Nota: Grazie
alla mia Socia, ovvero Scarabocchio_
, ti voglio tanto bene!! Quante recensioni mi hai lasciato, sono
contenta sì! Eheh.. XD E poi Grazie di cuore anche a niky94
*Non te ne perdi mai una, eh?* Grazie!!
Grazie anche a tutti quelli che hanno semplicmente letto, mi fa
piacere!! ^^ Un bacio, Ary
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2
I gemelli
Eva si
svegliò accarezzata dal
tessuto setoso e fresco del piumone, dolcemente, sentendo il profumo
della
mamma. Aprì gli occhi e non vide nessuno accanto a
sé. Si mise seduta di scatto
sul letto e si guardò intorno. Vide l’ora sulla
sveglia digitale sul comodino.
Chiuse gli occhi e appoggiò le mani sulle ginocchia,
cercando di rilassarsi.
Cazzo, quanto si fa odiare a volte quella
donna. Ma come si fa?! Perché
non mi ha svegliata?!
Si alzò,
spostandosi le coperte
di dosso, e corse in salotto. Forse una parte della gara riusciva a
vederla.
Se è già finita la
uccido!
Accese la tv. Senza
staccare gli
occhi dallo schermo, indietreggiò e si mise seduta in fondo
al divano letto.
Non c’era
stato nulla da fare.
Ormai la gara di scherma era finita. Mancavano pochi secondi. Si
alzò di nuovo
e andò in cucina. Vide un biglietto attaccato al
frigorifero, grazie alla sua
calamita preferita: un teschietto che faceva la linguaccia.
“Buon giorno cucciolotta! Sta
mattina dormivi così bene che non ti ho
svegliata. Mi ha fatto piacere ieri parlare un po’ con te.
Grazie. In frigo ci
sono le lasagne già pronte, devi solo metterle nel
microonde. Mi raccomando,
fai la brava e occupati dei gemelli. Ti voglio bene, mamma.”
Eva si diede un ceffone
in
fronte, chiudendo gli occhi. Come poteva essersene dimenticata? I
gemelli.
Ritornò in
sala e li vide ancora
addormentati sul divano letto, appiccicati.
Ma guarda un po’ te se mi tocca
fare da babysitter a due ragazzini…
Prese il telecomando e
scanalò un
po’ alla tv, con un bicchiere di latte in mano.
***
Tom si
svegliò sentendo il rumore
della televisione. Si stropicciò gli occhi e si
guardò intorno. Quella non era
la sua camera. Si ricordò che erano da un’amica di
loro madre.
Vide il fratello accanto
a sé,
rannicchiato come un gatto. Sorrise e poi buttò
l’occhio verso l’orologio
appeso alla parete. Le nove e mezza.
Così presto? Che amaro
risveglio…
Lasciò che
gli occhi si
richiudessero, ma poi sentì la sigla dei Puffi
alla tv, che gli
ricordò subito suo fratello Bill. Era certo che quella
fosse stata la prima canzone che aveva cantato in vita sua. Si
alzò sui gomiti
con il sorriso sulle labbra e quasi non rimase a bocca aperta.
Cosa dicevo? Che era un amaro risveglio?
Beh, ritiro tutto! Questo è un
dolce, dolcissimo risveglio!
Eva era in piedi,
accanto al
tavolo, che guardava che c’era in tele a quell’ora
di mattina, ancora in
“pigiama”. Addosso aveva semplicemente il reggiseno
e le mutande, nulla di più
e nulla di meno. I capelli biondo scuro che le arrivavano fino in fondo
alla
schiena, lisci e leggeri.
Tom scosse il fratello
accanto a
sé, con il sorriso sulle labbra. Bill si rigirò
un po’ di volte prima di
rispondere al gemello.
“Uhm?”,
fu la risposta di Bill ai
numerosi scossoni di Tom. “Cinque minuti, mamma.”
“Ma per
favore! Bill, svegliati.
C’è una cosa
che devi vedere
assolutamente.”
“Che cosa?”
“Apri gli
occhi e vedrai da te.”
Bill, curioso come un
bambino,
aprì gli occhi e guardò dove stava guardando Tom.
Guardò Eva a bocca aperta,
senza riuscire quasi a respirare, mentre il fratello, tranquillissimo,
se la
mangiava con gli occhi senza subire minimamente alcun effetto.
“Eva!”,
disse Bill, riprendendo
il controllo di sé, ma senza mandar via
l’espressione facciale visibilmente
sorpresa.
“Ciao Bill,
che c’è? Perché mi
guardate così?”, chiese Eva, notando che la
guardavano dall’alto al basso. Tom
che sorrideva e scendeva e saliva percorrendola tutta, Bill che
più la guardava
più arrossiva, più arrossiva più
cercava di non guardare.
“Dovresti
vestirti, sai?”, disse
ancora Bill.
“Ma che
dici?!” Tom tappò la
bocca al fratello, facendolo risdraiare violentemente sul letto. Eva si
guardò
e si accorse che era praticamente mezza nuda davanti a due tredicenni.
Perfetto, ci mancavano solo dei ragazzini in
fase di pubertà!
Eva sbuffò
contrariata a quello
che aveva detto Bill.
“Scusa, ma
questa è casa mia,
perciò se mi va vado in giro anche nuda. Ok?”,
rispose al minore dei due.
Tom si
illuminò e balzò seduto
sul letto, guardandola gioioso, quando ancora Bill si doveva rialzare
dal
letto.
“Per me non
c’è nessun
problema!”, disse Tom.
Eva lo guardò
sollevando un
sopraciglio, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Capito il piccoletto? È
così che girano le cose con te? Mmh, peccato
che tu abbia
solo tredici anni.
Notò subito
delle differenze nei
due: Tom era quello più intraprendente in tutti i sensi,
doveva essere un bel
tipo pure con le ragazze; mentre Bill era quello dolce e timido.
Nonostante il carattere
fermo e
deciso di Tom le piacesse molto, il suo preferito era comunque Bill.
Avrebbe
tanto voluto innamorarsi di un ragazzo come lui, ma sapeva che non
sarebbe mai
potuto accadere.
“Ma sei
scemo?!”, lo rimproverò
ancora una volta Bill.
“Zitto, che
è meglio. Una volta
che puoi approfittarne… Guarda, quella è una
ragazza. Poi vieni a me a
chiedermi le cose…”, disse Tom sogghignando.
“So
perfettamente da me com’è una
ragazza! E non mi ricordo di essere mai venuto da te a chiederti come
fossero!”, urlò Bill diventando rosso in viso.
Eva, a quel rossore, si addolcì
e la preferenza verso di lui continuava a salire.
Bill, puoi venire tranquillamente a
dormire nel mio letto tutte le volte che
vuoi, capito?
Eva si levò
pensieri sconci dalla
testa, nei quali centrava il piccolo Bill e cercò di
distrarsi in qualche modo,
andando in cucina a prendere i biscotti. Il suo cervello e la sua
dignità si
rifiutavano di pensare in quel malo modo, e non voleva nemmeno essere
considerata una pedofila, perciò decise proprio di
cancellarli dalla testa.
Tornò in sala e si mise al tavolo, mentre sul canale dello
sport, sul quale
aveva girato Tom, che aveva il telecomando in mano, stavano mandando i
replay
dei colpi più belli della sfida di scherma che lei si era
persa. Si piazzò nel
posto da cui vedeva meglio e mentre mangiava guardava la tv.
“No, merda,
quel colpo no! Come
ha fatto a non accorgersene?”, disse stringendo il pugno
sulla superficie in
legno scuro del tavolo.
“Ti piace la
scherma?”, chiese
Bill, alzandosi dal letto e raggiungendola, sedendosi di fronte a lei.
Eva si
limitò ad annuire con la testa.
“Beh, potresti
anche parlare…”
“Non te
l’ha mai detto nessuno
che non si parla con la bocca piena?”, disse Eva, dopo aver
ingerito
interamente il biscotto. “E prima avevo la bocca piena. Scusa
se sono educata.”
“Ah ah
Bill… incominci subito a
farti riconoscere!”, disse Tom, sogghignando e
riaccucciandosi sotto montagne
di coperte.
“Non lo
ascoltare”, si difese
Bill, facendo un gesto con la mano. La guardò e sorrise,
chiudendo gli occhi.
Eva si sciolse sul tavolo: si tenne una mano con la testa e sorrise
addolcita.
“Cosa vuoi per
colazione, Bill?”
gli chiese, ricomponendosi.
“Ahm…
il latte.”
“Nel biberon.
Ah, e non dimenticarti
il bavaglino!”, disse Tom ridendo, da sotto le coperte.
Eva non lo sopportava.
Provava un
odio profondo verso le persone così, che offendevano come
passatempo, anche se
magari era solo per scherzare, le dava comunque sui nervi.
“La pianti?
Finiscila di fare lo
sbruffone.”
Tom uscì
dalle coperte e la
guardò stupito, sedendosi sul letto.
“Il latte
caldo o freddo?”,
chiese ancora a Bill, sorridendogli, ignorando il gemello.
Tom la guardò
fare tutta la dolce
con il fratello, mentre a lui lo aveva persino sgridato, in un certo
senso.
Non si vede proprio che è il tuo
preferito, pensò.
Era uno che solitamente
non se la
prendeva per queste cose, soprattutto se centrava Bill, ma non
sopportava i
favoritismi inspiegati. In fondo lui non le aveva fatto niente per
meritarsi
quel trattamento, come da eterno secondo.
“Caldo
è meglio, grazie.”
“Va
bene.” Dopo di ché lei si
diresse in cucina a preparargli il latte.
“Dimmi una
cosa, Bill”,
incominciò Tom, alzandosi dal letto. Era a petto nudo, solo
con dei pantaloni
di una tuta addosso, che usava per dormire. “Come mai Eva
si comporta così con
te?”
“Così
come?”, chiese, girandosi
verso il fratello.
“Come se non
si notasse che sei
il suo preferito!”
“Il
suo… preferito?
Io non…”
Eva tornò in
sala con due tazze
in mano, interrompendo i gemelli, che la guardarono in silenzio.
Appoggiò le
tazze sul tavolo, una di fronte a Bill e una accanto a lui. Mise sul
tavolo
anche dei cereali e dei biscotti, poi si fermò e
guardò Tom.
“Ehm…
scusami per prima, non so che
mi sia preso”, sussurrò, sembrava quasi
vergognosa. Tom sorrise e annuì.
“Dimenticati
quello che ti ho
detto Bill. Fa niente Eva, non importa, capita quando ci si alza
male.”
Si trattenne nel
sputargli ancora
addosso insulti e fece un mezzo sorriso mettendosi a posto la frangia
sugli
occhi.
“Ritornando
alla scherma…”, disse
Bill, mentre il fratello si sedeva accanto a lui per fare colazione.
“Come mai
ti piace? C’è… è
insolito.”
“Beh, mi piace
forse perché la faccio
da quando avevo sei anni.”
“Allora…
giochi. Si dice giochi?”
“Mmh…
duelli…
che ne so, non ci ho mai pensato. Dovete andare in bagno?”,
chiese, cambiando argomento. Bill e Tom si guardarono.
“Io
no”, disse un po’ più timido
il primo.
“Nemmeno
io.”
“Sicuri?
Perché quando entro
nella vasca da bagno non ci esco per almeno due ore, vi
avverto.”
“Semmai la
faremo nei vasi dei
fiori”, disse Tom, sorridendo mentre girava il suo latte.
Eva rise, quella battuta
l’aveva
fatta ridere sul serio. I gemelli la guardarono, contenti per averla
sciolta un
po’.
“Allora ridi
pure tu!”, disse
Tom, aggiungendosi a lei.
Quei due ragazzini
stavano
cambiando radicalmente la sua vita, il suo modo di vivere, e tutto con
una
semplicità senza paragoni. Erano legati da qualcosa, ma non
sapevano cosa.
Erano un po’ come fratelli, ma inconsapevolmente.
***
Eva era nella vasca da
bagno,
immersa in un mare di schiuma, nell’acqua calda, in pieno
rilassamento. Chiuse
gli occhi e fece delle bolle con la bocca, sott’acqua.
Si sentiva stranamente
felice,
leggera, libera da quel peso che di solito la attanagliava dentro.
Grazie a
quelle due pesti forse stava ritrovando la felicità, quella
felicità che aveva
perso quando si erano separati. Loro non si ricordavano nemmeno di lei,
ma
neanche lei ricordava molto di loro. Si ricordava solo che erano
identici,
piccoli e protetti in delle copertine celesti fra le braccia di Simone.
Anche la maggior parte
dei
ricordi di Simone si erano volatilizzati, ma Simone non si era
dimenticata di
lei, e glielo aveva dimostrato. Eva per lei era come una figlia, le
voleva bene
come una figlia, come voleva bene alla madre di Eva, la sua migliore
amica.
Il telefono
squillò. Squillò per
una ventina di secondi, senza smettere. Nessuno che si degnasse di
rispondere.
E come al solito, devo rispondere io.
Eva si avvolse dentro un
asciugamano bianco, tenendolo sotto le ascelle, e veloce
uscì dal bagno,
scontrandosi con Tom, che stava passando di lì, forse per
rispondere.
“Se,
ormai…”, Eva lo superò,
gocciolando per terra, e andò a rispondere. I capelli erano
ancora fradici e
gocciolava davvero dappertutto.
“Pronto?”,
rispose.
“Ciao Eva,
sono Simone! Come
stai? Tutto bene lì? Bill e Tom?”
“Ciao Simone!
Io sto bene,
grazie. Tu?”
“Bene,
bene.”
“Sono
contenta. Anche Bill e Tom
stanno bene. Tutto ok.”
“Menomale.
Forse è il momento che
cominci a fidarmi un po’ di più di
loro”, ridacchiò. “La mamma?”
“Adesso
è al lavoro.”
“Mmh. Capito.
Ascoltami… Ieri,
quando ti ho vista, non ho capito più niente, non ti ho
nemmeno detto che sei
diventata così grande… così
bella… Anche da bambina eri stupenda, sai?”
“Grazie,
nemmeno tu sei
cambiata.”
“Ti ricordavi
di me?”
‘Vagamente, ma
sì.”
“Oh, questo mi
commuove.”
“Dai Simone,
non ti commuovere
inutilmente. C’è qui Tom, te lo passo.”
Prima che inondi casa… Sto
grondando!
“Ok, va bene.
Mi ha fatto piacere
rivederti.”
“Anche a me.
Allora ciao.”
“Ciao,
baci.”
Eva passò il
telefono a Tom, lì
di fianco che la stava guardando avidamente da un po’.
La ragazza
andò di nuovo in
bagno, ad asciugarsi un po’, poi passò in camera
sua, per cambiarsi. Dentro
trovò Bill, che stava curiosando tra i suoi cd.
“Ehi, che stai
facendo?”, gli
chiese.
“Niente,
guardavo i tuoi cd.”
Beh, in verità lo sapevo
già.
“Mmh. Adesso,
invece di
interessarti dei miei gusti musicali, potresti uscire? Mi devo
cambiare.”
Da quando Eva era
entrata in
camera, Bill non l’aveva guardata una volta,
perciò quando la vide solo con un asciugamano
addosso, rimase un po’ sbigottito.
“Sì,
subito.”
Bill scappò
via da camera sua.
Andò in salotto, dove vide il gemello poggiare
giù la cornetta.
“Ah, Bill,
eccoti qua. Mamma ti
saluta.”
“Mamma? Ha
chiamato?”
“Sì,
se ti ho detto che ti
saluta, evidentemente…”
“E
perché non mi ha parlato?”
“Perché
adesso doveva tornare al
lavoro. Ha detto che richiama stasera, e il primo a parlarci sarai tu,
contento?”
“Ok. Ma
perché qui è tutto
bagnato?”, chiese, guardando a terra.
“Perché
c’è passata Eva.”
“Ah
sì, l’ho vista pure io.”
“Mamma cara,
che figa pazzesca!”
“Tom!
È di là, ti sente!”, urlò a
bassa voce Bill.
“E allora? Che
senta se vuol
sentire. Così sa ciò che penso di lei. E ti
assicuro, ci penso molto bene!”
“Ti prego,
Tom… Ha sedici anni,
tu solo tredici, non hai speranze.”
“Ah Bill,
Bill, Bill…”, Tom gli
prese la spalla, chiudendo gli occhi. Lo portò seduto
accanto a sé sul divano.
“Devi sapere che l’età non conta. Quello
che conta è…”
“Cosa
conta?”, intervenì Eva,
parlando con un elastico tra i denti, entrando in stanza. Si fece una
coda
mentre andava in cucina.
“Ma niente,
Eva!”, disse Bill
arrossendo.
È sempre colpa tua, Tom!
“Ma non avete
nemmeno… Lasciate
perdere.”
Eva prese le due tazze
sul tavolo
e le portò in cucina, nel lavandino. Mentre lei era a farsi
il bagno, quei due
non avevano praticamente fatto niente.
Per questa volta passo, ma non intendo
assolutamente diventare la
vostra schiavetta, sia chiaro.
“Ehi Eva, che
si mangia a
pranzo?”, chiese Tom, girovagando per il salotto, guardandosi
in giro.
Che cosa? Hai finito adesso di fare
colazione! Mah… Non sono abituata a
dividere casa con due maschi.
Passare da una casa
tutta
femminile, abitata solo da lei e sua madre, ad abitare con due
maschietti era
traumatico. Ma, in fondo, ci era anche abituata a fare un po’
da schiava,
certo, non a casa sua.
Tom entrò in
cucina, volendo una
risposta alla domanda, seguito poi dal fratello. Eva si era chinata
proprio in
quel momento per raccogliere un foglio da terra e sia Bill che Tom
notarono un
tatuaggio, in fondo alla schiena: era uno di quei tatuaggi tribali,
orizzontali, con una il fiore della rosa in mezzo, di colore rosso
scuro.
Insomma, Eva era la tipica dark-punk, tatuaggi e piercing.
“Che avete da
guardare?”, chiese
ai gemelli, che era da un po’ la guardavano in silenzio.
Bill scosse la testa e
si
avvicinò a lei. Le alzò la maglietta sulla
schiena e le sfiorò il tatuaggio con
le dita.
“Non sapevo
avessi un tatuaggio!
Va bè, il piercing si vede, però questo non lo
avevo notato.”
Eva si girò
verso di lui e
sorrise.
“Beh, non mi
conoscete da una
vita.”
Quella frase la fece
morire dentro.
Come poteva aver detto una cosa del genere? Loro si conoscevano da una
vita per
quanto la riguardava, ma per loro la frase era la verità.
Non si ricordavano
affatto di lei, erano piccolissimi quando l’avevano vista per
la prima volta,
non potevano ricordare.
Perché…
perché mi sento così? Sto male, ma non so
perché.
“Sai,
anch’io vorrei farmi il
piercing lì, però sulla parte
sinistra”, disse Tom.
“E
perché non te lo fai, scusa?
Te l’ho detto mille volte!”, si avvicinò
Bill.
“Perché
ancora non lo so…”
Non ci credo, il ragazzino tanto presuntuoso
e pieno di sé ha paura di
farsi un piercing?
A Eva venne da ridere,
ma bloccò
la risata ad un sorriso divertito. Anche Bill sorrideva, ma addolcito.
Si
avvicinò al fratello e gli mise una mano sulla spalla.
“Se te lo fai
tu, lo faccio anch’io,
però sulla lingua, ok?”
“Mmh, ci
penserò più seriamente
allora”, sorrise al gemello.
Quegli occhi identici,
profondi
uguali, quelle labbra e quel sorriso sincero uguale. In quel momento
Eva era
riuscita a cogliere le somiglianze spaventose tra i gemelli, erano
l’uno la
copia dell’altro. Riuscivano a parlarsi anche solo con gli
occhi.
“Ritornando al
pranzo, che si
mangia?”, chiese ancora Tom, prendendo un dito di Eva e
stringendolo nella sua
mano, facendola andare da una parte all’altra, sorridendo.
-Papà, guada! Tom mi ta tenendo il
dito!-
-Ho visto piccolina! Fa così
perché sente qualcuno accanto a sé.-
Quello spezzone di
dialogo,
quelle parole, invasero la mente di Eva, riportandola nel passato, a
quel
ricordo lontano, troppo lontano. Nonostante fosse lontano, le aveva
riaperto
una ferita nel cuore, e bruciava maledettamente. Il ricordo della voce
del
padre l’aveva fatta soffrire, di nuovo.
La stretta di Tom,
quella presa…
era certa che quella stretta fosse la stessa di quella manina in quel
ricordo.
Era la manina del piccolo Tom.
Sentì gli
occhi inumidirsi, la
voglia di piangere, e questa volta non poteva resistere
all’istinto, non poteva
trattenersi a quella voglia incontrollabile. Ok, la parte debole del
suo cervello
dominava sul resto, ma non poteva assolutamente lasciarsi andare
davanti ai
gemelli, ne andava del suo orgoglio.
Si liberò
dalla stretta di Tom,
con un movimento brusco e senza guardare nessuno, tenendo la testa
bassa,
scappò in camera sua, sbattendosi la porta dietro di
sé.
“Ma che ho
fatto?”, chiese Tom al
fratello, guardandolo interrogativo.
***
Eva si tuffò
sul suo letto e
nascose la faccia nel cuscino fresco, lasciando andare le lacrime.
Era vero, quei gemelli
le stavano
cambiando la vita, forse in meglio, ma avevano portato con loro ricordi
che
facevano male in Eva, anche se quella era la prima volta. Non aveva mai
sofferto per il suo passato, ma in quel momento stava da schifo, e non
riusciva
a capirne il motivo. Era colpa, se si poteva definire così,
dei gemelli. Loro e
del loro arrivo improvviso nella sua vita.
Si asciugò le
lacrime passandosi
le mani sulle guance, in fretta, sentendo la porta bussare.
“Eva, sono
Tom, posso entrare?”
Non aveva nemmeno atteso
una sua
risposta: era entrato e ora la stava guardando, stando vicino alla
porta, con
un mano ancora sulla maniglia.
“Di solito qui
si aspetta la
risposta prima di entrare!”, sbraitò Eva, cerando
di nascondere i rimasugli di
pianto nella sua voce.
Tom sorrise e
uscì dalla porta. Eva
non capiva. Poco dopo sentì di nuovo bussare alla porta.
“Eva, sono
Tom, posso entrare?”,
chiese ancora il biondo. Solo allora Eva capì, sorrise e
scosse piano la testa.
“Sì,
entra.”
Tom entrò,
non più con quel suo
sorriso, ma con un’espressione seria, che sorprese molto la
ragazza. Non
credeva che potesse diventare così serio un bambino come
lui.
“Che ti
è successo? Sei scappata
via… ho fatto qualcosa che non va?”
Tom salì a
quattro zampe sul suo
letto, raggiungendola. Si mise sdraiato accanto a lei, guardando la
stoffa
scura sopra di lui, con le mani dietro la testa.
“No, tu non
hai fatto niente.”
Sì, hai fatto qualcosa, ma non
capiresti.
“E allora che
ti è preso? E poi…
hai pianto”, notò, accarezzandole la guancia con
un segno lasciato da una lacrima,
una riga leggera. Eva guardò quegli occhi nocciola,
magnetici, e dopo essersi
lasciata andare, si spostò da lui, dal suo tocco, come se
avesse paura di
bruciarsi.
Tom non capiva. Che
avesse paura
di lui? No, di che cosa avrebbe dovuto aver paura? Impossibile. Si
rimise a
guardare il soffitto, con una mano sullo stomaco.
“Alla fine,
non mi hai mica
risposto…”
“A che
cosa?”, chiese lei,
guardando i lineamenti dolci del suo viso mentre sulle sue labbra
compariva un
sorriso.
“Che cosa si
mangia?” Tom girò la
faccia verso quella di Eva e la guardò. Lei sorrise e
sbuffò.
“Come sei
stressante! Si mangia
quello che c’è in frigo! No, a parte gli
scherzi… lasagne, quelle da mettere in
microonde.”
“Eh, e ci
voleva tanto a
rispondere?!”
“No,
però…”
“Però
cosa?”
Si ritrovarono a pochi
centimetri
di distanza l’uno dalle labbra dell’altro. Si
guardarono intensamente negli
occhi, poi Eva gli regalò un sorriso. Tom si
avvicinò di più e lei si mise
seduta di colpo sul letto, guardandolo inarcando le sopraciglia.
Stava tentando di baciarmi? Dimmi che non
è vero.
Si alzò dal
letto, spostando una
tenda e uscì fuori dalla stanza.
Tom sorrise. La
desiderava più di
prima, desiderava provare delle emozioni forti con una come lei,
più grande. E
la sfida che lo attendeva lo rendeva ancora più desideroso.
Non sarebbe stato
facile strapparle un bacio, ma la cosa lo divertiva parecchio. Non si
tirava
mai davanti ad una sfida, visto il testardo che era.
***
“Eva! Ho
fame!”
“Sì,
adesso mangiamo, sempre se
tuo fratello si da una mossa.”
“Tom! Muoviti!
Sto morendo di
fame! Non vorrai mica avermi sulla coscienza, vero?”
“No,
fratellino. Arrivo!”
Tom corse in cucina e
guardò il
fratello intento a prendere i piatti dalla credenza. Guardò
anche Eva, con un
sorrisetto. Lei era girata, ma sentiva gli occhi di Tom addosso.
Ragazzino, non hai speranze…
Eva tirò
fuori dal frigo la
bottiglia dell’acqua e la mise sul tavolo, fregandosene
proprio di Tom, non
guardandolo neppure.
“Sai, Bill,
con il sempre
se tuo fratello si da una mossa
intendevo che doveva aiutarci, non che doveva venire qui e aspettare di
essere
servito. Chiaro? Diglielo, sembra che da solo non lo
capisca.”
“Oh, ma Tom
è sempre così. Devo
fargli da traduttore, è come parlare un’altra
lingua con lui.” Eva e Bill risero.
“Allora Tom, dacci una mano.”
Tom sbuffò e
si avvicinò alla
credenza, per tirare fuori i bicchieri, mentre Bill era occupato con le
posate.
“Non credevo
di venir qui a
sgobbare.”
“Sgobbare?
Questo per te è
sgobbare? Ah, caro mio… Tu non immagini nemmeno che vuol
dire sgobbare”, disse
Eva, scuotendo il capo.
“Scommetto che
tu sì, vero? E poi
quando ti stanchi troppo ti metti a piangere, ne?”
Eva alzò la
testa e lo guardò,
seria.
“Che
cosa?”
Si guardarono con aria
di sfida.
Bill guardò i due, quasi preoccupato.
“Ehm…
Eva… Tom… Mangiamo?
Davvero, ho fame.”
“Sì,
forse è meglio”, disse Tom,
sedendosi al tavolo.
Eva lo
guardò, seria. Aveva
cercato di fare il dolce, non aveva avuto ciò che si
aspettava e ora si
comportava così, sfruttando l’occasione e
rinfacciandole un suo momento di
debolezza.
Arrogante. Il mio preferito è
indiscutibilmente Bill.
“Allora…
una settimana…”, disse
Bill, visto che si era creato uno strano silenzio nella cucina.
Erano tutti intorno al
tavolo,
che mangiavano, Bill e Tom con di fronte Eva. Lei rimase in silenzio e
mosse il
capo su e giù, annuendo.
Sì, così
sembra…
Un sospiro
scappò dalle labbra di
Bill, che riprese a mangiare in silenzio.
“Beh, vediamo
il lato positivo.
Siamo in città, sempre meglio che la campagna.”
“Perché
il lato positivo? C’è
qualcosa che non va?”, chiese Bill, guardando Tom. Lui
alzò le spalle e rispose
con sufficienza.
“No,
ma… non avrei immaginato di
stare a casa con una ragazza.”
Come se la cosa ti dispiacesse,
pensò Bill.
***
“Mamma!”
Dio come mi sei mancata!
Eva strinse la madre tra
le
braccia, sulla soglia di casa, visibilmente felice di vederla. La donna
invece
rimase sorpresa dalla reazione esagerata della figlia.
“Ciao tesoro.
Tutto bene?”
“Sì,
tutto bene.”
Entrarono in casa e la
mamma
appoggiò subito il cappotto all’appendino e la
borsa sul divano.
“Bill e
Tom?”, chiese.
“Sono di
là, che suonano.”
Bill, voce, Tom,
chitarra, erano
abbastanza bravi. E se lo pensava lei allora erano bravi sul serio. Le
avevano
detto che suonavano da tempo, assieme a due loro amici, due certi
Gustav, alla
batteria, e Georg, al basso. E, per quanto pazzesco potesse essere,
avevano
pure un nome: Devilish. Suonavano in giro per Magdeburg, ma
fin’ora non avevano
riscosso tutto quel gran successo che speravano ogni giorno.
“Com’è
andata la giornata?”
A parte i problemini con Tom?
“Nulla di che.
Tutto normale.”
“Mmh. Vi
trovate?”
Sì, Tom ha cercato di baciarmi,
credo che mi trovi...
“Ehm…
è ancora presto per dirlo.”
“Tu, invece?
Sei pronta?”
“Un attimo,
prendo la borsa e
vado.”
“Vuoi che ti
accompagni?”
“Dovresti
scomodare i gemelli…
Lascia stare, vado da sola.”
Eva entrò in
camera sua, dove
trovò i gemelli, intenti a suonare e a cantare. Subito,
appena aveva sentito
Bill cantare, aveva pensato che avesse una bellissima voce, ed era
così, ce
l’aveva bellissima davvero. Anche Tom doveva dire che con la
chitarra andava
forte. Un duetto vincente. Già loro due da soli potevano
fare strada, pensare
anche ad una batteria e ad un basso, potevano davvero fare un successo
planetario. Così la pensava lei. Però, ancora
doveva capire perché proprio la
sua camera era stata scelta come loro studio per provare, era ancora da
definire.
“Me ne vado
subito.”
Ma che dico?! Questa è camera
mia!
Prese la borsa e stava
per
varcare la soglia della stanza, quando la voce di Bill la
fermò.
“Dove
vai?”
“Gli affari
tuoi?”
“E
dai… me lo dici?” Bill le
zompò davanti, con gli occhioni da cucciolo, supplicandola.
Curioso il tipino…
“Vado ad
allenarmi.”
Tom era rimasto
indifferente, era
ancora seduto a terra, schiena contro il muro, con la chitarra classica
tra le
braccia.
“Ah,
scherma?”
“Sì,
esatto.”
“Mi farai
vedere il fioretto?”
“Può
darsi…”
“Ok, allora
ciao.”
“Ciao.”
Eva stava per uscire,
quando ancora la mano di Bill la fermò, prendendo la sua.
“Ma non mi
saluti?”, le chiese
con un sorriso.
“Ti ho
salutato adesso…”
Bill scosse piano la
testa e le
porse la guancia. Eva sorrise e pizzicò con due dita quella
guancia invitante.
“Ahi!”,
si lamentò Bill, massaggiandosela
e guardando Eva sorridendo. Anche sulle labbra di Tom era apparso un
sorriso,
ma non li guardava.
Eva sorrise ancora e
prese il
mento di Bill con una mano, gli girò il viso con delicatezza
e gli stampò un
bacio sulla guancia.
“Contento
ora?”
“Si!”
Bill sorrise e tornò
accanto al fratello. “Ciao!”
“Ciao, peste.”
“Ehi!”
***
Il rumore dei ferri che si scontrano
è adorabile, un suono stupendo.
Peccato che io stia facendo schifo.
“Eva, Eva,
Eva, basta! Rilassati,
è finita. La prossima andrà meglio.”
“La prossima.
Intanto, questa è
andata di merda.”
“Capita.
C’è qualcosa che non va?
Magari…”
“No, non
c’è proprio nulla che
non va.” Eva si tolse il casco dal viso e lo tenne sotto al
braccio, mentre con
l’altro si asciugava la fronte. “Ho fatto
semplicemente schifo, ecco cosa c’è
che non va.”
Prese la sua borsa e
filò negli
spogliatoi. Dopo una bella doccia fredda, per schiarire le idee, si
cambiò e
tornò a casa, dove l’attendeva sua madre, ma
soprattutto… i gemelli. Solo al
pensiero di riaverli tra i piedi rabbrividì.
Entrò in
casa, facendo un giro di
chiave, e si trovò Bill addosso, appeso al suo collo. Eva
non potè non guardare
in alto e sospirare.
Dio, perché ce l’hai
con me? Perché? Perché tutte a me? Uffa!
“Ciao
Eva!”, la salutò la voce
acuta di Bill.
“Ciao piccoletto.”
“Da quando mi
chiami piccoletto?”
“Da
adesso.”
“E
perché?”
“Perché
mi gira. E adesso scollati
da me, potrei picchiarti. Non sto scherzando.”
Bill sorrise e si
staccò da lei,
ma le rimase di fronte, ora con un ghigno più che un
sorriso.
“Che cosa
vuoi?”, sbuffò Eva,
capendo che il piccolo voleva per forza qualcosa se si comportava in
quel modo.
“Mi fai vedere
il fioretto?”
Uffa, che palle, Ci mancava solo questa. Che
ci trovi di così
interessante in un fioretto?!
Eva spostò
Bill di peso e si mise
seduta sul divano, affondandoci dentro.
“Ciao tesoro!
Com’è andata?”, le
chiese la madre, spuntando dalla cucina. Eva aprì gli occhi
e la guardò esausta,
ma ciò nonostante scontenta.
“Ho capito,
non è andata bene.”
“Hai fatto
punto, cosa che io non
ho fatto manco una volta.”
“Allora hai
fatto proprio
schifo!”, disse Bill, accucciandosi accanto a lei, tirando le
gambe vicine. Lei
lo guardò con la faccia ancora stanca e piuttosto
demoralizzata.
“Grazie Bill,
ma non avevo
bisogno di sentirmelo dire pure da un moccioso.
Lo so perfettamente. Direi che quando vuoi riesci davvero a tirare su
di
morale.”
“Ma dai! Stavo
scherzando! Allora
me lo fai vedere il fioretto o no?”
Eva sbuffò
ancora e si mise la
borsa da palestra blu sulle gambe, Bill che aspettava emozionato.
Tirò fuori la
spada e gliela fece vedere, tenendola in mano sua. Lei non era molto
gelosa, ma
guai a chi le toccava il suo
fioretto.
“Wow! Che
bello! Posso?” Bill
stese la mano verso di lei, chiedendo la spada.
“Non ci penso
nemmeno!”, disse
lei, allontanandogliela.
“Ma
io… Perché no? Guarda che non
te lo rovino.”
Non poteva resistere
allo sguardo
dolce di quel ragazzino, ti scioglieva con una facilità
assurda, e lei non era
una che si scioglieva con così poco.
“E va bene. Ma
ti avverto: un
passo falso e ti sbatto per terra, ok?”
“Va
bene!”
Eva gli passò
delicatamente nelle
mani la spada, come se fosse di vetro, e lo guardò attenta
per tutto il tempo
che l’aveva tra le mani, contento. Riusciva ad emanare le sue
emozioni solo con
lo sguardo. Era davvero un ragazzino speciale quello, Eva lo aveva
sempre
saputo.
Bill le
ripassò il fioretto,
soddisfatto e felice. Una felicità pura, vera, semplice, che
Eva non riusciva
bene a comprendere.
“Grazie”,
le disse, regalandole
uno dei suoi sorrisi magnifici, per poi stamparle un bacio sulla
guancia.
Eva, per la prima volta
in vita
sua, arrossì. Era una sensazione del tutto nuova per lei,
perciò la allarmò, in
un certo senso. Sentirsi la faccia bruciare e un improvviso calore in
tutto il
corpo non era il massimo, ma si sentiva serena nell’animo. La
dolcezza di un
bambino, di quel bambino, quante gioie le portava, immense.
Eva si alzò
dal divano e si
rimise la borsa sulla spalla, fioretto in mano, e salutò
Bill sorridendo. Andò
in camera sua, dove si sarebbe sparata i Green Day almeno fino
all’ora di cena,
come era d’abitudine, ma non fu proprio così.
Appena entrata, vide Tom, Il
gemello cattivo, che frugava tra
le
sue cose, nella libreria. Tutto poteva sopportare, tranne che fosse
invasa la
sua privacy in quel modo.
Impugnò
meglio il fioretto e appoggiò
delicatamente la punta della spada sotto il mento di Tom, che non si
era
minimamente accorto della sua presenza, concentrato com’era
nel suo intento:
trovare qualcosa che l’avrebbe aiutato a scoprire di
più su di lei e a capire
come prenderla senza fare passi falsi. Purtroppo per lui non ci era
riuscito.
Non era riuscito a trovare niente, il nulla. Eva doveva essere davvero
una tipa
riservata, se nemmeno lui aveva scoperto qualcosa.
“Fuori”,
disse decisa Eva,
indicando piano la porta con la testa, mentre gli occhi di Tom erano
spavaldi
dentro quelli di lei.
Sorrideva tranquillo,
sapendo che
comunque non gli avrebbe fatto nulla, se non una sonora ramanzina, di
cui lui
non avrebbe ascoltato comunque il contenuto.
“Se no che
fai?”, la provocò,
sogghignando.
Lei fece un sorrisetto
strafottente, guardando per un attimo verso la libreria, controllando
che tutto
fosse in ordine e che non mancasse niente.
“Fuori. E non
ci provare mai
più”, disse ancora più decisa di prima,
ritrovando la serietà.
Tom si spostò
con una mano il
ferro dal mento e, sogghignando, uscì dalla stanza, in
silenzio.
Dopo lo scontro tra lei
e Tom,
non aveva nemmeno più voglia di ascoltare la musica.
Girovagò per la stanza
cercando un ispirazione, ma non le venne in mente niente.
“Eva! Che cosa
stai facendo?!”,
urlò sua madre dalla cucina.
“Niente
mamma!”
“E allora,
invece di fare niente,
perché non metti un po’ a posto il ripostiglio?!
Sono mesi che ti dico di
farlo!”
Il ripostiglio, eh? Sempre i luoghi
più sporchi toccano a me… E va
bene, sollevò le
spalle con fare distratto e con quella mancata voglia nel
viso, visto
che non ho proprio nulla di
meglio da fare…
“Prima della
sfida con il
ripostiglio posso andare in bagno?”, chiese Eva sorridendo
alla madre.
“Ahm…
è entrato ora Bill”, disse
Tom, seduto comodamente sul divano.
“A
fare?”
“Chiediglielo,
magari ti
risponde.”
Eva gli fece una
linguaccia e
bussò in bagno, da cui si vedeva la luce accesa sotto la
porta.
“Bill? Qui
è Eva, ci sei?”
“Sì,
entra, tanto…”
Tom inarcò le
sopracciglia e
guardò sbalordito verso il bagno.
“Ah! Ti stavi
solo struccando…”,
disse Eva sorridendo, entrando nel bagno. “Ma come sei carino
senza
l’ombretto!”, gli pizzicò la guancia,
guardandolo sullo specchio. “Così somigli
ancora di più a Tom, sai?”
“Certo che lo
so!”
“Ok, non ti
scaldare.”
Eva aprì il
getto dell’acqua del
rubinetto e ci ficcò sotto la faccia. Rimase in quella
posizione per una decina
di secondi, sotto l’acqua gelata, che la aiutò a
far passare l’arrabbiatura
verso il
gemello cattivo. Si
asciugò
il viso con un asciugamano e si guardò allo specchio. Era da
un po’ che non si
truccava di nero, stando sempre in casa. Guardò Bill e la
miriade di prodotti
che già c’erano sulla mensolina di fianco a lui.
Trucchi e cose per capelli.
Così piccolo e già si
cura in questo modo, davvero ammirevole.
“Che marca
usi?”, gli chiese
appoggiandosi al lavandino e prendendo la scatoletta
dell’ombretto nero.
“Ah…
questa… Non è la migliore,
però… Io uso questa invece, se vuoi provalo, noti
la differenza.” Eva gli diede
una sua scatoletta di ombretto e guardò la sua espressione.
“Beh…
grazie…”
“Prego Bill, e
non fare quella
faccia, regalami un sorriso.”
Bill sorrise
timidamente.
“Che bello che
sei!”, Eva sorrise
e gli stampò più volte dei baci sulla guancia,
tenendogli il viso tra le mani.
Tutto
quell’affetto non era
proprio da lei. Si staccò immediatamente e lo
guardò imbarazzata, mentre lui
sorrideva. Scosse la testa e uscì dal bagno, per rifugiarsi
nel ripostiglio
impolverato.
C’era,
c’era sempre stata e ci
sarà, sempre un mucchio di roba lì dentro. Era un
piccolo corridoio, corto e
stretto, con ai tre lati scaffali di metallo con sopra milioni e
milioni di
scatole, per non parlare poi dei soprammobili inutilizzati, che
comparivano un
po’ dappertutto. Fece qualche passo lì in mezzo,
tossendo per l’immensa
quantità di polvere. Tolse delle scatole da degli scaffali,
curiosandoci
dentro.
Nulla di interessante, come tutto
ciò che c’è in questo buco,
d’altronde.
Prese altre scatole dal
mucchio e
in fondo allo scaffale, nascosta nell’ombra, c’era
una scatola più piccola
delle altre. La prese incuriosita e ci guardò dentro:
filmini. Li trovò subito
noiosi, ma già che c’era lesse alcuni titoli
scritti a penna sui margini:
Natale, Pasqua, Dai nonni, Compleanno di Eva: tre anni!.
Che cosa?
Rilesse più
volte l’ultimo
titolo, quello che l’aveva lasciata senza parole. Lo prese e
lo guardò: avanti,
dietro, ai lati, quella cassettina non doveva avere segreti per lei. La
scrutò
per almeno un minuto, poi si alzò da terra, rimise in ordine
tutto, tranne quel
filmino, che si infilò nella tasca della felpa.
Uscì seria
dal ripostiglio, tenendo
la mano in tasca, con in pugno quella cassetta.
“Trovato
qualcosa di
interessante?”, le chiese Tom con un ghigno, ma lei non lo
sentì nemmeno.
Camminò
veloce verso la sua
camera e si chiuse dentro a chiave. Si mise sul letto e
guardò ancora il
filmino tra le mani.
Che fare? Lo guardo, anche se so che
farà male, oppure non lo guardo?
Eva si alzò
dal letto e decise di
guardarlo comunque, anche se le avrebbe riportato amari ricordi.
Il filmato
partì con la vocina
della piccola Eva, saltellante per il salotto, con un vestitino rosa e
i
capelli raccolti in due codini. Il suo abbigliamento di allora era
molto
diverso da quello di adesso, radicalmente.
-Tre anni, eh?-,
chiese la voce di Simone, che poi venne inquadrata.
Accanto aveva una culla, con dentro i gemelli.
-Sì, sì… tre-,
disse la piccola Eva, sorridendo e sporgendosi nella
culla, cercando di vedere. Simone sorrise e la mise seduta accanto a
sé sul
divano, poi prese uno dei gemelli in braccio.
Ecco, quella era la
scena del suo
ricordo.
-Queto chi è?-,
chiese Eva, indicando lo scricciolo avvolto nella
copertina azzurra.
-Questo è Tom, cara. Dai, metti il
dito nella manina, guarda che lo
stringe-, l’aveva
invitata Simone. Eva sorrise e mise il ditino nella
minuscola mano del gemello. La mamma di Eva si avvicinò alla
figlia e la
abbracciò da dietro, mettendole dolcemente le braccia
intorno al collo,
sorridendo.
-Papà, guada! Tom mi ta tenendo il
dito!-
-Ho visto piccolina! Fa così
perché sente qualcuno accanto a sé.-
Ecco, ancora la frase
che aveva
sentito nel suo ricordo. Una fitta al cuore le fece chiudere per un
attimo gli
occhi. Quando li riaprì, vide il padre abbracciare la madre
e lei. Si costrinse
a non piangere, a guardare come andava a finire, ma il filmato si
interruppe e
lo schermo del televisore si annerì e poi si fecero tutte le
linee grigie e
bianche. Nella stanza echeggiava un silenzio malinconico.
Eva guardò la
custodia della
cassettina che aveva in mano, la strinse con tutta la sua forza,
abbassando la
testa e stringendo gli occhi. Alcune gocce, alcune lacrime, bagnarono i
suoi
jeans scuri, lasciando dei piccoli cerchi umidi. Non era riuscita a
trattenersi
come credeva di poter fare. Si lasciò cadere
all’indietro e continuò a
piangere, in silenzio, da sola. Lei e il suo dolore.
***
Era lì da
ore, sdraiata sul
letto, a guardare in alto, ascoltando a palla la sua musica. Non aveva
nemmeno
cenato. Non voleva farsi vedere in quello stato.
Si mise meglio le grandi
cuffie
sulle orecchie e guardò verso il comodino. Vide la cassetta,
la prese e se la
rigirò all’infinito tra le dita.
Non ho mai sofferto…
Perché solo ora? Non capisco.
Tolse lo sguardo dalla
cassetta e
per caso vide la maniglia della porta muoversi su e giù,
come se qualcuno
volesse aprire la porta. Ma era chiusa a chiave, non poteva entrare
nessuno. Si
tolse le cuffie e se le mise al collo. Ascoltò per un
attimo, non sentendo
comunque niente. Stava per rimettersi le cuffie, quando la voce di Bill
e i
pugni sulla porta la raggiunsero.
“Eva! Ti
prego… uffa… perché non
mi rispondi?”
Eva si alzò
dal letto, togliendosi
le cuffie, che lanciò sul letto, e aprì la porta.
“Semplicemente
perché non ti
sentivo, avevo le cuffie”, disse a Bill, aprendo giusto
quello che serviva per
farci uscire la testa. “Beh? Che vuoi?”, gli chiese
ancora, visto che lui non
accennava a dire nulla.
Lo guardò
meglio: aveva addosso
una specie di pigiama, lungo e grigio, molto più grande di
lui, le maniche gli
coprivano le mani senza che lui facesse niente.
Ma che ore sono?
Aveva completamente
perso la
cognizione del tempo, non credeva fosse già ora di andare a
dormire, anche se
lei non doveva farlo.
“Ehm…
Tom si è addormentato… e… io
non riesco a dormire…
perciò…”
“Dai,
entra.”
Lei gli aprì
di più la porta e lo
fece entrare. Lui le sorrise ed entrò silenzioso, mettendosi
a braccia incrociate,
stringendosi le spalle. Aspettò che lei chiudesse la porta e
si sistemò sul
letto. Eva lo guardò e sorrise, batté due colpi
sul letto, accanto a sé. Bill
sorrise ancora e salì a gattoni sul suo letto, si
accucciò accanto a lei. Lei
gli mise un braccio intorno alle spalle, e lo fece appoggiare alla sua
spalla.
Era proprio un cucciolo
innocente, timoroso, dolce. Che si lasciava coccolare molto volentieri.
“Più
ti guardo… più… mi ricordi
qualcuno. Ci siamo già visti da qualche parte prima che
venissimo qui?”, chiese
Bill, guardando il viso di lei. Eva chiuse gli occhi e si fece forza,
affrontando quel dolore che sentiva nel petto.
“No, non ci
siamo mai visti
prima.”
“Eppure…
Tu mi ricordi qualcuno,
possibile?”
“Mi confondi
con qualcun altro
allora.”
“Eva,
guardami.” Bill le prese il
mento tra le dita e le fece guardare i suoi occhi profondi.
“Tu stai dicendo un
sacco di bugie. Non sono mica scemo, sai? Tu ci conosci, ci conoscevi
già. Se
no perché mamma ti ha abbracciato così quella
volta? Perché tu hai abbracciato
lei in quel modo? Lei ti conosceva già, e pure tu conoscevi
lei, perciò… parla,
ti prego. Chi sei? So di averti già vista, ma non
ricordo.”
“Non puoi
ricordare. Eri piccolo,
e pure io lo ero, non ricordo molto neppure io. Adesso basta, se no
puoi anche
andartene.”
“Ok, come
vuoi.” Bill sospirò e
chiuse gli occhi, abbracciandola, mettendole un braccio intorno alla
vita.
“Come mai non
riesci a dormire?”,
chiese dolcemente Eva, accarezzandogli i capelli sulla nuca.
“Pensavo a
papà. Ogni tanto
capita. I miei si sono separati quando io e Tom avevamo sei anni.
Qualche volta
ci penso e… ancora mi fa male.”
Separati? Non sapevo che…
Eva non era al corrente
che i
suoi fossero separati, e non ne sarebbe stata se Bill in persona non
glielo
avesse detto. Guardò gli occhi tristi del moro, la loro
tristezza sincera.
“Oh
Bill… mi dispiace… Ma, almeno
tu l’hai conosciuto tuo papà.”
Perché? Perché
l’ho fatto? Perché gliel’ho detto?
Perché stava
parlando del suo doloroso
passato con un ragazzino?
Con Bill le
cose uscivano da sole, però era come una liberazione. Man
mano che parlava si
sentiva più leggera, come se si fosse levata via un peso.
“Che vuoi
dire?”
“Che…
io non me lo ricordo
neppure. Anche i miei sono divorziati. Avevo tre anni. Per
questo… non ricordo
molto.”
Eva invece ricordava
molto bene
il giorno in cui si erano ritrovate in due, lei e sua madre. Era una
mattina
invernale, in casa i suoi genitori non facevano che litigare, ma quella
mattina
si svegliarono e si accorsero che suo padre non c’era
più, sparito con tutte le
sue cose. Non un biglietto, non una chiamata, niente. Era come
scomparso nel
nulla. Ricordava bene anche le lacrime della madre, nascosta in camera,
per non
farsi vedere dalla figlia. Poche settimane dopo, la partenza per
l’Inghilterra,
l’addio a Simone, ai gemelli.
“Allora basta
mentire. Visto che
ci sono, ti racconterò tutto.”
Bill si mise meglio ad
ascoltarla.
“Come sai, tua
mamma e mia mamma
sono amiche. Un tempo erano anche migliori amiche, adesso non lo so.
Tua madre
per me era come una seconda mamma, stavamo sempre assieme. Poi siete
nati voi,
poco prima che i miei si separassero. Due gemelli identici. Eravate
come… dei
fratelli per me… Poi, ci siamo trasferite in
Inghilterra… lasciandovi… Non ci
siamo visti per ben tredici anni, fino a quando sono tornata qui. Per
questo
io…”
Parlava con la voce che
tremava
e, come se non bastasse, aveva le lacrime agli occhi. Ne
lasciò scivolare una
sulla guancia, piano, in silenzio. Si tirò su a sedere,
lasciando Bill, e si
asciugò la guancia, impendendosi mentalmente di piangere
ancora, e soprattutto
in sua
presenza. Bill la guardò, le
si avvicinò e la abbracciò, tenendola forte a
sé.
Oh Bill…
Eva ricambiò
la stretta, tenendo
quel cucciolo tra le sue braccia, sentendo una sensazione paradisiaca
dentro di
sé.
“Mi dispiace
tanto Eva… Io non
credevo…”
“Non importa
Bill, non centri
nulla tu. Tu non hai fatto nulla di sbagliato… sono gli
altri che sbagliano. E
gli errori ricadono inevitabilmente sui figli, questa è la
vita.”
Dopo quella confessione
liberatoria, Eva si sentiva meglio, libera da quelle catene che la
attanagliavano ogni giorno da quando c’erano i gemelli.
Bill si era addormentato
fra le
sue braccia, dove era anche in quel momento, che riposava al sicuro,
protetto.
La ragazza
guardò la sveglia
accanto a sé, sul comodino. Era tardi, e lei doveva andare.
Si alzò e prese
Bill in braccio, attenta a non fargli male alla testa. Non si era mai
resa
conto di quanto pesasse in realtà! Era tanto magro, ma
trasportarlo non era una
passeggiata.
Lo portò in
salotto, sul divano
letto dove c’era il gemello che se la dormiva alla grande. Lo
appoggiò
delicatamente e lo coprì con il piumone. Tornò in
camera a prendere la borsa e
quando tornò diede un’ultima occhiata ai gemelli.
Dormivano, vicini, Tom
completamente scoperto, con una mano sul petto e l’altra sul
cuscino.
Muovendosi, aveva scoperto anche il povero Bill.
Eva sorrise e scosse
piano la
testa, avvicinandosi di nuovo al letto. Li coprì di nuovo,
rimboccandoli bene,
vedendo un piccolo sorriso sulle labbra di Bill. Gli
accarezzò i capelli scuri,
spostandoli, e lo baciò leggera sulla fronte. Fece il giro
del letto e fece lo
stesso con Tom, accarezzandogli però la guancia. Si
allontanò e quando aprì la
porta, la voce ancora addormentata del maggiore, Tom, la fece girare.
“Dove
vai?”, le chiese, alzando
di poco la testa dal cuscino. Eva si avvicinò di nuovo e si
sporse su Tom,
sorridendo addolcita.
“Tom, dormi,
è tardi”, gli
sussurrò, chiudendogli poi gli occhi con la mano,
regalandogli un altro bacio
sulla guancia.
Tom si lasciò
andare e tornò nel
mondo dei sogni, allora Eva uscì di casa.
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