Cosa Vedi Quando Chiudi Gli Occhi?

di ZannaBianca22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Aaron Page ***
Capitolo 3: *** la scuola ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il ragazzo premeva i tasti delle tante lettere dell’alfabeto senza neanche correggere gli errori di battitura, senza neanche guardare. Con uno sguardo indecifrabile inviava velocemente i messaggi, cullato dalla melodia del vento che passava rapido tra le chiome degli aceri circostanti.

Era seduto su un enorme masso, il solito masso. Era freddo, quasi ghiacciato, ma aveva percorso dei chilometri per arrivare fino a lì, difficilmente avrebbe proseguito senza prima una breve pausa. Esatto, non si era fermato nemmeno in un piccolo bar e non aveva alcuna intenzione di farlo, le persone avrebbero così potuto riconoscerlo facilmente e riportarlo a “casa”.

Scappare dalla città in cui era nato era il suo unico desiderio, non sarebbe tornato indietro questa volta. Avrebbe cambiato il suo nome, nessuno lo avrebbe più riconosciuto. Sarebbe stato finalmente libero, senza più preoccupazioni o tantomeno schiavitù. Ma i suoi cosiddetti coetanei non lo capivano, eppure gli volevano bene. Il ragazzo non capiva perché alcuni dei suoi più fidati amici, che lo avevano fatto ridere e piangere, erano contrari a questa sua idea.

“Torna subito a casa, fuori è peggio!”

“Morirai di fame!”

“Non fare scemenze e torna subito a casa”

Casa? quella era una topaia dove vinceva la legge del più forte e del più apprezzato, e, nel suo caso, quello stupido del suo fratello minore che, pur avendo una giovane età, era più terribile di un terremoto. I suoi genitori, poi, non lo capivano. Veniva continuamente picchiato, deriso e maltrattato dai suoi stessi familiari. Quella non era casa, ma i suoi amici non riuscivano a capirlo e lo rimproveravano continuamente. Ormai, il giovane uomo, non ci faceva quasi più caso. Faceva scorrere i messaggi, ma neanche li leggeva. Erano sempre gli stessi: uguali a quelli di tre giorni fa, a quelli di una settimana fa, a quelli…sempre uguali! Niente cambiò da ieri a oggi, anche il posto era sempre lo stesso.

La cosa che cambiava, però, era che oggi sarebbe scappato davvero. Aveva provviste, il suo cane, la motivazione…non gli mancava niente, allora perché tirarsi indietro?

Il suo nome compariva più volte sullo schermo del telefono, ma lui non leggeva, non ascoltava. Il telefono si sarebbe spento e lui avrebbe avuto tutto il tempo di scappare e trovarsi un nuovo lavoro che gli avrebbe dato tante soddisfazioni e uno stipendio di buona quota. Certo, non voleva diventare come il nuovo presidente d’America, però avrebbe desiderato una vita senza problemi: Senza i suoi genitori.

Chiamò velocemente il suo cane e si alzò da quella fredda pietra, per poi proseguire la sua meta ancora indefinita. Seguiva solo la scia delle foglie, sparse un po’ ovunque, a mo’ di tappeto, sulla terra umidiccia. Qualche volta guardava in alto, sperando in un suggerimento degli uccelli, che si limitavano però a cinguettare felici tra i rami degli alberi, talvolta accovacciati nei loro nidi. Anche il vento freddo d’autunno sembrava guidarlo il più lontano dalla sua città, soffiando verso Est.

Lì c’era una piccola cittadella dove non era mai stato: Rimpel City, sicuramente sarebbe andato lì, per il resto dei suoi giorni, che almeno avrebbe passato felice. Senza più essere schiavo di nessuno: libero.

Libero come un uccellino che, ancora nel suo piumaggio da neonato, sbatteva velocemente le ali e spiccava per la prima volta il volo, varcando per la prima ed unica volta la soglia di casa, per non tornarci mai più.

Libero come un prigioniero che riesce dopo anni di tentativi ad evadere di prigione e farsi una seconda vita, cambiando opportunamente nome.

Libero. Libero come lui sarebbe stato, dettando le proprie regole.

Non vedeva l’ora di arrivare in quel posto paradisiaco, così aumentò il passo senza neanche accorgersene. Il suono delle foglie struscianti accompagnava la sua camminata e in men che non si dica arrivò all’entrata di quel paesino.

Sembrava tranquillo, senza anima viva in giro. Dai tetti delle case, sui quali vi era qualche corvo appollaiato, spuntavano dei bellissimi camini. Le strade invece non erano asfaltate e non erano molte le macchine che vi passavano sopra, erano quasi assenti. Il giovane uomo ne vedeva in giro poche, erano parcheggiate distrattamente vicino ai marciapiedi.

Si sentiva spaesato, non aveva la più pallida idea di dove fosse. Sapeva solo che doveva scappare. Poi, a dirla tutta, ovunque era meglio che restare in quella che per molti sembrava una normale casa.

Dopo aver pensato allungo sul da farsi decise di entrare un locale dove non era mai stato, accorgendosi un secondo prima di entrare di non avere uno straccio di banconota in tasca. Accidenti, avevo preso almeno un centinaio di soldi! Dove sono finiti?!

Sperava che fossero caduti da qualche parte lì vicino, ma purtroppo non fu così. Si guardò in torno, come un bambino che aveva perso di vista i suoi genitori. Niente, non li trovava da nessuna parte. Decise di guardare ancora una volta nelle tasche accorgendosi di una terribile e indiscutibile verità: le tasche erano bucate! Come poteva essere così stupido da non averlo notato prima?! Ed ora cosa poteva fare? Non aveva neanche un soldo in tasca e le scorte stavano per finire.

Arrivò così alla conclusione di avere in tasca solamente due miseri euro e qualche spicciolo trovato per caso nelle tasche dei pantaloni di cui manco sapeva l’esistenza. Tanto valeva cercare un bar, sicuramente sarebbe riuscito a comprarsi almeno un pezzo di pane, anche solo per placare quella poca fame che aveva.

Trovò una panetteria che dava come prima impressione di essere molto costosa, i pretzel posti sulla vetrina avevano un’aria molto invitante. Entrò così, accompagnato dal profumo dei pretzel e di qualche biscotto che le persone mangiavano sedute sul tavolo.

Il ragazzo stava per chiamare un cameriere, o una qualunque persona che lavorasse lì, ma si fermò a causa di diverse urla provenienti dal bancone fatto in legno, come quasi ogni altro oggetto nella stanza.

- signora, o paga oppure non le posso dare quel maledetto pezzo di pane! Lo vuole capire sì o no? -

- ma è tutto ciò che mi rimane, non può farmi neanche un piccolo sconto? Il mio nipotino è stato male in questi giorni e… -

- No! - disse strappandogli una pagnotta dalle mani - deve pagare ora, oppure può anche andarsene. -

La vecchia donna si incupì ed uscì dal locale, a passo lento e capo chino. Il ragazzo rimase sconcertato. Lui stesso aveva vissuto ingiustizie del genere e non sopportava che altre persone ne fossero vittima. Uscì dal locale correndo verso la donna, sotto lo sguardo incredulo dei tanti clienti che si trovavano lì in quel momento.

- aspetti! - gridò correndo come un pazzo verso la vecchia donna che camminava zoppicante in mezzo alla strada. Ella si voltò, quasi a fatica, per poi guardarlo stupita. Finora nessuno avrebbe mai fatto quel gesto tanto importante, quanto avventato, di aiutarla.

Non si rivolsero la parola, studiandosi a vicenda. I loro occhi stavano come dialogando. Il nostro piccolo uomo non era mai stato un tipo espansivo e aperto, ma era di sicuro un giovanotto dal cuore grande e puro. Non come certe persone con cui si è ritrovato a passare i peggiori anni della sua vita.

- la prego, tenga. - disse solo, mostrandole tutti i suoi spiccioli rimanenti. Non erano certo molti, ma bastarono per rallegrare la vecchia donna. - Credo che questi siano suoi.

Le labbra della donna si arricciarono in un sorriso effimero ma pieno di riconoscenza. Esso però si capovolse immediatamente, come stesse guardando il terreno, intanto gli occhi neri dell’anziana guardavano il viso del giovane con immenso dispiacere. Il ragazzo non capiva il motivo di quel pianto silenzioso.

- Ma sono tuoi, Hardin Lennon. - rispose, pronunciando il suo nome come fosse la cosa più ovvia del mondo. Il ragazzo impallidì: come conosceva il suo nome? Che avesse usato la stregoneria?

- Ma lei come fa a…? -

- Ti sono caduti questi poco fa. - Detto ciò la donna gli porse dei soldi. Hardin, ancora tremante e sconvolto, li prese senza fiatare.

- …è forse una veggente? - chiese titubante il ragazzino.

- No, ho solo pensato che quei soldi potessero appartenere solo ad un giovanotto così onesto e ben educato come te, Hardin. -

- Come fa a conoscere il mio nome? - Hardin la guardava cercando di capire cosa nascondessero quei piccoli occhi neri che conservavano i pensieri della donna.

Calò un profondo silenzio tra di loro, era come se quest’ultimo tagliasse ogni rumore circostante. Silenzio interrotto solo però dal suono di una carrozza che si avvicinava pericolosamente a loro.

- Perché io so chi sei. - Rispose soltanto, senza muovere un solo muscolo.

- E come lo sa’? - chiese il giovane senza smettere di guardare la signora negli occhi.

 
 

Ecco, per l’ennesima volta si svegliò in piena notte.

- Cosa vuoi da me, Hardin Lennon…? -  

 
 

*Angolino-che-non-si-fa-sentire-da-anni-e-che--eviterà-di-scrivere-cose-lunghe-per-il-sonno = Angolino della Lupacchiotta*

 

Ciaos, Gente!!! Da quanto non mi facevo sentire, saranno passati anni luce. Magari vi siete anche dimenticati di me…Va beh, tanto nessuno si ricorda mai di me e del mio compleanno. T^T

Cooomunque, questa storia la scrivo per la mia Nipotina Giu (dai, non puoi lamentarti…ho messo anche il cane (?) ;-;)! Ti voglio tanto bene, sai che se non fosse per te e le altre non sarei qui! Non ti ringrazierò mai abbastanza… ma intanto grazie (?)! Buon onomastico, tesoro! Esatto, questa roba penosa è tutta per te…e ci saranno altri capitoli, che gioia per tutti, eh!

Tutti: wiii “-_-

Spero vivamente sia decente e se qualcuno ha da fare critiche le faccia, io amo tantissimo le critiche (se costruttive).

Ok, ora sono stanca e ho sonno. Il mio letto ha bisogno di me e chi sono io per rifiutare?

 

Ciaos Das Kaya!!!!!!!!!! Uns Bacios!!!!!!!

 

P.S: sì, ho usato la frase di un film chiamato “Eva” (mi pare, non lo vedo da mesi ;-;) come titolo…mi sembrava molto carina e opportuna…spero.

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Capitolo 2
*** Aaron Page ***


Quella notte, Aaron Page, non chiuse più occhio. Ancora una volta aveva sognato colui che disturbava ormai da mesi il suo sonno non più così tranquillo: Hardin, Hardin Lennon. L’uomo che tormentava i suoi sogni…o, per meglio dire, incubi.

I suoi genitori lo reputavano più silenzioso e, talvolta, anche lunatico da quando ebbe inizio ciò. Sì, era ovvio che essi non sapessero nulla dei sogni del figlio, non avrebbero mai capito. Sua sorella minore, Lola Page, era l’unica a sapere di Hardin. Lola aveva 14 anni ed era l’unica persona di cui Aaron si fidasse ciecamente.

Il ragazzo guardò fuori dalla finestra: La luna era alta nel cielo ed Aaron la fissava restando in silenzio, parlandole quasi con gli occhi, con quei suoi occhi verdi che imploravano di poter dormire almeno un paio d’ore in più senza essere disturbati. Si domandò se anche qualcun altro avesse il suo stesso maledettissimo “problema”, se così lo possiamo definire. O forse era l’unico che riusciva a vedere un ragazzo ogni volta che chiudeva gli occhi? E, soprattutto, perché ci riusciva?

Aaron continuò a guardare fuori dalla finestra per interi minuti, senza sbattere minimamente le ciglia. Il silenzio della notte creava in lui, al contrario di molti altri ragazzi, sicurezza e tranquillità. Era sicuro al cento per cento di non essere nel “Mondo di Hardin”. Si sentiva sicuro di non trovarlo in giro per la camera o sotto qualche albero del bosco circostante. Ma, e di questo era certo, Hardin viveva in lui. Talvolta gli capitava di vederlo mentre chiudeva gli occhi, anche se per pochissimi secondi.

Non poteva dormire e sbattere le palpebre. I suoi occhi si erano talmente arrossati che nel cassetto della scrivania teneva nascoste delle lenti a contatto che metteva tutti giorni, per non destare sospetti. Le occhiaie invece non riusciva a nasconderle. Purtroppo, essendo nato maschio, Aaron non disponeva di trucchi per coprirle.

Il ragazzo si sporse dal comodino per prendere un farmaco dal sapore sgradevole chiamato modafinil*. Un giorno aveva visto suo padre berlo, sciolto ovviamente in acqua, prima di andare a fare un importante turno di notte. Gli avevano detto che serviva per restare svegli e vigili anche quando si è terribilmente stanchi. Aaron prese un paio di quelle pasticche e le mangiò, senza nemmeno dileguarle in acqua. Non importava se superava la dose, senza quelle sarebbe caduto nuovamente in un sonno profondo.

Era stanco, sia per un motivo che per un altro, e sentiva di star per crollare a terra. Così prese anche delle pasticche antidepressive che si era comprato da solo (con la scusa che erano per sua madre caduta in depressione a causa della perdita del marito.), superando come al solito la dose indicata sulle istruzioni d’uso che non leggeva mai nessuno. Questi farmaci erano ormai diventati parte della sua vita quotidiana; come Hardin del resto.

Sapeva di non poter continuare così per sempre, ma che alternativa aveva? Nessuna. Assolutamente nessuna.

 

*Angolino-che-non-ha-ancora-trovato-uno-scopo-nella-vita-se-non-importunarvi-e-rompere-le-balle-a-qualcuno = Angolino Della Lupacchiotta*

 

* = non ho mai preso questo farmaco (perché io sono una che ama dormire e lo si capisce a scuola, già) e ho scelto il primo nome che mi sia capitato, quindi non so esattamente se abbia sbagliato o cosa…in ogni caso non posso dire di non averci provato (?)

 

AAAAUU! Ciaos, gente!

Angolino: T^T

Sì…scusatelo, è depresso perché a nessuno importa ciò che dice

Angolino: guarda che se non ci fossi io tu ora non staresti qui a parlare!

…Ok…Ma non te l’ho chiesto. A nessuno importa della tua opinione, accetta la realtà ;-;

Stavo dicendo…ah, sì! Scusatemi tantissimo se il capitolo è un po’ corto ma, come sapete, la mia fantasia è leggermente difettosa: va e viene. E poi ci sono anche io che in questi giorni non ho voglia di fare nulla, quindi perdonatemi…sono troppo cucciolosa, non mi uccidete. Ho anche un buon avvocato (?).

Beh, spero vivamente che la storia piaccia e se è così (ma anche no) lasciate un commentino oppure una critica se lo ritenete necessario (lo è, fatelo prima che sia troppo tardi! (?)).

Comunque spero piaccia a te, futura Giu (?) che stai leggendo (ciao, comunque *saluta con un sorriso da ebete stampato in faccia, del tipo: ma che cacchio ne sto facendo della mia vita? ;-;* (?)), e ad altre persone future (ciao anche a voi, tipi del futuro *saluta ancora col solito sorrisino* (?))

Ok, ora vi lascio alle vostre cose…al prossimo capitolo!

 

Ciaos Das Kaya!!!!!!!! Uns Bacios!!!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 3
*** la scuola ***


Aaron aspettò pazientemente che fossero almeno le sette del mattino per andare a fare colazione con i suoi genitori. Aspettare che spuntasse la debole luce del mattino per andare dai suoi e fare colazione, ormai, faceva quasi parte della sua routine quotidiana, ci aveva fatto l’abitudine. Anche fingere era diventato normale. Normale poi…Ad Aaron sembrano passati anni da quando lo era. Da quando i suoi compagni non gli chiedevano continuamente: “ma cosa fai la notte? Hai certe occhiaie!” “Smettila di giocare hai videogames invece di dormire, coglione!”. Non potevano capire la paura che lui solo provava. Hardin era sempre lì. Sempre. Anche adesso.

Il ragazzo fece colazione velocemente, cercando di evitare il più possibile il contatto visivo coi suoi familiari che gli facevano inutili domande sulla scuola. Mangiò per metà un cornetto alla marmellata e bevve il suo caffelatte in tutta fretta, quasi strozzandosi. Poi, salutando i suoi genitori, uscì di casa correndo incontro alla sorella, cercando da lei un po’ di conforto.

Le foglie degli alberi che contornavano la larga strada ciottolosa che conduceva alla scuola erano di un verde brillante, i grilli canticchiavano un’allegra sinfonia e le api volavano da fiore in fiore seguendo una loro felice danza primaverile. Peccato che per Aaron nulla era così allegro.

Raggiunse rapidamente la sorella, fin troppo rapidamente. Il tragitto era troppo corto e non aveva avuto tempo a sufficienza per formulare una frase che non contenesse come parola chiave “Hardin”. Sapeva che non poteva tenere nascosto troppo allungo a Lola che Hardin stava entrando sempre di più nella sua vita, tanto da vederlo ovunque gli capitasse, ma non voleva che si preoccupasse troppo per lui.

- Lo hai sognato ancora, non è vero? - disse in un sussurro Lola mentre cercava il contatto visivo col ragazzo che continuava a guardare il terreno. 

Aaron sembrava combattuto: dirlo o non dirlo? Non dirlo significava mentire a colei che gli era sempre stata accanto in questi mesi infernali…ma significava anche proteggerla, in un certo senso.

- capisco che non è un argomento da prendere alla leggera, ma a me puoi dire tutto e lo sai meglio di chiunque altro… -

Aaron prese una lunga boccata d’aria fresca, poi parlo:

- lui è sempre lì. Oggi non sono riuscito a dormire. - rispose solo, senza smettere di contare tutti i ciottoli che ricoprivano il terreno. Era arrivato a duecentosessantuno, per ora.

- ma devi dormire… -

- Non posso farlo! - sbottò improvvisamente, spaventando la sorella che non si era ancora abituata ai suoi repentini sbalzi d’umore. - lui non mi fa dormire, mi parla la notte, mi perseguita, è dietro ogni fottuto angolo! - Aaron alzò lo sguardo verso la sorella, pentendosene subito dopo: Gli occhi velati dal pianto della ragazza gli fecero distogliere immediatamente lo sguardo, continuando a contare i ciottoli sul terreno. Ora era arrivato a duecentonovanta.

Lola lo guardò apprensiva, cercando di capire cosa fosse meglio dire in queste situazioni. Non poteva comprendere pienamente il fratello, ma ci stava provando in tutti modi.

- hai provato ad andare da quello psicologo che ti avevo consigliato? -

Aaron sbuffò sonoramente.

- non servirebbe a nulla. - ribatté secco, andando avanti per la sua strada.

 

Aaron, dopo aver seminato sua sorella, arrivò davanti al suo liceo. Lui era al secondo anno e aveva sedici anni, quasi diciassette. Già, era stato bocciato al primo anno. I prof. credevano che non si impegnasse, ma la verità è che il nostro ragazzo era in pessimi rapporti con la classe e con tutti, bidelli compresi. Gli alunni del suo corso lo obbligavano sempre a fare tutti i loro compiti, picchiandolo se si rifiutava. Quelle volte che Aaron veniva molestato in un angolo isolato del giardino oppure nel bagno dei ragazzi tornava a casa con un occhio nero. I suoi bellissimi occhi verdi venivano messi in contrasto con il color violaceo dei lividi che contornavano il suo viso. Si dice anche che, tempo fa, i suoi compagni si spinsero ben troppo oltre con le molestie, tanto da fargli perdere la verginità, ma questa è solo una leggenda, fortunatamente. Nessuno sa la verità, solo Aaron, che però promise a se stesso di non parlarne mia più con nessuno.

Era così che aveva iniziato quel circolo di cui sembra non esserci fine: entri a scuola, bulli, occhio nero, esci da scuola e poi pasticche.

Dopo aver salito i pochi scalini, spinse il portone decorato con un grifone (Il ragazzo non sapeva il perché di quell’animale e, in realtà, non aveva neanche voglia di chiederlo) ed entrò nella scuola. Si guardò intorno, come fosse il suo primo giorno, notando tanti volti di cui non avrebbe mai saputo il nome e altri di cui vorrebbe non averlo mai conosciuto. Diede un’ultima occhiata in giro e poi proseguì velocemente verso la sua classe, cercando di essere il più indiscreto possibile.

Aaron si addentrava sempre più nei corridoi e intanto che lo faceva si ricordava di quanto era disperso il primo giorno. Nessuno aveva osato aiutarlo, neanche quelli del quinto anno che dovrebbero essere almeno un po’ più maturi di altri. Fu così che arrivò in ritardo il primo giorno. I suoi compagni risero molto di lui, è stato davvero imbarazzante. Purtroppo questa cosa durò per tutti gli anni a venire.

Arrivò alla sua classe, la 2° C, ed entrò: la lezione era già iniziata da poco, la prof stava chiedendo dei compiti per la volta scorsa che la maggior parte della classe si stava sbrigando a fare sul momento.

- Ed eccolo qui, in ritardo come al solito. Quale sarebbe la sua scusa oggi, Page? Sentiamo: C’era forse coda dallo psicologo? - Sì, anche le professoresse erano insopportabili, una in particolare: la professoressa Rossi di geografia e storia. Aaron aveva provato a giustificarla più e più volte per i suoi deplorevoli comportamenti, ma più e più volte si era ridotto a pensare che quella era solo una grandissima stronza.

Il ragazzo non rispose alle provocazioni della classe e allo sguardo malvagio della sua prof.ssa, si limitò a sedersi al suo posto isolato in un angolino dell’ultima fila. Ad Aaron piaceva quel posto, gli piaceva restarsene tutto solo, per i fatti suoi, accanto alla finestra dove poteva sporgersi per guardare fuori, guardando ciò che gli sarebbe aspettato una volta uscito da quelle quattro mura.

- Allora? Ti ho chiesto di giustificarti, signorino. - lo sguardo della prof si fece in un momento corrucciato, le sue sopracciglia si inarcarono mentre i suoi occhi color nocciola sembravano volerlo sbranare. La classe sorrideva sotto i baffi, divertita dallo spettacolo.

Aaron continuava a non rispondere mentre la guardava negli occhi. Era stanco, voleva solo tornarsene a casa e rimanere a letto tutto il giorno.  

- Se non me lo vuoi dire allora dovrò farti imparare la disciplina… - la donna andò a prendere dietro la lavagna nera una lunga stecca e chiamò Aaron alla cattedra che, con la testa china, obbedì senza fiatare.

Quante botte prese quel giorno? Quattro? Nove? Ventitré? Aaron si ricordò solo che, quando tornò a casa, quel giorno evitò di mangiare con i suoi familiari, per non mostrare con disonore le sue mani essere diventate rosse più del fuoco. Gli bruciarono per tutta la lezione, ma non lo diede a vedere alla sua stupidissima classe e alla sua professoressa, restò in completo silenzio: solo con se stesso.

Pensare che era in ritardo di soli tre maledettissimi minuti…

 

*Angolino-che-fa-gli-auguri-di-Natale-a-tutti-con-un-ritardo-o-non-lo-so-visto-che-io-gli-angolini-me-li-preparo-dieci-giorni-prima(?) = Angolino Della Lupacchiotta*

 

Wiiii, Buone Feste!!! (Cervello di Kaya: ecco, così sono sicura che nessuno può dirmi che sono in ritardo per qualcosa…più o meno…) Ed ecco il 3° capitolo che farà entrare in scena Miss sorellina apprensiva ed anche Miss professoressa dell’anno!

Le due: *salutano e mandano baci agli ammiratori*

Ah, tanto vi odiano tutti e non comparirete tipo mai…o boh, dipende dalla mia pigrizia ;-; (?)

In ogni caso, io sto scrivendo questo angolino il 25 di dicembre fottendomene altamente di avere i genitori del mio ragazzo a casa (se ve lo domandate: sì, legge le mie scemenze, ‘sto cristiano, ed ora che ha letto questo mi guarda male…….Ok, ora l’ho convinto a salutare visto che ci sono delle persone che leggono questo angolino…tutto normale (?)*) e anche della cena natalizia… va beh, io può ;-;

Cioè, lo faccio per voi, carissime fan (ma quali fan? ;-;): amatemi e costruite una statua per me. Compratemi dei biglietti di sola andata per il Giappone così divento una disegnatrice di manga e divento ricca sfondata tipo Trump\quello che ha fatto del McDonald qualcosa di illegale (?).

Datemi un libro di latino così mi metto a piangere e sto finalmente zitta, per favore (?)

Un’ultima cosa, poi giuro che me ne vado: So che io di solito la prendo a scherzare, ma molti argomenti che tratterò qui saranno sulla depressione, bullismo, autolesionismo e molte cose brutte che esistono davvero e che non dovrebbero essere presi scherzando, tutt'altro! Se conoscete una persona come Aaron dovete assolutamente aiutarla o anche solo farci amicizia: ANCHE UN SORRISO PUO' SALVARE LA VITA, VE LO DICO PER ESPERIENZA PERSONALE! #CHI TI FA SORRIDERE TI SALVA LA VITA!!!

Questa può anche essere una favola per alcuni come non per molti altri. Comunque per me non lo è, non è affatto una favola… so che a tutti non sembra che io sia stata vittima di bullismo leggendomi (?) negli angolini e che ora avrete una faccia stupita tipo questa: O.O (?). Comunque non è questo il punto e volevo dire una cosuccia a tutti futuri bulli-lettori (?) che leggeranno e, se permettete, anche a i miei bulloni (?) preferiti perché sono di mia proprietà ormai, sì:

“Ciao, tizi! Se vi piace giocare con noi e i nostri sentimenti, perché non provate a fermarvi un attimo e giocare coi lego oppure coi peluche della Trudy o altro? Credo diano la stessa soddisfazione, anzi, forse sono pure più istruttivi. Ah, e se in mezzo a voi ci sono i miei bulli (vi amo tanto, shi <3) dico questo:…sì, ora “dislessica di merda” lo dici a tua sorella e non ha me, che quella spastica ha più difficoltà a scartare un lecca-lecca di me a scrivere (?).”

Ok, basta, sto scrivendo troppo e vi annoio ;-;

Va buo, finiamola qui, dai…io saluto tutti quelli che stanno leggendo questa roba penosa, saluto la Giu perché questa storia è per lei che è un persona molto speciale per me e, semmai qualcuno commenterà, vorrei che mi dicesse come ha passato le vacanze, perché sì, sono un’impicciona ;-;

Ciau a tutti, alla prossima!

 

Ciaos Das Kaya!!!!!!!! Uns Bacios!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

* = sì, è ovvio che il mio ragazzo non sa che ho messo questa scemata nell’angolino…ma se in un lontano marzo del 2018 dovesse venirne a conoscenza dico: ciao, tesoro…come va? Tutto bene…? È tutta colpa di internet, non ho fatto nulla…. ;-;…Ok, vado a suicidarmi, ne ho bisogno (???)





#CHI TI FA SORRIDERE TI SALVA LA VITA!!! (a caso, sì ;-;)

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