Diversi

di Gobbigliaverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non Tutte le Serpi Sono Velenose ***
Capitolo 2: *** Il Marchio Nero ***
Capitolo 3: *** Memento Audere Semper ***



Capitolo 1
*** Non Tutte le Serpi Sono Velenose ***


1
NON TUTTE LE SERPI SONO VELENOSE

 

Lisa camminava a passo svelto verso la sala comune di Serpeverde. I suoi piedi parevano volare sopra la pietra fredda del corridoio buio, illuminato solo dalla luce fioca della sua bacchetta. Il mantello della divisa svolazzava dietro di lei, mentre i capelli lunghi e bruni ricadevano su una spalla coprendo lo stemma della casa. Gli occhi scuri e vigili si guardavano attorno spaventati. Non c'è motivo di aver paura. Si era ripetuta nella mente questa manciata di parole tanto che ora le sembrava che non avessero alcun senso. Solo tante lettere a caso, una dietro l'altra. Un rumore di passi la fece sussultare. Si fermò di scatto e i suoi occhi frugarono il buio alla ricerca di qualcosa. Le gambe stavano per cedere sotto il suo esile peso.
    — D-Draco? Sei tu? — La voce tremante della ragazza era l'unico suono che si poteva udire. Fece un passo avanti, la mano con la bacchetta in avanscoperta.
    In meno di un secondo delle dita fredde le afferrarono i polsi e la spinsero verso il muro. La bacchetta volò in alto illuminando il viso del biondino ghignante.
    Dopo di che, buio.
    Sentiva l'energia fluire dal suo corpo a quello del ragazzo. Un dolore acuto ai polsi si stava trasferendo lentamente in tutte le braccia. Con un sorriso sprezzante, Malfoy, la guardò accasciarsi atterra.
    — Taci, Corvonero! Io per te sono soltanto Malfoy! — sputò fuori lui. La testa di Lisa stava iniziando a girare lievemente, e la sua vista, già carente per la poca luce, si stava offuscando.
    — Grazie di avermelo riferito, così saprò chi sanzionare. — Una voce di una calma fredda e dei passi riecheggiarono nel sotterraneo, facendo sobbalzare Malfoy che allentò la presa sui polsi della ragazza.
    Una figura alta e snella, nascosta nella penombra, lo osservava con le braccia incrociate avvolto nella divisa nera di Hogwarts, su cui scintillava la spilla rossa da prefetto.
    — Nott. Se sei qui per scocciare ti consiglio di andartene subito — lo ammonì il biondino con tono seccato. — Oppure…
    Lisa intravide la figura nell’ombra piegarsi lievemente scosso da una risata agghiacciante che riempì il corridoio rimbombando sulle pareti. — Fammi indovinare: tuo padre lo verrà a sapere? — Il ragazzo fece una lunga pausa, e Lisa gli fu estremamente grata di quei minuti di sollievo dalla tortura che il cercatore serpeverde continuava ad imporle. — Malfoy, che ne dici di lasciare in pace quella ragazza e crescere un po'? Il Signore Oscuro ha bisogno di persone serie al suo fianco, non bambini come te — concluse il prefetto, con un tono così freddo che sia Lisa che Draco si trovarono a rabbrividire.
    Il giovane serpeverde si rabbuiò. — Nott, non so se te ne rendi conto, ma frequentiamo tutti e due il sesto anno. Non trattarmi come un bambino — ringhiò a denti stretti, soffiando come un gatto.
    Nott continuava a starsene nell’ombra, sfruttando il suo manto per coprirsi le spalle e rendendo la sua figura slanciata spettrale e misteriosa più di quanto non facesse la sua gelida voce. — Dieci punti in meno a Serpeverde — disse con funerea calma, schioccando la lingua sul palato.
    Malfoy grugnì risentito. — Quale idiota toglierebbe i punti alla sua stessa casa? — domandò con l’acidità di un distillato di morte vivente.
    Nott rise sonoramente, una risata distaccata, imperturbabile e del tutto controllata. Smise di ridere di botto, lasciando che la sua voce riecheggiasse tra le pareti di pietra umida del sotterraneo. — Venti punti in meno — disse poi. Lisa scorse un mezzo sorriso di sfida su quel volto avvolto nell’ombra.
    — Sei un idiota, ecco cosa sei! — sputò fuori Malfoy con rabbia. Il suo volto pallido era arrossato fino alla radice dei capelli biondissimi, e i suoi occhi erano iniettati di sangue. Le sue dita si serrarono nuovamente sui polsi di Lisa, che gemette quando sentì le unghie del Serpeverde piantarsi nella carne.
    Il ragazzo nell’ombra sussultò al suo gemito. — Vuoi che vada avanti? Posso continuare all'infinito! — ringhiò con rabbia rivolto a Malfoy. — Abbiamo tutta la notte per togliere punti a Serpeverde. — Nott aveva fatto un passo avanti, e ora si intravedeva un sorriso divertito, che nascondeva una buona dose di tensione.
    Malfoy accennò un sorrisino sornione. — Se è la ragazza che vuoi, io posso procurarmene anche un’altra — disse ridacchiando sommessamente. Lisa si sentì avvampare di rabbia e di vergogna per essere così impotente da non riuscire a ribellarsi a Malfoy.
    — Forse non sono stato abbastanza chiaro. — La voce del prefetto, come anche il suo viso, si erano riempiti di tenebra. Non c’era più quell’accenno di tensione, né di scherno. Solamente tenebra e ghiaccio. Nella sua mano era scivolata una bacchetta che ora stringeva saldamente, così forte da farsi diventare bianche le nocche. — Sparisci, Malfoy.
    Lisa sentì le dita di Draco tremare sui suoi polsi poco prima che allontanasse le mani. Quando la lasciò andare, la ragazza appoggiò la testa all’indietro, sulla parete, e chiuse gli occhi mentre una lacrima calda le solcava il viso.
    Malfoy si dileguò ingoiato dall’ombra del sotterraneo.
    Nott, con passo lento, si avviò verso la ragazza, ancora a terra tremante. Sembrava la creatura più fragile del pianeta. I capelli scuri sparsi sul volto umido di lacrime, i lividi violacei sui polsi… Il ragazzo si rimise in tasca la bacchetta, costringendo la mano che poco prima la stringeva convulsamente a rilassarsi. Costringendo tutto se stesso a rilassarsi. Si avvicinò alla ragazza, che sussultò quando lui si chinò su di lei per sfiorarle le braccia e aiutarla ad alzarsi in piedi.
    Lisa alzò gli occhi. Vedeva solamente il contorno sfuocato delle sue iridi nere che la osservavano senza sapere bene come agire. Il ghiaccio che poco prima inondava lo sguardo di Nott si stava sciogliendo. Troppo lentamente perché lei potesse smettere di avere timore di lui.
    — Ce la fai ad alzarti? — domandò brusco il prefetto, ritraendosi quanto bastava per non sfiorarla più. Aveva capito che lei non si fidava, e non l’avrebbe forzata a farlo, non dopo il modo in cui era stata trattata da quel bastardo di Malfoy.
    — Non… Non ce la faccio — sussurrò Lisa, con voce così flebile che perfino il raffinato udito da prefetto di Nott faticò a sentirla.
    Il giovane esitò un attimo, poi si chinò nuovamente e la raccolse dal pavimento, deciso a portarla da Madama Chips.

 

Al suo risveglio, Lisa si trovò avvolta nelle bianche lenzuola del letto dell’infermeria. La luce del sole filtrava copiosa dalle tende candide alle finestre, e non ricordava gran ché della sera precedente. Solamente che era passata abbastanza in fretta da lasciarla sopravvivere. La testa le girava e tutti i muscoli le dolevano da impazzire. Poggiò i gomiti al materasso del lettino e sollevò la schiena, imprecando tra se per il dolore che si propagò in ogni singolo osso del suo corpo.
    Quando finalmente riprese fiato, si morse le labbra guardandosi attorno impaziente. L’infermeria era vuota, nessuno con cui chiacchierare, né dolciumi da sgranocchiare. Solamente una fila di letti bianchi e vuoti tutti identici al suo. Se solo non avessero cancellato la partita di Quidditch del giorno prima, per lo meno ci sarebbero stati alcuni studenti ammaccati a gironzolare qua e là.
    Non si cancella il Quidditch, disse tra se con disappunto. Appoggiò la schiena al cuscino in modo tale da mettersi seduta comoda, per quanto il suo corpo dolente le lasciasse fare. Si stropicciò gli occhi chiedendosi quanto mancava per l'orario delle visite. Non sarebbe sopravvissuta nemmeno un minuto di più senza le strampalate chiacchiere della sua amica Luna.
    Lentamente i ricordi della sera precedente tornavano a galla uno ad uno. Malfoy, il sotterraneo buio, la voce glaciale di quel prefetto… Come si chiamava? Ah, già. Nott.
    La porta dell'infermeria si spalancò facendola sussultare dallo spavento e strappandola dai suoi pensieri. Pregò con tutta se stessa che si trattasse di Luna, perché non aveva proprio voglia di sorbirsi una ramanzina di Madama Chips, e tantomeno un suo interrogatorio. Con sua sorpresa però, tutte le sue aspettative furono deluse.
    Un ragazzo che doveva avere circa diciassette anni, avvolto nel mantello nero dell’uniforme con sopra appuntata la spilla da prefetti un bella vista, si guardava attorno con la fronte aggrottata, mentre i suoi occhi neri dallo sguardo serio guizzavano da un lato all'altro della stanza. Infine, si parò di fronte al letto di Lisa, passandosi una mano tra i capelli corvini.
    — Dov’è Madama Chips? — chiese, senza neppure accennare ad un saluto. I suoi occhi color pece indagavano quelli nocciola della ragazza ancor più gelidi della sera precedente.
    Prima ancora del suo aspetto, fu la sua voce a far seccare la gola della Corvonero. Era il prefetto che l'aveva portata lì. La cravatta verde e argento scintillava sopra la sua camicia, e il suo sguardo impenetrabile la studiava come un predatore fa con la sua preda. Poteva già leggergli la domanda successiva sulle labbra piene e rosee.
    Il prefetto Serpeverde inarcò le sopracciglia nere, notando lo scompiglio della giovane per rispondere ad una semplice domanda. — Bene, se non sai dirmi dove si è cacciata Madama Chips, per lo meno saprai dirmi che cosa ci facevi in giro per Hogwarts a quell'ora tarda della notte.
    Lisa si morse l’interno della guancia senza sapere bene cosa dire. — Io… — tentennò, ma poi tornò a tacere. Non poteva spiegargli l'accaduto di quella notte. Non senza coinvolgerlo in fatti che non lo riguardavano. Incrociò le braccia al petto e morse più forte ancora la guancia, fino a sentire il sapore metallico del sangue sul palato.
    Il giovane si sfiorò la barbetta ispida che gli copriva il mento, studiandola ancora. — Dieci punti in meno a Corvonero. Non è permesso aggirarsi per Hogwarts durante la notte.
    Lisa si sentì avvampare. — Non è colpa mia se Malfoy… — Si bloccò appena in tempo per non aggiungere altri dettagli, e tornò a chiudersi nel suo silenzio.
    — Malfoy era la seconda domanda. Che cosa voleva da te? — domandò Nott bruscamente, osservando a lungo il suo atteggiamento ostile in attesa di una risposta. Ora non sembrava fragile come la sera precedente. Ora, anche se non indossava più la divisa ma una buffa camicia da notte a fiori e i suoi capelli bruni erano ancor più scarmigliati, i suoi occhi erano accesi di rabbia e indignazione. Non c'era traccia d fragilità.
    — Con tutto il rispetto, non è affar tuo — sbottò la ragazza, coprendosi come poteva con il lenzuolo bianco del letto. Aveva notato come il ragazzo guardasse la sua camicia da notte. Poi quando Nott riprese a fissarla dritta negli occhi color cioccolato, Lisa fu costretta ad abbassare lo sguardo, indispettita.
    — Corvonero, ti ho fatto una domanda che gradisce una risposta — sentenziò il prefetto, con le braccia ancora avvolte attorno al corpo e lo sguardo serio.
    Lisa si lasciò scappare uno sbuffo infastidito. — Per tua informazione io non mi chiamo ‘Corvonero’ — sibilò aggrottando la fronte e incrociando le braccia al petto a sua volta. Lanciò un occhiata ai colori verdi e argento della cravatta del prefetto e decise di ripagare con la stessa moneta. — Ribadisco il fatto che non è affar tuo, Serpeverde. Un semplice ‘Come stai’ poteva andare bene come prima domanda — lo schernì.
    Il giovane parve titubante, un guizzo nel suo sguardo gelido diede a Lisa l’opportunità di esultare mentalmente per pochi istanti, prima che lui decidesse di aprire nuovamente bocca. — Non mi interessa né come stai, né come di chiami, Corvonero. Voglio solo un pretesto per farla pagare a Malfoy — la informò, avviandosi verso l’uscita a passo leggero. — Se dovessi cambiare idea e decidere di dire qualcosa, sono Theodore Nott.
    Con passo altezzoso fece per uscire dall'infermeria, quando la voce di Lisa lo congelò sulla soglia. — Lisa, Lisa Turpin. Non ‘Corvonero’ — lo redarguì, mordicchiandosi le labbra nervosamente. Sapeva di aver osato, ma non era certa di aver fatto bene. Aveva voglia di fargliela pagare per la sua sfacciataggine.
    La sicurezza nel passo del ragazzo sembrò vacillare per una fazione di secondo. Si girò lentamente e squadrò la ragazza studiandola ancora, come aveva già fatto. Si stupì nuovamente di quando sembrasse forte, anche pallida come un cencio, così tanto che sembrava le lenzuola candide potessero inghiottirla. Eppure aveva la forza di rispondergli per le rime. Era piacevolmente stupito.
    Non lo faceva spesso, e quando lo faceva solitamente se ne pentiva poco dopo: decise di seguire lo stomaco. — Dimenticavo una cosa da chiedere — disse pacatamente.
    A Lisa parve vedere per la seconda volta il ghiaccio nei suoi occhi di pece sciogliersi, lasciando spazio a due pozzi senza fine colmi d’ombra e timori.
    — Non è da noi Serpeverde porgere delle scuse, ma una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa questo fine settimana, penso che siano le migliori scuse che sono in grado offrirti — disse, sempre mantenendo il suo tono freddo e distaccato.
    Lasciò Lisa paonazza in viso, e se ne andò con aria vittoriosa.
    — Non ci contare! — gridò la giovane strega, mentre la porta si chiudeva dietro le sue spalle larghe.

 

Luna Lovegood entrò nell'infermeria con uno sguardo un po' preoccupato e un po' assente come il suo solito. Corse verso il lettino dove l’amica aveva ancora le labbra semi aperte e le guance arrossate dall’imbarazzo.
    — Cosa è successo? Come stai? — domandò con tono sommesso.
    Lisa però, non l’aveva degnata di uno sguardo. Continuava a fissare il punto in cui il Serpeverde era sparito, senza lasciarle l’opportunità di ribattere oltre.
    — La gente è proprio strana — sussurrò tra sé, ma Luna colse lo stesso le sue parole.
    — Sei finita in infermeria perché la gente è strana? — domandò la ragazza, inclinando la testa di lato senza capire.
    Lisa i riscosse e guardò l’amica come se si fosse accorta solamente in quel momento della sua presenza. — Cosa? — domandò scuotendo il capo. — No! Non per questo.
    Dopo aver tranquillizzato l’amica, Lisa le raccontò di Malfoy e di quello strano Serpeverde.
    — Una Serpe? — domandò la bionda scuotendo il capo e facendo dondolare le ciocche lunghe sulla schiena. — Per la barba di Merlino, ti ha salvata, una Burrobirra è d’obbligo! — sentenziò, poi prese a raccontarle dei nuovi articoli del Cavillo, della pelle che i serpenti cambiano e degli Strillotti che si nutrono di essa. — Ma in fondo, non tutte le serpi sono velenose, no? — concluse, guardando nello stesso punto in cui Lisa aveva continuato a rivolgere lo sguardo per tutto il tempo.
    E sicuramente Luna non alludeva agli animali.

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Capitolo 2
*** Il Marchio Nero ***


2
IL MARCHIO NERO

 

Theodore camminava svelto per i corridoi di Hogwarts. Aveva la testa pesante, colma di mille domande e pensieri. Che cosa voleva Malfoy da quella ragazza? Aveva visto troppo poco per comprendere cosa stava accadendo. Gli era parso di notare qualcosa di strano, troppo strano per sembrare reale. Un afflusso di energia dalle mani della ragazza a quelle del Serpeverde. Era a dir poco impossibile.
    I suoi passi svelti lo portavano verso la biblioteca, alla ricerca di risposte su una magia tanto potente da poter risucchiare il potere ad altri maghi. L’essenza del mago è la magia, togliergli la magia significa ucciderlo. Non capiva. Non riusciva a capire. Più si spremeva le meningi, più gli risultava difficile capire e la sua testa diventava pesante.
    Si strofinò il viso stanco con le mani, mentre sfrecciava di fronte all’ingresso della biblioteca. Quel pomeriggio piovoso sarebbe stato veramente perfetto per una ricerca sull’argomento, ma di certo ricavare le informazioni da quella ragazza sarebbe stato più proficuo.
    Oltrepassò la porta della biblioteca continuando a percorrere lo stesso corridoio, ignorando la sua precedente intenzione di fare ricerche sui libri. Avrebbe chiesto e richiesto a quella Corvonero cosa aveva in mente Malfoy a costo di offrirle tutte le Burrobirre del mondo.
    Si rese conto solamente in quel momento di cosa aveva appena fatto. Ho invitato ad uscire una ragazza. Si congelò sul posto fermandosi in mezzo al corridoio. Una piccola Grifondoro per poco non gli andò contro. Borbottò delle scuse che Theodore non ascoltò e passò avanti, superandolo.
    Sono un completo idiota, si disse mentalmente, mentre si passava una mano tra i capelli neri. Riprese a camminare scuotendo il capo. Lui non voleva chiederle di uscire. Non era sua intenzione. Aveva solo bisogno di risposte, per questo l’aveva fatto. Solamente per questo.
    Solo che ora doveva fare in modo che lei accettasse, così da poter ricavare le informazioni di cui aveva bisogno. Aveva l’impressione di starle piuttosto antipatico, quindi non aveva molte speranze su quel frangente.
    Non mi importa, pensò. In realtà sì che ti importa, stupido! Se non esci con lei non ti dirà mai che cosa sta combinando Malfoy, si rimproverò subito dopo.
    Si guardò attorno sospettoso, pensando a come avrebbe potuto convincerla a uscire con lui (ma soprattutto a spifferagli tutto). Intercettò con lo sguardo una ragazza Tassorosso che sfrecciava via lungo il corridoio con l’aria di avere troppa fretta. Gli balenò in mente un’idea.
    Prese a seguire la ragazzina di soppiatto, sperando che lei lo conducesse alla loro sala comune. Aveva bisogno di parlare con sua sorella.
    Come aveva immaginato, la giovane che andava di fretta non gettò neppure un’occhiata indietro, e lo guidò nel seminterrato, vicino alle cucine, dove si vociferava ci fosse l’ingresso della sala comune Tassorosso. Con le gambe doloranti dalla corsa per le scale e con il cuore a mille per la paura di essere trovato da Gazza in un posto in cui non doveva essere, si ritrovò fermo di fronte ad una catasta di botti che emanavano odore di legno vecchio e uva.
    La ragazzina era sparita. Come diavolo aveva fatto a perdersela gli ultimi tre metri di strada? Si rimproverò mentalmente per la sua sbadataggine e si mordicchiò le labbra alla ricerca di una soluzione.
    Si avvicinò alle botti sfiorandone il contorno legnoso con la punta delle dita. Si ritrasse immediatamente quando sentì una leggera scossa sui polpastrelli. C'era un'incantesimo di protezione.
    Ho trovato la sala comune dei Tassi, pensò tra se incrociando le braccia al petto e osservando la catasta di botti con la fronte aggrottata. Come diavolo avrebbe fatto a entrare per cercare sua sorella?
    Proprio mentre cercava di escogitare un modo per oltrepassare le botti, una ragazzina dai lunghi capelli corvini uscì dalla sala facendole scomparire e finendogli addosso.
    — Per la barba di Merlino, che sbadata che sono, mi dispiace moltissimo — si affrettò a dire, raccogliendo da terra alcuni libri che le erano caduti dalle mani. Il sorriso di scuse le morì sulle labbra quando incrociò lo sguardo di Theodore.
    I due si fissarono negli occhi neri come la pece, dello stesso identico colore, della stessa identica forma. La faccia della ragazza dai capelli neri era allibita e sbiancata mentre Theodore si mordicchiava le labbra carnose con aria colpevole.
    — T-tu — balbettò la ragazza facendo un passo indietro. Sussultò quando sentì le botti che erano ricomparse dietro di lei pungerle la schiena. — Theodore, allontanati — disse con voce spezzata.
    — Ho bisogno del tuo aiuto — rispose lui, con il suo solito sguardo freddo e la sua voce glaciale. — Alexis, ho bisogno di te.
    Lei scosse il capo, con gli occhi sbarrati e il respiro che si faceva sempre più veloce e spaventato. — Io e la mamma non vogliamo avere più niente a che fare con te e papà — sibilò a denti stretti.
    — Alexis, per favore. Puoi aiutarmi a smascherare Malfoy — tentò di nuovo, ma la calma fredda nella sua voce non rassicurava per nulla la ragazza.
    La giovane si accasciò a terra, mentre il mondo girava attorno a lei. — Theodore, non mi importa quello che fate tu e i tuoi amici Mangiamorte — sussurrò, mentre il suo corpo veniva scosso da brividi.
    Il giovane Serpeverde sentì scottare il tatuaggio impresso sull’avambraccio, a ricordargli che razza di persona fosse. Serrò i denti e fissò la sorella con astio. — Io non sono come loro. Lo sai bene.
    Lei alzò lo sguardo, con gli occhi lucidi e arrossati lo fissò dritto in quei due pozzi neri che inghiottivano ogni barlume di luce. — Mi avete fatto del male, siete tutti uguali — sussurrò a mezza voce poco prima di perdere i sensi.
    Maledizione, pensò Theodore, mordendosi così forte il labbro inferiore da farlo sanguinare. Alexis era il suo biglietto per ottenere qualcosa da quella Corvonero. Le avrebbe fatte diventare amiche, e lei avrebbe scoperto qualcosa per lui. Ora invece aveva solo peggiorato la situazione.
    Il prefetto Serpeverde si chinò sulla sorella dandole piccole pacche sul viso nel tentativo di farla rinvenire. Alexis non sembrava aver intenzione di riprendere conoscenza, così Theodore, con un sonoro sbuffo infastidito, fu costretto a raccoglierla da terra e portarla in infermeria.

 

— Signorina Turpin, ora può tornare nel suo dormitorio. Consideri la sua permanenza qui terminata. — Le parole di Madama Chips furono di gran sollievo per Lisa, che non appena le udì era già pronta per saltare giù dal letto e andare a fare una bella nuotata nel Lago Nero. Aveva bisogno di schiarirsi le idee.
    Madama Chips la fulminò con uno sguardo quando la vide intenta a scendere dal lettino dell’infermeria. — Ovviamente non se ne andrà in giro da sola. Se ne potrà andare solamente quando qualcuno arriverà per accompagnarla.
    Alla Corvonero crollò il mondo addosso. Luna era uscita dall'infermeria solo cinque minuti prima e lei era rimasta sola. Avrebbe dovuto aspettare il giorno dopo, quando lei sarebbe tornata a farle visita. Si lanciò indietro sul materasso con uno sbuffo nervoso serrando la mascella dalla rabbia.
    — Nessuno arriverà a trovarmi prima di domani! — obiettò.
    — Vorrà dire che aspetterai domani — si affrettò a dire Madama Chips, intenta a sistemare la sua infermeria. La sua voce squillante rimbombava nella sala vuota, mentre Lisa si guardava attorno alla ricerca di qualunque cosa da fare durante quel noioso pomeriggio piovoso, piuttosto che starsene con le mani in mano ad attendere l’indomani.
    Stava appena prendendo sonno quando la porta si spalancò ed entrò un ragazzo con il mantello della divisa bagnato fradicio e una ragazzina dai capelli neri in braccio.
    — Madama Chips? Ho un problema… — Theodore Nott era immobile al centro del corridoio, e si guardava attorno preoccupato stringendo tra le braccia la ragazza priva di sensi.
    — Tu? Ancora qui? — esclamò la strega squadrandolo dall’alto in basso. — Ne deduco che tutte cadano ai tuoi piedi, ragazzo — ridacchiò.
    Il viso del Serpeverde si tinse di un rosso intenso quando incrociò lo sguardo stranito di Lisa. — È mia sorella — si affrettò a dire, bofonchiando.
    — Tua sorella o no, sei sempre nel posto sbagliato al momento giusto, non è vero? — domandò la Chips indicandogli un lettino vuoto.
    Theodore di avvicinò a passo leggero e depositò la ragazza sul materasso con delicatezza, scostandole poi una ciocca di capelli neri dal viso. — Oppure porto sfortuna — disse sommessamente, in modo che Madama Chips non potesse sentire. L’udito di Lisa invece era più raffinato, ma preferì tacere e continuare a guardare le procedure della Chips, mentre Nott fissava il pavimento con una ruga di preoccupazione che gli solcava la fronte.
    La strega sollevò una manica alla ragazza, per sentirle il polso. — Oh povera piccola — sussurrò con aria piuttosto preoccupata. — Queste cosa sono? — domandò a Nott.
    Lisa non riusciva a vedere di cosa stesse parlando, neppure allungando il collo, ma dallo sguardo che Theodore rivolse alla sorella intuì si trattasse di cicatrici.
    — Se le è fatte un paio di anni fa — sussurro strascicando le parole. Poi si passò una mano sul viso e sui capelli neri, abbozzando un timido sorriso sempre in direzione della sorella. — Ora sta bene però.
    La Chips non indagò oltre, e procedette a prenderle il polso. Pensierosa, preparò un impacco d’erbe e glie lo posò sulla fronte, poi fece allontanare Nott dal lettino dell’infermeria. — Ragazzo, l’infermeria non è un buon posto dove passare la giornata — disse docilmente. — Se ne vada, e porti con se anche la signorina Turpin, ha bisogno di essere accompagnata in dormitorio.
    Il prefetto Serpeverde annuì distrattamente stringendosi nel mantello fradicio e sospirando. La ruga sulla sua fronte si era distesa, e ora fissava Lisa con il suo sguardo gelido.
    La ragazza si sentì rabbrividire. Scese dal lettino e afferrò il suo mantello appeso, avvolgendoselo attorno alla camicia da notte. Poi seguì Nott oltre la soglia dell’infermeria.

 

Camminarono in silenzio per alcuni minuti, diretti verso la torre Corvonero. Nott teneva le labbra serrate e non spiccicava parola, Lisa guardava fuori dalle finestre ad arco fingendo che il paesaggio fosse interessante.
    Ad un certo punto decise di rompere il silenzio. — Cos’è successo a tua sorella?
    Lui inarcò le sopracciglia scure e la fissò per qualche istante, come se avesse notato la sua presenza solamente in quel momento. — Nulla che ti riguardi — rispose con la sua solita freddezza. Nott sentì nuovamente il Marchio Nero bruciare sotto la manica del mantello. Si rabbuiò, e continuò a percorrere il corridoio fissando un punto di fronte a se.
    Lisa si morse le labbra. — Mi dispiace. Non volevo ferirti — sussurrò, torturandosi le mani una con l’altra.
    — Non l’hai fatto — tagliò corto Theodore. — Siamo arrivati.
    Lisa annuì, fermandosi di fronte all’ingresso della torre Corvonero e incrociando le braccia al petto. — Grazie della deviazione — gli disse, cercando il suo sguardo. Lui però, guardava altrove.
    — Dovere — sillabò, poi sparì lungo il corridoio.
    Lisa rimase sola, con una strana sensazione di amaro in bocca. Percorse in fretta i gradini che portavano in sala comune, per poi sparire in dormitorio. Aveva proprio bisogno di una nuotata nel Lago Nero. Era freddo, era Novembre, ma l’acqua la faceva sentire forte, e aveva bisogno di sentirsi forte.
    La sorella di quel ragazzo stava male, e questo l’aveva catapultata nei ricordi che aveva tentato di soffocare. Lisa ricordava ancora il viso di sua sorella. Lo ricordava fin troppo bene. Piccola, mora, con gli occhi azzurri come perle. Poi un giorno glie l’avevano portata via.
    Soffocò il ricordo pensando al Lago Nero. L’acqua, il suo suono inconfondibile, starsene lì senza peso… Si sedette pesantemente sul suo letto, un ammasso di libri e vestiti. Era deciso, sarebbe andata al lago.
    Afferrò il costume che si era portata dietro, il costume intero con cui faceva allenamento quando era nella squadra di nuoto babbana, al suo paese. Era forte nel nuoto, specialmente nella rana. Alle gare vinceva quasi tutto. Fortuna che Silente le aveva dato l’opportunità di allenarsi a Hogsmeade, così non avrebbe perso neppure un giorno di allenamento. Era rimasta un po’ stranita quando aveva scoperto che i maghi avevano una propria squadra di nuoto. Ovviamente, era vietata la magia durante le competizioni, per questo dopo ogni gara venivano controllato l’ultimo incantesimo di tutte le bacchette degli atleti, come una sorta di anti-doping.
    Si tolse la camicia da notte a fiori e indossò il costume in tutta fretta, avvolgendosi poi nel mantello della divisa. Niente piscina, oggi, disse tra se. Aveva bisogno della solitudine del Lago Nero.

 

Theodore arrivò in dormitorio che era troppo presto per andare a dormire, ma troppo tardi per mettersi a studiare. In oltre non ne aveva affatto voglia. Si sfilò il mantello fradicio e lo lasciò cadere in un angolo. Sollevò la manica del maglione e si massaggiò il tatuaggio del Marchio Nero sull’avambraccio, che bruciava come tizzoni ardenti.
    Si sentiva sporco, impuro, macchiato da quell’inchiostro magico che l’avrebbe segnato per tutta la vita. Quel marchio sulla sua pelle era il motivo per cui sua sorella aveva rischiato la vita, due anni prima. E lui faceva parte di quelle stesse persone che l’avevano attaccata. Si odiava per essere stato un tale stupido.
    Si appoggiò al letto mentre una lacrima gli solcava il viso. Aveva bisogno di fare qualcosa, di sfogarsi. Si tolse la divisa e sgarfò tra le cose nel suo baule, perfettamente ordinate. Pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica. Sarebbe andato a correre al Lago Nero.
    Si vestì in tutta fretta, poi si avvolse un bendaggio bianco attorno all’avambraccio così da coprire il Marchio Nero. Non poteva sfoggiarlo in giro per Hogwarts come niente fosse, e non ne andava affatto fiero come Malfoy.
    Si sgranchì le gambe e a passo svelto uscì dal dormitorio.

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Capitolo 3
*** Memento Audere Semper ***


3
MEMENTO AUDERE SEMPER

 

Lisa abbandonò il mantello della divisa sulla riva sassosa del lago, prese la rincorsa serrando i denti per il venticello freddo che le scalfiva la pelle, e si tuffò dal molo ignorando la pioggerellina di Novembre che scendeva imperterrita dal cielo.
    L’acqua la avvolse gelida, la sua pelle sembrava punta da un migliaio di piccoli spilli. I suoi capelli sciolti erano sparsi attorno a lei, aleggiavano morbidi sotto la superficie del lago. Il silenzio la inghiottiva. Poteva sentire il battito del suo cuore. Si sentiva viva.
    Tornò in superficie per prendere fiato. La pioggia novembrina le punzecchiava il viso sorridente. I piedi le bruciavano dal freddo, ma non ci fece caso. Prese a nuotare verso il centro del lago.

 

Theodore incominciò a correre attorno al lago mentre la pioggerellina gli inzuppava i vestiti. Guardava dritto di fronte a se mentre il suo corpo allenato si riempiva di brividi di freddo.
    Non ci fece caso. Aveva bisogno di fare fatica. Abbastanza fatica da scordarsi dei suoi problemi. Aumentò il passo, strinse i denti. Sentiva le gambe dolere ad ogni singolo movimento e i polmoni fare male dal freddo.
    Si fermò dopo circa un ora di corsa, con il fiato mozzo e le gambe tremanti dalla fatica, non più dal freddo. Ora aveva caldo. La pioggia continuava a scendere, leggera e fastidiosa. Si sfilò la maglietta usandola per asciugarsi il viso e i capelli dal sudore, inutilmente visto che l’acqua continuava a scendere dal cielo grigio.
    Si sedette a terra a torso nudo appoggiando le braccia e la fronte alle ginocchia e respirando a pieni polmoni l’aria gelida. Le goccioline di pioggia e di sudore scendevano lungo la sua schiena nerboruta, e i capelli neri gli si appiccicavano sul volto.
    Sollevò lo sguardo, aveva ancora il fiato grosso. aguzzò la vista verso il Lago Nero.
    — Che diavolo… — sussurrò. C’era una persona nel lago. Una persona che nuotava. A Novembre.
    Si alzò in piedi e corse verso la riva, ignorando le gambe ancora doloranti. — Hey! — gridò, agitando le braccia. — Esci subito dal lago!
    La persona non poteva sentirlo. Era troppo lontana da lui. Theodore raggiunse il moletto di legno e sollevò le braccia agitandole in alto. — Torna subito indietro! Sono un prefetto! — gridò ancora.
    Questa volta la persona si voltò. Era troppo distante per capire chi fosse, però finalmente stava ritornando verso riva. Aguzzò la vista, e non si trovò affatto sorpreso dal notare che si trattava della Corvonero. In fondo lo aveva sperato. Cioè, ehm… lo aveva immaginato.
    — Chi si vede, Theodore Nott — disse la ragazza, ferma a pochi metri dal molo.
    Il prefetto si passò le mani tra i capelli, esasperato. — Potrei togliere altri punti a Corvonero per una cosa simile! Ti rendi conto che è inverno, e tu stai facendo il bagno nel Lago Nero?
    Lisa sorrise sommessamente. Lo osservò, in pantaloncini corti e torso nudo in piedi sul molo, con i pugni appoggiati ai fianchi e lo sguardo crucciato. Si sorprese a soffermarsi sul suo ventre piatto e scolpito più del dovuto, e arrossì violentemente. — Non è il caso di dire a me che è inverno quando tu te ne vai in giro in mutande — disse acidamente, scostando lo sguardo dalla sua figura.
    Appoggiò le mani sul molo e si sollevò, poi si allontanò raggiungendo il suo mantello sulla spiaggia.
    Theodore la seguì con gli occhi, mordendosi le labbra. Forse non era stata una grande idea andare al lago. Seguì il lento dondolio dei suoi fianchi studiando attentamente la sua figura. Era magra, i capelli bruni scendevano morbidi sulla schiena fino a sfiorare il sedere…
    Ma che diavolo sto guardando? si rimproverò distogliendo lo sguardo e sentendo il viso scottare. Si passò una mano sul volto e si spettinò i capelli che erano appiccicati alla fronte.
    Lisa si coprì le spalle con il mantello, e lui si decise a guardare nuovamente nella sua direzione.
    — Allora? — domandò Lisa. — Resterai lì impalato per tutto il tempo?
    Theodore si riscosse dalla posa statuaria e la raggiunse sulla spiaggia di ciottoli. Raccolse la maglietta da terra e la infilò in fretta, anche se era bagnata fradicia e odorava di morto. Evitò lo sguardo di Lisa, che lo osservava con aria imbarazzata, avvolta nel mantello dell’uniforme.
    — Cos’hai fatto al braccio? — gli domandò poi, dopo troppi istanti di silenzio che stavano uno di fronte all’altro.
    Lui alzò lo sguardo e si trovò a fissarla negli occhi nocciola. — Nulla — sussurrò, nascondendo la fasciatura dietro la schiena. — Sono caduto.
    Lisa non replicò. Lui la guardava dritta negli occhi, con una tale intensità che ebbe paura di poter perdersi nei suoi occhi neri. Non riusciva a distogliere lo sguardo. — Sei sicuro di stare bene? — domandò aggrottando la fronte.
    Theodore scosse il capo. — Assolutamente no — disse in un soffio, facendo un passo avanti verso di lei.
    Ora si guardavano dritti negli occhi a meno di un palmo di distanza. Lei iniziò a tremare di freddo, o forse la sua sicurezza vacillava. La pioggia novembrina continuava a scendere imperterrita. Theodore sentiva il suo cuore battergli all’impazzata, era ad un passo dal saltargli fuori dal petto.
    — Io… — sussurrò Theodore. — Non so cosa mi sia preso — disse, e si allontanò a passo svelto, ritornando verso il castello di Hogwarts.

 

Il giorno successivo, Lisa si svegliò in dormitorio. Erano circa le tre della domenica mattina. La mora lo intuiva dal profumo di pancake proveniente dalle cucine. Quella giornata era importante, perché era la prima giornata di gite a Hogsmeade.
    Un ticchettio proveniva dalla finestra. Lisa si alzò in piedi, e con passo felpato per non svegliare Luna e le altre ragazze, si incamminò verso il vetro bagnato. Anche se lo sfondo buio non permetteva una visuale ottimale, la ragazza riuscì a scorgere un piccolo gufetto nero che picchiettava con veemenza per entrare.
    — Peace! Che ci fai qui? — Lisa era visibilmente sorpresa, e prendendo il piccolo animale bagnato dalla pioggia che continuava a scendere ormai da giorni si accorse che tra le sue piccole zampe c'era un foglietto stropicciato. Lo aprì e lo lesse. 

Mia piccola Is,
I Mangiamorte hanno rapito i tuoi genitori, come hanno fatto cinque anni fa con tua sorella Crystal. Ti cercano, e non smetteranno facilmente di cercare, vogliono sapere. Devi andartene da quella scuola o sarete tutti in pericolo. Tronca qualsiasi rapporto, chiudi ogni contatto e vieni da me. Peace ti porterà una passaporta in settimana, ma intanto stai in guardia da chiunque. Silente è stato avvertito della tua imminente partenza, e per precauzione ha preferito non sapere la tua destinazione.
A presto tesoro mio!
Mille miliardi di baci,
La tua ‘cuginetta’ Arya. 

    Le lacrime sgorgavano calde sulle guance di Lisa, che si sdraiò sul letto, abbandonandosi ad un pianto silenzioso. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Ne era certa. Era solo questione di tempo.
    Si alzò di scatto, correndo fuori dal dormitorio. Alle tre del mattino non avrebbe potuto trovare nessuno in grado di aiutarla, ma la sua stanza le stava stretta, si sentiva soffocare.
    Corse giù per le scale della torre Corvonero, fino ad arrivare dove il giorno precedente l’aveva lasciata il prefetto Serpeverde. Si appoggiò con le spalle al muro e prese a singhiozzare.
    Una mano le si appoggiò sulla spalla. — Possibile che sia sempre tu a portarmi dei problemi? — domandò la voce di Theodore Nott, non più fredda ma calda e accomodante.
    Lisa sollevò lo sguardo. Lui si era accovacciato di fronte a lei, con aria assonnata e stanca, i capelli neri spettinati e la barbetta ispida ancora da fare.
    La ragazza inghiottì le lacrime e raddrizzò le spalle con fierezza. — Nott. Cosa ci fai qua? Sono le tre del mattino.
    — Ronda nei corridoi — si affrettò a dire. — Era il mio turno.
    La ragazza inarcò le sopracciglia. Si asciugò le lacrime con le mani e tornò a guardarlo negli occhi, tentando di mantenere un espressione sostenuta. — Io ho l’impressione che tu mi stia seguendo per i fatti di Malfoy — disse risoluta.
    Il ragazzo abbassò gli occhi. — Anche.
    Lisa gettò la testa all’indietro con uno sbuffo. — Fortitudo — disse a bassa voce. — È l’incantesimo che permette di assorbire le energie di un altro mago e rafforzare se stessi. — Non sapeva perché glie ne stava parlando, forse aveva solamente bisogno di fidarsi di qualcuno.
    Theodore aggrottò la fronte. — Non capisco. Non se ne parla nei libri di magia.
    Lisa sospirò. — Certo che no. Si dà il caso che possa essere usata solamente sui Mezzimaghi, che non nascevano da secoli, quindi si pensava che fossero estinti.
    — Che cos’è un Mezzomago? — domandò Theodore, interrompendola.
    Lisa tornò a guardarlo negli occhi. — I maghi sono persone che possiedono la magia. Per meglio dire, è la magia che possiede noi. Noi siamo solamente involucri vuoti senza di essa. Esistono maghi con più magia di altri, e questi sono i più potenti. La magia però, si pone un limite per non creare maghi troppo potenti, quindi può capitare che quando in un mago solo c’è troppo potere, la magia si spezzi, creando i Mezzimaghi.
    — E tu saresti uno di questi — tirò ad indovinare Nott.
    Lei annuì. — Sia io che mia sorella eravamo Mezzimaghi.
    
Eravate? Qualcuno come Malfoy le ha preso la magia come voleva fare con te? — domandò incupito.
    Lisa sorrise amareggiata. — Se l’Incanto Fortitudinis viene usata sui Maghi e sulle Streghe, sia il mago che lancia l’incantesimo, che quello a cui è diretto perdono la magia. Sui Mezzimaghi invece no. La loro magia è costantemente alla ricerca dell’altra metà, e per sopravvivere al tempo ha sviluppato il modo di riformarsi. I Mezzimaghi sono una fonte inesauribile di potere.
    Theodore schioccò le labbra. — E tua sorella?
    — Mia sorella è morta — tagliò corto lei. — L’hanno uccisa i Mangiamorte a forza di usare l’incantesimo su di lei. Quella formula può portare allo stremo delle forze o addirittura alla morte.
    Il prefetto Serpeverde sentì il Marchio Nero scottare sotto pelle, percependo l’astio nelle parole della ragazza. — Mi hai chiesto come si è fatta quelle ferite mia sorella — sussurrò dopo un lungo momento di silenzio. — Sono stati i Mangiamorte, l’hanno torturata per piegare mio padre.
    Lisa osservò come si mordeva le labbra fino a quasi farle sanguinare, e immaginò cosa dovesse aver passato. — E ci sono riusciti? — domandò con un filo di voce.
    Il Marchio Nero scottava come braci ardenti, esattamente come il suo cuore bruciava di rabbia. Sì, ci sono riusciti, pensò. Ma non fu quello che rispose. — No. Non l’hanno piegato — disse con un sorriso tirato. Si alzò in piedi e le porse una mano. — Ora è meglio che torni in dormitorio — sussurrò sollevandola da terra.
    — Credo anche io — rispose lei, lasciando che Theodore la aiutasse.
    Lui attese di vederla salire i gradini della torre, poi sparì nel buio del corridoio.

 

Memento Audere Semper, si disse mentalmente il ragazzo, mentre tornava nel sotterraneo. Ricordati di osare sempre. Glie lo diceva sempre sua madre, da bambino. E lui non era mai stato in grado di farlo. Le sue mosse erano sempre dannatamente calcolate.
    Si morse le labbra, cambiò direzione e quasi correndo raggiunse la guferia. Quel maledetto segno che aveva sul braccio non gli avrebbe rovinato la vita.
    Legò alla zampa del suo gufo una lettera, e inviò a Lisa un pezzo di pergamena sgualcita, riciclata da suoi frettolosi appunti di Pozioni. Si sarebbe goduto la Domenica. A punire Malfoy ci avrebbe pensato Lunedì.
    Ritornò in dormitorio, e rimase il resto della notte a fissare il soffitto della stanza.

 

Lisa iniziò a mettere tutte le sue cose nel baule. Doveva farsi trovare pronta quando sarebbe arrivata la passaporta. Si morse la lingua e si diede della stupida più volte per aver spifferato tutto a Nott. Non credeva che lui avrebbe capito. Nessuno poteva capire.
    Un gufo volò alla finestra picchiettando il becco contro il vetro. Lisa si avvicinò titubante. Non poteva essere la passaporta. Non ora. Non era pronta ad abbandonare tutto.
    Un pennuto marroncino e spennacchiato fece il suo ingresso, lasciando cadere un pezzo di pergamena fitta di appunti di Pozioni a terra. La giovane Corvonero la raccolse, studiandola attentamente. Appunti su elementi, Bezoar, pozioni quasi impossibili. Girò il foglio e vi trovò dei caratteri frettolosi e disordinati: Burrobirra ai Tre Manici di Scopa?
    Si lasciò scappare un sorriso.
    C’era una cosa che non gli aveva detto, una cosa importante sui Mezzimaghi. La magia che si spezza, occupa due corpi diversi. Due corpi che tenderanno a cercarsi per l’eternità per completarsi a vicenda. E si troveranno sempre. Era questo il segreto per cui doveva andarsene. Era questo il segreto per cui le davano la caccia. E non poteva riferirglielo senza mettere in pericolo anche lui.
    La magia percepisce quando ha trovato se stessa. E una parte di lei l’aveva percepito.

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