ViRIDIS

di AlenGarou
(/viewuser.php?uid=285650)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CaRO DiARIO ***
Capitolo 2: *** O n E ***
Capitolo 3: *** T w O ***
Capitolo 4: *** T h R E E ***
Capitolo 5: *** F o U R ***



Capitolo 1
*** CaRO DiARIO ***


V i R I D I S

 

 

 

Titolo: ViRIDIS
Nickname (sul forum e su EFP): AlenGarou e BlackHellHound
Genere: fantascienza
Rating: giallo
Abitazione scelta: numero 10 (
http://data.whicdn.com/images/252033679/large.png)

 

 

 

 

C a R O 

D i A R I O 

 

 

 

 

 

A.S. 3058

Giorno missione: 96

Giorni rimanenti al ritorno a casa: 465

Ore attuali: 11.54 a.m.

Diario personale di Callisto (Cay) Myah

 

 

 

 

La conquista dello spazio.

La scoperta di nuovi pianeti abitabili.

I progetti di terra-formazione.

Gli omini verdi che esibiscono il saluto vulcaniano.

 

Tutte cazzate!

Almeno per quanto riguarda gli alieni. Nessuno di loro spreca tempo a fare quella mossa da nerd. E poi i Mohalor non hanno nemmeno l’anatomia adeguata per questo genere di cose. I nostri antenati avevano davvero una fantasia bislacca.

(Nota personale: chiedere al grande capo spiegazioni riguardo la serie televisiva del paleolitico che adora).

Bene bene, rieccoci di nuovo a noi due, caro diario di bordo. La tua unica e preferita naufraga ha bisogno di sputare un po' di veleno prima di raggiungere gli altri a pranzo.

Ai nostri nuovi amici cosmonauti amanti dell’universo, posso chiedere solo questo: pensate davvero che sia così figo tutto ciò che ho citato prima?

In questo caso non avete mai visto l’altra faccia della medaglia, ovvero l’infinità di regolamenti, burocrazie, protocolli, accordi con le Colonie e tribunali galattici che gestiscono questo piccolo, quanto caotico, universo. Ed è a causa di queste minuscole clausole che sono rimasta incastrata in questo casino.

Fortuna che in qualche modo avrò anch’io la mia parte.

(Nota personale: ricordare a madre di appuntare le ricerche di ieri per il modulo di richiesta dei crediti formativi per la domanda al college).

Insomma, quando i miei genitori sono stati affidati alla missione Kelper 5 a causa del loro sensazionale lavoro nel dipartimento di microbiologia interplanetaria, non potevo certo dire: “Fantastico, portatemi una cartolina!”. Ecco il problema della burocrazia. Quando vengono assegnate missioni fuori dall’orbita planetaria, i figli minorenni sono compresi nel pacchetto, volenti o meno.

Per cui eccomi qui, ad accompagnare i miei genitori su un pianeta quasi del tutto verde per esaminare la falda acquifera. Yuppi!

Ma non è questo quello che mi ha stupito maggiormente.

Tutti i miei compagni di corso si sono congratulati con me! I miei amici erano entusiasti all’idea di liberarsi della sottoscritta e di ricevere chissà quali souvenir che sarebbero stati puntualmente bloccati alla dogana (Nota personale: Lory, secondo te posso davvero portarti a casa un animale???). Ma nessuno, e ripeto, nessuno, mi ha dato una pacca sulla spalla cercando di compatirmi.

Ormai rimanere sulla Terra è scontato, quasi un obbligo. Il vero futuro è nei mondi al di là del nostro Sistema Solare, della nostra piccola galassia. Ma se il futuro aveva la forma di un pianeta ricco di vegetazione, insetti grandi come pony e un’umidità sopra ogni livello umanamente consentito, sarei rimasta a crogiolarmi nel passato fino a mummificarmi sulla mia console.

Perché nessuno mi ha avvertito?

Kelper-552 AE, ribattezzato Viridis, si è rivelato esattamente per quello che era: un agglomerato di alberi e rocce. Per carità, sulla Terra farebbero a pugni per visitarlo e respirare dell’ossigeno vero e non quella roba sintetica che sparano i depuratori dell’aria, ma non è figo come sembra. Come ho già scritto nelle note precedenti, ho passato il primo mese di soggiorno con delle emicranie da urlo per l’alta concentrazione di ossigeno, ma fortunatamente il mio corpo sembra essersi abituato. Non per vantarmi, ma ormai io e l’ibuprofene siamo diventati intimi. Ed è l’unico tipo di intimità che posso permettermi qui…

Dio, perché non sono uscita con Kley e le altre quando ne avevo la possibilità?

Finirò per compiere diciotto anni su questo buco ed essere ancora vergine.

(Nota personale: cancella quest’ultima parte.)

Uff, ok…

Questo posto non è poi così male dopo una seconda occhiata. Voglio dire: spazi incontaminati, una flora e una fauna da urlo, una gravità lievemente minore a quella terrestre (8,346 m/s² contro 9,807 m/s²) e che dire del fantastico lago sotto di me che non fa altro che sussurrarmi con una voce da maniaco: “Ehi, Cay, mostra a quei cespugli quanto stai bene nel tuo nuovo bikini e vieni a farti un giro”?

Ok, ammetto che devo ancora farci una nuotata, ma dobbiamo ancora terminare i controlli chimici dell’acqua. Non vorrei certo essere la prima umana su Viridis a contrarre qualche fungo strano o a essere sbranata da dei pesci carnivori.

Quindi, dov’è il problema?

Beh, la noia.

Questa terribile, angosciante, noia che mi assale ogni giorno da qualche settimana perché non c’è niente qui! Niente di niente!

Nessun bar, nessun cinema, nessun negozio…

L’utopia degli eremiti.

Riceviamo rifornimenti ogni trenta giorni da una Colonia non molto lontana da qui, ma sono beni di prima necessità. Nulla a che vedere con le gioie del mondo civilizzato.

Insomma, la routine è la stessa. Ogni giorno.

Svegliarsi, fare il check-up, scendere a fare colazione e passare il resto della giornata a raccogliere e catalogare campioni finché il sole non tramonta. Qui i giorni durano all’incirca 32 ore; il sogno di tutti i nerd e i fanatici di Astroshow. Purtroppo per me, ho già finito di guardare tutti gli episodi che mi ero portata. Ho provato a chiedere a Kley d’inviarmi qualche file, ma la distanza è troppa e il caricamento pesante. Per poco non fondevo il mio datapad. Poi come facevo a tenere la conta dei giorni che mancavano per ritornare a casa?

Le cose sarebbero un tantino diverse se potessi girare per conto mio, ma no!

Niente esplorazioni in solitaria.

E dire che in questa valle ci sono altre quattro basi.

Quattro!

Voglio dire, non conosco tutti i membri delle altre squadre di ricerca, ma non sarò l’unica persona sotto i ventun anni su questo pianeta, giusto?

Giusto???

Ad ogni modo sono riuscita ad hackerare l’account di mia madre e a risalire alla locazione delle altre strutture sparse nella vallata.

 

Base Α (ALFA)

Distanza approssimativa: 45 km

Settore: B67

Locazione: Margini ovest della Valle di Tempe

Occupazione: Catalogazione botanica e mineraria.

Personale: 9 persone

 

Base Β (BETA)

Distanza approssimativa: 12 km

Settore: D21

Locazione: Centro Valle di Tempe

Occupazione: Catalogazione faunistica; centro sicurezza.

Personale: 20 persone

 

 

Base Γ (GAMMA)

Distanza approssimativa: 0 km

Settore: D34

Locazione: Rive lago Atlas

Occupazione: Catalogazione microbiologica e botanica

Personale: 6 persone

 

 

Base Δ (DELTA)

Distanza approssimativa: 30 km

Settore: F29

Locazione: Margini est della Valle di Tempe

Occupazione: Studi geologici

Personale: 12 persone

 

 

Base Ε (EPSILON)

Distanza approssimativa: 49 km

Settore: H12

Locazione: Monti Ida

Occupazione: Centro comunicazioni

Personale: 5 persone

 

 

Insomma, siamo sparsi, ma non per questo pochi.

E la base Beta è vicinissima! Ok, lo è rispetto alle altre e si trova in una posizione centrale per ovvi motivi, ma con il mio hoverboard potrei raggiungerla in una decina di minuti!

Ok, forse venti. La rigogliosa vegetazione potrebbe risultare problematica per le eliche.

Ad ogni modo proverò a convincere mia madre durante il giro di ricognizione del pomeriggio. Se riesco a portarle qualche campione raro magari riuscirò a distrarla abbastanza per farmi dare il suo consenso. Come capo ricercatrice ne ha tutta l’autorità, giusto?

Insomma, diario. Spero che almeno tu mi capirai quando affermo che venderei un organo per qualcosa di un tantino più movimentato dello schiacciare ogni singolo insetto che prova a mangiarmi. Ci conto!

Uff, devo andare.

Caro diario, ti terrò aggiornato.

Passo e chiudo.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** O n E ***


O n E

 

 

 

Spensi il datapad e lo gettai sul comodino senza fare caso a dove finiva. Rigirandomi sul letto, mi accomodai distesa sulla schiena, osservando il soffitto spoglio della base. Il ronzio dell’umidificatore spezzava il silenzio disceso nella camera senza il famigliare bit del monitor: un rumore insolente che con il tempo avevo imparato ad ignorare.

Ma non in quel momento.

Ero ancora di pessimo umore, senza una prospettiva, una qualsivoglia speranza di poter migliorare la mia permanenza su quel pianeta sperduto alla deriva nel nulla cosmico. E le urla di mia madre provenienti dall’area comune non mi aiutavano di certo a raffreddare i bollenti spiriti che avevo in corpo.

«Cay! Smettila di bighellonare! Launi ha preparato i yakitori

Nell’udire quella frase, il mio stomaco emise un sonoro borbottio.

Sbuffando, mi misi a sedere, passandomi una mano sul viso. Quando la mia pancia si fece sentire nuovamente, cercai di fare del mio meglio per azzittirla, senza alcun risultato.

Launi era, a mio avviso, il membro più indispensabile della nostra squadra. Era uno scienziato provetto dalle mani d’oro che aveva il potere di trasformare qualsiasi cosa, anche la più bizzarra, in una pietanza commestibile, rendendola degna di una cucina stellata. Nato e cresciuto su uno dei molteplici arcipelaghi della colonia Oceania 2A, aveva conosciuto i miei genitori durante un meeting tra cervelloni e da quel momento avevano collaborato più volte nel corso degli anni.

E io provavo un profondo rispetto per la sua cucina, per cui mi alzai dal letto e mi diressi verso lo specchio a muro per verificare di apparire come un’adolescente normale e non una sull’orlo di una crisi psicotica.

Lo sguardo che mi rivolse il mio riflesso confermò miei dubbi. Avrebbero dovuto imbottirmi di ansiolitici. I miei occhi castani, dalla forma lievemente allungata, mi osservavano stanchi e sconsolati. Non citiamo i miei capelli. Il caschetto blu, di solito in perfetto ordine, era scompigliato e, invece di apparire asimmetrico come dettava la moda, assomigliava a un nido. Le ciocche rosa spiccavano in quel groviglio come piume. Ci mancavano solo delle uova e avevo trovato il giusto travestimento per Halloween.

Sbuffai, cercando di domarli come potevo con le dita. Rimpiangevo ancora di non avere un Modificatore a portata di mano, in modo da cambiare il rosa con un altro colore, magari meno evidente per la gioia dei miei genitori. Ma ehi, avrei dovuto rimanere così per più di un anno. E dire che ero abituata a cambiare colore una volta a settimana… ok, in realtà più di una.

Tolsi qualche piega dalla canotta bianca della divisa che mi era stata assegnata, cercando di non badare alle linee rosa che la decoravano ai lati. Ogni base aveva una sua particolare tenuta e ogni persona aveva delle decorazioni di diverso colore a seconda del proprio compito. In questo caso, le mie equivalevano a: peso morto.

Inutile dire che non era nemmeno quella la cosa peggiore. Il tessuto era una particolare fibra sintetica che si adattava a ogni forma del corpo, facendomi assomigliare a una tavola. Avevo preso da mamma una corporatura esile e asciutta, ma ogni volta che mi lamentavo con lei di questo, mi rispondeva semplicemente: “l’unica curva che conta è quella del cervello”.

Facile a dirsi per lei, dato che era una scienziata di fama interplanetaria.

Senza indugiare oltre, mi diressi verso la zona comune, situata nel cuore della base Gamma.

Il Gamma era una struttura all’avanguardia che baciava con lo sguardo il grande lago della vallata, Atlas. Diversamente dalle altre basi, oltre a non essere costruita sulla terraferma ma su un’isoletta artificiale, i suoi ambienti si espandevano a raggio sopra le acque cariche di minerali, come prolungamenti del cuore circolare del complesso. Ogni sezione aveva uno scopo a sé, divise tra appartamenti, laboratori, cucina, area comune e persino una piccola palestra. Alimentare tutto il complesso avrebbe richiesto fin troppa energia per cui, per mantenere in funzione ogni singolo raggio in completa autonomia, avevamo installato sul tetto diversi panelli solari. L’unico collegamento con la terraferma consisteva in un ponticello che, giuro su Hawkins, prima o poi sarebbe crollato. Ma devo ammetterlo, non era male vivere in quella struttura... non con la vetrata panoramica della mia camera che dava direttamente sul lago. Credo di aver intasato il modem di foto.

Entrai nell’area comune passando per il piccolo giardino interno allestito nel centro della base e trovai i miei genitori ancora al lavoro sulla tavola già apparecchiata, mentre osservavano un modellino 3D proiettato dal datapad di mia madre.

««Secondo le ultime analisi, circa il 67% dell’acqua del pianeta si trova sottoterra. Per il momento abbiamo scoperto nuovi bacini lungo i monti Ida, per un totale di 34 siti. E la maggior parte sono grandi come uno Stato. È davvero un peccato non poterli studiare più a fondo.»

«La sonda che cosa ha rilevato nell’ultimo monitoraggio?» domandò mio padre, bevendo un sorso di tè.

«Ultimo è la parola chiave. La sonda è arrivata fino a 5.970 m di profondità, dopo di che è stata fatta a pezzi.»

«A pezzi?» da dietro gli occhiali, lo sguardo di mio padre s’illuminò dalla sorpresa.

«Io ve l’ho detto che era un azzardo. Per quel che ne sappiamo là sotto potrebbe esserci anche il Kraken» esclamò la donna dai lunghi capelli neri che fece la sua apparizione nella sala con una grande ciotola di riso fumante tra le mani.

Per poco non scoppiai a ridere e Hako mi fece l’occhiolino. Hako era l’assistente di mia madre e sua amica di vecchia data. Dagli eleganti lineamenti orientali e la battuta sempre pronta, era tanto fragile quanto letale. Cintura nera di karate, da piccola mi aveva dato qualche lezione di autodifesa, ma quando i miei furono convocati dalla preside perché ero stata fin troppo entusiasta di mostrare le mie mosse da ninja ai miei compagni, fummo costrette a darci al combattimento clandestino. Questo finché non divenni troppo pigra.

«Hako, non ti ci mettere anche tu» sbottò mia madre, scostandosi un ciuffo biondo scuro dal viso.

«Suvvia. Launi non vi ha ancora raccontato tutte le leggende sui mostri marini che si tramandano da generazioni?»

«Qualcuno ha detto “mostri marini”?»

Dalla cucina comparve un omone dalla pelle scura e i capelli neri tenuti stretti in una coda di cavallo. Le maniche della sua giacca erano arrotolate, esponendo i tatuaggi tribali che gli segnavano gli avambracci. I suoi occhi neri brillarono dalla curiosità mentre posava sul tavolo una teglia piena di leccornie, ma non fece in tempo ad aprir bocca che mio padre lo fermò.

«Grazie, Launi, ma credo che le leggende dovranno aspettare. Altrimenti il pranzo si fredda» aggiunse poi repentinamente.

Hako gli diede una gomitata allegra e Launi le fece l’occhiolino.

Erano come il giorno e la notte, ma avevo la netta sensazione che tra quei due fosse sbocciato qualcosa. O, almeno, sarebbe sbocciato nel prossimo futuro, nel vederli insieme.

Feci il giro della tavola bianca e mi accomodai al mio solito posto davanti a Hako. Senza indugio, mi servii una grossa porzione di spiedini e di riso basmati, ignorando le occhiate di disapprovazione di mia madre.

«Cay, lo sai che tra un’ora dobbiamo uscire. Cerca di non ingozzarti.»

«Sì, capo» risposi, un attimo prima di spazzolare il piatto.

Grazie alla cucina di Launi ero riuscita a mettere su qualche bel chilo e le camminate nella natura selvaggia avevano tonificato il mio corpo divenuto da anni sedentario. Tuttavia, l’unica donna di tutta la base ad avere delle curve da urlo, rimaneva Jessica StarQueen, un’avvenente attrice tutta modifiche appesa sul muro della camera di Jonathan, l’ultimo componente del team, nonché tecnico informatico.

Non che fosse il solo a cavarsela con i computer, ma quasi tutte le sonde a nostra disposizione erano sue e non aveva preso bene la morte di Betty. Aveva dichiarato al pianeta intero le sue intenzioni di vendetta contro la creatura abissale che l’aveva fatta fuori.

Già, per aver poco più di venticinque anni, era un tipo alquanto… strano.

«Hako, ti dispiacerebbe richiamare Jonny dal suo antro oscuro?»

Hako alzò gli occhi al cielo, rivolgendo a mio padre uno sguardo stizzito. «Lo sai che non si muoverà da lì finché non avrà riparato la sonda. Dagli tempo di elaborare il lutto.»

«Oh, andiamo. Sono i rischi del mestiere» commentò mia madre.

«Guardate che vi sento!»

Tutti ci girammo verso la zona degli appartamenti, dove la voce di Jonathan era riecheggiata attraverso l’altoparlante della porta.

«Beh, gli terrò qualcosa da parte per dopo» si limitò a dire Launi con un’alzata di spalle.

Mia madre sospirò. Ormai eravamo una grande famiglia e anche se Jonathan era nuovo, gli volevamo bene… Nonostante le sue stranezze. Ammetto che alcune volte m’inquietava, ma forse perché non ero abituata a uomini che passavano gran parte del loro tempo davanti a un monitor a modificare codici e a ingurgitare una bibita energetica dietro l’altra.

Pranzammo in silenzio per qualche minuto, dopodiché mi feci avanti per attuare il mio piano.

«Mamma, posso portare con me l’hoverboard oggi?»

Mio padre alzò gli occhi verso di me, mentre una pallina di riso gli scivolava via dalle bacchette.

«L’hoverboard? Non credo sia una buona idea.»

«Andiamo, papà! Da quando sono arrivata non ho mai fatto un giro.»

«Tuo padre ha ragione» m’interruppe mia madre. «Non solo rischi di farti male a causa della vegetazione, ma potresti attirare su di te i Chrysaetos, che Hubble non voglia!»

C’era da dire che con i Chrysaetos era quasi riuscita a convincermi. Avete presente quei grandi e cattivi volatili che nei film di fantascienza abbattono elicotteri come se niente fosse? Ebbene, immaginateli dorati e ricoperti di piume invece che scaglie, con un becco colmo di denti affilati ed eccoli qui. Generalmente si trovavano nei monti Ida, ma la sicurezza non era mai troppa. Alcuni esemplari erano stati avvistati nella vallata.

«Prometto che rimarrò a bassa quota» insistetti io, alzandomi e iniziando a sparecchiare i piatti ormai vuoti. «Solo per un po', giusto per svagarmi…»

L’occhiata che mi lanciò mia madre fu piena di significato. «Lo so a cosa stai pensando, ragazzina, ma no. Ricordati che siamo qui per un motivo.»

«Non capisco cosa intendi» mi difesi, nonostante avessi iniziato a sudare freddo.

«Oh, sono così sola. Vorrei tanto avere un amico…» m’imitò.

Fortunatamente i piatti erano di una speciale plastica o li avrei ridotti in frantumi quando mi caddero dalle mani nel pulitore. Mi voltai con il viso in fiamme.

«Sei entrata nel mio datapad! Questa è violazione della privacy!»

«Potrei dirti la stessa cosa» ribatté mia madre. «Non credere di essere così furba. Come se non sapessi che è stata Hako a insegnarti i principi dell’hackeraggio

«E tu come lo sai?»

«Perché…»

«Sono stata io a insegnarli a tua madre. E Jenna, ti prego, non mettetemi in mezzo alle vostre discussioni di famiglia» sentenziò lei, sorseggiando il suo tè come se nulla fosse.

«Non essere così dura con lei, cara» mi difese mio padre. «Dopotutto rimarremo qui ancora per molto ed è normale che abbia voglia di vedere qualche faccia nuova.»

Mia madre gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma per un attimo parve pensierosa, come se stesse rimuginando qualche diabolico piano.

Alla fine sospirò. «E va bene. Vedremo di trovare una soluzione in proposito.»

«Evviva!» mi sporsi a battere il cinque a Launi ed a Hako.

«Ma non pensare di averla fatta franca. Ci aspetta una bella chiacchierata, signorina.»

Tutto l’entusiasmo di quel momento si spense. «Oh, santa Hack…»

 

 

 

Con l’hoverboard ripiegato e fissato allo zaino, seguivo mia madre e Hako nei meandri foresta, rimanendo saggiamente dietro la mia madrina per scampare alla furia materna. Per esperienza sapevo che era meglio girarle alla larga fino a sera, ma la curiosità mi stava uccidendo a ogni passo.

Quando eravamo uscite dal Gamma, mi era stato subito chiaro che ci saremo inoltrate in un settore completamente nuovo. Non accadeva da un paio di settimane e la cosa mi eccitava e inquietava un pochino, soprattutto dopo la discussione che avevamo avuto.

Inutile dire che quel pianeta era il luogo migliore dove nascondere dei cadaveri. O forse era Elios 45 con i suoi pozzi acidi?

Persa nei miei pensieri, inciampai su una radice e per poco non crollai lunga distesa per terra.

«Cay…» mi ammonì mia madre udendo le mie imprecazioni, senza distogliere lo sguardo dal sensore.

«Sto bene» borbottai, spazzolandomi le ginocchia doloranti. Gli abiti in dotazione erano fatti apposta per la ricerca, a prova di schizzi di acido e sostanze varie, ma non erano molto adatti per le gite campestri, che mia madre adorava. Grazie al cielo avevo messo in valigia dei ricambi più consoni, ma non per questo sicuri.

«Si può sapere il perché tutta questa strada?» le chiesi, leggermente stizzita.

Hako ridacchiò e mi mostrò il suo computer da polso. Secondo la mappa eravamo nel settore D30 e questo voleva dire che…

Feci per saltare dalla felicità, ma Hako mi bloccò e mi tappò la bocca con una mano. Dal suo sguardo, potei capire che si trattava di una fortuita circostanza, dato che avevamo esplorato i settori dall’altra parte di Atlas e che quindi eravamo alla ricerca di nuove piante. Tuttavia non potei fare a meno di sorridere vittoriosa.

La distanza che ci divideva dal Beta era ridotta.

«Verifica» esclamò a un certo punto mia madre, facendoci sussultare entrambe. «I vari campioni botanici raccolti nei settori adiacenti al lago presentano una minima variazione nella composizione biochimica in base alla loro locazione, nonostante la specie sia la stessa; secondo te a cosa è dovuto?»

Ci riflettei un attimo. Era impossibile che fosse qualcosa dovuto all’aria o alla composizione del terreno alla luce degli ultimi esami, per cui l’opzione rimaneva solo una. Abbastanza facile, dato che eravamo lì per quello. «All’acqua» risposi.

«Esatto. Abbiamo trovato diverse tracce di minerali nel loro metabolismo, a volte con valori del tutto diversi. Questo vuol dire che sono presenti zone con grandi depositi sotto di noi, almeno in proporzione tale che l’acqua non riesce a discioglierli a dovere. Quindi, le piante dimostrano lievi mutazioni in base alla loro locazione rispetto alla falda acquifera. Abbiamo già mandato i campioni alle basi Alfa e Delta, in modo che possano studiare i minerali.»

Era tutto molto interessante, peccato che si fosse dimenticata di un particolare dettaglio. «Quindi è probabile che ci siano minerali ancora sconosciuti?»

Mia madre annuì, mentre digitava qualcosa sul datapad e si chinava ad esaminare un fiore arancione dai petali lunghi e arricciati.

«E così quelli delle altre basi ti fregeranno il premio Galileo e non potremmo nemmeno decidere un nome.»

Mia madre si voltò, lanciandomi un’occhiataccia. «Cay, non lo facciamo certo per la fama, noi…»

Un suono agghiacciante risuonò nella vallata.

Hako fu la prima a reagire. Si portò una mano al fianco, dove teneva la fondina della pistola a impulsi e scrutò attentamente l’ambiente circostante. Io e mia madre c’immobilizzammo per un attimo, all’erta. Lentamente, allungai la mano dietro di me per sganciare l’hoverboard dallo zaino e con uno scatto lo distesi, facendolo tornare operativo.

«Cay!» sbottò mia madre. «Che diavolo pensi di fare?»

Il lamento echeggiò nuovamente. Non c’erano dubbi: si trattava di un animale ferito.

«Vado a dare un’occhiata.»

«Callisto, no! Non siamo equipaggiati per questo genere di cose.»

«Tua madre ha ragione» commentò Hako, ancora in allerta. Fece un passo verso di me. «È meglio se torniamo alla base e contattiamo la squadra di soccorso di Beta. Loro sapranno cosa fare.»

«Ma potrebbe morire! Non è così lontano» sibilai.

Mia madre mi colse alla sprovvista. Uno scatto repentino posò una mano sull’hoverboard, bloccandomi. «Non sappiamo che cosa sia e inoltre sarebbe solo la selezione naturale. Mi dispiace Cay, ma abbiamo delle priorità.»

«Tu, semmai!» sbottai.

Non so come, forse grazie all’addestramento di Hako, riuscii a liberare la tavola e a partire sotto lo sguardo attonito delle due donne. Il rumore delle eliche coprì le imprecazioni di mia madre che non me l’avrebbe fatta passare liscia, sempre se fossi tornata tutta intera.

 

 

Era difficile muoversi attraverso la rigogliosa vegetazione. Dovevo schivare costantemente rami e liane e per poco non caddi dalla tavola quando questa rimase impigliata in una sorta di ragnatela di cui non tenevo a scoprirne la provenienza. Mia madre mi avrebbe bastonata per una tale incoscienza, ma non mi fermai.

Dovetti fermarmi un paio di volte, sia per ripulire l’hoverboard dal fogliame, sia per ascoltare il lamento. Dopo un paio di virate, riuscii a trovare la piccola radura dove l’animale si era fermato. Atterrai e ripiegai l’hoverboard, facendo attenzione a non compiere movimenti bruschi.

Mi bloccai.

Era la prima volta che vedevo un esemplare del genere dal vivo e per un attimo ne rimasi affascinata.

La creatura piangente non era altri che un cucciolo di Lycaon Cristatus; un maschio, a giudicare dal piumaggio vivace e dalla lunghezza delle piume alla fine delle grandi orecchie tremanti. Era il perfetto incrocio tra un licaone e un pavone, solo grande quanto un pony. E gli esemplari adulti in fatto di dimensioni non scherzavano, dato che potevano raggiungere la stazza di un aereobus. A quel pensiero mi riscossi dal torpore in cui ero caduta. I Lycaon solitamente vivevano in gruppi famigliari, composti dai genitori e dai cuccioli, per cui rimasi stupita dal fatto che fosse da solo.

Il cucciolo gemette ancora, questa volta con maggiore veemenza. Mi aveva visto.

Presi coraggio e mi avvicinai il più lentamente possibile, portando le mani avanti per calmarlo. In fondo era un cucciolo e per di più ferito. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, giusto?

«Buono… Non foglio farti del male…»

Feci ancora qualche passo e mi accorsi del grosso taglio che aveva su una zampa. Non sembrava profondo, ma continuava a sanguinare. E questo non era affatto un bene, non in un habitat selvaggio come quello.

Riuscii a portarmi abbastanza vicino da toccarlo. Invece di un ispido pelo, le mie dita sprofondarono in una coltre di soffici piume. Il cucciolo inizialmente s’irrigidì, ma finì per gemere docilmente. Doveva essere esausto.

«Bravo... Bravo… E ora come faccio a spostarti da qui?»

Ragionai. Avrei dovuto portarlo alla base Beta, ma la Gamma era più vicina e avevamo un’unità di pronto soccorso fornita per ferite del genere. Il problema principale era come trasferirlo. L’hoverboard non avrebbe potuto sopportare il suo peso e…

Un ringhio selvaggio risuonò nei dintorni.

Cercando di mantenere il controllo di me, mi allontanai lentamente dal cucciolo, esattamente nel momento in cui dalla vegetazione comparve un Lycaon adulto e piuttosto incazzato.

Vedendo il genitore, il cucciolo prese ad agitarsi ancora di più e ciò non fece che peggiorare la situazione.

Non riuscii nemmeno ad azionare l’hoverboard.

Tutto accadde in una frazione di secondo.

Chiusi gli occhi, preparandomi psicologicamente a essere sbranata, ma invece di sentire la pressione delle zanne sulla mia carne, avvertii solo il caldo respiro dell’animale.

Presi coraggio e sbirciai con un occhio, rimanendo esterrefatta.

Davanti a me era comparso un ragazzo, facendomi da scudo contro Lycaon. Indossava un’uniforme nera di stampo militare in dotazione alla base Beta dalle decorazioni verdi; la sua identità era celata dal casco che gli ricopriva interamente il viso.

«Stai… Immobile» sibilò il giovane senza voltarsi, la voce leggermente modificata dal microfono.

Non riuscii nemmeno ad annuire, figuriamoci mettersi a ballare la samba.

Il ragazzo fronteggiò il maschio adulto di Lycaon senza battere ciglio. Aveva in dotazione un hoverboard più piccolo e moderno del mio, che lo manteneva sollevato da terra quel tanto che serviva per essere al livello del muso dell’animale. E, lasciatemelo dire, quel prototipo era davvero di ultima generazione. In un momento più pacifico, avrei fatto di tutto per farci un giro.

Come se avesse capito di essere di fronte a una preda più difficile, la bestia indietreggiò, arricciando le labbra per mettere in mostra le zanne acuminate come avvertimento. Il ragazzo rimase impassibile di fronte a quella minaccia e, senza alcuna esitazione, mosse il braccio per estrarre qualcosa dalla tasca laterale della divisa. Un fischietto.

Ero troppo basita per commentare, dato che mi sarei aspettata una pistola ad impulsi o come minimo uno scudo difensivo. Invece, il mio salvatore disattivò la parte inferiore del casco, rivelando una mascella squadrata ricoperta da un velo di barba castana, e si portò lo strumento alle labbra.

Emise un fischio musicale prolungato, seguito da due più brevi. L’animale smise di ringhiare, ma rimase ancora guardingo.

Il ragazzo ripeté la sequenza, facendo tendere le lunghe orecchie del Lycaon, e ne eseguì un’altra, composta principalmente da fischi distinti in una determinata sequenza musicale.

Dopo qualche istante, il Lycaon sembrò capire che non consistevamo in una minaccia per lui e il suo piccolo e si ritrasse in una posizione rilassata. Permise persino al ragazzo di fargli dei grattini sul muso, in mezzo ai grandi occhi blu. Tuttavia, quando vide che ero ancora dietro di lui, le sue pupille si dilatarono dalla diffidenza.

«Bravo Astreo» commentò il giovane, mentre il Lycaon andava ad assistere il cucciolo.

«Aspetta… lo conosci?» sbottai, la voce ancora un po' acuta per l’adrenalina che mi scorreva nelle vene.

Il ragazzo si voltò verso di me. Nonostante avesse ancora il visore davanti agli occhi, potei immaginare il suo sguardo infuriato dal tono con cui mi parlò.

«Sì, ma non conosco te.» Solo allora estrasse una pistola ad impulsi, avendo pure la faccia tosta di puntarmela contro. Come se fossi io l’animale assetato di sangue!

«Identificati!»

Stavo per rispondergli a tono, magari con qualche bell’insulto, quando mi resi conto che non stavo indossando la divisa della base Gamma. Il che equivaleva sì a un bel problema.

«Io sono…»

«Cay!!!»

Mia madre e Hako sbucarono dalla vegetazione senza alcun preavviso, spaventando nuovamente il Lycaon. Nonostante fosse stato sgarbato, non riuscii a non ringraziare mentalmente quel soldato quando si protese a calmare nuovamente la creatura prima che saltasse addosso alla mia famiglia.

 «Grande Giove!» sbottò Hako, afferrando mia madre per metterla al sicuro dietro di lei.

Il giovane, impegnato a dare qualche buffetto sul collo del Lycaon, girò appena la testa per squadrarci. Un sorrisetto divertito gli comparve sul viso.

«Buon pomeriggio, signora Myah. La trovo davvero in splendida forma.»

Mia madre incrociò le braccia al petto, cercando di apparire imponente e sicura di sé.

«Gallen Stryker! Era una pistola quella che stavi puntando contro mia figlia?»

Certo, era preoccupata per me quando fino a qualche secondo prima stava per essere sbranata. Che donna. Ma…

Per poco non mi cadde la mascella dalla sorpresa nel riconoscere quel nome.

«Un momento!!!»

Cinque paia di occhi si voltarono verso di me.

«Tu sei…»

Senza smettere di sorridere, il ragazzo protese la mano verso l’orecchio destro, facendo scomparire il resto del casco. Al suo posto, rimase un viso che conoscevo bene. Parecchio bene.

«Ciao CayCay. Noto con piacere che sei sempre pronta a cacciarti nei guai.»

Rimasi senza parole.

Non so come, ma alle mie spalle udii mia madre sospirare. «Ti chiedevi se eri l’unica giovane su questo pianeta. Ebbene, ecco la tua risposta.»

Le mie gambe furono sul punto di cedere.

Non solo mi ritrovavo bloccata su un pianeta sperduto, ma mi ritrovavo bloccata con il mio ex.

E non solo.

Era un membro effettivo della base Beta.

 

 

 

 

 

Eccoci qui con una nuova storia. Lo so, è un po' pasticciata e non molto descrittiva, ma ehi! È il mio primo tentativo in prima (vi risparmio i porconi).

Ringrazio Sagas per la recensione e tutti quelli che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite, ricordate ecc. XD I pareri sono sempre apprezzati, specialmente in questo esperimenti sbilenco.

Un ringraziamento speciale va a Marina Merisi, che come al solito sopporta i miei schizzi e mi ha aiutata nella revisione. Inutile dire che ha già formato la sua ship improponibile ahahah (E io la mia).

Rimanete sintonizzati per il seguito, che dovrebbe comparire come per magia la prossima settimana.

Spero che Viridis vi piaccia e buone feste a tutti ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** T w O ***


T w O

 

 

 

 

 

«Tu… tu sapevi chi ero e ti sei preso gioco di me!»

Gallen mi lanciò uno sguardo esasperato, come se fossi ancora la ragazzina di quattordici anni che aveva abbandonato sulla Terra. «Uhm, dimentichi la parte in cui ti ho salvato la vita. Dovresti ringraziarmi come minimo, CayCay.»

«Ringraziarti? Ma se quel bestione è praticamente addomesticato!» urlai, indicandolo con una mano.

Sentendosi preso in causa, il Lycaon puntò le orecchie nella nostra direzione, lanciandoci uno sguardo annoiato. Si era disteso accanto al cucciolo per leccargli amorevolmente la ferita e sembrava infastidito dalla nostra presenza.

«Addomesticato? La fai sembrare una cosa facile!» sentenziò lui, quasi offeso. «Piuttosto, che cosa ti è saltato in mente? Tutti sanno che i Lycaon sono protettivi verso la prole!»

«Ora basta!»

Sia io che quell’idiota smettemmo di discutere all’istante. Anche se non ci vedevamo da più di tre anni, Gallen non aveva dimenticato la regola chiave per la sopravvivenza: mai discutere con Jenna Myah.

«Signor Stryker, faccia rapporto.»

Il tono formale di mia madre mi colpì, ma non tanto quanto la postura da militare che Gallen assunse, come se si trovasse in presenza di un suo superiore. Fu allora che ricordai la lettera di ammissione all’Accademia Militare che ricevette poco prima che mi spezzasse il cuore e se ne andasse senza neanche salutarmi.

Scossi il capo. Dovevo smetterla di pensarci, ormai l’avevo superata! A quel tempo ero stupida e ingenua, una ragazzina alle prese con il primo amore, ma ero cambiata.

Lo eravamo entrambi.

«Io e la mia squadra stavamo sorvolando l’area quando ci siamo accorti di alcuni disordini» iniziò a spiegare. «Una volta capito il problema, mi sono allontanato dagli altri alla ricerca del soggetto scomparso in modo da riportalo in salvo alla base.»

«Molto bene. Immagino che la questione sia risolta, ora che hai ritrovato il cucciolo.»

Gallen tradì un certo disagio, potei leggerlo nei suoi occhi per un breve momento, ma si riprese subito.

«Sì. Fa parte di un gruppo di Lycaon che stiamo monitorano da qualche tempo. Il capobranco è Astreo, e il cucciolo si chiama Zephyrus. La sua compagna Eos e la secondogenita Borea sono attualmente nella loro tana. Ipotizziamo che Zephyrus si sia allontanato troppo e sia stato attaccato da un Loricasauro.»

«Un Loricasauro da queste parti?» chiese Hako, lo sguardo accigliato. «Insolito, dovrebbero aggirarsi nei margini esterni.»

«Sì, ultimamente ci sono stati dei movimenti anomali e qualche solitario fuori dalla propria zona, ma nulla di preoccupante.»

«Immagino che sarai abituato a gestire situazioni del genere» esclamai, prima di riuscire a trattenermi.

Gallen riportò la sua attenzione su di me. Sembrava quasi che si fosse dimenticato della mia presenza.

«È il mio lavoro» fu il suo unico commento.

Avrei tanto voluto rispondergli con una battutaccia, quando il rumore degli hoverboard anticipò la presenza di altri quattro individui, tutti con la stessa uniforme di Gallen, anche se solo uno di loro aveva le sue stesse decorazioni. L’unica donna della squadra le possedeva azzurre, segno distintivo dei medici, mentre quelle dell’uomo più alto erano gialle e quelle del caposquadra rosse.

Anche se indossavano ancora il casco, avevo già capito chi erano.

Non appena scorse mia madre, il caposquadra smontò dall’hoverboard ed eliminò l’elmetto, rivelando un viso burbero e dall’aspetto selvaggio. Dopo un momento di tensione, scoppiò in una profonda risata.

Tipico del padre di Gallen.

«Jenna! Da quanto tempo!» tuonò, andando ad abbracciare mia madre che, presa alla sprovvista, lanciò un piccolo gemito.

«Malon, sono contenta di rivederti» esclamò lei, leggermente imbarazzata per quel gesto estroverso.

«Dio, fatti guardare» esclamò l’uomo, allontanandosi di un passo. «Sei sempre splendida. Ecco perché Christopher ha voluto portarti qui nel mezzo del nulla. Ma guarda! C’è persino Hako e tu sei…»

«Signor Stryker, questo trucco funzionava quando avevo sette anni» esordii, incrociando le braccia al petto.

L’uomo, anche se ormai aveva più l’aspetto di un bonario orso, mi strinse come aveva fatto con mia madre, facendomi mancare la terra sotto i piedi. «Oh oh, la piccola Cay sa il fatto suo e che dire…» esclamò, mettendomi giù. «è diventata piuttosto graziosa. Gallen, non sai che cosa ti sei perso!»

Sia io che Gallen distogliemmo lo sguardo, imbarazzati. Suo padre era sempre stato un tipo giovale, a volte fin troppo espansivo e invasivo. Giuro che non aveva filtri.

«E Chris come sta?» domandò poi, ritornando a osservare mia madre.

«Bene, grazie. Avremmo voluto farvi visita, una volta arrivati, ma sapevamo quanto foste impegnati.» Mia madre lanciò uno sguardo ai Lycaon per evidenziare quell’esclamazione.

«Oh, lo stesso vale per noi. I primi mesi sono sempre i più duri, dopodiché ci si abitua.»

«Verissimo. E Karen?»

Nel nominare la moglie di Malon, nella radura cadde un’atmosfera tesa.

«Oh, spero che sia finita in un buco nero.» Nel vedere la faccia stupita di mia madre, l’uomo scoppiò in una fragorosa risata. «No, siamo solo io e i ragazzi. Quella vipera è sparita nei confini esterni e spero che ci rimanga.»

Lasciai commentare a mia madre quella rivelazione e mi concentrai sugli altri pur di non osservare Gallen. A quanto pareva quella donna non solo conosceva la locazione delle altre basi, ma persino i componenti delle varie squadre e, in tutto quel tempo, non mi aveva detto nulla!

Santo Hawking, stavo per scoppiare. E Gallen doveva aver sentito il mio sbuffo perché si voltò a guardarmi.

Lo ignorai.

L’uomo dalle decorazioni gialle e secondo in comando non era altri che suo fratello maggiore, Hector. Non lo conoscevo molto bene. Più grande del fratello di 6 anni, quando io e Gallen ci frequentavamo era spesso in missione nelle Colonie o al Centro di Addestramento. Tuttavia, il regime militare l’aveva reso un uomo composto e pronto all’azione, lo si poteva capire dalla sua espressione imperturbabile. Stava parlando con la donna dai vaporosi capelli rossi, che riconobbi nel ruolo di veterinaria. Con mio grande sollievo, si chinò subito a controllare il piccolo e a fornirgli le prime medicazioni sotto lo sguardo vigile di Astreo.

Solo l’ultimo componente della squadra sembrava annoiato. Cain Stryker, terzo e ultimo figlio di Malon, aveva la mia età ed era sempre stato un tipo insofferente. Rimasi stupita nel constatare che anche lui aveva abbracciato la carriera militare come il resto della famiglia, dato che preferiva combinare guai piuttosto che seguire le regole. Mi lanciò solo un’occhiata sbrigativa a cui non risposi. Da quando l’avevo steso a scuola non mi aveva più rivolto la parola e, dal canto suo, Gallen non perdeva mai l’occasione di tirare fuori quell’aneddoto, da bravo fratello maggiore qual era.

Tutti e tre i ragazzi avevano ereditato dal padre i tratti del viso e i folti capelli castani, ma solo gli occhi di Gallen erano azzurri come quelli della madre.

Persa nei miei pensieri, ritornai in me quando Malon toccò un tasto delicato.

«V’inviterei a cena per una bella ripatriata, ma ormai viviamo di cibi precotti. Il nostro cuoco è stato messo fuorigioco e sarà a riposo per ancora qualche tempo. Chi l’avrebbe detto che il caro vecchio Hector fosse un tipo geloso.»

Sentendosi presi in causa, sia il figlio maggiore che la veterinaria arrossirono. Eh, sì. Quella era proprio una bella novità. Sotto tutta la fibra morale di Hector batteva un cuore. Che scoop!

«Perché invece non venite da noi? Sono sicurissima che a Chris farà piacere rivederti e discutere dei bei tempi andati» propose allora mia madre.

Nell’udire quell’invito, Hako scoppiò in una sonora risata che fece fatica a nascondere, mentre io impallidii per le possibili implicazioni.

«Perché no? Sarà un vero piacere» commentò Malon.

«Mi dispiace interrompervi, ma io e Hya porteremo il Lycaon ferito alla base per maggior accertamenti» s’intromise Hector, sempre con la sua aria professionale.

«Certo, certo. Ma Cain e Gallen hanno la serata libera, quindi saranno lieti di accompagnarmi.»

«Cosa??? NO!» Entrambi i giovani rimasero esterrefatti.

«Vi state sottraendo a un ordine diretto?» tuonò allora l’uomo.

«No… Nossignore» mugugnarono in coro, visibilmente a disagio.

Malon riprese a sorridere. «Molto bene. Saremo da voi per le 20.00 in punto.»

E la questione si chiuse così, con mia madre e Hako che ridacchiavano di sotto i baffi, il padre di Gallen pronto a farsi una bella mangiata sulle nostre spalle e io, Gallen e Cain pietrificati dall’inaspettata piega che avevano preso gli eventi.

Rimasi in silenzio, mentre Malon dava le ultime direttive ed estraeva dal suo zaino una rete con cui trasportare il cucciolo.

Ci separammo con dei saluti affrettati, dato che Zephyrus non sembrava apprezzare la sua nuova lettiga, ma per tutto il tempo non feci altro che imprecare mentalmente al ritmo della mia canzone preferita.

Una volta che gli hoverboard furono scomparsi tra gli alberi, mi voltai verso mia madre con un’espressione omicida.

«Cosa ti è saltato in mente?»

 

 

 

«Avanti, ragazza. Non fare quel muso.»

Feci una smorfia, mentre Hako finiva di acconciarmi i capelli in camera mia. Non che potesse fare miracoli data la loro lunghezza, ma aveva arricciato le ciocche più lunghe in modo che mi ricadessero ai lati del viso in soffici boccoli, assicurando poi quella più corta da un lato grazie a un grazioso fermaglio di foggia orientale che si abbinava bene al vestito argentato che avevo scelto per la serata. L’avevo utilizzato poche volte e solo per occasioni importanti, per cui ancora non mi capacitavo di averlo portato con me in quell’inferno, figuriamoci indossarlo per una stupida cena. Non che fosse pertinente, con la scollatura profonda sulla schiena e lo spacco laterale.

«Ho come l’impressione che mia madre si stia vendicando per la mia voglia di libertà» commentai, osservandomi allo specchio. Hako aveva fatto un ottimo lavoro anche con il trucco, evidenziando i miei occhi con del kajal nero e una lieve spolverata d’argento.

«Grazie» mormorai, mentre lei si sedeva accanto a me sul letto sfatto. Al contrario di me, Hako aveva indossato un semplice tubino bianco e si era legata in capelli in un severo chignon. Non amava particolarmente i completi eleganti, figuriamoci le scarpe col tacco.

«Lo penso anch’io» commentò, dandomi un buffetto sulla mano. «Ma credo che questa serata potrebbe rivelarsi alquanto interessante. E, chissà, magari riuscirai a far rimpiangere a Gallen dalla sua scelta.»

La guardai di sfuggita, senza riuscire a ricambiare il suo sorriso.

La mia storia con Gallen era durata due anni, ma ci conoscevamo da quando ne avevamo rispettivamente sei e otto. La sua famiglia si era trasferita dall’altra parte della strada e il resto è la classica storia di un’amicizia che a poco a poco è mutata in altro, qualcosa che nessuno dei due aveva capito fino in fondo.

Almeno, finché non è andato tutto in pezzi.

«Sai una cosa?» feci alzandomi. «Non m’importa. Dopotutto abbiamo intrapreso strade diverse e siamo persone adulte.»

«Ben detto» ridacchiò Hako, mettendosi un po' di rossetto. «Alla fin fine, secondo il database medico, non sei ancora nel tuo periodo fertile.»

«HAKO!» tuonai sconvolta, osservandola con gli occhi sgranati per quell’insinuazione.

«Oh, vuoi dire che tutto questo» esclamò, agitando la mano per indicare la mia figura, «non è per fare colpo?»

«Volevo solo sentirmi carina e a mio agio» risposi imbronciata.

«Sì, certo.» Hako si alzò e diede uno sguardo all’orologio, per poi darmi una pacca sul culo. «Forza, hai solo dieci minuti per prepararti psicologicamente e io devo controllare che Jonny non combini guai, quindi…»

«Quindi farò la brava e non me la filerò dalla finestra mentre tu non ci sei.»

«Così mi piaci.» Mi diede un buffetto e uscì, lasciandomi da sola con il mio imbarazzo.

Mi risedetti sul letto, giocherellando con i bracciali che avevo su entrambi i polsi. In qualche modo mi sentivo imprigionata in quella stanza, senz’aria, completamente in balia degli eventi. Mi voltai, osservando il mio datapad e alla fine decisi. Lo presi e mi diressi verso la finestra, scrutando malinconica il panorama. I meravigliosi giochi di luce del tramonto si riflettevano rossastri sulla quieta superficie Atlas, creando un’atmosfera magica. Sorrisi.

Mandai un messaggio a Kley.

 

 

«Santo Hubble!»

Sentendo l’esclamazione sorpresa di mia madre provenire dall’entrata del Gamma, non resistetti alla tentazione e mi sporsi oltre la parete per sbirciare.

I nostri ospiti avevano scelto un abbigliamento più informale del nostro, indossando delle semplici camicie e delle giacche di pelle, ma dal loro aspetto arruffato sembrava che avessero attraversato la foresta a bordo degli hoverboard; il che equivaleva a una pazzia, nonostante la luce rossastra del tramonto illuminasse ancora l’ambiente circostante. Mi augurai che al ritorno qualcuno venisse a prenderli con un mezzo di trasporto più consono, perché uscire di notte era come un invito a farsi sbranare dai predatori notturni.

«Approfittavo con i ragazzi di un buon addestramento in notturna!» esclamò vivace Malon, togliendosi qualche ramoscello dai capelli.

Gallen alzò gli occhi al soffitto per l’esasperazione, spazzolandosi con una mano la giacca. Si era addirittura fatto la barba. Non seppi come interpretare quel gesto e mi sentii a disagio.

«Io lo sapevo che c’era la fregatura» brontolò Cain, senza avere la cortesia di togliersi il cappuccio dalla testa. Aveva l’aria di un cane bastonato e non potei fare a meno di compatirlo.

«Malon, è un piacere rivederti» esclamò mio padre andandogli in contro e porgendogli la mano che fu ignorata per un abbraccio.

«Christopher Myah! Vecchia volpe! Come te la passi?» tuonò l’uomo, dandogli una pacca sulla schiena così forte da fargli quasi cadere gli occhiali.

Vedere Malon Stryker vicino a mio padre rendeva ancora più palesi le loro differenze.

Mio padre era il classico scienziato: altezza media, corporatura esile di chi non è bravo negli sport, sempre in ordine, il viso rasato e un’insofferenza patologica verso le feste e le attività sociali che non comprendessero la scienza. Non mi stupii di vederlo ombrarsi quando si rese conto che il Gamma era diventato improvvisamente affollato, contando poi la pacca di Malon che l’aveva fatto boccheggiare.

E Malon era… Beh, l’esatto opposto.

«Vedo che ti sei inselvatichito» sorrise mio padre, cercando di non far suonare quella constatazione come un insulto.

«Che ci vuoi fare: è il richiamo della foresta!»

Qualcuno si schiarì la voce alle mie spalle. Sussultando, mi accorsi che Launi era comparso con un sorriso a trentadue denti, seguito da un delizioso profumino che proveniva dall’area comune, adeguatamente preparata per l’occasione. In sintesi, avevamo tolto tutti gli strumenti scientifici abbandonati sui ripiani.

«Cay, puoi far accomodare gli altri? La cena è quasi pronta.»

Senza nemmeno aspettare una risposta, Launi si dileguò in cucina, praticamente a una spanna dal pavimento. Quando lo avevamo informato che avrebbe dovuto cucinare per tre persone in più, aveva quasi battuto le mani dalla felicità. Per lui era una gioia sfamare noi comuni mortali che saremo vissuti alla grande anche di cibo liofilizzato, per cui l’idea di avere ospiti lo entusiasmava come un bambino a Natale.

Feci un respiro profondo e mi decisi a fare la mia comparsa nel corridoio.

Non appena mia madre si voltò verso di me, mi lanciò un’occhiataccia colma di disapprovazione per tutta la pelle che stavo esponendo, ma alla fine ottenni la reazione sperata.

«Santa Hack. Gallen, sei stato davvero un idiota» commentò suo padre non appena mi vide.

Gallen seguì il suo sguardo e s’immobilizzò non appena si accorse della mia presenza. Quando Cain fischiò compiaciuto gli tirò una gomitata e io dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non sogghignare come un’idiota.

«Launi ha quasi finito di preparare la cena. Se volete seguirmi» dissi a tutti, senza però distogliere lo sguardo da Gallen. Quando mi voltai per precederli, sentii i suoi occhi sulla mia schiena e non poteri fare a meno di sorridere vittoriosa.

Ero immatura? Può darsi. Ma avevo ancora un conto in sospeso con lui.

Ci sedemmo tutti quanti a tavola, dove Launi aveva già servito degli antipasti. Per un attimo mi chiesi se per preparare quella cena avesse dato fondo alle scorte della dispensa, ma quando il vol-au-vent che avevo selezionato mi si sciolse sulla lingua, decisi che non me ne importava.

«Allora, come stanno andando le cose qui?» chiese Malon tra un boccone e l’altro. Sembrava che non mangiasse da giorni, mentre i suoi figli avevano mantenuto un certo senso del decoro.

«Tutto bene» commentò mia madre, facendo un cenno a Hako, che ci aveva appena raggiunti. «Ci siamo abituati presto alla vita su questo pianeta.»

«Eh, sì. All’inizio può essere forviante, ma ormai lo considero come se fosse il mio pianeta di origine. Dopo quasi tre anni non sento nemmeno la mancanza della Terra.»

«Tre anni?» chiesi sbalordita. Sapevo che non eravamo i primi a mettere piede su Viridis, ma non potevo immaginare di viverci per così tanto tempo.

«Esatto» esclamò Malon, svuotando il suo bicchiere. «Siamo stati tra le prime squadre operative della zona. Gallen è arrivato quasi due anni fa e questo è il suo primo incarico ufficiale, mentre Cain…»

«Non importa a nessuno, vecchio» sbottò lui, piluccando il cibo. Indossava ancora il cappuccio e non sembrava intenzionato a levarselo. Stavo per farglielo notare quando mi accorsi dei suoi occhi. Era come un animale in trappola e il suo sguardo era… glaciale.

Decisi saggiamente di farmi gli affari miei e Launi mi aiutò in questo, servendo la prima portata.

Lanciai qualche occhiata a Gallen, ma sembrava del tutto concentrato a osservare qualsiasi cosa presente nella stanza tranne me. Sperai che gli venisse il torcicollo a fine serata.

A un certo punto notai mio padre chiedere qualcosa a Hako, ma lei scosse la testa. Immaginai che si trattasse di Jonathan. Launi si era fatto furbo ed aveva apparecchiato solo per otto persone.

«Qualche problema?» chiese Malon, notando quel dettaglio.

«Nulla di grave. Il nostro tecnico non si unirà a noi per questa serata. Sta ancora lavorando sulla sonda che abbiamo perso nell’ultimo rilevamento.»

«Sì, ho letto i rapporti. Che ne dite, facciamo una battuta di pesca?» chiese, ridacchiando. «Sono convinto di riuscire a tirarne su almeno un esemplare di 40 kg.»

Ringraziai mentalmente l’assenza di Jonathan, perché non avrebbe preso per niente bene quella battuta.

La cena continuò senza troppi intoppi. Malon sembrava capace di portare avanti una conversazione da solo da quanto cianciava e si perse a ricordare con i miei genitori aneddoti del passato, ai quali Launi e Hako facevano a gara ad aggiungere dettagli. Purtroppo per me, sapevo che era solo questione di tempo prima che tirasse fuori la storia tra me e Gallen, anche se per lui non eravamo andati oltre all’amicizia.

«Allora, Cay, come te la passi? Immagino che sia difficile per te vivere qui, lontano dai tuoi amici» disse all’improvviso, cercando d’inserirmi nella conversazione.

«Sì, a volte è difficile e sento la nostalgia di casa, ma c’è sempre così tanto lavoro che il più delle volte non ci penso» risposi diplomatica.

«Capisco benissimo. E hai lasciato un fidanzato sulla Terra?»

Per poco non mi strozzai. Persino Gallen s’irrigidì.

Bevvi un sorso di tè. «No. Non ho l’abitudine di abbandonare qualcuno per fuggire su un altro pianeta.»

Beccati questa, Gallen.

«Buono a sapersi. Se non ricordo male tu e Gallen eravate molto legati quando è partito per l’Accademia.»

«Può essere» mormorai. Da sotto il tavolo, Hako mi prese la mano, stringendola compressiva.

Mia madre si schiarì la voce, pronta a cambiare argomento, quando Cain prese la parola per la prima volta da quando avevamo iniziato a cenare.

«Se non sbaglio, avete iniziato a frequentarvi dopo che Gallen ti aveva criticato per essere senza seno.»

Sulla tavolata scese un silenzio pesante, interrotto solamente dalla profonda risata di Malon.

Sia io che Gallen lo fissammo con gli occhi fuori dalle orbite. Tipico di Cain ricordare aneddoti imbarazzanti a cena. Per poco non piegai le posate da quanto stringevo i pugni.

«Non ho detto così» sentenziò Gallen, a disagio.

Ah, no?

«In realtà sì» esclamai, prima che potessi controllarmi. «Ricordo benissimo che non facevi altro che dire quanto fosse bella Selenia Goz e io ti corressi dicendoti che per il suo dodicesimo compleanno si era fatta regalare delle modifiche al seno.»

«Oh, già. È vero» mi assecondò lui, posando il viso su una mano. «E tu eri così gelosa…»

Per poco non lo infilzai con il coltello.

Mia madre sbuffò. «Nessuna madre con un po’ di sale in zucca avrebbe dato la sua approvazione per una modifica del genere. L’ho sempre detto a Cay che l’assenza di curve abbondanti non è necessariamente una caratteristica negativa.»

«Mamma!» sbottai.

«Direi che Gallen può dire lo stesso, dato che le ha brevettate e approvate.»

«Cain!» ruggì Gallen.

Il viso di Launi era contratto nel tentativo di non scoppiare a ridere, mentre mio padre era letteralmente basito dalla piega che aveva preso quella conversazione. Hako, dal canto suo, ci aveva scattato una bella foto ricordo per immortalare quel fantastico momento.

«Vado a prendere il dessert!» esclamò Launi, prima che la situazione potesse degenerare.

Per quel che mi riguardava era già troppo tardi.

 

 

 

Dopo il dolce, mi diressi con una scusa fuori dalla base. Avevo bisogno di respirare un po' d’aria fresca e di mettere la maggiore distanza possibile tra me e gli idioti della famiglia Stryker. Decisi di fermarmi sul ponte, sperando che scegliesse proprio quel momento per crollare. Da punto di vista logistico, quella cena era andata benissimo, dato che non era morto nessuno eccetto la mia dignità, mentre dall’altra avrei preferito una conclusione diversa.

Sospirai, giocherellando con i bracciali mentre osservavo il cielo stellato sopra di me.

«Mi dispiace per mio padre e mio fratello. Possono essere difficili da gestire.»

Gallen mi colse alla sprovvista, al punto che per poco non squittii dallo spavento. Cercai invece di apparire impassibile e di mantenere il controllo mentre mi si avvicinava, nonostante il mio cervello non la smettesse di urlare impaurito.

«Intendi difficili da controllare» sentenziai neutra, contando fino a tre prima di voltarmi a fissarlo.

Dio, era cresciuto davvero bene. L’Accademia Militare aveva trasformato il suo fisico un tempo secco in un ammasso scattante di muscoli e il viso aveva perso la dolcezza della fanciullezza, diventando un armonioso insieme di linee decise e marcate. Insomma, ero praticamente fottuta.

Lui mi rivolse un sorriso sghembo in risposta, dopodiché si tolse la giacca e me la posò sulle spalle.

Lo ringrazia, stupita per quel gesto. Non potei fare a meno di percepire il calore del suo corpo e il profumo della sua colonia. Sperai che l’oscurità celasse il mio viso improvvisamente diventato bollente.

Rimanemmo in silenzio per un po', continuando ad ammirare il cielo.

In cuor mio sapevo che quel momento sarebbe arrivato; lo attendevo, lo bramavo, ma allora perché non desideravo altro che scappare a gambe levate?

«Senti» iniziò Gallen, passandosi una mano tra i capelli, visibilmente in imbarazzo. «Ti avrei scritto per avvisarti che ero in zona, ma non sapevo cosa dirti. Era una situazione piuttosto spiacevole.»

«Già, mai quanto una pistola puntata alla testa.» Non rise alla mia battuta, per cui cercai di rimediare. «Ma ti capisco. Nemmeno io avrei saputo affrontare questa situazione.»

Sospirò. «Non possiamo cambiare il passato, però possiamo ricominciare da zero su questo pianeta, che ne dici?»

Come, tutto qui? Niente spiegazioni sul perché mi ha piantata in asso senza una parola?

Feci appello a tutto il mio autocontrollo per non saltargli al collo e strozzarlo.

«Certo… Perchè no?» risposi con un sorriso tirato.

Gallen mi rivolse uno sguardo radioso, per poi illuminarsi. «Ehi, ho un’idea! Perché domani non vieni con me in perlustrazione? Potrei farti vedere il nostro lavoro. In fondo ti piacciono gli animali, se ben ricordo.»

Ma che cosa…

«Sì, quelli terrestri. E penso che qui l’astio sia comune.»

«Oh, smettila. Astreo fa sempre così con gli estranei, ma in realtà è un gran simpaticone. Allora, che ne dici? Magari potresti aggiornarmi su cosa mi sono perso sulla Terra.»

Giocherellai di nuovo con i bracciali, ma in cuor mio sapevo che gli avrei risposto solo in un modo.

«Va bene…»

«Perfetto!» esultò lui. «Vado a comunicarlo ai tuoi genitori. Vedrai, ci divertiremo.»

Già… non vedevo l’ora…

 

 

 

 

 

 

Tatatata pubblicità.

Ben trovati con un nuovo capitolo. Spero che anche questo sia stato di vostro gradimento nonostante la poca azione e spero anche che apprezziate la squadra della base Beta (so che da qualche parte nel cosmo ci sono favoritismi strani, non è vero *coff*Marina*coff* ?) perché in futuro si vedrà spesso. Quindi sì, rassegnatevi.

Come sempre ringrazio Sagas per la recensione e tutti quelli che hanno aggiunto questa piccola storia tra le seguite, preferite ecc ecc…

Non vi nascondo che ho già in mente qualcos’altro in proposito, anche se non so bene come impostare la cosa.

Ad ogni modo, vi auguro un buon proseguimento ^^

Alla prossima settimana.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** T h R E E ***


T h R E E

 

 

 

Devo ammetterlo. Dopo qualche tentennamento, accettare l’invito di Gallen si rivelò una mossa azzeccata. Non tanto per la sua compagnia, sia chiaro, ma per il semplice motivo che non vedevo l’ora di scoprire come funzionasse la base Beta. E sì, anche per gli animali…

A dire il vero mi stupii della velocità con la quale i miei genitori acconsentirono a tale richiesta. Dopo tanti sermoni sulla sicurezza e sul fatto che non potevo mettere piede fuori dall’area di competenza del Gamma, ora mi stavano letteralmente gettando tra le braccia di Gallen. Forse perché avevo finalmente trovato qualcosa con cui tenermi occupata invece di lamentarmi per tutto il tempo, o forse perché pensavano…

Non scherziamo. Tra me e Gallen non c’era più nulla. Ma forse potevo sfruttare la gita fuori porta per indagare sul passato e lasciarmi questa storia alle spalle una volta per tutte.

Gallen venne a prendermi dopo colazione come pattuito ma, invece ci accompagnarmi direttamente al Beta, mi fece fare un giro nei dintorni della base, dove era stato allestito una specie di campo per la fauna del luogo.

Inutile dire che quello spettacolo mi lasciò senza fiato.

Gli animali erano liberi di muoversi a loro piacimento nelle varie aree dedite, mentre i volontari si occupavano di quelli feriti o ammalati in postazioni distinte. Gallen mi spiegò che la maggior parte degli ospiti erano solo di passaggio, ma che alcuni rimanevano comunque nei paraggi, spinti dalla curiosità verso la nostra specie e per gli spuntini gratis. Tutti gli esemplari che passavano dal campo venivano muniti di microchip, un’operazione che rendeva più semplice tenerli d’occhio e per studiare le loro abitudini.

Era totalmente diverso dal lavoro che stavamo facendo al Gamma, così tanto che quasi quasi avrei voluto chiedere un trasferimento. Pensiero che scacciai subito quando mi resi conto che una base così affollata non era il massimo per una ragazza.

Non essendo solo una base scientifica, ma anche militare, le donne scarseggiavano in proporzione al numero di soldati, per cui mi trovai parecchio a disagio quando facemmo un rapido giro degli ambienti. Gallen dovette aver capito quello che mi stava passando per la testa quando incrociammo l’ennesimo commilitone che mi fece l’occhiolino, perché mi condusse verso la zona più esterna, dedicata ai predatori.

In uno dei box ritrovai la veterinaria dai capelli rossi, Hygeia, alle prese con un Lycaon che conoscevo bene.

Zephyrus fu il primo ad accorgersi del nostro arrivo. Incominciò a guaire e a scodinzolare, mentre Hygeia stava finendo di controllare le sue condizioni sul suo datapad. Quando alzò gli occhi verso di noi, ci rivolse un leggero sorriso.

«Ma guarda, non riesce mai a stare fermo» sentenziò Gallen, avvicinandosi per accarezzare il cucciolo, che ricambiò quelle attenzioni con delle generose leccate alle sue dita.

«Forse è per questo che è stato fortunato. La ferita si è rivelata superficiale e non ha intaccato i nervi e il muscolo. Qualche giorno di riposo e sarà come nuovo.»

«Riposo? Non credo che questo termine sia presente nel suo vocabolario» ridacchiò lui, prima che Zephyrus lo caricasse facendolo finire al tappeto. Mi scappò una risatina.

«Sembrano molto uniti» commentai, avvicinandomi alla donna mentre sterilizzava gli strumenti posati sul tavolo chirurgico.

«Diciamo che è così» mi spiegò. «In genere i Lycaon sono animali schivi e territoriali, ma quando Eos è entrata in travaglio ci sono state delle complicazioni. Dovevamo scegliere: rimanere a monitorare la situazione senza far nulla o intervenire. Puoi immaginare su cosa sia ricaduta la scelta. Una squadra ha dovuto tenere occupato Astreo e, fidati, non è stato un lavoro piacevole, mentre l’altra ha portato Eos qui, dove Zephyrus e Borea sono nati. Sani come pesci. Sono diventati le nostre mascotte, in poche parole. Anche se Astreo e Eos preferiscono girarci alla larga, sanno che non siamo ostili nei loro confronti e ci permettono di girare nel loro territorio come ospiti.»

«Credi che si sentano in debito con voi?» chiesi, incuriosita dal loro strano rapporto.

«Certo. Sono creature molto intelligenti. Tutto l’opposto dei Ferusus» commentò con un sospiro, guardando oltre le mie spalle.

Mi voltai e mi accorsi di un gruppo di quattro Ferusus che si rotolavano nel fango, emettendo potenti grugniti dalle loro grandi narici. Assomigliavano a dei comuni cinghiali, nonostante avessero un lungo e ispido manto verde e le zanne molto più grosse e ricurve. All’improvviso, uno di loro si fermò, puntando uno stormo di Padavo Gallus che beccava con zelo il terreno lì accanto. Inutile accennare al disastro che avvenne subito dopo, con gli animali che s’inseguivano nel cortile spandendo fango e penne ovunque.

«Dei, a volte mi domando se siamo una base di ricerca o una fattoria» sospirò Hygeia, ritornando alle sue occupazioni e ignorando i soldati di turno che tentavano inutilmente di riportare l’ordine.

«Beh, almeno non dovrete preoccuparvi per la cena» sentenziai. In fondo avevo già provato la carne di Padavo ed era quasi come quella di un pollo normale, solo più saporita e dal colore verdognolo.  Stavo per aggiungere altro quando Zephyrus mi venne incontro, abbandonando sopra ai miei piedi un pollo di gomma tutto masticato.

«Ora tocca a te badare a lui» sentenziò Gallen con il fiatone. «Devo un attimo discutere con Hya e poi possiamo proseguire il nostro giro.»

«D’accordo.» Annuii, prendendo in mano il giocattolo con una smorfia di disgusto a causa di tutta la saliva di cui era impregnato.

Mi spostai ai margini della radura, indecisa se lanciare o meno il giocattolo a Zephyrus per paura di aggravare la ferita sulla sua zampa, ma quando alzai la testa, mi accorsi che gli altri due avevano cambiato atteggiamento. Gallen sembrava teso, mentre Hygeia gli mostrava le lastre che aveva fatto alla lesione del Lycaon, spiegandogli qualcosa che non riuscivo a sentire. Si concentrarono sulla linea della ferita e Gallen sembrò accigliarsi.

Un guaito mi richiamò dai miei pensieri. Zephyrus mi diede un colpetto con il muso e io gli accarezzai le piume.

«Sembra che il tuo incidente abbia sollevato parecchie preoccupazioni» esclamai, grattandogli un orecchio. «Certo che vedersela da solo con un Loricasauro… Che cosa ti è saltato in mente?»

Mi rabbuiai. Perché la scusa di Gallen improvvisamente mi sembrava priva di senso?

«Eccomi!»

Ma perché doveva sempre cogliermi alla sprovvista? Sussultai e il pollo mi scivolò dalle mani, per grande gioia di Zephyrus, che partì all’inseguimento della preda.

«Scusa, ti ho spaventata?» il sorriso impertinente di Gallen mi fece venire voglia di tirargli una sberla.

«Per nulla» bofonchiai. «Allora, qual è la prossima tappa?»

Il luccichio che comparve nei suoi occhi non presagiva nulla di buono.

«Io pensavo a un picnic…»

«Vuoi dire un sopralluogo dell’area per vedere se ci sono nuovi problemi, non è così?»

Gallen si azzittì. La nota scherzosa del suo sguardo si spense, lasciando posto alla serietà che avevo intravisto poco prima. Incrociò le braccia al petto.

«Io starò al tuo gioco, se tu starai al mio.» Era una frase che usavamo spesso in passato, quando ci mettevamo nei guai e avevamo bisogno di un aiuto per non farci beccare dai rispettivi genitori.

«Non sarò un’esperta, ma non credo che un Loricasauro riesca a infierire una simile ferita. Al massimo ti calpesta e ti frantuma le ossa. Inoltre, i bordi del taglio di Zephyrus erano netti e leggermente cauterizzati, quindi direi che si è trattata di una pisto…» Gallen mi mise una mano sulla bocca, guardandosi attorno nervosamente.

«Zitta! Non saltiamo subito a conclusioni affrettate!»

«Del genere che uno dei tuoi ha il grilletto facile o ci sono dei contrabbandieri?»

Gallen mi fulminò con lo sguardo. Si allontanò da me passandosi nervosamente una mano nei capelli. Quando alla fine tornò a guardarmi, il suo viso era teso e ombroso. «Secondo te perché le squadre di catalogazione faunistica sono sempre affiancate da un reparto militare? Ogni volta che viene scoperto un nuovo pianeta abitabile, c’è il rischio che gente priva di scrupoli voglia ampliare il proprio monopolio al mercato nero. Ed è solo questione di tempo prima che succeda anche qui. È una questione seria, Cay. In questi due anni abbiamo già intercettato tre gruppi di noti contrabbandieri, ma non siamo onniscienti. Ho spiegato a Malon i miei dubbi sulla situazione attuale, specialmente riguardo agli insoliti spostamenti degli animali nell’ultimo periodo, ma senza nessuna prova non possiamo fare nulla.» Sospirò, per un attimo mi resi conto di quanto fosse stanco. «Ma come l’hai capito?»

«Sono figlia di due scienziati, ricordi? So fare due più due» sentenziai, per poi sorridergli comprensiva. «Comunque, ti darò volentieri una mano.»

«Non credo che ci siamo capiti.» Si chinò verso di me, osservandomi scettico. «Non ti ho portata qui per andare a caccia della feccia dell’universo.»

«E allora perché… oh…»

Oh, merda.

Il silenzio che cadde tra noi si fece pesante.

Gallen fu il primo a ricomporsi, lo sguardo ancora a disagio. «Ad ogni modo, niente colpi di testa. Faremo un semplice giro, darò un’occhiata a Eos e a Borea e poi ti riaccompagnerò al Gamma, intesi?»

«Sì, signor Rovinadivertimento.»

«Oh, fidati… so ancora come divertirmi.»

 

 

 

E in effetti aveva ragione.

Il buon vecchio Gallen non aveva perso del tutto il suo smalto all’Accademia.

L’area di competenza del Beta era enorme, forse addirittura il doppio di quella del Gamma, per cui fummo costretti a usare gli hoverboard per spostarci. E ne adorai ogni singolo momento.

Nonostante il mio fosse di una versione meno aggiornata rispetto a di quello di Gallen, riuscii a stare al suo passo e mentre sfrecciavamo tra la vegetazione non pensai a nulla. La sensazione del vento tra i capelli, l’adrenalina causata dalla velocità, i sensi pronti e scattanti… Volare risultò così liberatorio che mi ritrovai a ridere sul serio per la prima volta da quando ero approdata su Viridis.

Gallen era un pilota provetto, ma non era abbastanza agile. Lo distaccai in un tratto intricato di liane, serpeggiando tra le piante con un’abilità frutto di anni di pratica. Lui però mi ribeccò subito dopo in una radura, facendomi la linguaccia. Ci divertimmo così, a superarci l’un l’altro e a mettere alla prova le nostre capacità per buona parte del tempo. Nel giro di un’ora raggiungemmo l’alveo al di sotto delle cascate Crenee. Era uno dei più grandi spazi aperti della vallata grazie all’erosione costante dell’acqua ed era uno spettacolo mozzafiato.

Innumerevoli arcobaleni scintillavano nell’aria e il fiume brillava di mille colori diversi grazie alle pietre policrome sul fondale, sbattendo sulle rocce con schizzi vaporosi. Dozzine di specie si abbeveravano in vari punti di secca, vivendo in armonia tra loro. Passammo in mezzo a un branco di Stegodon Viris che faceva il bagno tra i flutti. Erano creature colossali, tanto che non ci notarono nemmeno quando zigzagammo tra loro. Eccetto un giovane esemplare che, infastidito dal rumore delle nostre tavole, spruzzò dalla proboscide un potente getto d’acqua contro Gallen, colpendolo di striscio. Con mio sommo divertimento, si ritrovò metà corpo bagnato fradicio.

Mi lanciò un’occhiataccia quando scoppiai a ridere in modo incontrollabile.

Dopo esserci divertiti abbastanza con il volo libero, cambiammo rotta per ritornare sui nostri passi. L’atmosfera allegra che ci aveva accompagnati per tutto il percorso sembrava essersi spenta e a malincuore mi accorsi che Gallen aveva ripreso a scrutare i dintorni con occhi vigili e diffidenti.

Non mi ero accorta di quanto mi mancasse il vecchio lui fino a quel momento.

Eravamo quasi a cinque chilometri dal Beta quando Gallen virò e incominciò a scendere. Lo seguii in silenzio, attenta a non perderlo di vista.

Atterrammo in mezzo al rigoglioso sottobosco e disattivammo gli hoverboard, dato che erano pressoché inutili in quel luogo. Gallen aprì la strada e procedemmo per qualche momento finché in mezzo agli alberi non comparve una formazione rocciosa dotata di grotte. La tana di Astreo.

«Stai dietro di me» mormorò lui, prendendo il fischietto dalla tasca della divisa. «Loro non conoscono ancora il tuo odore e potrebbero considerarti un’intrusa.»

«Va bene, me ne starò qui buona.» Per quanto possibile, aggiunsi mentalmente.

Gallen mi rivolse un sorriso sghembo, per poi suonare una serie di fischi in rapida successione. Attendemmo qualche momento, ma non accadde nulla.

Accigliato, Gallen riprovò, venendo corrisposto solo dal silenzio.

«Forse sono uscite» dissi, anche se nemmeno io suonavo molto convincente.

«I Lycaon sono in grado di percepire i suoni da grandi distanze. Dovrebbero rispondere se fossero nell’area.»

Il suo tono preoccupato mi afflisse. Non sapevo come aiutarlo e purtroppo sapevo che un Gallen angosciato equivaleva a un Gallen fuori controllo.

«Riprova, magari con un altro segnale» proposi.

Lui annuì senza guardarmi. Si mise in bocca il fischietto, ma s’interruppe a metà del richiamo.

All’inizio sembrò un semplice abbaglio, eppure avvertimmo qualcosa sfrecciare nella vegetazione, puntando dritto nella nostra direzione; qualcosa d’incredibilmente veloce e forse potenzialmente letale.

Gallen si mise subito davanti a me, la mano pronta ad estrarre la pistola ad impulsi. Dopo qualche secondo di pura tensione, da un cespuglio comparve un cucciolo di Lycaon simile a Zephyrus, ma dal piumaggio meno vivace e le orecchie più corte. Borea.

«Borea!» esclamò Gallen, ma il Lycaon sembrava troppo spaventato per fare caso a lui. Continuava a raspare il terreno e a guaire, la lunga coda arruffata che si scuoteva come una frusta nell’aria.

«Calma, calma bella!» Gallen si accucciò verso di lei e gemette quando il Lycaon lo colpì per sbaglio con la propria estremità. Dopo qualche tentativo e molte imprecazioni, riuscì a prenderla in braccio. Negli occhi dell’animale riuscii a vedere la paura, il suo petto si alzava ed abbassava a un ritmo preoccupante.

«Dobbiamo portarla al Beta» dichiarai, mentre Borea continuava a guaire.

«Hai ragione. Tu l’accompagnerai al Beta. Io andrò in avanscoperta. Di’ a Cain e a Hector di radunare gli uomini non attivi e di locali…»

«No! Non se ne parla!» sbottai ad alta voce. Borea mi ringhiò contro per autodifesa, ma non la badai. «Non ti lascerò andare da solo!»

«E dimmi, che aiuto potresti mai darmi? Non sei qualificata per questo, Cay.»

Strinsi i pugni, non riuscendo a ribattere. Aveva ragione, ma dimenticava che non ero una che mollava al primo impedimento.

«Potrei registrare gli eventi e fornire a tuo padre e al Comitato di Preservazione Naturale abbastanza prove da incastrare chi c’è dietro a tutto questo. Ti prometto che al minimo accenno di pericolo me ne andrò, ma devi farmi venire con te. Altrimenti dirò a tuo padre che hai violato uno dei regolamenti.»

«Che cosa intendi?» chiese lui accigliato.

«Sono piuttosto sicura che in questi casi il regolamento preveda di contattare la base in attesa dei rinforzi, di non saltare subito nella tana del lupo.»

Gallen mi lanciò un’occhiataccia, ma alla fine si arrese.

Osservò Borea, che nel suo abbraccio aveva iniziato a respirare normalmente e sospirò.

«Va bene. Non farmene pentire Cay o giuro…»

«Cosa? Mi denuncerai al tribunale militare?» chiesi, allargando le braccia.

«Dio, con te non si può proprio discutere.»

 

 

 

Li trovammo a circa una ventina di chilometri dal Beta.

L’aeronave era stata ridipinta per essere difficilmente visibile nella vegetazione e, a giudicare dalle dimensioni, doveva trattarsi di un cargo pesante. Lì accanto si ergeva un prefabbricato abbastanza grande da ospitare comodamente cinque o sei persone, anche se ne contammo almeno una dozzina, divise tra la navetta e l’abitazione. Indossavano dei semplici abiti camo e imbracciavano fucili ad impulsi provenienti dal mercato nero. Tipico pacchetto del contrabbandiere perfetto. Uno di loro uscì dal prefabbricato parlando in una ricetrasmittente. Aveva un forte accento ispanico, per cui non riuscii a decifrare quello che diceva, ma non prometteva nulla di buono, dato che ordinò agli altri di spostare le gabbie all’interno della navetta.

Qualcuno aveva fretta di andarsene.

Tuttavia, quello che veramente ci colpì furono proprio le innumerevoli gabbie che contenevano diverse specie di animali. Eos era accasciata in una di quelle più in fondo, ancora fuorigioco a causa dei tranquillanti che aveva in corpo. Di fianco a lei si trovavano diversi esemplari di Ferusus, Orycoto, Paradisea, e persino delle Iguanee. In una voliera, diversi Psittali dormivano a testa in giù, probabilmente narcotizzati a causa del loro acuto verso.

Di fianco a me, avvertii Gallen digrignare i denti, gli occhi offuscati per la furia omicida che provava in quel momento. Gli posai una mano sul braccio, cercando di calmarlo.

«Non preoccuparti, li tireremo fuori» sussurrai, afferrando il mio datapad.

Lui annuì, digitando qualcosa sul suo computer da polso. Non persi altro tempo. Mi tolsi il sudore dagli occhi con il dorso della mano e incominciai a riprendere, facendo attenzione a rimanere nascosta. Feci un primo piano della base, per poi soffermarmi sui volti dei contrabbandieri che passavano davanti a noi.

Ma c’era qualcosa che non quadrava. Sembravano troppo tranquilli, nonostante si trovassero circondati da basi scientifiche monitorate costantemente. Una volta ripreso l’insieme, mi concentrai sui dettagli, cercando di capire il motivo per cui non erano ancora stati localizzati. La navetta era facile da eclissare, ma un’intera base no. Eppure sembrava persino poco equipaggiata rispetto agli standard. Sul tetto era fissata una rudimentale antenna parabolica, il che voleva dire che erano collegati a un qualche satellite per le comunicazioni, eppure…

Osservai la piccola scatola fissata alla base dell’antenna. Che fosse…

In quel preciso momento, il mio datapad iniziò a squillare, facendo prendere un colpo sia a me che a Gallen. Sullo schermo comparve un nome che conoscevo bene.

Kley.

Mi pentii immediatamente di averle scritto la sera prima.

Mi protrassi a chiedere la chiamata, quando all’improvviso il segnale scomparì. Non ci feci subito caso, dato che in quel momento avevo altre priorità. Eravamo stati scoperti.

«Ehi! Ehi!»

I contrabbandieri spararono una raffica con i loro mitra nella nostra direzione, facendo esplodere in una miriade di schegge la nostra copertura... Gallen mi gettò a terra un’istante prima che finissi sulla traiettoria di un proiettile, che andò a conficcarsi nel tronco dietro di me.

«Gal…»

«Riesi a volare?» mi urlò, mentre rispondeva al fuoco.

«Certo!»

«Bene, tieniti pronta!»

Aspettò il momento della ricarica delle munizioni per fare la sua mossa. Mentre i contrabbandieri erano impegnati, Gallen estrasse un ordigno fumogeno dalla divisa e lo lanciò nella piazza che ci divideva. Tre secondi e scoppiò il caos. La deflagrazione fu assordante e in pochi istanti l’aria si riempì di una spessa nube di fumo. I contrabbandieri imprecarono sonoramente, iniziando a sparare alla cieca mentre gli animali ancora svegli si agitavano nelle loro gabbie.

«Ora!» mi urlò Gallen.

Azionai il mio hoverboard e mi gettai nella boscaglia. I proiettili ci volavano attorno, scalfendo la corteccia degli alberi e riempiendo l’aria di schegge. Più volte rischiai di cadere dalla tavola per proteggermi il viso con le mani, ma riuscii a mantenere una buona velocità.

Dopo qualche minuto di fuga alla cieca, mi accorsi di essere rimasta sola.

Il panico mi assalì.

«Gallen!» urlai.

Mi guardai attorno, ma udii solo la mia voce echeggiare tra gli alberi.

Mi sentii mancare. In genere ero una persona razionale che sapeva controllare le proprie emozioni nel momento del bisogno, ma all’idea che Gallen fosse ferito o peggio mi s’ingarbugliarono le budella.

«Gallen!» riprovai.

Dopo qualche momento di silenzio, dalla boscaglia uscì una sagoma famigliare.

«Oh, santa Hack! Non farmi mai più…»

«Zitta e seguimi!» mi liquidò con un tono che mi lasciò senza parole. Era… era come quella volta sulla Terra.

Feci come mi aveva ordinato e lo seguì in silenzio per qualche chilometro, ma mi fu subito chiaro che qualcosa non andava. La sua postura era sbagliata, sbilanciata da un lato, come se...

Quando scivolò dall’hoverboard dovetti fare una manovra improvvisa per riuscire a frenare la sua caduta. Grugnii di dolore, mentre i muscoli delle mie braccia gridavano nel trattenere il suo peso. L’hoverboard si schiantò a qualche metro da noi, ma non m’importò. Mi abbassai di quel tanto che bastava e lo lasciai.

Fui subito al suo fianco.

«Gallen! Gallen!»

«Questa proprio non ci voleva» grugnì. Allontanò la mano dal fianco e mi accorsi che l’avevano colpito. «La tua amica ha scelto proprio un bel momento per spettegolare.»

I miei occhi si riempirono di lacrime. «Oddio, io…»

«Dopo» mi ordinò. «Dobbiamo metterci al riparo. Sanno che li abbiamo visti e ci daranno la caccia.» Osservò rapidamente il paesaggio attorno a noi. «Qui siamo scoperti. Aiutami ad alzarmi, conosco un posto che potrebbe tornarci comodo.»

Cercai di aiutarlo per quanto mi consentiva la mia statura e arrancammo per qualche centinaia di metri nella boscaglia, fino a raggiungere un’insenatura scavata nel terreno.

«Sei certo che sia sicura?» chiesi titubante.

«Sì, è una vecchia tana. Non ci vive più nessuno se è quello che ti preoccupa» ansimò, crollando contro la parete argillosa. Provò ad allungare il braccio per estrarre qualcosa da una tasca, ma con un gemito si bloccò.

«Faccio io» mugugnai. Dopo qualche tentativo, riuscii a trovare un piccolo kit medico. Con mosse rapide lo aiutai a togliersi la giacca e gli sollevai la maglietta. Grazie al cielo quegli uomini avevano una pessima mira e non l’avevano colpito di netto, ma l’abrasione causata dal colpo mi apparve improvvisamente oltre le mie capacità. Incominciai a tremare, ma Gallen mi mise una mano sopra le mie.

«Respira» mi disse, come se fossi io quella ferita.

Annuii e montai la siringa, iniettandogli un mix di antidolorifici e antibiotici vicino al taglio. Dopodiché lo bendai come meglio potevo con l’utilizzo della piccola garza in dotazione.

«Andrà tutto bene» provai a farmi coraggio, mentre lui sospirava chiudendo gli occhi.

Aspettai qualche momento, poi mi alzai e andai a recuperare gli hoverboard prima che qualcuno li vedesse. Ci misi un po' a ritrovare quello di Gallen. Era rimasto incastrato nei cespugli, le eliche interne che ruotavano a vuoto sollevando una miriade di foglie. Dopo qualche imprecazione, riuscii ad estrarlo e a spegnerlo. Esaminandolo accuratamente fui sollevata dalla conferma che fosse ancora integro.

Ritornai alla tana e mi accorsi che Gallen mi stava fissando.

«Ho recuperato le tavole» dissi, quasi come se dovessi giustificarmi.

«Ben fatto. Hai ancora il tuo datapad?»

Annuii e mi lasciai cadere accanto a lui.

Recuperai l’oggetto e feci partire una chiamata alla base Beta, ma sullo schermo mi comparve l’avviso della mancanza di campo.

«Ma cosa?»

Esterrefatta, riprovai. Cercai di mandare un messaggio a Hako, ma niente; sembrava essere in una zona morta.

«Non è possibile. Eppure prima Kley è riuscita a chiamarmi…»

Stavo per avere un attacco isterico, quando Gallen mi afferrò il viso e mi costrinse a guardarlo. «Calmati Cay. Respira.»

«Calmarmi? Tu sei ferito, non possiamo chiamare i rinforzi, là fuori ci sono uomini armati che non esiterebbero un attimo a spararci e tu mi dici di stare calma?»

Gallen mi lanciò un’occhiata eloquente alla quale non servivano parole. Per poco non gli ringhiai contro, ma chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi.

«Meglio?» mi chiese, quando recuperai il controllo di me.

«Sì, credo di sì.»

«Molto bene. Ora, fai il punto della situazione.»

Sgrana gli occhi. «Io? Sei tu il militare!»

«Ma tu sei la scienziata. Dimmi cosa possiamo fare.»

Oh, la faceva facile. Gli avrei dato un pugno, ma mi avevano insegnato che non era molto nobile picchiare gli invalidi, per cui cercai di concentrarmi, nonostante il carico emotivo fosse un impiccio.

«Ragioniamo. In qualche modo sono riusciti ad eliminare il segnale dall’area, ma se fosse successo in tutta la vallata quelli dell’Epsilon se ne sarebbero accorti e sarebbe partito in automatico un segnale di emergenza. Quindi, deve essere solo una zona circoscritta, abbastanza grande da permettergli di spostarsi. A causa del satellite è molto probabile che aspetteranno le tenebre per andarsene senza essere localizzati, però… C’è qualcosa che non mi torna.»

«Cosa intendi?» domandò Gallen.

Mi massaggiai il mento. «Sul tetto del prefabbricato c’era un’antenna parabolica, quindi dovrebbero essere in collegamento con un satellite per le comunicazioni. Ma l’unico attualmente in orbita è…»

«Del governo» finì lui per me.

«Esatto. Quindi devono essere entrati nel sistema, operando in sordina.»

«È possibile?»

«Sì. Se usate con parsimonia le comunicazioni non autorizzate potrebbero apparire per semplici interferenze a causa dell’orbita. Però di per sé è un bene.»

Gallen mi lanciò un’occhiataccia. «Come può essere un bene?»

«Se sono riusciti a collegarsi, possiamo farlo anche noi con loro. Il sistema non è mai a senso unico.» La mia mente stava già partendo in quarta. «Senza comunicazioni, le squadre del Beta non arriveranno mai in tempo, ma possiamo usare la loro parabola contro di loro. Il problema è che dovremmo arrivare all’Epsilon per lanciare un segnare abbastanza potente da creare delle interferenze, però…»

Mi azzittii, osservando Gallen che nel frattempo si era fatto pensieroso. L’Epsilon era situato tra i monti Ida, e non era uno dei luoghi più facili da raggiungere, o nemmeno uno dei più ospitali. Arrivarci con un ferito a carico era pressoché infattibile, figuriamoci a bordo di hoverboard.

Gemetti, massaggiandomi le tempie. Come al solito avevo creato un gran casino.

«So a cosa stai pensando.» Il tono della voce di Gallen mi costrinse a guardarlo negli occhi, ma quando alzai il capo e lo vidi sorridere mi mancò il fiato.

«E sai già qual è la risposta. Andrai tu all’Epsilon.»

Ansimai. «Ma non posso lasciarti qui solo e ferito! E se…»

Gallen si sporse con il lato buono del corpo e mi mise una mano sulla bocca, per poi posare la fronte sulla mia con un sospiro. Mi si riempirono gli occhi di lacrime.

«Ascolta, so che ne abbiamo passate tante ed è stata solo colpa mia, ma devi fidarti di me. Va bene? Ho un piano, anche se non mi piace per nulla, in cui ho bisogno che tu vada all’Epsilon. Hai ragione sul fatto che il Beta non riuscirà mai a raggiungere in tempo l’accampamento, per cui dobbiamo creare un diversivo… Con questo.»

Trafficò un attimo con la giacca, dopo di che mi mise in mano il suo fischietto.

«Cosa…»

«Dall’Epsilon potrai collegarti al loro sistema di comunicazione e trasmettere un messaggio. Gli animali della zona risponderanno in massa al giusto richiamo, facendo penare quei figli di buona stella.»

«Ma io non so come…» Mi girava la testa. Era tutto assurdo.

«Ti faccio vedere. Non sarà difficile per te memorizzare dei segnali base, per cui…»

«Aspetta!» lo bloccai, chiudendogli la mano che ancora teneva il fischietto. «Gallen, io non posso farcela. Devi essere tu a farlo.»

Lo sguardo che mi rivolse mi sciolse letteralmente il cuore. «No, CayCay. Sei tu quella che ce l’ha sempre fatta, non io. Ogni volta che le cose si facevano complicate mi davo alla fuga, esattamente come tre anni fa con il divorzio dei miei genitori. Ma tu non ti sei arresa, non è nella tua natura. Lo so.»

«Quindi era per quello che te ne sei andato?» mormorai.

«Sì, e mi dispiace di averti ferita a causa della mia incompetenza. Per cui mi assicurerò che non succeda mai più. Sei pronta, CayCay?» mi chiese alla fine, lo sguardo apprensivo.

Cercai di mandare giù il groppo che mi era salito alla gola e annuii.

Lui mi sorrise di nuovo, dopo di che mi fece ascoltare una serie di fischi ben precisi, che ripetei fino a memorizzarli sotto il suo sguardo fiero e soddisfatto.

«Direi che sei pronta» mormorò, accarezzandomi i capelli dopo l’ennesima ripetizione.

Annuii senza guardarlo, stringendo il fischietto tra le mani fino a conficcarmelo nella pelle.

«Cay, c’è un’ultima cosa…»

«Che altro c’è?» gemetti, sul punto di scoppiare.

«Non raggiungerai l’Epsilon con quel rottame del tuo hoverboard» disse, in tono scherzoso. Mi mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e avvertii una piccola pressione, come se mi avesse messo un orecchino a clip o… Il suo casco.

Sgranai gli occhi. «Non ci credo» sussurrai, mentre mi offriva il suo hoverboard.

«Perché no? Hai sempre voluto farci un giro, non è così?»

 

 

 

Eccoci qui con un nuovo capitolo :3

Scusate il ritardo, ma sono leggermente appestata XD

Come sempre ringrazio Sagas per le recensioni e tutti quelli che hanno messo la storia nelle loro liste.

Ci rivediamo con l’ultimo capitolo :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** F o U R ***


F o U R

 

 

 

 

La mia mente era affollata da dubbi e quesiti a cui non sapevo dare una risposta.

O Gallen era un pessimo pilota, oppure aveva scelto lui di seguire la mia andatura perché, mentre sfrecciavo a tutta velocità tra la boscaglia, una cosa mi fu ben chiara: il suo hoverboard era cosmostellare!

Prima di partire, Gallen l’aveva riequilibrato per il mio peso e aveva aggiustato gli appoggi per i piedi, istruendomi in fretta su come maneggiarlo nel suo pieno potenziale. Maggiore era la mia inclinazione rispetto al suo asse, maggiore era la velocità con cui questo bolide viaggiava. E stavo letteralmente distruggendo qualsiasi record pur di fare in fretta per salvare sia lui che gli animali.

Quando arrivai in prossimità dei monti Ida dovetti fare uno sforzo per non esultare. Avevo superato la parte più facile e ora avevo bisogno di tutta la mia concentrazione per uscire indenne da quella più impegnativa. Spinsi l’hoverboard ancora un po’, sorvolando i dintorni in cerca di un buon punto per oltrepassare le creste acuminate. Se la memoria non m’ingannava, la base Epsilon doveva trovarsi in un piccolo avvallamento a circa 2.800 m di altezza, a metà strada dalla vetta. Una bella salita insomma, in cui tutto poteva accadere.

A poco a poco rallentai, facendo attenzione a non attirare troppo l’attenzione. Sapevo che i Chrysaetos erano in agguato. I loro nidi si trovavano sulle vette più alte e, nonostante le nubi che li nascondevano alla visuale, possedevano sia un udito sia una vista formidabili. Un passo falso e me li sarei trovati in picchiata verso di me prima ancora di avere il tempo d’imprecare.

Incominciai a risalire il crinale, cercando di non badare all’aria pungente che mi pizzicava la pelle. Ero quasi arrivata a metà strada quando un luccichio alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai, improvvisamente accecata dalla luce che mi colpì gli occhi e notai qualcosa di piccolo e scuro sfrecciare nell’aria: un drone.

Quindi quelli dell’Epsilon sapevano della mia presenza. E allora perché… mandai giù l’ennesima imprecazione. Stupidi regolamenti! Non solo non indossavo, di nuovo, la divisa del Gamma, ma possedevo l’equipaggiamento dato in dotazione alla base Beta e mi stavo dirigendo come una matta verso di loro. Ovvio che mi ritenevano una minaccia. Sperai solo che il drone non avesse delle armi incorporate.

Cercando di non badarci, continuai a salire, nonostante quel coso continuasse a ronzare nei paraggi. Alla fine mi arresi. Stavo sprecando minuti preziosi e tale constatazione mi fece imbestialire, ma decisi comunque di fermarmi per cercare in qualche modo di dialogare con i miei stalker. Mi voltai verso il drone e agitai le braccia, provando a spiegare con i gesti delle mani che non ero pericolosa. Poi lo avvertii.

Era solo un lieve spostamento d’aria all’inizio, finché l’enorme creatura non piombò contro il drone ghermendolo tra i suoi artigli. E non era sola.

Il panico mi ghiacciò il sangue nelle vene. Se fossi sopravvissuta avrei preso a botte quelli dell’Epsilon. Azionai il casco e partii alla massima velocità. L’hoverboard gemette appena, ma non ci badai. Dovevo andarmene da lì, a costo di surriscaldarlo.

Il secondo Chrysaetos piombò in picchiata verso di me. Lo evitai scartando di lato, ma sapevo che era solo una manovra evasiva. Erano tra le creature più veloci del pianeta e se volevo uscirne viva avrei dovuto giocare d’astuzia.

Digrignai i denti, maledicendo qualsiasi cosa mi venisse in mente, e zigzagai tra i pinnacoli acuminati nella speranza di distaccarmi dai miei inseguitori quel tanto che bastava per escogitare un piano.

Man mano che salivo, le nubi iniziarono a diventare un problema. La visiera del casco di Gallen non era adatta a quell’altitudine ed era programmata per registrare la presenza di creature viventi, non ammassi rocciosi dall’aspetto terrificante. Con il cuore a mille, combattevo nel tentativo di evitare gli attacchi dei rapaci dietro di me e le rocce acuminate sulla mia strada; non so quale dei due modi mi sembrasse il peggiore per morire.

Senza che me ne accorgessi, uno dei Chrysaetos spuntò dalla nebbia. Il suo colpo d’ala fu così forte che rimasi ancorata alla tavola solo grazie agli agganci. Per poco non finii contro la parete rocciosa, ma riuscii a individuare una possibile via di fuga. Tra due rocce c’era uno spiraglio abbastanza grande da farmi passare, ma che avrebbe potuto rallentare i Chrysaetos.

Aumentai la velocità, ben consapevole di fare una pazzia.

Gli artigli del Chrysaetos più vicino stavano per afferrarmi la giacca; l’attenzione dell’animale era del tutto focalizzata su di me ed era ciò che speravo. Un attimo prima di entrare nella fenditura, mi strinsi le braccia al petto. Passai per un pelo, mentre i bordi dell’hoverboard mandavano scintille a causa dell’attrito contro la roccia. L’urto mi destabilizzò un po’, ma come previsto due esemplari andarono a schiantarsi contro la formazione rocciosa, sibilando di frustrazione mentre cercavano di rimettersi all’inseguimento.

Il mio sorriso vittorioso si spense quando il casco rivelò la presenza di qualcosa… sopra di me.

Un altro Chrysaetos scese in picchiata e non so come riuscii a schivarlo appena in tempo. Tuttavia non potei fare molto a causa del risucchio d’aria e finì per traballare contro il lato della montagna.

Mordendomi il labbro, riacquistai l’equilibrio e spinsi al massimo l’hoverboard. Decisa a chiudere la partita una volta per tutte, fui io a virare e a scendere in picchiata. Salire non stava dando alcun miglioramento, quindi perché non provare la strada opposta?

Incominciai ad andare veloce, troppo veloce. La visiera lampeggiava come un’insegna pubblicitaria, l’hoverboard fischiava sotto pressione, ma io non accennai a rallentare, non con i Chrysaetos alle calcagna.

Quando uscii dall’ennesima formazione di condensa, mi ritrovai con uno spuntone di roccia a pochi metri dal viso e feci l’unica cosa possibile. Bruciai letteralmente i freni dell’hoverboard per rallentare abbastanza da scartare di lato.

Il colpo di frusta per quella manovra mi si propagò per tutto il corpo, ma ingoiai le mie imprecazioni quando con un frastuono uno dei Chrysaetos divenne uno spiedo. Il possente animale si dibatté ancora per qualche istante, circondato dai suoi simili che, alla vista di una preda più grossa e allentante, persero interesse per me. Un po’ mi dispiaceva, ma era pura e semplice selezione naturale.

Prima di essere presa nuovamente di mira, ritornai sui miei passi, l’hoverboard che tremava sotto i miei piedi. Non avevo la benché minima idea di quanto potesse costare, ma probabilmente sarei stata in debito con Gallen fino alla fine dei tempi.

La salita fu più lenta dell’inizio, dato che procedevo con estrema attenzione e parsimonia a causa del povero hoverboard ormai semidistrutto, ma alla fine riuscii a trovare la base Epsilon. E non l’avrei mai definita accogliente, non con tutte quelle antenne che la decoravano come un grande albero di natale e le turbine dei generatori che gemevano accanto allo spiazzo per l’atterraggio delle navette con i rifornimenti. Sul serio qualcuno viveva in un posto simile? Io avrei chiesto un aumento.

Eliminai il casco e mi avvicinai all’entrata, ma quando scesi dall’hoverboard crollai a terra. Scioccata, mi tolsi dalle labbra la ghiaia che mi si era appiccicata addosso a causa del sudore e mi voltai a osservare le mie gambe rattrappite. Semplicemente non mi reggevano più, dato che stavano tremando come foglie.

«Santo Hawking» sbottai, mettendomi a sedere. Fortunatamente avevo deciso di scendere vicino alla scala, per cui mi aggrappai alla ringhiera e costrinsi il mio corpo a rimettersi in piedi. Non avevo tempo da perdere.

Salii faticosamente i pochi gradini che mi separavano dalla porta d’entrata e schiacciai con forza il citofono.

Nulla.

Bussai con forza, ma nessuno venne ad aprirmi.

«Ehi! So che siete là dentro!» sibilai, non curandomi della mia voce tremante. «Non ho tempo da perdere con il protocollo, per cui veniamo a noi. Un membro della squadra Beta è stato ferito da dei bracconieri che probabilmente in questo momento staranno levando le tende, per cui ho bisogno di ristabilire le comunicazioni e avvertire le basi nei dintorni!»

Feci alcuni respiri profondi, ma ancora una volta non ottenni risposta. Scossi il capo, cercando di scacciare il panico e risuonai.

«Avanti, non ho tempo da perdere, pezzi di…»

Udii dei borbottii all’intero della base. Non abbastanza forti da capire se mi stavano mandato in un’altra galassia o meno, ma abbastanza da accendere in me la speranza.

«So che siete lì! Se è per il drone mi dispiace, ma voi nerd delle comunicazioni siete davvero stupidi a far girare quei cosi con i Chrysaetos che vivono al piano superiore. Fatemi entrare, vi prego. Non ho cattive intenzioni. Se non ci sbrighiamo potrebbe essere troppo tardi!»

Iniziai a tempestare di pugni la porta, incurante del dolore sordo che si propagava nelle mie mani.

Stavo quasi per cedere quando una voce famigliare risuonò da dietro alla porta.

«Avanti Herman. La conosco. È una del Gamma, per l’amor del cielo. Falla entrare. Lo spettacolo di prima non ti è bastato?»

Rimasi senza parole. Indietreggiai appena quando il portellone si aprì e davanti a me comparve un ragazzo dagli scompigliati capelli biondi e gli occhi eterocromi evidenziati da un paio di occhiali.

«Jonathan» mormorai. Poi crollai. Mi gettai tra le sue braccia e incominciai a piangere.

 

 

 

Quando mi ripresi ero abbastanza in imbarazzo per la mia reazione, ma fui accolta con diverse pacche della schiena, una tisana calda e una pillola calmante. Jonathan non fece alcun commento per il mio slancio emotivo e per questo lo ringraziai mentalmente. Persino lui sembrava ancora sconvolto per quello che era successo e si teneva ben alla larga da me, come se avesse timore di un nuovo contatto fisico. Per quanto mi riguardava, non c’era alcun pericolo.

«Allora» chiesi, dopo aver preso un sorso dalla tazza che qualcuno mi aveva messo in mano. «Cosa ci fai qui?»

Jonathan era appoggiato sul tavolo della sala operativa o “sala dei codici”, come la chiamavano i cervelloni dell’Epsilon, ai quali lanciò un’occhiataccia. «Stavo cercando di spiegare a questi operai sottopagati quali pezzi di ricambio mi servono per riparare Betty. Nell’ultimo approvvigionamento avevano sbagliato ordine e mi sono ritrovato tra le mani un bel po’ di ferraglia inutile, per cui ho deciso di venire a frustarli di persona.»

«Oh» fu la mia unica risposta. «Beh, quella ferraglia non è stata poi tanto inutile.»

«Già, se non fosse per me saresti rimasta là fuori finché un Chrysaetos non ti avrebbe portata nel suo nido.»

«Grazie per averlo fatto presente, ma sì… Grazie.»

«Prego. Ora, ritornando al tuo bellissimo spettacolo di hoverboard, raccontaci cosa è successo.»

Presi un altro sorso di tisana e iniziai a esporre per filo e per segno ciò che era successo e le mie ipotesi. Mentre parlavo, i tecnici dell’Epsilon, tutti uomini dai 30 ai 50 anni, mi lanciarono parecchie occhiate stupefatte e basite.

«Pensi davvero che siano entrati nel sistema?» mi chiese uno di loro.

«A meno che non ci siano altri satelliti spia direi di sì» mormorai. «Avete avuto interferenze sospette in questo periodo?»

Uno dei più giovani si voltò a controllare sulla propria postazione. Per un momento, il rumore delle dita che tamburellavano sui tasti proiettati fu l’unico ad aleggiare nella stanza.

«I nostri sensori non hanno rivelato nulla. Solo interferenze dovute all’orbita.»

Mi morsi il labbro, ma Jonathan ebbe un’idea migliore.

«Togliti di torno e fammi lavorare.»

«Ehi, non sei autorizzato a…»

Jonathan si voltò verso il caposquadra con uno sguardo così furioso da farlo ammutolire. Scosse la testa e rubò la sedia al tecnico. «Non capisco perché lasciano certi giocattoli a degli incompetenti.»

Mi alzai dallo sgabello sul quale mi avevano adagiato e mi avvicinai a Jonathan, conscia del fatto che tutti i presenti ci stessero fissando come se fossimo affetti da qualche herpes alieno.

«Uhm, Jonathan? Non credo che ti convenga inimicarteli, fallo per il bene di Betty.»

«Non è colpa mia se non sanno fare il loro lavoro» sbottò. Digitò ancora per qualche momento, dopodiché alcuni codici del sistema s’illuminarono di rosso.

«Eccovi qui, piccoli parassiti.»

Come per magia, i tecnici dell’Epsilon furono immediatamente interessati al suo operato. Ci circondarono in un attimo, iniziando a bombardarlo di così tante domande che per un attimo ebbi un giramento di testa.

«Ok, gente. Concentriamoci. Avete già avvisato le basi Beta e Gamma?»

Due uomini accanto a Jonathan annuirono vivacemente, per poi tornare a osservare lo schermo.

«Bene. Jonathan, cosa puoi dirci?»

Lui non staccò gli occhi dal monitor, ma il sorriso che gli comparve sul viso non mi piacque per nulla.

«Oh, ci sanno fare. Non loro, ovvio, ma chi sta dietro a tutto questo. Qualcuno deve avergli detto come crackare il sistema con una serie di operazioni conosciute come Phantom. Ma…» si stiracchiò sulla sedia, scroccando le dita. «La fortuna oggi non è dalla loro.»

«Puoi risalire al loro sistema?» chiesi, la speranza che cresceva nel mio cuore.

«Ehi!» sbottò il caposquadra dietro di noi. Ci voltammo tutti a fissarlo.

«Per l’operazione che intendi svolgere serve l’approvazione del Congresso. Non puoi entrare in un satellite governativo come se niente fosse! Potrebbero espellerti dal progetto o peggio.»

Beh, era una buona osservazione. Per quanto tragica potesse essere la situazione, le conseguenze sarebbero state davvero gravi se qualcuno ai piani alti fosse venuto a conoscenza della piccola infrazione che stavamo per compiere. Il gelo scese nella piccola stanza, ma solo Jonathan rimase imperturbabile. I suoi occhi di colore diverso mi osservarono per un secondo prima di fare spallucce.

«E allora?»

Lo guardai con gli occhi sgranati, mentre si voltava e tornava a digitare codici a una velocità mostruosa.

«Come “allora”? Jonathan, perché… Un momento. L’hai già fatto, non è così?» chiesi sorpresa nel vedere con quanta famigliarità stava svolgendo un’operazione dietro l’altra.

Il sorriso che mi rivolse era sia amichevole che spaventoso. «Non tutti nascono con il pedigree pronto.»

Per poco non mi strozzai. «Ommiodio! Ecco perché sei così strano e traffichi sempre al computer! Sei un hacker!»

Jonathan aggrottò le sopracciglia biondo scuro, ma non staccò lo sguardo dallo schermo. «E dunque sarei strano?»

Sbuffai.

«Ok, ok. Sì, un tempo mi sono messo nei guai con molta gente cattiva che esigeva i miei servizi socialmente utili, per cui beh…  un’imboscata della polizia qui, qualche parolina in tribunale là e ho deciso di occuparmi di cose più interessanti con uno stipendio da fame. E poi tutti hanno il diritto di voltare pagina. E ora zitta che mi distrai. Non vorrai mica lasciare morire il tuo ragazzo in mezzo alla giungla.»

Feci per aprire bocca per dirgli che Gallen e io non stavamo insieme da un sacco di tempo, ma saggiamente la richiusi. L’idea che la vita di Gallen fosse nelle sue mani m’inquietava non poco. Anche i tecnici dell’Epsilon ammutolirono nell’udire che il ragazzo che sedeva tra loro in realtà era uscito dal lato peggiore dei cybernauti.

«Allora…» chiesi dopo qualche minuto. «Riuscirai a entrare nel satellite per intercettarli?»

«In realtà l’ho già fatto da all’incirca… 78 secondi. Con le giuste paroline dolci ti si apre qualsiasi porta e il prototipo del satellite che hanno scelto è abbastanza basilare. Niente in confronto a un satellite spia della NFRSS, quello sì che…» la sua risata si spense.

Accorgendosi del silenzio improvviso, Jonathan si voltò con occhi sgranati verso di noi, osservandoci uno a uno. «Ok, forse questo non dovevo dirlo.»

«Mi sa…» sussurrai. Scossi le spalle, cercando di riprendermi un attimo, dopo di che estrassi dalla tasca dei pantaloni il fischietto di Gallen. L’osservai un attimo prima di stringerlo nel palmo della mano.

«Possiamo trasmettere?» chiesi a Jonathan.

«Ancora un secondo…» mormorò, alzando un dito per farmi segno di attendere. Digitò ancora un po' le dita e alla fine si diede il cinque da solo. «E siamo in onda! Qualcuno porti un microfono alla signorina per favore. Ma tu guarda, devo proprio insegnarvi tutto.»

Uno dei tecnici si alzò e venne a collegare al modem un microfono dall’aria piuttosto datata, senza perdere l’occasione di lanciare uno sguardo assassino a Jonathan. Dal canto suo, lui fece una piroetta sulla sedia prima di azionare il congegno con la grazia di un ballerino ubriaco e scansò malamente l’uomo, ignorando la sua imprecazione. Mi rivolse un largo sorriso. «Pronta a scatenare l’Inferno?»

Annuii, stringendomi al petto il fischietto. Feci un respiro profondo e, dopo qualche istante di silenzio in cui tutti gli occhi furono puntati su di me, iniziai a trasmettere il messaggio.

 

 

 

Una volta fatto tutto ciò per cui ero andata all’Epsilon, li ringraziai calorosamente e promisi di scrivere nel mio rapporto una lettera di referenze per il loro operato come pegno di scuse per il comportamento di Jonathan. Lui mi osservò come se fossi improvvisamente impazzita e protestò peggio di un bambino quando lo condussi a forza fuori dalla base. In qualche modo, riuscì comunque a minacciare quei poveri tecnici per gli approvvigionamenti da lui richiesti, anche se avevo come l’impressione che avrebbe potuto benissimo richiederli per conto suo.

«Molto bene, stellina» disse stizzito, sistemandosi la giacca dalle pieghe che gli avevo creato strattonandolo. «Qual è la nostra prossima mossa?»

Strabuzzai gli occhi. «La nostra? Non credo di essere stata chiara. Tu ritornerai al Gamma e farai finta di nulla, mentre io raggiungerò Gallen per assicurarmi che stia bene e…»

«Un momento. Mi tiri in mezzo all’azione e poi mi liquidi come se nulla fosse? Questo non è per nulla cortese, dato che è solo grazie a me se sei riuscita a portare a termine la tua piccola missione suicida.»

Dovetti voltarmi per assicurarmi di aver udito bene l’insofferenza nella sua voce, ma la smorfia sul suo volto parlava da sé. Recuperai l’hoverboard, cercando di rimanere impassibile. «Beh, non credo che tu sia un tipo che ama l’azione e, se tutto è andato come previsto, la situazione potrebbe essere esplosiva, per cui…»

«Un momento!» Per poco non mi fece inciampare per quell’urlo. «Non dirmi che vuoi andartene a bordo di quel rottame? Oh, stellina. Non farai neppure due metri.»

Abbassai lo sguardo sull’hoverboard di Gallen. Certo, non ero stata gentile nei suoi confronti, ma era ancora operativo e funzionante, il che mi bastava. «Perché, hai un altro piano?»

Jonathan sorrise come se stesse dialogando con una bambina e si diresse verso l’altro lato della base. Dopo qualche momento ritornò, trascinando una aerobike fiammante. Nel vero senso della parola. Ma le fiamme sull’intelaiatura non erano passate di moda tipo da secoli?

«Vuoi farmi credere che sei arrivato qui con quella?»

«Perché quel tono sorpreso? È un valido mezzo di trasporto e oltre tutto va molto più veloce di quella specie di skateboard senza ruote. D’altronde, quella cosa non potrebbe mai sostenere il nostro peso.»

A quel punto sbuffai sonoramente. «Jonathan, sul serio. Non serve che vieni con me.»

«Ma così mi perdo tutto il divertimento. Non credere di essere l’unica a soffrire di noia su questo pianeta» esclamò. Montò in sella e diede qualche colpo sul sellino per invitarmi a salire con lui.

«Aspetta! Anche tu hai letto il mio diario?» Per poco non gli tirai in testa l’hoverboard.

«Beh, avevo finito i fumetti e comunque i deliri ormonali di un’adolescente sono piuttosto noiosi e deprimenti. Allora, vogliamo andare? Il tuo fidanzato ti aspetta» diede ancora qualche colpetto.

Inghiottii l’ira bruciante che mi risaliva nelle vene, ma non vedendo altre possibilità fattibili mi avvicinai a malincuore. Assicurai l’hoverboard di Gallen sul portapacchi e mi sedetti dietro a quell’hacker che presto o tardi si sarebbe ritrovato senza sopracciglia.

Quando Jonathan mi costrinse a mettere le braccia attorno alla sua vita stretta per reggermi, non riuscii a trattenere un gemito sorpreso. Lui in risposta mi diede un buffetto sulle mani.

«Tranquilla, sono stato accusato di molti crimini, ma la pedofilia non rientra tra quelli.»

«Ehi! Che cosa vorresti insinua…»

«Si parte!» E diede gas alla aerobike. Inutile dire che lo strinsi ancora di più per il terrore di essere sbalzata via dal sellino. Ecco perché preferivo viaggiare in hoverboard. Tuttavia, quando lo vidi puntare verso il dirupo invece che sulla strada, non ebbi pronta un’imprecazione abbastanza forte per quel momento.

«Aspetta che…»

La frase fu tagliata a metà dal mio urlo, mentre ci lanciavamo in caduta libera. Un attimo prima di schiantarci, Jonathan azionò qualcosa sul manubrio e innestò i propulsori situati sui fianchi del veicolo. Partimmo a una velocità impressionante, lanciandoci alle spalle l’Epsilon e i monti Ida. E il mio stomaco.

 

 

 

Atterrammo vicino alla base dei contrabbandieri. Persino a distanza avevamo potuto osservare il risultato del nostro operato e ciò non prometteva nulla di buono. Non con tutti quei predatori nei paraggi.

Non so come, ma riuscii a scendere da quella trappola infernale e a gattonare verso un albero. Appoggiai entrambe le mani alla corteccia per sostenermi e feci diversi respiri per calmarmi. Mi sentivo malissimo, come se avessi ingoiato a forza delle molle che mi stavano saltellando allegramente nella pancia.

Sentii Jonathan sbuffare contrariato alle mie spalle. «Ti sparano addosso, viaggi da sola verso i monti Ida, sfuggi a un agguato degli Chrysaetos e dopo tutto questo vieni a lamentarti della mia guida?»

«Sta zitto» gemetti, cercando di riprendere il controllo di me.

Mi posai una mano sulla fronte sudata e mi rimisi in piedi. Feci per aprire bocca quando gli spari ricominciarono. «Direi di muoverci» sentenziai.

«Sai, una persona intelligente non andrebbe incontro a uno scontro armato sprovvista di armi» mi fece notare Jonathan, appoggiato sul fianco della sua aerobike intento a pulirsi le unghie.

«Beh, non ho mica intenzione di combattere. Voglio solo assicurarmi che Gallen stia bene. So che quell’idiota è ritornato a spiare i nostri nemici, per cui dovrebbe essere nei dintorni.»

«Che bello» sbuffò Jonathan. Si mise una mano dietro la schiena ed estrasse una pistola a impulsi.

«Ma…» sgranai gli occhi. Avevo scoperto più cose di lui nell’arco di poche ore che nell’arco di mesi.

«Prima regola della sopravvivenza: assicurati sempre di avere un’arma con te» esclamò lui, sventolandomela davanti agli occhi.

La schiaffeggiai via dal mio viso. «Seconda regola: assicurati di saperla usare. E questo non mi sembra il caso!»

«Ma certo che la so usare» sentenziò, puntandomela contro con il dito sul grilletto.

«Aspetta, che cosa intendi fare?» Oddio, quel pazzo stava per uccidermi!

Quando vidi che aumentava la pressione, chiusi gli occhi per preparami al colpo, ma tutto ciò che ricevetti fu della semplice acqua in faccia. Jonathan scoppiò a ridere.

«Dovevi vedere la tua espressione. Peccato che non sia riuscito a farti una foto.»

Gli tirai un pugno nello stomaco, facendolo crollare a terra.

«Una pistola ad acqua! Sul serio? Jonathan, sei un gran figlio di…»

«L’importante è dare l’impressione di essere pericolosi» mugugnò lui, tenendosi la pancia. «Quegli idioti non saprebbero riconoscere una pistola vera nemmeno dopo una visita oculistica… E, per Hack, Stellina. Dovevi proprio colpirmi così forte?»

«Certo, perché sei un’idiota. Resta qui. Torno subito.»

Ignorando le sue imprecazioni iniziai a correre nella boscaglia. Il rumore degli spari si fece più forte, al punto che per un attimo temetti per il numero delle possibili vittime. Quando sbucai fuori dalla foresta, tuttavia, lo spettacolo che ebbi d’innanzi riuscii a tranquillizzarmi.

La cavalleria era arrivata come previsto e i contrabbandieri erano in netto svantaggio. Non con gli animali che correvano da tutte le parti, attaccandoli e disarmandoli a colpi di becco e artigli. Mai far arrabbiare Madre Natura.

Tra i cespugli, alcune squadre operative del Beta si stavano dando da fare, attente a non colpire la fauna del luogo. Alcuni di loro stavano già armeggiando con le gabbie nel tentativo di liberare i prigionieri e tra di loro vidi Hako, che assestò uno dei sui colpi mortali sul plesso solare di un contrabbandiere.

«Hako!» urlai, raggiungendola.

«Oh, santo Hubble» sospirò lei, abbracciandomi. «Eravamo così preoccupati. Stai bene?»

«No che non sta bene!» sbottò mia madre alle nostre spalle. Sgranai gli occhi, notando che c’era persino mio padre e che entrambi erano intenti ad aiutare Hygeia a far riprendere gli esemplari sedati in modo da liberarli. «Signorinella. Non credere di passarla liscia questa volta. Tu e Gallen siete in un mare di guai!»

«Oddio, è vero! Avete visto Gallen?»

Hako mi accarezzò i capelli arruffati. «Tranquilla, Hygeia l’ha rimesso in sesto e si è unito alla sua squadra.»

Sospirai di sollievo e fu un errore. Eravamo in piena zona di guerra e qualsiasi distrazione poteva risultare fatale, compresa quella.

Dal nulla sbucò uno dei contrabbandieri. Era sporco di terra e ricoperto di tagli, ma non si fece scrupoli a puntarci contro il fucile, abbaiando qualcosa d’incomprensibile. Osservai la scena come anestetizzata, mentre mia madre mi tirò dietro di lei per farmi da scudo. Una mossa falsa e…

Qualcuno si schiarì la voce dietro l’uomo.

Il contrabbandiere sussultò sorpreso, girandosi giusto in tempo per vedere il pugno di Jonathan centrare in pieno la sua faccia. Crollò a terra come una cometa.

Rimanemmo tutti ammutoliti, mentre il nostro tecnico scuoteva la mano con un’espressione sofferente.

«Ecco perché preferisco le pistole ad acqua» gemette.

«Sei davvero incredibile, Jonny» sbottò Hako, scuotendo la testa. Poi schioccò le dita. «Basta perdere tempo, vieni a darci una mano.»

«Ma se non sto facendo altro da tutto il giorno?» si lamentò lui, raggiungendoci.

Scossi la testa e mi allontanai dagli altri, cercando di vedere Gallen in mezzo alla mischia. La battaglia era quasi arrivata al termine; la maggior parte dei contrabbandieri era stata neutralizzata e presa in custodia, ma un paio di loro stavano arretrando verso la vegetazione. Se avessero raggiunto gli alberi sarebbe stato difficile riacciuffarli. Proprio in quel momento, uno dei soldati uscì dai ranghi e partì all’inseguimento degli uomini, mentre Hector e Cain cercavano di fermarlo.

Quell’incosciente…

«Gallen!» urlai.

Lui non mi sentì o non badò a me, ma si preparò ad affrontare gli ultimi avversari. Piombò addosso a quello più vicino con la grazia di un puma e lo neutralizzò con mosse mirate. Purtroppo per lui, non aveva tenuto conto di quello al suo fianco.

Mi mancò il fiato quando l’altro uomo gli puntò la bocca del fucile alla testa.

Gallen sollevò appena lo sguardo, impassibile, dopodiché sorrise al suo aguzzino.

Un ruggito risuonò nella radura, facendo tremare il terreno. Dalla vegetazione comparve un Astreo particolarmente incazzato che osservò la scena ringhiando come una creatura infernale. In bocca teneva ciò che rimaneva del contrabbandiere che era quasi riuscito a svignarsela. Sputò il suo spuntino e squadrò l’uomo che stava minacciando Gallen, prima di affondare i denti nella sua testa e scaraventarlo contro gli alberi.

Era finita.

Senza pensare ad altro corsi verso Gallen, che mi prese tra le sue braccia con un gemito. Cademmo entrambi a terra sotto lo sguardo annoiato di Astreo, il quale ci ignorò per andare a vedere come stava la sua compagna. Dietro di lui trotterellavano Borea e Zephyrus, entrambi impegnati a masticare qualcosa. Meglio non indagare.

«Sei un idiota!» sibilai, dandogli un pugno sul petto.

«Potrei dirti la stessa cosa» mormorò lui con un caldo sorriso mentre mi accarezzava i capelli. «Avresti dovuto rimanere all’Epsilon fino alla fine di questa storia.»

«Vuoi scherzare? Voi soldatini pretendete di tenere tutto il divertimento per voi.»

Mi voltai per fulminare Jonathan e mi accorsi che non fui la sola. Gli altri ci avevano raggiunti e circondati, osservandoci con sguardi carichi di rimprovero, ma allo stesso tempo sollevati che nessuno dei due si fosse fatto male. Almeno, non seriamente. Malon e mio padre ci aiutarono ad alzarci, per poi accompagnarci verso le navette del Beta sottobraccio, come se potessimo crollare da un momento all’altro.

«Allora, avrai una bella storia da raccontare a cena» sentenziò lui, ignorando lo sguardo di mia madre.

«Già e probabilmente farà impallidire Launi» ridacchiò Hako alle nostre spalle.

«Perché raccontarlo quando posso farvelo vedere? L’inseguimento con i Chrysaetos è stato fantastico!»

Nell’udire quella frase, tutti ci voltammo verso Jonathan che armeggiava con il suo datapad. Sollevò la testa, sorpreso per la nostra reazione.

«Che c’è? Che ho detto di male?»

Gallen era sbiancato come un lenzuolo, così come mia madre, che si voltò verso Malon.

«Signor Stryker, spero che lei abbia una punizione adeguata per suo figlio, dato che ha quasi ucciso la mia!»

«Vorrei ricordarle, signora Myah, che mio figlio si è beccato un proiettile per proteggerla…»

«Ma era solo un graffio! Mandarla da sola sui monti Ida con i Chrysaetos alle calcagna… È da sconsiderati!»

Sospirai, ignorando le urla dei genitori alle nostre spalle. Rallentai e intrecciai le mie dita a quelle di Gallen.

«Che dici, saremo in punizione fino alla fine dei tempi?»

Lui mi sorrise. «Se non fosse così, rimarrei davvero stupito.» Lasciò cadere il discorso e mi osservò angosciato. «Cay, mi dispiace. Se avessi saputo che…»

«Oh, non preoccuparti. In realtà è colpa dei droni di quelli dell’Epsilon e poi… ho praticamente distrutto il tuo hoverboard. Scusa.»

Gallen sogghignò e mi mise un braccio attorno alle spalle, chinandosi verso di me per posarmi un bacio sulla testa. «Immaginavo, CayCay. Non sono i guai a cercarti. Sei tu che gli corri in contro a tutta velocità.»

«Ehi!» rimbeccai offesa. Stavo per rispondergli a tono, quando qualcosa nella radura mi colpì.

Astreo ci stava osservando; al suo fianco, Eos leccava amorevolmente i loro cuccioli, che la stavano assillando in cerca di attenzioni. Non so perché, ma quella visione mi fece sorridere.

Io e il Lycaon mantenemmo il contatto visivo per qualche istante, poi lui inclinò il capo con fare referenziale. Prima ancora che potessi assimilare quella scena, Astreo ritornò al sicuro tra le fronde e con lui tutta la sua famiglia. Era giusto così, pensai, mentre montavamo nelle navette e ritornavamo alle rispettive basi.

Sopirai quando adocchiai il complesso del Gamma in lontananza. Dopo mesi di rinnego, ora potevo osservare la sua struttura, i suoi ambienti e persino il ponte di collegamento, con occhi diversi.

Finalmente mi sentivo a casa.

 

 

 

 

 

 

F i N E

 

 

 

Eccoci qui alla “conclusione” di ViRIDIS. O meglio, alla conclusione della prima parte muhahaha

Sì, purtroppo il mio cervello non riesce mai a pensare in piccolo e ogni volta che sviluppo una storia me ne vengono in mente altre tre. Comunque, ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Non so ancora quanto ci vorrà per ultimare la nuova avventura di Cay e compagnia bella, ma cercherò di fare del mio meglio ^^

Spero che questa storia vi sia piaciuta fino alla fine. So che probabilmente non vedevate l’ora di uno scontro epico, ma per via della lunghezza ho dovuto trattenermi… o sul serio sforavo i capitoli. Per cui chiedo perdono se le vostre aspettative verranno in qualche modo deluse dalla rapidità degli eventi ç_ç

Un ringraziamento speciale va a Sagas, insieme alle mie congratulazioni per il contest, e a Aleksis per le recensioni. E ovviamente a tutti quelli che hanno aggiunto ViRIDIS nelle loro liste.

Inutile dire che questa prima parte è dedicata a Marina Merisi, che mi ha appoggiata nei miei scleri, facendo sclerare anche me con le ship 😝

A proposito, si accettano scommesse clandestine ahahah

Comunque, vi auguro una buona domenica e beh… alla prossima XD

P.S. ViRIDIS verrà prossimamente aggiunta anche su Wattpad, per cui tenete gli occhi aperti 😉

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3599717