I giorni del perdono

di AstreaA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una marionetta ***
Capitolo 2: *** 5 anni dopo ***
Capitolo 3: *** Agenzia investigativa Mori ***
Capitolo 4: *** Ricominciare ***



Capitolo 1
*** Una marionetta ***


«Pronto, Ran? »
«Shinichi…»
«Ti chiedo scusa Ran, scusa per tutto. Scusami, ma non ho alcuna intenzione di tornare. Dimenticami per sempre»
«Shinichi?! No… non riattaccare! »

 
 
 
Le parole morirono in gola ancor prima di giungere alle labbra. Gocce di pioggia cadevano come pallottole oltre i vetri delle finestre. La luna si affacciava in cielo, pallida e distante. Quello fu l’inizio o forse solamente, la fine di tutto quanto.
Ricordo bene quel giorno, ne conservo ancora il sapore salato sul palato, l’odore acre del pulviscolo di un remoto angolo di casa e il suono tacito di un telefono che sconvolta, ancora stringevo tra le dita.
Ero sola quel giorno.
Il freddo mi raggiunse e aggredì come un mantello di fuoco.
Non fui in grado di difendermi, allora. Solo il giorno prima, Conan era partito per gli Stati Uniti. Fu una decisione improvvisa la sua, impensata. La sua espressione, la sua voce, il suo stesso comportamento mi parvero insoliti per tutto il tempo che lo separarono dalla partenza. Non erano affatto atteggiamenti di un bambino i suoi, non lo erano mai stati in realtà; ma di una persona ben più matura, risoluta, che agiva in un’ombra ignota. Quante volte avevo toccato la verità? Quante volte ero giunta alla conclusione che lui e Shinichi fossero in realtà la stessa persona? Era un pensiero folle, insensato, che però pioveva su di me ogni vola che lo guardavo. Anche Ai Haibara lasciò il Giappone qualche settimana dopo. Le loro vite erano legate più di quanto avessi mai potuto immaginare. Fu tuttavia, un duro colpo scoprire per caso la nuda verità.
Heiji e Kazuha vennero a trovarmi il giorno dopo l’addio di Shinichi. Notai subito uno strano turbamento nel detective di Osaka. La sua, non era solo pena nei miei confronti, come nel caso di Kazuha. No, lui sembrava sapere molto di più di quanto volesse o potesse ammettere. Fu quel giorno stesso che si tradì.
Kazuha si offrì di preparare del tè, mentre io ed Heiji ci sedemmo su un divano dell’agenzia. Ero ancora profondamente scossa dagli ultimi avvenimenti,  quando  il suo cellulare squillò.Fu quel suono a riportarmi alla realtà. Con un certo disagio e imbarazzo, Heiji sparì lungo le scale. Rimasi ad attenderlo qualche minuto, quando avvinta da uno strano quanto improvviso sospetto, mi alzai.
Il cuore si fermò di colpo nel petto. Non era da me, ascoltare le conversazioni altrui; tuttavia, quella volta lo feci.
Aprii appena la porta. Non vidi nessuno. Senza far rumore, scesi lentamente i gradini. Intravidi la sua spalla, riconobbi la sua maglietta color salvia. Era poggiato al muro accanto l’ingresso. Parlava piano, in piccoli sussurri come non volessi farsi sentire.
«Shinichi, ascolta… »
Trattenni il respiro per alcuni lunghi istanti.
Le lacrime minacciarono di ondarmi gli occhi. Avvertii il cuore accelerale per poi bloccarsi, brusco, straziato.
«… hai davvero dato il tuo ultimo commiato a Ran? Non credi che potrebbe associare il tuo addio con quello di Conan e insospettirsi ulteriormente? E Goro? Senza il tuo intervento, senza i tuoi aghi soporiferi, cosa ne sarà del detective in trance? »
Conobbi la morte del cuore. Il sangue gelò nelle vene. Smarrii ogni pensiero e ogni parola razionale. La conversazione continuò. Mi sforzai di ascoltare, di capire, di credere che fosse tutto… uno stupido malinteso, ma non era così.
Scoprii molte cose, alcune che mai avrei voluto conoscere né sentire. Fu forse, il pensiero di mio padre che mi impedì di versare vere lacrime. C’era davvero Conan… il mio Shinichi dietro le sue glorie? Era lui a manovrare da sempre i fili di tutto?
Insolitamente silenzioso, mio padre giunse alle mie spalle. Mi scoprii sconvolta nel vederlo, e urlai appena, ma fui fortunata. Heiji non si accorse della nostra presenza, e continuò  a parlare incautamente. Fu con un dolore al petto che notai il papillon rosso di Conan rigirare tra le mani di mio padre. Scorsi in lui un’espressione seria e delusa che mai avevo visto prima di allora. Che anche lui sapesse?
All’improvviso tutto sembrò plausibile; troppo plausibile per non essermene resa conto prima. La mia vita, la nostra vita era stata tutta una menzogna. Trattenendo  il respiro, presi la sua mano,e insieme salimmo nuovamente le scale. Kazuha ci attendeva con quattro tazze di tè fumante. Dopo un quarto d’ora ci raggiunse anche Heiji. Mi guardava pensieroso, tuttavia, non fui in grado di ricambiare il suo sguardo. Non saprei descrivere correttamente i sentimenti che allora mi corrosero fin dentro l’anima, scavando e forgiando una nuova parte di me, che presto avrei abbracciato. Guardavo spesso in alto, temendo di tradirmi con le lacrime da un momento all’altro. Poi, verso sera, quando la luna era alta e serena nel cielo, qualcuno bussò alla porta dell’agenzia. Un’incantevole donna, dai lunghi capelli di fiamme e gli occhi di mare, vestita in maniera elegante chiese di mio padre.
«Signor Goro, ho bisogno di lei…» si inchinò verso di noi, sorridendoci. Un tempo mio padre ne sarebbe stato lusingato, ma quel triste, lontano, giorno la guardò senza emozioni e si alzò.
«Mi dispiace signorina, ma credo che dovrà rivolgersi altrove, ho smesso di fare il detective…»
Il silenzio cadde nella stanza. Vidi Heiji sgranare gli occhi.
«Perdonami piccola».
Prima di uscire dalla porta, con le mani infilate svogliatamente nelle tasche, mio padre si voltò verso di me.

Perdono per cosa?
 
 


***
 
«Non credo ai miei occhi! Tu, io, la mia popolarità, i casi che ho risolto fino ad ora… cosa significa tutto questo? Chi sei in realtà, moccioso?!».
«No Goro, aspetta…».
«Mollami, fiaccanaso guastafeste, fuori dai piedi!».


Non avrei mai immaginato che sarebbe successo un giorno. Mai. Forse ho sempre sottovaluto Goro, me ne rendo conto solo oggi. Dopo la mia regressione in Conan, la mia passione nel risolvere i casi più intrigati viveva solo attraverso di lui; per tutti ero solo un bambino. Più sveglio e scaltro rispetto alla media, ma comunque, un bambino e non potevo espormi più del dovuto. Una grave minaccia gravava sulla mia vita e su quella delle persone a me più care e vicine. Accadde però che un giorno, ancora profondamente rammaricato per la decisione definitiva di lasciare Ran, abbassai la guardia. Fu forse, l’errore mio più grande. O forse no. Eccitato e inquietato da nuove tracce che erano giunte a me  e ad Ai riguardanti l’Organizzazione, tradii per sempre davanti gli occhi inorriditi di Goro, la mia identità di bambino. Fui ingenuo, quasi stupido quella notte. Passai tutto il giorno in compagnia dello zietto e dell’ispettore Megure. Il caso, in apparenza abbastanza intuibile, si rivelò più complesso di quanto immaginato. Una donna era stata brutalmente uccisa per mano dalla sua stessa figlia. Goro troppo colpito dalla bellezza della giovane, finì per accusare tutti tranne lei, la vera colpevole. Eravamo in un lussuoso negozio del centro commerciale. Ingenuamente, dopo averlo narcotizzato, mi posizionai impeccabilmente davanti una delle tante telecamere di sorveglianza. Dopo aver incastrato la ragazza, Goro si svegliò all’improvviso. Quel caso dovette colpirlo tanto da voler visionare la registrazione delle sue brillanti deduzioni. Mi opposi con tutte le mie forze. Mi colpì in capo contrariato, pensando che quello fosse solo un banale capriccio.
Ho sempre cercato e anelato la verità, quando ero proprio io a nasconderla, anche se a fin di bene. Quando tutto fu chiaro, Goro, arretrò di qualche passo, giungendo con le spalle contro il muro. Mi guardò con orrore, sconvolto. Cercai invano  di giustificarmi, finché mi costrinse ad accennargli metà della verità che nascondevo. Non ero un bambino. Mi conosceva bene, molto bene. D’un tratto sembrò capire. Gli dissi che non una sola parola sulla nostra conversazione sarebbe dovuta trapelare, soprattutto con Ran e poi, me ne andai. L’indomani partii. Il giorno dopo lasciai la ragazza che amavo. Tutto i tasselli mancanti per debellare una volta per tutte l’Organizzazione sembravano prossimi. Mi sarei battuto, mi sarei esposto e se tutto fosse andato bene…- difficilmente, mi dicevo-  avrei riottenuto il mio corpo da ragazzo e forse, con fatica, anche il perdono di Ran e Goro; credetti davvero in tutto questo.

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Capitolo 2
*** 5 anni dopo ***


Trascorsero cinque lunghi anni da quell’addio. Il cielo era colmo di stelle, la luna invece, era tristemente assente da giorni. Il vento trasportava via foglie, polveri e barlumi di ricordi.
Ero in piedi, vicino l'ampia finestra del lussuoso albergo dove io e Shiho Miyano 
alloggiavamo da anni. Solitario, osservavo le luci degli innumerevoli grattacieli di New York.
Mi svestii lentamente; con un sospiro, sbottonai i primi bottoni della camicia. Contemplai le vistose cicatrici sul petto che svettavano quasi fossero trofei. Ero ormai ritornato me stesso e l’Organizzazione sembrava da tempo solo un remoto ricordo.  Eppure erano trascorsi solo quattro mesi dalla nostra vittoria.
Mi guardai allo specchio. Malgrado fossi ritornato adulto da tempo - due anni prima di affrontare gli Uomini in Nero!- mi scoprivo a volte, ancora terrorizzato al pensiero di rivedere da un momento all’altro il mio corpo nuovamente bambino.
Conan non esisteva più, eppure non riuscivo quasi a farmene una ragione, sebbene ne fossi contento.
Conan ero io.
Io che fingevo, che ingannavo, che proteggevo.
Conan era un bambino sveglio, intelligente, con strane passioni e con degli amici.
Sorrisi tristemente, ripensai ai lunghi abbracci e alle lacrime sincere versate della piccola Ayumi all’aeroporto, il giorno della mia partenza e a quelle di Genta e Mitsuhiko che ingenuamente, non seppero trattenersi. Ripensai a me stesso, alla mia vera infanzia. Nelle vesti di Shinichi mai avevo stretto un rapporto così forte con qualcuno, eccetto con Ran.
Trattenni il respiro nell’oscurità della stanza.
Qualcosa sembrò comprimermi bruscamente il cuore e lo stomaco.
Mi scoprii inspiegabilmente affaticato, affranto. Mi sforzai di non pensarla. Che illuso!
Non c’era giorno che la mia mente non vagasse su di lei.
Mi sedetti a terra, le spalle rivolte al muro. Strinsi le mani attorno alle ginocchia, avevo ancora la camicia aperta. Dopo quella che sembrava un’Odissea, l’indomani sarei ritornato finalmente a Tokyo. Numerose faccende e testimonianze mi attendevano lì. Forse solo quelle, in realtà.
Portai una mano alla fronte, strofinando gli occhi stancamente.
Avevo messo da parte tutto e tutti per sconfiggere L’Organizzazione.  Avevo interrotto per anni persino ogni legame con i miei genitori. Avevo fatto soffrire anche loro: una volta giunto in America, avevo preso la situazione unicamente sul piano personale. Quasi una questione privata, d’orgoglio. Ero stato sul punto di morire, colpito da una scarica di proiettili. Fin dalla partenza ero stato infatti, più che certo di morire. Con quella prospettiva, con quanto egoismo avrei potuto chiedere a Ran di aspettarmi?
Strinsi i pugni con rabbia. Non riuscivo a non pensare a lei. Non potevo! Ormai sapevo poco o niente su di lei. Solo sporadiche informazioni che di tanto in tanto rubavo al Dottor Agasa.
In realtà per ben tre anni gli vietai completamente di parlarmi di lei, glielo imposi con rabbia.
Non avevo diritto, non dovevo… lo facevo anche per proteggere lei e per proteggere me.  Poi preso dalla tentazione, un giorno di due anni fa, ricominciai a chiedere di lei.  

E’ bellissima, Shinichi! Bella e in gamba, la più promettente dell’università…

Anche la più corteggiata immaginai…
Quel pensiero mi provocò una sorta di nausea. Strinsi gli occhi, sospirando.
Che stupido! Non ero più nessuno, non avevo diritto di essere geloso…

Pensa che ha vinto una borsa di studio per Londra, ma a quanto pare, ha preferito restare accanto a suo padre.

Un altro colpo in pieno petto. Mi sentii come se mi avessero sparato nuovamente.

Goro.

E lui… come sta, Dottore…?

Bene! Molto bene! Ha chiuso l’agenzia investigativa come saprai da quando tu… te ne sei andato. Ha tuttavia lasciato innumerevoli interviste ed è ancora spesso ospite in televisione. Ran invece è cresciuta molto in questi anni. E’ una donna forte, combattiva, forse anche più di sua madre Eri. Credo che il tuo abbandono abbia giocato un ruolo fondamentale nella sua maturazione. A volte sembra così diversa da come la ricordavo: spensierata, allegra, solare. E’ più taciturna e chiusa in se stessa. A tratti quasi rigida. Io credo che le farebbe molto piacere rincontrarti… 

E… cosa sa della sua vita sentimentale, Dottore?

Era la domanda che forse, più egoisticamente mi opprimeva da anni.

Beh… mi è giunta voce (forse infondata, non le darei troppo credito, figliolo!) che uscisse con un aspirante medico, un po’ più grande di lei, ma potrebbe anche essere solo un amico…

Un amico, certo.
Non mi sfuggì tuttavia, la nota di disagio nella sua voce.
Deglutii faticosamente. Contrassi le labbra e strinsi ulteriormente i pugni. Una rabbia crescente, mi morse il petto.
Mi alzai e andai a sedermi su una sedia, dinanzi il camino acceso. Mi versai del brandy, sorseggiandolo lentamente, ad occhi chiusi, nelle ombre piatte della stanza.
Poi, d’improvviso, udii dei passi alle mie spalle. Li riconobbi subito, anche senza voltarmi.

«Brindi da solo, Shinichi?»
Sorrisi amaramente. Riposi il bicchiere di cristallo sul ripiano di legno, scoccandole un’occhiata spossata. Lei mi guardò con un sorriso dispettosamente canzonatorio. Aveva ormai lunghi capelli mossi, ramati. Un fisico esile e adulto. Attraente.
Sostava sull’uscio della porta dell'anticamera. Avanzò lentamente verso di me. Avevo ancora la camicia sbottonata e lei sembrò notarlo. Imbarazzato, la riabbottonai subito.  Shiho – non mi sarei mai abituato a chiamarla così!- ritornò adulta solo un anno dopo di me. Presi com’eravamo dall’Organizzazione, ci eravamo quasi arresi alla triste sorte di dover restare intrappolati nei nostri corpi fanciulli, quando una notte tutto cambiò, almeno per me.
Inspiegabilmente e dolorosamente, il mio corpo riprese l’aspetto consueto. L’esatta dinamica era ancora in fase di studio; ma a quando sembrava, l’APTX4869, raggiunto il suo apice di durata nel mio organismo, aveva finalmente perso la sua influenza e funzione. Mi ritrovai così, nuovamente adulto, quasi inspiegabilmente. Ritrovai il mio corpo, ma non la mia vita. Quella sembrava inafferrabile come una cometa. Cercai il suo sguardo. Si avvicinò ulteriormente a me, versandosi il liquore nel bicchiere. Notai la sua mano vacillare, come una foglia mossa dal vento.
«Quella mano ha un pessimo aspetto, dovresti medicarla più spesso!»
Mi rivolsi severamente, alzandomi.
«Tanto non potrò mai più usarla come prima»
Fu la sua infelice risposta. La fronteggiai e la costrinsi a sedersi sul mio letto. Nello scontro a fuoco con l'Organizzazione, era stata ripetutamente colpita alla mano destra, perdendone purtroppo, quasi l'uso. Estrassi dal cassetto l’occorrente per una medicazione. Assorto, mi sedetti accanto a lei, cominciando a tamponarle accuratamente e ad avvolgerla con bende pulite.
«Se fallirai come detective, potrai accedere senza difficoltà alla facoltà di infermieristica!»
La sua voce era profondamente sarcastica.
Le sorrisi con sufficienza, continuando il mio lavoro, poi, la sua voce, assunse una nuova interessante sfumatura.
«Domani tornerai a Tokyo… » La sua voce mutò in un sussurro. Non risposi subito, immaginando dove volesse andare a parare. «Non vedi l’ora di vederla, di spiegarle tutto…» trattenni il respiro. Alzai gli occhi. Sostenne il mio sguardo con durezza, poi un piccolo sorriso, illuminò di un’insolita dolcezza il suo viso. Qualcosa tremò improvvisamente nel suo sguardo. Mi sentii a disagio.
«E’ giusto che tu torni da lei, non ti accoglierà a braccia aperte, certo, ma sono sicura che ti ama ancora…e  che non ha mai smesso di farlo… »
Incassai quelle parole come un pugno in pieno stomaco. Desideravo egoisticamente e ardentemente che fossero vero, ma un presentimento vigeva in me. Con un sospiro, abbassai lo sguardo, la sua mano era ancora stretta nella mia.
«Come fai ad esserne sicura?» chiesi in realtà più a me stesso che a lei. «Tu continueresti ad amare un uomo anche se non si facesse più vedere e se deludesse te e un tuo caro?» Quella domanda non aveva senso. Almeno rivolta a lei. Tuttavia, cercai i suoi occhi.
«Sì, Shinichi, malgrado tutto, io lo farei» lo disse con un filo di voce. Una lacrima ricadde lungo la sua pallida guancia. Posò una mano sul mio petto. La guardai confuso, stupito. Credevo ormai di conoscere tutto di lei, ma mi sbagliavo enormemente. Avvicinò velocemente il suo viso al mio. Toccò le mie labbra, dapprima in un bacio fugace, per poi mutarlo in uno ardente, quasi malizioso. Quel gesto mi stordì per qualche istante, poi mi allontanai bruscamente.
«Ma cosa…? »
Ero certo di essere rosso in viso, quasi senza voce. Tremendamente imbarazzato.
Era forse impazzita?

«Era da tanto che desideravo farlo, prendilo come un ringraziamento per esserti preso così premurosamente cura di me e non arrossire, non sei più un bambino!»
Si alzò con un sorriso, avviandosi verso la porta.
Si voltò.
«Ti auguro tutta la fortuna del mondo con lei… e quando vorrai… vorrete tornare, io ci sarò sempre»
Quel bacio – seppur insensato, almeno per me- più che un addio, suonò come un arrivederci.
 

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Agenzia investigativa Mori ***



Nevicava da tre giorni; malgrado fosse metà marzo, la primavera sembrava ancora troppo lontana. Il respiro si condensava nell’aria quasi artica della città.
Osservai dalla finestra il cielo spento di quella notte. Non una stella intaccava la coltre. Ero seduta alla scrivania e da ore, ero assorta su un capitolo particolarmente interessante di economia. Mi concessi di chiudere gli occhi per qualche istante, prima di ritornare a rileggere un paragrafo del libro.
In quegli intensi mesi di studio, non trovavo a volte neanche il tempo per mangiare. Sottolineavo nervosamente le parole, prendevo appunto di continuo su un piccolo quaderno dalla copertina floreale. Spiai la sveglia accanto a me. Le ventitré in punto. Controllai con un sospiro il cellulare: quattro chiamate perse, una di Sonoko e tre di Koji.
Mi stropicciai gli occhi con stanchezza. Ero troppo presa dallo studio per concedermi di intraprendere una relazione amorosa mi dicevo, per giustificare la mia continua titubanza nei suoi confronti. Non potevo né volevo permettermi distrazioni, ne andava della mia carriera che faticosamente cercavo di tracciare dinanzi a me. Impegnarmi assiduamente nello studio, ottenendo volti alti, mi aiutò molto, non solo per assicurarmi un solido futuro lavorativo. Studiare con cura quasi maniacale, concentrarmi su qualcosa di diverso dal dolore che da anni mi viveva in corpo, mi impedì di indugiare troppo sul passato.
Non avevo più tempo per ripensare a quello che un tempo ero stata; un’ingenua, sciocca sognatrice, una banale ragazzina innamorata. Il tempo e le delusioni avevano mutato progressivamente i miei sentimenti per Shinichi.
Cosa provavo per lui?
Non lo sapevo e né vi avrei più indugiato.
Avevo provato risentimento e dolore nei suoi confronti, per quello che aveva fatto a me e a mio padre, per le verità taciute, per la mancanza di fiducia, per la sua maniera di cacciarsi in guai più grandi di lui, ma poi tutto era svanito, crollato o forse dissolto nel tempo. Eppure a volte, continuavo a provare una profonda nostalgia per Conan, il mio piccolo e adorato fratellino, anche se lui e Shinichi erano la stessa persona e ne ero ormai ben consapevole. Non potevo davvero odiarlo  mi lo dicevo, malgrado la sofferenza che mi aveva procurato, ma nemmeno più amarlo.
Riposi la matita sul libro e portai una mano alla fronte. Un rumore al piano di sotto mi scosse bruscamente. Scesi avvolta da una vestaglia carminio. Mio padre entrò barcollante e alticcio come al solito, canticchiando con un patetico sorriso una canzone di Yoko, da tempo ritirata a vita privata.
Scossi il capo contrariata.
«Papà pensavo fossi a letto! Ti sembra questa l’ora di tornare?!» lo rimproverai aspramente.
Mormorando imprecazioni, lo accompagnai nel tepore della sua camera. «Ora capisco perché la mamma ti ha lasciato!» ringhiai esasperata, mentre lui ridacchiava come divertito. In realtà non pensavo affatto quelle parole. Era solo la rabbia, la frustrazione e lo stress accumulato nel tempo a muovere i fili rabbiosi dei miei pensieri. Lo aiutai a cambiarsi e mi chinai per rimboccargli le coperte.
«A quanto pare quel detective da strapazzo... sì, quel tuo amico, ha rimesso piede in Giappone da qualche mese… sto parlando di Co-» si interruppe cercando malgrado la poca lucidità, i miei occhi. «…di Shinichi Kudo, l’ho letto sul giornale!»
A quelle parole mi fermai di colpo, bruscamente.
Non saprei descrivere cosa provai in quel momento. Forse, una fitta di dolore mi attraversò il petto e lo stomaco, ma la ignorai. In breve, ritornai nuovamente padrona di me stessa. Incurante delle sensazioni contrastanti, lasciai che tutto mi scivolasse addosso. Studiai ininterrottamente fino al sorgere del mattino. Mi addormentai scomodamente, sulla scrivania. La matita ancora stretta tra le mani.
Non sognai niente, almeno credo. Un tempo remoto, avrei forse, fantasticato pateticamente sul suo ritorno.
Era davvero tornato?
Lui, il mio migliore amico, il ragazzo di cui un tempo ero profondamente innamorata, il bambino che sotto falsa identità, avevo accolto in casa e amato con un fratello?
Quando scesi al piano di sotto, trovai mio padre in salotto. Sedeva sul divano, sorseggiando una birra e guardando un programma in televisione. I piedi sfacciatamente poggiati sul tavolino davanti a lui.
«Papà!» lo richiamai bruscamente. Le mani sui fianchi e il cipiglio severo.
Sussultò buffamente e come un bambino colto sul fatto, assunse una postura composta.
Andai in cucina sbuffando, aprii il frigo, prendendo una bottiglia d’acqua.
«E’ quasi l'una tesoro, non dirmi che hai studiato tutta la notte?» lo sentii dire con tono preoccupato, avvertendo il volume del televisore diminuire.
«Sì, e poi lo sai, mi piace studiare»  risposi piatta, versando l’acqua nel bicchiere. Avevo ancora il pigiama e i capelli scombinati dal sonno. Un vero spettacolo per gli occhi!
«Non ti sembra di esagerare?» continuò.
«No, affatto» replicai gelida. La solarità di una volta sembrava non appartenermi più. Il ghiaccio era inevitabilmente prevalso in me. Mio padre tacque per alcuni minuti, poi parlò nuovamente.
«A proposito, a quanto pare c’è qualcuno interessato ad affittare l’agenzia investigativa… mi ha chiamato questa mattina, verrà a vederla intorno alle diciannove, mi sembra» 
Il suo tono di voce mi stranì per un attimo. Un’inspiegabile nota di sarcasmo vibrò in quelle parole, come se fosse una cosa assurda, irreale. Tuttavia, non vi indugiai più del dovuto. Ero abitata alle stranezze di mio padre. Forse era nuovamente ubriaco per via delle quattro lattine di birra che già aveva bevuto.
«Sarò meglio dargli una risistemata o faremo una pessima impressione» dissi distrattamente, richiudendo il frigo.
«Ascolta Ran… » lo trovai alle mie spalle.
«Sono tanto fiero della donna che sei diventata. Vorrei solo vederti felice come un tempo…» mi guardò con un'infinita dolcezza che toccò un punto impreciso della mia anima. Qualcosa sembrò sciogliersi in me. Mi sforzai di sorridere. Sorridevo molto raramente in quel periodo.
Sorridevo davvero poco da quando…
«Io sono felice… » affermai con un filo di voce. Mi guardò scettico. Lo abbracciai di slancio.
Mi abbandonavo così poche volte alle emozioni. Le trattenevo in silenzio dentro il mio cuore, senza dar loro la giusta voce e libertà. Per un attimo, ripensai ai baci di Koji che non fui in grado di ricambiare. Lo scansai con irritazione, come se un semplice bacio fosse davvero qualcosa di sciocco o sbagliato. Non potevo amarlo mi dicevo, chiedendomi spesso per quale stupido motivo a parte la mia  carriera. Mio padre mi strinse forte contro di lui, accarezzandomi i capelli.
«Anche se a volte mi fai arrabbiare, sei il padre migliore che si possa desiderare!» gli sussurrai stringendolo a mia volta.
Era la verità. Anche se a volte mi mostravo scontrosa con lui e con il suo stile di vita, amavo e ammiravo profondamente mio padre. Avevo ammirato il suo modo di rialzarsi orgogliosamente in piedi dopo la brusca scoperta su Conan e l’inaspettata dignità che seppe mostrare nell’accettare quella bruciante sconfitta.
Non era stato nient'altro che un semplice burattino nelle mani di un piccolo grande burattinaio travestito da bambino.
Era stato manovrato, illuso e per questo molte volte in passato, lo avevo scorto abbattuto, disilluso, incapace di sfogarsi con qualcuno, eppure, in poco tempo era riuscito ad andare avanti, ad accendere la luce.   
Anch’io lo avevo fatto.
«Ricorda la gloria non è tutto nella vita. Esistono gioie ben più grandi e importanti che non hanno bisogno del sole per splendere»  
Mi separai da lui.
Lo guardai un poco perplessa da quelle parole. Lui mi sorrise e allegramente, si allontanò di nuovo in soggiorno.
«Una di queste sera dovremmo andare a cena con Eri… è da tanto che non parlo con quella strega di tua madre… » borbottò come se niente fosse.
«Papà!» esclamai indignata.
Ma in cuor mio sorrisi ancora una volta.
 



 
***



La notizia del mio rientro in Giappone, giunse rapidamente tra le vie di Tokyo.
Su di me, vennero scritti numerosi articoli giornalistici e fui invitato a rilasciare varie interviste. La mia testimonianza e collaborazione con le forze di polizia messe al corrente sull’Organizzazione, mi tennero assiduamente occupato per più di due mesi.
Certo, quello fu solo l’inizio.  Per un po’ di tempo tuttavia, potetti godere di un po’ di tranquillità.
Avevo avvertito molto la mancanza della mia città, così come quella del Dottor Agasa, di Heiji e dei giovani detective.
Quel mattino c’era il sole, non una nuvola attraversava il cielo terso. Camminavo senza una meta, vagamente annoiato e pensieroso quando mi trovai faccia a faccio con un uomo.
Usciva ridacchiando da un bar. Quasi ci scontrammo. Rimasi senza parola non appena riconobbi chi fosse.
«Conan… » si lasciò sfuggire sgranando gli occhi. «No! Shinichi Kudo!» si corresse con un cipiglio incupito.
Mi scoprii in imbarazzo, profondamente in imbarazzo. Mi aspettai un pugno da un momento all’altro.
«Ciao! Come va… Goro?» chiesi candidamente.  Il suo turbamento iniziale, tuttavia, scomparve.
«Ho ancora un sacco di ammiratrici che mi adorano!» ridacchiò superandomi di qualche passo, sfoggiando con un certo orgoglio il segno di un rossetto rosso sulla sua guancia destra.
«Mi offrono sempre da bere quando passo di qui! Tu piuttosto… » mi additò aggrottando le sopracciglia «Cosa ci fai qui moccioso?»
«Tokyo è la mia città…» risposi solo, affiancandolo.
«Immagino tu abbia risolto i tuoi problemi, sono riuscito ad estrapolare a Takagi qualche informazione»
«Sì…» dissi vago, guardando dinanzi a me.
Mi scoprii profondamente a disagio. La sua accoglienza amichevole quasi mi confuse. Camminammo insieme per un lungo tratto, in silenzio. Infine, trovai il coraggio di parlare.
«Come… ecco, come sta Ran? E’ da tanto che non la sento…» cercai ansiosamente il suo sguardo.
«E’ al settimo mese, presto nascerà una bambina…» disse con una certa naturalezza.
«COSA?!» Gridai preso alla sprovvista. Mi fermai senza fiato, stordito.
«Scherzo! E’ ancora presto per mettere su famiglia e io sono ancora troppo giovane e bello per diventare nonno!» Si fermò anche lui, guardandomi fisso negli occhi. Mi sentii sollevato. Per un attimo figurai il pensiero di Ran in dolce attesa, con affianco un ragazzo che non…
«Studia a tutte le ore del giorno…» stavolta la sua voce acquistò una nota seria, quasi preoccupata. « Sappi comunque che le hai spezzato il cuore» Mi guardò di sottecchi. Quelle parole furono peggio di un colpo di pistola.
Qualcosa punse e lacerò il mio stomaco.
Le avevo detto di dimenticarmi, che non sarei tornato, ed ero scomparso dalla sua vita.
Sarebbe mai riuscita a perdonarmi?
Meritavo davvero il suo perdono?
L’avrei compresa se non avesse più voluto vedermi, mi dicevo falsamente.
Ci trovammo davanti l’agenzia. Salutai Goro con un denso dolore al petto. Lo vidi sparire verso le scale. Feci per andarmene, quando alzando il capo, vidi un annuncio esposto contro i vetri del locale del primo piano, dove una volta, sorgeva l’agenzia investigativa Mori.
 

 
 
 

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Capitolo 4
*** Ricominciare ***




«Pronto, parlo con Goro Mori? Sarei interessato all’affitto di quel locale al primo piano…»
«Guarda che riconosco la tua voce, moccioso! Cos’è uno scherzo?» allontanai la cornetta del telefono, stordito dal suo ringhio alto e minaccioso.
«No, per niente, è sempre stato il mio sogno aprire un’agenzia investigativa…» risposi tranquillamente, sistemandomi il nodo della cravatta attorno al collo. Goro rimase in silenzio, sembrò pensarci su a lungo. Certo, dovette pensare che la mia fosse solo una tattica per rivedere sua figlia.
Ed era la verità, ovviamente.
«Oggi pomeriggio alle diciotto e sii puntuale!»
«Ci sarò!» Mormorai con un che di solenne, abbassando la cornetta. 
Avrei dunque, rivisto Ran?
Provai una fitta al petto a quel pensiero. Socchiusi gli occhi e trattenni il respiro. Poggiai stancamente la fronte contro il vetro della finestra. Si appannò appena. Mi tolsi la giacca svogliatamente, gettandola su una poltrona. Mi scoprii in balia della più straziante tensione.
Trascorsi l’intera giornata nella biblioteca di casa. Sfogliai infiniti articoli, mi aggiornai sui casi di cronaca più recenti che avevano fatto tremare l’intero paese. Omicidi, corruzioni, esecuzioni per mano della Yakuza. Cercai di non pensare a Ran. Mi tenni occupato tutto il giorno, dimenticando persino di mangiare. Tuttavia, l’ansia continuò a mettere le sue radici in me. L’orologio a pendolo appeso alla parete segnò le diciassette e trenta, quando mi preparai per l’appuntamento. Dopo cinque lunghi anni, avrei rimesso sfacciatamente piede nell’agenzia investigativa Mori.
Quante cose erano accadute lì dentro?
Quante erano cambiate dalla mia partenza?
Con un sorriso spontaneo, salii i primi gradini. Allungai la mano verso la porta del primo piano.
Non bussai. L’aprii. Tutto ciò avvenne istintivamente. Allora, non pensai alla mia imprudenza. La realtà era che seppur inconsciamente, identificavo quel luogo come fosse ancora casa mia.
Mi sentii nuovamente Conan.
Entrai. Immaginai che Goro fosse già lì, quando due occhi gelidi calarono su di me.
Le parole mi morirono in gola.

Ran!
 
 


**
 

Passai gran parte del giorno sui libri. A breve avrei dovuto sostenere un esame. L’ansia e lo stress gridavano forti nel petto e un gran mal di testa aggravò la situazione.
Fu nel pomeriggio che ricordai di dover sistemare l’ex agenzia. Con stanchezza, mi munii di tutto l’occorrente per pulire e mi precipitai al piano di sotto.
Erano anni che nessuno vi metteva più piede.
Tutto era come lo ricordavo: la scrivania, il televisore, il telefono, il divano, il tavolino. Una foto mia con Conan su uno scaffale. Alcuni sui libri e quaderni ancora accatastati accanto. Ripensai alle nostre lunghe telefonate. Alle mie lacrime per le continue e inspiegabili assenze di Shinichi. Ripensai a quanto ero stata ridicola e innamorata. Era sempre stato accanto a me e io non me ne accorgevo davvero. Sospettavo ma scaltramente, lui riusciva sempre ad ingannarmi, a volte anche con la complicità del Dottor Agasa, di Ai e di Heiji. Il suo papillon cambia voce era ancora lì. Quante chiamate per ingannarmi che tutto andasse bene! Quante prese in giro! Mi aveva sempre ingannata, trattandomi come una sciocca ragazzina.
Strinsi i pugni. Desiderai sferrare un colpo a quella stupida foto e lo avrei fatto davvero ma qualcosa me lo impedì, il buon senso forse. Avevo smesso di praticare karate, da anni. Dopo il suo abbandono, mi scoprii immotivata per qualunque cosa. Solo lo studio e la preziosa amicizia di Sonoko mi aiutarono a risollevarmi e a riprendere in mano la mia vita.
Con un’amarezza al cuore, cominciai a lavare il pavimento. Avevo quasi terminato quando avvertii dei passi alle mie spalle, qualcuno aprì la porta, senza bussare.
Immaginai fosse mio padre. Mi voltai, accennando un breve sorriso che scomparve nell’istante in cui incontrai i suoi occhi blu.
Lo vidi chiaramente impallidire.
«Ciao Ran…»
Il suo viso assunse un’espressione fastidiosamente stupita.
Provai un dolore al petto, i battiti del cuore sembrarono fermarsi. Sentii lo stomaco chiudersi e il respiro spezzarsi, ma non una solo lacrima cadde lungo il mio viso.
Non me ne stupii più di tanto.
Erano anni che non ne versavo.
Non ne ero più capace, forse. Lo guardai con profonda freddezza, gli occhi ridotti a due fessure.
«Mio padre è al piano di sopra, vado a chiamarlo» risposi solo, con tono piatto, allontanandomi.
Non accelerai il passo. Non scappai come una stupida bambina dinanzi la minaccia del lupo cattivo.
Shinchi sembrò ingenuamente colpito dal mio comportamento.

«Kudo è di sotto» giunsi in cucina, dove trovai mio padre davanti al televisore. Senza aggiungere altro, mi avviai nella mia stanza. Sorrisi amaramente.
Kudo.
Shinichi non esisteva più per me.
Mio padre sembrò stupito dal mio atteggiamento. Si alzò infatti dal divano.
«Non hai voglia di restare con noi…? » mi chiese piano, quasi temendo di scatenare in me una violenta crisi di nervi.
«No, affatto. Non ho più nulla a che vedere con lui e ad essere sincera, trovo il suo interesse per la nostra ex agenzia investigativa solo come una presa in giro» sentii una profonda rabbia invadermi la mente. Mi morsi le labbra, stando ancora di spalle.
«Ascolta Ran » mio padre parlò ancora, lentamente.
«Ho parlato con Takagi, in questi lunghi anni Shinichi ha dovuto affrontare tante cose» quasi stentai a riconoscerlo.
Risi istericamente. Da quando mio padre giustificava Kudo?
«Stai difendendo colui che ti ha trattato per mesi come un perfetto imbecille? Riempendoti di anestetici perché non eri in grado di risolvere da solo un misero caso?!» gridai con rabbia, voltandomi verso di lui. «Che si è preso gioco di te, illudendoti di avere una qualità che in realtà non possedevi? Che ha illuso me ed è sparito per cinque anni senza darmi spiegazioni, non facendomi mai neanche una stupida chiamata?» Il sangue sembrò affluire con più forza nelle vene. Urlai fino a restare senza voce. Mio padre tuttavia non sembrò affatto scomporsi.
«Ti dirò una cosa Ran, una cosa importante: è meglio perdonare che vivere di rancore e rabbia come fai tu! L’odio è la cosa peggiore che possa infettare un essere umano. Lo uccide lentamente, è il peggior veleno che esista. Nessuno ne è immune, ma il perdono a volte, può essere l’antidoto»
Se l’odio non avesse davvero infettato tutto il mio corpo, avrei riflettuto meglio su quelle parole.
«Pensi di cambiare qualcosa con una stupida paternale?»
 A quelle parole quasi non mi riconobbi.
Chi ero realmente?
Lo guardai con rancore, come fosse lui la causa di tanta sofferenza.
«Ho bisogno di cambiare aria!»
Aggiunsi infine, sbattendo con violenza la porte alle mie spalle.

Può l’odio essere più forte dell’Amore?
 


 
**
 

Udii senza fiato tutta la loro conversazione.
Goro comparve poco dopo alle mie spalle.
Mi osservò minaccioso per qualche secondo, poi mi afferrò per la camicia, spingendomi contro il muro.
«Meriteresti proprio una bella lezione, moccioso! La mia Ran ha smesso di vivere per colpa tua!» parlò in un tono d’accusa che non ammetteva repliche. Mi sentii morire dentro.
Una sensazione d’impotenza mi avvolse come un filo spinato.
Era tutta colpa mia, mi ripetevo con rabbia. Avrei voluto inseguirla, correrle dietro, ma mi mancò il coraggio.
Mi scoprii vigliacco.
E se avessi peggiorato il tutto?
Cos’era successo alla mia Ran?
Cosa le avevo fatto?
«Se ti interessa comunque, potrai usufruire dell’ex agenzia ma voglio il pagamento anticipato dei primi quattro mesi d'affitto!» mollò la presa, non staccando il suo sguardo dal mio.
Quelle parole, tuttavia, avevano un chiaro sottointeso.
«Va bene» risposi solo, senza alcuna emozione, lasciando la stanza.
Il cielo era buio, mi avviai stancamente verso casa. Una fredda pioggia cominciò a calare dal cielo. Mi strinsi nella giacca, il gelo sembrò penetrare fin nelle ossa. La frustrazione mi compresse le viscere, mutando in un dolore insopportabile. Non smisi un solo istante di pensare a lei. Allungai il tragitto, camminai per un lungo tratto isolato, immerso nei miei pensieri, quando svoltando in una delle strade principali, riconobbi il suo profilo.
 Mi fermai di colpo e anche il mio cuore si fermò, dolorosamente.
Era pallida, sconvolta, infreddolita.
Era poggiata contro il muro di un palazzo che ospitava una delle boutique d’abbigliamento più rinomate di Tokyo. Forse Sonoko era lì dentro.
La pioggia scendeva e frustava senza pietà il suo viso, il suo corpo. Era cresciuta parecchio. I lineamenti del volto più fini, maturi, le forme ancora più armoniose. Aveva gli occhi chiusi e le mani incrociate lungo il grembo.
Giunsi piano alle sue spalle, coperto dal rumore delle auto e dal vociare del passanti.
La coprii con la mia giacca.
Aprì gli occhi di scatto. Mi guardò sconvolta, come fossi un fantasma, un cadavere che aveva ripreso vita. Mosse le labbra appena. Fiamme sembravano bruciare nei suoi occhi. Per un attimo temetti mi uccidesse proprio lì, davanti a tutti, a mani nude.
«Eccomi qua, sono tornata! E’ un peccato che tu non sia voluta entrare, ho comprato un completo mozzafiato anche per te!»
La voce allegra di Sonoko giunse alle nostre spalle. Anche lei era cambiata molto, ma malgrado gli sforzi, mai avrebbe raggiunto la bellezza e la grazia di Ran.
La salutai con disagio, accennando un sorriso, poi sparii sotto la pioggia, seguito e forse maledetto, dallo sguardo rancoroso della ragazza della mia vita.
 
 


**
 

«Ma quello era… »
Lo stridio di un’unghia contro una lavagna. E’ così che identificai la voce di Sonoko.    
«Kudo, sì… lui » risposi inespressiva, in un sussurro, continuando a guardare nella direzione nella quale era vigliaccamente sparito.
La sua giacca era ancora appoggiata sulle mie spalle.
Mi irrigidii al pensiero. Riconobbi il suo odore mischiato con quello della pioggia.
«Da quando… lo chiami per cognome?»
Non ottenne risposte.
Mi incamminai in silenzio, lungo la strada. Lei mi affiancò, circondandomi le spalle con un braccio. Mi riparò sotto il suo ombrello. Tremavo per il freddo e non solo. I capelli bagnati mi ricadevano lungo la fronte, bagnando ulteriormente i miei vestiti. Sonoko mi guardò con un misto di tristezza e preoccupazione.
«So bene che se sei in questo stato da anni è per colpa sua…»
Disse piano, quasi non l’ascoltai; poi la sua voce divenne morbida e piacevole quasi fosse una carezza.
«Non dico che tu debba tornarci insieme, Koji è mille volte più carino, però…» esitò e si fermò di colpo. Cercò il mio sguardo e mi strinse una mano. «Shinichi ha sempre tenuto a te e questo lo sai bene, tuttavia ha commesso delle gravi mancanze nei tuoi confronti. Continuare a rimuginare su quanto abbia sbagliato non migliorerà il tuo umore, né cambierà qualcosa. Dovresti piuttosto cercare un dialogo. Ascoltalo, confrontatevi. Solo allora, potrai avere il cuore in pace e ricominciare a vivere»
Ricominciare a vivere?
Cercai a lungo il vero significato di quell’affermazione.
Shinichi aveva agito unicamente per proteggermi, sarebbe stata sicuramente quella la sua patetica risposta.
Non mi aveva reputato abbastanza forte e capace di sostenerlo né degna di essere messa al corrente di quello che gli era successo. Forse non avrei potuto aiutarlo, ma avrei almeno meritato di sapere, gli avrei offerto tutto il mio conforto e gli sarei stata vicino fino alla fine.
Lo avrei fatto davvero, perché lo amavo con tutto il cuore.
Riprendemmo a camminare dirette a casa sua.
«E poi l’aria da cucciolo bastonato non gli si addice per niente, gli dona molto di più quella da presuntuoso e arrogante!» rise, cercando inutilmente di contagiarmi con la sua allegria.
Non raccontai mai a Sonoko della regressione di Shinichi.
Ne seppe mai che lui e Conan erano in realtà la stessa persona, né gli accennai che dietro le brillanti deduzioni sue e di mio padre, era sempre lui a celarsi. Trascorsi la notte da lei. Mi lesse alcuni articoli di giornale su Shinichi, seppur non mostrai alcun interesse a riguardo.
Quella sera lo sognai.
Sognai di baciarlo e d’amarlo con desideravo un tempo e come ormai, non potevo né volevo più fare.
Quel sogno mi turbò profondamente, mi lasciò una profonda inquietudine nel cuore.
Quando mi svegliai il sole era già alto nel cielo. Non pioveva più. Per un attimo osservai la sua giacca piegata sulla spalliera della sedia accanto al letto. Tornai a casa verso mezzogiorno. Salii le scale rapidamente quando notai una sagoma all’interno dell’agenzia. Entrai, senza bussare.
Alcuni documenti e oggetti erano sistemati sulla scrivania.
Scorsi una foto.
Io e lui al Tropical Land. L’inizio di tutto.
«Ran!»
Sussultai appena. Mi voltai agiata.
Vidi il suo sguardo accendersi di un’incredibile dolcezza. Un pugno invisibile sembrò colpirmi al petto.
Ricordai le emozioni che un tempo facevano gridare il mio cuore, che lo facevano vivere. Posai la sua giacca sul divanetto.
«Grazie» dissi solo con voce spenta e incolore. Feci per uscire dalla stanza quando rapido, mi inseguì e mi afferrò per il polso. Mi trattenne con un’insolita urgenza.
Con determinazione mi costrinse a guardarlo negli occhi. Mi scoprii infastidita e confusa. Il cuore rallentò i battiti, avvertii le gambe tremare leggermente, così come il corpo.
Ma era presto, ancora troppo presto per risvegliarmi dal lungo letargo dei sentimenti.
«Noi due dobbiamo parlare …»  
Desiderai oppormi, colpirlo e gridare con forza tutto il mio odio e risentimento. Desiderai fuggire nella prigione della mia stanza, tra i miei libri. Ma d’un tratto scoprii di essere stanca anche di quello.
Ero stanca, terribilmente stanca di tutto, di lui e della vita.
Tentò di avvicinarsi, di stringermi una mano, ma rifiutai ogni contatto.
Non ora. Non ora Shinichi. E’ ancora presto… ancora troppo presto.
La sua delusione fu chiara, quasi dolorosa per me.
Mi fece sedere mentre lui rimase in piedi.
Parlò a lungo e con il cuore, delle sue scelte, delle sue paure, dei suoi rimorsi e della sua vita intrappolato nel corpo di un bambino per colpa dell’APTX4869.
Conan non esisteva più.
Quel pensiero mi procurò un atroce tristezza.
Quel fratellino che avevo sempre desiderato, quel bambino che avevo finito per amare quasi fossi una madre, non c’era più… e questo perché lui e Shinichi erano la stessa persona. Mi rivelò anche la verità su Ai, il suo coinvolgimento nell’Organizzazione, il suo passato difficile, la morte dei suoi genitori e di sua sorella, l’aiuto che gli aveva dato.
Ero molto legata anche a lei, anche se la nostra non poteva definirsi una vera e propria amicizia. Tuttavia, non mi sorprese scoprire quelle realtà su di lei, provai tristezza e in cuor mio, gli augurai di ritrovare la felicità. Lo meritava.
«Ora sai tutto Ran. Io ti aspetterò sempre e comunque…»  
L’intensità del suo sguardo mi fece improvvisamente arrossire.
Ero davvero ancora capace di provare emozioni così pure?
Sarei stata davvero capace di perdonarlo?
Sì, mi dissi all'improvviso, un giorno.
Un giorno quel perdono sarebbe forse arrivato.
C’eravamo confrontati. Non seppi tacergli tutte le mie accuse e il mio veleno. Lui mi ascoltò e replicò senza negare niente.
Dopo ciò, sentii e capii che saremmo dovuta ripartire da zero per ricostruire il nostro rapporto.
Da quel momento in poi, nulla mi parve impossibile.
Ricoprii il mio cuore battere forte come un tempo, vivo, emozionato e affamato.
Mi scoprii nuovamente vicina alla ragione, al perdono e all’Amore.
Gli sorrisi. Quel sorriso fu come un sorso di vita per me e per lui. Per noi.
Mi alzai e sostenni con  un'impensata serenità il suo sguardo. Gli allungai una mano e lui me la strinse.
Lentamente, mi sentii rinascere.
E fu davvero così.
Ero pronta a ricominciare.
 




 
Fine.
 
 

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