Benvenuti a Durmstrang

di Elsinor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un anno promettente ***
Capitolo 2: *** Bon courage ***
Capitolo 3: *** Nicht bewegen ***
Capitolo 4: *** Giustizia ***
Capitolo 5: *** Le sue regole ***



Capitolo 1
*** Un anno promettente ***


La neve scrocchiava sotto gli stivali.
La temperatura del primo pomeriggio era di pochi gradi sotto lo zero. Un pallido sole faceva brillare la crosta ghiacciata che ricopriva la radura. Nessun vento.
Un tempo ideale. Tutti gli insegnanti avevano convenuto, e anche gli studenti avevano provato invidia per quel primo anno fortunato.

La strega fiutò soddisfatta l'aria ed espirò in uno sbuffo di condensa «Benvenuti a Durmstrang.» esordì.

Non aveva bisogno di attirare l'attenzione, i ragazzi -quell'anno una cinquantina- la stavano già fissando, muti. File uguali di mantelli e copricapi in pelliccia di lupo e una gamma varia di facce pallide ed espressioni che andavano dal nervoso al determinato.
Durante il viaggio in nave fino al castello era evidente si fossero già formati i gruppi, e gli europei si riconoscevano subito: erano quelli che tremavano dal freddo.
I russi avevano musi duri e occhi stretti, e insieme agli scandinavi non battevano ciglio.
Per parlare a tutti loro la strega aveva usato il francese, la lingua comune dell'élite Purosangue.

«Questa è la scuola di magia più prestigiosa del mondo.» continuò «Il solo essere stati ammessi è un onore per cui dovete ringraziare le vostre famiglie. Per rimanere, tuttavia, dovrete contare su voi stessi. La purezza di sangue non è una culla in cui adagiarsi, ma uno sprone a essere degni. Dovrete nutrirla, dovrete onorarla. Solo così l'orgoglio di mago vi renderà forti.»
In piedi accanto alla strega, l'uomo dalla barba spruzzata di grigio tese gli angoli della bocca in un cenno di approvazione che non arrivava a potersi definire sorriso. Era più basso della donna a suo fianco (riusciva comunque a essere alto) e più magro, una figura nera e sottile come un albero secco della foresta circostante.
«Questa è una scuola per grandi maghi,» proseguì la strega. Si offriva allo sguardo dei nuovi studenti a testa scoperta, il cappuccio foderato di pelo gettato indietro. I capelli biondi erano imprigionati in un intricato groviglio di trecce «non è una scuola per viziati né per viziosi. Non aspettatevi di avere elfi domestici al vostro servizio esclusivo, né di dettar legge in nessun luogo del castello, dalle classi al bagno. Vi diverto?»
Erano spuntati giusto due o tre mezzi sorrisi. Sparirono a gran velocità.
«Le regole che seguirete saranno le mie e quelle degli insegnanti. Il professor Krass.» presentò con un secco cenno del capo il mago alla sua sinistra, che rimase immobile, le mani dietro la schiena nascoste dal mantello.
«Io sono la Preside, Lyubomira Gregorovna Petkova. Per nessuna ragione dovrete scambiarmi per vostra madre...»
«La scambierei per troll.» borbottò uno dei ragazzini più minuti, in tedesco. I suoi vicini si scossero per lo sforzo di non ridere.
«...tuttavia spetta a me l'arduo compito di svezzarvi. E cominciamo subito.» la Preside si voltò verso il mago a suo fianco e annuì. Il mago tirò fuori le mani da dietro la schiena e rivelò un piccolo scrigno d'ebano ornato di borchie metalliche. Avanzò in silenzio verso gli studenti e sempre in silenzio si chinò a posare lo scrigno a terra, pochi metri davanti alla prima fila.
I ragazzini si agitarono e un mormorio dissonante in varie lingue percorse il gruppo. Alcuni arretrarono, altri azzardarono un timido passo avanti, allungando il collo e chinandosi per osservare lo scrigno. Altri fissarono avidamente il professore, in attesa di istruzioni.

«Vi avverto» parlò invece la Preside, mentre Krass si limitava a estrarre la bacchetta e indietreggiare piano «se il vostro contegno in questa prova non mi piacerà, non metterete piede nel castello.»
Il professor Krass puntò la bacchetta e lo scrigno si allargò.
Gli studenti indietreggiarono in sintonia.
Lo scrigno raggiunse l'ampiezza di una cassapanca e prese ad agitarsi violentemente.
Tutta la prima fila di studenti arretrò scomposta, inciampando negli altri tra grida e improperi. Alcuni, pallidi e risoluti, estrassero le bacchette e gridarono agli amici di imitarli.
Lo scrigno, ormai largo quattro metri e alto tre, si sfasciò di colpo, lanciando i pannelli di legno a strisciare nella neve fino a colpire le caviglie dei ragazzi più vicini.
Sopra alle loro grida, sopra a qualsiasi altra cosa, risuonò un lungo, potente ruggito.

«Non vi è richiesto di uccidere il troll.» disse freddamente Lyubomira Petkova, ignorando lo scompiglio «Vi basterà far sì che vi lasci vivi. Buona fortuna.»

Il troll si sollevò da terra, tirandosi dietro schegge di legno e pezzi di metallo contorti. Contro il bianco della neve, era enorme e grigio come una roccia sbozzata, nudo a parte una gabbia di fili metallici attorno al piccolo cranio. La gabbia gli comprimeva anche gli occhi, sotto minuscoli dischi d'argento.
Cieco e furioso, il troll dondolò il busto, pestò la neve con i grandi piedi duri e ruggì ancora, scoprendo una grande quantità di denti marci.
Il professor Krass, da lontano, mosse appena la bacchetta sollevata.
Il troll scattò verso gli studenti, che tra stilla e imprecazioni si dispersero ai quattro angoli della radura, gettandosi nella macchia.
Rimase solo uno spiazzo di neve calpestata.
«Un anno promettente.» commentò il professore rivolto alla Petkova, stirando le labbra nel suo quasi-sorriso amaro.


















Angolo dell'autrice: troll sguinzagliati contro gli studenti? A Hogwarts non succederebbe ma...ah, già. Benvenuti non a Durmstrang ma al primo capitolo di quella che sarà una long non molto long, breve ma intensa (spero). Mi sono basata quanto possibile sulle poche informazioni che si hanno della scuola, per il resto libertà a tutt'andare. Recensite se avete dubbi o volete fare il tifo per il troll! Seguite per ammirare nel prossimo capitolo il panico e la determinazione dei protagonisti di quest'"anno promettente"!

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Capitolo 2
*** Bon courage ***



«Ci nascondiamo e basta?» esclamò attonita una ragazzina bionda e lentigginosa ai compagni.
Erano tedeschi, per la maggior parte si conoscevano fin dall'infanzia, per frequentazione o antichi legami di sangue. Erano scivolati lungo un umido pendio di neve e foglie marce e si erano acquattati tra gli alberi, le orecchie tese ai rumori della bestia.
«Idee migliori?» sbuffò il ragazzo più massiccio del gruppo. Come gli altri, aveva perso quasi tutto il colore dal viso, compreso il naso prima arrossato dal freddo «Dopotutto ci basta sopravvivere, no?»
«Ma se facciamo la figura dei codardi, ci espelleranno!» strillò di nuovo la ragazza.
«T'es fou! Abbassa la voce.» intervenne un ragazzo con capelli e lentiggini simili «Il troll non ci vede, ci sente.»
Tutti presero a sussurrare.
«Forse possiamo attirarlo in qualche trappola...forse riusciamo a usare le bacchette per scavare.»
«Non ci vorrebbe un'esca?»
«Non possono farla i russi, l'esca?»
«Aspetta, allora troviamo i russi e...»
«Guardate che il troll non ci sente neppure.» osservò uno dei ragazzi, spezzando il concerto di sussurri con un tono di voce normale. Era biondo anche lui, dall'aspetto delicato e grazioso smentito da occhi azzurri stranamente penetranti «O meglio, ci sente, ma non è abbastanza intelligente da organizzare gli stimoli. Se ci si è buttato contro, è perché c'era quel bastardo ad aizzarlo.»
«Sssh! Ecco, lui sì che ti potrebbe sentire!» protestò il ragazzo massiccio «Dimentichi che ci staranno osservando, lui e la Preside.»
«Vuoi dire l'altro troll?»
«A te da piccolo ti hanno lasciato cadere dopo un Incantesimo di Librazione.» considerò seccamente il ragazzo lentigginoso.
«Se provassi quell'Incantesimo?» saltò su la ragazza «È uno dei più facili! Solleviamo il troll e lo ributtiamo a terra da molto in alto.»
«E ce la facciamo a sollevare un troll
La ragazza sembrò sul punto di ribattere, ma un tramestio improvviso li fece tutti sobbalzare. Non fecero in tempo a reagire allo spavento che una valanga umana li travolse, scivolando giù dal pendio.
«Dégagez, les cons!»
«Viene da questa parte!»
Il ragazzo lentigginoso fu spinto violentemente e cadde, scomparendo tra gli ampi mantelli dei fuggitivi. La ragazza sollevò la bacchetta.
«Scapperete meglio strisciando!»
Volarono scintille ed esalò puzza di bruciato. Un bulgaro, grosso come un quattordicenne, si fermò, costringendo quelli dietro di lui a urtare contro la sua ampia schiena.
Non fece in tempo a parlare, perché l'odore di fumo fu coperto da una vampata fetida, seguita da un rimbombo di passi che scosse la neve dagli alberi.
«Fermi!» urlò uno dei tedeschi «Dove avete l'orgoglio di mago, mangiarape? Le bacchette! Colpiamo tutti insieme! Tutti insieme!»
La maggior parte si limitò a ruzzolare via passando sopra a chi inciampava, ma il bulgaro dal mantello bruciacchiato rimase, e con lui un'altra decina di ragazzi.
«Naso, bocca, occhi, orecchie, palle.» un grido dal forte accento baltico «Sono buoni per colpire.»
Il pendio nevoso davanti a loro franò. Il troll comparve in cima, mulinando un tronco divelto a spazzare il terreno. Si guardò intorno, agitando le orecchie appuntite, gli ansiti rauchi che si condensavano in sbuffi di vapore.
«Sugli occhi ha la benda.» la voce arrivò sorprendentemente dall'alto, e risuonò in modo innaturale sopra il frastuono e i grugniti della creatura.
I ragazzi sollevarono la testa e videro il tedesco fragile e grazioso appollaiato sul ramo di un albero, a diversi metri di altezza. Aveva abbandonato il mantello e indossava solo la divisa rosso sangue, che spiccava tra il nero e bianco dei rami. Teneva la schiena contro il tronco, le gambe a cavalcioni, la bacchetta nella mano adagiata mollemente in grembo. Non sorrideva, guardava verso il troll con una certa cupa attenzione, ma per il resto pareva a suo agio.
«Che vigliacco!» esclamò sbigottito uno dei suoi compagni.
Il ragazzino ritrovò il sorriso e indicò con la bacchetta (fu evidente che la mano tremava -per il freddo?-) «Visto come è tranquillo, ora?» il troll sdrucciolò sul bordo del pendio, fece un rantolo fischiante e indietreggiò di colpo. Si voltò e sferzò con la mazza il tronco di un albero vicino. Ripeté la scena un altro paio di volte, ogni colpo un grugnito.
«Dobbiamo colpirlo adesso.» si innervosì la ragazza lentigginosa.
«No, aspetta.» ribatté il ragazzino. Era un ordine, dato con la massima noncuranza, per lo più. Lei gli lanciò un'occhiata inviperita, alzando la bacchetta verso il suo ramo.
In quel momento il troll fece un altro tentativo di affrontare il pendio. Accennò di nuovo ad arretrare, ma all'improvviso fece scattare indietro la testa e lanciò un lungo ululato. La bava gli schiumò ai lati della bocca.
«Così.» commentò il ragazzino, fissandolo avidamente. Rimise la bacchetta sotto la veste e smontò dal ramo, tenendosi in equilibrio, le ginocchia flesse, la mano appoggiata al tronco. «L'avete visto? È quel coso sulla testa. Lo punzecchiano da lontano.»
«Arriva!» gridarono varie voci più o meno in coro.
«Scappate e basta.» suggerì il ragazzino. Si calò con una certa agilità da un ramo all'altro.
«Gli togliamo quel coso dalla testa!» affermò la ragazzina.
«Bon courage!» il ragazzino saltò giù e sparì.
Se fece rumore cadendo, fu coperto dal troll che scivolava giù dal pendio, portandosi dietro gran parte di esso. Rotolò con un fragore di roccia contro roccia e cercò di rimettersi in piedi annaspando con le grandi mani a terra.
Uno dei russi protese la bacchetta e sbraitò un incantesimo: rimbalzò una scintilla a malapena visibile sulla spalla del mostro.
Il troll brontolò, raschiò una palata di neve e fango e la lanciò alla cieca. Colpì il russo temerario con uno schiocco d'ossa, e proiettò il corpo a tre metri di distanza.
«Insieme! Insieme!» urlò la ragazza.















Angolo dell'autrice: come si affronta un troll? Sarà meglio non affrontarlo proprio? Che fatica essere degni di Durmstrang! Strategie di sopravvivenza decisamente inaspettate in arrivo nel prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Nicht bewegen ***



Il ragazzino sbuffò e si strofinò le braccia con le mani guantate di pelle.
Il clima di Durmstrang era una vera tragedia.
La divisa di Durmstrang era una vera tragedia.
Aveva tolto il mantello di pelliccia perché lo impacciava, ma con quei colori in mezzo alla neve, come poteva passare inosservato?
Pestò la neve, imprecò a mezza voce, si fermò. Inspirò ed espirò profondamente e tolse la veste rossa. Gli rimase addosso il completo babbano color ardesia con cui era partito da casa, il suo primo abito da adulto: giacca, panciotto, camicia dal colletto corto, cravatta a fiocco e calzoni lunghi. Avrebbe dovuto indossare solo una blusa, brache aderenti e calze regolamentari, ma ci aveva messo sopra i suoi vecchi vestiti per avere meno freddo. Ironico.

Ricordava la direzione della radura, la neve rivoltata era pista facile. I ruggiti del troll e le urla dei compagni erano alle sue spalle. Corse, cercando di mandare in moto il sangue che gli batteva nelle orecchie.


Il professor Krass osservò il quadrante dell'orologio d'argento, dove insieme alle lancette viaggiavano corpi celesti in miniatura. La mano libera continuava a reggere la bacchetta.
Chiuse l'orologio con un piccolo scatto e lo lasciò andare, appeso alla sua catena.
«Altre tre ore.» commentò ad alta voce «Debbo spedire il mio Patronus a controllare che siano vivi? Nessuno è ancora tornato, foss'anche a implorare pietà.»
«Comincio a pensare che dovremmo ricorrere a un troll sia cieco che sordo, per venire incontro alle nuove generazioni.» replicò la Preside senz'ombra di divertimento. Estrasse la bacchetta e la puntò verso gli alberi «Expecto Patronum!» un orso di luce argentea atterrò sulla neve e vi trottò senza lasciarvi traccia, scomparendo oltre la radura.
«Date un altro incentivo, Krass. Anche il troll si starà stancando, a quest'ora.»
«Se vado piano col pungolo, potrebbero farcela più studenti.»
«Non esageriamo col venire incontro.»
Krass stirò le labbra e riuscì a produrre un vero sorriso.


Il ragazzino si accovacciò dietro al tronco di un grosso abete e trattenne il respiro. Il baluginio d'argento passò lontano. Non si fermò.
Espirò di colpo. Forse non aveva fatto un cattivo affare a togliere la divisa.
Fece scivolare la schiena contro il tronco fino a tirarsi in piedi. Si sporse fuori, serrò le dita, indurite anche sotto i guanti, attorno alla bacchetta e prese con calma la mira. Strinse i denti e tese i muscoli per cancellare il tremito, giusto per l'attimo che gli serviva.
Tutto bene. Non poteva fallire.

«Expelliarmus!»

Pronunciò a voce alta e chiara. Ruotò facendo perno sul piede destro per uscire dal riparo dell'albero e tese la mano libera.
Il professor Krass si sentì sfuggire la bacchetta dalle dita e si voltò di scatto in quella direzione.
Il ragazzino chiuse la mano rigida dal gelo con un istante di ritardo e la bacchetta dell'avversario ricadde sulla neve.
Il professore, il viso immobile dagli occhi spalancati, si mosse rapido verso di lui.
Il ragazzino fece una smorfia infastidita, non aveva ancora abbassato la propria bacchetta e non esitò: «Locomotor Mortis!»
Il professore aprì la bocca ed emise un respiro rauco, mentre le ginocchia sbattevano l'una contro l'altra e il corpo si sbilanciava.
«Ach so, nicht bewegen!» ringhiò il ragazzino.

Sembrò che il tempo si fermasse.

Il corpo del professore non cadde, rimase sospeso a un angolo impossibile.
Il ragazzino fu aggredito da una vampata improvvisa di gelo che lo intorpidì dal cervello alla punta dei piedi, e non sentì più niente finché non colpì il terreno. Il contraccolpo gli si arrampicò sulla schiena e gli morse la gola.
Annaspò in cerca d'aria, mentre il suo corpo veniva trascinato rudemente nella neve.
«Sonorus» borbottò Lyubomira Petkova, e un attimo dopo la sua voce attraversò la foresta.
«Gli studenti in grado di camminare facciano ritorno alla radura immediatamente!»
Il ragazzino riacquistò il respiro con un certo sollievo, e fissò battendo le palpebre il cielo di un azzurro così chiaro da sembrare bianco. Abbagliante.


Lyubomira Petkova alzò la bacchetta al cielo e lanciò una scia rosso sangue che esplose in aria come un fuoco d'artificio. In lontananza, dal castello, uno sboccio di scintille rispose.
La donna si voltò verso il professore.
«Tutte a posto le ossa, Krass?»
«Sì, grazie a voi, Madama Preside.» professore parlava con voce ansante. Si avvicinò e sferrò un calcio al ragazzino disteso a terra «Piccolo bastardo!»
«Riprendetevi la bacchetta, almeno potrete sfogarvi senza indulgere in metodi babbani.»
«Io...» cominciò il ragazzino, ma la Preside puntò la bacchetta e lui poté solo muovere le labbra.
«Parlerai quando te lo chiederò.» tagliò corto la Preside «Ora alzati.»
Il ragazzino scattò in piedi, più per l'azione della bacchetta di Lybomira Petkova che di sua iniziativa: tremava a tal punto che senza l'incantesimo difficilmente si sarebbe tenuto dritto.
Il professor Krass gli gettò un'occhiata sprezzante e si allontanò verso gli alberi.













Angolo dell'autrice: scusate la brevità del capitolo, il prossimo sarà più lungo. Spero non si sia capito, ma non so il tedesco, quindi se ho fatto qualche strafalcione (se per esempio "nicht bewegen" si traduce con "vuoi broccoli" invece che "non ti muovere"), non esitate a farmelo sapere! Sentitevi liberi anche di farmi sapere cosa ne pensate della storia. Per sapere invece quanto è grande l'indulgenza di Durmstrang, aspettate il prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Giustizia ***



Gli studenti del primo anno erano di nuovo riuniti, ma ne mancava almeno una ventina.
Il silenzio era sporcato da gemiti soffocati e un continuo tirare su col naso. Le facce erano bianche e violacee, alcune incrostate di sangue.
Quasi tutti avevano perso il cappello, i mantelli erano strappati, bagnati e macchiati. A giudicare dalle bruciature sui vestiti e dai fazzoletti pieni di neve che alcuni si premevano contro il viso, dovevano aver appiccato un fuoco.
La Preside Lyubomira Petkova era di nuovo fronte a loro, e al suo fianco il professor Krass. Nessuno dei due aveva cambiato posizione, né espressione, nel caso della Preside. Il professore aveva le labbra serrate e il volto teso di furia trattenuta.
Il ragazzino era accanto a lui, nei suoi abiti babbani. Aveva il capo reclinato, le spalle rilassate e le braccia lungo i fianchi, come una marionetta appesa per i fili. Batteva i denti e tra i capelli che gli ricadevano sulla fronte brillavano stille di ghiaccio.
Tutti gli studenti lo guardavano, e si lanciavano occhiate, senza osare scambiarsi anche parole.
«Da queste parti abbiamo un detto,» esordì la Preside «"chi ha l'alito del drago, deve avere anche il fegato del drago".» voltò appena il capo verso il ragazzino «Mentre voialtri affrontavate il troll, il vostro compagno ha scelto di aggredire il professor Krass. Non uso il termine affrontare poiché si è trattato di un colpo a tradimento.»
Tra gli studenti, incapaci di trattenersi oltre, serpeggiò un brusio.
«Ora, dal momento che il professore era colui che reggeva le briglie del troll e ciò rendeva, si può dire, vantaggioso il suo annientamento, ho una domanda per voi: eravate a conoscenza di questo piano e lo avete concordato insieme?»
I ragazzi tedeschi si guardarono. Salvo bruciature ed escoriazioni, erano più o meno illesi. Il biondo lentigginoso era quello conciato peggio, con il naso sanguinante ed entrambi gli occhi gonfi e lividi.
Anche i russi e i bulgari incontrati ai piedi del pendio si scambiarono occhiate in tralice. Perlopiù sembrarono consultarsi in silenzio con il bulgaro grande e grosso dal mantello bruciacchiato, che tuttavia mantenne il viso impassibile.
«Noto una certa esitazione.» osservò la Preside, anche lei impassibile «Immagino vi stiate domandando qual è la risposta che vi conviene. Anche se si direbbe che l'alito di un drago vi abbia dato una strinata, il fegato latita.»
«No, signora.» intervenne un tedesco, la cui voce, sebbene risoluta, risuonò debole come uno sbuffo di vento in confronto a quella della Petkova «Non sapevamo.»
«È una risposta.» ribatté la Preside senza tradire soddisfazione. Il ragazzo tedesco fu sommerso di occhiate più o meno inquisitorie da parte dei compagni.
«Ora sentiamo te.» 
La Preside puntò la bacchetta contro il ragazzino. Lui sollevò il mento e inspirò bruscamente dalla bocca. I fili invisibili che lo reggevano vennero tagliati e lui incespicò e cadde seduto sulla neve.
Nessuno del pubblico accennò a ridere. La Preside attese.
Il ragazzino si rimise piano piano in piedi, soffiando e stringendosi addosso la giacca. Tirò su col naso e guardò la Preside, ignorando tutti gli altri.
«E-era il mio piano.» ancora gli battevano i denti.
«...signora.» completò la Preside stringendo appena gli occhi «Dimmi il tuo nome.»
Lui alzò un poco il mento.
«G-Gellert Grindelwald, signora.»
«Hai pensato fosse accettabile aggredire un insegnante, Grindelwald?» domandò ancora la Preside, senza batter ciglio.
«N-no.» la Preside schiuse le labbra per parlare ancora, ma Grindelwald proseguì «Ho-ho pensato fosse giusto
«Giusto?» ripeté la Preside, stavolta corrugando la fronte.
«Ho fatto quanto richiesto, "convincere il troll a lasciarvi vivi", io s-sono vivo. Non è f-facile colpire un troll f-furioso con la magia e non era ne-necessario. Colpire un uomo che non se lo aspetta, vinco fa-facilmente, ed è...»
«Pensi di aver vinto?» lo interruppe il professor Krass, rauco.
Grindelwald sostenne il suo sguardo. Le labbra tremanti si contrassero in un rapido accenno di sorriso.
Il professore puntò la bacchetta «Crucio!»
Il corpo del ragazzino si tese di colpo e l'urlo che squarciò la radura non sembrò neanche la sua voce.
«Basta!» ordinò la Preside, e Krass abbassò la bacchetta all'istante, stringendo i denti.
Grindelwald ricadde sulle ginocchia con un lungo gemito, il volto arrossato e due strisce lucide di lacrime sulle guance.
Gli studenti osservavano in silenzio mortale, gli occhi sgranati e fissi.
«Ho la tua bacchetta, Grindelwald.» disse la Preside «Decido io chi vince. Per quanto riguarda la tua prova, si può dire sia stata portata a termine, ma hai seguito le tue regole e non quelle di Durmstrang.»
Grindelwald ansimava, ma scosse la testa.
«Osi ancora rispondere?» proruppe il professor Krass.
«Non esiste nessuna scuola, tantomeno Durmstrang, in cui sia permesso colpire gli insegnanti, per nessuna ragione.» continuò la Preside alzando la voce «Potrei espellerti solo per questo, nel caso non bastasse la tua insolenza. Ma hai portato a termine la prova e hai eseguito un Incantesimo di Disarmo al di sopra della tua età. Se smetterai di scivolare alle spalle, spero potrai onorare l'eccellenza di Durmstrang nell'Arte del Duello. Spero anche di non rivederti mai più senza la divisa regolamentare. Alzati.»
Grindelwald si passò il dorso della mano sugli occhi, tirò su col naso e obbedì.
«Penso sia giusto, per usare una parola delle tue, che sia il professor Krass a decidere la tua punizione. Complimenti, Grindelwald: è raro che un nuovo studente visiti la Reuekammer prima di qualsiasi altro luogo del castello.»
Grindelwald batté rapidamente le palpebre, ma non disse nulla. Gli studenti bisbigliarono.
«Quanto a voi,» i sussurri sfumarono «avete superato la prova, e bene o male, avete assistito a una lezione. Benvenuti a Durmstrang.»



















Angolo dell'autrice: ebbene sì, come magari avevate già capito, si tratta proprio del piccolo Grindelwald. Il piccolo Grindelwald secondo l'autrice, almeno. Commentate pure se vi è piaciuto, non vi è piaciuto, Crucio, eccetera. Grindelwald in questo capitolo se l'è vista brutta, ma poteva andare peggio...o andrà peggio? Leggetelo nel prossimo, ultimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Le sue regole ***



La porta sbatté e Grindelwald fu sospinto lungo un oscuro corridoio di pietra, in discesa.
Era poco più caldo che all'esterno.
Poteva camminare da solo, ma il professor Krass continuava a trascinarlo, la mano come una morsa chiusa sul retro del colletto.
Gli tirava i capelli sulla nuca e faceva male, anche il fianco era indolenzito e le estremità gelate pulsavano terribilmente, ma niente in confronto a quanto aveva provato prima con la Maledizione.
«Signore, quando posso riavere la mia bacchetta?»
Il professore non si fermò, anzi, lo spinse rudemente in avanti.
«Tu non puoi niente.»
«No?» Cercò di torcere il collo per lanciare un'occhiata di sbieco al professore. Col Cruciatus aveva voluto renderlo più remissivo? Gli sembrava invece di non avere più nulla da temere, dopo quel dolore.
«Ti pentirai di tutto, Grindelwald, e mi pregherai.»
«Non lo farò.» che uomo patetico. Si era fatto disarmare e pretendeva di essere temuto?
Erano arrivati a un'altra porta, così piccola che, se fosse stato appena più alto, avrebbe dovuto abbassarsi per entrare.
Il professore puntò la bacchetta contro la serratura e si udirono quattro diversi scatti, poi la porta si spalancò sul buio completo. La debole luce esterna non lo scalfiva affatto, semmai era il buio che allungava spire dense e nere oltre la cornice di pietra...ma c'era qualcos'altro lì dentro, non solo il buio.
«Allora? Non ti diverti più?» sibilò il professore, e lo spinse attraverso la porta.
Subito non riuscì più a vedere neanche le proprie mani tese davanti agli occhi. Sentì il proprio respiro affannoso, il rimbombo del proprio cuore e, poco più in là, un respiro estraneo. Un tintinnio metallico.
La porta si richiuse con un tonfo dietro di lui. Non ricordò neanche più da che parte era stata. Le quattro serrature scattarono. Il respiro estraneo si fece più intenso e rapido.


Quella sera i ragazzi del primo anno cenarono insieme agli altri studenti, ricevendo alcuni applausi e molte prese in giro più o meno amichevoli. I più malconci furono anche i più bersagliati.
Dagli affreschi della Sala, antichi maghi vestiti d'oro si accarezzavano le barbe, lanciavano sguardi severi e si scambiavano commenti in latino e in un qualche dialetto slavo.
Era in tavola una zuppa con carne e barbabietole, accompagnata da pane di segale e panna acida. Durante la cena non videro né la Preside né i professori: mangiavano in una stanza a parte, che tutti gli studenti immaginavano più calda e più ricca cibo.
Non videro nemmeno Gellert Grindelwald.

La ragazzina tedesca e i suoi amici sedettero vicino ai russi e bulgari che avevano combattuto il troll al loro fianco.
«Vostro amico è pazzo.» disse uno dei russi nel suo tedesco approssimativo.
«Non è nostro amico.» borbottò il ragazzo lentigginoso, di pessimo umore a causa degli occhi pesti rimasti semichiusi e delle battute incassate a riguardo «Non è delle nostre parti, ed è pure mezzo inglese, credo. La sua famiglia ha un castello nei Carpazi. I suoi sono studiosi, non guardano la politica né niente.»
«Comunque lui ha avuto fegato.» commentò la ragazza lentigginosa, scoccando un'occhiata al ragazzo massiccio che aveva risposto alla Preside. Quello ricambiò con una smorfia.
«Ah, dovevamo prenderci la responsabilità del pazzo? Lui non ha mica pensato a noi. Ci ha lasciati a crepare.»
«Se non siamo crepati, in ogni caso, è anche merito suo.»
«Un effetto collaterale. Intanto noi siamo qui e lui è nella Reuekammer.»
Tutti tacquero, facendo sciaguattare la zuppa nelle ciotole.
«Ha usato le sue regole.» aprì bocca per la prima volta il bulgaro grande e grosso.

Furono spediti in Dormitorio subito dopo cena, i maschi in un'ala separata dalle femmine. Caminetti spenti, solo il tepore sgradevole di corpi di adolescenti impilati nei letti a castello.
Il ragazzino lentigginoso scattò verso uno dei posti vicini al suolo, solo per scoprire che era già occupato da Gellert Grindelwald.
Era rannicchiato sopra le coperte, spogliato a metà con indosso il sotto della divisa. Sulla punta della sua bacchetta ardeva una scintilla di brace, e la stava usando per scarabocchiare a fuoco sulla testiera di legno del letto.
«Ah, sei vivo.» borbottò il ragazzo lentigginoso.
La brace sulla bacchetta si spense e Grindelwald si voltò verso di lui. Il ragazzo notò che era rannicchiato attorno a un barattolo con dentro una manciata di fiamme azzurre.
«È caldo, quello?» non si trattenne dal chiedere.
Grindelwald glielo allungò in silenzio.
Il vetro era effettivamente di un calore quasi insostenibile, dovette affrettarsi a spostare la presa sul sughero del tappo.
«Tu conosci già parecchi incantesimi, vero?» sbuffò il ragazzo lentigginoso «Peccato che sei così pazzo. Com'era la...?»
Grindelwald aveva seppellito la faccia tra le ginocchia e si stava passando le mani tra i capelli. Il ragazzo decise di lasciar perdere.
«Comunque mia sorella e altri pensano che tu abbia fegato. Devo ammetterlo: dopo che quella benda si è rotta il troll non ci ha più caricato, quindi la tua idea era giusta. Mi spiace che l'hai pagata così.»
Grindelwald distese il braccio col palmo della mano verso l'alto e agitò piano le dita. Il ragazzo capì con un po' di ritardo che gli stava chiedendo indietro il barattolo, e si affrettò a restituirlo.
«Quando ti va, racconta in che modo hai colpito il professore. Io ho scommesso un galeone che l'hai appeso per le mutande. Peccato non aver visto la scena. Alors, Bonne nuit
Si arrampicò per raggiungere il suo letto, lasciando Grindelwald rannicchiato e silenzioso.


Grindelwald si distese su un fianco (quello che non gli doleva), sbuffando.
Il buio del Dormitorio non somigliava a quello della Reuekammer, i respiri dei compagni non somigliavano a quello della creatura acquattata nell'oscurità. Ma sapeva che entrambi lo aspettavano pazienti negli incubi, gli artigli affondati nel suo cervello.
Non poteva dormire.
I suoi compagni erano idioti, il fatto che gli riconoscessero la ragione li rendeva solo più ipocriti. Non avevano il coraggio delle loro idee, anzi, non avevano proprio idee, agivano in base a ciò che dettava la massa, le autorità e i propri stolidi impulsi.
Lui era diverso ed era solo.
Allungò l'indice alla cieca e trovò il solco leggero che aveva inciso sulla testiera del letto. Ripassò il triangolo, il cerchio e la linea che li divideva.
Si sentì quasi confortato.








Settembre 1894














Angolo dell'autrice: si direbbe l'inizio di una lunga storia. Questa storia invece finisce qui, con tanti ringraziamenti a chi l'ha letta, seguita, ricordata, recensita! Spero vi sia piaciuta, e se vorrete lasciarmi un commento ne sarò felicissima. A voi un caloroso benvenuto a Durmstrang!

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