Come il fuoco e l'acqua

di ___Darkrose___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Forest County ***
Capitolo 3: *** I domatori di lupi ***
Capitolo 4: *** Furia e fuoco ***
Capitolo 5: *** Persi ***
Capitolo 6: *** Lupo o agnello? ***
Capitolo 7: *** Una grande armonia ***
Capitolo 8: *** In trappola ***
Capitolo 9: *** I fantasmi del passato ***
Capitolo 10: *** Dispute ***
Capitolo 11: *** Lungo il cammino ***
Capitolo 12: *** Redenzione ***
Capitolo 13: *** Delicata ***
Capitolo 14: *** Addii ***
Capitolo 15: *** Promesse ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Inuyasha attendeva pazientemente al porto l’arrivo del padre e del fratello. Era ormai molto tempo che non tornava a Jamestown, l’antica colonia inglese.
La città era in fermento, non si vedeva arrivare spesso un Lord inglese soprattutto a causa delle precedenti tensioni da Stati Uniti e Inghilterra.
Il ragazzo si sistemò il cappello per ripararsi dal sole. Chissà se la pelle diafana di suo fratello avrebbe resistito alla calura.
Un sorriso maligno si dipinse sul suo viso al pensiero della pelle del ragazzo arsa dal sole. Quei due non erano mai stati in buoni rapporti, erano cresciuti in modi completamente diversi.
La nave attraccò al porto e un manipolo di uomini corpulenti e sudati si diresse di corsa a tirare le cime per riuscire a legare l’imbarcazione saldamente al molo.
La figura di suo padre si stagliava imponente dal ponte della nave e puntava gli occhi su suo figlio minore. Erano ormai anni che quei due non si vedevano più, le loro idee li avevano divisi molti anni orsono e ancora adesso entrambi biasimavano uno le scelte dell’altro.
Lord Taisho si sistemò l’abito e scese sulla banchina, andando incontro ad Inuyasha.
Se non fosse stato per il loro aspetto nessuno avrebbe pensato che potessero essere parenti. Inuyasha era il tipico cowboy, mentre Inu no Taisho era vestito con un’elegante abito di lino chiaro. Sesshomaru, il fratello di Inuyasha, portava un cappello scuro come il vestito che indossava e si guardava intorno innervosito e stringendo gli occhi per il troppo sole.
- Inuyasha – lo salutò questo freddamente.
Il ragazzo abbassò il cappello in segno di saluto.
Lord Taisho cercò di dare una pacca amorevole sulla spalla del figlio, anche se lui non ne sembrò contento.
La tensione tra i tre si poteva tagliare col coltello, ma per fortuna furono interrotti dal cocchiere che li richiamò.
- Signori, dovremmo partire subito. La sera le strade brulicano di indiani -.
Lord Taisho accennò un sorriso e si diresse insieme ai figli verso la carrozza adibita appositamente per loro.
Inuyasha montò sul suo cavallo e seguì il cocchio in silenzio. Quelle riunioni di famiglia per lui erano davvero un supplizio. Lui amava il nuovo mondo, mentre il fratello e il padre sembravano disprezzarlo.
Cercò di fare buon viso a cattivo gioco, quei due avrebbero avuto sicuramente da fare a Washington e lui pregava che gli indiani attaccassero le carovane, in modo da dargli un motivo per allontanarsi da quei due damerini.
 
Kagome era seduta in riva al fiume che controllava la rete da pesca. In quel periodo i salmoni avrebbero saltato presto i fiumi per dirigersi verso il loro luogo riproduttivo; era il momento perfetto per pescare.
Sango arrivò da lei sorridente e le poggiò una mano sulla spalla.
- Kagome, l’anziana ti vuole vedere -.
La ragazza si voltò verso di lei spaventata. – E’ successo qualcosa? -.
- Non lo so, ma sembra urgente -.
Non se lo fece ripetere due volte, prese il suo cavallo e si diresse di corsa verso il villaggio apache.
Scese da cavallo e si diresse spedita verso la tenda dell’anziana sciamana Kaede.
Entrò e abbassò la testa in modo ossequioso, come era uso fare per salutare gli anziani della tribù.
- Sango mi ha detto che mi stavate cercando -, non le erano mai piaciuti i convenevoli e voleva arrivare subito al sodo.
L’anziana donna la invitò a sedersi di fronte a lei. Le braci del fuoco ormai spento riempivano l’ambiente di fumo.
- Sai, non sarebbe questo il comportamento da mantenere di fronte a un’anziana – la rimbeccò la donna, tirando un lungo fiato dalla pipa.
La ragazza arrossì e cercò di ricomporsi. – Mi dispiace, nonna -.
Kaede sorrise e smosse ancora le braci.
- Sei diventata grande, Kagome. Gli spiriti dei tuoi antenati sarebbero fieri della donna che sei diventata -.
Kagome fremeva, aveva assolutamente bisogno di sapere cosa stava succedendo e l’anziana donna lo sapeva e in un certo senso si divertiva a tenerla sulle spine.
- Devi frenare il tuo spirito indomito, anche il torrente più impervio frena la sua corsa per riversarsi nelle acque del mare* -.
La ragazza si era sentita fare quel discorso almeno mille volte, ma non riusciva proprio a frenare la sua voglia di conoscenza e di scoperta. Se l’aquila non poteva smettere di volare lei non poteva smettere di esplorare.
- Le stelle predicono grandi cose nel tuo futuro, bambina. Per questo penso che tu sia la persona migliore per questo importante compito -.
- Nonna, ti prego. Dimmi cosa sta succedendo -.
Ancora una volta Kaede tirò una lunga boccata dalla pipa e finalmente, per la felicità di Kagome, parlò.
- Il capo dei domatori di lupi ha chiesto la tua mano -.
 
 
*Frase ispirata dal cartone della Disney Pocahontas.
 
Ciao a tutti!
Questo è un mio piccolo esperimento e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Ovviamente questo è un piccolo accennò della storia che vorrei portare avanti ed è intenzionalmente scritto con pochi dettagli, nel tentativo di creare un minimo di “suspance”.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e se secondo voi merita di essere portata avanti.
Grazie mille a tutti in anticipo per i consigli che saranno sicuramente graditi :)
Silvia

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Capitolo 2
*** Forest County ***


Kagome era spiazzata. Quella notizia l’aveva lasciata completamente senza fiato. Sapeva bene che era un po’ che le due tribù cercava di creare un rapporto di pace, ma mai si sarebbe aspettata di essere promessa in sposa a uno di loro.
L’anziana si rese conto dell’espressione della ragazza e tirò un sospiro. Si rendeva conto del gravoso compito che le stava mettendo sulle spalle, ma non si poteva fare altrimenti. Il capo tribù, durante alcune delle loro visite, aveva notato la giovane e aveva deciso che lei sarebbe diventata la sua compagnia.
- Nonna, non so se ne sarò in grado – mormorò.
Kaede invitò Kagome a sedersi vicino a lei e questa ubbidì. Da vicino le rughe della donna erano ancora più evidenti e gli occhi, un tempo vividi e allegri, ora erano sbiaditi dal sole e dalla vecchiaia.
- Sai, ognuno ha il suo percorso nella vita. Gli antenati ci guidano e ci consigliano nelle nostre scelte, ma tu devi capire che questa volta si tratta di qualcosa di diverso. Il tuo matrimonio porterà pace tra i nostri popoli – le disse l’anziana donna.
Kagome se ne rendeva conto. Loro erano solo una dalle tante piccole tribù Apache del luogo ed erano anche la più pacifica, ma questo li rendeva molto vulnerabili. Gli uomini erano pochi e l’unione dei popoli avrebbe garantito la continuità delle loro radici. Non poteva rifiutarsi, da lei dipendeva il destino di molti.
La ragazza annuì. – Va bene nonna, se questo è il cammino a me destinato lo seguirò -.
Si alzò da terra e si pulì il vestito di pelle di daino e si congedò con un piccolo inchino.
Kaede rimase nella sua tenda e fissò il fumo salire verso il buco in cima ad essa. Sapeva bene che il destino di Kagome era molto diverso da quello che lei le stava consigliando, ma sperava di proteggerla da cose ben peggiori.
Buttò delle polveri profumate nelle braci e queste si fecero subito più animate e vivide. Cominciò a pregare intensamente, chiedendo agli spiriti di proteggerla e di risparmiarla da quel futuro turbolento che inizialmente le era stato predetto.
Kagome nel frattempo camminava tra le varie tende e capanne del villaggio. Tutti erano intenti nelle loro mansioni quotidiane. Le donne intrecciavano cesti e trasportavano la legna per il fuoco, mentre gli uomini partivo con i cavalli per la caccia.
Il loro villaggio si trovava in una foresta verde e rigogliosa, dove d’inverno si posava la candida neve. Il profumo di fiori era inebriante e si confondeva con quello delle spezie e della carne al fuoco.
Si diresse con calma verso il fiume, dove trovò la sua amica intenta a tirare via la rete da pesca. Non era un gran bel bottino, ma tre salmoni erano stati intrappolati. Quella sera avrebbero mangiato bene, anche perché Sango era una cuoca fantastica.
Dopo averla aiutata le due infilarono i pesci dentro il cesto.
- E’ successo qualcosa di grave? Ti vedo pensierosa, sorella – disse Sango, mentre le due si misero sedute per abbeverarsi.
Kagome si asciugò la bocca con il braccio e prese un lungo respiro.
- Il  capo dei domatori di lupi ha chiesto di potermi avere in sposa -, sputò quella frase tutta d’un fiato e quasi si sentì liberata da quel peso che le gravava sul cuore.
La sua amica e sorella adottiva non reagì bene alla notizia e rimase spiazzata, ma cercò di nascondere il dolore come era solita fare e si sforzò di sorridere.
- E’ un grande onore, non ne sei felice? –.
La giovane si sistemò la benda che portava intorno alla testa. – Penso solo che gli spiriti mi portino su un cammino sbagliato. È come se qualcosa dentro di me mi dicesse di non farlo -.
Sango le cinse le spalle e la strinse a sé, come facevano quando erano bambine.
- Gli spiriti sanno ciò che è meglio per noi, vedrai che se non è la cosa giusta troveranno il modo di portarti sulla retta via. Non ti devi preoccupare di questo però, nostra nonna sa sicuramente quello che sta facendo -.
Kagome cercò di ascoltare le parole della sorella, dopotutto l’anziana Kaede non aveva mai sbagliato e l’aveva sempre consigliato per il meglio. Eppure, nel profondo del suo cuore, qualcosa continuava a tormentarla.
 
La carrozza che trasportava i due Lord Taisho si fermò in una piccola cittadina di frontiera chiamata Forest County. Si trovavano non molto lontani da Richmond, dove passava la ferrovia che la collegava a Washington.
Inuyasha scese da cavallo e legò l’animale a una staccionata poco lontana da dove il cocchio si era fermato.
Osservò divertito i due uomini di città scendere e scandalizzarsi nel vedere quel luogo. Loro erano abituati a Londra, ma quel posto non ci si avvicinava neanche lontanamente. Le case in legno erano impolverate dalla sabbia della strada principale e la gente li fissava con curiosità. Quello era un posto per persone dalla pellaccia dura e non per due damerini, come li definiva Inuyasha.
Si alternavano spesso periodi di siccità e di intenso freddo e soprattutto si dovevano fare i conti la poca disponibilità di medicinali. L’unico medico della cittadina era molto vecchio e spesso curava le persone con metodi molto antichi e quasi del tutto inutili.
Fortunatamente gli attacchi degli indiani erano rari. Vivevano non molto lontano da una tribù di Apache sull’orlo dell’estinzione e questo garantiva una convivenza pacifica.
Lord Taisho si diresse verso il figlio, mentre il cocchiere cercava disperatamente di portare da solo gli innumerevoli bagagli dei due.
Inuyasha fischiò e un ragazzino che non doveva avere più di dieci anni gli corse incontro.
- Mi dica signore – esordì contento.
Il cowboy sorrise divertito. – Ti va di guadagnare uno scellino? -.
Il piccolo Shippo annuì allegro.
- Allora aiuta il cocchiere con i bagagli -, dopo aver detto quella frase gli lanciò la moneta.
Il ragazzino corse tutto contento ad aiutare l’uomo, mentre i due Lord si diressero spediti nel loro albergo.
Lord Taisho aveva vissuto a lungo in quei luoghi nel tentativo di risanare i continui scontri tra Stati Uniti e Inghilterra e proprio durante uno di quei viaggi era stato concepito Inuyasha. L’uomo cercò di rimuovere quei ricordi, gli facevano troppo male.
Ad accoglierli trovarono una ragazza molto giovane dai lunghi capelli corvini e gli occhi castani vivaci e sorridenti.
- Benvenuti a Forest County Signori, come posso aiutarvi? – domandò, mentre cercava di nascondere l’emozione di avere degli ospiti così illustri.
Sesshomaru si levò il cappello e sfoggiò tutta la sua carineria all’inglese.
- Madame, stiamo cercando un luogo per riposare e vi chiediamo gentilmente di procurarci una stanza comoda e lussuosa – disse il ragazzo, sorridendole.
Questa rimase imbambolata per qualche secondo, ma alla fine scoppiò in una fragorosa risata.
- Voi? – esclamò. – Mio caro, dal vostro tono devo dedurre che è la prima volta che vi trovate negli Stati Uniti e in particolare in questa cittadina. Qui il “lusso” è avere un letto e acqua corrente -.
Sia Inuyasha che Lord Taisho cercarono di trattenere le risate. Era la prima volta che Sesshomaru si sentiva trattato in quel modo, soprattutto perché a Londra era rinomato per il suo charme e fascino.
- Dai Rin, dagli la chiave – esordì Inuyasha nel tentativo di levare dall’imbarazzo il fratello.
La ragazza gli passò la chiave e poi accennò un esagerato inchino sussurrando a fior di labbra un My Lord strafottente.
Inuyasha sorrise, era proprio la degna sorella di Miroku.
Quando i due uomini arrivarono nelle rispettive stanze cercarono di trattenere lo sdegno. Dentro ognuna si trovava un letto con lenzuola ruvide, un piccolo armadio e un lavandino per lavarsi.
- Non avevi detto che ci avresti portato nel migliore albergo della zona? – sibilò Sesshomaru innervosito.
Il fratello gli diede una sonora pacca sulla spalla. – E’ questo il migliore della zona – rispose. – Vi lascio sistemare la vostra roba, io ho da fare -.
Lord Taisho cercò di fermarlo, ma il figlio era già sparito per le scale scricchiolanti. Sentì la porta sbattere e sospirò rassegnato. Quel viaggio non era stato organizzato solo per lavoro, ma anche per cercare di ricostruire un rapporto tra i due.
Vide Sesshomaru uscire dalla sua stanza innervosito. – Dov’è quell’insopportabile donna? Devo chiederle dov’è il bagno! -.
 
Eccomi qua!
Sì, ammetto che questa storia mi sta appassionando particolarmente e non riesco quasi a smettere di scrivere!
Ci tengo a ringraziare tutti quelli che hanno recensito, mi ha fatto davvero molto piacere e mi hanno spronato a portare avanti questa mia idea ^^
Insomma, per ora la storia è molto vaga, ma presto ci saranno dei risvolti interessanti!
Un grosso bacio a tutti i lettori!
Silvia

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Capitolo 3
*** I domatori di lupi ***






Inuyasha era uscito per dirigersi al Saloon, convinto che lì avrebbe trovato il suo amico d’infanzia; Miroku.
Lo trovò seduto al bancone; come al solito ammiccava con la cameriera, mentre sorseggiava il suo solito whiskey.
Si mise seduto vicino a lui e ordinò da bere.
- Per oggi acqua – sentenziò rivolto alla donna.
Miroku lo guardò sorpreso. – Come? Da quando non prendi del gin liscio come al solito? -.
Il ragazzo si levò il cappello, rivelando la lunga chioma argentea di solito nascosta. Quella era l’eredità più evidente della famiglia di suo padre.
Si portò il bicchiere alle labbra e lo tracannò tutto d’un fiato. – Non si può avere sete? -.
- Dal tuo nervosismo devo dedurre che i Lord sono arrivati– commentò l’amico.
Inuyasha annuì. – Sì, tua sorella li ha accolti -.
Sorrise divertito. – Scommetto che è riuscita a infastidire tuo fratello nel giro di cinque secondi -.
I due si scambiarono un’occhiata d’intesa. Erano cresciuti in quel posto fin da quando erano piccoli e il loro legame non aveva fatto che diventare sempre più forte.
Quando la madre di Inuyasha era morta, la famiglia di Miroku lo aveva preso sotto la sua ala protettiva, ma lui aveva fatto di tutto per non essere un peso. Alla fine Miroku e Rin avevano ereditato il bestiame e l’albergo e lui continuava ad aiutarli, anche se la sua occupazione principale era quella di “protettore della città”. Spesso insieme ad altri uomini difendeva i confini dagli indiani e questo gli fruttava un bel gruzzolo.
Per Inuyasha era Miroku il suo vero fratello e non quell’estraneo che alloggiava poco lontano. Per un po’ avevano cercato di andare d’accordo, ma i loro caratteri erano troppo differenti. Sesshomaru aveva deciso di seguire le orme del padre e di muoversi all’interno dell’alta società londinese, mentre lui era rimasto a vivere a Forest County.
Miroku sembrava parecchio pensiero e continuava a fissare assorto il vuoto. Inuyasha, che ormai lo conosceva bene,  se ne rese subito conto.
- C’è qualcosa che ti turba? – gli domandò.
Il ragazzo si sistemo il codino scuro e sospirò di nuovo prima di parlare.
- E’ Rin che mi preoccupa. Ha rifiutato tutti i pretendenti che hanno chiesto la sua mano e per una donna non è una buona cosa rimanere sola così a lungo -.
Inuyasha alzò gli occhi al cielo esasperato. – Vuoi davvero biasimarla? Avendo avuto un donnaiolo come fratello ci credo che ha perso fiducia negli uomini -.
Miroku gli tirò una gomitata. – Smettila! E poi lo sai anche tu che per noi uomini è tutto diverso. Ora come ora devo solo sperare che prima o poi qualcuno faccia breccia nel suo cuore -.
Le chiacchiere dei due vennero interrotte da un ragazzo che si era appena avvicinato a loro. Non era molto alto, ma comunque ben piazzato e i capelli scuri erano legati in una lunga treccia.
- Cerco Inuyasha Taisho – sentenziò questo.
Inuyasha si girò verso di lui. – Chi lo sta cercando? -.
Per tutta risposta questo lasciò cadere sul bancone un sacchetto di monete d’oro.
I due ragazzi rimasero esterrefatti nel vedere quella somma.
- Mi chiamo Bankotsu Monroe, della banda dei sette e il mio Signore Naraku ed io avremmo un lavoretto da proporgli -.
 
Il giorno dopo aver parlato con la divina Kaede, i domatori di lupi arrivarono alla tribù Apache. Erano un piccolo gruppetto e con loro vi era l’anziano sciamano del loro villaggio; il Patriarca.
La gente era in fermento li accolse con feste e cibarie.
Kagome nel frattempo era nella sua tenda a prepararsi per il fatidico incontro. Sango le aveva cosparso degli oli profumati sul corpo e aveva sistemato al meglio i capelli corvini dell’amica.
- Non essere nervosa, vedrai che andrà tutto bene – le disse Sango, cercando di darle forza.
Kagome cercò di abbozzare un sorriso, ma il suo animo era irrequieto. Era la prima volta che vedeva quel giovane ed era terrorizzata.
Continuava a cercare di immaginarselo, ma nella sua mente compariva solo la figura di un bruto. Infatti i dominatori di lupi erano rinomati per la loro ferocia in battaglia e nella caccia; selvaggi quanto le bestie che ammaestravano.
Fu condotta dalla sua amica fino al falò allestito per il loro arrivo. Da lontano scorgeva parecchie figure sedute intorno al fuoco e in quel momento provò l’irrefrenabile desiderio di scappare.
Prese un lungo respiro e si fece coraggio, doveva farlo per la sua gente e quel pensiero le diede la forza per continuare a camminare.
Uno dei componenti del clan dei domatori si alzò e si mise davanti a lei. Portava una vistosa pelle di lupo bruno sulle spalle e i classici pantaloni di pelle di daino. I suoi lunghi capelli castani erano tenuti in una coda e la frangetta ricadeva leggera sulla fronte ad incorniciare due splendidi occhi azzurro cielo.
Kagome dovette ammettere con se stessa che era molto affascinante. Cercò di ingoiare il groppo che le si era formato in gola e si chinò profondamente per salutarlo.
Il ragazzo fece altrettanto e poi si batté il pugno sul petto.
- Io sono Koga, capo dei dominatori di lupo -.
Sapeva che avrebbe dovuto dire il suo nome, ma le parole non le uscivano dalla bocca. La sua gola era secca e sembrava che le sue corde vocali si fossero improvvisamente volatilizzate.
- Io sono Kagome -.
Finalmente era riuscita a parlare e si sentì subito meglio quando Koga le sorrise. Forse non sarebbe stato così male costruire una famiglia con lui.
Le sue paure sembrarono improvvisamente svanire, mentre nella sua mente si profilava il loro futuro in quel villaggio. D’altro canto lui si sarebbe trasferito a vivere nella tribù e questo le diede sicurezza. Non aveva nulla da temere.
I due furono invitati a sedersi di fronte al fuoco, mentre Sango si mise seduta accanto a Kaede. Essendo parte della loro famiglia anche lei avrebbe presidiato al rituale di benvenuto.
Kaede si alzò in piedi a fatica e cominciò a parlare.
- Benvenuti, fratelli – esordì. – Siamo lieti di potervi accogliere in un momento felice come questo. Con l’unione di questi due giovani, il legame tra le nostre tribù sarà finalmente consolidato e tra noi regneranno la pace e l’armonia -.
Kagome smise di seguire il discorso di benvenuto e si concentrò ad osservare due particolari componenti della tribù, che si distinguevano a causa delle pellicce bianche che avevano indosso. Uno doveva essere il Patriarca, l’anziano sciamano e precedente capo dei domatori, mentre alla sua destra era seduta una ragazza. I capelli rossi erano tenuti legati in due lunghe trecce, mentre gli occhi verdi risaltavano sulla pelle bronzea. Kagome dovette ammettere che era davvero bellissima, ma il suo sguardo celava una velata tristezza, come se quello che stava succedendo le stesse procurando dolore.
Koga, invece, era intento ad osservare la ragazza dai capelli corvini. L’aveva vista passeggiare per il villaggio insieme a sua sorella e non appena aveva incrociato il suo sguardo aveva capito che per lui sarebbe stata la sposa perfetta. Aveva deciso che non avrebbe preso moglie a meno che non fosse stata lei. Il Patriarca e l’anziana sciamana Kaede avevano discusso a lungo e alla fine era stato deciso di acconsentire alle nozze.
Ora che le era così vicino poteva ammirarla in tutta la sua bellezza. Si sentiva fiero di poter sfoggiare al suo fianco un fiore di così raro splendore. Gli spiriti della terra lo avevano benedetto.
Il Patriarca si alzò in piedi, aiutato dalla ragazza dai capelli rossi.
- Sono felice di poter condividere con voi questo felice giorno – cominciò. – Questa unione porterà gioia e prosperità ai nostri popoli e di questo ringraziamo gli spiriti del cielo e della terra -.
I componenti della tribù dei domatori di lupi abbassarono il capo all’unisono, pregando tutti insieme.
- Tra due lune, verremo a prendere la sposa per poterla condurre con noi -.
A quelle parole il cuore di Kagome sembrò fermarsi e i suoi occhi rivelarono il terrore che l’aveva appena attanagliata.
- Con voi? -, Sango non era riuscita a trattenersi e aveva alzato il tono della sua voce.
Koga si alzò in piedi. – Le regole della nostra tribù sono chiare, lei verrà con noi -.
Kaede cercò di intervenire. – Ma le nostre usanze prevedono che sia lo sposo a vivere nel nostro villaggio. In questo modo come ci sarà garantita protezione? -.
- Non dovete avere timore di questo –   intervenne il Patriarca. – Una parte dei nostri guerrieri verrà a vivere qui per garantirvi il sostegno necessario  -.
Kagome stava boccheggiando e Koga se ne reso conto, ma non poteva intervenire in alcun modo. Il Patriarca gli aveva concesso di prenderla in sposa, ma alla condizione che lui non abbandonasse il villaggio. Era stato infatti predetto che se lui avesse abbandonato i suoi fratelli, terribili sciagure si sarebbero riversate su di loro. Solo accettando questo aveva potuto rifiutare di prendere in moglie la nipote del patriarca, Ayame.
- I miei genitori sono sepolti qui – bisbigliò Kagome in preda alla disperazione.
Koga si accucciò vicino a lei, cercando di toccarle la spalla per farle coraggio, ma lei lo allontanò. In quel momento le importava ben poco degli accordi di pace.
Lo sguardo della divina Kaede, però, la riportò con i piedi per terra e si rese conto che ormai il patto era stato sancito e lei non poteva tirarsi indietro. Si fece forza per impedire alle lacrime di rigarle il viso e fece un profondo respiro. Se fosse andata via, il suo villaggio avrebbe corso dei grossi rischi. Non poteva permettere al suo egoismo e alla tristezza di impedirle di compiere la sua missione.
Il capo tribù si sentì in colpa per aver causato tutto quel dolore alla ragazza e decise di intervenire.
- Se il Patriarca è d’accordo, potremmo decidere di organizzare qui le nozze -.
Kagome si voltò verso di lui rivolgendogli uno sguardo colmo di gratitudine. Improvvisamente quel ragazzo le sembrò la cosa più bella che potesse capitarle.
L’anziano saggio dei domatori acconsentì a quella proposta e gli ospiti furono accompagnati in delle tende che vennero preparate della donne dei villaggi appositamente per loro.
Kagome si stava accingendo ad andare a preparare qualcosa per il banchetto che si sarebbe tenuto quella sera, ma fu fermata da Koga.
- Vorrei che mi portassi a rendere omaggio alla tomba dei tuoi antenati – le disse, cercando di mascherare la tensione che provava. – Nella mia cultura è usanza farlo -.
La ragazza si sentì felice di quella proposta e lo condusse silenziosamente fino a un luogo non molto lontano.
Due piccoli tumuli decorati con dei fiori selvatici e pelli di daino si ergevano vicino ad un abete.
Koga si tolse la collana di denti di lupo che portava al collo e la poggiò in mezzo ai due tumuli, poi rimase in silenzio per parecchi secondi ad occhi chiusi.
Kagome, invece, rimase a guardarlo. Doveva ammettere che era davvero affascinante e bello. Era lusingata dal fatto che avesse preso in considerazione il suo dolore e per questo provava un profondo rispetto per lui. Non molti si sarebbero esposti in quel modo di fronte agli anziani per acconsentire alle sue esigenze.
Quando Koga smise di pregare si voltò verso di lei e Kagome arrossì vistosamente per essere stata scoperta a guardarlo così spudoratamente.
Abbassò la testa e la frangia le cadde davanti agli occhi scuri. Anche Koga la stava osservando e più la guardava, più si rendeva conto di quanto quel viso gli piacesse.
- Sai, potremmo venire a rendergli omaggio tutte le volte che vorrai, ti accompagnerò io personalmente e nel caso non mi fosse possibile metterò a disposizione gli uomini e i lupi più forti per scortarti -.
Kagome sentì il viso andarle in fiamme. Era bello essere tenuta così tanto in considerazione e quella frase le riempì il cuore di gioia.
- Ti ringrazio – bisbigliò.
Koga si lasciò trasportare dal suono della sua voce come una foglia dal vento. Era così bella e pura.
Cercò di farsi coraggio e continuare a parlare per interrompere quel silenzio così pesante.
- Cosa è successo ai tuoi genitori? -.
Subito dopo averle fatto quella domanda sentì una fitta al cuore, dato che vide gli occhi della ragazza scurirsi dal dolore.
Kagome non amava ricordare, era troppo doloroso. Però sapeva bene che non era giusto dimenticare le proprie radici, Kaede glielo aveva sempre detto.
- Io non li ricordo molto – mormorò. - I miei genitori erano nativi di questo luogo ed ero molto piccola quando sono morti, non ho ricordi dei loro volti. So solo che sono stati uccisi per difendermi dai demoni bianchi, o almeno così mi ha detto mia nonna -.
Un ringhio risalì dalla gola di Koga. I demoni bianchi, quegli usurpatori che avevano reclamato terre che non gli appartenevano e avevano sterminato molte tribù alla ricerca di quelle pietre gialle che per loro non avevano alcun valore.
- Che possano essere rifiutati dalla madre terra per quello che ti hanno fatto – sibilò il ragazzo.
Kagome si voltò verso di lui. – Io non penso che siano tutti malvagi, Sango è arrivata qui che era solo una bambina e i suoi genitori non erano originari di questo luogo, però crescendo con noi ha abbracciato la nostra cultura e l’ha fatta propria -.
Koga non riuscì a trattenere una smorfia. Per quanto la sorella di Kagome sembrasse perfettamente integrata era restio a considerarla una sua pari ora che lo aveva scoperto. Era pur vero che quella donna non si sarebbe mai potuta definire una straniera, ma lui proprio non riusciva a fidarsi.
La ragazza se ne rese conto e cercò di intervenire. – Sai, l’anziana Kaede dice che non la terra da cui nasciamo a determinare chi siamo, ma quella a cui decidiamo di appartenere. Lei sarebbe potuta tornare alle sue radici, ma ha deciso di restare, è questo che molti di noi non riescono a comprendere -.
Il giovane capo tribù rimase stupito dalla saggezza con cui si era espressa. Dietro quel bel viso c’era molto più di quanto si potesse pensare.
Le accarezzò la mano e Kagome sentì mille brividi percorrerle il braccio.
- Allora insegnami a capire -.
 
 
Ciao a tutti!
Eccomi qua! Ho provato a creare un banner per la mia storia e spero che vi piaccia ^^
In generale questo è l’ultimo capitolo che pubblicherò per un po’ a causa degli esami e delle feste di Natale.
Mi dispiace di lasciarvi in sospeso, ma prometto che non appena mi sarà possibile cercherò di aggiornare (comunque dovrei riuscirci perlomeno Venerdì oppure subito dopo le feste).
È la prima volta che provo a fare un banner, ma mi sembrava quasi di fare un piccolo “regalo” ai lettori che mi danno così tanti consigli e ci tengo a ringraziarvi davvero di tutto ^^
Insomma, ormai l’incontro di Inuyasha e Kagome è prossimo e non mancheranno le soprese! La famigerata “banda dei sette” ha fatto la sua entrata in scena e si sta cominciando a parlare anche di Naraku!
Insomma, mando un bacione a tutti quanti e spero di risentirvi prima di Natale, ma se non dovessi riuscirci…tanti auguri a tutti quanti! :*
Un bacione enorme
Silvia 

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Capitolo 4
*** Furia e fuoco ***


Inuyasha ancora non si era capacitato di come diavolo aveva fatto a lasciarsi convincere a portare Miroku con sé.
Dopotutto non era la prima volta che lo portava con sé in qualche suo lavoretto, ma ora gli sembrava diverso. Quei banditi erano ben armati e non sembravano del tutto intenzionati a trattare con gli Apache del luogo, piuttosto sembravano volerli sterminare.
Il loro capo, Bankotsu, lo aveva convinto dicendogli che volevano solo fargli qualche domanda e contrattare con loro per farli spostare e guadagnare il possesso di quelle terre.
Ad Inuyasha quei musi rossi non piacevano era vero, ma quella particolare tribù non aveva mai dato problemi e tutta quella furia nei loro confronti non gli sembrava giustificata. Il lavoro però era pur sempre lavoro ed era stato anche ben pagato.
I cavalli galoppavano a tutta velocità tra le fronde degli alberi e quei sette pazzi ridevano di gusto, come se quell’imminente massacro li divertisse più di qualsiasi altra cosa.
Quando arrivarono a metà strada fermarono i cavalli e il loro capo lasciò passare avanti Inuyasha.
- Allora ragazzo, dove sono quei selvaggi? – gli domandò Kyokotsu, il più grosso e mostruoso di tutti.
Inuyasha scese da cavallo e cominciò ad osservare il terreno. Le tracce non erano solo quelle degli Apache, in mezzo vi erano anche impronte di lupi.
Un brivido gli discese lungo la schiena. – Con loro ci sono i domatori di lupi – sentenziò.
Miroku si fece perplesso. –Ma come è possibile? -.
- Probabilmente stanno organizzando una guerra– ghignò Bankotsu.
Il giovane cowboy non era del tutto convinto. Non era nel loro stile organizzare una battaglia, erano una tribù prevalentemente pacifica. Un’idea gli balenò nella mente e subito capì quello che stava accadendo nell’accampamento indiano.
- Stanno celebrando un matrimonio – mormorò.
Jakotsu si fece perplesso. – E come lo sai? -.
- Gli Apache di questa zona sono in via di estinzione e probabilmente hanno stretto un patto per poter portare avanti la loro stirpe e per avere protezione -.
Miroku guardò i banditi e si rese conto che effettivamente non avevano avuto tutti i torti nel farlo. Non voleva che il suo amico andasse da solo con quei pazzi, preferiva essere sicuro che non gli accadesse nulla. Quei mercenari avevano la fama di essere gente spietata.
Inuyasha montò a cavallo con un’agile balzo e strinse le redini dell’animale.
- Dobbiamo fare attenzione, il clan dei domatori di lupi sono particolarmente feroci – li avvertì quest’ultimo prima di ripartire.
Quando furono ormai vicini era sera e abbandonarono i cavalli, il rumore degli zoccoli avrebbe potuto mettere in allerta la tribù, anche se sembravano tutti presi dai festeggiamenti.
Si ripararono dietro la fitta vegetazione e osservarono i pellerossa ballare allegri intorno al fuoco in uno dei loro strani riti propiziatori.
- Tenetevi pronti, al mio via li attacchiamo e chiediamo loro dove si trovi l’oro – disse Bankotsu, mentre era intento a caricare la sua fedele pistola.
Inuyasha però non stava ascoltando, era completamente incantato. Tra tutte le figure femminili che danzavano, solo una aveva attirato completamente la sua attenzione. Era una giovane indiana dai capelli corvini e gli occhi vivaci. Lei doveva essere la sposa, dato che portava un copricapo di piume più vistoso delle altre.  
Non molto lontano da lei un giovane dell’altro clan la osservava orgoglioso, quello doveva essere il suo promesso sposo e capo dei domatori di lupi.
Per quanto ci provasse non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quella ragazza, era veramente splendida.
- Inuyasha! – lo rimbeccò Miroku. – Preparati, stiamo per entrare in battaglia -.
 
Kagome ballava allegra insieme a sua sorella. Il giorno dopo si sarebbe festeggiato il suo matrimonio proprio al villaggio e quella danza era un’offerta agli dei perché la aiutassero ad essere una buona madre e moglie.
Le due sorelle ballavano insieme intorno al fuoco, mentre gli anziani inneggiavano a canti di gioia e pace, mentre il suono dei tamburi riempiva l’aria.
Non si sarebbe mai aspettata di poter essere così felice, ma quel giorno il suo futuro sposo l’aveva davvero stupita e le aveva anche promesso che sarebbero tornati al villaggio ogni volta che lei avesse sentito la mancanza della sua famiglia. Era felice che lui non la volesse strappare completamente dalle sue radici. Voleva anche che lei insegnasse ai giovani domatori le usanze degli Apache.
Si unì allegra al canto di gioia, mentre il suo cuore volava alto come il fumo di quel falò.
Si voltò verso il suo sposo, ma lo trovò distratto. Stava osservando un punto indefinito tra la boscaglia poco distante e sembrava preoccupato.
Si alzò in piedi e richiamò i lupi e i componenti del suo clan.
- C’è qualcosa che non va – mormorò questo.
Prima che potesse avvicinarsi a lui per poter capire quello che stava succedendo, un rumore sordo e acuto le perforò i timpani e quando si voltò nella direzione da dove proveniva quel suono si rese conto di quello che stava accadendo.
I demoni bianchi li stavano attaccando.
Il panico si impossessò delle donne e dei bambini, che cominciarono a correre per mettersi in salvo, mentre gli uomini Apache si lanciavano nella mischia, seguiti dai lupi di Koga.
- Ginta, Hakkaku proteggete il Patriarca, Kagome e la sua famiglia! – ordinò il giovane capo, mentre si dirigeva in soccorso dei suoi compagni.
Kagome e Sango vennero trascinate via dai due domatori insieme al Patriarca e all’anziana Kaede.
- Non possiamo abbandonarli! – gridò Kagome, preoccupata per la sorte del suo sposo.
Ginta cercò di tirarla via. – Non puoi aiutarli! -.
Kagome lo fulminò con lo sguardo.  – Allora non mi conosci! – sibilò. – Sango, ti affido nostra nonna -.
Prima che l’amica la potesse fermare, Kagome si era lanciata tra le tende ed era sparita dalla vista degli altri, che cercavano di implorarla di tornare indietro.
Nel frattempo i banditi avevano cominciato ad appiccare il fuoco alle tende e uccidere chiunque gli si parasse davanti.
Koga cercava di avvicinarsi a loro, ma quelle strane armi che portavano con loro lo confondevano e lo intimorivano.
Inuyasha e Miroku invece erano rimasti riparati dietro i cespugli e sparavano solo nel caso qualche indiano si avvicinasse.
- Questo non mi sembra esattamente un interrogatorio! – gridò Miroku per farsi sentire.
Inuyasha era furioso, non si era parlato di uno sterminio di massa. – Dannati bastardi, rischiano di farci attaccare dalle altre tribù indiane se li uccidono tutti! -.
Kagome nel frattempo era riuscita a prendere un arco da terra e si era riparata in cima ad uno degli alti abeti che circondavano l’accampamento. Da quella posizione poteva cercare di mirare agli invasori e difendere il suo futuro marito.
Prese una delle frecce dalla faretra e cercò Koga in mezzo a quella mischia. Era intento a scontrarsi con un uomo che doveva essere alto almeno la metà di un abete. Fortunatamente questo era molto lento nei movimenti e senza quelle armi che di solito portavano con loro.
Kagome mirò al cuore di quel maledetto. Scoccò la freccia, ma questa invece che piantarsi nel suo petto finì per colpirlo ad un braccio e questo scatenò la furia dell’uomo.
Si sentì perforare da quello sguardo così terrificante e sanguinario, l’aveva individuata.
Koga si lanciò contro l’avversario, in modo che non potesse fare del male a Kagome, ma questo lo colpì con una tale violenza da sbalzarlo lontano e stordirlo.
Kagome si sentiva in trappola e nel panico del momento scivolò dal ramo sui cui era appollaiata e cadde a terra.
La schiena le doleva in maniera terribile, ma neanche il dolore era paragonabile alla terribile paura che si impossessò di lei non appena si trovò davanti all’uomo che aveva colpito qualche istante prima.
Era paralizzata dal terrore e si spinse il più possibile indietro, fino a quando la sua schiena non incontrò la corteccia dell’albero. Era completamente in trappola e non poteva salvarsi.
- Per uno scricciolo come te basteranno le mie mani – ghignò l’uomo.
Quando ormai pensava che sarebbe morta, Koga arrivò in suo soccorso.
Balzò feroce sulla schiena del suo avversario e senza pietà gli piantò il coltello nella gola. Questo cominciò ad emettere dei mugolii di dolore, prima di cadere a terra con un tonfo sordo.
Prima che potesse riprendersi fu tirata su di peso da Koga e trasportata lontano.
- Ritirata! – cominciò a gridare, mentre teneva saldamente sulle spalle la giovane.
Gli ultimi uomini rimasti cominciarono a correre per mettersi in salvo, mentre i loro nemici appiccavano il fuoco e sparavano su di loro.
- NO! -.
Il grido che i due giovani udirono era ben riconoscibile. In mezzo al fumo distinguevano bene le figure di Ayame e Sango. Erano braccate da due banditi, mentre Ginta e Hakkaku erano svenuti.
Si fermarono per andargli in soccorso, ma Kagome vide qualcosa che la lasciò senza fiato.
Steso a terra in una pozza di sangue c’era il corpo esanime di sua nonna.
- Nonna! –gridò, ma prima che potesse andarle incontro fu bloccata da Koga.
Questa la prese saldamente per le spalle e la costrinse a guardarlo. – Ci penso io a loro, tu scappa, ti prego! -.
La sua era una supplica disperata e Kagome non riusciva a muovere le gambe per il dolore.
- Se tu rimani qui non potrò proteggere tua sorella, ti prego scappa! Mettiti in salvo! -.
La lasciò in mezzo al fumo per correre da sua sorella. Sarebbe voluta andare con lui per aiutarlo, ma sapeva che non sarebbe stata solo di peso.
Si fece forza e con le lacrime che le rigavano il viso scappò via, senza rendersi conto che qualcuno la stava seguendo.
Inuyasha aveva seguito tutta la scena da lontano e le sue gambe si erano mosse da sole. Non badò alle urla di Miroku che lo pregavano di tornare indietro.
Doveva salvarla, doveva impedire a Bankotsu di farle del male.
Corse in mezzo ai corpi massacrati e al fumo, non curandosi del pericolo che stava correndo.
Quando finalmente riuscì a raggiungerli erano su una sporgenza sopra al fiume. Bankotsu le stava puntando la pistola contro e lui non ci vide più.
Tirò fuori la pistola dalla fondina e con questa sferrò un colpo ben assestato sulla testa dell’uomo, che cadde a terra svenuto.
I loro occhi si incontrarono e per un istante per entrambi fu il silenzio. Occhi scuri in occhi ambrati, uomo e donna.
Kagome era allibita, non aveva mai visto un uomo bianco difendere una ragazza indiana.
Inuyasha invece era incantato e continuava a fissare quel piccolo corpo scosso dai tremori della paura e del dolore. Era così indifesa e bella, non poteva lasciare che quel bastardo la uccidesse.
La ragazza si tirò in piedi e cominciò ad osservare il suo salvatore. Camminava titubante verso di lui, per osservarlo meglio, ma si accorse presto che non erano soli.
Dietro di lui Koga gli stava correndo incontro, pronto ad uccidere il suo salvatore.
- No! – gridò la ragazza.
Prese Inuyasha per il gilet nel tentativo di spostarlo, ma nella troppa foga non si rese conto che era pericolosamente vicina a bordo del precipizio.
In un soffio i due stavano precipitando nel fiume.
 
Eccomi!
Intanto sono felice di augurare a tutti i miei lettori un felice Natale! Tra un panettone sono finalmente riuscita ad aggiornare.
Il capitolo era già pronto da qualche giorno, ma volevo almeno cercare di ricontrollarlo e spero di aver fatto un buon lavoro!
Insomma, anche se in una situazione terribile i nostri protagonisti si sono finalmente incontrati! Che ne sarà di loro due? E Sango e Kaede?
Vi auguro ancora un felice Natale e vi mando un bacione!
Silvia :*

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Capitolo 5
*** Persi ***


Al villaggio Apache ormai la battaglia era cessata. Sango si era rifugiata nel bosco, rifiutandosi di abbandonare il luogo in cui era vissuta. Koga aveva dovuto portare via il Patriarca, con la promessa di ritrovare Kagome non appena lo avesse messo in salvo.
La giovane cercava di consolarsi con il pensiero che sua sorella era un’ottima nuotatrice e che sicuramente si era salvata.
Quando si avvicinò di nuovo al villaggio era ormai giorno. Il fumo si levava alto nel cielo e ormai non vi era più nessuno in quel luogo di morte.
Quei bastardi che li avevano attaccato sapevano sicuramente che la loro tribù era ormai praticamente priva di uomini e che i pochi domatori di lupi arrivati non sarebbero riusciti a sgominare quelle armi che sputavano tuoni.
Si mosse incerta tra le tende distrutte e i corpi lasciati abbandonati. L’odore di sangue la prese alla gola e si portò una mano sul viso per cercare di ripararsi da quel tanfo.
Ricacciò indietro le lacrime che le stavano per solcare il viso. Doveva trovare l’anziana Kaede.
Aveva provato a trascinarla lontano dalla battaglia, ma con le sue sole forze non ci era riuscita.
Quando la trovò era distesa nella stessa posizione in cui era morta e lei si accasciò vicino al corpo della sua amata nonna adottiva.
Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime e carezzò il corpo ormai freddo ed esanime. Non poteva credere che lei non ci fosse più. Quando era sola e sperduta lei e Kagome l’avevano trovata e condotta al villaggio, crescendola come se avesse sempre fatto parte della loro famiglia.
Non poteva lasciarla in quello stato e decise di scavare una fossa per seppellirla. Trovò una pala in mezzo alle macerie e cominciò il suo lavoro.
Adagiò il corpo della donna nella terra e si levò la piuma che portava sul capo per adagiarla sulla salma.
- Ti voglio bene, nonna – mormorò.
Si tirò in piedi e cominciò a riempire la buca. I ricordi le ritornavano alla mente e ognuno di essi era come una stilettata al cuore.
Quando finì prese una delle pelli di daino che prima costituivano una delle tende, l’adagiò sulla tomba e pregò.
Il suo pensiero volò a Kagome e, nonostante le facesse male, lasciò la tomba di sua nonna per andare a cercare la sorella.
Correva sulla riva del fiume, gridando il suo nome.
Pregava che si fosse salvata e che quel demone bianco non le avesse fatto del male, altrimenti lo avrebbe ucciso. Un enorme desiderio di vendetta si fece strada nel suo cuore e si promise che avrebbe fatto giustizia.
- Eccoti dannata pellerossa! –gridò una voce alle sue spalle.
Fu afferrata da una corda che le imprigionò le gambe e cadde a terra.
I banditi del villaggio erano tornati e l’avevano trovata. Un ragazzo dalla lunga treccia ghignava tronfio sopra di lei, ma quando si avvicinò parve deluso.
- Ah, non sei la piccola bastarda che è caduta nel fiume con Taisho – sentenziò.
Un altro uomo dall’aspetto femminile arrivò e anche lui parve deluso nel vederla.
- Possibile che sia un villaggio di sole donne? Proprio qui mi dovevi trascinare Bankotsu -.
- Zitto Jakotsu, non è il momento per queste sciocchezze! – sbraitò.
Dietro di loro arrivò un uomo a cavallo. A differenza degli altri era vestito in maniera più elegante e sembrava parecchio preoccupato.
Non appena vide che avevano catturato la ragazza si mise in mezzo.
- Non è il caso di ucciderla, lei è solo una donna e non costituisce un pericolo per noi! – esclamò, scendendo da cavallo e liberandola.
- Signor Miroku, ricordatevi che è una lurida sgualdrina indiana, non merita pietà! – ribatté quello di nome Jakotsu.
Sango rimase in silenzio. Osservava colpita l’uomo che l’aveva appena difesa, ma per lui riusciva a provare solo un profondo disprezzo. Non poteva perdonare uno degli uomini che avevano distrutto la sua casa.
Bankotsu sbuffò. – E cosa vorreste farne? Tanto sola in questo luogo sarà destinata a morire -.
Miroku si rese conto che aveva ragione, se l’avessero abbandonata in mezzo alla foresta con le creature selvagge che vi abitavano avrebbe rischiato di morire e presto puma e coyote si sarebbero avvicinati per fare razzia dei corpi.
Si voltò verso la ragazza. Era bella, ma il suo sguardo era pieno di odio e di rancore, non sarebbe stato facile condurla con lui a Forest County e ancora meno convincere i cittadini a farla restare.
Si passò una mano tra i capelli castani e alla fine rispose.
- Ho voglia di spassarmela, va bene? Torno a Forest County e dopodiché me ne disferò –, stava mentendo spudoratamente, ma sapeva anche di essere un maestro in quell’arte.
I due banditi risero divertiti e acconsentirono.
Sango era disgustata al pensiero di quello che quel maledetto le avrebbe fatto, ma aveva un asso nella manica. Sotto al vestito portava un coltello di pietra che avrebbe usato non appena fossero stati abbastanza lontani. Quegli sciocchi avevano sottovalutato le sue doti di guerriera.
Miroku la legò e lei lo lasciò fare senza opporre resistenza. Il ragazzo avrebbe voluto scusarsi per il suo comportamento, ma probabilmente la giovane non avrebbe compreso le sue parole.
Salì a cavallo e mise la giovane davanti a lui, fiero di essere riuscito a salvarla da morte certa. Nel frattempo pensava ad Inuyasha. Chissà se si era salvato. L’unico modo che aveva per ritrovarlo era avvertire Lord Taisho, anche perché quei maledetti non avrebbero mosso sicuramente un dito per cercarlo.
Sango, invece, era pronta per compiere la sua vendetta.
 
Il fiume li aveva trascinanti fino a una vallata dove l’acqua sfociava in un lago. Kagome fu la prima a riprendere i sensi e a guadagnare la riva.
Tossi fuori l’acqua che aveva ingoiato e si guardò intorno. A prima vista non riusciva a riconoscere quel posto e neanche il lago dove la loro corsa era stata arrestata.
Quando si voltò vide il corpo del ragazzo che l’aveva salvata galleggiare nell’acqua. Senza neanche pensarci si rituffò e si prodigò per recuperare il suo salvatore. Fu difficile per lei riuscire a trasportarlo a riva e quando ci riuscì cominciò a schiacciargli il petto per farlo respirare.
Qualcosa nel suo cuore le diceva che doveva salvarlo, anche se andava contro ogni logica o istinto di sopravvivenza.
L’istinto di Inuyasha, invece, lo portò ad estrarre la pistola dalla fondina non appena riprese i sensi e la puntò contro la persona che gli stava schiacciando il petto.
Quando riuscì ad inquadrare meglio la figura che aveva davanti si rese conto che si trattava della piccola indiana che lo aveva trascinato nel fiume.
Questa lo guardava con aria impaurita e si allontanò velocemente da lui, stringendosi le ginocchia al petto. Erano entrambi zuppi e si rese conto che era stata lei a trarlo in salvo e rianimarlo.
Si tirò a sedere e mise la pistola in terra.
- Guarda, la metto via – sussurrò per non spaventarla. – Tu mi capisci? -.
Kagome si sentiva completamente terrorizzata e non sapeva cosa fare. Quando lui le aveva puntato la sua arma contro si era resa conto dell’enorme sbaglio che aveva fatto a salvarlo dall’annegamento. Lui era uno dei demoni bianchi che avevano assassinato i suoi genitori e forse Koga aveva ragione nel dire che molti di loro non provavano pietà. Era anche uno di quei barbari che avevano ucciso la sua amata nonna.
Nonna
Quel pensiero le attraversò la mente all’improvviso, lasciandola svuotata. Calde lacrime le rigarono il viso senza controllo e si strinse le ginocchia al petto. Era rimasta sola, l’unico parente che le era rimasto al mondo era partito con gli spiriti del cielo e della terra e lei non aveva potuto darle una degna sepoltura.
Inuyasha la vide ritrarsi e chiudersi in sé stessa. Stava piangendo, eppure non singhiozzava o emetteva un fiato. Se ne stava seduta vicino alla riva del lago e rimaneva muta nel suo dolore.
Provò una grande compassione e si diede dello stupido. Da quando si era rammollito in quel modo? Lui che si faceva abbindolare in quel modo da una comune pellerossa. Se fosse stata insieme ai suoi compagni non avrebbe esitato due volte a lasciargli fare lo scalpo e l’unico motivo per cui lo aveva salvato era perché aveva bisogno di lui. Ne era certo.
Si alzò, prendendo il suo cappello trascinato a riva dalla corrente e dopo averlo strizzato se lo rimise in testa.
L’indiana era ancora lì a piangere in silenzio. Odiava vedere una donna piangere, era qualcosa che non riusciva proprio a sopportare.
Fece per avvicinarsi a lei, ma questa lo scacciò via con uno spintone, lanciandogli uno sguardo di puro odio.
A quel punto Inuyasha si spazientì, le prese rudemente il viso e la costrinse a guardarlo.
- Senti, non mi interessa se mi capisci o meno, ma non cascherò nei tuoi trucchetti da piccola squaw dagli occhi dolci, quindi me ne vado, tanti auguri! -.
Finita la frase prese le sue cose e se ne andò, lasciando la giovane sola.
Kagome era spiazzata. Quando l’aveva salvata credeva che lui potesse essere come Sango, ma si era sbagliata. Lui era malvagio e lo aveva appena dimostrato trattandola in quel modo.
A differenza di quello che si poteva credere lei conosceva la lingua dei visi pallidi. Quando Sango era arrivata al villaggio aveva sei anni e non parlava la loro lingua. Era stata Kagome a decidere di insegnarle tutto e allo stesso tempo aveva imparato la lingua della sua amica.
Le risultava difficile riuscire a rispondere, dato che era molto tempo che non la parlava, ma sarebbe bastato poco tempo per poterla padroneggiare di nuovo come un tempo.
Il ragazzo dai capelli color della luna si diresse nel folto della foresta e lei lo guardò andare via.
Cercò di farsi forza, non poteva piangersi addosso, doveva riuscire a tornare a casa dal suo sposo e da sua sorella.
Si tirò in piedi e si arrampicò su un albero per poter scorgere meglio la vallata. Si trovavano nell’ultima distesa di alberi prima della steppa e questo significava che era veramente molto lontana da casa.
Con lo sguardo seguì il tortuoso percorso del fiume che li aveva portati fino a quel luogo e si accorse che gli affluenti del lago erano almeno tre e arrivavano tutti da direzioni differenti.
Quello sarebbe stato un problema, se avesse sbagliato affluente avrebbe rischiato di perdersi e magari anche di incontrare i bianchi che aveva distrutto il suo villaggio.
Scese dall’abete e cominciò a riflettere sul da farsi. Era sola in un luogo che non conosceva, oltretutto senza neanche armi con cui potersi difendere.
Strinse forte i pugni per la rabbia quando si rese conto che seguire il barbaro, era l’unica soluzione ragionevole.
 
Koga aveva portato al sicuro il Patriarca e ora era tornato al villaggio insieme ai suoi compagni Ginta e Hakkaku. Anche Ayame aveva voluto seguirli a tutti i costi, anche se a lui la cosa non aveva fatto per niente piacere.
Sapeva dei sentimenti che la giovane provava per lui e gli dispiaceva farla soffrire e per questo non voleva che venisse a cercare la sua sposa.
Arrivò al pendio dove la sua amata era caduta e mostrò ai suoi lupi una delle piume che la ragazza portava la sera dell’attacco. Gli animali la fiutarono e si misero a cercare.
Il villaggio era raso al suolo e i corpi di donne, bambini e soldati erano riversi a terra ormai privi di vita. Quegli occhi ormai spenti sembravano chiedergli vendetta per il dolore patito. Quei barbari si erano lanciati all’attacco e non avevano risparmiato nessuno. Si sentì fiero per essere riuscito ad ucciderne almeno uno, ma il lavoro era appena cominciato. Doveva trovare Sango e soprattutto la sua amata Kagome, caduta nel fiume sotto la forza di quel bianco.
- Voi due perlustrate la zona e cercate la sorella – ordinò il capo tribù.
I due obbedirono senza indugi e si diressero verso la foresta alla ricerca di Sango.
- L’acqua avrà cancellato le sue tracce, i lupi non servono a nulla – bisbigliò la giovane.
Koga si voltò verso di lei adirato. – Smettila! -.
Ayame, però, continuò; la sua furia era molto più grande di quella di lui.
- Hai lasciato la nostra tribù nonostante la profezia, lascerai la tua gente a morire per lei?! – sbraitò questa.
Il ragazzo le si avvicinò, sovrastandola con la sua imponente figura. – Stai zitta – sibilò.
Gli occhi verdi della ragazza si infuocarono per l’odio e la rabbia che provava in quel momento.
- No Koga, hai sbagliato! -.
Il giovane capo si voltò verso il fiume che scorreva veloce e tortuoso verso le steppe e il suo cuore sembrò andare in mille pezzi. Non poteva permettere che lei morisse, non voleva.
- Non mi interessa, smuoverò il cielo e la terra per ritrovarla -.
Quelle parole ferirono Ayame profondamente e lacrime di dolore le solcarono il viso.
 
 
Ciao a tutti!
Eccomi qua con il nuovo capitolo, devo dire che sono sorpresa, non mi avevano mai seguite così tante persone e soprattutto non avevo mai ricevuto così tante bellissime recensioni *.*
Insomma vi voglio ringraziare tutti quanti, è merito vostro in parte se aggiorno così velocemente. Il vostro sostegno è sempre gradito e soprattutto grazie per i mille consigli che mi date. Siete fantastici!
I nostri protagonisti sono costretti a vivere a stretto contatto, riusciranno ad andare d’accordo e capirsi a vicenda? E Koga ritroverà la sua sposa?
Ancora mille grazie, un bacione enorme a tutti!
Silvia

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Capitolo 6
*** Lupo o agnello? ***


Inuyasha si era accorto già da un po’ che la piccola apache lo aveva seguito, ma cercò di fare finta di niente. Non aveva voglia di parlarle e tanto non si sarebbero capiti. Non aveva mai conosciuto nessun indiano che parlasse la sua lingua e quella piccola squaw non avrebbe fatto differenza.
La sentiva spostarsi dal fruscio che i suoi piedi emettevano sulle foglie secche. Avrebbe voluto girarsi a guardarla, ma trattenne quell’impulso. Se lo avesse fatto si sarebbe di nuovo fatto intenerire da quel bel visino che già lo aveva cacciato in troppi guai.
Kagome, invece, lo seguiva in silenzio. Non voleva avvicinarsi perché lo considerava un invasore, ma era la sua unica speranza di salvezza. Magari durante il loro cammino avrebbero incontrato qualche tribù della zona e a quel punto gli avrebbe chiesto la strada di casa. Non era mai uscita dai confini della foresta in cui viveva e mai si era avvicinata così tanto a un bianco.
Quando si fermarono era ormai notte. Inuyasha si prodigava per accendere un fuoco, mentre Kagome era rintanata su un abete.
Avevano camminato per parecchie miglia e si stavano avvicinando alla steppa. La cosa non la rassicurava, in quelle zone era difficile trovare acqua e cibo e senza un cavallo sarebbe stato difficile proseguire.
Il flusso continuo dei suoi pensieri fu interrotto dal suo stomaco che brontolava e l’odore della selvaggina che il ragazzo stava cucinando era davvero invitante, ma non si sarebbe abbassata a chiedergli del  cibo.
Si guardò intorno alla ricerca di qualche cespuglio di bacche commestibili, ma quella zona ne sembrava sprovvista e si accasciò sul ramo.
Le mancava terribilmente sua nonna. I suoi sorrisi sinceri, i suoi abbracci e addirittura l’odore di tabacco che emanava la sua pelle. Avrebbe desiderato averla con lei, ma ormai era lontana.
Cercò di consolarsi con quello che lei le ripeteva sempre quando da piccola sentiva la mancanza dei genitori. Ora Kaede era parte del mondo, il suo spirito era stato liberato dalla carne e poteva unirsi con la terra, gli alberi e il cielo. Non l’aveva lasciata, aveva solo cambiato forma.
Un piccolo soffio di vento le scompigliò i capelli e fu come se quello fosse un segno che su nonna la proteggeva. Un sorriso le comparve sul viso.
Sarai sempre con me
Nel frattempo Inuyasha mangiava di gusto la lepre che aveva appena cacciato, quando il suo sguardo volò verso la ragazza apache.
Se ne stava seduta sull’albero e sembrava serena. Non capiva perché fosse così tranquilla, era lontana dalla sua gente e sperduta in un posto che non conosceva. Non la sopportava!
- Piccola e inutile pellerossa – mugugnò ad alta voce.
Kagome udì quelle parole scontrose e lo fulminò con lo sguardo.
Inuyasha era scioccato, lo guardava come se avesse capito quello che aveva detto.
- Non mi dire che una come te comprende la mia lingua – la schernì.
La ragazza scese dall’albero infuriata e si diresse spedita verso quell’irritante cowboy.
Prese coraggio e provò a parlare.
- Io…io…capisco – mormorò titubante.
Per lei era difficile parlare la lingua degli stranieri, che era molto diversa dalla sua. In ogni caso si sarebbe sforzata in modo da potergli dimostrare che era migliore di quanto lui la reputasse.
Inuyasha rimase di sasso. Non riusciva a credere che lei lo comprendesse.
Cercò di riprendersi e si voltò dall’altra parte, per non guardarla. Quegli occhi scuri in qualche modo lo ipnotizzavano.
Kagome rimase in piedi, adirata per non aver ricevuto attenzione. Non era da poco quello che gli aveva appena dimostrato.
- Tu, tu… -, non riusciva a trovare la parola che stava cercando.
Il giovane cowboy si mise a ridere. – Come sospettavo, conosci solo qualche parola -.
Avrebbe voluto prenderlo a sberle, ma sarebbe stato controproducente, lui era armato e lei completamente indifesa.
- Uomini bianchi non comprendono -.
Inuyasha si voltò perplesso. – Cosa intendi con questo? -.
Kagome era frustrata, non riusciva a spiegarsi e rinunciò. Stava per andarsene, ma lui la fermò.
- Senti, non fa piacere neanche a me essere qui con te – cominciò. – Anche se mi hai trascinato in questo pasticcio, dobbiamo cercare di andare d’accordo -.
La ragazza si voltò verso di lui allibita. Lei aveva messo in quel pasticcio lui? Aveva solo cercato di difenderlo da morte certa!
- Io non ho messo nei guai, io ti ho salvato – ribatté furiosa.
- Ah sì? E da cosa? -.
- Voleva ucciderti! Io ti ho preso e poi caduti! -.
Inuyasha cercò di comprendere quello che aveva appena detto e ricollegarlo coi suoi ricordi. Lei gli si era avvicinata mentre lui era voltato di schiena e poi lo aveva tirato indietro. E se quella ragazza lo avesse veramente cercato di salvare da un attacco alle spalle?
La invitò a sedersi. Kagome era titubante, ma alla fine decise di accomodarsi, anche se sempre a debita distanza. Doveva cercare di essere il più prudente possibile per non cadere in qualche tranello del bianco.
- C’era qualcuno che mi stava per attaccare prima che cadessimo nel fiume? – le domandò.
Kagome annuì convinta. In quel momento le tornò alla mente il ricordo del suo sposo e si rese conto che lui sicuramente la stava cercando. Chissà se con i suoi lupi sarebbe riuscito a rintracciare il suo odore. Koga non le sembrava un tipo rinunciatario, sicuramente dopo che aveva messo in salvo Sango si era prodigato per cercarla e quel pensiero la rese subito più sollevata. Sarebbe tornata presto a casa.
Inuyasha era sorpreso da quella rivelazione. Non si sarebbe mai aspettato un comportamento simile da un pellerossa. Credeva che non si sarebbero fatti scrupoli ad uccidere chiunque attaccasse le loro terre, eppure quella ragazza aveva praticamente rischiato la vita per cercare di trarlo in salvo.
Si sentì un po’ in colpa per averla trattata in quel modo e decise di offrirgli un po’ di cibo.
- Mangia, ti serviranno le forze per camminare domani -.
Kagome osservò la carne che lui le stava offrendo e alla fine accettò. Dopotutto aveva ragione, se voleva tornare a casa doveva essere piena di energie.
 
Sango e Miroku cavalcavano a tutta velocità verso Forest County. Il giovane aveva intenzione di arrivare di notte, in modo da nasconderla nell’albergo e avvertire Lord Taisho della scomparsa del figlio. Era certo che quei maledetti uomini non avrebbero mai cercato il suo caro amico e la cosa più importante da fare in quel momento era avvertire suo padre. Un uomo di così grande potere avrebbe sicuramente avuto abbastanza conoscenze da trovarlo.
Era davvero in pena per la sua sorte e soprattutto aveva paura che gli indiani che avevano attaccato lo trovassero e lo uccidessero.
Cercò di calmarsi, Inuyasha stava sicuramente bene, aveva la pellaccia dura. E poi non era uno sprovveduto, sapeva nascondere le sue tracce e conosceva i pericoli dei boschi, era sicuramente vivo.
Come previsto arrivarono di notte e fece cenno alla ragazza di fare silenzio. Questa non se lo fece ripetere due volte. Era in terra straniera e in mezzo ai nemici, non poteva permettere che la scoprissero. Se lui voleva che nessuno la vedesse, le andava più che bene. Sarebbe stato più facile fuggire.
Quel posto non la impressionò. Aveva vaghi ricordi dei giorni in cui viveva in un posto come quello con i suoi genitori. Ripensò al fratello Kohaku, perso durante l’attacco di alcuni briganti alla carovana dei suoi genitori. Lei era stata portata via da sua madre, che venne colpita da un proiettile. Era rimasta con lei per tutta la notte, fino a quando non esalò il suo ultimo respiro.
Essere lì le riempì il cuore di dolore, ma cercò di non mostrarlo. Non voleva che quel bastardo depravato la vedesse debole.
Scacciò il ricordo e tenne gli occhi bassi, cosicché la vista di quei luoghi familiari non le riportassero alla mente la sua vecchia vita e la sofferenza provata.
Fu condotta dentro una casa in legno su per delle scale, fino ad una soffitta nella quale c’era solo un letto dismesso e vecchio. In tutta la stanza c’era solo una piccola finestra ovale che illuminava la stanza con la luce della luna e delle stelle.
- Ora ti slego – le sussurrò l’uomo.
Lei non aspettava altro e nel momento in cui lui la liberò prese il coltello.
- Pagherete per quello che avete fatto alla mia famiglia – sibilò.
Miroku era impietrito. Quella ragazza non era così indifesa come pensava, anzi era pronta ad ucciderlo.
Stava per attaccarlo, ma lui fu svelto e con il cuscino del letto bloccò il suo colpo, strappandole il coltello di mano. Dopodiché si butto sopra di lei, schiacciandola con il suo peso.
Questa si dimenava e cercava di scappare e lui le mise una mano sulla bocca. Se i clienti avessero sentito quel baccano si sarebbero insospettiti.
Sango cominciò a sentire il panico invaderla. Non voleva che quell’uomo la sfiorasse neanche con un dito, fino a quando lui non la incatenò nei suoi profondi occhi azzurri. Si sentì terribilmente frustrata nel dover ammettere che quegli occhi erano i più belli che avesse mai visto.
Cercò di continuare a scalciare per scappare, ma questo la teneva saldamente e premeva di più la mano sulla sua bocca.
- Ti prego fai silenzio, non ti voglio fare del male – la supplicò.
La ragazza sembrò calmarsi e lui levò la mano dalle sue labbra.
– Io capisco la tua lingua, non ti permetterò di toccarmi neanche con un dito -.
- Un momento, tu mi capisci? Parli la mia lingua? Ma com’è possibile? – esclamò.
Le loro parole furono interrotte da un bussare sulla botola della soffitta.
- Miroku sono Rin, se sei con una delle donne del Saloon ti pregherei di fare piano! Io e i clienti vogliamo dormire! -.
Si calmò non appena sentì la voce della sorella e tornò a guardare la giovane indiana. Era sollevato dal fatto che lo potesse capire, almeno sarebbe stato più facile spiegarle tutto. Ora ovviamente aveva altre cose per la testa e quindi cercò di essere chiaro e coinciso.
- Non ti voglio fare del male, te lo assicuro – le sussurrò vicino all’orecchio.
Sango scrutò attentamente il viso del ragazzo e non vide bugie nei suoi occhi. Era sincero e questo la lasciò non poco sorpresa. Per natura non era così diffidente nei confronti di tutti i bianchi, dopotutto faceva comunque parte di quella gente e ricordandosi dei suoi genitori, non riusciva a considerarli tutti malfattori. Kaede le aveva sempre ripetuto che non doveva perdere quella fiducia e di trasmetterla il più possibile alla sorella.
- Perché mi aiuti? – gli chiese, mentre questo allentava la presa sulle sue braccia.
Rendendosi conto che ormai era tranquilla si alzò e si pulì i vestiti impolverati.
- Perché quegli uomini ti avrebbero fatto subire le peggiori barbarie e non potevo permetterlo – rispose serio.
Sango continuò a guardarlo spiazzata. Si era messo in mezzo alla sua gente per evitare che le venisse fatto del male e questo era un gesto che in pochi si sarebbero concessi.
- Miroku, rispondi o sfondo la porta! – gridò Rin, che era ancora fuori ad attendere una risposta.
Il ragazzo le fece cenno di fare silenzio e aprì.
- Se è un’altra delle tue scappatelle giuro che… -, fu bloccata dalla mano del fratello che le tappò la bocca.
Si passò una mano tra i capelli e sospirò. – Rin, abbiamo un problema -.
 
Il giorno dopo i due ripresero a camminare, continuando comunque a tenersi a distanza. Kagome nel frattempo ripassava mentalmente la lingua del cowboy.
Inuyasha invece continuava a pensare a cosa fare. Arrivati nella steppa avrebbero sicuramente trovato una ferrovia e seguendola avrebbero raggiunto la cittadina più vicina; o almeno così sperava. La vicinanza di quella ragazza lo stava agitando e non ne capiva il motivo.
Scacciò quelle idiozie dalla sua testa e continuò a camminare. In quel momento il suo unico pensiero doveva essere quello di sopravvivere e tornare a casa.
Quando arrivò la sera vide la ragazza sparire nella foresta e la seguì incuriosito. Questa preparò una trappola e si appostò dietro ad un cespuglio in attesa.
Era affascinato dalla sua intraprendenza e capacità di reagire alle difficoltà. Molte donne di città si sarebbero lamentate per la lunga marcia e per la mancanza di cibo, ma lei no. Lo seguiva in silenzio senza lamentarsi e tenendo un buon passo. Questa era una cosa che apprezzava molto, non aveva mai amato le ragazze piagnucolose e viziate di città e per questo non si era mai voluto impegnare. Preferiva vivere una vita libera e avventurosa, anche se era per colpa di quel desiderio che si era cacciato in quella situazione.
Una lepre cadde nella buca che l’indiana aveva scavato e lei si avventò sull’animale e lo uccise con velocità e senza farlo soffrire.
Inuyasha a quel punto si avvicinò per prenderla e cucinarla, ma lei lo fermò.
- Si ringrazia – gli disse.
Lui si accucciò e la guardò perplesso. – Cosa? -.
- Ringrazia lo spirito che ti nutre – rispose sorridente.
Si lasciò scappare un sorriso sincero. La cultura indiana era più magnanima di quanto pensasse. Aveva sempre creduto che fossero cacciatori spietati. Eppure guardando quella ragazza capiva che non tutti erano così. Aveva preso l’animale con una grande delicatezza e lo aveva messo a terra come se fosse ancora vivo.
La vide accovacciarsi vicino al corpo della lepre e pronunciare sottovoce parole a lui incomprensibili. Eppure le diceva con una tale enfasi che ne rimase comunque affascinato.
Mentre tornavano alla radura dove si erano accampati si rese conto che non conosceva ancora il suo nome.
- Come ti chiami? – le chiese, mentre arrostiva la lepre sul fuoco.
La ragazza si destò dai suoi pensieri e lo guardò. – Kagome -.
- Io sono Inuyasha -.
Dopo quelle poche frasi tra i due calò di nuovo il silenzio. Mangiarono e si misero a dormire, ma questa volta Kagome non si ritirò su un albero, rimase vicino al fuoco.
Stava cominciando a fidarsi del ragazzo di nome Inuyasha. Non le sembrava malvagio come all’inizio, solo non capiva. Come gli indiani non capivano la cultura dei bianchi, lui non capiva la sua. Spesso quello che non si conosce spaventa e da una parte non poteva biasimarlo. La sua gente aveva ucciso padri e figli bianchi e nessuno aveva mai provato a comunicare, a raggiungere un accordo.
Forse se solo gli avesse insegnato sarebbe potuto cambiare.
Ogni volta, però, le tornava alla mente la ferocia con cui quegli uomini avevano attaccato e distrutto la sua casa e le sue speranze e sicurezze vacillavano.
Si sentiva sospesa su un filo e non sapeva cosa pensare. Da una parte non voleva tradire la cultura che l’aveva allevata, ma dall’atra non poteva negare che Inuyasha l’aveva salvata da morte certa.
Si ricordò di quello che le diceva sempre sua nonna:
I lupi si mascherano da agnelli, in questo modo nessuno li riconosce e loro possono mangiarli senza che se ne accorgano
Quella frase la tormentò per tutta la notte. Che fosse lui il lupo di cui le aveva parlato? Che tutta quella gentilezza in realtà mascherasse un uomo malvagio?
 
Miroku si diresse spedito verso la camera di Lord Taisho. Aveva lasciato Rin con la ragazza indiana, lei sarebbe sicuramente riuscita a calmarla. Il suo spirito dolce e sincero avrebbe consolato la poveretta e l’avrebbe aiutata. Sua sorella era sempre riuscita a placare gli animi irrequieti di tutti con i suoi sorrisi, era una delle sue doti più speciali.
Pregò che nessuno scoprisse che la stavano nascondendo, altrimenti avrebbero rischiato il linciaggio. Gli abitanti di Forest County non gradivano per niente i pellerossa.
Bussò forte alla porta e sentì i rumori del molle del letto che cigolavano per i movimenti dell’uomo.
- Chi è? – domandò una voce imperiosa.
Non aveva mai parlato con Lord Taisho e quell’uomo imponente un po’ lo intimoriva. Era così simile ad Inuyasha, eppure molto più solenne e controllato. Nel suo animo si mischiavano entrambi i caratteri dei due fratelli.
Quando aprì la porta rimase per qualche secondo ad osservarlo e alla fine lo riconobbe.
- Lei deve essere Miroku, l’amico di mio figlio -.
Non gli ci volle molto a leggere la paura negli occhi del giovane e subito guardò dietro le sue spalle per cercarlo.
- Credo che lei abbia già capito perché sono qui – esordì Miroku, prendendo un profondo respiro.
Lord Taisho corse dentro e si infilò la giacca, richiudendo dietro di sé la porta.
- Ora spiegatemi cosa è successo – gli domandò serio.
Miroku lo condusse nello studio che aveva al piano di sotto, in quel modo avrebbero avuto un po’ di privacy e nessuno li avrebbe sentiti.
Chiuse la porta e lo fece accomodare sulla sedia davanti alla scrivania in legno. Si sentì in imbarazzo nel mostrare tutto quel disordine, ma ora c’erano cose più importanti a cui pensare.
- Suo figlio è stato ingaggiato per un lavoro da un certo Naraku. Con noi sono venuti sette banditi dall’aspetto parecchio discutibile e quindi ho deciso di accompagnarlo. Ad un certo punto si è buttato in mezzo alla battaglia per salvare una ragazza del posto, purtroppo non sono riuscito a seguirlo. Da quello che ho capito i due sono caduti nel fiume che costeggia quella zona -.
Il padre del suo amico mantenne la sua solita compostezza, anche se nei suoi occhi era ben distinguibile la preoccupazione che lo stava attanagliando.
- Ha una mappa di questa zona nel suo studio? – domandò.
Il ragazzo si alzò dalla sedia e si mise a cercare nei cassetti. Tirò fuori tutto di corsa e nella furia del momento non si accorse che aveva tra le mani degli indumenti femminili che erano rimasti nascosti lì da chissà quanto tempo.
Lord Taisho lo guardò contrariato. – Non chiederò – mormorò tra il divertito e il preoccupato.
Miroku si fece paonazzo, ma continuò a cercare.
Quando finalmente la trovò buttò a terra tutte le carte del tavolo per fare spazio.
- Questa è la foresta dove si trova il villaggio e questo è il fiume – gli disse, indicando i punti sulla cartina.
L’uomo la studiò attentamente e alla fine indicò il lago. – A meno che non sia riuscito ad uscire prima dall’acqua la corrente lo avrà trascinato fino a questo lago -.
- Certo, ma come facciamo a sapere se… -, le parole gli morirono in gola.
Lord Taisho alzò lo sguardo dal foglio e lo fissò negli occhi. – Un padre lo sa, Inuyasha è vivo e noi lo troveremo -.
Miroku annuì convinto. Inuyasha era forte e sicuramente era sopravvissuto.
- Verrò con voi – esclamò. – Devo aiutarvi a trovare il mio amico -.
Lord Taisho scosse il capo. – Noi non possiamo fare niente, non conosciamo abbastanza bene quelle zone che pullulano di tribù indiane. Comunque conosco già degli uomini che fanno al caso nostro -.
 
 
Ciao a tutti!
Intanto voglio augurarvi un felice anno nuovo e spero che il vostro Capodanno sia stato bellissimo! Spero che l’anno nuovo vi riserverà molte e meravigliose sorprese ^.^
Insomma, ormai le storie dei nostri personaggi cominciano ad intrecciarsi e si continua a parlare sempre di più di questo fantomatico “Naraku”. Ma che ruolo avrà nelle avventure dei nostri eroi?
Tutto alla prossimo capitolo (ahah…che battuta scontata xD).
Mando un bacione enorme a tutti quanti e ribadisco i miei auguri a tutti!
Un bacione!
Silvia

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Capitolo 7
*** Una grande armonia ***


La banda dei sette era tornata al loro quartier generale. Ci era voluto qualche giorno di cavalcata, ma alla fine erano arrivati.
Si trovavano vicino a Richmond, in una baracca in mezzo ai boschi. Erano persone molto poco socievoli e soprattutto per niente ben volute. Per questo motivo avevano deciso di isolarsi di loro spontanea volontà. Avrebbero avuto abbastanza soldi per vivere nel lusso, ma quella vita piaceva a tutti loro e non avevano intenzione di cambiare.
Il capo della banda entrò nella vecchia casa di legno aprendo la porta con un calcio. La casa era fornita solo dei generi di prima necessità e a prima vista sarebbe potuta sembrare la casa di dei poveracci. I letti erano contati e tutti in un’unica stanza da letto, mentre l’ingresso era composto da una scrivania malconcia zeppa di foglia e munizioni. L’unica cosa che adornava quel luogo erano dei fucili quasi del tutto arrugginiti appesi alle pareti; le prime armi che avevano imparato ad usare.
- Maledizione, niente oro – borbottò Jakotsu, mollando le sue cose a terra.
Renkotsu si levò la bandana dalla fronte, mostrando il cranio glabro e liscio. – Amen, ci saranno altre tribù da sterminare -.
I sei banditi sembravano non essere toccati dalla recente morte di Kyokotsu, ucciso da uno dei domatori di lupi. Lo consideravano il meno forte e anche il più stupido. Non erano veramente fratelli, anche se portavano tutti lo stesso cognome. Erano tutti mercenari inglesi, che alla fine avevano deciso di rimanere a fare scorribande nel nuovo mondo e di diventare un’unica grande e malvagia famiglia.
Mukotsu, il più basso e brutto si avvicinò al suo capo, che si era sdraiato sul suo letto. – Siamo sicuri che Naraku ci pagherà lo stesso? Il piano non è andato esattamente come speravamo -.
Bankotsu scrollò le spalle. – Ci deve pagare, e poi il giovane Taisho è comunque perso. I domatori di lupi faranno il lavoro per noi nel caso sia sopravvissuto -.
Jakotsu appoggiò le sue armi sul tavolo di legno della casa. – Però è uno spreco, quel Taisho era davvero un bel bocconcino -.
- Smettila con queste sciocchezze, mi fai venire la nausea – si lamentò Suikotsu, mentre affilava i suoi fedeli coltelli.
Bankotsu si passò le mani sul viso, pensando che era comunque meglio avvertire il loro mandante.
– Vado alla stazione più vicina e manderò un telegramma al Signor Naraku. In ogni caso tenetevi pronti a partire, forse dovremmo comunque completare il lavoro -.
 
Inuyasha e Kagome erano quasi al limitare dei boschi e si erano fermati vicino a un fiume per abbeverarsi.
La ragazza sembrava nervosa e Inuyasha le si avvicinò.
- Va tutto bene? – le domandò.
Si ridestò dai suoi pensieri e alzò il viso nella direzione del cowboy. – Io…io vorrei fare un bagno – mormorò imbarazzata.
Inuyasha diventò paonazzo e si passò una mano tra i capelli arruffati. Recepì velocemente il messaggio della giovane e si allontanò, lasciandola sola.
Il suo spirito da gentiluomo gli ripeteva di andare via e non voltarsi, ma gli ormoni gli stavano dicendo tutt’altra cosa. Era già dalla notte precedente che la osservava. Per quanto fosse minuta le sue forme era ben visibili dal suo vestito di pelle di daino. Di solito le donne di Forest County giravano molto coperte e solo quelle del Saloon lasciavano mostrare qualcosa. Per lui il corpo di una donna non era certo qualcosa di sconosciuto, ma la voglia di vederla lo stava logorando.
Si mise seduto a terra dietro i cespugli, dando la schiena al fiume. Non si sarebbe mai abbassato al livello di Miroku. Era lui quello che aveva avuto un periodo particolarmente libertino.
Sbirciò con la coda dell’occhio il fiume dietro di lui e vide la schiena della giovane. Si era levata il vestito e i capelli corvini le ricadevano dolcemente sulla pelle.
Si voltò dall’altra parte, mentre il suo viso si era fatto purpureo.
Kagome era intimidita, aveva paura che l’uomo bianco la spiasse. Cercò di non pensarci e si levò lentamente il vestito che portava. Avrebbe dovuto lavare anche quello, ma la notte l’aria era fredda e avrebbe rischiato di ammalarsi. Si limitò quindi ad immergere il suo corpo nudo nell’acqua fredda del fiume.
Immerse la testa sott’acqua e si godette il silenzio e il rumore dei sassi che venivano spostati dai suoi piedi. Stare immersa le dava una sensazione di pace; si sentiva perfettamente in armonia con quell’elemento. Aveva imparato a nuotare molto preso e si era resa conto di quanto amasse la sensazione dell’acqua sulla sua pelle.
Uscì fuori e si godette una breve nuotata, per poi uscire dall’acqua e rivestirsi. Si diresse verso il ragazzo e lo trovò voltato ancora di schiena. A quanto pare era stato di parola e non aveva sbirciato.
Il giovane si alzò in piedi, pronto per riprendere il cammino e rimase per qualche istante fermo a guardarla. Le gocce d’acqua risplendevano sulla pelle scurita dal sole e sulle punte dei capelli si erano creati dei boccoli naturali. Inoltre il vestito umido aveva aderito ancora di più a quel corpo così perfetto. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per farla sua, anche in quel bosco.
Kagome si strizzò i capelli ancora gocciolanti e abbassò lo sguardo. Inuyasha la stava osservando con un’aria strana e subito si sentì intimidita da quegli occhi.
- Riprendiamo il cammino – esordì Inuyasha frettolosamente.
Prima che il ragazza rispondesse un lampo di paura balenò negli occhi del cowboy, che la prese e le tappò la bocca. Kagome sentì il cuore cominciare a batterle furiosamente nel petto per la paura, ma quando lui le indicò il problema non gridò.
Un giovane stallone era inseguito da un puma e il giovane temeva che se l’animale feroce li avesse visti avrebbe rivolto la sua attenzione a loro.
Kagome, invece, non era spaventata. Quel cavallo era la loro fonte di salvezza e si liberò dalla presa del cowboy, mettendosi a correre nella direzione degli animali.
Inuyasha la seguì. – Torna subito indietro! – gridò.
Lei era agile e veloce e si muoveva facilmente in mezzo alla boscaglia, invece per lui era molto difficile raggiungerla. I rami gli finivano in faccia e gli si incastravano tra i capelli, mentre il terreno dissestato lo rallentava.
La corsa di Kagome si arrestò pochi metri dopo e prima che Inuyasha parlasse lei gli intimò di fare silenzio.
- Proteggimi solo se è necessario – sussurrò, volando con lo sguardo verso la pistola.
Inuyasha recepì il messaggio, anche se non capiva cosa quella stupida avesse intenzione di fare.
Lo stallone e il puma erano in una radura e il cavallo era stato messo con le spalle al muro, dato che dietro di lui si trovava solo una parete di roccia che gli rendeva impossibile la fuga.
Kagome si accucciò a terra e uscì dalla boscaglia. Avrebbe voluto fermarla, ma decise di fidarsi delle sue parole.
Contro ogni logica la vide camminare in modo felino verso l’animale feroce e pararsi tra lui e la sua preda.
Maledizione, ma cosa diavolo le è saltato in mente?!
Inuyasha tirò fuori la pistola dalla fondina e puntò l’arma verso la belva.
Kagome invece avanzava sicura verso il puma, alzandosi in piedi mano a mano che si avvicinava. Fin da piccola le avevano insegnato che i puma erano animali feroci, ma non stupidi. L’uomo aveva segnato la sua supremazia e loro lo sapevano. Cercò di sembrare il più possente possibile, mentre cercava di imitare al meglio il ruggito dell’animale.
Inuyasha era incantato da quella di danza di lotta e forza. Nonostante quella ragazza fosse così minuta, in quel momento sembrava una belva feroce e pronta ad attaccare.
Kagome non interruppe mai il contatto visivo, ma non provò a ferirlo. Si limitava ad avvicinarsi e più lei gli andava vicino, più il puma indietreggiava.
Senza distaccare lo sguardo prese qualche sasso da terra e lo lanciò verso l’animale, senza però cercare di colpirlo al muso. Questo emise un lugubre rantolo e alla fine si ritirò.
Il cuore di Inuyasha stava per esplodere a causa dell’ansia e non poteva credere a quello che era appena successo.
Kagome si avvicinò allo stallone che ancora scalciava spaventato.
La ragazza cominciò a sussurrargli delle parole che Inuyasha non capiva, cercando accarezzargli il muso per calmarlo. Con la mano gli fece cenno di avvicinarsi lentamente.
Il cowboy era restio ad uscire allo scoperto, aveva paura che il puma potesse tornare da un momento all’altro per attaccarli nuovamente.
Seguì comunque l’indicazione dell’indiana, dato che sembrava parecchio esperta.
Lo stallone sembrò intimorito dal suo incedere e quinti rallentò ancora.
Quando gli fu vicino Kagome gli prese la mano e la condusse con delicatezza sul crine dell’animale. Questo si lasciò accarezzare e si fece più docile e tranquillo.
Kagome era felice di aver stupito in quel modo il ragazzo e gli fece un sorriso.
- Come ci sei riuscita? – le chiese, senza interrompere il contatto che li stava unendo.
La giovane apache tornò a guardare il cavallo e cominciò a parlare.
- Tutto il mondo è una grande armonia. Se riesci ad entrare a far parte del ciclo della natura, anche tu potrai comprendere il mondo che ti circonda. Il puma è fiero e forte, ma conosce il suo posto. Sa distinguere tra preda e predatore, tra nemici e amici. Io per lui ero solo un’animale più forte da rispettare e per questo se n’è andato. Se tu rispetti a tua volta le creature del mondo, loro non potranno mai farti alcun male – rispose serena.
Inuyasha era parecchio colpito. Quella ragazza era sempre una nuova scoperta. Non aveva avuto paura e aveva difeso il cavallo che ora sembrava provare una sorta di riconoscenza nei suoi confronti e per questo si era lasciato avvicinare. Segretamente invidiava quella sua armonia con il mondo, non sembrava mai sentirsi sola e impaurita. Era come se tutto quello che la circondava diventasse più bello.
- Se vuoi andare verso le steppe, lui ci condurrà – intervenne lei, interrompendo il contatto tra le loro dita.
Inuyasha provò l’irrefrenabile impulso di prendere di nuovo la mano della giovane, ma si trattenne. Non voleva sembrare debole di fronte a lei. Eppure la morbidezza e il calore di quel contatto gli mancava come l’aria.
Lo stallone aveva il manto nero come i capelli della ragazza e si posizionò vicino a loro, come ad invitarli a salire sulla sua groppa.
Il cowboy vi salì e invitò anche Kagome a farlo. Quando le braccia della giovane si strinsero intorno alla sua vita sentì una scarica elettrica percorrergli tutto il corpo e una meravigliosa sensazione di calore gli invase il cuore.
La ragazza invece si sentiva intimorita da quel contatto. Non sapeva se fosse il caso di stare così vicini. In quei tre giorni di cammino si erano sempre tenuti a distanza e quell’improvviso contatto fisico la lasciava spiazzata. Era felice e allo stesso tempo spaventata. Era da quando stavano insieme che provava quel misto di sensazioni che la stavano rendendo sempre più confusa.
Lo stallone partì al galoppo indirizzato da Inuyasha. Era la prima volta che cavalcava senza redini e sella e il dolore nelle parti intime era insopportabile. Proprio per questo dopo qualche ora decise di fermare il cavallo.
Erano arrivati nella steppa e il tramonto ormai stava tingendo di rosso il cielo.
Inuyasha osservò il firmamento riflettersi negli occhi della ragazza che lo stava accompagnando. Sembrava sempre così tranquilla e sorridente e soprattutto doveva ammettere che gli piaceva quella scintilla di gioia che le dipingeva il viso ogni volta che la brezza leggera le scompigliava i capelli.
Chissà cosa le stava passando per la testa in quel momento. Provò l’impulso di stringerla a sé e di scaldarla con il suo corpo, ma si trattenne nuovamente. Lei era una pellerossa e lui un giovane americano, per loro non c’era futuro nel suo mondo. Quei desideri erano destinati a rimanere insaziati per sempre e forse lei sarebbe stata la fugace scappatella di una notte.
Kagome fissava l’orizzonte, mentre il cielo si faceva sempre più scuro e le stelle cominciavano a illuminare la sera. Era uno spettacolo che l’aveva sempre emozionata. Quel variare di colori la rasserenavano e il profumo di legna sul fuoco le ricordavano le notti passate al villaggio a raccontarsi storie sugli antenati con la sua amata nonna e le giovani del villaggio.
Koga tornò alla sua mente come un fulmine a ciel sereno. Presto l’avrebbe trovata e Inuyasha sarebbe stato sicuramente ucciso. Era assurdo, ma lei non voleva che morisse. Dopotutto non le aveva fatto alcun male, anzi l’aveva difesa dall’attacco del barbaro dalla treccia scura.
Prese un profondo respiro e si stese a terra per fissare meglio i colori della notte. Lo stallone era poco lontano che pascolava tranquillo e non si era allontanato dai suoi salvatori.
- Come mai sei così tranquilla? Mi irriti – sbottò improvvisamente Inuyasha.
Non capiva neanche lui quella sua reazione, ma la tranquillità della giovane in certi momenti lo mandava in bestia. Lui era lì a scervellarsi per trovare un modo per tornare a casa, mentre lei era sempre calma e posata.
Kagome volse il suo sguardo verso di lui, particolarmente irritata dalla sua irruenza.
- Queste terre sono casa mia, e presto o tardi i miei compagni mi troveranno – rispose seccata.
- Tzk, dici quell’animale del tuo futuro sposo? – ribatte.
La ragazza si tirò a sedere e lo fulminò con lo sguardo. – Tu come fai a saperlo? -.
Lui scrollò le spalle. – Seguire le tracce di voi indiani è il mio mestiere e sapevo che la vostra era una tribù pacifica e l’arrivo dei domatori di lupi poteva significare solo un’unione. La sera dell’attacco ho notato il tuo copricapo e lo sguardo del capo clan. Quindi mi sembra una conclusione ovvia -.
- Mestiere? – domandò Kagome tra l’innervosito e il curioso.
Inuyasha mosse le braci del fuoco che aveva accesso e sospirò. Lei lo avrebbe odiato se avesse saputo quello che faceva. Aveva ucciso così tanti indiani per ordini di grandi magnati. Costruire le ferrovie era costato molto sangue, ma lui aveva bisogno di soldi soprattutto per aiutare l’attività del suo migliore amico. Forest County era una cittadina dove i turisti non venivano volentieri e l’albergo era quasi sempre vuoto, quindi per mantenerlo era necessario che anche lui si sporcasse le mani.
Passare così tanto tempo con lei lo stava facendo riflettere in un modo che non gli era gradito. Cominciava a pensare che forse il suo lavoro non era giusto come pensava, però tutti avevano bisogno di sopravvivere in quei luoghi così ostili e lui sentiva di aver fatto solo il suo dovere di patriota.
- Sono una specie di cacciatore; proteggo la mia città dagli indiani e seguire le vostre tracce è la cosa che so fare meglio – rispose lapidario. – Voi sciocchi forse non lo sapete, ma per vivere serve del denaro -.
- Denaro? – domandò lei di nuovo.
Era una parola a lei sconosciuta e non sapeva a cosa si stesse riferendo.
Inuyasha tirò fuori dalla cintola che portava una moneta e gliela mostrò.
- Questo è quello che fa girare il mondo -.
Kagome osservò il pezzo di metallo incuriosita e se lo rigirò tra le dita. Non aveva mai visto nulla del genere nella sua vita e si ripeté nella testa più volte il nome di quello strano oggetto.
- Senza denaro non si  può vivere e per questo io faccio quello che serve – sentenziò, riprendendosi la moneta.
La ragazza era confusa e si morse il labbro. Si sentiva stupida perché lei non riusciva a capire.
- Ma allora…perché io vivo? – gli domandò.
Inuyasha rimase spiazzato da quella domanda.  – Beh…perché voi siete arretrati! -.
Kagome si sentì offesa da quell’affermazione. – Noi non siamo arretrati, siete voi che siete corrotti dentro. La nostra gente non ha bisogno di uccidere per avere denaro. Voi cercate sempre questo oro e a noi non è mai servito! Voi avete bisogno di spargere sangue per vivere, tu sei un mostro come la tua gente! -.
Il ragazzo la prese per un braccio, stringendolo con forza e lei per la prima volta sentì di dover temere quell’uomo bianco. I suoi occhi ambrati sembravano fuochi ardenti e pieni di ira.
- Anche voi avete ucciso – sibilò. – E tu non hai passato quello che ho passato io, quindi stai zitta e non ti permettere mai più di chiamarmi mostro -.
Mentre parlava si era alzato, sollevando la ragazza per il braccio. Lo strinse con più forza prima di scaraventarla a terra e andarsene.
No, lei non sapeva il motivo delle sue scelte, lei non poteva capire come mai era dovuto diventare quello che era e mai lo avrebbe capito. Era così pieno di rabbia che sentiva il cuore pulsargli dentro la testa.
Kagome lo guardò allontanarsi, mentre si stringeva il polso indolenzito. Lo stallone le si avvicinò, come se avesse sentito il suo dolore. Lei lo accarezzò, mentre lacrime di paura le rigavano il volto.
Doveva andarsene, non poteva rimanere con quel demone bianco. Lui era il lupo di cui raccontava sua nonna, non poteva essere altrimenti.
Decise che quando si fosse addormentato, lei avrebbe finalmente avuto la sua occasione per scappare.
 
Dopo tre lunghi giorni di marcia i tre domatori di lupi erano arrivati al lago dove sfociava il fiume che si era portato via la giovane sposa del capoclan. Ayame era tornata dal Patriarca e abbandonato i suoi compagni. Non riusciva a fare quel viaggio e Koga non poteva biasimarla, il dolore per lei doveva essere davvero grande.
Il giovane capo era in pena per la sua amata. Il terrore di trovare il suo corpo privo di vita e trascinato a riva dalla corrente lo stava facendo impazzire.
Ginta e Hakkaku stava perlustrando la zona circostante, mentre lui solcava a grandi falcate la riva del fiume insieme ad alcuni dei suoi lupi.
Del corpo della giovane non vi era traccia e questo gli stava dando speranza. Se fosse morta il suo cadavere sarebbe stato trascinato a riva. Pregava che l’uomo bianco non le avesse fatto del male e che se mai avesse trovato un corpo, fosse il suo.
- Koga, i lupi fiutano qualcosa! – gridò Ginta.
In meno di due secondi era accanto al suo compagno. Su una delle sponde c’era una delle piume che Kagome era solita portare tra i capelli. Una fiamma di speranza si riaccese nel suo cuore, ma quando vide le tracce questa si spense nuovamente.
Le poche impronte che erano rimaste impresse sul terreno non erano solo quelle della giovane, ma anche di un’altra persona e lui sapeva bene chi. L’uomo bianco era vivo e doveva averla trascinata con lui come ostaggio.
- Koga devo dirtelo, se è con lui c’è il rischio che lui le abbia fatto del male, o peggio… - mormorò Hakkaku.
Il capo tribù strinse i pugni e digrignò i denti. – Se l’ha toccata anche solo con un dito, giuro sulla tomba degli antenati di Kagome, che pagherà con la vita -.
 
Ciao a tutti quanti!
Spero che stiate bene e mi dispiace di averci messo così tanto ad aggiornare!

Vi lascio con poche parole di ringraziamento per le vostre bellissime recensioni, mi fanno sempre davvero un gran piacere e ringrazio tutti quelli che leggono o seguono la mia storia!
Un bacione enorme a tutti quanti!
Silvia

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Capitolo 8
*** In trappola ***


- Questi sarebbero gli uomini fidati? – domandò Rin scioccata, mentre osserva i nuovi arrivati dalla soglia della porta.
Anche Miroku era parecchio sconvolto. Erano due vecchietti e a prima vista non sembravano neanche così svegli. Continuava a chiedersi come Lord Taisho potesse mettere la vita di suo figlio e del suo migliore amico in mano a due tipi del genere. Non sarebbero sopravvissuti due giorni in mezzo ai boschi.
Lord Taisho li accolse e li salutò caldamente, prima di condurli verso la soglia dell’albergo.
Miroku li portò nel suo studio, ma prima di accomodarsi fermò il padre del suo amico.
- Ne siete davvero sicuro? Mi duole dirglielo, ma mi sembrano attempati -.
Lord Taisho sorrise divertito. – Lo sono, ma nessuno conosce queste zone meglio di loro. Si fidi di me, lo troveranno -.
Per il giovane fu difficile crederlo, ma decise di fidarsi. Quell’uomo non avrebbe mai messo la vita del figlio in mano a delle persone poco fidate, anzi lo aveva ringraziato per non averlo fatto proseguire da solo con quei banditi. Avevano la fama di essere crudeli e di non uccidere solo i pellerossa. Per tutta la giornata di attesa lo aveva visto passeggiare nervoso per i corridoi, mentre Sesshomaru non aveva mai mostrato segni d’ansia.
I quattro si accomodarono sulle sedie intorno alla scrivania e Miroku gli spiegò pazientemente la faccenda e il luogo in cui il suo amico era scomparso.
Quello con il pizzetto bianco di nome Totosai si massaggiò il mento e osservò attentamente la cartina.
- Questo fiume non è particolarmente roccioso, sicuramente non è morto nelle rapide. È praticamente certo che sia vivo – sentenziò.
Un’espressione più serena si dipinse sul volto dell’uomo, che si passò una mano tra i capelli chiari.
- Quindi dove può essersi accampato? – domandò.
Quello di nome Myoga cominciò a studiare meglio il foglio che aveva davanti. Era un uomo buffo, non molto alto e dalla faccia particolarmente tonda, dove due grandi occhi sferici la occupavano praticamente tutta.
- La corrente è comunque forte e lo avrà trascinato fino al lago. Da qui, se è un ragazzo sveglio… -.
- Lo è – lo interruppe Miroku.
Myoga annuì. – Bene, allora si sarà diretto verso la steppa, in questa zona è molto facile trovare forti alleati e anche delle ferrovie. Dobbiamo contattare ogni forte o cittadina della zona e sperare che vi si sia accampato. In caso contrario manderemo degli uomini nella foresta che circonda la zona e anche nella steppa – sentenziò.
Per quanto quei due sembrassero attempati, Miroku dovette ammettere che erano dei veri esperti. In meno di due minuti avevano circoscritto un’intera zona di ricerca e trovato soluzione. Ne lui ne tantomeno Lord Taisho avrebbero potuto fare di meglio, soprattutto vista l’ansia che li aveva attanagliati in quei giorni.
Sango, nel frattempo, era stata confinata in quella mansarda e vi vagava come un’animale in gabbia. Voleva tornare a cercare Kagome, ma la giovane sorella dell’uomo bianco le aveva detto che non era una buona idea viaggiare da sola. La zona pullulava di banditi e avrebbe corso un grande rischio. Doveva rimanere lì e le era stato promesso che quando avrebbero rintracciato sua sorella le avrebbero riportate dai domatori di lupi.
Il giovane di nome Miroku le aveva detto che sicuramente il suo amico e Kagome viaggiavano insieme. Aveva dovuto dargli ragione, la sua amata sorella era disarmata e facile preda dei bianchi e se quel ragazzo aveva già provato a salvarla, non l’avrebbe lasciata sola.
Eppure quella sensazione di paura per la sorte di Kagome non la abbandonava. Per quanto il giovane e la sorella fossero gentili, erano comunque dei nemici. Miroku e il suo amico avevano attaccato il suo villaggio, anche se a quanto pare i veri malvagi erano i banditi.
Rin, la giovane che l’aveva accudita in quei giorni, le aveva raccontato che anche loro erano stati ingannati. Avevano ingaggiato i due giovani per condurli per i boschi, con il pretesto di una trattativa con la sua tribù. Alla fine, però, avevano solo sfogato la loro voglia di sangue.
Cercò di stendersi sullo scomodo letto che si trovava nella soffitta, ma la sua ansia non ne voleva sapere di sparire.
Sua sorella era sola, in balia di un uomo che non conosceva. Pregò per ore che sua nonna la proteggesse e che mandasse Koga da lei per salvarla.
Sentì bussare alla botola del pavimento e la figura del giovane Miroku fece capolino nella stanza.
- Ho delle buone notizie – esordì.
Sango lo fece accomodare vicino a lei, senza però guardarlo negli occhi. Le faceva uno strano effetto quel ragazzo, non riusciva ad averne paura. L’aveva protetta e salvata dai banditi e ora la stava nascondendo dalla sua gente a rischio della sua stessa vita.
Miroku rimase in piedi, se si fosse seduto su quel letto vicino a lei avrebbe rischiato di non rispondere delle sua azioni. La giovane era bella da mozzare il fiato.
Non aveva voluto dirgli come mai parlava la sua lingua e lui non aveva voluto forzarla. Era giusto così. Sango si trovava in terra straniera e completamente sola, non poteva anche costringerla a confidarsi con lui.
- Degli uomini fidati hanno circoscritto l’area in cui Inuyasha e tua sorella potrebbero trovarsi e contatteremo i fortini e le cittadine della zona. Nel caso si trovino lì li riporteremo indietro -.
Sango non era convinta, Kagome in mezzo agli uomini bianchi era un pensiero che non riusciva a sopportare e cominciò a torturarsi le mani per l’ansia.
Miroku si accucciò vicino a lei e la bloccò. – Ascoltami, starà bene. Ovviamente non ho potuto parlare a Lord Taisho di lei, ma Inuyasha la proteggerà. Fidati, lo conosco. Lui non è un uomo così malvagio -.
I loro occhi si incontrarono e per qualche istante rimasero a fissarsi. Nonostante tutta quella paura, Sango si sentiva in qualche modo felice quando lo aveva accanto. Quella storia non aveva alcun senso, però era così. La presenza di quel giovane la faceva stare bene.
- Davvero la proteggerà? – gli chiese.
Miroku sorrise benevolo. – Fidati, lo farà -.
 
Durante la notte, quando era sicura che il ragazzo stesse dormendo profondamente, si era alzata e aveva fatto allontanare il cavallo prima di salirci in groppa.
Non appena pensò che la distanza potesse essere quella giusta, cominciò a cavalcare per la steppa. Non sapeva dove si sarebbe diretta, ma era sicura dai racconti e dalle informazioni che aveva sentito al villaggio che alcuni clan di apache si erano trasferiti nella zona per assediare i carri di approvvigionamento degli invasori.
Doveva assolutamente trovare la sua gente e farsi tenere al sicuro fino a quando Koga non l’avesse trovata, se mai ci sarebbe riuscito. In ogni caso quello era il piano migliore che aveva; tutto pur di non rimanere con il demone bianco di nome Inuyasha.
Quella sua reazione era stata abbastanza eloquente ed era sicura che presto o tardi la sua furia si sarebbe riversata su di lei, anche se all’apparenza sembrava non essere così malvagio.
Cercava disperatamente di eliminare il pensiero di Inuyasha dalla sua mente, ma quegli occhi ambrati le erano penetrati nell’anima e non riusciva a scacciarli. Continuava a pensare a quando si erano guardati la prima volta. La battaglia infuriava, il villaggio bruciava, ma era stato come se fossero soli.
Eppure l’aveva salvata, perché aveva rischiato così tanto? Avrebbe potuto abbandonarla, oppure ucciderla prima, ma lui non lo aveva fatto.
Cercò di eliminare il pensiero. Si era già concessa troppe distrazioni e quelle carinerie servivano solo per abbindolarla e magari farsi condurre dal suo futuro sposo per attaccare la sua tribù. Non voleva essere la causa di nuove morti.
Spronò il cavallo e corsero per i canyon e le pianure, senza fermarsi fino a quando non arrivò l’alba. Il suo destriero sembrava stanco e lei decise di scendere per farlo riposare.
L’animale cominciò a brucare la poca erba che trovava in giro, mentre Kagome si era messa in cerca di una fonte d’acqua dove abbeverarsi.
Si riposarono all’ombra di una sporgenza, dove vicino scorreva un fiumiciattolo. Aveva fame, ma sapeva bene che sarebbe stato difficile trovare qualche bacca o altro in quella zona e di lepri non se ne parlava.
Il cavallo improvvisamente alzò la testa, cominciando a nitrire, come per avvisarla. Kagome si tirò in piedi e si appoggiò contro la parete di roccia. Era impossibile che Inuyasha li avesse trovati, a piedi non sarebbe mai arrivato in così poco tempo e le voci che sentiva da lontano non erano amiche.
Parlavano la lingua dei visi pallidi e cominciò a provare un cieco terrore. Era disarmata e soprattutto era donna. Aveva sentito di ragazze che si erano avventurate troppo lontano dai loro confini e delle atroci barbarie che erano state costrette a subire dagli uomini bianchi.
Il cavallo sembrava spingerla a salirgli in groppa e lei si lasciò convincere. L’unica soluzione era quella di scappare.
Quando si allontanarono dal luogo dove erano nascosti subito vennero inseguiti. Anche i barbari erano a cavallo e gli stavano addosso.
Il suo destriero si faceva strada tra le ripide rocce, forte della sua esperienza selvaggia. Kagome si teneva stretta al suo crine e cercava di non voltarsi, o il terrore avrebbe preso pieno possesso del suo cuore.
L’animale saltava e galoppava tra le sporgenze e le rocce e il suo passo si faceva sempre più svelto, tanto che ormai i rumori degli zoccoli dei cavalli nemici erano lontani.
Quando pensava di essere in salvo, l’ombra di una fune la fece ricadere nel terrore.
Venne catturata e disarcionata. La corda le stringeva la vita e le braccia, ormai era in trappola. Cadde rovinosamente a terra, mentre quei bruti cominciavano ad accerchiarla.
Sentiva le risate tronfie dei nemici e nonostante cercasse di dimenarsi per fuggire, sapeva bene di non avere scampo.
Il suo sguardo volò sul cavallo che ancora non si era allontanato, nel disperato tentativo di aiutarla.
- Corri da lui, trovalo ti prego! – gridò la giovane nella sua lingua.
L’animale sembrava contrariato, ma alla fine sembrò recepire il messaggio.
Tre uomini le furono addosso e legarono meglio le funi sul suo corpo.
Erano alti e grossi e i loro occhi lussuriosi la riempivano di paura.
- La porteremo al forte, gli uomini ne saranno contenti e faremo bei soldi – rise uno di loro.
Indossavano tutti gli stessi vestiti, forse facevano parte dello stesso clan. Cercò di trattenere le lacrime che le stavano bruciando gli occhi, non poteva farsi vedere debole da loro o ne avrebbero approfittato.
Nonna ti prego, portalo da me
 
Rin era appena scesa dalla soffitta dove si trovava Sango. Era molto in pensiero per quella situazione, anche se non lo dava a vedere. Suo fratello voleva solo salvarla, ma in quel modo stavano rischiando davvero grosso.
Era anche preoccupata per Inuyasha, ma Miroku l’aveva rassicurata dicendole che non si trovava in pericolo di vita e che presto sarebbe tornato a casa. Lei gli voleva molto bene, erano cresciuti insieme e per lei era un secondo fratello oltre che un caro amico. Per un periodo Miroku aveva sperato che i due si innamorassero, ma avendo vissuto per così tanto tempo insieme era praticamente impossibile.
Sospirò e si mosse per fare le faccende della giornata. Non poteva farsi prendere dallo sconforto, doveva essere forte, Inuyasha stava bene e presto si sarebbero riuniti tutti.
Mentre scendeva le scale era talmente presa dai pensieri che non si accorse neanche di aver scontrato l’odioso Lord Sesshomaru. Per tutto il tempo non aveva mostrato il minimo interesse per la scomparsa del fratello, anzi sembrava annoiato dal dover rimanere ancora a Forest County.
- Ehi! Guarda dove vai! – la rimbeccò questo.
Rin si riscosse e lo guardò annoiata. – Sì, ok – rispose freddamente.
Doveva ammetterlo, era il ragazzo più bello che avesse mai visto in vita sua, ma allo stesso tempo era anche il più scontroso, freddo e burbero personaggio che avesse mai incontrato.
Rimasero a guardarsi negli occhi, in una gara a chi abbassava prima lo sguardo e Rin non aveva intenzione di farsi battere.
Sesshomaru assottigliò gli occhi. – Lo sa che è maleducazione fissare una persona? -.
Rin sorrise divertita. – Ah sì? Allora perché non la smette? -.
Il ragazzo si era ritrovato con le spalle al muro. Era da quando si erano incontrati che bisticciavano tutte le volte che si incrociavano, ma allo stesso tempo quella ragazzina lo incantava. Era la prima volta che aveva a che fare con una donna così indipendente e solare. In Inghilterra le donne erano sempre noiose e posate, tutto il contrario di Rin.
Lei era una vera forza della natura. Ogni giorno rassettava la stanze, preparava da mangiare, andava a pulire i cavalli e le stalle e aveva sempre un grandissimo sorriso stampato in volto. Non riusciva a capacitarsi di come mai quella giovane fosse sempre così allegra. Viveva in un posto orribile circondata da buzzurri, eppure sembrava trovarsi sempre a suo agio in ogni situazione.
Aveva notato che solo con lui perdeva quella scintilla e al suo posto spuntava una sorta di nervosismo. Che lui la mettesse in qualche modo a disagio?
In effetti Rin doveva ammettere che con lui si trovava in difficoltà. Si sarebbe dovuta comportare bene dato che era un cliente, ma qualcosa la spingeva ad allontanarlo e infondo lei sapeva bene cos’era. Non voleva essere una delle solite giovani che finivano sposate e con figli e dovevano abbandonare la carriera, lei voleva essere indipendente e non essere costretta ad obbedire agli uomini. Eppure quando lo guardava provava l’irrefrenabile desiderio di stare più tempo possibile vicino a lui e questo la faceva imbestialire.
- Ho molto da fare, quindi la saluto – disse Rin, mentre si dirigeva verso le stalle.
Sesshomaru la fermò. – Avete bisogno di aiuto? -.
Lo guardò con aria sarcastica. – Non credo che siate avvezzo al rassetto delle stanze e men che meno alla pulizia delle stalle -.
Il giovane si sentì punto nel vivo. Ma cosa pensava? Che fosse uno dei tanti inglesi imbranati? Lui era molto di più di quello che mostrava.
- Se avrà abbastanza pazienza per attendermi, le dimostrerò che non è così – rispose, mentre si avvicinava a lei.
Rin sentì il suo cuore batterle sempre più forte, averlo così vicino la intimoriva e le piaceva al tempo stesso.
Mandò giù il groppo che le si era formato in gola e annuì. – Ci vediamo tra 10 minuti alle scuderie -.
Attese con impazienza l’arrivo dell’uomo e quando lo vide rimase a bocca aperta. Era vestito come i ragazzi di quel luogo, con dei pantaloni abbastanza aderenti e una camicia scura. Teneva i capelli legati in una lunga coda e per Rin fu un colpo al cuore vederlo.
Cercò di riacquistare il controllo di se stessa e di riprendere il suo solito piglio ironico.
- Ne siete davvero sicuro? Non è un compito facile per gli uomini di città – gli disse divertita.
Sesshomaru non ci fece caso e si armò di secchio e spugna per strigliare i cavalli. Rin rimase imbambolata a guardarlo. Quell’aspetto da ricco Lord inglese celava un vero uomo.
Cominciò anche lei a pulire gli animali, ma ogni volta guardava nella direzione del giovane. Il sudore gli imperlava la fronte e faceva aderire ancora di più la sua camicia al petto. Era una visione.
Anche Sesshomaru guardava spesso nella direzione della giovane, scrutando ogni particolare di quel viso. I capelli corvini erano sempre disordinati e un ciuffo ribelle le sbucava in cima alla testa, mentre gli occhi erano concentrati nel lavoro. Il corpo era minuto e non molto formoso, ma quel suo aspetto lo attirava più di qualsiasi altra forma prosperosa avesse mai visto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere cosa si nascondeva sotto la gonna lunga e ampia. La camicia chiara che portava era abbottonata quasi fino in cima e lasciava intravedere solo l’inizio del suo seno.
Il ragazzo si sentiva terribilmente accaldato e forse non solo per il sole.
Finirono dopo due ore buone e Rin era intenta a dare da mangiare agli animali.
- Che ne dice di cavalcare? – le chiese Sesshomaru.
Rin si irrigidì all’improvviso. Cavalcare? Da soli? L’unico uomo che aveva frequentato senza suo fratello era Inuyasha e solo perché era un membro della famiglia.
Sesshomaru attese con impazienza una risposta, mentre la giovane tormentava con le dita la stoffa grezza della gonna.
- Va bene – mormorò. – Ma per poco, ho degli impegni importanti -.
Il ragazzo sorrise soddisfatto e prese uno dei cavalli salendoci abilmente in groppa.
Rin si posizionò a sua volta su uno degli animali dopo averlo sellato e Sesshomaru rimase sbalordito nel vedere che non cavalcava all’amazzone come le donne londinesi. Quella ragazzina era davvero piena di sorprese.
Prima che lui potesse riprendersi dallo stupore lei era già  partita al galoppo verso la steppa circostante.
- Muovetevi, o non ne siete capace? – lo schernì la ragazza.
Sesshomaru non se lo fece ripetere due volte e insieme si diressero verso il fiume.       
Miroku nel frattempo aveva assistito a tutta la scena e guardava sua sorella tra il soddisfatto e il preoccupato. Era la prima volta che trascorreva del tempo con un uomo che non fosse lui o Inuyasha e doveva ammettere che si sentiva geloso. La sua sorellina stava crescendo.
Subito gli tornò alla mente Sango. In quel momento era sola in soffitta e probabilmente non aveva ancora mangiato.
Prese un po’ di frutta, pane e acqua e si diresse furtivamente nella mansarda. La ragazza era seduta davanti alla piccola finestra circolare e osservava l’esterno. Era come un uccello in gabbia; era sempre stata libera come il vento e ora era costretta a vivere lì.
Aveva pensato di riportarla dai domatori di lupi, ma egoisticamente in parte voleva che rimanesse lì il più possibile. Era riuscita a convincerla con la scusa che sua sorella sarebbe stata riportata a Forest County e a quel punto sarebbero potuti ripartire insieme.
Lui non voleva che Sango partisse. La sua presenza gli regalava la serenità di cui aveva bisogno in quel periodo di tensione.
- Ti ho portato da mangiare – le disse, mentre richiudeva la botola.
Sango si voltò verso di lui e gli sorrise. Sia lui che la sorella si erano presi molta cura di lei e lo aveva apprezzato davvero molto. Desiderava ardentemente uscire, ma allo stesso tempo sapeva che non era possibile. Miroku le aveva spiegato diverse volte che gli abitanti della zona avrebbero potuto farle del male e che per lei era più sicuro rimanere lì.
Si era sentita stupida per non aver capito subito che le sue intenzioni non erano malvage. Era un uomo buono.
Rimasero in silenzio a mangiare, mentre si scambiavano occhiate furtive, mentre la luce fioca li illuminava. Provarono entrambi le stesse sensazioni di calore e gioia nello stare insieme e quando le loro mani si incontrarono per prendere lo stesso frutto, nessuno dei due si ritirò da quel contatto.
Miroku si riscosse, doveva assolutamente sistemare la stanza per Totosai e Myoga. Si alzò in piedi e si pulì i vestiti impolverati.
- Tornerò presto – le disse sorridendogli.
Sango sorrise a sua volta e rimase ad attendere con trepidazione il suo ritorno.
 
Gli uomini la avevano trascinata per una lunga distanza. Non l’avevano fatta salire a cavallo, si erano limitati a legarla per i polsi e trascinarla rozzamente. Kagome era caduta parecchie volte, ma questi non si erano preoccupati di fermarsi per farla rialzare e qualche volta era stata trascinata nella polvere.
I piedi le facevano male, come i polsi che erano ormai completamente segnati e lividi per le corde. Il suo cuore batteva furiosamente nel petto e la paura la stava attanagliando. Cercava di mantenere un contegno, ma le risultava difficile. Era così spaventata e continuava a interrogarsi su cosa le sarebbe potuto succederle.
Gli uomini parlavano sottovoce e velocemente e non riusciva a capire cosa dicessero. La polvere le finiva negli occhi e glieli faceva bruciare terribilmente, mentre il sole stava ormai calando.
Arrivarono fino a una strana costruzione quadrata in legno, dove sbucavano delle costruzioni verticali. Aveva sentito parlare di quei luoghi; erano posti dove si radunavano i guerrieri bianchi.
Cominciò a tremare senza riuscire a smettere. Si rese conto del terribile pericolo che stava correndo e cercò di dimenarsi disperatamente per liberarsi, ma l’uomo che la teneva legata per tutta risposta la strattonò di nuovo, facendola cadere a faccia in giù nella sabbia. Quella sua caduta scatenò l’ilarità dei suoi rapitori, oltre che quella degli uomini che sorvegliavano quello strano posto.
Sentì la rabbia invaderla per essere stata presa in giro e quando venne tirata in piedi sputò in faccia ad uno dei suoi rapitori.
Questo si pulì, per poi colpirla sul viso con violenza.
- Brutta puttanella – sibilò adirato.
La pelle le bruciava terribilmente, ma cercò di non darlo a vedere.
Venne trascinata dentro e si ritrovò circondata da tantissimi uomini, più di quanti riuscisse a contare.
Gli uomini che l’avevano catturata la lasciarono legata ad un palo al centro della struttura, come se fosse solo un’animale. Continuava a guardarsi intorno e vedeva solo uomini che la osservavano con occhi pieni di lussuria e la spogliavano mentalmente. Si accucciò a terra e si rannicchiò, presa ormai completamente dal panico.
Pregava disperatamente che Inuyasha la trovasse. In quel momento lui non gli sembrava più così terribile, anzi forse era l’uomo bianco migliore che avesse incontrato in vita sua. Invocava la protezione degli spiriti, mentre i soldati la schernivano per la sua strana lingua.
Vide gli uomini che l’aveva condotta lì parlare con quello che sembrava il capoclan e questo gli diede delle monete, quelle che Inuyasha le aveva mostrato qualche giorno prima.
Allora era vero che per i bianchi quelle cose erano davvero importanti. Lo erano a tal punto da venderla come se fosse un semplice oggetto. Quella era la vera natura di alcuni di loro e questo la disgustava.
Eppure continuava a pensare ad Inuyasha, che era stato l’unico a trattarla come se fosse un essere umano e continuò a pensare a quei meravigliosi occhi ambrati per farsi coraggio. Presto o tardi sarebbe arrivato da lei e l’avrebbe salvata come già aveva fatto in passato.
E se non l’avesse fatto? E se fosse stato così ferito dal suo gesto da lasciarla in quel luogo per sempre?
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da uno dei guerrieri, che la slegò e la trascinò in mezzo a un gruppo di altri soldati.
Era stata così presa dalle sue preghiere che non si era accorta che ormai il sole era sparito dietro le montagne e aveva lasciato spazio ad una falce di luna.
Non capiva cosa stessero dicendo, la paura era così da tanta da renderla praticamente sorda. Vedeva solo quegli sguardi malvagi e pieni di odio che la schernivano. Gli uomini cominciarono a tastarla in ogni punto del suo corpo e lei cercò di proteggersi coprendosi il corpo, ma loro erano troppi. Le loro mani andavano ovunque sul su corpo e un conato di vomito le risalì su per la gola.
Si alzò in piedi e cercò di scappare, inseguita da quelle riso che la terrorizzavano.
Inuyasha, Inuyasha!
 
 
Eccomi qua!
Lo so, lo so, vi lascio di nuovo i preda alla suspance. Ormai però dovreste conoscermi, mi piacciono queste pause :P
In questo capitolo ho cercato anche di creare un momento per descrivere le emozioni tra le nostre varie “coppie” e spero che sia apprezzato ^.^
PROMETTO che dal prossimo capitolo riuscirò finalmente a parlare di Naraku, anche se per il momento apparirà come una figura quasi marginale.
Ci tengo come sempre a ringraziare tutte le persone che mi seguono e mi sostengono, siete davvero fantastici *.*
Un bacione enorme a tutti quanti!
Silvia :*

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Capitolo 9
*** I fantasmi del passato ***


Inuyasha era furibondo. Quella maledetta lo aveva abbandonato e si era anche portata via il cavallo.
Camminava calciando ogni sasso sul suo cammino, mentre la rabbia gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Aveva fatto male a fidarsi di quella maledetta, avrebbe dovuta abbandonarla al suo destino oppure affogarla.
Ritirò subito quel pensiero, non avrebbe mai potuto fargli del male. Odiava gli indiani e tutto ciò che li riguardava, ma non le donne e soprattutto non lei. Non avrebbe mai potuto abbandonarla o ferirla, il suo orgoglio glielo impediva. Per quanto fosse una componente degli Apache, lui aveva il dovere come uomo di condurla in salvo.
In quel momento però gli risultava difficile fare buoni pensieri su quella ragazza. Sembrava così gentile, invece non aveva esitato e alla prima occasione utile lo aveva abbandonato al suo destino.
Cercò di dimenticarla, ma quegli occhi scuri continuavano ad apparirgli davanti. Odiava quella sensazione. Cercò di reprimere il più possibile le strane percezioni che aveva provato durante quei tre giorni di viaggio, non poteva rammollirsi in quel modo.
Si sistemò meglio il cappello sulla testa per proteggersi dal sole e proseguì.
Faceva caldo e la lieve brezza del vento era l’unica cosa che lo faceva stare meglio sotto la calura del mezzogiorno.
Dei rumori sospetti lo ridestarono dai suoi pensieri. Erano zoccoli che correvano nella sua direzione. Prese la sua pistola dalla fondina e la caricò prima di voltarsi. Doveva essere pronto a tutto e in quella zona poteva esserci dei banditi pericolosi o anche degli indiani.
Si voltò puntando la pistola nella direzione del rumore e rimase scioccato quando vide tornare indietro lo stallone del giorno prima.
Cercò di guardare sulla sua groppa, ma della piccola indiana neanche l’ombra.
Il cavallo si fermò davanti a lui, continuando a nitrire e sbuffare.
- Dov’è la ragazza? -.
Figurati, come se mi potesse rispondere pensò sarcasticamente.
Nonostante le sue supposizioni l’animale cercò di indicargli con il capo la sua groppa, come se lo volesse condurre da qualche parte.
Dopotutto non aveva molta scelta e avere una cavalcatura era sempre meglio di niente. Salì svelto e l’animale partì al galoppo così in fretta che si dovette abbracciare al suo collo per non cadere.
- Maledizione, rallenta! – gridò.
Lo stallone non lo ascoltò e continuò a galoppare veloce in una direzione precisa. Lo portò fino ad una distesa di canyon e lo fece scendere in un punto preciso.
Inuyasha guardò a terra e vide numerose impronte di zoccoli e di stivali. Qualcuno aveva catturato Kagome.
Si stupì della tremenda paura che lo attanagliò in quel momento. Era decisamente preoccupato per la sorte della ragazza e questo gli piaceva sempre meno. Avrebbe potuto prendere il cavallo e proseguire in un’altra direzione, ma sia il suo cuore che il cavallo era di un’altra opinione.
Si tolse il cappello e cominciò ad osservare le tracce. La ragazza era stata trascinata, lo dimostravano i segni sulla polvere. Se non l’avevano fatta salire in groppa ad un cavallo significava che il posto dove l’avevano condotta non era molto lontano.
Un nuovo moto di terrore si mosse nel suo cuore quando capì dove potevano averla condotta.
Quella era una zona in cui dovevano trovarsi parecchi fortini di soldati americani.
Capì che Kagome avrebbe passato molti guai in quel luogo. Gli uomini non vedevano molte donne e un conato di vomito lo prese allo stomaco al solo pensiero di quello che avrebbero potuto farle.
Salì di corsa in groppa al destriero e lo spronò nella direzione delle impronte.
Per quanto odiasse l’idea, si rese conto che provava un forte senso di protezione nei confronti di quella giovane. Non voleva che le facessero del male, non lo avrebbe permesso per niente al mondo.
Non era il momento di pensare al suo stupido orgoglio o ad altro, voleva soltanto salvarla e portarla via dalle grinfie di quei bastardi.
Quando arrivò al forte era quasi sera e il cavallo era stremato, ma nemmeno lui aveva accennato a volersi fermare.
I soldati a guardia dell’entrata lo fermarono.
- Alt, cosa ci fate qui? – gli domandò uno dei due.
Inuyasha scese da cavallo. – Con alcuni compagni ho assaltato un villaggio di Apache e mi sono perso nella foresta, ho bisogno di cibo e acqua – esordì.
Ovviamente non poteva dire che era arrivato lì per cercare l’indiana, lo avrebbero schernito e mandato al diavolo.
- Come vi chiamate? – chiese l’altro.
Inuyasha sbuffò, non amava dire il suo nome, dato che suo padre era famoso per le sue doti diplomatiche e anche perché era un uomo molto potente anche negli Stati Uniti.
- Inuyasha Taisho – sentenziò.
I due, come era prevedibile, sgranarono gli occhi e senza indugio lo fecero entrare.
- Aspetti qui, chiamiamo subito il comandante -.
Inuyasha lasciò il cavallo in una scuderia vicina cosicché si potesse riposare e attese. Continuava a guardarsi in giro in preda all’ansia. Della giovane non c’era traccia, ma le orme che aveva seguito conducevano in quel luogo e quindi non poteva trovarsi da nessun’altra parte.
Il forte era molto piccolo e quindi non vi erano celle.
Rabbrividì al pensiero che potesse trovarsi nella stanza di qualche soldato.
Risate e un grido attirarono la sua attenzione. Era buio, ma vide distintamente una ragazza correre spaventata e non gli ci volle molto a capire chi era.
Kagome stava scappando e probabilmente invocava aiuto nella sua lingua.
Non ci vide più; si diresse a passo spedito verso la sua direzione e si parò tra lei e il gruppo di soldati.
- Ragazzino levati, questo è il nostro svago – lo schernì uno dei tanti.
La sua aria da sbruffone gli mandò il sangue al cervello e lo colpì al viso con un pugno. Il sangue cominciò a scendere copioso dal naso dell’uomo, che mugugnò insulti e parole sconnesse.
Un altro provò ad avvicinarsi per difendere il compagno, ma Inuyasha estrasse la pistola e gliela puntò contro.
- Sono Inuyasha Taisho e voi farete meglio a starmi alla larga – sibilò. – Ho viaggiato per giorni, e credo di meritare una ricompensa -.
Senza dire nulla prese rudemente Kagome, ancora spaventata e scossa, e la trascinò nella stanza che uno dei soldati gli aveva indicato.
La scaraventò dentro e la fissò serio. – Rimani qui! -.
Chiuse la porta e si diresse dal colonnello del reggimento, che lo stava attendendo poco distante. Non sembrava scosso dalla scena e soprattutto non si sarebbe mai messo contro un Taisho, sapeva perfettamente quanto potente fosse il padre. Parlarono a lungo del suo viaggio e del motivo che lo aveva portato fino a quel forte. Ovviamente il colonnello non lesinò i complimenti e gli elogi, anche se Inuyasha sapeva perfettamente che quella sviolinata serviva per mettersi in buona luce davanti alla sua famiglia. Venne condotto fino al telegrafo, in modo che potesse contattare la gente di Forest County e avvertire Miroku che stava bene.
Mentre Inuyasha raccontava quello che gli era accaduto, ommettendo ovviamente il fatto che lui e l’indiana già si conoscevano, Kagome era nella stanza buia.
Era parecchio scossa e l’ansia la faceva tremare. Ovviamente era felice che Inuyasha l’avesse salvata, ma essere chiusa in quella stanza con il pericolo che quei soldati tornassero la spaventava a morte. Istintivamente si nascose sotto il malconcio letto e si strinse le ginocchia al petto.
Voleva disperatamente tornare a casa. Voleva rivedere sua sorella e poterla finalmente riabbracciare. Era di nuovo sotto il giogo del cowboy che la sera precedente l’aveva minacciata e soprattutto in una zona piena di stranieri.
Calde lacrime le solcarono il viso e lei le lasciò scorrere senza fermarle. Provava così tanta paura e dolore che sentiva una tremenda morsa al petto. Il pianto la scuoteva violentemente e i tagli sulle ginocchia e le percosse sul viso le facevano male, ma niente era paragonabile a quello che stava provando.
Pregò che Inuyasha non tornasse, che la lasciasse sola, ma quando sentì la porta aprirsi e la luce della sera penetrare nella stanza il suo pianto si fermò. Respirava piano per non farsi sentire, ma i tremiti continuavano a scuoterla e per il cowboy fu facile individuarla.
Chiuse la porta dietro di sé e si premurò che nessuno potesse entrare. Prese un lungo sospiro e si accucciò davanti al letto.
La ragazza era lì. Gli occhi erano grandi e rossi per la paura e il pianto, mentre il suo corpo continuava a vibrare. Sembrava un gatto spaventato.
Gli si strinse il cuore a vederla in quello stato e ci vollero parecchi minuti per convincerla ad uscire. Lei sembrava in un tale stato di shock che non riusciva a muoversi e alla fine fu costretto a trascinarla fuori.
La prese in braccio e la face sedere sul letto. Notò immediatamente i lividi sulle braccia e le escoriazioni causati dalle corde e probabilmente anche dalle mani dei soldati.
Si avvicinò al piccolo comodino sul quale era appoggiata una brocca d’acqua e un panno per lavarsi. Versò l’acqua in una ciotola e vi bagnò dentro la pezza.
Si avvicinò con una calma surreale a Kagome, non voleva spaventarla più di quanto non fosse.
Quando questo provò a poggiarle la pezza sulle braccia, lei si allontanò di scatto, sposandosi più lontano e ricominciando a piangere.
Non riusciva a smettere, ormai le emozioni avevano preso il sopravvento sulla ragione e anche quell’atto gentile le era sembrato troppo violento e avventato.
Avrebbe voluto trovarsi tra le calde braccia di sua nonna. Lei la consolava sempre e la stringeva forte, baciandole la fronte. Quando si faceva male le spalmava gli unguenti medicinali e le cantava canzoni.
Il suo unico desiderio era tornare a casa, non voleva altro. Si odiò per aver salvato il cowboy, se non lo avesse fatto in quel momento sarebbe stata sotto le cure di Sango e magari avrebbero celebrato un degno funerale alla sua amata nonna.
Si asciugò gli occhi e si voltò verso Inuyasha.
Era fermo con la pezza a mezz’aria e nei suoi occhi c’era solo tanta pena. Odiava essere guardata in quel modo e cercò di frenare il pianto.
- Faccio io – sussurrò, con la voce roca per il pianto.
Il ragazzo le passò la pezza e lei si pulì le ferite alle ginocchia e alle braccia. Quando la pezza fu ormai piena di sangue e di sporco provò ad alzarsi per bagnarla, ma un capogiro la bloccò e la fece cadere di nuovo a terra.
Inuyasha le fu subito accanto e cercò di aiutarla, ma lei cercava di scacciarlo.
- Non voglio farti del male – le sussurrò.
Istintivamente le carezzò la guancia sulla quale era ormai spuntato un vistoso livido violaceo. La rabbia lo prese alla gola e Kagome lo notò immediatamente e si ritrasse ancora di più in se stessa.
Inuyasha la riportò sul letto e la coprì, sedendosi accanto a lei.
- Quale dei soldati ti ha fatto questo? – le domandò con la voce carica d’odio.
Non poteva sopportare di vederla in quello stato, nonostante lei lo avesse abbandonato. Lei non si meritava quello che le era capitato, in ogni caso aveva già cercato di salvarlo in passato e si meritava di essere difesa. Non l’avrebbe fatta passare liscia al bastardo che l’aveva picchiata.
Kagome istintivamente gli prese la mano e con gli occhi lucidi lo fissò.
- Basta odio – mormorò. – Basta violenza, io non voglio più essere sola -.
Inuyasha rimase colpito dal suo buon cuore. Qualsiasi persona avrebbe legittimamente voluto vendetta, mentre lei no.
Un sorriso comparve sul viso del giovane e a Kagome questo piacque più di quanto si aspettasse. Non riusciva più a nascondere il fatto che il suo cuore le diceva che tra di loro c’era uno strano legame che neanche lei riusciva a capire. Come le avevano insegnato, però, l’animo capisce molto prima della testa e quindi non poteva sfuggire ai suoi sentimenti. Quando si era sentita in pericolo non aveva invocato il nome di Sango o di Koga, lei aveva pensato ad Inuyasha.
Era insensato, ma non riusciva a non farlo.
Il giovane continuò a sorridere e le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Era così bella. Se ne era reso conto dal primo momento in cui il suo sguardo si era posato su di lei, ma il suo orgoglio gli aveva impedito di ammetterlo con se stesso. Provava affetto per quella ragazza, era inutile continuare a negarlo a se stesso.
Doveva però mettere in conto che per loro due non ci potevano essere possibilità. Nessuno dei due sarebbe mai stato accettato nel mondo dell’altro.
Chiuse gli occhi e cercò di reprimere i ricordi. Aveva sperimentato sulla propria pelle quella sensazione e aveva visto quali sofferenze aveva portato.
Scacciò i pensieri che gli stavano attanagliando la mente, doveva andare a mangiare e cercare di portarle qualcosa di nascosto. Davanti a quegli uomini non doveva mostrarsi compassionevole.
Quelli erano soldati molto abituati al sangue, soprattutto quello degli indiani.
Si allontanò con dispiacere dalla giovane e tornò a fissarla serio.
- Io vado a mangiare, ti porterò qualcosa va bene? -.
La giovane annuì, anche se si vedeva che non voleva che la lasciasse sola.
Le sistemò meglio la coperta sul corpo. – Tornerò presto -.
Uscì dalla stanza e mangiò di fretta senza parlare con nessuno ed evitando gli sguardi rancorosi degli uomini a cui aveva portato via Kagome. Gli rivolse solo un sorriso di scherno e se ne andò.
Nascose delle tasche più pezzi di pane possibile e tornò nella stanza.
La sera era già calata e il caldo del mattino aveva lasciato spazio all’aria fresca della sera. Le guardie sulle torrette controllavano svogliatamente l’esterno, mentre alcuni uomini pulivano i cavalli e le scuderie.
Entrò nella stanza e trovò Kagome ormai addormentata. Sembrava di nuovo serene e respirava piano e silenziosamente. Quando dormiva sembrava un angelo.
Si mise seduto a terra a gambe incrociate e la osservò curioso. I lunghi capelli ricadevano davanti al viso incorniciandolo. La pelle era scurita dal sole, ma sembrava comunque morbida e perfetta.
La ragazza cominciò a muoversi nervosamente nel sonno e lui le carezzò la fronte.
Kagome aprì lentamente gli occhi e trovò davanti a lei gli occhi ambrati del giovane. Questa volta non si ritirò da quel contatto e si godette appieno la sensazione di calore che la sua mano trasmetteva.
Anche se malvolentieri il ragazzo interruppe il contatto e tirò fuori dalla tasca il pane che le aveva portato.
- Non è molto, ma il cibo qua scarseggia sempre – le disse.
La ragazza si mise a sedere e cominciò a mangiare voracemente quello che le era stato portato. Il pane era duro, ma aveva così tanta fame che non ci fece caso.
Inuyasha si alzò in piedi e si levò il cappello e il gilet. Aveva bisogno di buttarsi addosso dell’acqua. Dopo la cavalcato di quel giorno il suo viso era pieno di polvere.
Si levò la camicia che aveva indosso e la buttò sulla sedia e poi prese la pezza che aveva già sciacquato e se la passò sulle braccia e sulle spalle.
Kagome era incantata. Sotto la strana veste che portava c’era un fisico statuario, ma non esagerato. Le spalle erano larghe e i suoi pettorali erano ben visibili.
Arrossì, rendendosi conto degli strani pensieri che le erano appena balenati nella mente. Nemmeno Koga era così bello, o almeno lei pensava questo.
Inuyasha si rese conto dell’imbarazzo della giovane e cercò di fare alla svelta per poi rivestirsi.
Si mise a sedere sulla sedia e cominciò a parlare.
- Tu dormi nel letto, io starò attento che nessuno si avvicini alla stanza, va bene? – le chiese.
La ragazza si pulì le labbra dalle briciole di pane, mentre lo guardava perplessa.
- Ma tu, dove dormi? -.
Lui scrollò le spalle. – Sono abituato a dormire in luoghi scomodi e questa sedia non è di certo uno dei peggiori -.
Kagome era dispiaciuta, non voleva che lui le cedesse anche il posto dove dormire. Era venuto già a cercarla nonostante lei fosse scappata e l’aveva difesa dai barbari, non poteva chiedergli così tanto.
- No, posso dormire per terra – rispose lei.
Inuyasha alzò gli occhi al cielo. – Non rompere e dormi! -.
Kagome sobbalzò e abbassò lo sguardo. Quel ragazzo era un completo mistero; prima sembrava dolce e premuroso e un secondo dopo tornava ad essere burbero e scontroso.
- Cosa ti ha ferito? – gli domandò senza pensare.
Si pentì subito di avergli fatto quella domanda, poiché gli occhi del giovane si accesero di nuovo di quella strana scintilla che gli aveva visto la sera prima.
- Non ti riguarda – sputò fuori con cattiveria.
La ragazza si portò le mani in grembo e cominciò a mordersi le labbra. Lo faceva sempre quando era nervosa. Forse gli aveva fatto una domanda troppo avventata e lui si era sentito ferito. Dopotutto loro si conoscevano da poco e nonostante lo strano legame che sembrava unirli, non erano molto intimi.
Decise che se voleva che lui si aprisse, doveva essere lei a fare il primo passo.
Prese un profondo respiro e cominciò a parlare.
- Io sono nata in queste terre. Nonna è sempre stata la sciamana del villaggio e sua figlia sposò mio padre. Io non li ricordo, ma mi hanno raccontato che lui era un forte guerriero. Lo descrivevano come buono e gentile, ma allo stesso tempo letale come i puma. Mia madre, invece, era saggia come mia nonna. Sapeva calmare l’animo irrequieto di mio padre e si amavano molto. Da quello che so un giorno lei era andata nel bosco a raccogliere della legna per il fuoco. Non vedendola tornare mio padre era andato a cercarla e quella fu l’ultima volta che li vidi. Un uomo fatto del male a mia madre e l’avevano ferita gravemente. Lui si è lanciato in battaglia e lo aveva ucciso, ma rimase gravemente ferito. Sono morti abbracciati -.
Quel racconto per lei era doloroso e trasmise quell’emozione anche ad Inuyasha. Non capiva come mai lei gli stesse raccontando tutto questo, ma cercò di comprenderla e di non allontanarla come era solito fare. Ora poteva capire il grande risentimento che l’aveva portata ad odiare tutti loro.
Una domanda gli balenò nella mente.
- Ma allora, perché parli la mia lingua? -.
Kagome si riscosse dai pensieri dolorosi e cominciò a raccontargli anche quella storia. – Io ho una sorella, Sango. I suoi genitori sono scomparsi quando lei era molto piccola e noi l’abbiamo trovata. Sono stata io ad insegnarle la nostra lingua e allo stesso tempo ho imparato la sua -.
Il ragazzo era sempre più confuso. – Ma se gli americani vi hanno fatto così tanto male, perché l’avete accolta? -.
A Kagome quella domanda parve davvero sciocca e non riuscì a trattenere una piccola risata.
- Vorrai dire, come potevamo non farlo -.
- Volevo dire quello che ho detto! – ribatte innervosito per essere stato deriso.
La giovane si sistemò i capelli dietro le orecchie e lo guardò perplessa a sua volta.
- Noi non potevamo non farlo. Lei era sola e non ci avrebbe fatto del male. Noi accogliamo tutti quelli che sono soli -.
Inuyasha cominciò a stringere il cappello. Gli indiani non erano così crudeli come aveva sempre pensato. Nonostante il dolore patito la sciamana e lei avevano accolto una giovane americana come se avesse fatto sempre parte della loro famiglia. Questo per la sua gente era quasi impensabile, nessuno avrebbe mai accettato un pellerossa.
Si mise seduto più comodamente e appoggiò il cappello sul comodino della stanza. Kagome era incantata a guardarlo. Adorava vederlo confuso, sembrava più dolce e gentile in quei momenti.
Aveva ormai capito che lui cercava di nascondere un dolore profondo sotto quel guscio duro come la pietra, ma se fosse riuscita a farlo confidare lui sarebbe potuto essere come Sango.
Lo aveva salvato, lo aveva temuto, ma ancora non aveva cercato  di fare quello che aveva fatto con la sorella; comprenderlo. 
- E il tuo passato? – provò a domandargli di nuovo.
Inuyasha parve di nuovo scocciato. – Io non voglio ricordare il mio passato -.
Anche lei cominciò ad indispettirsi. Era davvero cocciuto e nonostante lei si fosse aperta lui continuava a tenerla a distanza. Eppure lui non poteva essere malvagio come aveva pensato all’inizio, altrimenti non l’avrebbe salvata. Però non poteva sopportare quel suo caratteraccio.
Decise di calmarsi e di riprovare a parlare con più calma. Ne avevano passate molte in quei giorni e doveva capire che il suo nervosismo era giustificato. Lei aveva già sofferto molto e questo l’aveva portata a metabolizzare molto meglio le situazioni, forse per lui non era così.
- Sai, un uomo senza passato non può continuare il suo cammino – cominciò e gli indicò la sabbia che c’era sul pavimento. – Questa non è nata come sabbia, è nata come roccia. Ma è comunque il suo essere roccia che la ha portata a diventare quello che è ora. Nessuno può esistere senza il suo passato e per questo accettarlo. Mia nonna mi ha insegnato questo -.
Inuyasha ascoltava rapito le parole della giovane. Non aveva mai conosciuto una persona così saggia e allo stesso tempo così irritante. Però doveva ammettere che ammirava la sua cocciutaggine.
Decise che glielo avrebbe detto, intanto prima o poi le loro strade si sarebbero divise e la sua storia sarebbe diventata un lontano ricordo nella mente della giovane.
Prese il tabacco e la cartina che uno dei soldati gli aveva offerto durante la cena e la girò. Prese uno dei fiammiferi e la accese.
- Anche io sono nato qui – cominciò. – Mio padre è un Lord -.
- Lord? – gli domandò Kagome, che ascoltava attentamente.
Inuyasha alzò gli occhi al cielo. – Diciamo che è uno dei tanti capitribù che governano una parte di una terra. Sopra di lui c’è solo il vero capo di tutte le terre che noi chiamiamo re -.
La ragazza annuì convinta e riprese ad ascoltare.
- Incontrò mia madre in uno dei suoi tanti viaggi diplomatici. Lei era una donna di frontiera, poco avvezza alle carinerie inglesi. Nonostante questo era sempre stata definita come molto raffinata e dolce. I miei genitori si innamorarono e dalla loro unione nacque Sesshomaru, mio fratello, ed io. Lui ha sempre cercato l’ammirazione di mio padre e per questo lo ha seguito ovunque nei suoi viaggi tra qui e l’Inghilterra e alla fine si è trasferito lì in pianta stabile. Mia madre invece… - si bloccò per qualche istante, ma alla fine riprese a parlare. – lei non si è mai trovata bene nella società inglese. Quando si ammalò io ero solo un bambino e mio padre ovviamente non c’era e io lo scongiurai nelle lettere che gli mandai di portare qualche medicina per salvarla. Quando tornò lei era morta e io lo incolpai di quello che le era successo. Decisi che io non avrei mai seguito le sue orme, non volevo diventare come l’uomo che aveva abbandonato mia madre. Abbiamo interrotto i contatti per molti anni e lui  è tornato qua da poco. Ha provato a scrivermi e parlarmi, ma io non riesco a perdonarlo per averci abbandonati -.
Kagome lesse negli occhi del ragazzo il rancore e istintivamente si alzò dal letto e lo strinse in un forte abbraccio.
Inuyasha era spiazzato, ma allo stesso tempo felice. Il calore delle braccia della giovane sembravano lenire le ferite del suo animo. Avrebbe voluto ricambiare il suo abbraccio, ma era completamente paralizzato.
Alla fine fu la giovane ad interrompere il contatto e lo guardò negli occhi, cercando di sorridere.
- Il passato è difficile, ma tu devi accettare. Quando accetterai e comprenderai sarai libero e il tuo spirito potrà volare alto nei cieli come le aquile. Ma se non lo fai, rimarrai bloccato in quel momento e proverai sempre dolore e allontanerai tutti -.
Inuyasha abbassò lo sguardo e fece un altro tiro di sigaretta. – Se è davvero così, perché tu che non mi conosci, non ti sei allontanata? -.
Di nuovo sul viso della ragazza comparve un sorriso sincero e il cuore di Inuyasha sembrò volergli uscire dal petto. Quei sorrisi erano l’unica cosa bella di quei giorni.
- Perché noi selvaggi, come ci chiamate, facciamo ancora parte del ciclo. Come ti ho già detto, se entri a far parte del ciclo puoi comprendere tutti. Anche chi sembra molto diverso -.
 
Naraku stava viaggiando nella sua carrozza dalle tende scure. Odiava il sole e la sua pelle così chiara ne era una dimostrazione. Stava percorrendo la strada per arrivare ad una di quelle noiose riunioni diplomatiche di cui non gli importava nulla. Quei patrioti noiosi facevano finta di essere solidali con i pellerossa solo perché non potevano ammettere quello che pensavano sul serio. Tutti odiavano quei selvaggi e avrebbero dato qualsiasi cosa per distruggerli e lui era l’unico che aveva il coraggio di ammetterlo.
Byakuya, il suo fedele valletto, sedeva composto sul sedile di fronte e osservava l’esterno. Era sempre stato silenzioso e come lui odiava i selvaggi. Per questo motivo andavano così d’accordo ed erano legati negli affari.
- I sette hanno portato a termine il lavoro? – domandò il ragazzo.
Naraku si passò una mano tra i capelli corvini sospirando. – Più o meno, ma ora non ci voglio pensare -.
Byakuya lo guardò allibito. – Tu che perdi interesse per un tuo affare? – esclamò.
L’uomo lo guardò innervosito. – Non ho voglia di parlare, ci dobbiamo già fermare al forte e sai che odio quei posti -.
Dovevano arrivare fino a Richmond per poi prendere il treno sulla ferrovia principale. Era la via più veloce per arrivare fino a Washington e il viaggio era ancora parecchio lungo.
Non gli piaceva allontanarsi troppo dalla sua tenuta al sud. Lui e i suoi genitori l’avevano tirata su dal niente, dopo essersi allontanati dall’Inghilterra. I suoi erano ricchi possedenti terrieri, ma gli inglesi non amavano i “nuovi ricchi”, come li definivano. Così si erano imbarcati e avevano usato i soldi per costruire una tenuta maestosa ed enorme. Avevano comprato parecchi schiavi dal continente nero e li avevano messi a lavorare nei campi. Bravi lavoratori a basso costo che fruttavano davvero bene. Quando non servivano più li rivendeva ai Lord, che li usavano nelle loro case per lavori di bassa manovalanza.
Una volta che i suoi genitori morirono, lui ereditò l’intera fortuna, dato che sua sorella Kagura era una donna. Le sarebbe spettata solo una dote, ma quella non aveva alcuna intenzione di sposarsi. Naraku non la sopporta, avrebbe voluto spedirla con il primo damerino disponibile, ma lei non ne voleva sapere. L’unico uomo di cui si era innamorata era il primogenito dei Taisho, ma lui l’aveva lasciata perdere dopo poche fugaci avventure. Non gli importava più di tanto, anche se quello smacco da quei damerini gli aveva bruciato parecchio, ma lui sapeva già come vendicarsi dei torti subiti nel passato, che non si limitavano solo a quello fatto alla sorella.
Sbuffò, quella stupida ora era alla tenuta tutta sola e probabilmente si pavoneggiava facendo finta di essere la padrona.
Quando arrivarono al forte era mattina, le trombe fischiavano e i soldati correvano ai loro posti. Li fecero entrare con la carrozza e entrambi gli uomini scesero, sistemandosi i capelli scuri sulla testa.
Naraku camminava fiero con il suo bastone da passeggio, mentre il lungo cappotto sventolava sotto i suoi piedi alzando la polvere.
Il colonnello arrivò dopo pochi secondi correndo trafelato. Naraku McConnor era un uomo molto potente, quasi alla pari dei Taisho e per lui era un onore avere al suo cospetto due ospiti di tale importanza. Decise che avrebbe organizzato un pranzo importante, ritardando ovviamente il rancio dei soldati. Non poteva permettere di farli mescolare con degli uomini così semplici.
- Signor McConnor, che onore aversi qui – esclamò, allungano la mano verso l’uomo.
Questo fece finta di niente e si guardò intorno. – Dove pensate di farci dormire? Spero non in una stanza da poco – borbottò.
Il comandante cercò subito di riprendersi dalla sconforto dell’essere stato ignorato e si sistemò il cappello.
- No Signore, stiamo cercando di preparare due stanze degne del vostro livello. Mi dispiace solo che il Signor Taisho non abbia voluto lo stesso trattamento -.
All’udire quel nome Naraku sentì il sangue gelarsi nelle vene.
- Lord Taisho? – domandò Byakuya.
- No Signore, il figlio minore – rispose frettolosamente, rendendosi conto che quel nome non era gradito al suo ospite.
Naraku cercò di mantenere un contegno e si sistemò il cappotto. – E dove si trova ora? Avremo il piacere di pranzare con lui? -.
Il colonnello annuì. – Ma certamente! Manderò subito qualcuno a chiamarlo, nel frattempo posso farvi accomodare? -.
L’uomo scosse il capo. – Mi servirebbe il telegrafo, devo mandare un telegramma importante -.
 
Ciao a tutti!
Finalmente sono riuscita a tornare e come promesso finalmente è apparsa la famigerata figura di Naraku e spero che questo vi abbia fatto piacere!
In ogni caso so che magari questa parte è abbastanza “sdolcinata”, ma spero che l’abbiate comunque apprezzata :)

Insomma, mando un bacione enorme a tutti voi e vi ringrazio per seguirmi sempre e per le vostre continue recensioni! Davvero grazie!
Un bacione a tutti quanti!
Silvia

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Capitolo 10
*** Dispute ***


Koga era ormai arrivato al limitare della foresta. Avevano camminato senza sosta seguendo le tracce della sua sposa, ma a quel punto doveva concedere del riposo ai suoi lupi e anche ai suoi due compagni.
Si misero seduti a terra e accesero un fuoco per preparare da mangiare. Avrebbe tanto voluto vedere di nuovo davanti a quel fuoco Kagome che danzava allegra e felice. I ricordi lo attanagliavano e gli procuravano dolore. Era davvero in pena per lei e continuava a pregare che fosse in salvo.
Nel frattempo era anche in pensiero per le sorti del suo villaggio. Gli era stato detto che se lui si fosse allontanato questo avrebbe rischiato di essere completamente raso al suolo. Cercò di consolarsi col pensiero che al suo villaggio erano rimasti molti guerrieri valorosi che avrebbero certamente protetto i confini. Nessuno avrebbe fatto del male alla sua gente e nemmeno ad Ayame.
Si chiese come mai stesse cominciando a pensare così tanto a lei.
Erano parecchi giorni che oltre al pensiero di Kagome, gli tornava in mente anche il viso della nipote del Patriarca. Lo aveva guardato con un tale odio il giorno che si era messo sulle tracce della sua sposa e questo lo aveva ferito più di quanto volesse ammettere.
In un primo momento lei sarebbe dovuta essere la sua promessa sposa, anche se lui non ne era convinto. Erano cresciuti insieme e la vedeva più come una cara amica che come una compagnia. Negli anni era diventata una splendida donna e l’aveva osservata parecchie volte farsi il bagno al fiume.
Un giorno, però, aveva incontrato lo sguardo di Kagome e quegli occhi scuri lo avevano catturato fin dall’inizio. Aveva provato l’irrefrenabile desiderio di farla sua per sempre e a patto di rimanere al villaggio, il Patriarca aveva acconsentito. Ovviamente alla nipote sarebbe rimasta una grande influenza nelle scelte del villaggio, ma nulla di più.
Eppure Ayame era sempre rimasta nei suoi pensieri. Era una guerriera formidabile e soprattutto una grande stratega. Spesso avevano organizzato insieme gli avamposti di battaglia e combattuto fianco a fianco. Sapeva anche, però, che il destino del capo villaggio lo avrebbe spesso portato lontano da casa e forse anche a morire. Koga non poteva permettere che Ayame soffrisse così tanto.
Cercò di rimuovere la ragazza dai suoi pensieri. Lui ormai era promesso a Kagome e l’affetto che provava per lei era indescrivibile.
- Koga, va tutto bene? – gli chiese Hakkaku.
Si ridestò dai suoi pensieri e si voltò verso il suo amico. – Sono solo preoccupato per il nostro villaggio e per Kagome -.
- Vedrai che andrà tutto bene. Kagome è una ragazza forte e soprattutto i nostri guerrieri sono forti, nessuno ci farà del male – cercò di consolarlo Ginta.
Koga tirò un lungo sospiro e si mise steso a terra, chiedendosi se anche Ayame in quel momento stesse osservando lo stesso pezzo di cielo.
 
Kagome fu la prima a svegliarsi, spaventata dal rumore delle trombe all’esterno. Inuyasha dormiva sulla sedia e lei rimase ad osservarlo. Quando aveva gli occhi chiusi sembrava quasi un bambino e provò l’irrefrenabile impulso di andare verso di lui.
Avrebbe voluto trattenersi, ma dopo la sera precedente le sembrò impossibile. Lui si era aperto in quel modo, nonostante il suo carattere e avevano parlato a lungo del proprio passato. Si alzò dal letto, avvicinandosi furtivamente a lui come se fosse un animale selvatico.
Osservò attentamente ogni lineamento del suo viso. La pelle era leggermente scurita dal sole e le ciglia erano lunghe e proiettavano delle ombre sul volto. I capelli argentei splendevano alla luce del sole e avvicinò lentamente le dita verso di essi. Erano più morbidi di quanto si sarebbe aspettata e il suo sguardo si posò su una collana che il ragazzo portava al collo.
Non l’aveva mai notata fino a quel momento, anche perché era nascosta sotto la camicia e solo avvicinandosi in quel modo era riuscita a vederla.
L’espressione serena che aveva avuto fino a quel momento mutò all’improvviso e Kagome fu svelta ad allontanarsi e rimettersi sul letto. Non voleva che scoprisse che si era avvicinata così tanto.
Fu folgorata da quei suoi occhi ambrati e si lasciò sfuggire un sorriso. Le piacevano davvero da impazzire.
Per Inuyasha svegliarsi nella stessa stanza della giovane indiana era una bella sensazione. Era accovacciata sul materasso e fissava intensamente il ciondolo che portava.
Si alzò in piedi e si sgranchì la schiena indolenzita, ma lei non smise di guardarlo. Gli piaceva vederla così serena e tranquilla, ma allo stesso tempo odiava che lo fissasse.
- Ti interessa questa? – le chiese, indicando il ciondolo.
Le guance di Kagome si fecero purpuree e questo piacque parecchio al giovane. Quando era imbarazzata sembrava ancora più bella e provava l’istinto di prenderla tra le braccia e stringerla forte.
Si levò la collana e gliela porse. – Guardala pure -.
La ragazza prese il pendaglio delicatamente. Era tondo e dello stesso materiale delle monete che aveva visto. Mentre se lo rigirava tra le mani questo si aprì e si ritrovò davanti agli occhi un’immagine. Non sapeva cosa fosse, ma ritraeva una donna bellissima con in braccio un neonato nei toni color seppia.
La donna era bellissima. Gli occhi erano pieni di gioia e un sorriso sincero era stampato sulle sue labbra.
- Si chiama foto – esordì Inuyasha, sedendosi vicino a lei.
La ragazza lo guardò perplesso. – Foto? -.
Inuyasha di nuovo si trovava in difficoltà. Questi per lui erano concetti di tutti i giorni ed era parecchio difficile spiegarli.
- E’ come quando dipingi. Solo che si usa una macchina che blocca il momento – provò a spiegarle.
Kagome si fece ancora più confusa. – Come fa a bloccare il momento? Quindi tu puoi tornare lì? -.
Inuyasha si mise a ridere divertito. – Non esattamente. È come quando voi dipingete, solo che in questo caso si usa questa speciale macchina che fa molto più in fretta -.
Finalmente le sembrò di aver capito quello che lui le stava dicendo e gli riconsegnò il ciondolo.
- Mi piacerebbe avere una di queste foto – esordì.
- Beh qua non credo che troveremo una macchina fotografica, quindi non credo che sarà possibile – rispose, alzandosi in piedi.
Kagome osservò di nuovo Inuyasha e ricordando l’immagine di poco prima si rese conto che quella ritratta doveva essere sua madre. Lui la portava sempre con sé per non dimenticarla mai.
Si sentì in colpa per averlo chiamato mostro nei giorni precedenti, lui non era cattivo.
- Ora però la cosa importante è trovare un modo per portarti via da qui – disse il giovane. – Ma prima vado a recuperare qualcosa per la colazione -.
Lasciò sola la giovane, premurandosi di nuovo che la porta fosse ben serrata. Prima che potesse raggiungere la mensa, vide in lontananza due figure che si discostavano parecchio dal panorama. Erano due uomini vestiti di scuro, dalla pelle bianca come il latte. Quell’immagine gli lasciò addosso uno strano senso di inquietudine. Il suo istinto raramente si sbagliava e in qualche modo gli stava dicendo che era meglio stare alla larga da quei due tizi.
Si diresse verso la mensa a passo spedito, ma quello che trovò fu soltanto un po’ d’acqua e qualche galletta. Chissà se a Kagome sarebbero piaciute. Lui le odiava profondamente, le aveva mangiate per anni durante i suoi viaggi e ora ne aveva la nausea.
Tornò indietro, ma prima di arrivare dalla sua stanza fu bloccato dal generale del forte.
- Signor Taisho, spero che abbiate dormito bene e che abbiate gradito la compagnia – cominciò.
Sentir parlare di Kagome in quei termini lo mandava in bestia, ma cercò di mantenere il controllo. Prese un profondo respiro e annuì svogliatamente, cercando di far intendere all’uomo che aveva fretta.
Questo, però, sembrò non recepire il messaggio. – Sarei lieto di invitarlo a un pranzo privato che ho organizzato personalmente. Sarà presente anche il Signor Naraku McConnor -.
All’udire quel nome le sensazioni che aveva provato poco prima sembrarono tramutarsi in realtà. Quell’uomo era lo stesso che lo aveva assoldato per attaccare il villaggio di Kagome e se aveva mandato lui quei banditi, non doveva essere un personaggio affidabile.
- Non credo che verrò, voglio ripartire tra poco. Sellate il mio cavallo -.
 
Dopo la passeggiata con Sesshomaru, Rin non riusciva a smettere di pensarlo. Erano rimasti per tutto il tempo in silenzio, senza neanche provare a scambiarsi una parola. Questo l’aveva innervosita parecchio, per fare lo sbruffone aveva sempre molto fiato in gola.
Cercò di scacciare l’immagine di lui sudato e l’immagine dei suoi muscoli così meravigliosi e definiti; per fortuna l’arrivo di suo fratello riuscì a distoglierla da quei ricordi.
- Rin, grandi notizie! – gridò felice.
Si ritrovò all’improvviso stretta nell’abbraccio di Miroku, che per poco non la soffocò a causa del suo enorme entusiasmo.
- Inuyasha sta bene! Si trova in un forte nella zona a sud di qui! -.
Rin non poteva credere alle sue orecchie. Cominciò a saltare allegra, continuando a stringere forte suo fratello. Era contenta da morire e non vedeva l’ora di riabbracciare anche il suo adorato fratello adottivo.
- Quando tornerà? Lo andrete a prendere? – chiese.
Miroku annuì. – Ci è arrivato un telegramma ieri, dicendoci che ci aspettava -.
- E…la sorella di Sango? – bisbigliò.
Il ragazzo si fece scuro in volto. – Di lei non ha parlato, ma sono sicuro che lei sia al sicuro -.
Rin non era convinta, i soldati erano persone molto rudi e se quella povera ragazza si trovava in quel luogo, Inuyasha avrebbe potuto fare ben poco per proteggerla. Soprattutto conosceva il suo temperamento, non era avvezzo alla pazienza e alla calma e avrebbe rischiato di cacciarsi nei guai.
- Cerchiamo di tenere per noi questi dubbi, non voglio che lei si preoccupi per niente – intervenne Miroku.
Era molto preoccupato per Sango. In quei giorni non aveva praticamente dormito per l’ansia, ma forse la notizia che le stava per portare l’avrebbe rincuorata. Oltretutto avrebbe dovuto omettere il luogo in cui si trovava la sorella, altrimenti la poverette sarebbe caduta ancora di più nello sconforto.
- Lei chi? – chiese il vecchio Myoga, che si era avvicinato all’improvviso.
Rin sobbalzò non appena lo vide; quell’uomo sbucava ovunque e in qualsiasi momento ed era così piccolo da non farsi mai notare; in qualche modo le ricordava una pulce.
Fortunatamente Lord Taisho arrivò appena in tempo per salvare i due giovani da quella scomoda situazione.
- Signor Myoga, non credo che sia buona educazione origliare le conversazioni altrui – disse, con il suo solito tono tranquillo.
Quell’uomo era sempre calmo e composto in ogni situazione, ma si vedeva dal suo sguardo che ora era molto più rilassato. Sapere che suo figlio era vivo doveva averlo liberato di un gran peso.
Rin si congedò dolcemente per rimettersi al lavoro e proprio mentre saliva le scale incrociò lo sguardo di Sesshomaru.
Entrambi si bloccarono e cominciarono a fissarsi intensamente.
- Tuo fratello sta bene – mormorò la giovane.
Il giovane Lord annuì. – Ha la pellaccia dura, sapevo che sarebbe sopravvissuto -.
Rin alzò gli occhi al cielo. – E’ assurda la poca preoccupazione che provi nei confronti di tuo fratello -.
Sesshomaru la fulminò. – I rapporti tra noi non sono cose che ti riguardano, occupati delle tue faccende -.
La ragazza non ci vide più e si avvicinò tanto da poter sentire il respiro del giovane sulla sua fronte. – Non ti azzardare a dirmi quello che devo fare, e porta rispetto a tuo fratello. È più uomo di quanto tu possa reputare -.
Dopo aver detto quella frase se ne andò sbattendo i piedi per le scale. Sesshomaru era sbalordito dalla forza d’animo quella giovane e ad ogni sua risposta sgarbata, per quanto tutto ciò potesse sembrare assurdo, sentiva che il suo cuore era sempre più suo.
Nel frattempo Miroku si era recato furtivamente nella mansarda. Sango era stesa sulla brandina e doveva essersi appena lavata. La sua pelle luccicava ancora di gocce d’acqua.
La giovane indiana si alzò in piedi speranzosa. – Buone notizie? – chiese.
Miroku cercò di sembrare il più credibile possibile. – Abbiamo ricevuto un telegramma, diceva che Inuyasha sta bene e presto lo andremo a prendere -.
- E Kagome? -.
Il giovane abbassò lo sguardo, non riusciva a mentirle. – Non ha parlato di lei, ma sono sicuro che sta bene -.
Lo sguardo di Sango si fece serio e concentrato. – Io verrò con voi a prenderla -.
- E’ fuori discussione! – sbraitò Miroku. – Non puoi rischiare così tanto -.
- Non puoi impedirmelo! Lei è l’unica famiglia che ho! -.
Aveva le lacrime agli occhi e al giovane si strinse il cuore, purtroppo sapeva perfettamente che non poteva portarla dove stavano andando, i soldati le avrebbero potuto fare delle cose terribili.
Decise che a costo di rinchiuderla in quel posto e farsi odiare da lei per sempre avrebbe fatto in modo di tenerla al sicuro.
- Non posso Sango, mi dispiace. Ti prometto che torneremo presto e ti riporterò tua sorella -.
Chiuse la botola dietro di sé, mentre sentiva un groppo crescerli in gola. Sapeva che in qualche modo l’aveva persa per sempre e per quanto odiasse ammetterlo, non riusciva a sopportarlo.
Sango, nel frattempo, stringeva le coperte così forte da rischiare di strapparle. Non voleva che quel maledetto le impedisse di cercare suo fratello e lei sarebbe andata a prenderla, a costo di fuggire di nascosto.
 
Eccomi qua!
Chiedo scusa per il ritardo nell’aggiornamento, ma ora sono di nuovo qui! Mi rendo conto che il capitolo è corto, ma tra esami e università     sono riuscita a produrre solo questo.
Comunque il capitolo successivo è già a buon punto, quindi spero di metterci meno tempo a revisionarlo.
Come al solito ci tengo a ringraziare chi con pazienza si prende la briga di lasciarmi una recensione, mi fa davvero piacere e ancora grazie *.*
Un bacione a tutti quanti! <3

Silvia

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Capitolo 11
*** Lungo il cammino ***


Naraku era furibondo e continuava a camminare avanti e indietro per la piccola stanza  che gli avevano assegnato. Byakuya, invece, fumava placidamente la sua pipa, mentre guardava il suo capo muoversi come un leone in gabbia.
 - Quel maledetto, come diavolo ha fatto a sopravvivere? – sibilò tra i denti.
Byakuya sbuffò fuori una nube di fumo che impregnò completamene l’aria intorno a lui.
- Probabilmente il destino ha deciso di farlo scampare a una sorte funesta – mormorò questo.
Naraku si voltò verso di lui, fulminandolo con gli occhi neri come il carbone. – Il destino non avrà mai più potere di me! -.
Byakuya svuotò la pipa nel posacenere in metallo, facendo volare scintille su tutto il tavolino e si alzò in piedi, muovendo la lunga coda di cavallo scura con grazia.
- Mio caro Naraku, non c’è bisogno di agitarsi in questo modo. Dopotutto è una fortuna averlo incontrato, questa notte potrebbe capitargli uno spiacevole incidente – sussurrò, mentre gli occhi gli si assottigliavano, dipingendo sul suo voltò un’espressione perfida.
L’uomo scosse la testa. – Non possiamo, finché siamo in questo luogo la cosa potrebbe risultare sospetta, e soprattutto non coinciderebbe con i nostri piani per lui – rispose, mentre si massaggiava il mento. – Presto o tardi il telegramma arriverà a Bankotsu e si occuperò lui di tutto, sperando che quel maledetto riparta al più presto! -.
Byakuya si mosse sinuosamente dietro di lui, mentre il suo viso faceva capolino dietro il suo orecchio. – Sappiamo che lui ripartirà questo pomeriggio e porterà una giovane indiana con lui. Probabilmente gli Apache faranno il lavoro per noi -.
Il viso di Naraku si illuminò. – Ancora meglio, questo ci permetterà di arrivare ai nostri fini ancora più in fretta – mormorò. – Seguili senza farti scoprire e poi quando Taisho sarà morto, torna a riferirmelo -.
                                              
Inuyasha aveva fatto sellare il suo cavallo e si era fatto preparare un paio di provviste da portare via durante il viaggio. Aveva detto al generale di far arrivare alla sua famiglia un telegramma per dirgli che sarebbe tornato molto presto a casa da solo.
Già, casa. Fino a quel momento il suo unico pensiero era stato quello di tornare da Rin e Miroku, ma ora c’era qualcosa che lo tratteneva. Se mai fosse arrivato a destinazione, avrebbe dovuto lasciare andare Kagome per la sua strada e non si sarebbero mai più rivisti. Quel pensiero gli faceva davvero male ed era difficile per lui reprimere la tristezza. In pochi giorni di viaggio quella pellerossa gli era entrata nel cuore e nell’anima, riuscendo in quello in cui tutte le donne avevano fallito.
Cercò di scacciare quei pensieri dolorosi. Lo sapeva fin dall’inizio che le loro strade si sarebbero divise e non poteva farci assolutamente nulla.
Kagome, invece, era molto spaventata all’idea di rimettersi in viaggio. Probabilmente Koga era ormai vicino e se avesse trovato Inuyasha, lo avrebbe sicuramente ucciso.
Aveva preso in considerazione l’idea di proseguire il viaggio da sola, ma aveva capito che era un’idea folle. Avrebbe rischiato di essere catturata di nuovo e a quanto aveva visto, il giovane aveva parecchia influenza tra i vari clan di bianchi.
Prese un profondo respiro. Non voleva dividersi da lui, la sua compagnia era l’unica cosa che l’aveva fatta stare bene in quei giorni di dolore e paura. Avrebbe voluto chiedergli di rimanere con lei e di vivere tra la sua gente, ma come poteva farlo? Lui era uno degli invasori e il clan dei lupi non lo avrebbe mai accettato, soprattutto perché Koga non era solito lasciar vivere un viso pallido. Si ricordava bene con quale furia aveva tagliato la gola a uno di quei malvagi banditi che li avevano attaccati.
Le salirono i brividi lungo la spina dorsale al solo pensiero. C’era solo una soluzione per poter tenere al sicuro Inuyasha, per quanto questo la facesse soffrire.
Aspettò a lungo il suo ritorno e quando arrivò tra le mani stringeva una corda e il suo sguardo celava una tristezza profonda. Che anche lui fosse triste per la loro partenza? No, non era possibile. Lui amava la sua vita e lo aveva dimostrato parecchie volte.
- Per portarti via da qui senza sospetti devo legarti, mi dispiace – sussurrò Inuyasha.
Kagome lo capiva benissimo, aveva già rischiato molto per proteggerla dagli altri guerrieri.
Cominciò a torturarsi le dita, sapeva bene che doveva dirglielo.
- Sai…so che in zona ci sono tribù Apache, potresti portarmi da loro? -.
A quelle parole Inuyasha sentì un dolore acuto invadergli completamente il petto. Lei gli stava chiedendo di allontanarsi ancora prima di quanto si aspettasse. D’altro canto, come poteva biasimarla? In tutto quel periodo aveva rischiato la vita più di una volta a causa sua e della sua gente. Non poteva non acconsentire a quella richiesta, quella poverina meritava di poter passare una vita tranquilla.
Fece un cenno di assenso con la testa. – Ho con me una mappa sul quale sono segnate le zone delle tribù, dovremmo arrivarci in due giorni, anche se questo mi porterà parecchio lontano dalla strada di casa – borbottò nervoso.
Kagome si sentì terribilmente in colpa per la richiesta, ma entrambi sapevano che non poteva proseguire senza Inuyasha.
Si lasciò legare e venne trascinata fuori sgraziatamente. Sapeva che Inuyasha era costretto a farlo, ma dannazione quanto odiava essere trattata come un oggetto.
Era sotto gli occhi di ogni singolo uomo e questi la guardavano sghignazzando, mentre vedeva nei loro occhi i pensieri lussuriosi che facevano sul suo corpo.
Inuyasha montò a cavallo, mentre lei venne trascinata a piedi. Ricevette parecchi ossequi da parte di quello che sembrava il capo di quel luogo e alla fine ripresero il loro viaggio.
Quando furono abbastanza lontani dal forte, Inuyasha la slegò, passando una pezza bagnata dove la corda ruvida aveva segnato la sua pelle.
- Mi dispiace, ma credo che tu sappia che era l’unico modo per poterti portare via -.
Kagome annuì, cercando di abbozzare un sorriso. – Ti ringrazio -.
Inuyasha era sempre più colpito da quella giovane. Si sarebbe meritato di ricevere tutto l’odio del mondo e invece lei lo ripagava con la gratitudine. Quanto le piaceva quel sorriso sincero, avrebbe voluto portarla con lui, lontana da quei luoghi di lotte.
Il loro viaggio proseguì nel silenzio più assoluto. Entrambi erano chiusi nel dolore che non volevano mostrare. Separarsi faceva male a tutti e due, ma nessuno poteva vivere nel mondo dell’altro.
Si accamparono per la notte e Kagome era sempre più triste. Il giorno dopo sarebbero arrivati alla sua tribù e lì le loro strade si sarebbero divise per sempre.
Inuyasha non sopportava quel clima di tensione e così si alzò per andare a fare una passeggiata, come era solito fare quando era particolarmente nervoso.
Kagome non lo fermò, aveva visto nei suoi occhi che c’era qualcosa che lo stava turbando e non voleva costringerlo a confessargli di cosa si trattasse. Rimase ad accarezzare il manto scuro dello stallone, mentre osservava il fuoco scoppiettare.
Il ragazzo, dopo una breve passeggiata, alla fine si fermò, sedendosi su una delle rocce che circondavano la steppa e osservò le stelle. Avrebbe voluto avere accanto sua madre, lei sapeva sempre cosa dirgli quando si sentiva confuso. Era una donna saggia, più di quanto volesse ammettere. Sapeva scaldare il cuore di chi le stava intorno e non capiva come suo padre avesse potuto lasciarla andare così.
Cercò di trattenere il dolore, ma i ricordi di quel periodo di sofferenza erano ancora vividi nella sua mente. Non poteva dimenticare. Solo quando aveva accanto Kagome i demoni del suo passato si facevano meno difficili da affrontare.
La saggezza di quella ragazza era paragonabile a quella di sua madre.
Concentrato nei suoi pensieri, non si rese conto che qualcuno dietro di lui lo aveva seguito da lungo tempo e quella distrazione gli costò cara.
Una freccia venne scoccata e si piantò dritta nella sua spalla. Il suo urlo di dolore fu coperto da quello di un grido di battaglia nemico.
Quelle voci ridestarono addirittura Kagome, che conosceva fin troppo bene cosa queste significassero. Si alzò in piedi e prese a correre furiosamente nella direzione dei rumori.
Tre guerrieri apache avevano circondato il cowboy, che era stato ferito.
Uno di questi era ormai pronto a sferrargli il colpo di grazia con un’ascia da guerra, mentre gli altri due tenevano Inuyasha per le spalle.
Il ragazzo chiuse gli occhi, mentre si rendeva conto che il suo ultimo pensiero volava alla giovane con cui aveva passato quei giorni meravigliosi.
 
Quella notte Sango si era fatta coraggio e aveva deciso di uscire dalla stanza dove era stata rinchiusa. Fortunatamente Miroku non aveva chiuso tutto a chiave come aveva minacciato di fare quando avevano litigato nel momento in cui le aveva portato la cena.
Era costretta ad ammetterlo, il pensiero di non vederlo mai più la faceva soffrire. Ormai era completamente sicura del fatto che tenesse al giovane che aveva rischiato così tanto per tenerla al sicuro, ma voleva reprimere i suoi sentimenti. Più volte in quei giorni di dolore lui l’aveva abbracciata e le aveva detto parole di conforto, però non poteva permettersi il lusso di lasciarsi trasportare dalle emozioni. Dentro aveva l’animo di una guerriera e sopra ogni altra cosa c’era il bene della sua famiglia.
Si ritrovò per le piccole scale scricchiolanti, fino a quando non arrivò al pian terreno. Doveva trovare il telegramma nel quale era stato indicato il luogo in cui si trovava il fratello di Miroku.
Non le fu difficile individuare l’ufficio del giovane, dato che la porta era rimasta aperta.
Sgattaiolò furtivamente dentro e cominciò ad osservare le innumerevoli carte poste disordinatamente sulla scrivania.
Una fitta acuta le invase il petto. Anche suo padre un tempo aveva uno studio simile e proprio lì sua madre le aveva insegnato a leggere. Nonostante fosse molto piccola era sempre stata una ragazza intelligente e quindi aveva imparato in fretta.
Rimase per qualche secondo immobile, quando davanti a lei trovò la foto di Miroku nascosta dentro uno dei cassetti. Doveva averla scattata qualche anno prima ed era insieme a un altro giovane dai capelli molto chiari; doveva trattarsi del suo fratello adottivo. La prese e decise di portarla con sé, dicendosi che lo faceva solo per poter riconoscere Inuyasha. In realtà sapeva bene di voler tenere per sempre vicina la foto del giovane che l’aveva salvata.
Quando alla fine trovò il telegramma e una mappa e uscì dalla stanza tirò un sospiro di sollievo. Le lacrime erano ormai arrivate a lambirle le guance e le scacciò con rabbia. Ormai l’unica famiglia che aveva era Kagome e non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.
Uscì dalla casa dove era stata rinchiusa e si mosse sgusciando tra le case in legno. Quella notte senza luna era sua alleata e con il cuore che le pompava a mille si diresse con velocità verso la steppa.
Correva come non aveva mai  corso in vita sua, pronta a qualsiasi cosa pur di riportare a casa la sua amata sorella.
Si fermò per riprendere fiato e per darsi del tempo per leggere il telegramma. Doveva assolutamente capire dove si trovava Inuyasha prima di riprendere il suo cammino.
Prima che potesse riprendere fiato, qualcuno la braccò da dietro, stringendole le braccia intorno alla vita.
Cominciò a scalciare e urlare, ma la presa sul suo corpo era ben salda e solo quando sentì la voce della persona che la stava trattenendo si calmò.
- Sango, sono io! – esclamò Miroku, senza lasciarla andare.
L’aveva seguita. Aveva visto qualcuno uscire furtivamente dal suo albergo e si era subito reso conto di chi era quella figura snella e agile che si muoveva tra le case in legno.
Non poteva lasciarla andare, il suo cuore glielo impediva e anche il suo buonsenso. Si sarebbe fatta uccidere, o peggio. Ma come diavolo aveva fatto quella ragazza a farlo diventare così premuroso e ansioso? Quando gli aveva detto che voleva andarsene aveva sentito una stilettata al cuore; non poteva pensare di passare le sue giornate senza di lei. I momenti in cui saliva in mansarda e chiacchieravano erano gli unici in cui si sentiva felice o sereno. Non sarebbe mai riuscito a dirle addio.
Ora però non era il momento di pensare a quelle sciocchezze, doveva assolutamente trovare un modo per convincerla a tornare indietro.
Quando la giovane si fu calmata la lasciò andare e i loro occhi si incontrarono. Quanto era bella e quanto lo emozionava esserle così vicino.
- Ti prego, lasciami andare da lei – lo implorò la giovane, prendendogli le mani tra le sue.
Miroku sentì mille brividi caldi percorrergli le braccia a quel contatto e questo lo rese ancora più certo delle sue intenzioni.
- Non posso – mormorò.
Gli occhi di Sango si assottigliarono in un’espressione di pura rabbia. – Tu non capisci! Io devo andare da lei! -.
Miroku le lasciò andare le mani, passandosi una mano tra i capelli castani. – Sango, si trova in un forte di soldati, non puoi andare, ti faresti uccidere! -.
Sentire quelle parole fu come ricevere una pugnalata nello stomaco. Ora temeva ancora di più per la vita di Kagome e fu ancora più certa di voler andare da lei.
- Non mi importa! Io la devo salvare! -.
Fu a quel punto che Miroku perse quella poca calma che gli era rimasta e le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.
- Non posso lasciarti andare – sussurrò. – Non posso permettere che qualcuno ti faccia del male. Non capisci? -.
Sango sentì il cuore martellarle le tempie, mentre una strana sensazione di calore si propagò per tutto il suo corpo. I loro visi erano così vicini che i loro nasi potevano sfiorarsi. Era incatenata da quegli occhi azzurri e profondi e anche se avrebbe dovuto allontanarlo, non ci riuscì.
- Io…io non posso restare e lo sai -.
Miroku le scostò una ciocca di capelli dal viso e continuò a fissare quegli occhi castani. – Sì che puoi, resta. Resta con me -.
A quel punto la minima capacità di raziocinio del giovane svanì e baciò la giovane con foga e passione.
Sango rimase esterrefatta. Quello era il suo primo bacio e lo stava dando proprio a lui. Eppure sapeva che non c’era nulla di male in quello che stava accadendo. Tutte le sue preoccupazioni svanirono nel giro di pochi secondi. Nella sua mente si formò una specie di nebbia che ricoprì ogni singolo pensiero logico. L’unica cosa che poteva sentire era quel contatto tra loro, quel meraviglioso momento di passione che li aveva travolti come le onde del mare.
Il suo corpo smise di irrigidirsi e presa dal momento cinse le braccia alle spalle del giovane.
Miroku non capiva perché lo stesse facendo, ma in quel momento non gli importava. Il suo cervello gli diceva che era una cosa assurda, che loro erano di due mondi diversi, ma cosa importava? Avrebbero trovato una soluzione, lei già parlava la sua lingua e avrebbe fatto in modo che sembrasse una giovane straniera.
Non era mai stato convinto fino a quel punto di volere una donna. Voleva che fosse sua per sempre, voleva che rimanessero legati per tutta la vita.
Quando il bacio finì si ritrovarono confusi e accaldati.
- Miroku…io… - mormorò Sango.
Il giovane le poggiò un dito sulle labbra.  – Troveremo il modo, te lo prometto. Se per te è importante andremo a riprendere tua sorella insieme -.
Sango si sentì felice come non lo era ormai da molti giorni ormai. Sì, avrebbero trovato una soluzione; se gli spiriti li avevano fatti incontrare una ragione esisteva e con quella convinzione nel cuore, partì alla ricerca della sorella.
 
Rin si era svegliata durante la notte. La gola era riarsa per la sete e aveva bisogno di bere un bicchiere d’acqua e di prendere un po’ d’aria.
Si mise la vestaglia e dopo aver bevuto uscì dalla sua stanza. Si ritrovò sul pianerottolo davanti all’albergo e si mise seduta fuori a respirare l’aria fresca della sera. Appoggiò la schiena alla colonna di legno e stese le gambe lungo le scale, mentre il suo sguardo volava verso le stelle.
Erano stati giorni duri per tutti, anche se sapere che Inuyasha era vivo la rincuorava.
Dei passi dietro di lei la ridestarono dai suoi pensieri e si lasciò sfuggire un sobbalzo quando vide la figura di Sesshomaru palesarsi davanti a lei.
- Gradite della compagnia? – le domandò.
Rin rimase imbambolata a fissarlo per parecchi secondi e alla fine annuì con un breve cenno del capo.
Il ragazzo si mise seduta vicino a lei, cominciando anch’egli ad osservare il cielo pieno di stelle.
- Sono rimasto molto colpito da quello che mi hai detto oggi, sei una ragazza che esprime con grande fervore le sue opinioni – sentenziò.
Rin sorrise divertita. – Beh, in questi posti devi imparare presto a farti rispettare, soprattutto se sei donna -.
- Immagino – mormorò. – Comunque so bene che tra me e mio fratello non scorre buon sangue. Come tu ben sai le nostre vite hanno seguito percorsi differenti e lui mi ha sempre biasimato per le mie scelte come io per le sue. Non pensare che io non abbia sofferto per la morte di nostra madre -.
La giovane lo bloccò. – Non volevo riportarvi alla mente brutti ricordi, mi dispiace -.
Sesshomaru scosse la testa. – No, ormai è passato e io lo ho accettato. Ero già più grande di mio fratello quando è successo e questo mi ha portato ad accogliere la realtà con più facilità. Il mio cuore è sempre stato più freddo a causa del luogo in cui sono cresciuto -.
Lo sguardo di Rin si addolcì, ma questo non piacque al giovane Lord.
- Non ti sto raccontando questo per farmi compatire da te – sibilò.
La ragazza proprio non riusciva a capirlo. Prima si apriva con lei, poi tornava freddo come il ghiaccio. Per lei Sesshomaru rappresentava un’enorme punto interrogativo.
- Non ti stavo compatendo – borbottò. – Sono solo felice che tu finalmente mi stia parlando come se fossi una tua pari -.
Sesshomaru si sentì terribilmente imbarazzato per quella figuraccia, ma cercò di non darlo a vedere. Non voleva mostrarsi debole o nervoso di fronte a lei.
Rimasero di nuovo in silenzio, ma questa volta in modo sereno e quando le loro dita si incontrarono, nessuno dei due si ritirò.
 
 
Ciao a tutti!
Lo so, lo so, probabilmente mi state odiando per avervi di nuovo lasciati con mille punti interrogativi e nel pieno dell’azione, ma ormai mi conoscete, non riesco a farne a meno >.<

Comunque ho deciso che cercherò di aggiornare una volta alla settimana! (Sì Silvia, speraci).
Prometto che cercherò di darmi questa cadenza, soprattutto per non esagerare con gli aggiornamenti o per non ritardarli troppo!
Insomma ci tengo sempre a ringraziare chi continua a seguirmi sempre e recensirmi! Davvero grazie :*
Un bacione enorme a tutti <3

Silvia
 

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Capitolo 12
*** Redenzione ***


*Din Don, comunicazione di servizio*
Prima di cominciare devo prima di tutto ringraziare Alien19 per il suo prezioso aiuto e per la pazienza che ha avuto nel darmi le informazioni di cui avevo bisogno, questo capitolo è anche merito suo! <3
Buona lettura
*Fine comunicazione*
                                                 
Kagome non avrebbe permesso che gli facessero del male. Corse più veloce che poté, mentre il cuore le martellava le tempie. Si lanciò verso il corpo del giovane coprendolo con il suo e stringendolo forte tra le braccia. Mai avrebbe permesso che qualcuno lo toccasse.
Inuyasha non sentì arrivare il colpo, ma solo due braccia calde che gli cingevano la vita e dei capelli neri che gli ricoprivano il mento.
Quando aprì gli occhi vide Kagome che lo stava stringendo, mentre si era messa in mezzo a lui e al pellerossa. Questo guardava la giovane con aria completamente sconvolta.
- Levati! Non vedi che stiamo cercando di proteggerti? – gridò questo.
Inuyasha non riusciva a comprendere cosa avesse detto, ma la furia nella sua voce era ben distinguibile.
Kagome si voltò verso il giovane guerriero, guardandolo con occhi supplicanti.
- Vi prego, voi non capite! Lui mi ha salvata, non merita di morire – li scongiurò.
Gli altri due allentarono la presa sulle braccia di Inuyasha, mentre Kagome sembrava non avere intenzione di lasciarlo andare.
Il guerriero abbassò la sua arma, senza però smettere di mantenere lo sguardo puntato sulla giovane indiana.
- Lui è un viso pallido, non possiamo lasciarlo andare. Sono gli ordini del nostro capo – sentenziò.
La giovane sciolse l’abbraccio che la teneva stretta ad Inuyasha, ma solo per mettersi in ginocchio di fronte al ragazzo.
- Vi prego, lasciatemi parlare con il vostro capo, se poi non vorrà comunque concedergli la salvezza lascerò che muoia -, stava mentendo; non avrebbe mai permesso che nessuno gli torcesse un capello, ma quello era l’unico modo per permettergli di rimanere in vita ancora per un po’.
Un altro di loro si fece avanti.
- Tu chi sei?  Hai un viso familiare – disse.
Kagome si tirò in piedi, cercando di non mostrare la paura per la sorte di Inuyasha.
- Mi chiamo Kagome, nipote della sciamana Kaede della tribù Apache -, sapeva che in questo modo i guerrieri avrebbero concesso la grazia ad Inuyasha.
I tre sembrarono parecchio colpiti da quella rivelazione e si premurarono subito di abbassare il capo in segno di rispetto. Dopotutto, nonostante facessero parte di tribù divise, appartenevano comunque allo stesso clan e provavano un grande rispetto per gli sciamani e per la loro discendenza.
- Ma perché vi trovate così lontana da casa? È stato il bianco a rapirvi? -.
- No! – esclamò la giovane. – Come vi ho detto lui mi ha protetta, ma spiegherò tutto appena arrivata al villaggio -.
I tre sembravano riluttanti all’idea di portare con loro uno dei visi pallidi, ma alla fine acconsentirono alla richiesta della ragazza.
Inuyasha era ferito e dolorante e non riusciva a capire cosa stesse succedendo. L’unica cosa che sapeva, era che se era in vita il merito era di Kagome.
Venne caricato in malo modo su un cavallo da uno dei tre indiani, mentre Kagome salì sullo stallone nero che li aveva accompagnati durante tutto il viaggio.
Il viaggio le sembrò infinito, o forse era solo l’ansia che la stava attanagliando. Voltava spesso il viso verso Inuyasha, premurandosi che lui fosse sempre sveglio e vigile. Aveva dovuto lasciare la freccia piantata nella sua spalla, poiché con sé non aveva abbastanza bende per frenare l’emorragia e se la avesse estratta avrebbe rischiato di ucciderlo.
Il villaggio si trovava in una piccola zona boscosa ai piedi di alcune montagne. Quella brulicante striscia verde si trovava in mezzo alle alture, al riparo dalla vista di nemici. Kagome rimase affascinata dalla sua grandezza. Quel luogo era pieno di tende cavalli. Molti uomini stavano tornando, carichi di provviste probabilmente rubate dalle carovane degli stranieri.
La giovane si vergognò un po’ nel mostrare ad Inuyasha quella piccola macchia nell’orgoglio della sua gente, ma se lo dovevano fare era solo perché erano stati spinti sempre più lontani dalle loro zone di caccia.
Quando arrivarono al villaggio Apache Inuyasha fu condotto nella tenda dei prigionieri senza che Kagome potesse prendersi cura della sua ferita, mentre lei venne scortata nella tenda del capo villaggio.
A differenza del posto dove era cresciuta, il ruolo dello sciamano e del capo erano ben divisi. Il primo dava consigli e leggeva i messaggi degli spiriti, mentre il secondo organizzava la guerra e prendeva decisioni su eventuali spostamenti.
Kagome era parecchio nervosa. Appartenevano allo stesso clan, ma la loro idea di tolleranza era molto diversa. Un tempo vivevano insieme in armonia, ma quando sua nonna era molto piccola questo gruppo di combattenti aveva deciso di dichiarare guerra ai bianchi e si erano separati dalla sua tribù. I rapporti si erano fatti più freddi, ma questo particolare clan non aveva mai abbandonato del tutto le sue radici, continuando a considerare lei e la sua gente come fratelli.
Venne scortata fino ad una grande tenda, dove all’interno si stendeva un tappeto di pelle di orso, probabilmente a prova della grande forza del loro capo.
Questo era ormai un uomo, molto alto e dai lunghi capelli lisci e corvini. Il suo petto era costellato di cicatrici di guerra, che sembrava sfoggiare con fierezza. Il suo capo era adornato da una grande corona di piume e tra le mani stringeva un bastone di legno.
Non appena entrarono i guerrieri si misero in ginocchio e Kagome decise di fare lo stesso, per non rischiare di partire con il piede sbagliato.
- Grande capo Ahiga, questa ragazza ha chiesto di conferire con voi. È la nipote della venerabile Kaede – esordì uno dei due.
Ahiga nella loro lingua significava “colui che combatte” e quel nome si addiceva perfettamente a quell’uomo imponente e dall’aspetto così valoroso.
Il capo fece un cenno con la mano, per far capire ai guerrieri di ritirarsi.
Kagome decise di non alzare il viso fino a che non le fosse stato detto, per paura di mancare di rispetto a quell’uomo.
Ahiga si accucciò vicino a lei e le prese il mento tra le dita. La giovane si trovò davanti al suo viso. Così da vicino si potevano perfettamente notare le parecchie rughe causate dalla vecchiaia e dal sole. I suoi occhi erano due pozzi neri e seri, che la scrutavano con particolare attenzione.
- Somigli molto a tua nonna – sentenziò serio, prima di lasciarle il viso.
La invitò a sedersi di fronte a lui e Kagome obbedì, nonostante quell’uomo la mettesse particolarmente in soggezione.
Questo prese la pipa che teneva lì vicino e la portò alle labbra, prendendo una lunga boccata. Quel gesto ricordò alla giovane la sua amata nonna e sentì una fitta al cuore. Le era mancata così tanto la sua gente e la sua terra, eppure ora che vi si trovava era terribilmente nervosa.
- Allora, mi è stato detto che tu hai protetto uno degli invasori – cominciò, mentre il fumo si spandeva per tutto l’ambiente. – Vorrei conoscerne, il motivo -.
Kagome cercò di controllare la sua ansia e cominciò a parlare, cercando comunque di omettere il fatto che Inuyasha aveva attaccato in precedenza il suo villaggio.
- Il mio villaggio è stato attaccato e mentre scappavo…sono caduta nel fiume. Questo mi ha portato fino ad un lago e da quel momento ho vagato alla ricerca della vostra tribù. Quando ormai credevo di essere vicina, degli uomini mi hanno catturata, ma quell’uomo bianco mi ha protetta e mi stava conducendo da voi -.
Aveva parlato così velocemente che quando terminò il discorso fu costretta a prendere un lungo respiro.
Ahiga non aveva smesso di fissarla neanche per un secondo, senza però esprime alcuna emozione. Rimase in silenzio per secondi che a Kagome parvero lunghi anni.
- Quindi, mi stai dicendo che un uomo bianco, si è messo contro la sua gente per proteggerti? – domandò.
Detta in quel modo suonò assurdo anche a lei, eppure era davvero andata in quel modo per ben due volte. Inuyasha aveva quasi voltato le spalle al suo popolo per tenerla in vita e lei non poteva permettere che la soggezione mettesse in pericolo la vita del suo salvatore.
Si mise seduta in modo più composto e dritto e riprese a parlare.
- Proprio per questo motivo non posso permettere che venga ucciso. Ha rischiato molto per proteggermi e io mi sento in dovere di fare lo stesso. Credo che voi conosciate le origini di mia sorella Sango e proprio per questo motivo non posso pensare che tutti i visi pallidi siano malvagi. La prego, concedete la grazia al ragazzo che ha salvato la mia vita, mettendo a rischio la propria -.
Il capo sembrò colpito dalle parole della giovane e sul suo viso si dipinse un leggero sorriso.
- Kaede aveva ragione quando diceva che eri una ragazza promettente – cominciò, mentre si spostava una ciocca di capelli dalla spalla. – Ma vedi, proprio per questo io ti devo mettere in guardia -.
Kagome si fece perplessa. – Da cosa volete mettermi in guardia? -.
Il capo si alzò in piedi e cominciò a camminare per la tenda, senza abbandonare la sua pipa.
- Tu puoi pensare che non tutti gli uomini bianchi siano malvagi, anche io ho avuto dimostrazioni di bontà da parte loro, ma devi sapere una cosa. Presto o tardi lui ti abbandonerà; il loro mondo è troppo diverso dal nostro -.
- Non lo farebbe mai – sibilò seria Kagome.
Ahiga non si fece intimorire dallo sguardo della giovane indiana e continuò a camminare avanti e indietro per il piccolo perimetro.
- Se tu ne sei così convinta, potrei pensare di risparmiarlo. Ma prima vorrei chiederti una cosa -, in quel momento si fermò e incatenò Kagome con lo sguardo. – Pensi che sia la strada che gli spiriti ti stanno indicando? -.
Kagome era ormai abituata a sentirsi fare quella domanda. Nonna Kaede gliela faceva sempre prima che prendesse una decisione importante, era un modo per mettere alla prova la sua volontà.
Quella volta, però, era certa della strada che il suo cuore le stava indicando e sapeva per certo di doverlo ascoltare.
Non distolse neanche per un secondo lo sguardo da quello dell’uomo e annuì convinta.
- Ne sono assolutamente certa -.
Il capo sospirò rassegnato. Kagome sapeva che proprio per onore non avrebbe mai ucciso senza motivo un uomo che aveva protetto qualcuno della sua gente, nonostante questo gli provocasse un grande fastidio.
Senza neanche rivolgerle un’altra parola chiamò i guerrieri che l’avevano scortata prima, intimandogli di portarla alla tenda del prigioniero e consegnarle erbe curative per la ferita del bianco.
I due non sembravano per niente contenti della decisione del loro capo, ma il loro rispetto gli impediva di opporsi.
Quando Kagome arrivò nella tenda, Inuyasha era legato ad un palo che si ergeva proprio al suo centro e la ferita che aveva perdeva ancora molto sangue.
Senza pensarci due volte gli corse incontro, slegandogli le braccia. Inuyasha per poco non si accasciò sul suo petto per la debolezza, ma fu prontamente sorretto dalla giovane.
- Che è successo?  - le domandò Inuyasha ansimante.
La freccia aveva quasi trapassato la sua spalla, ma fortunatamente era ben lontana dal cuore, altrimenti sarebbe morto sicuramente.
Kagome gli fece cenno di non parlare. – Ho convinto il capo a lasciarti in vita, non ti verrà fatto alcun male dalla mia gente. Ora però lascia che ti curi la ferita -.
Inuyasha faceva fatica a credere a quelle parole. Come potevano quegli uomini non nuocergli? Lui era un nemico. Cosa aveva dovuto fare la giovane per proteggerlo?
- Come hai fatto a convincerlo? – gli domandò, tra i rantoli di dolore.
Kagome lo fulminò con lo sguardo. – Ti ho detto di non parlare. Domani ti racconterò tutto, ma ora devi riposarti -.
Prese delle bende e lo convinse a stringerle tra i denti ed estrasse la freccia il più velocemente possibile. L’espressione del giovane rivelò il dolore che stava provando, ma questo trattenne comunque i rantoli di dolore. Kagome fu costretta a dargli dei punti sulla ferita dopo averla ripulita e subito dopo vi passò sopra delle erbe medicinali per ridurre il dolore.
Quando finì il suo lavoro Inuyasha era crollato in un sonno profondo. Kagome gli scostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso e lo guardò dormire, fino a quando dei rumori alle sue spalle non la misero in allerta.
Dietro di lei c’era una donna. Doveva trattarsi della moglie del capo, data la quantità di ciondoli di giada che portava al collo.
Era una donna snella e molto alta, dalla pelle inspiegabilmente liscia. I capelli erano tenuti in una lunga treccia che le ricadeva lungo la spalla. I suoi occhi erano molto più dolci di quelli del marito e le sorridevano amorevoli.
In mano aveva una coperta che le porse gentilmente.
- Per il tuo amico – sussurrò per non svegliarlo.
Kagome le sorrise grata. – Grazie mille -.
Lasciarono Inuyasha a dormire, mentre Kagome venne condotta in una tenda sistemata per lei. Era molto piccola, ma comunque confortevole.
Prima che potesse entrare la donna la fermò. – Non farti spaventare dal comportamento di mio marito e dei suoi guerrieri, loro vogliono solo proteggere tutti noi, ma vedrai che appena sapranno quello che il ragazzo ha fatto per te cambieranno tutti idea sul suo conto -.
Kagome si sentì rincuorata da quelle parole dolci e le riservò un grande sorriso.
- Non so come ringraziarvi – mormorò.
La donna le carezzò il viso. – Per la nipote della venerabile Kaede questo ed altro -.
La giovane si ritirò nella sua tenda, sentendosi felice del ricordo che tutti avevano della sua amata nonna. Era sempre stata considerata una figura di grande rilievo in tutte le tribù Apache. Era presa ad esempio di forza, saggezza e soprattutto di tolleranza. Per merito suo molte guerre erano state evitate e i territori erano comunque rimasti sicuri.
Il cuore le si strinse di nuovo in una morsa. Era abituata a dormire con sua sorella e sua nonna e quella solitudine la rendeva terribilmente triste. Sarebbe voluta tornare da Inuyasha, ma non era possibile. Dormire nella tenda di un uomo non era visto di buon occhio fino al matrimonio, men che meno se l’uomo era un bianco.
Si rannicchiò nella coperta che le era stata data e inspirò i profumi che le erano tanto mancati per rilassarsi. L’odore delle foglie e delle pelli che la circondavano, quello del fuoco ormai spento.
Si rese conto in quel momento che quelle piccole cose le erano mancate più dell’aria che respirava.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal ricordo delle dolci braccia di sua sorelle e di sua nonna.
 
Il mattino dopo Inuyasha si svegliò molto intontito. La freccia gli aveva fatto perdere parecchio sangue e per questo aveva poche forze. Si guardò intorno e trovò una coperta adagiata sopra di lui. Doveva averla messa Kagome.
Si rese conto che gli mancava svegliarsi e trovarsela vicino. Il suo volto sorridente era la miglior medicina in quel momento di debolezza.
Cercò di tirarsi in piedi, ma il dolore alla spalla era ancora molto forte e dovette trattenere un mugolio di dolore.
Fuori dalla tenda sentiva parecchio baccano, nonostante fossero le prime luci dell’alba. Era intimorito all’idea di uscire, dopotutto si trovava comunque in villaggio indiano. La sua camicia era ormai distrutta e fu costretto a togliersela. Non poteva certo andare in giro in quel modo.
Una figura minuta di sua conoscenza sbucò da dietro alla tenda. Kagome era tornata e in mano aveva dei vestiti e degli unguenti.
Vide le sue guance tingersi di rosso quando notò che era a torso nudo. Non capiva come mai avesse quella reazione, nelle tribù indiane per gli uomini non era uso coprirsi il petto, a meno che non fosse inverno.
La ragazza sapeva bene perché si sentiva così in imbarazzo e il motivo era che vederlo così le faceva nascere nella mente dei pensieri strani. Da quando si era spogliato al forte aveva cominciato a sognarlo sempre più spesso e il suo corpo non la lasciava indifferente. Eppure non era la prima volta che vedeva il petto di un uomo.
Si mise a sedere davanti a lui e cercò di tenere gli occhi ben piantati a terra.
Inuyasha si lasciò sfuggire una risatina divertita e Kagome si sentì ancora più in imbarazzo. Che si fosse accorto dei pensieri che aveva fatto su di lui?
- Credevo che voi indiane non vi scandalizzaste per così poco – la provocò Inuyasha.
Kagome lo fulminò con lo sguardo. – Non siamo selvaggi, non siamo abituati a vedere sconosciuti in questo modo – borbottò.
Kagome gli spalmò pazientemente le erbe medicinali sulla ferita, cercando di non incrociare mai quegli occhi ambrati che la imprigionavano e imbarazzavano.
Si alzò in piedi e lasciò ad Inuyasha i vestiti.
- Il capo Ahiga vuole conferire con te, cerca di prepararti il più in fretta possibile – gli disse, uscendo velocemente.
Inuyasha uscì a sua volta. Si ritrovò in mezzo a un sacco di pellerossa che lo squadravano tra l’impaurito e l’incuriosito. I bambini si appendevano alle gambe delle madri, mentre gli uomini sembravano gonfiarsi, come a volergli intimare di non avvicinarsi più del necessario.
- Ti condurrò dal capo Ahiga, è un grande onore per un bianco avvicinarsi a lui, quindi cerca di essere il più rispettoso possibile -.
Inuyasha cercò di mandare giù il groppo che aveva in gola. Da quel colloquio dipendeva la sua vita, nonostante Kagome avesse già fatto da intermediario.
Davanti alla grande tenda dove fu condotto c’erano due guardie apache, che non sembravano contente di trovarlo così vicino al loro capo.
Kagome cercò di sorridere ai due e quell’aria dolce sembrò intenerire i loro sguardi furiosi. La lasciarono entrare scostando le tende, senza però smettere di osservare Inuyasha con sospetto.
Quando entrarono l’odore acre di fumo e di spezie lo prese alla gola. Le pelli della tenda ne sembravano completamente impregnate e il fumo che si alzava dal falò posto al centro della tenda gli bruciava terribilmente gli occhi.
Si trovò davanti al capo Apache, il quale era un imponente uomo ben più alto di lui. Kagome gli fece cenno di inchinarsi e lui, anche se riluttante, lo fece.
Il capo tribù cominciò a camminargli intorno, come facevano i lupi davanti alle loro prede.
Inuyasha cercò di sostenere lo sguardo dell’uomo, senza sapere se quello che stava facendo fosse un bene o un male.
- Vedo il fuoco nei tuoi occhi – sentenziò l’uomo.
Inuyasha si stupì nell’apprendere che anche Ahiga parlava la sua lingua e lui sembrò notare la sua espressione sconcertata.
- Per vincere, è necessario conoscere il tuo avversario in ogni sua sfaccettatura, e la vostra lingua è una di queste -.
Invitò il ragazzo a sedersi e prima che anche Kagome potesse accomodarsi, la fermò.
- Tu vai con le altre donne al fiume, questa è una conversazione tra me e il viso pallido e non è richiesta la tua presenza,  giovane Kagome – ordinò serio Ahiga.
Kagome si rese conto che il suo sguardo non ammetteva repliche e si ritirò con un inchino della testa, riservando uno sguardo dolce e confortante ad Inuyasha.
Questo ricambiò il sorriso, ma fu ben presto spento non appena notò l’aria seria dell’uomo che aveva di fronte.
- Conosco quello sguardo – sussurrò. – E’ lo stesso che la mia amata compagna riserva a me ogni mattina -.
Inuyasha si sentì messo alle strette. – Non è come pensa -.
Ahiga scoppiò in una fragorosa risata. – Ho vissuto abbastanza su questa terra per sapere quello che dico, giovane americano -.
Quella voce così profonda e seria ricordava al ragazzo quella di suo padre e la cosa non lo metteva di certo a suo agio.
- Ho interpellato il mio sciamano, riguardo a te – cominciò il capo Apache, mentre prendeva da terra una tazza di argilla, contenente probabilmente qualche loro particolare bevanda.
Inuyasha cercò di non mostrare la sua agitazione. – Spero di non aver deluso le vostre aspettative -.
Il capo poggiò di nuovo la tazza a terra e si pulì le labbra con il dorso della mano.
- Al contrario – cominciò. – Sei esattamente quello che mi aspettavo. Un soldato bianco, che ha aiutato nell’usurpare le terre che ci spettano per nascita. Eppure, nonostante tu sia un assassino, sei uno dei pochi bianchi in cui ho visto pietà -.
- Come fa a sapere tutto questo di me? – mormorò Inuyasha sbalordito.
- Voi bianchi non conoscete la vera fede che ci lega a questa terra e per questo non potete capire come noi comunichiamo con gli spiriti che la popolano, quindi non chiedere ciò che non puoi comprendere – sentenziò serio. – Comunque so che spesso hai risparmiato guerrieri in battaglia, permettendogli di fuggire. Kagome non è la prima persona che salvi da un orribile destino -.
Inuyasha abbassò lo sguardo. Non si era arruolato come soldato nei forti per questo motivo. Era capace di uccidere chi lo attaccava per primo, ma mai sarebbe riuscito a togliere la vita ad una donna o a un bambino. Da questo derivava la sua decisione di proteggere solo Forest County e di aiutare i soldati nelle trattative con le varie tribù, anche se sapeva che i trattati di pace non erano quasi mai rispettati.
Ahiga notò la cupezza che si stava formando nello sguardo del giovane e provò un moto di compassione nei suoi confronti. Per quanto odiasse quegli invasori, sapeva bene che molti giovani decidevano di combattere perché non avevano altra scelta, e lui gli sembrava uno di quelli.
- In ogni caso, ho già deciso che ti risparmierò la vita. Hai comunque protetto la nipote della divina sciamana Kaede a rischio della tua e per questo ti rispetto. Potrai rimanere qui per il tempo che riterrai opportuno -.
Inuyasha sgranò gli occhi per lo stupore. – Posso davvero restare? –
Ahiga si alzò in piedi, facendogli cenno di dirigersi verso l’uscita. Per quanto quell’uomo fosse stato magnanimo nei suoi confronti, non sembrava gradire particolarmente la sua compagnia.
- Noi siamo diversi dai mostri che ci dipingono; siamo molto più umani di molti di voi. Proprio per questo voglio che tu veda chi siamo e che racconti alla tua gente, quanto siamo più umani di loro -.
Rimase imbambolato fuori dalla tenda, mentre nel suo cuore si continuava ad alternare frustrazione e delusione. In pochi minuti si era ritrovato di fronte ad una realtà a lui completamente oscura fino a quel momento. Pensava che Kagome fosse un caso isolato, invece lei era una dei tanti indiani che vivevano nella comprensione.
Si allontanò di qualche passo, vagando in giro senza una vera e propria meta, mentre nella sua testa si affollavano milioni di domande senza alcuna risposta.
La delusione e la frustrazione che provava nell’aver capito troppo tardi quelle persone lo stavano completamente consumando. Se solo avesse saputo prima tutto quanto forse non sarebbe diventato la persona che era, o forse non avrebbe ucciso così a cuor leggero. La colpa che sentiva nel cuore gli pesava come un macigno, andando ad aggiungersi ai dolori del suo passato.
Cosa poteva fare? Come poteva rimediare?
Scacciò il pensiero. Lui non poteva saperlo, non poteva rendersi conto di tutte le bugie che gli erano state raccontate nel corso della sua vita, anche se questa giustificazione non riusciva a consolarlo.
Camminò ancora, cercando il modo per poter redimere quella coscienza che sentiva così sporca e pesante. Non riusciva a sopportare bene quella situazione; forse se non avesse mai salvato Kagome non sarebbe mai successo nulla e lui avrebbe potuto continuare a vivere in quell’ignoranza che fino a quel momento gli aveva portato almeno meno dolore di quello che stava provando in quel momento.
Si pentì immediatamente di aver fatto quell’orribile pensiero. Lui era felice di aver salvato Kagome, lei aveva placato la sofferenza che si era portato dentro e gli aveva insegnato molto. Forse gli Apache avevano ragione, esistevano davvero degli spiriti che governavano il mondo e facevano in modo che tutto fosse una grande armonia e potevano essere davvero stati loro ad aver messo Kagome sul suo cammino per salvarlo.
Mentre procedeva a passo svelto si rese conto di essere ormai al limite della tribù. Il villaggio si estendeva lungo lo spiazzo che si era andato a creare tra le montagne circondate dal verde. Era ormai da giorni che vedeva solo il deserto e quel nuovo panorama lo rincuorò. Gli alberi svettavano lungo il cielo quasi a volerlo toccare, il profumo dell’erba era più intenso di quanto avesse mai sentito e i colori della natura lo colpivano vividi. Il villaggio si era insediato in mezzo a quella radura senza però nuocere all’ambiente circostante. Sarebbe potuto camminare a piedi scalzi, dato che a terra per chilometri si poteva vedere solo prato verde e rigoglioso. La donne della tribù erano per lo più impegnate nell’intrecciare cesti e tornare con varie cataste di legno, mentre i pochi uomini che non erano andati a caccia sorvegliavano le loro compagne.
Mentre camminava notava gli sguardi un po’ intimoriti delle giovani, sguardo che in Kagome aveva visto raramente. Tutte quelle occhiate lo costrinsero ad aumentare il passo, arrivando finalmente all’esterno dell’accampamento di tende da cui era circondato. Qui vi si trova un luogo adibito apposta per i cavalli, tra cui riconobbe immediatamente quello che lo aveva accompagnato in quei giorni di viaggio. Dall’altro lato invece era stato coltivato un vasto campo di mais rigoglioso e pieno di donne intente a lavorare. Proprio davanti a lui si estendeva un’immensa vallata, così grande da potervisi perdere lo sguardo. Il fiume scorreva limpido e azzurro verso una direzione nascosta ai suoi occhi, perdendosi nel folto dei boschi. Dall’altra parte dell’acqua vi era una zona boscosa ancora più fitta e scura, ma dall’aspetto sempre affascinante e fresco.
Il suo sguardo ci mise poco a posarsi dalla natura a Kagome. Era al fiume e stava aiutando un’altra ragazza a tirare la rete da pesca a riva. Nonostante lo sforzo che le si era dipinto sul volto, lui la trovava sempre affascinante e bella.
Le si avvicinò cauto, ma lo sguardo terrorizzato della sua giovane amica dovette tradirlo, perché Kagome si era già voltata verso di lui.
Mormorò qualcosa alla ragazza e questa sembrò improvvisamente calmarsi e salutò Inuyasha con un sorriso allegro. Lui cercò di ricambiare nel modo più dolce possibile.
Kagome era felice come non mai. Inuyasha era stato risparmiato e a quanto pare la voce delle sue gesta si era propagata per tutto il villaggio. Ora la gente lo guardava con i suoi occhi e questo le riempiva il cuore di gioia.
Inuyasha la seguiva tra le capanne, continuando a guardarsi intorno incuriosito.
Improvvisamente fu quasi investito da un bambino che correva felice continuando a gridare.
- Woyute! Woyute! -.
Kagome cominciò a ridere e Inuyasha inizò a pensare che quello fosse uno strano insulto nella loro lingua.
- Ehi, mi stava per caso prendendo in giro? – mugugnò questo.
Kagome alzò gli occhi al cielo. – Woyute vuol dire cibo. Stava correndo a casa a mangiare – ridacchiò.
Inuyasha si sentì uno stupido per aver fatto una figura simile. Non doveva mettersi in allarme per così poco, dopotutto quello era solo un  bambino.
In effetti per tutto il villaggio si spargeva un profumo delizioso e continuando a camminare trovarono il piccolo intento a mangiare una zuppa fuori da una tenda insieme ad un’anziana signora dalle trecce bianche.
Questa inaspettatamente gli sorrise e prese una delle ciotole che erano a terra vicino a lei, versandoci dentro della zuppa e porgendogliela gentilmente.
- Yazoke – esordì questa, sempre con un sorriso sdentato stampato in volto.
Inuyasha prese la ciotola e guardò Kagome, cercando disperatamente una traduzione.
- Vuole che assaggi la sua zuppa – sorrise lei.
Inuyasha cercò di sorriderle a sua volta. Aveva un buon sapore, anche se le spezie gli bruciavano terribilmente la lingua.
- Come la ringrazio? – chiese Inuyasha.
- Grazie si dice pilamaye – rispose.
Inuyasha cercò disperatamente di ripetere la frase. – Pilamamaya –.
Sia Kagome che la donna anziana si misero a ridere di gusto nel sentire quella parola e Inuyasha si rese conto che doveva aver completamente sbagliato.
- Pilamaye – ripete Kagome.
- Pila..pilamay…ah è troppo difficile!- sbuffò questo.
Le due risero ancora più forte di quanto non stessero facendo prima. Fu Kagome a prendere l’iniziativa e spiegare alla donna che Inuyasha non parlava la loro lingua e questa capì immediatamente.
Era affascinante per Inuyasha vederla alle prese con la vita che la giovane conduceva ogni giorno. La vedeva muoversi sicura tra le vie del villaggio e salutare cordialmente ogni persona che incontrava. Questi ricambiavano di buon grado il suo sorriso e rispondevano amichevolmente. In quel momento guardavano anche lui in modo diverso e gli sorridevano.
Mai aveva trovato tanta gioia e tanta pace nella sua terra. Le persone erano molto diverse e molto più formali. Soprattutto nessuno avrebbe mai accolto uno straniero in quel modo.
Uno dei giovani del villaggio fermò Kagome ed iniziò a parlarle.
Lo sguardo con cui la osservava era abbastanza eloquente e si rese conto che questo dentro di lui provocava un moto di gelosia quasi impossibile da controllare. Cominciò a muovere nervosamente le dita, cercando comunque di mantenere un minimo di contegno almeno di fronte al giovane apache; mai si sarebbe azzardato a rivelare i sentimenti di quel momento.
 Kagome si rese comunque conto che qualcosa non andava e appena si furono allontanati gli spiegò quello che era appena successo.
- Mi ha chiesto soltanto se domani posso andare a prendere della legna, non devi fare quella faccia – scherzò.
Inuyasha, sentendosi punto nel vivo, cambiò subito argomento.
- Si sta facendo sera, cosa fate di solito a quest’ora? – le domandò.
Kagome per qualche istante si fece scura in volto e il giovane americano si diede dello stupido. Le aveva riportato alla mente i ricordi del suo villaggio che proprio lui aveva aiutato a distruggere, perché non rifletteva mai prima di parlare?
- Mi dispiace, non dovevo chiedertelo – mormorò.
La giovane cercò di riprendersi e tornò a sorridere, oggi doveva essere un giorno di festa, non di dolore.
Lo prese di nuovo per mano, rendendosi conto che quel gesto era ormai così naturale da non destarle più neanche un pizzico di vergogna.
Condusse Inuyasha di nuovo vicino al fiume. Le donne e gli uomini si erano ormai ritirati nelle loro tende per cenare tutti insieme e quel luogo era silenzioso e calmo.
Il tramonto stava cominciando ad arrossare il cielo, mentre gli ultimi raggi di sole sbucavano da dietro gli alberi illuminando il fiume di un azzurro limpido e intenso.
Kagome invitò Inuyasha a sedersi sulla riva del fiume insieme a lei, mentre cominciava a levarsi le scarpe per infilare i piedi minuti nell’acqua fredda.
Inuyasha osservò ogni suo movimento rapito. Ogni cosa che faceva per lui nascondeva una grazia ben maggiore di tutte le dame di corte che aveva incontrato. I loro gesti erano meccanici e dettati da etichette rigide e primitive. Kagome nella sua naturalezza nascondeva più fascino di qualunque altra donna.
- Con mia nonna spesso mi fermavo a guardare il tramonto e respirare l’aria della sera, diceva che questo è il momento in cui gli spiriti sono più felici – disse sorridente.
- E come mai dovrebbero? – chiese Inuyasha, senza mettere nella frase l’ironia con cui era solito fare quelle domande.
Kagome ne fu colpita e allo stesso tempo felice e non perse tempo nel spiegarlo.
- Perché da nessuna parte si possono trovare questi colori e questa pace. Le creature del giorno si addormentano e quelle della notte si destano e tutto continua il suo ciclo; non sembra anche a te di essere più felice adesso? -.
Inuyasha era sì più felice, ma soltanto perché aveva lei acconto a sé. Si avvicinò alla giovane con lentezza, come se fosse un animale selvatico da non spaventare. Quando le fu abbastanza vicino le sfiorò la mano con la sua e fu felice nel vedere che lei non si scostava. Notò che le sue gote erano diventato più rosee, ma il suo sorriso si era fatto ancora più dolce.
Rimasero così fino a tarda sera, cullati dagli ultimi raggi del sole e accolti dai tiepidi raggi della luna.
 
 
Eccomi qua!
Sì, mi sono divertita a farvi pensare che i nemici che avevano attaccato Inuyasha fossero Koga e i suoi compagni e invece…no :P
Ho deciso che volevo dedicare questo capitolo a una delle mie coppie preferite e spero che abbiate gradito questa piccola parentesi prima di riprendere la storia ^.^
Grazie ad Alien19 mi sono ispirata alla storia della divisione tra i Kiowa e i Lipan, entrambi di origini Apache e per questo ho pensato che in qualche modo avessero tenuto dei “contatti” tra loro :).
Insomma, grazie a tutti quanti per la pazienza nel seguire sempre la mia storia!
Un bacione enorme a tutti quanti :*

Silvia

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Capitolo 13
*** Delicata ***


Rin era furibonda; quel pazzo di suo fratello era andato a prendere Inuyasha insieme a Sango, lasciandole solo un biglietto per avvertirla.
Come se non bastasse, le era appena stato consegnato un telegramma da parte di Inuyasha, che diceva che si era rimesso in viaggio e che stava tornando.
Era una situazione comica e allo stesso tempo tragica e oltretutto non poteva neanche provare a raggiungere il fratello, dato che non ci sarebbe stato nessuno a prendersi cura dell’albergo e del bestiame.
Si passò le mani sul viso, cercando di riprendere la calma ormai quasi del tutto persa.
Era seduta all’esterno dell’albergo sulle scalette, dove qualche sera prima lei e Sesshomaru erano rimasti in silenzio fino a tarda notte, mentre le loro dita continuavano a cercarsi.
Al caldo della giornata si aggiunse la vampata di calore che la invase al solo pensiero. Si alzò in piedi e si sistemò la lunga gonna di lino, cercando di ricomporsi.
Non era il momento di farsi prendere dallo sconforto. Avrebbe mandato il giovane Shippo a badare alle bestie, mentre lei sarebbe rimasta a rassettare le stanze.
Andò di corsa verso la capanna dove il giovane viveva con i nonni e questo fu ben felice di aiutare e si mise subito in marcia per portare le mucche al pascolo.
Rin tornò dentro, gli anziani signori Myoga e Totosai si erano già diretti al Saloon e lei ne approfittò per cominciare a sistemare quelle due stanze.
Prese le coperte sporche e ne mise delle nuove, depositando le altre in una cesta di vimini. Subito dopo cominciò a spazzare in terra e levare la sabbia che gli stivali dei due uomini avevano portato.
- Ma gli costerebbe tanto sbatterli all’uscio? – sibilò tra sé e sé, mentre si dannava per levare la sabbia.
- Non tutti conoscono le buone maniere – esordì una voce familiare alle sue spalle.
Si girò talmente velocemente da far cadere la cesta a terra e rovesciandone il contenuto.  Si accucciò velocemente a terra per recuperare la biancheria e anche il giovane fece lo stesso per aiutarla.
Le loro mani si ritrovarono di nuovo unite in un contatto di fuoco, tanto che i due rimasero inebetiti per qualche secondo a fissarsi.
Rin fu la prima a riprendere il controllo e si tirò in piedi, cercando di ridarsi un contengo.
- Mi dispiace, ma come vedete sono molto indaffarata, devo rimettermi al lavoro – mormorò.
Sesshomaru rimase a fissarla da terra, con addosso una strana sensazione che solo poche volte aveva provato nella sua vita.
Rin lo lasciò nella stanza, ma prima che potesse andare via lui la fermò.
- Ripartiremo questo pomeriggio – le sussurrò. – Non dovrete più preoccuparvi di rassettare le nostre stanze -.
Quelle parole per Rin furono una pugnalata dritta al cuore. Lui sarebbe andato via e non lo avrebbe mai più rivisto. Sapeva bene che dopo il loro arrivo a Washington sarebbero sicuramente ripartiti da qualche porto più vicino di quello di Jamestown e quindi quegli occhi ambrati sarebbero diventati solo un pallido ricordo di quei giorni così strani.
Fu costretta ad abbassare lo sguardo, non riusciva a guardarlo negli occhi. 
Prese un profondo respiro e allungò la mano verso di lui.
- E’ stato un piacere conoscerla allora, Lord Taisho – mormorò.
Sesshomaru rimase interdetto, sapeva che avrebbe dovuto porgergli la mano e stringerla, ma il suo irrefrenabile istinto ebbe il sopravvento.
La prese e si strinse quella minuta mano tra la sua e si sporse per baciarla. Le sue labbra indugiarono più del necessario su quello schivo lembo di pelle e nel frattempo inalò il profumo fresco della giovane, nel disperato tentativo di imprimerlo per sempre nella sua mente.
- Arrivederci, Rin -.
Sentire pronunciare il suo nome, quel casto bacio, quegli occhi. No, non riusciva più a trattenere la tristezza e così scese di corsa le scale per andare al fiume.
Sesshomaru rimase immobile. Il suo cuore gli urlava di seguirla, ma ormai era fin troppo abituato a cercare di reprimere i suoi sentimenti e così decise di guardarla andare via.
- Sesshomaru -.
La voce di suo padre lo riportò alla realtà e cercò di nascondere l’espressione di rammarico che lo aveva attanagliato in quel momento.
Nonostante i suoi sforzi, Lord Taisho conosceva fin troppo bene suo figlio e si lasciò sfuggire un sorriso divertito.
- Il mio figlio maggiore, il Lord sempre così freddo, si è per caso lasciato turbare da una giovane locandiera? – mormorò sorridente.
Sesshomaru lo fulminò con lo sguardo. – Non voglio intraprendere questa conversazione con voi, gradirei solo partire il prima possibile -.
Lord Taisho sapeva fin troppo bene che il figlio non amava lasciarsi andare alle emozioni e per questo cercare di parlargli in modo diretto sarebbe stato inutile. Desiderava che Sesshomaru provasse la gioia di avere accanto una persona con la quale poter essere se stessi, senza dover sottostare alle etichette imposte dalla corte inglese. Nutriva poche speranze per quel suo figlio maggiore, ma da quando lo aveva visto insieme a Rin qualche notte prima, aveva capito che le sue preghiere erano state esaudite. Ora doveva solo trovare il modo per farlo restare con lei il tempo necessario da far cedere per sempre quella barriera che si era costruito intorno. Confidava che la giovane ci sarebbe riuscita.
L’uomo prese un profondo respiro e si sistemò la giacca sulle spalle.
- Come sai questo pomeriggio dobbiamo ripartire, abbiam già tardato troppo a causa della scomparsa di tuo fratello -.
Sesshomaru non riuscì a nascondere la smorfia che gli increspò le labbra rosee, sapeva perfettamente che suo padre aveva sperato che Inuyasha tornasse prima della loro partenza, in modo così da ricostruire il rapporto con quel figlio ingrato.
- So che non ami tuo fratello e di questo me ne rammarico. Era mio dovere cercare di costruire tra voi un rapporto di affetto, ma a causa dei miei errori passati non ci sono riuscito -.
- Non trattenetemi con questi discorsi inutili – lo tagliò di colpo il figlio. – Se non vi dispiace andrò a fare i bagagli -.
Lord Taisho fermò il figlio poggiandogli con forza una mano sulla spalla.
- Quello che ti stavo dicendo, è che desidero che tu rimanga. Voglio che almeno uno di noi sia presente al ritorno di tuo fratello. Come sai io non posso sottrarmi ai miei doveri burocratici, ma il consiglio capirà il motivo della vostra permanenza a Forest County -.
Per la prima volta in vita sua Sesshomaru non riuscì a controbattere. Non era felice di rimanere per suo fratello, ma solo perché in questo modo il momento dell’addio a Rin si sarebbe ritardato ancora. Odiava ammetterlo, ma rimanere lo riempiva di gioia.
Abbassò il capo in segno di saluto. – Allora, buon viaggio padre -.
 
Byakuya era rimasto appostato nei pressi del villaggio Apache che i due avevano raggiunto la notte prima. Sperava che gli indiani avrebbero fatto il lavoro al posto loro, ma questo non era accaduto. Il giovane Taisho era stato risparmiato a causa di quella piccola indiana e ora il piano di Naraku stava andando a monte per colpa sua.
In quel momento si trovava su un albero e sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare ora.
Chiamò il suo fedele falco addomesticato. In quel momento Naraku si stava sicuramente dirigendo a Washington per andare a presidiare a quei noiosi colloqui tra i vari governatori e Lord.
Scrisse velocemente un messaggio per avvertire il suo padrone del fallimento del loro piano. Sapeva che questo lo avrebbe mandato su tutte le furie, ma anche che il suo padrone non si sarebbe fatto prendere facilmente dallo sconforto e che presto o tardi avrebbe trovato il modo per portare a termine la sua vendetta.
Dopo aver lasciato volare via il suo amato falco e scese dall’albero per rimettersi in cammino verso il luogo dove aveva lasciato il cavallo.
Presto o tardi, Inuyasha Taisho sarebbe morto e lui e Naraku avrebbero sorriso sopra il suo cadavere.
 
Quel mattino Inuyasha si svegliò sempre nella tenda dei prigionieri. Per quanto gli Apache si fossero dimostrati magnanimi nei suoi confronti, non erano ancora così tranquilli da costruire una tenda per lui.
Il capo villaggio aveva detto che potevano rimanere per tutto il tempo necessario a riprendersi dalla ferite e appena se la fossero sentita si sarebbero rimessi in viaggio. In realtà lui sarebbe voluto rimanere solo per poter godere ancora della compagnia di Kagome.
Non vedeva l’ora di potersi perdere di nuovo in quei suoi profondi occhi scuri. Si alzò in piedi e uscì dalla tenda.
Già al mattino le donne erano al lavoro per procurarsi la legna, coltivare e prendersi cura dei bambini. Alle prime luci dell’alba erano già tutti in fermento.
Nonostante il poco che avevano, tutti erano allegri e sorridenti. I bambini giocavano come non aveva mai visto nella sua città. Già da molto piccoli dalle sue parti si dovevano fare i conti con la fame e la necessità di procurarsi un lavoro. Lì invece i giovani erano coccolati dalla madri e dai padri, che sembravano estasiati alla vista di quei corpi minuti che saltavano e ridevano.
Forse se anche lui fosse cresciuto circondato da quegli affetti non avrebbe mai intrapreso strade così piene di sangue e rovina.
Passeggiò a lungo. Ormai era diventato parte del paesaggio e la curiosità degli sguardi del giorno prima aveva lasciato spazio all’abitudine. Nessuno si preoccupava più di osservare ogni sua mossa, dato che ormai si era sparsa la voce della sua impresa per salvare Kagome.
In realtà non era lui che dovevano ammirare. Kagome lo aveva salvato in un modo molto più profondo. Gli aveva mostrato con pazienza una realtà diversa, che per lui era stata così difficile da affrontare. Ora che però aveva accettato nel suo cuore la possibilità di una vita differente, si sentiva in pace con se stesso. Forse era vero che tutto era una grande armonia e che solo facendone parte si poteva vivere in pace.
Si mosse a lungo senza una meta, fino a quando in lontananza non la vide. Stava sitemando la legna in fasce insieme alle sue compagne.
Rimase immobile a fissarla a lungo, senza riuscire ad allontanare lo sguardo da lei. Gocce di sudore le imperlavano la fronte, facendola quasi risplendere.
Non ci volle molto perché Kagome lo notasse e lo accolse con un grandissimo sorriso.
- Inuyasha! – esclamò allegra, salutandolo con la mano.
Non appena la raggiunse si rese conto che molte donne lo stavano osservando e questo fece ingelosire la giovane indiana, che lo prese sotto braccio e lo portò verso il fiume.
Camminarono in silenzio, fino a quando Inuyasha parlò.
- Il tuo sposo sarà in pensiero -.
Non capì come mai gli fosse venuto in mente proprio in quel momento una frase del genere, ma era una domanda che lo aveva tormentato per tutta la notte. Il pensiero che prima o poi Kagome sarebbe dovuta tornare da lui lo mandava in bestia.
Il volto della ragazza si incupì e lui per l’ennesima volta si sentì uno sciocco. Proprio non era capace a tenere quella sua boccaccia chiusa una volta tanto!
Kagome, invece, abbandonò la gioia che l’aveva invasa fino a poco prima. Presto o tardi Koga l’avrebbe trovata e lei sarebbe stata costretta a tornare a casa per sposarsi. Non poteva sottrarsi alla promessa fatta e lo sapeva fin troppo bene; un capo del villaggio dei domatori di lupi non avrebbe mai accettato un rifiuto.
Era vero che provava affetto nei confronti di Koga, che si era dimostrato fin da subito gentile e premuroso con lei, però con Inuyasha era tutto diverso. Sentiva che quando erano insieme il suo spirito danzava in un modo completamente diverso e quando si sfioravano, il suo cuore cominciava a palpitare.
Avrebbe voluto poter fuggire, fingersi morta e andare lontano, ma sapeva che non avrebbe mai funzionato. Koga l’avrebbe trovata anche in capo al mondo e comunque, dove sarebbe potuta andare?
- Scusami, non volevo angustiarti – mormorò il giovane, cercando di guardare altrove.
Kagome cercò di tornare a sorridere, finché poteva voleva godersi quella gioia e goderne fino a quanto più possibile.
- Credo che lo sia – rispose frettolosamente. – E tu? Hai già una promessa sposa? -.
Inuyasha si fece improvvisamente rosso in viso. Aveva avuto modo di godere della compagnia femminile in passato, ma mai per lunghi periodi. Ora che ci rifletteva, non aveva mai pensato a lui come marito o padre, si era sempre visto solo come un semplice uomo dedito all’avventura.
- Ehm, no – biascicò. – Da noi non funziona esattamente come da voi -.
- E come funziona? – domandò curiosa, mentre continuavano a passeggiare lungo il fiume.
Inuyasha si fece paonazzo, non poteva certo raccontarle del fatto che aveva avuto alcune avventurare con le donne dei Saloon e che non aveva mai avuto una vera e propria relazione con una donna, lo avrebbe preso per un maniaco.
- Beh sai, da noi ci si conosce e poi le cose…si evolvono – rispose frettolosamente. – E’ vero che molte donne sono promesse spose come da voi, ma per esempio mia sorella potrà scegliere il proprio compagno -.
- Hai una sorella? – esclamò estasiata. – E da voi le donne come vivono? Come fanno a conoscere i loro uomini? E come fanno a sapere quando sposarsi? E la famiglia accetta tutto questo? -.
- Ehi! Quante domande! – borbottò. – Non me ne ricordo già la metà -.
Kagome si fece paonazza. – Ti chiedo scusa, mia nonna mi diceva sempre che riverso addosso a tutti parole come fa l’acqua nei torrenti -.
In realtà a Inuyasha quella curiosità piaceva molto. Avrebbe voluto farle conoscere Rin, sarebbero sicuramente andate d’accordo. Il pensiero che non sarebbe mai riuscito a mostrargli la parte migliore del suo mondo lo faceva stare male, lei non sarebbe mai stata accolta nello stesso modo in cui i suoi compatrioti avevano fatto con lui. L’avrebbero evitata o peggio, cacciata in malo modo. Non avrebbe mai permesso che qualcuno la trattasse in quel modo e per questo motivo non avrebbe mai potuto fargli vedere i luoghi in cui era nato e dove aveva giocato.
Per molto tempo camminarono fianco a fianco in silenzio, forse perché entrambi ormai si erano talmente tanto abituati alla presenza l’uno dell’altro che non erano più necessarie le parole.
Kagome era estremamente felice di averlo accanto e di potergli mostrare come viveva e ora voleva anche fargli vedere che la loro civiltà non era basata solo sul lavoro, ma anche sugli svaghi che aveva quando era al suo villaggio.
Lo trascinò per una strada impervia fino in cima ad una delle colline verdi che circondavano la zona. Da quel punto non si poteva minimamente udire il vociare del villaggio, ma solo i rumori della natura in fiore. Il verde degli alberi era quasi accecante, mentre gli uccelli pigolavano allegri volando tra le fronde. Qualche lieve fruscio tra gli arbusti rivelava la presenza di una fauna ricca e florida.
Inuyasha si lasciò trasportare dai profumi e dagli odori che lo inebriavano e lo circondavano come un caldo abbraccio. I suoi occhi si perdevano in quella vastità di colori e forme che raramente si era soffermato ad osservare nella sua vita. Non riusciva a smettere di guardare il cielo, che non gli era mai sembrato così azzurro.
Kagome lo guardava contenta. Era felice che finalmente Inuyasha concedesse al suo spirito di liberarsi e di ricongiungersi con il mondo intorno a lui. Desiderava che sperimentasse la gioia che invadeva ogni uomo quando trovava il suo posto nel mondo e nel cerchio di quell’immensa esistenza che non si poteva fermare.
- E’ un posto bellissimo – mormorò il giovane, senza riuscire a staccare gli occhi dal cielo.
Kagome gli sorrise. – Mia nonna mi raccontava che una volta quasi ogni luogo aveva questo aspetto, però poi… -, si fermò di colpo.
La giovane ricordava fin troppo bene la reazione che aveva avuto Inuyasha quando aveva insultato il suo popolo e non voleva certo ripetere l’esperienza.
- Sono arrivati gli americani, e le cose sono cambiate -, il cowboy finì la frase al posto dell’indiana.
Il suo sguardo si incupì e Kagome cercò immediatamente di cambiare argomento.
Lo prese per mano e lo condusse sempre più al centro della boscaglia, dato che da lontano poteva sentire il rumore dell’acqua e sapeva bene cosa significasse quel suono.
Inuyasha la seguiva rapito, scoprendosi molto più agile di un tempo. Dopo tutti quei giorni di cammino si era abituato a camminare in mezzo alle sterpaglie e tra i folti rami.
La corsa della giovane si arrestò di colpo e Inuyasha si ritrovò in un enorme spiazzo che dava su uno strapiombo. Accanto a loro una cascata si riversava nel fiume sotto di loro.
L’acqua rifletteva i colori del sole e degli alberi ed era talmente tanto limpida che anche da quell’altezza si potevano distinguere le sagome dei sassi che ricoprivano il fondale. In lontananza si riuscivano anche a scorgere i fumi che provenivano dal villaggio da cui erano partiti.
Per tutto quel tragitto era stato così bene che non si era reso conto di quanto effettivamente si fossero allontanati. Il sole si stava lentamente abbassando e stava quasi per toccare le montagne lontane.
Il cuore di Inuyasha fece un balzo al pensiero che proprio dietro quelle montagne a ovest, aveva conosciuto Kagome.
- Dovremmo tornare – esordì Kagome. – Stasera si festeggia il passaggio da ragazzi a cacciatori di molti giovani -.
Inuyasha guardò la strada che scendeva non molto lontano dalla cascata. Era ripida e dissestata e anche le radici degli alberi sembravano rischiare di staccarsi dal suolo dove erano ancorate. Era impensabile scendere da quella parte.
- Non so se faremo in tempo – disse. – Se ci abbiamo messo così tanto ad arrivare, la strada del ritorno richiederà più o meno lo stesso tempo -.
Sul viso della giovane comparve un sorriso strano, che in qualche modo inquietò non poco il giovane americano.
- Chi dice di tornare a piedi? – domandò, guardando nella direzione del fiume.
Inuyasha spalancò gli occhi e cercò di trattenere la mascelle che improvvisamente sembrava essersi fatta sempre più pesante.
- Ma vuoi scherzare? – sbottò. – Se gli uomini fossero stati fatti per volare, a quest’ora avrei delle penne sulle braccia! -.
Kagome cominciò a ridere. – Oh avanti! Così grande e grosso e così spaventato? -.
- Smettila di ridere! – borbottò il giovane, incrociando le braccia. – Sta di fatto che io non salto! -.
Fu a quel punto che Kagome gli prese la mano, in un modo così dolce che la paura di saltare svanì completamente.
- Fidati di me, come io mi sono fidata di te – mormorò.
Una lieve brezza cominciò a soffiare e i capelli della giovane cominciarono ad essere mossi dal vento. Inuyasha improvvisamente non riusciva più a pensare alla paura di saltare, ma solo a quanto stesse bene insieme a lei. Aveva già capito quanto Kagome lo avesse profondamente cambiato in meglio, ma solo ora si rendeva conto di quanto la sua presenza fosse indispensabile nella sua vita. Quei sorrisi sinceri, che mai aveva trovato in vita sua in altre persone, gli riempivano il cuore di gioia che raramente aveva provato. Avrebbe potuto perdersi a guardarla per ore e non si sarebbe mai stancato di guardare ogni lineamento. Ogni piega del sorriso, il rosa di quelle labbra, la profondità di quegli occhi.
Era così concentrato a guardarla che non si era neanche accorto di essersi avvicinato al bordo del precipizio. Lo scrosciare cruento dell’acqua era solo un flebile sussurro nella sua mente, che ormai era pervasa solo dall’immagine della giovane indiana.
Kagome non disse nulla, non poteva dire qualcosa perché ora lui sembrava in pace e riconciliato con tutto e se avesse provato anche solo a dire una sillaba forse lui avrebbe cambiato idea e non si sarebbe tuffato.
Strinse forte la sua mano e con un forte strattone lo fece saltare. Sentì la terra mancarle da sotto i piedi e il cuore finirle in gola. Già da quando era piccola era abituata a quei tuffi e la sensazione dell’aria che le sferzava il viso la riportò indietro di tantissimi anni, a quando ancora i suoi genitori erano vivi. L’unica cosa che interruppe quel momento idilliaco furono gli improperi di Inuyasha.
Il povero ragazzo aveva sentito la nausea montargli fin da quando si erano appena lanciati. Aveva chiuso gli occhi e imprecato con tutta la sua anima.
Il salto gli sembrò durare un’eternità, ma neanche quando il suo corpo aveva impattato con l’acqua gelida la mano di Kagome aveva lasciato la sua e questo lo aveva reso in qualche modo più forte e sicuro.
Quando riemersero entrambi i loro cuori battevano fortissimo e l’adrenalina era a mille.
- Sei pazza?!? Potevi dirmi di che volevi già saltare! – sbraitò il ragazzo.
I capelli zuppi gli ricadevano davanti alla faccia  e a Kagome ricordò tantissimo un cucciolo di lupo zuppo che aveva visto qualche anno prima. Si avvicinò e gli spostò i capelli, ma quel contatto e quella vicinanza le procurò una scossa elettrica ormai familiare quando stava con lui, ma che comunque le procuravano una sensazione di tremore.
Inuyasha non riusciva a guardare altrove se non verso quelle labbra. Il desiderio di baciarle era così intenso che non si rese neanche conto che si stava avvicinando sempre di più.
Kagome sapeva che presto le loro labbra si sarebbero incrociate e che niente al mondo le sarebbe piaciuto di più che sentirne il calore, ma il suo buonsenso glielo impediva. Koga non avrebbe risparmiato un tradimento di quel tipo. Era una brava persona, ma era pur sempre un capo tribù.
Appoggiò una mano sul petto di Inuyasha per fermarlo, anche se quel gesto la riempiva di dolore.
- Dovremmo andare, il sole tra poco sparirà – mormorò, cercando di nascondere la tristezza.
Inuyasha avrebbe voluto prenderla e baciarla lo stesso e poter godere della sensazione di quel corpo attaccato al suo, ma lei era troppo. Lei era qualcosa di delicato che non andava preso con la forza, ma conquistato con dolcezza e se avesse fatto quello che voleva avrebbe potuto perderla per sempre.
Tornarono al villaggio in silenzio, mentre nell’aria aleggiavano le parole che non riuscivano a dirsi.
 
 
Miroku e Sango avevano viaggiato ininterrottamente per molte notti, Sango non si voleva fermare per nessun motivo al mondo e per fortuna il suo compagno di viaggio conosceva parecchie scorciatoie. Avevano evitato di passare per i boschi e avevano tirato dritto nella zona delle monorotaie e il loro viaggio era durato solo pochi giorni.
Sango si stringeva alla schiena del giovane e si beava della sensazione di averlo accanto. Si erano fermati per pochissimo tempo e praticamente le loro conversazioni si erano ridotte al minimo.
Quella sera quel bacio aveva parlato per entrambi e non c’era più nulla da dirsi. L’unica paura della giovane era il come avrebbero vissuto dopo quell’avventura, ma ora lei voleva solo godersi quello sprazzo di gioia che gli era stato donato, perché le faceva troppo male pensare al futuro.
Miroku, invece, era sicuro della sua scelta. Non avrebbe permesso che gli portassero via la sua Sango e sarebbe anche andato a vivere in mezzo agli indiani se lei lo avesse desiderato, anche se in cuor suo sperava di rimanere a Forest County. Non poteva lasciare sola la sua amata sorellina Rin, lei aveva ancora così bisogno di protezione e senza un uomo che le stessa accanto la sua vita sarebbe diventata un inferno.
Si fermarono, ormai erano molto vicini al forte e Miroku sapeva bene di non poter portare Sango con lui, chissà cosa avrebbero potuto farle. Sperava che anche Kagome stesse bene, Sango non avrebbe sopportato di vederla sofferente.
Scese da cavallo e intimò a Sango di rimanere ferma e nascosta.
- Io voglio venire – esclamò lei.
Miroku la fermò afferrandola per le spalle. – Ti ho spiegato che non puoi entrare, non voglio che ti facciano del male! -.
Prima che potesse allontanarsi una figura lo attaccò e lo fece cadere a terra. Sopra di lui c’era una giovane indiana dai lunghi capelli rossi e gli verdi risplendevano per la rabbia. Le sue mani stringevano sul suo collo e per quanto fosse minuti la sua rabbia la rendeva ancora peggio di qualsiasi uomo.
Sango fu svelta e si catapultò in soccorso del suo Miroku. Scaraventò a terra la donna che li aveva attaccati e la trascinò via.
Quando stava per colpirla in pieno viso, però, la riconobbe.
- Ayame -.




Eccomi qua!
Sì, dopo secoli sono tornata a pubblicare e avete ragione ad odiarmi, ma ho avuto veramente troppi problemi e anche gli esami mi hanno dato un bel da fare.

Insomma, spero che seguirete ancora questa avventura!
Ringrazio tutti quanti per la vostra pazienza e spero che abbiate passato una buona vacanza!

Un bacione enorme a tutti!
Silvia :*

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Capitolo 14
*** Addii ***


Erano passati altri tre giorni e Inuyasha era rimasto lì. Non era ripartito, era rimasto con lei. Aveva assistito al rito di passaggio dei giovani, aveva aiutato le donne a trasportare le fasce di legna, pescato, cercato di imparare la loro lingua.
Kagome non poteva credere al cambiamento che il giovane aveva fatto da quando lo aveva conosciuto. I suoi occhi si erano aperti e aveva guardato con quelli di una persona nuova. Avrebbe voluto che tutto cominciasse così, che lui fosse sempre stato parte della sua vita e che tutto il resto non fosse mai accaduto.
Avrebbe voluto che sua nonna Kaede lo avesse incontrato e avrebbe voluto poterle parlare di quello che accadeva nel suo cuore. Non poteva farlo con nessuno in quel momento; per quanto comprensiva quella gente fosse stata era inconcepibile che lui venisse accettato come suo futuro sposo.
Sposo? Cosa stava dicendo, lei era già promessa a Koga. Era vero che buona parte del suo villaggio era stata sterminata, ma quei pochi che erano rimasti meritavano protezione, meritavano di potersi godere una vita e lei non era nessuno per impedirglielo.
Quei pensieri le vorticavano in testa come l’acqua nel fiume, ma quando incontrava quegli occhi color ambra, lei non riusciva a riflettere razionalmente; per lei Inuyasha era diventato qualcosa di più che un suo compagno di viaggio.
Chissà dov’era sua sorella Sango, chissà se stava bene.
No, stava sicuramente bene. Koga aveva promesso di proteggerla e lui manteneva la parola.
Lo sentiva nel suo cuore e se fosse accaduto qualcosa gli spiriti avrebbero trovato il modo di farglielo sapere. Le avevano riportato la serenità di sua nonna tramite il vento, le avrebbero anche fatto conoscere il destino di Sango.
Aveva bisogno di sapere cosa fare, aveva bisogno di conoscere quel suo futuro così incerto.
Inuyasha, nel frattempo, si trovava con un anziano del villaggio, che gli stava mostrando come costruivano i loro archi. Era stupefacente vedere con quanta pazienza costruissero e soprattutto l’impegno che li faceva andare avanti anche alla loro età.
Aveva visto tantissimi anziani nella sua città e quasi tutti erano stremati dagli anni di duro lavoro e praticamente nessuno riusciva ad arrivare a quella veneranda età;  addirittura la vita di sua madre era stata stroncata nel fiore degli anni.
Ad un certo punto il vecchio gli rivolese una domanda, ma lui non riusciva a capire. Questo provava a spiegarsi a gesti, dandogli l’arco, ma lui continuava a guardarlo con aria disperata.
- Ti sta chiedendo se lo sai usare -.
La voce di Kagome gli arrivò alle orecchie e quando si girò le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine. Se non ci fosse stata lei probabilmente quel pover’uomo non sarebbe mai riuscito a farsi capire da lui.
- Ehm…io ho imparato solo con la pistola – rispose Inuyasha.
Kagome parlò per qualche momento con il vecchio, che alla fine le riservò un sorriso con quei pochi denti che gli erano rimasti e le consegnò l’arco.
Kagome guidò Inuyasha fino a un vecchio albero, sul quale erano dipinti dei cerchi che probabilmente venivano usati come bersagli.
La giovane impugnò saldamente l’arco e poi si voltò verso di lui.
- Non ero la migliore nel mio villaggio, ma me la cavo abbastanza – sorrise lei.
Scoccò la freccia, che si andò a piantare molto vicino al centro del bersaglio. Lei, però, non sembrava soddisfatta di quel risultato e quell’espressione imbronciata fece ridere Inuyasha.
Kagome, però, la interpretò come una presa in giro e gli consegnò l’arco con fare stizzito.
- Prova tu, vediamo se sei bravo –.
Il cowboy ingoiò il groppo che aveva in gola e provò a prendere l’arco. Era più difficile di quanto pensasse. Non era leggero come sembrava e la corda era così tesa che non sapeva bene come incoccare la freccia.
Mentre lo tendeva, sentiva la corda irrigidirsi sempre di più e farsi quasi tagliente tra le dita. Quando mollò la presa la freccia si piantò ai piedi dell’albero e si ritrovò con il dito indice e il medio tagliati dalla corda.
- Dannazione! – borbottò.
Kagome gli fu subito vicinò e controllo attentamente la ferita. Era solo un lieve taglio, ma perdeva abbastanza sangue.
Quando la vide così vicino a lui, così apprensiva e attenta la tentazione di avvicinarla di nuovo come al fiume lo invase, ma si trattenne. Dopo quel giorno lei aveva cercato di limitare i contatti con lui e ora che finalmente la sua mano lo stava sfiorando di nuovo quasi non riusciva a contenere l’emozione che quel tocco gli provocava.
Istintivamente passò la mano sana sulla sua guancia e lei fremette sotto il suo tocco. Continuava a tenere gli occhi bassi e sembrava essersi improvvisamente irrigidita.
Dalla guancia portò le dita sotto il suo mento e la costrinse a guardarlo. I suoi occhi risplendevano alla luce del pomeriggio e sembravano quasi spaesati. Avrebbe voluto curare quella tensione, come lei aveva fatto con la sua.
- Kagome, cosa ti succede? – le sussurrò.
Lei non sapeva cosa rispondere. Cosa poteva dirgli? Non sapeva neanche lei cosa stesse accadendo nel suo cuore. O meglio, era consapevole del fatto che ormai la sua anima fosse legata alla sua, ma non poteva ammetterlo. Se avesse detto quelle parole, tutto sarebbe diventato reale e lei non avrebbe più potuto nascondersi dietro quella gracile barriera.
Dei canti e delle urla cominciarono a scuotere quasi tutto il villaggio e quel momento idilliaco tra loro fu interrotto.
Perché proprio ora? Pensò Inuyasha irritato, che non riusciva a capire a cosa fosse dovuto tutto quel fermento.
Kagome si diresse verso il centro del villaggio e lui la seguì, sempre innervosito dal fatto che lei lo avesse mollato lì senza avergli dato una spiegazione.
Fermò una delle giovani che stava correndo e sorridendo e cominciò a parlare e subito dopo anche la piccola indiana cominciò a saltare allegra.
- Si può sapere cosa hai da saltare? Somigli a una molla – sbuffò Inuyasha.
- Il bambino è nato! – esultò la giovane.
Il giovane la guardò perplesso. – E allora? Mica è nato il tuo di figlio -.
Kagome alzò gli occhi al cielo. – E’ una festa! Dobbiamo prepararci! -.
Dopo aver detto quelle parole corse verso le tende per andare a vedere il bambino, mentre gli uomini continuavano a complimentarsi con il padre.
- Ma è possibile che qua sia tutto una festa?! -.
 
Rin non era più riuscita a parlare con Sesshomaru da quando si era fermato alla locanda. Non le aveva detto come mai solo suo padre fosse partito ed era diventato ancora più burbero del solito.
Il Signor Myoga e il Signor Totosai non erano ancora ripartiti, ai due piaceva godersi la buona compagnia delle donne del Saloon e la tranquillità del posto. Praticamente erano solo due vecchietti che volevano godersi al meglio gli ultimi giorni della loro vita, anche se presto si sarebbero probabilmente diretti verso una nuova avventura.
Anche Rin avrebbe voluto viaggiare, vedere il mondo che per una donna era difficile scoprire. L’unico modo per allontanarsi, però, era sposarsi e pregare che il proprio marito avesse le risorse economiche – e soprattutto mentali – per prepararsi ai viaggi che lei voleva fare.
Le sarebbe piaciuto vedere l’Europa e scoprire quelle terre antiche e piene di storia. Ma come ci sarebbe potuta arrivare?
Spesso con sua fratello e con Inuyasha aveva discusso per la sua volontà di andare lontano, ma quei due le ripetevano sempre che era troppo piccola e che per una donna non era sicuro muoversi da sola.
Prese un lungo respiro e si preparò a rientrare. La cesta piena di panni pesava da morire e tenerla era parecchio difficoltoso, soprattutto mentre cercava di aprire la porta.
Prima che rovesciasse tutto a terra qualcuno aprì la porta dell’ostello e si ritrovò davanti lo sguardo glaciale di Sesshomaru.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma fu interrotta dall’ingombrante presenza di Myoga e Totosai, che praticamente li travolsero.
- Dai ragazzo, ti offriamo da bere! -.
Quei due lo stavano  portando al Saloon! E lui ci andava anche!
Rin sentì la sua rabbia montarle, ma cercò di non darlo a vedere sfoderò e la sua migliore faccia da schiaffi.
- Spero che troverà quello che cerca Lord Taisho, spesso gli uomini cercano compagnie facili -.
Lui sembrava pronto a risponderle, ma lei le richiuse subito la porta dietro di sé con forza.
Quel maledetto stupido, era proprio come tutti gli altri uomini. Cercava la compagna a buon mercato perché non era in grado di tenersi una donna normale.
Provava un profondo disprezzo per quel Sesshomaru, ma ogni volta che provava a fare su di lui non pensiero malevolo, questo veniva spazzato via da quella sera sulla veranda o da quel delicato bacio sulla sua mano.
Già, quel bacio. Era stato strano quel momento tra loro, non vi era stata nessun tipo di malizia in quel bacio, ma qualcosa di profondo. Sentiva ancora il calore di quelle labbra sul dorso della mano e ripensandoci, istintivamente, tornò a toccarla.
Cercava di riscuotersi, ma le sembrava del tutto impossibile. Decise di rimettere in ordine di corsa le stanze e di scendere di sotto a prendere una boccata d’aria.
Quando ebbe finalmente finito la notte era già calata da un po’ e la luna piena di stagliava sopra di lei, illuminando i dintorni. Le luci delle botteghe erano spente, l’unica rimasta accesa era quella del Saloon.
Era entrata raramente in quel luogo, ma non le era mai piaciuto. La puzza di sigari impestava l’aria e gli uomini erano quasi tutti ubriachi. A quell’ora, oltretutto, le donne probabilmente si stavano già esibendo in quei balletti.
Aveva visto parecchie volte Inuyasha e Miroku tornare ubriachi marci da quel posto, e tutti e due almeno una volta avevano ceduto alla lussuria, o almeno ne era certa.
Quante volte aveva dovuto accudire quei due zucconi dopo epiche bevute. Però doveva dire che con loro si era sempre divertita e che i giorni, per quanto ripetitivi, non erano mai stati noiosi.
Chissà cosa stavano facendo ora i suoi due uomini.
Si infilò nella stanza del fratello e osservò le sue cose. Dentro vi erano molte foto di loro dai piccoli e in quasi tutte compariva Inuyasha.
Sorrise nel rendersi conto di quanto tutti e tre fossero cresciuti, le cose erano cambiate più di quanto si sarebbe mai potuta immaginare.
Decise che si sarebbe mossa a cavallo verso il fiume, ma non voleva farlo con quella scomoda gonna lunga. Prese al volo una camicia e dei pantaloni del fratello e se li infilò. Miroku odiava quando lo faceva, diceva che non si addiceva al comportamento di una signora. Inuyasha, invece, la incoraggiava. Diceva che una donna doveva essere indipendente e dato che non gli era permesso di esserlo, tanto valeva che si travestisse da uomo per guadagnarsi la libertà.
I pantaloni erano larghissimi e dovette stringere la cintura fino all’ultimo passante, senza comunque ottenere buoni risultati. Infilò la camicia nei pantaloni e si diresse a passo spedito verso le scuderie per prendere uno dei loro cavalli.
Gli unici clienti di quei giorni erano i due anziani e Sesshomaru e i signorini potevano benissimo cavarsela da soli, tanto avrebbero sicuramente fatto tardi al Saloon.
Spronò il cavallo e si diresse verso il fiume poco lontano, ci andava spesso per rilassarsi. Lì vicino c’era un albero rinsecchito dal caldo sotto il quale si metteva sempre per ripararsi dal sole, anche se quella sera tirava un vento molto freddo.
Legò le redini del cavallo a uno dei rami più bassi e si mise con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, sperando di poter rimanere da sola con i suoi pensieri.
Purtroppo qualche dio cocciuto aveva deciso di tormentarla fino alla fine, perché dopo poco una figura a lei ben conosciuta le si stagliò di fronte.
- Questo non è vestiario consono a una signora -.
In quel momento le sembrò di sentire suo fratello e questo non fece che accrescere il suo nervosismo. Sesshomaru era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Alzò lo sguardo e lo fissò seria. – Forse le donne del Saloon avranno abiti sicuramente più adeguati -.
Un sorriso divertito comparve sul viso del giovane, che si distese a terra vicino a lei.
- Non sono andato la per le donne -.
A quel punto fu Rin a ridere di gusto. – Oh certo, perché voi siete diverso da tutti gli uomini di questa terra -.
Quando si voltò verso di lui se lo ritrovò a pochi millimetri dal viso e il suo cuore cominciò a battere furiosamente nel petto e lei si odiò per questo.
- Non più di tanto, apprezzo comunque un buono scotch, anche se da queste parti sembra difficile trovarlo e mi sono fatto convincere da quei due che al Saloon ne avrei trovato -.
Rin avrebbe voluto ribattere, ma proprio non ci riusciva. Era incantata da quello sguardo così magnetico. Lui era così perfetto in qualunque situazione e questo la mandava completamente in tilt. Non le era mai capitato di rimanere senza parole davanti a qualcuno.
- Soprattutto – continuò lui. – Apprezzo la compagnia di una bella donna -.
A quel punto il cuore di Rin sembrò smettere di battere tanto andava veloce. Sentiva il viso caldo e in quel momento avrebbe solo voluto poter dire qualcosa, ma più cercava di aprire la bocca, più uscivano solo balbettii sconnessi.
Sesshomaru si allontanò improvvisamente da lei e si mise a fissare l’acqua, tornando una statua di compostezza e silenzio.
Lui si era dovuto allontanare per un unico e semplice motivo. Non riusciva a controllarsi di fronte a lei. Provava un convulso desiderio di farla sua lì, sotto quell’albero, ma non poteva lasciarsi andare a certe cose; la sua educazione e il sua carattere glielo impedivano.
Lui trovava che fosse stupenda anche in quelle vesti maschili. I suoi occhi scuri lo avevano quasi stregato e il suo profumo per poco non gli aveva fatto completamente perdere il controllo.
Aveva dovuto richiamare a sé tutto il suo autocontrollo per allontanarsi, ma mai come  quel giorno si era sentito nel posto giusto. Non gli importava di essere lontano dalle comodità inglesi e soprattutto non gli mancavano le dame di corte. Mai aveva trovato una donna così forte in Inghilterra e probabilmente non ci sarebbe riuscito di nuovo neanche se avesse cercato per mille anni.
Aveva anche ormai capito che lei non gli era del tutto indifferente e che entrambi erano scossi dagli stessi sentimenti l’uno per l’altra. Però non riusciva comunque ad abbandonare quella corazza che si era costruito, anche se lei la aveva scalfita più di qualsiasi altra persona al mondo.
Aveva conosciuto così poco sua madre. Era ripartito con suo padre in tenera età e quando era morta il senso di colpa per non averla vista abbastanza lo aveva invaso. Per questo motivo ora sentiva il bisogno di proteggere quella giovane così fragile come non era riuscito a proteggere sua madre in precedenza. Lei, così delicata ma forte allo stesso tempo.
- Voi avete viaggiato tanto? – chiese lei a bruciapelo.
Sesshomaru la guardò sorpreso per quella domanda. – Da quando siamo tornati al “voi”? -.
Rin alzò gli occhi al cielo esasperata. – Hai viaggiato tanto, Sesshomaru? -.
Smise di guardarla e tornò a fissare l’acqua. – Abbastanza da conoscere bene il mondo -.
Dopo quella frase lo sguardo della giovane si perse nel cielo a guardare le stelle e lui si ritrovò incantato a guardare come i suoi occhi brillassero più di qualsiasi altro astro.
- Mi piacerebbe vedere quei posti, ma non credo che mio fratello o Inuyasha riusciranno mai a portarmici, loro sono troppo legati a questa terra -.
Sesshomaru non si lasciò scappare quell’occasione. – Se vorrai potrai venire in Inghilterra con me -.
Gli occhi di Rin sembrarono illuminarsi ancora di più e il suo sorriso si allargò. – Vedere l’Inghilterra? E la Francia, l’Italia… -.
- Calmati – sbottò lui. – Cominciamo da Londra -.
A quel punto Rin non si trattenne, poteva finalmente cominciare a sfiorare il sogno di poter viaggiare e quasi non le sembrava vero. Buttò le braccia al collo del giovane e non le importava quanto potesse sembrare sconveniente quello che stava facendo.
Lui, invece, rimase immobile come una statua, senza sapere che cosa fare mentre quel piccolo corpo si stringeva a lui. Si limitò a sfiorarle la nuca con la mano, mentre i suoi capelli si infilavano tra le sue dita.
- Grazie Sesshomaru -.
 
La festa per la nascita del bambino era cominciata. Gli uomini e le donne ballavano intorno al fuoco. Kagome si dimenava intonando canti allegri e gioendo insieme alle giovani donne.
Inuyasha stava seduto in disparte e la guardava contento. In mezzo alla sua gente lei sembrava sempre rinascere. L’aveva quasi vista appassire in mezzo agli uomini che l’avevano trascinata al forte, mentre lì lei sembrava felice e appagata.
Avrebbe voluto poterla vedere sempre con quel sorriso sulle labbra, anche se questo avrebbe significato dirle addio.
Aveva capito le regole dei villaggi. Nessuno avrebbe accettato un uomo bianco come marito di una giovane ragazza apache, soprattutto se quella ragazza era la nipote di una sciamana.
Ahiga era seduto poco lontano da lui insieme a sua moglie. Le cingeva le spalle con il possente braccio e la guardava con amore. Forse era quello che lui desiderava in fondo al suo cuore, una donna che lo guardasse con quegli occhi e da poter amare, anche se quella donna non sarebbe mai stata Kagome.
La donna di Ahiga, che aveva capito chiamarsi Macawi, si allontanò per unirsi ai canti e ai balli e l’uomo si avvicinò a lui inaspettatamente.
- Non ho mai visto un bianco guardare così una delle nostre donne – sentenziò serio, senza smettere di guardare la moglie ballare.
Inuyasha si irrigidì all’improvviso e cercò di allontanare lo sguardo da Kagome.
- Non credere che io non abbia visto come la guardi, ho troppe lune addosso per non capirlo – continuò lui. – Lei è tua acqua -.
Inuyasha lo guardò confuso. – In che senso, la mia acqua? -.
Ahiga sorrise divertito e volse lo sguardo verso di lui. Il giovane doveva ammettere che quegli occhi lo intimorivano.
- L’uomo è come il fuoco. Lui è indomito, è nato guerriero, ma il suo spirito ha bisogno di essere placato. La donna invece è come l’acqua; dona la pace e da la vita. Quando il fuoco incontra la sua acqua questi elementi si completano e si forma l’armonia.
Quando trovi la tua acqua, non puoi fuggire, perché l’acqua scava in profondità e non ti lascerà mai solo -.
Inuyasha rimase in silenzio ad ascoltare e i suoi occhi tornarono a posarsi sulla giovane. Era bella proprio come il giorno in cui lo aveva vista la prima volta. Aveva di nuovo addosso il sorriso di quel giorno e la stessa gioia si rifletteva in quegli occhi.
- Io però non sono il suo fuoco – sentenziò Inuyasha.
Ahiga rimase in silenzio per qualche secondo. – La scelta se esserlo o no spetta solo a te -.
Dopo avergli detto quelle parole si allontanò, era il momento per lui insieme allo sciamano, di andare a benedire il nuovo nascituro.
Si rese conto solo in quel momento di quanto si sentisse fuori posto. Lui non sarebbe mai riuscito a far parte di quella gioia e di quell’ardore. Lui era sì come il fuoco, ma un fuoco distruttivo, che non riusciva a preservare la vita. Kagome era un’acqua vitale, forse troppo per uno come lui. Non sarebbe mai riuscito a darle quello che meritava e forse l’unico modo per renderla felice era dirle addio.
Fu con quella consapevolezza nel cuore che si lasciò guidare da Kagome in quel ballo quando venne a prenderlo. Quello era il suo modo per dirle addio, era il suo modo per salutarla per sempre. Si godette lo spettacolo di quel sorriso felice e di quella gioia. Voleva ricordarla così, voleva imprimere quel sorriso nei suoi occhi per sempre.
Lei non si rendeva conto di quello che era passato per la testa del giovane, a lei sembrava sempre lo stesso Inuyasha. Lo sguardo sempre un po’ perso, il suo sorriso divertito ed era così che lei lo voleva.
Forse non era troppo tardi per dire a Koga ciò che provava, forse lui avrebbe capito. Lui non era malvagio e nel suo cuore avrebbe trovato lo spazio per perdonarla.
Sì, lei poteva vivere con Inuyasha e poteva farlo ora. Non dovevano separarsi per forza.
E fu con quei due pensieri che ballarono. Perché in quel momento erano davvero come l’acqua e il fuoco. Erano così diversi eppure così vicini.
Entrambi si godettero quella gioia, convinti ormai entrambi della loro strada.
 
 
 
Dopo aver recuperato Ayame e aver scoperto che stava cercando di raggiungere Koga, non ci volle molto per incontrare il giovane capo tribù. Era anche lui sulle tracce di sua sorella. Gli aveva detto che dovevano aver lasciato il forte da qualche giorno e che era sicuro che si fosse diretta verso un villaggio di Apache poco lontano.
Non era stato semplice convincere Koga della bontà d’animo di Miroku e del fatto che l’uomo che accompagnava Kagome si fosse prodigato per salvarla, ma alla fine con l’aiuto di Ayame ci erano riusciti.
Il viaggio lo avevano passato in silenzio, mentre Sango e Miroku si tenevano in disparte. La giovane gli aveva spiegato della difficoltà del capo tribù nell’accettare gli uomini bianchi e Miroku non lo poteva biasimare. Dopotutto erano stati loro a far invadere il loro villaggio, ma allo stesso tempo se non lo avessero fatto non avrebbe mai incontrato Sango. Lei era la donna giusta per lui. Era forte come una guerriera e lo sguardo sempre sicuro e fiero; celava bene la preoccupazione per la sorella, ma si vedeva che ora che la sapeva lontana dalla grinfie degli americani era molto più rilassata.
Era così contento di vederla così felice, ma ora era lui ad essere preoccupato per Inuyasha. Chissà se Kagome aveva interceduto per lui e lo aveva protetto.
Koga, nel frattempo, cominciava a rendersi sempre più conto che la felicità che provava nel vedere che Ayame era venuto a cercarla era fin troppa. Non poteva credere che nonostante la loro ultima discussione lei si fosse preoccupata a tal punto del suo ritardo da tornare indietro per cercarlo.
Aveva il viso scavato dalla stanchezza, probabilmente non si era fermata neanche un attimo per raggiungerlo in tempo.
Avrebbe voluto cancellare quegli occhi verdi dalla sua mente, ma più la guardava più si rendeva conto che forse era stato troppo impulsivo nella scelta della sua sposa. Kagome era bella, dolce e pura, ma non era Ayame. Per quanto fosse meno aggraziata e più irruenta, aveva qualcosa che non riusciva a trovare in nessun’altra donna.
Prese un profondo respiro e cercò di riprendere coscienza di sé. Non poteva infrangere una promessa fatta alla defunta sciamana Kaede. Le aveva promesso che avrebbe sposato sua nipote e che l’avrebbe sempre protetta fino a quando lei lo avesse desiderato.
 
Kagome si era svegliata abbastanza tardi quella mattina. La sera prima i festeggiamenti erano durati fino a notte inoltrata, anche se era stata una serata bellissima.
Inuyasha aveva ballato con lei tutta la sera e lei ne era stata felice. Era sicura che anche lui ricambiasse quei suoi sentimenti. Lo  aveva letto nei suoi occhi e in tutti i gesti che aveva fatto da quando erano partiti.
Lui non era come gli altri bianchi, ne era sicura. Inuyasha era diverso da qualunque altra persona avesse mai conosciuto, perché aveva cercato di imparare e di capire e nonostante le loro differenze non l’aveva mai lasciata solo anche nei suoi momenti più bui.
Si alzò di corsa e si diresse verso la tenda dove dormiva. Avrebbero trovato un modo per vivere insieme, anche se sarebbero dovuti andare in capo al mondo.
Lo trovò intento a prepararsi, ma dove stava andando? Aveva di nuovo addosso i suoi normali vestiti; la camicia era ancora sporca di sangue nonostante avessero provato a lavarla.
Quando la vide non sembrò contento, anzi il suo sguardo era un misto di ansia e preoccupazione. Perché era così?
- Inuyasha – provò a dire, ma lui la interruppe.
- Io me ne torno a casa -.
Una semplice  frase che le mandò completamente il cuore in frantumi. Perché la stava lasciando? Perché stava andando via?
- Ma…ma io pensavo che… -
- Cosa? -, il tono derisorio che usò non fece altro che accrescere il suo dolore. – Che saremmo stati insieme? Io sono un americano e tu solo una squaw -.
Aveva di nuovo usato quell’appellativo, non lo aveva più fatto dopo la loro lite. Perché ora la stava trattando così male? Quello non era il ragazzo che aveva conosciuto in quei giorni, non era il suo Inuyasha.
Avrebbe voluto fermarlo, avrebbe voluto dirgli i suoi sentimenti, ma la freddezza del suo sguardo la bloccò. Aveva sbagliato tutto, aveva completamente frainteso quei gesti così dolci dei giorni precedenti.
Si sentiva svuotata e non riusciva neanche a parlare. Avrebbe voluto dirgli di non andare, di rimanere con lei per sempre, ma si rendeva conto che sarebbe stato inutile. Diede un ultimo sguardo a quegli occhi dorati che l’avevano incantata fino a quel giorno e fece del suo meglio per non lasciar scorrere le lacrime sul suo viso.
Aveva provato a parlare, ma dalla sua bocca erano usciti solo dei respiri spezzati dal dolore. Proprio ora che lei aveva deciso di rimanergli accanto e di cambiare vita. Sperava che quei giorni lui avesse capito tante cose, e invece aveva fatto solo finta.
Lui se ne andò senza dirle nient’altro. Non c’era davvero più niente da dire, perché la sua indifferenza aveva detto abbastanza.
Si sentiva una stupida per aver anche solo pensato che lui fosse diverso, che potesse comprendere il suo mondo. Forse se quel giorno lo avesse baciato lui avrebbe preso quello che voleva e sarebbe sparito comunque. Aveva fatto bene a stargli lontano e soprattutto a non concedergli il suo cuore.
Ma cosa stava dicendo? Lui il suo cuore lo aveva ancora e forse se lo sarebbe tenuto per sempre, anche se ora era ridotto in mille pezzi.
Il dolore che provava la stava divorando dentro, lo stava completamente consumando. Era così spiazzata che non riusciva a muoversi, era rimasta immobile a guardare la sua figura allontanarsi per prendere il cavallo e quando era ripartito, mentalmente gli aveva detto addio.
Ora era finita per sempre.
Tutto intorno a lei le sembrava silenzio e quando la sua figura sparì dai suoi occhi si accasciò a terra, lasciando finalmente uscire le lacrime che aveva trattenuto. Ora poteva soffrire liberamente e offrire le sue lacrime al vento.
Non si accorse neanche della figura dietro di lei e quando si sentì sfiorare la spalla, finì di trattenere quel poco di autocontrollo che le era rimasto.
- Sango… - mormorò tra le lacrime.
Si buttò tra le braccia della sorella, abbracciandola forte e singhiozzando sulla sua spalla. La gioia di vederla viva non riusciva a colmare il dolore che le stava completamente riempendo l’animo.
Sango era spiazzata, si sarebbe aspettata qualsiasi cosa, ma non di trovarla in quelle condizioni.
- Sorella mia, cosa ti hanno fatto? -.
 
 
 
Ciao a tutti!
Lo so, forse il capitolo è pieno di avvenimenti, ma se lo avessi tagliato in pezzi sarebbero stati due capitoli troppo corti e quindi ho preferito sistemarli in questo modo, spero che vi piacciano!
insomma, Kagome e Inuyasha si sono ufficialmente separati, mentre anche Koga comincia ad avere dei dubbi. Però qualcuno sta continuando a tramare nell’ombra (Spoiler :P).

Comunque ringrazio tutti quelli che stanno continuando a seguirmi, grazie davvero *.*
Un bacione enorme a tutti quanti! <3
Silvia 

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Capitolo 15
*** Promesse ***


Inuyasha era partito e dirle quelle frasi gli era costato più di quanto immaginasse. L’aveva vista crollare sotto i suoi occhi. Il suo sguardo era mutato, sembrava vuoto, come il giorno che l’aveva salvata dai soldati al forte.
Avrebbe voluto poterla stringere forte e dirle che non era vero, che lui in realtà provava un profondo amore per lei e che mai avrebbe voluto farla soffrire.
Purtroppo, non poteva farlo. Forse lei lo avrebbe seguito anche a Forest County e non poteva permetterglielo. Non avrebbe mai sopportato di vederla appassire giorno dopo giorno in un luogo che non l’avrebbe mai accettata. Meritava di essere felice, di stare in mezzo a persone che la amavano tanto quanto lui, forse anche di più.
Nemmeno lui sarebbe potuto rimanere. Conosceva bene i demoni del suo passato ed erano proprio loro ad impedirgli di rimanere con lei. Aveva ucciso guerrieri indiani ed era stato proprio lui a portare la distruzione nel suo villaggio. Non meritava quella gioia, non con lei.
Cercò di convincersi che lasciarla andare era stata la scelta giusta, perché lui non era abbastanza e non lo sarebbe mai stato. Per quanto l’avesse fatta soffrire, sapeva che un giorno l’avrebbe superata e pregò che nel suo cuore potesse trovare lo spazio per perdonarlo.
Ora doveva solo lasciarla libera di vivere una vita con l’uomo che doveva essere il suo sposo, anche se non era lui.
Spronò il cavallo ad andare più veloce, perché forse sarebbe tornato indietro, forse sarebbe di nuovo andato da lei se non si fosse allontanato alla svelta. Quella era la cosa giusta, doveva farsene una ragione.
Lasciò andare la prima lacrima dopo molti anni e strinse i denti fino a sentire la mascella dolergli, mentre nella mente ripeteva la frase che per codardia non era riuscito a dirle.
Kagome…ti amo
 
Byakuya odiava quella situazione, ma Naraku gli aveva assicurato che sarebbe tutto finito molto presto. Aveva mandato un telegramma dicendogli di tornare indietro e ne aveva anche mandato uno a Washington; si era inventato che aveva avuto dei problemi lungo il viaggio e che quindi forse non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per la conferenza. Ovviamente il suo padrone voleva solo tornare alla magione poco più a sud per mettere in atto il loro piano.
Entrambi sapevano che quelle conferenze potevano durare anche parecchie settimane, perché quasi tutti i membri non riuscivano mai a prendere delle decisioni veloci, mentre il suo padrone sapeva bene quello che voleva; vedere il giovane Taisho morto.
Aveva atteso per parecchio tempo l’arrivo della banda dei sette, ingaggiata nuovamente da Naraku per attaccare il villaggio e uccidere Inuyasha insieme a chiunque si parasse sul loro cammino.
Non sapeva perché il suo padrone volesse orchestrare tutta quella messa in scena, sarebbe bastato far agire lui da solo, ma forse c’era altro dietro a tutto quello che stava facendo.
Sapeva che Naraku non poteva essere definita una brava persona, anzi era tutt’altro. Tra i suoi sottoposti era rinomato per la sua crudeltà e disprezzo per la vita umana. Non che questo avesse mai influito sulla sua scelta di servirlo; a lui bastava avere un bel luogo in cui vivere e gli agi che gli erano concessi in quella sua alta posizione.
Era quasi il tramonto quando la squadra dei sette arrivò.
- Farci fare tutta questa strada è una barbarie – commentò Jakotsu.
Bankotsu si avvicinò a Byakuya con aria nervosa. – Com’è possibile che Taisho non sia morto nel fiume? -.
- Forse lo avete semplicemente sottovalutato – gli rispose Byakuya, guardandolo con ironia.
Bankotsu cercò di trattenere l’odio che ribolliva dentro di lui, anche se dal suo sguardo trapelava comunque.
- Dov’è? Lo ucciderò con le mie mani -.
Byakuya sorrise divertito. – In quel villaggio. Potete uccidere chiunque vi si pari davanti -.
- Bene, altri indiani da uccidere – esclamò Suikotsu.
Byakuya non lo degnò neanche di uno sguardo e gli indicò l’accampamento Apache. – Naraku vuole anche la giovane indiana, giusto per giocare un po’. Bankotsu, tu dovresti sapere bene di chi sto parlando -.
Il giovane ribollì di rabbia al ricordo di quell’evento. Taisho lo aveva colpito alle spalle proprio quando stava per ucciderla.
- A lei ci penso io – ghignò, mentre caricava la sua pistola.
 
Sango era rimasta con sua sorella per tutto il giorno. Sembrava completamente distrutta e non aveva più parlato dopo che si erano viste. Sapeva bene che non doveva forzarla, a tempo debito le avrebbe sicuramente raccontato tutto.
Miroku era stato accolto con una strana gentilezza da Ahiga, eppure lui era rinomato per essere uno spietato guerriero, ma aveva ascoltato la storia con attenzione e alla fine gli aveva detto che si sarebbero potuti fermare fino al giorno dopo.
Quando la sorella si fu finalmente addormenta, anche se in un sonno agitato, Sango uscì dalla tenda per parlare con Miroku. In quelle condizioni non poteva abbandonare la sorella, doveva starle accanto come aveva fatto lei molti anni prima.
Anche il giovane lo aveva capito, e non avrebbe mai costretto Sango a fare qualcosa che non voleva. Avrebbero trovato una soluzione, ne era certo.
- Dov’è tuo fratello? – gli chiese la giovane.
Miroku sospirò, mentre il fuoco dipingeva ombre sul suo viso. – A quanto pare è partito per tornare a casa poco prima che arrivassimo -.
Sango annuì, che la partenza del giovane americano avesse qualcosa a che fare con lo stato di sua sorella Kagome?
- Credo che dovrò tornare da lui, almeno per vedere come sta – cominciò il giovane. – E tu dovrai stare con tua sorella e partecipare al matrimonio -.
La giovane indiana non sapeva più se quel matrimonio fosse davvero una buona cosa. Forse l’attacco era stato un messaggio degli spiriti per dire a tutti che Kagome e Koga non erano anime compagne. Aveva anche visto come il capo dei domatori di lupi guardasse la nipote del Patriarca, Ayame. Erano sguardi così profondi, così intensi; gli stessi sguardi che Miroku riservava a lei.
Prima che lei potesse parlare, il giovane la incatenò in quegli occhi limpidi e le regalò un sorriso sereno.
- Tranquilla, non ti sto abbandonando. Appena tutto questo sarà sistemato tornerò da te – le sussurrò, accarezzandole una guancia.
Sango gli si strinse tra le braccia e affondò il viso nel petto caldo del ragazzo. Ogni volta che erano vicini provava una gioia che credeva non potesse esistere. Credeva che quello non potesse essere riservato a lei, una ragazza che viveva tra due mondi, ma invece gli spiriti gli avevano donato lui e non si sarebbe lasciata scappare l’occasione di essere finalmente felice.
Il momento fu interrotto dall’arrivo di Koga, che annunciò la sua presenza con un colpo di tosse.
Sango si staccò da lui piuttosto imbarazzata. Probabilmente il capo villaggio non apprezzava molto quella scena.
- Come sta tua sorella? – le chiese.
- Finalmente dorme, credo che domani sarà in grado di parlare -.
Miroku era confuso, non capiva nulla di quello che i due si stavano dicendo.
- Credi che sia stata ridotta in quel modo dal demone bianco? – ringhiò.
Sango scosse vigorosamente la testa, andando incontro al giovane e fissandolo dritto negli occhi.
- Non lo avrebbe mai fatto, soprattutto se vale la metà dell’uomo che mi ha protetta – sussurrò. – Abbandona questo odio verso la loro gente, non tutti sono malvagi -.
Il capo tribù strinse di più i pugni. – Come fai a dirlo? Sono o non sono stati loro ad attaccare il tuo villaggio? – sbraitò. – Hai forse dimenticato che è stata la nostra gente ad accoglierti e non loro? -.
Miroku notò l’ira con cui parlava il capo dei domatori di lupi e istintivamente si avvicinò a Sango, soprattutto perché vedeva i suoi occhi cominciare a bagnarsi di lacrime.
- Io so benissimo come possono essere, ma come tutti gli esseri di questa terra nemmeno noi siamo perfetti. Anche tra noi dimorano animi crudeli e pieni di odio, ma esistono anche persone buone. Se queste non fossero esistite, a quest’ora io e la tua sposa saremmo morte -.
Koga non riuscì a ribattere. Odiava quegli uomini per aver ucciso dei loro compagni, ma allo stesso tempo – per quanto questo non fosse nella sua natura – era grato a quei due per aver protetto le due sorelle, assolvendo un compito che a lui non era riuscito. Forse era solo per questo che provava tutto questo rancore.
Ahiga arrivò da loro, attirato dalla conversazione. – Anche io nel tuo cuore avevo l’odio, quando ero così giovane – mormorò.
Miroku non riusciva a seguire nulla di quello che stavano dicendo e questo lo irritava. Gli sarebbe costato tanto almeno tradurre?
- Poi  nei miei anni ho conosciuto demoni bianchi che in battaglia hanno risparmiato le nostre donne e i nostri bambini, capi della loro gente che hanno provato a difendere le nostre terre. Guarda quest’uomo – disse, indicando Miroku. – E’ forse lui diverso da te? Lui ha protetto una donna a rischio della sua vita, come ha fatto l’uomo bianco che ha accompagnato la tua sposa -.
Sango era abbastanza stupita nel sentire quelle parole uscire proprio dal capo villaggio. Lui era sempre stato uno strenuo combattente e non era tipo da risparmiare la vita degli uomini bianchi. Eppure parlava saggiamente e riconosceva che alcuni errori pesavano anche su di lui. Gli ricordava così tanto la sua amata nonna Kaede.
Quando sembrava che finalmente gli animi si fossero acquietati, un rumore di tuono squarciò il silenzio, insieme alle urla di paura.
- Ci stanno attaccando! – gridò Ahiga.
Miroku prese Sango e la condusse nella tenda insieme dove si trovava Kagome, che ancora dormiva agitata.
- Restate qui e non muovetevi! -.
- No io non… -
- Ti prego! – la supplicò. – Ti prometto che tornerò da te -.
Sango avrebbe voluto seguirlo, ma ora doveva proteggere anche sua sorella, che si stava lentamente ridestando. Annuì e lasciò andare via Miroku.
Spiriti vi prego, proteggetelo
 
Fuoco, fuoco ovunque. Questo è quello che vide Miroku mentre si muoveva svelto tra le tende. Riconobbe subito gli invasori. Erano gli stessi uomini che avevano attaccato poco tempo prima il villaggio di Sango e ora con la stessa brutalità ripetevano le stesse nefaste azioni.
Si muovevano di corsa con i loro cavalli, mentre sparavano sulla gente ridendo con gusto.
Vide i guerrieri Apache a cavallo, maestosi e letali si lanciavano incoscienti del pericolo contro i loro aggressori. Tra di loro si distinguevano Ahiga e Koga, che combattevano ferocemente mentre lanciavano urla di attacco.
Miroku si nascose vicino alla tenda di Sango e Kagome, rendendosi conto che loro non potevano rimanere lì. Il fuoco stava divampando e presto sarebbe arrivato fino a loro.
Entrò dentro e le prese entrambe. La sorella di Sango era ancora confusa e sembrava che non riuscisse a comprendere quello che stava accadendo intorno a lei.
- Dovete venire via da qui, prima che venga tutto distrutto -.
Kagome udii distintamente le grida del capo villaggio che intimava alle donne e ai bambini di raggiungere le canoe e mettersi in salvo lungo il fiume e prese la mano della sorella saldamente.
- Dobbiamo andare al fiume, se arriviamo alle canoe saremo in salvo -.
Sango annuì e spiegò velocemente a Miroku la situazione che, proteggendole dietro la sua schiena, le guidò il più velocemente possibile.
I guerrieri indiani facevano da sbarramento tra il fiume e il villaggio, così da dare il tempo ai più deboli di mettersi in salvo. La banda dei sette era davvero forte come nei racconti che avevano sentito; in pochi uomini valevano come trenta indiani. Per quanto in maggioranza numerica, era chiaro che i nativi non avevano quasi speranza.
- Io devo rimanere qui – esclamò Miroku. – Non posso lasciare che si facciano uccidere -.
Sango cercò di strattonarlo. – No ti prego, vieni con noi -.
Il giovane la spinse via. – Vai, ORA! -.
 
Byakuya si era accorto della mancanza di Inuyasha dal villaggio; lo avevano cercato ovunque eppure sembrava essersi volatilizzato. Doveva essersi allontanato, ma era sicuro che alla vista delle fiamme sarebbe tornato indietro. Aveva notato gli sguardi languidi tra lui e la piccola squaw; se la avessero portata via lui li avrebbe raggiunti alla magione di Naraku.
Si mosse svelto e furtivo, lasciando il lavoro sporco e difficile alla banda. Mukotsu aveva dato un antidoto contro il fuoco velenoso che avevano sparso tra le tende per confondere i nemici e quindi non era intaccato da quell’odore così pungente.
Vide che molte donne e bambini si stavano mettendo in salvo lungo il fiume e che tra quelle donne vi era anche l’indiana che stava cercando.
Sorrise, attendendo con ansia il momento di agire.
 
Inuyasha vide tutto da lontano. Riconobbe subito le grida e il fumo che proveniva da dietro la sua schiena. In men che non si dica era tornato indietro.
Pregava che Kagome stesse bene e che fosse in salvo. Si diede mille volte dello sciocco per averla abbandonata lì, avrebbe dovuto portarla al sicuro, in un luogo più lontano dalle conquiste territoriali.
Il cuore gli batteva furiosamente e sentiva una terribile sensazione invadergli l’animo.
Quando arrivò, per la prima volta capii cosa significava trovarsi dall’altra parte della barricata. Il fumo gli bruciava le narici e il fuoco divampava ovunque. Della rigogliosa vegetazione che ricopriva il luogo non vi era più ombra e faceva fatica ad orientarsi.
Quando vide gli uomini che avevano attaccato il villaggio sentii un tuffo al cuore. La banda dei sette era arrivata fino a lì. Anche se erano molto meno numerosi dei guerrieri Apache, sembravano invincibili.
Chi tra di loro aveva finito le munizioni lottava con le spade e sorrisi divertiti si dipingevano sui loro volti ogni volta che ammazzavano uno degli Apache.
Si buttò nella mischia con il suo cavallo, ma non ci volle molto per individuare una figura a lui nota, ma che non si sarebbe mai aspettato di trovare lì.
Miroku era a terra, ferito ad una gamba. Sopra di lui un piccoletto dal viso quasi deforme ghignava.
- Facile uccidere un avversario dopo averlo stordito con il veleno – ghignò, mentre puntava la pistola contro di lui.
Inuyasha non perse tempo, tirò fuori la pistola dalla fondina e sparò. Colpì in piena nuca l’uomo che cadde subito a terra.
Miroku alzò il viso per vedere chi era il suo salvatore e rimase allibito nel vedere lì Inuyasha.
- Tu cosa ci fai qui? – mormorò, mentre cercava di tirarsi in piedi.
Inuyasha lo aiutò, ma non c’era tempo per le spiegazioni. – La ragazza che accompagnavo, tu sai dove si trova? -.
La risposta arrivò poco dopo. La vide da lontano, Kagome stava aiutando le donne e i bambini a salire sulle canoe insieme a un’altra ragazza.
- Inuyasha, ma che sta succedendo? – esclamò l’amico, mentre si teneva la gamba ferita.
Il giovane lo spinse verso le due. – Non puoi combattere così, portale via, adesso! -.
- Non posso lasciarti di nuovo! -.
- Miroku non è il momento per certe cose, prendile e portale lontano da qui! -.
Il giovane dai capelli scuri sapeva che non poteva fare altro, lo sguardo del suo amico non ammetteva repliche e soprattutto era conscio del fatto che con la gamba in quelle condizioni non sarebbe riuscito ad aiutarlo.
Fece come gli era stato ordinato e andò incontro alle due.
Kagome, però, lo aveva visto. Lui era tornato, era tornato davvero. Aveva ucciso uno degli invasori con quelle armi di tuono e poi aveva soccorso il suo amico.
Ma perché era tornato? Cosa lo aveva spinto a ripensare alla sua decisione? Troppe domande le frullavano nella mente e avrebbe voluto raggiungerlo, ma il ragazzo che aveva aiutato lei e Sango era tornato indietro e stava cercando di condurle verso le canoe, ma lei non ne voleva sapere di muoversi, non voleva assolutamente lasciarlo solo.
- Kagome, andiamo! – provò a spronarla Sango.
Lei si liberò dalla prese della sorella. – Non posso fuggire e lasciarlo qui -.
Miroku, ferito e sanguinante, stava cominciando a diventare debole e si accasciò a terra. Sango sapeva che non poteva trasportarlo con la canoa, gli sballottamenti del fiume avrebbero potuto allargare la ferita e farlo morire dissanguato.
- Allora ci nasconderemo in zona, aiutami a sollevarlo – mormorò la giovane indiana, cercando di prendere in spalla il suo amato.
Kagome lo prese dall’altro braccio e lo trascinarono in mezzo alla boscaglia non ancora invasa dal fuoco e lo fecero stendere a terra.
- Lasciatemi qui e scappate – tossì Miroku, la voce si era ridotta a un sussurro.
Sango lo guardò allibita. – Io non vado da nessuna parte, non senza di te -.
Kagome desiderava tornare da Inuyasha e proteggerlo da lontano, ma era disarmata e non sapeva se sarebbe riuscita a trovare un’arma e quindi rimase insieme alla sorella. Vedeva le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Era una brava combattente, ma le sue capacità mediche non si erano mai sviluppate.
- Lascia fare a me – mormorò la giovane.
Strappò la manica del giovane e prese un pezzo della stoffa per legarlo sopra la ferita. Era molto profonda e perdeva parecchio sangue, doveva bloccare l’emorragia o lui avrebbe potuto perdere l’arto. Strinse più forte che poteva, cercando di ignorare i mugolii di dolore che il giovane stava emettendo.
Sango gli teneva la mano, mentre osservava la sorella cercare di medicare la ferita alla bene e meglio.
Kagome non aveva aghi per richiudere la ferita e quindi poteva solo sperare che la stoffa che gli stringeva il braccio fosse abbastanza per farlo resistere fino alla fine della battaglia.
Le urla strazianti cominciavano a diventare insopportabili e il suo cuore batteva sempre più forte. Si sentiva inutile e avrebbe solo voluto correre in soccorso dei suoi compagni.
La sorella sapeva che senza aghi la ferita avrebbe continuato a sanguinare e che forse Miroku non sarebbe riuscito a resistere fino alla fine di quello scontro sanguinario. Vedeva il suo respiro farsi sempre più corto e si rese conto che poteva solo andare a cercare tra le tende i mezzi necessari per curarlo.
Sfilò di corsa l’arma di tuono che sbucava dalla fondina che l’uomo teneva legata alla cintola e senza voltarsi si mise a correre verso l’accampamento.
- No Sango, torna indietro! – gridò Kagome.
Miroku cercava di alzarsi per raggiungerla, ma era troppo debole. – Maledizione – sbottò.
Kagome cercò di farlo stendere di nuovo. – Vedrai che tornerà, lei tornerà – balbettò, cercano di convincere sia se stessa che il ragazzo.
La vista di Miroku cominciava ad appannarsi per la debolezza, ma vide distintamente qualcuno che appariva dietro la schiena dell’indiana.
- Ka-gome attenta! -.
Troppo tardi. La figura le aveva messo davanti alla bocca un fazzoletto imbevuto di una sostanza soporifera e a nulla erano serviti i tentativi della giovane di liberarsi dalla presa dell’uomo, perché dopo pochi secondi cadde svenuta.
Miroku cercava di muoversi per raggiungere la giovane, ma non riusciva quasi più a muoversi.
Prima di cadere nel buio dell’incoscienza sentì la voce melliflua dell’uomo lasciargli un messaggio.
- Se Taisho la rivuole viva, digli di recarsi alla magione dei McConnor -.
 
Inuyasha era rimasto in mezzo alla battaglia. Si era reso conto che il fuoco non serviva solo a distrarre i nemici, ma che conteneva una sostanza in grado di stordire i combattenti per rendersi più facile il lavoro. Probabilmente veniva prodotta dall’uomo che aveva ucciso poco prima.
Il fumo gli rendeva difficile vedere qualsiasi cosa intorno a lui e aveva completamente perso di vista sia Miroku che Kagome.
Pregò con tutte le sue forze che avessero preso una canoa e che fossero scappati da quel posto. Sentiva il calore del fuoco avvicinarsi sempre di più e non solo gli abitanti del villaggio stavano cercando di fuggire, ma anche gli animali che vivevano nel sottobosco. I primi che so erano messi in fuga erano i cavalli. In mezzo al fumo si potevano distinguere le sagome degli stalloni che imbizzarriti disarcionavano i propri padroni e cercavano di mettersi in salvo.
Alcuni animali si buttavano in acqua nel tentativo di raggiungere la sponda sicura del fiume, andando anche contro le canoe degli indiani e distruggendole con gli zoccoli.
Una figura conosciuta si stagliò tra la nebbia e la cenere e al giovane non ci volle molto per identificarla. Era Macawi, la moglie del capo villaggio. Era intontita dal fumo e si vagava alla ricerca di un posto sicuro, ma non si era resa conto dell’arrivo di uno stallone dal manto scuro che si stava dirigendo proprio nella sua direzione.
Inuyasha non pensò neanche, si frappose subito tra il cavallo e la donna e la buttò a terra, facendola scansare dall’animale per un pelo.
La donna era spaventata e per un momento, non riconoscendo il giovane, provò fuggire e cominciò a scalciare e gridare.
- Macawi sono io, sono Inuyasha -.
La donna si bloccò all’improvviso e non appena riconobbe il viso del giovane sembrò finalmente rilassarsi. Il giovane la aiutò a tirarsi in piedi e cercò di accompagnarla verso la canoe, ma ormai erano state distrutte.
Il fronte che cercava di fare da barriera tra il villaggio e il fiume stava lentamente cadendo e molti uomini erano ormai feriti.
Inuyasha cominciava a non riuscire più a respirare. L’odore acre del fumo lo stava attanagliando alla gola e gli occhi non facevano che bruciargli, rendendogli difficile vedere più in là di qualche metro.
- Ma guarda, il giovane Taisho – sussurrò una voce alle sue spalle. – Sono sicuro che io e te ci divertiremo un sacco -.
 
Il capo dei domatori di lupi si batteva valorosamente, ma lo strano odore emanato da quelle fiamme lo aveva reso sempre più lento e stordito. Come la volta precedente, gli era risultato difficile muoversi e scontrarsi corpo a corpo, perché le armi di quegli uomini erano molto più evolute delle loro e soprattutto sembravano immuni all’effetto di quel fumo acre.
Un uomo grosso e molto alto, con parecchie di quelle armi tonanti, si stagliava davanti a lui e lo braccava, continuando a sparare. Per sua fortuna era molto lento e questo giocò a suo favore. Provava a scansare i suoi colpi e avvicinarsi per colpirlo con la sua lancia, ma non vi riusciva.
Molti guerrieri Apache si stavano scontrando con uno degli uomini che sputava fuoco dalla bocca e altrettanti venivano carbonizzati. L’odore dei corpi bruciati lo stava prendendo alla gola e la sua rabbia non fece che aumentare.
Il grosso uomo armato di ferro continuava a ridere di fronte alla sua impotenza.
- Le fiamme di Renkotsu non lasciano scampo a nessuno! -.
Koga scansò un nuovo colpo, ma uno dei proiettili lo colpì di striscio a una gamba, facendolo cadere a terra. Il dolore e il bruciore gli fecero uscire dalla gola un ringhio sommesso e fu costretto a prostrarsi a terra.
L’enorme uomo si parò davanti a lui, senza smettere di perdere quel ghigno malefico sul volto.
- Con la pelle dei tuoi lupi ci farò un meraviglioso cappotto! -.
Prima che questo potesse sferrare il colpo alla sua testa, fu raggiunto da un sasso lanciato a grande velocità. Non vi erano dubbi, quella era la fionda di Ayame.
Il primo sasso sembrò quasi non destare neanche l’attenzione del bestione, ma il secondo lo colpì alla tempia costringendolo a voltarsi.
Ayame, però, si era già arrampicata su uno dei rami e appena l’uomo si voltò lei gli saltò addosso atterrandogli sulla schiena.
- Muori! – gridò.
Prima che potesse tagliargli la gola con il pugnale, il bestione le sferrò un forte pugno sul viso, scaraventandola a terra svenuta.
- Ayame, no! – gridò il capo tribù.
La visione della giovane prostrata a terra gli diede la forza di cui aveva bisogno per rialzarsi. Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, nessuno doveva toccare la sua Ayame!
Si alzò da terra e prima che il nemico si potesse rialzare gli piantò la lancia nella schiena dove era sicuro di infliggerli una ferita mortale.
Ginkotsu, però, non sembrava volersi arrendere e nonostante fiotti di sangue stessero cominciando ad uscirgli dalle labbra, provò ad alzarsi e afferrò per la gola il capo tribù.
- Piccolo lupo bastardo  - sibilò, continuando a stringere con forza.
Ayame provò a riprendere il pugnale che le era caduto a terra, ma Ginkotsu le calpestò la mano, facendole emettere un fortissimo urlo di dolore.
Koga si sentiva impotente e disperato, subito dopo averlo ucciso quel mostro avrebbe potuto fare ad Ayame cose inimmaginabili e orribili e il volere di salvarla ancora una volta gli diede la forza per combattere.
Con le poche forze che aveva in corpo allungò il braccio verso la lancia che ancora era piantata nella schiena del nemico e la tirò fuori e dopodiché gliela piantò in pieno stomaco.
Questo lo portò finalmente a mollare la presa e il giovane capo cadde a terra vicino ad Ayame. La mano di lei era contorta, le ossa delle dita si erano spezzate sotto il peso del bestione. Allungò la mano verso di lei, mentre Ginkotsu sfoderava la sua pistola, deciso ad ucciderli prima di morire.
Caricò l’arma ed entrambi i giovani chiusero gli occhi, mentre le loro dita erano ormai vicine. Sarebbero morti insieme, come avevano combattuto e vissute.
Il suono di un colpo di pistola risuonò nell’aria e dopodiché calò il silenzio.
 
Inuyasha si trovava di fronte a Suikotsu, l’uomo dal viso sfigurato. Probabilmente tra di loro era il più crudele, dato che le fedeli lame che portava alle dita erano ricoperte del sangue delle sue vittime. A quanto pareva il bastardo adorava squarciare i loro petti con quelle.
Fece nascondere Macawi dietro la sua schiena. Aveva provato a spingerla via, ma lei si era rifiutata. Non avrebbe mai abbandonato il marito in mezzo alla battaglia e con lo sguardo cercava di seguire i movimenti dell’uomo. Ahiga stava continuando a muovere contro Bankotsu e Jakotsu insieme agli uomini che gli erano rimasti.
Quei maledetti erano riusciti praticamente a sterminare l’intero villaggio e non avevano risparmiato neanche le donne e i bambini che avevano incontrato sul loro cammino e questo non lo avrebbe mai perdonato neanche Inuyasha.
Estrasse la sua pistola, rendendosi conto che ormai gli erano rimasti solo due colpi.
La puntò contro l’uomo, cercando di intimorirlo.
- Andatevene da qui, e forse vi risparmieremo la vita – intimò il giovane.
L’uomo scoppiò in una forte risata, quasi come se si stesse davvero divertendo.
- Pensi davvero di farmi paura? -.
Inuyasha caricò il colpo e sparò, ma prima di riuscirci  l’uomo si era già scansato. Quel maledetto era veramente veloce e gli era già sul fianco pronto a colpirlo.
Lo scansò per un pelo, ci era andato talmente vicino che la sua camicia era stata completamente squarciata e il suo fianco era stato graffiato.
- Sei lento ragazzo, faresti meglio a far combattere i grandi -.
Macawi era caduta a terra e osservava la scena terrorizzata. L’uomo era proprio vicino a lei e prima che potesse allontanarsi questo la prese per i capelli e la tirò in piedi.
Puntò i coltelli contro la sua gola e fissò il giovane.
- Sarebbe facile squarciare il collo di questa puttana indiana, ci vorrebbe solo un taglietto per far sgorgare il sangue da questa pelle sottile – sibilò, passando le lame vicino alla gola di Macawi.
Inuyasha sapeva che intontito com’era avrebbe rischiato di uccidere anche la donna se avesse sparato, la sua vista era ormai quasi del tutto annebbiata.
In suo soccorso, però, venne una figura con un’ascia. Era Ahiga e stava correndo in soccorso della sua amata sposa.
Successe tutto in un secondo. Non appena il capo tribù fu a pochi passi da Suikotsu, questo si girò e lanciò via la donna, squarciando completamente il petto del marito.
Il tempo sembrò improvvisamente fermarsi per tutti i presenti. Inuyasha sentiva le grida di Macawi sempre più lontane, mentre il corpo quasi esanime di Ahiga crollava al suolo, tra la polvere e il sangue.
Inuyasha non perse tempo e con un gridò sparò a Suikotsu in piena nuca, proprio come aveva fatto il suo compagno. L’uomo crollò a terra con un tonfo sordo e il suo petto smise di alzarsi.
- Mitawa tehila! Mitawa tehila* -.
Macawi continuava a gridare quelle parole, mentre si buttava sopra al corpo dell’uomo che aveva amato da sempre.
Inuyasha arrivò vicino al capo tribù, ma si rese conto che le ferite erano troppo profonde e che non vi era modo di riuscire a fermare il sangue o di poterlo curare. Neanche nel posto da dove veniva esistevano i mezzi per evitargli quella morte.
Ahiga sussurrava parole dolci alla moglie nella loro lingua, mentre Inuyasha si guardava intorno. Sembrava che Bankotsu e i rimanenti compagni si fossero ormai ritirati e di loro non vi era più alcuna traccia, se non la scia di morte e fiamme che si erano lasciati alle spalle.
Ahiga si voltò verso il ragazzo, chiedendogli con un gesto della mano di avvicinarsi. Inuyasha si mise a terra e ascoltò quello che l’uomo aveva da dirgli.
- Devi p-ortarli al sicuro – mormorò tra i rantoli. – Devi promettermi c-che li proteggerai, come c-on Kagome -.
Il giovane rimase spiazzato. – Non posso, io non sono un capo, non posso fare ciò che mi chiedi -.
L’uomo allungò la mano e gli strinse il braccio. – Ti prego! -.
I suoi occhi lo guardavano con disperazione, come se non potesse andarsene senza essere sicuro che qualcuno avrebbe protetto la sua gente. In quel momento Inuyasha vide quanto amore poteva provare un uomo e quanto fosse preoccupato di lasciare la sua gente senza una guida.
Il giovane si era ormai reso conto di non avere una scelta, non poteva negare la sua promessa all’uomo che lo aveva curato e che ora in punto di morte gli esprimeva i suoi ultimi desideri.
- Te lo prometto, Ahiga -.
Subito dopo avergli detto quelle parole, l’uomo chiuse gli occhi la sua testa ricadde sulle gambe della moglie.
Macawi si lasciò andare a grida disperate, mentre le prime luci dell’alba accoglievano il dolore della tribù.
 

 
* amore mio (se internet non mi ha presa in giro)
 
Eccomi qua!
Sono di nuovo qui con questa mia storia e dopo fin troppo tempo sono riuscita ad aggiornare!
Ringrazio davvero tutti quanti di continuare a recensire e leggere la mia storia, non potete immaginare quanto mi rendiate felici!
Comunque ormai siamo agli sgoccioli, Naraku e la sua banda hanno fatto la loro mossa e ora il ritmo della storia si farà sempre più serrato!
Spero di risentire presto tutti quanti e vi mando un bacione! :*
Silvia

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