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Gli
omini verdi che esibiscono il saluto vulcaniano.
Tutte
cazzate!
Almeno
per quanto riguarda gli alieni. Nessuno di loro spreca tempo a fare quella
mossa da nerd. E poi i Mohalor non hanno nemmeno
l’anatomia adeguata per questo genere di cose. I nostri antenati avevano
davvero una fantasia bislacca.
(Nota
personale: chiedere al grande capo spiegazioni riguardo la serie televisiva del
paleolitico che adora).
Bene
bene, rieccoci di nuovo a noi due, caro diario di bordo. La tua unica e
preferita naufraga ha bisogno di sputare un po' di veleno prima di raggiungere
gli altri a pranzo.
Ai nostri nuovi amici cosmonauti amanti dell’universo, posso chiedere solo
questo: pensate davvero che sia così figo tutto ciò che ho citato prima?
In
questo caso non avete mai visto l’altra faccia della medaglia, ovvero
l’infinità di regolamenti, burocrazie, protocolli, accordi con le Colonie e
tribunali galattici che gestiscono questo piccolo, quanto caotico, universo. Ed
è a causa di queste minuscole clausole che sono rimasta incastrata in questo
casino.
Fortuna
che in qualche modo avrò anch’io la mia parte.
(Nota
personale: ricordare a madre di appuntare le ricerche di ieri per il modulo di
richiesta dei crediti formativi per la domanda al college).
Insomma,
quando i miei genitori sono stati affidati alla missione Kelper
5 a causa del loro sensazionale lavoro nel dipartimento di microbiologia
interplanetaria, non potevo certo dire: “Fantastico, portatemi una cartolina!”.
Ecco il problema della burocrazia. Quando vengono assegnate missioni fuori
dall’orbita planetaria, i figli minorenni sono compresi nel pacchetto, volenti
o meno.
Per
cui eccomi qui, ad accompagnare i miei genitori su un pianeta quasi del tutto
verde per esaminare la falda acquifera. Yuppi!
Ma
non è questo quello che mi ha stupito maggiormente.
Tutti
i miei compagni di corso si sono congratulati con me! I miei amici erano
entusiasti all’idea di liberarsi della sottoscritta e di ricevere chissà quali
souvenir che sarebbero stati puntualmente bloccati alla dogana (Nota personale:
Lory, secondo te posso davvero portarti a casa un animale???). Ma nessuno, e
ripeto, nessuno, mi ha dato una pacca sulla spalla cercando di compatirmi.
Ormai
rimanere sulla Terra è scontato, quasi un obbligo. Il vero futuro è nei mondi
al di là del nostro Sistema Solare, della nostra piccola galassia. Ma se il
futuro aveva la forma di un pianeta ricco di vegetazione, insetti grandi come
pony e un’umidità sopra ogni livello umanamente consentito, sarei rimasta a
crogiolarmi nel passato fino a mummificarmi sulla mia console.
Perché
nessuno mi ha avvertito?
Kelper-552
AE, ribattezzato Viridis, si è rivelato esattamente
per quello che era: un agglomerato di alberi e rocce. Per carità, sulla Terra
farebbero a pugni per visitarlo e respirare dell’ossigeno vero e non quella
roba sintetica che sparano i depuratori dell’aria, ma non è figo come sembra.
Come ho già scritto nelle note precedenti, ho passato il primo mese di
soggiorno con delle emicranie da urlo per l’alta concentrazione di ossigeno, ma
fortunatamente il mio corpo sembra essersi abituato. Non per vantarmi, ma ormai
io e l’ibuprofene siamo diventati intimi. Ed è
l’unico tipo di intimità che posso permettermi qui…
Dio,
perché non sono uscita con Kley e le altre quando ne
avevo la possibilità?
Finirò
per compiere diciotto anni su questo buco ed essere ancora vergine.
(Nota
personale: cancella quest’ultima parte.)
Uff,
ok…
Questo
posto non è poi così male dopo una seconda occhiata. Voglio dire: spazi
incontaminati, una flora e una fauna da urlo, una gravità lievemente minore a
quella terrestre (8,346 m/s² contro 9,807 m/s²) e che dire del
fantastico lago sotto di me che non fa altro che sussurrarmi con una voce da
maniaco: “Ehi, Cay, mostra a quei cespugli quanto
stai bene nel tuo nuovo bikini e vieni a farti un giro”?
Ok,
ammetto che devo ancora farci una nuotata, ma dobbiamo ancora terminare i
controlli chimici dell’acqua. Non vorrei certo essere la prima umana su Viridis a contrarre qualche fungo strano o a essere
sbranata da dei pesci carnivori.
Quindi,
dov’è il problema?
Beh,
la noia.
Questa
terribile, angosciante, noia che mi assale ogni giorno da qualche settimana
perché non c’è niente qui! Niente di niente!
Nessun
bar, nessun cinema, nessun negozio…
L’utopia
degli eremiti.
Riceviamo
rifornimenti ogni trenta giorni da una Colonia non molto lontana da qui, ma
sono beni di prima necessità. Nulla a che vedere con le gioie del mondo
civilizzato.
Insomma,
la routine è la stessa. Ogni giorno.
Svegliarsi,
fare il check-up, scendere a fare colazione e passare il resto della giornata a
raccogliere e catalogare campioni finché il sole non tramonta. Qui i giorni
durano all’incirca 32 ore; il sogno di tutti i nerd e i fanatici di Astroshow. Purtroppo per me, ho già finito di guardare
tutti gli episodi che mi ero portata. Ho provato a chiedere a Kley d’inviarmi qualche file, ma la distanza è troppa e il
caricamento pesante. Per poco non fondevo il mio datapad.
Poi come facevo a tenere la conta dei giorni che mancavano per ritornare a
casa?
Le
cose sarebbero un tantino diverse se potessi girare per conto mio, ma no!
Niente
esplorazioni in solitaria.
E
dire che in questa valle ci sono altre quattro basi.
Quattro!
Voglio
dire, non conosco tutti i membri delle altre squadre di ricerca, ma non sarò
l’unica persona sotto i ventun anni su questo pianeta, giusto?
Giusto???
Ad
ogni modo sono riuscita ad hackerare l’account di mia
madre e a risalire alla locazione delle altre strutture sparse nella vallata.
Base
Α (ALFA)
Distanza
approssimativa: 45 km
Settore:
B67
Locazione:
Margini ovest della Valle di Tempe
Occupazione:
Catalogazione botanica e mineraria.
Personale:
9 persone
Base
Β (BETA)
Distanza
approssimativa: 12 km
Settore:
D21
Locazione:
Centro Valle di Tempe
Occupazione:
Catalogazione faunistica; centro sicurezza.
Personale:
20 persone
Base
Γ (GAMMA)
Distanza
approssimativa: 0 km
Settore:
D34
Locazione:
Rive lago Atlas
Occupazione:
Catalogazione microbiologica e botanica
Personale:
6 persone
Base
Δ (DELTA)
Distanza
approssimativa: 30 km
Settore:
F29
Locazione:
Margini est della Valle di Tempe
Occupazione:
Studi geologici
Personale:
12 persone
Base
Ε (EPSILON)
Distanza
approssimativa: 49 km
Settore:
H12
Locazione:
Monti Ida
Occupazione:
Centro comunicazioni
Personale:
5 persone
Insomma,
siamo sparsi, ma non per questo pochi.
E
la base Beta è vicinissima! Ok, lo è rispetto alle altre e si trova in una
posizione centrale per ovvi motivi, ma con il mio hoverboard
potrei raggiungerla in una decina di minuti!
Ok,
forse venti. La rigogliosa vegetazione potrebbe risultare problematica per le
eliche.
Ad
ogni modo proverò a convincere mia madre durante il giro di ricognizione del
pomeriggio. Se riesco a portarle qualche campione raro magari riuscirò a
distrarla abbastanza per farmi dare il suo consenso. Come capo ricercatrice ne
ha tutta l’autorità, giusto?
Insomma,
diario. Spero che almeno tu mi capirai quando affermo che venderei un organo
per qualcosa di un tantino più movimentato dello schiacciare ogni singolo
insetto che prova a mangiarmi. Ci conto!
Spensi il datapad e lo gettai sul comodino senza fare caso a dove
finiva. Rigirandomi sul letto, mi accomodai distesa sulla schiena, osservando
il soffitto spoglio della base. Il ronzio dell’umidificatore spezzava il
silenzio disceso nella camera senza il famigliare bit del monitor: un rumore
insolente che con il tempo avevo imparato ad ignorare.
Ma non in quel
momento.
Ero ancora di
pessimo umore, senza una prospettiva, una qualsivoglia speranza di poter
migliorare la mia permanenza su quel pianeta sperduto alla deriva nel nulla
cosmico. E le urla di mia madre provenienti dall’area comune non mi aiutavano
di certo a raffreddare i bollenti spiriti che avevo in corpo.
«Cay! Smettila di bighellonare! Launi
ha preparato i yakitori.»
Nell’udire quella
frase, il mio stomaco emise un sonoro borbottio.
Sbuffando, mi
misi a sedere, passandomi una mano sul viso. Quando la mia pancia si fece
sentire nuovamente, cercai di fare del mio meglio per azzittirla, senza alcun
risultato.
Launi
era, a mio avviso, il membro più indispensabile della nostra squadra. Era uno
scienziato provetto dalle mani d’oro che aveva il potere di trasformare qualsiasi
cosa, anche la più bizzarra, in una pietanza commestibile, rendendola degna di
una cucina stellata. Nato e cresciuto su uno dei molteplici arcipelaghi della colonia
Oceania 2A, aveva conosciuto i miei genitori durante un meeting tra cervelloni
e da quel momento avevano collaborato più volte nel corso degli anni.
E io provavo un
profondo rispetto per la sua cucina, per cui mi alzai dal letto e mi diressi
verso lo specchio a muro per verificare di apparire come un’adolescente normale
e non una sull’orlo di una crisi psicotica.
Lo sguardo che mi
rivolse il mio riflesso confermò miei dubbi. Avrebbero dovuto imbottirmi di
ansiolitici. I miei occhi castani, dalla forma lievemente allungata, mi
osservavano stanchi e sconsolati. Non citiamo i miei capelli. Il caschetto blu,
di solito in perfetto ordine, era scompigliato e, invece di apparire asimmetrico
come dettava la moda, assomigliava a un nido. Le ciocche rosa spiccavano in
quel groviglio come piume. Ci mancavano solo delle uova e avevo trovato il
giusto travestimento per Halloween.
Sbuffai, cercando
di domarli come potevo con le dita. Rimpiangevo ancora di non avere un
Modificatore a portata di mano, in modo da cambiare il rosa con un altro
colore, magari meno evidente per la gioia dei miei genitori. Ma ehi, avrei
dovuto rimanere così per più di un anno. E dire che ero abituata a cambiare
colore una volta a settimana… ok, in realtà più di una.
Tolsi qualche
piega dalla canotta bianca della divisa che mi era stata assegnata, cercando di
non badare alle linee rosa che la decoravano ai lati. Ogni base aveva una sua
particolare tenuta e ogni persona aveva delle decorazioni di diverso colore a
seconda del proprio compito. In questo caso, le mie equivalevano a: peso morto.
Inutile dire che
non era nemmeno quella la cosa peggiore. Il tessuto era una particolare fibra
sintetica che si adattava a ogni forma del corpo, facendomi assomigliare a una
tavola. Avevo preso da mamma una corporatura esile e asciutta, ma ogni volta
che mi lamentavo con lei di questo, mi rispondeva semplicemente: “l’unica curva
che conta è quella del cervello”.
Facile a dirsi
per lei, dato che era una scienziata di fama interplanetaria.
Senza indugiare
oltre, mi diressi verso la zona comune, situata nel cuore della base Gamma.
Il Gamma era una
struttura all’avanguardia che baciava con lo sguardo il grande lago della
vallata, Atlas. Diversamente dalle altre basi, oltre a non essere
costruita sulla terraferma ma su un’isoletta artificiale, i suoi ambienti si
espandevano a raggio sopra le acque cariche di minerali, come prolungamenti del
cuore circolare del complesso. Ogni sezione aveva uno scopo a sé, divise tra
appartamenti, laboratori, cucina, area comune e persino una piccola palestra.
Alimentare tutto il complesso avrebbe richiesto fin troppa energia per cui, per
mantenere in funzione ogni singolo raggio in completa autonomia, avevamo
installato sul tetto diversi panelli solari. L’unico collegamento con la terraferma
consisteva in un ponticello che, giuro su Hawkins,
prima o poi sarebbe crollato. Ma devo ammetterlo, non era male vivere in quella
struttura... non con la vetrata panoramica della mia camera che dava
direttamente sul lago. Credo di aver intasato il modem di foto.
Entrai nell’area
comune passando per il piccolo giardino interno allestito nel centro della base
e trovai i miei genitori ancora al lavoro sulla tavola già apparecchiata, mentre
osservavano un modellino 3D proiettato dal datapad di
mia madre.
««Secondo le ultime analisi, circa il 67%
dell’acqua del pianeta si trova sottoterra. Per il momento abbiamo scoperto
nuovi bacini lungo i monti Ida, per un totale di 34 siti. E la maggior parte
sono grandi come uno Stato. È davvero un peccato non poterli studiare più a
fondo.»
«La sonda che
cosa ha rilevato nell’ultimo monitoraggio?» domandò mio padre, bevendo un sorso
di tè.
«Ultimo è la
parola chiave. La sonda è arrivata fino a 5.970 m di profondità, dopo di che è
stata fatta a pezzi.»
«A pezzi?» da
dietro gli occhiali, lo sguardo di mio padre s’illuminò dalla sorpresa.
«Io ve l’ho detto
che era un azzardo. Per quel che ne sappiamo là sotto potrebbe esserci anche il
Kraken» esclamò la donna dai lunghi capelli neri che
fece la sua apparizione nella sala con una grande ciotola di riso fumante tra
le mani.
Per poco non
scoppiai a ridere e Hako mi fece l’occhiolino. Hako era l’assistente di mia madre e sua amica di vecchia
data. Dagli eleganti lineamenti orientali e la battuta sempre pronta, era tanto
fragile quanto letale. Cintura nera di karate, da piccola mi aveva dato qualche
lezione di autodifesa, ma quando i miei furono convocati dalla preside perché
ero stata fin troppo entusiasta di mostrare le mie mosse da ninja ai miei
compagni, fummo costrette a darci al combattimento clandestino. Questo finché
non divenni troppo pigra.
«Hako, non ti ci mettere anche tu» sbottò mia madre,
scostandosi un ciuffo biondo scuro dal viso.
«Suvvia. Launi non vi ha ancora raccontato tutte le leggende sui
mostri marini che si tramandano da generazioni?»
«Qualcuno ha
detto “mostri marini”?»
Dalla cucina
comparve un omone dalla pelle scura e i capelli neri tenuti stretti in una coda
di cavallo. Le maniche della sua giacca erano arrotolate, esponendo i tatuaggi
tribali che gli segnavano gli avambracci. I suoi occhi neri brillarono dalla
curiosità mentre posava sul tavolo una teglia piena di leccornie, ma non fece
in tempo ad aprir bocca che mio padre lo fermò.
«Grazie, Launi, ma credo che le leggende dovranno aspettare.
Altrimenti il pranzo si fredda» aggiunse poi repentinamente.
Hako
gli diede una gomitata allegra e Launi le fece
l’occhiolino.
Erano come il
giorno e la notte, ma avevo la netta sensazione che tra quei due fosse
sbocciato qualcosa. O, almeno, sarebbe sbocciato nel prossimo futuro, nel
vederli insieme.
Feci il giro
della tavola bianca e mi accomodai al mio solito posto davanti a Hako. Senza indugio, mi servii una grossa porzione di
spiedini e di riso basmati, ignorando le occhiate di disapprovazione di mia
madre.
«Cay, lo sai che tra un’ora dobbiamo uscire. Cerca di non
ingozzarti.»
«Sì, capo»
risposi, un attimo prima di spazzolare il piatto.
Grazie alla
cucina di Launi ero riuscita a mettere su qualche bel
chilo e le camminate nella natura selvaggia avevano tonificato il mio corpo divenuto
da anni sedentario. Tuttavia, l’unica donna di tutta la base ad avere delle
curve da urlo, rimaneva Jessica StarQueen,
un’avvenente attrice tutta modifiche appesa sul muro della camera di Jonathan,
l’ultimo componente del team, nonché tecnico informatico.
Non che fosse il
solo a cavarsela con i computer, ma quasi tutte le sonde a nostra disposizione
erano sue e non aveva preso bene la morte di Betty. Aveva dichiarato al pianeta
intero le sue intenzioni di vendetta contro la creatura abissale che l’aveva
fatta fuori.
Già, per aver poco
più di venticinque anni, era un tipo alquanto… strano.
«Hako, ti dispiacerebbe richiamare Jonny dal suo antro
oscuro?»
Hako
alzò gli occhi al cielo, rivolgendo a mio padre uno sguardo stizzito. «Lo sai
che non si muoverà da lì finché non avrà riparato la sonda. Dagli tempo di
elaborare il lutto.»
«Oh, andiamo.
Sono i rischi del mestiere» commentò mia madre.
«Guardate che vi
sento!»
Tutti ci girammo
verso la zona degli appartamenti, dove la voce di Jonathan era riecheggiata
attraverso l’altoparlante della porta.
«Beh, gli terrò
qualcosa da parte per dopo» si limitò a dire Launi
con un’alzata di spalle.
Mia madre
sospirò. Ormai eravamo una grande famiglia e anche se Jonathan era nuovo, gli
volevamo bene… Nonostante le sue stranezze. Ammetto che alcune volte
m’inquietava, ma forse perché non ero abituata a uomini che passavano gran
parte del loro tempo davanti a un monitor a modificare codici e a ingurgitare
una bibita energetica dietro l’altra.
Pranzammo in
silenzio per qualche minuto, dopodiché mi feci avanti per attuare il mio piano.
«Mamma, posso
portare con me l’hoverboard oggi?»
Mio padre alzò
gli occhi verso di me, mentre una pallina di riso gli scivolava via dalle
bacchette.
«L’hoverboard? Non credo sia una buona idea.»
«Andiamo, papà!
Da quando sono arrivata non ho mai fatto un giro.»
«Tuo padre ha
ragione» m’interruppe mia madre. «Non solo rischi di farti male a causa della
vegetazione, ma potresti attirare su di te i Chrysaetos,
che Hubble non voglia!»
C’era da dire che
con i Chrysaetos era quasi riuscita a convincermi.
Avete presente quei grandi e cattivi volatili che nei film di fantascienza
abbattono elicotteri come se niente fosse? Ebbene, immaginateli dorati e
ricoperti di piume invece che scaglie, con un becco colmo di denti affilati ed
eccoli qui. Generalmente si trovavano nei monti Ida, ma la sicurezza non era
mai troppa. Alcuni esemplari erano stati avvistati nella vallata.
«Prometto che
rimarrò a bassa quota» insistetti io, alzandomi e iniziando a sparecchiare i
piatti ormai vuoti. «Solo per un po', giusto per svagarmi…»
L’occhiata che mi
lanciò mia madre fu piena di significato. «Lo so a cosa stai pensando,
ragazzina, ma no. Ricordati che siamo qui per un motivo.»
«Non capisco cosa
intendi» mi difesi, nonostante avessi iniziato a sudare freddo.
«Oh, sono così
sola. Vorrei tanto avere un amico…» m’imitò.
Fortunatamente i
piatti erano di una speciale plastica o li avrei ridotti in frantumi quando mi
caddero dalle mani nel pulitore. Mi voltai con il viso in fiamme.
«Sei entrata nel
mio datapad! Questa è violazione della privacy!»
«Potrei dirti la
stessa cosa» ribatté mia madre. «Non credere di essere così furba. Come se non
sapessi che è stata Hako a insegnarti i principi
dell’hackeraggio.»
«E tu come lo
sai?»
«Perché…»
«Sono stata io a
insegnarli a tua madre. E Jenna, ti prego, non mettetemi in mezzo alle vostre
discussioni di famiglia» sentenziò lei, sorseggiando il suo tè come se nulla
fosse.
«Non essere così
dura con lei, cara» mi difese mio padre. «Dopotutto rimarremo qui ancora per
molto ed è normale che abbia voglia di vedere qualche faccia nuova.»
Mia madre gli
lanciò un’occhiata di fuoco, ma per un attimo parve pensierosa, come se stesse
rimuginando qualche diabolico piano.
Alla fine
sospirò. «E va bene. Vedremo di trovare una soluzione in proposito.»
«Evviva!» mi
sporsi a battere il cinque a Launi ed a Hako.
«Ma non pensare
di averla fatta franca. Ci aspetta una bella chiacchierata, signorina.»
Tutto
l’entusiasmo di quel momento si spense. «Oh, santa Hack…»
Con
l’hoverboard ripiegato e fissato allo zaino, seguivo
mia madre e Hako nei meandri foresta, rimanendo
saggiamente dietro la mia madrina per scampare alla furia materna. Per
esperienza sapevo che era meglio girarle alla larga fino a sera, ma la
curiosità mi stava uccidendo a ogni passo.
Quando
eravamo uscite dal Gamma, mi era stato subito chiaro che ci saremo inoltrate in
un settore completamente nuovo. Non accadeva da un paio di settimane e la cosa
mi eccitava e inquietava un pochino, soprattutto dopo la discussione che
avevamo avuto.
Inutile
dire che quel pianeta era il luogo migliore dove nascondere dei cadaveri. O
forse era Elios 45 con i suoi pozzi acidi?
Persa
nei miei pensieri, inciampai su una radice e per poco non crollai lunga distesa
per terra.
«Cay…» mi ammonì mia madre udendo le mie imprecazioni, senza
distogliere lo sguardo dal sensore.
«Sto
bene» borbottai, spazzolandomi le ginocchia doloranti. Gli abiti in dotazione
erano fatti apposta per la ricerca, a prova di schizzi di acido e sostanze
varie, ma non erano molto adatti per le gite campestri, che mia madre adorava.
Grazie al cielo avevo messo in valigia dei ricambi più consoni, ma non per
questo sicuri.
«Si
può sapere il perché tutta questa strada?» le chiesi, leggermente stizzita.
Hako
ridacchiò e mi mostrò il suo computer da polso. Secondo la mappa eravamo nel
settore D30 e questo voleva dire che…
Feci
per saltare dalla felicità, ma Hako mi bloccò e mi tappò
la bocca con una mano. Dal suo sguardo, potei capire che si trattava di una
fortuita circostanza, dato che avevamo esplorato i settori dall’altra parte di
Atlas e che quindi eravamo alla ricerca di nuove piante. Tuttavia non potei
fare a meno di sorridere vittoriosa.
La
distanza che ci divideva dal Beta era ridotta.
«Verifica»
esclamò a un certo punto mia madre, facendoci sussultare entrambe. «I vari
campioni botanici raccolti nei settori adiacenti al lago presentano una minima
variazione nella composizione biochimica in base alla loro locazione,
nonostante la specie sia la stessa; secondo te a cosa è dovuto?»
Ci
riflettei un attimo. Era impossibile che fosse qualcosa dovuto all’aria o alla
composizione del terreno alla luce degli ultimi esami, per cui l’opzione
rimaneva solo una. Abbastanza facile, dato che eravamo lì per quello. «All’acqua»
risposi.
«Esatto.
Abbiamo trovato diverse tracce di minerali nel loro metabolismo, a volte con
valori del tutto diversi. Questo vuol dire che sono presenti zone con grandi
depositi sotto di noi, almeno in proporzione tale che l’acqua non riesce a discioglierli
a dovere. Quindi, le piante dimostrano lievi mutazioni in base alla loro
locazione rispetto alla falda acquifera. Abbiamo già mandato i campioni alle
basi Alfa e Delta, in modo che possano studiare i minerali.»
Era
tutto molto interessante, peccato che si fosse dimenticata di un particolare
dettaglio. «Quindi è probabile che ci siano minerali ancora sconosciuti?»
Mia
madre annuì, mentre digitava qualcosa sul datapad e
si chinava ad esaminare un fiore arancione dai petali lunghi e arricciati.
«E
così quelli delle altre basi ti fregeranno il premio Galileo e non potremmo
nemmeno decidere un nome.»
Mia
madre si voltò, lanciandomi un’occhiataccia. «Cay,
non lo facciamo certo per la fama, noi…»
Un
suono agghiacciante risuonò nella vallata.
Hako fu
la prima a reagire. Si portò una mano al fianco, dove teneva la fondina della
pistola a impulsi e scrutò attentamente l’ambiente circostante. Io e mia madre
c’immobilizzammo per un attimo, all’erta. Lentamente, allungai la mano dietro
di me per sganciare l’hoverboard dallo zaino e con
uno scatto lo distesi, facendolo tornare operativo.
«Cay!» sbottò mia madre. «Che diavolo pensi di fare?»
Il
lamento echeggiò nuovamente. Non c’erano dubbi: si trattava di un animale
ferito.
«Vado
a dare un’occhiata.»
«Callisto,
no! Non siamo equipaggiati per questo genere di cose.»
«Tua
madre ha ragione» commentò Hako, ancora in allerta.
Fece un passo verso di me. «È meglio se torniamo alla base e contattiamo la
squadra di soccorso di Beta. Loro sapranno cosa fare.»
«Ma
potrebbe morire! Non è così lontano» sibilai.
Mia
madre mi colse alla sprovvista. Uno scatto repentino posò una mano sull’hoverboard, bloccandomi. «Non sappiamo che cosa sia e
inoltre sarebbe solo la selezione naturale. Mi dispiace Cay,
ma abbiamo delle priorità.»
«Tu,
semmai!» sbottai.
Non
so come, forse grazie all’addestramento di Hako,
riuscii a liberare la tavola e a partire sotto lo sguardo attonito delle due
donne. Il rumore delle eliche coprì le imprecazioni di mia madre che non me
l’avrebbe fatta passare liscia, sempre se fossi tornata tutta intera.
Era
difficile muoversi attraverso la rigogliosa vegetazione. Dovevo schivare costantemente
rami e liane e per poco non caddi dalla tavola quando questa rimase impigliata
in una sorta di ragnatela di cui non tenevo a scoprirne la provenienza. Mia
madre mi avrebbe bastonata per una tale incoscienza, ma non mi fermai.
Dovetti
fermarmi un paio di volte, sia per ripulire l’hoverboard
dal fogliame, sia per ascoltare il lamento. Dopo un paio di virate, riuscii a
trovare la piccola radura dove l’animale si era fermato. Atterrai e ripiegai l’hoverboard, facendo attenzione a non compiere movimenti
bruschi.
Mi
bloccai.
Era
la prima volta che vedevo un esemplare del genere dal vivo e per un attimo ne
rimasi affascinata.
La
creatura piangente non era altri che un cucciolo di LycaonCristatus; un maschio, a giudicare dal piumaggio
vivace e dalla lunghezza delle piume alla fine delle grandi orecchie tremanti.
Era il perfetto incrocio tra un licaone e un pavone, solo grande quanto un
pony. E gli esemplari adulti in fatto di dimensioni non scherzavano, dato che
potevano raggiungere la stazza di un aereobus. A quel
pensiero mi riscossi dal torpore in cui ero caduta. I Lycaon
solitamente vivevano in gruppi famigliari, composti dai genitori e dai cuccioli,
per cui rimasi stupita dal fatto che fosse da solo.
Il
cucciolo gemette ancora, questa volta con maggiore veemenza. Mi aveva visto.
Presi
coraggio e mi avvicinai il più lentamente possibile, portando le mani avanti
per calmarlo. In fondo era un cucciolo e per di più ferito. Non c’era nulla di
cui preoccuparsi, giusto?
«Buono…
Non foglio farti del male…»
Feci
ancora qualche passo e mi accorsi del grosso taglio che aveva su una zampa. Non
sembrava profondo, ma continuava a sanguinare. E questo non era affatto un
bene, non in un habitat selvaggio come quello.
Riuscii
a portarmi abbastanza vicino da toccarlo. Invece di un ispido pelo, le mie dita
sprofondarono in una coltre di soffici piume. Il cucciolo inizialmente
s’irrigidì, ma finì per gemere docilmente. Doveva essere esausto.
«Bravo...
Bravo… E ora come faccio a spostarti da qui?»
Ragionai.
Avrei dovuto portarlo alla base Beta, ma la Gamma era più vicina e avevamo
un’unità di pronto soccorso fornita per ferite del genere. Il problema
principale era come trasferirlo. L’hoverboard non
avrebbe potuto sopportare il suo peso e…
Un
ringhio selvaggio risuonò nei dintorni.
Cercando
di mantenere il controllo di me, mi allontanai lentamente dal cucciolo,
esattamente nel momento in cui dalla vegetazione comparve un Lycaon adulto e piuttosto incazzato.
Vedendo
il genitore, il cucciolo prese ad agitarsi ancora di più e ciò non fece che
peggiorare la situazione.
Non
riuscii nemmeno ad azionare l’hoverboard.
Tutto
accadde in una frazione di secondo.
Chiusi
gli occhi, preparandomi psicologicamente a essere sbranata, ma invece di
sentire la pressione delle zanne sulla mia carne, avvertii solo il caldo respiro
dell’animale.
Presi
coraggio e sbirciai con un occhio, rimanendo esterrefatta.
Davanti
a me era comparso un ragazzo, facendomi da scudo contro Lycaon.
Indossava un’uniforme nera di stampo militare in dotazione alla base Beta dalle
decorazioni verdi; la sua identità era celata dal casco che gli ricopriva
interamente il viso.
«Stai…
Immobile» sibilò il giovane senza voltarsi, la voce leggermente modificata dal
microfono.
Non
riuscii nemmeno ad annuire, figuriamoci mettersi a ballare la samba.
Il
ragazzo fronteggiò il maschio adulto di Lycaon senza
battere ciglio. Aveva in dotazione un hoverboard più
piccolo e moderno del mio, che lo manteneva sollevato da terra quel tanto che
serviva per essere al livello del muso dell’animale. E, lasciatemelo dire, quel
prototipo era davvero di ultima generazione. In un momento più pacifico, avrei
fatto di tutto per farci un giro.
Come
se avesse capito di essere di fronte a una preda più difficile, la bestia
indietreggiò, arricciando le labbra per mettere in mostra le zanne acuminate
come avvertimento. Il ragazzo rimase impassibile di fronte a quella minaccia e,
senza alcuna esitazione, mosse il braccio per estrarre qualcosa dalla tasca
laterale della divisa. Un fischietto.
Ero
troppo basita per commentare, dato che mi sarei aspettata una pistola ad
impulsi o come minimo uno scudo difensivo. Invece, il mio salvatore disattivò
la parte inferiore del casco, rivelando una mascella squadrata ricoperta da un
velo di barba castana, e si portò lo strumento alle labbra.
Emise
un fischio musicale prolungato, seguito da due più brevi. L’animale smise di ringhiare,
ma rimase ancora guardingo.
Il
ragazzo ripeté la sequenza, facendo tendere le lunghe orecchie del Lycaon, e ne eseguì un’altra, composta principalmente da
fischi distinti in una determinata sequenza musicale.
Dopo
qualche istante, il Lycaon sembrò capire che non
consistevamo in una minaccia per lui e il suo piccolo e si ritrasse in una
posizione rilassata. Permise persino al ragazzo di fargli dei grattini sul
muso, in mezzo ai grandi occhi blu. Tuttavia, quando vide che ero ancora dietro
di lui, le sue pupille si dilatarono dalla diffidenza.
«Bravo
Astreo» commentò il giovane, mentre il Lycaon andava ad assistere il cucciolo.
«Aspetta…
lo conosci?» sbottai, la voce ancora un po' acuta per l’adrenalina che mi
scorreva nelle vene.
Il
ragazzo si voltò verso di me. Nonostante avesse ancora il visore davanti agli
occhi, potei immaginare il suo sguardo infuriato dal tono con cui mi parlò.
«Sì,
ma non conosco te.» Solo allora estrasse una pistola ad impulsi, avendo pure la
faccia tosta di puntarmela contro. Come se fossi io l’animale assetato di
sangue!
«Identificati!»
Stavo
per rispondergli a tono, magari con qualche bell’insulto, quando mi resi conto
che non stavo indossando la divisa della base Gamma. Il che equivaleva sì a un
bel problema.
«Io
sono…»
«Cay!!!»
Mia
madre e Hako sbucarono dalla vegetazione senza alcun
preavviso, spaventando nuovamente il Lycaon.
Nonostante fosse stato sgarbato, non riuscii a non ringraziare mentalmente quel
soldato quando si protese a calmare nuovamente la creatura prima che saltasse
addosso alla mia famiglia.
«Grande Giove!» sbottò Hako,
afferrando mia madre per metterla al sicuro dietro di lei.
Il
giovane, impegnato a dare qualche buffetto sul collo del Lycaon,
girò appena la testa per squadrarci. Un sorrisetto divertito gli comparve sul
viso.
«Buon
pomeriggio, signora Myah. La trovo davvero in
splendida forma.»
Mia
madre incrociò le braccia al petto, cercando di apparire imponente e sicura di
sé.
«GallenStryker! Era una pistola
quella che stavi puntando contro mia figlia?»
Certo,
era preoccupata per me quando fino a qualche secondo prima stava per essere
sbranata. Che donna. Ma…
Per
poco non mi cadde la mascella dalla sorpresa nel riconoscere quel nome.
«Un
momento!!!»
Cinque
paia di occhi si voltarono verso di me.
«Tu
sei…»
Senza
smettere di sorridere, il ragazzo protese la mano verso l’orecchio destro,
facendo scomparire il resto del casco. Al suo posto, rimase un viso che
conoscevo bene. Parecchio bene.
«Ciao
CayCay. Noto con piacere che sei sempre pronta a cacciarti
nei guai.»
Rimasi
senza parole.
Non
so come, ma alle mie spalle udii mia madre sospirare. «Ti chiedevi se eri
l’unica giovane su questo pianeta. Ebbene, ecco la tua risposta.»
Le
mie gambe furono sul punto di cedere.
Non
solo mi ritrovavo bloccata su un pianeta sperduto, ma mi ritrovavo bloccata con
il mio ex.
E
non solo.
Era
un membro effettivo della base Beta.
Eccoci qui con una
nuova storia. Lo so, è un po' pasticciata e non molto descrittiva, ma ehi! È il
mio primo tentativo in prima (vi risparmio i porconi).
Ringrazio Sagas per la recensione e tutti quelli che hanno aggiunto
la storia nelle seguite, preferite, ricordate ecc. XD I pareri sono sempre
apprezzati, specialmente in questo esperimenti sbilenco.
Un ringraziamento
speciale va a Marina Merisi, che come al solito
sopporta i miei schizzi e mi ha aiutata nella revisione. Inutile dire che ha già
formato la sua ship improponibile ahahah
(E io la mia).
Rimanete
sintonizzati per il seguito, che dovrebbe comparire come per magia la prossima
settimana.
Spero che Viridis vi piaccia e buone feste a tutti ^^
«Tu…
tu sapevi chi ero e ti sei preso gioco di me!»
Gallen
mi lanciò uno sguardo esasperato, come se fossi ancora la ragazzina di quattordici
anni che aveva abbandonato sulla Terra. «Uhm, dimentichi la parte in cui ti ho
salvato la vita. Dovresti ringraziarmi come minimo, CayCay.»
«Ringraziarti?
Ma se quel bestione è praticamente addomesticato!» urlai, indicandolo con una
mano.
Sentendosi
preso in causa, il Lycaon puntò le orecchie nella nostra direzione, lanciandoci
uno sguardo annoiato. Si era disteso accanto al cucciolo per leccargli
amorevolmente la ferita e sembrava infastidito dalla nostra presenza.
«Addomesticato?
La fai sembrare una cosa facile!» sentenziò lui, quasi offeso. «Piuttosto, che
cosa ti è saltato in mente? Tutti sanno che i Lycaon sono protettivi verso la prole!»
«Ora
basta!»
Sia
io che quell’idiota smettemmo di discutere all’istante. Anche se non ci
vedevamo da più di tre anni, Gallen non aveva dimenticato la regola chiave per
la sopravvivenza: mai discutere con Jenna Myah.
«Signor
Stryker, faccia rapporto.»
Il
tono formale di mia madre mi colpì, ma non tanto quanto la postura da militare
che Gallen assunse, come se si trovasse in presenza di un suo superiore. Fu
allora che ricordai la lettera di ammissione all’Accademia Militare che
ricevette poco prima che mi spezzasse il cuore e se ne andasse senza neanche
salutarmi.
Scossi
il capo. Dovevo smetterla di pensarci, ormai l’avevo superata! A quel tempo ero
stupida e ingenua, una ragazzina alle prese con il primo amore, ma ero cambiata.
Lo
eravamo entrambi.
«Io
e la mia squadra stavamo sorvolando l’area quando ci siamo accorti di alcuni
disordini» iniziò a spiegare. «Una volta capito il problema, mi sono
allontanato dagli altri alla ricerca del soggetto scomparso in modo da riportalo
in salvo alla base.»
«Molto
bene. Immagino che la questione sia risolta, ora che hai ritrovato il
cucciolo.»
Gallen
tradì un certo disagio, potei leggerlo nei suoi occhi per un breve momento, ma
si riprese subito.
«Sì.
Fa parte di un gruppo di Lycaon che stiamo monitorano da qualche tempo. Il
capobranco è Astreo, e il cucciolo si chiama Zephyrus. La sua compagna Eos e la
secondogenita Borea sono attualmente nella loro tana. Ipotizziamo che Zephyrus
si sia allontanato troppo e sia stato attaccato da un Loricasauro.»
«Un
Loricasauro da queste parti?» chiese Hako, lo sguardo accigliato. «Insolito,
dovrebbero aggirarsi nei margini esterni.»
«Sì,
ultimamente ci sono stati dei movimenti anomali e qualche solitario fuori dalla
propria zona, ma nulla di preoccupante.»
«Immagino
che sarai abituato a gestire situazioni del genere» esclamai, prima di riuscire
a trattenermi.
Gallen
riportò la sua attenzione su di me. Sembrava quasi che si fosse dimenticato
della mia presenza.
«È il mio lavoro» fu il suo unico commento.
Avrei
tanto voluto rispondergli con una battutaccia, quando il rumore degli
hoverboard anticipò la presenza di altri quattro individui, tutti con la stessa
uniforme di Gallen, anche se solo uno di loro aveva le sue stesse decorazioni.
L’unica donna della squadra le possedeva azzurre, segno distintivo dei medici, mentre
quelle dell’uomo più alto erano gialle e quelle del caposquadra rosse.
Anche
se indossavano ancora il casco, avevo già capito chi erano.
Non
appena scorse mia madre, il caposquadra smontò dall’hoverboard ed eliminò l’elmetto,
rivelando un viso burbero e dall’aspetto selvaggio. Dopo un momento di
tensione, scoppiò in una profonda risata.
Tipico
del padre di Gallen.
«Jenna!
Da quanto tempo!» tuonò, andando ad abbracciare mia madre che, presa alla
sprovvista, lanciò un piccolo gemito.
«Malon,
sono contenta di rivederti» esclamò lei, leggermente imbarazzata per quel gesto
estroverso.
«Dio,
fatti guardare» esclamò l’uomo, allontanandosi di un passo. «Sei sempre
splendida. Ecco perché Christopher ha voluto portarti qui nel mezzo del nulla.
Ma guarda! C’è persino Hako e tu sei…»
«Signor
Stryker, questo trucco funzionava quando avevo sette anni» esordii, incrociando
le braccia al petto.
L’uomo,
anche se ormai aveva più l’aspetto di un bonario orso, mi strinse come aveva
fatto con mia madre, facendomi mancare la terra sotto i piedi. «Oh oh, la
piccola Cay sa il fatto suo e che dire…» esclamò, mettendomi giù. «è diventata
piuttosto graziosa. Gallen, non sai che cosa ti sei perso!»
Sia
io che Gallen distogliemmo lo sguardo, imbarazzati. Suo padre era sempre stato
un tipo giovale, a volte fin troppo espansivo e invasivo. Giuro che non aveva
filtri.
«E
Chris come sta?» domandò poi, ritornando a osservare mia madre.
«Bene,
grazie. Avremmo voluto farvi visita, una volta arrivati, ma sapevamo quanto
foste impegnati.» Mia madre lanciò uno sguardo ai Lycaon per evidenziare
quell’esclamazione.
«Oh,
lo stesso vale per noi. I primi mesi sono sempre i più duri, dopodiché ci si
abitua.»
«Verissimo.
E Karen?»
Nel
nominare la moglie di Malon, nella radura cadde un’atmosfera tesa.
«Oh,
spero che sia finita in un buco nero.» Nel vedere la faccia stupita di mia
madre, l’uomo scoppiò in una fragorosa risata. «No, siamo solo io e i ragazzi.
Quella vipera è sparita nei confini esterni e spero che ci rimanga.»
Lasciai
commentare a mia madre quella rivelazione e mi concentrai sugli altri pur di
non osservare Gallen. A quanto pareva quella donna non solo conosceva la
locazione delle altre basi, ma persino i componenti delle varie squadre e, in
tutto quel tempo, non mi aveva detto nulla!
Santo
Hawking, stavo per scoppiare. E Gallen doveva aver sentito il mio sbuffo perché
si voltò a guardarmi.
Lo
ignorai.
L’uomo
dalle decorazioni gialle e secondo in comando non era altri che suo fratello
maggiore, Hector. Non lo conoscevo molto bene. Più grande del fratello di 6
anni, quando io e Gallen ci frequentavamo era spesso in missione nelle Colonie
o al Centro di Addestramento. Tuttavia, il regime militare l’aveva reso un uomo
composto e pronto all’azione, lo si poteva capire dalla sua espressione
imperturbabile. Stava parlando con la donna dai vaporosi capelli rossi, che
riconobbi nel ruolo di veterinaria. Con mio grande sollievo, si chinò subito a
controllare il piccolo e a fornirgli le prime medicazioni sotto lo sguardo
vigile di Astreo.
Solo
l’ultimo componente della squadra sembrava annoiato. Cain Stryker, terzo e
ultimo figlio di Malon, aveva la mia età ed era sempre stato un tipo
insofferente. Rimasi stupita nel constatare che anche lui aveva abbracciato la
carriera militare come il resto della famiglia, dato che preferiva combinare
guai piuttosto che seguire le regole. Mi lanciò solo un’occhiata sbrigativa a
cui non risposi. Da quando l’avevo steso a scuola non mi aveva più rivolto la
parola e, dal canto suo, Gallen non perdeva mai l’occasione di tirare fuori
quell’aneddoto, da bravo fratello maggiore qual era.
Tutti
e tre i ragazzi avevano ereditato dal padre i tratti del viso e i folti capelli
castani, ma solo gli occhi di Gallen erano azzurri come quelli della madre.
Persa
nei miei pensieri, ritornai in me quando Malon toccò un tasto delicato.
«V’inviterei
a cena per una bella ripatriata, ma ormai viviamo di cibi precotti. Il nostro
cuoco è stato messo fuorigioco e sarà a riposo per ancora qualche tempo. Chi
l’avrebbe detto che il caro vecchio Hector fosse un tipo geloso.»
Sentendosi
presi in causa, sia il figlio maggiore che la veterinaria arrossirono. Eh, sì.
Quella era proprio una bella novità. Sotto tutta la fibra morale di Hector
batteva un cuore. Che scoop!
«Perché
invece non venite da noi? Sono sicurissima che a Chris farà piacere rivederti e
discutere dei bei tempi andati» propose allora mia madre.
Nell’udire
quell’invito, Hako scoppiò in una sonora risata che fece fatica a nascondere,
mentre io impallidii per le possibili implicazioni.
«Perché
no? Sarà un vero piacere» commentò Malon.
«Mi
dispiace interrompervi, ma io e Hya porteremo il Lycaon ferito alla base per
maggior accertamenti» s’intromise Hector, sempre con la sua aria professionale.
«Certo,
certo. Ma Cain e Gallen hanno la serata libera, quindi saranno lieti di accompagnarmi.»
«Cosa???
NO!» Entrambi i giovani rimasero esterrefatti.
«Vi
state sottraendo a un ordine diretto?» tuonò allora l’uomo.
«No…
Nossignore» mugugnarono in coro, visibilmente a disagio.
Malon
riprese a sorridere. «Molto bene. Saremo da voi per le 20.00 in punto.»
E
la questione si chiuse così, con mia madre e Hako che ridacchiavano di sotto i
baffi, il padre di Gallen pronto a farsi una bella mangiata sulle nostre spalle
e io, Gallen e Cain pietrificati dall’inaspettata piega che avevano preso gli
eventi.
Rimasi
in silenzio, mentre Malon dava le ultime direttive ed estraeva dal suo zaino
una rete con cui trasportare il cucciolo.
Ci
separammo con dei saluti affrettati, dato che Zephyrus non sembrava apprezzare
la sua nuova lettiga, ma per tutto il tempo non feci altro che imprecare
mentalmente al ritmo della mia canzone preferita.
Una
volta che gli hoverboard furono scomparsi tra gli alberi, mi voltai verso mia
madre con un’espressione omicida.
«Cosa
ti è saltato in mente?»
«Avanti,
ragazza. Non fare quel muso.»
Feci
una smorfia, mentre Hako finiva di acconciarmi i capelli in camera mia. Non che
potesse fare miracoli data la loro lunghezza, ma aveva arricciato le ciocche
più lunghe in modo che mi ricadessero ai lati del viso in soffici boccoli,
assicurando poi quella più corta da un lato grazie a un grazioso fermaglio di
foggia orientale che si abbinava bene al vestito argentato che avevo scelto per
la serata. L’avevo utilizzato poche volte e solo per occasioni importanti, per
cui ancora non mi capacitavo di averlo portato con me in quell’inferno,
figuriamoci indossarlo per una stupida cena. Non che fosse pertinente, con la
scollatura profonda sulla schiena e lo spacco laterale.
«Ho
come l’impressione che mia madre si stia vendicando per la mia voglia di
libertà» commentai, osservandomi allo specchio. Hako aveva fatto un ottimo
lavoro anche con il trucco, evidenziando i miei occhi con del kajal nero e una
lieve spolverata d’argento.
«Grazie»
mormorai, mentre lei si sedeva accanto a me sul letto sfatto. Al contrario di
me, Hako aveva indossato un semplice tubino bianco e si era legata in capelli
in un severo chignon. Non amava particolarmente i completi eleganti,
figuriamoci le scarpe col tacco.
«Lo
penso anch’io» commentò, dandomi un buffetto sulla mano. «Ma credo che questa
serata potrebbe rivelarsi alquanto interessante. E, chissà, magari riuscirai a
far rimpiangere a Gallen dalla sua scelta.»
La
guardai di sfuggita, senza riuscire a ricambiare il suo sorriso.
La
mia storia con Gallen era durata due anni, ma ci conoscevamo da quando ne avevamo
rispettivamente sei e otto. La sua famiglia si era trasferita dall’altra parte
della strada e il resto è la classica storia di un’amicizia che a poco a poco è
mutata in altro, qualcosa che nessuno dei due aveva capito fino in fondo.
Almeno,
finché non è andato tutto in pezzi.
«Sai
una cosa?» feci alzandomi. «Non m’importa. Dopotutto abbiamo intrapreso strade
diverse e siamo persone adulte.»
«Ben
detto» ridacchiò Hako, mettendosi un po' di rossetto. «Alla fin fine, secondo
il database medico, non sei ancora nel tuo periodo fertile.»
«HAKO!»
tuonai sconvolta, osservandola con gli occhi sgranati per quell’insinuazione.
«Oh,
vuoi dire che tutto questo» esclamò, agitando la mano per indicare la mia
figura, «non è per fare colpo?»
«Volevo
solo sentirmi carina e a mio agio» risposi imbronciata.
«Sì,
certo.» Hako si alzò e diede uno sguardo all’orologio, per poi darmi una pacca
sul culo. «Forza, hai solo dieci minuti per prepararti psicologicamente e io
devo controllare che Jonny non combini guai, quindi…»
«Quindi
farò la brava e non me la filerò dalla finestra mentre tu non ci sei.»
«Così
mi piaci.» Mi diede un buffetto e uscì, lasciandomi da sola con il mio
imbarazzo.
Mi
risedetti sul letto, giocherellando con i bracciali che avevo su entrambi i
polsi. In qualche modo mi sentivo imprigionata in quella stanza, senz’aria,
completamente in balia degli eventi. Mi voltai, osservando il mio datapad e
alla fine decisi. Lo presi e mi diressi verso la finestra, scrutando
malinconica il panorama. I meravigliosi giochi di luce del tramonto si
riflettevano rossastri sulla quieta superficie Atlas, creando un’atmosfera
magica. Sorrisi.
Mandai
un messaggio a Kley.
«Santo
Hubble!»
Sentendo
l’esclamazione sorpresa di mia madre provenire dall’entrata del Gamma, non
resistetti alla tentazione e mi sporsi oltre la parete per sbirciare.
I
nostri ospiti avevano scelto un abbigliamento più informale del nostro,
indossando delle semplici camicie e delle giacche di pelle, ma dal loro aspetto
arruffato sembrava che avessero attraversato la foresta a bordo degli
hoverboard; il che equivaleva a una pazzia, nonostante la luce rossastra del
tramonto illuminasse ancora l’ambiente circostante. Mi augurai che al ritorno
qualcuno venisse a prenderli con un mezzo di trasporto più consono, perché
uscire di notte era come un invito a farsi sbranare dai predatori notturni.
«Approfittavo
con i ragazzi di un buon addestramento in notturna!» esclamò vivace Malon,
togliendosi qualche ramoscello dai capelli.
Gallen
alzò gli occhi al soffitto per l’esasperazione, spazzolandosi con una mano la
giacca. Si era addirittura fatto la barba. Non seppi come interpretare quel
gesto e mi sentii a disagio.
«Io
lo sapevo che c’era la fregatura» brontolò Cain, senza avere la cortesia di
togliersi il cappuccio dalla testa. Aveva l’aria di un cane bastonato e non potei
fare a meno di compatirlo.
«Malon,
è un piacere rivederti» esclamò mio padre andandogli in contro e porgendogli la
mano che fu ignorata per un abbraccio.
«Christopher
Myah! Vecchia volpe! Come te la passi?» tuonò l’uomo, dandogli una pacca sulla
schiena così forte da fargli quasi cadere gli occhiali.
Vedere
Malon Stryker vicino a mio padre rendeva ancora più palesi le loro differenze.
Mio
padre era il classico scienziato: altezza media, corporatura esile di chi non è
bravo negli sport, sempre in ordine, il viso rasato e un’insofferenza
patologica verso le feste e le attività sociali che non comprendessero la
scienza. Non mi stupii di vederlo ombrarsi quando si rese conto che il Gamma
era diventato improvvisamente affollato, contando poi la pacca di Malon che
l’aveva fatto boccheggiare.
E
Malon era… Beh, l’esatto opposto.
«Vedo
che ti sei inselvatichito» sorrise mio padre, cercando di non far suonare
quella constatazione come un insulto.
«Che
ci vuoi fare: è il richiamo della foresta!»
Qualcuno
si schiarì la voce alle mie spalle. Sussultando, mi accorsi che Launi era comparso
con un sorriso a trentadue denti, seguito da un delizioso profumino che
proveniva dall’area comune, adeguatamente preparata per l’occasione. In
sintesi, avevamo tolto tutti gli strumenti scientifici abbandonati sui ripiani.
«Cay,
puoi far accomodare gli altri? La cena è quasi pronta.»
Senza
nemmeno aspettare una risposta, Launi si dileguò in cucina, praticamente a una
spanna dal pavimento. Quando lo avevamo informato che avrebbe dovuto cucinare
per tre persone in più, aveva quasi battuto le mani dalla felicità. Per lui era
una gioia sfamare noi comuni mortali che saremo vissuti alla grande anche di cibo
liofilizzato, per cui l’idea di avere ospiti lo entusiasmava come un bambino a
Natale.
Feci
un respiro profondo e mi decisi a fare la mia comparsa nel corridoio.
Non
appena mia madre si voltò verso di me, mi lanciò un’occhiataccia colma di
disapprovazione per tutta la pelle che stavo esponendo, ma alla fine ottenni la
reazione sperata.
«Santa
Hack. Gallen, sei stato davvero un idiota» commentò suo padre non appena mi
vide.
Gallen
seguì il suo sguardo e s’immobilizzò non appena si accorse della mia presenza. Quando
Cain fischiò compiaciuto gli tirò una gomitata e io dovetti fare appello a
tutto il mio autocontrollo per non sogghignare come un’idiota.
«Launi
ha quasi finito di preparare la cena. Se volete seguirmi» dissi a tutti, senza però
distogliere lo sguardo da Gallen. Quando mi voltai per precederli, sentii i
suoi occhi sulla mia schiena e non poteri fare a meno di sorridere vittoriosa.
Ero
immatura? Può darsi. Ma avevo ancora un conto in sospeso con lui.
Ci
sedemmo tutti quanti a tavola, dove Launi aveva già servito degli antipasti.
Per un attimo mi chiesi se per preparare quella cena avesse dato fondo alle
scorte della dispensa, ma quando il vol-au-vent che avevo selezionato mi si
sciolse sulla lingua, decisi che non me ne importava.
«Allora,
come stanno andando le cose qui?» chiese Malon tra un boccone e l’altro.
Sembrava che non mangiasse da giorni, mentre i suoi figli avevano mantenuto un
certo senso del decoro.
«Tutto
bene» commentò mia madre, facendo un cenno a Hako, che ci aveva appena
raggiunti. «Ci siamo abituati presto alla vita su questo pianeta.»
«Eh,
sì. All’inizio può essere forviante, ma ormai lo considero come se fosse il mio
pianeta di origine. Dopo quasi tre anni non sento nemmeno la mancanza della
Terra.»
«Tre
anni?» chiesi sbalordita. Sapevo che non eravamo i primi a mettere piede su
Viridis, ma non potevo immaginare di viverci per così tanto tempo.
«Esatto»
esclamò Malon, svuotando il suo bicchiere. «Siamo stati tra le prime squadre
operative della zona. Gallen è arrivato quasi due anni fa e questo è il suo
primo incarico ufficiale, mentre Cain…»
«Non
importa a nessuno, vecchio» sbottò lui, piluccando il cibo. Indossava ancora il
cappuccio e non sembrava intenzionato a levarselo. Stavo per farglielo notare
quando mi accorsi dei suoi occhi. Era come un animale in trappola e il suo
sguardo era… glaciale.
Decisi
saggiamente di farmi gli affari miei e Launi mi aiutò in questo, servendo la
prima portata.
Lanciai
qualche occhiata a Gallen, ma sembrava del tutto concentrato a osservare
qualsiasi cosa presente nella stanza tranne me. Sperai che gli venisse il
torcicollo a fine serata.
A
un certo punto notai mio padre chiedere qualcosa a Hako, ma lei scosse la
testa. Immaginai che si trattasse di Jonathan. Launi si era fatto furbo ed
aveva apparecchiato solo per otto persone.
«Qualche
problema?» chiese Malon, notando quel dettaglio.
«Nulla
di grave. Il nostro tecnico non si unirà a noi per questa serata. Sta ancora lavorando
sulla sonda che abbiamo perso nell’ultimo rilevamento.»
«Sì,
ho letto i rapporti. Che ne dite, facciamo una battuta di pesca?» chiese,
ridacchiando. «Sono convinto di riuscire a tirarne su almeno un esemplare di 40
kg.»
Ringraziai
mentalmente l’assenza di Jonathan, perché non avrebbe preso per niente bene
quella battuta.
La
cena continuò senza troppi intoppi. Malon sembrava capace di portare avanti una
conversazione da solo da quanto cianciava e si perse a ricordare con i miei
genitori aneddoti del passato, ai quali Launi e Hako facevano a gara ad
aggiungere dettagli. Purtroppo per me, sapevo che era solo questione di tempo
prima che tirasse fuori la storia tra me e Gallen, anche se per lui non eravamo
andati oltre all’amicizia.
«Allora,
Cay, come te la passi? Immagino che sia difficile per te vivere qui, lontano
dai tuoi amici» disse all’improvviso, cercando d’inserirmi nella conversazione.
«Sì,
a volte è difficile e sento la nostalgia di casa, ma c’è sempre così tanto
lavoro che il più delle volte non ci penso» risposi diplomatica.
«Capisco
benissimo. E hai lasciato un fidanzato sulla Terra?»
Per
poco non mi strozzai. Persino Gallen s’irrigidì.
Bevvi
un sorso di tè. «No. Non ho l’abitudine di abbandonare qualcuno per fuggire su
un altro pianeta.»
Beccati
questa, Gallen.
«Buono
a sapersi. Se non ricordo male tu e Gallen eravate molto legati quando è
partito per l’Accademia.»
«Può
essere» mormorai. Da sotto il tavolo, Hako mi prese la mano, stringendola
compressiva.
Mia
madre si schiarì la voce, pronta a cambiare argomento, quando Cain prese la
parola per la prima volta da quando avevamo iniziato a cenare.
«Se
non sbaglio, avete iniziato a frequentarvi dopo che Gallen ti aveva criticato
per essere senza seno.»
Sulla
tavolata scese un silenzio pesante, interrotto solamente dalla profonda risata
di Malon.
Sia
io che Gallen lo fissammo con gli occhi fuori dalle orbite. Tipico di Cain
ricordare aneddoti imbarazzanti a cena. Per poco non piegai le posate da quanto
stringevo i pugni.
«Non
ho detto così» sentenziò Gallen, a disagio.
Ah,
no?
«In
realtà sì» esclamai, prima che potessi controllarmi. «Ricordo benissimo che non
facevi altro che dire quanto fosse bella Selenia Goz e io ti corressi dicendoti
che per il suo dodicesimo compleanno si era fatta regalare delle modifiche al
seno.»
«Oh,
già. È vero» mi assecondò lui, posando il viso su una mano. «E tu eri così
gelosa…»
Per
poco non lo infilzai con il coltello.
Mia
madre sbuffò. «Nessuna madre con un po’ di sale in zucca avrebbe dato la sua
approvazione per una modifica del genere. L’ho sempre detto a Cay che l’assenza
di curve abbondanti non è necessariamente una caratteristica negativa.»
«Mamma!»
sbottai.
«Direi
che Gallen può dire lo stesso, dato che le ha brevettate e approvate.»
«Cain!»
ruggì Gallen.
Il
viso di Launi era contratto nel tentativo di non scoppiare a ridere, mentre mio
padre era letteralmente basito dalla piega che aveva preso quella
conversazione. Hako, dal canto suo, ci aveva scattato una bella foto ricordo
per immortalare quel fantastico momento.
«Vado
a prendere il dessert!» esclamò Launi, prima che la situazione potesse degenerare.
Per
quel che mi riguardava era già troppo tardi.
Dopo
il dolce, mi diressi con una scusa fuori dalla base. Avevo bisogno di respirare
un po' d’aria fresca e di mettere la maggiore distanza possibile tra me e gli
idioti della famiglia Stryker. Decisi di fermarmi sul ponte, sperando che
scegliesse proprio quel momento per crollare. Da punto di vista logistico,
quella cena era andata benissimo, dato che non era morto nessuno eccetto la mia
dignità, mentre dall’altra avrei preferito una conclusione diversa.
Sospirai,
giocherellando con i bracciali mentre osservavo il cielo stellato sopra di me.
«Mi
dispiace per mio padre e mio fratello. Possono essere difficili da gestire.»
Gallen
mi colse alla sprovvista, al punto che per poco non squittii dallo spavento.
Cercai invece di apparire impassibile e di mantenere il controllo mentre mi si
avvicinava, nonostante il mio cervello non la smettesse di urlare impaurito.
«Intendi
difficili da controllare» sentenziai neutra, contando fino a tre prima di
voltarmi a fissarlo.
Dio,
era cresciuto davvero bene. L’Accademia Militare aveva trasformato il suo
fisico un tempo secco in un ammasso scattante di muscoli e il viso aveva perso
la dolcezza della fanciullezza, diventando un armonioso insieme di linee decise
e marcate. Insomma, ero praticamente fottuta.
Lui
mi rivolse un sorriso sghembo in risposta, dopodiché si tolse la giacca e me la
posò sulle spalle.
Lo
ringrazia, stupita per quel gesto. Non potei fare a meno di percepire il calore
del suo corpo e il profumo della sua colonia. Sperai che l’oscurità celasse il
mio viso improvvisamente diventato bollente.
Rimanemmo
in silenzio per un po', continuando ad ammirare il cielo.
In
cuor mio sapevo che quel momento sarebbe arrivato; lo attendevo, lo bramavo, ma
allora perché non desideravo altro che scappare a gambe levate?
«Senti»
iniziò Gallen, passandosi una mano tra i capelli, visibilmente in imbarazzo. «Ti
avrei scritto per avvisarti che ero in zona, ma non sapevo cosa dirti. Era una
situazione piuttosto spiacevole.»
«Già,
mai quanto una pistola puntata alla testa.» Non rise alla mia battuta, per cui
cercai di rimediare. «Ma ti capisco. Nemmeno io avrei saputo affrontare questa situazione.»
Sospirò.
«Non possiamo cambiare il passato, però possiamo ricominciare da zero su questo
pianeta, che ne dici?»
Come,
tutto qui? Niente spiegazioni sul perché mi ha piantata in asso senza una
parola?
Feci
appello a tutto il mio autocontrollo per non saltargli al collo e strozzarlo.
«Certo…
Perchè no?» risposi con un sorriso tirato.
Gallen
mi rivolse uno sguardo radioso, per poi illuminarsi. «Ehi, ho un’idea! Perché domani
non vieni con me in perlustrazione? Potrei farti vedere il nostro lavoro. In
fondo ti piacciono gli animali, se ben ricordo.»
Ma
che cosa…
«Sì,
quelli terrestri. E penso che qui l’astio sia comune.»
«Oh,
smettila. Astreo fa sempre così con gli estranei, ma in realtà è un gran
simpaticone. Allora, che ne dici? Magari potresti aggiornarmi su cosa mi sono
perso sulla Terra.»
Giocherellai
di nuovo con i bracciali, ma in cuor mio sapevo che gli avrei risposto solo in
un modo.
«Va
bene…»
«Perfetto!»
esultò lui. «Vado a comunicarlo ai tuoi genitori. Vedrai, ci divertiremo.»
Già…
non vedevo l’ora…
Tatatata pubblicità.
Ben trovati con un nuovo capitolo. Spero che anche questo sia stato
di vostro gradimento nonostante la poca azione e spero anche che apprezziate la
squadra della base Beta (so che da qualche parte nel cosmo ci sono favoritismi
strani, non è vero *coff*Marina*coff* ?) perché in futuro si vedrà spesso.
Quindi sì, rassegnatevi.
Come sempre ringrazio Sagas per la recensione e tutti quelli che
hanno aggiunto questa piccola storia tra le seguite, preferite ecc ecc…
Non vi nascondo che ho già in mente qualcos’altro in proposito,
anche se non so bene come impostare la cosa.
Devo
ammetterlo. Dopo qualche tentennamento, accettare l’invito di Gallen si rivelò
una mossa azzeccata. Non tanto per la sua compagnia, sia chiaro, ma per il
semplice motivo che non vedevo l’ora di scoprire come funzionasse la base Beta.
E sì, anche per gli animali…
A
dire il vero mi stupii della velocità con la quale i miei genitori
acconsentirono a tale richiesta. Dopo tanti sermoni sulla sicurezza e sul fatto
che non potevo mettere piede fuori dall’area di competenza del Gamma, ora mi
stavano letteralmente gettando tra le braccia di Gallen. Forse perché avevo finalmente
trovato qualcosa con cui tenermi occupata invece di lamentarmi per tutto il
tempo, o forse perché pensavano…
Non
scherziamo. Tra me e Gallen non c’era più nulla. Ma forse potevo sfruttare la
gita fuori porta per indagare sul passato e lasciarmi questa storia alle spalle
una volta per tutte.
Gallen
venne a prendermi dopo colazione come pattuito ma, invece ci accompagnarmi
direttamente al Beta, mi fece fare un giro nei dintorni della base, dove era
stato allestito una specie di campo per la fauna del luogo.
Inutile
dire che quello spettacolo mi lasciò senza fiato.
Gli
animali erano liberi di muoversi a loro piacimento nelle varie aree dedite,
mentre i volontari si occupavano di quelli feriti o ammalati in postazioni
distinte. Gallen mi spiegò che la maggior parte degli ospiti erano solo di passaggio,
ma che alcuni rimanevano comunque nei paraggi, spinti dalla curiosità verso la
nostra specie e per gli spuntini gratis. Tutti gli esemplari che passavano dal
campo venivano muniti di microchip, un’operazione che rendeva più semplice
tenerli d’occhio e per studiare le loro abitudini.
Era
totalmente diverso dal lavoro che stavamo facendo al Gamma, così tanto che
quasi quasi avrei voluto chiedere un trasferimento. Pensiero che scacciai
subito quando mi resi conto che una base così affollata non era il massimo per
una ragazza.
Non
essendo solo una base scientifica, ma anche militare, le donne scarseggiavano
in proporzione al numero di soldati, per cui mi trovai parecchio a disagio
quando facemmo un rapido giro degli ambienti. Gallen dovette aver capito quello
che mi stava passando per la testa quando incrociammo l’ennesimo commilitone
che mi fece l’occhiolino, perché mi condusse verso la zona più esterna,
dedicata ai predatori.
In
uno dei box ritrovai la veterinaria dai capelli rossi, Hygeia, alle prese con
un Lycaon che conoscevo bene.
Zephyrus
fu il primo ad accorgersi del nostro arrivo. Incominciò a guaire e a scodinzolare,
mentre Hygeia stava finendo di controllare le sue condizioni sul suo datapad.
Quando alzò gli occhi verso di noi, ci rivolse un leggero sorriso.
«Ma
guarda, non riesce mai a stare fermo» sentenziò Gallen, avvicinandosi per
accarezzare il cucciolo, che ricambiò quelle attenzioni con delle generose
leccate alle sue dita.
«Forse
è per questo che è stato fortunato. La ferita si è rivelata superficiale e non
ha intaccato i nervi e il muscolo. Qualche giorno di riposo e sarà come nuovo.»
«Riposo?
Non credo che questo termine sia presente nel suo vocabolario» ridacchiò lui, prima
che Zephyrus lo caricasse facendolo finire al tappeto. Mi scappò una risatina.
«Sembrano
molto uniti» commentai, avvicinandomi alla donna mentre sterilizzava gli
strumenti posati sul tavolo chirurgico.
«Diciamo
che è così» mi spiegò. «In genere i Lycaon sono animali schivi e territoriali,
ma quando Eos è entrata in travaglio ci sono state delle complicazioni.
Dovevamo scegliere: rimanere a monitorare la situazione senza far nulla o
intervenire. Puoi immaginare su cosa sia ricaduta la scelta. Una squadra ha
dovuto tenere occupato Astreo e, fidati, non è stato un lavoro piacevole,
mentre l’altra ha portato Eos qui, dove Zephyrus e Borea sono nati. Sani come
pesci. Sono diventati le nostre mascotte, in poche parole. Anche se Astreo e
Eos preferiscono girarci alla larga, sanno che non siamo ostili nei loro
confronti e ci permettono di girare nel loro territorio come ospiti.»
«Credi
che si sentano in debito con voi?» chiesi, incuriosita dal loro strano rapporto.
«Certo.
Sono creature molto intelligenti. Tutto l’opposto dei Ferusus» commentò con un
sospiro, guardando oltre le mie spalle.
Mi
voltai e mi accorsi di un gruppo di quattro Ferusus che si rotolavano nel
fango, emettendo potenti grugniti dalle loro grandi narici. Assomigliavano a
dei comuni cinghiali, nonostante avessero un lungo e ispido manto verde e le
zanne molto più grosse e ricurve. All’improvviso, uno di loro si fermò,
puntando uno stormo di Padavo Gallus che beccava con zelo il terreno lì accanto.
Inutile accennare al disastro che avvenne subito dopo, con gli animali che
s’inseguivano nel cortile spandendo fango e penne ovunque.
«Dei,
a volte mi domando se siamo una base di ricerca o una fattoria» sospirò Hygeia,
ritornando alle sue occupazioni e ignorando i soldati di turno che tentavano
inutilmente di riportare l’ordine.
«Beh,
almeno non dovrete preoccuparvi per la cena» sentenziai. In fondo avevo già
provato la carne di Padavo ed era quasi come quella di un pollo normale, solo
più saporita e dal colore verdognolo.Stavo per aggiungere altro quando Zephyrus mi venne incontro,
abbandonando sopra ai miei piedi un pollo di gomma tutto masticato.
«Ora
tocca a te badare a lui» sentenziò Gallen con il fiatone. «Devo un attimo
discutere con Hya e poi possiamo proseguire il nostro giro.»
«D’accordo.»
Annuii, prendendo in mano il giocattolo con una smorfia di disgusto a causa di
tutta la saliva di cui era impregnato.
Mi
spostai ai margini della radura, indecisa se lanciare o meno il giocattolo a
Zephyrus per paura di aggravare la ferita sulla sua zampa, ma quando alzai la
testa, mi accorsi che gli altri due avevano cambiato atteggiamento. Gallen
sembrava teso, mentre Hygeia gli mostrava le lastre che aveva fatto alla lesione
del Lycaon, spiegandogli qualcosa che non riuscivo a sentire. Si concentrarono
sulla linea della ferita e Gallen sembrò accigliarsi.
Un
guaito mi richiamò dai miei pensieri. Zephyrus mi diede un colpetto con il muso
e io gli accarezzai le piume.
«Sembra
che il tuo incidente abbia sollevato parecchie preoccupazioni» esclamai,
grattandogli un orecchio. «Certo che vedersela da solo con un Loricasauro… Che
cosa ti è saltato in mente?»
Mi
rabbuiai. Perché la scusa di Gallen improvvisamente mi sembrava priva di senso?
«Eccomi!»
Ma
perché doveva sempre cogliermi alla sprovvista? Sussultai e il pollo mi scivolò
dalle mani, per grande gioia di Zephyrus, che partì all’inseguimento della
preda.
«Scusa,
ti ho spaventata?» il sorriso impertinente di Gallen mi fece venire voglia di
tirargli una sberla.
«Per
nulla» bofonchiai. «Allora, qual è la prossima tappa?»
Il
luccichio che comparve nei suoi occhi non presagiva nulla di buono.
«Io
pensavo a un picnic…»
«Vuoi
dire un sopralluogo dell’area per vedere se ci sono nuovi problemi, non è così?»
Gallen
si azzittì. La nota scherzosa del suo sguardo si spense, lasciando posto alla
serietà che avevo intravisto poco prima. Incrociò le braccia al petto.
«Io
starò al tuo gioco, se tu starai al mio.» Era una frase che usavamo spesso in
passato, quando ci mettevamo nei guai e avevamo bisogno di un aiuto per non
farci beccare dai rispettivi genitori.
«Non
sarò un’esperta, ma non credo che un Loricasauro riesca a infierire una simile
ferita. Al massimo ti calpesta e ti frantuma le ossa. Inoltre, i bordi del
taglio di Zephyrus erano netti e leggermente cauterizzati, quindi direi che si
è trattata di una pisto…» Gallen mi mise una mano sulla bocca, guardandosi
attorno nervosamente.
«Zitta!
Non saltiamo subito a conclusioni affrettate!»
«Del
genere che uno dei tuoi ha il grilletto facile o ci sono dei contrabbandieri?»
Gallen
mi fulminò con lo sguardo. Si allontanò da me passandosi nervosamente una mano
nei capelli. Quando alla fine tornò a guardarmi, il suo viso era teso e
ombroso. «Secondo te perché le squadre di catalogazione faunistica sono sempre
affiancate da un reparto militare? Ogni volta che viene scoperto un nuovo
pianeta abitabile, c’è il rischio che gente priva di scrupoli voglia ampliare
il proprio monopolio al mercato nero. Ed è solo questione di tempo prima che
succeda anche qui. È una questione seria, Cay. In questi due anni abbiamo già
intercettato tre gruppi di noti contrabbandieri, ma non siamo onniscienti. Ho
spiegato a Malon i miei dubbi sulla situazione attuale, specialmente riguardo agli
insoliti spostamenti degli animali nell’ultimo periodo, ma senza nessuna prova
non possiamo fare nulla.» Sospirò, per un attimo mi resi conto di quanto fosse
stanco. «Ma come l’hai capito?»
«Sono
figlia di due scienziati, ricordi? So fare due più due» sentenziai, per poi
sorridergli comprensiva. «Comunque, ti darò volentieri una mano.»
«Non
credo che ci siamo capiti.» Si chinò verso di me, osservandomi scettico. «Non
ti ho portata qui per andare a caccia della feccia dell’universo.»
«E
allora perché… oh…»
Oh,
merda.
Il
silenzio che cadde tra noi si fece pesante.
Gallen
fu il primo a ricomporsi, lo sguardo ancora a disagio. «Ad ogni modo, niente
colpi di testa. Faremo un semplice giro, darò un’occhiata a Eos e a Borea e poi
ti riaccompagnerò al Gamma, intesi?»
«Sì,
signor Rovinadivertimento.»
«Oh,
fidati… so ancora come divertirmi.»
E
in effetti aveva ragione.
Il
buon vecchio Gallen non aveva perso del tutto il suo smalto all’Accademia.
L’area
di competenza del Beta era enorme, forse addirittura il doppio di quella del
Gamma, per cui fummo costretti a usare gli hoverboard per spostarci. E ne
adorai ogni singolo momento.
Nonostante
il mio fosse di una versione meno aggiornata rispetto a di quello di Gallen,
riuscii a stare al suo passo e mentre sfrecciavamo tra la vegetazione non
pensai a nulla. La sensazione del vento tra i capelli, l’adrenalina causata
dalla velocità, i sensi pronti e scattanti… Volare risultò così liberatorio che
mi ritrovai a ridere sul serio per la prima volta da quando ero approdata su
Viridis.
Gallen
era un pilota provetto, ma non era abbastanza agile. Lo distaccai in un tratto
intricato di liane, serpeggiando tra le piante con un’abilità frutto di anni di
pratica. Lui però mi ribeccò subito dopo in una radura, facendomi la linguaccia.
Ci divertimmo così, a superarci l’un l’altro e a mettere alla prova le nostre capacità
per buona parte del tempo. Nel giro di un’ora raggiungemmo l’alveo al di sotto
delle cascate Crenee. Era uno dei più grandi spazi aperti della vallata grazie
all’erosione costante dell’acqua ed era uno spettacolo mozzafiato.
Innumerevoli
arcobaleni scintillavano nell’aria e il fiume brillava di mille colori diversi
grazie alle pietre policrome sul fondale, sbattendo sulle rocce con schizzi vaporosi.
Dozzine di specie si abbeveravano in vari punti di secca, vivendo in armonia
tra loro. Passammo in mezzo a un branco di Stegodon Viris che faceva il bagno
tra i flutti. Erano creature colossali, tanto che non ci notarono nemmeno
quando zigzagammo tra loro. Eccetto un giovane esemplare che, infastidito dal
rumore delle nostre tavole, spruzzò dalla proboscide un potente getto d’acqua contro
Gallen, colpendolo di striscio. Con mio sommo divertimento, si ritrovò metà
corpo bagnato fradicio.
Mi
lanciò un’occhiataccia quando scoppiai a ridere in modo incontrollabile.
Dopo
esserci divertiti abbastanza con il volo libero, cambiammo rotta per ritornare
sui nostri passi. L’atmosfera allegra che ci aveva accompagnati per tutto il
percorso sembrava essersi spenta e a malincuore mi accorsi che Gallen aveva
ripreso a scrutare i dintorni con occhi vigili e diffidenti.
Non
mi ero accorta di quanto mi mancasse il vecchio lui fino a quel momento.
Eravamo
quasi a cinque chilometri dal Beta quando Gallen virò e incominciò a scendere.
Lo seguii in silenzio, attenta a non perderlo di vista.
Atterrammo
in mezzo al rigoglioso sottobosco e disattivammo gli hoverboard, dato che erano
pressoché inutili in quel luogo. Gallen aprì la strada e procedemmo per qualche
momento finché in mezzo agli alberi non comparve una formazione rocciosa dotata
di grotte. La tana di Astreo.
«Stai
dietro di me» mormorò lui, prendendo il fischietto dalla tasca della divisa.
«Loro non conoscono ancora il tuo odore e potrebbero considerarti un’intrusa.»
«Va
bene, me ne starò qui buona.» Per quanto possibile, aggiunsi mentalmente.
Gallen
mi rivolse un sorriso sghembo, per poi suonare una serie di fischi in rapida
successione. Attendemmo qualche momento, ma non accadde nulla.
Accigliato,
Gallen riprovò, venendo corrisposto solo dal silenzio.
«Forse
sono uscite» dissi, anche se nemmeno io suonavo molto convincente.
«I
Lycaon sono in grado di percepire i suoni da grandi distanze. Dovrebbero
rispondere se fossero nell’area.»
Il
suo tono preoccupato mi afflisse. Non sapevo come aiutarlo e purtroppo sapevo che
un Gallen angosciato equivaleva a un Gallen fuori controllo.
«Riprova,
magari con un altro segnale» proposi.
Lui
annuì senza guardarmi. Si mise in bocca il fischietto, ma s’interruppe a metà del
richiamo.
All’inizio
sembrò un semplice abbaglio, eppure avvertimmo qualcosa sfrecciare nella
vegetazione, puntando dritto nella nostra direzione; qualcosa d’incredibilmente
veloce e forse potenzialmente letale.
Gallen
si mise subito davanti a me, la mano pronta ad estrarre la pistola ad impulsi.
Dopo qualche secondo di pura tensione, da un cespuglio comparve un cucciolo di
Lycaon simile a Zephyrus, ma dal piumaggio meno vivace e le orecchie più corte.
Borea.
«Borea!»
esclamò Gallen, ma il Lycaon sembrava troppo spaventato per fare caso a lui.
Continuava a raspare il terreno e a guaire, la lunga coda arruffata che si
scuoteva come una frusta nell’aria.
«Calma,
calma bella!» Gallen si accucciò verso di lei e gemette quando il Lycaon lo
colpì per sbaglio con la propria estremità. Dopo qualche tentativo e molte
imprecazioni, riuscì a prenderla in braccio. Negli occhi dell’animale riuscii a
vedere la paura, il suo petto si alzava ed abbassava a un ritmo preoccupante.
«Dobbiamo
portarla al Beta» dichiarai, mentre Borea continuava a guaire.
«Hai
ragione. Tu l’accompagnerai al Beta. Io andrò in avanscoperta. Di’ a Cain e a
Hector di radunare gli uomini non attivi e di locali…»
«No!
Non se ne parla!» sbottai ad alta voce. Borea mi ringhiò contro per autodifesa,
ma non la badai. «Non ti lascerò andare da solo!»
«E
dimmi, che aiuto potresti mai darmi? Non sei qualificata per questo, Cay.»
Strinsi
i pugni, non riuscendo a ribattere. Aveva ragione, ma dimenticava che non ero una
che mollava al primo impedimento.
«Potrei
registrare gli eventi e fornire a tuo padre e al Comitato di Preservazione
Naturale abbastanza prove da incastrare chi c’è dietro a tutto questo. Ti
prometto che al minimo accenno di pericolo me ne andrò, ma devi farmi venire
con te. Altrimenti dirò a tuo padre che hai violato uno dei regolamenti.»
«Che
cosa intendi?» chiese lui accigliato.
«Sono
piuttosto sicura che in questi casi il regolamento preveda di contattare la
base in attesa dei rinforzi, di non saltare subito nella tana del lupo.»
Gallen
mi lanciò un’occhiataccia, ma alla fine si arrese.
Osservò
Borea, che nel suo abbraccio aveva iniziato a respirare normalmente e sospirò.
«Va
bene. Non farmene pentire Cay o giuro…»
«Cosa?
Mi denuncerai al tribunale militare?» chiesi, allargando le braccia.
«Dio,
con te non si può proprio discutere.»
Li
trovammo a circa una ventina di chilometri dal Beta.
L’aeronave
era stata ridipinta per essere difficilmente visibile nella vegetazione e, a
giudicare dalle dimensioni, doveva trattarsi di un cargo pesante. Lì accanto si
ergeva un prefabbricato abbastanza grande da ospitare comodamente cinque o sei
persone, anche se ne contammo almeno una dozzina, divise tra la navetta e
l’abitazione. Indossavano dei semplici abiti camo e imbracciavano fucili ad
impulsi provenienti dal mercato nero. Tipico pacchetto del contrabbandiere
perfetto. Uno di loro uscì dal prefabbricato parlando in una ricetrasmittente.
Aveva un forte accento ispanico, per cui non riuscii a decifrare quello che
diceva, ma non prometteva nulla di buono, dato che ordinò agli altri di
spostare le gabbie all’interno della navetta.
Qualcuno
aveva fretta di andarsene.
Tuttavia,
quello che veramente ci colpì furono proprio le innumerevoli gabbie che
contenevano diverse specie di animali. Eos era accasciata in una di quelle più
in fondo, ancora fuorigioco a causa dei tranquillanti che aveva in corpo. Di
fianco a lei si trovavano diversi esemplari di Ferusus, Orycoto, Paradisea, e
persino delle Iguanee. In una voliera, diversi Psittali dormivano a testa in
giù, probabilmente narcotizzati a causa del loro acuto verso.
Di
fianco a me, avvertii Gallen digrignare i denti, gli occhi offuscati per la
furia omicida che provava in quel momento. Gli posai una mano sul braccio,
cercando di calmarlo.
«Non
preoccuparti, li tireremo fuori» sussurrai, afferrando il mio datapad.
Lui
annuì, digitando qualcosa sul suo computer da polso. Non persi altro tempo. Mi
tolsi il sudore dagli occhi con il dorso della mano e incominciai a riprendere,
facendo attenzione a rimanere nascosta. Feci un primo piano della base, per poi
soffermarmi sui volti dei contrabbandieri che passavano davanti a noi.
Ma
c’era qualcosa che non quadrava. Sembravano troppo tranquilli, nonostante si
trovassero circondati da basi scientifiche monitorate costantemente. Una volta
ripreso l’insieme, mi concentrai sui dettagli, cercando di capire il motivo per
cui non erano ancora stati localizzati. La navetta era facile da eclissare, ma
un’intera base no. Eppure sembrava persino poco equipaggiata rispetto agli
standard. Sul tetto era fissata una rudimentale antenna parabolica, il che
voleva dire che erano collegati a un qualche satellite per le comunicazioni,
eppure…
Osservai
la piccola scatola fissata alla base dell’antenna. Che fosse…
In
quel preciso momento, il mio datapad iniziò a squillare, facendo prendere un
colpo sia a me che a Gallen. Sullo schermo comparve un nome che conoscevo bene.
Kley.
Mi
pentii immediatamente di averle scritto la sera prima.
Mi
protrassi a chiedere la chiamata, quando all’improvviso il segnale scomparì.
Non ci feci subito caso, dato che in quel momento avevo altre priorità. Eravamo
stati scoperti.
«Ehi!
Ehi!»
I
contrabbandieri spararono una raffica con i loro mitra nella nostra direzione,
facendo esplodere in una miriade di schegge la nostra copertura... Gallen mi
gettò a terra un’istante prima che finissi sulla traiettoria di un proiettile,
che andò a conficcarsi nel tronco dietro di me.
«Gal…»
«Riesi
a volare?» mi urlò, mentre rispondeva al fuoco.
«Certo!»
«Bene,
tieniti pronta!»
Aspettò
il momento della ricarica delle munizioni per fare la sua mossa. Mentre i
contrabbandieri erano impegnati, Gallen estrasse un ordigno fumogeno dalla
divisa e lo lanciò nella piazza che ci divideva. Tre secondi e scoppiò il caos.
La deflagrazione fu assordante e in pochi istanti l’aria si riempì di una spessa
nube di fumo. I contrabbandieri imprecarono sonoramente, iniziando a sparare
alla cieca mentre gli animali ancora svegli si agitavano nelle loro gabbie.
«Ora!»
mi urlò Gallen.
Azionai
il mio hoverboard e mi gettai nella boscaglia. I proiettili ci volavano
attorno, scalfendo la corteccia degli alberi e riempiendo l’aria di schegge.
Più volte rischiai di cadere dalla tavola per proteggermi il viso con le mani,
ma riuscii a mantenere una buona velocità.
Dopo
qualche minuto di fuga alla cieca, mi accorsi di essere rimasta sola.
Il
panico mi assalì.
«Gallen!»
urlai.
Mi
guardai attorno, ma udii solo la mia voce echeggiare tra gli alberi.
Mi
sentii mancare. In genere ero una persona razionale che sapeva controllare le
proprie emozioni nel momento del bisogno, ma all’idea che Gallen fosse ferito o
peggio mi s’ingarbugliarono le budella.
«Gallen!»
riprovai.
Dopo
qualche momento di silenzio, dalla boscaglia uscì una sagoma famigliare.
«Oh,
santa Hack! Non farmi mai più…»
«Zitta
e seguimi!» mi liquidò con un tono che mi lasciò senza parole. Era… era come
quella volta sulla Terra.
Feci
come mi aveva ordinato e lo seguì in silenzio per qualche chilometro, ma mi fu
subito chiaro che qualcosa non andava. La sua postura era sbagliata,
sbilanciata da un lato, come se...
Quando
scivolò dall’hoverboard dovetti fare una manovra improvvisa per riuscire a frenare
la sua caduta. Grugnii di dolore, mentre i muscoli delle mie braccia gridavano
nel trattenere il suo peso. L’hoverboard si schiantò a qualche metro da noi, ma
non m’importò. Mi abbassai di quel tanto che bastava e lo lasciai.
Fui
subito al suo fianco.
«Gallen!
Gallen!»
«Questa
proprio non ci voleva» grugnì. Allontanò la mano dal fianco e mi accorsi che
l’avevano colpito. «La tua amica ha scelto proprio un bel momento per
spettegolare.»
I
miei occhi si riempirono di lacrime. «Oddio, io…»
«Dopo»
mi ordinò. «Dobbiamo metterci al riparo. Sanno che li abbiamo visti e ci
daranno la caccia.» Osservò rapidamente il paesaggio attorno a noi. «Qui siamo
scoperti. Aiutami ad alzarmi, conosco un posto che potrebbe tornarci comodo.»
Cercai
di aiutarlo per quanto mi consentiva la mia statura e arrancammo per qualche
centinaia di metri nella boscaglia, fino a raggiungere un’insenatura scavata
nel terreno.
«Sei
certo che sia sicura?» chiesi titubante.
«Sì,
è una vecchia tana. Non ci vive più nessuno se è quello che ti preoccupa»
ansimò, crollando contro la parete argillosa. Provò ad allungare il braccio per
estrarre qualcosa da una tasca, ma con un gemito si bloccò.
«Faccio
io» mugugnai. Dopo qualche tentativo, riuscii a trovare un piccolo kit medico.
Con mosse rapide lo aiutai a togliersi la giacca e gli sollevai la maglietta.
Grazie al cielo quegli uomini avevano una pessima mira e non l’avevano colpito
di netto, ma l’abrasione causata dal colpo mi apparve improvvisamente oltre le
mie capacità. Incominciai a tremare, ma Gallen mi mise una mano sopra le mie.
«Respira»
mi disse, come se fossi io quella ferita.
Annuii
e montai la siringa, iniettandogli un mix di antidolorifici e antibiotici
vicino al taglio. Dopodiché lo bendai come meglio potevo con l’utilizzo della
piccola garza in dotazione.
«Andrà
tutto bene» provai a farmi coraggio, mentre lui sospirava chiudendo gli occhi.
Aspettai
qualche momento, poi mi alzai e andai a recuperare gli hoverboard prima che
qualcuno li vedesse. Ci misi un po' a ritrovare quello di Gallen. Era rimasto
incastrato nei cespugli, le eliche interne che ruotavano a vuoto sollevando una
miriade di foglie. Dopo qualche imprecazione, riuscii ad estrarlo e a spegnerlo.
Esaminandolo accuratamente fui sollevata dalla conferma che fosse ancora
integro.
Ritornai
alla tana e mi accorsi che Gallen mi stava fissando.
«Ho
recuperato le tavole» dissi, quasi come se dovessi giustificarmi.
«Ben
fatto. Hai ancora il tuo datapad?»
Annuii
e mi lasciai cadere accanto a lui.
Recuperai
l’oggetto e feci partire una chiamata alla base Beta, ma sullo schermo mi
comparve l’avviso della mancanza di campo.
«Ma
cosa?»
Esterrefatta,
riprovai. Cercai di mandare un messaggio a Hako, ma niente; sembrava essere in
una zona morta.
«Non
è possibile. Eppure prima Kley è riuscita a chiamarmi…»
Stavo
per avere un attacco isterico, quando Gallen mi afferrò il viso e mi costrinse
a guardarlo. «Calmati Cay. Respira.»
«Calmarmi?
Tu sei ferito, non possiamo chiamare i rinforzi, là fuori ci sono uomini armati
che non esiterebbero un attimo a spararci e tu mi dici di stare calma?»
Gallen
mi lanciò un’occhiata eloquente alla quale non servivano parole. Per poco non
gli ringhiai contro, ma chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi.
«Meglio?»
mi chiese, quando recuperai il controllo di me.
«Sì,
credo di sì.»
«Molto
bene. Ora, fai il punto della situazione.»
Sgrana
gli occhi. «Io? Sei tu il militare!»
«Ma
tu sei la scienziata. Dimmi cosa possiamo fare.»
Oh,
la faceva facile. Gli avrei dato un pugno, ma mi avevano insegnato che non era
molto nobile picchiare gli invalidi, per cui cercai di concentrarmi, nonostante
il carico emotivo fosse un impiccio.
«Ragioniamo.
In qualche modo sono riusciti ad eliminare il segnale dall’area, ma se fosse
successo in tutta la vallata quelli dell’Epsilon se ne sarebbero accorti e sarebbe
partito in automatico un segnale di emergenza. Quindi, deve essere solo una
zona circoscritta, abbastanza grande da permettergli di spostarsi. A causa del
satellite è molto probabile che aspetteranno le tenebre per andarsene senza
essere localizzati, però… C’è qualcosa che non mi torna.»
«Cosa
intendi?» domandò Gallen.
Mi
massaggiai il mento. «Sul tetto del prefabbricato c’era un’antenna parabolica,
quindi dovrebbero essere in collegamento con un satellite per le comunicazioni.
Ma l’unico attualmente in orbita è…»
«Del
governo» finì lui per me.
«Esatto.
Quindi devono essere entrati nel sistema, operando in sordina.»
«È possibile?»
«Sì.
Se usate con parsimonia le comunicazioni non autorizzate potrebbero apparire
per semplici interferenze a causa dell’orbita. Però di per sé è un bene.»
Gallen
mi lanciò un’occhiataccia. «Come può essere un bene?»
«Se
sono riusciti a collegarsi, possiamo farlo anche noi con loro. Il sistema non è
mai a senso unico.» La mia mente stava già partendo in quarta. «Senza
comunicazioni, le squadre del Beta non arriveranno mai in tempo, ma possiamo
usare la loro parabola contro di loro. Il problema è che dovremmo arrivare
all’Epsilon per lanciare un segnare abbastanza potente da creare delle
interferenze, però…»
Mi
azzittii, osservando Gallen che nel frattempo si era fatto pensieroso. L’Epsilon
era situato tra i monti Ida, e non era uno dei luoghi più facili da
raggiungere, o nemmeno uno dei più ospitali. Arrivarci con un ferito a carico
era pressoché infattibile, figuriamoci a bordo di hoverboard.
Gemetti,
massaggiandomi le tempie. Come al solito avevo creato un gran casino.
«So
a cosa stai pensando.» Il tono della voce di Gallen mi costrinse a guardarlo
negli occhi, ma quando alzai il capo e lo vidi sorridere mi mancò il fiato.
«E
sai già qual è la risposta. Andrai tu all’Epsilon.»
Ansimai.
«Ma non posso lasciarti qui solo e ferito! E se…»
Gallen
si sporse con il lato buono del corpo e mi mise una mano sulla bocca, per poi
posare la fronte sulla mia con un sospiro. Mi si riempirono gli occhi di
lacrime.
«Ascolta,
so che ne abbiamo passate tante ed è stata solo colpa mia, ma devi fidarti di
me. Va bene? Ho un piano, anche se non mi piace per nulla, in cui ho bisogno
che tu vada all’Epsilon. Hai ragione sul fatto che il Beta non riuscirà mai a raggiungere
in tempo l’accampamento, per cui dobbiamo creare un diversivo… Con questo.»
Trafficò
un attimo con la giacca, dopo di che mi mise in mano il suo fischietto.
«Cosa…»
«Dall’Epsilon
potrai collegarti al loro sistema di comunicazione e trasmettere un messaggio.
Gli animali della zona risponderanno in massa al giusto richiamo, facendo
penare quei figli di buona stella.»
«Ma
io non so come…» Mi girava la testa. Era tutto assurdo.
«Ti
faccio vedere. Non sarà difficile per te memorizzare dei segnali base, per
cui…»
«Aspetta!»
lo bloccai, chiudendogli la mano che ancora teneva il fischietto. «Gallen, io
non posso farcela. Devi essere tu a farlo.»
Lo
sguardo che mi rivolse mi sciolse letteralmente il cuore. «No, CayCay. Sei tu
quella che ce l’ha sempre fatta, non io. Ogni volta che le cose si facevano
complicate mi davo alla fuga, esattamente come tre anni fa con il divorzio dei
miei genitori. Ma tu non ti sei arresa, non è nella tua natura. Lo so.»
«Quindi
era per quello che te ne sei andato?» mormorai.
«Sì,
e mi dispiace di averti ferita a causa della mia incompetenza. Per cui mi
assicurerò che non succeda mai più. Sei pronta, CayCay?» mi chiese alla fine,
lo sguardo apprensivo.
Cercai
di mandare giù il groppo che mi era salito alla gola e annuii.
Lui
mi sorrise di nuovo, dopo di che mi fece ascoltare una serie di fischi ben
precisi, che ripetei fino a memorizzarli sotto il suo sguardo fiero e
soddisfatto.
«Direi
che sei pronta» mormorò, accarezzandomi i capelli dopo l’ennesima ripetizione.
Annuii
senza guardarlo, stringendo il fischietto tra le mani fino a conficcarmelo
nella pelle.
«Cay,
c’è un’ultima cosa…»
«Che
altro c’è?» gemetti, sul punto di scoppiare.
«Non
raggiungerai l’Epsilon con quel rottame del tuo hoverboard» disse, in tono
scherzoso. Mi mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e avvertii una
piccola pressione, come se mi avesse messo un orecchino a clip o… Il suo casco.
Sgranai
gli occhi. «Non ci credo» sussurrai, mentre mi offriva il suo hoverboard.
«Perché
no? Hai sempre voluto farci un giro, non è così?»
Eccoci qui con un nuovo
capitolo :3
Scusate il ritardo, ma sono
leggermente appestata XD
Come sempre ringrazio Sagas
per le recensioni e tutti quelli che hanno messo la storia nelle loro liste.
La
mia mente era affollata da dubbi e quesiti a cui non sapevo dare una risposta.
O
Gallen era un pessimo pilota, oppure aveva scelto lui di seguire la mia
andatura perché, mentre sfrecciavo a tutta velocità tra la boscaglia, una cosa mi
fu ben chiara: il suo hoverboard era cosmostellare!
Prima
di partire, Gallen l’aveva riequilibrato per il mio peso e aveva aggiustato gli
appoggi per i piedi, istruendomi in fretta su come maneggiarlo nel suo pieno
potenziale. Maggiore era la mia inclinazione rispetto al suo asse, maggiore era
la velocità con cui questo bolide viaggiava. E stavo letteralmente distruggendo
qualsiasi record pur di fare in fretta per salvare sia lui che gli animali.
Quando
arrivai in prossimità dei monti Ida dovetti fare uno sforzo per non esultare.
Avevo superato la parte più facile e ora avevo bisogno di tutta la mia
concentrazione per uscire indenne da quella più impegnativa. Spinsi
l’hoverboard ancora un po’, sorvolando i dintorni in cerca di un buon punto per
oltrepassare le creste acuminate. Se la memoria non m’ingannava, la base
Epsilon doveva trovarsi in un piccolo avvallamento a circa 2.800 m di altezza,
a metà strada dalla vetta. Una bella salita insomma, in cui tutto poteva
accadere.
A
poco a poco rallentai, facendo attenzione a non attirare troppo l’attenzione.
Sapevo che i Chrysaetos
erano in agguato. I loro nidi si trovavano sulle vette più alte e, nonostante
le nubi che li nascondevano alla visuale, possedevano sia un udito sia una
vista formidabili. Un passo falso e me li sarei trovati in picchiata verso di
me prima ancora di avere il tempo d’imprecare.
Incominciai
a risalire il crinale, cercando di non badare all’aria pungente che mi
pizzicava la pelle. Ero quasi arrivata a metà strada quando un luccichio alle
mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai, improvvisamente accecata dalla luce
che mi colpì gli occhi e notai qualcosa di piccolo e scuro sfrecciare
nell’aria: un drone.
Quindi
quelli dell’Epsilon sapevano della mia presenza. E allora perché… mandai giù l’ennesima
imprecazione. Stupidi regolamenti! Non solo non indossavo, di nuovo, la divisa
del Gamma, ma possedevo l’equipaggiamento dato in dotazione alla base Beta e mi
stavo dirigendo come una matta verso di loro. Ovvio che mi ritenevano una
minaccia. Sperai solo che il drone non avesse delle armi incorporate.
Cercando
di non badarci, continuai a salire, nonostante quel coso continuasse a ronzare
nei paraggi. Alla fine mi arresi. Stavo sprecando minuti preziosi e tale
constatazione mi fece imbestialire, ma decisi comunque di fermarmi per cercare
in qualche modo di dialogare con i miei stalker. Mi voltai verso il drone e
agitai le braccia, provando a spiegare con i gesti delle mani che non ero
pericolosa. Poi lo avvertii.
Era
solo un lieve spostamento d’aria all’inizio, finché l’enorme creatura non
piombò contro il drone ghermendolo tra i suoi artigli. E non era sola.
Il
panico mi ghiacciò il sangue nelle vene. Se fossi sopravvissuta avrei preso a
botte quelli dell’Epsilon. Azionai il casco e partii alla massima velocità.
L’hoverboard gemette appena, ma non ci badai. Dovevo andarmene da lì, a costo
di surriscaldarlo.
Il
secondo Chrysaetos
piombò in picchiata verso di me. Lo evitai scartando di lato, ma sapevo che era
solo una manovra evasiva. Erano tra le creature più veloci del pianeta e se
volevo uscirne viva avrei dovuto giocare d’astuzia.
Digrignai
i denti, maledicendo qualsiasi cosa mi venisse in mente, e zigzagai tra i
pinnacoli acuminati nella speranza di distaccarmi dai miei inseguitori quel
tanto che bastava per escogitare un piano.
Man
mano che salivo, le nubi iniziarono a diventare un problema. La visiera del
casco di Gallen non era adatta a quell’altitudine ed era programmata per
registrare la presenza di creature viventi, non ammassi rocciosi dall’aspetto
terrificante. Con il cuore a mille, combattevo nel tentativo di evitare gli
attacchi dei rapaci dietro di me e le rocce acuminate sulla mia strada; non so
quale dei due modi mi sembrasse il peggiore per morire.
Senza
che me ne accorgessi, uno dei Chrysaetos spuntò dalla nebbia. Il suo colpo d’ala fu così forte
che rimasi ancorata alla tavola solo grazie agli agganci. Per poco non finii
contro la parete rocciosa, ma riuscii a individuare una possibile via di fuga.
Tra due rocce c’era uno spiraglio abbastanza grande da farmi passare, ma che
avrebbe potuto rallentare i Chrysaetos.
Aumentai
la velocità, ben consapevole di fare una pazzia.
Gli
artigli del Chrysaetos
più vicino stavano per afferrarmi la giacca; l’attenzione dell’animale era del
tutto focalizzata su di me ed era ciò che speravo. Un attimo prima di entrare
nella fenditura, mi strinsi le braccia al petto. Passai per un pelo, mentre i
bordi dell’hoverboard mandavano scintille a causa dell’attrito contro la
roccia. L’urto mi destabilizzò un po’, ma come previsto due esemplari andarono
a schiantarsi contro la formazione rocciosa, sibilando di frustrazione mentre
cercavano di rimettersi all’inseguimento.
Il
mio sorriso vittorioso si spense quando il casco rivelò la presenza di
qualcosa… sopra di me.
Un
altro Chrysaetos
scese in picchiata e non so come riuscii a schivarlo appena in tempo. Tuttavia
non potei fare molto a causa del risucchio d’aria e finì per traballare contro
il lato della montagna.
Mordendomi
il labbro, riacquistai l’equilibrio e spinsi al massimo l’hoverboard. Decisa a
chiudere la partita una volta per tutte, fui io a virare e a scendere in
picchiata. Salire non stava dando alcun miglioramento, quindi perché non
provare la strada opposta?
Incominciai
ad andare veloce, troppo veloce. La visiera lampeggiava come un’insegna
pubblicitaria, l’hoverboard fischiava sotto pressione, ma io non accennai a
rallentare, non con i Chrysaetos alle calcagna.
Quando
uscii dall’ennesima formazione di condensa, mi ritrovai con uno spuntone di
roccia a pochi metri dal viso e feci l’unica cosa possibile. Bruciai
letteralmente i freni dell’hoverboard per rallentare abbastanza da scartare di
lato.
Il
colpo di frusta per quella manovra mi si propagò per tutto il corpo, ma ingoiai
le mie imprecazioni quando con un frastuono uno dei Chrysaetos divenne uno spiedo. Il possente animale si dibatté
ancora per qualche istante, circondato dai suoi simili che, alla vista di una
preda più grossa e allentante, persero interesse per me. Un po’ mi dispiaceva,
ma era pura e semplice selezione naturale.
Prima
di essere presa nuovamente di mira, ritornai sui miei passi, l’hoverboard che
tremava sotto i miei piedi. Non avevo la benché minima idea di quanto potesse
costare, ma probabilmente sarei stata in debito con Gallen fino alla fine dei
tempi.
La
salita fu più lenta dell’inizio, dato che procedevo con estrema attenzione e
parsimonia a causa del povero hoverboard ormai semidistrutto, ma alla fine
riuscii a trovare la base Epsilon. E non l’avrei mai definita accogliente, non
con tutte quelle antenne che la decoravano come un grande albero di natale e le
turbine dei generatori che gemevano accanto allo spiazzo per l’atterraggio
delle navette con i rifornimenti. Sul serio qualcuno viveva in un posto simile?
Io avrei chiesto un aumento.
Eliminai
il casco e mi avvicinai all’entrata, ma quando scesi dall’hoverboard crollai a
terra. Scioccata, mi tolsi dalle labbra la ghiaia che mi si era appiccicata
addosso a causa del sudore e mi voltai a osservare le mie gambe rattrappite.
Semplicemente non mi reggevano più, dato che stavano tremando come foglie.
«Santo
Hawking» sbottai, mettendomi a sedere. Fortunatamente avevo deciso di scendere
vicino alla scala, per cui mi aggrappai alla ringhiera e costrinsi il mio corpo
a rimettersi in piedi. Non avevo tempo da perdere.
Salii
faticosamente i pochi gradini che mi separavano dalla porta d’entrata e
schiacciai con forza il citofono.
Nulla.
Bussai
con forza, ma nessuno venne ad aprirmi.
«Ehi!
So che siete là dentro!» sibilai, non curandomi della mia voce tremante. «Non
ho tempo da perdere con il protocollo, per cui veniamo a noi. Un membro della
squadra Beta è stato ferito da dei bracconieri che probabilmente in questo
momento staranno levando le tende, per cui ho bisogno di ristabilire le
comunicazioni e avvertire le basi nei dintorni!»
Feci
alcuni respiri profondi, ma ancora una volta non ottenni risposta. Scossi il
capo, cercando di scacciare il panico e risuonai.
«Avanti,
non ho tempo da perdere, pezzi di…»
Udii
dei borbottii all’intero della base. Non abbastanza forti da capire se mi
stavano mandato in un’altra galassia o meno, ma abbastanza da accendere in me
la speranza.
«So
che siete lì! Se è per il drone mi dispiace, ma voi nerd delle comunicazioni
siete davvero stupidi a far girare quei cosi con i Chrysaetos che vivono al piano superiore. Fatemi entrare, vi
prego. Non ho cattive intenzioni. Se non ci sbrighiamo potrebbe essere troppo
tardi!»
Iniziai
a tempestare di pugni la porta, incurante del dolore sordo che si propagava
nelle mie mani.
Stavo
quasi per cedere quando una voce famigliare risuonò da dietro alla porta.
«Avanti
Herman. La conosco. È una del Gamma, per l’amor del cielo. Falla entrare. Lo
spettacolo di prima non ti è bastato?»
Rimasi
senza parole. Indietreggiai appena quando il portellone si aprì e davanti a me
comparve un ragazzo dagli scompigliati capelli biondi e gli occhi eterocromi
evidenziati da un paio di occhiali.
«Jonathan»
mormorai. Poi crollai. Mi gettai tra le sue braccia e incominciai a piangere.
Quando
mi ripresi ero abbastanza in imbarazzo per la mia reazione, ma fui accolta con
diverse pacche della schiena, una tisana calda e una pillola calmante. Jonathan
non fece alcun commento per il mio slancio emotivo e per questo lo ringraziai
mentalmente. Persino lui sembrava ancora sconvolto per quello che era successo
e si teneva ben alla larga da me, come se avesse timore di un nuovo contatto
fisico. Per quanto mi riguardava, non c’era alcun pericolo.
«Allora»
chiesi, dopo aver preso un sorso dalla tazza che qualcuno mi aveva messo in
mano. «Cosa ci fai qui?»
Jonathan
era appoggiato sul tavolo della sala operativa o “sala dei codici”, come la
chiamavano i cervelloni dell’Epsilon, ai quali lanciò un’occhiataccia. «Stavo
cercando di spiegare a questi operai sottopagati quali pezzi di ricambio mi
servono per riparare Betty. Nell’ultimo approvvigionamento avevano sbagliato
ordine e mi sono ritrovato tra le mani un bel po’ di ferraglia inutile, per cui
ho deciso di venire a frustarli di persona.»
«Oh»
fu la mia unica risposta. «Beh, quella ferraglia non è stata poi tanto
inutile.»
«Già,
se non fosse per me saresti rimasta là fuori finché un Chrysaetos non ti avrebbe portata nel suo nido.»
«Grazie
per averlo fatto presente, ma sì… Grazie.»
«Prego.
Ora, ritornando al tuo bellissimo spettacolo di hoverboard, raccontaci cosa è
successo.»
Presi
un altro sorso di tisana e iniziai a esporre per filo e per segno ciò che era
successo e le mie ipotesi. Mentre parlavo, i tecnici dell’Epsilon, tutti uomini
dai 30 ai 50 anni, mi lanciarono parecchie occhiate stupefatte e basite.
«Pensi
davvero che siano entrati nel sistema?» mi chiese uno di loro.
«A
meno che non ci siano altri satelliti spia direi di sì» mormorai. «Avete avuto
interferenze sospette in questo periodo?»
Uno
dei più giovani si voltò a controllare sulla propria postazione. Per un
momento, il rumore delle dita che tamburellavano sui tasti proiettati fu
l’unico ad aleggiare nella stanza.
«I
nostri sensori non hanno rivelato nulla. Solo interferenze dovute all’orbita.»
Mi
morsi il labbro, ma Jonathan ebbe un’idea migliore.
«Togliti
di torno e fammi lavorare.»
«Ehi,
non sei autorizzato a…»
Jonathan
si voltò verso il caposquadra con uno sguardo così furioso da farlo ammutolire.
Scosse la testa e rubò la sedia al tecnico. «Non capisco perché lasciano certi
giocattoli a degli incompetenti.»
Mi
alzai dallo sgabello sul quale mi avevano adagiato e mi avvicinai a Jonathan,
conscia del fatto che tutti i presenti ci stessero fissando come se fossimo
affetti da qualche herpes alieno.
«Uhm,
Jonathan? Non credo che ti convenga inimicarteli, fallo per il bene di Betty.»
«Non
è colpa mia se non sanno fare il loro lavoro» sbottò. Digitò ancora per qualche
momento, dopodiché alcuni codici del sistema s’illuminarono di rosso.
«Eccovi
qui, piccoli parassiti.»
Come
per magia, i tecnici dell’Epsilon furono immediatamente interessati al suo
operato. Ci circondarono in un attimo, iniziando a bombardarlo di così tante
domande che per un attimo ebbi un giramento di testa.
«Ok,
gente. Concentriamoci. Avete già avvisato le basi Beta e Gamma?»
Due
uomini accanto a Jonathan annuirono vivacemente, per poi tornare a osservare lo
schermo.
«Bene.
Jonathan, cosa puoi dirci?»
Lui
non staccò gli occhi dal monitor, ma il sorriso che gli comparve sul viso non
mi piacque per nulla.
«Oh,
ci sanno fare. Non loro, ovvio, ma chi sta dietro a tutto questo. Qualcuno deve
avergli detto come crackare il sistema con una serie di operazioni conosciute
come Phantom. Ma…» si stiracchiò sulla sedia, scroccando le dita. «La fortuna
oggi non è dalla loro.»
«Puoi
risalire al loro sistema?» chiesi, la speranza che cresceva nel mio cuore.
«Ehi!»
sbottò il caposquadra dietro di noi. Ci voltammo tutti a fissarlo.
«Per
l’operazione che intendi svolgere serve l’approvazione del Congresso. Non puoi
entrare in un satellite governativo come se niente fosse! Potrebbero espellerti
dal progetto o peggio.»
Beh,
era una buona osservazione. Per quanto tragica potesse essere la situazione, le
conseguenze sarebbero state davvero gravi se qualcuno ai piani alti fosse
venuto a conoscenza della piccola infrazione che stavamo per compiere. Il gelo
scese nella piccola stanza, ma solo Jonathan rimase imperturbabile. I suoi
occhi di colore diverso mi osservarono per un secondo prima di fare spallucce.
«E
allora?»
Lo
guardai con gli occhi sgranati, mentre si voltava e tornava a digitare codici a
una velocità mostruosa.
«Come
“allora”? Jonathan, perché… Un momento. L’hai già fatto, non è così?» chiesi
sorpresa nel vedere con quanta famigliarità stava svolgendo un’operazione
dietro l’altra.
Il
sorriso che mi rivolse era sia amichevole che spaventoso. «Non tutti nascono
con il pedigree pronto.»
Per
poco non mi strozzai. «Ommiodio! Ecco perché sei così strano e traffichi sempre
al computer! Sei un hacker!»
Jonathan
aggrottò le sopracciglia biondo scuro, ma non staccò lo sguardo dallo schermo.
«E dunque sarei strano?»
Sbuffai.
«Ok,
ok. Sì, un tempo mi sono messo nei guai con molta gente cattiva che esigeva i
miei servizi socialmente utili, per cui beh…un’imboscata della polizia qui, qualche parolina in tribunale là e ho
deciso di occuparmi di cose più interessanti con uno stipendio da fame. E poi
tutti hanno il diritto di voltare pagina. E ora zitta che mi distrai. Non
vorrai mica lasciare morire il tuo ragazzo in mezzo alla giungla.»
Feci
per aprire bocca per dirgli che Gallen e io non stavamo insieme da un sacco di
tempo, ma saggiamente la richiusi. L’idea che la vita di Gallen fosse nelle sue
mani m’inquietava non poco. Anche i tecnici dell’Epsilon ammutolirono
nell’udire che il ragazzo che sedeva tra loro in realtà era uscito dal lato
peggiore dei cybernauti.
«Allora…»
chiesi dopo qualche minuto. «Riuscirai a entrare nel satellite per
intercettarli?»
«In
realtà l’ho già fatto da all’incirca… 78 secondi. Con le giuste paroline dolci
ti si apre qualsiasi porta e il prototipo del satellite che hanno scelto è
abbastanza basilare. Niente in confronto a un satellite spia della NFRSS,
quello sì che…» la sua risata si spense.
Accorgendosi
del silenzio improvviso, Jonathan si voltò con occhi sgranati verso di noi,
osservandoci uno a uno. «Ok, forse questo non dovevo dirlo.»
«Mi
sa…» sussurrai. Scossi le spalle, cercando di riprendermi un attimo, dopo di
che estrassi dalla tasca dei pantaloni il fischietto di Gallen. L’osservai un
attimo prima di stringerlo nel palmo della mano.
«Possiamo
trasmettere?» chiesi a Jonathan.
«Ancora
un secondo…» mormorò, alzando un dito per farmi segno di attendere. Digitò
ancora un po' le dita e alla fine si diede il cinque da solo. «E siamo in onda!
Qualcuno porti un microfono alla signorina per favore. Ma tu guarda, devo
proprio insegnarvi tutto.»
Uno
dei tecnici si alzò e venne a collegare al modem un microfono dall’aria
piuttosto datata, senza perdere l’occasione di lanciare uno sguardo assassino a
Jonathan. Dal canto suo, lui fece una piroetta sulla sedia prima di azionare il
congegno con la grazia di un ballerino ubriaco e scansò malamente l’uomo,
ignorando la sua imprecazione. Mi rivolse un largo sorriso. «Pronta a scatenare
l’Inferno?»
Annuii,
stringendomi al petto il fischietto. Feci un respiro profondo e, dopo qualche
istante di silenzio in cui tutti gli occhi furono puntati su di me, iniziai a
trasmettere il messaggio.
Una
volta fatto tutto ciò per cui ero andata all’Epsilon, li ringraziai
calorosamente e promisi di scrivere nel mio rapporto una lettera di referenze
per il loro operato come pegno di scuse per il comportamento di Jonathan. Lui
mi osservò come se fossi improvvisamente impazzita e protestò peggio di un
bambino quando lo condussi a forza fuori dalla base. In qualche modo, riuscì
comunque a minacciare quei poveri tecnici per gli approvvigionamenti da lui
richiesti, anche se avevo come l’impressione che avrebbe potuto benissimo
richiederli per conto suo.
«Molto
bene, stellina» disse stizzito, sistemandosi la giacca dalle pieghe che gli
avevo creato strattonandolo. «Qual è la nostra prossima mossa?»
Strabuzzai
gli occhi. «La nostra? Non credo di essere stata chiara. Tu ritornerai al Gamma
e farai finta di nulla, mentre io raggiungerò Gallen per assicurarmi che stia
bene e…»
«Un
momento. Mi tiri in mezzo all’azione e poi mi liquidi come se nulla fosse?
Questo non è per nulla cortese, dato che è solo grazie a me se sei riuscita a
portare a termine la tua piccola missione suicida.»
Dovetti
voltarmi per assicurarmi di aver udito bene l’insofferenza nella sua voce, ma
la smorfia sul suo volto parlava da sé. Recuperai l’hoverboard, cercando di
rimanere impassibile. «Beh, non credo che tu sia un tipo che ama l’azione e, se
tutto è andato come previsto, la situazione potrebbe essere esplosiva, per
cui…»
«Un
momento!» Per poco non mi fece inciampare per quell’urlo. «Non dirmi che vuoi
andartene a bordo di quel rottame? Oh, stellina. Non farai neppure due metri.»
Abbassai
lo sguardo sull’hoverboard di Gallen. Certo, non ero stata gentile nei suoi
confronti, ma era ancora operativo e funzionante, il che mi bastava. «Perché,
hai un altro piano?»
Jonathan
sorrise come se stesse dialogando con una bambina e si diresse verso l’altro
lato della base. Dopo qualche momento ritornò, trascinando una aerobike
fiammante. Nel vero senso della parola. Ma le fiamme sull’intelaiatura non
erano passate di moda tipo da secoli?
«Vuoi
farmi credere che sei arrivato qui con quella?»
«Perché
quel tono sorpreso? È un valido mezzo di trasporto e oltre tutto va molto più
veloce di quella specie di skateboard senza ruote. D’altronde, quella cosa non
potrebbe mai sostenere il nostro peso.»
A
quel punto sbuffai sonoramente. «Jonathan, sul serio. Non serve che vieni con
me.»
«Ma
così mi perdo tutto il divertimento. Non credere di essere l’unica a soffrire
di noia su questo pianeta» esclamò. Montò in sella e diede qualche colpo sul
sellino per invitarmi a salire con lui.
«Aspetta!
Anche tu hai letto il mio diario?» Per poco non gli tirai in testa
l’hoverboard.
«Beh,
avevo finito i fumetti e comunque i deliri ormonali di un’adolescente sono
piuttosto noiosi e deprimenti. Allora, vogliamo andare? Il tuo fidanzato ti
aspetta» diede ancora qualche colpetto.
Inghiottii
l’ira bruciante che mi risaliva nelle vene, ma non vedendo altre possibilità
fattibili mi avvicinai a malincuore. Assicurai l’hoverboard di Gallen sul
portapacchi e mi sedetti dietro a quell’hacker che presto o tardi si sarebbe
ritrovato senza sopracciglia.
Quando
Jonathan mi costrinse a mettere le braccia attorno alla sua vita stretta per
reggermi, non riuscii a trattenere un gemito sorpreso. Lui in risposta mi diede
un buffetto sulle mani.
«Tranquilla,
sono stato accusato di molti crimini, ma la pedofilia non rientra tra quelli.»
«Ehi!
Che cosa vorresti insinua…»
«Si
parte!» E diede gas alla aerobike. Inutile dire che lo strinsi ancora di più per
il terrore di essere sbalzata via dal sellino. Ecco perché preferivo viaggiare
in hoverboard. Tuttavia, quando lo vidi puntare verso il dirupo invece che
sulla strada, non ebbi pronta un’imprecazione abbastanza forte per quel
momento.
«Aspetta
che…»
La
frase fu tagliata a metà dal mio urlo, mentre ci lanciavamo in caduta libera.
Un attimo prima di schiantarci, Jonathan azionò qualcosa sul manubrio e innestò
i propulsori situati sui fianchi del veicolo. Partimmo a una velocità
impressionante, lanciandoci alle spalle l’Epsilon e i monti Ida. E il mio
stomaco.
Atterrammo
vicino alla base dei contrabbandieri. Persino a distanza avevamo potuto
osservare il risultato del nostro operato e ciò non prometteva nulla di buono.
Non con tutti quei predatori nei paraggi.
Non
so come, ma riuscii a scendere da quella trappola infernale e a gattonare verso
un albero. Appoggiai entrambe le mani alla corteccia per sostenermi e feci
diversi respiri per calmarmi. Mi sentivo malissimo, come se avessi ingoiato a
forza delle molle che mi stavano saltellando allegramente nella pancia.
Sentii
Jonathan sbuffare contrariato alle mie spalle. «Ti sparano addosso, viaggi da
sola verso i monti Ida, sfuggi a un agguato degli Chrysaetos
e dopo tutto questo vieni a lamentarti della mia guida?»
«Sta zitto»
gemetti, cercando di riprendere il controllo di me.
Mi posai una mano
sulla fronte sudata e mi rimisi in piedi. Feci per aprire bocca quando gli
spari ricominciarono. «Direi di muoverci» sentenziai.
«Sai, una persona
intelligente non andrebbe incontro a uno scontro armato sprovvista di armi» mi
fece notare Jonathan, appoggiato sul fianco della sua aerobike intento a
pulirsi le unghie.
«Beh, non ho mica
intenzione di combattere. Voglio solo assicurarmi che Gallen stia bene. So che
quell’idiota è ritornato a spiare i nostri nemici, per cui dovrebbe essere nei
dintorni.»
«Che bello»
sbuffò Jonathan. Si mise una mano dietro la schiena ed estrasse una pistola a
impulsi.
«Ma…» sgranai gli
occhi. Avevo scoperto più cose di lui nell’arco di poche ore che nell’arco di
mesi.
«Prima regola
della sopravvivenza: assicurati sempre di avere un’arma con te» esclamò lui,
sventolandomela davanti agli occhi.
La schiaffeggiai
via dal mio viso. «Seconda regola: assicurati di saperla usare. E questo non mi
sembra il caso!»
«Ma certo che la
so usare» sentenziò, puntandomela contro con il dito sul grilletto.
«Aspetta, che
cosa intendi fare?» Oddio, quel pazzo stava per uccidermi!
Quando vidi che
aumentava la pressione, chiusi gli occhi per preparami al colpo, ma tutto ciò
che ricevetti fu della semplice acqua in faccia. Jonathan scoppiò a ridere.
«Dovevi vedere la
tua espressione. Peccato che non sia riuscito a farti una foto.»
Gli tirai un
pugno nello stomaco, facendolo crollare a terra.
«Una pistola ad
acqua! Sul serio? Jonathan, sei un gran figlio di…»
«L’importante è
dare l’impressione di essere pericolosi» mugugnò lui, tenendosi la pancia.
«Quegli idioti non saprebbero riconoscere una pistola vera nemmeno dopo una
visita oculistica… E, per Hack, Stellina. Dovevi proprio colpirmi così forte?»
«Certo, perché
sei un’idiota. Resta qui. Torno subito.»
Ignorando le sue
imprecazioni iniziai a correre nella boscaglia. Il rumore degli spari si fece
più forte, al punto che per un attimo temetti per il numero delle possibili
vittime. Quando sbucai fuori dalla foresta, tuttavia, lo spettacolo che ebbi
d’innanzi riuscii a tranquillizzarmi.
La cavalleria era
arrivata come previsto e i contrabbandieri erano in netto svantaggio. Non con
gli animali che correvano da tutte le parti, attaccandoli e disarmandoli a
colpi di becco e artigli. Mai far arrabbiare Madre Natura.
Tra i cespugli,
alcune squadre operative del Beta si stavano dando da fare, attente a non
colpire la fauna del luogo. Alcuni di loro stavano già armeggiando con le gabbie
nel tentativo di liberare i prigionieri e tra di loro vidi Hako, che assestò
uno dei sui colpi mortali sul plesso solare di un contrabbandiere.
«No che non sta
bene!» sbottò mia madre alle nostre spalle. Sgranai gli occhi, notando che
c’era persino mio padre e che entrambi erano intenti ad aiutare Hygeia a far
riprendere gli esemplari sedati in modo da liberarli. «Signorinella. Non
credere di passarla liscia questa volta. Tu e Gallen siete in un mare di guai!»
«Oddio, è vero!
Avete visto Gallen?»
Hako mi accarezzò
i capelli arruffati. «Tranquilla, Hygeia l’ha rimesso in sesto e si è unito
alla sua squadra.»
Sospirai di
sollievo e fu un errore. Eravamo in piena zona di guerra e qualsiasi
distrazione poteva risultare fatale, compresa quella.
Dal nulla sbucò
uno dei contrabbandieri. Era sporco di terra e ricoperto di tagli, ma non si
fece scrupoli a puntarci contro il fucile, abbaiando qualcosa
d’incomprensibile. Osservai la scena come anestetizzata, mentre mia madre mi
tirò dietro di lei per farmi da scudo. Una mossa falsa e…
Qualcuno si
schiarì la voce dietro l’uomo.
Il contrabbandiere
sussultò sorpreso, girandosi giusto in tempo per vedere il pugno di Jonathan
centrare in pieno la sua faccia. Crollò a terra come una cometa.
Rimanemmo tutti
ammutoliti, mentre il nostro tecnico scuoteva la mano con un’espressione
sofferente.
«Ecco perché
preferisco le pistole ad acqua» gemette.
«Sei davvero
incredibile, Jonny» sbottò Hako, scuotendo la testa. Poi schioccò le dita.
«Basta perdere tempo, vieni a darci una mano.»
«Ma se non sto
facendo altro da tutto il giorno?» si lamentò lui, raggiungendoci.
Scossi la testa e
mi allontanai dagli altri, cercando di vedere Gallen in mezzo alla mischia. La
battaglia era quasi arrivata al termine; la maggior parte dei contrabbandieri
era stata neutralizzata e presa in custodia, ma un paio di loro stavano
arretrando verso la vegetazione. Se avessero raggiunto gli alberi sarebbe stato
difficile riacciuffarli. Proprio in quel momento, uno dei soldati uscì dai
ranghi e partì all’inseguimento degli uomini, mentre Hector e Cain cercavano di
fermarlo.
Quell’incosciente…
«Gallen!» urlai.
Lui non mi sentì
o non badò a me, ma si preparò ad affrontare gli ultimi avversari. Piombò
addosso a quello più vicino con la grazia di un puma e lo neutralizzò con mosse
mirate. Purtroppo per lui, non aveva tenuto conto di quello al suo fianco.
Mi mancò il fiato
quando l’altro uomo gli puntò la bocca del fucile alla testa.
Gallen sollevò
appena lo sguardo, impassibile, dopodiché sorrise al suo aguzzino.
Un ruggito
risuonò nella radura, facendo tremare il terreno. Dalla vegetazione comparve un
Astreo particolarmente incazzato che osservò la scena ringhiando come una
creatura infernale. In bocca teneva ciò che rimaneva del contrabbandiere che
era quasi riuscito a svignarsela. Sputò il suo spuntino e squadrò l’uomo che
stava minacciando Gallen, prima di affondare i denti nella sua testa e
scaraventarlo contro gli alberi.
Era finita.
Senza pensare ad
altro corsi verso Gallen, che mi prese tra le sue braccia con un gemito.
Cademmo entrambi a terra sotto lo sguardo annoiato di Astreo, il quale ci
ignorò per andare a vedere come stava la sua compagna. Dietro di lui
trotterellavano Borea e Zephyrus, entrambi impegnati a masticare qualcosa.
Meglio non indagare.
«Sei un idiota!»
sibilai, dandogli un pugno sul petto.
«Potrei dirti la
stessa cosa» mormorò lui con un caldo sorriso mentre mi accarezzava i capelli.
«Avresti dovuto rimanere all’Epsilon fino alla fine di questa storia.»
«Vuoi scherzare?
Voi soldatini pretendete di tenere tutto il divertimento per voi.»
Mi voltai per
fulminare Jonathan e mi accorsi che non fui la sola. Gli altri ci avevano
raggiunti e circondati, osservandoci con sguardi carichi di rimprovero, ma allo
stesso tempo sollevati che nessuno dei due si fosse fatto male. Almeno, non
seriamente. Malon e mio padre ci aiutarono ad alzarci, per poi accompagnarci
verso le navette del Beta sottobraccio, come se potessimo crollare da un
momento all’altro.
«Allora, avrai
una bella storia da raccontare a cena» sentenziò lui, ignorando lo sguardo di
mia madre.
«Già e
probabilmente farà impallidire Launi» ridacchiò Hako alle nostre spalle.
«Perché
raccontarlo quando posso farvelo vedere? L’inseguimento con i Chrysaetos è
stato fantastico!»
Nell’udire quella
frase, tutti ci voltammo verso Jonathan che armeggiava con il suo datapad.
Sollevò la testa, sorpreso per la nostra reazione.
«Che c’è? Che ho
detto di male?»
Gallen era
sbiancato come un lenzuolo, così come mia madre, che si voltò verso Malon.
«Signor Stryker, spero
che lei abbia una punizione adeguata per suo figlio, dato che ha quasi ucciso
la mia!»
«Vorrei
ricordarle, signora Myah, che mio figlio si è beccato un proiettile per
proteggerla…»
«Ma era solo un
graffio! Mandarla da sola sui monti Ida con i Chrysaetos alle calcagna… È da
sconsiderati!»
Sospirai,
ignorando le urla dei genitori alle nostre spalle. Rallentai e intrecciai le
mie dita a quelle di Gallen.
«Che dici, saremo
in punizione fino alla fine dei tempi?»
Lui mi sorrise.
«Se non fosse così, rimarrei davvero stupito.» Lasciò cadere il discorso e mi
osservò angosciato. «Cay, mi dispiace. Se avessi saputo che…»
«Oh, non
preoccuparti. In realtà è colpa dei droni di quelli dell’Epsilon e poi… ho
praticamente distrutto il tuo hoverboard. Scusa.»
Gallen sogghignò
e mi mise un braccio attorno alle spalle, chinandosi verso di me per posarmi un
bacio sulla testa. «Immaginavo, CayCay. Non sono i guai a cercarti. Sei tu che
gli corri in contro a tutta velocità.»
«Ehi!» rimbeccai
offesa. Stavo per rispondergli a tono, quando qualcosa nella radura mi colpì.
Astreo ci stava
osservando; al suo fianco, Eos leccava amorevolmente i loro cuccioli, che la
stavano assillando in cerca di attenzioni. Non so perché, ma quella visione mi
fece sorridere.
Io e il Lycaon
mantenemmo il contatto visivo per qualche istante, poi lui inclinò il capo con
fare referenziale. Prima ancora che potessi assimilare quella scena, Astreo
ritornò al sicuro tra le fronde e con lui tutta la sua famiglia. Era giusto
così, pensai, mentre montavamo nelle navette e ritornavamo alle rispettive
basi.
Sopirai quando
adocchiai il complesso del Gamma in lontananza. Dopo mesi di rinnego, ora
potevo osservare la sua struttura, i suoi ambienti e persino il ponte di
collegamento, con occhi diversi.
Finalmente mi
sentivo a casa.
F i N E…
Eccoci qui alla “conclusione” di ViRIDIS. O meglio, alla
conclusione della prima parte muhahaha
Sì, purtroppo il mio cervello non riesce mai a pensare in piccolo e
ogni volta che sviluppo una storia me ne vengono in mente altre tre. Comunque,
ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Non so ancora quanto ci vorrà
per ultimare la nuova avventura di Cay e compagnia bella, ma cercherò di fare
del mio meglio ^^
Spero che questa storia vi sia piaciuta fino alla fine. So che
probabilmente non vedevate l’ora di uno scontro epico, ma per via della
lunghezza ho dovuto trattenermi… o sul serio sforavo i capitoli. Per cui chiedo
perdono se le vostre aspettative verranno in qualche modo deluse dalla rapidità
degli eventi ç_ç
Un ringraziamento speciale va a Sagas, insieme alle mie
congratulazioni per il contest, e a Aleksis per le recensioni. E ovviamente a tutti
quelli che hanno aggiunto ViRIDIS nelle loro liste.
Inutile dire che questa prima parte è dedicata a Marina Merisi, che
mi ha appoggiata nei miei scleri, facendo sclerare anche me con le ship 😝
A proposito, si accettano scommesse clandestine ahahah
Comunque, vi auguro una buona domenica e beh… alla prossima XD
P.S. ViRIDIS verrà prossimamente aggiunta anche su Wattpad, per cui
tenete gli occhi aperti 😉