Don't Stop Believin'

di Infected Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strangers ***
Capitolo 2: *** For a Smile They Can Share the Night ***
Capitolo 3: *** You're Too Shy To Convey ***
Capitolo 4: *** This Masquerade ***
Capitolo 5: *** Workin' Hard To Get My Fill ***
Capitolo 6: *** Smile ***



Capitolo 1
*** Strangers ***


LEA POV

E’ mezzanotte. Sono sul treno per Los Angeles, passeggera di un vagone stranamente vuoto. L’adrenalina non mi fa chiudere gli occhi, e continuo a fissare le luci delle città attraversate, mentre mi faccio cullare dal sottofondo delle ruote che corrono veloci sui binari. Ho un libro appoggiato sul tavolo di fronte a me, ma ho desistito già da un’oretta, dopo che la mia concentrazione si è rifiutata di andare oltre ad una frase, che rileggevo, rileggevo e rileggevo… senza capirci nulla. Mi metto le cuffie nelle orecchie, e ascolto distrattamente alcune canzoni che devo conoscere per il provino di domani. Sì, sono una cantante. E anche un’attrice, in realtà. Domani avrò un’audizione importante, e sono decisamente nervosa. Si tratta di una commedia musicale, una serie a puntate per il piccolo schermo. Il mio migliore amico, Jonathan, mi ha parlato di questa opportunità, dicendomi che il suo datore di lavoro aveva pensato una parte apposta per me. D’istinto ho guardato Jon in modo molto eloquente: “Are you fuckin’ kiddin’ me?”. E invece no. Ryan Murphy, suddetto sceneggiatore, mi ha contattato qualche giorno dopo, dicendomi che aveva assistito ad una messa in scena di Spring Awakening, musical in cui ho interpretato uno dei protagonisti, ed era stato colpito dalla mia performance. Così colpito ed ispirato, che aveva scritto un personaggio a mia immagine a somiglianza. In questi casi, sapere che gli altri si aspettano qualcosa da te, è fonte di ulteriore ansia. A rendere il tutto ancora più eccitante e spaventoso, c’è il fatto che fin’ora ho fatto esperienza a Broadway, nel magico mondo del teatro, e prima di oggi non avevo mai pensato che un bivio della mia carriera potesse portare a Hollywood. Un ambiente e un modo di lavorare totalmente diverso, un meccanismo che ancora conosco poco, che mi mette un po’ di timore, ma che mi affascina tantissimo. “Dopo tutto anche Barbra Streisand ha avuto un’avventura simile e non le è andata poi tanto male.” mi dico, per farmi coraggio. Giocare con le paure nella mia mente e rivoltarle è il mio personale stratagemma per affrontare il panico da palcoscenico, un espediente che mi è stato insegnato fin dalla prima lezione di recitazione. Sillabo le parole di On My Own, dal musical Les Miserables, e faccio ciondolare la testa a ritmo di musica.

D’un tratto sento una risata. Sobbalzo, per sentirla riecheggiare ancora più forte. Mi giro, e vedo un ragazzo alto, altissimo, che si tiene la pancia e ride con le lacrime agli occhi. Un giubbotto di jeans calza a pennello le sue spalle larghe e mette in risalto la corporatura robusta.

-Scusa- alza le mani in sua discolpa, e accenna un sorriso sghembo, quasi imbarazzato. Scoppia di nuovo a ridere. Alzo un sopracciglio, chiudo gli occhi per ignorarlo, e continuo ad ascoltare la successiva canzone della playlist. Devo rimanere concentrata. Mi pareva strano che in quattro ore di treno non mi fosse ancora capitato lo psicopatico di turno. Una mano mi toglie una cuffia dall’orecchio.

-Ehi, ma ti pare il caso?- Sbotto, infastidita.

-Scusa per prima, davvero. Non so cosa stessi ascoltando, ma dal finestrino si vedevano delle espressioni facciali a dir poco… teatrali.– Dice il ragazzo, poi soffoca una risata.

Bene. Se On My Own fa questo effetto anche su Ryan, siamo a posto.

-Ok, se hai finito di insultarmi, posso tornare a lavorare. Grazie.–

Riprendo possesso della mia cuffia, che è ancora tra le sue dita. Innervosita, non mi ero nemmeno accorta che il suo volto è a pochi centimetri dal mio. I suoi occhi hanno qualcosa di… dolce.

E' proteso in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Riempie tutto lo spazio tra il mio sedile e il suo.

-Scusa, davvero. Quindi quello è il tuo lavoro?- Ripete, questa volta con voce decisa e sommessa.

-Può darsi.-

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Capitolo 2
*** For a Smile They Can Share the Night ***


 
CORY POV

Fumo, sudore, sospiri, gemiti. Chiudo gli occhi, e le mie orecchie vengono beate dall’acuto più celestiale che io abbia mai ascoltato. 

Un brivido di piacere mi attraversa il corpo e faccio scorrere le mani lungo le cosce della brunetta che sta condividendo con me questi attimi di totale perdizione. Ha ancora la pelle d’oca. Mentre la bacio, sorrido soddisfatto, e lei, come per vendicarsi, affonda le unghie nella mia schiena. La stringo a me più forte. Nonostante il culmine sia già stato raggiunto, il mio corpo chiede ancora il calore del suo. I sensi riacquistano lucidità solo quando il silenzio lascia nel vuoto il mio udito. Abbasso lo sguardo e vedo la ragazza appoggiata al mio petto con un’espressione angelica dipinta sul volto.

Dio, è così minuta… le avrò fatto male? Adesso perché mi sto facendo questa domanda? Come sono finito in questa situazione?

-Tutto ok?- Le sento chiedere. Appena i suoi occhi castani e lucidi intercettano i miei, io distolgo lo sguardo, imbarazzato.

-Questa volta sei tu quello dalle mille facce buffe... –

Continua a parlare, con voce incerta e dolcissima. Si raggomitola sotto le coperte e dopo qualche istante la sento imprecare.

 –Ma dove diavolo sono finite le mie mutande? E il reggiseno?-

Non che ne abbia particolarmente bisogno, visto che i suoi seni sono piccoli e sodi, perfetti.

Sotto il piumone sembra essersi scatenata la ricerca all’oro, e lei continua a setacciare ogni angolo del letto. Qualche minuto dopo riemerge dagli abissi di piuma d’oca. Ha i capelli tutti arruffati e le guance arrossate. Sbuffa, sollevando dal viso un ciuffo ribelle.

-Cercavi queste?- appese a un dito, ho le sue mutande. La guardo, malizioso, poi scoppio a ridere.

Cerca di afferrarle, ma io mi sposto, e la sua testa si ritrova ad affondare nel cuscino.

-Non è divertente!- esclama, con tono perentorio, per poi camuffare una risata subito dopo.

Sono dietro di lei, e delicatamente la prendo per i fianchi, aiutandola a sedersi. Si adagia su di me e posa la nuca nell’incavo del mio collo. Chino il capo e le lascio un lieve bacio.

Lei si gira, e intreccia le gambe alla mia vita. Le sue labbra d’improvviso sulle mie. Approfondisce il bacio mentre accarezza ogni muscolo delle mie braccia, gioca con le mie dita e…  

-Grazie! - 

Mi lascia senza fiato e la vedo sorridere furbetta, con le mutande, questa volta, tra le sue dita. Alzo gli occhi al cielo e le prendo la mano. D’improvviso mi blocco, e delicatamente faccio combaciare il suo palmo con il mio.

“E’ così piccolina” mi ritrovo a pensare, di nuovo. “Sveglia, Cory! Sembri un disco rotto!” mi ammonisco mentalmente, sempre più stranito da queste reazioni.

Osservo le nostre mani stringersi, e le sollevo, per sfiorare con il dorso della mia il suo viso.

I suoi occhi nei miei, e poi sull’orologio.

-Merda. Merda, merda, merda! Sono le nove!!! – Urla, in preda al panico, mentre raccoglie i vestiti sparsi per la stanza, li indossa e sistema il trucco a tempo di record.

-Scusa, è stato bello, tanti saluti e baci. Scusa ancora. Ciao. –

Mi sorride, fugace; prende il suo borsone ed esce dalla stanza sbattendo la porta, che io continuo a fissare, perplesso.

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H. 14.30.  Fox studios, uffici casting.

Sono seduto in sala d’attesa, mentre aspetto il mio turno per l’audizione e picchietto nervosamente con gli indici su una sedia.

Perché non c’è mai una batteria vera, quando serve?

Mentalmente, canto le parole di I Can’t Fight This Feeling Anymore, una bella canzone anni ‘80. Che da qui a poco dovrò cantare. Che non saprò mai cantare a dovere.

Io non sono un cantante, dannazione! Ma perché mi sono lasciato convincere a fare questo provino?

Qualche mese fa il mio agente, Tom, mi ha parlato di questa nuova commedia televisiva a puntate, a tema musicale. Il nome dello show non era ancora stato deciso e gli autori ci avevano solo dato una lista di personaggi con le loro caratteristiche base. Io avevo scelto di propormi per il ruolo di Finn Hudson, un quarterback orfano di padre, popolare a scuola. Nel telefilm avrà un ruolo importante, ma mi ero detto che se ci dovevo provare, tanto valeva puntare in alto. Peccato che i termini per inviare la prima presentazione online scadevano il giorno stesso in cui finalmente mi ero deciso a mandarla. Giorno in cui, ovviamente, non ero a casa e non avevo a disposizione l'unico strumento con il quale avrei potuto mostrare qualche mia presunta capacità artistico/musicale: la batteria. Non so cantare, né ballare, allora avevo mandato un video, totalmente sconclusionato, in cui recitavo e suonavo una batteria di oggetti a caso. Mi è stato chiaro fin da subito che questa volta non basterà il fisico per ottenere la parte. Ad ogni modo, incredibilmente, mi hanno convocato per il secondo casting, tenuto alla sede della compagnia di produzione, e a cui dovrò cantare. Quindi, oggi eccomi qui.

“Col tuo talento per la musica, sicuramente una parte la otterrai.” Mi aveva incoraggiato Tom.

Se per “talento” intendeva la mia naturale propensione a far casino dovunque, su piatti e casse di qualunque tipo, con delle bacchette di qualunque tipo… allora aveva ragione.
In tutta risposta, io gli avevo riso in faccia. Ecco, l’unica cosa che so fare nella vita: ridere. Perché proprio non so affrontare le cose diversamente.

Pure in questo momento sto ridendo di me stesso, mentre penso all’assurdità delle ultime 24 ore.

La notte scorsa ho incontrato una buffa e affascinante fanciulla sul treno -non chiedetemi come i due aggettivi possano coesistere nella stessa persona- e dopo averla importunata involontariamente, l’ho svegliata come la bella addormentata quando il treno è arrivato a destinazione, verso le due di notte.

Mi aveva sorriso e ringraziato, dimenticando che qualche ora prima mi avrebbe preso volentieri a schiaffi. A quel punto mi ero detto semplicemente che “Le donne sono fatte così.” e avevo sospirato. Ripensandoci bene, però, essere importunati da un clown di un metro e novantuno non deve essere stato il massimo per lei.

Fatto sta che entrambi non avevamo più sonno e dovevamo aspettare il mattino, così ci siamo ritrovati nell’unico locale aperto nei paraggi, con una nebbia di fumo a riempire l’atmosfera e un karaoke a disposizione.
Senza farsi troppi problemi, la ragazza mi aveva messo il microfono in mano e un secondo dopo stavamo cantando insieme su un piccolo palchetto disastrato, duettando sulle note di What A Feeling.

“Well, I hear the music. Close my eyes, feel the rhythm. Wrap around, take a hold of my hand.”

Su quelle parole cantate da lei, i nostri occhi si sono incontrati, e appena finito il brano ci siamo ritrovati stretti in una spirale di non-ritorno. Per fortuna al piano di sopra c’era un motel 24h su 24, o la faccenda sarebbe stata ingestibile.
Sospiro, pensando che, nella foga, non ci eravamo nemmeno presentati.

-Monteith?-

Una voce mi richiama alla realtà. Mi alzo di scatto e, celere, seguo il signore che mi introduce in una stanza dove ci sono sei paia di occhi attenti ad osservarmi. 

Ok, Cory. Cerca un punto di riferimento.

Per evitare il contatto diretto con gli occhi della crew, guardo l’orologio in fondo alla stanza, che segna le quattro del pomeriggio.
 
“Che trucchetto da dilettante. Iniziamo bene.” Questa è la mia vocina interiore, a cui intimo di stare zitta finché non ho terminato di mettermi alla gogna come un giullare. Ma d’altronde, se c’è una cosa per cui sono nato, è questa.
 
Sorrido alle persone di fronte a me, e inizio ad interpretare Finn. O me stesso. O tutti e due insieme.
Tra le risate generali, un simpatico signore con la testa pelata e il cappello da basket, mi dice:

-Ci vediamo tra un paio di mesi. Ho i tuoi dati, ti contatto appena abbiamo finito gli altri casting. Tu pensa a cercare casa qua vicino e a chiamare la nostra segreteria per le questioni burocratiche. Ciao, Finn!-
 
La mia faccia incredula e tante strette di mano.

Esco dalla stanza e prendo il cellulare per chiamare Tom. Il display segna le 16.35. 

Ero per caso finito in un sospeso spazio-temporale? E' davvero già finito tutto?
Scuoto la testa: guardo decisamente troppi film di fantascienza.
 
Uscendo dagli studi, noto un’auto sfasciata nel parcheggio accanto all’entrata. Ha finestrini rotti e il fianco completamente rientrato. Sento una donna in divisa parlare al telefono:
 
-Non si preoccupi, signorina Sarfati. L’assicurazione copre i danni e la compagnia di noleggio si è già occupata di chiamare il carro attrezzi.-
 
Se non altro la persona coinvolta sta bene.
Prendo la metropolitana e mi guardo attorno, cercando la locandina di qualche concerto interessante: stasera si festeggia. 

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Capitolo 3
*** You're Too Shy To Convey ***


N.d.A: Ciao a tutti! Vedo con piacere che siete in molti a leggere, e mi scuso per la maleducazione: fino ad ora non vi ho nemmeno scritto due parole personali, ma ero troppo presa dalla storia, e mi è davvero passato di mente, perdonatemi. Dovete sapere che questa fanfiction è nata come un tributo alla canzone da cui prende il titolo, perché continua ad essere il filo conduttore di  tante coincidenze che sono capitate e capitano nella mia vita. Durante una notte insonne, ho trovato conforto nei sorrisi di Lea e Cory (mio imperituro amore telefilmico… salvo che dicevo a tutti che non mi piaceva, perché mi vergognavo della mia cotta adolescenziale –N.B: ho 25 anni-, nemmeno fosse stata una persona che conoscevo XD), ed ora eccoci qui.
Che altro dire? Spero che mi lascerete qualche feedback, positivo o negativo che sia. Una recensione fa sempre piacere, con eventuali critiche annesse e connesse.
Grazie a tutti, davvero. E, DON’T STOP BELIEVIN’. SEMPRE.
p.s: IMPORTANTE. Con un po’ di ritardo, ma per la scena delle audizioni, consiglio di guardare questo video: https://www.youtube.com/watch?v=riKf61F7Wsg . Probabilmente alcuni di voi lo conosceranno già.
Credo che invece tutti abbiate presente la scena dell’audizione di Rachel e di You’re The One That I Want, appunto presenti nel pilot.  Ma per chi non ricordasse, eccovi: https://www.youtube.com/watch?v=DL62bZmz4VY
 
LEA POV
 
Ottobre 2008. Los Angeles. Paramount Pictures Studios.
 
Sono le sei del mattino, e la signorina qui presente è già sveglia da due ore, appena passata nelle mani di truccatrice, parrucchiera e stylist.
Oggi iniziamo a girare il pilot di Glee, quella commedia musicale per cui ho fatto il provino tre mesi fa. Saranno stati lo yoga e gli anni di esperienza in teatro, ma non sono mai stata così soddisfatta di un’audizione in vita mia. O forse qualcuno lassù mi ha riservato una dose extra di aiuto, visto che prima della suddetta me ne sono successe di tutti i colori. Difficilmente dimenticherò le 24 ore più assurde di tutta la mia vita, in cui ho fatto tutto il contrario di ciò che mi ero prefissata. Ancora adesso non mi spiego il perché del mio comportamento, ma quel che è stato, è stato.
Probabilmente ho qualche accenno di disturbo OCD[1], ma chiunque mi conosce, sa che nelle 24 ore precedenti un colloquio o spettacolo importante, devo osservare una rigidissima tabella di preparazione. Sono una persona estremamente emotiva, e se non mi metto nella condizione giusta… meglio non sapere cosa potrebbe capitare. Il bello è che tutti pensano che io sia sicura di me, ma quell’impressione è il risultato di anni e anni di lavoro su me stessa… e merito della magia creata dal mondo dello spettacolo, in cui puoi essere chi vuoi. Persino te stesso!
Ebbene: nonostante l’aereo fosse più veloce, e nonostante il provino sarebbe stato il mattino seguente, io avevo preso il treno per Los Angeles di notte, ad un orario assurdo e avevo affittato una macchina per girare più comodamente in quella metropoli a me sconosciuta, oltre che al limite della concezione di caotico.
Molto sensato, vero?
No, lo so anche io, ma lo ammetto: sono un po’ viziata, e mi piace andare e venire all’orario che più mi fa comodo, senza dover dipendere da bus o altri mezzi pubblici. Senza contare che ho il terrore di far tardi agli appuntamenti di lavoro, e che quindi, per abitudine, mi presento in loco almeno un’ora prima di quella stabilita.
Su quel treno, poi, era avvenuto un incontro inaspettato, e mi ero ritrovata a letto con uno strano e affascinante sconosciuto.
Avevamo cantato tutta la notte, tra fumo, alcol e attività fisica fuori programma…
Il mattino io mi ero alzata tardissimo, rispetto al mio solito e nella fretta non avevo mangiato nulla.
Così era andato a farsi benedire anche il resto del mio rituale mattutino: niente infuso di semi di finocchio per umidificare le corde vocali, niente vocal fry[2] per non affaticare la voce parlata, niente zenzero. Niente yoga e niente olio tonificante al viso.
Ribadisco: sono fissata e un po’ narcisista, me ne rendo conto. Ma il corpo è il mezzo espressivo dell’attore e bisogna averne cura, sempre.
Ad ogni modo, l’unica cosa che ero riuscita a fare prima dell’audizione, era stata scaldarmi la voce in macchina, prima che questa venisse sfasciata in pieno da un’altra vettura, proprio nel parcheggio degli studi televisivi.
Per fortuna io non ero rimasta ferita.
Con nonchalance mi ero tolta i pezzi di vetro dai capelli, avevo indossato un sorriso, e teatralmente mi ero presentata nella stanza del provino, degna del personaggio che interpreterò da qui a quando ne avrò la possibilità.
Ho voluto quel ruolo più di qualunque cosa, e oggi ho l’adrenalina a mille. Finalmente si entra nel vivo dell’azione e potrò fare tutto ciò che amo di più al mondo: cantare, recitare e ballare, nel ruolo di un’ambiziosa studentessa con cui ho molto in comune.
Un mese fa io e i miei colleghi abbiamo avuto la prima table reading del copione. Avevamo presenziato tutti, tranne uno, che manca anche adesso.
 
-Monteith quando arriva?- chiede Brad, uno dei tre coautori.
 
-Ian è andato a prenderlo due ore fa. Se non l’hanno rispedito in patria come un profugo, finalmente tra un’ora dovrebbe essere dei nostri.- gli risponde Ryan, alzando gli occhi al cielo.
 
Sì, perché il mese precedente noi attori eravamo stati convocati, avevamo iniziato a lavorare sui personaggi insieme agli autori, ma il mio coprotagonista principale era rimasto bloccato in Canada a causa di alcuni problemi con la green card[3].  
So solo che il suo nome è Cory Monteith, e spero davvero che sia bravo come dicono.
Chissà perché me lo immagino un tipo alla Kurt Cobain.
 
“Ti prego, fa che non puzzi.” Mi ritrovo a pensare. Può sembrare scontato, ma garantisco che performare certe scene con uno che sa di cavolfiore bollito non è proprio il massimo.
 
Comunque, siamo tutti ansiosi di conoscerlo e di provare al completo la prima coreografia collettiva di questa nuova avventura.
La giornata di oggi è dedicata ai numeri musicali, e domani gireremo le scene puramente parlate.
Jenna sale sul palco nei panni di Tina, una studentessa orientale che finge di balbettare per evitare di essere infastidita.
La serie tv è ambientata in un liceo dell’Ohio, e Mattew interpreterà il professor Shuester, il nostro insegnante. In questo momento è seduto alla scrivania, troneggiante al centro della sala concerti. Fingerà di farci le audizioni per il club di canto corale della scuola.
Successivamente arriva il turno di Amber, forte voce afroamericana; il microfono poi passa a Kevin, che ha la sfida di ballare… su una sedia a rotelle, e infine ascoltiamo Chris, dal timbro acuto particolarissimo.
L’ultima a salire i gradini che portano sul palco, sono io.
 
-Salve, mi chiamo Rachel Berry, e vorrei cantare On My Own, dall’intramontabile musical di Broadway Les Miserables.-
 
La musica parte, i riflettori fanno l’effetto di una sauna, e io mi sento come i malcapitati che nei film vengono inglobati dalla luce di un disco volante alieno. O dall’illuminazione divina. Abbasso lo sguardo, e l’epifania canterina svanisce, insieme alle ultime note fatte vibrare dalla mia voce.
Arriva l’ok di Ryan, e io mi schermo gli occhi con una mano per riuscire a vederlo.
Un momento: a meno che non abbia mangiato troppa tortainsù[4], Ryan non può esser cresciuto in soli dieci minuti.
La sagoma che si delinea di fronte a me è quella di un uomo decisamente più alto del regista.
 
No. Non può essere.
 
E invece i miei dubbi vengono fugati dal fatto che non sono l’unica ad avere la mascella che in questo momento rasenta il suolo.
 
-Ehm, pensi di stare tutto il giorno lì impalata? Dobbiamo continuare a girare.-
Ryan riporta la mia attenzione alla realtà.
 
-Ma voi due vi conoscete?- continua, mentre io, a passo lento e incerto, cerco di scendere dal palco conservando un minimo di autocontrollo.
 
Il respiro, Lea. Controlla il respiro. Inspiro: Uno, due, tre. Espiro: Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
 
-No, è solo che... wow. Complimenti.- per fortuna interviene lo spilungone, perché io non ho ancora riacquistato la capacità fonatoria.
 
-Lea, piacere.- lo guardo negli occhi e gli stringo la mano, vigorosamente.
 
La mia solita, involontaria, reazione all’imbarazzo: esasperare un gesto naturale, nell’ansia di sembrare normale. Sono ancora troppo shockata anche solo per lamentarmi del fatto che abbia negato di conoscermi, quindi mi limito ad assecondarlo.
Il ragazzo sembra in soggezione mentre ricambia la stretta e mi dice il suo nome. Ecco, se non altro adesso ci stiamo presentando civilmente, e non come due clochard alla stazione che finiscono per scaldarsi a vicenda.
Faccio per dargli un cordiale bacio sulla guancia, e accorgendomi che non ci riesco, mi metto sulla punta dei piedi.
Testarda, allungo di più i muscoli dei polpacci.
Niente da fare, proprio non ci arrivo.
Ecco, come non detto. Figura di merda, mode: ON.
A Cory sfugge una risatina sommessa.
Ryan ci guarda e ride di gusto. Il ragazzo abbassa il capo e lascia due baci delicati al bordo delle mie labbra.
 
-Sarà divertente vedervi in scena.- dice, per poi presentare il nostro quarterback al resto della squadra.
 
Io ho le guance in fiamme, e deglutisco pesantemente mentre mi dirigo verso il camerino. Faccio il cambio vestiti per la scena successiva e qualche minuto dopo sono di nuovo sul proscenio insieme agli altri attori: è il momento di provare il primo numero d’insieme. Fisso lo spartito, per evitare lo sguardo di chi ha visto il delirio della mia parte irrazionale, quella che non lascio uscire mai. O quasi.
Il pianista suona le prime note di You’re The One That I Want da Grease, e Cory inizia a cantare.
Siamo tutti allineati e io, dall’altra estremità della fila, non posso fare a meno di dargli un’occhiata furtiva, più che stupita.
Uno slancio appassionato, un graffiato dolce e naturale. C’è davvero una scintilla nella sua voce.
Quando vedo che Kevin si sta girando verso di me, mi affretto a distogliere lo sguardo, e di nuovo trovo conforto nei fogli bianchi e neri.
 
“It’s electrifying”, conclude la frase.
 
Ok, ora si fa sul serio. Mi dò un tono e getto gli spartiti dietro di me. Guardo decisa il mio partner e a passo di danza mi dirigo verso di lui, che ha occhi e bocca spalancati in un’espressione quasi terrorizzata.
 
“You better shape up, ‘cause I need a man and my heart is set on you.” Con la voce e il viso enfatizzo la frase della canzone. Mentre canto, sorrido, incoraggiante, forse più per me stessa che per lui.
 
Nonostante sia da copione, realizzo che Cory è davvero intimorito.
Indietreggia, e io lo porto verso di me. Afferrandogli la mano, percepisco i muscoli rigidissimi del suo avambraccio.
Manco fossi la strega cattiva o un mostro venuto direttamente dall’inferno.
Sul terzo movimento della battuta, lui bilancia la mia presa e io perdo l’equilibrio, rimbalzando come una molla contro il suo petto.
In men che non si dica, ci ritroviamo a terra, l’una sopra l’altro.
 
-Ok, ok, taglia!- urla Ryan alla macchina da presa.
 
Poi il silenzio, e quel sorriso che mi ricordavo fin troppo bene. Il sorriso più solare e bello del mondo.
 
[1] Obsessive-Compulsive Disorder, in italiano Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Tale disturbo consiste in un disordine psichiatrico che si manifesta in una gran varietà di forme, ma è principalmente caratterizzato dall'anancasmo, una sintomatologia costituita da pensieri ossessivi associati a compulsioni (azioni particolari o rituali da eseguire) che tentano di neutralizzare l'ossessione. (cit. wikipedia)
 
[2] Tecnica vocale che consiste nel far vibrare le corde vocali a vuoto, in in modo da scaldare la voce parlata e pulire da eventuali residui di muco nel tratto.  
[3] La Permanent Resident Card (conosciuta comunemente come 'green card') è un'autorizzazione rilasciata dalle autorità degli Stati Uniti d'America che consente ad uno straniero di risiedere sul suolo degli U.S.A. per un periodo di tempo illimitato. È oggi rilasciata dall'USCIS (U.S. Citizenship and Immigration Services). (cit. wikipedia)
Piccola curiosità: Cory Monteith ha davvero avuto problemi con la green card, infatti ha iniziato le riprese di Glee qualche settimana dopo gli altri ragazzi.
[4] Tortainsù: nell’universo creato da Lewis Carroll, è un dolce che fa crescere in statura chi lo mangia. 

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Capitolo 4
*** This Masquerade ***


CORY POV
 
3/12/2008
 
Sollevarla è così semplice.
 
Io lo so bene, dopo un mese passato a provare passi di danza e prese strambe insieme a lei e a tutto il cast.
Siamo reduci da un bootcamp[1] obbligatorio: alcuni di noi non avevano nemmeno mai preso lezioni di danza, e da febbraio i ritmi di lavoro diventeranno ingestibili, visto che fino a maggio filmeremo l’intera prima serie.
Sì, il pilot ha avuto anche più dei consensi sperati dall’audience test[2], e la Fox ci ha dato il via libera per quella che sarà una vera avventura.
Dovremo imparare coreografie e canzoni nuove da un giorno all’altro, perciò speriamo che gli allenamenti intensivi siano serviti a temprarci.
 
Sollevarla è così semplice.
 
Lo sa bene anche il suo ragazzo, venuto a prenderla al termine di questo tour de force.
Li vedo abbracciarsi e baciarsi. Lui la prende in braccio e lei incrocia le gambe alla sua vita per reggersi. Si sorridono, e lui le toglie la fascia per i capelli, scompigliandole teneramente la frangetta.
Sì, piace anche tanto a me quel suo nuovo look. La rende più… donna. E se possibile esalta ancora di più quegli zigomi e quelle labbra così sexy. Soprattutto quando le apre per cantare. Dio, è così bella mentre canta.
La bottiglia di plastica che ho in mano diventa una pallottola informe. Chris se ne accorge e mi guarda con comprensivi occhi azzurri.
 
-Abbi pazienza.-
 
Pazienza? Per un mese, ogni giorno, ci siamo sfiorati, anche più del dovuto. Abbiamo riso, ci siamo fatti scherzi, e abbiamo riso ancora di più. Ci siamo conosciuti e…
Certo, non sono decisamente un ètoile della danza; posso solo immaginare quanto incompetente io possa sembrare ad una professionista del suo calibro, ma ciò è venuto a mio favore quando volevo sbagliare di proposito durante i passi a due. Diciamolo: non era così difficile riuscirci, e ho camuffato bene le mie reali intenzioni.
Qualunque cosa, pur di stare di più a contatto con lei. Anche prolungare la tortura, inciampando durante una bachata o imparare lo “spaccaginocchia”[3].
Ma lei riusciva a rendere piacevole anche questo. Soffocava una risata e abbassava lo sguardo, arrossendo; poi mi prendeva la mano e guidava i miei passi, con il sottofondo delle urla di Zach, il nostro insegnante.
Che io ovviamente non sentivo. Ero catturato da ben altro: sono pur sempre un uomo, e le donne fasciate in un’attillata tenuta da ginnastica fanno sempre il loro effetto. Soprattutto se hanno il fisico di Lea.
Fisico che ricordavo benissimo, spoglio di quegli inutili vestiti.
Dio, è così difficile mantenere la concentrazione, con lei vicino.
Un mese intero così. Un mese intero senza pause, weekend liberi o qualsivoglia evasione da quel mondo parallelo che Ryan è riuscito a creare in così poco tempo.
Certamente si è venuto a formare uno spirito di squadra, tra noi cinque casi umani. Siamo diventati affiatati a tal punto che tutti si sono accorti che tra me e Lea c’è qualcosa in sospeso.
Se pensavamo di essere attori così bravi da nasconderlo, evidentemente ci siamo sbagliati.
Oppure quel qualcosa è troppo forte per essere ignorato.
Lo so, ho le mie colpe: quando lei cercava un confronto su quella notte, io evadevo il discorso o ricominciavo a ballare, facendo finta di nulla.
Ma lei non si è nemmeno degnata di dirmi che si è fidanzata.
Nemmeno dopo che…
 
LEA POV
 
16/11/2008
 
È ormai mezzanotte passata, e non riesco a prender sonno. Indosso la vestaglia ed esco dalla roulotte, pronta a vagare per il campus deserto finché non sentirò le palpebre chiedermi pietà.
Arrivo di fronte all’ingresso della palestra e sono in procinto di svoltare a destra, per inoltrarmi nel viale alberato che dà inizio al percorso fitness all’aperto.
Ad un certo punto sento dei singhiozzi e mi guardo attorno, preoccupata. Seguo il suono, fino a quando non me lo trovo di fronte.
Lo vedo tremare, con le unghie conficcate nelle guance. Rivoli di sudore gli scendono lungo le tempie e si uniscono alle lacrime sul volto paonazzo dal dolore. Le vene gli pulsano visibilmente, così tanto che sembrano sul punto di esplodere da un momento all’altro.
Mette la testa tra le ginocchia, mentre si accascia contro il retro della palestra. Ha uno spasmo e la schiena subisce un violento contraccolpo sul muro.  
Non so cosa dire, cosa fare.
 
-Cory che… che succede?-
 
Socchiude le labbra, lottando con i denti che battono l’uno contro l’altro.
Ci prova, ma non riesce a pronunciare una sola parola.
 
-Vuoi… vuoi che chiami qualcuno? –
 
Mi lancia uno sguardo truce, e poi nasconde nuovamente gli occhi.
Ho capito.
Ma devo fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
 
Mi avvicino lentamente e mi metto in ginocchio, accanto a lui. Delicatamente gli poso una mano sulla spalla.
 
-Cory, io non ti lascio qui così.-
 
Sposto la mia mano, fino a trovare la sua, rigida e fredda, a contrasto con il viso bollente.
 
Con uno scatto, lui me la afferra.
 
I suoi tremiti mi arrivano fin dentro le ossa.
 
Io sono paralizzata, e un’ora dopo siamo ancora qui, nella stessa identica posizione.
 
Col passare dei minuti, i tremori diminuiscono e la sua stretta si fa via via più debole.
 
Quando sento la mano mollare la presa, giro il volto verso di lui, e mi accorgo che si è addormentato.
 
Arriva il mattino, e con cautela lo sveglio.
 
CORY POV
 
Sento il tepore di una carezza sulla mia guancia, ma non ho il tempo di soffermarmi su quella sensazione perché il dolore, dalla nuca, passa allo stomaco, e sono costretto a piegarmi in due per rigettare gli scarti di un’anima che ho perso chissà dove.
In tutto ciò un appiglio saldo, in una mano piccolina che non mi abbandona finché io non realizzo e scappo di corsa, sotto gli occhi di Lea che mi guarda, stanca e impotente.
Quello sguardo di pietà non riuscirò più a levarmelo di dosso, già lo so.
Dio, che vergogna.
Mi sciacquo il viso nel bagno della roulotte, e osservo il ghigno di scherno che rivolgo allo specchio. Quanto sono ridicolo. Non sono un gran credente, ma da quando conosco lei, mi ritrovo ad invocare le divinità più volte al giorno.  
 
Arrivo in ritardo al training mattutino e mi si forma un nodo in gola quando rivedo di fronte a me le sue occhiaie profonde, le sue sopracciglia corrucciate e le sue labbra spalancate… eppure non emette alcun suono, perché prima che possa parlare, io le volto le spalle, e mi metto a discutere animatamente con Ryan.
Con la coda dell’occhio la vedo abbassare il viso, ferita. Dissimula l’imbarazzo portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e sorridendo debolmente a Jenna, che le si avvicina, solare come sempre.
 
Ecco, adesso mi sento doppiamente in colpa: non solo ha assistito al peggior spettacolo che una persona può dare di se stessa, non solo ha passato la notte in bianco per starmi accanto, ma l’ho anche bellamente ignorata, da vero stronzo.
 
Come non detto. Triplamente in colpa.
Ma si dice “triplamente”?
 
Sì, forse quella robaccia mi ha davvero fuso il cervello.
 
Faccio del mio meglio per memorizzare i passi ed essere reattivo, ma appena posso cerco il muro, per evitare che i capogiri diventino svenimenti.
Con gli svenimenti inizierebbe una serie di domande, e io non ho voglia né di dare spiegazioni, né di mentire.
 
Sono troppo vigliacco per guardare Lea negli occhi, e trattarla con freddezza non fa che peggiorare la situazione.
 
Ma proprio non posso fare diversamente.
 
È ormai fine giornata, e siamo negli spogliatoi della palestra.
Dopo aver fatto la doccia, metto l’asciugamano attorno al collo, saluto gli altri ragazzi ed esco dalla zona del bagno riservata agli uomini.
Lea è appoggiata a lato della porta e si tiene un braccio con l’altro. Timidamente alza i suoi occhioni su di me.
 
Mi si mozza il fiato.
 
No, non è il “Sei così bella che mi togli il respiro”.
 
Sono nel panico.
 
Non posso scappare.
 
-Senti… so che non sono affari miei, ma… volevo solo sapere come stai.-
 
-Alla grande. Grazie.-
 
La spingo via bruscamente, per uscire definitivamente dalla struttura.
 
LEA POV
 
23/11/2008
 
Una delle cose che mi ferisce di più è non sapere il motivo per cui una persona è arrabbiata con me.
Voglio dire: se ho fatto qualcosa di male, è meglio farmelo notare, almeno, se è il caso, posso chiedere scusa, cercare di rimediare, o per lo meno provare a capire dove ho sbagliato.
Invece Cory da una settimana a malapena mi rivolge la parola, ed evita quasi di guardarmi. Ogni volta che mi deve dire qualcosa è come se la sua voce fosse la lama di un coltello: cauta, gelida, precisa e pungente. E io sono avvilita. Ho tentato in tutti i modi di essere gentile, di trovare un punto d’incontro. Ma nulla. Anche quando dobbiamo ballare insieme, dove una volta le sue mani mi sostenevano vigorose, ora c’è un tocco appena accennato, quasi come se solo l’idea di avere un contatto con me lo ripugnasse.
Dopo l’ennesima giornata piena di tensione, mi dirigo ai bagni insieme alle ragazze.
Esco dalla doccia, mi infilo l’accappatoio e friziono i capelli, poi mi incammino verso la roulotte.
Sgrano gli occhi quando, di fianco alla porta, vedo un mazzo di rose rosa.
C’è un biglietto, con stampata una grande stella dorata.
 
Probabilmente questa volta sarai tu a non volermi ascoltare, e ne avresti il diritto.
 Sono un codardo, e ti chiedo scusa.
 Le parole non sono proprio il mio forte, ma se me ne darai la possibilità, proverò a spiegarti.
 Te lo devo.
 Alle 23 all’entrata?
 Ti aspetto.
 
 Cory.”
 
Ok, quel ragazzo è strano forte. Ma d’altronde a me non sono mai piaciuti normali.
Aspetta un attimo: sto ammettendo che mi piace? Ferma tutto, Lea. Sei fidanzata, e Theo è un bravo ragazzo. Cory ha fatto un gesto carino, ma… vediamo dove vuole andare a parare.
Espiro sonoramente, e inspiro pazienza.
Quella che tutte le volte penso di non avere, e che poi mi ritrovo a dover imparare per forza.
 
Chissà perché sono così nervosa. A cena ho mangiato pochissimo, ed è mezzora che mi spazzolo i capelli, come se fossero un corpo esterno alla mia persona. Ho già provato quattro acconciature diverse, manco fosse un appuntamento galante.
Vai tu a capire il mio cervello.
Ormai è quasi l’ora e mi metto il golfino rosa, come le rose che Cory mi ha regalato.
Esco dalla roulotte e mi stringo nelle braccia. Stasera c’è una brezza fresca che soffia sullo spiazzo enorme che separa la palestra dal bosco.
 
Vedo Cory accostato all’ingresso dei campus, il cappuccio di una felpa nera gli copre il volto a metà, mentre guarda a terra, intento a calciare delle pietre sull’asfalto.
Devo constatare che è molto tranquillo anche lui.
 
Lo raggiungo, e contro ogni regola della buona comunicazione, incrocio le braccia fissandolo, in attesa.
 
-Ok, però così mi metti più paura di quanta già non ne avessi.-
 
Mette le mani avanti, in segno di resa.
 
-Per favore, parla, o rischio di impazzire.-
 
-Tu? Sei sempre così controllata, così… forte.-
 
Alzo un sopracciglio e scuoto la testa. Sospiro, e sorrido.
Che ingenuo.
 
-Senti, non sono orgoglioso di me. Chiaro?-
 
-Guarda che io non voglio obbligare nessuno a dirmi cose che non vuole dirmi, e men che meno ad avere un buon rapporto con me al di fuori del set. Ma il lavoro è lavoro. E io voglio lavorare con serenità. Detto questo… ero solo preoccupata per te.- mi mordo le labbra e guardo di fronte a me. Sotto il lampione è ben visibile il punto dove lui era stato così male che credevo sarebbe morto.
 
-Lo vedi? È per questo che non volevo parlarti.-
 
-Cosa?- Proprio non capisco.
 
-Lo sguardo che hai ora. La compassione. Io… non ho bisogno di compassione.-
 
-Ehi, guarda che ti sbagli.- Ecco, ho già detto “guarda” almeno tre volte. Prendo un bel respiro e continuo la frase.
-Non mi piace la pietà. La pietà è per chi non ha più nulla da condividere col mondo. Tu invece hai tanto da dare, tanto da dire… e sei… la nostra colonna portante. Il nostro quarterback.-
 
Gli sorrido, pensando a tutte le volte che in sala prove o in palestra, lui ha dato un senso al gioco di squadra. Come quella volta che, in un momento di sconforto generale, si è messo a ballare sulla sedia rotelle al posto di Kevin, per farci rendere conto che tutti possiamo farcela.  
 
-Io non sono una brava persona, Lea. Non voglio farti ancora del male.-
 
-Scusa, ma continuo a non capire. Aiutami.- senza accorgermene, gli prendo una mano.
 
-Scusami tu.– si libera dalla presa e infila tutte e due le mani nelle tasche dei pantaloni.
Inizia a camminare avanti e indietro a testa bassa.
 
Io rimango interdetta.
 
-Non avresti dovuto vedermi in quello stato. Quella é… la parte peggiore di me. Io… non ce l’ho fatta.-
 
-A fare cosa?- gli chiedo. Mi sembra di spremere un limone. Sicuramente il suo disagio è infinitamente maggiore del mio, ma proprio non so come aiutarlo ad esprimersi, se non facendogli (forse) banalissime domande.
 
-A reggere.-
 
All’improvviso si ferma e mi guarda nel profondo degli occhi, più serio che mai.
 
-Sediamoci. Poi potrai fuggire a gambe levate, ma ti prego di ascoltarmi senza interrompermi. È già abbastanza difficile così, per me… -
 
Sotto una palma solitaria al centro dello spiazzo c’è una panchina. Lui mi prende la mano e dolcemente mi fa cenno di accomodarmi.
Continua a parlare, rimanendo in piedi.
 
-Erano nove anni che non mi succedeva. Nove maledettissimi anni. E ora sono di nuovo al punto di partenza. Dopo la riabilitazione ho giurato che non sarei diventato come mio padre, che avrei coltivato i miei sogni, che avrei costruito una vita in cui potessi essere felice davvero, che non sarei rimasto schiavo di una felicità artificiale. E invece eccomi qui: un uomo che nemmeno sa controllare cosa scorre nelle proprie vene. Dopo tutto quello che ho passato, pensavo di essere forte… poi, una volta a Los Angeles, sono stato soffocato da quell’alone di perfezione… sai di cosa parlo, vero? Ti piomba addosso e ti fa sentire così insignificante… Mi vergogno da morire.-
 
Si siede di fianco a me e questa volta è lui a portare una mia mano sul suo viso. L’altra è delicatamente poggiata sulla mia coscia.
I suoi occhi mi scrutano, e sorride, per un istante, sereno.
 
-Tu… tu sei così pura. Non devi mischiarti con questo schifo.-
 
Si alza, e stringendosi nelle spalle, inizia ad incamminarsi verso la sua roulotte.
 
Ad un certo punto si blocca, e senza voltarsi pronuncia un’ultima frase.
 
-Grazie… per tutto.–
 
 
N.d.A: Salve a tutti! Scusate l’attesa, ma tra concerti da preparare last minute, lavoro, esami e deliri amorosi, non ce l’ho fatta a pubblicare prima.
Spero davvero che il capitolo valga la pena dell’attesa. So che mi sto addentrando in tematiche delicate, ma per mantenere fedeltà al personaggio, mi son sentita di inserire anche questa parte importante della sua vita, perché ha condizionato molte cose, come sappiamo.
Detto ciò, rinnovo l’invito a lasciarmi un feedback, se vi va.
Cosa vi aspettate dagli sviluppi della storia? Cosa vi piace e cosa no?
Sono curiosa di sapere.
In ogni caso, grazie davvero per aver letto <3
Un abbraccio!

-Infected Heart
 
p.s: Avete sentito Love Is Alive, il nuovo singolo di Lea? Fatemi sapere anche cosa pensate di quello.

p.p.s: Piccola curiosità: il titolo del capitolo deriva da una famosissima canzone Jazz di George Benson, This Masquerade. Sì, lo ammetto: nemmeno io la conoscevo, fino a quando, un mese fa, il pianista che ci accompagna a lezione di canto in conservatorio non si è messo a suonarla così, a random XD Ascoltate e leggetevi il testo, capirete perchè l'ho scelta a titolo del capitolo :) Qui vi lascio il link della versione di Shirley Bassey, che mi piace tantissimo: https://www.youtube.com/watch?v=3Ma4pfVZesg  
 
[1]Bootcamp: “Boot Camp è una pratica di fitness che si rifà all’addestramento militare dei marines americani e che propone un allenamento intenso per uomini e donne con l’obiettivo di perdere peso, tonificare i muscoli e aumentare forza e resistenza fisica in appena poche settimane. Con il Boot Camp, la palestra tradizionale si trasforma in un vero e proprio campo di addestramento militare, l’istruttore di fitness diventa un “sergente di ferro”, mentre i partecipanti sono civili che si sottopongono a quello che a prima vista potrebbe sembrare un maltrattamento con il solo scopo di tornare tonici e forti in tempi veramente record.”
 
[2] Audience Test: prima che un prodotto televisivo (film, serie tv, tv shows etc.) venga completato e inserito nel palinsesto, la visione del pilot (puntata di prova) viene sottoposta ad un pubblico eterogeneo o con target selezionato, come test per valutare indice di gradimento ed impatto emotivo.
[3] Spacchiaginocchia: in gergo, uno dei passi più difficili per un numero di canto coreografato. Consiste nel mettere una mano a terra per reggere il peso del corpo, e sollevare entrambe le gambe, piegate velocemente. La difficoltà, oltre che fisica, è nell'usare il diaframma, perché si è in posizione ricurva, e quindi il sostegno delle note cantate è problematico.

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Capitolo 5
*** Workin' Hard To Get My Fill ***


LEA POV
 
Marzo 2009
 
-Beh, se non lo capisci, allora non sai fare il tuo mestiere. Ciao.-
 
Chiudo la chiamata e faccio un bel respiro. Sorrido scintillante, e aspetto il ciak.
Prendo la mano di Cory, che mi solleva e mi fa fare una giravolta. Sento tirare la pelle a lato degli occhi e attorno alle labbra. Vedo che sul suo volto sta succedendo la stessa cosa.
Stentiamo a trattenerci dal ridere, perché sappiamo entrambi che lui ormai ci ha preso gusto nel sollevarmi a tradimento, in ogni occasione: in fila a  mensa, mentre sto cercando di studiare un brano, mentre mi sto truccando in bagno, o mentre sto cercando di chiudere gli occhi sul divano una decina di minuti.
È diventato il mio tormento, e so che ci gode non poco.
Meglio così: non sopporto quando è freddo e schivo, e anche tutto il gruppo funziona meglio se è di buon umore.
 
Il numero musicale è concluso, e aspettiamo che Ryan dia lo stop definitivo.
Lascio il posto sul set a Chris e saluto Cory, che da lì a una mezzora deve girare l’ultima scena della giornata.
Mi volto e sto per aprire la porta d’uscita.
 
-Aspetta. Ci sono problemi?-
 
-No, il solito. Ma che razza di attore è uno che si incavola se la sua ragazza va d’accordo con un collega? Non è la prima, né sarà l’ultima volta che dovrò dare baci di scena. Meglio che si metta l’anima in pace.-
 
-Un po’ lo capisco, però. Non deve essere facile condividerti.-
 
-Ehm, lui non mi sta condividendo proprio con nessuno, è questo che non capisce.-
 
-Andiamo, Lea. Lo sai.-
 
-Lo so. Ma lo sai anche tu. Non possiamo far diversamente. Buona serata.-
 
-Ciao.-
 
Ritmi folli e dinamiche ancora più folli. Tanto meglio: finché si è nel frullatore, è più facile ignorare la realtà. Fingere di non vedere cose che non si vogliono vedere. Bisogna portare a casa un prodotto confezionato con fiocco, e nel mio caso anche con qualche stellina.
Il resto può aspettare.
 
Ora si va a letto e domani di nuovo sveglia alle cinque: workout, doccia, trucco e parrucco, ripasso di gruppo, e poi di nuovo in scena.
Nel pomeriggio si va in studio di registrazione, e Cory mi ha chiesto di dargli una mano con degli esercizi di estensione. Ha un bel graffiato naturale, ma deve lavorare sulla frontalità dei suoni, affinché esca nel modo più bello e sano possibile. Nonostante l’eccelso lavoro fatto col vocal coach durante i mesi precedenti, ha il terrore di sentire il suono della sua voce registrata. Vediamo di fargliela passare.
Come non detto.
Faccio retro front, torno agli studios e mi faccio dare le chiavi della sala prove.
 
-Di nuovo qui? Signorina Michele, lei lavora troppo. Attenta, che così mi si sciupa.-
 
Berny, il custode. Baffi bianchi alla francese, occhiali rotondi, e un naso che può far concorrenza al mio, orgogliosamente ebreo.
 
Forse è per questo che ci siamo presi in simpatia e, cosa non meno importante, chiude un occhio su tutte le ore extra che passo a provare in quella stanza riempita per i tre quarti da un pianoforte a coda.
 
Gli faccio l’occhiolino, entro e mi siedo al pianoforte.
 
Tiro fuori dalla borsa il copione di Cory con segnate tutte le canzoni che dovrà cantare da qui alla fine della stagione.
Ovviamente gli imprevisti sono all’ordine del giorno, ma abbiamo una tabella di marcia molto ben organizzata.
Scoppio a ridere, osservando come la sua penna rossa abbia ornato di buffi disegnini gli spartiti delle canzoni che lo preoccupano maggiormente.
Sul mashup It’s My Life/Confessions II c’è un kiss coi capelli fumanti e gli occhi a spirale.
Alzo gli occhi al cielo. Che idiota. Adorabile, ma pur sempre idiota.
Già me lo immagino dopo le riprese, a cercare come un matto il copione.
Sogghigno: dopo lo scherzo dell’auto, ben gli sta.
Sì, perché dovete sapere che il signorino, dopo aver scoperto del mio incidente accaduto prima dell’audizione, ha iniziato a prendermi in giro per le mie disastrose capacità automobilistiche. Inutile spiegargli che non era stata colpa mia.
Ad ogni modo, sapendo dove parcheggia sempre la sottoscritta, un bel giorno ha pensato bene di lasciare il suo lussuoso Range Rover proprio accanto alla mia macchina. Ci ha appiccicato degli adesivi che simulano graffi di carrozzeria, e poi mi ha chiamata, arrabbiatissimo.
Credo che per quell’interpretazione avrebbe dovuto vincere un oscar:
 
-Dovrebbero toglierti la patente! Ma tu lo sai quanto mi è costata quest’auto?- Era viola in volto.
 
Io ero costernata.
 
-Ti giuro che non me ne sono accorta, giuro che ti ripago tutto fino all’ultimo centesimo! Scusa!-
 
Ed effettivamente quella sventurata svista sarebbe stata molto plausibile, vista la mia proverbiale sbadataggine.
 
Peccato che quando mi sono messa a piangere, lui ha iniziato a sganasciarsi dalle risate e io, prima mi sono pietrificata, poi mi sono scagliata a prenderlo a pugni sul petto.
Ancora ho in mente la scena comica che ne è conseguita, con lui che rideva a crepapelle, mi prendeva per la vita e mi teneva a debita distanza, mentre scalciavo e tiravo pugni contro il vuoto.
 
Ora pregusto la vendetta, mentre mi studio appositamente per lui degli esercizi da fargli fare l’indomani.
Ah, Monteith. Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità.
 
CORY POV
 
-Eh no, eh! Questa me la paga.-
Dico a voce alta, nel marasma della mia roulotte, dopo averla messa in soqquadro per cercare la mia attuale Bibbia attoriale.
Come una furia, vado esattamente dove so che si trova in questo momento. E già godo per come le darò fastidio, rovinandole il suo prezioso sonno di bellezza.
 
-Ridammelo! Forza, apri e ridammelo.-
 
Dopo qualche secondo, me la ritrovo di fronte, in canottiera rosa confetto e slip, capelli sciolti e una mano a coprire uno sbadiglio.
 
-Oh, eccolo! Onestamente pensavo che ci avresti messo di meno a capire l’autore del furto.-
Ha una mano sul fianco e con l’altro braccio si appoggia alla maniglia della porta.
Deglutisco, nel notare che è senza reggiseno. I capezzoli evidentemente turgidi si intravedono sotto la stoffa, troppo sottile per camuffarli del tutto.
 
Ora porta uno sguardo fiero, di chi ha la consapevolezza di avere il coltello dalla parte del manico; le labbra corrucciate in una smorfia di pura soddisfazione.
 
Ok, Cory. Mai farsi vedere debole di fronte al nemico.
 
-E non lo neghi neppure! Che faccia tosta! Guarda che ci rimetti tu. O mi dai subito il copione o puoi scordarti di tornare a dormire. Sai quanto posso essere molesto.
Sappiamo tutti quanto ti incazzi se la tua voce non è al massimo della sua gloria, Miss. Perfezione.-
 
Incrocia le braccia, contrita; solleva il petto, irrigidendo il collo e portando il capo leggermente all’indietro.
 
Ah-ah. 1-1, Michele.
 
-Allora? Sto aspettando.-
 
-Vieni, va.- con un cenno del capo mi invita a seguirla.
 
Apre la porta della roulotte, e lo scenario che mi si presenta è tutto fuorché quello che mi sarei immaginato.
Io sono disordinato, ma qui sembra scoppiata una bomba: spartiti ovunque, vestiti nei posti più improbabili (credo che il reggiseno sui cartoni del latte possa anche avere un perché, ma sorvoliamo), trucchi e barrette di cioccolata nascoste negli angoli più remoti.
Allora è umana anche lei!
 
-Guarda guarda, quanti altarini scoperti! Occhio, che la diva rischia di perdere l’immagine.-
Le faccio l’occhiolino, e tolgo un paio di mutande da sopra il tavolino adibito ad asse da stiro. So che sta ricordando esattamente quello che sto ricordando io.
 
Ma… c’è davvero qualcuno che ancora stira le mutande? Quanto tempo, sprecato e rubato ad attività decisamente più interessanti.
 
-Sta’ un po’ zitto, Monteith. Parla di meno e canta di più.-
 
Prende il telefono e guarda l’ora. Io sbircio: le tre del mattino. Mancano tre ore prima dell’inizio della giornata lavorativa.
Stringo i denti quando vedo lampeggiare sullo schermo alcune notifiche di messaggi da parte di Theo. Messaggi che lei ha tranquillamente ignorato per tutta la sera, a quanto vedo.
 
Sgombra alla bell’e meglio il tavolino, e prende dal letto una tastierina Casio, di quelle che vanno con le batterie. Mi fa scaldare la voce con qualche scala di lip trill[1], poi mi mette davanti un bicchiere d’acqua e una cannuccia da cocktail.
Alzo un sopracciglio e la guardo stranito. Questa è pazza forte.
 
-Ok. Canta una frase di Anyway You Want It. Ripetila per tre volte.-
 
Me lo dice in modo così perentorio che eseguo all’istante.
 
-Bene, adesso soffia nella cannuccia con una specie di “u”, gonfiando le guance. Fallo per una decina di volte.-
 
Sospiro e, di nuovo, metto in atto gli ordini. D’altronde bisogna sempre assecondare i matti, no?
 
-Canta la stessa frase di prima, di nuovo per tre volte.-
 
Aspetta che io finisca di cantare, e poi mi chiede:
 
-Meglio o peggio?-
 
Incredibilmente il suono è molto più preciso e pulito, e anche più corposo.
 
La guardo, stupito.
 
-Non avevo dubbi.- Spalanca le labbra in un radioso sorriso, e questa volta mi fa lei l’occhiolino, tronfia.
 
-Domani, cioè… in realtà oggi pomeriggio, ci scaldiamo poi la voce insieme prima di registrare, così son sicura che lo fai. Questo esercizio di logopedia canalizza i suoni nel posto giusto e i risuonatori facciali son tutti messi in funzione.-
 
Mi fa lo spiegozzo, e io non riesco a non ridere: è così buffa mentre con le mani traccia segni sul viso e apre la bocca per farmi vedere muscoli che nemmeno sapevo di avere. O magari sono tutti immaginari.
 
Arrossisce e scoppia a ridere anche lei.
 
-Dai, che rovini tutto il lavoro fatto.-
Mi dà un leggero spintone sulla spalla e per un attimo la sua mano indugia, prima di tornare ad assumere i panni della signorina Rottermeier.
 
Prende gli occhiali, e riesuma, da sotto una pila di vestiti, un piccolo quadernetto. Al centro della copertina c’è la foto di lei con un ragazzo, circondata da tante notine musicali colorate. Il tizio in questione, però, non è Theo. Non posso fare a meno di accigliarmi un secondo, e lei se ne accorge.
 
-Tutto ok?- mi chiede, seguendo la linea del mio sguardo.
 
-Non ti devo alcuna spiegazione.-  Aggiunge poi, piccata.
 
Certo che non le sfugge proprio niente!
 
-Simpatica come sempre, Lea.-
 
-Non ho mai detto di essere simpatica. Ora, visto che sono qui ad aiutarti, fammi il favore di alzarti e metterti col la schiena contro la parete. Mi raccomando, la nuca deve essere perfettamente dritta. Mettiti con le gambe un po’ allargate, e scendi fino a quando non sei come quasi seduto su una sedia. Lascia braccia e spalle rilassate. Ora, senti quello che faccio: IIII-EEEE-AAAAAAAAA . Copre una quinta. I-II-III-II-I grado della scala con la I, stessa cosa con la E, e poi fai tutte e cinque le note della quinta, con la “A”, ascendente e discendente. Mentre stai facendo il passaggio sulla “A” più acuta, scendi deciso con la schiena. So che è difficile, ma ce la puoi fare.-
 
Mi incoraggia con un movimento deciso del capo e mi dà la nota della tonalità. Io non posso fare altro che provare a seguirla con la voce.
 
-Perfetto, però ora tieni più morbida la mandibola. Tipo uno sbadiglio.-
 
Già ho sonno, ora mi dice pure di sbadigliare?
 
-Forza, Cory. Non andava male.-
 
Ci riprovo, ed è incredibile come, se scendo con il corpo, la nota esce senza difficoltà quando salgo con le note.
 
Finiamo l’esercizio, e sciolgo le spalle.
 
-Bel trucchetto, Michele! Devo ammetterlo.-
Ed è stato bello per davvero, sentire la mia voce un po’ più libera. O almeno, quella è stata la sensazione.
 
-Sei stato bravo. Ora, proviamo Somebody To Love.-
 
Tah-dah. Terrore. Quella canzone mi mette un’ansia da prestazione incredibile. Voglio dire: chi è che può cantare Freddy Mercury, se non esclusivamente Freddy Mercury? Già mi immagino i fans dei Queen disgustati e imbestialiti da questo misero tentativo.
 
-Siggnorsì, capitano!- le dico, portando una mano sull’attenti.
Meglio sdrammatizzare, che qui la faccenda si sta facendo impegnativa.
Beh, se non altro, tra troppa pelle scoperta, canzoni e ansia da prestazione, riesco a stare sveglio e ricettivo per lavorare.
E meno male, perché qualcosa mi dice che sarà una lunga, lunghissima notte.

N.d.A:
Buonasera a tutti e buona Pasqua/Pasquetta!
Spero che passerete queste giornate in serenità e che entri tanta positività nella vostra vita.
Innanzitutto, di nuovo, mi scuso per i tempi lunghissimi di pubblicazione. Questa volta ci si è messo il PC, che mi è morto dopo 12 anni di servizio, impedendomi pure di lavorare, oltre che a questa fanfiction, su programmi di produzione e videoscrittura iper necessari per me al momento. Ora, in attesa del nuovo e agoniato collaboratore tecnologico, mi sto affidando al PC di mio padre.
Bene, dopo questa digressione per voi fondamentalmente inutile, come sempre vi ringrazio per aver letto, e spero sinceramente che il capitolo vi sia piaciuto. Altrettanto, mi auguro che non sia stato noioso. Era lungo il doppio, ma l’ho tagliato, se no rimaneva troppo esteso da leggere, e vi avrei ritrovati addormentati tra un numero imprecisato di giorni XD
Detto ciò, vi lascio i link di alcuni brani citati in questo capitolo: Anyway You Want It (https://www.youtube.com/watch?v=oGSrIcriPU0); It’s My Life/Confessions (https://www.youtube.com/watch?v=Ge5ypSX9QXg)
Anche se credo che siano state esibizioni talmente epiche da esser rimaste nella memoria di chiunque abbia visto Glee. Io rido ogni volta che ripenso alla faccia di Finn mentre sclerava, fatto di Vitamina D XD
Mi raccomando, fate festaccia con gli amici, oggi… e se avete tempo, lasciate anche un piccolo feedback alla sottoscritta, già che ci siete ;)
Baci,
Infected Heart.
 
[1] Lip Trill: esercizio che consiste nel mettere in vibrazione le labbra tramite fiato e appoggio del diaframma sugli addominali bassi. Si usa per scaldare la voce e per avere un suono più puntato, poiché garantisce una posizione del suono avanzata, e quindi non ingolata, di conseguenza non dannosa. 

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Capitolo 6
*** Smile ***


LEA POV
 
Caldo, soffice, comodo. Profumato. Ecco, se ci fosse un Paradiso, è così che lo immaginerei.
Mi raggomitolo in questo nido confortevole, e ad un certo punto sento delle labbra posarsi sul mio capo. Apro a fatica gli occhi e sbatto le ciglia, impastate dai residui di mascara. Cerco di allungare la schiena, e due braccia mi prendono per i fianchi, aiutandomi.
Un momento, io questa scena l’ho già vissuta.
Incrocio le mie dita alle sue, ma subito dopo mi salta all’occhio un “piccolo” particolare: il suo orologio da polso segna le 12 e un quarto.
 
-Merda. Merda, merda, merda!-
Ok, ora sono decisamente nel panico. Sarò licenziata.
 
-Ehi, mi spieghi perché ogni volta che dormiamo insieme ti svegli con quella parola in bocca?-
 
Ma ci è o ci fa? Gli dò un’occhiata di fuoco.
 
-Cory, non so come dirtelo. Sono le 12 e un quarto, e io e te non abbiamo più un lavoro. -
 
Lo vedo sbiancare in volto.
 
-Non siamo rimasti addormentati. E’ solo un incubo. Dimmi di sì, ti prego.-
 
Con il cuore in gola, gli espongo l’unica cosa da fare.
 
-Abbiamo un’ora per prepararci, andare in studio di registrazione e sperare che almeno ci diano la possibilità di scusarci.-
 
Prendo il telefono, e mi viene un colpo: 85 chiamate perse dai vari capi/colleghi del cast, 129 messaggi di più disparata natura.
Mentre io e Cory eravamo nelle lande di Morfeo a suonare l’arpa.
Mannaggia a me che non metto mai la suoneria.
Provo a chiamare Ryan, e trattengo il respiro, pregando che perlomeno non mi butti giù il telefono.
 
CORY POV
 
Arriviamo allo studio e, prima di entrare, ci scambiamo un’occhiata di panico speranzoso.
Faccio l’uomo della situazione, mi avvicino alla struttura e cerco di aprire la porta d’ingresso.
Faccio diverse volte su e giù con la maniglia. Niente, è bloccata.
 
-Lascia, provo io.- Mi dice Lea, nervosa.
 
Ovviamente anche il suo tentativo è inutile.
 
-No, ma non è possibile. Ci deve essere un altro modo.-
 
Testarda, continua a trafficare con la maniglia ed esamina altri componenti della porta. Cerca di forzarla in ogni modo possibile, invano.
 
-Lea, lo sai che se continui così, oltre a licenziarci, ci chiedono pure i danni?-
 
-Certo, è più facile rimanere lì con le mani in mano, no? Prova a chiamare qualcuno, per favore!-
 
Ha le gote arrossate dallo sforzo, e si toglie una forcina dai capelli.
 
-E tu, sempre per favore, non dirmi che stai per fare come in uno di quei cliché da film. Tanto non funzionerà mai.-
 
Mi viene da ridere, e lei se ne accorge.
 
-Vediamo se riderai ancora, da licenziato.-
 
Dai, però con tutta questa rigidità non si può andare avanti.
 
-Ok, allora facciamo una cosa: dai a me. Quando ero adolescente, io e i miei fratelli ci divertivamo a scassinare il frigobar di papà.-
 
-Ah, ecco! Allora si spiegano molte cose.-
 
-Non sai quante.-
 
Ingoio il rospo, e mi limito ad aggrottare la fronte, guardandola storto.
Va bene che è impulsiva, ma un po’ di sensibilità in più non guasterebbe.
 
Sovrappensiero, inoltro la chiamata ad ogni persona coinvolta in Glee. Nessuno si degna di rispondere, e la preoccupazione è ormai palpabile.
 
Mi guardo attorno, e noto che sui lati dell’edificio ci sono altre porte. Magari siamo fortunati, e una di quelle non è chiusa a chiave.
Provo ad aprirle, e finalmente un uscio si spalanca.
Entro, e Lea non ha il tempo di mettere piede all’interno che le nostre orecchie vengono assordate da un allarme.
Mi guarda con gli occhi sbarrati e, in men che non si dica, ci ritroviamo circondati da poliziotti in divisa.
Vedo la mia compagna di sventura venire ammanettata con le mani dietro la schiena, e la solita formula di rito.
I suoi occhi fiammeggiano di rabbia, e stranamente non proferisce parola.
Io, invece, tento di spiegare.
 
-Non è come sembra! Siamo cantanti, stavamo venendo al lavoro…-
 
-In uno stabile completamente chiuso e con allarme inserito?- mi chiude il poliziotto.
 
Non posso fare altro che affastellarmi con le parole.
 
-Ci deve essere qualche errore, guardi sul mio telefono, avevamo appuntamento qui con la crew e i produttori alle…-
 
-Risparmi le parole per la centrale, le conviene.- Non mi lascia finire, e conclude lui questo misunderstanding momentaneamente senza via d’uscita.
 
Mentre due uomini a testa ci scortano fuori dallo studio, vedo Lea dimenarsi, in modo piuttosto furioso.
 
Incredibile, non smette di lottare nemmeno in una situazione come questa.
 
Uno dei poliziotti che la ha in custodia, sfila una pistola e gliela punta alla nuca.
 
-Le ricordo che siamo armati, e che può farsi seriamente male.-
 
L’altro, inizia a sogghignare.
 
-Ma dove crede di andare, il nano da giardino?-
 
Si guardano e iniziano a ridere di gusto.
 
Eh no, eh. Anche gli sfottò, no.
 
Sarà pur un nano da giardino, ma un nano da giardino talentuoso e sexy.
 
Prima che io possa anche solo prendere le sue difese a parole, sento un “Ahia!”, e la scena che mi si presenta davanti è un tacco a spillo che si conficca nel piede del poliziotto.
 
-Questo le costerà come oltraggio a pubblico ufficiale.- dice l’uomo, dopo che si è ricomposto, trattenendo le lacrime con dignità.
 
Beh, di certo è una donna che si sa difendere da sola.
 
L’unica che mette i tacchi a spillo per andare a registrare musica, ma sorvoliamo.
 
Raggiungiamo una macchina nera, e ci spingono dentro a forza.
 
Siamo seduti vicini nel retro; mi avvicino a lei e cerco di accostare il dorso della mia mano alla sua, per confortarla. Lei mi guarda, e appoggia il suo al mio, per quanto riesce.
 
Uno dei poliziotti sale dal lato del passeggero, e si gira verso di noi.
 
-Ci ha raggiunti il capo della polizia, e vi condurrà lui in centrale.-
 
 
LEA POV
 
-JONATHAN, QUESTA ME LA PAGHI! -
 
Ancora non ci ho capito molto, ma è sicuro che quello screanzato del mio migliore amico mi deve qualche seduta di Spa, per farmi riprendere dall’infarto che mi ha quasi fatto prendere con questo scherzo di cattivissimo gusto.
 
-E dai, non sei contenta? Ora siamo colleghi!-
 
-Eh?-
 
Splash
 
Il mio viso viene completamente bagnato da una pistola ad acqua.
 
Cory scoppia a ridere a crepapelle, insieme a Jon e al finto poliziotto, che ora si toglie il cappello. Guardando meglio, faccio caso al pacchianissimo distintivo di plastica, incollato col velcro sulla sua camicia blu.
 
Ok, adesso ha l’aria molto meno minacciosa.
 
Non riesco a trattenermi ed esplodo anche io in una risata, che risulta quasi isterica a causa della tensione accumulata.
 
Mentre si apre lo sportello della macchina rifletto sul fatto che le auto della polizia non sono di certo anonime auto nere. Che babbei siamo stati, a cascare nel tranello con tutte e due le scarpe! Come se non bastasse, dalla portiera appare Ryan, con un ghigno malefico stampato sul volto.
 
-Magari adesso potete anche liberare i due piccioncini.-
 
Io e Cory ci guardiamo, e poi torniamo ad abbassare il viso, arrossendo.
 
-Bene, ragazzi! Ora ci dite il motivo di tale ammutinamento?- ci chiede il nostro caporal maggiore, di fronte a tutto il cast.
 
-Non ha suonato la sveglia.- risponde semplicemente Cory, con un’alzata di spalle e mani costernate.
 
-La sveglia di tutti e due?-
 
Ok, la faccenda si sta facendo molto più che imbarazzante.
 
-No, lei è solo mia.- Dice Jonathan, poi, a grandi passi, mi si avvicina e mi bacia, in una scena degna dei più grandi film d’amore.
 
Lo guardo negli occhi e scoppiamo a ridere.
 
Lui è gay fino al midollo, ma gli altri non lo sanno.
Certo, il fatto che sia un macho da paura, con ricci da principe Disney e meravigliosi occhi azzurri, la dà facilmente a bere a chiunque.
 
E il fatto che io abbia perso la verginità con lui tre anni fa, anche questo è un dettaglio irrilevante.
Eravamo i protagonisti del musical Spring Awakening[1], e una cosa ha portato all’altra.
Dannata chimica artistica, e non solo.
Avevamo deciso di fare i ribelli, dormendo in teatro dopo l’orario di chiusura. Le grandi tende del sipario a nasconderci dai controllori, e…
 
Di sicuro ci ho guadagnato un amico per la vita, che mi è stato vicino in tutti i momenti migliori e peggiori.
 
Mi fa effetto ritrovarmelo qui, ma sicuramente è una cosa buona. Dopotutto è anche grazie a lui se ho l’opportunità di recitare in questo show del tutto particolare.
 
-Ragazzi, avete pagato pegno a sufficienza, e ora si va seriamente al lavoro. Ah, dimenticavo di fare le presentazioni! Cory, questo è Jonathan, e avrà una parte nel nostro show. Alle prossime table reading, i dettagli. Oggi è venuto per vedere come funzionano le cose nel nostro piccolo mondo… ma in fondo è un po’ già di casa, non è vero, Lea?-
 
-Quindi, come protagonista posso prenderti a calci in culo quando voglio.-
Gli faccio la linguaccia e rido di gusto, sollevata.
Meno male che io e Cory per questa volta l’abbiamo scampata.
 
Lo vedo stringere la mano a Jon e sorridere, rigido.
 
Entriamo nello studio, e orgogliosamente ascolto il nostro gigante buono dare il meglio di se.
Ha il dono raro di chi ha la musica nel DNA, un dono che i più prestigiosi maestri non possono insegnare: la spontaneità.
Potremmo fare mille esercizi per migliorare la qualità del suono, ma l’intenzione con lui è sempre buona alla prima.
 
CORY POV
 
Lei ride, scorata, con quel suono inconfondibile.
 
Quanto mi piace.
 
Mi irrigidisco, appena realizzo questo pensiero.
No. Cory, ricordati: a quanto pare sei di troppo.
 
Eppure con lei non ho bisogno di fingere.
Posso essere come sono, senza vergogna.
Ha compreso, mi ha stretto la mano, e non ha più fatto domande.
Mi sta vicina in silenzio, ogni volta che mi vede sotto pressione.
Prende il mio posto quando capisce che ho ritmi troppo serrati; quando possibile, chiede a Ryan di distribuire in modo più omogeneo le nostre prove. Mi aiuta col canto.
É fuor di dubbio che è nata per questo universo parallelo, che ha delle leggi tutte sue.
Sembra essere l’unico tempo e spazio in cui riesce a lasciarsi andare, e non posso ignorare che ridiamo, ridiamo tanto, in un continuo gioco di frecciatine e sgambetti.
Anche adesso, mentre a malapena riusciamo a registrare Smile di Lily Allen. A metà canzone abbiamo iniziato a farci il solletico a vicenda, e non riusciamo più a smettere.
 
-Lalala lalala lalala lalala lalala…- Cantiamo insieme.
 
Le faccio l’armonia una terza sotto, e lei mi pizzica il fianco, mentre si dondola davanti al microfono. Noto come tiene la testa rigorosamente ferma, per garantire una buona presa della voce.
Ecco, un’altra cosa da imparare.
 
Lo so che non sta solo recitando, che non sta solo facendo pratica. Lo sento.
Il cervello, invece, mi ricorda che non è il nostro momento.
Eppure la guardo sorridere, felice, mentre canta e gioca con me.
L’unica cosa che mi viene in mente è:
 
-Go ahead and smile…-
 
E con questa frase concludiamo la canzone e le registrazioni di questa strana giornata, mentre la sento ridere sotto il tocco delle mie dita.
 
LEA POV
 
Sono le nove di sera, e abbiamo appena lasciato lo studio di registrazione. É stato un pomeriggio divertente, tra produttori in maschera e complicità.
 
Noi ragazzi prendiamo alcuni taxi per tornare alla Fox, e mi ritrovo con Cory e Jon nella stessa vettura.
Le battute tra i due sono caute e cordiali quanto tese.
Osservo Cory stringere i pugni e mordersi le labbra nervosamente, mentre dico a Jon che per stanotte lo ospito nella mia roulotte.
Ryan non ha fatto in tempo a trovare una soluzione alternativa, e visto che domani mattina Jon assisterà alla nostra table reading, starà da me.
 
Sospiro, e fingo di non farci caso, mentre pago il taxi e scendiamo dalla macchina.
 
Entriamo da uno dei cancelli sul retro e faccio qualche passo in avanti, per dare modo ai due attori di parlare tra di loro. Nel frattempo ci raggiungono anche gli altri colleghi e, camminando, arriviamo ad un piccolo capanno per le attrezzature di scena. Stiamo per darci la buona notte, quando sento una specie di fruscio.
 
-Sssh!- intimo agli  altri. –Ho sentito un rumore.-
 
Non dobbiamo attendere molto, perché nel silenzio si percepiscono distintamente altri fruscii e versi simili a quelli di un neonato.
Ci guardiamo attorno e vediamo alcune scatole di cartone accantonate all’edificio, di fianco alla spazzatura.
 
Mi avvicino e… un paio di stupendi occhi verdi mi osservano, spalancati.
 
 
N.d.A.
 
Dopo più di un mese, finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare la storia! Avevo questo capitolo pronto da un po’, ma questo maggio a malapena ho avuto il tempo di respirare.
Mi hanno pure trovato un nodulo alla corda vocale sinistra, quindi Yay!
Ad ogni modo, spero di avervi fatto sorridere e cercherò di pubblicare il seguito al più presto.
 
Grazie se non vi siete dimenticati di me J
Come sempre, recensioni e commenti vari, sono utilissimi, quindi, se vi va, lasciate qualche riga per farmi sapere che ne pensate.
 
Infected Heart
 
p.s: Per chi non se lo ricordasse, ecco il link di Smile: https://www.youtube.com/watch?v=IDFrJcZxYNI  
 
 
 
[1] Spring Awakening: https://it.wikipedia.org/wiki/Spring_Awakening

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