fruscii di pagine girate, quindi stanno guardando una mappa. Il che è un bene, perché non sanno di me, e un male, perché quell’obbligo di silenzio mi mette in agitazione. Lo so, prima o poi dovrò tossire, starnutire o semplicemente la mia pancia brontolerà perché ha deciso che ha fame. O tutte e tre le cose insieme. Sento già un pizzicorino in gola.
Alzo una mano, seguendo i contorni sopra la mia testa. Sono esattamente al centro, dove c’è scritto “immortalitas”. Allora, io non voglio guardare il pelo sull’uovo, ma che ci fa la parola latina di immortalità, proprio sopra la mia testa? O peggio, cosa ci fa sotto al tavolo dove si sedevano gli esorcisti? Qui la questione puzza di bruciato … e non solo perché sto bruciando io, sia chiaro. O forse …. L’agitazione mi fa fatto mettere male un piede e sono caduta di culo sulla pietra. Osso contro pietra. Stringo i denti, ma Johannes sta parlando ancora. «Sì, non possiamo fidarci di loro.»
Il loro penso che siamo un noi. Continua. «Dalila e Titus sono molto malfidenti. Non so esattamente cosa sanno. Da quello che mi hai detto, però, dobbiamo interrompere i rapporti con Dalila.»
Un attimo: chi rompe i rapporti con chi? Striscio appena con il sedere, ma di più potrei farmi scoprire. E voglio dannatamente uno di quei fogli. Posso supporre che anche il secondo attore del dramma sia un uomo, a meno che una donna non porta un camion di scarpe dannatamente fuori moda. I miei piedi, al confronto, sono minuscoli. Che sia quello che noi abbiamo identificato con “Inquisitore”? Questa volta sento il suo bisbiglio, ma deve avere qualcosa in volto perché la sua voce mi giunge da molto lontano.
   «Sì, continuiamo ad attenerci al piano originario.» Che sarebbe …? Johannes, però, non ritiene il caso di doverlo proferire a voce. Bene per loro.
Controllo ancora il sotto del tavolo, mentre Johannes spiega a chiunque lo stia ascoltando che ottenere la fiducia degli esorcisti è una mossa prioritaria. Posso solo immaginare che non stia parlando di lui o di Malachite. Sopra la mia testa, dalla scritta “immortalitas”, otto linee partono e si congiungono alle nostre postazioni. Molto strano. E molto sospetto. Sembra proprio che sia stato fatto un rituale solo che, beh … non credo nelle streghe. È un po’ un controsenso, visto che siamo in mezzo ai fantasmi.
Johannes continua a parlare, allontanandosi dal tavolo. Sono ancora agganciata alla mia postazione, perché potrebbero sempre guardare per scrupolo sotto alla tavola, ma la porta si chiude alle loro spalle. Mi abbandono in un sospiro liberatorio. Controllo la situazione prima di uscire dal mio nascondiglio.
Questa stanza nasconde più di quello che sembra, ma al momento devo accantonare la mia esplorazione. Guardo la porta da dove sono usciti i due uomini, perché mi attrae come non mai. Lancio una veloce occhiata all’uscita sicura, poi mi fiondo senza badare tanto al rumore. La porta è appena appoggiata, quindi la apro senza far rumore e la socchiudo alle spalle. Sono in un piccolo corridoio buio. I miei occhi ci mettono un po’ ad abituarsi alla penombra.
Mi incammino, con una mano appoggiata alla parete. Il pavimento è leggermente inclinato, così da sembrare un enorme scivolo che si addentra fino all’inferno. Mi passo un dito per allargare il collo della maglia. Sì. È proprio come andare all’inferno, caldo incluso.
Poi il soffitto si alza e, contemporaneamente, il pavimento si allinea. Devo essere tipo nei sotterranei della cattedrale. Ci sono delle fiammelle, oltre la linea del mio orizzonte. Non che sia allentante quella visione, ma è l’unico tipo di luce che mi arriva da lì. Cammino, quasi cado quando il pavimento mi scappa da sotto i piedi per formare quattro stupidi scalini. Mi raddrizzo, appoggiandomi a qualcosa di freddo e duro. Accantonando tutti i miei sensi che mi dicono di andarmene, faccio luce con il cellulare.
Ho appoggiato la mano su una lastra di marmo.
Solo che è la lapide di una tomba.
 
                                                             † † †
 
            Tolgo la mano, nascondendola dietro la schiena. No, mamma, non ho messo la mano dentro la nutella. Fidati, anche se è sporca. Più o meno mi sento così, solo che so cosa ho toccato. Nascondere la rea mano non lo cancellerà. Abbasso gli occhi per vedere chi è sepolto. Molto bene, ho le allucinazioni. O quelle, o sto guardando dove sono sepolte le ossa di Damide.
La luce del cellulare, insieme a quelle fiammelle create dalle candele poste ai piedi, mi fa vedere che ci sono otto lapidi in tutto. Brutto numero. Noi siamo in otto. La tesi del rituale, per quanto assurda, inizia a farsi sempre più concreta. Perché, se Marco è veramente Johannes (e nella mia mente non c’è neppure bisogno di chiederlo), noi siamo stati usati per creare un immortale. E, oddio, io ho guardato troppi film.
Giro la testa per guardare da dove sono venuta. Ho sentito una porta aprirsi? Non ho il tempo di aspettare che mi trovino. Usando il cellulare come torcia per velocizzare i miei movimenti, continuo a correre. Mi allontano da quel terreno di morte, seguendo un corridoio ancora più buio che sembra essere in salita. Discesa, poi salita. Credo di star tornando di nuovo verso la superficie e non ho ancora capito se è un bene o un male.
Apro una porta, chiudendomela alle spalle. La stanza in cui sono è debolmente illuminata dalle torce. Oh, mio Dio. Sono nella vecchia biblioteca di Johannes. Come diavolo …?
A dopo le domande stupide. A dopo pure i ricordi, visto che l’ultima volta che ho visto quei libri è stato il giorno della promessa con Titus. No, non è il caso pensarci! Mi intrufolo tra i libri, seguendo un qualche recondito ricordo. Ai libri antichi si sono mescolati volumi più nuovi e un computer produce il suo ronzio su quel vecchio tavolo di altri tempi. Mi getto letteralmente dietro al bancone, scivolando lungo uno scaffale.
Una porta si apre e sento dei passi che si muovono furtivi. Okay, fuori di lì. Gattono con piedi e mani, osservo quello che deve essere un sacerdote, o un nuovo adepto dell’Ordine, prima di uscire dalla porta. Solo allora mi alzo in piedi e corro lungo il corridoio. Perso l’orientamento … perso l’orientamento. È chiaro che sto girando alla cieca.
Non so dove sono, se non che la mia mente del passato continua a dire che lì non dovrebbe esserci il corridoio. Miss Ovvio, questo lo immaginavo anch’io!
Sento dei passi, quindi mi introduco nel primo buco che trovo. È una specie di rimessa, vicino a un grosso armadio. Puzza da disinfettanti e il moccio ai miei piedi mi fa intuire che lì le donne delle pulizie mettono la loro mercanzia. Senza porte, illuminato dalle torce, so che sono in bella vista. I passi si avvicinano e io posso solo aspettare e sperare. Sperare che passino oltre, sperare che non guardino nella mia direzione, sperare che non mi abbiano sentito correre. Sono troppe richieste, ma spero un po’ in tutto.
Rannicchiata nel mio angolo, vicino al secchio dell’acqua sporca, sento il mio respiro pesante. Sono certa che Dalila non si agitava per così poco, mentre come Amabel sono fin troppo cagasotto. A mia discolpa, tuttavia, c’era che Dalila era certa di essere protetta. Io, all’opposto, sono certa che qualcuno nel passato ci ha tradito e sta cercando di farci il culo pure nel presente.
Sento un bisbiglio, prima che una mano artigliata mi chiuda la bocca, forse per sempre, trascinandomi nel buio.

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Capitolo 21
*** 21 ***


21
 
 
 
            Sono immobile, in attesa. Vicino a me ci sono delle persone che camminano e parlano. Chi mi tiene stretta a sé non sembra aver cattive intenzioni. Per lo meno mi sta proteggendo ed evita che me ne esca dal mio nascondiglio, urlando terrorizzata. La sua mano attira l’anta dell’armadio, socchiudendola e proteggendoci dai cattivi che sono fuori. E dei cattivi che sono dentro, non se ne parla?
Chiunque sia lì fuori, si sta allontanando. «Ehi, Bel. Io lascio la mano, quindi non urlare.»
Warren! Non sono mai stata così tanto felice di sentire la sua voce. Mi abbandono in un sospiro liberatorio, mentre lui si rannicchia a controllare l’esterno. Già Warren è un cosino niente male, il buco che ha scelto come protezione sembra farlo diventare un gigante. Mi trovo presto schiacciata alla parete, tra il suo grosso sedere e dei documenti dall’aspetto molto rigido e antico. Spero che non soffra di meteorismo perché, nemici o amici, alla prima zaffata me ne esco. «La via sembra libera.»
   «Mm.» È il massimo dell’espressione che posso dare.
Warren esce, ammetto di aver esultato dentro di me, e mi trascino dietro di lui. Rimaniamo acquattati nell’oscurità. In attesa. Forse non siamo in pericolo, ma non è detto. Prendo i documenti con cui ho condiviso la mia protezione, sbirciando quel tanto da notare che il caro e vecchio Marco si è firmato con il nome di Johannes. Non credo nei lapsus, soprattutto se suoi.
Prendo dei fogli dall’aspetto ufficiale, visto che sono scritti in latino, e li infilo nelle tasche interne. Warren sta ancora osservando il corridoio. Tutti i suoi muscoli sono pronti allo scatto. Gli picchietto con un dito sulla spalla, facendo cenno di ritirarci. Fine. È troppo lunga da spiegare che arrivo proprio dal suo obiettivo.
Annuisce, girando il capo e scrutando l’altra parte del corridoio. Non sento passi ma, se Warren è così concentrato, significa che non avremo nessun tipo di protezione. Molto bene. Mi mancava giusto un po’ di pepe nella mia vita.
Mi fa cenno di seguirlo. Procedo dietro di lui. Si muove furtivo come in passato. Forse abbiamo mantenuto più di quello che immaginiamo. Si avvicina a una bocca di sfiato, poco più grande delle sue spalle. Muovo le labbra, ma è chiaro quello che gli ho detto. «Stai scherzando?»
Mi solleva con una mano, facendomi entrare in quel tubo da risonanza magnetica. Per incitarmi, mi mette una mano sul sedere. Mi irrigidisco, pensando che un colpetto significa “vai”, una palpata è solo da porco. Striscio, sentendo lui alle spalle che si chiude lo sfiato. Molto bene. Ora siamo chiusi dentro a una gabbia di … non so neppure di cosa è fatto, se non che mi passa aria da tutte le parti. Sono tipo in una corrente ascensionale, pronta per spiccare il volo contro il soffitto stretto. Guardo alle mie spalle. Warren è piegato nel tentativo di passare. Insomma, un’enorme talpa che non sa come procedere.
Guardo attraverso una fenditura, trovandomi a fissare un’enorme stanza. Mi fermo, sentendo alle mie spalle Warren che mi incita a camminare. No. La stanza deve essere la dimora di qualcuno. Un po’ per il letto appoggiato il muro, un po’ per quell’aria di intimità che lasciavano sempre le stanze del convento. Di tutti e allo stesso tempo solo tua. «Bel!»
Da lì, vedo dei fogli appoggiati allo scrittoio. Fogli che chiedono solo di essere letti, perché ci sono poche persone che acconsentirebbero a dormire nell’Ordine, con la consapevolezza che le tue membra riposano sulle ossa dei vecchi esorcisti. Sono poche. E io ho un buon motivo per avere quei fogli. Mi sposto appena e con una serie di torsioni da circense, riesco ad appoggiare i piedi nella grata. Puntello, ma ho la forza di un bruco.
Warren corruccia la fronte poi scosta i miei piedi. Con due manate vigorose la grata scivola oltre, lui la tiene con la mano in modo che non faccia troppo rumore. Allunga una mano, io la prendo e scivolo lungo la parete. Scendo a terra come un gatto, alzo una mano e sollevo due dita. Il tempo è relativo: può occorrermi due minuti come venti.
Il mio primo obiettivo sono i fogli. Sembrano conti e bollette inerenti all’Ordine. Trasferimenti di oggetti, materiali e quant’altro da … Italia. Noi veniamo dall’Italia, o per lo meno l’Ordine ha quelle origini. Prendo il foglio inerente ai trasferimenti. Chase imbastirà su qualcosa.
Trovo un foglio con lo stemma della polizia. Essendo stata un’indagata per aggressione, quello stemma è stato il mio peggior nemico. Sfortunatamente, la lingua usata è sconosciuta. Prendo anche quello.
Tutto il resto sembra essere inutile per la mia causa.
Guardo la porta, ma con calma mi dirigo verso il comodino vicino al letto. Apro il cassetto. La stanza di una persona dice un sacco di lei: io capisco che ha la mania di doversi soffiare il naso di notte, perché ci saranno almeno dieci pacchetti di fazzoletti. Infilo la mano e, presa da un’ispirazione, invece di grattare con le unghie la base del cassetto controllo la parte sopra. Quella che nessuno guarda, la parte che se non fossi stata costretta a nascondermi sotto il tavolo non avrei mai scoperto. Sorrido. Prevedibile? È stato attaccato qualcosa, della stessa grandezza di un taccuino. Lo prendo, infilandomelo in tasca. Basta, devo andarmene.
Tutti i miei sensi me lo dicono, quindi corro da Warren, allungo la mano e mi faccio sollevare. Mi appoggio con il fiatone alla parete claustrofobica, Warren chiude la grata e come me attende. Aspetta qualcuno che non arriva, ma che i nostri sensi hanno previsto. E quando il tempo sembra essersi dilatato fino a essere insopportabile, inizio a strisciare.
Da dietro Warren mi guida, pizzicando il polpaccio destro o sinistro a seconda della direzione da prendere. Mi manca il fiato, ho bisogno di aria e solo quando inizio a non poterne più sento l’aria esterna. Mi acquatto, pronta a sgusciare con la testa per controllare la zona. Warren mi tranquillizza alle spalle. «Fuori c’è Chase.»
Ecco, questo non è quello che chiamo rassicurare una persona. È come se mi avesse detto che fuori c’è un serial killer che prende di mira solo le ragazze bionde di sedici anni, il cui nome inizia per A. Sono la prima della lista.
Prima di poter pensare di ritirarmi, sono spinta fuori da Warren con un’altra palpata nel sedere e, allo stesso tempo, due mani mi attirano all’esterno. Vorrei dire “luce”, ma non so quanto tempo è passato, se non che il cielo è nero quanto la notte e dei fulmini stanno devastando la serata. Chase non è felice di vedermi.
   «Che diavolo.»
   «Dobbiamo tirare fuori Warren.»
Julia mi sta guardando, fa un leggero cenno con il capo e io capisco che gli ha detto tutto. Molto bene. Aiuto Chase a fare uscire Warren. Se non fosse così pompato di muscoli, quel ragazzo, uscire da una grata non sarebbe un grande problema. Chase si gira a fissarmi, stringe le labbra e poi guarda Warren. «Dobbiamo andarcene da qui. Ora.»
Mi prende per mano, trascinandomi dietro la scia di Warren. Julia arranca piano, trasportando anche il mio zaino troppo gonfio. Saliamo in un’auto, presa in prestito ovviamente, con Warren alla guida e Julia al posto del passeggero. La fiducia di Chase nei miei confronti è allarmante: non mi ha ancora lasciato la mano. Niente romanticismo. Solo che non si fida che io rimarrò in auto.
Mi tira verso di lui. «Come diavolo ti è saltato in mente?»
   «Avevo delle supposizioni.»
   «Sì, su Johannes. Julia me lo ha riferito. Dovevi chiamare me.»
Con la mano libera riesco a prendere tutta la mia refurtiva. Vedo gli occhi di Warren osservarmi dallo specchietto retrovisore, Julia abbandona lo sguardo dalla strada per fissare il nostro piccolo tesoro. «Non avevo prove. Sono andata dentro per trovare qualcosa a mio favore.»
Chase mi lascia finalmente la mano, prendendo per primo il taccuino di Johannes. Corruccia la fronte, fissando le pagine. «Questo non è quello che mi ha dato Marco.»
Julia allunga una mano, per prenderlo. Chase la lascia fare. Lartia ha avuto modo di avere, anche se per poco, tra le sue mani il quaderno degli appunti di Johannes. Se c’è una persona che può dirci se quello è veramente suo, quella è proprio lei. «Sì. È il suo diario. Guarda … questa nota l’ho scritta io.»
A bordo pagina, quasi invisibile a causa dell’orecchia, una mano diversa aveva scritto “perché?”. È la mia stessa domanda. Riprendo il taccuino, mentre Chase osserva i fogli che ho sgraffignato. Osserva per primo quello in cui si parla dei trasferimenti del materiale da una qualche zona dell’Italia. Ci rimugina su più di quanto ho fatto io. Li ho presi solo perché confermava la nostra sensazione di essere nel vecchio Ordine. Lui vede qualcos’altro. Forse vedrà altro anche nella perversione. «Sono riuscita ad andare in una specie di sotterraneo. Lì ho trovato delle tombe.» Nessuna reazione. Apparentemente sta cercando di decifrare le scritte in italiano. Deglutisco. «Le nostre tombe.»
Warren sterza bruscamente, trovandomi distesa tra le gambe di Chase prima che il ragazzo ritrovi il controllo dell’auto. Mi alzo, la mano di Chase appoggiata alla mia spalla, la voce di Warren scandalizzata. «Cosa?»
   «Sì.» Scosto dolcemente la mano di Chase. Con Warren al volante, sempre meglio mettersi la cintura di sicurezza. Me la faccio passare, agganciandola stretta. «Ho trovato delle lapidi con i nostri nomi.»
   «Ci sono anche le nostre ossa?»
Ora sono io a fissare Julia, sollevando un sopracciglio. Per chi mi ha preso? Non vado a scavare nelle tombe! Neppure in quella di mia proprietà. È rivoltante scavare e pensare che se si trovano delle ossa sono le tue! Chase mi fissa cauto. «Sicura che siano le nostre?»
   «Ho letto solo la lapide di Damide, ma sono otto … e i calcoli sono facili da fare.»
   «Troppo facili.» Ammette con voce arrendevole.
   «In più c’è dell’altro.» Continuo cauta.
Warren mi scruta dallo specchietto. «È il caso che mi ferma?»
   «No.» Dice Chase. «Voglio mettere più spazio possibile tra noi e l’Ordine.»
Usciamo dalla strada sterrata, ci introduciamo nella via non ancora trafficata per ritornare alla città. Un groppo mi sale in gola, ma non è ancora il momento di pensare, di abbandonare al dolore. Devo solo stringere un altro po’ i denti. «Sotto al nostro tavolo, quello dell’Ordine, ci sono degli strani simboli. Sembrano … non so … ho subito pensato a un rituale per creare un immortale. Sul tuo nome, Chase, c’era scritto …»
   «Laceratio.» Mi precede cauto. Lo sa. Lo aveva intuito già da sé, forse lo aveva letto già il giorno che ci siamo seduti intorno al tavolo. Forse. Oppure quel giorno Marco ha continuato a parlare proprio per non farci vedere il visibile. È molto probabile che vicino ai nostri nomi, poco visibili se non lo si cerca, ci sia scritto il modo in cui siamo morti. Aggiunto alla scritta “immortalitas”, tutto porta a un rituale.
Un rituale che richiama all’immortalità.
Un rituale che chiede delle vite per essere portato a termine.
Un rituale che, stranamente, ha avuto bisogno delle nostre vite per essere portato a termine.

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Capitolo 22
*** 22 ***


22
 
 
 
         Ho appoggiato la testa al finestrino e mi sono addormentata. Ho paura di sognare perché, anche se i segni fisici che porto sembrano sopportabili, i miei incubi mi stanno uccidendo. Non posso fuggire, quindi mi trovo impreparata. Voglio combattere e non posso.
Il rombare dell’auto concilia il sonno. Sono consapevole di essere a metà strada tra il sogno e la veglia. Sono in un sogno e, al tempo stesso, sento la mano di Chase cercare la mia.
Sto piangendo. Sono seduta davanti a quella che doveva essere la tomba di mamma e piango. Piango perché la peste si è portata via il corpo e non posso seppellirlo. È stata gettata in una fossa comune, lontano dal villaggio. Mi hanno detto che bruceranno il corpo per cacciare la malattia. Un’ombra è vicina a me, non vista, non sentita. Mi vorrebbe rassicurare ma in verità ne ho paura. Mi fa pensare che io non sono come tutti gli altri, perché sono la sola a vederla. La fisso con la coda dell’occhio, e tutto quello che vedo sono dei dentini che guizzano dal nero fumo.
Mi obbligano a tornare a casa. Quale casa, scusa? Hanno bruciato anche quella perché c’erano due appestati. Gli amici dei miei ci hanno adottate, ma sento che ci guardano con sospetto. Io e Malachite potremmo essere infette. Tutto sommato, mia sorella si è adattata bene. Lei sta bene ovunque, finché non la conoscono meglio. Hanno detto che una volpe si deve essere introdotta nel villaggio, perché uccide le galline. Sì, una volpe con due mani e due gambe, e che parla con voce umana. E che mi somiglia pure.
Ho parlato dei miei sospetti con la signora, lei mi ha rassicurato che si prenderà cura di noi. Ha lo stesso sorriso di mamma. Mi manca. Voglio la mia mamma e il mio papà, non quelle persone che sono un po’ vere e un po’ altro.
   «Ragazzina.»
Giro la testa, per vedere un giovane ragazzo a cavallo. Dietro di lui, ancora sul sentiero, un uomo dall’aspetto austero. Ha un qualcosa di conosciuto, ma la mia mente non vuole aggrapparsi a quel ricordo. Alzo lo sguardo dalla fossa vuota. È un bel ragazzo, dai tratti marcati. Ricordo poco del suo aspetto, come se fosse stato troppo luminoso per poterlo fissare. Scende dal cavallo con grazia, nonostante fosse stato troppo grande per lui. È più alto di me, ma non deve essere tanto più vecchio. Sta fissando alle mie spalle, dove quella nube nera continua a proteggermi. Mi sta bisbigliando che va bene. Il mio piccolo e fumoso Lie vuole rassicurarmi.
   «Voi state bene?» È la prima persona che me lo chiede, da quando è successo.
Fisso la nube e, forse per la prima volta, non ne ho paura. I dentini in realtà sono il suo modo di sorridermi. La sua presenza, in realtà, mi fa sentire un po’ meno sola a questo mondo. «In verità non lo so.»
Mi sta fissando come nessuno aveva mai fatto. Non come una bambina che ha perso i genitori e che si ritrova a gestire una sorella gemella strana. Mi guarda come se fossi una sua pari e, lo vedo, fissa Lie. «Sono un esorcista. Vedo gli spiriti.»
A conti fatti, senza preavviso, non so perché non scappai. La sua sicurezza? Il suo aspetto? La sua voce rassicurante? O solo perché vedeva qualcosa che il resto del mondo non conosceva? Continuo a guardarlo, come se mi avesse detto un qualcosa di normale. Mi ritrovo ad annuire. «Anch’io.»
Ho visto mamma fissare il suo corpo cadavere e dirmi cosa fare. Dirmi che dovevo andare al villaggio e dire che era morta, andare dagli amici dei miei e chiedergli di prendersi cura di noi. Sono stati loro a chiedermi di essere seppelliti come cristiani, e non come animali appestati. Non sono riuscita a farlo. Nelle tombe sono seppellite bare vuote. Il ragazzo continua. «Ho esorcizzato i vostri genitori. Significa che il loro spirito, adesso, riposa in pace.»
   «La ringrazio.»
Allunga una mano, un invito a prenderla. «Volete venire con me?»
Fisso la nube, il mio piccolo Lie che striscia e mi invita ad andare. “Vai. Qui non hai più nulla. Vai.”
Una sorella che non mi vuole, una famiglia che non mi appartiene, un villaggio che mi ricorda la mia impotenza.
Gli prendo la mano, lui mi fa salire a cavallo. È la prima volta, perché la mia famiglia era così povera che non poteva neppure averne uno. Il vecchio mulo era stato abbattuto quando ero troppo piccola per poterci giocare. E, in ogni modo, papà me lo avrebbe impedito.
Il ragazzo sale alle mie spalle, prendendo le redini. A un suo gesto, il cavallo gira il muso, incamminandosi verso l’uomo austero che ci attende. «Come vi chiamate?»
   «Io sono Dalila.»
   «Titus.»
Stringo la mano e apro gli occhi. Siamo quasi arrivati a casa di Eliza. Vedo il volto di Julia sepolto dalle mani, mani che non riescono a nascondere le lacrime. Ho visto morire troppe persone che avrei potuto salvare. Mary è una di quelle. La famiglia a cui avevo lasciato Malachite … anche loro potevano essere salvati. E alcune di queste vite non ho neppure provato a proteggerli.
Chase ricambia la mia stretta, lo sguardo fisso nei fogli che gli ho portato. Warren parcheggia l’auto, anche se penso che più che parcheggiare l’abbandoni, visto che lascia le chiavi nel cruscotto. Chase recupera tutti i fogli, io il mio zaino e Julia quel poco di dignità che le rimane. Ha gli occhi rossi ma quando mi fissa si ostina ad essere forte. Dentro di me, non so neppure quanti frammenti si sono formati.
Ci sono tutti. E ci mettiamo poco a mettere al corrente dei nuovi sviluppi. L’unica menzogna che mi è stata concessa, e nessuno mi ha ripreso, è il fatto che la lapide trovata è stata quella di Damide. Si è dato per scontato che fosse un dato certo che le tombe fossero di tutti noi. Io e Chase ne siano convinti.
Eliza si regge la testa con le mani, come se i pensieri le pesassero troppo. «Ci sono troppi segreti. Troppi segreti.»
Non so a cosa si riferisce. Se alle mie menzogne, a quelle che Johannes ha sempre detto o a qualcos’altro.
   «Fuori i segreti.» Replica Robert, con più determinazione di quanto mi sarei aspettata. Sembra convinto che la verità possa salvarci. Forse può solo renderci più uniti. Forse. Ora non sono più certa di nulla. «Volete il mio? Avevo l’intenzione di abbandonare l’Ordine.»
Philippe corruccia la fronte. «Volevi abbandonare la tua famiglia?»
   «Ovviamente, ragazzi, vi voglio bene. Nel passato, però, era troppo complicato. Combattevamo sempre, dovevamo esorcizzare chiunque. Poi Titus si … beh, rimase ferito facendo un esorcismo e io … io non mi sentivo più all’altezza. Voi eravate a chilometri da me, mentre io facevo già fatica a seguire le vostre ombre. Volevo lavorare dall’interno. Mi sarebbe piaciuto prendere i voti e mettere la Falce in un cassetto. Nei momenti di difficoltà vi avrei aiutato, ma non volevo più essere un esorcista. Non più.»
Julia è rannicchiata a terra, gli occhi fissi sul cemento. Di tutti, lei è quella più provata. Sospira. «Volevo ritrovare mia figlia. Dire a Damide di venire con me e di creare una famiglia. Lo volevo veramente. Ero stanca di combattere. La mia rabbia era sempre al limite, i fantasmi continuavano a farsi avanti, noi eravamo sempre più deboli. Ogni volta che andavamo in un qualche villaggio, le famiglie sembravano essere felici. Potevano morire di stenti, avere i crampi dalla fame, ma erano insieme. Io avevo chiesto alla mia migliore amica di abbandonare mia figlia, l’avevo costretta a non dire a Damide che era padre. Ero stanca di tutto quanto.»
Jamar si avvicina, con un sospiro. Le passa un braccio sulle spalle, avvicinandola a lui. Alza lo sguardo. Nessuna ironia, nessun gioco. Solo rassegnazione. «Anche Eliza voleva abbandonare l’Ordine.»
La ragazza sbuffa. «Per un motivo meno nobile. Avevo scoperto che Johannes mi usava. Ero stanca solo di essere la sua prostituta d’elite. Non c’è nobiltà. Ero solo arrabbiata. E mi sarei portata Warren con me. L’avevamo deciso. Dovevamo solo dirvelo.»
Philippe si mordicchia un labbro, distogliendo lo sguardo da noi. «C’era una donna che amavo. Non chiedete altro.»
Chase mi guarda. Cosa prova? Risentimento? Pena? Socchiudo gli occhi. «Anche io e Chase avevamo deciso di lasciare l’Ordine, quando sarebbe venuto il nostro momento.»
Degli otto esorcisti primigeni, alla fine, Johannes non si sarebbe trovato più nessuno. Così, di punto in bianco, avrebbe perso tutto il suo potere. L’Ordine aveva i giorni contati. È questo il vero segreto che si cela dietro la nostra morte? O riguarda qualcosa di più assurdo, come la ricerca dell’immortalità?
Sto fissando il marciapiede oltre la finestra, pensando a tutto quello che era successo. Il sole sta tramontando, come ha sempre fatto e sempre farà. Riesco a vederlo in modo diverso. Nella sua monotonia, lui ha la certezza di un futuro. Noi, all’opposto, no. Tutto quello che abbiamo fatto ci ha portato solo alla conclusione che non siamo destinati al domani. Io e Julia abbiamo lasciato che Mary morisse. Prima di lei ho abbandonato Carlos. Vorrei dire che lui avrebbe distrutto la sua famiglia per morire, ma non ne ho più la certezza. Gli esseri umani hanno una forza incredibile. Noi umani, dopo tutto quello che abbiamo passato, continuiamo a sperare in un futuro. Credo che io e Chase, un giorno, staremo insieme. Credo che Julia e Jamar passeranno questo momento. Se Robert lo vorrà ancora, continuerà la sua strada. Tutti noi abbiamo un futuro.
Il raggio di sole colpisce il marciapiede e i miei occhi sono costretti a seguire quella strada rossastra. La strada del domani.
La strada del futuro.
La strada del tradimento.
 


FINE DEL TERZO LIBRO

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