La danza dell'autunno

di Dangerous_Mind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia prigione - Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***



Capitolo 1
*** La mia prigione - Introduzione ***


 Note dell'autore:

Questa storia è venuta fuori senza nessun preavviso e senza nessuna pretesa o aspettativa. Non ho mai scritto su EFP prima d'ora e, sinceramente, non so perché me ne sia venuta voglia così all'improvviso. Ho scritto questo racconto subito dopo aver visto per l'ennesima volta "La Maschera di Ferro" con Leonardo di Caprio. E' un film vecchio, lo so, ma la tragica storia d'amore fra Anna d'Austria e D'Artagnan non ha mai smesso d'incantarmi e rimane nel mio immaginario come una delle cose belle della cinematografia (a pari merito con Anna and the King). Ho ritenuto stimolante scriverne e l'ho fatto. Non ho dato limite alla mia storia, è un qualcosa che mi sono costruita nella mente e che ipoteticamente potrebbe non avere fine o magari una fine improvvisa, oppure potrebbe concludersi e fare da prefazione ad una serie. Non lo so, dipende dalla mia voglia di scrivere, dalle idee e, soprattutto, dal tempo libero. 
 Ciao! :)

Note 2:
La storia parte quasi dall'inizio. Louis e Philippe non sono ancora nati, Anna sta per sposare Luigi XIII e D'Artagnan è ancora un giovane Moschettiere. Non spaventatevi dei tanti capitoli, sono molto brevi. 












 



 
Lei lo amava molto più di quanto avesse mai potuto immaginare si potesse amare un uomo.
Lo amava più di quanto amasse quella vita di sfarzo, feste e ricevimenti.
Lo amava più della corona e di tutti i privilegi che essa comportava.
Improvvisamente il pensiero di lasciare tutto, di fuggire con lui lontano, di cambiare vita, identità, città non le sembrava poi tanto assurdo.
Sarebbe stato semplice partire di notte, veloci e leggeri, con pochi averi al seguito. Abbandonare Parigi per vivere insieme a lui, lì dove nessuno poteva conoscerli e riconoscerli, dove nessuno avrebbe mai potuto dividerli.
Era certa che avrebbe amato il risveglio accanto a lui nel letto di una modesta casetta di campagna. Era sicura che si sarebbe abituata con gioia alle passeggiate fra la gente,al mercato, fra i vicoli, come una qualsiasi popolana francese. Avrebbe cucinato per lui, si sarebbe presa cura di lui. Avrebbero avuto dei figli, li avrebbero cresciuti insieme, magari avrebbero avuto i suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi blu. Con un po’ di fortuna sarebbero invecchiati insieme.  
Una lacrima rotolò lungo la guancia di Anna lasciandosi dietro un solco umido sul viso pallido.

Chissà quando lo avrebbe rivisto.
Chissà se e quando sarebbe capitata loro l’occasione di stare insieme come avrebbero voluto, magari anche solo per qualche ora.
Era un’estate particolarmente calda ed Anna aveva 16 anni.
Lo scirocco faceva danzare la tenda di seta della sua stanza poco illuminata e le accarezzava dolcemente il corpo snello e longilineo. Distesa sul letto, con le gambe e le spalle scoperte, si faceva cullare dai pensieri, dal silenzio e dai profumi di quella serata calda e malinconica. Versailles non era altro che una grande e sfarzosa prigione.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***



Si svegliò il mattino dopo con lo stomaco annodato.
Il vassoio carico di una ricca ed abbondante colazione le diede la nausea.
Impiegò poco ad essere pronta ed a lasciare le sue stanze. Aveva voglia di camminare e Versailles non lasciava certo a desiderare in termini di suolo calpestabile.
Il sole caldo riversava una cascata d’oro sui prati verdi e umidi della Reggia. Le fontane scrosciavano acqua limpida rendendo l’aria frizzante. Sarebbe stato bello se tutti fossero improvvisamente scomparsi. Tutti eccetto lui.
Chissà come sarebbe stato camminare con lui, mano nella mano, magari a piedi nudi nell’erba fresca, in silenzio, godendo del sole, del vento e del lontano suono dell’acqua. Sarebbe stato bello parlare con lui di cose inutili, ridere, scompigliargli i capelli e mettergli in disordine la divisa con l’unico scopo di farlo arrabbiare. Si sentiva stupida e sciocca e ne era terribilmente felice. Aveva voglia di piange e di ridere e non sapeva decidersi su quale delle due necessità fosse più impellente.
 
Camminò spedita fra le aiuole affondando il passo nella terra morbida. Inspirò l’odore di erba e lasciò che i lembi della lunga gonna candida le sfiorassero i polpacci. Si fermò solo sul limitare di un piccolo boschetto di cipressi che divideva la zona residenziale con la parte del castello adibita al personale ed alla servitù. Era lì che i moschettieri avevano il loro quartier generale. Tutto taceva immerso nella calma surreale di quella mattina d’estate. Le cime degli alberi oscillavano leggiadre e piccoli stormi d’uccelli tubavano saltellando allegramente fra i tetti.
Un paio di sott’ufficiali perlustravano il perimetro militare mentre un gruppetto di soldati radunati al centro del cortile provavano alcuni schemi di duello.

«Altezza?»
Una delle due guardie del corpo che l’avevano sapientemente seguita a debita distanza parve volersi opporre alla sua decisione di infrangere il limite militare. Lei, nascondendo un sorriso divertito, decise di perseverare nel suo intento.
Era giovane e innamorata, nulla di più bello e pericoloso.
Si avvicinò ancora un po’ al campo di addestramento e poi si fermò sotto un albero particolarmente ombroso. Decise di accomodarsi sull’erba, portò le ginocchia al petto e le cinse con le braccia.
Mentre scrutava gl
i uomini in divisa si sentiva immensamente felice.

Eccolo lì.
Le sue labbra si tesero in un sorriso beato che si estese anche ai grandi occhi verdi.

«D’Artagnan»
Sussurrò conscia d’essersi felicemente intontita.
Rimase a guardarlo per un po’ e non smise neppure quando la notizia che la Principessa Anna era al campo si diffuse fra le giovani reclute.
Lui quindi la guardò e gli archetti delle sopracciglia stretti non fecero altro che dissimulare preoccupato stupore. Lei rise e decise di aver seminato abbastanza panico.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***



 
Il comandante Tréville se ne stava sulla soglia della porta. Metà dentro e metà fuori.
Anna, seduta ad un bel tavolo di legno antico, sorseggiava con noncuranza una bevanda particolarmente in voga nel regno d’Inghilterra. Era in compagnia della Regina Madre che le stava giustappunto ricordandole di quanto il figlio, suo futuro sposo, fosse impegnato in affari tanto grandi da giustificare la sua perenne assenza.

«Un vero peccato.» mormorò Anna staccando leggermente la tazzina di porcellana dalle labbra. Continuarono a sorseggiare in silenzio fin quando, con due sommessi colpi di tosse, il comandante ricordò alle donne di essere stato chiamato.
«Ah, comandante Tréville» La Regina Madre lo invitò a farsi avanti e lo accolse con un sorriso tanto misurato da poter essere al tempo stesso dolce e severo.

«Comandi Vostra Maestà.»
Lei poggiò la tazzina sul piattino e depositò con cura il cucchiaino sull’apposito tovagliolo.

«Mio figlio ha deciso che la principessa Anna, sua futura consorte, si occuperà di svolgere quei compiti istituzionali a cui lui, essendo lontano, al momento non può assolvere. E’ chiaro, dunque, che mi aspetto che i Moschettieri, quali forza armata specializzata, facciano in modo che la Principessa possa svolgere tale mansione in totale sicurezza»

Tréville scattò sull’attenti ed annuì.
«Sì Maestà. I migliori uomini saranno al completo servizio della Principessa.»

Ad Anna salì il cuore in gola.
Il desiderio di lasciare Versailles per il mondo esterno era forte ma ora, messa davanti alla concreta possibilità di assaporare un surrogato di libertà, si sentiva mancare il terreno sotto i piedi.

«La tazzina mia cara» Anna si affrettò a ricomporsi e ad asciugare il tè che nel frattempo stava scivolando oltre il bordo di porcellana.  
La Regina Madre rise sommessamente.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***




«Perché sua Maestà la Principessa qualche giorno fa era al campo e mi guardava?» Anna se ne stava nella sua carrozza. Aveva espressamente chiesto di viaggiare da sola nonostante un nutrito gruppo di dame di compagnia avesse preso parte alla spedizione. A loro era stata riservata una carrozza di coda, per fortuna.

«Il tenente D’Artagnan soffre di manie di protagonismo, forse?» Lei scostò la tenda e si rivolse al giovane in divisa che, in sella al suo cavallo, aveva accostato la carrozza.

«Allora devo supporre che alla Principessa interessi imparare a tirare di spada.» Lui guardava avanti e, solo dopo essersi accertato che nessuno li osservasse, voltò gli occhi per posarli in quelli di lei.

«Perché no. Il tenente potrebbe essere un ottimo maestro.» Ribatté lei. Sapeva che il suo sguardo innamorato la tradiva e non si preoccupò di rivolgergli un timido e dolce sorriso.
Com’era bello.
Che fosse la potenza dell’amore o che il tenente fosse realmente un uomo stupendo non importava, per lei lui era l’uomo più bello del mondo.  
Si sentiva fortunata ad avere accanto un uomo simile e non aveva la minima remore nel rendere manifesti tutto l’amore che sentiva.

«Attività assai poco adatta ad una futura Regina.» Lui divenne improvvisamente serio e distolse lo sguardo.
«Vogliate scusarmi.» Con un colpo di speroni esortò il cavallo ad accelerare così da potersi allontanare velocemente dalla carrozza.
Lei si fermò un attimo a guardargli la schiena mentre si allontanava. Sapeva benissimo cos’era appena successo.

Tornò dentro e chiuse la tenda.
Si sentiva improvvisamente triste. Sapeva di essersi spinta un po’ oltre i paletti che avevano deciso di comune accordo di fissare.
Più volte durante il tragitto, sbirciando fra le tende, aveva incontrato i suoi occhi. Nei fugaci momenti in cui si era appisolata aveva sentito la sua voce impartire ordini in lontananza e, per un attimo, se lo era immaginato lì accanto a lei.
Chissà come sarebbe stato bello sonnecchiare sul suo petto, al caldo ed al sicuro. 


Si svegliò all’urlo del cocchiere che annunciò con voce roca l’arrivo a destinazione. La carrozza si fermò con un sussulto che le fece picchiare la fronte contro il finestrino umido contro il quale si era addormentata.
Fuori stava calando la sera ed una scia color porpora degradava in un telo scuro puntellato di stelle.
Aveva un po’ di freddo ed era terribilmente stanca.
Tutto ciò che desiderava era liberarsi del corsetto e dormire finalmente in un letto vero.

I possedimenti immobiliari della corona francese erano disseminati in maniera tale da fare in modo che il sovrano avesse una residenza privata in quasi in ogni città del paese. Anna rimase particolarmente colpita da quella tenuta reale. Era decisamente più piccola delle altre, era semplice e sobria. C’era poca servitù e  tutto le ricordava l’infanzia in Austria nella piccola residenza dei suoi nonni materni. Quello era uno dei pochi luoghi in cui si fosse sentita una bambina come le altre, in cui le era concesso di sbucciarsi le ginocchia, di correre nei prati e di sporcarsi i vestiti.      

Un sorriso amaro le increspò le labbra mentre, congedata la servitù, si avviava per lo scalone centrale verso i suoi alloggi.
D’Artagnan, in religioso silenzio, così com’era solito fare, le camminava alle spalle scortandola al piano superiore della tenuta. Era un rito innocente ma importante per entrambi; una specie di alternativa tutta loro di darsi la buona notte.

«Credevo avessimo già parlato del comportamento da tenere in pubblico» Per quanto la frase contenesse un ammonimento, il tono della voce di D’Artagnan rimase morbido, pacato, quasi sussurrato. I momenti di debolezza erano pericoli da cui dovevano salvarsi a vicenda.  «Tu sai cosa succederebbe se…»

«Lo so.» Replicò lei asciutta mentre dischiudeva l’enorme anta di quella che sarebbe dovuta essere la sua stanza da letto. Si voltò verso di lui e gli sorrise mesta. Apprezzava tanto il suo modo di dirle le cose senza mai arrabbiarsi. «Perdonami, non sarei dovuta essere così sfacciata.»
Il silenzio, come un’invisibile coperta, si posò su di loro che non smisero di guardarsi.
Fu lei a tendere la mano per annullare ogni fisica distanza. Le loro dita si intrecciarono e lui chiuse forte gli occhi quasi il contatto gli procurasse dolore.

«Buonanotte amore mio» Sussurrò lei stringendo di più la presa.
Lui, oramai vinto, la attirò a sé per stamparle un veloce bacio sulla fronte.
«Buonanotte.»

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***



 
 
Tutto era così diverso da come se l’era immaginato.
Erano ore che sedeva al centro d’un elegante salone in cui aveva dato udienza ad ambasciatori, membri del clero, nobili della zona e ricchi mercanti. S’era comportata secondo etichetta mostrandosi una futura sovrana generosa, attenta ai problemi sottopostigli ma dal polso fermo e dalle idee chiare. Insomma, era stata ligia alle direttive impartitele da sua madre prima, e dalla Regina Madre dopo.
Fu un sollievo quando le fu annunciato che il dignitario appena andato via era l’ultimo e che avrebbe finalmente avuto del tempo per sé stessa.
Non le sembrava vero e in cuor suo, forse scioccamente, sperava di poter trascorrere quel tempo con D’Artagnan.
Si cambiò d’abito e s’incamminò per la tenuta deserta e silenziosa.
Lui dov’era finito?

Le dame di compagnia si erano radunate in un angolo ombroso di un prato inondato dal sole. Lì vicino una fontana zampillava acqua fresca e pulita. Faceva molto caldo e le giovani donne, forti di una complicità tutta femminile e della lontananza dai rigidi schemi di Versailles, osavano stare a piedi nudi, con le gambe scoperte fin quasi alle ginocchia. Passavano il tempo a rincorrersi, a schizzarsi d’acqua e di tanto in tanto scoppiavano in sonore risate. Anna sentì il distinto desiderio di essere una di loro, felice nella semplicità di una vita modesta. 
Decise di osservarle a debita distanza così da non destare soggezione. Le aveva sempre ritenute frivole ed il loro attuale comportamento non le faceva di certo cambiare idea. Eppure desiderava essere una di loro. Erano sciocche ma godevano di una libertà di cui lei non avrebbe mai goduto.
«…chissà perchè…» sentì dire da una di loro mentre le altre ridacchiavano
«Ho fatto i salti di gioia quando ho saputo che sarebbe venuto qui con noi.» disse una seconda.
«…però parla così poco…»  si lagnò una terza.
«...secondo me è solo timido…» concluse la quarta.  

«Di chi parlate?» Le dame di compagnia sobbalzarono dalla sorpresa quando Anna si intromise nella conversazione. Stupirono quando lei si sedette fra loro, sull’erba, con le gambe incrociate ed i capelli sciolti.  Sembrava così lontana dall’immagine di futura regina fredda ed austera che tutti s’aspettavano da lei. 

«Oh, bè…» la loquacità delle ragazze parve scomparire in favore di un imbarazzante mutismo.
«Giuro che non faccio la spia!» Assicurò Anna cercando di dissipare l’improvvisa timidezza delle quattro giovani. Si sentiva una bambina, e la cosa le piaceva. Sorrideva e sperava di poter essere accettata quale membro effettivo del gruppetto.  
«Noi..insomma…noi…» il pettegolezzo è spesso veicolato da chi difetta in nume. L’imbarazzo infatti fu presto vinto dalla voglia di ricamare ancora più affondo su argomenti comunemente proibiti.
«Uomini.» Una di loro, in uno scatto di coraggio, scoprì quelle carte che, in vero, ognuna di loro non vedeva l’ora di scoprire. Scoppiarono tutte in una risata acuta e civettuola ed anche Anna si lasciò trasportare. Insomma, parlare d’uomini era qualcosa da donne adulte e disinibite!
Anna provò un senso di eccitazione ed euforia nel prendere parte ad una conversazione vergognosamente scandalosa per una giovane donna del suo rango.   

«Si parlava di quel moschettiere. Quello con gli occhi blu.» Cominciò una delle quattro.
«”Quello”, come lo chiami tu, si chiama Charles de Batz de Castlemore d’Artagnan.» La corresse una delle altre con fare saputello ed irritato.
«Sì, proprio lui. Da quando conosci anche il suo nome completo?» Domandò la prima trattenendo a stento una risata. Le altre due scoppiarono nell’ennesima sonora ilarità.
«Si parlava di lui e di quanto fosse galante, carino ma inarrivabile.» Continuò la prima facendo spallucce mentre le altre continuavano a ridacchiare arrossate dal caldo e dall’imbarazzo.
La risata di Anna invece si era incrinata leggermente. Non provava gelosia, né rancore o rabbia. Si sentiva semplicemente stupida.
Come aveva potuto pensare che un uomo come D’Artagnan potesse essere solamente suo? Quante altre donne avevano visto in lui il classico buon partito con cui maritarsi? E quante altre donne, anche dell’alta società, erano o potevano dirsi affascinate da quegli stessi occhi blu che lei amava?
Anna non sorrideva più, era angosciata.


«Ragazze! Dentro!» La voce di Brigitte risuonò lungo il prato e le ragazze scattarono in piedi terrorizzate. Raccattarono scarpe e calze e scapparono via, probabilmente nelle loro stanze.  

Brigitte era una vecchia suora. Si era presa cura di Anna dal momento in cui era arrivata a Parigi. L’aveva fatta sentire un po’ più a casa, curandola come una figlia ed ora la seguiva ovunque preparandola e proteggendola dalle incombenze dell’essere una futura regina.
Per quanto Anna le fosse affezionata e per quanto la considerasse un punto fermo, non aveva mai lontanamente pensato di confessarle ciò che stava succedendo fra lei e D’Artagnan. Eppure era certa che lei sapesse.
Anna rimase seduta sul prato con i piedi scalzi e le gambe incrociate. Improvvisamente si sentì a disagio in quella posizione così poco consona.

«Le avevo avvisate che a quest’ora non è saggio stare fuori. C’è troppo caldo.» Brigitte attraversò il prato in diagonale.
«Vostra Maestà, dovreste rientrare anche voi.» Disse in tono preoccupato.

«No» mormorò Anna.  

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***





Aveva riflettuto tanto nei giorni in cui era stata lontana da Parigi, forse troppo.
Qualcuno aveva avuto l’ardire di chiederle come mai sembrasse così assente, ma lei aveva sempre fugato il discorso dichiarandosi stanca.
Il problema, quando si ragiona da soli, è che spesso si giunge a conclusioni che spesso deviano dal problema stesso ma che aprono scenari terribili.
Guardando D’Artagnan da distanza di sicurezza, osservandolo svolgere le sue mansioni, si era chiesta se lui fosse realmente felice e se lo sarebbe mai stato. Si era resa conto che lei non sarebbe mai potuta arrivare a dargli ciò che lui meritava e desiderava. Lui sarebbe sempre e solo rimasto il suo amante, nulla di più. Com’era triste delegarlo ad un ruolo tanto squallido quando lui, per lei, era molto molto di più.  
L’intricata matassa di pensieri si faceva sempre più contorta e stretta.
Da ogni dubbio ne nascevano infiniti altri e lei finì per sprofondare in un baratro di insicurezza che non la spaventava, ma la deprimeva a morte.

Tuttavia, il ritorno alla rumorosa e fitta routine di Versailles fu fastidioso. Aveva dimenticato quanto fosse impegnativa la vita di una donna il cui unico scopo sarebbe stato quello di dare prole al futuro Re. Che senso aveva leggere, studiare, imparare cose nuove se il suo compito era mettere a disposizione il proprio corpo per il solo fine di procreare, per di più con un uomo che neppure conosceva? Se, dunque, il suo scopo di vita era quello, perché Dio l’aveva resa capace di provare così tanto amore per D’Artagnan?  
Provava ribrezzo verso sé stessa e verso il suo futuro sposo.
Ma a lui, dopotutto, cosa importava? A lui non interessava l’amore, non era stato educato per quello.   

Stette per lunghe ore alla finestra osservando la limpida superficie di uno dei tanti laghetti artificiali di Versailles. Attorno a lei sarebbe potuto accadere di tutto, non se ne sarebbe accorta perché al momento era in compagnia di sé stessa e questo le bastava. Sapeva che avrebbe dovuto staccare con i pensieri ma un'inusuale voglia di sadismo le faceva desiderare di continuare a farsi volontariamente del male.

«Hm,sì?» Tornò al mondo terreno solo quando Brigitte comparve sulla soglia della porta e picchiettò educatamente sull’anta già aperta.
«Maestà, un messaggio.» Annunciò l’anziana donna «Il principe ereditario e vostro futuro marito sarà di ritorno questa sera. Si auspica che voi sarete pronta ad accoglierlo come si conviene insieme alla corte.» Altro banchetto, altra festa danzante, altro abito troppo stresso, altra serata trascorsa a reprimere la voglia di urlare.

«Puoi chiamarmi il tenente D’Artagnan?» Brigitte rimase sospesa per un attimo. S’aspettava tutt’altra risposta.
« Sì maestà, subito.» La suora sapeva che non era una cosa saggia ma annuì e si congedò con un inchino.
 


 «Perché non te ne vai, D’Artagnan?» Fu così che lei lo accolse.
«Sono appena arrivato, Maestà.»
«Intendo da Versailles, da Parigi, dalla corte.»  Quanto lo odiava!
Lui non rispose, aveva bisogno di più informazioni per capire cos’è che stesse succedendo.
Una folata particolarmente intensa fece sbattere l’infisso esterno della finestra; nessuno dei due se ne curò.
«Voglio sapere cosa ti spinge a credere così tanto in noi due, Charles. Perché tu sai che io non potrò darti nulla di quello che meriteresti.» Anna non si preoccupò di tenere il tono basso, era giunta al punto di non ritenere più importante l’essere udita o meno. Lui strabuzzò gli occhi sconvolto e si affrettò a chiudere la porta. Non sarebbe stato bello farsi trovare in camera della Principessa, ma sarebbe stato comunque meno grave di lasciare che qualcuno udisse certi discorsi.  
«Shh! Sei impazzita?»
Rimasero a guardarsi accigliati ma per ragioni diametralmente apposte. Lui se ne stava in piedi, con la mano ancora sulla maniglia della porta e la fronte corrugata. Lei, seduta accanto alla finestra, lo guardava furente.
«Tu lo sai quante donne esistono al mondo e che sarebbero capaci di renderti felice? Donne che non ti costringerebbero a nasconderti e a rischiare la vita; che non avresti difficoltà a sposare e che potrebbero darti dei figli, una famiglia. Donne che…insomma…sai cosa sto dicendo…»
D’Artagnan fu completamente colto alla sprovvista. Non immaginava che un discorso del genere potesse saltare fuori in un luogo ed in un tempo così inadatti.
«Anna, ti prego, non è il momento.»
«Non è mai il momento, Charles. A volte penso che dovrei decidere io per entrambi, perché facendoti del male adesso ti salverei da un’esistenza di sofferenza.»
A lui sembrò che il baratro si fosse improvvisamente aperto sotto i suoi piedi. Si rifiutò di comprendere il senso di quanto lei le stesse dicendo. Non voleva capire.
Ebbe bisogno di tempo per balbettare qualcosa che avesse senso.
«Vuoi lasciarmi, Anna?»

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***






Le trombe squillarono, le fiaccole scintillarono e sua maestà il Principe Luigi, futuro Re Luigi XIII, in un tripudio d’oro e diamanti, scese dalla sua carrozza. Al suo seguito un folto gruppo di eleganti dame, guardie e dignitari. La corte esplose in un applauso di approvazione ed ammirazione. Anna dischiuse le labbra in un gran sorriso rivolto al nuovo arrivato.
«Bentornato Maestà»
Lui ricambiò il sorriso e le si avvicinò per posarle un casto bacio sulla guancia.
«Come sta la mia futura moglie?»
«Con voi qui sicuramente meglio.» Anna arrossì leggermente.
L’attenzione del futuro Re si spostò subito altrove.
Anna, con un certo piacere, si ritrovò ad aver assolto già a gran parte dei suoi compiti ed ora non avrebbe dovuto far altro che starsene seduta immobile ed inespressiva sulla sedia più bassa del trono per tutta la sera. Stava per incamminarsi al suo posto quando fu attratta da una figura: si trattava di una dama particolarmente avvenente. Ricordava di averla vista fra i membri della delegazione del Principe. Indossava un abito scollato che le metteva in evidenza la forma dei seni e la vita stretta. Si beava dell’attenzione del capannello d’uomini che le si era formato intorno e puntualmente sorrideva e sbatteva le ciglia a chiunque di loro le facesse un complimento.
D’improvviso lo sguardo della donna si posò in quello di Anna. Fu una frazione di secondo ma Anna poté chiaramente cogliere una provocazione.
Cosa voleva da lei quella donna?
Decise che non avrebbe colto. 
«Come mai una donna tanto volgare viene ammessa a corte?» Chiese Anna a Brigitte mentre si avviava al suo posto sul trono.
«Quella è Madame de Hautefort e gode dei favori del Principe.» Brigitte non aggiunse altro.


Per l’intera serata Anna non fu degnata di uno sguardo o di una parola e, per un certo verso, ne fu felice.

Aveva imparato che a corte contava la forma. Era buon costume che lei fosse accogliente, silenziosa, sottomessa ed asservita alla volontà del suo futuro marito e di sua madre. Erano tante le cose che non le andavano bene e che in Austria non avrebbe tollerato, ma lì era solo un ospite come le era stato gentilmente ricordato da qualcuno. Ogni volta che sopprimeva il suo impulso di ribellione si sentiva morire un po’ di più, ed era così che la volevano: morta dentro.
L’amore era l’unica boa di salvataggio che la teneva a galla giorno per giorno.
Ma era disposta a galleggiare tutta la vita?
Frugò con gli occhi la sala sperando che D’Artagnan fosse nel cordone di sicurezza, ma non riuscì ad intravederlo. Chissà cosa ne avrebbe pensato. Galleggiare per tutta la vita o tentare di volare rischiando di affogate? Sarebbe stato così stimolante parlarne con lui.

«Mia Principessa, danzate?» Il Principe si era appena piegato verso di lei. Anna fu presa alla sprovvista. Sapeva danzare perfettamente ma mai prima di allora il suo futuro marito le aveva fatto una simile richiesta. In vero non aveva mai neppure intrattenuto con lui una vera e propria conversazione.
«Volentieri Vostra Maestà.»
Non furono le centinaia di paia d’occhi che li guardavano ad infastidirla. Non fu nemmeno il silenzio pregno di quel finto stupore da parte dei presenti. A disturbarla fu il contatto con quell'uomo che non conosceva e che a breve sarebbe diventato suo marito. Non le piaceva il suo odore, il suo modo di toccarla e di stringerla. Non le piacevano i suoi occhi maliziosi e quel sorriso supponente e colmo di arroganza. C’era un solo termine per descrivere ciò che provava: repulsione. La maschera che aveva imparato a portare, però, la schermava dal rendere palese la sua avversione facendola sembrare serena.    
E poi tutto passò.
Fra tutti quegli occhi, solo un paio spiccarono sopra tutti. Erano gli occhi blu di D’Artagnan che bruciavano di una gelosia che solo lei seppe cogliere. Lui era sul fondo della sala, accanto ad una grande colonna di marmo, impeccabile nella sua divisa nera e oro. Ogni qual volta lei compiva un giro di danza fra le braccia del suo futuro sposo, si preoccupava di guardare lì, sempre in quel punto, incontrando puntualmente gli occhi di lui.
All'improvviso non lo ritrovò più.
Le prese il panico e lo cercò furiosamente fra la folla. 
L'espressione maliziosa  di Madame de Hautefort le passò davanti ma di D'Artagnan neppure l'ombra.
Lui probabilmente era uscito dalla sala, era andato via, si era volutamente sottratto a quello spettacolo assurdo.
Il cuore di lei perse un battito e la maschera di serenità si incrinò.
«State bene mia principessa?»
«Oh…sì Vostra Maestà. Sono solo un po’ stanca.» Com’era comoda ed efficace quella scusa.
«Gradite ritirarvi?»
«Se me lo permettete, sì.»
Il principe Luigi sollevò un braccio e la musica cessò all’istante.
«La principessa Anna desidera ritirarsi nelle sue stanze.» Annunciò a tutti mentre lei sorrideva spiacente. I presenti risposero con un inchino mentre lei lasciava la sala seguita da Brigitte.

«Maestà, perché siete andata via?»
«Brigitte, sono stanca. Voglio andare a letto.»
«Maestà, siete andata via lasciando il vostro futuro marito con la sua amante. Questo è un chiaro segno di debolezza agli occhi della corte.»
«La sua amante?» Anna si fermò per guardare un attimo nel vuoto. Quindi era questo che voleva dire “avere i favori del principe”. Che sciocca che era!
 «Si, Maestà.»
«E la Regina Madre ne è al corrente?»
«Sì, Maestà.»
«Sa che suo figlio tradisce la sua futura moglie e non interviene?»
«Il Principe, prima di essere principe è anche un uomo. Le sue naturali pulsioni necessitano di uno sfogo e ciò non può avvenire con voi, almeno non prima del matrimonio.»

Furono dieci secondi o forse un minuto, comunque non si rese conto del tempo effettivo che impiegò per metabolizzare quell'informazione. Temette di rimanerne sconvolta ma invece un’ondata di rabbia le risalì lungo la spina dorsale fino ad imporporarle il viso. Non le importava del Principe e della sua amante. Ma le importava del dolore che lei aveva represso e dei sensi di colpa con cui aveva dovuto lottare per il solo fatto di amare D’Artagnan. Lo aveva allontanato, lo aveva ferito, lo aveva maltrattato in nome di un dovere più alto: quello di adempiere al compito divino di generare la prole del sovrano. Era giunta alla conclusione di essere un'eletta da Dio e, dunque, di doversi sacrificare in suo nome. Si era ripromessa di non vederlo mai più, di chiudere in cassaforte quei sentimenti e sperava che con il tempo lo strazio sarebbe passato.  
Aveva sbagliato tutto. 

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


 
 
«Voglio fare l’amore con te» Sussurrò la Principessa all’orecchio del suo amante.
«No, Anna. No.»
«Perché no?»
«Perché non è il caso.»
« E perché non è il caso?»
«Perché si suppone tu debba arrivare illibata al matrimonio.» D’Artagnan credeva di non doverle neppure spiegare certe cose.
«E dopo?»
«E dopo cosa?»
«Dopo il matrimonio. Dopo farai l’amore con me?»
D’Artagnan sospirò, chiuse gli occhi e scosse il capo. In certe occasioni lei diventava una bambina. In realtà lei era una bambina. Lui, solo di qualche anno più grande, aveva avuto modo di maturare un po’ di più vista la dura vita militare.
Erano nel bel mezzo di uno dei loro fugaci incontri.
In quelle occasioni lui era sempre sulle spine: se li avessero visti o sentiti per lui sarebbe stata morte certa. Lei, forse, sarebbe solo stata rispedita in Austria.
Era notte, il corridoio era semi deserto e parzialmente immerso nell’oscurità. Il silenzio regnava tutt’intorno favorendo l’amplificazione di ogni eventuale suono estraneo. Faceva freddo ma nessuno dei due lo sentiva.
Lui l’aveva spinta in uno degli anfratti del corridoio, fra una colonna ed una cristalliera. Lui le aveva cinto la vita, lei gli aveva intrecciato le braccia al collo ed avevano trascorso un intero minuto a scambiarsi un bacio sulle labbra.
Solo dopo, ansimante, lei  aveva espresso il naturale quanto irrealizzabile desiderio di fare l’amore.
«Io non capisco, Anna. Prima vuoi che ti lasci in pace e poi mi dici di voler fare l’amore con me» Lui se ne stava al sicuro, con il volto affondando nell’incavo del collo di lei. Così poteva respirare il suo odore e baciarle delicatamente il lembo di pelle candida e morbida della spalla.
Poche settimane prima lei aveva espresso dubbi sulla sua capacità di renderlo felice. Lo aveva allontanato, aveva pensato che prima o poi quel fuoco si sarebbe automaticamente spento. Dopo la scoperta riguardante il Principe e Madam de Hautefort, però, Anna aveva completamente rivisto le sue priorità. 

«Il Principe Luigi ha un’amante.»
«Lo so.» Lui si accostò con la tempia a quella di lei.
«Perché non me lo hai detto?»
«Cosa importa, Anna? Ti senti in colpa?»
«No, noi non siamo come loro, Charles. Tu non sei il mio amante.»
Lui sorrise non visto e le avvicinò le labbra all’orecchio. «Ah no, e cosa sono allora?»
Lei deglutì ma non rispose.
Si staccarono quel tanto che bastava affinché potessero guardarsi negli occhi. Avevano entrambi paura solo che lei lo dimostrava fingendosi infastidita da quella domanda e lui si fingeva divertito e sprezzante della provocazione.
«Sei tu quello che vorrei sposare.»
Le maschere si sgretolarono ed entrambi furono improvvisamente terrorizzati.
Tornarono a stringersi forte cercando di trasmettersi tutto il calore e l’amore che potevano. Rimasero cosi per lungo tempo, finché uno scricchiolio li fece sobbalzare. Una porta da qualche parte si era aperta ed un ticchettare periodico di passi iniziò a rimbombare nel corridoio.
Si staccarono immediatamente e si ricomposero tremanti.
«Vai» sussurrò lui. Lei annuì.   

Lei camminava avanti e lui la seguiva più indietro, a qualche metro di distanza. Questa era la prassi secondo cui un moschettiere accompagnava un reale in giro per il castello.
Incrociarono il marito della sorella del Re che salutò Anna con cerimonie e svolazzi, ma che poi scomparve con la stessa rapidità con cui si era palesato.
Continuarono a camminare finché lei non raggiunse la sua stanza. Era l’unico posto in cui non aveva rigide norme di etichetta da rispettare.
«Buonanotte.»
«Anna, aspetta.»
Lei stava chiudendo la porta e si bloccò. «Cosa c’è?»
«E’ importante. Volevo dirtelo subito, però poi…» Poi avevano iniziato a baciarsi e lui aveva pensato di poter rimandare il discorso. Quel raro momento di passione era decisamente più importante per lui e, ne era sicuro, anche per lei.
«Charles, dimmi.»
Lui si frugò la divisa e tirò fuori una busta in pergamena gialla con lo stemma del Comando dei Moschettieri Francesi inciso nella ceralacca. «E’…è una chiamata alle armi. Devo andare a…»
D’Artagnan poté leggere negli occhi di lei dapprima stupore, poi paura e infine rabbia. Sapeva che non l’avrebbe presa bene. Avrebbe voluto spiegarle di più, magari provare anche ad indorarle la pillola ma lei era già arrivata alle ovvie conclusioni. Lui doveva partire e stare via chissà per quanto tempo.
Anna strinse le dita attorno alla fredda maniglia della porta con così tanta forza che le nocche le si fecero viola. Gli occhi le si inondarono di lacrime e questa volta fu costretta ad infrangere la sua vecchia promessa: questa volta avrebbe pianto ed avrebbe pianto tanto.
Chiuse la porta con un tonfo che risuonò a diversi piani.
Lui rimase fuori, dal solo, con il tonfo della porta che ancora rimbombava nel corridoio e la lettera in una mano.
Tutto era accaduto con una velocità disarmante. 

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***



 
 
I polmoni gli facevano male.
L’odore pungente della polvere da sparo gli aveva irritato la gola al punto da farlo tossire in continuazione.
Aveva freddo.
Erano ore che se ne stava rannicchiato in quella buca di terra. Il suo cavallo era stato ferito e lui aveva preferito porre fine alle sue sofferenze piazzandogli un colpo in mezzo agli occhi. Anche perché nitriva come un ossesso e c’era rischio che attirasse l’attenzione.
Povera bestia. Era certo di avergli fatto del bene.
Pochi minuti prima un colpo di cannone era caduto a pochi metri da lui e temeva che, aggiustando di poco la mira, il cannoniere avrebbe potuto colpirlo. Doveva muoversi.
Sguainò la spada e, con uno scatto, balzò fuori dal fosso.
L’effetto sorpresa gli concesse un leggero vantaggio per cui riuscì a liberarsi senza problemi di due soldati spagnoli. La mischia gli fu favorevole e, facendo leva sulle sue incredibili abilità con la spada, riuscì ad attraversare la linea iberica senza essere ucciso. Si mosse veloce e silenzioso fino a raggiungere il fronte francese e la trincea dei moschettieri del re.
 
«Mio Dio D’Artagnan, ti davamo per morto. Dove sei stato?»
«Lascia stare Athos, sto bene.» Era ricoperto di polvere, terra e fango. L’amico e collega lo aiutò a liberarsi della divisa oramai lercia. 
Entrò nella tenda ed un odore di brodo di rape gli punse le narici.
«Che fame! Chi è che ha messo Porthos ai fornelli?»
«Puoi sempre andare a mangiare con gli spagnoli, D’Artagnan.» Portos era molto sensibile alle critiche sul suo modo di cucinare. Era fermamente convinto di essere un grande cuoco, erano gli altri a non capirlo.
Aramis era seduto in un angolo a leggere ma smise appena D’Artagnan entrò. «Ho una cosa per te, amico».
«Sì?»
«E’ una lettera. E’ arrivata ieri sera da Parigi.»
D’Artagnan si accomodò a tavola insieme agli altri mentre Porthos serviva loro una brodaglia assai poco invitante.
Scartò la busta ed iniziò a leggere. Chi diavolo poteva essere?

“Lei non sa che vi sto scrivendo, forse non lo condividerebbe ma io ho necessità che voi sappiate. Mancano pochi giorni ALLA DATA e temo che lei possa farsi del male. Le sto vicino notte e giorno. Vi prego, ve ne supplico, scrivetele. Indirizzate le vostre missive al convento, in particolare a suor Odette. Le riceverò io. Non fate mai il SUO nome né il vostro. Scrivete a suor Odette come se voleste scrivere a LEI.
Abbiate cura di voi.
B.”

D’Artagnan si era alzato e si era avvicinato alla lampada ad olio per leggere meglio.
“B” era Brigitte, la suora che si occupava di Anna. Si stava riferendo al matrimonio.
«Hey D’Artagnan, prima dici di avere fame poi non tocchi niente.»
«Lascialo in pace, Porthos. Stai bene Charles?»
Possibile che Anna fosse arrivata ad un simile grado di disperazione? Sì, poteva e come biasimarla? Chi avrebbe potuto sopportare una tale condanna senza impazzire o senza desiderare concretamente di morire?
«Che giorno è oggi.» Chiese D’Artagnan ai tre.
«Oggi è venerdì 21…no aspetta, è sabato 22.»
«Cosa dici, Aramis: oggi è giovedì 20!»
«Idiota, oggi è sabato!»
«Idiota a me? Lo vedi questo cucchiaio, te lo…»
«ZITTI!»

Che fosse il 20, il 21 o il 22 poco importava. La lettera risaliva quasi ad un mese prima, dunque la data del matrimonio era abbondantemente superata. Si era sposata ed aveva affrontato tutto da sola.
Si sentì mostruosamente in colpa.   
«Scusatemi.»
Si impadronì della lampada ad olio ed uscì dalla tenda.
«E noi come mangiamo? Al buio?» Sentì Porthos lamentarsi ma era già lontano.
Percorse la trincea fino al lato più sicuro e silenzioso, si procurò un tronco e lo utilizzò come tavolo da scrittura. Con il pezzo di carbone dato in dotazione ad ogni moschettiere iniziò a scrivere.

“Odette, mio grande amore, sono vivo e sto bene. Tutto ciò è solo merito tuo e della forza che i sentimenti verso di te mi danno. Ti prego, ho bisogno di sapere che anche tu, come me, stai bene e che le parole che ci siamo detti, i sentimenti che abbiamo confessato l’un l’altra, per te sono ancora validi. Tu sei il mio primo ed ultimo pensiero della giornata.
Tu sei nei miei sogni ogni notte e nei miei sogni scopro di amarti ogni giorno di più.  
 Tornerò a breve e lo farò solo per te. Tu sarai lì ad aspettarmi? Ti prego, dimmi che sarà così.
Prenditi cura di te.
Ti amo”

Rilesse la lettera e si rese conto che il suo tratto era tremolante ed insicuro. Aveva perso dimestichezza con la penna. Il foglio si era macchiato di terra e carbone e gli era veramente difficile pensare che quella pergamena tanto lercia potesse finire nelle mani di una Regina. Piegò la lettera e la affidò al primo messaggero in partenza per Parigi.
Quella sera D’Artagnan si aggiunge ad Aramis nella preghiera.
Pregò che Anna stesse bene e che la sua missiva viaggiasse veloce e senza intoppi. 

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***




 
Al carbone ed alla terra si aggiunsero le lacrime.
Anna sbagliava nel credere di non averne più, di averle consumate tutte nel giorno del suo matrimonio e nei giorni seguenti.
«Brigitte, come hai fatto?»
La vecchia suora fece spallucce e sorrise debolmente.
Forse era giusto lasciarle i suoi segreti.
D’Artagnan stava bene, la amava e con un po’ di fortuna lo avrebbe anche rivisto.  Quel giorno si sentì meglio e decise di partecipare al pranzo in sala reale alla presenza del Principe e della Regina Madre.

«Buongiorno, mia signora» La salutò il marito mentre uno dei domestici scostava la sedia dal tavolo per aiutarla a sedersi.
«Buongiorno a voi, Maestà.»
«Come state, mia cara?» La Regina Madre, seduta all’altro capo della tavola, le sorrideva. Anna sapeva che dietro quel sorriso c’era la precisa strategia di una donna oramai veterana della corte. Era colei che aveva come unisco scopo quello di far andare le cose esattamente come dovevano andare. E ci sarebbe riuscita. Da quando lei ed il Principe erano convolati a nozze, la Regina Madre era cambiata. Era diventata accentratrice ed ossessionata dal loro rapporto. Spesso faceva domande intime ed imbarazzanti che la facevano sentire nient’altro che un’incubatrice.
«Molto bene, grazie» La strategia di Anna era la neutralità. Faceva in modo che il tono di ogni sua risposta fosse imperscrutabile ed ogni suo comportamento fosse irreprensibile. Non voleva che la Regina Madre trovasse alcun pretesto per criticarla o, comunque, per renderle la vita più difficile di quanto già non fosse. La sua assenza da tavola nei giorni passati, però, era stato un grave passo falso e sapeva che lo avrebbe pagato.
«Ne sono felice. C’è qualcosa che dovete dirci, principessa?»
Uno dei domestici le stava servendo la prima portata ed Anna ebbe qualche secondo in più per riflettere.
«No, Vostra Maestà.»
«Oh, ma che peccato, cara. Speravo in un nipotino!»
Anna lo aveva intuito. Aveva intuito che la Regina Madre avrebbe utilizzato quel pretesto per tirare fuori quell’argomento. Lei sapeva che Anna era stata richiusa in camera per motivi ben diversi dalle noie di inizio gravidanza. Tuttavia, per quanto fosse cosciente delle sue sofferenze, la Regina Madre era convinta fossero causate dalla vita vuota e noiosa di corte piuttosto che da un amore lontano ed impossibile.   
Anna non rispose ma guardò di sfuggita il Principe. Non si era degnato di alzare lo sguardo dal piatto e continuava imperterrito a mangiare. Aveva trascorso le ultime notti lontano da Versailles, probabilmente con la sua amante, e si era ritirato solo all’alba. Per quanto le riguardava, dopo la loro prima notte di nozze, il Principe era andato trovarla in camera sua solo un'altra volta.
Le stava bene e non aveva la minima intenzione di alterare quell’equilibrio rendendo nota la cosa.
«Spero sarete celeri a procreare. Siete nell’età adatta. Avete pensato a quanti bambini avrete? Il medico di corte raccomanda non meno di sei così da garantire una quasi sicura sopravvivenza della casa reale. Per quanto riguarda i nomi, invece, verranno scelti in ordine discendente partendo dal capostipite…»
La conversazione andò avanti ed Anna non fece altro che annuire e dichiararsi concorde ai progetti proposti dalla Regina Madre. Che altro avrebbe mai potuto fare?  
 
Nei giorni seguenti rilesse più volte la lettera di D’Artagnan. Ne vagliò anche i più piccoli dettagli nella speranza di tirarne fuori informazioni non espresse dalle parole. La carta era sporca, stropicciata ed aveva l’odore della polvere da sparo. Sapere che lui era in un posto tanto pericoloso, sporco e misero le faceva stringere il cuore. Eppure quel pezzo di carta che oramai portava sempre con sé, nascosto nella gonna, l’aveva riportata alla vita. 
Riprese a passeggiare per Versailles nonostante l’inverno avesse spogliato gli alberi e ingrigito i prati. L’aria fredda che le pizzicava il volto la aiutava a rimanere concentrata sul suo scopo: sopravvivere. Tutti i giorni, al calare della sera, oltrepassava il confine militare e si recava alla caserma dei Moschettieri. Chiedeva di consultare il bollettino di guerra facendo passare quella richiesta come la volontà del Principe di informarsi sulle perdite dell’esercito.
Nessuno aveva mai obiettato.

Il cuore le si alleggeriva un po’ quando, scorrendo l’elenco, il nome di D’Artagnan non c’era.
Certo, questo non le garantiva che lui fosse in buona salute ma era l’unico modo che conosceva per tranquillizzarsi.
Decise anche di riprendere i suoi studi e fu felice di sapere che a nessuno interessava realmente cosa facesse. Temeva che la Regina Madre l’avrebbe dissuasa poiché la troppa istruzione, si sa, è pericolosa. Invece no, a nessuno interessava di come trascorreva i pomeriggi.
Brigitte le trovò un insegnante e con lui Anna trascorreva il pomeriggio. Le insegnò a tradurre dal latino e dal greco, la aiutò ad apprendere i rudimenti dell’algebra e della geometria, la incoraggiò ad approfondire la sua innata propensione al pensiero ed alla filosofia. Scoprì nella lettura un modo per viaggiare, scoprire e per vivere tutte quelle avventure che avrebbe voluto vivere in prima persona. Scoprì luoghi esotici incredibili, fatti strambi e personaggi la cui vita era pura ispirazione.
 L’inverno passò, si portò via la neve e lasciò in eredità freschi pomeriggi umidi di pioggia. Il sole iniziava a fare capolino fra le nubi sempre più rade e la fauna iniziava a popolare i giardini di Versailles. Le dame di compagnia non osavano ancora avventurarsi sui prati ma spesso le si sentiva scherzare o litigare sul patio.

Fu dopo un intenso acquazzone primaverile che i Moschettieri del Re varcarono i cancelli di Versailles. Anna credeva che le sarebbe scoppiato il cuore per la felicità.
Sarebbe voluta scendere, corrergli in contro ed abbracciarlo ma, per quanto innamorata, non era ancora diventata stupida.

«Ho sentito dire che i Moschettieri del Re sono tornati a palazzo.» Non era solita iniziare una conversazione, eppure quella sera a cena lo fece. La Regina Madre ne rimase vagamente stupita mentre suo marito, al solito, continuava a mangiare senza degnarla di uno sguardo.
«Caro, vostra moglie si rivolge a voi.» La Regina Madre, come somma detentrice delle redini di ogni conversazione, esortò il figlio a rispondere.
«Hm, cosa? Ah, sì. L’ho sentito dire. Io non posso occuparmene. Devo andare a Orleans.» Bofonchiò con la bocca piena.  
«Partite di nuovo?» Chiese Anna con quel fare da chioccia che sapeva di dover utilizzare quando si rivolgeva a lui.
«E’ quello che ho appena detto.» Il Principe la fulminò con un’occhiataccia. Anche lui, a quanto pare, trovava stretta e limitante quella vita matrimoniale. Per quanto aberrasse il tradimento, Anna era arrivata a giustificare il comportamento del marito. Nella loro particolare situazione, non si stupiva che lui trovasse sfogo con altre donne e in attività che lo tenessero lontano da Versailles.
«Mio caro, non preoccupatevi. Mi occuperò io, con vostra moglie, della cerimonia di decorazione dei soldati.» La Regina Madre intervenne nella speranza di dissipare quell’attimo di tenzione.
Anna, senza verbo ferire, riprese a mangiare.

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***




 

«Maestà! Ma non dovevate partire?» Il cuore di Anna batteva all’impazzata. Era stata svegliata nel cuore della notte da una figura che si era infilata senza troppi complimenti nel suo letto. 
«Domani. All’alba.»
Lei era terrorizzata.
Il corpo di lui era congelato.
«Cosa…volete…fare?» Che domanda inutile. Era solo un debolissimo tentativo di ritardare l’inevitabile.
«State zitta, per l’amor di Dio.»
Sentiva le fredde mani di lui toccargli le caviglie, risalire lungo le cosce fino all’addome.    
In un attimo lui le fu sopra e poi dentro.
Anna c’era già passata.
Sapeva che se si fosse irrigidita avrebbe solo provato dolore.
Inspirò l’aria pregna del rivoltante odore di lui, incrociò le braccia al petto e chiuse gli occhi.
Tutto sarebbe passato in fretta.
Lo sentiva ansimare e muoversi sopra di lei a ritmo sempre più incalzante. 
Lei non provò alcun piacere, non sentì niente, si sentì solo come una bambola di pezza alla mercé di un burattinaio.
Fu un sollievo quando, terminato l’atto, lui andò via senza una parola.
Lei si avvolse stretta nelle coperte e si rannicchiò in un angolo del letto.
Sperava di cadere nell’oblio del sonno il prima possibile.
 
«Sbrigatevi, la Regina Madre vi attende!» Brigitte era preoccupata, glielo si leggeva nei profondi solchi del volto scavato dal tempo.
«Sì, sono pronta.» Anna aveva indossato l’abito scelto per lei da sua suocera e che, secondo quest’ultima, era adatto alla cerimonia di decorazione dei soldati tornati dal fronte. A lei non piaceva.

Attraversò parte della tenuta esterna di Versailles e ricordò quando, ancora innocente e spensierata, varcava il boschetto per spiare l’addestramento dei Moschettieri. A quel tempo il suo passo era leggero e veloce, i suoi abiti ancora semplici ed il suo volto roseo e sorridente.
Adesso invece era una donna. Una donna vera, con tutto ciò che ne comportava. 

Raggiunse la sala del trono senza degnare di saluto i presenti. Volse una profonda riverenza alla Regina Madre e le si posizionò accanto.
Fra quel gruppo di pochi soldati doveva esserci anche D’Artagnan. Si sarebbero incontrati occhi negli occhi. Sarebbe stata la prima volta dopo quasi un anno. Un anno lontani, un anno trascorso a vivere nel ricordo di quegli incontri fugaci, fatti di baci appassionati e parole dolci. Si sciolse in un sorriso mesto che, sapeva, avrebbe dovuto controllare per il suo bene e per quello del suo amante.
La voglia di rivederlo, però, era di gran lunga superiore al timore di tradirsi.

Uno dei tanti consiglieri del Re, dispiegata un’elegante pergamena, chiamò il primo nome.
«Olivier Athos de Bragelonne de la Fère»
Non conosceva Athos personalmente ma sapeva che era uno dei più stretti amici di D’Artagnan oltre che suo compagno d’armi. L’uomo alto, dalla lunga chioma castana e dal curioso pizzetto, avanzò svelto verso la Principessa, batté i tacchi e si mise sull’attenti. La Regina Madre raccolse una lucente medaglia e la passò ad Anna che volse ad Athos un misurato sorriso.
«Per esservi distinto per coraggio ed ardimento, a rischio della vostra vita e sopra e al di là del richiamo del dovere, io, Principessa  Anna Maria Maurizia d'Asburgo, arciduchessa d’Austria, principessa reale e consorte di sua Maestà il Principe Luigi di Borbone, vi conferisco questa onorificenza.»
Appuntò la spilla al petto del Moschettiere che chinò il capo in segno di riconoscimento.
«Grazie vostra altezza.»
Tornò ad occupare il suo posto nella fila di eleganti soldati in divisa.
Poi fu il turno di Aramis, poi toccò a Portos  e per ultimo a D’Artagnan.
Non avrebbe mai potuto riconoscerlo: aveva i capelli cortissimi e si era fatto crescere baffi e pizzetto. Aveva la pelle più scura del solito, brunita probabilmente dal sole spagnolo. Era dimagrito parecchio a causa delle privazioni della guerra ed aveva una benda su un lato della fronte che copriva una ferita. Solo una cosa non era cambiata: gli occhi. Il loro colore era unico, come era unico il moschettiere che li possedeva.

A passo svelto e fiero D’Artagnan uscì dalla fila e colmò la distanza che lo sperava dal trono. Batté il tacco e, proprio come i suoi compagni prima di lui, si mise sull’attenti. Anna si era sempre chiesta come facesse a rimanere tanto impassibile quando si incontravano in pubblico. Una volta, prima che lui partisse, glielo aveva chiesto. “Basta immaginare di essere sul palco di un teatro” le aveva risposto lui. Lui che aveva viaggiato, lui che aveva girato il mondo ed aveva avuto modo di godere anche di quelle passioni plebee considerate poco idonee ad un sangue blu.
Di contro, lei era fermamente convinta che l’esperienza accumulata in quell’anno di solitudine e sofferenza potesse sopperire all’evidente mancanza di doti attoriali: fu smentita da sé stessa. Non le bastò la sua maschera di freddo distacco a nascondere quel tumulto che sentiva nel cuore. Aveva un nodo alla gola che non voleva saperne di scendere giù, anzi risaliva sempre con più prepotenza. Si sorprese a trattenere le lacrime mentre frugava il viso del soldato che aveva davanti. Provò un certo imbarazzo e timidezza nei suoi confronti; non lo vedeva da tempo e non sapeva come e quanto lui fosse cambiato emotivamente oltre che fisicamente.
Spinse via le lacrime e ripeté il rito sperando che un tremito nella voce non la tradisse. Dapprima la Regina Madre le passò la medaglia, poi lei pronunciò la formula di investitura ed infine gli appuntò la spilla al petto.
«Grazie» Sussurrò lui piegando le labbra un sorriso cristallino che si estese agli occhi color del mare.
Lei distolse lo sguardo.
Aveva gli occhi umidi.
Un altro gruppo di Moschettieri fu investito ma Anna officiò il rito in maniera tanto meccanica che, una volta terminato, si chiese se fosse realmente successo. E adesso?
Adesso era come sempre: vederlo non le bastava. Voleva toccarlo, abbracciarlo e sentirlo di nuovo suo.

Lo studio e la lettura, attività in cui aveva trovato rifugio in quei lunghi mesi di solitudine, d’improvviso parvero aver perso attrattiva. Com’era possibile? Si ritrovò seduta alla finestra della sua stanza, con lo sguardo perso oltre l’orizzonte ed un vecchio romanzo dischiuso sulle ginocchia. Dopo la cerimonia di decoro aveva visto D’Artagnan solo da lontano mentre si allenava o mentre marciava con il suo plotone. Si aspettava un sorriso, anche solo un’occhiata da parte sua; ma nulla di tutto ciò era accaduto. Perché?
Suo marito era partito da quasi due settimane ormai e si era portato dietro quasi metà della corte, la Regina Madre trascorreva le sue serate giocando a Bridge con le amiche e nessuno, ancora una volta, si preoccupava di lei.
Era quello il momento che aspettava. Saper cogliere l’attimo propizio era un elemento ricorrente nei romanzi che aveva letto. Gli eroi e le eroine di quelle storie erano valorosi, coraggiosi e incredibilmente fortunati. E la fortuna, come sapeva, aiuta gli audaci.
Si sentiva un po’ come loro: con una missione da compiere, tanti ostacoli e la potente sensazione di potercela fare. Decise che lo avrebbe fatto.
Si procurò una pergamena pulita, dell’informale inchiostro nero, una piuma e scrisse:

 
“Ai cancelli del giardino privato dei Sua Maestà.
A mezza notte.
Odette.”

Il cuore le galoppava in petto ma sorrideva.
Fu Brigitte ad avvicinare Aramis, che quella sera era di guardia alla guarnigione dei Moschettieri, e a dirgli che si trattava di una missiva urgente, privatissima e riservata alla sola ed esclusiva lettura del Tenente D’Artagnan.

«Chi è? Chi diamine è che ti scrive, D’Artagnan?» Portos se ne stava sulla sua branda e dondolava una gamba oltre il bordo di questa. Guardava con lascivia una serie di stampe erotiche che si era procurato al Palais-Royal ed ogni tanto commentava con frasi che gli altri tre, decisamente più riservati, avevano imparato ad ignorare.
«Chi si fa gli affari suoi campa cent’anni, lo sai Portos?» Aramis era deciso e preservare la riservatezza di quel messaggio e, mentre passava accanto alla branda dell’amico impiccione, gli assestò un amichevole calcione alla gamba penzolante.
«Ouc! Cent’anni, Aramis? E cosa me ne faccio io di cento anni di vita! Mi basta una notte con di queste per essere felice di morire anche subito dopo.» Portos lanciò la stampa all’amico che intanto aveva occupato la branda accanto alla sua.
«Tieni questa robaccia lontano da me!» Sbottò Aramis.
«Oh, povera stella! Non ti piace, forse?»
«Smettila.»
«Aspetta, questa qui con i capelli rossi ti piace di più?»
«No, non voglio nemmeno toccarla questa roba, chissà cosa ci hai fatto.»
«Ne ho anche una bionda, vuoi vederla? Guarda!»
«No. Piantala!»

Andarono avanti così per un bel po’. Athos intanto se la rideva e D’Artagnan era finalmente libero di leggere la lettera senza che nessun altro se ne interessasse. Quando annunciò che si sarebbe momentaneamente allontanato dalla caserma ebbe la sensazione di non essere nemmeno udito tanto che era alto il volume degli schiamazzi fra Portos e Aramis.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***



 
Non avrebbe mai voluto farlo, eppure gli aveva stampato una cinquina in viso senza neppure pensarci due volte.
Anna gli accarezzò la guancia arrossata e gli sorrise.
«Scusa» sussurrò dolcemente.
«Non fa niente, davvero» Ripeté lui prima di fermarle la mano per poterle baciare la dita.
Stavano correndo un rischio enorme ma la voglia di stare insieme era più forte.
C’erano tante panchine di pietra disseminate per il piccolo e curatissimo giardino. Anna e D’Artagnan avevano scelto quella più riparata, chiusa in uno spigolo formato dall’incontro di due alte e folte siepi. Quella accortezza, insieme all’ora tarda, avrebbe dovuto garantire loro una discreta invisibilità.
«Non mi hai degnato di un’occhiata per giorni. Non ho chiuso occhio la notte. Pensavo che quella lettera fosse solo di circostanza o addirittura che fosse tutta opera di Brigitte e che tu mi avessi dimenticata o che avessi perso intesse per me o che...»
«Anna, non essere sciocca.» D’Artagnan era accomodato alla panchina e Anna gli sedeva in braccio. La natura del loro rapporto sarebbe stata inequivocabile se fossero stati visti seduti in quel modo.
«Abbiamo bisogno entrambi di un atto di coraggio, DArtagnan. E’ questo l’unico modo per vivere. E parlo di vivere davvero.»
D’Artagnan sorrise. Quelle parole non gli erano nuove. Dunque era vero che la Principessa era tornata a studiare, questo era sintomo che in lei era rinato l’interesse per la vita. Ne fu felice.
«Un atto di coraggio? Ne abbiamo già parlato, Anna. Se proviamo a scappare ci troveranno subito e poi sarà morte certa. Sua Maestà non sopporterebbe mai una cosa simile, ci farà fucilare in pubblica piazza. A cosa servirebbe?» Lui sospirò e le cinse la vita. Lei era intelligente e irrazionale. Era sprezzante del pericolo perché forte dell’idea che l’amore fosse il più alto e nobile ideale che un essere umano potesse perseguire. Era vero ma era solo la teoria. D’Artagnan si sentiva quasi obbligato a tenerla con i piedi per terra, ad interpretare il lato razionale all’interno della coppia.
«Moriremo liberi e insieme, Charles.» Sussurrò lei nemmeno troppo convinta.
Com’era facile morire da martiri per le cartacee eroine romantiche dei suoi libri. La vita vera era così complicata. La paura di sentire dolore la spaventava molto di più della prospettiva di morire. Forse D’Artagnan aveva ragione: avrebbero dovuto aspettare tempi più propizi, magari il destino sarebbe stato misericordioso con loro e li avrebbe uniti in qualche modo.  
Rimasero in silenzio, al buio, abbracciati stretti senza quasi respirare. Il bacio che ne seguì fu lungo e profondo e li scaraventò in una dimensione così lontana che, se qualcuno fosse giunto a cavallo suonando la tromba, non lo avrebbero sentito.    
«Io voglio fare un atto di coraggio con te, Anna.» D’Artagnan lo sussurrò sulle labbra di lei.
«Hm?» Anna era confusa e inebriata dal profumo di lui. Non le importava di quanto tempo avessero trascorso a baciarsi, lei voleva baciarlo ancora, e poi ancora.
«Anna, tu mi sposeresti?»
Lei scoppiò a ridere. «Sono già sposata D’Artagnan e anche se non lo fossi proveniamo da due ceti sociali diversi. Sarebbe impossibile!»
«E sei felice?»
«No. Io non amo mio marito.»
Lui lo sapeva già ma non si aspettava una risposta tanto secca. «Amor che nulla amato…»
«…già.» lei annuì. Conosceva bene quel Canto.  
«Allora, se non sei felice, perché non vuoi sposare me?»
Lei rise ancora. «Perché…perché…oh, per l’amor di Dio, va bene tenente D’Artagnan, sposiamoci!»
 Era un gioco, nient’altro che un gioco stupido, ma era bello giocare così. Lei lo baciò sulla fronte, proprio accanto alla ferita che aveva riportato in guerra, e poi sulle labbra.
«Io Charles, prendo te Anna…» E giocarono davvero a pronunciare a vicenda quel discorso ed a dirsi scioccamente di “sì”.  Anna lo desiderava da tempo e non c’era altro che lei volesse di più. Quel gioco sarebbe stato bello fin quando non si sarebbe esaurito, dopo ci sarebbe solo stata la miseria dell’anima.
   
«Secondo te Dio c’è davvero quando un uomo ed una donna che non si amano mentono davanti all’altare? E adesso, in questo momento, quando un uomo ed una donna che si amano desiderano unirsi per sempre, Dio c’è? Diciamo “sì” davanti a Dio o davanti agli uomini? E se Dio è in ogni luogo allora è anche qui, adesso, a testimoniare il nostro amore e la nostra volontà di unirci? E se Dio guarda nei cuori allora…»
«D’Artagnan…» Anna, ubriaca oramai di baci, sorrideva perché conosceva bene il filo logico su cui si snodavano quei pensieri. La risposta era altrettanto logica. Tuttavia, lei che professava una forte ed incrollabile fede non avrebbe mai ammesso che di Dio, nei matrimoni combinati, non c’era traccia.   
«Anna…»
«Mio marito non è a palazzo e sua madre trascorrerà la notte al tavolo verde con le amiche. Brigitte farà finta di non averci visto. Vieni da me?»
«Anna…» Per quanto D’Artagnan lo desiderasse, aveva paura di fare quel passo. Sapeva che dopo le cose sarebbero cambiate: sarebbe cambiata la gravità del loro tradimento ed anche il peso dei sentimenti reciproci. Unirsi in quel modo avrebbe significato legare per sempre ed indissolubilmente i loro destini. Ma oramai cosa importava? Aveva senso avere paura di amare troppo quando la vita era così in bilico sul baratro della morte?
«Charles, è la nostra prima notte di nozze!» Anna rise con cristallina innocenza. 
Lui sorrise, scosse dapprima il capo, poi annuì.
No, per D’Artagnan non aveva più senso rimanere nel limbo. Lei aveva fatto il suo atto di coraggio, ora toccava a lui.
«Fra un’ora dormiranno tutti, D’Artagnan. Vieni nelle mie stanze.» Anna lo baciò, si alzò e senza voltarsi indietro uscì dai giardini.
D’Artagnan rimase solo, al buio. Com’era difficile gestire la gioia quando la disperazione era alla porta. Lui ed Anna stavano giocando col fuoco. Danzavano su un filo sottilissimo dall’equilibrio precario; un passo falso e sarebbe crollato tutto. Si ritrovò a fissare il vuoto in preda alla paura. Cosa ne sarebbe stato di loro?


«Maestà!» Anna aveva lasciato il giardino, aveva superato la scalinata d’ingresso ed ora si avviava a passo spedito verso i suoi appartamenti. Si sentì chiamare.
«Sì?» Non si fermò, non sarebbe stato un atteggiamento accettabile per una del suo rango. Se qualcuno avesse voluto parlare con lei l’avrebbe raggiunta.
«La futura Regina di Francia che vaga per il castello ad un ora così tarda e senza scorta!»
Anna fu costretta a rallentare e poi a fermarsi. Si ritrovò faccia a faccia con Madame de Hautefort, l’amante di suo marito.
«Credevo vi foste accodata alla spedizione reale di sua Maestà il Principe Luigi.» Anna dovette faticare per rimanere imperscrutabile.
«No, a quanto pare Luigi ha una nuova favorita. Ma è solo una cosa momentanea: capita di frequente. Alla fine torna sempre da me.» La donna rise ma Anna rimase un gesso. Quella donna osava riferirsi al futuro Re di Francia chiamandolo per nome.
«Bene. Ad ogni modo, ho ritenuto lecito congedare la mia guardia del corpo. Sono certa che non si nascondano pericoli mortali nel tragitto fra il salone e le mie stanze. So badare a me stessa. Buonanotte Madame de Hautefort» Anna non amava quella donna e non era interessata ad intrattenersi con lei.
«Sì, ho visto con quanta cura quel Moschettiere si occupava di voi.»
Anna rimase congelata.
Li aveva visti?
Li aveva visti! 
Era la fine.
Era la fine di tutto.
«Come, prego?» Balbettò Anna mentre sentiva la gola seccarsi. Non doveva mostrare alcun segno riconducibile ad una eventuale colpevolezza: l’ipotesi che Madame de Hautefort stesse bluffando non era poi da scartare.
«A quanto pare conosco un vostro “piccolo” segreto, Maestà. Ma state tranquilla, capisco che con le scarse doti amatorie e seduttive di Luigi sentiate la necessità di guardare altrove. La ricerca del piacere è un peccato del tutto umano.» Il tono della donna si era fatto lezioso e sottile. Anna stava morendo.
Aprì la bocca per rispondere ma non le uscì fuori alcun suono.
«Avete anche gusto Maestà, su questo non c’è che dire. Ho notato anche io il Moschettiere dagli occhi blu. Sperate che non inizi a piacere anche a me!» Madame de Hautefort rise sonoramente e scoccò le dita. Anna in condizioni normali avrebbe ritenuto inaccettabile un simile comportamento, soprattutto perché tenuto da una donna di così dubbia moralità.   
«Buonanotte mia cara Principessa e buon divertimento» scomparve sinuosamente nel buio del corridoio come un serpente che torna nella sua tana dopo un lauto pranzo.
Anna si sentiva umiliata, spaventata, sconvolta e chissà cos’altro. Era sicura di essere diventata pallida come un cencio.  
Una cortigiana le aveva praticamente dato della donna di facili costumi, per di più questa cortigiana era l’amante di suo marito ed era a conoscenza di un segreto che, se rivelato, sarebbe costato la vita di D’Artagnan e probabilmente anche la sua. Madame de Hautefort, la più sconsiderata delle menti di Versailles, aveva in mano più potere di quanto ne fosse capace di gestire. 

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***




 
Aveva avuto paura che tutto si sarebbe risolto come negli incontri con suo marito Luigi: lei terrorizzata e lui legittimato ad abusare di lei. Non voleva credere che il sesso si limitasse solo a quello, infatti non riusciva a spiegarsi come, nel caso di D’Artagnan, lei lo desiderasse così tanto. Sapeva che Charles non si sarebbe comportato come il Principe che, dopo ogni volta, la abbandonava come una bambola rotta, umiliata e dolorante.
   
Fu bello spogliarlo lentamente, indumento dopo indumento e scoprire la pelle bruciata dal sole e inspessita dai traumi della guerra. Aveva più di una cicatrice e lei si premurò di scorrerle tutte con il polpastrello. Era magro ma muscoloso, aveva una schiena dritta e forte e pettorali definiti. Le piaceva da impazzire. Anna non aveva idea di come apparisse lei nuda ma ebbe modo di assicurarsi che lui stesse apprezzando. Almeno il codice primordiale delle reazioni fisiologiche le era chiaro. Si sentiva rassicurata dalle mani di lui sui suoi fianchi e dalle dolci frasi che le sussurrava all’orecchio.
Quello che accadde dopo fu un turbinio di baci, carezze più o meno proibite e sospiri. Lei distesa di schiena, lui sopra. Entrò in lei con delicatezza, guardandola negli occhi, facendo bene attenzione a non farle male. Gli fu immensamente grata.
Sentirlo muovere dentro di sé e scivolare lentamente fra le sue gambe era una gioia. Non si era mai sentita così eccitata. Sentiva il calore del suo corpo, il profumo ed il battito del suo cuore. Sarebbe voluta rimanere chiusa in quella morsa per sempre. Le piaceva e le piaceva sempre di più.
«Con te è così bello» Gli sussurrò all’orecchio. Lui rise leggermente e non rispose.
Lei gli cinse la vita con le gambe ed affondò le dita nei folti capelli corvini.
Poggiarono la fronte l’una contro l’altra e si guardarono.
Da lì in poi si persero completamente nel meraviglioso baratro della passione. C’erano solo loro due, entrambi tesi nel disperato bisogno reciproco, quel bisogno insaziabile che trovava massima espressione nei loro corpi intrecciati e madidi di sudore.
D’Artagnan, senza falsa ipocrisia, adesso poteva ammettere a sé stesso di averla desiderata in tutti i modi possibili, anche in quel modo lì e che non c’era alcuna vergogna. Si concentrò su di lei, sul darle piacere, sul farla stare bene. Sentiva le contrazioni del suo addome, il suo respiro accelerato, i suoi muscoli prima tesi e poi rilassati: la sentiva. E la sentì anche gemere ad ogni sua spinta, la sentì pronunciare il suo nome e la sentì invocare quel Dio che tanto si divertiva a giocare con le loro tragiche vite.
L’alba lì sorprese ancora ansimanti, nudi, distesi l’una accanto all’altro, stretti in un intreccio inestricabile di coperte. Anna era al sicuro, al caldo e cadde in un sonno profondo e sereno.
 
 
Quando si svegliò lui non c’era più.
Sapeva che sarebbe andato via, dopotutto anche la sua assenza dal quartier generale dei moschettieri avrebbe destato sospetto.
Le aveva lasciato una rosa sul cuscino: era ancora fresca di brina ed era il simbolo inconfutabile che tutto era veramente successo.
Si alzò e ordinò che le venisse riempita la vasca da bagno e che le fossero preparati dei vestiti nuovi e puliti. Si immerse nell’acqua calda e rimase immobile nel freddo silenzio.
Provò a riordinare i pensieri a ripercorrere mentalmente quanto accaduto quella notte ma era successo tutto da troppo poco tempo, aveva ancora l’odore di lui addosso. Sorrise, abbandonò la testa sul bordo della vasca e si perse a guardare il soffitto affrescato.

Il cuore le saltò in gola quando la porta della sua stanza si spalancò.
«Non avreste dovuto! Non avreste proprio dovuto! Maledetta me! E’ solo colpa mia! Non avrei mai dovuto permettervi di fare una cosa del genere!» Brigitte era arrabbiata e forse lo era più con sé stessa che con la Principessa. Si mise a rassettare come una furia, con la faccia contorta in un’espressione di sdegno.
Anna rise sommessamente. «Brigitte, stai tranquilla. Nessuno ci ha visti, nessuno sospett…aia!» Sentì una fitta al ventre e la voce di Madame de Hautefort le scoppiò nella testa. Lo stomaco le si torse e si ritrovò dolorosamente catapultata nella realtà. Il sogno era stato intenso ma breve.
 
«Mia Cara, se non mangiate nulla rischiate di ammalarvi. Assaggiatene almeno un po’, vi assicuro che è delizioso!». Nei giorni successivi Anna dovette combattere contro una forte inappetenza che sembrò non sfuggire alla Regina Madre. Sapeva che la causa di tutto era l’incontro con Madama Hautefort e non riusciva a pensare ad altro. L’incapacità di elaborare un piano d’azione che fosse attuabile la dilaniava. L’aveva incontrata nei giardini, non si erano parlate ma Anna era sicura di averla vista sorridere con malizia. Aveva pensato che la strategia migliore fosse quella di ignorarla ed di utilizzare il suo maggiore prestigio per screditarla agli occhi della corte: in questo modo, nell’infausto caso in cui la Hautefort avesse parlato, Anna avrebbe potuto sperare che non fosse presa sul serio. Aveva anche pensato di adottare la strategia opposta: farsela amica. Amica di una meretrice? Giammai! L’idea la disgustava.
In verità sapeva che nessuna delle due strade era percorribile e, seppure la prima lo fosse stata, sarebbe stato un rischio troppo grande mettere la sua vita e quella di D’Artagnan nelle mani dell’opinione crudele e volubile della corte.
  
Brigitte non le parlava, D’Artagnan le faceva trovare sporadicamente una rosa, suo marito non tornava e la Regina Madre bivaccava  fra champagne e tavolo verde. Si sentiva sola e stupida perché aveva messo il suo destino e quello del suo amore nelle mani di una sconsiderata e lei non poteva farci nulla. In pochi giorni era stata in grado di toccare la vetta più alta della felicità e poi sprofondare nel baratro nero della disperazione. Si sentiva come a bordo di una carrozza guidata da un folle cocchiere; l’esito del viaggio non dipendeva dal passeggero.
Lo sconforto si impadronì di lei che decise di rifugiarsi nell'unico posto che poteva donarle un po’ di conforto: la chiesa. Vi entrò in punta di piedi, si segnò la fronte e prese posto all'ultimo banco. C’erano quattro o cinque vecchiette, tutte accomodate alla prima fila, che snocciolavano in coro un rosario. Si inginocchiò anche lei, giunse le mani e ripose in quella preghiera tutte le sue speranze, i suoi desideri ed il suo dolore.   

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***


CAPITOLO TREDICESIMO 
 
Pioveva forte.
Pioveva come se tutta l’acqua del mondo volesse sommergere Parigi.
Pioveva come se qualche esotico Dio dell’acqua avesse improvvisamente preso in odio quel triste lembo di terra ed avesse deciso di scagliargli contro tutta la sua ira. Il cielo rombava minacciosamente in lontananza e periodici bagliori elettrici pulsavano nelle viscere delle dense nubi nere. L’estate era così: tutto sarebbe passato con la stessa velocità con cui era iniziato.

Anna era fuori, si era nascosta nei giardini ed era zuppa dalla testa ai piedi. Oltre il rumore dell’acqua poteva sentire le urla dei domestici che continuavano incessantemente e disperatamente a chiamarla.
«Maestà? Maestà? Dove siete?»
Non l’avrebbero trovata almeno finché lei non avesse deciso di tornare di sua spontanea volontà.  
Avanzò nel giardino e si piegò sulla vasca di una grande fontana spenta. L’acqua le rimandò il ritratto di una giovane donna con il viso pallido e i lunghi capelli castani incollati al viso. Sembrava uno spettro.
Ebbe pietà di sé e si allontanò da quel crudele specchio.     
 

D’Artagnan era al quartier generale e, nell’asciutto tepore del suo ufficio, osservava distrattamente l’esterno. Fuori c’era un forte temporale ed il campo d’addestramento dei moschettieri era praticamente allagato. L’indomani l’addestramento sarebbe sicuramente saltato, maledizione.
Tuttavia, oltre la siepe che divideva il campo dai giardini, poté scorgere nutriti gruppi di servi, armati di cappucci per proteggersi dalla pioggia, correre avanti e indietro sul prato. Cosa stava accadendo?
«La Principessa è scomparsa. Di nuovo.»
Athos entrò e si accomodò alla scrivania affianco.
Porthos, intanto, se ne stava in un angolo a scribacchiare documenti come se la cosa non lo riguardasse.
«La principessa Anna?» Chiese D’Artagnan.
«E chi altri sennò?»
D’Artagnan tornò a guardare fuori mentre un’ombra di preoccupazione gli calava sul volto.
«Forse dovremmo andare a vedere.»
«No Charles, non ci compete. Insomma, non è la prima volta che la Principessa fa una cosa del genere. Sono beghe fra reali. Restiamone fuori, i nostri compiti sono altri.»
D’Artagnan si rassegnò. Aveva anche una vaga idea di dove lei potesse essere ma era più che certo che neppure la sua presenza sarebbe stata gradita. Forse Anna aveva solo bisogno di stare sola.
 

Si era liberata delle scarpe ed aveva trovato quasi piacevole il contatto con la ruvida pietra del sentiero che stava risalendo. Forse portava alle stalle o forse ad un laghetto artificiale, non ricordava. Tuttavia pensò valesse la pena di continuare senza meta precisa. Era come in un sogno lucido, non sentiva né la pioggia e neppure i richiami incalzanti dei servi. Sentiva che si stava svestendo di quelle sovrastrutture che la rendevano prigioniera e provava un meraviglioso senso di eccitazione nell’essere sola e non vista, libera di fare qualsiasi cosa. Fu così che deviò il suo percorso dal sentiero al prato. Era passato più di un anno da quando, con le dame di corte, nella residenza reale di provincia, aveva camminato a piedi nudi sull’erba. Era umida e sentì le piante dei piedi inzaccherarsi di terra. Sorrise.
Si spinse ancora oltre, verso il lago artificiale, dove un grande albero riparava la riva dalla pioggia. Si stese in terra, chiuse gli occhi ed inspirò l’aria pregna di odori. Si posò le mani sul ventre che, sotto la sottile stoffa umida, era ancora piatto e liscio. Che strana sensazione. Era quello lo scopo della vita? Apprezzare il creato e tutte le creature del Signore non era forse il sommo fine a cui tendeva l’intelligenza umana? Anna espirò e pregò che qualche forza misteriosa la conducesse altrove, via per sempre. 

 
«Signore mio, che giornata!»
Fu Aramis, questa volta, ad entrare al quartier generale dei Moschettieri. Era bagnato fradicio.
«Cosa ti è successo? Perché sei così in ritardo?» Chiese Athos.
«La principessa Anna.» Aramis si tolse il mantello e lo appese alla spalliera di una sedia adiacente al camino. Sperava si sarebbe asciugato in fretta.
«La Principessa?» D’Artagnan, che stava compilando dei documenti, alzò gli occhi.
«Sì. L’ho ritrovata quasi per caso. Era al laghetto artificiale a sud della tenuta. Credo non stia molto bene.» Aramis intanto si era liberato di guanti, cappello e stivali e si stava scaldando vicino al fuoco.
Porthos, che fino ad allora se ne era stato zitto, diede voce ai suoi pensieri: «Come darle torto? Quella povera ragazza deve vedersela proprio brutta. Aver a che fare ogni giorno con la Regina Madre…»
«Smettila! Stai parlando della Regina di Francia! E questi non sono affari nostri!» Athos era particolarmente intollerante quando, anche se solo in via confidenziale, si facevano determinate affermazioni sulla famiglia reale. Da quel punto di vista era molto conservatore. D’Artagnan era d’accordo.
«Va bene, ma ho detto solo la verità. Razza di ipocriti.» Porthos sospirò, fece spallucce e tornò al suo lavoro.
Il fuoco scoppiettante era l’unico rumore nel silenzio. D’Artagnan era alla finestra ed osservava il punto in cui, oltre la siepe e nascosto fra gli alberi, vi era il laghetto.
«Cosa credi che abbia, Aramis?» D’Artagnan non riuscì a trattenere la sua necessità di sapere. Athos gli lanciò un’occhiataccia che lui ignorò.
«Non sono un medico, posso solo fare supposizioni…»

 
C’era una donna di bianco vestita, era seduta su di una nuvola ed aveva una scintillante corona poggiata sulla testa. Attorno a lei putti e satiri suonavano la tromba e la cingevano con un nastro d’oro. Un fascio di luce discendeva dal cielo e l’avvolgeva come a voler attribuire il suo potere a volontà divina. Anna non aveva mai fatto caso all’affresco che dominava il soffitto della sua stanza e lo trovò terribilmente bello.
Era al caldo, all’asciutto e avvolta in una coperta morbida e profumata. Fuori continuava a tuonare ed il grigiore del cielo rendeva scura e tetra la sua stanza. Una morente fiamma danzava sul ceppo consumato di una candela proiettando ombre traballanti sull’armadio.
«Brigitte?» Anna chiamò debolmente.
Qualcosa sobbalzò e poi si scosse. L’aveva svegliata?
«Maestà?»
Anna sapeva che da quel punto in poi il vuoto che aveva in petto era destinato solo a farsi più profondo. Pregò che esistesse un modo per non sentire, per anestetizzarsi, per rendersi momentaneamente sorda durante quella ramanzina che lei sapeva di meritare ma che, tuttavia, riteneva ingiusta. Provò a concentrarsi su altro, a ripensare al laghetto, all’erba bagnata sotto i piedi, al rumore della pioggia sulle fronde degli alberi ed alla sensazione di essere libera.
«…e che non accada mai più!!» Brigitte aveva parlato ma Anna non l’aveva sentita.
«Sì, Brigitte. Te lo prometto.»
Poi pensò a D’Artagnan. Lo odiava e non sapeva da dove provenisse tutto quel rancore. Avrebbe voluto sfogare su di lui la sua rabbia, picchiarlo, prenderlo a schiaffi e urlargli contro. In verità non sapeva neppure cosa avrebbe voluto rinfacciargli ma aveva bisogno di qualcuno che condividesse con lei quel profondo malessere. Era sola, come sempre.

«Mia cara, nelle tue condizioni non dovresti fare certe cose!» Aveva sentito i passi pesanti e veloci della Regina Madre già parecchi secondi prima che lei entrasse. Era rossa in volto ed aveva le labbra strette in un’espressione di profonda disapprovazione.
«Perdonatemi Vostra Maestà è che io…io…»
«Mio figlio non saprà nulla di tutto ciò. Appena tornerà ed apprenderà della vostra gravidanza sarà immensamente felice e potremo dimenticare questa giornata.»
Anna sperava che quella parola non venisse mai pronunciata.
Gravidanza”.
Sospettava di essere incinta ma quel termine le fece male ugualmente.
Ne era in grado? Era in grado di far nascere una nuova vita e di crescerla nel modo corretto? A tutto ciò si sommava la questione di Madame Hautefort, la lontananza di D’Artagnan e l’imminente ritorno di suo marito. Gli occhi le si inumidirono ma non pianse. 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO 

Anna era a colazione con la Regina Madre e con il suo stuolo di amiche dal gomito alto almeno quanto l’ammontare delle loro fortune.
Diede due morsi ad una deliziosa fetta di crostata ma lo stomaco le confermò che non aveva alcuna intenzione di collaborare.
 
La Hautefort.
Anna non riusciva a pensare ad altro che a lei ed al loro incontro nel corridoio qualche tempo prima. Da quel giorno non l’aveva più vista e, doveva ammetterlo, aveva fatto di tutto per evitare che ciò accadesse. Sapeva che avrebbe dovuto affrontarla ma aveva paura.  
«Cara, state bene?» La voce della Regina Madre la riportò alla realtà mentre la sua porzione di crostata giaceva triste e abbandonata nel piatto.  
«Oh, sì, sì. Certo!»
«Sembrate così pensierosa.»
«Oh, no, sto bene. Benissimo.» Anna dischiuse le labbra in un sorriso con cui illuminò l’intero tavolo. Il gruppo di vecchie signore sembrò convincersi e l’argomento di conversazione deviò in favore di un pettegolezzo sul figlio di un tal Conte, di tal regione francese, che aveva abbandonato la moglie per fuggire con lo stalliere.
Beato il figlio del Conte, pensò.

Quel pomeriggio rimuginò sul da farsi con un’intensità tale che, quando D’Artagnan passò con il suo plotone davanti al cortile della residenza reale, lei si fece sorprendere con l’attenzione altrove. Si scambiarono un rapidissimo sguardo con cui lei riuscì a manifestargli il suo disappunto. Lui rimase perplesso e confuso ma poi proseguì per la sua strada.
Prima o poi avrebbe dovuto parlare anche con lui.
Decise che il momento era quello e che non aveva più senso attendere passivamente in balia degli eventi.
«Ho bisogno di parlare con Madama Hauterfort.» Esordì all’improvviso mentre Brigitte impallidiva all’istante.
«Maestà vi prego, non credo sia il caso che voi abbiate a che fare con quella don…»
Anna era già oltre il salone, diretta verso gli alloggi degli ospiti. Sapeva che era la cosa giusta da fare anche se c’era una parte di lei che le intimava di fermarsi. Temeva di fare una follia, di tradirsi o di rendere le cose ancora più complicate. Sentiva Brigitte trotterellarle alle spalle e borbottare un mantra di disapprovazione, la vecchia suora tentò ancora di farle cambiare idea ma Anna proseguì dritta per la sua strada.
Superò velocemente il salone, salì le scale ed imboccò un lungo corridoio di marmo e legno.
Si udiva un chiacchiericcio allegro provenire da uno dei salotti privati.
Anna entrò e le voci si sopirono.
C’era Madama Hautefort davanti ad un enorme specchio, avvolta in un magnifico abito color pesca. Una dama di corte le stava stringendo i legacci del bustino e altre giovani dame dall’aria divertita e spensierata sedevano tutt’intorno. L’ingresso di Anna aveva congelato la scena e tutti gli occhi ora erano puntati su di lei.
«Potete cortesemente lasciarci sole?» Anna si rivolse alle ragazze che, senza verbo ferire, si affrettarono ad arrabattare le loro cose ed a lasciare la stanza.
Il silenzio più profondo piombò nel salotto.
«Vostra Altezza, quale onore!» La Hautefort sfoderò il sorriso più gioviale e finto che possedesse nella speranza di rompere il ghiaccio. Brigitte chiuse la porta ed Anna si andò ad accomodare.
«Gradirei parlarvi, Madama Hautefort, in maniera del tutto confidenziale.» Anna si preoccupò di sembrare pacata e riflessiva nonostante dentro di sé desiderasse che l’altra sparisse, che non fosse mai esistita o che smettesse di esistere in quel preciso momento.
«Ma certo Maestà» L’altra rimase in piedi, davanti allo specchio, tornando a fissarsi il bel vestito che, Anna dovette ammetterlo, le calzava a pennello.
«Ebbene. Gradirei riferirvi, Madama Hautefort, che ciò che credete di aver visto ai giardini qualche settimana fa…»
«Sei qui per tentare di mettere una pezza, Anna. Non trattarmi come una stupida.» Anna rimase di sasso: quella donna aveva osato chiamarla per nome e per di più aveva usato un tono così confidenziale da essere inaccettabile. Eppure dovette incassare il colpo.
«Madama Hautefort, vorrei semplicemente sottolineare che la sottoscritta è felicemente sposata con il Principe Luigi. Ciò che a voi è sembrato di vedere non corrisponde allo stato reale dei fatti.»
L’altra donna rise mentre continuava ad osservarsi vezzosamente allo specchio. Evidentemente Anna aveva fatto i conti senza l’oste.
«Sai, Anna…» Era chiaro che la Hautefort lo facesse apposta a chiamarla per nome. «…io so bene cosa ho visto. So bene con chi eri e so altrettanto bene cos’è che stavate facendo insieme. Ma non vi biasimo, ci vuole coraggio a stare con Luigi senza desiderare altri uomini. Io lo faccio per convenienza: a letto mi lascio fare ciò che più gli piace ed ottengo in cambio cose meravigliose come abiti, gioielli ed ogni sorta di ricchezza. Ma tu, insomma, mi rendo conto tu non abbia le mie stesse aspirazioni. In ogni caso non credermi stupida, so esattamente il potere che avrebbe questa storia se la raccontassi al Principe Luigi o, peggio, alla Regina Madre.»
La paura, nel cuore di Anna, si era mescolata alla rabbia e tutto le ribolliva dentro sottoforma di panico. Se si fosse saputo del suo tradimento neppure la nuova vita che portava in grembo avrebbe potuto salvarla dal patibolo. Era impallidita e le si era seccata la gola. Sollevò lo sguardo ed incontrò quello sconvolto di Brigitte; non le aveva detto nulla dell’incontro funesto con la Hautefort e del fatto che lei sapesse della relazione clandestina con D’Artagnan. Anna non proferì verbo, lasciò che il silenzio calasse come un telo gelato in quel caldo e ventoso pomeriggio d’inizio estate.
La Hautefort aveva vinto e Anna lo sapeva. La donna continuava a guardarsi alla specchio ed il sorriso beffardo le si era fatto ancora più evidente.
D’improvviso qualcuno bussò alla porta.
Brigitte aprì ed un’inserviente entrò recando un vassoio colmo di tè e biscotti.
«Ah, finalmente!» La Hautefort stava danzando sul cadavere di Anna e lei lo sapeva. Anna attese che l’inserviente andasse via prima di scoprire completamente le carte.
«Bene, visto che le cose stanno così direi che forse potremmo giungere ad un…compromesso.» Anna pronunciò quelle parole con cautela, cercando di preservare un’integrità che in realtà non le apparteneva più. Era solo l’ultimo e più becero modo di salvare il salvabile.
La Hautefort si accomodò alla poltrona opposta a quella ove Anna sedeva. Si versò il tè, vi lasciò cadere dentro due generose cucchiaiate di zucchero e fece vorticare elegantemente il liquido con il cucchiaino.
«Ma certo mia cara.» Se possibile il sorriso di quella donna, che ad Anna sembrava sempre più rassomigliante ad una arpia, si fece ancor più affilato.
«Voglio un castello nella Loira con servitù annessa e quattrocentomila livree al mese. Per il momento dovrebbe bastare. Poi in futuro vedremo.» Portò la tazzina alle labbra e mandò giù un generoso sorso. La Hautefort stava gongolando perché stava ottenendo esattamente ciò che voleva. « Tutto ciò, ovviamente, a vita natural durante.»
Anna non aveva altra scelta, doveva assecondare quelle richieste nella speranza che nel tempo non diventassero insostenibili o che suo marito se ne accorgesse. Confidava nel fatto che, una volta nato il bambino ed una volta incoronata regina di Francia, avrebbe potuto soffrire meno la minaccia della Hautefort.
Anna annuì mesta ed evitò con cura di incontrare lo sguardo di Brigitte.
«Dunque, Madame Hautefort, siamo d’accordo. E’ chiaro che quanto detto, in caso di mancata osservazione della parola data, decadrà. Vi farò avere conferma dal Ministro delle Finanze appena mio marito rientrerà a palazzo.»
Anna sentì il distinto desiderio di andare via, di lasciare quella stanza in cui si era piegata ad un simile ricatto. Provò profonda vergogna. Cosa avrebbe pensato D’Artagnan di lei e della sua rettitudine morale?
«Arrivederci Madama Hautefort» Anna si alzò, si diresse alla porta e finalmente cercò Brigitte con lo sguardo. Si aspettava di leggere nei suoi occhi una profonda delusione, sapeva di essersi spinta veramente troppo oltre le sue solite leggerezze da adolescente ed era cosciente di meritarsi la peggiore delle sfuriate.   
Brigitte, però, le rimandò uno sguardo colmo di così tanto terrore da lasciare Anna confusa.
«Cosa c’è?»
«Vostra Maestà, M-Madama Hautefort…»

Anna, che aveva già raggiunto la porta, si voltò nuovamente verso la cortigiana.
Era diventata improvvisamente pallida, guardava nel vuoto e la mano che reggeva la tazzina le tremava.
«Madama Hautefort, state bene?»
La donna deglutì, voltò il capo verso Anna e lasciò cadere la tazzina che andò a frantumarsi al suolo.
«Mi hai…a-avvelenata.» Spirò prima di stramazzare al suolo senza vita. 
       

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***


CAPITOLO QUINDICESIMO 
 

«Cosa hai combinato?!?!» D’Artagnan la stava strapazzando. Dopo l’avvelenamento di Madama Hautefort, Versailles era diventato un covo di oscura omertà e silenzio.
Era successo e nessuno voleva parlarne.
«Non sono stata io, per Dio!! Quante volte te lo devo dire?»
«Lo so, ma voglio che mi racconti di nuovo cosa è successo!»

«No, non lo ripeterò un’altra volta. Non sono stata io. Se credi che io sia capace di una cosa del genere puoi gentilmente andartene e non farti rivedere.» Anna sapeva che l’intero palazzo sospettava di lei. Quale moglie non desidererebbe la morte dell’amante del proprio marito? In realtà la gelosia c’entrava veramente poco e, in ogni caso, non era stata lei.
«Perché è stato ordinato ai Moschettieri di non indagare su questa storia? Perché c’è tutto questo silenzio?»
«Non lo so, Charles.»
«Come non lo sai? Come puoi non…»
«Basta!»
Anna lo fulminò con lo sguardo. Era successo tutto così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di assimilare bene gli accadimenti. Lei che entrava in quel salotto, poi le parole della Hautefort, il ricatto e infine quel corpo pallido sul pavimento. Prima di spiegarlo a lui aveva bisogno di riordinare il suo punto di vista e i tasselli che giacevano sparsi qui e lì nella sua mente.
«Questa storia è assurda, chi mai può aver fatto una cosa simile?»
Anna non rispose, era stanca. Chiuse gli occhi e si portò una mano alla fronte, le pulsava una tempia e le girava la testa. Lei e D’Artagnan erano nel loro solito corridoio, quello secondario e poco frequentato che collegava due aree del castello. Avevano discusso tutta la serata ed Anna aveva la netta sensazione che, nonostante il suo diniego, lui sospettasse ancora di lei. Probabilmente era solo una sua fisima ma lo odiava quando faceva così.
Rimasero in silenzio per un po’. Lei se ne stava in una rientranza del corridoio, con la schiena contro il marmo freddo del muro e le mani nascoste nelle pieghe della gonna. Lui era alla finestra, con i gomiti poggiati sul davanzale ed il capo chino a guardare i prati sotto di loro.
«Sono incinta.» Anna non seppe perché lo disse in quel modo, a bruciapelo.
D’Artagnan non si mosse, continuò a guardare fuori anche se in realtà ora osservava il proprio riflesso sul vetro.        
«E non ho dubbi su chi sia il padre.» Anna guardava il pavimento e seguiva distrattamente le  mattonelle nere incastonate in quelle bianche. D’Artagnan intanto si era voltato e ora la osservava dalla parete opposta. Anna ebbe la netta sensazione che la temperatura fosse improvvisamente scesa, tanto che un brivido improvviso ed incontrollabile la scosse le membra. La giornata era stata infinitamente lunga, erano successe troppe cose, molte delle quali era certa che avrebbero segnato in maniera sostanziale il suo futuro. Si sentiva come se fosse stata percossa e malmenata e ora, dolorante, aveva smesso persino di avere paura.
«Ah sì?» D’Artagnan finalmente parlò e Anna trovò la forza per alzare gli occhi dal pavimento.
Lui aveva sul viso il sorriso più tenero e dolce che si potesse immaginare. Era contento?  
«Ne sei felice, D’Artagnan?» Anna non si aspettava quella reazione e ne rimase dapprima stupita, poi infastidita.
«Perché non dovrei esserlo?»
«Incosciente.»

Com’è che si erano capovolte le cose? Prima era lui quello cauto, lei quella impulsiva. Prima era lei che proponeva folli fughe d’amore e lui quello che la riportava dolorosamente alla realtà.  
Anna non voleva illuderlo eppure, guardandolo ora, con quel meraviglioso sorriso disegnato in volto, lui era la quint’essenza di una gioia che non sarebbe mai potuta concretamente esistere. 
Anna sbottò. «Come fai ad essere felice sapendo che, se sarai fortunato e non morirai in guerra, vedrai crescere tuo figlio da lontano e lui nemmeno saprà mai che sei suo padre?»
Il sorriso di D’Artagnan non si spense ma si impregnò di tristezza. Anna si sentiva in dovere di non illuderlo ma fu doloroso per lei almeno quanto lo fu per lui.  
Lei si ritrovò con gli occhi gonfi di lacrime che non si preoccupò nemmeno di asciugare.
L’unica vittima di quell’enorme guaio era solo e soltanto D’Artagnan. Lei avrebbe avuto il bambino e lo avrebbe cresciuto con ogni agio e nel più completo benessere, lontana da ogni pericolo. La Regina Madre l’avrebbe finalmente lasciata in pace ed il Principe Luigi si sarebbe illuso che il figlio fosse il suo. E D’Artagnan? Lui sarebbe stato mandato sicuramente di nuovo al fronte o in missione con l’alta probabilità di non fare mai più ritorno. E nel caso in cui fosse tornato, sarebbe stato per sempre uno sconosciuto, un semplice soldato e mai sarebbe potuto arrivare a prendersi cura di suo figlio come avrebbe voluto e come la stessa Anna avrebbe desiderato. Era tutto così ingiusto e crudele.
«Anna, ti prego…non piangere…» Si ritrovò stretta a lui, a singhiozzare senza timore contro la sua spalla. Aveva bisogno di conforto perché, seppur non le importasse nulla della Hautefort, era stato comunque strazziante vederla morire. E poi le venne in mente del ricatto, del suo cedimento e di tutta la vergogna provata. Le tornarono alla mente quelle notti insonni in cui temeva che la cortigiana potesse rivelare il loro segreto alla Regina Madre e che lo scandalo potesse distruggere le loro vite. Poi pensò al bambino ed al fatto che di lì a pochi mesi sarebbe diventata madre. L’idea che quella nuova vita fosse frutto di un amore vero e profondo, piuttosto che di una imposizione voluta da terzi come nel caso di Luigi, le infuse un inaspettato senso di protezione.
Lui la strinse e le pose un piccolo bacio al centro della testa.
«Anna, stammi a sentire...» D’Artagnan continuò a tenerla stretta e, più la stringeva, più il pianto di lei si faceva disperato. Ogni lacrima era uno spillo conficcato nel cuore ma il moschettiere sapeva che lei ne aveva bisogno. Anna aveva bisogno di scrollarsi dalle spalle non solo quella giornata, ma tutti quei lunghi mesi di silenzio, solitudine e mite sopportazione.
«…Anna, quello che è accaduto è qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere. Questo bambino sarebbe dovuto essere del Principe Luigi, invece è mio. E per quanto tutto ciò sia sbagliato, pericoloso, frutto di pura incoscienza, io non posso che essere immensamente felice. Ho paura, sono terrorizzato al solo pensiero di cosa potrebbe accaderci se tutto ciò venisse alla luce. Verremo giustiziati in pubblica piazza, noi e le nostre famiglie verremmo marchiati della peggiore infamia ma io…io non posso farci nulla: io sono felice.» Anna aveva smesso di piangere ma non aveva mollato la presa. Se ne stava ancora avvinghiata a lui, con il viso poggiato sul suo petto e le braccia strette attorno alla sua vita.  «E non voglio che pensi che io sia come quegli uomini che spariscono o a cui non importa nulla dei figli. Tu lo sai, se le circostanze fossero state diverse, se le circostanze fossero state favorevoli io…io sarei stato un buon padre. Insomma, avrei fatto di tutto per esserlo. Io ti avrei sposata ed avrei ringraziato Dio ogni giorno per avermi concesso la gioia di poter provvedere a te ed a nostro figlio.»
Anna si era calmata e D’Artagnan la sentiva solo singhiozzare sommessamente. Tutto ciò che desiderava era portarla in camera sua, metterla a letto e stenderlesi accanto.  Lei si sarebbe addormentata in fretta, al caldo ed al sicuro. Lui avrebbe vegliato su di lei finché il sonno non avrebbe vinto anche lui. E invece erano lì, in quel corridoio buio e deserto a reggere il peso della disperazione comune. Era quella l’unica cosa positiva: erano insieme ed avevano il medesimo obiettivo.  
«Mi prometti che tornerai sempre? Dalla guerra intendo. Tornerai?»
D’Artagnan annuì ma entrambi sapevano bene quanto valore avesse quella promessa.
Si sciolsero dal loro abbraccio ed Anna ne approfittò per asciugarsi il viso con la manica del vestito.
Non parlarono più.
Lui la scortò in camera, si diedero la buona notte ed Anna poté finalmente abbandonarsi al sonno. Sapeva, però, che i pensieri non l’avrebbero lasciata dormire.
  

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***


CAPITOLO SEDICESIMO
 

«La domanda non è “chi”, ma “perché”.» D’Artagnan misurava a grandi passi l’ufficio mentre Porthos si dondolava pericolosamente sui piedi posteriori della sedia.

«Hm. E chi, oltre la Principessa Anna, avrebbe potuto desiderare la morte di quella cortigiana? Insomma, andava a letto con suo marito.»

«Signori, basta. Tréville ci ha chiesto di non immischiarci. Cerchiamo di seguire gli ordini.» Athos, come al solito, emerse a fare da diga ad ogni illecita considerazione. Strenuo difensore della Famiglia Reale, odiava che si facessero congetture che potessero anche solo lontanamente minare l’integrità della Casata.

«Chiunque sia, è stato veramente molto molto incauto.» Aramis, che si stava dedicando con solerzia alla pulizia della sua arma, era forse quello più preoccupato. «Ipotizzando che non sia stata la principessa Anna, chiunque sia stato ha rischiato di ammazzare anche lei. Pensate a cosa sarebbe successo se la Hautefort avesse offerto il tè alla principessa.»

«Per questo io dico che è stata proprio la principessa Anna. Insomma è tutto così semplice! Lei viene a sapere che il marito la tradisce, perde la testa e decide di fare fuori l’amante. Queste cose succedono da secoli nelle corti europee. Non sarebbe la prima volta e probabilmente non sarà neanche l’ultima.» Porthos sembrava convinto di ciò che diceva.

«Se fosse stata lei non si sarebbe fatta trovare lì, no?» Lo rimbeccò D’Artagnan.

«Suvvia Charles, è una ragazzina ingenua. Ti aspettavi che progettasse il delitto perfetto?»

«Porthos!» Athos era a disagio.

«E secondo te si sarebbe volutamente sottoposta alla visione di un essere umano che muore? Mi sembra davvero troppo. Ci vuole una certa dose di fegato e perversione per fare una cosa del genere.» D’Artagnan non voleva cedere di un passo nella strenua difesa di Anna. 

«Facciamo una supposizione…» La voce di Aramis era un sussurro e costrinse anche gli altri ad abbassare i toni. «…supponiamo che non sia stata la principessa Anna. Tréville ha tenuto i moschettieri fuori dalle indagini e pare non abbia interpellato nessun altro organo d’ordine. I casi sono due: o se ne sta occupando lui personalmente, cosa di cui dubito vista l’età, o sa esattamente cosa sta succedendo a Versailles.»
  


Anna non ne poteva più. Tutti avevano paura di lei e lei aveva paura di tutti.
Le dame di corte, seppur si sforzassero di sorriderle e di prostrarsi in gentili inchini, si dileguavano come gazzelle ogni qual volta avvertivano la volontà di Anna di fermarsi a chiacchierare. Sentiva le cameriere litigare poiché nessuna di loro voleva assumersi la responsabilità di servirle il pranzo, la cena o anche semplicemente il tè. Era chiaro che nessuno della corte gradiva intrattenersi con lei. Avevano tutti paura di rendersi complici o, peggio, di finire ammazzati.  
«Pensano che io sia una pazza omicida che si diverte ad avvelenare le bevande delle persone?»
Brigitte, l’unica seduta a tavola con lei, stava assaggiando la minestra di Anna prima che lei potesse mangiarla. Insomma, anche Anna aveva paura. Sapeva di non essere stata lei, quindi poteva dire con certezza che un assassino si aggirava per il castello. Chi le diceva che quell’assassino non volesse avvelenare anche lei?
Sospirò perplessa e sconfortata.
Mangiarono in silenzio mentre quel groviglio di sospetti e paure vorticava nella mente delle due donne. Anna, tuttavia, per quanto fosse sconvolta e demoralizzata, sperava che il suo segreto fosse oramai sepolto con la Hautefort. Decise che da quel momento in poi avrebbe ignorato il comportamento della servitù, che non avrebbe più pensato all’omicidio e che si sarebbe dedicata solo e soltanto alla sua gravidanza.

I giorni passarono ed il ritorno imminente del Principe Luigi tenne impegnati un po’ tutti. Anna si beò di quel clima un po’ più disteso ed ebbe modo anche di godersi un certo anonimato. Insomma, erano tutti così eccitati ed ansiosi che sembrarono dimenticare persino le aspirazioni da serial killer della principessa Anna.
Il giorno del ritorno del Principe finalmente arrivò e la carrozza dorata di Luigi apparve ai cancelli di Versailles. Era tardo pomeriggio e la sala reale brulicava di operosi inservienti che preparavano gli addobbi per il ricevimento serale. Era usanza che il ritorno del Principe venisse salutato da un sontuoso banchetto e da altrettanti rilevanti ospiti.
Anna  scorse velocemente la lunga lista degli invitati e fu felice di sapere che il duca e la duchessa di Chevreuse avrebbero partecipato.
«La duchessa rimarrà qui?» Chiese di sfuggita a Bernard, il maitre.
«Non sono state disposte camere per gli ospiti, ma se gradite Maestà…»
«Oh sì, vi prego!»

Aveva dei meravigliosi ricordi della duchessa e di quella estate trascorsa insieme, la prima a Versailles. Anna si sorprese a sorridere. Non vedeva l’ora di rivederla.
La sera giunse in fretta e tante carrozze splendenti iniziarono ad incolonnarsi sul sentiero principale della tenuta. C’era un gran vociare ed Anna era euforica.
Suo marito era passato velocemente a salutarla e, avendo appreso dalla madre la notizia della gravidanza, si era mostrato amorevole e gentile. Anna aveva apprezzato molto.
Pensò che quella gravidanza, dopotutto, la rendesse improvvisamente più importante sia agli occhi della Regina Madre che agli occhi di suo marito. Maggiore potere significava maggiore libertà, o almeno avrebbe dovuto.  
Si guardò per un’ultima volta allo specchio e si trovò più graziosa del solito. Sorrise.
Scese velocemente gli scaloni, salutò confusamente alcuni ospiti e finalmente la trovò.    
«Duchessa di Chevreuse!»
Si sorrisero a vicenda e, in altri luoghi ed in altri tempi, si sarebbero abbracciate. Com’erano cambiate. Appena tre anni prima erano state due pestifere ragazzine ed ora erano due donne adulte e sposate.
Anna rise tanto quella sera, bevve champagne, mangiò con gusto e si sentì socievole come mai le era capitato di essere. Danzò con suo marito, con il duca di Chevreuse e con qualcuno che probabilmente nemmeno conosceva. Persino la Regina Madre, solitamente poco amante del chiasso, sembrò trovare piacevole la festa.
D’Artagnan, che aveva passato tutta la sera a guardia della sala, ne fu felice e non osò farsi domande sul “quanto” e sul “se” tutto quello sarebbe durato.
Lo sperava tanto.
Aveva cercato spesso gli occhi di Anna ma lei, presa dalla festa e dagli ospiti, sembrava non averlo notato. Questo lo rendeva profondamente triste e decisamente frustrato.
Ma cos’era quel nodo alla bocca dello stomaco?
Sorrise amaramente perché si sentiva sciocco.
Non l’avrebbe mai ammesso ma era geloso.
 
Qualche ora dopo, Anna e Madame de Chevreuse si ritrovarono nelle stanze della Principessa. La terrazza era tutta per loro e decisero di dare fondo a quella bottiglia di buon vino francese che erano riuscite a trafugare dal banchetto.
Erano abbastanza adulte e audaci dal bere quel tanto che bastava a rimanere allegre e brille ma a non scadere nell’ubriachezza vera e propria. Ad Anna piaceva quello stato di semi coscienza che la faceva sentire libera e sciolta e che rendeva i problemi decisamente più leggeri da sopportare. 
«Ne vuoi ancora?» Chiese Madame de Chevreuse mentre allungava la bottiglia di vino per riempirle ancora il bicchiere.
«Oh sì, ti prego Marie!» Anna non si fece pregare.
«Non ti facevo così amante del vino!» La Chevreuse rise ma poi le colmò ancora il calice.
«Non capisco. Mio marito va a donne, mia suocera gioca d’azzardo e l’unica votata alla santità dovrei essere io?»
«Tuo marito va a donne?»

«Ti prego Marie, non prendermi in giro. Lo sanno tutti ed anche tu lo sai.»
La donna fece spallucce ed Anna rise. Il fatto che ne ridesse spinse la Chevreuse a tastare con più interesse quel terreno.  
«Davvero non ti importa? Insomma, se mio marito mi tradisse penso che gli staccherei…la testa!»
Era l’alchool che le spediva sul pericoloso filo che delimita il pettegolezzo dalla maldicenza. Quel discorso era rischioso e Anna lo sapeva, ma il vino le suggeriva che tutto andava bene.
«Sai Mary, Brigitte dice che gli uomini sono tutti così. Che hanno desideri che una moglie non può soddisfare e che bisogna solo rassegnarsi perché tanto tornano sempre.»
La Chevreuse mandò giù un sorso e fece una smorfia «Non lo so, Anna. Non tutti. Sono certa che mio marito non mi farebbe mai una cosa del genere né io lo permetterei. Si chiama amor proprio.»
Anna si sentì come se le avessero sferrato un destro improvviso alla bocca dello stomaco. Si sentì coperta di vergogna per il comportamento irrispettoso che il Principe, suo marito, teneva nei confronti di sua moglie, cioè lei. Eppure era un rospo che aveva già imparato ad ingoiare, anche alla luce della relazione con D’Artagnan.
«Non mi importa di quel che fa mio marito. Sappiamo entrambe perché mi ha sposata e perché io ho sposato lui.»
E D’Artagnan? Lui cosa faceva? Anna non riusciva proprio a figurarselo nelle abiette vesti di un uomo che usa una donna solo per placare istinti tanto lontani dalla razionalità. Anche lui, quando era lontano da Versailles e da lei, si lasciava tentare da certe passioni? Per quanto lei lo avesse idealizzato, lui era comunque un uomo. Doveva riflettere anche su quello.  
Rimasero entrambe in silenzio mentre un leggero e fresco venticello serale accarezzava le spalle nude delle due donne. In lontananza si udivano gli schiamazzi di coppie ancora brille e festanti che andavano via o che cercavano un po’ di privacy nei giardini.
«Tu lo tradisci?» Anna non era pronta ad una simile domanda e rimase immobile ad osservare le cime lontane degli alberi. Deglutì e non volle che l’attesa rispondesse per lei.
«No, io non...» La voce le uscì roca e mozzata.
Dov’era finita tutta la gioia di quella serata?
Dieci minuti prima era una bambina al parco giochi ed ora stava sprofondando nel pericoloso vortice dei pensieri. Sperava che quello stato di confusione dettato da vino passasse in fretta perché doveva riflettere. Era certa che, a mente fredda, quella brutta immagine di D’Artagnan con qualsiasi altra donna le sarebbe sembrata una sciocca costruzione della sua mente, eppure al momento la sconvolgeva. Doveva anche riflettere sul concetto che la corte aveva di lei, perché non le stava affatto bene che venisse additata come la moglie stupidotta di un marito che la riempie d’oro e di comodità ma che neppure si preoccupa di coprire le sue scappatelle. Voleva che, in quel rapporto malato, almeno la sua dignità di donna e moglie venisse preservata.
«Sai Marie, è successa una cosa.»
«Hm? Cosa?»

Anna sapeva che se ne sarebbe pentita. In primis perché stava infrangendo la promessa di non parlarne più e poi perché, conoscendo la Chevreuse, era certa che lei si sarebbe immischiata oltre il lecito.
«L’amante di mio marito è stata assassinata.» Come Anna aveva previsto, l’amica fu colta alla sprovvista. Non si aspettava una confessione del genere. Insomma, era già abbastanza sconvolta dal fatto che Anna permettesse al marito un simile stile di vita senza dirgli nulla. La vide strabuzzare gli occhi, tendere il collo e schiudere le labbra ancora imbellettate.
«Assassinata?»

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassettesimo ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO

 
«E’ meglio che io non ceni stasera. Rimetterei anche quella.»
Brigitte annuì mentre faceva cenno di andar via all’inserviente che annunciava la cena.
«E’ normale nelle vostre condizioni, Altezza.»
«Già.» Anna storse le labbra e guardò fuori. Non aveva ricevuto nessuna visita nonostante molti dei partecipanti al banchetto del giorno precedente fossero rimasti alla Reggia. Neppure D’Artagnan si era degnato di farsi vedere.
«Brigitte, credi che Madame de Chevreuse se la sia presa per qualche motivo? Non mi pare di essere stata scortese con lei. Anzi.»
«Non saprei Maestà, davvero. Le avete detto qualcosa che avrebbe potuto fraintendere?»
«Hm no, insomma, direi di no.» Anna percorse mentalmente e per l’ennesima volta la serata precedente e, ancora una volta, giunse alla conclusione che non era stato detto nulla che la Chevreuse avesse potuto interpretare come un’offesa.
Anna si infilò le scarpe e si avvolse in un ampio scialle scuro. Non aveva intenzione di passare la sera a sentirsi in colpa o ad arrovellarsi il cervello per cercare di decifrare il criptico comportamento altrui.
«Vado a parlarle»
Brigitte, nonostante fosse poco concorde, le trotterellò dietro.
Era estate, certo, ma quella sera l’aria era abbastanza umida. Nel discendere ai pieni inferiori, Anna sentì un brivido percorrerle la schiena e si strinse nel suo scialle.
La Chevreuse non era a cena, non era in terrazza e nemmeno sul patio con le altre dame di corte. Anna non fece in tempo a raggiungere il giardino -posto dove sarebbe potuta essere- che fu avvicinata dal Duca di Chevreuse palesemente agitato.
«Maestà, avete un minuto?»
«Duca! Ma certo, stavo giusto cercando vostra moglie!» Anna era confusa e, a dire il vero, anche un po’ spaventata.
«E’ successa una cosa terribile, Maestà.»
Ad Anna si annodò lo stomaco.
«Cosa-cosa è accaduto, Duca?»
Il Duca di Chevreuse, quasi alle lacrime, si stava torcendo le mani dalla disperazione.
«Mia moglie sta male!»
Il cuore di Anna perse un battito. Cosa stava succedendo? 
 


Due ore Prima

«Do’ solo un’occhiata Athos, te lo prometto.»
«Non voglio neppure ricordarti cosa ci è accaduto l’ultima volta che hai detto così, Charles. Vai se vuoi andare. Ti coprirò ma non ti seguirò.»
«Molto bene.»
«Charles!»
«Sì?»
«Non farti coinvolgere.»

D’Artagnan, seppur non era riuscito a convincere Athos ad essere suo complice, era comunque riuscito ad ottenere il suo silenzio.
Il moschettiere, con l’autorità del suo nuovo grado militare, era riuscito a penetrare fino agli alloggi degli ospiti e fino alla camera in cui era morta la Hautefort. Era certo che, seppur pulita e riordinata dalla servitù, la stanza avrebbe potuto suggerirgli qualcosa.
C’era un bel divano di seta rossa, alcuni pouf, un grande tappeto ed uno specchio enorme. In un angolo, una serie di elegantissimi vestiti da donna con relativi accessori erano impilati in grosse scatole multicolore conservate in un enorme armadio di vetro e legno.
Ispezionò prima il tavolino da tè, poi controllò sotto al divano e nelle pieghe dei cuscini; poi esaminò lo specchio, il suo retro e le fessure della cornice; infine diede un’occhiata sotto il tappeto e dietro i quadri.
Non c’era nulla. 
Era deluso ed anche un po’ contrariato perché, se gli avessero concesso di esaminare la stanza prima che venisse rassettata, probabilmente sarebbe riuscito a trovare qualcosa di interessante. Era tutta colpa del vecchio Trèville!   
Decise che sarebbe andato via.
Nell’aprire la porta si trovò a dover evitare l’impatto con una donna sconosciuta. Era piccolina, magra e molto elegante. Di sicuro non era della servitù. Si guardarono spaventati e trattennero il fiato come se ognuno avesse colto l’altro in flagranza di reato.
«C-chi siete?» chiese lei mentre provava a ricomporsi in un aristocratico contegno.
Al moschettiere non fu difficile controllare il panico perché aveva già valutato la possibilità di finire nei guai o comunque di incontrare qualcuno.
«Io sono D’Artagnan, tenente dei Moschettieri del Re.» Mostrare sicurezza era l’unico modo per apparire insospettabile. La divisa ed il suo grado avrebbero dovuto schermarlo da ogni domanda riguardante la sua presenza in una stanza il cui accesso era stato perentoriamente proibito. Sperava che lei non sapesse che Tréville aveva vietato le indagini altrimenti ogni buon proposito sarebbe saltato.
«Ah, un moschettiere, finalmente!» La donna si posò una mano sul petto e sospirò: sembrava essersi tranquillizzata. «Vi prego tenente, non restiamo qui, entriamo.»
D’Artagnan eseguì anche perché era certo non fosse molto saggio rimanere lì nel corridoio, alla vista di chiunque. Tuttavia pensò che non fosse un’idea troppo brillante rischiare di essere sorpreso da solo con una donna, per di più nobile, in una stanza proibita nel cuore della Reggia. 
«Ma'am, io…»
«Siete qui per l’omicidio della Hautefort?» La Chevreuse non usò mezzi termini per palesare la sua conoscenza dei fatti, perché avrebbe dovuto? Era un’ospite e, seppur fosse stata scoperta, al massimo sarebbe stata allontanata con un richiamo. Per lei era solo un divertente passatempo, un modo come un alto per sentire il brivido del proibito. Situazione diversa per D’Artagnan, lui rischiava decisamente di più.
Ad ogni modo, a D’artagnan non quadravano parecchie cose. Perché una sconosciuta, seppur nobile, sapeva che c’era stato un omicidio? Probabilmente al ricevimento qualcuno avuto la lingua lunga. E perché se ne interessava? Ma, ancora più importante, perché si era recata in prima persona sulla scena del crimine?
«Voi chi siete, madame?»
Il moschettiere non era solito essere così sfacciato, non avrebbe mai osato porre simili domande ma la situazione sfavorevole per entrambi lo richiedeva.
«Sono Marie de Rohan, mademoiselle de Chevreuse.Molto lieta, tenente. Ma non mi avete risposto. Siete qui per indagare sull’omicidio Da quando aveva chiuso la porta, la donna era diventata molto più sicura di sé. Iniziò a frugare fra le pieghe del divano, sotto al tavolino, tastò i parati ed ispezionò lo specchio. Il moschettiere si accomodò su uno dei pouf perché sapeva che, se non aveva trovato nulla lui, difficilmente lei avrebbe fatto di meglio.
«In verità no, madame.»
Madame de Chavreus si era infilata nell’armadio ed aveva cominciato a frugare fra la montagna di abiti che erano appartenuti alla Hautefort e che ora giacevano inermi ed inutilizzati.
«Che puzza qui dentro!»
D’Artagnan trovava il comportamento della Chevreuse decisamente singolare per una donna di quel rango. Sembra una ragazzina viziata, pensò.   
«Voi, piuttosto? Non che io voglia farmi gli affari vostri, madame, ma perché siete…- cosa succede?» Un tonfo interruppe il moschettiere e lo costrinse a voltarsi verso l’armadio ove la donna stava ancora frugando fra gli abiti della defunta.
«Vi prego tenente, venite!»
D’Artagnan fu immediatamente lì mentre la Chevreuse indietreggiava fino a scivolare contro la parete più vicina. Era spaventata a morte, pallida come un cencio, sudava freddo e respirava a ritmo incalzante.
«Cosa…? State bene?»
«L’armadio. L’armadio, Tenente!»
Cosa diavolo c’era lì dentro? Il moschettiere si avvicinò con cautela, scostò alcuni capi ma non vide nulla. Non c’era sangue, non c’era niente che si muovesse, solo strati di stoffa gettata alla rinfusa e l’odore di chissà quale assurdo deodorante ad impestare l’aria. Si avvicinò di più, osservò le ante, ispezionò il fondo e, ancora una volta, gli parve di non notare nulla di insolito.
«Qui non c’è niente.»
Si voltò verso la Chevreuse che ora giaceva inerte, rannicchiata sul pavimento, bianca e immobile.
«Madame?»
Tutto gli fu chiaro in meno di un secondo. La comprensione gli si spalancò dinnanzi agli occhi limpida e cristallina mentre si accasciava anche lui al suolo. Le gambe non lo reggevano, il cuore gli martellava in petto e la vista s’era chiazzata di nero. Boccheggiava come un pesce appena pescato mentre quell’odore continuava a pungergli le narici e ad irritargli la gola. Sentiva il suo torace stringersi e la testa gonfiarsi. Stava morendo. 

 


«Io gliel’avevo detto. Lo avevo avvisato di non immischiarsi!» Athos non aveva la minima intenzione di abbassare la voce. Camminava avanti e indietro per la stanza ma, per gli occhi ancora deboli di D’Artagnan, non rappresentava altro che un’ombra.
«Io…h…c…to»
«Cosa?» Aramis, che si adoperava per inumidire la fronte dell’amico con uno straccio bagnato, si avvicinò per sentire meglio.
«Zitto, Athos!! Charles, ripeti, cos’hai detto?»
Athos, Porthos e Aramis si piegarono sull’amico con le orecchie aguzzate.
«Ho…ca..capito…»
«Ha detto “ho capito”»
Confermò Porthos.
«Abbiamo sentito anche noi, Porthos.» Commentò ironico Aramis. Athos roteò gli occhi al cielo e sbuffò.
D’Artagnan non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse passato, s’era giorno o se era notte, se accanto a lui c’era ancora qualcuno o era solo. Fatto sta che, quando finalmente prese di nuovo coscienza, lo fece con la consapevolezza di aver appena ripercorso ed elaborato quanto accaduto.
«Ho capito! Ho capito tutto!»
Si tirò su fino a sedersi al centro del letto. Era nudo e madido di sudore, tuttavia si sentiva discretamente bene.
Aramis era lì e pareva essere stato appena svegliato dall’improvviso rinsavire dell’amico. Di Porthos e Athos non c’era traccia.
«Stai fermo Charles, non sei ancora nelle condizioni di alzarti.»
«Aramis, so come è stata uccisa la Hautefort e probabilmente so anche chi è stato!»

L’eccitazione per quell’illuminazione gli conferì l’energia per scendere dal letto e fiondarsi alla sedia dove erano stati impilati i suoi indumenti. Aramis non lo fermò, sapeva che sarebbe stato inutile.
«Dici sul serio?»
«Sì, devo parlarne con Trèville!»

«Oh, se fossi in te non mi farei vedere da Trèville. Ha saputo che eri nella stanza della Hautefort senza la sua autorizzazione ed è furente.»
D’Artagnan rallentò.
«Come sta Madame de Chevreuse?»
«Si riprenderà anche lei. Siete stati fortunati entrambi. Perché eravate insieme?»
«Lascia stare.» Abbottonò la casacca, strinse la cinta alla vita e chiuse la spilla che gli legava il mantello alle spalle. Ecco, era pronto ad andare.
«D’Artagnan»
«Cosa c’è Aramis?»

« Trèville, in questa storia, non è nostro amico.»
Si guardarono per qualche secondo e infine D’Artagnan annuì.
C’era una sola persona con cui poteva parlare e doveva farlo anche in fretta. Sapeva che la scure di Trèville stava per abbattersi su di lui.  

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***


Note: sono sott'esame anche io, quindi perdonate se la frequenza con cui posto si è ridotta. Comunque, giacché questa storia sta occupando molti più capitoli di quanti ne avessi inizialmente previsti, ho deciso di chiuderla per aprirne una nuova. Il tutto, ovviamente, non prima di aver svelato l'assassino ed aver dato un degno finale al tutto! ;D 


 
CAPITOLO DICIOTTESIMO


«Cosa ci facevi lì, eh? Da quanto sei diventato tanto insolente? Trèville ti ha dato un ordine e tu avresti dovuto rispettarlo! Hai mancato di rispetto a lui, ai tuoi compagni e anche a me!» Anna era furente. D’Artagnan non riusciva a ricordare un altro momento in cui l’avesse vista così arrabbiata. Lui, dal canto suo, era arrabbiato almeno quanto lei.

«Hai detto tu dell’omicidio alla Chevreuse? Eh? Sei stata tu, vero? Ti sembra il caso di far filtrare certe informazioni?!»
Erano negli appartamenti di Anna, Brigitte aveva acconsentito a coprirli in virtù di una battuta di caccia a cui il Principe stava partecipando. Ciò, però, non li rendeva immuni da orecchie indiscrete.

«Hai idea di quello che ho dovuto inventarmi per evitarti un processo per insubordinazione, Charles? Eh? Lo sai? Ho dovuto pregare mio marito facendo leva sulle tue decorazioni militari. Gli ho detto che sarebbe stata una gravissima perdita per i Moschettieri se tu fossi stato sollevato dal tuo incarico!!»

«Se tu non avessi sbandierato certe informazioni al primo che passa, ora non saremo in questa situazione, dannazione!! Presto sarai una Regina e raccontare fatti così riservati è da incoscienti!!»
Non avevano mai litigato a quel modo e, nonostante i continui rimproveri di Brigitte, non si preoccuparono neppure di limitare il tono di voce.

«Io incosciente? Dopo quello che hai fatto, hai il coraggio di darmi dell’incosciente? Io conosco la Chevreuse da anni e so di potermi fidare ciecamente!»

«La Chevreuse è una ragazzina viziata! Cos’altro le hai detto? Le hai detto anche di noi? Eh? Glielo hai detto?»
Era davvero troppo ed Anna, seppur avesse l’istinto di tirargli uno schiaffo, pensò che con quel gesto avrebbe solo confermato l’immaturità di cui lui l’accusava. Raggiunse la finestra e fissò lo sguardo su di un punto lontano oltre la distesa di alberi. Con la manica si dovette asciugare gli occhi per ricacciare indietro quelle lacrime che le stavano sostando sulla punta delle palpebre e che minacciavano di rotolare giù.
Rimasero in silenzio mente il ticchettio di una vecchia pendola a muro scandiva lentamente i secondi. Anna non riuscì a pensare a niente. Sapeva di aver sbagliato ma allo stesso tempo la folle perseveranza di D’Artagnan nell’impicciarsi in quella questione la faceva disperare.

«Anna, tu sai bene che in questa storia c’è qualcosa che non quadra.» D’Artagnan finalmente parlò e si mosse. Circumnavigò la stanza e si andò ad accomodare sul bordo del letto di lei. Quella sfuriata era stata necessaria ad entrambi per poter ragionare a mente lucida.
«D’Artagnan, non c’è nulla che quadri in questo castello.» Mormorò lei mentre seguiva con gli occhi il volo di uno stormo di piccioni.
«Vieni qui»
Lei si voltò per guardarlo ma poi scosse il capo.
«Per cortesia, vieni qui.»
Anna alla fine capitolò. Si accomodò accanto a lui e si dispose all’ascolto.
«I vestiti, Anna. Sono i vestiti. Gli abiti della Hautefort sono stati avvelenati. I tessuti sono impregnati di acido cianidrico. Io e Madame de Chevreuse ne abbiamo respirato una dose minima e siamo stati solo intossicati. La Hautefort, indossando il vestito, ne ha assorbita una quantità letale.»
Anna rimase in silenzio mentre la sua mente lavorava freneticamente. Era quasi certa che il rumore degli ingranaggi cerebrali al lavoro fosse udibile anche a D’Artagnan.
«Ma chi…» Mormorò lei con voce debole.
«Tuo marito.»
Anna balzò in piedi palesemente sconvolta.
«Mio marito?»
«I vestiti della Hautefort sono tutti doni di tuo marito.»
Ad Anna quella storia quadrava ancora meno. Mentre l’arma del delitto le pareva assolutamente coerente, l’assassino additato da D’Artagnan per niente.
«Perché avrebbe dovuto farlo? Quando la Hautefort è morta Luigi non era nemmeno alla Reggia. E poi, perché ucciderla? Insomma, avrebbe potuto allontanarla come ha sempre fatto con tutte le amanti che non gli piacevano più.»
Qui D’Artagnan aveva finito gli argomenti. Il movente era oscuro anche a lui. Scosse il capo e si grattò dietro l’orecchio.
«Non lo so.»
Anna gli si accostò di più a lui, che senso aveva continuare a discutere? Negli ultimi dieci minuti aveva attraversato un ventaglio di emozioni tanto grande che ora si sentiva affranta.  Il corpo di lui, accanto al suo, la ristorò un poco. Gli cinse il braccio, intrecciò le dita con le sue e poggiò la tempia alla sua spalla.
«Sei nei guai.»
«Lo so.»
«Trèville vuole la tua testa, Charles.»
«Ho già parlato con Trèville.»
«Ah sì?»
Anna si scostò quel poco che la bastava a poterlo guardare in viso. Il volto cupo di lui non lasciava presagire nulla di buono.
«Vado in missione con i Moschettieri.»
Era complesso descrivere quel vortice di rabbia, frustrazione, tristezza e disperazione. Anna avrebbe voluto urlargli contro ancora una volta, dirgli di nuovo che era stato uno stupito ma a cosa sarebbe servito? D’Artagnan, dal canto suo, avrebbe voluto trovare un momento migliore per dirglielo ma si rese conto che, forse, un momento migliore non ci sarebbe più stato.  


Athos aveva bisogno di dire qualcosa ma, in vero, non riusciva a trovare parole che non fossero banali o ripetitive per esprimere tutta la sua frustrazione.
«Bene.» Fu tutto ciò che riuscì a mormorare prima di frugare sotto la sua branda alla ricerca della sacca da viaggio. «Fantastico.» Aggiunse tutt’altro che felice mentre gettava alla rinfusa alcuni abiti al suo interno.
D’Artagnan si sentiva in colpa perché aveva legato il destino dei suoi compagni al suo gesto sconsiderato. Doveva riflettere di più, doveva sedare quella maledetta impulsività. Sapeva che si sarebbe portato sulla coscienza eventuali morti.
«Suvvia, vedremo un posto nuovo!» Aramis, che a differenza di Athos stava sistemando la sua sacca con ordine maniacale, cercò di ammorbidire l’atmosfera tesa.
«Tu hai capito dove ci mandano?» Rise beffardo Athos che colse l’occasione per dare sfogo alla sua rabbia.
«Signori, non ricominciamo.» Porthos aveva già finito ed aveva depositato il suo bagaglio accanto alla porta. Il viso largo, generalmente sorridente, era terribilmente serio e lasciava trasparire un’ombra di preoccupazione che mise in agitazione anche D’Artagnan.
La sera prima era con Anna, nella sua camera. Avevano discusso, avevano fatto pace, avevano fatto l’amore e poi avevano discusso ancora. Lei non l’aveva presa bene e lui, nel caldo tepore dell’intimità, aveva pensato che Treville non avrebbe potuto scegliere punizione peggiore. Il ventre pallido e ancora piatto che aveva stretto e baciato per tutta la notte era destinato a crescere e ad ospitare quel miracolo della vita a cui lui, forse, non avrebbe potuto assistere. Strinse la cinta in cuoio del suo fucile con tanta forza da sbiancarsi le nocche. Maledizione.


Anna continuava a scuotere la testa mentre guardava, senza vederlo realmente, il corpo pallido ed esanime della Chevreuse. Avrebbe perso un’amica e l’amore della sua vita in un giorno solo? Non era possibile. Perché stava succedendo proprio a lei? Perché così in fretta? Ancora una volta percepì un’ondata di rabbia verso D’Artagnan. La sfuriata della sera prima non era stata sufficiente. Aveva pianto anche mentre facevano l’amore, aveva desiderato con tutte le sue forze rimanere in quel letto al caldo ed al sicuro. Ripensò alla serata danzante di appena tre giorni prima: sapeva che la spensieratezza sarebbe stata tristemente fugace.
«A...A-nna…»
La principessa riemerse dai pensieri per accorgersi che Madame de Chevreuse aveva aperto leggermente gli occhi. 
«A-Anna» ripeté lei a fior di labbra, con un sibilo appena percettibile.
«Marie, amica mia, come ti senti?» Anna, che si sentì dilaniata da quella scena tanto pietosa, si accomodò sul lato del letto e le prese una mano. Avrebbe fatto in modo che ricevesse le migliori cure possibili.
«Prendi» Sussurrò la Chevreuse e Anna, che s’aspettava tutt’altra risposta, rimase perplessa.
«Marie, cosa?»
«Prendi.»

Prendere cosa? Che stava dicendo la Chevreuse? Anna si guardò attorno, forse voleva che le prendesse dell’acqua o magari voleva una coperta. Poi capì. Nella mano che Anna le stava stringendo, la Chevreuse aveva qualcosa. Sentì le mani di lei allentare la presa e lasciar scivolare una pezzo di pergamena accartocciato.
  
«Maestà?»
Anna fu come attraversata da una scossa di corrente quando un paggio fece capolino nella sala medica. Strinse la pallino di carta nel pugno che, intanto, aveva iniziato a sudarle. Quella situazione la rendeva nervosa perché quel pezzo di carta avrebbe potuto contenere qualunque cosa.
«Sì? Cosa c’è?»
«Un moschettiere, maestà. E’ qui fuori e vorrebbe entrare.»
«Bene, che entri.»

Cosa voleva D’Artagnan adesso? Cosa c’era ancora? Si erano detti addio la sera prima ed avevano convenuto che sarebbe stato meglio evitare altri adii. Perché doveva rendere le cose sempre così difficili? Poi aveva anche il coraggio di dire che era lei quella emotiva. Si mise in piedi, lasciò scivolare il pezzo di carta in uno dei taschini segreti del suo abito e si voltò verso alla porta.
«A-Athos?»

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