Beauty & The Beast [IN REVISIONE]

di PrincessintheNorth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Selena ***
Capitolo 2: *** Strega ***
Capitolo 3: *** Cena ***
Capitolo 4: *** Vuoi sposarmi? ***
Capitolo 5: *** Ce la faremo. ***
Capitolo 6: *** Enduriel ***
Capitolo 7: *** Memories ***
Capitolo 8: *** Uru'Baen ***
Capitolo 9: *** A Morzan e Selena! ***
Capitolo 10: *** Puoi baciare la sposa. ***
Capitolo 11: *** Caccia ***
Capitolo 12: *** Segreti nascosti ***
Capitolo 13: *** La Mano Nera ***
Capitolo 14: *** Forse al leone hanno tagliato la criniera. ***
Capitolo 15: *** Primo allenamento ***
Capitolo 16: *** Di brufoli e cene all'aperto ***
Capitolo 17: *** Cena ***
Capitolo 18: *** Sesso ***
Capitolo 19: *** Se questo non è amore ... ***
Capitolo 20: *** Un fairth per due ***
Capitolo 21: *** Spie inaspettate ***
Capitolo 22: *** Incinta, io? Ma per piacere! ***
Capitolo 23: *** Incontri indesiderati ***
Capitolo 24: *** Incinta ***
Capitolo 25: *** Mammina ***
Capitolo 26: *** Prigionia ***
Capitolo 27: *** Tu mi hai rovinato, stupida ragazzina. ***
Capitolo 28: *** Tazze assassine e altri rimedi ***
Capitolo 29: *** Inizia a fare il papà. ***
Capitolo 30: *** Colpi di frusta ***
Capitolo 31: *** La biondina e il leoncino ***
Capitolo 32: *** Nomi ***
Capitolo 33: *** Garrow ***
Capitolo 34: *** Roran ***
Capitolo 35: *** Contratti ***
Capitolo 36: *** Mamma ***
Capitolo 37: *** Murtagh ***
Capitolo 38: *** Torte mai fatte, voletti e tuffetti ***
Capitolo 39: *** Non avrà il nostro bambino. Ne ora, ne mai. ***
Capitolo 40: *** Di primi passi e figli salvati ***
Capitolo 41: *** Miseria ***
Capitolo 42: *** Oromis ***
Capitolo 43: *** Islanzadi ***
Capitolo 44: *** L'amore di un figlio ***
Capitolo 45: *** Vendetta ***
Capitolo 46: *** Belle ***
Capitolo 47: *** Nonna ***
Capitolo 48: *** Family ***
Capitolo 49: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Selena ***


NOTA: alcune parti della storia sono state modificate. mi sono infatti resa conto che il nome "Aderes" era già stato utilizzato da un'altra scrittrice su fanfiction.net. Non avevo intenzione di commettere alcun plagio: avendo letto la sua storia, probabilmente il nome mi è rimasto nella mente ed è saltato fuori mentre cercavo un nome per il drago. Inoltre la storia contiene alcune citazioni di Game of Thrones. 
Detto questo, buona lettura!





 

MORZAN

 

 

“Va a Nord, a riscuotere le tasse”, aveva detto Galbatorix. 

“Il popolo è alla fame! Non può mangiare, figurarsi pagare le tasse!” avevo protestato, a mio rischio e pericolo. 

E infatti, l’attimo dopo un dolore tremendo si era propagato in tutto il mio corpo, e anche in quello di Dracarys, che lanciò un ruggito di sofferenza. 

“Attento, schiavo” aveva ringhiato il re, facendomi inginocchiare ai suoi piedi. “Potrei decidere che la prossima insolenza sarà pagata con l’uccisione del tuo drago. Per mano tua.”

Non ero stato in grado di oppormi.

Lui era tutto ciò che avevo, da centoundici anni a questa parte. 

Sospirai e arrivai a Carvahall, dove i contadini iniziarono a tremare solo vedendo il mio drago. 

Atterrai e non prenotai nemmeno una stanza alla locanda, dato che sarei ripartito subito, cercando di rendere quell’esperienza il più veloce e indolore possibile, almeno per me. 

- Benvenuto, Cavaliere Morzan. – disse un uomo alto e ben piantato, il volto ornato da una barba nera. 

Indossava un pesante grembiule da fabbro e dietro di lui c’erano un ragazzo di circa vent’anni, che indossava anche lui un grembiule simile, e una bella donna bionda, di sicuro non di quelle parti, che teneva tra le braccia un neonato. 

- Io sono Ostrec, il fabbro del villaggio. Questi sono mio figlio Horst e sua moglie, Elain, con il loro bambino, Albriech. Come posso aiutarvi? 

Fece un mezzo sorriso, come per cercare di sembrare gentile. 

- Devo ritirare le tasse. – dissi e la mia voce risultò malvagia e odiosa alle mie stesse orecchie. 
- La prego. – mormorò la donna. – A malapena riusciamo a sfamare nostro figlio, e siamo la famiglia più benestante del villaggio … 
- Non parlare, cara. – le sussurrò il marito. – Va in casa, ti raggiungerò subito. 

Lei gli sfiorò il braccio, preoccupata, ma obbedì e si avviò verso la casa. 

- Mi dispiace che mia nuora vi abbia importunato, signore, tuttavia le sue parole sono veritiere. La gente del villaggio non riesce a pagare le tasse del regno, inoltre c’è stata una tremenda carestia, non possiamo nemmeno pagarvi in natura … 
- Non le faccio io le leggi. – dissi. 

O stronzo, o senza drago. 

E nessuno era più importante di Aderes. 

Tuttavia … 

E se Galbatorix non avesse saputo? 

Un’idea balenò nella mia mente. 

- Mostratemi ciò che avete raccolto quest’anno e che è destinato alle tasse. – dissi, e l’uomo mi accompagnò verso un granaio. 

Lo aprì quasi con timidezza, e quando guardai dentro vidi che c’era molto poco. 

Chissà come stavano soffrendo. 

- Quanto è l’importo delle tasse, in generale? 
- Signore? 
- In generale, quanto il villaggio dovrebbe pagare in tasse? – ripetei. 
- Ehm … circa cinquantamila corone, mio signore … 
- E quanto vale il tutto?
- Circa quarantamila … 
- Benissimo. Pagherò io la differenza. 

L’espressione del fabbro mutò nello stupore. 

- Signore … 
- Non preoccuparti. 

In fondo, diecimila corone per me erano poche. 

- Non intendevo questo … la gente di qui è molto orgogliosa. Un gesto come il vostro sarebbe visto come elemosina. 
- È un favore. Se vogliono possono venire a lavorare per me, non obbligo nessuno. 

E me ne andai. 

Dracarys, io vado nei boschi, lo avvisai. 

Okay. 

Rimase nella radura, intento a sonnecchiare. 

Presi arco e frecce, oltre che alla mia fidata spada, e mi inoltrai nella foresta. 

 

 

 

Dopo qualche ora spesa a vagare a vuoto, vidi le tracce fresche di un capriolo. 

Rinvigorito, iniziai a seguirle, senza allargare la mente. Volevo farcela con le mie sole forze. 

- INDIETRO! INDIETRO! – sentii la voce di una donna gridare, e colsi il ringhio dei lupi. 

Preoccupato, seguii l’urlo, sperando di riuscire a salvarla prima che si facesse male. 

A quel proposito allargai la mente, ma alla fine non ne ebbi bisogno. 

La trovai dopo dieci minuti, circondata da un enorme branco di lupi. 

Stringeva a sé la carcassa di un cervo, ed era caduta per terra.

- È mia! Andatevene!

Raggiunsi le menti dei lupi, assoggettandole al mio volere e costringendoli ad allontanarsi. 

La donna mi fissò stupita, ma poi annuì fra sé. 

- Vi ringrazio. – mormorò. 
- Figurati. 

Adesso potevo vederla meglio. 

Avrà avuto circa sedici anni e, nonostante la vita di stenti, era bellissima. 

Alta, flessuosa e ben formata, con lunghi capelli biondi e mossi e gli occhi di un grigio limpido e brillante, le guance arrossate dal freddo. 

- Come vi chiamate? – le chiesi incuriosito. 
- Perché vi interessa?
- Vi ho salvata!
- E vi ho ringraziato. – commentò piccata. – I nomi sono preziosi, Cavaliere Morzan. 
- Dico solo che è ingiusto che tu conosca il mio e io non conosca il tuo. 

Ogni momento che passava, e quella ragazza mi incuriosiva sempre di più. 

Aveva una mente straordinariamente arguta, la lingua tagliente e la risposta sempre pronta. 

La ragazza rise, e quella risata fu come una cascata d’acqua fresca. – Ingiusto? Voi siete il primo Cavaliere del re. È ovvio che il vostro nome sia conosciuto. Invece io non sono nessuno. 

Sospirò, divertita, e scosse la testa. – Evandar! – chiamò e un grande cane lupo comparve accanto a lei, scodinzolando. 

- Evandar? Un nome curioso per un cane. – osservai. 
- È carino … i cantastorie parlano sempre di questo re elfico … 
- Sì, ma perché cacciavi? – la domanda mi sorse spontanea, e la ragazza sollevò un sopracciglio. 
- Eh?
- Sei una donna. Le donne non cacciano. – dissi. 

Sospirò e rimise il coltello nella cintura. 

- Quando si ha fame, si caccia. 
- Quanti anni hai? 
- Sedici. – rispose. 
- Non hai un padre, un fratello o uno zio che possano cacciare?
- Mio padre è a casa a cercare di far fruttare la terra. Mia madre … - scrollò le spalle. – Sta a casa, a cucire e a cercare di metterci qualcosa in tavola. Mio fratello aiuta mio padre … uno zio non ce l’ho. 
- Il tuo promesso sposo, allora. 
- Non sono promessa a nessuno. Mio padre dice che potrò sposare chiunque io ami. – sorrise orgogliosa. – Quindi, sono l’unica che dà da mangiare alla famiglia, nei fatti. 

Annuii. Poverina. 

- Posso aiutarti a portare quel cervo? È una bestia grossa. 

Sorrise. – Non serve. Grazie comunque, e arrivederci. Mi saluti il drago?

Non attese nemmeno la mia risposta. 

In un attimo, il cervo volava sopra la sua testa, e lei era sparita nella vegetazione. 

- Arrivederci. – mormorai. 

 

 

 

Quella sera andai all’osteria. Avevo deciso: non sarei partito da lì finché non fossi riuscito a scoprire come si chiamasse quella ragazza. 

Ordinai una birra e un po’ di cibo, e quando l’oste arrivò, lo fermai. 

- Dovrei farti una domanda. – dissi. 
- Mi dica, signore. 
- C’è una ragazza … bionda, occhi grigi, bellissima. Ha sedici anni … 
- Ah, ho capito di chi parlate. – fece un sorrisetto malizioso. – La ragazza di cui chiedete è Selena. Ha compiuto gli anni proprio ieri. 
- Grazie. – dissi e se ne andò. 

Finii di mangiare, poi andai nella mia camera e mi sdraiai sul letto.

Non riuscivo a togliermi l’immagine di quella ragazza dalla testa. 

Aaahh, l’amore … mi prese in giro Dracarys. 

Smettila. Non sono innamorato. Ci ho appena parlato, non posso certo amarla. 

Sarà … commentò divertito, poi si ritirò. 

E l’immagine del suo viso, radioso e felice, non se ne andò dalla mia mente. 

- Selena. – assaporai quel nome, poetico e unico. 

Selena. 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 2
*** Strega ***


SELENA
 
 
Il mattino dopo mi svegliai fresca e riposata. Mi alzai dal letto e mi rinfrescai il viso con dell’acqua, per poi indossare un paio di pantaloni e una corta tunica verde.
Anche quello sarebbe stato un giorno di caccia, ma tutto sommato non mi dispiaceva.
Cacciare, inseguire la preda e avere la meglio mi faceva sentire viva.
Spesso stavo fuori di casa anche dei giorni, e la fame era un ottimo motivante a continuare la caccia.
Presi l’arco e me lo assicurai sulle spalle, insieme alla faretra, poi strinsi la cintura in vita, alla quale appesi il fodero del mio pugnale.
Mi era stato regalato da Garrow quando avevo sette anni, e da quel giorno non l’avevo più mollato.
Misi in ordine la mia stanza, rifacendo il letto, poi mi sistemai i capelli, raccogliendoli in una treccia a lato. La ornai con qualche piuma marrone, che avevo trovato nelle mie battute di caccia, e che risaltavano sul biondo chiaro dei miei capelli.
- E tu che fai qui?
Evandar si accucciò ai miei piedi, appoggiando la testa sul mio grembo.
Sorrisi e lo coccolai un po’, dandogli qualche avanzo del cervo di ieri sera dopo che l’avevo tagliato.
- Sei un bravo cagnolone, vero? Il mio cagnolone preferito.
E l’unico, aggiunsi mentalmente.
Sospirai e mi alzai, allacciandomi al polso il braccialetto d’argento che un mercante mi aveva donato.
Era il mio portafortuna.
Andai in cucina e mangiai in fretta la colazione, che consisteva in mezza mela, ma non mi lamentai. Lasciai il torsolo ad Evandar e misi in tasca i semi per piantarli.
Nel bosco avevo intenzione di creare un giardino, e da un po’ di tempo a questa parte stavo mettendo via i semi, iniziando a piantarli.
Feci per uscire, ma mio padre mi sbarrò la via.
- Siediti, Selena. – disse, serio. – Dobbiamo parlare.
Mi preoccupai un po’, ma non obiettai. Tornai al tavolo e mi sedetti.
Papà si sedette di fronte a me, e ciò mi preoccupò ancora di più. Come se fosse un colloquio tra un signore e una sottoposta, invece che una normale chiacchierata tra padre e figlia.
Mamma gli si mise di fianco, e iniziai a sospettare.
- Selena, sai anche tu che i conti non sono buoni. Per fortuna ho trovato una soluzione. – disse e sentii l’ansia crescere. – Un uomo, uno ricco, mi ha chiesto la tua mano. Offre parecchi soldi, e ho deciso di accettare.
- PER SOLDI?! – urlai sconvolta.
Aveva detto veramente che mi avrebbe obbligata a sposare un uomo per soldi?!
- Siediti. – mi ordinò. – Inoltre, non sta bene che una donna cacci.
- Okay, allora dimmi dove sareste tutti voi se io non cacciassi. – sibilai. – Forza.
- Smettila immediatamente. – ringhiò.
- Posso almeno sapere chi mi rovinerà la vita, a parte voi?!
- Si chiama Jordan. Ha cinquantacinque anni ed è un mercante.
Cinquantacinque anni.
Cinquantacinque.
Quarant’anni in più di me …
Mai.
​- Ti rendi conto che è persino più vecchio di te?!
- Sta zitta.
- Puoi scordartelo.
I suoi occhi lampeggiarono di rabbia.
- Selena …
- Garrow! Digli qualcosa! – pregai mio fratello.
Ma lui scosse la testa, abbracciando Marian, e capii.
- Sono tua sorella. – gli ricordai. – Ho tenuto in vita anche te e tua moglie. È così che mi ringrazi?
- Ciò che fai non basta. – disse. – Devi fare qualcosa in più …

- E sposare un uomo di quarant’anni in più di me sarebbe fare qualcosa?! Perchè non fai tu qualcosa, stavolta?! Perchè devo sempre essere io?! Avevi detto che avrei potuto scegliere l’uomo che avrei sposato! – urlai a mio padre. – Me l’avevi promesso!
-  DESSO BASTA! Il tuo fidanzato sta arrivando. Fatti trovare pronta a riceverlo.
Silenzio.
Tutto intorno a me assunse tinte rosse, da quanto ero arrabbiata.
Sentii le mani tremare, e ne ebbi paura.
Il potere che solo io sapevo di avere lottava per uscire, incontrollato.
No, no, ti prego, no … non devono sapere …
Un getto di magia bianca si sprigionò dalla mia mano destra, incenerendo una sedia.
- Strega. – sussurrò mia madre, stringendosi a mio padre e additandomi. – SEI UNA STREGA!
- Mamma …
- Fuori da casa mia! – urlò mio padre, indicando la porta. – Non avrai nessuna dote, impudente ragazzina, e nessuna eredità.
- Ne sono lieta. – sibilai e uscii di casa, per non tornare mai più.
 
Corsi nei boschi, a perdifiato.
Solo quando raggiunsi una radura nascosta che conoscevo solo io, e sapevo essere sicura, mi permisi di sedermi su un tronco, e piangere.
Tradita dalla mia stessa famiglia …
Sembrava un incubo.
- Ehi.
Una voce mi sorprese, e alzai lo sguardo.
Era il Cavaliere di ieri.
Dimostrava circa venti, ventidue anni. Sapevo che ne aveva almeno cento in più, e al pensiero mi venne da ridere.
Ti rifiuti di sposare un cinquantenne, ma gradisci la compagnia di uno che di anni ne ha più del doppio …
Si sedette accanto a me e non lo respinsi.
-  Dunque ti chiami Selena. – disse con un mezzo sorriso. – è un bel nome. Non credo siano molte le donne che lo portano. Per la verità, sei l’unica che conosca e che si chiami così.
- Scommetto che ne conosci molte, mmh?
- Touché. – ridacchiò. – Ho scoperto che ieri … anzi, l’altro ieri è stato il tuo compleanno. Ho pensato di portarti un regalo.
E mi porse un bellissimo fermacapelli d’argento, sul quale c’era un delicato giglio dello stesso materiale.
Vai in giro con accessori femminili? – commentai.
- Sono andato a Ceunon, non dista molto da qui. Qualche ora di viaggio. Ho svegliato un orafo e gliel’ho fatto fare.
-  Beh … grazie …
- Vediamo come ti sta. – propose e lasciai che lo prendesse, per infilarlo tra i miei capelli. Fece un sorriso. – Come pensavo. Benissimo. Ma ora … veniamo a noi. Perché piangevi?
- Non sono questioni che interessano un Cavaliere …
- Tu dimmelo.
Sospirai, valutando se raccontargli tutto o meno.
Poi decisi che quel ragazzo mi sembrava simpatico. E decisi di fidarmi.
-  Mio padre ha deciso di farmi sposare a uno che ha quarant’anni in più di me. – mormorai. – Ha scoperto … che so usare la magia. Mi ha dato della strega e mi ha cacciata di casa.
Morzan sospirò. – Fidati, certa gente meglio perderla che trovarla. Vuoi?
Mi porse una fiaschetta.
-  Io … non bevo …
Anzi. Non avevo mai bevuto.
Fece un sorriso. – Aiuta a dimenticare.
Scrollai le spalle e accettai. Bevvi un goccio di vino, ma non cambiò più di tanto.
- La magia è qualcosa di complesso. – disse. – Per coloro che non la conoscono è difficile capirla, e quindi la additano come una cosa malvagia. Ma non è così. La magia è potere. La magia è conoscere cose che certe persone non sognano nemmeno, è … è essere come dei. Ti da un vantaggio sugli altri, consentendoti di essere superiore a loro. La magia andrebbe usata per fare del bene. – mormorò infine, dando un calcio a un sassolino.  
- Eppure sembra che tu faccia il contrario.
- Potessi …
- Che intendi dire?
-  Io … niente. – mormorò.
Decisi di non forzarlo.
- Cosa pensi di fare, adesso? – chiese.
Sospirai. – Pensavo di andare da mia nonna. Vive all’estremità della valle. Lei ha cacciato mio padre di casa per la sua superbia, che lo ha portato a fare cose orribili. Magari non mi butterà fuori di casa.
- Vuoi che ti accompagni? – propose. – Devo partire anche io, e vado proprio di là.
- No, grazie …
- Davvero. Non è un disturbo. – sorrise e poi avvicinò le labbra al mio orecchio. – Dovresti cogliere la possibilità di volare su un drago.
Mi avrebbe fatta volare?!
Era una possibilità che capitava una volta nella vita …
- Allora accetto il vostro invito.
 
 
 
 
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Padella a tutti!
Cosa pensate di questi primi due capitoli?
Se vi va ditemelo in una recensione!

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Capitolo 3
*** Cena ***


MORZAN
 
 
Partimmo subito dopo quella chiacchierata, e raggiungemmo la casa di sua nonna in serata.
- E qui le nostre strade si separano. – sorrise Selena. – Grazie del passaggio.
Guardò Dracarys, un po’ intimorita dal suo aspetto minaccioso.
- Ehm … signor drago …
Lui rise, e sentii che le sfiorava la mente, includendo anche me nella conversazione.
È stato un piacere, Selena-dai-poteri-straordinari, disse e le sfiorò il viso con la grande testa.
Lei rise e gli accarezzò il muso.
- Prenditi cura del tuo Cavaliere, mi raccomando. – sorrise. – Prendetevi cura l’uno dell’altro. Come favore personale. Oh, arriva.
Da lontano sentimmo la voce di una donna. – Selena! Vieni in casa, cara!
- Beh … buona vita. – le sorrisi, salutandola con un baciamano.
Lei arrossì. – Buona vita, Cavaliere.
Ci abbracciammo, e fu un abbraccio che, sebbene durò un istante, mi sembrò fosse lungo una vita intera.
Mi persi nel profumo dei suoi capelli e nella morbidezza della sua pelle, finché non ci staccammo.
Ci stringemmo la mano e mi voltai per andarmene, ma un dolore lancinante mi trafisse al ventre.
Sentii Dracarys ruggire di rabbia e dolore, Selena gridare, ma soprattutto vidi il volto ghignante di Formora.
- È da cent’anni che aspetto di farlo. – sogghignò, prima che la sua testa volasse via, strappata da Dracarys.
- MORZAN!
Il viso di Selena, contratto dalla preoccupazione, fu l’ultima cosa che vidi.
 
 
 
 
 
Quando mi risvegliai, sentii dolore.
Dracarys …
Sto bene. Tu un po’ meno, disse laconico.
Dove mi trovo?
Dalla nonna di Selena.
Aprii gli occhi, e mi accorsi di essere nudo, coperto solo da una coperta dalla vita in giù.
Delle bende mi circondavano l’addome. Un tempo dovevano essere candide, ma ora erano macchiate di sangue.
- Oh, finalmente.
Quella che mi si parò davanti era una vecchietta dall’aria sorprendentemente giovane.
Due brillanti occhi azzurri mi scrutavano attentamente, le labbra incurvate in un sorriso.
I capelli, bianchi come la neve, erano raccolti in una crocchia, ornata da una retina.
- Cosa …
-  Sono Anne, la nonna di Selena. – sorrise. – E tu sei ferito … fammi vedere un po’. Ah, sì, dobbiamo cambiare queste bende.
- Signora, non serve. Posso guarirmi da solo.
- Sciocchezze, ragazzino. – mi rimbeccò. – Tu stai giù.
E anche Morzan, il Cavaliere dei Draghi più temuto dell’intera Alagaesia, non poté ribattere.
Se non altro perché Anne mi ficcò in bocca un cucchiaio di zuppa deliziosa, ma bollente.
La mandai giù il più in fretta possibile, anche perché mi ero scottato la lingua.
- Dov’è Selena?
- A caccia. – rispose.
- Mi ha detto che suo padre …
Anne sospirò. – Mio figlio è un idiota. Anche sua moglie. Ed evidentemente, anche il figlio. Selena è l’unica che si salva. Veramente ignobile, prometterla ad un uomo per soldi e rinnegare ciò che lei ha fatto per loro. Sarebbero già tutti morti se non fosse stato per lei. Ecco, adesso togliamo queste bende.
Non potei trattenere un urlo quando tolse l’ultima, che appoggiava sulla ferita.
Nonostante gli unguenti, il sangue si era incrostato.
- Stai guarendo in fretta. – commentò.
- Sono un Cavaliere, è normale. – mormorai.
- NONNA SONO IN CASA!
La voce di Selena … non lo so.
Il mio cuore fece una capriola nel sentirla.
Pochi attimi dopo lei comparve.
Indossava una tunica azzurra che le fasciava il corpo valorizzandolo, e tra i capelli aveva il mio dono.
- Oh, ti sei svegliato. – fece soddisfatta. – Meno male. Tra qualche giorno sarai in piedi.
Annuii e fece un sorriso.
- Selena, cara, va a mettere su qualcosa per cena. Cos’hai trovato nei boschi?
- Quattro conigli e un capriolo. – rispose lei, contenta.
- Basteranno per un po’. – sorrise Anne. – Prepara i conigli, allora.
- Mmh. A dopo.
Scomparve e rimasi da solo con Anne, che mi spalmò sulla ferita un altro unguento.
Doveva essere una guaritrice esperta, quasi non sentivo che mi toccava.
Rimise delle nuove bende in cinque minuti, per poi ammirare il suo lavoro, appagata.
- Se ti va puoi raggiungerci per cena. Altrimenti puoi rimanere qui.
- Va bene … grazie di tutto. – la ringraziai riconoscente.
 
 
Ci provai, a raggiungere la sala da pranzo.
Ma la ferita bruciò come se ci avessero versato del vino e le avessero dato fuoco.
- Piano … - Selena sospirò, aiutandomi a mettermi seduto.
Odiavo dovermi far aiutare. Dover dipendere da qualcuno era ciò che più odiavo al mondo.
- Tu sta qui, ti porto la cena. – sorrise.
- Aspetta! – la chiamai e si fermò, inclinando la testa.
- Sì?
- Ti … ti andrebbe di restare?
Fece un piccolo sorriso. – Arrivo subito.
Un minuto dopo, ritornò con in mano due piatti.
Uno lo diede a me, e l’altro se lo tenne.
Si sedette accanto a me e iniziammo a mangiare. Era buonissimo.
-  L’hai fatto tu?
Il rossore sulle sue guance fu la conferma.
-  È buonissimo. Sei bravissima a cucinare. – mi complimentai e fece un timido sorriso.
- Grazie …
- Mi fai venire voglia di rimanere malato ancora. – risi e scoppiò a ridere.
- Ma la malattia altera il gusto …  - rise scuotendo la testa.
- Non m’importa.
L’amore è nell’aria stasera …
Dracarys, non la amo! Ho solo detto che è brava a cucinare, che male c’è in questo?
E chi ha detto che l’amore è un male?
- Allora … ti va di dirmi un po’ che tipo è il grand’uomo di tuo padre? – la spronai cercando di mettere la questione un po’ sul ridere. – O almeno la tua famiglia in generale.
Sospirò, mandando giù un sorso d’acqua.
-  Mio fratello è uno stronzo. – disse laconica. – Tiene più a sua moglie che a me. E sono sua sorella! Voglio dire, chi gli è stata accanto mentre aveva la febbre? Non certo Marian! Ma lui è il primogenito maschio. – sbuffò. – è ovvio che abbia un trattamento diverso.
Io ero stato il primogenito maschio, ma mio padre picchiava sia me che i miei fratelli senza distinzione.
- E quando ho cercato di farlo intervenire a mia difesa, si è permesso di dire che dovevo fare qualcosa in più per loro! – sbottò furiosa e indignata. – Lui se ne sta in casa tutto il giorno, o al massimo a zappare la terra, non certo a congelare nei boschi.
Tesi la mano per sfiorarle la guancia, sulla quale rotolava una lacrima raminga che spazzai via.
La sua pelle era vellutata come una pesca, morbida e setosa.
Adesso lo ammetti, uh?
NO!
Morzy …
Ti ho già detto di non chiamarmi con quel nomignolo. Altrimenti ti chiamo … DracDrac.
Emise un ringhio di avvertimento, ma uscì dalla mia mente.
Tolsi la mano dal viso di Selena prima che la cosa diventasse equivoca, ed era palese che entrambi stavamo cercando di non arrossire.
- Non devi pensare sia colpa tua. Fidati, di famiglie complicate ne so qualcosa. – cercai di rassicurarla.
- Anche la tua?
- Non ne hai idea.
Sospirò e appoggiò il piatto sulla scrivania all’altro lato della stanza.
- Ti va di parlarne?
- Magari un’altra volta.
Fece un sorriso, e la conversazione virò su argomenti meno pesanti, come la caccia.
Le chiesi che prede si potessero trovare in quel periodo dell’anno, e lei sembrò rianimarsi improvvisamente. I suoi occhi grigi brillarono e iniziò a elencarmi dettagliatamente tutti gli animali possibili, aggiungendo anche dov’era meglio che cacciassi perché la carne fosse più buona.
- Per esempio, i cervi migliori sono in alta montagna, prendendo la strada che da Carvahall va verso Narda, a sud-ovest. – disse allegra. – La carne è tenera e molto nutriente, e ha pochissimo grasso. I tendini sono ottimi per gli archi, perché quei cervi sono abituati a saltare e quindi sono molto più allenati rispetto a quelli di bassa montagna … e invece? Al Sud come si caccia?
- Fammici pensare … ma al Sud dove? Perché sui Monti Beor ci sono prede, vicino al Lago di Leona altre …
- Inizia dal Lago.
- Beh, vicino al lago ci sono più che altro uccelli. Qualche lupo, ma non è che siano molto buoni … scoiattoli …
- E sui Beor?
- Sui Beor ci sono un sacco di animali giganti. – commentai. – Lupi giganti, che i nani chiamano Shrrg, pecore giganti dette Feldunost … cinghiali giganti.
- Wow. – sussurrò. – E i Monti Beor sono davvero tanto alti come dicono?
- Anche di più.








 

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Capitolo 4
*** Vuoi sposarmi? ***


SELENA
 
 
Passò una settimana, durante la quale Morzan ed io diventammo buoni amici.
Secondo la nonna non era amicizia, però.
- Non raccontare frottole a me, signorinella! – mi aveva avvisata brandendo un mestolo. – Ho visto come lo guardi e ho visto come lui guarda te!
- E come lo guarderei?
- Come se ne fossi innamorata, e lo sei!
- Non lo amo, nonna. Siamo solo amici!
La nonna era scoppiata a ridere e aveva alzato le mani in segno di resa.
- D’accordo, allora. Solo amici. – aveva ridacchiato.
Morzan si era già rimesso in piedi, ma non scalpitava più di tanto per andarsene.
L’altro giorno aveva deciso di preparare lui la cena, e ci aveva stupite entrambi, perché cucinava persino meglio di me.
Il capriolo era venuto delizioso, morbido e condito da una salsa che mi aveva fatto vedere le stelle.
Quel giorno mi alzai all’alba, come sempre.
Evandar era già sveglio e accoccolato sul mio letto, accanto a me.
Mia madre, anzi, June, odiava che dormisse sul mio letto, quindi a Carvahall evitavo, ma alla nonna non dava nessun problema.
Mi vestii e mi pettinai, sistemando i miei capelli con il fermacapelli di Morzan. Ormai era diventata un’abitudine, e il leggero peso dell’oggetto era diventato familiare.
- Alzati, pulcioso. – brontolai ad Evandar. – Anche se oggi non andiamo a caccia non significa che tu possa poltrire.
Guaì, ma scese dal letto e uscì dalla camera.
Lo seguii e andai fuori di casa, per godermi l’alba.
Quello che non mi aspettavo era che anche Morzan era un mattiniero.
Era anche lui fuori, in piedi, appoggiato ad una delle colonne del portico.
Guardava il sole nascente, e lo raggiunsi.
- Anche tu un mattiniero?
Scrollò le spalle. – Dopo cent’anni in missione ti abitui, sai?
- Non ne dubito. – commentai.
- È sempre bello. – mormorò. – Ogni giorno c’è qualcosa di diverso nell’alba. O è più rossa, o il primo raggio di sole è diverso da quello del giorno precedente. Se non fosse per l’alba avrei già perso il conto degli anni.
Mi chiesi come potesse essere.
Rimanere eternamente giovani, forti e invincibili.
Lui sembrò capire a cosa pensavo, perché ridacchiò. – Fidati, non è tutto oro quel che luccica.
- Cosa intendi dire?
- Per me questa vita è una maledizione. – mormorò.
Decisi di non chiedergli perché, sembrava stesse soffrendo abbastanza.
- Un paio di giorni e toglierò il disturbo. – disse.
- Non ci hai disturbate, non dire sciocchezze. – ridacchiai e un sorriso comparve sul suo volto.
Perfino quel sorriso sembrava sofferente.
- Vi lascerò qualcosa, per ripagarvi del tempo impiegato …
- Sei matto?! Non ci devi niente!
- Selena …
- Morzan. – lo rimbeccai, a mio rischio e pericolo. – Ti ho detto di no.
Fece un sorrisetto e alzò le mani. – Avete vinto.
Ci sedemmo sui gradini, le nostre gambe si sfioravano leggermente.
- Non ti capisco. – disse a un certo punto, cogliendomi di sorpresa.
- Perché caccio? Lo so, non è femminile, ma …
- Non è per quello. È … non sei scappata da me, la prima volta che ci siamo incontrati. Perché?
- Mi avevi salvata dal divenire un mucchietto di ossa spolpate. Scappare urlando come un’ossessa sarebbe stato poco gentile, no?
- Ma non hai nemmeno dimostrato paura.
- Perché non me ne facevi. Sembravi, e sembri, uno a posto.
- Ma … non ti faccio paura o ribrezzo? – chiese titubante.
- Per cosa dovresti farmi ribrezzo? – feci stupita.
Era un gran bell’uomo, in fin dei conti. Alto, ben piazzato, atletico …
- I … i miei occhi. – sussurrò, come se non volesse nemmeno farsi sentire.
- Che hanno i tuoi occhi che non va? Non mi sembri cieco.
- Sono diversi!
- E allora?
Strinse le mani a pugno. – Sono sbagliati. Sono sbagliato.
- Solo perché hai gli occhi di colore diverso? Dovresti andarne fiero, non è una caratteristica che tutti hanno. E comunque sono interessanti. Anche belli. – commentai sincera.
Non sarei riuscita ad immaginarmelo senza quegli occhi.
Sospirò e fece un piccolo sorriso.
Continuammo a goderci l’alba, finché non notai un polverone in lontananza.
- Cos’è? – gli chiesi insospettita.
- Cavalli. Vengono di qui.
- E chi potrebbe essere?
- Non lo so. Tu va in casa, chiuditi dentro. – disse rapidamente.
- Posso difendermi!
- Fa come ti dico. Se sono soldati non hai una possibilità.
Decisi di obbedirgli, rientrando in casa e chiudendo la porta, ma scostai di poco la tenda della cucina, per vedere chi fosse.
Mezz’ora dopo, quando le figure smontarono da cavallo, trasalii.
Cadoc e Garrow.
- Chi siete? – ringhiò Cadoc verso Morzan. – Questa è casa mia. Levati!
- Fossi in te non mi atteggerei così verso il Primo Cavaliere del Re, amico. – disse Morzan, sguainando una spada rossa come il sangue.
A quel punto decisi di uscire, lasciando dentro casa la nonna.
- Non hai niente da fare qui. – ringhiai. – Vattene.
- Lurida puttanella, ci hai fatto fare una figura …
Un lampo rosso, e sul suo volto c’era una ferita, sottile e netta, che grondava sangue.
- Attento al lessico. – sibilò Morzan. – Ti avevo detto di restare in casa. – sospirò poi.
- Selena. – Garrow fece per avanzare, indossando una maschera di dolore, ma incoccai la freccia, mirando in mezzo ai suoi occhi.
- Non fare un altro passo, traditore.
- Ci hai disonorati! – urlò Cadoc, rosso di rabbia. – E tu rimani sempre mia figlia, per quanto la cosa mi disgusti, e sei stata promessa! Quindi ora tornerai a casa, e sposerai Jordan!
- Io non sposerò quell’uomo!
Mi opposi, ma sapevo che non avrei vinto.
Legalmente, era mio padre. Secondo la legge, poteva disporre della mia mano a suo piacimento.
- Smettila, ragazzina. – fece Garrow, smettendo di fingersi addolorato. – Non rendere le cose più difficili.
A quel punto scoccai la freccia, ferendogli di striscio il braccio.
Urlò, stringendosi la ferita, poi mi fissò, nero di rabbia, scoprendo i denti.
- Hai osato ferire mio figlio! – strillò Cadoc. – Io ti ammazzo!
- Tu non ammazzerai proprio nessuno. – sbuffò Morzan. – Letta. – disse poi e Cadoc e Garrow non poterono più muovere un muscolo.
-  Demonio! Demonio! – lo accusò Cadoc.
Il sorriso di Morzan fu diabolico. - Il peggiore dell'inferno.
- LIBERACI!
-  Hai ragione. – gli disse poi. – Hai promesso tua figlia a qualcuno. Vuoi che si sposi? Benissimo.
Si voltò verso di me, mentre io impallidivo, capendo quello che aveva intenzione di fare.
Si inginocchiò e mi sentii svenire.
- Selena, vuoi sposarmi? – disse.
- Morzan, ma …
Ti sto levando da un impiccio alquanto scomodo, sentii la sua voce nella mia testa.
Sì, ma siamo amici!, pensare la risposta mi venne naturale, come se sapessi che l’avrebbe sentita.
Non ho mai detto di aver intenzione di consumare il matrimonio.
Mi voltai verso la casa, dove la nonna guardava la scena dalla finestra.
Aveva i pollici alzati ed un’espressione radiosa.
- Sì. – mormorai arrossendo.
E, per rendere la cosa ufficiale, Morzan si rialzò, avvolse le braccia muscolose intorno alla mia vita e sfiorò le mie labbra con le sue.
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Ce la faremo. ***


MORZAN

 

 

 

Non so perché la baciai.

Fatto sta che fu il miglior bacio della mia vita.

Mi staccai pochi attimi dopo e mi voltai a fissare suo padre.

Mi guardava con avidità.

-     Sono molto lieto di quest’unione …

-     Non credo sia chiaro. – aggiunsi. – Voi non diventerete ricchi.

L’uomo impallidì.

-     Dopo che avete trattato così la vostra stessa figlia e sorella, perché dovrei darvi … dovremmo darvi qualcosa in cambio?

Selena rimase tra le mie braccia, tranquilla. Nonostante ciò, sapevo benissimo di averla sconvolta con quella proposta. Ma in fondo, aveva detto di sì.

Avrei potuto benissimo tirarmi indietro una volta che suo padre se ne fosse andato, ma in fin dei conti ero un Cavaliere.

Galbatorix premeva da parecchio perché mi sposassi …

Avrei sposato Selena.

-     E adesso vattene, prima che ordini al mio drago di mangiarvi! – gridai, tanto per minacciarlo.

E ovviamente,c​ orse via insieme al figlio.
Selena scoppiò a ridere nel vederli correre così, tanto da tenersi la pancia.
Quella risata provocò la mia, e anche quella di Dracarys.
-     L’avevo detto, io! – esultò Anne uscendo dalla casa. – Voi due siete innamorati!
E giustamente, dovevo arrossire in quel preciso momento.
-     No, ehm … - fece Selena. – L’ha fatto solo per evitare che sposassi Jordan.
-     Ha ragione. – annuii.
-     Dite quello che volete, ma voi due vi innamorerete, prima o poi.
Annuimmo per quieto vivere, poi Anne ritornò in casa.
-     Selena. – la chiamai.
-     Mmh?
-     Anche se non ci amiamo come una coppia, io non mi tirerò indietro. – le dissi serio. – La decisione sta a te.
Impallidì, poi arrossì. – Io … per me sei un amico … però ho detto sì … non mi tirerò indietro, certo che no, però …
-     Non ho posto limiti di tempo. – la rassicurai. – Non potranno dirti niente.
-     Okay …
Vedendo che era ancora parecchio scossa, cercai di tirarle su il morale.
-     Andiamo a caccia?
Come previsto, il suo sguardo ritrovò nuova luce.
-     Chi prende meno prede è un pollo! – strillò correndo nel bosco, ridendo spensierata.
Le corsi dietro, sfoderando Zar’roc.
Dracarys si librò in volo, pronto a prendere parte alla battuta di caccia.
 
 
 
 
 
 
 
-     Morzan!
Galbatorix sorrise soddisfatto. – Non credevo saresti arrivato tanto in fretta.
-     Sire. – mormorai.
Due notti prima mi aveva contattato in sogno, ed era furioso per il ritardo accumulato. Mi aveva costretto a tornare ad Uru’Baen, e così avevo fatto.
-     E quindi Formora ha fatto una sciocchezza … ha pagato con la vita.
Scrollò le spalle. Non gliene importava, quindi.
-     Vieni, mio caro, lascia che guardi nella tua mente …
Sapevo che oppormi mi avrebbe solo causato dolore, quindi abbassai gli scudi.
La sua presenza nella mia mente era disgustosa. Sembrava un ragno, che allungava le zampe sottili e schifose ovunque.
Ci godette, nel farmi soffrire, impiegandoci più del dovuto.
Ogni santissima volta che mi controllava la mente andava a ripescare i ricordi più dolorosi della mia vita e me li sbandierava davanti agli occhi.
Quando giunse ai ricordi della settimana passata, si incuriosì.
Esaminò ogni dettaglio, soprattutto del viso di Selena.
E scoprì dell’aiuto dato al villaggio.
La punizione fu una scarica di dolore tremendo lungo tutto il corpo, sembrava mi mandasse a fuoco.
Cercai di non urlare, di non umiliarmi più di quanto non stessi già facendo …
Ma il dolore era semplicemente troppo, e dopo venti minuti in quell’inferno, caddi nell’oblio.
 
 
 
 
Ehi.
Dracarys … che è successo?
Morzan, sta calmo.
Mi stai preoccupando.
Mi alzai dal letto, il cuore a mille.
Ero nelle mie stanze a palazzo. Nel mio letto.
Sfiorai le lenzuola rosse, così familiari e tanto odiate. 
Dracarys … parla.
Morzan, davvero, non vuoi saperlo!
Dracarys.
Sospirò, triste. Ha scoperto di Selena e della proposta di matrimonio. Ha mandato Enduriel a prenderla.
Enduriel?!
Quel bastardo era uno stupratore!
Da quanto è partito?
Due, tre giorni.
Era già arrivato.
A dorso di drago, non ci voleva niente ad andare nella valle Palancar.
Ti prego, fa che non le accada niente … anzi. Dracarys, preparati. Gli andiamo incontro.
Morzan …
COSA?!
Non possiamo.

Cosa vuol dire, non possiamo?
Galbatorix ha detto così. Selena e sua nonna verranno qui. E lo stesso giorno in cui arriveranno, tu e lei vi sposerete.
Cercai di prendere un respiro, ma era impossibile.
Strinsi le ginocchia al petto, mentre le lacrime cadevano incessantemente dai miei occhi.
Dovevo immaginarlo, in fin dei conti.
Io ero Morzan il Terribile, Primo dei Rinnegati, noto per essere crudele, avido e bastardo.
Rovinavo sempre tutto.
Non avrei dovuto diventare suo amico … non avrei dovuto chiederle di sposarmi, seppur per salvarla.
L’avevo condannata ad un destino peggiore della morte.
Di sicuro Galbatorix aveva visto nei miei ricordi i suoi poteri … le avrebbe fatto fare la prova dell’uovo.
E sarebbe stata sua per l’eternità.
Selena, mi dispiace così tanto …
La mente di Dracarys raggiunse la mia, in un moto di calda dolcezza.
Non angustiarti così, cercò di consolarmi. Troverete un lato positivo anche in questo.
Cosa può esserci di positivo nella schiavitù?!
A quella domanda non seppe rispondere, e un leggero toc, toc mi distrasse.
-     Avanti. – mormorai, e una ragazzina di circa dodici anni entrò, non osando guardarmi.
-     Mio signore, il re richiede la vostra presenza per la cena. – sussurrò.
-     Digli che non ho fame.
-     Ma, signore, ha detto che se non presenzierà alla cena … torturerà, ehm … Serena, mi pare abbia detto. No, era … Selena.
Chiusi gli occhi, disperato.
Perché la mia vita doveva essere quella?!
L’unica ragione per cui non mi ero già tolto la vita era Dracarys.
Grazie di non ucciderti per me, amico.
Certi giorni vorrei recidere il legame tra di noi, ammazzarmi e liberarti dalla mia presenza.
Morzan …
È per colpa mia che anche tu sei suo schiavo.
Adesso smettila, ringhiò. Hai giurato perché non accettavi che soffrissi, che soffrissimo. Non hai nessuna colpa. Il tuo è stato l’atto più eroico di tutta la guerra. Quindi smetti di fare certi pensieri. La vita è un dono, non è eterna, sebbene siamo Cavaliere e drago. Usiamo bene il tempo a nostra disposizione. Riusciremo a liberarci.
Sospirai, e annuii.
Ce la faremo.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Enduriel ***


SELENA
 
 
 
-     Selena?
La voce della nonna mi risvegliò dal sonno, ma non ce la facevo proprio, ad alzarmi.
-     SELENA!
L’urlo infastidito della nonna … beh, a quel punto mi alzai.
-     Che c’è? – sbadigliai.
-     Un Cavaliere. – disse serissima. – Dal drago viola. Enduriel, si chiama. È un amico di Morzan, è venuto a prenderci.
-     E perché?
Si mordicchiò il labbro. – Vi sposerete tra due giorni. Ordine del re.
-     COSA?!
-     Non hai tempo per scandalizzarti, tesoro. Alzati, sistemati. Sembra avere fretta.
Annuii, ancora sconvolta, e la nonna uscì.
Mi alzai lentamente, ed Evandar protestò vivamente quando per sbaglio gli pestai la coda.
Nel senso che mi morse una gamba.
-     A CUCCIA! – gridai, e andò in un angolino, guaendo.
Sospirai e mi sedetti davanti allo specchio, iniziando a pettinarmi.
Guardai il mio volto riflesso, senza riuscire a formulare un pensiero coerente.
Entro due giorni, io e Morzan saremmo diventati una coppia.
Sarei stata buttata in un mondo di falsità, arroganza e ambizione coperte da bei vestiti, ciprie e voluminose acconciature, nel quale non sarei mai stata in grado di muovermi.
Il re non era sposato, e quindi sarei stata la donna più importante dell’Impero.
Costretta a relazionarmi con dame, contesse e baronesse che mi avrebbero guardata dall’alto in basso, ma non avrei dovuto far capire loro che lo sapevo.
Semplicemente, non era giusto.
Il re era uno stronzo al quale piaceva rovinare la vita alla gente.
Avrei dovuto badare al castello, alle spese … a tutto.
Io, che sapevo solo cacciare e cucinare.
Dei, vi prego, ditemi che è uno scherzo … un crudele scherzo …
Non ricevendo risposta, presi un profondo respiro, come facevo prima di scoccare le frecce.
Mi sistemai i capelli in una treccia, cacciando indietro un ciuffo ribelle con il regalo di Morzan: mi sciacquai il viso con dell’acqua fredda e mi misi la mia solita mise: leggings e tunica al ginocchio. Mi coprii le spalle con un mantello leggero e misi i miei pochi averi in una borsa, uscendo poi dalla camera.
In cucina vidi la nonna e un elfo seduti al tavolo.
Aveva lunghi capelli biondi, occhi di un verde penetrante ed era molto alto e magro.
La bocca, curvata in un sorrisino, era rossa e sottile.
Mi fece venire voglia di prenderlo a pugni già da subito.
-     E così siete voi la ragazza per cui Morzan ha perso la testa. – commentò.
-     Non siamo innamorati. Siamo solo amici! – ribadii.
-     E cos’è, allora? Un amicimonio?
-     O lui o un cinquantenne. Ci diamo una mano a vicenda. – ringhiai.
Mi squadrò un attimo, poi annuì fra sé e sé. – Sì, me la sposerei anche io.
-     MI SCUSI?!
Ridacchiò, scuotendo la testa. – Non ci siamo ancora presentati. Piacere, sono Enduriel. – sorrise porgendomi la mano, che strinsi con un po’ di circospezione.
-     Selena. – mormorai in fretta.
-     Lei è Rhaenira. – disse indicando una dragonessa viola fuori dalla casa.
Piacere, sono Rhaenira, fece la dragonessa. Perdona il mio Cavaliere. Mi vede ancora come una lucertola e non riesce a capire che sono dotata di linguaggio anche io.
Nel sentirla parlare così, scoppiai a ridere, tanto che dovetti tenermi la pancia.
-     E grazie a Rhaenira per mettermi sempre in ridicolo. – sbuffò Enduriel. – Non perde mai l’occasione. Beh, vogliamo andare? Ho una tabella di marcia piuttosto rigida, e mi piacerebbe rimanere qui a chiacchierare, ma …
-     Vado a sellare i cavalli. – dissi alla nonna, che annuì in silenzio.
-     Niente cavalli. – sentenziò il Cavaliere. – Ci rallenterebbero, e alla fine Galbatorix mi taglierebbe la testa se arrivassimo con anche solo un’ora di ritardo. No, andremo a dorso di drago.
-     Senta, Shur’Tugal. – gli disse la nonna. – Andare su un drago è di sicuro un’esperienza emozionante, ma io ho la mia età, e i miei problemi di cuore. Andrebbe a finire che mi ammalo, e non voglio. Andrò a cavallo.
Pensai che Enduriel l’avrebbe schiaffeggiata e costretta a salire su Rhaenira.
E invece annuì, chinando perfino la testa. – Come desidera, signora. Voleremo più lenti.
-     Bene. – sorrise soddisfatta. – Selena, tesoro, puoi pensarci tu?
-     Ma certo. – annuii e andai nella stalla di Rain, la giumenta della nonna.
Nel vedermi la cavalla nitrì felice, e le diedi una zolletta di zucchero.
-     Ciao, piccola. – le accarezzai il muso. – Pronta a correre? Dovrai stare dietro a un drago, devi essere molto veloce.
Aprii la porta della stalla e presi dal muro la sella, che le assicurai al ventre, e le briglie.
Tuttavia iniziò a fare i capricci quando mi accinsi a mettere le briglie, tanto che arrivò a mordermi la mano.
-     RAIN! – soffocai un’imprecazione. – Ma che problemi hai?
-     Lasciate che ci pensi io.
Sentire la voce di Enduriel dietro di me mi fece venire un colpo.
Sfiorò il muso della giumenta, e l’attimo dopo era perfettamente bardata.
-     Ecco qui. – sorrise il Cavaliere. – Mi permettete di guarirvi?
Senza nemmeno attendere la mia risposta, mi prese la mano con un tocco delicato e mosse gentilmente la mano destra sopra la mia.
Il morso sanguinante scomparve, insieme al dolore.
Trattenne la mia mano nella sua ancora un secondo, poi la lasciò.
-     Grazie. – mormorai stupita, mentre usciva, accompagnando Rain dalla nonna.
Si voltò e fece un sorriso.
-     Dovere.
Lo seguii fuori, chiudendo la stalla a chiave.
Vidi che la nonna stava chiudendo casa, poi sussurrò qualcosa.
Perfino da quella distanza, sentii la potenza della magia che si stava creando tutt’intorno alla casa.
E se avessi ereditato da lei le mie strane capacità?
-     Selena?
Solo in quel momento mi resi conto che Enduriel mi stava chiamando.
-     Sì?
-     È ora. – fece un mezzo sorriso. – Se volete seguirmi …
Obbedii, fino a trovarmi davanti a Rhaenira.
Come avevo fatto con Dracarys, mi arrampicai sull’ala, raggiungendo la sella e sedendomisi sopra.
Enduriel prese posto dietro di me, afferrando con le mani il pomolo della sella.
-     Siamo tutti pronti?
La nonna partì al galoppo, i capelli argentati liberi nel vento.
E con un potente battito delle enormi ali, Rhaenira si sollevò in volo.
 
Ci fermammo solo per la notte, in una locanda di Gil’Ead.
Ero distrutta.
Le lunghe ore sul dorso di Rhaenira mi avevano indolenzito le gambe, con il risultato che ora mi era perfino difficile camminare.
E quindi rimasi indietro, dato che non riuscivo a tenere il passo di Enduriel e della nonna.
Troppo orgogliosa per chiedere aiuto, rizzai la testa e proseguii con la mia andatura, ma a un certo punto il Cavaliere tornò indietro e, in un attimo, ero tra le sue braccia.
-     Ma che fate? – sbuffai indispettita.
-     Vi aiuto. – disse semplicemente.
-     Mettimi subito giù!
-     Selena, piantala o ci rallenti tutti. – brontolò la nonna.
-     Ma …
La sua occhiata mi zittì.
Ed Enduriel mi lasciò solo quando fui davanti alla porta della mia camera.
-     Grazie. – mormorai.
Con un gesto elegante, s’inchinò per farmi il baciamano.
-     Si figuri. – sorrise, guardandomi negli occhi con uno strano luccichio.
Mi lasciò la mano l’attimo dopo.
-     Buonanotte. – dissi e fece un sorriso.
-     Sogni d’oro. Verrò a svegliarti all’alba, dovremo essere a Uru’Baen alle nove.
E scomparve nella sua stanza.
Entrai nella mia, sospirando.
Mi sciolsi la treccia e misi il giglio nella borsa, che mi tenni stretta nel letto per tutta la notte.
 
 

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Capitolo 7
*** Memories ***


MORZAN
 
 
 
-     Sssh, sta zitta! – sussurrai a Mavis, la mia sorellina di tre anni.
Io ne avevo undici, ed era l’ultima persona che mi rimanesse della mia famiglia, a parte il mostro che era nostro padre.
C’era stato un periodo della mia vita in cui eravamo ben cinque fratelli: io, Mavis, Murtagh, Eleanor e Shay.
Quell’uomo era sempre stato un violento.
Ci aveva sempre malmenati. June, la secondogenita, l’aveva uccisa a suon di calci.
E così mia madre, e tutti gli altri figli che era stata costretta a dargli.
Ormai eravamo rimasti io e Mavis.
La piccola si strinse di più a me, mentre ci nascondevamo in un angolino.
-     Cosa succedelà? – mormorò, gli occhi gonfi di pianto.
-     Andrà tutto bene, non preoccuparti.
-     MORZAN!
La voce di mio padre, come ogni volta storpiata dall’alcol che gli scorreva nelle vene più del sangue, mi raggelò sul posto.
-     Dove sei, piccolo bastardo? Eh?
-     Sta giù. – sussurrai a Mavis. – Esci dalla finestra e va a chiamare aiuto.
Lei annuì e sgusciò fuori da un buco nel muro che avevo creato pochi giorni prima, con un martello.
Non potei trattenere un piccolo sorriso.
Almeno, lei sarebbe stata salva.
Uscii allo scoperto.
-     Eccomi, padre …
-     DOVE TI ERI CACCIATO?
-     Ero … ero qui …
-     E perché non hai risposto, idiota?
-     Non … non vi avevo sentito rientrare, padre, scusatemi.
-     Oltre che idiota, anche sordo! – urlò, e con un calcio mi mandò a terra.
Sentii il sangue scivolarmi lungo la tempia, sulla guancia, gocciolare a terra.
Come in un’orrenda visione, vidi davanti a me il corpo senza vita di Murtagh, coperto di sangue ed ematomi, al quale quel bastardo non aveva nemmeno pensato di dare una sepoltura.
L’onere era gravato su di me, e avevo dovuto seppellire il suo corpo di bambino di cinque anni.
Ucciso senza pietà, come tutti gli altri.
“Ci rivedremo presto, mi sa”, pensai.
-     Lurido, pezzente, inutile! – urlò, mentre ormai non mi opponevo nemmeno più dal dolore che provavo. – L’avevo detto io! Quegli occhi. – sibilò. – Non sei mio figlio! Tu sei il figlio del demonio! Quegli occhi sono il simbolo del demonio!
Mi sollevò fin oltre la sua testa, lanciandomi contro il muro, ma per fortuna non lo raggiunsi, atterrando sul pagliericcio che era il mio letto.
Mi corse incontro, con una mazza in mano, e feci per pararmi.
-     LETTA!
Il colpo non arrivò, e aprii lentamente gli occhi.
Sulla soglia di casa c’era un uomo, ma non sembrava un uomo.
Lunghi capelli argentei gli incorniciavano il viso senza età, sul quale risplendevano due occhi azzurri: sembrava brillasse di luce propria e indossava un’armatura dorata e finemente decorata.
E infine, come non notarlo.
Due grandi orecchie a punta sporgevano dai capelli lisci, e li capii.
Era un elfo …
Aveva ancora la mano destra sollevata, sulla quale un marchio argenteo risplendeva ancora di una luce dorata: era un Cavaliere dei Draghi.
Mio padre era immobile, un’espressione confusa, arrabbiata e sconvolta sul viso largo e sporco.
L’elfo si avvicinò a me lentamente.
-     Non avere paura. – sorrise dolcemente, e capii di potermi fidare. – Non ti verrà fatto alcun male. Mi chiamo Oromis, e sono un Cavaliere dei Draghi: vieni con me, tu e tua sorella sarete al sicuro.
Mi porse la mano, e l’afferrai.
Mi aiutò a rialzarmi e mi sostenne, portandomi fuori da quella casa in cui avevo conosciuto solo dolore e soprusi.
-     MOLZY!
Mavis mi corse incontro, abbracciandomi.
-     Ehi. Non preoccuparti. Adesso andrà tutto bene, okay? Non vedremo più quello stronzo. Staremo bene, te lo giuro.
Il suo sorriso bastò a migliorarmi ancora di più la giornata.
Oromis ci prese per mano, abbassandosi al nostro livello.
-     Adesso andremo alla fortezza dei Cavalieri, qui a Dras-Leona. – ci disse. – E vivrete lì. Vi verranno dati abiti puliti e cibo.
-     Vi ringrazio. – mormorai e fece un sorriso, scompigliandomi i capelli.
-     Non devi. È il mio lavoro. Su, forza. Andiamo.
Prese in braccio Mavis e ci avviammo verso la fortezza.
 
 
Mangiammo con Oromis, quella sera.
Al termine della cena, che divorammo dall’antipasto al dolce, l’elfo prese un forziere dorato, mettendolo sul tavolo.
-     Quanti anni hai, Morzan?
-     Undici, signore.
-     Capisco. – i suoi occhi brillarono. – Ti piacerebbe fare la prova dell’uovo di drago?
-     Ma … sono povero!
-     E allora?
-     I poveri non vengono scelti.
-     Vorresti provare?
Volevo?
Diventare Cavaliere era il mio sogno.
Volare libero nei cieli, difendere le persone e aiutare i buoni: sì, volevo.
-     Sì.
Oromis sorrise e aprì il forziere.
-     Avvicinati, ragazzo, avvicinati.
Dentro, appoggiato su del velluto, c’era un uovo di drago rosso, dalle sfumature dorate.
Un po’ spaventato, allungai la mano per toccarlo.
Non successe niente, e tutte le mie speranze s’infransero.
-     Lo sapevo … i poveri non diventano Caval …
Non potei terminare la frase, perché l’uovo iniziò a creparsi. All’inizio fu una minuscola crepa, che si allargò e si ramificò, finché l’uovo non esplose in mille pezzi, rivelando un cucciolo di drago.
Oromis sorrise soddisfatto.
-     Lode a te, Morzan, Cavaliere dei Draghi.
-     Molzy! – batté le mani Mavis, tutta contenta.
Allungai la mano a sfiorare il piccolo, e una scarica di energia dolorosissima mi trafisse, mandandomi per terra.
La mano bruciava come non mai, e quando la guardai vidi che ora vi era impresso un ovale argenteo.
Il marchio dei Cavalieri.
 
 
 
 
Passarono dieci anni, nei quali terminai il mio apprendistato a Vroengard, e potei ritornare a casa con tutti gli onori che la mia nuova carica mi conferiva.
Ci andai insieme ai miei migliori amici, Derek, principe del Nord, e Brom.
La folla ci acclamava come se fossimo divinità scese in terra, urlando a squarciagola i nostri nomi.
Le donne e le ragazze ci lanciavano dei fiori, e alcune svenivano.
-     Bel posto. – commentò Derek. – Molto meglio di Winterhaal.
-     Sarà … - feci. Avevo visto Winterhaal, e onestamente la preferivo.
-     Piantatela. – sbuffò Brom. – Voi avete vissuto in città grandi. E io in quel buco di Narda. Non so nemmeno come abbia fatto Oromis a scovarmi.
-     E voi avete avuto famiglie decenti. – li rimbeccai.
-     Oh, certo. Mia madre ci tirava dietro gli zoccoli di legno … - disse Brom.
-     Mio pare ha ucciso mia madre e tutti i miei fratelli, a parte me e Mavis.
-     Okay. – sbuffarono. – Hai vinto tu, contento?
Scrollai le spalle, e alzai una mano verso la folla, che urlò ancora più forte.
In essa scorsi l’uomo che mi aveva generato, che mi fissava con odio e invidia.
Lo guardai, dritto negli occhi, e gli feci un sorriso di scherno.
Avvampò di rabbia, ma non si mosse o fece gesti osceni. Sapeva che mettersi contro un Cavaliere non era buona cosa, soprattutto contro il migliore. Ero l’unico ad aver ricevuto il massimo dei punti nella prova finale.
Dracarys si pavoneggiava, sbuffando del fumo dalle narici e conquistando la folla.
I draghi erano la razza più vanitosa della terra, in effetti.
Arrivammo fino alla fortezza dei Cavalieri, lasciando che i draghi andassero a riposarsi nelle torri a loro dedicate.
Entrai, ed eccola lì.
Ormai aveva tredici anni, era una ragazza.
Bellissima, alta e ben proporzionata, dai lunghi capelli color cioccolato e gli occhi violetti.
-     Mavis? – la chiamai cercando di trattenere le lacrime.
Il piatto che teneva in mano cadde, frantumandosi in mille pezzi.
Mi fissò stupita qualche secondo, poi me la ritrovai tra le braccia.
 
 
Mi risvegliai da quel sogno particolarmente dolce, rendendomi conto che era la prima volta che non avevo incubi da almeno cent’anni.
L’attimo dopo, il ricordo di Mavis mi lacerò il cuore in mille pezzi.
Sfiorai il fairth che tenevo sul comodino: ritraeva me, Mavis, Brom, Derek e Oromis, con i rispettivi draghi. Era stato lo stesso Vrael a farcelo, e infatti sul retro aveva scritto il proprio nome e i nostri con la magia, aggiungendo la data.
“I Cavalieri dei Draghi Morzan, Mavis, Brom e Derek con il loro Maestro, Oromis, e i loro draghi Dracarys, Myra, Saphira, Eridor e Glaedr. Realizzato da Vrael, il 31 Luglio del quarto anno del regno di Robert, re degli Uomini.”
Brutti sogni?
A dire il vero no. Ho sognato Mavis …
Ma anche di quando eri piccolo.
Sì, anche di quello.
Ti è passata?
Mmh. Da quanto è partito Enduriel?
Dovrebbero essersi già fermati per la notte. Credo nei pressi di Gil’Ead, se i conti non m’ingannano, precisò.
Annuii e, incapace di riprendere sonno, andai verso la grande finestra, ammirando il nascere del sole.
 
 

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Capitolo 8
*** Uru'Baen ***


SELENA
 
 
 
Dovevano essere circa le nove del mattino quando vidi delle mura.
E un enorme palazzo contenuto in esse, tanto grande da togliermi il fiato.
Come diavolo faceva un uomo solo a voler vivere in una casa tanto immensa? Gli ci sarebbe voluta l’eternità solo per spolverarne bene un piano!
-     E quello è il castello? – chiesi a Enduriel, che rise.
-     Quella è la torre nord. Tutto ciò che vedi, quello è il castello.
Era talmente grande, mi resi conto, che non mi era possibile coglierlo con un solo sguardo per intero.
-     Oh, dei. E vi piace vivere lì dentro?
-     Abbastanza. – commentò. – Non farti ingannare, in alcuni spazi si sta veramente stretti.
-     Non ti credo.
Lui ridacchiò. – Allora ti lascerò fare esperienza, e poi vedremo chi ha ragione.
-     Andata. Dieci corone?
-     Stai veramente scommettendo?
-     Hai paura di perdere, Cavaliere?
Sospirò. – Benissimo. Dieci corone.
Rhaenira iniziò ad atterrare accanto alle grandi mura della città, ma fin da quell’altezza potevo scorgere due enormi draghi, uno rosso con striature dorate e uno nero come la notte più cupa.
Dopo un po’ che la dragonessa perdette quota fui in grado di distinguere anche Morzan e un altro uomo, interamente vestito di nero, ma la cui enorme e scintillante corona si vedeva da leghe di distanza.
Il re.
Rhaenira atterrò con un boato tremendo, ed Enduriel scivolò elegantemente da lei, per poi afferrarmi per la vita e mettermi a terra.
Come al solito, mi tenne le mani addosso più del necessario.
-     Hai fatto la tua parte. – disse Morzan, vendendoci incontro, con un tono stranamente minaccioso, prendendomi la mano.
-     Lieto di averla fatta. – rispose Enduriel ironico.
-     Puoi andare, mio caro. – sorrise il re, avvicinandosi a noi. – Lady Selena, devo dire che è una delizia poter finalmente fare la vostra conoscenza.
E detto questo, mi prese la mano e se la avvicinò alle labbra, lasciandovici sopra un bacio.
Temetti che fosse avvelenato, data la sua fama.
-     Spero che il viaggio sia stato confortevole. – continuò.
-     Sì, sire. – mormorai.
-     E il mio Cavaliere è stato un buon accompagnatore?
-     Sì, Maestà. Molto gentile e disponibile.
Morzan fece un sospiro irritato.
-     Qualcosa da dire, Morzan? – chiese il re, voltandosi a guardarlo come un rapace.
-     No, Maestà. – mormorò in fretta. – Spero che il viaggio sia andato bene. – mi disse poi, accennando un sorriso.
Annuii in fretta e Galbatorix si esibì in una risatina inquietante.
-     Ottimo! Allora possiamo andare a mostrare alla signorina la sua nuova casa! Oh, e naturalmente anche a voi, mia signora. – si rivolse alla nonna. – Spero sia andato tutto bene.
-     Ottimamente. – gli rispose, altera come sempre.
-     Bene. Andiamo! Morzan, caro, ci fai strada?
-     Sissignore.
Salì in fretta su un cavallo bianco, porgendomi la mano perché salissi con lui.
La afferrai e mi tirò su, prendendomi tra le braccia.
La nonna fu invitata da Galbatorix stesso, ma ovviamente rifiutò l’invito con sereno fastidio, come sempre.
-     Preparati. – mi sussurrò all’orecchio, un attimo prima che le porte della città si aprissero.
E nel vedere Uru’Baen rimasi a bocca aperta.
La gente era ammassata sui due lati della strada, gridando e festeggiando il re, Morzan ed Enduriel, lanciandogli fiori e inneggiando al loro nome.
Molte ragazze svenivano, ma anche signore sposate e di una certa età.
E molte di esse mi guardarono parecchio male, evidentemente il re aveva provveduto a rendere la notizia del fidanzamento di dominio pubblico, come potei notare da un avviso affisso in una bacheca.
“MORZAN SPOSERÀ DOMANI LADY SELENA” quando “Selena” era una cacciatrice di Carvahall. Figurarsi una Lady.
Un altro, enorme cancello stava a guardia del palazzo reale, tanto grande che Dracarys ci sarebbe facilmente passato in mezzo.
Quando fummo nel piazzale, Morzan scese rapidamente da cavallo, portandomi giù con sé.
-     Se non vi disturba, sire, mostrerò a Lady Selena i suoi appartamenti. – disse.
-     Oh, no, fate pure. Ma vi voglio a cena, sia chiaro.
-     Sarà un onore. – mormorai accennando un inchino.
Ne parve compiaciuto. – Adesso andate, non intendo tediarvi oltre.
Se ne andò, e Morzan mi accompagnò lungo una serie di corridoi ampiamente decorati.
Il palazzo era molto luminoso: le tende di velluto rosso erano spalancate su grandi e pulitissime vetrate, e un sistema di specchi minuscoli ma abilmente piazzati rendeva luminoso ogni angolo del palazzo.
Le pareti erano decorate da quadri e ritratti di re, Cavalieri, nobili e draghi, inseriti in cornici dorate.
Il pavimento era di marmo, ma per la maggior parte era coperto da un morbido tappeto rosso bordato di passamaneria dorata.
Chissà quanta polvere prendevano, tende e tappeto.
Dopo quasi un quarto d’ora, che passammo in silenzio, spinse una porta decorata con fregi naturali, e mi ritrovai in quella che, dal giorno seguente in poi, sarebbe stata la nostra stanza.
La prima cosa che vidi fu il letto.
Immenso, con tende di velluto rosso che facevano pendant con quelle di fuori e quelle appese nella stanza, ai lati di una grande finestra sotto la quale c’era un letto più piccolo.
Davanti al letto, c’era un grande camino, con a fianco un cesto pieno di legna da ardere e l’attizzatoio.
Anche se dubitavo gli servisse.
-     Ehm … spero ti piaccia qui. – mormorò impacciato.
-     Scherzi, vero? È bellissimo! – quasi gridai, sopraffatta dalla meraviglia.
Quel luogo sprigionava casa e accoglienza da tutte le parti!
Iniziai a girare per la stanza, scoprendo un’altra porta che portava a quello che doveva essere il bagno.
Al suo interno c’era un’enorme e profonda conca piena d’acqua fumante dove lavarsi.
Uno scrittoio sotto la finestra, pieno di carte completamente disordinate e messe lì alla rinfusa, e su di esso uno strano dipinto su una tavoletta di ardesia. Erano cinque persone e cinque draghi: riconobbi subito Morzan, al cui fianco c’era una ragazza di circa quindici anni che gli somigliava moltissimo.
-     Chi sono? – chiesi.
-     Alcuni amici. – disse, con una nota di rammarico nella voce.
-     Siete tutti Cavalieri?
-     Eravamo. – mormorò. – Sono l’unico rimasto con un drago.
-     Mi dispiace. Puoi dirmi i loro nomi?
-     Ma certo. – fece un piccolo sorriso e si avvicinò a me. – Lei è Mavis. La sua dragonessa era Myra, quella argento, lì dietro. Era mia sorella.
-     Era?
-     È morta. – replicò asciutto. – Poi ci sono Brom …
-     Lo conosco, Brom! È uno che … un ribelle, no?
-     Sì. Lei era Saphira, la sua dragonessa. Poi c’è Derek, ora è re del Nord. Il suo drago era Eridor, è quello verde.
-     Re del Nord?
-     C’è un regno, a nord della Du Weldenvarden. È un bel posto. L’inverno è gelido, l’estate fresca …
-     Potremmo andarci?
-     Non credo che il re ce lo permetterà. – commentò tristemente, sforzandosi però di fare un sorriso.
-     E lui? È un elfo?
-     Sì. Lui era il mio maestro e quello di tutti gli altri. Il suo drago era Glaedr.
-     È morto?
-     Penso di sì. Kialandì e Formora l’hanno rapito, e di lui non s’è saputo più nulla. – fece.
-     Ma siete stati lì in posa per giorni?
-     No! – rise sinceramente. – Questo è un fairth. È un dipinto che viene fatto istantaneamente, con la magia. Così, guarda. Scegli qualcosa.
Mi guardai un po’ intorno, poi rimasi imbambolata nell’ammirare il tramonto sulla città.
-     Quello. – sussurrai incantata.
-     Il tramonto? Accontentata.
Sussurrò qualcosa nell’antica lingua, e l’attimo dopo mi porse la tavoletta.                                             
  Su di essa era riprodotto il tramonto, esattamente com’era.
-     È … è meraviglioso. – mormorai. – Grazie …
-     Consideralo come un regalo di nozze. Una piccola scusa per averti rovinato la vita.
-     Non mi hai rovinato la vita.
Sospirò e scosse la testa, con un sorriso stanco. – Dimmelo dopodomani. Io vado a farmi un bagno.
E sparì nella stanza da bagno.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** A Morzan e Selena! ***


MORZAN
 
Non so quanto tempo rimasi nella vasca. Probabilmente mi ci addormentai anche, cullato dai profumi e dal calore dell’acqua, perché all’improvviso sentii la voce di Selena chiamarmi.
-     Senti, qui c’è un ragazzino che dice che dobbiamo andare! – mi chiamò. – Non so se …
-     Okay, arrivo. – mi riscossi e uscii dalla vasca, mettendomi un telo attorno ai fianchi giusto per non uscire come mia madre m’aveva fatto.
Appena uscii lei si voltò di scatto verso la finestra, come a volermi concedere privacy o come se si fosse già scandalizzata in precedenza nel pensare di vedere chissà che cosa.
Mi vestii in fretta, e cercando di trattenermi dal ridere, la chiamai. – Puoi girarti, sono vestito …
Annuì e si voltò.
Fu in quel momento che lo vidi.
Indossava un abito azzurro molto semplice, con uno profondo scollo a V, tenuto stretto in vita da un’alta cintura metallica d’oro e assicurato sulle spalle da spille che riprendevano il motivo della cintura. I capelli, tanto biondi da sembrare bianchi, erano stati acconciati in morbidi boccoli, e due ciocche intrecciate dietro la testa.
-     Stai … stai molto bene. – mormorai incantato.
 
Perché non stava solo “molto bene”.
Era la ragazza più bella che avessi mai visto.
Arrossì lievemente. – Grazie. – sussurrò.
Prova a dire che non la ami e ti brucio le chiappe, rise Dracarys.
Ho solo pensato che fosse molto bella!
Tu la ami, idiota.
Sospirai e le porsi la mano.
-     Andiamo?
Fece un piccolo sorriso e l’afferrò.
-     Andiamo.
 
 
-     Lord Morzan, Cavaliere di Dracarys, signore di Dras-Leona, e Lady Selena, la sua fidanzata!
Al suono degli applausi entrammo nel salone dei ricevimenti, scendendo la scalinata di marmo alla fine della quale ci attendeva il re.
-     Benvenuti, benvenuti, benvenuti! – sorrise tutto contento. – Lady Selena, con la vostra bellezza illuminate questa triste sala.
-     Grazie. – sorrise lei, arrossendo.
-     Ma prego, prendete pure posto, sono sicuro che troverete il cibo delizioso!
Annuimmo e ci sedemmo.
Di fianco a me avevo Glaerun, che non potevo nemmeno vedere da quanto mi irritava.
-     Ah, Morzan! – sorrise Glaerun. E lui era convinto che fossimo amici! – Vedo che finalmente ti stai per sistemare! L’ho sempre saputo, sai? Tu eri quello con la testa più a posto di tutti noi.
Accennai un sorriso e controllai Selena.
Scoprii che si era messa a chiacchierare vivacemente con Lady Amelia, una delle poche persone corrette e oneste e che mi stessero simpatiche in quel palazzo. Ovviamente di caccia.
-     Anche a voi piace cacciare? – fece Amelia scioccata. – Dobbiamo andare insieme, un giorno o l’altro! Che arma preferisci?
-     Arco. – rispose Selena. – Sono piuttosto brava. Tu?
-     Anch’io! Non ci posso credere! Senti. Dopodomani, andiamo nella riserva, prendiamo un po’ di animali e li facciamo cucinare!
-     Sarebbe fantastico!
Lì non potei trattenere un vero sorriso. Almeno aveva trovato una nuova amica, non sarebbe stata così sola.
Il mio sorriso si congelò quando la sentii esclamare, felicemente. – Ciao Enduriel!
Enduriel prese posto davanti a noi, stranamente senza nessuna ragazza al fianco.
Capii perché era venuto da solo appena si rivolse a Selena.
-     È un piacere rivederti. – le sorrise baciandole la mano.
Le piaceva.
A quello stronzo piaceva Selena.
Ma perché ne ero geloso? In fondo era solo mia amica.
Beh, Enduriel è un donnaiolo che le lascia appena ottenuto ciò che vuole. Non voglio che soffra. Sì, dev’essere così, pensai tra me e me.
Oh, certo, fece Dracarys ridacchiando. Continua pure a mentirti. La verità, amico mio, è che tu temi che Enduriel possa amarla veramente e che riesca a conquistarla prima di te!
Non è vero! È mia amica, non la amo in quel modo!
Se lo dici tu …
La nostra conversazione venne troncata da Selena, che mi tirò una gomitata nelle costole.
-     Che c’è … ah, sire. – dissi, rendendomi conto che il re mi chiamava.
-     Problemi in paradiso? – fece ridacchiando.
-     No, no … che succede?
-     Ti ho chiesto come tu e l’amabile Lady Selena vi siate conosciuti.
-     Ohm … eravamo entrambi in una taverna. – mentii. Sapevo che lui sapeva benissimo in quali circostanze l’avessi incontrata, ma mi stava ordinando di mentire per la nobiltà presente. – Mi è piaciuta e mi sono informato su chi fosse. Abbiamo parlato un po’, e poi lei ha deciso di venire con me.
-     Volete aggiungere qualcosa, mia cara? – si sporse verso di lei, guardandola come un rapace guarda la sua preda.
E ne sembrò intimidita.
-     No, signore. Ha … ha detto tutto.
-     Non mordo mica, tesoro. Non avere paura! – rise.
No, non mordeva. Si limitava a torturare e squartare gente, ma non mordeva.
Selena accennò un piccolo sorriso, annuendo, poi si concentrò sull’arrosto di cervo con contorno di verdure che aveva nel piatto.
Onestamente, lo faceva meglio lei.
Dopo quella domanda Galbatorix ci lasciò entrambi in pace, mentre si mise a chiacchierare con il Conte di Ceunon, padre di Amelia, Gorlois.
Selena, Enduriel e Amelia intanto si stavano mettendo d’accordo sul quando andare a caccia.
-     Vieni anche tu? – mi propose, gli occhi grigi brillanti d’aspettativa.
Che non me la sentii di deludere. – Quando?
Fece un gran sorriso. – Dopodomani pomeriggio.
-     Perfetto.
Mi sporsi un po’, controllando Anne.
Stava parlando con il Duca di Taurida, un uomo della sua età, e sembravano andare molto d’accordo.
-     Guarda tua nonna … - le sussurrai all’orecchio e anche Sel si sporse.
Quando vide sua nonna flirtare, si portò una mano alla bocca per nascondere il sorriso divertito.
-     Tre corone che si celebrerà un altro matrimonio. – mi sfidò.
-     Andata.
 
Un’ora dopo, Galbatorix dichiarò conclusa la cena. Ero convinto che sarebbe stata seguita da un ballo, come tutte le altre volte, ma sorprendentemente così non accadde.
-     La nostra serata insieme si conclude qui. – sorrise tutto contento. – Domani festeggeremo più a lungo, risparmiamo le nostre energie!
Un applauso coprì la sua voce, e quando poté continuare sollevò il calice dorato e tempestato di gemme. – Propongo un brindisi ai due fidanzati che domani uniranno le loro vite! A Morzan e Selena!
-     A MORZAN E SELENA! – gridarono tutti sollevando i propri calici e mandando giù litri d’alcol.
Nel dubbio, mi feci un goccetto anche io.
E poi tornammo in camera, sempre tenendo d’occhio Anne e Gorlois.
-     Mi piacerebbe ospitarti nel mio castello, una volta. – le disse orgoglioso. – Ha dei meravigliosi giardini.
-     Oh, non ne dubito. – rispose Anne. Sembrava radiosa. – Ma devo stare accanto alla mia nipotina, sai.
-     Viene anche lei, con il marito! È molto semplice, mia cara!
-     Oh, beh, se la metti così …
Selena minacciava di scoppiare a ridere, quindi le misi una mano sulla bocca e aumentammo il passo.
Appena chiusi la porta dietro di me, lei scoppiò a ridere come una matta.
-     Non ci posso credere! – sghignazzò tenendosi la pancia da quanto rideva. – Non è vero …
-     La cara vecchia Anne ha fatto colpo. – commentai ridacchiando.
Sospirò e cercò di ridarsi un tono. – Potrei usare il bagno? – chiese. – Dopo un giorno a dorso di drago …
-     Va pure. – la esortai e lei annuì, facendo un piccolo sorriso.
Sparì nel bagno, e ne approfittai per continuare il mio lavoro.
Mi sedetti alla scrivania e presi la penna e la pergamena.
“A Brom.
I Varden dovrebbero essere in grado di attaccare Melian. Ci sono guardie ad ogni porta della città, ma in quella regione sono molto più ribelli di qua. Di solito alla porta nord c’è sempre Trainor, lo conosco. È incline all’alcol e ai soldi, offriglieli e ti darà in mano la città. Il palazzo del governatore è la casa in centro, la più grande. Ha pochi soldati a proteggerla, quindi conquistarla dovrebbe essere facile. Avverti Deynor e gli altri. Dì a Derek di non muoversi dal nord, finché Galbatorix non lo considera una minaccia lui e la famiglia saranno al sicuro. Se le cose si mettono male, va da lui.”
Pensavo di concludere la lettera così, ma sentivo che c’era qualcosa che mancava.
Alla fine misi “PS: domani mi sposo con Selena”.
Poi però cancellai la frase, e prima di avere ripensamenti resi le parole scritte invisibili, scrissi in nero un semplice “venticinque botti di vino rosso, entro due settimane” e intestai la lettera a Jeod, che avrebbe saputo cosa fare.
Quando scrivevo “vino rosso” era per Brom, “birra” per Derek.
Misi la lettera in una busta, e la diedi a un messaggero.
-     Portala al mercante Jeod di Teirm. E vedi di fare in fretta. – lo minacciai.
-     Sissignore, Cavaliere!
Corse via, e io presi un cuscino, mettendomi sul divano sotto la finestra.
Per quella sera le avrei lasciato il letto tutto per sé.

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Capitolo 10
*** Puoi baciare la sposa. ***


SELENA
 
 
 
-     STREGA!
-     Tu non sei più mia figlia!
-     Vattene!
I volti di June, Cadoc e Garrow continuavano a vorticarmi intorno velocemente, urlandomi insulti e spintonandomi.
Improvvisamente al loro volto si aggiunse quello di Galbatorix, che con un ghigno tese le braccia per afferrarmi e trascinarmi nell’oscurità …
 
-     Sssh, basta, va tutto bene.
Non riuscii a calmarmi e rimasi tra le braccia di Morzan, il viso premuto contro il suo petto.
-     Era solo un sogno, non c’è niente di reale … - mormorò stringendomi e accarezzandomi i capelli.
-     Lo so …
Lo sentii sfiorarmi i capelli con un bacio, poi si sdraiò, portandomi giù con sé.
-     Adesso calmati. Non è successo niente, Sel, era solo un incubo. – mi rassicurò accarezzandomi la schiena.
Annuii.
Lo sapevo benissimo, ma non riuscivo a smettere di tremare come una foglia.
-     Non preoccuparti. – sentii la sua voce anche nella mia testa. – Resterò qui con te.
Cullata dal suo profumo e dalla sicurezza che il suo abbraccio mi infondeva, riuscii a scivolare di nuovo nel sonno.
 
 
-     Svegliati.
La voce della nonna mi riscosse dal sogno che stavo facendo, questa volta un sogno dolce e tranquillo.
-     Lady Selena, è tardi, dovete alzarvi … - la voce di una ragazza mi raggiuse.
-     ALZATI, PIGRONA!
Qualcuno spalancò le tende, e d’istinto mi rivoltai nel letto, affondando il viso nel cuscino.
-     Tra due ore dovrai dire sì, non hai tempo di poltrire! – fece la nonna. – Alzati!
Sospirai e mi alzai.
Davanti a me, oltre alla nonna e alla ragazza, c’erano tre donne.
Una di esse teneva in mano un lungo sacco bianco, nel quale doveva esserci il vestito.
-     Se volete accomodarvi, iniziamo a prepararvi, signorina. – disse una di esse, inchinandosi.
-     Non inchinarti … dov’è Morzan? – chiesi stranita.
-     Si è alzato prima di te ed è andato a prepararsi, che domande!
Annuii, in effetti era piuttosto ovvio.
Le tre donne mi spinsero in una stanza, dove c’era un grande specchio.
Mi fecero sedere su una sedia il cui schienale era reclinabile, e iniziarono a spennellarmi il viso con creme e polveri e a tirarmi i capelli.
A un certo punto, sentii che una di esse mi stava spalmando qualcosa di caldo sulla gamba.
E che poi ci appoggiava una striscia di stoffa, e capii cosa stava per fare un attimo prima che strappasse, e che urlassi.
Ceretta.
Ovviamente.
I matrimoni erano sempre una tortura simile? Eppure si diceva che il giorno del sì fosse il giorno migliore della vita di una donna … non è che il mio fosse iniziato tanto bene.
Due ore dopo, le tre aguzzine decisero che ero pronta.
-     È il momento … del vestito! – esclamò una di esse tirando fuori dal sacchetto bianco un abito.
Nel vederlo, rimasi ammutolita. 
Era bianco, senza spalline: il corpetto era aderente, ma la gonna morbida e voluminosa.
La stoffa era tutta ricamata a motivi floreali, e una sottile cintura di diamanti impreziosiva il tutto.
-     È … è … splendido … - sussurrai stupefatta.
Un abito così non l’avrei sognato nemmeno nei miei sogni più assurdi.
-     Mettiamolo, no?
Ci vollero quasi cinque minuti per indossarlo, tra aggiustamenti dell’ultimo minuto e tutto.
Ma alla fine, dovetti realizzare che la ragazza nello specchio ero proprio io.
Solo migliorata.
-     Allora, siamo pronti?
Quasi sussultai nel sentire la sua voce.
-     Enduriel? – feci stupita, mentre sorrideva.
-     Tuo padre e tuo fratello non si sono presentati. Ti serviva qualcuno, no?
Arrossii e dovetti trattenermi dal corrergli incontro e abbracciarlo.
Mi porse il braccio e lo strinsi, mentre mi accompagnava, con la nonna a fianco, fino alla sala del trono, dove si sarebbe svolta la cerimonia.
La porta era ancora chiusa, ma sapevo benissimo che dentro c’era tantissima gente.
-     Pronta? – sussurrò sorridendo.
-     Insomma …
Si voltò verso di me e mi appoggiò due dita agli angoli della bocca, sollevandoli.
-     Un bel sorriso, mi raccomando.
La nonna mi fece un sorriso orgoglioso: non eccitato o esuberante.
Contenuto, serio e fiero, come lei era.
Le trombe squillarono.
Era il segnale.
Le porte si aprirono mentre l’orchestra partiva con l’inno nuziale.
La folla si alzò in piedi e diedi un’occhiata alla gente presente: tutti nobili.
Più che gli uomini, controllai le donne: alcune mi guardavano meravigliate, altre con sufficienza, altre con rabbia.
Una di esse a vista mi sembrò particolarmente simpatica: era in prima fila e indossava un abito rosso.
Era molto pallida, e molto bella, con i capelli castani e lunghi fino a metà schiena, acconciati in due sottili trecce che si univano dietro decorate da fiori veri. Mi fece un sorriso.
Infine, vidi Morzan.
Era bellissimo: pantaloni e stivali aderenti neri, maglia bianca e mantello rosso. Il fodero di Zar’roc assicurato al fianco, e il mantello era decorato da una spilla dorata sulla quale era impresso il simbolo di un leone. Doveva essere il simbolo della sua casata.
Mi fece un piccolo sorriso d’incoraggiamento.
E arrossii.
Enduriel mise la mia mano nella sua, e fu allora che me ne accorsi: dietro a Morzan c’era un ragazzo di circa venticinque anni, vestito con abiti da cerimonia grigi e un mantello nero, fissato con una spilla argentata sulla quale era inciso un drago.
Aveva i capelli castani, con sfumature ramate, gli occhi color nocciola e un sorriso molto bello.
-     Amici carissimi. – declamò Galbatorix. – Siamo qui riuniti oggi per celebrare l’unione tra queste due anime. Chi testimonia per gli sposi?
Il ragazzo dietro a Morzan si fece avanti.
-     Morzan non ha più un padre né uno zio, quindi parlerò io a nome suo. Sono Derek, figlio di George, Re del Nord. Testimonio per il Cavaliere Morzan, Lord di Dras-Leona, Cavaliere di Dracarys e Sterminatore di Draghi.
Vidi Morzan stringere i denti a quell’ultimo appellativo.
-     E chi testimonia per la sposa?
Fu Enduriel a fare un passo avanti. – Selena non ha più una madre o una zia, quindi parlerò a nome suo. Sono Enduriel, Terzo dei Rinnegati, Cavaliere di Rhaenira, e testimonio per Lady Selena.
Galbatorix annuì.
-     E cosa portano gli sposi a suggello del matrimonio?
-     Morzan porta la sua spada. – disse Derek. – Porta il suo castello. Porta il suo patrimonio e le sue abilità militari, magiche e strategiche. Porta la promessa di una vita prospera e felice, senza timore o dispiacere alcuno.
-     Selena. – disse la nonna facendosi avanti, e vidi Galbatorix fremere nel sentirla. – Porta la sua ineguagliabile abilità di cacciatrice. Porta la sua abilità di cuoca. Porta il suo arco, il suo coltello e il suo cane da caccia Evandar. E una dote.
Nel sentire quella parola, mi stranii. June e Cadoc mi avevano diseredata.
Poi vidi Enduriel sorridere, e capii.
Quell’elfo era un vero amico.
Due ragazzini entrarono, reggendo un forziere dalle dimensioni spropositate.
Lo misero davanti al re e lo aprirono. Luccicava d’oro e pietre preziose.
-     I testimoni accettano i termini del matrimonio?
-     Sì. – disse Derek.
-     Sì. – disse la nonna.
-     Bene. – sorrise il re. – Morzan e Selena, con il potere conferitomi dalle divinità e dagli uomini, io, Galbatorix, Imperatore del Regno di Broddring, vi dichiaro uniti nel sacro vincolo del matrimonio.
E ora non si scappa più, pensai.
-     Puoi baciare la sposa.
Sentii Morzan posare delicatamente le mani sui miei fianchi, e subito dopo le labbra sulle mie.
Quel tocco non mi dispiacque affatto. Fu qualcosa di unico, e stupendo.
In qualche modo, mi destabilizzò. All’improvviso, non mi sentivo più io.
Ero come diversa.
Uno scroscio di applausi ci investì, con la folla che gridava i nostri nomi.
-     First Lady. – sussurrò Morzan con un mezzo sorriso.
-     Cavaliere. – gli risposi mentre mi prendeva la mano per affrontare la navata e raggiungere il giardino.
Era estate, e il sole splendeva alto nel cielo. Il ricevimento sarebbe stato all’aperto.
Uscimmo e iniziò il giro di presentazioni.
-     Oh, cara, come sono felice di conoscerti! Sono Willelmina.
-     Salve. – sorrisi un po’ tirata ad una donna con addosso un ridicolo vestito viola.
Continuammo a incontrare nobili e pseudonobili, finché Morzan non mi presentò Derek e la ragazza con l’abito rosso.
-     Derek e Miranda, re e regina del Nord. – disse.
-     È un piacere. – sorrisero entrambi.
-     Selena. – sorrisi. Questi sì che erano simpatici!
Lei era anche incinta, notai. Prossima al parto.
-     Non serve che tu dica niente. – disse Derek. – Sappiamo tutti.
Mi girai verso Morzan, per capire se il “tutto” a cui si riferiva fosse quello a cui pensavo.
Annuì.
-     Se vorrete, saremo lieti di ospitarvi a Winterhaal. – disse Miranda. – Non è grande come Uru’Baen, ma è un bel posto.
-     Senz’altro!
Morzan mi diede di gomito, indicandomi la nonna e Gorlois. Si erano seduti vicini e chiacchieravano fitto.
-     Tu li vuoi vedere sposati. – risi e per la prima volta da quando ero in quel posto vidi sul suo viso un sorriso vero.
-     Che mi sto perdendo?
-     Enduriel. – lo salutò con gelida deferenza.
-     ENDURIEL!
A momenti gli saltai addosso dalla felicità.
-     Tu sei matto! – lo sgridai. – Non so come ripagarti!
-     Era un regalo, bestiolina. – ridacchiò abbracciandomi. – Congratulazioni. Oh, sono Enduriel. Lieto di conoscerti …
-     Derek. Piacere mio. – rispose Derek, meno algido di Morzan ma comunque sulle sue.
-     Mia signora. – si inchinò verso Miranda, e notò la pancia. – Speriamo sia un maschio.
-     A noi va bene tutto. – rispose felice. – Maschio, femmina, non vedo dove sia il problema. A chiunque ci sia qui dentro andrà il Nord.
-     E al secondogenito, se posso permettermi?
-     Il secondo di solito avrà il controllo su Northern Harbour. – disse Derek, mentre iniziavano a conversare.
-     E gli altri figli?
-     La legge conta fino ai cinque: al terzo, quarto e quinto verranno assegnate le contee principali.
-     Capisco. – fece Enduriel. – Ma i ruoli a corte?
-     Preferiamo che seguano le loro inclinazioni naturali. Per esempio, mio zio ha deciso di fare il medico, e non è entrato nell’esercito. In generale, se sono maschi avranno ruoli nell’esercito: il primo sarà l’assistente del primo ufficiale, così che impari bene, il secondo primo ufficiale della flotta, e gli altri tre saranno gli assistenti dei capi delle principali legioni. Poi, ne diventeranno i capi a loro volta.
-     E se sono femmine?
-     In linea generale, apprendono l’arte della diplomazia e diventano ambasciatrici. In generale.
-     Mi sembra un metodo molto intelligente. – dissi meravigliata e completamente d’accordo. – Ognuno dev’essere libero di essere chi è davvero.
-     Sì, ma soprattutto Derek, vero? – lo sfidò Morzan con un ghigno. – A fare il Cavaliere, figo solo lui.
-     Piantala, sapientino. – lo rimbeccò.
-     Non ero un sapientino, ero solamente …
-     Un sapientino. – commentò l’amico, facendogli alzare gli occhi al cielo.
-     Cos’ho fatto per meritarmi questo tormento?!
Continuammo a chiacchierare ancora un po’, prima lì e poi a tavola, finché non scesero la sera e il fresco: a quel punto ci spostammo dentro, dove l’orchestra aveva già iniziato a suonare.
-     Posso avere l’onore? – sorrise Morzan prendendomi la mano.
-     Penso di sì, ma non ne sono sicura.
Sospirò e mi portò dolcemente accanto a sé.
-     No … - protestai.
-     Perché?
-     Non so ballare! – gli sussurrai all’orecchio, viola d’imbarazzo. Tutti avevano già iniziato, e anche se facevano finta di niente sapevo che ci stavano guardando.
-     Non preoccuparti e affidati a me. – mormorò e posò la mano sul mio fianco.
In un attimo, stavo ballando come una vera principessa.
-     Non è possibile … - mormorai stupita.
Ridacchiò e mi sollevò in aria, facendomi compiere un giro completo, per poi rimettermi giù.
Non so per quanto tempo rimanemmo lì a ballare. So solo che a un certo punto la musica divenne sempre più lenta, inducendomi una sonnolenza assurda. Morzan mi stringeva, e fu facile appoggiare il viso alla sua spalla e iniziare a sonnecchiare.
-     Okay. Per te la serata è conclusa qui. – lo sentii ridacchiare.
Solo in quel momento notai che tutti se n’erano andati e che mi aveva presa tra le braccia.
Alla fine mi addormentai in braccio a lui prima ancora di arrivare in camera.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Caccia ***


MORZAN
 
 
 
Quando mi alzai, il mattino dopo, la prima cosa che vidi fu Selena, che dormiva tenendo ostinatamente stretto il cuscino.
I capelli biondi sembravano il nido di un drago da tanto erano incasinati ed era quasi sepolta viva sotto le coperte.
Nel complesso, era bellissima.
Stranamente quella notte non avevo avuto incubi, e avevo dormito come un bambino.
Il miglior sonno che avessi fatto da cent’anni a quella parte.
Sfiorai la mente di Dracarys, ma scoprii che era ancora addormentato profondamente.
Sospirai e presi a guardare il baldacchino del letto, annoiato.
Per fortuna il mio tormento si concluse presto, quando Selena brontolò e aprì gli occhi.
Istintivamente si portò una mano al viso per ripararsi dalla luce, ma le tende erano ancora chiuse, e tirò un sospiro di sollievo.
-     Meno male. – mormorò liberandosi un po’ dalle coperte e ributtandosi sul cuscino. – Come fa ad essere così dannatamente comodo?
-     Piume d’oca. – risposi semplicemente.
-     E quante oche avranno spennato per fare il materasso e i cuscini?
-     Cinquanta. Cento. Non ne ho idea.
Storse il naso, e mi guardò. – Sei di malumore?
La sua domanda mi confuse.
Sembravo di malumore.
-     No, perché?
Si mordicchiò il labbro. – Sembri arrabbiato.
-     Nah. Ero solo un po’ annoiato … ma adesso faccio portare la colazione.
-     Non fa niente, posso andare a prenderla io …
-     Perché, quando c’è qualcuno che ha uno stipendio per farlo? – sospirai e tirai la corda appesa al muro.
Subito dopo, un maggiordomo di cui non conoscevo il nome entrò.
-     I signori desiderano? – chiese ossequiosamente.
-     Potresti portarci la colazione, per favore? – domandò Selena con una purezza ed una gentilezza che fecero strabuzzare gli occhi all’uomo.
Sospettavo che non avesse mai sentito parole tanto gentili.
-     Ma … ma certo, milady … che cosa preferite?
-     Va bene quello che c’è. Vero? – si voltò verso di me, come a chiedere l’approvazione.
-     Sì, sì, fa tu.
-     Ma … Lady Selena, potete scegliere! – disse il maggiordomo, totalmente preso in contropiede dai suoi modi.
Selena sembrò in difficoltà, dato che molto probabilmente non aveva mai avuto la possibilità di scegliere cosa mangiare.
-     Ci porti una colazione completa. – dissi salvandola dalla situazione. – Sai quale intendo?
Il maggiordomo annuì, con ritrovata sicurezza.
-     Lo so benissimo, signore. Sarà pronta in quindici minuti.
Uscì, richiudendosi la porta alle spalle con portamento fiero.
Selena sospirò, gonfiando le guance come uno scoiattolo e buttando fuori tutta l’aria.
Al che non riuscii a trattenermi e scoppiai ridere. Aveva un’espressione troppo buffa …
-     Che ho fatto? – protestò.
-     La tua faccia …
Sentii le lacrime scendermi dagli occhi tanto ridevo.
A un certo punto finii per terra, e ormai non usciva più nessuna risata dalla mia bocca, perché non avevo più fiato …
Un cuscino mi arrivò dritto in testa.
-     Ecco, ben ti sta! – rise lei.
Forse quello riuscì a calmarmi, perché dopo cinque minuti smisi di ridere. Più che altro perché mi doleva la pancia, da tanto avevo riso.
Tornai a letto, sedendomi accanto a lei.
Mi guardò con un’aria maliziosa, e fece per rigonfiare le guance per farmi crollare in un altro accesso di risate.
Solo che ormai mi ero fatto furbo contro i pericoli che correvo con quella ragazza, e mi voltai dall’altra parte. Per stare sicuro misi la testa sotto al cuscino.
Aspettai almeno cinque minuti, poi riemersi.
-     Cos’è una colazione completa? – chiese incuriosita.
-     Roba buona. Molto buona. – rimasi volutamente sul misterioso, per farla rodere d’aspettativa.
-     Daiii … - si lamentò.
-     Tu mi hai fatto ridere apposta? E io mi vendico. Morzan il Terribile si sarà guadagnato il soprannome per un motivo, no?
Rise, poi scosse la testa. – Non mi sembri poi così terribile.
Ti concedo due settimane libere, disse Galbatorix alla mia mente. Dopodiché tornerai in servizio.
Sissignore, risposi.
-     Tutto bene? Ti eri perso. – commentò.
-     No, era … solo il re.
-     Che voleva?
-     Mi ha dato due settimane libere. Non vedevo due settimane libere da almeno cinquant’anni. – feci stupito. Anzi, più che altro non vedevo giorni liberi da almeno cent’anni.
-     E cosa farai per due settimane? – chiese.
-     Cosa faremo. – precisai. Ormai eravamo marito e moglie, e avevo tutte le intenzioni di onorare le promesse fatte meno di ventiquattr’ore prima. - Domani partiremo per Dras-Leona: a dorso di drago sono circa due ore di volo, ma se vuoi possiamo andare anche a cavallo.
-     No, no. – rispose. – Il drago va bene. E una volta lì?
-     Ti farò conoscere i domestici, vedere il castello, e poi potremo fare quel che vogliamo. Compreso andare a caccia. – aggiunsi e un sorriso le illuminò il volto già splendente.
Iniziò a tempestarmi di domande su che genere di animali ci fossero sulla Dorsale a Dras-Leona, finché il maggiordomo non bussò.
-     La colazione, signore. – disse entrando.
Dietro di lui, due camerieri con due vassoi in mano.
Li misero sulla cassapanca ai piedi del letto, e uscirono.
-     Spero sia tutto di vostro gradimento, signore. Milady. – fece il maggiordomo, inchinandosi e chiudendo le porte.
Andai a prendere i vassoi, coperti da un telo di cotone bianco.
-     Che profumo … - mormorò lei inspirando a pieni polmoni. – Qua mangiate fagioli e carne per colazione?
-     Non solo. – feci un sorriso e alzai i teli, e il suo sguardo s’illuminò.
Davanti ai nostri sguardi c’erano salsicce, bacon, fagioli in salsa di pomodoro, pomodori al forno, pane tostato, uova …
-     Noooo. – esclamò meravigliata. – Ingrasserò in due giorni!
Più che ingrassare, sarebbe tornata nel pesoforma, pensai.
Ma alla fine non lo dissi.
 
 
 
-     Era ora. – commentò Enduriel quando raggiungemmo lui e Amelia alle stalle, da dove sarebbe partita la caccia. Aveva un sorrisino malizioso che mi fece venire voglia di spaccargli la faccia. – Notte di fuoco?
Selena sospirò, scuotendo elegantemente la testa.
Io mi limitai a lanciargli un’occhiataccia.
-     Allora è vero! L’avete fatto! – rise.
-     Sta zitto. – ringhiai puntandogli Zar’roc alla gola.
-     Okay, okay. Non avete fatto sesso. – sbuffò alzando le mani in segno di resa.
-     Enduriel, sai che siamo solo amici. – gli disse Selena. – Non l’avremmo fatto comunque.
Quel “solo amici” … non lo so.
Non mi fece sentire esattamente d’accordo con lei.
-     Scusa, bestiolina. – commentò lui.
E non mi piaceva quel soprannome che le aveva messo. Bestiolina … era fin troppo tenero e confidenziale.
Selena però non sembrò dargli peso e saltò sul cavallo, sistemandosi meglio l’arco e la faretra sulla schiena.
-     Allora? – commentò inarcando un sopracciglio. – Pensavo che i Cavalieri fossero veloci. Evidentemente gli anni vi hanno rammolliti.
-     Potrei batterti a piedi. – la avvisai.
Un sorrisetto pericoloso le affiorò sulle labbra, e in un attimo aveva spronato il cavallo al galoppo.
Sapendo di non potermi esimere, iniziai a rincorrerla a piedi. Sentii Amelia ed Enduriel correre anche loro, l’una a cavallo, l’altro a piedi.
In un attimo, Enduriel mi raggiunse, e fece un sorrisino.
-     Che vinca il migliore. – ridacchiò.
-     È già mia, stronzo! – gli ricordai.
Selena non era mia, ma era meglio farglielo credere.
Anche solo per il gusto di vederlo rosicare.
 
 
 
Alla fine tornammo al castello con un ricco bottino, che includeva un cinghiale, un cervo e dieci conigli.
E il cinghiale l’aveva abbattuto Selena, piazzandoglisi davanti mentre il mostro la caricava e scoccando un’unica, letale, freccia nel suo occhio.
Non aveva vacillato nemmeno un secondo. Era saltata giù dal ramo dell’albero, gli si era messa sulla strada, e come se nulla potesse toccarla aveva incoccato e scoccato.
E abbattuto l’animale.
Tutta la compostezza era poi svanita, perché aveva fatto un salto gridando “YU-UH!” e iniziando un balletto di vittoria.
Enduriel, dato che era quello che aveva preso di meno, era stato incaricato di portare i conigli, mentre il cervo e il cinghiale li avevamo fatti volare con la magia, e ci seguivano fluttuando nell’aria.
-     Per tutti i diavoli! – fece il cuoco vedendo tutto quel ben degli dei. – Chi ha abbattuto quella bestia?
-     Io! – saltò su Selena orgogliosissima. – Sono stata io!
-     Dei del cielo! – esclamò stupito. – Siete per caso progenie di Rhaenys, dea della caccia?
Selena arricciò le labbra. – Più che altro so come portare a casa pelle e cena. Potresti cucinarlo?
-     Ma certo, milady … a voi il taglio migliore!



 
 
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 Padella a tutti!
Sono tornata! Cosa ve ne pare della storia e della coppia? Ditemelo in una recensione!

 

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Capitolo 12
*** Segreti nascosti ***


SELENA
 
 
 
Ormai erano due giorni che eravamo al castello, ed era qualcosa di meraviglioso.
La prima volta che l’avevo visto ero rimasta a bocca aperta, soprattutto per il giardino: non immenso tanto quanto quello di Uru’Baen, ma altrettanto bello e curato.
La nonna non era venuta, a quanto pare Gorlois l’aveva invitata al suo palazzo e lei aveva accettato, e mentre noi andavamo a ovest, lei andava a nord.
Dato che era estate, avevo passato le due precedenti giornate nel giardino, e Morzan era stato con me tutto il tempo, aiutandomi a estirpare le erbacce.
Quando avevo visto in che condizioni era il roseto, ero rimasta basita.
Pieno di erbacce! Così mi ero seduta e avevo iniziato a tirarle via, e non mi ero mossa fino a quando non mi era stato detto che la cena era pronta.
-     È proprio necessario? – sbuffai mentre una parrucchiera aveva deciso di torturarmi.
-     Mia signora, certo che lo è!
-     Sì, ma non è che questa impalcatura mi piaccia poi così tanto …
-     Nessun problema. Cambiamo tutto.
Smontò l’impalcatura che mi aveva costruito in testa e sciolse i miei capelli.
-     Cosa desidera?
-     Qualcosa di semplice.
-     Non dica altro.
Si rimise a fare un’impalcatura, e stavolta lasciai che finisse.
-     Grazie, puoi andare …
Non appena uscì, mi tolsi tutta quella roba e tornai alla mia vecchia cara treccia, fissando il solito ciuffo ribelle con il giglio di Morzan.
Indossai un abito verde leggero, adatto al clima, e tornai in giardino, pronta a continuare il mio lavoro di estirpazione.
Passai però prima dal giardiniere, chiedendogli dei guanti e degli attrezzi.
Mi piaceva, il giardiniere. Era un anziano signore di circa settant’anni, con la pelle cotta dal sole e con rughe d’espressione intorno agli occhi, quelle di chi sorride spesso. Aveva una barba bianca molto curata.
Bussai alla casetta di legno dove di solito stava con gli attrezzi, ma mi aprì un ragazzo di circa venticinque anni.
Aveva gli occhi di un castano penetrante, lo stesso colore delle sopracciglia e degli occhi: la pelle era abbronzata e solcata da rughe d’espressione leggere, ma a differenza di quelle del giardiniere, erano un misto di felicità e tristezza.
Il naso era aquilino, ma contribuiva a dare carattere al suo viso, così come le labbra sottili.
-     Ciao. Di cosa hai bisogno? – chiese con un sorriso allegro, e sinceramente quel “ciao” portò una ventata d’aria fresca.
Gli unici a non salutarmi formalmente erano Morzan, Enduriel e Amelia: ma gli ultimi due erano lontani.
Tutti gli altri continuavano a dire “milady”, “mia signora” e cose così.
-     Devo estirpare elle erbacce. – dissi. – Dalle rose che crescono là.
-     Posso farlo io, se desideri.
-     No, ci penso io. Però se vuoi puoi darmi una mano. A proposito, chi sei?
-     Brom. – rispose. – L’assistente di Ronald, il giardiniere. E tu saresti?
-     Selena. La moglie di Morzan.
-     Oh. Piacere di conoscerti. Allora, andiamo?
-     Perfetto.
Scrollò le spalle e si strinse in vita una cintura con delle tasche, nelle quali c’erano degli attrezzi. Palette, rastrelli … tutto.
-     Vuoi anche piantare qualcosa? Ho un po’ di semi e bulbi da parte, se ti va.
-     Sarebbe fantastico!
Ci avviammo verso le rose, ma a metà strada incontrammo Morzan.
-     Morzan!
-     Brom!
Li vidi stringersi la mano e a quel punto strabuzzai davvero gli occhi.
Un nobile e un giardiniere che si salutavano come amici di vecchia data?
-     Non ti scandalizzare. – rise Morzan. – Siamo amici da parecchio tempo.
Brom annuì. – Jeod mi ha mandato la lettera. Perfetto. Li ho avvisati.
-     Hai avvisato chi?
-     Nessuno. – risposero entrambi.
Al che mi insospettii, e decisi che in un modo o nell’altro avrei scoperto con chi quei due tramassero.
Anzi, quei tre, dato che Brom aveva fatto nome di un certo Jeod.
 
 
 
Io, Morzan e Brom passammo il pomeriggio a piantare ed estirpare, senza paura di sporcarci mani o vestiti.
E urlando dietro a Evandar, che aveva stretto amicizia con i cani di Morzan e gli aveva infuso una buona dose di indisciplina, istigandoli a scavare buche nel terreno.
Eravamo talmente felici e spensierati che non ci eravamo resi conto che il sole era calato da un pezzo, e che ormai stavamo lavorando solo con la luce data dagli ultimi raggi del tramonto.
-     Penso sia ora di andare. – commentò Brom stringendo gli occhi per vederci meglio.
-     Sì, mi sa hai ragione. – gli fece eco Morzan. – Vuoi mangiare con noi?
-     Temo di non poter accettare il tuo invito, ho un appuntamento che non posso tralasciare. – disse con aria maliziosa.
Morzan rise, scuotendo la testa. – Ci sono già abbastanza bambini qui. Non mettertici anche tu, non credo di essere in grado di sopportare sia te che un mini Brom frignone e con il moccio al naso.
Brom scoppiò in una risata rauca, e si alzò, pulendosi le mani sui ruvidi pantaloni.
-     Ci vediamo domani, miei signori eccellentissimi. – ci prese in giro bonariamente.
-     E tu va a lavorare, schiavo! – rise Morzan.
Guardammo Brom allontanarsi, poi Morzan si alzò, porgendomi la mano che afferrai volentieri.
-     Andiamo? – sorrise.
Annuii e andammo in casa, in silenzio.
 
 
 
 
 
-     Ecco qui, miei signori. – disse il maggiordomo del castello mentre i camerieri portavano in tavola le pietanze.
Quella sera evidentemente ci saremmo tenuti leggeri: pastina e bollito, con contorno di verdura cotta.
Di sicuro la scelta migliore, dopo tutto il cibo che avevamo mangiato ad Uru’Baen.
-     Spero ti piaccia. – fece Morzan.
-     Va benissimo. – sorrisi cercando di rassicurarlo, dato che sembrava imbarazzato.
Un’altra cosa che mi aveva sorpresa era il fatto che, nonostante la sala da pranzo fosse dotata di un tavolo lunghissimo, non ci eravamo seduti ognuno a capotavola. Anzi, Morzan mi aveva invitata a sedermi di fronte a lui, sui lati del tavolo.
Tutto il cibo era ottimo, e i camerieri ci servirono sia vino che acqua, che usai per allungare il primo. Aveva un buon sapore, ma sapevo molto bene che il vino era una bevanda ingannevole.
-     Brom è simpatico. – iniziai a mettere in atto il mio piano per estorcergli delle informazioni su con chi lui e Brom stessero collaborando.
Annuì.
-     Sembrate molto amici … - continuai.
-     Lo siamo. – disse, squadrandomi un attimo.
Mi sembrò di vedere un mezzo sorriso sul suo viso, ma non ci feci molto caso.
-     Da quanto vi conoscete?
-     Circa cent’anni. – commentò.
-     Oh. E cos’avete fatto per cent’anni? – chiesi.
Scoppiò a ridere, tanto che non riuscì a smettere.
-     Tu vuoi che ti dica con chi collaboriamo. – disse puntandomi il dito contro, ridendo ancora.
-     Non è vero.
-     Oh, invece sì, non provare a mentirmi.
Sbuffai e incrociai le braccia, irritata.
-     Chiederò a lui, allora.
-     E non ti dirà niente.
-     Allora a Derek. – ghignai. – Scommetto che lui lo sa.
Morzan non rispose.
Derek sapeva.
-     E se Derek non parlerà, chiederò a Miranda. – lo minacciai. – Lei lo saprà.
-     Devi restare fuori da questa storia. – disse, sorprendentemente serio. Sembrava arrabbiato, o forse preoccupato. Gli occhi lampeggiavano, gelidi come l’acciaio. – Hai capito? Non sono cose che ti riguardano, e se venissi a saperle potresti farti molto male. Né io né Brom te le diremo, quindi smettila di fare domande, non ti porteranno a niente. Lascia perdere.
Lasciandomi completamente sconvolta, prese e se ne andò, senza nemmeno finire di mangiare.




 

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Capitolo 13
*** La Mano Nera ***


MORZAN
 

 
Non avrei dovuto credergli.
Due settimane di ferie … ma quando mai.
Nemmeno tre giorni.
La stessa sera della “lite” con Selena, mi aveva contattato tramite lo specchio magico, ordinandomi di andare a combattere alcuni ribelli alle Pianure Ardenti.
E quindi, avevo dovuto prendere e andare, sperando che Selena mi avesse ascoltato e non si mettesse a cercare di scoprire il segreto della mia collaborazione indiretta con i Varden.
Sospirai, versandomi un po’ di vino nel calice. Ormai era sera, e la battaglia sarebbe ripresa la mattina dopo.
Bevvi, godendo del calore della bevanda nella gola e della sensazione di leggerezza che mi dava.
Come se tutta l’ansia e l’adrenalina che mi scorrevano nel corpo potessero essere cancellati con un colpo di spugna.
In pochi minuti l’alcol iniziò a fare effetto, calmandomi i nervi.
Presi lo specchio e mi concentrai sull’immagine di Selena, divinandola.
A quel punto, nel vedere con chi era, impallidii.
Galbatorix aveva lasciato Uru’Baen e aveva raggiunto il mio castello, ed era con lei.
Subito aggiunsi all’incantesimo la modifica per permettermi di sentire cosa dicessero.
-     Sono giunto a conoscenza del fatto che tu possieda poteri magici … fuori dalla norma. – le disse in tono mellifluo.
Lei era seduta, e lo guardava con un viso impassibile, ma nei suoi occhi grigi si leggevano preoccupazione, rabbia e ansia.
-     Niente che possa eguagliare voi o i vostri Cavalieri, mio signore. – disse.
-     Questo è certo. Ma ho visto nella mente del mio amico certe cose che sai fare … sarebbe interessante insegnarti.
-     Perdonatemi, sire, ma non sono interessata nelle arti magiche.
Il re la guardò intensamente, un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi.
Un urlo acuto riecheggiò nella stanza, mentre la colpiva con la magia.
Dracarys, preparati a partire.
Non arriveremo mai in tempo …
NON M’IMPORTA!
Questo non l’avrei tollerato.
-     Non pensare di rivolgerti a me così, ragazzina. Sarai anche la donna più potente del regno, ma in confronto a me non sei nulla. – sibilò afferrandola per i capelli e portando il suo viso all’altezza del suo. – Sei bella e intelligente, e dotata di arti magiche. Sarai la mia spia.
-     Non voglio! – protestò.
-     Giura fedeltà. – le ordinò.
-     MAI!
La follia baluginò negli occhi di Galbatorix mentre salivo sulla groppa di Dracarys. Battaglia o no, dovevo proteggerla.
-     Molto bene. Guardie!
Dei soldati in nero entrarono nella stanza, con due neonati tra le braccia.
Il labbro inferiore di Selena tremò, intuendo cos’avrebbe fatto il re se lei non si fosse sottomessa.
-     Guardali bene, cara. Sono due neonati, hanno appena poche ore di vita, tutta una vita davanti … sarebbe un peccato se le tue scelte ricadessero su di loro.
-     No … - sussurrò lei. – Non puoi …
-     Gettatela nelle segrete. Ha un giorno di tempo per pensarci bene. Se dirà di no, uccidete i bambini, mostratele le conseguenze della sua scelta e fate che sia lei a riconsegnarli alle madri. – sentenziò.
-     NON PUOI METTERMI IN PRIGIONE! NON HO FATTO NIENTE! – gridò disperata, le lacrime che scendevano incessantemente sulle guance.
Galbatorix le fece un sorrisetto. – Impediscimelo. Usa la magia, e i bambini verranno uccisi ora.
Le labbra le tremarono, ma alla fine cedette.
Alzò la testa con nobiltà, raddrizzò la schiena e si scrollò di dosso le guardie.
-     Conosco la strada, grazie. – sibilò, e prese la strada per il seminterrato, dove c’erano le prigioni.
-     Seguitela. – fece Galbatorix. – Non vorrei che scappasse.
-     Sissignore, Maestà.
Le guardie fecero per riprenderla, ma lei scattò, fissandoli con tanta rabbia che non osarono toccarla.
Alla fine scelse una cella, si sedette e lasciò che le guardie chiudessero.
Il suono delle chiavi nella serratura fu l’ultima cosa che sentii, prima che le forze mi prosciugassero.
 
 
 
 
 
 
-     Ah, Morzan! Già sconfitti i ribelli? – sorrise Galbatorix, seduto sulla mia sedia, nel mio castello.
-     Lasciala andare.
Sollevò le sopracciglia, stupito dalla mia presa di posizione.
-     Quindi sai tutto.
-     Ho assistito alla scena, l’ho divinata. Lasciala andare.
-     Pensi di potermi dare ordini?
-     Per favore. – cercai di essere più gentile, ma il re non sembrò demordere.
-     Non ti devo alcun favore, mi pare. Tuttavia … potrei scendere a patti. Sai che la voglio come spia. Ebbene, potrei decidere che non dovrà giurare fedeltà a me.
Sospirai di sollievo.
-     Giurerà nei tuoi confronti.
-     Cosa? – la mia voce uscì debole, tanto era lo stupore.
-     Sarà la tua spia. Tu sei il mio servo, quindi sarà come se fosse mia. Certo, sarà un po’ più scomodo, dovrò riferirti gli ordini da darle invece che comunicarglieli io stesso, ma andrà bene. Guardie! Scarcerate la ragazza.
Vidi le guardie andarsene, e provai a ragionarci.
-     Senti, lei non è davvero così intelligente e brava con la magia. – mentii. – Potrei aver preso un abbaglio, o aver esagerato … non sarebbe brava come spia. Non sa tenere i segreti e non ha interesse nello scoprirne, andrebbe a finire che farebbe male il lavoro e l’Impero ne risentirebbe … davvero, non hai bisogno di lei. E poi è giovane, poco più che una bambina …
-     Lascia a me decidere. Ah, eccoti qui, mia cara!
Batté le mani, mentre Selena entrava, scortata dai soldati.
L’espressione del suo viso era completamente neutra. Anche nei suoi occhi non c’era niente.
-     Ma su, Morzan, raggiungi tua moglie, rassicurala sulle tue condizioni! – sbuffò il re. – Devo dirti tutto io?
La raggiunsi, abbracciandola.
Dopo qualche attimo, la sentii ricambiare dolcemente.
-     Scusa. – sussurrò impercettibilmente.
-     Mi dispiace. – riuscii solo a dirle.
E mi dispiaceva per tutto: per averla trattata male durante la cena e per aver indotto il re a costringerla a giurarmi fedeltà.
-     Vieni qui, mia cara … ho pensato di rivedere i termini del nostro accordo. – sorrise.
-     Noi non abbiamo alcun accordo. – disse lei.
Il re inarcò un sopracciglio.
-     La tua indisciplina non conosce confini, ragazzina. Devo punirti io o lo lascio fare a Morzan?
-     Non ti giurerò mai fedeltà.
-     Non la giurerai a me. – sorrise malevolo. – Bensì a tuo marito.
-     Mi sembrava di avergli già promesso fedeltà durante il matrimonio. – ringhiò lei.
-     Devi rivolgerti con più grazia al tuo re quando parli. – la rimbeccò. – Morzan, colpiscila.
Cercai di oppormi.
Dopo due secondi che non avevo obbedito all’ordine, lo sentii prendere il controllo della mia mente.
Lottai.
Lottai fino allo stremo, ma non ci fu niente da fare.
In un attimo aveva preso il controllo del mio corpo e avevo schiaffeggiato Selena con tanta forza da mandarla a terra.
Non emise un lamento, rialzandosi subito.
Sulla sua guancia iniziava già a formarsi un livido violaceo.
Mi dispiace così tanto …
La voglia di stringerla e chiederle perdono era tanta.
Ma l’occhiataccia del re, del genere “non muoverti o con il prossimo colpo la ucciderai” mi convinse a star fermo.
Distolsi lo sguardo da lei, per evitare di vedere i danni del mio operato.
-     Ti ricordi cosa sarebbe successo se non avessi obbedito? – le ricordò il re.
-     Sì.
-     Bene. Hai preso una decisione?
Fece per parlare, ma le guardie entrarono con i due neonati in braccio e dei pugnali puntati alla loro gola.
-     Li uccideranno pezzo per pezzo se la tua risposta sarà sbagliata. – la avvisò. – A te l’onore di ricomporli e dare le salme alle loro madri. Quindi, Selena, fa la tua scelta.
Trascorsero cinque minuti, durante il quale lei e il re si fissarono con occhi di fuoco.
Ma alla fine, il bastardo vinse anche su di lei.
Si inginocchiò, e nell’antica lingua disse. – Io, Selena di Dras-Leona, moglie di Morzan il Terribile, Cavaliere di Dracarys, signore di Dras-Leona e Cavaliere del re, gli giuro fedeltà incondizionata, da questo giorno fino al mio ultimo.
Le uniche parole che mai avrei voluto sentire da lei.
Sentii la sua essenza vincolarsi alla mia in un legame ancora più stretto del matrimonio.
Un sorriso illuminò il volto di Galbatorix.
-     Morzan?
Cercai di tener chiusa la bocca.
Ma non potei.
-     Accetto il tuo giuramento. – dissi il più in fretta possibile.
Il sorriso sulla faccia del re si allargò.
-     Ed ora, Selena di Dras-Leona, rialzati come la Mano Nera.

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Capitolo 14
*** Forse al leone hanno tagliato la criniera. ***


SELENA
 
 
Sospirai, fissando la collana che Galbatorix mi aveva dato.
Una semplice catena, con un ciondolo nero sul quale c’era una guizzante fiamma rossa.
Era una catenina sottile, che avrei potuto spezzare in un attimo, ma aveva il peso di mille catene di un’ancora.
-     Mia signora … - una ragazza entrò e si mise a sciogliermi i capelli e a pettinarli.
La lasciai fare.
Ero troppo stanca per mettermi persino a litigare.
Nemmeno schiava di Galbatorix, ma di Morzan.
Di mio marito.
Improvvisamente, i colpi di spazzola si fecero più leggeri, come se fosse qualcun altro ad impugnarla.
-     Non preoccuparti, non ho intenzione di ucciderti.
Fu Morzan a parlare.
Con una mano reggeva i miei capelli e con l’altra li spazzolava.
-     Non è necessario, posso fare da sola.
-     Davvero, non è un problema …
-     Lasciami stare! – gridai a quel punto, voltandomi di scatto e cogliendolo di sorpresa.
Fece qualche passo indietro, poi avanzò verso di me, sfiorandomi il braccio.
-     So che la giornata ti ha sconvolta. – tentò un piccolo sorriso. – Hai dovuto compiere una scelta terribile.
-     Facile per te dirlo. – sibilai. – Tu lo servi, quell’uomo. Sei il suo migliore amico. Non sai cosa sia dover sottostare al suo regno.
Improvvisamente il suo viso si trasfigurò.
Divenne la maschera della rabbia più nera, una rabbia talmente profonda che mi fece paura.
-     Non osare mai più dire una simile cosa. – ringhiò. – Non permetterti un’altra volta.
-     Ma certo, padrone. – lo elogiai ironicamente.
-     Non chiamarmi così.
-     Perché no? Sono sicura che gliel’hai proposto tu. Ho fatto qualche domanda di troppo, e hai deciso di tenermi al guinzaglio!
-     Non è vero! – urlò. – Non l’avrei mai fatto, Selena, e lo sai benissimo! Tu devi solo stare zitta. – sibilò. – Sei una ragazzina, e non sai niente di me, quindi non provare a giudicarmi, o la prossima volta finirai nelle stalle.
-     È una minaccia?!
-     È un’informazione. – ringhiò.
-     Benissimo. – lo sfidai con lo sguardo e feci per andare verso la porta.
Come pensavo, mi sbarrò il passaggio.
-     Cosa stai facendo?
-     Vado nelle stalle.
-     Non provarci.
Sollevai le sopracciglia. – Impediscimelo.
Una luce gelida gli brillò negli occhi.
Sussurrò qualcosa, e non potei muovere un altro passo.
Non era solo un impedimento magico, con Galbatorix li avevo sperimentati non meno di ventiquattro ore prima.
Era come se non potessi nemmeno pensare di muovermi.
E li capii.
Aveva utilizzato il controllo che ora aveva su di me.
Quello mi sconvolse.
Ero convinta che, pur avendo un tale potere su di me, non l’avrebbe mai utilizzato.
E invece … invece mi ritrovavo schiavizzata, imbrigliata nel suo volere.
-     Smettila. – gli intimai.
-     Impediscimelo. – un sorriso sarcastico gli increspò le labbra, e l’impulso di prenderlo a pugni fu semplicemente troppo.
-     LASCIAMI ANDARE! – urlai, e all’improvviso sentii la magia invadermi.
Dalle mie mani si liberarono raggi di luce bianca, che lo colpirono in pieno petto mandandolo contro la parete.
Per fortuna, atterrò sul letto, rimbalzando e volando per terra.
Quella scena (vederlo rimbalzare almeno due volte per la forza del colpo) cancellò ogni rabbia che avessi provato, e scoppiai a ridere di una risata incontrollabile, tanto che iniziai a sentire i muscoli del ventre dolermi.
-     Che ti ridi tu? – si lamentò. – Io soffro e tu ridi! Bella moglie!
Ma non riuscii a smettere, e qualche attimo dopo anche lui venne contagiato, e si mise a ridere.
Mi raggiunse, abbracciandomi dolcemente. Nemmeno lui era riuscito a rialzarsi dal troppo ridere, perciò si era trascinato con i gomiti fino a dove mi trovavo io, vale a dire dal lato opposto della stanza.
Sospirò, avvolgendomi le braccia intorno alla vita e sfiorandomi i capelli con un bacio leggero.
-     Non avrei dovuto aggredirti … - mormorò.
-     No, ho iniziato io. Scusa.
-     Voglio che tu lo sappia … non gliel’ho proposto io. Gli ho chiesto di lasciarti stare, di farti vivere la tua vita. Ma non ha voluto sentire ragioni. – sussurrò. – Forse avrei dovuto lasciarti a Carvahall.
-     Stai scherzando, vero? A quest’ora molto probabilmente sarei già incinta. – dissi. – Preferisco essere la schiava di un uomo che non mi forzerà piuttosto che di uno simile.
Fece un piccolo sorriso sconsolato.
-     Non sono un uomo facile. – disse serio. – Non sempre sarai felice …
-     È un prezzo che sono disposta a pagare.
Sospirò e sentii la sua mano sfiorare la mia.
Non era arrabbiato.
Era triste.
Strinsi la sua mano, per cercare almeno di dargli un po’ di conforto.
-     Non posso dirti tutto. – mormorò sfiorandomi la guancia con la mano libera. – Non perché non voglia o non mi fidi di te, ma per la tua stessa sicurezza. Voglio proteggerti, ma per farlo dovrò tenerti dei segreti.
-     Ormai sono la tua spia. Come dovrò lavorare per il re, non potrei anche aiutarti con le persone che aiuti?
-     Sssh. – sussurrò mettendomi una mano davanti alla bocca. – Non se n’è ancora andato. Se è qui, anche i muri hanno orecchie.
Annuii e mi liberò, per poi stringermi forte.
-     Mi dispiace tanto …
-     Non dispiacerti.
Fece un mezzo sorriso. – Vorrei poterti dire tutto … potrà sembrarti sdolcinato e melenso, ma credimi quando ti dico che ogni giorno di più diventi la mia salvezza.
Gli sfiorai i folti capelli scuri, morbidi e setosi.
Lentamente, piegò la testa verso la mia mano, come ad incitarmi a continuare.
Proseguii, e poco dopo appoggiò il viso contro la mia spalla, senza che smettessi di coccolarlo.
Cercai di non fargli capire che l’unica, singola lacrima che aveva versato l’avevo percepita scivolarmi lungo la spalla. Probabilmente se ne vergognava.
-     Un leone non ha bisogno di nessuno per essere salvato. – mormorai, riferendomi allo stemma della sua casata.
Fece un piccolo sorriso triste, e mi sfiorò la fronte con un bacio, delicato e quasi impercettibile, come se mi avesse sfiorata una farfalla.
-     Forse al leone hanno tagliato la criniera.
Con quell’ultima, criptica frase, si alzò e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
 
 

 
 

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Capitolo 15
*** Primo allenamento ***


MORZAN

 MORZAN

 

Il mattino dopo, Selena iniziò il suo allenamento.

Dopo un’oretta di esercizio fisico, dove scoprii che era più snodata di me (non che ci volesse molto, in ogni caso) andammo in biblioteca, perché iniziasse ad imparare le leggi della magia e l’antica lingua.

Decisi di iniziare prima di tutto con un po’ di cultura generale, più che altro perché non si sentisse inferiore alle dame di corte che a differenza di lei avevano ricevuto un’istruzione.

Presi un libro di storia e glielo misi davanti.

Subito storse il naso.

-     Che cos’è? – chiese stranita.

-     A te cosa sembra?!

-     Lo so che è un libro. – disse. – Di cosa parla?

-     Il titolo esiste per … oh. – capii non appena abbassò lo sguardo, imbarazzata.

Non sapeva leggere.

-     Non fa niente.

Le tolsi il libro da sotto il naso, dato che si era messa a guardare le figure, e ne presi uno di grammatica.

-     Vieni qui …

Le misi in mano una penna, poi la aiutai a scrivere il suo nome.

Non venne un capolavoro di grafia, ma era comprensibile.

-     Cos’è? – chiese.

-     È il tuo nome. – le spiegai. – S-E-L-E-N-A. Prova a scriverlo da sola. Devi solo ricopiarlo.

Nel vedere il suo nome scritto nero su bianco, qualcosa si accese nei suoi occhi.

Si mordicchiò il labbro, poi provò a scriverlo.

Ci riuscì al primo colpo.

-     Ottimo. Adesso dammi il foglio …

Scrissi tutto l’alfabeto su un lato del foglio, lasciandole lo spazio perché potesse ricopiare le lettere almeno due o tre volte. Ogni volta che ne scrivevo una, le dicevo quale fosse.

-     Prova a ricopiare queste lettere.

Anche quell’esercizio non causò problemi, ma il successivo le fu un po’ più complicato.

-     Qual è la S?

Guardò confusa la lista di lettere, poi indicò insicura la B.

-     No. Quella è la B. La S è questa, quella a onde. Un po’ come un drago.

Annuì. – E la B quella …

-     Con la pancia. Immaginati che sia un ottantenne ubriaco con la cintura.

Scoppiò a ridere, tanto da tenersi la pancia.

E quella visione riuscì a sciogliere un po’ la tensione che si era creata, perché entrambi eravamo a conoscenza del motivo di quella lezione.

La scrittura occupò tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, e il sole era già parecchio ad ovest quando uscimmo nel giardino per sondare le sue capacità magiche.

Mi misi davanti a lei, poi mi allontanai di qualche passo.

-     Bene. Adesso … usa la magia.

Arrossì. – Non riesco a comandarla …

-     E come fai ad usarla, allora?

-     Quando mi arrabbio, o mi serve davvero. – rispose.

-      Beh, servirebbe che la usassi adesso.

-     Non posso controll … ehi! – urlò quando la colpii con un leggero getto di luce rossa. – Ma come ti viene in mente, razza di …

-     Rispondi. – la esortai cercando di trattenermi dal ridere.

Arrossì di rabbia, ma niente magiche luci bianche si sprigionarono dalle sue mani.

Perciò la colpii di nuovo, stavolta sul sedere.

Fece un urletto e un piccolo salto, portandosi la mano al punto colpito.

-     Senti un po’, Cavaliere dei miei stivali, riprovaci un’altra volta e …

Lo rifeci, e divenne quasi viola di imbarazzo.

-     MORZAN! – sbottò.

La presi di nuovo sul sedere, ma invece di magiche scintille ottenni solo il fatto che cadde per terra.

Si rialzò, più offesa che arrabbiata, e nonostante i miei vari tentativi di farle usare la magia, ottenni solo una Selena irritata.

-     Perfetto. – sbuffai due ore dopo. – Allora prendila.

Le lanciai una spada, che riuscì a stento a prendere.

Figurarsi a tirarla su.

Quando finalmente riuscì a sollevarla, aveva le braccia tremanti.

-     Ed è la più leggera. – commentai tra me e me. Ormai mi ero abituato al peso familiare di Zar’roc, ma quando ero piccolo anche a me la mia prima spada era sembrata pesantissima.

Smussai le lame con la magia, poi tentai un affondo.

Come previsto, andò a segno, e la colpii al fianco.

-     Ahi! – strillò portandosi la mano al punto leso. – Ma che fai?

-     Rispondi.

-     Non sono capace!

-     Andiamo. Devi solo picchiarmi …

Non l’avessi mai detto.

Mi arrivò un colpo, in testa.

Non fu per niente forte, e mi chiesi anche come avesse fatto a sollevare la lama, ma fu di sicuro una sorpresa.

-     OH! – strillò terrorizzata. – Scusa! Non volevo!

-     E invece no! Devi volerlo! – commentai divertito, massaggiandomi la testa.

Avevo la sensazione che mi sarebbe rimasto un bernoccolo.

La pungolai di nuovo, toccandola al ventre.

Arrossì, e cercò di colpirmi al polso.

Ottima mossa, ma la parai.

-     Bene. – mi complimentai. – Continua così!

La colpii alle gambe, mandandola a terra, e le puntai la spada al petto.

-     Morta. – ghignai.

-     Che c’è? – ridacchiò. – Te la tiri perché hai battuto una sedicenne che non aveva mai toccato una spada?

La sua risposta mi lasciò senza parole, e dovetti ritirare la lama.

-     Questo era un colpo basso. – commentai guardandola male.

-     I galletti vanno messi a posto. – sorrise soddisfatta.

Improvvisamente, sentii un colpo sul sedere.

Sorpreso, urlai e mi voltai verso di lei.

Ma Selena era lontana di almeno dieci passi, non poteva essere stata lei …

Controllai in giro, ma non c’era nessuno …

Un altro colpo arrivò, e stavolta l’urlo fu ben poco maschile.

A questo punto Selena scoppiò a ridere come una matta, e me ne resi conto.

-     Tu … hai usato la magia! – gridai sconvolto.

Fece di sì con la testa, troppo occupata a ridere per rispondermi.

-     Ma avevi detto …

-     Lo credevo anche io … ma mi è bastato volerlo fare … ohhh …

Lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi, da quanto rideva.

-     Ma … questo era un colpo basso! – protestai.

Non mi ascoltò nemmeno, e crollò in ginocchio dalle troppe risate.

-     Smettila! Non è affatto divertente!

-     Scusa, hai ragione. – disse. – è esilarante! – e detto questo, rise più forte.

-     La metti così? La metti così?!

La mia magia raggiunse il suo, di posteriore.

E anche lei saltò su.

-     Ehi!

-     Tu l’hai fatto a me. – ridacchiai.

-     Sì, perché tu l’hai fatto a me! Hai iniziato tu!

Alzai gli occhi al cielo.

-     E come dovremmo finirla?

-     Un ultimo colpo. – disse. – Per entrambi.

-     Ma così non avremo un vincitore. – protestai.

-     Allora ci allontaneremo di tre passi ciascuno. E il primo che al tre si volterà, vincerà.

-     Benissimo.

Mi voltai e iniziai a contare i passi.

-     Uno …

Feci un passo, e sentii che lei faceva lo stesso.

-     Due …

Di nuovo, anche lei camminò.

-     TRE!

Mi voltai, pronto a colpirla e a vincere il duello, ma un colpo sul sedere mi prese prima.

Quello mi sconvolse.

Lei era umana, e io un Cavaliere.

Non era possibile che si fosse girata prima di me … a meno che …

A meno che non si fosse mai girata.

Fece un piccolo sorriso, ed era talmente bella, con i capelli scarmigliati, le guance rosee e felice, che non potei arrabbiarmi con lei per aver vinto, seppur slealmente.

Sì. La parola “amici” iniziava a starmi fin troppo stretta.

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Di brufoli e cene all'aperto ***


SELENA
 
-     MA PERCHE’? – sbuffai esasperata.
-     Bastaaa … - mi pregò Morzan, sembrava disperato. – Sono due ore che vai avanti a chiedere perché … non posso darti i perché della matematica, è così e basta!
-     Ma a cosa mi serve sapere come si calcola il volume di un cubo che sta su una scatola che sopra ha una piramide?!
Sospirò e mi prese il viso tra le mani, appoggiando la fronte contro la mia.
-     NON. LO. SO. – disse scandendo bene le sillabe. – Va bene? Imparalo e basta.
-     Ma se non ho nemmeno capito!
-     E allora niente! – sbottò, cercando di trattenere una risata.
-     Fallo tu, visto che sei un sapientone!
Mi guardò male, e lì capii che nemmeno lui era chissà che cosa in matematica.
-     Benissimo. – ringhiò, prese la penna e iniziò a risolvere il problema.
Dopo cinque minuti, sbirciò il libro e proruppe in una risata.
-     Ecco! Alla faccia tua!
-     Che ha la mia faccia?
-     Oh niente … a parte un brufolo sul naso grande come una casa. – ridacchiò.
Nel sentire la parola “brufolo” mi sentii morire.
-     Tu menti.
-     Assolutamente no.
Corsi davanti allo specchio, pregando davvero di non avere un brufolo sul naso, ma quando vidi il mio riflesso impallidii.
Sul mio naso svettava fiero e odioso un brufolo gigante, rosso e giallo, schifoso come pochi.
-     Ma bene. – sbuffai. – Non posso nemmeno schiacciarti perché sennò me ne provochi duecento, di cosi schifosi come te … tanto vale darti un nome. Galbatorix. E intanto …
Presi la cipria e ne spennellai un po’ sul bubbone, che scomparve all’istante.
Guardai soddisfatta il mio lavoro, e poi tornai in biblioteca.
Mai avrei pensato che imparare cose fosse così faticoso, ma c’era soprattutto un lato positivo.
Ora che ero a conoscenza di tutte quelle nozioni di storia, grammatica, matematica, fisica e anatomia era come se potessi davvero capire il mondo che mi circondava.
Da un paio di giorni, io e Morzan non avevamo più avuto liti. Filava tutto liscio come l’olio, e lui era molto più tranquillo.
Galbatorix non l’aveva contattato, e probabilmente anche questo era un fattore che contribuiva alla sua tranquillità.
-     Ah, eccoti! – fece entrando in camera. – Mi chiedevo dove fossi finita.
-     Avevi ragione. – sbuffai. – Era enorme.
Ridacchiò, sedendosi davanti a me. – Te l’avevo detto.
-     A questo punto, gli ho dato un nome.
La sua bocca prese una piega strana, come se cercasse di non ridermi in faccia.
-     E sarebbe?
-     Galbatorix.
A quel punto rise davvero. – Appropriato.
Sospirò, poi ci rialzammo.
-     Forse è il caso di andare. – commentò e ci avviammo verso la biblioteca.
Dal nostro primo incontro, il nostro rapporto si era evoluto in fretta, pensai mentre camminavamo. Da essere due perfetti sconosciuti, eravamo diventati buoni amici, poi amici sposati, e ora …
Beh, non sapevo cosa fossimo ora. Un rapporto come il nostro faticava un po’ a restare nei canoni dell’amicizia.
Decisamente non era amicizia.
Ma cos’era, allora?
Di sicuro non amore. Gli volevo bene, ovviamente, ma non mi sembrava di esserne innamorata.
Insomma, non mi perdevo via a fissarlo sognante.
È un rapporto da definirsi, decisi.
-     Una corona per i tuoi pensieri. – disse Morzan, riscuotendomi dai miei ragionamenti.
-     Mah, non pensavo a niente. – risposi.
-     Sarà … stavi per sbattere il naso contro una porta.
-     Ma niente, davvero. Mi chiedevo solo …
Si fermò, incuriosito.
-     Solo?
Deglutii. Non sapevo perché, ma era come se non me la sentissi di ammetterlo.
-     Solo se i miei stessero bene. – mentii.
-     Beh, se desideri vederli ma non incontrarli posso insegnarti come fare. – disse.
-     Ma va, non mi interessa più di tanto.
-     Capisco …
Vidi la sua mano iniziare a rosseggiare, segno che intendeva usare la magia.
E istintivamente, sentii il mio potere scorrermi nel corpo.
-     Bene. – ridacchiò. – Te ne sei accorta. E adesso …
Vidi un lampo di magia rossa sprigionarsi dal suo palmo. Per fortuna riuscii ad intercettarlo con la mia magia, ed entrambi gli incantesimi si estinsero nel nulla.
-     Ottimo. – annuì soddisfatto, poi estrasse dalla tasca un sasso.
Me lo porse e lo presi, un po’ insospettita.
-     Dovrei sapere a cosa mi serve?
Scrollò le spalle. Avevamo ormai raggiunto la biblioteca, e ci sedemmo al tavolo, che era ancora pieno di libri di anatomia, magia e, soprattutto, grammatica.
-     Adesso voglio che ti concentri. – disse serio. – Chiudi gli occhi … bene. Concentrati sulla magia, cercala dentro di te e quando l’hai trovata, voglio che tu la liberi il più forte possibile, dicendo stenr risa. Prova a ripeterlo.
-     Stenr risa.
-     Perfetto.
Chiusi gli occhi e feci come mi aveva detto, concentrandomi su me stessa e sulla magia che sapevo avere dentro.
Mi ci volle un po’, ma alla fine nella mia mente trovai una resistenza, una sorta di muro.
D’istinto, capii che la magia si celava dietro ad esso, ed iniziai ad adoperarmi per abbatterlo, o quanto meno aggirarlo.
La cosa si rivelò più complicata del previsto: non era arginabile, e sembrava indistruttibile.
Nulla è indistruttibile. Tutto ha un punto debole. Mi basta trovarlo.
Continuai a cercare di sgretolare quello stupido muro che non mi consentiva di usare la magia, e parecchi tentativi andarono a vuoto, facendomi venire voglia di prendere e distruggere tutto.
Alla fine, però, ce la feci.
Un’esplosione di energia si propagò dalla mia mente a tutto il mio corpo, e subito recitai l’incantesimo.
-     AH!
Nel sentirlo urlare, aprii di scatto gli occhi.
Era a terra, e si teneva una mano sull’occhio.
La pietra era a poca distanza, e mi resi conto di cosa avevo combinato.
-     Scusa! – strillai terrorizzata. – Scusa, non volevo!
-     Non è niente … - disse rimettendosi in piedi.
-     Ma ci vedi? Morzan? Quante sono queste?!
-     Quattro. Ci vedo benissimo, non preoccuparti. È solo che … beh, non me l’aspettavo. – fece una piccola risata, mentre notavo con vergogna crescente che un grosso livido scuro gli stava affiorando intorno all’occhio. – In teoria, avresti solo dovuto farla volare, non certo spedirmela addosso.
-     Ma non volevo!
-     Lo so, l’hai già detto, adesso calmati. Non hai fatto niente di male, va bene? Probabilmente la tua magia è … parecchio potente. Cioè, di sicuro lo è, se arrivi a colpire un Cavaliere sul sedere e a cercare di accecarlo. – commentò, facendomi sentire ancora più triste. – Dai, smetti di fare quella faccia.
Mi sollevò il mento con un dito, facendomi un sorriso al quale non riuscii a rispondere.
Si inginocchiò davanti a me, prendendomi le mani nelle sue.
-     Non è successo niente, davvero. Senti, facciamo così. Se stasera andassimo a fare una passeggiata? Il lago è bellissimo di notte.
-     Mi dispiace …
-     Smetti di dirlo. Davvero, non mi hai fatto niente, Sel. Vedi? Ci vedo benissimo.
-     Sì, ma hai un occhio nero.
Scrollò le spalle. – Posso guarirlo in un attimo.
Disse qualche strana parola. – Visto? Non c’è più.
In effetti, il livido era sparito, e la sua pelle era tornata abbronzata e con le piccole rughe d’espressione che caratterizzavano i suoi occhi, ancor di più dei loro colori opposti.
-     Vieni. – sorrise e mi tirò su dalla sedia. – Per oggi abbiamo finito. Faccio preparare qualcosa in cucina, mangeremo fuori. Aspettami in giardino, va bene?
Annuii e mi lasciò un bacio sulla fronte.
-     Bene. Ci vediamo tra cinque minuti.
 
Uscii dalla biblioteca e andai in camera, per cambiarmi d’abito.
Dopotutto, se dovevamo camminare, un abito lungo non era probabilmente la scelta migliore.
Aprii l’armadio e scelsi degli aderenti pantaloni neri e una corta tunica verde smeraldo. Ci abbinai dei comodi stivali neri, poi andai verso lo specchio per sciogliermi i capelli dalla complicata acconciatura, dato che ormai avevo rinunciato al combattere contro la parrucchiera.
Presi due sottili ciocche dalla fronte e le intrecciai, unendole dietro la testa con il giglio argentato.
Soddisfatta del risultato, mi alzai e andai in giardino ad aspettarlo.  
Per ingannare il tempo, continuai a estirpare le erbacce, finché un’ombra non mi coprì lo spazio.
-     Scusa, potresti spostarti? – chiesi girandomi, e ci trovai Brom, che mi guardava incuriosito.
-     Perché fai giardinaggio all’ora di cena? – commentò.
-     Potrei farti la stessa domanda.
-     Non stavo facendo giardinaggio. Stavo andando a cena, appunto.
-     Con chi? La ragazza dell’altro giorno?
Rise e scosse la testa.
-     Un’altra? Quindi passi il tuo tempo a spezzare cuori?
Un’ombra gli attraversò lo sguardo. – Potremmo evitare di parlare di cuori? Tu piuttosto. Che ci fai qui?
-     Aspetto Morzan. – confessai. – Ha detto che saremmo andati a mangiare fuori.
Annuì. – E perché sembri depressa?
-     Potrei avergli appena provocato un occhio nero … - ammisi, e Brom scoppiò a ridere.
-     Un occhio nero? A Morzan? Caspita, non lo vedevo con un occhio nero da … beh, dai tempi di Doru Areaba. – rise, ravviandosi i capelli.
-     Se l’è guarito, però. Non lo vedrai.
Fece spallucce. – Potrò sempre prenderlo in giro. Ah, eccolo che arriva.
Ci voltammo verso l’ingresso del palazzo, un portone enorme che mi aveva lasciata a bocca aperta la prima volta che l’avevo visto. Bianco ed intarsiato a motivi floreali, realizzati con la giada e l’argento.
Indossava una giacca nera sopra ad una maglia bianca, pantaloni di pelle e stivali neri, e al fianco portava allacciata Zar’Roc. Alle spalle aveva allacciato uno svolazzante mantello rosso.
In mano teneva un cesto di legno, nel quale doveva esserci il cibo.
Nel complesso, sembrava un dio sceso in terra, bello da mozzare il fiato: forte, letale e spietato, ma anche dolce e romantico.
Non era la perfezione, ma ci si avvicinava parecchio.

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Capitolo 17
*** Cena ***


MORZAN
 
 
Eccola.
Era lì, bella come forse non lo era mai stata, nemmeno il giorno del matrimonio.
Forse era perché la vedevo ormai sotto una luce diversa, ma sta di fatto che era una visione surreale, immersa nella luce del tramonto.
Stava chiacchierando con Brom, ed Evandar e un paio dei miei cani da caccia le stavano saltellando ai piedi, cercando coccole.
Istintivamente, mi portai una mano ai capelli per sistemarli.
L’attimo dopo, lei si voltò verso di me, e nel momento in cui mi guardò, qualcosa si agitò in me, mosso da quelle chiare iridi del colore della tempesta: qualcosa che, almeno al momento, non seppi definire.
Fece un sorriso, che non potei non ricambiare, e raggiunsi lei e Brom.
- Cominciavo a pensare che mi avessi dato buca. – sorrise divertita.
- Sono un Cavaliere, ho un codice da rispettare. – le risposi a tono.
​- Un codice, tu? Ma fammi il piacere. – fece Brom sghignazzando.
​- Perché? – chiese Selena incuriosita.
Lei non lo sapeva, ma io avevo ben capito a cosa si stesse riferendo.
​- Come se tu ne avessi uno. – sbuffai. – Devo nominare Milly?
Brom arrossì, e Selena rimase a bocca aperta.
​- Non voglio sentire! – gridò. – Andate a parlarne lontano da me!
- Davvero, non è niente di scandaloso. – fece Brom.
- No? – commentai. – Non sarai serio.
Brom sospirò, poi mi lanciò un’occhiataccia.
​- E per la cronaca, aveva due boc …
​- BROM! – strillò Selena portandosi le mani alle orecchie, cercando di non sentire.
- Va bene, va bene, piccola suora. – la prese in giro. – Andate, prima che venga il freddo.
- A proposito, dove stai andando tu? – gli chiesi.
Un sorriso malizioso gli increspò il volto. – A una cena.
- Con la solita?
​- Ma io non ho una solita. La vita è una, amico.
E detto questo, se ne andò.
Non prima di aver mimato con le mani, quando fu sicuro che Selena non vedesse, i prominenti seni di una donna.
Scossi la testa. Brom non sarebbe mai cambiato.
Tornai a pensare a Selena, che mi guardava piena di aspettative.
​- Andiamo? – le proposi prendendole la mano.
La sentii stringere delicatamente la mia, e ci avviammo fuori dalla tenuta.
Per raggiungere il lago ci avremmo impiegato circa un’ora, e a quel punto avremmo mangiato.
​- Cosa c’è in quel cesto? – chiese allegra, mentre attraversavamo la pianura che separava il castello dal lago.
- Un po’ di tutto. – risposi. – Dolci, vino, e una cosa che Marilyn sa fare e nessun altro no.
​- Marilyn?
​- La cuoca.
​- E che cos’è questa cosa?
​- In sostanza è … un tortino di carne. Solo che lei ci mette dentro altri ingredienti oltre alla carne, viene qualcosa di delizioso. Poi abbiamo della frutta, pane e acqua.
​- Ma la carne non si raffredderà mentre andiamo?
​- Ho fatto in modo che non si raffreddi, tranquilla.
Annuì e continuammo a camminare.
Non la smetteva di fare domande su tutto, da che tipo di erba fosse quella per terra a che specie di uccello fosse appollaiato su un tale ramo. Molte delle specie che vivevano lì al nord non c’erano, era ovvio che fosse meravigliata da tutto ciò che vedeva.
- Cos’è quello? – chiese indicando una piccola volpe rossiccia.
Non doveva avere più di qualche giorno.
​- È una volpe. – le risposi. – Non ci sono al nord?
- Le volpi ci sono, ma di solito sono bianche. – disse avvicinandosi all’animale, che non dimostrò paura e le annusò la mano.
Quella ragazza era qualcosa di stupefacente. Era impossibile non volerle bene, non quando vedevi quanto amasse ogni cosa che la circondava, con quanta meraviglia si accostasse alla vita.
Era curiosa verso tutto e tutti, e non si stancava mai di imparare.
Alla fine, la volpe continuò a seguirci, probabilmente attirata dall’odore del cibo.
- Che c’è? – Selena si sporse verso di lei, prendendo un pezzo di pane dal cestino e porgendoglielo. – Hai fame?
Ma la volpe rifiutò il cibo, spingendo la testa contro la sua mano.
- Vuole te. – le spiegai, mentre sentivo uno strano calore diffondersi nel mio petto. – Si è affezionata
.Il cucciolo le saltò in braccio e Selena rise, mentre la volpe le mordicchiava il dito.
​- Piano … adesso hai bisogno di un nome. – pensò. – Sai che non ho la minima idea, vero?
- Intanto andiamo, però, o non arriveremo più. – le ricordai, e prendemmo a camminare.
Durante il tragitto, iniziammo entrambi a proporre nomi per la volpe.
Alla fine, giungemmo ad una soluzione comune quando arrivammo nei pressi di una piccola spiaggia sul lago, pressoché nascosta a tutti.
Avevo scoperto io quel posto, e mi ero ben guardato dal condividerlo con qualcuno.
La volpe, essendo una femmina, ebbe nome Aiedail.
- Che bello! – esclamò Selena quando scostai le fronte di un salice piangente che impediva l’accesso alla spiaggia.
Era una piccola insenatura di sabbia bianca, circondata su tre lati da degli scogli. Quando l’avevo trovata, avevo modellato lo scoglio che costituiva il lato lungo come una scala, per facilitare l’accesso.
Sarebbe stato facile per me saltare e atterrare senza problemi, ma dubitavo che a Selena tre metri di salto avrebbero fatto molto bene.
Da quella spiaggia si poteva ammirare l’intero lago di Leona, e in lontananza anche la città, sul lato opposto del bacino d’acqua.
- È … è fantastico. – sussurrò quando scese le scale.
La seguii e misi giù il cestino, stendendo una coperta per terra e iniziando a tirare fuori le cose, che come immaginavo non si erano raffreddate.
Il fatto che mi scottai ne fu la prova.
​- Aspetta, ci penso io.
In un attimo, Selena aveva già tirato fuori tutto, senza farsi male.
- Il segreto. – sorrise. – è non toccarlo direttamente.
Banale ma efficace.
Ovvio.
Ci sedemmo e iniziammo a mangiare.
​- È … è davvero buono. – disse quando assaggiò il tortino di carne. – Santa Marilyn. Gli ingredienti in più sono … aspetta. C’è una salsa. Carote, quelle piccole, poi … piselli. Broccoli. E penso che la salsa sia al pomodoro, ma affumicato.
​- Come fai? – feci stupito.
Non avrei mai riconosciuto tutti quei sapori.Scrollò le spalle e tagliò un’altra fetta dal suo tortino, versandosi poi un po’ d’acqua nel bicchiere.
Su una cosa aveva ragione: Santa Marilyn.
Ora che mi aveva detto cosa ci fosse dentro, riconoscevo tutti i sapori, apprezzando ancora di più il mitico tortino.
- Allora …
Cercai di intavolare una conversazione decente, perché fino a quel momento non è che avessimo parlato più di tanto.
Si voltò verso di me, incuriosita.
Ormai entrambi i tortini erano finiti, e prese una mela rossa dal cesto.
La strofinò un po’ con un lembo della tunica, e quando fu sicura di potercisi specchiare, iniziò a mangiarla.
- È buona! – esclamò sorpresa. – Al Nord non sono così!
- Non dici mai casa. – osservai, dicendolo ad alta voce senza nemmeno rendermene conto.
Quando capii che avevo esternato i miei pensieri, solo un grande sforzo di volontà mi impedì di arrossire.
Selena mi guardò, con uno strano sguardo.
- Cosa intendi?
- Quando parli del Nord, di Carvahall. Non dici mai “casa”.
​- Perché non era casa. – rispose, la voce leggermente indurita. – Non posso considerare casa un luogo in cui praticamente stavo per essere venduta. Ormai casa mia è questa.
​- Erano comunque la tua famiglia.
Scosse la testa. Ora era un po’ amareggiata.
​- Non lo sono mai stati … me ne rendo conto solo ora: per loro ero solo ciò che gli consentiva di tirare avanti, senza sbattersi. Non sono mai stata una figlia o una sorella. Vorrei solo averlo capito prima, mi sarei risparmiata parecchie ginocchia sbucciate. – commentò.
​- E preferisci davvero questa vita? Corte e schiavitù? – feci scettico.
​- Almeno ho mia nonna. Enduriel. Amelia. Te.
Cercai di ignorare l’intero marasma di emozioni e sensazioni che quella minuscola sillaba, quel piccolo “te” sussurrato, mi aveva scatenato.
Deglutii in fretta, poi lanciai un sassolino nel lago, facendolo rimbalzare quattro o cinque volte sulla superficie dell’acqua prima che affondasse.
Mi sentivo come quel sassolino: saltellavo su una superficie sottile e che non sapevo quanto avrebbe retto, consapevole che prima o poi sarei affondato nei miei sentimenti.
E sarebbe stata quella ragazza dagli occhi grigi e i capelli biondi, Selena, a spingermi giù.
​- Ti trovi bene qui? – cercai di proseguire con la chiacchierata, su un argomento meno rischioso.
Meglio per lei che i miei sentimenti rimanessero nascosti.
E bene.
​- Sì … è bello. – fece un piccolo sorriso.
- Bene …Ottimo.
Non sapevo più nemmeno cosa dire.
A quel punto mi versai un po’ di vino, e anche lei non disdegnò un bicchiere.
​- Come hai fatto? – chiese poi lei.
​- A fare cosa?
​- A far rimbalzare il sasso. Non ci riesco mai.
- Beh, in realtà ti serve un sasso piuttosto piatto … tipo questo. – raccolsi dal lago un sasso piatto e glielo porsi.
Si alzò, pronta a lanciarlo, e mi misi dietro di lei per aiutarla.
Ormai il cielo era scuro, le stelle erano già comparse e gli ultimi raggi del sole andati.
La luna piena iniziava ad affacciarsi sul lago nero, che la rifletteva in una striscia bianca sulla sua superficie.
​- Devi tirare indietro il braccio …
Le sfiorai il gomito, aiutandola a portare indietro il braccio.
- Tienilo teso.
Annuì, e i suoi capelli mi solleticarono il mento, inebriandomi con il loro profumo che non seppi immediatamente distinguere.
​- Devi far scattare il polso per lanciarlo. In fretta, così …
Il colpo andò a segno.
Il sassolino rimbalzò circa tre volte sulla superficie scura del lago, per poi affondare.
Larghi cerchi iniziarono a crearsi dal punto in cui era affondato, che s’infrangevano sulla costa.
Selena ridacchiò, soddisfatta di aver raggiunto anche quel piccolo traguardo.
E nel momento in cui si voltò verso di me e potei specchiarmi nei suoi occhi, lo capii.
Avevo fatto la fine del sassolino.
A quel punto, non aveva più senso mascherare niente. Potevo leggere lo stesso sentimento nei suoi occhi.
Forse era il vino che entrambi avevamo bevuto durante il pasto a renderci tanto disinibiti, ma decisi che non m’importava.
Meglio godersi il momento.
Perché nascondersi ancora?
Non si tirò indietro quando le avvolsi le braccia intorno agli esili fianchi: vidi il suo labbro inferiore tremare leggermente, appena prima che le affondassi le mani nei capelli, che la luce della luna aveva reso argentei, e la baciassi.
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Sesso ***


SELENA
 
Il mattino dopo, furono tre le cose che mi parvero strane.
Ero sdraiata sì su qualcosa di morbido, ma ero sicura che non fosse il materasso di casa: la seconda cosa, erano le braccia di qualcuno avvolte alla mia vita.
E la terza cosa era il tremendo mal di testa. 
Confusa, cercai di alzarmi, ma quelle braccia mi tennero giù, e la cosa mi indispettì non poco.
Sbuffai un’imprecazione e aprii gli occhi.
Un baldacchino di verdi foglie si stagliava sopra la mia testa, e dall’altro lato …
L’acqua azzurra del lago.
Ero ancora sulla spiaggetta di ieri sera …
Mi voltai dall’altra parte.
Le braccia serrate intorno ai miei fianchi appartenevano a Morzan, che dormiva tranquillo di fianco a me.
Notai che era a petto nudo, e uno strano sospetto iniziò ad aleggiare nella mia mente.
Era abbracciato a me … era ben poco vestito …
Fu in quel momento che me ne accorsi.
Ero avvolta in una sorta di coperta, ma a parte quella ero completamente nuda.
-     Oh, no. – mormorai sconvolta.
Non era possibile …
Mal di testa, nudità …
-     MORZAN!
Si svegliò subito, cercando a tentoni la spada accanto a sé.
-     Che succede? – fece già all’erta.
Poi mi guardò, inarcando un sopracciglio.
-     Perché sei nuda?
-     Io … perché tu sei nudo?!
-     Aaah … - si lamentò portandosi una mano alla testa.
-     Abbiamo bevuto? Ieri sera, abbiamo bevuto?
Aggrottò le sopracciglia, nel tentativo di ricordare.
-     Potrebbe essere.
-     Oh, dei. Non è possibile. – sussurrai scioccata. – Non è possibile.
-     Cosa?
-     ANCORA NON LO CAPISCI?! – strillai.
-     Capire cosa?
-     Morzan, ci siamo ubriacati e siamo entrambi nudi. Dobbiamo … - mi bloccai, incapace di continuare.
-     Aver fatto sesso. – concluse.
-     Oh, dei … non ci posso credere …
-     Beh, cerca di calmarti. Alla fine non è successo niente di grave … - cercò di tranquillizzarmi.
-     Niente di grave? Come cazzo fai a dire che non abbiamo fatto niente di grave?
-     Dico che abbiamo solo fatto sesso. Senti … torniamo a casa. Parliamone là, va bene? Adesso calmati.
Mi abbracciò, sfiorandomi la schiena nuda e i capelli con la mano.
La cosa che mi stupì e che non provai il minimo imbarazzo quando mi toccò, quando ci fu quell’abbraccio così … intimo.
Forse perché stanotte ti sei data alla pazza gioia!, mi ricordò la mia coscienza, ma decisi di metterla da parte.
Appoggiai il viso contro la sua spalla, godendo del tepore e della sicurezza che le sue braccia mi offrivano, chiudendomi in una bolla protettiva e perfetta.
Sospirai.
Io, che mi ero ormai decisa a rimanere vergine a vita, ecco che prendevo e facevo sesso. Fino a pochi giorni prima, avevo visto Morzan solo come un amico … ma ora …
-     Andrà tutto bene. – sussurrò. – Se è ciò che vuoi, non ricapiterà più.
-     Come posso sapere che è quello che voglio? Non mi ricordo niente, niente di niente … è orribile …
-     Cosa? L’aver fatto sesso con me o non ricordartelo? – la sua voce era diventata sorprendentemente acida.
-     Morzan … è … è complicato …
-     Se ti faccio davvero quest’effetto potevi evitare di baciarmi. – sibilò alzandosi.
In un attimo si era rivestito.
-     Scusa? Io ti avrei baciato? Tu mi hai baciata! – gridai furiosa.
Stava davvero cercando di darmi la colpa?!
-     Non mi hai respinto, se non sbaglio.
-     Non significa che volessi fare sesso!
-     Ti ho già detto che non mi ricordo niente, Selena, per quanto ne sappiamo potresti perfino essere stata tu ad iniziare. – colpì nel segno, facendomi diventare rossa dalla testa ai piedi.
-     Va bene. Benissimo, potrei essere anche stata io. Ma ero ubriaca, lo eravamo entrambi. Questo … se entrambi non lo ricordiamo … quale valore può avere? – sussurrai, cercando di fargli capire il mio punto di vista.
Inclinò la testa, fermandosi dall’andarsene.
Si avvicinò a me, prendendomi la mano.
-     Spiegati.
-     Se non possiamo ricordarlo, può avere più valore di una semplice … scopata? – rabbrividii solo dicendo quel termine volgare. – è orribile che l’abbiamo fatto solo per … per appagamento, e non per altri … motivi.
-     E quali sarebbero questi altri motivi?
Nel parlare si era avvicinato ancora di più, iniziando a sfiorarmi il collo con le labbra sensuali, rendendomi difficile articolare una frase decente.
-     Beh … non … non lo so. – mormorai.
-     Che peccato. – sussurrò scostandomi i capelli dalla spalla. – Sarebbe stato così bello saperlo … nessuna idea?
-     Smettila … - cercai di farlo smettere, nonostante sentissi un leggero fastidio tra le gambe.
-     Perché? Lo so che ti piace …
-     Smettila!
Si scostò da me, confuso.
-     Va bene. – disse. Mi sfiorò la mano, prendendola nella sua. – Non sei costretta a fare niente che tu non voglia. Ma …
Fece una strana espressione. – Sai, alla fine è probabile che nemmeno l’abbiamo fatto, stanotte. – commentò. – Certo, molto poco probabile. Ma c’è sempre una possibilità.
-     E come possiamo saperlo?! – sbuffai.
-     C’è solo un modo. – disse. – Vestiti. Andiamo a casa.
Si voltò e mi rivestii in fretta e furia, mentre sapevo che contattava Dracarys.
Pochi minuti dopo, il drago atterrò poco distante da noi, dato che la spiaggia era troppo piccola per ospitarlo.
Morzan saltò su in un attimo, poi mi porse la mano per aiutarmi a salire.
Appena dovetti allargare le gambe per mettermi sulla sella, sentii fastidio.
Sospirai. Era davvero improbabile che non avessimo fatto niente, quella notte.
 
 
 
-     Sì, è decisamente rotto. – disse il medico dopo aver finito di visitarmi. – Non è più vergine, milady.
Annuii e mi ricoprii, uscendo dalla stanza.
Fuori c’era Morzan, che si mordicchiava nervosamente il labbro.
-     Allora? – fece inarcando un sopracciglio.
Arrossii, ma non seppi se d’imbarazzo o di vergogna.
Sospirò.
-     Quindi l’abbiamo fatto.
Feci di sì con la testa mentre avvolgeva le braccia intorno ai miei fianchi.
-     Eravamo ubriachi. – mormorò, sfiorandomi i capelli con il viso. – Ma non quando ti ho baciata. Non mi hai respinto.
Deglutii, in attesa che continuasse.
-     Voglio sapere perché.
L’agitazione mi scosse, rendendomi conto che non potevo più tenere per me quel segreto, quel sentimento che non riuscivo nemmeno a descrivere.
Non so per quanto rimasi in silenzio, cercando di trovare una risposta.
La sua mano raggiunse la concavità della mia schiena, serrandomi ancora di più al suo corpo possente e statuario.
-     Sto aspettando.
-     Perché allora intanto non mi dici tu perché mi hai baciata? – lo sfidai.
Fece un sorriso che all’inizio sembrò malizioso, ma poi divenne molto dolce.
-     Perché era l’unico modo per dirtelo.
-     Dirmi cosa?
Ormai i nostri visi erano a pochissima distanza tra loro.
Potevo persino contare le piccole rughe d’espressione intorno ai suo occhi.
Mi sfiorò la guancia con la mano, un gesto delicato e rassicurante.
-     Che per te provo qualcosa. – sussurrò, poi sentii le sue labbra posarsi dolcemente sulle mie.
Questa volta risposi al bacio, e lo sentii sorridere contro le mie labbra.
Sentii la sua lingua sfiorarmi le labbra, che aprii senza quasi rendermene conto. In un attimo, stava accarezzando la mia, provocandomi brividi e di nuovo quella strana sensazione al bassoventre.
Le nostre lingue continuarono ad accarezzarsi e rincorrersi per quasi cinque minuti, finché non dovetti staccarmi.
Non ero l’unica ad avere il fiato corto.
Sorrise ancora, appoggiando la fronte contro la mia.
-     Lo sapevo. – mormorò.
-     Sapevi cosa?
-     Che per te era lo stesso.
E senza dire una parola, si dileguò.
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Se questo non è amore ... ***


MORZAN
 
 
Non riuscii a trattenere un sorriso.
Anche lei … anche lei provava esattamente ciò che sentivo io.
Quel secondo bacio l’aveva ampiamente dimostrato. Lo voleva anche lei.
Adesso lo ammetti?, mi stuzzicò Dracarys, divertito.
È bellissima …
Dai, dillo …
Okay. Lo vuoi sentire davvero? Bene. Io amo Selena!
Il mio drago esultò, compiendo anche una strana acrobazia in volo che vidi solo tramite i suoi occhi.
E la cosa bella era che finalmente l’intontimento dell’alcol stava iniziando a dissiparsi, e frammenti di memoria di quella notte tornavano alla luce.
E che notte.
Appoggiai la testa al muro, mentre i ricordi tornavano e il buco nella memoria si riempiva.
Selena tra le mie braccia.
Selena che rideva. Che mi baciava. Che mi accarezzava i capelli pregandomi di farla mia …
Questa ragazza sarà la mia rovina, decisi, senza però riuscire a trattenere un sorriso.
Sarebbe stato bello farsi rovinare da lei.
Avevo preferito lasciarla sola un po’, sembrava ancora scossa dall’essersi resa conto di aver fatto sesso da ubriaca e di non ricordarsi niente.
Probabilmente, stare un po’ con i suoi pensieri l’avrebbe aiutata.
-     Signore! Signore!
Un ragazzino corse verso di me, col fiato corto.
-     Che succede?
-     Un messaggero da Uru’Baen, signore!
Uru’Baen.
Pessime notizie.
-     Va bene, grazie. Portalo qui.
Cinque minuti dopo, il ragazzo tornò con un uomo di circa quarant’anni, che mi consegnò una lettera senza dire nulla.
Ruppi il sigillo di ceralacca rossa sul quale era impressa la fiamma guizzante di Galbatorix e srotolai la pergamena.
“Caro amico,
ho ragione di credere che ora, la cara Selena abbia come minimo appreso le basi dell’arte magica.
Raggiungimi quindi con la tua sposa al castello: verrà addestrata da te ed Enduriel, i miei migliori paladini. Hai due giorni.
Mi raccomando, non tardare! Un ricco banchetto vi aspetta!
                                               Tuo signore e re,
                                                           Galbatorix.”
Ovvio.
Mai che potessi avere davvero un attimo di pace.
Cercai di mascherare al meglio la rabbia e restituii la pergamena al messaggero.
-     Grazie. – mormorai. – Di’ al re che sarò lì in due giorni.
-     Si, signore.
L’uomo si voltò e se ne andò.
-     Che succede?
Mi voltai e mi trovai davanti il viso di Selena, insospettito e incuriosito.
Non l’avevo nemmeno sentita avvicinarsi, ma d’altronde quella ragazza era silenziosissima. Nemmeno un gatto mannaro sarebbe stato tanto silenzioso.
-     Preparati. – riuscii solo a dirle, con il cuore in gola dalla preoccupazione. – Dobbiamo andare.
-     Andare dove?! – la sua voce si indurì.
-     A Uru’Baen.
-     Io da qui non mi muovo.
Nel sentire quella presa di posizione, mi stupii. Possibile che non capisse?
-     Non è una decisione che sta né a me né a te. Il re ci vuole lì, e dobbiamo andare.
-     Non voglio.
-     Selena …
-     Quell’uomo … - si bloccò, mordendosi le deliziose labbra. – Non voglio …
-     Lo so che ti fa paura. – le cinsi i fianchi con un braccio e le risistemai una ciocca ribelle. – Ma ne avrai ancora di più nel momento in cui disobbedirai e verrà lui stesso a punirti. O lo farà fare a me.
Sospirò e appoggiò la fronte contro il mio petto.
-     Dobbiamo proprio? – mormorò.
-     Fidati, non lo voglio nemmeno io.
-     Tra quanto dovremo essere lì?
-     Un paio di giorni al massimo.
Scrollò le spalle.
-     Allora col cavolo che mi preparo a partire adesso. Ci vogliono due ore a dorso di drago!
Dovetti darle ragione, l’ansia mi aveva reso troppo precipitoso.
-     Va bene. Vieni, intanto: è ora di allenarsi. – mormorai.
Le ore dell’allenamento non erano poi così brutte: era la loro ragione a renderle più tristi.
Selena annuì, stringendomi la mano.
Quella stretta mi fece sentire molto più forte, come se avessi potuto distruggere qualunque cosa si fosse messa tra me e lei.
Per Selena, avrei distrutto il mondo e l’avrei ricreato dalle ceneri, secondo il suo desiderio.
Andammo fino ai campi d’allenamento, dove proseguimmo con l’allenamento di scherma.
Era diventata molto più brava, imparava molto in fretta.
Attaccò lei per prima, tentando un affondo al mio fianco sinistro: stranamente, riuscii a pararlo per un soffio.
Quando si rese conto di aver trovato una breccia nella mia difesa, un gran sorriso le illuminò il volto e continuò ad attaccare con più foga.
E quindi vuoi attaccare così, a caso … probabilmente questo non te l’aspetti, tesoro.
Mi bastò un attimo.
Feci scivolare la punta di Zar’Roc sulla sua lama, incastrandola nella guardia. Girai il polso e l’arma le cadde di mano.
Colsi il suo attimo di stupore per mandarla a terra con la magia, e puntarle la spada al petto.
Sbuffò infastidita e la aiutai a rialzarsi, ma fu nel momento in cui la vidi ghignare che capii che aveva fatto apposta.
In un attimo, mi colpì sulla schiena con il lato piatto della spada, mandandomi a terra.
Per essere sicura che non mi rialzassi, si sedette a cavalcioni sopra di me …
Esattamente come aveva fatto la notte prima, ricordai.
Si chinò su di me, e mi sussurrò all’orecchio, in un modo tremendamente sensuale. – Non riprovarci un’altra volta, Cavaliere.
-     Come desiderate, milady. – risposi e ribaltai le posizioni.
Fu solo in quel momento che sembrò rendersi conto del doppio senso che tutto aveva assunto a partire dalla sua mossa un po’ … anticonvenzionale.
Divenne rossissima e fece per sgattaiolare via, ma la bloccai.
Sesso o no, morivo dalla voglia di baciarla.
E così feci, tornando ad assaporare quelle deliziose labbra che mi mandavano in paradiso.
La sentii mugolare qualcosa, per poi cingermi il fianco con una mano e accarezzarmi i capelli con l’altra.
-     Che mi venga un colpo. – ridacchiò una voce ben conosciuta, e subito mi staccai da lei.
Brom ci fissava divertito: sia io che Selena eravamo rossi come pomodori maturi.
-     Devo ringraziare gli dei o cosa? Non ti vedevo con una donna da … beh, da una cinquantina d’anni. – commentò. – Iniziavo a pensare che …
-     BROM!
Scoppiò a ridere, tanto da doversi tenere la pancia e da diventare cianotico.
-     Aah, vecchio mio. – sospirò scuotendo la testa. Poi mi fissò con una strana espressione, e capii che stavano arrivando guai. – Il possente leone è tornato a ruggire!
-     Brom … non è come pensi. – tentò Selena.
-     Ma davvero. – fece lui ridendo. – Non vi stavate baciando, in una posizione ambigua? Ma trovatevi una camera, se avete deciso di far fruttare questo benedetto matrimonio! Il che sarebbe anche carino, un piccolo Morzanino patatino …
-     BROM!
-     Okay, okay. – sbuffò. – Il Cavaliere della Noia, dovevi sposarti.
Tuttavia se ne andò, lasciandoci finalmente soli.
Ripresi Selena tra le braccia, che mi regalò un sorriso stupendo.
Se non era questo amore …
-     Ricordami dov’eravamo rimasti, amore mio.
E me lo fece ricordare, eccome.
 
 
 

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Capitolo 20
*** Un fairth per due ***


SELENA
      UN MESE DOPO
 
 
Da un mese a questa parte, la mia vita non era perfetta.
Di più.
Soprattutto grazie a Morzan: nel momento in cui avevamo ammesso con noi stessi e con l’altro i nostri sentimenti … beh, non un giorno aveva mancato di dimostrarmi il suo amore.
Se era a casa, con coccole, baci, fiori: se era lontano, potevamo sentirci grazie agli specchi incantati.
Purtroppo ora era lontano, da circa quattro giorni: Galbatorix lo aveva mandato in missione a reprimere una rivolta dei Varden, quindi passavo le mie giornate con Enduriel e Amelia.

- Lady Selena, siamo pronti a partire. – mi disse una damigella, e risposi con un sorriso.
La nonna e il suo nuovo amico/fidanzato, Gorlois, mi avevano invitato al castello di Ceunon.
E così, avevo fatto armi e bagagli e avevo deciso di andare.
Uscii dalla camera, sapendo che tutti i miei bagagli erano già nel piazzale del palazzo reale.
Ma quando raggiunsi la piazza, ci trovai Rhaenira.
Quello era inaspettato.
Il riverbero viola delle sue squame sotto il sole estivo mi accecò per un momento, poi mi ci abituai.

- E tu che ci fai qui?
- Ti accompagniamo, è ovvio! – fece Enduriel sbucando da dietro la dragonessa, con un sorriso allegro.
- Che cosa?!
- Gorlois ha esteso l’invito anche a me. Dato che con sua figlia sono in rapporti più che amichevoli …
- Ma guarda un po’. Ti sei innamorato. – lo presi in giro.Il rossore sulle sue guance mi confermò tutto.
- E non me ne vergogno! – protestò. – In ogni caso, sono il tuo testimone di nozze. In assenza di tuo marito, è mio compito proteggerti.
- E da quando in qua?! – feci divertita.Scrollò le spalle. – Ho sostituito la tua famiglia al matrimonio. Essere testimone di nozze di una sposa implica doveri e responsabilità.
Decisi di non pormi altre domande. Avrebbe avuto risposte anche per quelle, quindi lo seguii sulla dragonessa.

- Aspetta! E i bagagli?
- Un incantesimo li fa volare dietro di noi. È un metodo perfettamente sicuro, non perderai niente. Assicurato. – rise, ed ebbi solo il tempo di stringere le braccia ai suoi fianchi prima che spiccasse il volo. 
 
Ormai ero molto più abituata a volare, perciò non facemmo soste, arrivando a Ceunon in circa sei ore di volo. Rhaenira era carica, quindi aveva deciso di volare velocissima.
Quando scesi, ovviamente con tutti i capelli fuori posto, trovai la nonna ad aspettarmi.
Era a fianco di Gorlois e Amelia, ma a stupirmi di lei fu lo stile dei vestiti: indossava un morbido abito azzurro a ricami floreali dorati, di seta. La crocchia argentea era decorata da un impalpabile velo celeste e sembrava radiosa, come se avesse vent’anni di meno.

- Nonna!
- Piccola mia.
Tornare tra le braccia della nonna dopo tanto tempo fu come riabbracciare una parte della mia vecchia vita: quella parte che aveva segnato l’inizio della mia nuova vita.
- Ma fatti guardare, tesoro, come ti sei fatta grande! Mamma mia. – sorrise, con le lacrime agli occhi. – Oh, sì. Queste sono vere guance.
Mi strattonò le guance come si fa con i neonati. Dopo un mese e mezzo che mangiavo bene, avevo preso peso e forme, senza ingrassare grazie all’esercizio fisico.
- Dov’è tuo marito?
- Lontano. – mi sentii solo di dire. Quella domanda mi aveva agitata: non volevo nemmeno pensare all’eventualità che Morzan fosse ferito.
O morto.
No, morto era impossibile: era Morzan, in fondo.
La nonna annuì, accarezzandomi i capelli in un gesto di conforto.

- Sono sicura che potrai riabbracciarlo prestissimo, tesoro. Ma vieni, andiamo dentro! È ormai ora di cena, ho fatto preparare un bel banchetto in tuo onore!
- Nonna, non era necessario …
- Sciocchezze! E prima del banchetto, Jules ti mostrerà le tue stanze, cara. – mi presentò una ragazza della mia stessa età, con lunghi capelli lisci e castani e gli occhi azzurri.
- Principessa …
- Non è necessario. – le impedii categoricamente di inchinarsi. – E non sono una principessa. Chiamami solo Selena, questo è ciò che sono.
Jules annuì con un sorriso, e mi guidò nei luminosissimi corridoi del castello di Ceunon.
Appena entrai, mi resi conto che mi piaceva molto di più del palazzo di Uru’Baen e perfino di quello di Morzan: nonostante avesse colori chiari, grazie ai pavimenti in marmo, i tappeti azzurro chiaro con ricami dorati, i muri bianchi e i soffitti stuccati, non era per niente freddo, anzi, era molto accogliente ed arioso.
Spettacolare.
Niente eccessi di sorta, ma uno stile semplice, pulito e pratico.
Le tende riprendevano il tema del tappeto, e anche del vestito della nonna: azzurre, ricamate da fiori dorati.

- Siamo arrivate. – disse Jules, fermandosi davanti ad una porta bianca intarsiata d’oro. I decori formavano una rosa stupenda.
Aprì la porta ed entrai.
Appena vidi la mia stanza, rimasi senza fiato.
Una parete era occupata per i suoi tre quarti da una gigantesca finestra, che dava sui giardini che ancora non avevo avuto modo di vedere.
C’erano due porte, una che portava al bagno e l’altra che dava sulla cabina armadio.
Ma ciò che catturò la mia attenzione fu il letto: un colossale, gigantesco letto a baldacchino.
Le lenzuola erano azzurre ed imbottite, dato che eravamo al Nord: era pieno di cuscini verde chiaro, e le tende pesanti del baldacchino erano blu, mentre quelle più leggere dorate, dando un effetto ottico splendido.

- Non ci posso credere. – sussurrai meravigliata.
- In bagno vi aspetta una vasca per lavarvi. – disse Jules. – Lady Anne mi ha chiesto di comunicarvi che la cena si svolgerà tra un’ora e mezza.
- Grazie … - mormorai ancora rapita, e mi accorsi solo vagamente del fatto che la ragazza aveva chiuso la porta e se n’era andata.
Subito dopo, la porta si riaprì, ed entrò Enduriel.
- Scusa il disturbo, ti sei dimenticata le valigie. – disse mettendo a terra il baule. – è la valigia più leggera che abbia mai visto, sai?
- Scusa, mi sono … potevi dirmelo, le avrei portate io!
- Figurati. Wow, ti hanno sistemata bene. – commentò guardando l’arredamento della mia camera. – La mia è grande la metà …
- Non intendo fare scambio, sappilo. – lo avvisai, e scoppiò a ridere.
- Non ruberei mai a una signora la sua stanza. – rise e se ne andò.
Presi la rincorsa e mi buttai sul letto.
Quello che non mi aspettavo fu l’assenza del rimbalzo, perché sprofondai nel materasso.
Risi di nuovo, appoggiando la testa sui morbidi cuscini: mi sentivo in paradiso.
La nonna si era proprio scelta l’uomo giusto!
 
 
 
Dopo il banchetto, decisi di farmi un giro nei giardini, da sola.
Tutti i commensali erano con il loro compagno, e la cosa … beh, mi aveva fatta sentire parecchio sola.
Una passeggiata era proprio quel che ci voleva.
Perfino di sera, il giardino era illuminato da delle strane strutture di metallo altissime, che recavano sulla sommità una piccola cella di vetro, nella quale ardeva una fiamma.
Incuriosita, mi persi a fissarne uno, finché la voce di Enduriel non mi riscosse.

- È un lampione. – mi spiegò.
Nonostante l’avesse detto con calma, sembrava agitato.
Saltellava sui piedi e continuava a torcersi le mani.

- Tutto bene?
- No. – fece. – Sto morendo d’ansia.
- Perché? Aspetta. Sediamoci un attimo.
Ci sedemmo sulla panchina e si morse le labbra.
- Voglio chiedere ad Amelia di sposarmi.
La sorpresa fu talmente grande che mi lasciò senza fiato.
- Enduriel, è fantastico!
- Sì, ma non so se accetterà.
- Cosa credi stia aspettando? – sbuffai. – La discesa delle divinità dei nani?!
- Lei …
- Lei vuole che tu glielo chieda, idiota! Adesso alza il … coso, e va!
- Sì, avevo già intenzione di farlo stasera, ma adesso lei è a guardare i fiori. Senti … oltre all’anello, vorrei farle anche un altro regalo, ma mi serve il tuo aiuto.
- Dimmi.
- Vorrei che facessi un fairth, quando mi inginocchierò davanti a lei per chiederglielo. Forse sono solo uno sciocco vecchio romantico, ma sarebbe bello poter tenere quel momento non solo nelle nostre memorie. – si perse a guardare la luna con aria sognante. – Luna piena. – sussurrò. – Secondo il mio popolo, è l’unico momento adatto a fare una proposta d’amore.
- Allora non dovresti perdere tempo.
- Sì, ma tu sai fare un fairth?
Annuii. Morzan mi aveva insegnato poco prima di partire per il Sud.
- Ottimo. Allora appostati dietro a quel cespuglio, dovresti avere una buona visuale. Tieni. – bisbigliò e mi consegnò una tavoletta d’ardesia.I
o mi nascosi, e dovetti ammettere che aveva ragione. Avevo un’ottima visuale.
Lo vidi avvicinarsi ad Amelia, che sorrise.
Le disse qualcosa, dietro alla schiena teneva una scatolina nella quale doveva esserci l’anello.
Finalmente, dopo qualche secondo lo vidi inginocchiarsi davanti a lei e aprire la scatolina.
Nel momento esatto in cui lei si portò le mani alla bocca dallo stupore, impressi la scena sulla tavoletta.
Ammirai il mio lavoro, soddisfatta.
Era reso alla perfezione, con i colori perfetti e ogni dettaglio presente.
Ciò che Enduriel non sapeva, era che da quando avevo imparato a realizzare quelle immagini andavo sempre in giro con una tavoletta preparata.
E nel momento in cui Amelia, in lacrime dalla gioia, gli gettò le braccia al collo per baciarlo, sussurrai le parole magiche.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Spie inaspettate ***


MORZAN
 
 
 
Due settimane.
Due settimane che non la vedevo, e mi sentivo impazzire.
Il solo vederla nello specchio non bastava più: la sensazione di stringerla tra le braccia, di baciarla, mi mancava troppo.
Quella sera decisi di non contattarla. Vederla, e soprattutto parlarle, avrebbe solo aumentato la sofferenza nel saperla lontana. Anche a lei non andava molto giù: quando parlavamo con quel metodo, era sempre un po’ triste.
Decisi quindi di divinarla, e pochi attimi dopo la sua immagine comparve sullo specchio: era già addormentata, sotto le coperte. Insieme a lei c’erano Estelle, acciambellata accanto al suo viso, Evandar e Hayley, accoccolati l’uno accanto all’altra sul tappeto, a farle da guardia.
Era bellissima. Le labbra erano incurvate in un piccolo sorriso, e i capelli scarmigliati sui cuscini.
Il ritratto della serenità.  
Mi aveva detto che sarebbe andata a Ceunon da sua nonna, ma non pensavo che ci sarebbe andata così presto.
Era impossibile raggiungere Ceunon da Uru’Baen in meno di un giorno, se non …
Enduriel, pensai con un moto d’irritazione.
Doveva averla accompagnata lui, facendole un po’ di moine.
Stranamente, però, la mia attenzione fu sviata da qualcos’altro: un fairth, appoggiato sul suo comodino.
Guardai meglio, e mi resi conto che erano due ritratti.
Entrambi, con mio stupore, ritraevano Enduriel e Amelia: ma nel primo, lui era in ginocchio davanti a lei, evidentemente in una proposta di matrimonio: e nel secondo, lei lo stava baciando, in lacrime dalla felicità.
Che cosa?!
Enduriel era invaghito della mia Selena, era palese.
Ma allora perché aveva chiesto ad Amelia di sposarlo?! E soprattutto, perché Selena aveva quei fairth?!
Decisi di ottenere delle risposte.
Divinai Enduriel, impostando l’incantesimo perché potessi parlarci.
L’attimo dopo, comparve nel mio campo visivo.
Era sveglio, stava scrivendo qualcosa.
Era una lettera …
Indirizzata al capo dei Varden, Deynor.
Quando riuscii a leggere il testo della lettera, o alcuni frammenti dello stesso, strabuzzai gli occhi.
Era un resoconto sulla situazione finanziaria, militare e politica dell’Impero.
Somigliava tantissimo al genere di lettere che inviavo a Jeod, che inviava a Brom, che informava Deynor.
-     Su, Morzan, non essere timido.
Quando pronunciò il mio nome, quasi feci un salto.
Si voltò verso di me, con un mezzo sorriso.
È finita. Mi ha scoperto. Doveva essere una lettera falsa, sapeva che avrei divinato Selena, mi sarei reso conto che lui l’aveva accompagnata a Ceunon e l’avrei contattato.
Calmati, mi suggerì Dracarys. Agitarsi non serve.
COME FAI A DIRLO?! Chissà da quanto Galbatorix mi ha messo questo stronzo alle calcagna! Come ho fatto a non accorgermene … è finita. Moriremo tutti …
-     Tra disertori ci si aiuta.
-     Disertori? Quello che scriveva ai Varden eri tu, se non mi sbaglio. – cercai di rigirare la situazione a mio favore.
-     Anche tu li sostieni. – disse e mi sentii mancare. – Come me.
Ripeté la stessa cosa nell’antica lingua, e poi la nostra conversazione proseguì su quell’assetto linguistico.  
-     Spiegati.
-     Sei umano, Morzan. Gli umani sono volubili, emotivi. Diversamente, come saprai, dagli elfi. – disse. – Dopo che fummo convocati, insieme agli altri undici che sarebbero diventati Rinnegati, e ti fu affidato l’incarico di guidarci, Vrael mi prese in disparte. Mi nominò tuo secondo. Se le cose si fossero messe male, se il re avesse avuto il minimo motivo di sospettare di te, sarei dovuto intervenire.
-     Menti.
-     Davvero? Stiamo parlando nell’antica lingua. Non posso mentire.
-     Puoi intendere una cosa per un’altra.
-     La mia parola di Cavaliere. Giuro su Rhaenira che la nostra conversazione non sarà inficiata da menzogne. Se mancherò al giuramento, possa la mia dragonessa morire. – disse sollevando la mano destra, quella marchiata, nel gesto di giuramento degli antichi Cavalieri.
Giurare sul proprio drago non si fa a cuor leggero, pensai.
Possiamo fidarci. Le sue labbra proferiscono parole sincere, mormorò Dracarys. Inoltre, il ragionamento fila.
Non sono così emotivo.
Noooo … Selena, cucciolina, dove sei, amore?
Non l’ho mai chiamata cucciolina, protestai irritato. Mi avrebbe squartato, ed è un appellativo idiota.
Se lo dici tu …
-     Dicevo. Finora hai recitato bene la tua parte, ed io la mia. – disse Enduriel. – Stiamo conducendo un gioco pericoloso, tu ed io.
-     Perché non me l’hai detto prima?! – ringhiai.
-     Perché avevo giurato così a Vrael-elda. Gli giurai di non rivelare niente della sua decisione fino a che non si fosse reso necessario. Ora che mi hai scoperto, si è reso necessario. Spero che capirai il motivo del mio comportamento nell’ultimo secolo. – tentò una riconciliazione. – Se non possiamo essere amici, dovremmo almeno collaborare, in nome dei nostri amici che resistono al Re Nero.
-     Suppongo di sì. – commentai. – Ma non era per questo che ti ho cercato.
Sospirò, passandosi una mano nella chioma bionda.
-     Non ho sentimenti ambigui riguardo a tua moglie, provo solo una sincera amicizia. Il mio amore è rivolto ad Amelia, che sposerò fra quattro mesi.
-     Oh, fate in fretta. E chi ha fatto quei fairth?
Aggrottò la fronte. – Ho chiesto a Selena di farne solo uno. Deve averne fatto un altro, evidentemente.
-     E perché gliel’hai chiesto?
-     Volevo che Amelia, essendo umana, potesse avere per sempre un ricordo di questo giorno.
-     E hai deciso di sposare un’umana, sapendo che morirà?!
-     Perché, tu hai fatto diversamente?
-     Io ho già preso la mia decisione. – dissi serio. Di quella decisione non avevo mai parlato a nessuno, ma era ciò che avrei fatto.
Avrei aiutato Selena a passare da questa vita alla successiva: poi l’avrei seguita, e se gli dei me l’avessero concesso, l’avrei raggiunta.
Meglio l’oblio che un’eternità senza di lei.
Enduriel deglutì. – E Dracarys?
-     È d’accordo. Da quando Saphira … lo sai, no?
-     No.
Sospirai. – Poco prima della guerra, Saphira, la dragonessa di Brom, rimase incinta. Quelle tre uova che il re custodisce tanto gelosamente …
L’elfo sospirò, chiudendo gli occhi.
-     Che bastardo. – mormorò.
Era la prima volta che lo sentivo parlare in modo tanto volgare.
-     La probabilità che quelle uova si schiudano è tremendamente bassa. Ormai ha perso le speranze.
-     E chi non le perderebbe … ma che succede?!
Si voltò verso un punto imprecisato della stanza, insospettito.
-     Cosa succede?
-     Non lo so. Devo chiudere. Ci riaggiorniamo domani. – disse in fretta, e la sua immagine scomparve.
Lasciandomi completamente sulle spine.
Che diavolo stava succedendo a Ceunon?!
Rilassati, fece Dracarys. Se Enduriel si fa vivo, ti sveglierò. Dormi un po’.
Non ho sonno!
Eccome, se ne hai.
Sospirai e mi misi sotto le coperte, cercando di prendere sonno.
 
 
SVEGLIATIII!!!
Il ruggito di Dracarys mi tirò giù dal letto.
Ma si può sapere che diavolo vuoi?!
Enduriel!
Enduriel … Selena! Ceunon!
-     Che succede? Lei sta bene?!
Era preoccupato.
-     Devi venire qui immediatamente. – disse.
-     Cosa le è successo?!
-     Non posso dirti altro.
La sua immagine scomparve di nuovo, ma stavolta non era solo curiosità insoddisfatta.
Era terrore.
Subito saltai su Dracarys, e spiccammo il volo.
 
 

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Capitolo 22
*** Incinta, io? Ma per piacere! ***


SELENA

SELENA

 

 

 

-     La mia vita fa schifo. – sbuffai dopo l’ennesimo conato.

Era tutta la notte che ero in bagno a vomitare. Enduriel era stato il primo a raggiungermi, ed era andato a svegliare la nonna e un guaritore.

-     Non dire così. – fece la nonna con un sorriso. – è normale.

-     Cosa? A Ceunon fate banchetti che provocano il vomito?!

-     Certo che no, cara. – aveva uno sguardo strano, che non mi convinceva del tutto.

-     Che c’è? – le chiesi a quel punto, incuriosita.

-     Che c’è cosa?!

-     Hai uno sguardo un po’ strano. Devi dirmi qualcosa?

-     Potrei farti la stessa domanda. – sorrise furba. – Non hai niente. Non sei malata e questo non è vomito da intossicazione alimentare. Sta tranquilla.

E uscì.

Sospirai e mi appoggiai contro la parete.

-     Certo che è indigestione. – sbuffai irritata. – Cosa dovevo aspettarmi, in ogni caso, dopo aver mangiato antipasti, minestra, carne, salse, dolci … o vomito o morte.

Subito dopo entrò Amelia, che sembrava eccitatissima.

-     Non. Ci. Credo. – disse felicissima, la voce ancora più acuta.

-     Non hai mai visto qualcuno vomitare?!

-     Oh, certo che ho visto gente vomitare. Non mi aspettavo che … beh, ecco … - arrossì.

-     Cosa, Amy?! Che stai dicendo?!

-     Beh … che tu e Morzan …

-     Che diavolo …

-     Niente!

E, come la nonna, si dileguò.

Sbuffai di nuovo e uscii dal bagno, chiusi a chiave la porta per non ricevere altre visite indesiderate e mi misi a dormire.

 

 

Mi risvegliai che doveva essere pomeriggio, e perché qualcuno continuava a bussare alla mia porta.

Incazzata come non mai, andai ad aprire, per trovarmi davanti Enduriel.

-     Ciao! – tutta la rabbia scomparve. – Che c’è?

-     Tua nonna ti vuole. – disse. – Dice che è questione di famiglia. Forse intende che …

-     Che intende cosa?! – strinsi gli occhi e incrociai le braccia.

Sollevò un sopracciglio. – Beh, che sei incinta, ovviamente.

Quella risposta mi lasciò completamente basita.

-     Io, incinta?! Ma per favore!

-     Solo le donne incinte passano la notte e la mattina a vomitare.

-     Sì, beh, io non sono incinta! Ho mangiato male e in fretta, e poi sono uscita di sera. Ho preso freddo.

-     Okay. – rispose.

Lasciandomi ancora più scioccata.

-     Okay?

-     Perché? – fece un mezzo sorriso, divertito.

-     Intendo, solo “okay”?

-     Dovrei dire altro?

-     No, però … okay. – risposi.

-     Okay. – rise e ci avviammo verso la sala del trono.

Lì trovammo la nonna, seduta al fianco di Gorlois.

-     Oh, eccoti, cara. – sorrise allungando un braccio nella mia direzione. – Vieni, siedi pure qui, c’è posto.

Mi sedetti accanto a lei, su un trono più piccolo.

-     Allora, tesoro. Ti ho fatta venire qui per due motivi … la prima, è che dato il tuo stato interessante …

-     Non sono incinta! – sbottai esasperata.

-     Oh, fa niente. In ogni caso, ora sei una donna sposata, e ciò che ti dirò ora ti servirà, sia pure nell’immediato futuro che nel prossimo. Allora, durante la gravidanza non dovrai mangiare pesce, bere vino, e dovrai seguire una dieta molto rigida. Il medico di corte te ne assegnerà una personalizzata, vero signor Martin?

-     Certamente, mia signora. Lady Selena, non esitate a chiedermi qualunque cosa. – disse il medico con un sorriso. – Nei prossimi giorni passerò a visitarvi, secondo il vostro volere, Lady Anne.

-     Secondo. Il parto farà male, ma se avrai tuo marito accanto sarà la migliore esperienza della tua vita. Terzo, per almeno sei mesi tu e Morzan non dormirete. Il bambino si sveglierà spesso per mangiare.

-     NONNA!

-     Oh, e allattare ti stancherà oltremodo. Tienilo bene a mente.

-     Ti ho già detto che …

-     E copri bene il bambino. Gli dei sanno quanto sono fragili i neonati.

-     Non sono incinta … - sbuffai, sapendo già che non mi avrebbe ascoltata.

Andò avanti a parlare di pappe e bambini per almeno dieci minuti, poi decise di avermi detto abbastanza.

-     E la seconda cosa? – chiesi.

-     Oh, già. Dato che non sei incinta. – e ridacchiò. – Ti andrebbe di andare a Therinsford e Carvahall a portare alcuni approvvigionamenti alla popolazione? C’è una grave siccità, tesoro, ce ne siamo andate appena in tempo.

-     E ringrazio gli dei per questo. – le sorrise affettuosamente Gorlois.

La nonna gli sfiorò la mano, intenerita da quelle attenzioni.

-     Dovrò andare da sola o ci sarà qualcuno?

-     Andrete tu ed Amy, cara. – disse Gorlois. – Insieme ad una scorta armata che vi proteggerà. In fondo, siete le due donne più potenti dell’impero. Ora andate, su!

Dopo essere stata congedata in quel modo un tantino sbrigativo, uscii dalla sala del trono e mi diressi in camera mia, prendendo alcuni abiti di ricambio confortevoli.

Mezz’ora e due vomitate dopo, ero pronta all’ingresso del palazzo, ad aspettare Amy e la scorta.

Ovviamente, in ritardo.

Cominciai a camminare avanti e indietro, poi mi sedetti sui gradini, fissandomi i piedi come fanno i bambini.

Dovetti aspettare ancora venti minuti perché Amy e quindici soldati comparissero.

Con loro c’era anche un palafreniere, che conduceva uno splendido stallone bianco.

Mi alzai in piedi e li raggiunsi, ma stranamente Amelia non salì sul cavallo.

-     Che fai, vieni a piedi?

-     No. – sorrise. – Tieni, questo è il regalo di nozze da parte della mia famiglia. È un esemplare di razza pura, proveniente dal nostro allevamento di cavalli da guerra. Non esiste cavallo migliore al mondo. Il suo nome è Dream.

-     Non … non posso crederci. – sussurrai stupita e meravigliata.

Era bellissimo, talmente bianco da risplendere sotto la luce solare. La criniera era folta e il pelo morbido e spazzolato con cura: dovevano lavarlo spesso, perché odorava di pulito, per quanto un cavallo possa emanare tale odore.

-     È già sellato e imbrigliato. – fece Amy. – Non ti resta che cavalcarlo.

Quasi con timore reverenziale, salii in groppa al cavallo, sistemandomi sulla comodissima sella.

-     Wow, Amy. – mormorai. – Non ci posso davvero credere, è spettacolare. Grazie mille …

-     Figurati. – rise e salì in groppa al suo. – Sai, ho pensato che faremo prima dividendoci: ho pensato che potresti andare a Carvahall, che è più vicina, dato il tuo stato interessante.

-     Amy, non sono incinta … - sospirai.

-     Se lo dici tu! – rise divertita. – Dicevo: per te va bene?

Ci riflettei un attimo.

Andare a Carvahall avrebbe comportato il rivedere la mia vecchia famiglia: ma anche tutti gli altri abitanti, con i quali ero in rapporti amichevoli.

-     Va bene, non c’è nessun problema. – risposi. – Quanto dovrei impiegarci?

-     Al massimo tre giorni, non di più.

Annuii e decisi di non perdere altro tempo.

Spronai il mio nuovo cavallo a muoversi in direzione sud.

Verso Carvahall, la mia vecchia casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Incontri indesiderati ***


SELENA

 

 

Arrivai a Carvahall, come aveva detto Amelia, dopo tre giorni di viaggio, sul finire della sera.

Entrai nel villaggio dalla strada maestra, quella che avevo sempre utilizzato fin da piccola.

Ma tornarci …

Non lo so.

Di sicuro non mi aspettavo baci e abbracci, ma nemmeno che la gente si rinchiudesse in casa al mio arrivo, oppure sbirciasse dalle finestre per richiuderle subito dopo.

Quella freddezza mi fece male.

Soprattutto perché non capivo cosa potesse averla scatenata.

Deglutii, cercando di mandare giù l’ansia, e andai alla taverna, per mangiare e bere qualcosa di caldo.

Il taverniere, Morn, era un ragazzo di circa venticinque anni ed eravamo sempre stati ottimi amici.

E infatti non mi cacciò fuori.

-     Selena! – sorrise avvicinandosi e abbracciandomi. – Quanto tempo!

-     Ciao Morn … - mormorai, un po’ soffocata dall’abbraccio.

-     Allora? Il matrimonio va bene?

-     Sì, sì. Hai qualcosa da mangiare?

Sembrò offeso. – Se ho qualcosa da mangiare? Ma ti preparo un banchetto!

-     No, non serve, davvero. Mi bastano una minestra e un po’ d’acqua. – sorrisi.

Scrollò le spalle. – Se è ciò che vuoi … non contraddirò la ragazza più potente dell’Impero.

Sparì in cucina, così ne approfittai per uscire ancora e vedere se qualcuno aveva deciso di prendere le provviste.

Nessuno.

Sospirai, demoralizzata, e feci per tornare dentro, quando sentii una manina strattonare la gonna del mio abito.

Stupita, mi voltai.

A tirarmi era un bambino di circa tre anni, dai capelli e gli occhi castani e sporco in viso.

-     Ehi. – gli sorrisi prendendolo in braccio. – E tu chi saresti, piccolo?

-     Jack. – sussurrò intimidito.

-     Ma che bel nome. Io invece mi chiamo Selena. E dov’è la tua mamma?

Il bambino mi guardò, confuso. – Cos’è la mamma?

A quel punto capii, e nel sentire quella risposta i miei occhi si riempirono di lacrime.

Era orfano e non aveva mai conosciuto l’amore.

-     Non fa niente, Jack. Ti va di mangiare qualcosa?

Gli si illuminarono gli occhi, così lo portai da Morn.

-     Ehi Morn! Prepara qualcosa anche per lui. – chiesi.

-     Subito! Ehi, ma tu chi sei?

-     Si chiama Jack, l’ho trovato qui fuori. Nessuno s’è mai accorto di lui?

-     Io non l’ho mai visto. – disse confuso.

-     Vabbè. Dagli da mangiare.

Dopo che io e Jack avemmo mangiato, chiacchierai un po’ con Morn, che scoprii essersi invaghito di una ragazza di Therinsford, Tara.

-     Sto mettendo via un po’ di soldi per poterla sposare. – mi confidò emozionato.

-     È fantastico! Se ti serve una mano non esitare a chiedere. – gli ricordai, ma lui scosse la testa.

-     Devo farcela da solo. Posso farlo, e lo farò. Le garantirò una vita dignitosa.

-     Ne sono certa.

Passò un’altra mezz’ora, e il piccolo Jack si addormentò tra le mie braccia.

-     Sarà meglio che lo porti in un letto vero, se vuoi prendertene cura. – commentò.

-     Allora vado all’accampamento. Domattina tornerò per dare provviste alla popolazione, puoi avvisarli che non intendo ucciderli?

-     Ma certo! – rise divertito. – E ora vai, su!

Obbedii e uscii dalla taverna, con Jack in braccio.

 

Il mattino dopo, fu il vomito a svegliarmi.

Feci appena in tempo a raggiungere una bacinella vuota, che la riempii di vomito.

-     Lady Selena. – disse un ufficiale quando la nausea sembrò fermarsi. – Se volete, ho dei rimedi contro la nausea.

-     Davvero?!

-     Vado subito a prenderveli. – fece con un sorriso, e si allontanò.

Colsi l’opportunità per andare da Jack, che continuava a dormire tranquillamente. La sera prima gli avevo tolto un po’ di sporco dal viso, scoprendo un faccino veramente grazioso.

-     Ehi, Jack. – lo scossi delicatamente. – Svegliati.

Aprì gli occhietti, e fece un gran sorriso.

Vederlo mi scaldò veramente il cuore.

-     Selena … - mormorò aggrappandosi a me e appoggiando la testolina nell’incavo del mio collo.

-     Hai dormito bene?

-     Sì!

-     Bene. Adesso ti farò fare colazione, e poi un bel bagno.

Fece un altro sorriso, che mi fece sciogliere, e mi stampò un bacio sulla guancia.

-     Grazie! – esclamò abbracciandomi forte.

-     Figurati, piccolo. – ricambiai la stretta, sorprendendomi di quanto mi piacesse tenere quel cucciolo tra le braccia.

Non avevo mai avuto tempo di stare con un bambino: ero sempre nei boschi a cercare di mangiare, e solo stringendo Jack mi resi conto di quante cose mi fossi persa.

-     E adesso vieni, andiamo a mangiare.

Lo misi giù e lo presi per mano, accompagnandolo al bivacco dei soldati.

-     Buongiorno, signori. – li salutai. – Potreste dare qualcosa a Jack, per favore?

-     Subito, Milady. – il capitano sorrise e si avvicinò al piccolo. – Che ti piacerebbe mangiare, campione? Ti va un po’ d’arrosto? Vieni con me, mangerai come mai prima d’ora. Ehi, ragazzi! Date un po’ della vostra razione al ragazzo! Quando andremo al villaggio a distribuire le scorte, milady?

-     Andrò io adesso, non preoccuparti.

-     Benissimo. Falbert: prendi tre uomini e va con lei. – ordinò al suo secondo.

-     Subito, capitano!

Attesi che i carri con il cibo fossero pronti, poi salii su Dream e partii alla volta del villaggio.

-     Fate lavare Jack e dategli degli abiti appropriati! – raccomandai ai soldati, che mi risposero con il saluto militare.

 

Una volta arrivata al villaggio con il cibo al mio seguito, l’accoglienza fu leggermente diversa da quella della sera prima.

La differenza fu nel fatto che la gente era fuori dalle proprie case, ma tutti continuarono a guardarmi con sospetto e rabbia.

Mi fermai in mezzo alla piazza, ma preferii rimanere a cavallo.

Magia o no, avevo un po’ di timore nel vedere tutta quella gente arrabbiata.

-     Cittadini di Carvahall. – li chiamai mentre si radunavano intorno a me e ai carri. – In nome e per conto del re e di Lord Gorlois di Ceunon vi abbiamo portato cibo perché possiate fronteggiare al meglio la siccità che ha colpito la Valle Palancar. Ciò che vedete su questi carri sono le derrate alimentari prese dallo Stato sotto forma di tasse e custodite nei granai delle maggiori città, conservate per poi essere ridistribuite in caso di bisogno. Questo cibo vi appartiene di diritto, l’avete raccolto voi e oggi siamo qui perché possiate trarre completo beneficio dal vostro duro lavoro. Mettetevi in una fila ordinata e dite a sir Rees il vostro nome, così che possiamo darvi il vostro giusto sacco.

-     Non prendiamo ordini da una puttana. – sibilò un contadino sputando nella mia direzione.

Quell’insulto mi fece ancora più male del gelo della sera prima.

-     Ti pentirai amaramente di ciò che hai detto alla mia signora. – sibilò un soldato estraendo la spada.

-     Fermo. – ordinai, lasciando sia il soldato che il contadino a bocca aperta.

-     Lady Selena …

-     Horv. – chiamai il contadino. – Come sta tuo figlio Quimby?

-     È vivo. – ringhiò.

-     Bene. Ora, grazie a chi la tua famiglia ha superato l’inverno, puoi ricordarmelo?

Mi guardò male. – Grazie a te.

-     Appunto.

-     Oh, smettila Horv. – brontolò sua moglie Helda facendosi avanti. – Selena ha tenuto vivo l’intero villaggio, e nessuno la ringrazia ora che ci ha portato del cibo? Credevo che la gente di Carvahall si contraddistinse per l’onore! – parlò all’intero villaggio.

-     È una strega! – gridò un altro. – Sappiamo tutti cosa ci ha detto Cadoc! Ci ha avvisati molto chiaramente!

-     Cadoc è un vecchio bisbetico. – fece Helda. – Ed è risaputo. Ed ora fate come Selena ha chiesto! In fila, su! Tutti quanti voi!

Lentamente, la cittadinanza si dispose in una fila ordinata, e potemmo iniziare a distribuire le razioni.

Finimmo circa due ore dopo, nonostante tutto fu una cosa molto semplice ed ordinata.

Ma mentre andavo verso l’accampamento, portando Dream per le briglie, per sbaglio urtai una donna.

-     Mi scusi. – mi girai per scusarmi e vedere se andava tutto bene, ma appena vidi il suo viso rimasi sconvolta.

Sembrava invecchiata dall’ultima volta che l’avevo vista, tre mesi prima.

Eppure era lei.

-     Selena … - sussurrò mia madre, allungando una mano a sfiorarmi il viso.

Immediatamente mi scostai, ricordando quel viso che nei miei confronti era sempre stato gentile trasformarsi in una maschera d’odio e rabbia.

I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma non ne versò nemmeno una.

-     Scusate se vi ho urtata, madre. – dissi in fretta e feci per andarmene, ma lei mi fermò.

-     Selena, aspetta!

-     Cosa vuoi?!

-     Parlarti …

-     Siete stata chiara l’ultima volta. Sei stata tu ad accusarmi, o no?

-     E subito me ne sono pentita.

-     È un po’ tardi, adesso, no?

-     Gli dei sanno quanto. So di chiederti molto … ma quella sarà sempre casa tua quando vorrai farvi ritorno.

-     Pensi davvero che possa crederti? Dopo che avete perfino rinnegato tutto ciò che ho fatto per voi? – sibilai. – è ovvio che tu dica così, adesso che sono sposata con il secondo uomo più ricco del mondo. Esattamente come ha fatto tuo marito. Lasciami stare.

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Incinta ***


MORZAN
 
Calmati. Di sicuro niente sta andando storto.
Selena sta bene.
Anzi, benissimo.
Mi ripetevo quelle frasi da giorni, ormai, per cercare di conservare la sanità mentale.
Nonostante Dracarys si fosse spinto fino al limite delle sue possibilità, riuscii ad arrivare a Ceunon solo sette giorni dopo.
Smontai in fretta e lasciai che andasse a riposarsi, poi corsi nel castello.
Enduriel fece per parlare, ma non gli lasciai nemmeno aprire bocca.
-     Con te faccio i conti dopo. – dissi e proseguii per la sala del trono, dove sapevo avrei trovato la mitica nonna.
Ne spalancai i battenti, ma ne Anne né Gorlois erano lì.
Infuriato e preoccupato, tirai un pugno al muro.
Selena stava male e non c’era nessuno che potesse dirmi dove fosse.
O cosa avesse.
-     Signore!
Volsi lo sguardo verso un ometto che correva nella mia direzione.
-     E tu chi saresti?!
-     Sono Gedric, signore! Mi mandano Lady Anne e Lord Gorlois per voi, mio lord!
-     Dov’è mia moglie?
-     Con loro, mio signore. Seguitemi!
-     Che cos’ha?!
-     Ha senso di nausea da ormai sette giorni, signore.
Iniziai a scartabellare nella mia mente per cercare di capire cosa potesse avere, ma l’unica risposta che mi soddisfò fu la gastroenterite.
Seguii Gedric nel castello, con una paura addosso che mai avevo provato prima, finché non ci trovammo davanti ad una porta bianca, decorata dall’intarsio dorato di una rosa.
-     Non è quello che pensi. – disse Enduriel, facendomi fare un salto.
Non mi ero nemmeno accorto che mi fosse accanto.
-     E a cosa avrei pensato, sentiamo?
-     Gastroenterite. All’inizio l’ho pensato anche io, ma i successivi fatti mi hanno indotto a riformulare la precedente ipotesi.
-     COSA DIAVOLO HA MIA MOGLIE?!
-     Rilassati. – rispose soltanto, poi fermò una ragazza. – Prepara un paio di tisane belle forti per il Cavaliere qui presente e correggile con qualcosa di forte. Ho la sensazione che gli serviranno.
-     Non mi serve nessun calmante, dimmi cos’ha Selena e …
Enduriel aprì la porta.
Nell’ampia e luminosa camera c’erano Gorlois, Anne, Amelia, Selena, un medico e la sua assistente.
Sel era addormentata profondamente, e sia Gorlois che Anne la guardavano con un’espressione di profonda tenerezza.
-     Oh, Morzan! – sorrise Anne tutta contenta. – Dopo io e te dovremo fare un bel discorsetto. L’ho già fatto a Selena, ma non mi ha dato l’impressione di aver ascoltato molto. A questo punto è necessario che almeno uno di voi abbia un minimo di competenze.
-     Per cosa?! – ringhiai. – Che cos’ha?!
-     Congratulazioni, signore. – fece il medico soddisfatto.
Quella risposta mi sconvolse.
Congratulazioni?! Non era possibile.
-     Tra sette mesi Lady Selena vi darà un erede.
-     Non può essere. – riuscii solo a sussurrare.
Non poteva essere incinta.
Il mio primo pensiero corse al bambino: e al rischio che avrebbe inevitabilmente corso essendo figlio mio e di Selena.
Una vita orribile, tempestata da pregiudizi e occhiate di sdegno.
No, no, no … dei, vi prego …
Avevo fatto un errore sposando Selena: dovevo saperlo che la mia vita era un susseguirsi di tristezza, rabbia e disgrazie. Nel momento in cui era diventata mia moglie, tutto l’orrore che era la mia vita era entrato nella sua: ed ora, avrebbe irrimediabilmente condizionato quella del piccolo.
Sentii le lacrime iniziare a rotolarmi lungo le guance e mi lasciai scivolare contro il muro, stringendomi le ginocchia al petto.
Non lo merita … non merita questo … vi prego, almeno mio figlio lasciatelo stare …
Morzan … mormorò Dracarys.
Lo sapevo. Sapevo che posso solo rovinare la vita alle persone …
Smettila. Tu e Selena avrete un bambino, è la cosa più bella che possa capitare.
No, non lo è … è un incubo. Galbatorix … non ci permetterà di crescerlo davvero, dovremo lasciarlo ad una balia … ma tutti sapranno di chi è figlio. Lo odieranno, lo giudicheranno e lo sdegneranno. Ho condannato mio figlio ad un destino orribile.
Non so quanto gli dei ascoltarono le mie preghiere.
E non so nemmeno quanto tempo rimasi lì.
So solo che all’improvviso sentii la mano di Selena sfiorarmi dolcemente la spalla, mentre lei si sedeva accanto a me.
Quando ebbi il coraggio di guardarla, vidi che anche lei aveva gli occhi lucidi di lacrime.
Anche lei temeva per il futuro del bambino.
Le sfiorai la guancia pallida, assaporando la sensazione della sua pelle vellutata sotto il mio tocco.
Emise un piccolo sospiro e appoggiò la testa sotto la mia, così che la potessi abbracciare. E così feci, avvolgendo il braccio intorno alla sua vita e stringendola a me.
Affondai il viso nei suoi capelli profumati.
-     Sssh. – sussurrò. – Non piangere. Andrà tutto bene.
-     Andrà di merda.
-     Non è vero.
La strinsi più forte ancora. – Non hai idea di quanto vorrei crederti, amore …
La vidi fare un piccolo sorriso e sfiorarmi i capelli.
-     Avremo un bambino. – mormorò. – So cosa pensi. Che lo discrimineranno, lo odieranno, solo per il fatto che è nostro figlio. Chissenefrega. – disse, spiazzandomi. – è tuo figlio. È un leone. E un leone che si rispetti non si fa condizionare dall’opinione delle pecore.
Mentre parlava, la sua voce aveva assunto tinte determinate e pericolose.
-     Selena …
-     Lo proteggeremo. – disse seria. – E lo ameremo.
-     E Galbatorix? Hai considerato il re?!
I suoi occhi lampeggiarono.
-     Ovvio che l’ho considerato. Ma deve solo provare a toccare il mio bambino e desidererà di non essere mai stato concepito.
-     Ma davvero. Ti ricordo che è il re, ci tiene in pugno. – le ricordai. – Gli basta una parola, e saremo costretti ad obbedire ad ogni suo ordine.
-     Ma noi non siamo più suoi schiavi. – sorrise furba. – Non siamo più solo Morzan e Selena. Adesso siamo genitori.
-     Cosa … cosa diavolo stai dicendo?!
-     Sto dicendo che ora sei Morzan, padre del bambino. Il tuo giuramento non parla di un Morzan, padre di un bambino, vero?
Il suo ragionamento mi spiazzò.
E nel momento in cui me ne resi conto, potei dare un senso alla strana sensazione di leggerezza che da due mesi mi si era attaccata addosso.
Era libertà.
Spostai il mio sguardo dai suoi occhi al suo ventre, che custodiva l’esserino artefice della nostra libertà.
E in mezzo alle tenebre di paura che avevano offuscato il mio cuore, spuntò un timido raggio di speranza.
Allungai la mano e sfiorai il leggero gonfiore della sua pancia, sentendo la vita che avevamo creato crescere sotto di essa.
Quel tocco provocò in me una sensazione di felicità sfrenata e assurda.
Scoppiai a ridere di una risata incontrollabile, che contagiò anche Selena pochi attimi dopo.
Non ci potevo credere.
Dopo cent’anni, ero finalmente libero.
E tutto grazie alla ragazza di fronte a me.
Mi alzai e la presi tra le braccia, tirandola su e facendola volteggiare.
La strinsi a me e le baciai i capelli, mentre rideva di pura felicità.
-     Non tanto forte! – rise scostandosi da me. – Adesso c’è il bambino …
-     Giusto.
Mi inginocchiai di fronte a lei e lasciai un bacio sul gonfiore che custodiva il nostro cucciolo.
Per quell’esserino, avrei lottato perfino più di quanto avessi lottato per i Cavalieri dei Draghi.
Per mio figlio e per sua madre, avrei abbattuto i Monti Beor e prosciugato il mare.
 
 

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Capitolo 25
*** Mammina ***


MORZAN

 

 

- Oh, finalmente. – sbuffò Anne nel momento in cui io e Selena entrammo nella sala da pranzo per la colazione. – A momenti il vino faceva la madre, qua. Cosa siete stati a letto a fare, sei già incinta, signorina! 

Selena divenne viola d’imbarazzo, sebbene non avessimo fatto niente … o almeno, non ci eravamo spinti fino a quel punto. 

Non potevamo certo dire che non fosse avvenuto niente di niente. 

Enduriel ridacchiò, ma mi bastò colpirlo di nascosto con la magia perché sputasse quel che aveva in bocca nel piatto e venisse rimproverato da Anne. 

Soddisfatto, mi sedetti al fianco di Selena, che guardava molto contenta la moltitudine di cibo dolce di fronte a lei. 

- Ma guarda un po’. – sogghignò. – Allora, iniziamo con … 
- Eh no. – subito la nonna la rimbeccò. – Non mi hai ascoltata, ragazzina, perciò dovrò controllarti io. Non mangerai tutto. 
- Ma ho fame! – protestò. 

L’occhiata della nonna bastò a farla ritornare sui suoi passi. 

- Oh, che bella mela. – sussurrò mortificata.

Addentò il frutto, ma senza mai staccare lo sguardo da un dolce ripieno di crema. 

Ebbi il sospetto che amasse quel dolcetto più di me. 

- Dunque. Morzan, mangia qualcosa, sei troppo magro. – la nonna si rivolse a me. 
- Potrei essere tuo padre. – le ricordai, non essendo abituato a ricevere ordini se non da una persona. 
- Attento a come parli, ragazzino. – mi redarguì immediatamente, puntandomi il cucchiaio contro. – Mi sa che il troppo tempo passato con mia nipote ti abbia reso più indisciplinato. 
- Non … 

A quel punto sperimentai l’occhiataccia. 

Era tremendo, quello sguardo. 

Quei glaciali occhi azzurri fissi nei miei, assottigliati e penetranti … gli bastò mezzo secondo perché distogliessi lo sguardo. 

- Certo. – sussurrai e presi il dolcetto che Selena aveva adocchiato. 

Lei mi guardò con un’espressione di profondo tradimento, ma quando le strizzai l’occhio fece un mezzo sorriso. 

Nascosi il dolcetto in un tovagliolo e glielo diedi da sotto la tovaglia, in modo che potesse nasconderlo sotto il mantello e mangiarlo dopo. 

Ne presi subito un altro e lo mangiai. Era davvero buonissimo. 

- Sapevi, Morzan, che Selena ha fatto la sua prima uscita pubblica? – fece Gorlois. – Insieme ad Amelia, è andata a Carvahall a portare le provviste per la carestia. 
- Non è stato niente di che. – subito Sel si affrettò a ricordare. – Una piccola gita di tre giorni. 
- Dalla quale ti sei portata dietro un bambino! – fece Anne. 
- Un bambino? – chiesi scioccato. Già era incinta, cosa si aspettava? Che aprissimo un asilo?
- Jack. – rispose Anne. – Abbiamo scoperto che era il figlio di una delle domestiche di qui, era stato rapito circa due anni fa. Ora è tornato da sua madre. 
- Ottimo. – dissi solamente, prendendo un altro dolcetto. 

Continuammo a mangiare e a chiacchierare, poi l’ora della colazione finì e i domestici arrivarono a sparecchiare. 

Io e Selena ci alzammo ed uscimmo dal castello, nei famosi giardini di Ceunon. 

Li avevo già visti un paio di volte, ma da quanto avevo capito lei ci era stata solo una volta. 

- Quanto hai visto dei giardini? 
- Non molto, a dir la verità. – rispose.
Si guardò intorno, e una volta che fu certa di essere al sicuro da occhi indiscreti, tirò fuori il dolcetto e lo divorò in un attimo. Fece un gran sorriso. – Questo dolcetto è la vita. 

- Farò finta di non aver sentito. – mi finsi offeso. 
- Ma smettila. – sbuffò e mi abbracciò, sollevandosi sulle punte dei piedi per baciarmi. 
- Ora sei perdonata. 
- Non devi perdonare me. Se voglio mangiare dolcetti è per colpa di tuo figlio. 
- Non addossare colpe al bambino! 
- Ma è vero. – rispose sollevando un sopracciglio. – Lui voleva il dolcetto. Mangiare quel dolcetto quindi rientrava nei miei doveri di madre, e assicurarti che lo mangiassi, anzi, che il bambino lo mangiasse, era nei tuoi doveri di padre. 
- Sento puzza di filosofia. – sbuffai. – Smetti di leggere, donna. 
- Ora che so farlo, non smetterò più! – sorrise allegra. 

La presi per mano e l’accompagnai a vedere i giardini. 

- Allora, com’è stato tornare a Carvahall? 
- È andata bene. – sussurrò con un filo di voce. 

Ma la sua espressione raccontava una storia diversa. 

- Che è successo? 
- Niente … 
- Selena, se ti hanno fatto qualcosa … 
- Te l’ho detto, non è successo niente! 
- Non è vero. 

Sospirò, mentre ci sedevamo su una panchina. – Mi guardavano tutti male, finché una signora non ha rimproverato suo marito e … beh, gli ha detto che in fin dei conti avevo aiutato anche la loro famiglia. 

- E perché avrebbe dovuto rimproverare suo marito? 

I suoi occhi nascondevano una profonda tristezza, e avrei ucciso chiunque l’avesse provocata. 

- Niente … 
- Amore. 
- Mi ha solo dato della … prostituta … ma niente di che. 
- Solo dato della prostituta? Ti ricordo che sei la donna più importante dell’impero, questa è lesa maestà. – le ricordai, mentre la rabbia cresceva ogni secondo di più.
Quello stronzo si era permesso di rivolgersi così a mia moglie? 

Non l’avrebbe passata liscia. 

- Morzan, non dare peso alle parole di un contadino arrabbiato. – fece un piccolo sorriso. 
- Ti hanno resa triste. 
- Non è tristezza, solo un po’ di … beh, amarezza. Passerà prestissimo. – sorrise. – Rilassati. Se c’è una cosa che mi ricordo di quanto mi ha detto mia nonna sulla lezione sui bambini, è che i capricci vanno ignorati. 
- Vanno presi provvedimenti, lo porterò in tribunale, verrà impiccato … 
- No. Lascia stare. Non vale la pena provare tutta questa rabbia. 

Mi diede un piccolo bacio sulla guancia, e si alzò. 

- Allora, continuiamo? – fece un sorriso, e non potei non assecondarla. 
- E poi? C’è altro? 
- No. A parte il fatto che ho incontrato mia madre. – sbuffò irritata. – è arrivata a dirmi che sono sempre la benvenuta in casa. Te lo dico io, quella vuole i tuoi soldi! 
- Adesso sei tu quella che deve rilassarsi. Tieni conto che è una madre. Esattamente come te, mammina. – la presi in giro. 
- Okay, chiamami un’altra volta così e … 
- Mammina. 

I suoi occhi si restrinsero, lanciandomi un’occhiataccia molto simile a quella di Anne. 

- Morzan … 
- Mammina piccolina patatina! 
- MORZAN! 

A quel punto capii che mi avrebbe fatto male. 

E iniziai a correre. 

- Aspetta solo che ti metta le mani addosso e vedrai, razza di lurido idiota …

Proseguì ad insultarmi in modi più o meno coloriti, ma a un certo punto perse fiato e non ce la fece più. 

Si fermò e si dovette appoggiare ad un albero, una mano appoggiata alla milza. 

- E tu non dovresti correre, mammina. 
- Morzy … 
- Chiamami un’altra volta così e … 
- E cosa? – rise, schernendomi. – Ti ricordo che sono incinta. Non puoi farmi niente. 
- Posso farti il solletico. 

Impallidì. 

- Non oseresti. 
- Mettimi alla prova. – ridacchiai. 
- Morzan … 
- Accontentata. 
- NOOO!!! 

La strinsi a me e iniziai a farle il solletico, mentre iniziava a ridere fino a perdere il fiato. 

La liberai dopo cinque minuti, quando dovette sedersi per poter recuperare il fiato. 

- Oh, santo cielo. – sospirò. – Questo è stato un colpo basso. 
- Tu dici? 
- Ovvio che dico. 

La abbracciai, mentre appoggiava la testa al mio petto. 

Sfiorai la pancia, sapendo che lì sotto c’era il nostro piccolo. 

- Adesso cosa facciamo? – sussurrò lei, quasi assonnata. 
- Beh, prima di tutto andremo a casa. Poi tu resterai lì. Finirai la gravidanza e partorirai. 
- Ma cosa intendi fare con il re? 
- Non posso mettere in pericolo te e il piccolo. Se mi ribellassi ora, ti ucciderebbe, e con te il bambino. No, continuerò a lavorare per lui, sabotando i suoi piani. 
- Parli di ribellarti a lui e di sabotarne i piani. Non è che per caso gli alleati di cui avevi parlato sono i Var … 
- Sta zitta, non parlarne ora. Solo a casa. Lì ti dirò tutto ciò che vuoi sapere, ormai non posso più nascondertelo. 

Ora c’era il bambino di mezzo, e avrebbe avuto bisogno di tutta la protezione possibile. 

 

 

- Bene. Ora che sei qui, iniziamo. - fece Anne. - Siediti, caro, siediti. 
- sissignora. 

Non osavo più ribellarmi dopo quella mattina. 

- Perfetto. Allora, devi sapere che la gravidanza dura nove mesi, ma essendo già di due mesi, il bambino verrà alla luce tra sette. Tutto chiaro fin qui?
 - Assolutamente.
- Ottimo. Partorire le farà parecchio male. Assicurati di essere lì nel momento in cui il bambino dovrà arrivare, perché altrimenti lei non avrà nessuno da insultare.
Successivamente … non sperare che i ritorni a casa saranno rilassanti. Il bambino piangerà tutte le notti. Più di una volta a notte. Avrà spesso fame, ma a volte vorrà anche giocare. E non credere che riuscirai a dormire. Fare il genitore è il lavoro più stancante, fisicamente e mentalmente, che esista.
E ricorda ogni parola di questo discorso: dovrai farlo anche a tuo figlio, o figlia, un giorno. Capito? 

- Sì. - sospirai, mentre ogni singolo aspetto della paternità mi sembrava sempre più pauroso. La stava mettendo giù malissimo. 
- I bambini si prendono tutto. - disse. - Pazienza, forze, soldi … tutto. Però … non potrai desiderare altro quando ti verrà incontro dopo che sarai stato via a lungo, abbracciandoti. O quando dirà una nuova parola che prima non sapeva dire, o quando vorrà le coccole. - un sorriso le increspò il viso, tanto simile a quello di Sel. - Nel momento stesso in cui lo terrai tra le braccia, appena nato, capirai che non potrai amare nessuno più di lui. 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Prigionia ***


 

SELENA

 

3 Mesi dopo

 

 

Sbuffai irritata. 

In quel libro sui nomi dei bambini non ce n’era nemmeno uno che mi piacesse, né da maschio né da femmina. 

- Che schifo. – sbottai dopo aver letto l’ultima pagina. 

Il piccolo sarebbe arrivato tra quattro mesi, e ancora non avevo idea di come chiamarlo. 

Proprio in quel momento lo sentii muoversi e scalciare, finalmente si doveva essere svegliato. 

- E tu che combini? – sorrisi accarezzando il pancione. – Devi giocare? 

Andai verso la finestra. 

In poco più di due giorni, tutto era ricoperto da uno spesso strato di neve, ma per evitare di ammalarmi e così di fare male al bambino avevo deciso di non uscire. 

Come se non bastasse, non vedevo Morzan da due settimane, dato che era stato chiamato ad Uru’Baen e doveva continuare con la copertura. 

- Dai, che tra poco il papà arriva. – mormorai al pancione. Ormai parlare al piccolo era diventata una mia abitudine, da quando Morzan se n’era andato. 

Tornai alla poltrona e presi il libro dei nomi numero due, nella speranza che almeno questo mi desse qualche idea. 

Doveva essere passata circa mezz’ora, quando sentii bussare alla porta. 

- Avanti. – mormorai, ed entrò Brom, accompagnato dal suo solito sorriso. 
- Sono tre giorni che te ne stai rinchiusa. Iniziavo a preoccuparmi. – commentò sedendosi. 
- Non c’è niente da temere. Non avevo voglia di uscire. – sbuffai. 
- Perché non esci? 
- Non voglio ammalarmi. 

Brom sbuffò. – Non ti ammali mica. 

- Nel dubbio, preferisco mantenere la mia salute e quella del bambino. Hai notizie di Morzan? 

Scosse la testa. – Non ti ha cercata con lo specchio? 

- Nemmeno una volta, il che è strano. – mormorai. – Secondo te gli è successo qualcosa? 
- Non credo, ma guardare non costa niente. – fece, poi si mise davanti al mio specchio. 

Mosse la mano, chiudendo gli occhi e sussurrando. – Draumr kopa. 

L’attimo dopo, il nostro riflesso venne sostituito da quello di Morzan. 

Quello che vidi mi impietrì. 

Era in una cella, le mani serrate da pesanti catene. Era sporco, e tossiva come se fosse malato. 

L’ha scoperto. 

- Merda. – imprecò Brom. – Devo avvisare Deynor. 
- Deynor? Il capo dei Varden? Quindi collaborate davvero con loro?! 

Una volta arrivati a casa, come sospettavo Morzan aveva lasciato cadere l’argomento, facendo in modo che anche a me non venisse in mente di chiederlo. 

- Sì. – rispose, in ansia. – Tu resta al castello. Ci penso io. 

Uscì veloce come il vento, ma in quel momento non potei sopportare che mi avesse chiesto di rimanere da parte, a fare la bambolina indifesa. 

Aprii l’armadio, scegliendo i vestiti più pesanti e il mantello. 

In un attimo ero vestita. 

Mi assicurai alla cintura il pugnale e presi l’arco.

Col cavolo che avrei lasciato mio marito nelle grinfie di Galbatorix. 

Corsi nelle stalle, facendo attenzione a non farmi beccare da servitori e guardie, e sellai Dream, per poi salirci su. 

- Corri! – gli ficcai i talloni nei fianchi. – Muoviti! 

Il mustang nitrì, si impennò e cominciò a galoppare come non aveva mai fatto prima. 

Uru’Baen era a solo un giorno di viaggio, se mi fossi data una mossa. 

 

 

 

Come sempre, Dream mi stupì. 

Varcammo i cancelli della città alle prime luci dell’alba, e non mi preoccupai nemmeno di smontare, dato che non sembrava minimamente stanco, nonostante avesse divorato leghe su leghe in poco più di venti ore. 

Le porte del castello erano aperte, così entrai a cavallo, raggiungendo la sala del trono in poco meno di cinque minuti. 

Le grandi porte di onice che mi separavano dal bastardo erano chiuse, ma non feci rallentare il cavallo. 

Tesi la mano destra, facendo ricorso a tutta la rabbia e la determinazione che provavo per abbattere il muro della magia. 

Un lampo di luce bianca frantumò le porte nell’istante prima che le varcassi. 

La sala del trono era vuota, ad eccezione del re, che stava comodamente seduto sul suo trono. 

- Ah, Selena. – sorrise. – Cominciavo a sentire la tua mancanza. 
- Liberalo immediatamente. – sibilai. 
- Perché, potrei pentirmene? – rise, alzandosi in piedi. – Scendi, mia cara. Parliamo civilmente. Così non sarò costretto a far del male a te e al figlioletto che porti in grembo. 

Di fronte alla mia reticenza, una luce nera danzò sul suo palmo. 

Quello mi convinse a scendere da Dream, che scalpitava nervosamente. 

- Ecco. Molto meglio. – sorrise soddisfatto. – E ora, discutiamo come persone civili, sì? Ecco, vieni. 

Controvoglia, sapendo che qualunque ribellione sarebbe costata la vita del mio bambino, lo seguii. 

Mi accompagnò oltre il trono nero, scostando una tenda che nascondeva un salottino privato. 

Un tavolino di mogano stava tra due poltrone rosse, poste l’una di fronte all’altra. Sul tavolo, posate su un vassoio d’argento, c’erano due fumanti tazze di tè. 

- Gradisci una tazza di tè, cara? Dopo un viaggio a cavallo d’inverno, devi avere freddo. 
- E chi mi assicura che non l’hai avvelenato? – ringhiai. 

Sorrise. – Arguta. – commentò, per poi passare all’antica lingua. – La mia parola di re che il cibo e le bevande che ti offro ora e nei giorni a venire non sono e non saranno avvelenate, e non faranno alcun male né a te né a tuo figlio. 

Parzialmente rassicurata, sapendo che nell’antica lingua non si può mentire, mi sedetti e presi una tazza di tè, mandando giù il liquido bollente con piccoli sorsi. 

Sì. 

Un buon tè era proprio quel che ci voleva. 

- Ora dimmi. 
- No, dimmi tu. – lo interruppi. Una scintilla di fastidio nei suoi occhi mi fece temere il peggio. 
- Giusto, suppongo che abbia il diritto di parlare per prima. 
- Perché l’hai imprigionato? 
- Per lo stesso segreto che tiene nascosto a te, e che ora mi vedo costretto a rivelarti. Da un po’ di tempo a questa parte, tuo marito non era più un Cavaliere leale. Controllando la sua mente ho scoperto che collaborava con i Varden, e finalmente ora mi spiego come mai tanti progetti che consideravo infallibili sono, ahimè, falliti.
Mi sono altresì reso conto che il suo vero nome era cambiato, a proposito, sono contento che abbiate finalmente consumato il matrimonio, sono contendo davvero. Gli ho fatto una proposta: avrebbe giurato fedeltà o l’avrei sbattuto in galera, senza che avesse la possibilità di vedere te o vostro figlio. Ha preferito la seconda. 

- Stai mentendo. 
- Ma ora che sei qui, posso proporre un patto anche a te. Ovviamente il tuo vero nome è cambiato, ora sei una madre. Ebbene, giurami fedeltà incondizionata e al tuo bambino non verrà fatto alcun male. 
- E riguardo a Morzan? 
- Verrà immediatamente scarcerato. Ma anche lui dovrà giurare. Scegli, mia cara. La vostra libertà o la vita di tuo figlio. 

Non ebbi dubbi di sorta. 

- Avete la mia lealtà, sire. 

Un sorriso gli increspò le labbra. 

- Bene. Grazie alla rapidità della tua scelta, godi della tua libertà fino a domani, quando tu e tuo marito giurerete. Guardie! 

Cinque soldati si fecero avanti. 

- Maestà. – dissero all’unisono. 
- Scarcerate il Cavaliere. Portate con voi Lady Selena. 
- Sissignore! 

Subito mi alzai e seguii le guardie nell’intrico sotterraneo delle prigioni, dove si gelava, arrivando quindi ad una cella separata dalle altre. 

Una guardia fece scattare la serratura, e la porta si aprì. 

Corsi dentro, terrorizzata dalla possibilità che fossi arrivata troppo tardi. 

- MORZAN! 

Gli corsi incontro, inginocchiandomi al suo fianco e dandogli dell’acqua. 

Subito si riebbe, tossendo forte. 

- Morzan, ti prego, dimmi che stai bene … 

Ormai le lacrime di paura mi offuscavano persino la vista. 

Lentamente, Morzan alzò gli occhi su di me, guardandomi con un misto di sorpresa e sofferenza. 

Quelle emozioni vennero subito soppiantate da una gelida rabbia. 

- Vattene. – sibilò. 
- Morzan, non … usciamo, dai … sei stato qui dentro abbastanza … 

Spezzai con la magia le catene che lo bloccavano, ma non mi permise nemmeno di aiutarlo ad alzarsi. 

In un attimo, si mise in piedi e se ne andò. 

 

 

 

 

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EHEHEHE. 
IL MAINAGIOIA E' SEMPRE LI!

 

 

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Capitolo 27
*** Tu mi hai rovinato, stupida ragazzina. ***


 

 

 

MORZAN

 

Finii di bere il bicchiere di vino, cercando di fare qualunque cosa che non implicasse il dover pensare a ciò che Selena aveva fatto. 

Nel momento stesso in cui l’avevo sentita sfiorarmi il viso, la sua voce sussurrare il mio nome, avevo capito. 

Tutti i miei piani erano andati in fumo, per colpa della sua ostinazione. 

Maledetta. 

Ero libero, finalmente libero … 

L’unica clausola che mi garantiva la libertà era restare in quella cella senza poter mai piu’ vedere lei, Dracarys e nostro figlio. 

E lei aveva rovinato tutto. 

In un impeto di rabbia, scagliai il bicchiere contro la parete, urlando come un selvaggio. 

Morzan …, mormoro’ Dracarys, preoccupato. 

Sta zitto. 

Sentii la porta aprirsi, ma non ci feci nemmeno caso. 

- Morzan?

Era lei. 

- Vattene. – cercai di mantenere un tono educato. 
- Morzan, ti senti bene?
- Selena, vattene. 

La sentii trasalire, ferita. 

- Possiamo parlarne?
- Perché, Sua Grazia vuole gongolare? – l’acidità trattenuta esplose e mi voltai verso di lei.

Se prima il suo viso mi provocava affetto, ora c’era solo l’odio. 

Un bruciante, corrosivo e tremendo odio. 

Degluti’, visibilmente preoccupata. 

- Non sei in te. – sussurrò, mordicchiandosi il labbro. 

Fino al giorno prima, avevo pensato spesso a quel gesto, che trovavo fin troppo seducente. 

Ora mi irritava solamente. 

- Ne riparliamo domani, quando ti sarai calmato, va bene?
- Oh, no, ne parliamo adesso. – bloccai il suo tentativo di andarsene serrando la porta con la magia. 

Lei impallidì, spaventata. 

- Sei ubriaco, non è davvero il momento di discuterne. 
- E chi può dirlo? Tu? 

Sospiro’ e si sedette sul bordo del letto, guardandomi dritto negli occhi. 

- Possiamo almeno parlarne civilmente?
- Con la stessa civiltà con cui ti sei permessa di rinchiudermi? 
- Non so come la veda tu, ma eri in prigione. 
- In quella prigione ero libero, stupida, e l’unico singolo prezzo da pagare era non rivedervi più. Ma tu no, devi fare di testa tua. Ti costava cosi tanto lasciarmi li? – urlai. 
- Si. – disse, la voce tremante e gli occhi pieni di lacrime. – Si, mi costava troppo. Da due settimane non avevo tue notizie, non sapevo dove fossi, se stessi bene, se fossi ancora vivo … e poi ti ho divinato, ti ho visto in una cella, ferito e malato. Cos’avrei dovuto fare?
- Lasciarmi li. Ti avevo detto di restare al castello, qualunque cosa fosse successa, maledizione. Galbatorix non sapeva del bambino e tu gliel’hai sbandierato ai quattro venti! 
- Cos’avresti fatto al mio posto?! 
- Me ne sarei rimasto a casa. – sibilai. – Ero finalmente libero, e tu hai rovinato tutto. 
- Volevo solo aiutarti! 
- No, tu volevi distruggermi. L’hai sempre voluto. 
- Non è vero. Sei ubriaco e stai vaneggiando … 
- Al contrario. – una risata usci’ dalle mie labbra. – Non mi sono mai sentito tanto lucido, bestiolina. Oh, aspetta. Chi ti ha sempre chiamata cosi? Enduriel. 
- Ma che stai dicendo? Ha usato quel soprannome solo una volta. 
- Una donna non può restare incinta solo con una scopata. Mi rendo conto solo ora che non può essere …
- Cosa ti stai permettendo di insinuare? - fece lei, subito più fredda. - Cosa, precisamente?
- è ovvio. Non è mio figlio. Oh, non preoccuparti, non lo dirò in pubblico, ci rimetterei la faccia. Non aspettarti però che lo ami … 
- Ma è tuo figlio! 

Ora le lacrime le scorrevano incessantemente dagli occhi. 

Pensava davvero di impietosirmi?

- Prova un’altra tattica. - feci, disgustato e amareggiato. 
- Non ti ho tradito, puoi guardare nella mia mente, se vuoi le prove, ma …
- STA ZITTA! Tu mi hai rovinato, stupida ragazzina. Maledetto sia il giorno in cui mi hai stregato con quegli occhi!
Ora non posso più ritornare indietro, giurerò fedeltà, ma ti faccio un’altra promessa: su quanto amo il mio drago, non aspettarti di essere trattata come una moglie, o il tuo bambino meglio di un figlio illegittimo. 

Selena deglutì. 

- Così è questo l’uomo che ho sposato. - mormorò fra sé e sè. - E sia. Non mi tratterai come una moglie, ma a questo punto non aspettarti da me il trattamento che riserverei a mio marito. E non aspettarti di vedere o sapere il nome di nostro figlio.
- Oh, questo te lo scordi. Starai a casa mia, dove ti posso controllare. 
- Sono sotto il controllo del re, ora. Non hai più nessun potere su di me … Arrivederci. Starò da Enduriel, se vorrai scusarti.
Stavo solo cercando di aiutarti, e mi dispiace, Morzan. - le si ruppe la voce. - Mi dispiace davvero tanto di averti tolto la libertà, io non ne avevo idea. Volevo solo riavere indietro mio marito e non volevo che nostro figlio crescesse senza un padre. Per te farei di tutto Ma se desideri che me ne vada, così farò. Non intendo tediarti oltre con la mia … la nostra presenza. - sussurrò, e sparì oltre la porta. 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Sel … amore … 

Nel non sentire la sua risposta, mi stranii. 

- Selena? 

Insospettito, aprii gli occhi, e un brivido di paura mi contrasse le budella quando non la vidi accanto a me. 

- Selena! 

Corsi in bagno, per vedere se fosse lì, ma niente. 

- Selena, dove sei? 

Il terrore mi tolse ogni singola lucidità mentale, mentre mi guardavo intorno alla ricerca di mia moglie. 

Dove diavolo era finita?!

Era incinta, cazzo, non poteva andarsene in giro come se niente fosse!

- Oh, dei … non è possibile … 

E se l’avessero rapita? 

Non è con te, disse Dracarys. 

Cosa … 

L’hai aggredita, stamattina. 

Non è possibile. Io la amo. E poi è incinta, le farei del male … 

L’hai accusata di averti tradito con Enduriel, che il cucciolo-d’uomo-che-porta-in-grembo non fosse frutto del vostro amore. Le hai detto che non l’avresti mai più considerata come una moglie e che avresti trattato il bambino come un figlio illegittimo. 

Dracarys, stai scherzando. Non può essere vero, anche perché non me lo ricordo. 

Ma certo che non te lo ricordi. Eri ubriaco fradicio. E non provare a dire di non essere mai stato arrabbiato con lei a causa del suo gesto. 

Ovvio che mi sono arrabbiato, all’inizio. è durata cinque minuti, ma non ho mai pensato che avesse fatto apposta. Semmai, le rimproveravo l’irresponsabilità del gesto, dato che … che aveva messo in pericolo il bambino … ma non … non le avrei mai detto quelle cose …

E invece l’hai fatto. Guarda tu stesso. 

No, ti prego, non voglio … 

E invece ora guarderai, così saprai esattamente per cosa implorare il suo perdono. 

In un attimo, vidi me stesso scagliare un bicchiere di vino contro una parete. Vidi Selena entrare, un’espressione speranzosa sul viso, subito stroncata dal gelo delle mie parole … 

No, no, no … 

Mi vidi continuare ad insultarla, incurante delle sue lacrime e dei suoi tentativi di difesa, mentre cercava di spiegarmi le ragioni del suo gesto. 

E poi, in lacrime, mormorava che voleva soltanto salvarmi, evitare che nostro figlio crescesse senza un padre. 

E se ne andava. 

Cosa ho fatto?







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Ehehehehehe ... in questo capitolo abbiamo Morzanstronz!

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Capitolo 28
*** Tazze assassine e altri rimedi ***


SELENA

 

 

 

Sospirai, appoggiando una mano sul pancione, nel punto in cui il bambino aveva deciso di prendermi a calci.

Logicamente, vicino allo stomaco, così che tutto il pranzo minacciasse costantemente di venire fuori dal lato sbagliato. 

Da Morzan mi sarei aspettata di tutto, meno quel comportamento. 

Oddio, sapevo che era ubriaco, che non era completamente in sé, ma quando mi aveva accusato di averlo tradito, asserendo che il piccolo non fosse suo figlio, non ci avevo visto più.

Ridendo, tra l’altro. Dicendo che non avrebbe rivelato quella sua falsa verità per non rimetterci la faccia. 

Nel vino giace la verità, mi aveva malignamente sussurrato la mia coscienza. 

E in effetti era difficile non ascoltare la mia coscienza. Dopotutto, avevo anche avuto paura. 

In quelle condizioni, era … era pericoloso.

Dovevo proteggere mio figlio ad ogni costo, e se il prezzo da pagare era scappare da mio marito, così avrei fatto, perché nulla valeva più della sua vita. 

- Stai stretto? - mormorai, dato che non la smetteva di muoversi. - Smettila. Mancano ancora quattro mesi, e poi potrai uscire.
A quel punto non ci saranno più problemi di spazio. 

Un altro calcio, che mi arrivò dritto nelle costole, suonò parecchio come un “sta zitta, mamma”. 

- Va bene, stai tranquillo. - sbuffai massaggiandomi la zona dolente. 

Parole vane. 

Continuò a scalciare, tutto contento di farmi male. 

- Dai, piccolo. Ora che il papà non può darmi un consiglio, devi dirmi tu come vuoi chiamarti. Almeno tu un’idea me la dai? Ma che sto dicendo. - sospirai, stufa. - Non so nemmeno se sei un bambino o una bambina. Basta. Deciderò che nome darti quando salterai fuori. 

Mi alzai dal letto, raggiungendo la finestra. 

Pioveva a dirotto, e mi ero stancata di restarmene in camera, così mi mossi verso la biblioteca, ignorando il dolore ai piedi. 

Enduriel e Amelia si sarebbero sposati il mese successivo, e nel palazzo di Ceunon, dove alloggiavo ormai da quattro giorni, erano tutti presi dai preparativi. 

Ergo, non vedevo i miei amici e la nonna da quattro giorni, se non ai pasti. 

In quelle situazioni evitavano accuratamente di parlare di matrimonio, dato che il mio andava sfracellandosi, ma onestamente quel trattamento mi faceva male. 

Perdipiù, persino sugli argomenti più banali si rivolgevano a me con estrema delicatezza, come se temessero che esplodessi di fronte a loro. 

Balle, pensai tra me e me, amareggiata. 

Non bastava l’odio di Morzan. Dovevo anche venire trattata con i guanti dai miei amici. 

Appena aprii la porta della biblioteca, mi sentii meglio. 

Respirai a pieni polmoni il profumo delle centinaia di migliaia di libri che vi riposavano, ammirandola ancora. 

La biblioteca si articolava su tre diversi piani: quello dell’ingresso, il primo piano e il secondo. Il tetto era di vetro, e in quelle sere mi era capitato di rimanere lì fino a tardi senza nemmeno dover accendere una candela, dato che riuscivo a vederci benissimo con la luce della luna e delle stelle. 

Tutti i generi letterari erano rigorosamente divisi, e ad occuparsi dell’enorme struttura erano un centinaio di esperti catalogatori e bibliofili. 

- Lady Selena, gradite una tazza di tè? - mi chiese una domestica non appena entrai. 
- Sì, grazie. 
- Come lo desiderate? 
- Me ne porti uno ai frutti di bosco, per favore. 
- Subito, mia signora!

La ragazza scomparve e io iniziai a salire le scale che portavano al secondo e ultimo piano, dove c’erano sia la sezione di epica, narrativa e fantasia che la parte dedicata ai bambini. 

Andai prima in quest’ultima, prendendo libri del genere “Che nome dare al proprio bambino”, “Resoconto statistico dei nomi più comuni degli ultimi cinquant’anni”, “Come prendersi cura del neonato”. 

Successivamente andai nell’altra, iniziando a prendere   “Storie di Cavalieri e dei loro draghi, dagli albori, alla corruzione, alla nobilissima riforma di Sua Maestà”.

Chissà quanto avrà pagato il vecchio Galby perché l’autore scrivesse nobilissima, commentai tra me e me. 

Presi anche alcuni poemi epici elfici, ai quali mi stavo appassionando soprattutto negli ultimi giorni. 

Mi sedetti su una delle poltrone, appoggiando la montagna di libri presi sul tavolino a fianco, e iniziai cercando un nome per il piccolo, tenendomi accanto una pergamena sulla quale scrivere i più carini. 

Cercai di non pensare a quanto mi sarebbe piaciuto svolgere quella ricerca con Morzan, ma ovviamente non ci riuscii. 

Una parte di me lo voleva accanto; e l’altra mi ricordava ciò che aveva detto. O meglio, urlato. 

Mi asciugai una lacrima raminga e continuai a cercare un nome per il cucciolo. 

Dopo un’ora e mezza, niente. 

- MA SARA’ MAI POSSIBILE CHE IN QUESTA DANNATA ALAGAESIA NON ESISTA UN NOME CARINO?! - sbraitai. 

Mi ci volle un’enorme sforzo di volontà per evitare di lanciare il libro giù dalla balconata della biblioteca. 

Invece del libro, lanciai la tazza vuota. 

- LETTA, PORCO CANE! - urlò una voce conosciuta. 

E nel sentirla, mi raggelai. 

Non era possibile. 

Era Morzan. 

Sentii l’ansia stringermi il cuore e lasciai lì tutto, cercando una via di fuga. 

- Senti, non so chi tu sia, ma conosco Lady Anne, e non sarà felice di sapere che una delle sue preziose tazze antiche ha rischiato di andare distrutta. - lo sentii dire. 

Meglio, non mi aveva ancora scoperta.

- E intanto, non potresti darmi una mano? Ho bisogno che tu mi dica dov’è Lady Selena. Devo parlarle con una certa urgenza. 

Col cavolo. 

Intravidi una porta secondaria, usata dalla servitù. 

Un gran sorriso di sollievo affiorò sulle mie labbra nello scoprire quella via di fuga, e ci scomparvi dietro. 

 

 

 

 

A cena, sebbene la sua presenza fosse il segreto di cui tutti erano a conoscenza e che nessuno osava rivelare,  non si presentò. 

Come immaginavo, usarono nei miei confronti un tatto talmente estremo da risultare tremendamente fastidioso. 

- Lo so che è qui. - sbottai alla fine, inaspettatamente. 

La nonna trasalì, portandosi una mano al cuore.

- Buon cielo, Selena, mi hai fatto venire un colpo. E chi sarebbe qui? 
- Morzan. 
- Ma cara, se Morzan fosse qui lo saprei e te l’avrei detto, non credi? 
- No, non credo. - ringhiai. - Perché da quando sono qui tutti voi mi state trattando come se potessi esplodere da un momento all’altro.
Quindi, grazie dell’ospitalità, ma torno a Uru’Baen domani stesso. 

- Non dire sciocchezze. - fece la nonna. - Non è qui. 
- Oh, allora sono pazza a tal punto da averlo sentito parlare in biblioteca? 
- Penso che tenere segreti sia inutile, cara. - mormorò Gorlois. 
- La voce della ragione! - esclamai. 
- è arrivato questa notte. - disse. - Ci ha chiesto di non farti sapere della sua presenza. Non so perché, ma tra moglie e marito è meglio non mettere il dito, dico sempre io. Finiamo di mangiare, ora. Sei libera di fare come credi. 

Un po’ più convinta, mi sedetti e continuai a mangiare, anche se non rivolsi la parola a nessuno di loro. 

Ero talmente amareggiata … no, disgustata dal fatto che me l’avessero tenuto nascosto che non appena ebbi finito di mangiare mi alzai da tavola senza nemmeno chiedere il permesso e me ne andai in biblioteca, dove speravo che non mi avrebbero disturbata.

Avevo lasciato sul tavolino tutti i libri, così potei riprendere con la lettura. 

Ma appena feci per prendere il libro dei nomi, vidi che un foglietto cadde dalle pagine. 

Incuriosita, mi chinai per raccoglierlo. 

Vidi che era ripiegato, così lo aprii. 

“Non prendertela con tua nonna. Le ho chiesto io di non dirti niente, prenditela con me, ne hai tutto il diritto. Ed il dovere.”

Subito capii chi fosse l’autore del biglietto, anche se non si era firmato. 

Morzan. 

- IO ME LA PRENDO CON CHI MI PARE E PIACE, STRONZO! - gridai, così da essere certa che mi avesse sentita. 

Non gli bastava accusarmi. 

Adesso doveva anche fare il finto dispiaciuto, con “romantici” messaggini anonimi … 

Ma va a cagare, sbuffai tra me e me e ridussi in cenere il biglietto con un gesto della mano. 





 

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Capitolo 29
*** Inizia a fare il papà. ***


MORZAN

 

-         Ah, eccoti, cercavo proprio te. - mi fermò Anne, e sapendo che era meglio non opporsi a lei, mi fermai.

-         Sì?

-         Sappi questo, ragazzo: io credo che tu sia un ottimo marito per mia nipote. Ma tocca di nuovo un bicchiere di alcol e faccio sì che tu non veda più né lei né vostro figlio. Sembra che tu abbia la tendenza ad essere un po’ troppo esuberante quando sei ubriaco.

Annuii.

Erano ormai cinque giorni che soffrivo per gli effetti che la sbornia aveva causato.

La parte peggiore di solito era svegliarsi nel cuore della notte e non trovare Selena al mio fianco. Lì la spina nel mio cuore affondava sempre più dolorosa.

La notte prima, dato che non ce la facevo più a restare nel mio letto, ero uscito, camminando un po’ per il castello, finché non avevo sentito qualcuno singhiozzare.

Solo quando avevo realizzato di essere davanti alla porta della camera di Selena, avevo capito chi stesse piangendo.

In modo strano, saperlo mi aveva fatto sentire da una parte meglio, e dall’altra peggio.

Meglio, perché significava che non ero l’unico a soffrire la reciproca lontananza che comunque io avevo provocato, e peggio perché non potevo sopportare il pensiero che Selena, la mia Selena, piangesse.

Avevo appoggiato la mano sulla sua porta, indeciso se entrare e parlarle oppure no.

Alla fine non avevo aperto la porta, convinto che in ogni caso lei mi avrebbe rifiutato.

Dovevo darle tempo, mi ero detto.

Anche se Dracarys non era dello stesso avviso: per lui sarei dovuto entrare, implorare il suo perdono in ginocchio e poi farla mia.

Il punto è che lui era un drago, e forse non era esattamente il massimo esperto di relazioni e psicologia umana.

Mi ero limitato a sfiorarle la mente, non tanto da farle realizzare che ero io, ma quanto bastava perché si sentisse confortata.

Almeno qualcosa per lei dovevo farlo. Era mia moglie, in fondo.

-         L’avrei fatto comunque. Intendo, smettere di ubriacarmi. - dissi, e Anne sembrò soddisfatta.

-         Voglio che tu la riconquisti. - fece puntandomi l’indice contro. - E prima che partorisca. Come ti ho già detto, avrà bisogno di te accanto. E inizia a leggerti qualche libro sui bambini. è leggermente in alto mare con i nomi, la ragazza. Passa le giornate in biblioteca per trovare un nome per quella creatura. Fatti venire in mente qualcosa. Inizia a fare il papà, uhm?

E così detto, se ne andò.

Inizia a fare il papà.

Mio figlio, o figlia, chi può dirlo, non era ancora nato, ma ciò non toglieva che non esistesse.

Era lì, nel ventre di mia moglie, esisteva e, a quanto sapevo, la faceva abbastanza disperare.

Dovevo iniziare a prendermene cura.

Dovevo iniziare a fare il papà.

Perciò mi mossi e andai in biblioteca, cercando i libri sui nomi dei bambini.

Alla fine non ebbi nemmeno bisogno di cercarli: trovai almeno sette libri che trattavano l’argomento su un tavolino di fianco ad una poltrona, insieme ad un paio di poemi elfici.

Dato che Selena era l’unica ragazza incinta che sapesse leggere in quel castello, dedussi che quei libri li avesse presi lei.

In fianco ad essi c’era un carboncino, con il quale doveva aver sottolineato quelli che le piacevano di più.

Incuriosito, presi il primo, “Statistica sui nomi più comuni dati ai neonati degli ultimi cinquant’anni”.

Vedendo un titolo simile, avrei già abbandonato la ricerca.

Tuttavia gli diedi un’occhiata, ma ben presto capii che il carboncino era rimasto inutilizzato.

Non gliene piaceva nessuno.

Un nome glielo dovremo dare, amore … pensai tra me e me.

Zannartiglio non è un brutto nome, commentò Dracarys.

Per favore. Il bambino è umano. Non un draghetto.

Beh, ci sono nomi dragoneschi adatti agli umani. Rhaegar non ti piace?

Rhaegar … sai che non è brutto …, riflettei.

Rhaegar Morzansson.

Non suonava poi così male.

Rhaegar mi piace. Lo devo proporre a Selena, quando deciderà di parlarmi di nuovo.

Oh, per le ali di Belgabad, sbuffò Dracarys.

Che c’è?

Ancora non l’hai capito?

Capito cosa?

Vuole che sia tu a fare la prima mossa! E il prima possibile, capra!

Ma … deve sbollire, prima …

Senti. Tu adesso alzi il culo e vai a riconquistare tua moglie, o non ci sarà nessun Rhaegar Morzansson se lei non ti consentirà di vederlo.

Non può impedirmelo …

La legge dice così. L’avete fatta tu e Galbatorix, benemerito idiota, perché le violenze su donne e bambini si riducessero.

Ah … è vero.

MUOVITI!

Accompagnò all’urlo un ruggito, e a quel punto mi alzai.

Uscii dalla biblioteca e andai verso la sua camera, fermandomi davanti alla splendida porta bianca decorata dall’intarsio della rosa dorata.

Raccolsi il coraggio e bussai, ma la porta si aprì da sola.

Stranito, aprii.

-         Selena? - la chiamai.

Nessuna risposta.

-         Sel, sono io. Non voglio farti del male, solo parlarti … sei qui?

Di nuovo, silenzio.

-         Amore, ti prego …

-         Non è qui.

La voce di Enduriel, completamente inaspettata, mi fece venire un attacco di cuore.

-         Cosa?

-         Galbatorix. L’ha chiamata ad Uru’Baen stamattina. è appena partita. - disse.

Allora sarei stato in grado di raggiungerla.

-         Perché l’ha chiamata?

L’elfo mandò giù, visibilmente in ansia.

-         Credo voglia addestrarla ad arti meno nobili della lettura.

Tortura, capii sconvolto.

Dovevo raggiungerla prima che arrivasse alla capitale.

 

 

 

 

Ma ovvio.

Ma giusto.

Doveva rendersi invisibile.

A quel punto cambiai strategia e andai direttamente alla capitale, raggiungendola in una giornata di volo senza soste.

Una cosa che mi dava parecchia soddisfazione era che lì, la nostra camera era in comune.

E dato che saremmo stati entrambi lì … l’avrei incontrata per forza, avendo quindi molte più possibilità di chiederle scusa per il mio comportamento.

Lasciai che Dracarys andasse a riposarsi nella sua torre, poi andai nel castello, raggiungendo i nostri appartamenti.

Diedi ordine di dare una ripulita e di cambiare le lenzuola, poi il re mi chiamò.

Sbuffando, raggiunsi la sala del trono, inchinandomi di fronte a lui.

-         Sire.

-         Morzan … mi è giunta voce di una brutta diatriba fra te e la cara Selena.

Chiamala un’altra volta cara e ti stacco la lingua, idiota. 

-         Niente di che, Maestà.

-         Eppure lei è scappata. Perché punirla per aver fatto la cosa giusta? Vabbè. Riappacificati con lei, al bambino manca poco per venire al mondo e avrà bisogno di entrambi i suoi genitori uniti per affrontare le sfide del mondo.

-         Sì, signore.

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Colpi di frusta ***


SELENA

 

 

 

Arrivai ad Uru’Baen dopo circa cinque giorni a cavallo, con dovute pause. 

Sapevo benissimo che Morzan era già lì, avevo visto Dracarys volare verso la città. E avevo notato anche la sua figura in groppa al drago. 

Attraversai il cancello principale di notte, indossando il cappuccio del mantello per rimanere nell’ombra. 

Quando calava la notte, aumentava esponenzialmente il tasso di criminalità. 

Entrai nel castello dal portone principale, e come immaginavo nessuno venne ad accogliermi. 

Meglio. 

Non avevo voglia di vedere gente. 

Sapendo che Morzan sarebbe stato in camera nostra, evitai accuratamente di andare lì, andando in biblioteca. 

Magari lì avrei trovato qualche idea. 

Arrivata lì, mi resi conto che era perfino più grande di quella di Ceunon. 

Ergo, più libri sui nomi dei bambini!

- Dai, che qualcosa lo troviamo. – mormorai e iniziai a prendere libri su libri. 
- Sapevo che ti avrei trovata qui. 

Sentire la sua voce mi provocò uno spavento tale che tutti i libri mi caddero dalle mani. 

Mi voltai di scatto, cercando il fodero del pugnale alla cintura. 

Non lo trovai. 

Era lì, di fronte a me. La prima cosa che notai fu che non aveva il cinturone di Zar’roc allacciato in vita, e la cosa mi stranì. Andava sempre in giro con quella spada. 

Fece un piccolo sorriso, al quale non riuscii a rispondere. 

- Non aver paura … - mormorò, ma venne subito interrotto. 
- Cercavo proprio voi! – esclamò Galbatorix, entrando nella biblioteca. 

Il ghigno sulle sue labbra non prometteva nulla di buono. 

Istintivamente, Morzan fece un passo verso di me, e altrettanto automaticamente strinsi la mano che mi porgeva. 

- Sire. – disse, la voce completamente atona. 
- Ho appunto bisogno di Selena. – ghignò. 
- Perdonatemi, Maestà, ma ha appena concluso un lungo viaggio a cavallo, e nelle condizioni in cui è …

Il re lo fulminò con un’occhiata talmente tremenda da provocare anche a me brividi di paura. 

- Verrai anche tu, allora. – sibilò. – Andiamo. 
- Sire … - tentai. 

Non mi ascoltò nemmeno. 

- È meglio andare. – sussurrò Morzan, passando un braccio intorno ai miei fianchi. 

Sapevo che non avrei dovuto accettare la sua vicinanza. 

Ma era l’unico che potesse proteggermi da quell’uomo, se si poteva definire tale. 

Seguimmo il re, che ci portò nelle segrete del castello. 

- Oh, state tranquilli, non intendo sbattervi in galera. – ridacchiò. – No, siamo qui perché la cara Selena impari. 
- Imparare cosa? – chiesi terrorizzata. 

Galbatorix si voltò verso di me, con un sorriso folle. – La nobile arte dell’estirpare informazioni. 

Il sangue mi si ghiacciò nelle vene nel capire cosa intendesse. 

Tortura. 

- No … - cercai di oppormi. 
- Oh, suvvia, non fare così. Ti divertirai … 
- Sire, con tutto il rispetto, non credo sia pronta. – intervenne Morzan, catturando l’attenzione del re. 
- Attento, schiavo. – ringhiò. – Non tirare troppo la corda. 
- Mi avete chiesto di addestrarla, ma mi sono visto costretto a dover colmare parecchie lacune, in primis il saper leggere e scrivere. Anche se adesso legge e scrive con scioltezza, ho dovuto trascurare la magia. Trova difficoltà persino con gli incantesimi più basilari, e nelle condizioni in cui versa non ritengo opportuno sottoporla ad un certo stress. Potrebbe perdere il bambino. – disse. 
- Appunto per questo deve iniziare subito. – fece il re. – Sei andato troppo lento e ora devo recuperare il tempo che hai perso. 

Aprì una cella, nella quale un uomo era incatenato ad una roccia. 

Morzan strinse più forte la mia mano, sfiorandomi la tempia con le labbra. 

- Andrà tutto bene. Devi solo pensare ad altro. – mormorò sottovoce, per non farsi sentire dal re. 
- Su, cara, vieni avanti, forza. – sorrise il re tutto allegro. – Vedi, questo simpatico ragazzo è una spia dei Varden, che razziano l’Impero. A causa loro, la pace è precaria. Ora, fai in modo che ti dica tutto quello che sa. 
- Sire … 
- Immediatamente. – sibilò. 

Raccolsi una frusta da terra, ma la mano mi tremava talmente tanto che mi cadde. 

Mi misi di fianco all’uomo, riuscendo a vederne il viso.

Era un volto gentile, ma sporco a causa della prigionia. Le lacrime avevano lasciato scie di pulito sulle sue guance. 

- Per favore … - sussurrò disperato. 
- Scusami. 
- Non ti scusare, cara, ricorda che hai ragione. – rise Galbatorix.

Cercai di ignorare la sua follia e sfiorai la mente dell’uomo, che eresse barriere. 

Non voglio farti del male. 

Lo so, ma dovrai farlo, rispose. 

Non puoi dirmi ciò che sai? Salvati, la tua vita vale più di un pugno di informazioni. 

Ridacchiò. Tu lotti per tuo figlio, ed io per il mio. Sappiamo entrambi che non ti dirò niente … fai prima a frustarmi, ragazza. 

Non può essere quello che vuoi … 

È il meglio per entrambi. 

Ne sei sicuro? 

Stai tranquilla. Tuo marito è venuto qui un paio di giorni fa, imponendomi un incantesimo che riducesse il dolore. Non temere. 

Mi ci volle un bello sforzo per non voltarmi verso Morzan, sforzo che alla fine non riuscii a vincere. 

Ma lui era immobile, lo sguardo fisso davanti a sé, freddo e calcolatore. 

- Allora? Cosa stiamo aspettando? – fece il re, annoiato. 
- Dimmi ciò che sai. – dissi alla spia, cercando di mantenere la mia voce il più ferma possibile. 
- No. – rispose. 
- No? 
- No. 
- Allora l’hai voluto tu. 

Raccolsi la frusta da terra, cercando di non far tremare la mia mano, ma quando fu il momento di ferirlo, non ce la feci. 

A quel punto Morzan si mosse. 

- Ci penso io. – disse prendendomi la frusta di mano. 

Non l’avesse mai fatto. 

Il re si alterò terribilmente, bloccando sia me che lui.

Con un getto di magia nera, uccise il povero malcapitato, urlando alle guardie di portare via il corpo. 

- E legate questo idiota. – sibilò indicando Morzan. 
- No! – gridai. – Non voleva! Lascialo stare!
- Tu sta zitta, donna! Pagherete entrambi. – ringhiò, afferrandomi per i polsi e gettandomi a terra. Sentii il sangue gocciolarmi dalla tempia. – Tu per la tua debolezza, e lui per una tale insubordinazione. Così si insegna ai cani ad ubbidire. 
- Per favore … 

Raccolse la frusta da terra, mentre la guardia strappava via la maglia che Morzan indossava. 

- E tu dovrai guardare. – sorrise maligno. 

Sentii il sibilo della frusta, e poi Morzan sussultò, mentre una tremenda ferita gli si apriva sulla schiena. 

- Basta … lascialo stare … 
- Smettila di frignare, insulsa ragazzina, o lascerò a te il piacere. – ringhiò. 

Continuò a frustarlo, e dopo un po’ Morzan non resistette più. 

Quelle tremende e strazianti urla risuonarono nella mia mente anche dopo che lui crollò, svenuto. 

A quel punto il re si fermò, ordinando alle guardie di liberarlo. 

- Spero tu abbia imparato, Selena. – disse sollevandomi il mento. – Porta tuo marito a casa e guariscilo. Non potrai usare la magia, ho usato una frusta incantata, così vi ricorderete entrambi di non riprovarci un’atra volta. Vi voglio al Sud in quindici giorni. 
- Sì, Maestà. – riuscii solo a mormorare. 

Uscì, seguito dalle guardie, che lo avevano lasciato per terra, immerso nel proprio sangue. 

Subito gli corsi incontro, liberando tutte le lacrime trattenute. 

- Mi dispiace … - singhiozzai disperata, cercando di farlo rinvenire. 

Respirava e il cuore gli batteva, ma era talmente immobile e pallido da sembrare morto. 

- Ti prego, torna indietro … per favore … 
- Lady Selena, siamo pronti a portarlo via. – dissero alcune guardie, che portavano una barella. 

Annuii, e lo caricarono delicatamente sulla lettiga, a pancia in giù. 

Li seguii, fino a raggiungere Dracarys. Legarono la barella alle sue zampe ed io mi arrampicai sulla sella. 

- Vola. – sussurrai, e in un attimo si librava nel cielo. 





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Cosa?
Volevate una gioia? 
E invece no! muahahahahaha!!!

Alla prossima!

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** La biondina e il leoncino ***


MORZAN

 

 

 

- MUOVITI, CAVALIERE! – rise Brom prendendomi Zar’Roc e lanciandola giù da una rupe. – RECUPERA LA TUA PREZIOSA SPADA!
- È UNA SFIDA? – gridai e saltai giù dalla rupe, tuffandomi nel vuoto. Afferrai la spada a mezz’aria, poi arrestai la caduta con la magia, atterrando perfettamente in piedi sul terreno. 

Derek mi guardò accigliato ed ironico. – Esibizionista. – commentò. 

- Principino. – gli risposi per le rime. 
- Oh, piantatela. – rise Mavis, raggiungendoci insieme a Brom. 

Aveva sedici anni, ed era venuta su proprio bene. 

I capelli biondi si erano fatti più lunghi, ed era solita acconciarli in un’alta coda per tenerli a bada. Gli occhi viola risplendevano di gioia e vitalità e si era sviluppata, diventando una bellissima ragazza. 

Ad essere interessato era Derek, che non perdeva occasione di sbirciarla e cercava in tutti i modi di farsi notare da lei. 

Anche se era la mia sorellina, non mi dispiaceva. 

Di Derek mi fidavo e sapevo che non l’avrebbe mai fatta soffrire. Inoltre, mi aveva chiesto il permesso di corteggiarla, e questo era una valangata di punti a suo favore. 

Molto probabilmente avrei visto mia sorella diventare Regina del Nord, un giorno. 

- Dunque. – fece Brom. – Stasera? 

Derek fece un sorriso. – C’è l’Agaetì Blodhren, geni. – ci ricordò. 

A quelle parole impallidimmo tutti e tre. 

Ce l’eravamo dimenticati … 

- MA DIRMELO PRIMA NO, EH? – gridai. – E IO DOVREI ANDARCI COSI?!

Mai Morzan, il Cavaliere migliore di tutti, sarebbe andato ad una festa mal messo, ragion per cui salii su Dracarys e volai a casa, pronto a prepararmi. 

 

 

- Benissimo. – commentai al mio riflesso, soddisfatto. 

Mi ero dato una lavata e mi ero vestito con i miei abiti migliori, un paio di pantaloni neri di pelle, stivali neri, una corta tunica bianca e un mantello rosso. Mi allacciai il cinturone con il fodero di Zar’Roc alla vita.  

Ero perfetto. 

Uscii dalla mia stanza, incrociando Brom, Derek e Mavis. 

Brom indossava pantaloni marroni, una camicia bianca e sopra di essa una giacca blu. 

Derek era vestito in modo simile, ma invece della giacca viola aveva un mantello purpureo. 

Mavis invece indossava un abito grigio e bianco, aderente al corpetto e morbido sulla gonna, con lo scollo a cuore. Un mantello dorato le copriva le spalle, e ovviamente anche lei aveva la spada. 

Era una delle prime volte che la vedevo in abiti femminili, ed era ancora più attraente del solito. 

Camminava a testa alta, bellissima e fiera. 

A quel punto Derek fece il primo passo. 

- Posso accompagnarti? – le chiese. 

Fu la prima volta che vidi Mavis arrossire. Annuì e appoggiò la mano al suo braccio. 

“Ullallà, Derek rubacuori …” lo presi in giro mentalmente. 

“Tu sta zitto” mi intimò, e andammo. 

 

 

 

Per Derek quella festa fu un successo. 

Confessò a Mavis i suoi sentimenti, e scoprì di essere ricambiato. 

Da quel giorno passarono sei mesi. 

Stavo insegnando a Mavis a prendere l’energia da piante, animali e persone, quando lei tutt’a un tratto si piegò in due e vomitò. 

- Stai bene? – le chiesi preoccupato, ma quando si rialzò e si pulì il viso vidi che sorrideva. 

E li capii tutto. 

- E dirmi prima che sarò zio no, eh? – chiesi a bassa voce, non potendo non sorridere. 
- Oh, smettila. – sorrise mentre la abbracciavo. 
- E Derek? Almeno a lui l’hai detto?
- È una sorpresa, per il suo compleanno. – rispose in tono confidenziale. – Non glielo dire. 
- Congratulazioni, comunque. – sorrisi e la abbracciai, mentre si asciugava le lacrime di commozione. 
- Grazie. – mormorò stringendomi. 
- Allora le nozze a tra pochissimo, no?
- Vedremo … - rise e riprendemmo la lezione. 

 

 

DUE MESI DOPO

 

 

Nel silenzio della cella, mi lasciai sfuggire una lacrima. 

Avevo perso … i Cavalieri avevano perso.

Tutto mi sarei aspettato, meno che gli altri dodici infiltrati si alleassero spontaneamente e sinceramente a Galbatorix, credendo nei suoi folli ideali. 

Quei bastardi avevano cancellato l’Ordine, Galbatorix aveva scoperto il mio inganno e mi aveva legato a sé, definitivamente … 

Costringendomi ad uccidere Saphira, la dragonessa di Brom. 

Enduriel aveva ucciso senza pietà il drago verde di Derek, Eridor … 

Ma la visione che mi tormentava era il visino di Mavis, pallido e agonizzante. 

La mia sorellina era morta tra le mie braccia la settimana prima, per mano mia. 

Galbatorix aveva preso possesso della mia mente e mi aveva costretto a trafiggere la mia Mavis con Zar’Roc … miseria. 

Alla fine, quella spada aveva portato più miseria nelle vite dei miei amici, che dei miei nemici. 

- Mor … zan. – aveva sussurrato Mavis, stringendomi la mano. 
- Perdonami … perdonami, Mavis. – avevo singhiozzato in lacrime, stringendola a me. Il maledetto re di Alagaesia aveva tolto il controllo sulla mia mente appena compiuto l’atto, credendo che Mavis mi avrebbe odiato. E invece no. 
- Lo so … Morzan. Non sei stato tu … Ti voglio bene … - aveva sorriso. – Presto rincontrerò Myra … non temere per me. Prendi … prendi questo … - mi aveva dato un fairth. 

Ritraeva Brom, Derek, Oromis, me e lei, insieme ai nostri draghi, abbracciati e contenti. Alla fine era entrata nel nostro gruppo. 

Era stato lo stesso Vrael a farci quel fairth … l’avevamo appeso nella biblioteca dell’Accademia. 

- Morzan … fratellone ... - aveva sospirato. – Grazie …

Ed era morta. 

“Non rimuginare sul passato”, mormoro’ Dracarys, ma lui soffriva molto di più.

Saphira aspettava le sue uova, ed era morta, ma almeno era riuscita a partorire prima di esalare l’ultimo respiro.  

“Dracarys … che ne sarà di noi?”

“Non lo so, amico mio. So solo che vorrei morire.”

“Anche io.” 

La porta della cella si aprì cigolando, rivelando la magra figura di Galbatorix. 

- Mmh, Morzan … male. Perché non mangi?
- Non mangerò niente che provenga da te!
- Che peccato. – ridacchiò. – Volente o nolente, sarai il mio primo servo. 
- Non ti servirò mai … 

Attaccò la mia mente con la magia nera, con un incantesimo del quale non sapevo nulla e al quale non potei resistere. 

Carpì la mia essenza, il mio vero nome … e quello di Dracarys. 

E con quello, ci legò a sé per l’eternità. 

- Morzan, il Primo Rinnegato. – rise. – Suona bene, no? Marchiatelo. – ordinò poi. 

Svuotato da ogni energia, lasciai che le guardie mi strappassero la maglia, arroventassero il ferro e lo imprimessero sulla mia spalla sinistra. 

Tredici stelle in una fiamma guizzante. 

- È sorta una nuova era. – sorrise solennemente. – E tu ne farai parte. Dracarys, ho qualcosa anche per te. Non tutto è perduto … tre uova di Saphira sono rimaste. – ghignò. – Blu, rosso, verde. 

La felicità di Dracarys a quella notizia fu simile all’eruzione di un vulcano. 

- Se tu e il tuo Cavaliere vi comporterete bene, quando si schiuderanno per i nuovi Cavalieri potrai allevarli. 

Era un ricatto. 

Un ricatto bello e buono. 

Dracarys avrebbe potuto crescere i cuccioli solo se fossimo rimasti suoi schiavi, ma non potevo togliergli anche la speranza di essere padre. 

- Va bene. – sussurrai, cedendo. 

Galbatorix sorrise, soddisfatto. – Vedi, Morzan? Non era poi così difficile. Vieni, ti mostrerò i tuoi appartamenti. 

Controvoglia, mi alzai e camminai dietro di lui.

Ogni passo, a causa delle ferite delle torture, mi faceva desiderare di morire, ma non emisi il minimo lamento. Non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi soffrire. 

Arrivammo a quella che sarebbe diventata casa mia dopo venti minuti, e aprì la porta con fare teatrale. 

Era una camera enorme e spaziosa, al centro della quale torreggiava un letto a baldacchino che avrebbe comodamente ospitato cinque persone. Le tende del letto erano di pesante velluto rosso cremisi, e sopra le coperte del medesimo colore c’erano un paio di pellicce d’orso. 

Dall’altro lato della camera, un camino, al fianco del quale c’era il pannello che nascondeva il montavivande. Sopra al camino, due spade incrociate: nel riconoscerle come la spada di Mavis e quella di Brom mi venne un conato. 

Ogni volta che mi fossi svegliato, davanti a me avrei avuto il ricordo costante della mia vergogna e del mio amico perduto. 

Maledetto re Nero. 

L’unica cosa positiva e non opprimente di quel luogo era la finestra, spaziosa e trasparente. 

 - Bene. Ti lascerò qui ad ambientarti nella tua nuova casa. – ghignò Galbatorix. – Un servo ti annuncerà la cena.

Se ne andò, e la prima cosa che feci fu gridare. 

 

 

- Selena, adesso smettila. – sentii Brom dire. 
- No! – protestò lei. 
- Starà bene, te lo assicuro. Ma devi dormire, non fa bene né a te né al bambino. 
- Sto benissimo. 

Brom sbuffò. – Slytha. 

L’attimo dopo, entrò con una Selena addormentata tra le braccia. 

- Oh, alleluia, hai deciso di svegliarti. Beh, sappi che non la sveglierò. – fece. – Sono tre giorni che rifiuta di dormire. 

Sospirai, mentre la appoggiava delicatamente nel letto, accanto a me. 

Perfino durante il sonno indotto era agitata, una piccola ruga di preoccupazione le solcava la fronte. 

Amore mio … 

- Io gliel’avevo detto, di starsene a casa. Sarei venuto io a prenderti e tutto si sarebbe risolto meglio. 
- Non importa. Sarebbe stato uguale.
- Perché?
- Perché nel momento in cui avrei oltrepassato quella porta, sarei di nuovo stato vincolato a Galbatorix. Quindi, era indifferente. Anche se fosti venuto tu il risultato sarebbe stato questo.  
- Ah. – commentò. – Il vecchietto sa il fatto suo. 
- Fin troppo. 

Ci fu un attimo di silenzio, poi Brom mi diede una pacca sulla spalla. 

- Beh, sono felice che tu stia bene, vecchio mio. – disse tirandosi su. – Io ho i bulbi da trapiantare, e se non fioriscono in tempo tua moglie mi squarta. Negli ultimi tempi è diventata estremamente maniaca. 
- Non aveva niente da fare, che doveva inventarsi? 
- Ah, non lo so. 

Uscì e rimasi da solo con Selena, che però dormiva e non avrei svegliato. 

In quel momento, il dolore alle ferite comparve come una mazzata tremenda. 

- Merda. – ringhiai. 

Cercai di alzarmi per mettermi davanti allo specchio e valutare l’entità dei danni, ma appena feci mezzo movimento la mia schiena protestò vivacemente. 

- Al diavolo. – sbuffai e mormorai quattro parole magiche, giusto perché non dovessi sentire dolore, ma con mia grande sorpresa non funzionarono. 

Il dolore non si calmò nemmeno un po’. 

Maledetto Galbatorix. Doveva aver incantato la frusta. 

Ignorando il dolore, mi alzai cercando di fare meno movimenti possibile e controllai le ferite. 

Erano parecchie e ricoprivano tutta la mia schiena, ma la maggior parte erano già in via di guarigione. 

Tutto merito di Selena, immaginai. 

Ritornai a letto, riuscendo anche ad abbracciarla. 

In parte fu merito suo, perché mi si accoccolò tra le braccia come faceva sempre, appoggiando la testa sul mio petto. 

Iniziai ad accarezzarle i morbidi capelli biondi, assaporando quel contatto che tanto mi era mancato. 

A volte era così difficile ricordare che, nonostante il suo comportamento da adulta, aveva solamente sedici anni ed era nel pieno della tempesta adolescenziale, che ovviamente era aumentata con la gravidanza. 

Non potevo farle nessuna colpa. Era perfetta così com’era, con tutte le sue imperfezioni. 

A cominciare dal brufolo, Galbatorix, che si era ridotto ma non se n’era andato, spostandosi sulla tempia. 

- Mmh … - la sentii mormorare, mentre si svegliava. 

Ero convinto che il sonno indotto durasse molto di più. 

Attesi che si riprendesse, ma vedere i suoi dolci occhioni grigi fu una gioia che spazzò via ogni singolo dolore. 

- Morzan? – sussurrò stupita, sfiorandomi la guancia come se non credesse davvero che fossi davvero lì. 

Fu difficile trattenere le lacrime. 

- Ciao, biondina. 

E mi riappropriai delle sue labbra, sentendo che si curvavano in un sorriso che non potei non ricambiare. 

Mavis e il mio nipotino non ancora nato potevano non esserci più, ma ora avevo lei e nostro figlio. 

La mia biondina e il mio leoncino. 

 

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Capitolo 32
*** Nomi ***







SELENA

 

 

 

- Ma io non ci posso credere. – sbuffò Morzan entrando in biblioteca, dove mi trovavo, intenta a scartabellare libri su libri per trovare un nome a quella povera creatura ancora innominata che cresceva e stava per nascere e ancora non aveva un nome! 
- Che vuoi? Non vedi che ho fa fare?! – protestai scacciandolo con un gesto della mano. 
- Certo, ma pensavo che ora che ci siamo riappacificati non ti saresti subito rifugiata tra i libri! Sono passati dieci giorni da quando siamo arrivati da Uru’Baen, tra due dobbiamo partire per il Sud e praticamente non ti ho vista, se non ai pasti! Non so te, ma a me piacerebbe tanto passare un pochino, dico un pochino di tempo con mia moglie.
Non mi sembra di chiederti la luna!

- Non ho tempo per le tue seghe mentali, Morzan.
Tuo figlio non ha un nome e gliene serve uno. 

Sospirò e si sedette accanto a me. 

- E io non ho margine di scelta?
- Hai chiamato un cane Lampo! Non posso fidarmi di te sulla questione nomi quando dai ai tuoi cani nomi simili! 
- Dracarys me ne ha proposto uno carino. – commentò. 
- Oh, dei. Non chiameremo nostro figlio Belgabad, Iormungr o con altri nomi simili. I draghi sono draghi, i bambini sono bambini.
Capisco che tu e lui abbiate un legame speciale, ma devi anche un po’ distinguere. 

- Rhaegar non ti piace? 

Quel nome mi suonò completamente nuovo. 

Rhaegar. 

Era un nome da drago, ma sembrava andare bene anche ad un umano. 

Era un nome molto forte, e di sicuro nostro figlio ne avrebbe avuto bisogno.

Rhaegar Morzansson. 

Non suonava poi così male. 

- Lo metterò in lista. È un’idea carina. 

E finalmente potei mettere il primo nome sulla lista. 

- Però non hai pensato ad una cosa. – sorrise divertito. 
- E a cosa, sentiamo? 
- E se fosse una bambina? – fece, e arrossii. 

Avevo sempre pensato che fosse un maschio, ma poteva benissimo essere una bambina. 

O potevano anche essere due gemelli. 

- Okay, forse non ci ho pensato … che ne dici di Mavis? – proposi, ricordandomi il nome di sua sorella, morta troppo presto. 

Un lieve sorriso gli increspò le labbra. 

- Tutto quello che vuoi, biondina. – sorrise e mi baciò. 

Ora aveva preso a chiamarmi con quel soprannome, biondina. 

Da una parte era fastidioso, in fondo un nome ce l’avevo, ma dall’altra era tenero. Suonava simile al bestiolina di Enduriel. 

- E se fossero gemelli? 
- In quel caso ci servono come minimo altre due opzioni. – fece e si mise lì a pensare. 

Dopo quasi cinque minuti, uscì da quel mutismo. 

- Se è un maschio, Eragon. 
- Eragon mi piace. E se è una femmina?

Fece un sorriso da casanova. – Semplice. Selena Seconda. 

- MAI NELLA VITA! 
- Okay, okay. – rise. – Ammetto che non ne ho idea. Katherine? 

Ci pensai, ma scossi la testa. Non so perché, in effetti quel nome mi piaceva. 

Semplicemente, sapevo che se fosse stata femmina non si sarebbe dovuta chiamare Katherine. 

- April? 
- Non m’ispira. 
- Amelia? 
- C’è già Amy. 
- Che palle. – sbuffò. – Belle? 

Di nuovo, ebbi la strana sensazione avuta con il nome Katherine. 

- No. 
- Miranda? 
- C’è già! 
- Freya? 
- AH! – battei le mani, contenta. 

Quel nome mi piaceva. 

- Perfetto! – Morzan rise, stringendomi a sé. Entrambi eravamo come ubriachi di felicità. 
- Nostro figlio ha un nome! – gridai felicissima, mentre mi tirava su e mi faceva girare. 
- O figlia! 

Mi rimise giù, prendendomi il viso tra le mani e baciandomi con una passione tale che … beh, sfociò in qualcos’altro. 

- Solo se te la senti. – mormorò contro le mie labbra, sembrava quasi affamato. 
- Stai scherzando, vero? 
- La prenderò come un sì. – fece mentre mi prendeva tra le braccia. 

L’attimo dopo, eravamo in camera nostra, la porta serrata a chiave. 




 

Il mattino dopo, il risveglio fu alquanto traumatico.

- Lord Morzan, Lady Selena, buongiorno! – gridò una domestica spalancando le tende. 

Io fui abbastanza svelta da affondare il viso nella spalla di Morzan, ma lui non ebbe i riflessi abbastanza pronti. 

- Aaaaahh … chiudi … 
- Ma signore, avete chiesto voi di essere svegliato a quest’ora … 
- Non m’importa! Chiudi!
- Sì, signore!

Finalmente il buio tornò nella stanza e la domestica uscì, lasciandoci un po’ d’intimità, anche perché non eravamo propriamente vestiti. 

Morzan sbuffò, infastidito da quel risveglio brusco. 

- Beh, suppongo di doverti dire buongiorno, anche se da come è iniziato non sembra poi così buono. 
- Non essere così pessimista. – commentai iniziando ad accarezzargli il petto, solcato da innumerevoli cicatrici. – Come te la sei fatta questa? – chiesi quando ne notai una dai bordi particolarmente frastagliati. 
- Oh, niente di che, mi sono solo rifiutato di sterminare un villaggio. – fece, con un piccolo sorriso. – Dai, vieni qui … 

Mi strinse più forte, accarezzandomi la schiena nuda. 

- Sei bellissima. – mormorò iniziando a baciarmi lungo il collo, arrivando all’incavo della spalla. – E abbiamo ancora del tempo … potremmo impiegarlo in attività più interessanti del dialogo, non credi, amore? 
- Direi proprio di … 
- SIGNOREEEEE!!!! 

Morzan chiuse gli occhi un secondo, cercando di mantenere la calma. 

- Impediscimi di fare stronzate. – mi sussurrò all’orecchio. – Tipo stragi o squartamenti. Potrei non rispondere di me stesso. CHE DIAVOLO VUOI?! – urlò furioso. 
- Morzan … questa è una stronzata. – commentai. 
- Voi e Lady Selena siete richiesti con estrema urgenza, è una questione di vita o di morte! Ho fatto accomodare l’ospite in sala da pranzo!

Sbuffai, alzandomi dal letto ed entrando nella mia cabina armadio. 

Mi vestii con tutta calma, scegliendo intimo, abito, scarpe e tutto. 

Quando però cercai di mettermi le mie scarpe preferite, mi resi conto che non riuscivo a mettermele. Non mi entravano. 

Fissai il pancione, sapendo benissimo che il piccolo pazzo che se ne stava lì dentro era il colpevole. 

- Quando uscirai di qui dovrai ripagarmi di un po’ di cose, ragazzino. – sbuffai prendendo un paio di stivali. 
- Ci sei? – domandò Morzan, un po’ spazientito. 
- Sì, sì, arrivo … 
- I tuoi “sì, arrivo” durano una vita! 
- Non è vero!
- Si che è vero!

Lo sentii sospirare, poi uscii. 

- Andiamo a vedere cos’è questa situazione di vita o di morte. – sospirò. 

Ci avviammo verso la sala dove di solito ricevevano messaggeri ed ospiti, chiacchierando del più e del meno. 

Ma quando arrivammo lì, poco ci mancò che mi venisse un attacco di cuore. 

In casa mia, nella mia sala da pranzo, in abiti laceri e volto consunto, c’era lui. 

Garrow. 

 

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Capitolo 33
*** Garrow ***


MORZAN

 

 

 

 

Non appena entrammo in sala da pranzo e vedemmo chi la occupava, sentii Selena irrigidirsi al mio fianco, stringendo più forte la mia mano. 

Avrei riconosciuto quel volto fra mille: il volto di chi l’aveva ingannata, usata, umiliata, venduta. 

Suo fratello. 

 - Che ci fai qui? – ringhiai. 
- Ho bisogno di parlare con mia sorella. – disse infervorato. 
- Hai perso il diritto di parlarmi mesi fa. – disse lei, bellissima e gelida. 
- Selena … 
- Non costringermi a chiamare le guardie. 
- Ti prego! Almeno, lasciami spiegare! 
- Non m’interessa. 

Schioccai le dita, e due guardie entrarono, afferrandolo per le braccia. 

- SELENA! SELENA! NON PUOI BUTTARMI FUORI! TI PREGOO! MORIRA’ SE NON LA SALVI! 
- Fermatevi. – mormorò lei a quel punto. 

I soldati le obbedirono, lasciando Garrow. 

Tuttavia, ebbe il buonsenso di non avvicinarsi troppo a lei. 

- Che ci fai qui? – sibilò. 
-Marian sta morendo. – gemette, disperato. – Ha appena partorito, il piccolo sta male e lei ha la febbre da parto … Gertrude non può farci niente … sei la mia ultima possibilità … 
- Soddisfa la mia curiosità. – fece lei. Si vedeva che era arrabbiata, ma soprattutto combattuta. – Perché dovrei aiutarti dopo che tu hai collaborato con Cadoc e June per vendermi? 
- Perché sei mia sorella. – disse lui, ostinato. – Perché questo va oltre la tua rabbia: mio figlio non ti ha fatto niente … non condannarlo solo perché odi me. Lascia morire Marian, se vuoi, ma salva mio figlio, Selena, tuo nipote! 

Sel deglutì, visibilmente in ansia. 

Stronzo o no, su quel punto suo fratello aveva ragione.

Suo figlio non aveva alcuna colpa. 

Era solo un bambino … esattamente come il nostro, non ancora nato. 

Se non volevamo che le nostre colpe ricadessero su nostro figlio, perché avremmo dovuto giudicare quello di Garrow? 

Di fronte al silenzio della sorella, Garrow fece qualcosa che non mi aspettavo. 

Si rivolse a me. 

- Morzan. – disse, catturando ancora di più la mia attenzione. – Sei un marito e un padre come me. Se fosse Selena a stare per morire di parto, e tuo figlio a morire? Non faresti anche l’impossibile per salvarla?

Certo che l’avrei fatto. 

- Abbiamo causato abbastanza sofferenze. – dissi a Selena, sfiorandole il ventre gonfio. 

Dopo qualche secondo, la vidi annuire. 

- Molto bene. – mormorò. – Vado a prepararmi. 

Andò verso camera nostra, per mettersi in abiti più adatti ad un viaggio a dorso di drago, mentre io cercavo di farmi un’idea di questo tale. 

- Come hai potuto? – non riuscii a trattenermi. 
- Cosa? 
- Accettare che vendessero tua sorella. Chiederle anche di accettarlo, dopo che vi ha mantenuti in vita. – ringhiai amareggiato. 

Garrow sospirò. Non doveva avere più di venti, venticinque anni, la stessa età che dimostravo io, eppure sembrava ne avesse molti di più. 

- Nostro padre non era un uomo normale. Non ha mai visto Selena come una figlia. Perciò ha messo me e mia madre davanti ad una scelta: o così, o l’avrebbe uccisa. Preferivo vederla costretta in un matrimonio combinato piuttosto che morta. Così le ho mentito, dicendole che avrebbe dovuto fare qualcosa in più. Quando ha … ha usato la magia … nostra madre si è spaventata. Nella paura del momento, l’hanno cacciata di casa. Decisione di cui nostra madre si è pentita un attimo dopo. – un sorriso triste gli affiorò sul volto. – Io, lei e Marian siamo corsi a cercarla nei boschi, dove sapevamo si sarebbe rifugiata, ma non l’abbiamo trovata. A quel punto ho immaginato che avesse già incontrato te. Mio padre mi ha costretto ad andare con lui a riprenderla dalla nonna. Sempre con la stessa minaccia: o così, o tua sorella sotto terra. Un fratello davanti a questo non ha molte possibilità di scelta … e fine. 
- E che fine ha fatto?
- Chi? 
- Cadoc. 

Il suo sorriso divenne, se non soddisfatto, quanto meno sollevato. 

- Il freddo ci ha liberati della sua presenza due lune fa. 
- Vogliamo andare o volete anche i biscotti? – fece Selena spazientita e irritata, attraversando come un tornado la sala da pranzo per dirigersi verso il cortile, dove Dracarys era già pronto. 

Salii per primo, aiutando Selena a sedersi davanti a me, perché la pancia non premesse sulla mia schiena, dando problemi sia a me che magari al cucciolo. 

- Sali o no? – dissi a Garrow, aspettando. 
- Cosa? 

Sbuffai. Era esattamente l’opposto di Selena. Lei, se Cadoc gli avesse fatto la stessa minaccia, gli avrebbe tirato un pugno in un occhio. 

- Vuoi arrivare prima che tuo figlio muoia o no? – sbuffò Selena. 
- Ma come faccio? 

Sospirai e gli tesi la mano, tirandolo su. 

- Tieniti forte. – gli suggerii, mentre si aggrappava ai legacci che di solito mi tenevano ferme le gambe. 

L’attimo dopo, volavamo. 

 

 

 

Arrivammo a Carvahall entro sera, atterrando di fronte ad una fattoria. 

Mi resi conto che lì era cresciuta la mia Selena, che era nata lì. 

Era come vedere un pezzo della sua vita. 

Andammo a passo spedito verso la porta, alla quale Garrow bussò. 

- Chi è? – chiese una donna. 
- Madre, sono io. Aprimi. 

Una donna di circa cinquant’anni, minuta e con i capelli venati di grigio, aprì la porta. 

La sua bocca si spalancò dallo stupore nel vedere me e Selena dietro al figlio, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. 

- Bambina … - sussurrò commossa. 
- Niente smancerie. – la gelò Selena. – Dove sono i malati? 
- Amore … - cercai di calmarla. 
- COSA VUOI? – urlò. 

Feci segno alla madre di Selena di darci un attimo, e lei annuì. 

Presi Selena per il braccio, portandola fuori. 

- Lasciami! Smettila! – strillò inviperita. 
- Adesso ti calmi. 
- No che non mi calmo! 
- Amore, basta. – le dissi stringendola a me e accarezzandole la schiena, cercando di calmarla. 

L’attimo dopo scoppiò in singhiozzi disperati. Era proprio incinta, piccola. 

- Ehi, calmati. – la consolai. – Non è niente. 
- Sono cattiva? – sussurrò. 
- Cosa? – quella domanda mi fece strano. 
- Secondo te sono cattiva? 
- Amore, certo che non sei cattiva! Come diavolo fa a venirti in mente? 

Tirò su col naso, tristissima. 

- Oh, piccola. Smettila di fare certi pensieri, vieni qua. 

La abbracciai e iniziai a cullarla, e dopo un quarto d’ora il suo pianto si calmò. 

- Perché ce l’hai tanto con tua madre? 
- E me lo chiedi anche? – fece stupita. – Mi ha sbattuta fuori di casa e venduta! Oh almeno ha provato a vendermi. 
- Posso dirti una cosa? Ho chiesto a tuo fratello spiegazioni … 
- Cosa? 
- E me ne ha fornite. Secondo la sua versione, Cadoc ha minacciato lui, Marian e tua madre. Ti avrebbe uccisa se non avessero acconsentito a venderti a quell’uomo. 
- Balle! 
- Non credo possano essere balle, dato che ho controllato la sua mente dal momento in cui l’ho visto. Ti fidi di me? 

Annuì, asciugandosi le ultime lacrime. 

- E allora stai tranquilla. Quel bastardo è morto due mesi fa. Della tua famiglia ti puoi fidare, amore mio. Non è una cosa di cui molti possono vantarsi. E adesso andiamo e salviamo quelle due povere anime, ti va? 

Selena fece un piccolo sorriso. Eccola. 

Questa era la mia biondina. 

Strinse più forte la mia mano, ed entrammo. 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** Roran ***


SELENA

 

 

 

Ho sentito persone dire “è come se fosse ieri” dopo essere tornate in un luogo dal quale erano mancate parecchio. 

Per me non fu così. 

Ero perfettamente consapevole dei mesi passati dall’ultima volta che ero entrata in quella casa. A ricordarmeli, il bambino e la mano di Morzan che stringeva con delicatezza ma fermezza la mia. 

Mia madre mi rivolse un piccolo sorriso, come a scusarsi. 

Cercai di non risponderle a pugni, ricordando ciò che mi aveva detto Morzan non più tardi di cinque minuti prima. 

- Vuoi una tazza di tè, cara? Sarà stato un lungo viaggio. – propose. 

Annuii, cercando di mostrarmi gentile, e mi sedetti al tavolo, quasi trovando scomode le sedie di legno alle quali non ero già più abituata. 

- Ne desideri un po’ anche tu? – fece a Morzan. 
- Non mi dispiacerebbe. – rispose, sedendosi accanto a me. – Allora. Chi sta male? 

Mia madre sospirò. – La moglie di Garrow. Secondo la guaritrice del luogo, è … come aveva detto, Garrow?

- Sepsi puerperale. – rispose lui, fissando il vuoto. 

Deglutii. 

Poveretta. Marian in fondo mi era sempre stata simpatica … 

- E il bambino? – chiese Morzan. 
- È molto debole. 

In quel momento, il pianto disperato di un bambino ci raggiunse. 

- Garrow? – fece mia madre, esortandolo. – è tuo figlio … 

Ma lui non sembrò nemmeno sentirla. 

- Ma per favore. – sbuffai, mi alzai e seguii il pianto, raggiungendo la stanza di Garrow e Marian. 

Lei giaceva nel letto, incosciente, e accanto c’era una culla di legno grezzo, nella quale un piccolo neonato strillava, agitando i pugni chiusi. 

- Che succede, piccolo? – lo presi in braccio, iniziando a cullarlo. 

Nel vedere quel faccino tenero, non potei trattenere un sorriso. 

- Ma ciao. E tu chi sei? 

Scrutai la culla alla ricerca di un nome, e lo trovai, inciso sulla testiera. 

- Roran? Ma che bel nome. Su, adesso calmati. Andiamo dallo zio e dal papà? Ti va? 

Il piccolo Roran smise di piangere, prendendomi l’indice e stritolandolo in una morsa d’acciaio. 

- Ma come sei forte! 

Lo portai in cucina, porgendolo a Garrow. 

Di nuovo, nessuna risposta. 

Non lo guardò nemmeno. 

Comportati bene, mi ripetei cercando di non prenderlo a schiaffi. 

Per fortuna, intervenne Morzan. 

- Fammi vedere … oh, ciao. – fece un sorriso al piccolo, che ricambiò. – Come ti chiami? 
- Roran. – rispose mia madre, con un sorriso. 
- Roran? Sai che il tuo papà mi ha detto che tu e la tua mamma avete mal di pancia … vediamo un po’ … 

Prese il nostro nipotino in braccio, andandosi a sedere. 

E lì non potei trattenere un sorriso. 

Mai avrei immaginato che Morzan ci sapesse fare così tanto bene con i bambini. 

- Ecco qui … - lo cullò un po’, mentre controllava cos’avesse. – Ma sì, è un po’ di febbre. Niente di che. 

Gli bastarono poche parole perché il piccolo stesse di nuovo bene. 

E infatti iniziò a ridere, mentre Morzan lo intratteneva con qualche scintilla rossa. 

- Bene. Adesso vai un po’ con la zia, che intanto fa pratica per il tuo cuginetto … - e così dicendo mi passò Roran. – E io vado a far star bene la tua mamma. 
- Eccoti qua. Allora, cosa facciamo? Andiamo a vedere il drago dello zio? Ti va? – proposi al piccolo, provando a parlarci nell’antica lingua. 

Roran si illuminò e fece un versetto dolcissimo, così lo avvolsi in una copertina e lo portai fuori per vedere Dracarys. 

Spalancò gli occhietti non appena lo vide, un po’ intimorito, ma poi rise quando il drago avvicinò la grande testa triangolare alla sua piccola manina, per farsi fare le coccole. 

Dracarys non faceva altro, ultimamente. Chiedeva coccole a tutti. 

- Visto? Lo zio ci sale su e vola nel cielo, e combatte con la magia e con la spada e fa la bua ai cattivi, e non si fa mai male … ma adesso torniamo dentro, o ti ammalerai di nuovo. 

Tornammo in casa e continuai a cullarlo, mentre mi sedevo. 

- Da quanto è nato? – chiesi.
- Cinque giorni. – rispose mia madre, avvicinandosi per fare una carezza al piccolo. 
- E non mangia da cinque giorni?! 
- Elain e Horst hanno appena avuto un bambino. Finora lo ha nutrito lei, grazie al cielo, o sarebbe morto. – mormorò. 

Annuii, mentre il piccolo iniziava a chiudere gli occhietti, assonnato. 

In quel momento Morzan uscì dalla stanza. 

Sembrava stanchissimo, e si reggeva a stento in piedi. 

Subito andai ad aiutarlo, ma scosse la testa. 

- Sto bene, amore, non preoccuparti. – mormorò sfiorandomi i capelli con un bacio. 
- Sicuro? 
- Sì. Anche Marian sta bene. 

Cercò di nascondere uno sbadiglio, con pochi risultati. 

- Desideri andare a sdraiarti un po’, caro? – fece mia madre, con un tono molto premuroso. – Non ne so niente di magia, ma sembra che tu abbia corso mille miglia con un vitello sulle spalle. Va a riposarti, al tuo risveglio il pasto sarà pronto. 
- Grazie. – mormorò. 
- Vieni, ti faccio vedere. – dissi e lo accompagnai nella mia vecchia camera, ovvero l’unica disponibile. 

Appena vide il letto, ci si sdraiò, sfinito. Non sembrò nemmeno accorgersi dell’immane differenza tra il nostro e quello. 

- Sei sicuro di essere comodo? 
- Va benissimo, amore. – sussurrò. 

L’attimo dopo chiuse gli occhi, distrutto. Gli accarezzai i capelli, per evitare che come sempre gli finissero negli occhi. 

- Buonanotte, amore mio. – mormorai e lo lasciai riposare. 

Accanto a lui lasciai Roran, che si era addormentato. A furia di tenerlo mi erano partite le braccia, ed era meglio non lasciare un bimbo così piccolo e comunque appena guarito nella stanza di sua madre, dove comunque l’aria non era ancora pura al cento per cento. 

Appena il bambino capì, seppur incosciente, di trovarsi accanto ad una persona di cui ormai si fidava, trovò la sua mano e ne strinse il pollice, avvinghiandosi al suo braccio. 

Quanto. Erano. Teneri. 

E pensare che in meno di quattro mesi avrei potuto vivere la stessa scena, solo con il nostro bambino …

L’attimo dopo mi resi conto che molto probabilmente così non sarebbe stato.

Galbatorix non ci avrebbe mai permesso di crescerlo, o crescerla, davvero. 

Mi sfiorai il pancione, improvvisamente e tremendamente conscia che quei nove mesi, ancora non trascorsi, con il mio piccolo sarebbero stati il periodo più lungo trascorso insieme.

Lo sentii muoversi dentro di me, senza prendermi a calci. 

Oh, piccolo …

E insieme a quella tremenda verità, arrivò anche la consapevolezza che mai sarei riuscita a staccarmi da lui. 

In ogni singolo momento trascorso lontano da mio figlio, o figlia, avrei sentito la sua mancanza, senza un singolo attimo di tregua. 

In ogni attimo, sarei stata consapevole che mio figlio era miglia lontano da me, e che se fosse stato in pericolo non sarei stata in grado di difenderlo. 

Inoltre, con ogni probabilità anche io e Morzan saremmo stati separati. 

Una sola, unica lacrima solcò la mia guancia. 

Separata da mio marito, entrambi separati da nostro figlio. 

Non riuscivo ad immaginare destino peggiore. 

 

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Capitolo 35
*** Contratti ***


MORZAN

 

 

 

 

La prima cosa che percepii appena mi svegliai fu la presenza di qualcosa di piccolo addosso a me. 

Stranito, aprii gli occhi. 

Ma quanto ho dormito? 

Selena non poteva aver già partorito. 

E allora perché diavolo un neonato dormiva tutto contento sulla mia pancia? 

L’attimo dopo, mi ricordai dei fatti precedenti. E mi resi conto che quel bambino era Roran. 

Accanto a me c’era Selena, che dormiva ancora, un’espressione un po’ contrariata sul viso.

L’attimo dopo, il bambino sbadigliò e lanciò un urlo tremendamente acuto, tanto da squarciarmi i timpani. 

Trattenni un’imprecazione e lo presi in braccio, cercando di calmarlo, ma niente. 

- Ma non è possibile … - sbuffai. – Senti, non ho intenzione di mettermi a cantare, quindi o ti calmi o ti calmi!

Mio nipote, ed era strano pensarlo, perché da cent’anni non contemplavo più l’idea di essere zio, stette zitto un attimo. 

Poi un torrente di schifo giallognolo raggiunse la mia faccia, e lì per lì lo stupore misto a schifo mi impedì qualsiasi movimento. 

Dopo quell’uscita, il bambino iniziò a ridere, accompagnato da un’altra risata. 

E si dà il caso che conoscessi la proprietaria. 

- Smettila di ridere. – le intimai. – Non c’è niente di divertente. 
- La tua faccia … - Selena iniziò ad ansimare. 
- SONO PIENO DI VOMITO! DAMMI UNA MANO, PORCA … 
- Sì, sì, calmati … cos’hai, piccolo? – prese Roran in braccio. – Hai dato una bella punizione allo zio per aver messo incinta la zia? 
- Ma averti messa incinta è una bella cosa, scusa! 
- Oh, certo, togliendo la nausea, un bambino matto, il non poter mettere le scarpe che voglio … 
- Ma tu passi le giornate a frignare? No, spiegamelo. E adesso metti giù quel bambino e aiuta me, che ne ho più bisogno! – mi lamentai. 

Lei rise. – Hai cento ventitré anni, credo tu possa pulirti da solo del vomito dalla faccia. Vero Roran? Vero? 

Fu difficile non mandarla a quel paese. 

- Questa è una moglie. – sbuffai e presi un telo, dandomi una ripulita. 

Ma vedere lei con in braccio quel piccoletto tutto intento a fare le bolle mi risollevò un po’ l’umore. 

Iniziai a fare il solletico sulla pancia del piccolo, che rise. 

- Adesso andiamo un po’ dalla tua mamma? – gli propose Selena. 
- Anche perché mi sa che per noi è ora di andare. – commentai. 

Era già l’alba, e non saremmo mai arrivati a Dauth in tempo se non fossimo partiti … beh, il giorno prima. 

Quella consapevolezza sembrò portarle via tutta la felicità che sapevo provava. 

- Non preoccuparti. È solo una missione diplomatica. – la rassicurai sfiorandole la mano. 
- Non dovremo torturare nessuno? – sussurrò. 
- Nessuno. 

Cercò di fare un sorriso, ma non convinse né me né sé stessa.

Annuì e si tirò su dal letto, rivestendosi in meno di cinque minuti. 

Nel frattempo io riportai il piccolino dai suoi legittimi genitori, e vedere Marian e Garrow riavere tra le braccia il loro bambino … mi fece sentire bene. 

L’attimo dopo, la ragazza mi fissò sconvolta. 

- Pe … perdonatemi, signore … 
- Nello specifico, cosa dovrei perdonare? – chiesi, confuso. 
- Io … credevo foste più … più anziano … - sussurrò. 

Ah. 

- Sì, beh … avere un drago fa … fa bene alla pelle. – commentai stranito. 

E me ne tornai da Selena, che si voltò verso di me divertita. 

- Avere un drago fa bene alla pelle? – rise mentre la abbracciavo. 
- Ero nel panico! Cosa si dice ad una donna che ti dice che ti credeva più vecchio? Ma … hai origliato?!
- Non è che ho origliato … è che i muri sono sottili. – sorrise, ancora con una risata.

La baciai e poi andammo verso l’uscita, anche se non eravamo davvero pronti ad andare e a tornare alla nostra vita da Rinnegato e Mano Nera. 

Sapere che avremmo dovuto continuare a fare quello anche dopo la nascita del bambino mi fece stare male. 

Come avrei potuto guardarlo un giorno in faccia, sapendo quanto male avevo fatto?

Sentii Selena sfiorarmi il fianco, e appena mi persi nei suoi occhi capii che le mie paure erano l’esatto riflesso delle sue. 

Stavamo per diventare genitori, consapevoli che non lo saremmo mai potuti essere davvero. 

- Vi ho preparato qualcosa per il viaggio. – sorrise June, porgendoci un fagotto di roba da mangiare. 
- Non era necessario, mamma. – mormorò lei. – Abbiamo già le provviste … 
- Prendili comunque. Sei troppo magra. 
- Hai visto Marian di recente? 

Ma cedette di fronte alle insistenze della madre, accettando il cibo e persino il suo abbraccio. 

- Oh, e tesoro … congratulazioni. – sorrise lanciando un’occhiata al pancione. – Ad entrambi voi. 

La ringraziammo, poi vedemmo che era già tardi. 

- È ora di andare. – mormorai e le aprii la porta. 

Uscì per prima e la seguii, aiutandola a salire su Dracarys. 

Mi sistemai dietro di lei, che in quel modo era più sicura e avrebbe potuto dormire. 

Vai. 

Vado. 

Salutammo Garrow, Marian, Roran e June, poi Dracarys spiccò il volo, riportandoci nei cieli. 

 

 

Raggiungemmo Dauth in cinque tremendi giorni di volo, con pochissime soste. 

Selena era stremata, anche perché non era riuscita a dormire molto. Si reggeva a malapena in piedi, e il piccolo l’aveva tirata matta, nonostante avessi persino provato a raggiungerne la mente per cercare di calmarlo. 

Ma ovviamente i nostri problemi non erano finiti. 

Ancora prima di atterrare, notai un’enorme massa nera in città. 

Shruikan. 

Mi si gelò il sangue nelle vene, perché la presenza del drago nero significava solo una cosa: Galbatorix era lì.

Selena iniziò a tremare dal terrore, e a nulla valsero i miei tentativi di calmarla. 

- Amore, non è qui per noi. – le dissi. 
- E invece sì … vuole il bambino … 
- Non vuole il bambino. Vuole il dominio del mondo, non gliene potrebbe importare di meno di nostro figlio, capito? Adesso basta. Se ti agiti, fai male al piccolo. 

Atterrammo e scesi per primo, per poi far scendere lei. 

Ovviamente, ricominciò a tremare non appena vide Galbatorix avvicinarsi a noi, e mi ci volle un serio sforzo per non imitarla. 

Ci inginocchiammo prima che fossero i giuramenti a richiederlo. 

- Oh, no, no, rialzatevi. – sorrise tutto contento. 
- Sire, questo è … quantomeno inaspettato. – mormorai. 
- Lo so. – fece. – Dovevo parlare ad entrambi voi di persona. 
- A proposito di cosa, se posso chiedere? 
- Del bambino. 

Selena minacciò seriamente di svenire. 

- Oh, cara, rilassati, non voglio strappartelo dal ventre. – sbuffò divertito, anche se quella che per lui era una battuta non ci coinvolse molto. – Ho speso un’intera notte … ma venite, venite. 

Lo seguimmo nel suo studio, dove ci mostrò due pergamene. 

- Cosa sono? – mormorò Selena. 
- Diciamo che sono dei … contratti. Dato che sei il primo Rinnegato ad avere una moglie e tra quattro mesi un bambino, ho pensato che doveste avere un trattamento … speciale. Selena, per i primi tre mesi dopo la nascita del bambino resterai a casa a prendertene cura e a rimetterti, ho bisogno di te al top della tua forma. Successivamente, lo vedrete entrambi per tre giorni al mese. Una settimana in occasione del compleanno. Potete scegliere in autonomia chi vi sostituirà nell’esercizio delle vostre funzioni genitoriali. 
- Tre giorni? – sussurrai, incapace di crederci davvero. 

Avrei potuto vedere il mio bambino solo per tre giorni ogni mese?

Nemmeno un mese in un anno intero … 

- L’idea iniziale era di tre ore. 
- Grazie, sire. – fece Selena, sorprendendomi. Non c’era nulla da ringraziare! Quel bastardo ci stava togliendo la possibilità di conoscere e veder crescere nostro figlio! – Per la vostra generosa offerta. Avrei però una domanda … in quei tre mesi in cui potrò stare con nostro figlio, cosa ne sarà di Morzan? 
- Oh, cara, non temere. Ho già un incarico! 

No, no … non è vero … 

- I Varden sono un po’ troppo rivoltosi … soprattutto nella zona del deserto. 
- Sire! 

In quel momento, Enduriel entrò. 

- Credevo si usasse bussare. – commentò il re. 
- Maestà, sarei onorato di ricoprire l’incarico affidato al Primo Cavaliere io stesso. – disse inginocchiandosi. 
- Se l’ho dato a lui un motivo ci sarà, no? 
- Non metto in dubbio la vostra sapienza, o sommo. Ma mi sono permesso … in tutti i manuali di maternità, si raccomanda che la neomamma abbia il marito accanto, per aiutarla. La presenza di Morzan nei primi mesi di vita del bambino è di vitale importanza sia per il piccolo che per sua madre. Ho letto di bambini morti nella culla a causa di padri troppo lontani. È indispensabile che il bambino goda dell’affetto di entrambi i genitori, tanto della madre quanto del padre. Togliere Morzan al bambino in un’età tanto delicata sarebbe un errore terribile e veramente semplice da evitare. 

Non ci potevo credere. 

Enduriel si stava battendo per la mia causa? 

Galbatorix lo squadrò per qualche secondo. 

- Non vorremo certo che il piccolo muoia nella culla. – disse poi. – Sì, mi hai convinto. Morzan, avrai tre mesi liberi. Ringrazia Enduriel. 

Annuii in fretta, ma sia io che Enduriel sapevamo che poi ci saremmo fatti una bevuta di quelle che non si scordano. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 36
*** Mamma ***


SELENA

QUATTRO MESI DOPO

 

  • È un peccato, sai … se non me lo dici tu, di tua spontanea volontà, dovrò ricorrere a metodi diversi. – dissi alla spia che i soldati avevano catturato. 

Ci erano voluti quattro mesi intensi, ma alla fine Galbatorix aveva ottenuto quello che voleva. 

Una spia letale, in grado di uccidere con un movimento della mano, capace di estorcere informazioni, la migliore di tutto il regno. 

In altre parole, io. 

Sembrava essere molto soddisfatto, dato che non più tardi del giorno prima aveva detto che io e Morzan eravamo la coppia più temuta del regno, perfino più di lui. 

Ero riuscita a trovare un modo per non diventare cattiva, per fortuna, e contemporaneamente per svolgere certe mansioni. Il trucco era non pensare. 

Pensare a Morzan, al piccolo, a qualunque altra cosa e ricordare che facevo quel che facevo solo per loro, perché potessimo vivere relativamente in pace. 

- Vi prego … Altezza, vi supplico! 
- Come vuoi. 

Il ferro rovente gli accarezzò la pelle, e cercai di ignorare il tremendo urlo che lanciò. 

- Basta … 
- Dimmi tutto quel che sai e finirà. 
- Non posso! 
- È una tua scelta. 

Mi bastò toccarlo di nuovo con l’attizzatoio, perché cedesse e urlasse tutte le informazioni in suo possesso. 

- Bene. – commentai. – Non è stato così difficile, no? 
- Mia signora, un comunicato del re. – mi disse una guardia entrando nella cella. 
- Cosa? 
- Tutte le spie Varden, naniche o elfiche catturate andranno uccise. 

Fu un colpo al cuore. 

Avevo appena promesso a quel ragazzo che non sarebbe morto … 

- Ne sei assolutamente sicuro? 
- Posso leggerle l’avviso, se lo desiderate. 
- No, ti credo, Charlie … 

Per un attimo, accarezzai l’idea di lasciarlo libero comunque. 

Poi ripensai al piccolo che stava per nascere. Nulla valeva di più della sua serenità o della sua vita. 

Fu sufficiente schioccare le dita perché la spia si ritrovasse con il collo spezzato. Almeno aveva avuto una morte rapida ed indolore. 

- Ce ne sono altri? 
- Per oggi no, Altezza. 
- Bene … 

Uscii da quella cella e corsi in camera, cercando di trattenere le lacrime. 

Ce la feci, ma al posto di piangere vomitai. 

- Lady Selena? 
- Preparami un bagno. – riuscii solo a mormorare. – Per favore … 
- Subito, milady. Intanto sedetevi, non dovete sforzarvi troppo. 

Decisi di seguire il suo consiglio, e mi sedetti sul letto, appoggiando la schiena ad una delle colonne che reggevano il maestoso baldacchino del letto. 

Mi accarezzai il pancione, ma appena lo feci un dolore assurdo si propagò in tutto il mio bassoventre, calmandosi circa trenta secondi dopo. 

- MIA SIGNORA! – strillò la ragazza. – Vi ho sentita urlare, tutto bene? 
- Chiama il medico … 

La ragazza corse via, per tornare dopo poco con il dottore. 

 - Qual è il problema? 

Glielo spiegai velocemente, e lui annuì con un sorriso. 

- Si metta comoda. Ne arriveranno altre. Il bambino sta arrivando … 

Non fece in tempo a finire, che ne arrivò un’altra. 

- Così a poca distanza? – commentò, insospettito. – Significa che le acque si romperanno presto … Leanne, devi contattare il Cavaliere Morzan. Avvertilo, il bambino sta arrivando. 

NO! 

Non poteva nascere adesso … 

Non potevo separarmi da lui così presto … 

Ehi, che è tutta questa ansia? 

Sentire la voce di Morzan nella mia testa mi distrasse un secondo. 

Non puoi essere tu. Sei a miglia di distanza …

Sono un Cavaliere, biondina. Allora, che succede? 

Il bambino … 

Sentii che si preoccupava. 

Il bambino cosa? 

Sta arrivando … 

Un’altra contrazione, e lì fu impossibile non urlare. 

E Morzan andò nel panico. 

Come, STA ARRIVANDO?! 

Nel senso che sta venendo fuori! 

TIENILO DENTRO, CAZZO! ARRIVO! Non m’interessa come, ma tieni quel dannato bambino dentro, Selena! 

Le sue imprecazioni furono l’ultima cosa che sentii dalla sua mente, sconvolta e agitata.

L’attimo dopo, sentii il materasso sotto di me bagnarsi. 

- Che succede?!
- Le acque si sono rotte. – rispose il medico. – Chiama la levatrice. E mentre arriva … Selena, quando senti che arriva la contrazione, devi spingere con tutte le tue forze, hai capito? 
- C’è una bella differenza fra il dire e il fare! 
- E anche una tra la vita e la morte. Se non spingi, non ci sarà nessun bambino. – disse. – Tu, porta dei teli. Tu prendi dell’acqua e falla bollire, le garze dovranno essere sterili. 
- Che succede qui?

A parlare era stata Marlene, la moglie di Tornac: li avevamo scelti per occuparsi del bambino in nostra vece, quando Brom non avrebbe potuto. 

- Il bambino. – disse in fretta il dottore, che sembrava preoccupato. – E a quanto vedo sarà complicato. 
- COSA? – strillai terrorizzata. Il mio bambino … non potevo perderlo … non mentre doveva nascere … 

Marlene mi diede un’occhiata, poi deglutì. – Estremamente complicato. 

- Non può essere … non può essere … 
- È possibile procedere con il parto naturale? 
- Sì, ma se le cose dovessero mettersi male … 

In mezzo a tutto il dolore e al casino, capii. 

Se fosse andata male, avrebbe fatto un cesareo. 

Il dottore si passò la mano tra i capelli, in ansia. – Dove diavolo è quel Cavaliere quando serve?! A questo punto, la magia è la nostra ultima speranza … 

- Sì, sì, intanto però occupiamoci di lei! – sbraitò Marlene. 

Poi si sedette accanto a me, tamponandomi la fronte con un panno bagnato, che mi diede subito un enorme sollievo. 

- Su, tesoro, non aver paura. Andrà tutto bene. Alzati un po’, non puoi pensare di partorire con tutta questa roba addosso … 

Lasciai che mi aiutasse a togliere la sopravveste, lasciandomi con una leggera e corta sottoveste di seta, dal bordo in pizzo e con le spalline sottili, che mi arrivava circa a metà coscia. 

E l’unica cosa che riuscii a pensare era che Morzan la adorava. 

- Ecco, visto? Va già meglio. – fece un piccolo sorriso, tirandomi indietro i capelli e fermandoli con un pezzo di stoffa. – Portate dell’estratto di papavero e del calmante, non può partorire in queste condizioni. Vedrai che il bambino starà bene. Sarà il più bel bambino del mondo, piccola. Forte, sano e bello, come il suo papà. 
- Come Morzan … 
- Proprio come lui. – sorrise. – Adesso devi aprire un po’ le gambe … ecco, bravissima.

Lo sguardo mi cadde sulla culla, che io e Morzan avevamo messo in camera non più tardi di un mese prima. 

Era in legno di acero, con un baldacchino e le tende di stoffa leggera. Dentro avevamo messo anche il pupazzetto di un drago rosso, come quello di Morzan. 

E lui aveva fatto un incantesimo, affiggendo delle scintille inestinguibili sulla parte di legno del baldacchino del piccolo, che sembravano delle stelle. Così il piccolo avrebbe avuto l’impressione di dormire all’aperto, sotto il cielo stellato. 

Il mio bambino avrebbe visto quelle scintille. 

Parto difficile o no, sarebbe venuto fuori. 

 

 

 

 

 

- La testa! Vedo la testa! – mi incitò Marlene, dopo dodici tremende ore. 

Quel bambino non ne voleva sapere di uscire. 

- Manca poco ormai, milady! Solo poche altre spinte! 

Continuai a spingere, cercando di ignorare il dolore, che mi sembrava mi mandasse a fuoco … 

Ma alla fine anche il dolore scomparve, con la stessa rapidità con cui era arrivato, nel momento in cui lo sentii. 

Un pianto acuto … il primo pianto … 

Le lacrime iniziarono a scendermi dagli occhi prima ancora che lo realizzassi. 

Ce l’avevo … no. 

Ce l’avevamo fatta. Io e il piccolo ce l’avevamo fatta. 

Era nato … 

- Bravissima, tesoro. Sei stata bravissima. – sentii dire Marlene, ma onestamente non la ascoltai nemmeno. 

L’unico suono che potevo ascoltare era la voce del mio piccolo, che mi attraeva come una calamita. 

- Ed eccolo qui. – il medico sorrise, porgendomi un piccolo fagotto urlante. – Complimenti, mia cara. È un maschietto, forte e sano. Un po’ piccolo, forse. 

Quasi gli strappai mio figlio dalle braccia, e la gioia che mi invase nel tenerlo tra le braccia per la prima volta non può essere paragonata a quella che provai non appena lo vidi. 

Era perfetto. 

Non c’erano altre parole adatte per descriverlo, se non quella. Perfetto. 

Il mio bambino era bellissimo. 

Appena era arrivato tra le mie braccia aveva smesso di piangere, ed ora potevo ammirarlo. 

Era la copia esatta del suo papà, fatta e finita. 

Ma gli occhi erano i miei. 

Era innegabilmente nostro figlio … 

Sfiorai la sua delicata fronte con un bacio, ma appena cercai di tirare su la testa mi accorsi di non poterlo fare. 

Il piccolo era già una piccola peste, e aveva approfittato della coccola per prendermi una ciocca di capelli. 

- Benvenuto al mondo, piccolo … - stavo per dire Rhaegar, ma mi accorsi che semplicemente non era il nome adatto a lui. 

Non riuscivo a immaginare di chiamare il cucciolo tra le mie braccia Rhaegar.

E nemmeno Eragon … 

Oh, no. 

Mesi passati in biblioteca, vanificati?! Davvero?

- DOV’È?! 

Quel ruggito l’avrei riconosciuto tra mille. 

Usare la rabbia per mascherare la paura era tipico di una sola persona, e non provai nemmeno a trattenere un sorriso. 

Diedi un bacio sulla guancia al piccolo, che mi guardava incuriosito. 

- È arrivato il papà, amore mio.  

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 37
*** Murtagh ***


MORZAN
 
 
Appena Selena, la mente piena di dolore, mi disse che il bambino stava nascendo, mollai la battaglia in un attimo.
Morzan, che diavolo fai?, fece Dracarys, vedendo che avevo rinfoderato Zar’roc. Vuoi farci ammazzare?
Il bambino sta arrivando. Torniamo a casa seduta stante.
Non ce la faremo mai ad arrivare prima che nasca!
Ce la dobbiamo fare.
Sospirò, ma non ribatté.
Saltai sulla sella e per la prima volta inciampai nelle staffe, tanta era l’agitazione.
Irritato, mi issai sul drago e feci cenno a Glaerun di continuare al posto mio, poi spiccammo il volo.
Sto arrivando, amore.
 
 
 
Di solito, con Dracarys impiego circa due, tre giorni a raggiungere il castello, partendo da Taurida.
E invece riuscimmo a coprire la distanza che separava Aberon da casa in mezza giornata.
Beh, dovevamo.
Lui arrivò solo stanco morto.
Io ci arrivai stanco morto e terrorizzato.
Appena scesi da Dracarys corsi nel castello, cercando Selena in ogni angolo, anche se sapevo benissimo che doveva essere in camera da letto.
A un certo punto presi un servo per la giacca, urlandogli in faccia dove fosse mia moglie con tanta forza che si sentì in tutto il castello.
-         In … in camera vostra … signore … - balbettò terrorizzato, e io andai in quella direzione.
Corsi fino a perdere il fiato, raggiunsi la nostra camera e ne spalancai la porta.
Ma non riuscii ad oltrepassarla, sconvolto.
Selena era nel letto, la schiena appoggiata ai cuscini.
Si vedeva che era stanchissima, pallida e anche parecchio sofferente. I capelli biondi erano spostati su una spalla e indossava quella sottoveste che sapeva mi faceva impazzire.
Il medico la stava controllando lì sotto, e da quanto riuscivo a vedere aveva l’interno delle cosce pieno di sangue, ma lei non se ne doveva nemmeno essere accorta, talmente era presa dal piangere di felicità e dal coccolare un fagottino tra le sue braccia.
Era nato, quindi.
La vidi sorridergli e sfiorargli il nasino con le labbra, prendergli la manina nella sua e giocarci …
Non so per quanto rimasi lì, incantato, a fissarla.
So solo che a un certo punto i suoi occhi incontrarono i miei, e li vidi riempirsi di lacrime.
Il suo sorriso mi convinse a raggiungerla, abbracciandola e infondendole tutta l’energia che mi era rimasta.
-         Cominciavo a temere che non saresti arrivato in tempo … - mormorò, sfinita.
-         Io arrivo sempre in tempo, amore.
E finalmente lo vidi.
Non era possibile.
Un mostro come me non poteva aver generato tanta bellezza, tanta … tanta dolcezza.
Nemmeno con Selena avrei potuto creare tanta perfezione.
-         Ce l’hai fatta, piccola. – mormorai stringendola. – è andato tutto bene?
-         Mmh … - sussurrò.
-         È un maschietto … così potrete giocare alla lotta … - sorrise Selena, e non avevo mai sentito tanta felicità nella sua voce.
E io che ero convinto che mi avrebbe dato una principessa …
Non potei trattenermi dal baciarla.
Vidi mio figlio guardarmi con gli stessi occhioni dolci della sua mamma, grigi e limpidi.
E in un attimo ce l’avevo tra le braccia, senza sapere bene come fare.
Era troppo piccolo, troppo leggero … avevo la sensazione che potesse cadermi da un momento all’altro, sembrava così fragile, il mio bambino …
Mi somigliava, il piccolo.
Da Selena aveva preso solo gli occhi, il resto era tutto mio, innegabilmente. Forse i capelli erano un po’ più chiari.
Era bellissimo.
Improvvisamente, iniziò a fare delle bollicine con la bocca, poi tese la piccola manina, che aveva la forma di una stella marina, verso il mio viso.
Fu istintivo sfiorare con la massima delicatezza, come quella che si usa con un fiore per evitare di spezzarlo, quel viso piccolo e paffuto, che mi guardava con due brillanti occhi pieni di felicità e speranza.
Il mio bambino, nato sul finire dell’estate.
Mio figlio.
Bellissimo e perfetto.
Feci per chiamarlo, per dire “Rhaegar”, ma mi resi subito conto di non poterlo fare.
Non era il nome adatto.
E nemmeno Eragon andava bene.
-         Murtagh. – sussurrai.
Il nome mi salì alle labbra spontaneamente, non mi accorsi nemmeno di averlo pensato.
Eppure era perfetto.
Quel bambino, il nostro bambino, non poteva che chiamarsi così.
Murtagh.
-         Mi piace. – sorrise Selena, accarezzando di nuovo la fronte del piccolo. – Benvenuto, Murtagh Morzansson.
Eppure tutta la felicità che provavamo era oscurata dalla tremenda consapevolezza che ci restavano solamente tre brevissimi mesi da passare con nostro figlio.
Pochi secondi dopo, vedemmo il nostro bambino fare un grosso sbadiglio, per poi accoccolarsi contro il mio petto e iniziare la sua prima dormita.
 
 
 
 
 
-         Nooo … - sbuffai, distrutto. – Non ci posso credere …
Se fino a poche ore prima avevo pensato che Murtagh fosse un angioletto, durante la sua prima notte mi dovetti ricredere.
A Selena era venuta un po’ di febbre da parto, molto meno grave di quella di Marian, ma comunque avevo preferito farla dormire in una stanza diversa da quella del piccolo, per evitare contagi.
Ed ero andato a dormire tutto contento, convinto che finalmente mi sarei fatto una dormita decente …
E invece quel malefico bambino si era già svegliato sette volte, e non era nemmeno mezzanotte.
Completamente prosciugato da ogni energia, mi voltai verso il piccolo, che dormiva accanto a me.
Alla terza volta aveva urlato quando l’avevo messo nella culla, e allora l’avevo messo nel letto.
Non contento, ne aveva occupato più della metà, e non capivo davvero come avesse fatto, essendo tanto piccolo, costringendomi a stare in un microangolino del letto.
-         Cosa vuoi? – brontolai.
Subito si calmò e mi fissò con quegli occhietti vispi.
Poi si mise a ridere.
-         No! Ma no! Sei una condanna! E io quando dovrei dormire? Di giorno c’è la mamma, di notte tu … spiegamelo.
Lo presi in braccio, tirandolo su oltre la mia testa.
-         Adesso me lo spieghi tu quando dovrebbe dormire il papà.
Un gran sorriso sdentato, e un bel filo di bava si depositò su tutta la mia faccia.
-         Murtagh! – protestai. – Non vuoi dormire? Benissimo. Allora progettiamo la sorpresa alla mamma, che domani è il suo compleanno. Mi aiuti?
L’attimo dopo scoppiò a piangere disperato.
E mi ci volle un bello sforzo per non imitarlo, perché mi stava tirando matto, quel bambino.
-         Cosa diavolo c’è?
Gli sfiorai la mente e sentii che aveva fame.
-         Senti. La mamma non può darti da mangiare, io nemmeno, e qua non c’è una balia. Tieniti la fame, no? No.
Afferrai Zar’roc e presi un po’ di energia dal rubino, dandogliela al piccolo perché sopperisse alla fame.
Funzionò, incredibilmente.
Murtagh ricominciò a fare versetti e a ridere, sbavare e a tirarmi matto.
 
 

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Capitolo 38
*** Torte mai fatte, voletti e tuffetti ***


SELENA

 

 

 

Il mattino dopo, il dottore decise che ero guarita, perciò andai subito da Morzan e da Murtagh. 

Sorpresa, li trovai addormentati. 

Strano, Morzan a momenti faceva il mattiniero di professione. 

Ma la scena che mi si presentò davanti mi fece sciogliere. 

Il piccolo si era raggomitolato contro il fianco del suo papà, che se lo teneva stretto e, nel sonno, lo coccolava. 

Feci per uscire, ma a momenti mi venne un infarto quando sentii Morzan brontolare. 

- Selena … 

Tornai indietro, sedendomi accanto a lui e facendo le coccole al bimbo. 

- Cosa diavolo hai messo al mondo?! – brontolò. 
- Un bambino? 
- Non è un bambino. È un tormento! Tutta la notte, Sel. – si lamentò. – Mi ha tenuto sveglio tutta la notte! E non perché aveva fame, noooo. Voleva giocare! 
- E avete giocato? 
- Abbiamo preso decisioni da uomini. – disse in tono confidenziale, ma già gli vedevo spuntare l’ombra di un sorriso. – Abbiamo deciso che dobbiamo festeggiare. 
- Festeggiare cosa? 

Inarcò un sopracciglio. – Ma il compleanno della mamma, ovviamente. Tanti auguri, bionda. 

E detto così, si tirò su di scatto e mi baciò, cogliendomi di sorpresa. 

- Ma … davvero, non serve … 
- Certo che serve. – sorrise. – Non compi diciassette anni tutti i giorni, no? 
- E allora perché non abbiamo festeggiato anche il tuo, di compleanno? 
- Ne ho fatti abbastanza. 
- Oh, quindi Murtagh crescerà senza mai aver visto la festa di compleanno del suo papà?

Sbuffò e continuò a baciarmi, incurante che il nostro bambino, che nemmeno aveva un giorno, fosse a meno di un metro da noi. 

- Non … smettila … 
- Perché? 
- Non voglio che il bambino cresca traumatizzato! 
- È solo un bacio, cucciola, non gli verranno certo dei traumi … e poi deve iniziare ad imparare come si fa, no? 
- No! Non si sposerà mai! 

Morzan rise e mi strinse più forte. – Sì, invece. Incontrerà una ragazza, si innamorerà e si sposerà. Non rimarrà sempre con noi, amore. Meglio che inizi ad abituarti. 

Sospirai, incapace di credere che il piccolo che dormiva lì vicino, con i pugnetti serrati e che faceva le bollicine con la bocca, un giorno sarebbe cresciuto. 

- Non voglio che diventi grande … 
- Mmh. 

L’attimo dopo, un urlo acutissimo squarciò l’aria e Morzan serrò gli occhi. 

- Adesso ci pensi tu! – decise, sfinito. – Non ce la faccio più! 
- Sì, sì, calmati. Ma ciao … - presi in braccio Murtagh, che si era messo a piangere disperato. – Com’è andata con il papà? L’hai fatto giocare? 

Il bimbo sembrò calmarsi.

Poi guardò Morzan, e gli fece un gran sorriso da peste. 

- Nooo! – lo implorò lui. – Senti, ti voglio tantissimo bene, piccolo, ma non ce la faccio a starti dietro tutta la notte! L'abbiamo messo in chiaro. Per te anche la vita, ma non il sonno. Okay? 

Come risposta, Murtagh gli rise in faccia. 

E Morzan sospirò, buttandosi sui cuscini. 

Poi si rialzò, guardando il piccolo con un’espressione minacciosa. 

- Senti un po’, ragazzino, io sono Morzan il Terribile, Primo dei Rinnegati, e non puoi ridere in faccia a tuo padre! 

Murtagh stette zitto un attimo. 

E poi scoppiò a ridere di nuovo. 

Morzan fece una faccia depressa. – E dire che incuto il terrore della gente. – commentò. – Mi sa che Galbatorix li paga per essere terrorizzati, se un neonato mi ride in faccia così. 

- Ma smettila. 

Di nuovo, nostro figlio lanciò un acutissimo lamento, così gli sfiorai la mente per capire cos’avesse. 

Tutto intorno a lui era luce, amore e scoperta: anche se non vedeva ancora distintamente, sapeva già riconoscere la voce di Morzan e la mia, e inconsciamente sapeva che eravamo il papà e la mamma. 

E ci voleva bene. 

Nel percepire quanto affetto provasse nei nostri confronti, fu difficile trattenere le lacrime. 

Alla fine lo strinsi più forte a me. 

Scoprii che aveva fame, così iniziai ad allattarlo: l’emozione che provai fu qualcosa di indescrivibile. 

Era come riaverlo dentro di me, come se fossimo di nuovo una sola persona. 

Quando Morzan gli accarezzò i sottili capelli color cioccolata e gli diede un piccolo bacio sulla fronte, capii che anche lui gli aveva toccato la mente, e aveva sentito quanto ci volesse bene. 

- Anche la mamma e il papà ti vogliono tanto bene. – gli sorrise. – Tantissimo. Sei il nostro piccolo leone. Devi solo perfezionare il ruggito. 

 

 

 

- Ma dai, Sel! Perché no? – si lamentò Morzan. 
- Perché è piccolo, te l’ho già detto! 
- Ma … 
- Morzan! Non porterai Murtagh a volare, ha solo un giorno! Al massimo quando avrà due anni e mezzo! 
- Due anni e mezzo? 
- Non costringermi a dire tre. – lo minacciai. 
- Senti un po’ … 

Mi bastò fulminarlo con lo sguardo perché non protestasse più. 

- Ma guarda te se devo stare agli ordini di una ragazzina sclerata dal parto. – brontolò. 
- Scusa?! Sei tu l’irresponsabile. Potrebbe venirgli qualunque cosa! La febbre! Malattie infettive! Mal di gola! Potrebbe cadere, Morzan! 
- Lo coprirei bene. E non potrebbe cadere, non se ci sono io. – replicò. 
- È comunque troppo rischioso. 
- Non c’è niente di rischioso! 
- È tutto rischioso! 

Alzò gli occhi al cielo, sospirando. 

- Almeno mi permetti di chiedere l’aiuto del bambino per farti la torta? 

Fece la faccia da cucciolo. 

Sapeva che non resistevo quando faceva quella faccia …

- Morzan … 
- Dai, amore … solo una torta di compleanno. – sorrise. – Non andremo a volare. Lo prometto. 
- Lo prometti? 
- Assolutamente. 

Sospirai e gli diedi Murtagh. – Solo la torta. – gli ricordai. 

Fece un gran sorriso, che però non mi convinse del tutto. 

- Ciao Murtagh. – e il suo sorriso divenne quello da malandrino. – Non sei figlio di un Cavaliere per niente, non credi? 
- Morzan … 
- ANDIAMO! – urlò e corse via con il bambino in braccio. – PRIMA CHE TUA MADRE CI UCCIDA ENTRAMBI! 
- MORZAN! – strillai cercando di farlo tornare indietro. – TORNA SUBITO QUI, MALEDETTO IDIOTA …

Meglio non ricordare i successivi epiteti. 

 

 

I due uomini di casa tornarono dopo tre lunghissime ore. 

E Murtagh aveva un’espressione di pura gioia ed ebbrezza sul viso, gli occhi che sprizzavano divertimento. 

- Visto? – sorrise Morzan facendolo saltellare tra le sue braccia. – Non è successo niente. Questo pomeriggio viene anche la mamma, vero? – si rivolse al piccolo. – Diglielo. Faceva caldo e quindi siamo andati a fare un tuffetto … 
- Che cosa? – la voce mi abbandonò quasi completamente, mentre ascoltavo il resoconto di quel pazzo di mio marito. 
- Sì, siamo andati in spiaggia e poi nel lago. Dovevi vedere come si è divertito. – rise, mentre l’affetto brillava nei suoi occhi. – Non voleva più uscire. Dopo vieni anche tu, vero? 
- Morzan … è piccolo … non credo vada bene fargli fare tutte queste cose … 

Mi abbracciò, lasciandomi un piccolo bacio. 

- Abbiamo solo tre mesi con lui, amore. – sussurrò, la voce piena d’ansia. – Dobbiamo goderceli appieno. 

Guardammo Murtagh, che si era addormentato tra le braccia del suo papà, stanco dopo la mattinata spesa a giocare. 

- Non posso crederci. – mormorò sfiorandogli la guancia. – Non posso credere che non potremo mai davvero stare con lui. 
- Allora godiamoci questi tre mesi. – mormorai cacciando indietro le lacrime. – A partire da subito. 

Corsi nelle cucine, sebbene il medico mi avesse severamente vietato di correre, e feci preparare un cesto pieno di roba da mangiare. 

Poi andai in camera nostra, prendendo degli abiti di ricambio per tutti e tre. E dei pannolini per Murtagh. 

E tornai da loro, con tutta la roba. 

- Andiamo? 
- Dove?! – fece Morzan stranito. 
- In spiaggia. – sorrisi. – Voglio vedere come si diverte. 

Lui ridacchiò, stringendomi al suo fianco. – Se è quello che la festeggiata desidera … 






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Ciao!
Come pensate stia venendo la storia? 
Baby Spoiler: tra due o tre capitoli farà il suo epico ritorno un personaggio di "Family"! A chi indovina ... la torta mai fatta di Morzan e Murtagh!

 

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Capitolo 39
*** Non avrà il nostro bambino. Ne ora, ne mai. ***




MORZAN

 

 

- Ma ciao. – sorrise Anne al piccolo Murtagh, tenendolo in braccio. – Sei proprio carino, sai? 

Nel giro di una settimana, casa nostra si era riempita di ospiti. 

E con “riempita” intendo davvero che a momenti non c’era più spazio. 

I primi ad arrivare erano stati Anne e Gorlois con Amelia ed Enduriel, seguiti da Derek, Miranda e il piccolo Alec. 

Poi Galbatorix e gli altri Rinnegati, con le ragazze del momento e metà della corte. 

L’altra metà l’avevamo lasciata fuori, dato che non avevamo spazio dove metterla. 

Tutti per Murtagh, per il nostro piccolo. 

E da una settimana, io e Selena eravamo in piedi solo grazie a bevande energetiche ed incantesimi. Di notte Murtagh si sarebbe sentito in colpa se non ci avesse tirati giù dal letto venticinque volte, e di giorno tutti quei nobili che volevano vederlo. 

Anche lui si era già rotto le scatole, e infatti il giorno prima aveva vomitato in faccia ad una duchessa, per poi piangere. 

Una volta che l’avevo riportato in camera, aveva riso soddisfatto. 

Praticamente la nonna mi strappò Murtagh dalle braccia e iniziò a coccolarlo, così ne approfittai per andare da Selena. 

Stava parlando con un nobile, ma lanciò un’occhiata ad Amelia e le fece un occhiolino, notandone il ventre leggermente pronunciato, che non lasciava spazio all’immaginazione. 

Però se sono io a fare proposte mi dai del porco, commentai allontanandola da quel conte che le guardava quella zona del corpo che solo io e Murtagh avevamo visto. 

Selena rise e la ammirai fasciata in un meraviglioso abito da seta blu notte, tempestato di diamanti. 

Iniziammo a ballare, seguendo l’esempio di tutti, e appoggiò il viso contro la mia spalla. 

- Non ce la faccio più. – mormorò stanca. 
- Lo so. Ma stasera è l’ultima che sono qui … entro domani pomeriggio saremo di nuovo solo noi tre, biondina. – la rassicurai. 
- Dov’è Murtagh? 
- Con tua nonna. 
- Allora vado a prenderlo, lo porto a dormire, è tardi … tu resta, se vuoi. 
- Col cavolo. Se posso andarmene … 

Le sfiorai la fronte con un bacio, e andammo a prendere il nostro bambino. 

Facemmo per andarcene, ma venimmo spiacevolmente fermati da Galbatorix. 

- Oh, so che è molto tardi, ma non ho ancora avuto il piacere di conoscere il nuovo arrivato. – rise, poi si abbassò fino a poter guardare Murtagh negli occhi. – Benvenuto, piccolino. Ho portato un bel regalo per te … 

Nel sentire quelle parole, mi irrigidii. 

Galbatorix schioccò le dita, e due soldati portarono un forziere. 

- Cos’è? – mormorò Selena, stringendosi Murtagh al seno. 

Le guardie aprirono lo scrigno, e nel vedere cosa conteneva trasalii. 

Era una delle uova di Dracarys e Saphira. 

Quello rosso. 

- Ho pensato che essendo figlio di un Cavaliere, un giorno avrà anche lui il suo drago, no? Ho portato anche la sella. – sorrise tutto contento. 
- Grazie, sire. – dissi, ricordando come Selena aveva recitato alla consegna dei “contratti”. – è un dono molto gradito e generoso.
- Lo so. Ma non voglio trattenervi oltre, di sicuro il piccolo Murtagh avrà bisogno di dormire. Ah, Morzan, raggiungimi nei giardini, dopo. Dovremmo parlare. 
- Sì, signore. 

Tremavo al solo pensiero di quel che mi avrebbe detto. 

Ero piuttosto sicuro che si sarebbe rimangiato la parola data, quella di lasciarmi a casa per i primi tre mesi di Murtagh, e mi avrebbe spedito chissà dove, a fare chissà che cosa. 

- Andiamo. – esortai Selena e raggiungemmo in fretta la nostra camera. 

Arrivati, misi Murtagh per un momento nella culla, poi aiutai Selena a sfilarsi quell’abito che praticamente non la faceva nemmeno respirare. 

- Non andare. – mi implorò cullando Murtagh perché dormisse. 
- Non posso fare diversamente. 

Lo sapeva, eppure non voleva arrendersi. 

- Tornerò subito, amore. – la rassicurai e uscii, diretto ai giardini. 

 

 

 

Il re arrivò ben quattro ore dopo, sedendosi accanto a me sulla panchina. 

- È da un po’ che volevo avvisarti, Morzan. – iniziò, sembrando pensieroso. 
- Dica. 
- Non ti starai affezionando troppo a Selena e al bambino? 

Affezionando troppo? 

Ormai vivevo per loro. 

- No, sire … 

Ne sembrò soddisfatto. – Bene. Perché tua moglie presto morirà, tra circa sessanta o settant’anni. E tuo figlio … beh, se l’uovo non si schiuderà, dovremo far sì che avvenga. 

Cercai di non prenderlo a pugni. 

Adesso voleva anche far nascere il cucciolo contro la sua volontà? 

- Certo, Maestà. 
- Il bambino … Murtagh. Tiralo su bene. Voglio un guerriero freddo e spietato, proprio come te. E ricordati che non ho bisogno di un padre o di un marito, ma di un Rinnegato. Confido che non ti farai ammorbidire da un paio d’occhi, vero? 
- Assolutamente no. Potete contare su di me. 
- Bene. – sorrise. – Tu e Murtagh sarete una bella accoppiata. Se ci aggiungiamo tua moglie, la mia migliore spia, i Varden e il Surda possono solo implorare pietà. Oh, e Morzan? 
- Sì? 
- Ho ancora due uova che mi avanzano. Sarebbe opportuno che tu e Selena metteste in cantiere un altro paio di bambini, potrebbero tornarmi utili. 
- Sarà fatto. – mormorai. 

E invece no. 

Non avremmo più fatto bambini, se quello doveva essere il loro destino. 

Nemmeno uno. 

- Ottimo. Puoi andare, va a dire a Selena delle nostre decisioni. 
- Sì, sire. 

Tornai in camera alla velocità della luce, ma quello che vidi mi spiazzò. 

Selena e Miranda chiacchieravano come se si conoscessero da sempre, mentre Murtagh e Alec erano nella culla: Alec lo fissava stupito, come se non avesse mai visto un neonato, cosa probabilmente vera. 

- Che c’è? – fece Selena. – Non dormiva nessuno dei due!
- E quindi la festa continua?! 

Alla fine anche Derek si aggiunse, e continuammo a parlare finché quei due pazzi non si addormentarono. 

- Ci vediamo domani! – ci salutammo sottovoce, poi loro uscirono e noi rimanemmo da soli. 
- Cosa voleva lo stronzo? – fece Selena, arrabbiatissima. 
- Lasciamo stare. 
- Oh, assolutamente no. Se riguarda Murtagh lo devo sapere anche io, sono sua madre! 
- Sel, non adesso …
- MORZAN!
- Vuole farlo diventare un Cavaliere! – quasi gridai, cercando di trattenere le lacrime. – Un Rinnegato come me, stronzo e … e cattivo, ecco cosa vuole! E vuole anche altri bambini per le altre due uova. Contenta?!

Da arrabbiata, l’espressione di Selena divenne scioccata, sconvolta e spaventata. 

- Quindi è questo che sono? – sussurrò con le lacrime agli occhi. – Un’incubatrice e una spia? 
- Sei mia moglie. – le ricordai stringendola. – Sei la mia leonessa. 
- E la schiava del re. Se vuole che facciamo altri bambini, ci costringerà a farne altri. – singhiozzò. – Non voglio … non voglio che Murtagh abbia questa vita … 

La strinsi più forte, sperando di calmare lei e di trattenere le mie lacrime. 

- Non la avrà. Non so come farò, amore mio, ma ti giuro che nostro figlio non diventerà schiavo di quel bastardo. Non avrà Murtagh e nemmeno, in caso arrivassero, altri nostri bambini. 
 

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Capitolo 40
*** Di primi passi e figli salvati ***


SELENA

 

UN ANNO DOPO

 

 

Spronai Dream al galoppo persino per percorrere gli ultimi duecento metri che mi separavano dai grandi cancelli della tenuta, spalancandoli con una semplice parola magica. 

Morzan era già arrivato il giorno prima, dato che la missione che Galbatorix mi aveva affidato chissà come non coincideva con la sua, e sapevo che l’avrei trovato con nostro figlio. 

Anche se era sera. Conoscevo i miei due polli, e se Morzan poteva tenere sveglio Murtagh più del dovuto, lo faceva. Eccome. 

E dato che quella era una notte estiva di luna piena, di sicuro sarebbero stati fuori, quei due scellerati. 

Non passai nemmeno per le stalle, dato che era una bella giornata di luglio di sicuro sarebbero stati in giardino. 

E infatti li trovai lì. 

- Dai piccolo! – gridò Morzan, la voce che traboccava gioia pura. – Ancora! Bravissimo! 

Incuriosita, li raggiunsi. 

E quello che vidi quasi mi fece piangere dall’emozione. 

Morzan teneva Murtagh per le manine, aiutandolo a muovere i primi passi. 

Il bimbo era concentratissimo, voleva riuscire nell’obiettivo. 

Però inciampò nei suoi piedini e sarebbe caduto se il suo papà non l’avesse preso al volo, coccolandolo. 

- Non fa niente. – lo rassicurò. – Sei bravissimo. 
- Oh, e comunque la mamma non si saluta, vero? – decisi di farmi vedere, perché non ce la facevo più a guardarli da nascosta. 

Morzan fece un sorriso a metà tra il divertito e l’affettuoso. 

- Alla mamma noi uomini non ci avviciniamo perché puzza di cavallo. 
- Mamma! – strillò Murtagh tendendo le braccia verso di me. 

A quel richiamo non potei resistere e corsi ad abbracciare il mio piccolo, che mi saltò in braccio stampandomi un grande bacio sulla guancia, subito ricambiato. 

- Mamma … - sorrise felice sfiorandomi il viso con una piccola mano soffice. 
- Mi sei mancato tanto, piccolo … - cercai di non piangere. 

Ma quando mi rispose “acche tu”, non potei trattenere nemmeno una singola lacrima. 

- Di’ alla mamma di non piangere. – lo spronò Morzan. – Come fa a vedere quanto sei bello con tutte quelle lacrime? 

Murtagh appoggiò la piccola testa nell’incavo della mia spalla, allacciando le braccia al mio collo e iniziando a ronfare beatamente. 

- È già l’ora del riposino? – commentò Morzan con un sorriso. – Dai. Portiamolo a dormire, piccola. Dallo a me, stai dormendo in piedi … 

Tutta la stanchezza mi crollò addosso in un istante e fu naturale consegnargli il bambino, che fece un nuovo sorriso rendendosi inconsciamente conto di trovarsi tra le braccia del suo papà. 

Non appena raggiungemmo la nostra camera e potei buttarmi sul letto, tirai un sospiro di sollievo. 

L’attimo dopo, Morzan atterrò di fianco a me. 

- È andato tutto bene? 
- Mmh … tu?
- Se bene lo si può definire … - commentò aspramente. 

Mi voltai verso di lui, ed entrambi trovammo conforto nelle braccia dell’altro. 

Emise un piccolo sospiro, prendendo ad accarezzarmi i capelli. 

- Non hai idea di quanto tu mi sia mancata, amore. 
- Anche tu mi sei mancato. Ogni momento. – mormorai, ringraziando qualunque dio esistesse per averlo tenuto vivo, per avermi concesso di abbracciarlo un’altra volta. 
- Sai cos’ho scoperto? – fece, e la sua voce assunse un tono parecchio allegro. – Il nostro incantesimo funziona. Murtagh non può essere divinato da nessuno a parte noi, nemmeno dal re in persona. 
- Davvero?! Ti prego, dimmi che non è uno scherzo … 

Per mesi avevamo lavorato a quell’incantesimo, spesso tenendo Murtagh con noi, che piangeva e strillava. 

Avevamo passato notti insonni, ma almeno avevamo la certezza che il nostro bambino era protetto anche da quel punto di vista. 

Annuì, iniziando a sfiorarmi il collo con le labbra. Non gli servì nemmeno andare più in giù perché mi rendessi conto di quali fossero le sue intenzioni. 

Erano esattamente le mie. 

 

 

 

 

 

 

 

DUE ANNI DOPO

 

Morzan era eccitato quanto me, nel sapere che finalmente avremmo potuto rivedere Murtagh. 

Sentii il mio cuore esplodere di gioia non appena avvistai le torri del castello, dove sapevo che ci aspettava il nostro piccolo. 

Ormai sarebbe stato tanto grande … 

Era incredibile pensare che ben quattro anni fossero già trascorsi dal nostro primo incontro e che Murtagh avesse già tre anni. Beh, quasi tre.  

Appena Aderes atterrò, saltammo giù e, incapaci di trattenere la felicità di essere a casa, corremmo dentro, diretti dal nostro piccolo. 

Era una bellissima giornata di agosto, perciò immaginammo che fosse nel giardino. 

Andammo lì e la sorpresa fu immensa. 

Lo trovammo in compagnia di Brom, che lo stava facendo divertire con alcune magie basilari. 

- Murtagh! – lo chiamai, incapace di trattenermi di più, poi gli corsi incontro. 

Era cresciuto tantissimo, ormai aveva già messo tutti i denti, camminava e correva. A detta della servitù, era una piccola peste e aveva una parlantina eccezionale. 

I tratti del suo viso si erano definiti, rendendolo ancora più simile a Morzan di quanto già non fosse. 

- Mamma … - sussurrò mentre lo abbracciavo, cercando di trattenere le lacrime. 

Appena mi staccai leggermente da lui per ammirarlo, mi fece un gran sorriso, facendomi sciogliere il cuore. 

- Oh, piccolo … 
- Ehi, leoncino! 

Morzan gli si avvicinò, gli occhi gonfi di lacrime. 

- Papi! – sorrise Murtagh saltandogli addosso. 

Qualche lacrima sfuggì al suo ferreo autocontrollo, poi mise giù il nostro cucciolo. 

- Adesso andiamo in spiaggia, ti va? 

Il sorriso incantato di nostro figlio fu la risposta ad ogni singolo problema. 

 

 

 

- PAPIIII! – gridò quando Morzan lo schizzò. Si mise le manine sugli occhi, poi corse verso di me per trovare riparo, nascondendosi dietro di me. 
- Oh, no! Il papà adesso ci schizza! Come faremo?! 

Morzan fece una risata malvagia che non avrebbe mai convinto nessuno. 

E infatti Murtagh rise divertito, poi lo schizzammo. 

Ovviamente lui la mise giù male, cadendo in acqua e andando anche sotto. 

Il piccolo esultò e gli corse incontro, saltandogli addosso. 

- Io e mamma abbiamo vinto, papà! – dichiarò orgoglioso. 
- Ah, avreste vinto? – fece Morzan, e con un colpo di reni fu di nuovo in piedi, con Murtagh in braccio. – Sconfiggiamo la mamma?

Entrambi fecero un sorriso da peste che non mi convinse per niente. 

E infatti iniziai a correre, anche se alla fine quei due mi lavarono da capo a piedi. 

Uscimmo dopo mezz’ora, quando iniziammo ad avere freddo. 

Murtagh batteva i denti, perciò lo avvolgemmo nel mantello del suo papà. Morzan gli tagliò una mela in piccoli pezzi, perché non avesse difficoltà nel mangiarla. 

- Glazie papà. – disse il nostro cucciolo, iniziando a mangiare la sua mela tutto contento. 
- Di niente, piccolo. – Morzan gli accarezzò i capelli affettuosamente. – Ehi, perché non fai vedere alla mamma come sei bravo a prendere i pesci? 

Murtagh corse di nuovo nel lago, e Morzan mi strinse a sé. 

- Il bambino? – sussurrò, la voce piena d’angoscia. 
- Sta bene … - riuscii solo a mormorare. Il visino dolce e innocente del piccolo che avevo lasciato a Garrow e Marian solo due settimane prima mi tormentava in ogni momento.
Era l’unico posto sicuro per lui … al re avevo detto di averlo perso. 

- Come si chiama? 
- Eragon … 
- Eragon. – Morzan ripeté il nome, e una lacrima gli solcò la guancia. – Gli servirà un nome forte. 

Sfiorai la sua mente, perché almeno vedesse il viso del suo bambino. 

- È così piccolo … - mormorò, affranto, il suo dolore eco del mio. – è bellissimo … 
- Almeno uno l’abbiamo salvato. – riuscii solo a dire. 

Deglutì. – Avrei preferito che non fosse necessario … ma sì, almeno uno starà bene. Brom sarà un buon padre per lui. Tu … 

Sapevo che stava per chiedermi se stavo bene, ma intuì la risposta prima di porre la domanda. 

Mi strinse più forte a sé, e potei liberare tutte le lacrime trattenute. 

 

 

 

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Ciao!
Purtroppo devo dirvelo ... 
la storia si sta avviando alla fine :( 

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Capitolo 41
*** Miseria ***


  • MORZAN

 

 

 

 

Tutto era pronto. 

Ammirai il giardino della tenuta, o almeno una parte di esso, perfettamente per ospitare la festa di compleanno di Murtagh, che comportava almeno dieci bambini psicotici. 

Ci avevo messo un’intera notte, ma era venuto perfetto. 

- Tutto pronto, qua? – chiese Derek, avvicinandosi. 
- Assolutamente. – sorrisi soddisfatto. – Miranda? 

Un gran sorriso gli increspò il volto. 

- Cinque minuti fa. 
- E? 

Il suo sorriso si allargò. 

- È una bambina. – disse e minacciò di piangere dalla felicità. – Una bellissima, piccola principessa. La vuoi vedere? 
- Ovvio! È la mia figlioccia, come minimo voglio vederla! 

Praticamente corremmo nel castello, raggiungendo la camera che il giorno prima avevamo adibito a sala parto per Miranda. 

Lei era addormentata, sfinita dal lunghissimo travaglio, ma nella culla c’era una bambina che protestava vivacemente. 

Derek la prese in braccio come se fosse la cosa più delicata che avesse, sfiorandole le piccole labbra rosee. 

La prima cosa che notai fu che la piccola gli assomigliava tantissimo, come Alec a Miranda. Da grande sarebbe stata la sua copia sputata, donna. 

- Lei. – annunciò, la voce trepidante d’orgoglio. – è Katherine Mavis del Nord. 

Deglutii, capendo che l’aveva chiamata come mia sorella. 

- È un piacere conoscerti, principessa Katherine. – le sorrisi accarezzandole il viso. 
- Papi! 

Fu in quel momento che mi accorsi di Murtagh, che mi tirava insistentemente il mantello. 

Lo presi in braccio, coccolandolo. – Cosa c’è? 

Fissò Katherine, incuriosito. – Che cos’è quetta cosa? 

- È una bimba, Murtagh. – gli spiegai. 
- Ma anche Julie è una bimba. Ed è glande! – esclamò. 
- Tutti i bimbi sono piccoli appena nati. Anche tu eri piccolo così. 

Mi fissò, imbronciato. – Non è velo. Quetta è una bugia, papà, e la mamma dice che le bugie non si dicono, quindi la mamma salà allabbiatiiiissima con te. E se quetta è una bimba, come si chiama? 

- Lei è Katherine. – gli spiegò Derek. – Katie. 

Murtagh la fissò. 

- Cheitilin? – provò a dire, poi storse il naso. – è un nome difficile! Non come il mio. Muuulatgh. Facile!
- È Katherine, con la A, non con la E. – gli ricordai. – Però puoi sempre chiamarla Katie. 
- Katie? 
- Sì. 

La guardò ancora un po’, poi scosse la testa. 

- Non mi piace quetta bimba, papi. 
- Non si dice … - lo ammonii. 
- Non ho detto che è blutta. – osservò con la sua solita arguzia. – è bella. Ma non mi piace pecchè … beh, non lo so il pecchè. 
- Allora va da tua madre a dormire, che è tardi e domani c’è la festa. – lo esortai. – E lavati quei denti! 
- No! – rise e corse via. 

Rubandomi il pugnale. 

Così gli corsi dietro. 

- Fermati! – urlai. – Murtagh, diamine, sta fermo! Ti farai male! 

Lo raggiunsi e lo fermai, poi mi abbassai fino a guardarlo negli occhi. 

Tesi la mano, per riavere l’arma che teneva nascosta dietro la schiena. 

Scosse la testa, con un sorriso da peste. 

- Andiamo, bello. Dammi qua. – dissi. 
- No. È miiio.
- È del papà e ti farai male se lo tieni in mano. – commentai cercando di non ridere di fronte alla sua espressione corrucciata, che era troppo buffa. 
- Non è velo. 
- Murtagh, dammelo finché è un consiglio. Poi diventa un ordine. Vuoi tagliarti? 

Fece un’altra faccia buffissima mentre ponderava la questione. 

- No. – commentò e mi ridiede il pugnale, che subito tornò nel suo fodero. 
- Sta tranquillo … domani avrai il tuo. – lo presi in braccio e lo portai nella sua cameretta, adiacente alla nostra. 
- Ma non ho sonno, papi! – protestò quando lo misi a letto. 
- E invece sì. 
- No! 
. Murtagh … 

Sbuffando, si infilò sotto le coperte. 

- Io dolmo solo se mi lacconti le stolie. – mi avvisò, così mi sdraiai di fianco a lui. 
- E che storia vuoi? 
- Allola, io ho pensato che la mamma la devi avele tlovata da qualche palte. – iniziò. – Quindi, dove hai tlovato la mamma, papi? 
- Mi stai davvero chiedendo come ho conosciuto la mamma? – feci scettico e anche un po’ sconvolto. 
- Sì! 
- Ehm … okay … 

E gli raccontai la storia, omettendo parti e nascondendo dettagli truculenti. 

Alla fine, venne fuori una bella storia, alla quale avrei voluto credere anche io. 

Una storia senza Galbatorix, senza tortura, crudeltà e visite mensili a nostro figlio. 

Una storia tanto bella da non essere vera. 

 

 

 

 

 

- E pensare che ieri sera mi ha detto “non mi piace questa bimba”. – dissi a Selena, mentre cercavamo di trattenerci dal ridere. 

La festa era iniziata e finita da almeno due o tre ore, ma Murtagh aveva giocato pochissimo con i suoi amici, preferendo stare con Katherine. E non si era mosso dalla carrozzina, come Alec. Stavano lì a farle la guardia, seriamente. 

Si erano persino dati i turni, a un certo punto, e con la sua spada e il suo scudo di legno nuovi di zecca Murtagh si era messo a marciare tutto fiero davanti alla carrozzina. 

- Ploteggo io la plincipessa Cheitilin, papà! – aveva strillato. 
- Oh, si vede come non gli piace. – rise Selena. – è tutto il giorno che non smette di guardarla. 
- Ti dirò di più. Li vedo già sposati. – commentai. Anche perché a Katherine, nonostante avesse meno di un giorno di vita, non sembrava dispiacere la sua compagnia. 

Solo poche ore prima gli aveva regalato un gran sorriso sdentato, sorriso che ci aveva fatti sciogliere tutti. 

Poi gli aveva tirato i capelli talmente forte che lui era corso tra le braccia di Selena disperato, inveendo contro Katherine in modi che solo Brom poteva avergli insegnato, ma dettagli, no? 

Adesso erano entrambi nella carrozzina di Katherine, lui seduto e lei sdraiata, intenta ad ascoltarlo super attentamente. 

- E quiiiindi. – concluse Murtagh, soddisfatto del suo discorso. – Il mio papà si chiama Molzy e il suo dlago è mooolto calino. 

Tieni a bada la lingua del cucciolo, brontolò Dracarys. 

- E ieli ho decolato la sella del dlago del papà, pecchè ela blutta, tutta mallone. Gli ho disegnato i dlaghi e le fiamme e ola è beeeellissima!

Seh. 

Credici. 

Tutti i decori elfici erano andati a quel paese, ma non avevo potuto sgridarlo. 

Era talmente orgoglioso del suo lavoro … mi era corso in braccio tutto contento, convinto di farmi una sorpresa. 

E non me l’ero sentita di cancellare le sue incisioni con la magia. 

- E guarda lei come lo segue! – fece Selena intenerita. – è tutta concentratissima. 

Quei due insieme erano un mix di dolcezza esplosivo.

Fu proprio mentre li guardavo che iniziai a sentirlo. 

All’inizio quasi non me ne accorsi, pensai che il re volesse solo raggiungermi per comunicarmi un nuovo incarico, d’altronde la settimana del compleanno di Murtagh stava per scadere e nel giro di due giorni avremmo dovuto abbandonarlo. 

Quando realizzai che aveva preso controllo delle mie funzioni motorie, ebbi solo il tempo di gridare a Murtagh di scappare prima di rendermi conto di quello che volesse farmi fare. 

Sentii Selena cercare di trattenermi, sfilandomi la spada dal fodero per impedirmi di usarla. 

Usando il mio corpo, Galbatorix la recuperò in un batter d’occhio. 

Derek mi immobilizzò con la magia, dando Katherine e Alec a Miranda e facendola correre nel palazzo. 

L’incantesimo venne cancellato, e il mio amico bloccato. 

Medesima sorte toccò a Brom. 

E Selena … Selena cercò di fermarmi di nuovo, ma usò la mia mano per colpirla al viso talmente forte da mandarla a terra. Un rivolo di sangue le colava dalla tempia. 

- Morzan, fermati! – la sentii implorarmi disperata. 

E fermarmi era l’unica cosa che volevo fare … potermi fermare da quella mostruosità che sapevo stavo per compiere … 

La vidi correre da Murtagh, stringerlo al seno e chiamare il suo cavallo, per scappare. 

Purtroppo la raggiunsi in tempo. 

Li tirai giù dalla groppa di Dream, facendoli cadere a terra. 

Ti prego … smettila … 

Sentii l’espressione del mio viso cambiare in un sorriso sadico e perverso, lo stesso sorriso che avevo indossato tante volte, il sorriso che era la maschera di Morzan, il Terribile, Primo dei Rinnegati. 

Vidi il mio piccolo spaventarsi, il suo labbro tremare e i suoi dolci occhi grigi riempirsi di lacrime. 

- Corri, ragazzino. Vediamo quanto sei veloce. – disse tramite la mia voce. 

Murtagh obbedì, ma era talmente terrorizzato da incespicare ogni due passi. 

- Papà … - singhiozzò. 
- Corri. 
- MAMMA! MAMMA! 

Selena cercò di aiutarlo. 

La immobilizzò con la mia magia. 

NON LO FARE!!!

Il mio braccio si sollevò oltre la mia testa, preparandosi a scagliare Zar’roc. 

Ti avevo detto di non affezionarti a loro. 

Fu la sua unica risposta, prima che mi costringesse a lanciare la spada. 

- MAMMA, AIUTAM … AAAH! 

La sua supplica venne stroncata da un urlo d’agonia, non appena Miseria lo raggiunse, colpendolo alla schiena.

E nello stesso istante, la presa del re sulla mia mente scomparve. 

- MURTAGH!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 42
*** Oromis ***


SELENA

 

 

 

 

- Non preoccuparti. – mormorò Marian. – Andrà tutto bene. 

Mi presi ancora un attimo per tenere il mio bambino tra le braccia, per guardarlo ancora un po’. 

Occhi e capelli castani, come i miei genitori, ma il viso era un mix tra il mio e quello di Morzan. 

Era bellissimo. 

Ma sapevo che, più a lungo lo tenevo in braccio, più avremmo sofferto entrambi. 

- Perdonami, piccolo mio … - la mia voce si spezzò, mentre davo un bacio sulla guancia calda e morbida del mio bimbo. – Buona fortuna, Eragon. La mamma e il papà ti amano tanto … un giorno ci ritroveremo, e la nostra famiglia sarà di nuovo riunita. Te lo prometto, questa non sarà l’unica volta in cui ci vedremo. 

Lo misi tra le braccia di Brom e scappai, spronando Dream al galoppo, ignorando ogni dolore. 

Solo quando fui lontana liberai tutte le lacrime. 

 

 

 

Per un attimo non riuscii a muovermi. 

Vedevo solo Morzan, che disperato cercava di guarire Murtagh, il corpicino esanime tra le sue braccia. 

- No … no, ti prego … - singhiozzò. 

Li raggiunsi correndo, e nel vedere l’entità della ferita il mio cuore si fermò. 

La schiena del piccolo era aperta in due, un lungo squarcio la percorreva dalla spalla destra al fianco sinistro. 

- Non volevo … non volevo … 
- Lo so. – riuscii solo a sussurrare. – Non eri tu. 
- Sali. – la sua voce divenne dura, piena di determinazione. 
- Cosa … 
- Dracarys!

Il drago ci raggiunse, e Morzan mi mise Murtagh tra le braccia. 

- Portalo dagli elfi. Chiedi di Oromis, lui saprà guarirlo. – disse, ma vidi le lacrime luccicare nei suoi occhi. 
- Tu non … 
- Sarei solo un peso in più, vi rallenterei e voi avete bisogno di essere veloci. – fece un piccolo sorriso, mentre le lacrime ormai gli scorrevano sulle guance. 

Mi aiutò a salire su Dracarys, poi lasciò la mia mano. 

- Morzan … 
- Ti amo, biondina. – sussurrò. – Salvalo, okay? 
- Vieni … 
- Gànga, Dracarys. Gànga! 
- Ti prego … - riuscii solo a dire, tra le lacrime, prima che il drago spiccasse il volo. 
- ANDRA’ TUTTO BENE! – gridò. – NON AVERE PAURA!

 

 

 

 

 

La barriera … mormorò Dracarys preoccupato. 

Che barriera?

Gli elfi hanno uno scudo che li protegge da qualunque intrusione. Gilderien il Saggio è l’unico che potrà farci passare. 

Non ho tempo per parlare. 

Presi un profondo respiro e guardai Murtagh, che impallidiva ogni momento di più. 

Per mio figlio, per il mio Murtagh, avrei prosciugato gli oceani. 

E se gli elfi pensavano di fermarmi con una stupida barriera, dovevano ricredersi. 

Attinsi alle mie riserve di energia, ma scoprii che non mi servivano. 

Mi bastò canalizzare la rabbia che provavo verso Galbatorix, che aveva usato Morzan per ferirci tutti e tre, la disperazione per il destino di nostro figlio e l’odio, che bruciava come una fiamma nera nel mio cuore. 

Mi bastò allungare la mano verso nord perché un getto di luce bianca si scontrasse con un’entità sconosciuta, che doveva essere la barriera. 

Stranamente, non venni colta dalla paura, dal sospetto di fallire. 

Poi realizzai il perché di quella sicurezza: non avevo la possibilità di avere un margine d’errore se in gioco era la vita di mio figlio. 

E pochi secondi dopo, la barriera andò in frantumi, e Dracarys, Murtagh ed io la passammo indisturbati. 

A quel punto spalancai la mente, distruggendo barriere mentali elfiche e cercando di carpire ogni informazione su dove si trovasse questo Oromis. 

Calma la tua furia. 

Una voce dolce e pacata si insinuò nella mia mente, ma non sembrava il genere di intrusione al quale Galbatorix mi aveva ormai abituata: era gentile e delicata. 

Dimmi dov’è Oromis e mi calmerò. 

Sono io. Raggiungimi sulla rupe di Tel’Naeir. 

Ci so andare, fece Dracarys determinato e bruscamente virò verso est. 

Ci mettemmo mezz’ora ad arrivare, mezz’ora che passai stringendo il mio bambino e facendo tutto quel che potevo per arrestare l’emorragia che lo consumava. 

Quando arrivammo, quasi non credetti a quello che vidi. 

Un enorme drago dorato si stagliava di fronte a me, guardandomi dritta negli occhi con un misto di severità e malcelata dolcezza. 

Benvenuta, Selena. Io sono Glaedr. 

Annuii solamente, dato che sembrava non esserci bisogno di presentazioni, e smontai dal drago, correndo verso un elfo dall’età indecifrabile e lunghi capelli d’argento che doveva essere quell’Oromis citato da Morzan. 

- Selena. – mi salutò con un sorriso. – Finalmente ci incontriamo. 
- Non ho tempo per i tuoi convenevoli, devi salvare mio figlio adesso! – urlai. 
- Che gli è capitato? Morzan ha cercato di spiegarmi, ma i suoi dettagli erano confusi. Intanto mostrami la sua ferita. 

Mi accompagnò in un capanno ricavato da un albero e mi indicò un letto sul quale appoggiare Murtagh. 

L’elfo si sedette al suo fianco per esaminargli la ferita. 

- Posso guarirlo. Ma sarà costretto a portare una cicatrice, un perenne marchio dell’infamia di Galbatorix. – mormorò. 
- Avrà problemi fisici? Sarà paralizzato, o … 
- Sarà un normalissimo bambino. Per fortuna Zar’roc ha reciso solo i muscoli, nervi e tendini sono intatti, e così la spina dorsale. Potrà giocare, fare sport e crescere. 
- Quanto tempo ci vorrà perché si riprenda? 

Oromis fece un piccolo sorriso. – Una settimana e sarà come nuovo. Ma è il caso di spostarci in città, dove potrò consultarmi con esperti di bambini e medici. 

- Puoi almeno arrestare l’emorragia? – sentii le lacrime abbandonare i miei occhi, tante erano le emozioni che mi tormentavano. Prima fra tutte, la paura per il mio Murtagh. 
- La mia magia non è abbastanza potente. Tuttavia, una fasciatura riuscirà a fare qualcosa. Ci vorrà poco. 

E infatti, ci mise poco a sostituire la mia medicazione, fatta con pezzi del mio mantello, con delle candide bende di lino. 

Prese dolcemente il piccolo fra le braccia, ma non appena feci per riaverlo scosse la testa. 

- Senti un po’ … 
- Non sei in grado di tenere un bambino, ora come ora. – disse, con un sorriso. – Raggiungici a piedi e sarai più tranquilla al tuo arrivo. 
- Se pensi che lascerò mio figlio da solo con uno sconosciuto … 
- Penso che lo farai. Perché sono l’unica speranza che hai di salvarlo. Perché ti fidi di me. – rispose, cogliendomi di sorpresa. 

Non so perché gli lasciai Murtagh e seguii il suo consiglio. 

Forse perché davvero mi fidavo di quell’elfo dal volto gentile. 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 43
*** Islanzadi ***


SELENA

 

Il pomeriggio, Oromis mi costrinse a lasciare il mio piccolo alle cure di ventisette elfi, che comunque erano pochi, perché la regina voleva incontrarmi. 

- Non intendo lasciarlo. – ripetei. 
- E allora non lo lascerai. – una voce giunse da dietro le mie spalle e mi voltai. 

Un’elfa dall’età indecifrabile veniva verso di me. 

Era parecchio più alta di me, non che ci volesse molto, e il portamento era fiero e nobile. Lunghi capelli neri le incorniciavano il viso austero e due brillanti occhi verdi rilucevano come smeraldi incastonati nell’avorio del suo viso. 

Indossava una lunga tunica rossa, con una cintura dorata in vita, ed un lungo mantello bianco di piume di cigno. 

- E tu chi diavolo sei? – ringhiai appoggiando la mano all’elsa del pugnale. 
- Permettimi di presentarmi. Islanzadi, regina della Du Weldenvarden. – sorrise e impallidii. 

Mi ero appena rivolta in quel modo alla regina degli elfi?

Merda. 

- Mi … mi scusi … - balbettai sconcertata. 
- Non c’è nulla da scusare, cara. Vieni, sediamoci. 

Decisi di non contrastare l’ordine, ma non ce la feci a separarmi da Murtagh. 

Era troppo pallido … dentro di me il terrore che la potente medicina elfica avrebbe fallito scavava una dolorosa strada di spine. 

- Non temere per la sua sorte. – la regina sorrise. – Sono i migliori medici di Alagaesia. Il tuo bambino è in ottime mani, e uscirà vincitore dalla battaglia contro la morte che ha teso le sue mani su di lui. 

Cercai di crederle e mi sedetti di fronte a lei, intorno ad un bianco tavolino rotondo. 

- Potrebbe portarci del tè, di grazia? – chiese Islanzadi ad un elfo. 
- Come Vostra Maestà desidera. – l’elfo si inchinò ed uscì. 

Non ebbi nemmeno il coraggio di guardarla. 

La mia attenzione era completamente focalizzata sul regalo che Murtagh mi aveva fatto per il mio compleanno: un anello ricavato da una margherita che Marlene l’aveva aiutato a creare. 

- Lady Selena? 
- Sì? – dissi in fretta, spostando la mia attenzione sulla regina. 

Lei sollevò le sopracciglia, in attesa di una risposta ad una domanda che nemmeno avevo sentito. 

- Non ho sentito la domanda, mi scusi. 
- Come sei riuscita a distruggere la barriera? – ripeté, e non sembrò nemmeno scocciata. – Nemmeno Galbatorix con le sue vili arti è riuscito nell’impresa. 
- Mio figlio mi stava morendo tra le braccia, due giorni dopo il suo terzo compleanno. – sibilai. – Cos’altro avrei dovuto fare?! 

La vidi annuire fra sé e sé. – Non c’è nulla come l’amore di una madre. – commentò. – Comprendo appieno i tuoi sentimenti, cara. Non vedo mia figlia da decenni ormai, e da madre a madre sappiamo entrambe che non c’è nulla che non faremmo per i nostri bambini.                                          
Compreso, tra l’altro, distruggere definitivamente una secolare barriera che viene potenziata ogni anno dai migliori maghi elfici. – aggiunse, con un mezzo sorriso. – Brom mi ha detto quello che tu e Morzan avete fatto per il vostro secondogenito. Il vostro è un coraggio che mai, nella mia lunga vita, ho trovato ad albergare nei cuori di umani, elfi, nani o draghi. Avere un bambino è un atto d’amore e di responsabilità, ma decidere di separarsene per il suo bene … il piccolo Eragon dovrà essere orgoglioso di essere stato concepito da due persone come voi.                                           
Oh, ecco il tè. 

Accettai di buon grado la bevanda calda che mi venne offerta, insieme ad alcuni biscotti ripieni di marmellata di pigne. 

- Quindi. – riprese Islanzadi. – Ti va di raccontarmi cos’è successo? 
- Stavamo festeggiando il suo compleanno. Galbatorix ha assalito la mente di Morzan e l’ha costretto a lanciare la spada contro di lui. L’ha liberato l’attimo dopo e mi ha detto di venire a cercare Oromis. – replicai asciutta, cercando di non ricordare il viso affranto di Morzan nel tenere Murtagh, svenuto, fra le braccia. 
- E lui dov’è?
- A casa. Ha detto che la sua presenza sarebbe stata inutile e il suo peso ci avrebbe rallentati. – mormorai. 
- Capisco … - fece. – E sapresti dirmi perché il re Nero avrebbe commesso una tale empietà? 
- Perché è malvagio. Non ci sono altre spiegazioni. O se ci sono, non ha ritenuto opportuno condividerle con me. 

Islanzadi annuì, preoccupata. 

- Temo. – rifletté. – Che la sua idea originaria prevedesse Murtagh morto. 

Impallidii solo nel sentire quelle due parole. 

Murtagh morto. 

No. 

Non potevo permetterlo … 

- Non è possibile. – ansimai. – è solo un bambino, un bambino innocente …
- Galbatorix ha paura di tuo figlio, Selena. – disse seria. 
- Cosa può fargli paura di un bambino di tre anni? – urlai disperata. – è … non ha senso, non è possibile … 
- Tutto gli fa paura di lui. – mi rispose con un tono più dolce, prendendomi la mano. – Soprattutto l’amore che i suoi genitori provano per lui. 
- L’amore?! 

Islanzadi annuì. Mi sembrò di scorgere della pietà in fondo a quelle iridi verdi, e la cosa mi irritò. 

Non bastava che il re volesse il mio bambino morto. 

Adesso mi toccava anche la pietà degli elfi. 

- Se Murtagh morisse saremmo solamente suoi. – capii, disgustata. – Non ci sarebbe nessun motivo per cui ribellarci a lui. 
- Esatto. 
- Lady Selena. – un elfo si avvicinò, facendomi persino una riverenza. – Il piccolo Murtagh è fuori pericolo. Entro domattina si sarà risvegliato. 

La paura e la disperazione abbandonarono il mio cuore in un attimo. 

- Murtagh sta bene? – riuscii solo a sussurrare, stupita e meravigliata. 

Un sorriso soddisfatto gli illuminò il viso. – Sarà un perfetto bambino. Tuttavia … 

Quell’ultima parola mi preoccupò. Se sarebbe stato un bambino come gli altri, perché c’era un “tuttavia”?

- Tuttavia? – lo esortai, anche se non ero sicura di voler sentire la risposta. 

L’elfo deglutì. – La cicatrice, mia signora. – mormorò. – Un conto è rimarginare una ferita inferta dalla lama di un Cavaliere … un altro conto è farne scomparire le tracce. 

- Che intendi?

Sospirò. 

- Meglio se vedete voi stessa. 

Con il cuore in gola, raggiunsi il capezzale di Murtagh, sdraiato a pancia in giù. 

Quando lo vidi, temetti di svenire. 

Una lunga e spessa cicatrice biancastra gli attraversava la schiena, come un perenne marchio. 

Il mio bambino … 

Tremante, mi sedetti accanto a lui, scostandogli una ciocca di capelli castani dalla fronte. 

Nonostante tutto il dolore patito, il suo viso era sereno. 

E quello rassicurò ogni timore. 

Cicatrice o meno, io e Morzan eravamo fortunati ad averlo ancora con noi. 

- Mmmh … 
- Murtagh? – sussurrai, stupita dal fatto che già si stesse svegliando. 
- Mamma … - mormorò aprendo gli occhietti. 

Il suo sorriso restituì la pace al mio cuore e non potei fare a meno di stringerlo tra le braccia, cercando inutilmente di trattenere le lacrime. 

- Murtagh …

Strinse le braccia al mio collo, appoggiando il viso contro la mia spalla. 

Poi lo rialzò di scatto. 

- Dov’è il papà? – chiese. – Pecchè non mi fa le coccole? 
- È a casa, amore mio … ma tra qualche giorno torneremo dal papà, va bene? – singhiozzai cercando di smettere di piangere. 
- Ma mamma. – fece una faccia buffissima, arricciando le labbra. – Il papà dice che non devi piangele. 
- Scusa piccolo … mi è entrato un … un moscerino nell’occhio, non è niente …
- Mamma? 
- Dimmi. 

Un’ombra gli passò sul viso. – Pecchè papà mi ha fatto male? Sono stato cattivo? 

- NO! – quasi gridai, sconcertata. – No. – cercai di calmarmi. – Murtagh, tu sei stato bravissimo. E il papà lo sa, non lo hai fatto arrabbiare. È … hai presente quando io e papà tocchiamo la tua mente?

Annuì, attento, facendo su e giù con la testa. I riccioli color cioccolata rimbalzarono come molle. 

- Beh … un uomo cattivo, cattivissimo, non si è limitato a toccare la mente del papà. Lo ha costretto a farti del male perché non vuole che io e papà ti vogliamo bene. – cercai di spiegare. 
- Ma quindi è colpa mia se papà mi ha fatto male?

Ottimo. 

Di male in peggio. 

Selena, madre dell’anno. Abbandona un figlio e mette nell’altro dubbi assurdi che non stanno né in cielo né in terra. 

- Murtagh, ascoltami. Tu non hai nessuna colpa. Tu sei il nostro bambino. La colpa è di quell’uomo cattivo, perché non sa cosa sia l’amore. Conosce solo l’odio e non sa provare altro. – dissi. 
- Ma quindi tu e papà mi volete bene? 
- Te ne abbiamo voluto fin da quando abbiamo scoperto che eri nella pancia della mamma, amore mio, e te ne vorremo anche dopo che non ci saremo più. – sussurrai cercando di ricacciare nuovamente indietro le lacrime. – Per sempre, Murtagh. Non dimenticarlo mai. 





 

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Capitolo 44
*** L'amore di un figlio ***





Capitolo con lo speciale di San Valentino! :) :) 





MORZAN

 

 

 

 

- Smettila. – aveva sbuffato Brom per l’ennesima volta, cercando di togliermi il bicchiere di vino. 

E per l’ennesima volta me lo ero ripreso, mandandolo giù in un attimo. 

- Morzan, sai bene che bere non aiuta davvero. – mi aveva ricordato Derek, che teneva la piccola Katherine tra le braccia. 
- E perché sei qui con la bambina?! – avevo cercato di parlare in modo chiaro, ma le parole mi erano uscite strascicate e con il tipico tono degli ubriachi. 
- Miranda tiene Alec. – aveva risposto. – Ma non è di questo che stiamo parlando. Secondo te bere aiuterà Murtagh a riprendersi? 
- Aiuterà me a dimenticare di averlo ucciso. – avevo commentato.
- Non è morto. – Brom aveva sospirato. – Oromis lo guarirà. Senti, amico, lui e Selena sono via da una settimana ormai. È probabile che siano già sulla strada di ritorno, conoscendo le tempistiche di Oromis. 

Volevo credergli … volevo credere a quelle parole con tutto il cuore. 

Ma l’immagine del corpicino pallido e freddo del mio bimbo, riverso tra le mie braccia, era un incubo che mi tormentava in ogni secondo. 

Perfino in quell’istante lo vedevo. 

Murtagh era di fronte a me, seduto sul letto, il suo orsacchiotto preferito, il draghetto Spike, in mano, e mi guardava con un’espressione arrabbiata che mal si sposava con il suo viso dolce e di bambino, rendendolo grottesco al limite della bruttezza. 

- Pelchè mi hai fatto male papà? – chiese. 
- Smettila! 
- Non mi vuoi bene? 
- Sta zitto! Lo so che non sei tu, sta zitto! ZITTO!

Al suo fantasma si aggiunse anche quello di Selena, ma anche qui non era la Sel che ricordavo: questa era una donna gelida e indifferente, che prendeva Murtagh tra le braccia e se ne andava. 

Che mi lasciava. 

- FERMA! – urlai disperato.

Un angolino della mia mente mi ricordava che quelle immagini non erano reali, ma … 

Ma erano fin troppo reali. 

Fin troppo probabili.

Si voltò verso di me, e mai le avevo visto un’espressione tanto dura sul viso. 

Quelle gelide iridi grigie, che la rabbia aveva scurito fino al colore del ferro, non erano quelle che ricordavo.  

- Ti prego … - singhiozzai. – Non andartene. 
- È troppo tardi. – mi gelò. – Dovevi pensarci prima. 
- Non volevo, Selena … ti prego, amore … 
- Pensi davvero che lascerò mio figlio con un pazzo omicida?! 
- Non ero io!
- Sei un debole. – sibilò la visione. – Un viscido verme codardo che non è in grado di proteggere la propria famiglia. Solamente una bestia. 

Una bestia …

Era vero. 

Non ero altro che un mostro … 

Loro erano tutto ciò che di bello esiste al mondo, ma io ero solamente una bestia. 

 

 

 

- … da quando sei partita. 
- E non siete riusciti a fare niente?
- Niente. 

Un sospiro. 

- Grazie, ragazzi. Vedo se riesco a fare qualcosa. 
- Sta attenta. 

Una porta chiusa. 

Il materasso che si inclinava leggermente. 

Una mano che mi sfiorava la schiena. 

- Morzan? 

Quella voce … 

Quella stessa voce che negli ultimi tempi avevo sentito accusatoria e rabbiosa, piena di rancore, era tornata a perseguitarmi. 

Altro movimento. 

Una piccola mano sfiorava la mia. 

- Ciao papà! 

Un corpicino caldo che si raggomitolava contro il mio petto. 

Fu quella sensazione a scuotermi dal torpore dentro il quale non mi ero nemmeno accorto di essere scivolato. 

Il mio sguardo si spostò dal fairth che rappresentava me, Murtagh e Selena al piccolo accanto a me. 

Fu istintivo allungare la mano per sfiorargli la guancia fresca e vellutata, e quando lo feci Murtagh emise un versetto compiaciuto, accoccolandosi contro di me e stringendomi la mano, insieme a Spike. 

Durante quel tempo avevo sempre tenuto quel pupazzo, persuaso da qualche infantile convinzione che mi rendeva certo che Murtagh sarebbe tornato da me se l’avessi tenuto. 

- Mi hai culato Spike! Glazie papà!

Si arrampicò su di me per stamparmi un bacio sulla guancia, ma non ebbi il coraggio di guardarlo. 

Mio figlio era il mio più grande orgoglio … e il maggiore ricordo della mia debolezza. 

- Ti va di mangiare qualcosa? Ehi. – la mano di Selena sfiorò il mio viso, voltandolo verso il suo. 

Ma quello che lessi nei suoi occhi mi destabilizzò. 

Non vedevo rabbia, rancore e odio. 

Solo amore e compassione. 

Perché non mi odiava? 

Dopo quello che avevo fatto a Murtagh, come poteva non volermi morto? 

- Amore, so che non sei stato tu. – sorrise dolcemente. – Non preoccuparti. Anche Murtagh lo sa. 
- La mamma mi ha detto che un signole cattivo ti ha costletto, papà. – fece il nostro piccolo con un’aria da sapientino che … beh, era troppo divertente. – Ma io lo so che mi vuoi taaanto bene e anche io e la mamma ti voliamo bene molto tanto, papà. 

A quel punto sentii le lacrime lasciare i miei occhi e non potei non stringere forte il mio piccolo. 

- Eppoi il tuo amico Olomis ci ha detto a me e alla mamma di dalti quetta cosa, papà. – continuò imperterrito, con gli occhioni sgranati. – Mamma, gli dai al papà la cosa che il suo amico Olomis ci ha detto di dale al papà? 
- Subito. – sorrise Selena e si chinò a prendere dalla borsa una pergamena. 

La appoggiò sulla scrivania e tornò da me e Murtagh. 

- E sai, papà, quetto tuo amico è stlano. – commentò, mentre mi restituiva il sorriso. 
- E perché? 

Mi fissò spazientito. – Pecchè. – fece. – Ha le olecchie a punta! Anche i suoi amici hanno le olecchie a punta! 

- E perché, il papà non ce le ha? 

La sua espressione fu impagabile quando gli feci vedere che anche io non avevo le orecchie come lui e la sua mamma. 

Certo non appuntite e grandi come quelle degli elfi, ma di sicuro non rotonde. 

- Sei stlano papà! – strillò. – Mamma! MAAAAMMAAA!!! 
- Non urlare. – brontolò lei. – Cosa c’è? 
- Papà ha le olecchie come quei mangialattughe! 
- Mangialattughe? – feci stranito. 
- Si è messo a chiamare così gli elfi dopo che ha scoperto che non mangiano carne. – mi spiegò lei. – Ho cercato di non farglielo dire, ma non è esattamente semplice. 
- Ehm … Murtagh, senti un po’. – cercai di spiegarglielo. – Loro hanno scelto di non mangiare la carne per non fare male agli animali. 
- Ma è buona! A me piace tanto, papà. Soplattutto quando andiamo a caccia io e te! 
- Senti un po’ qua. – fece Selena stupita. – E così il papà ti porta a caccia. 
- Sì mamma! – mi tradì Murtagh, mentre già sentivo la vendetta di mia moglie aleggiare su di me. – Quando non ci sei andiamo a plendele la cena insieme nel bosco! E l’altla volta … 
- Smettila! – lo implorai. – Murtagh, non devi dirlo alla mamma, te l’avevo detto! Adesso prima ammazzerà me e poi te! 
- … mi ha fatto usale l’alco e insieme abbiamo pleso un glosso maiale peloso con le zanne, mamma. Ela glande così! – e allargò le braccia per farle intuire le dimensioni del cinghiale. 

Selena mi fissò infuriata. 

- Mi sembrava di essere stata piuttosto chiara, Morzan. – sibilò. – Ma forse non lo sono stata abbastanza. 
- No, amore. – cercai di giustificarmi, tentando anche un sorriso. – Sei stata chiarissima … ma non hai capito, tesoro, è … è un sogno, Murtagh si è solamente sognato che andavamo a caccia insieme … figurati se porto un bambino di tre anni, nostro figlio, a caccia e gli faccio abbattere un cinghiale … 
- Oh, è esattamente una cosa che saresti in grado di fare. – ringhiò. 
- Traditore. – sbuffai al piccolo. 

Che se la rise.

E Selena mi tirò una sberla in testa. 

- Non accusare Murtagh! L’unico colpevole sei tu, signorino. Devo porre limitazioni alle attività che fate insieme? 
- Ti stai preoccupando per niente. – la rassicurai stringendola. – Sì, l’ho portato a caccia, ma con le dovute precauzioni. Aveva tutti gli incantesimi difensivi e avevo sotto controllo gli animali della riserva. Adesso calmati. 
- Posso fidarmi? 
- Assolutamente. 

Sospirò e si ravviò i capelli. – Bene, ma … 

- Ma? 
- Ma? – mi fece eco Murtagh, tutto preso. 

Un sorrisetto affiorò sulle labbra di Selena. 

- La prossima volta vengo anche io. 
- Mamma! – gridò Murtagh. – Non puoi! Ti fai male e poi io e papà piangiamo con le laclime! 
- Addirittura?! 
- Oh, sì. Con i laclimoni! – disse convintissimo. 
- Ma tu lo sai che la tua mamma è bravissima a cacciare? – gli dissi, catturando la sua attenzione. 
- Non ti cledo papà! – e scosse la testa. 
- Giuro! 

 

 

 

- PAPAAAAA!!!! 

Murtagh decise di rendere più soave il mio risveglio urlandomi nelle orecchie. 

- Diamine … che vuoi?! 

Era furibondo. 

- Papà. – iniziò. – La bimba Cheitilin è malvagia. 
- Katherine? 
- Io la odiooo!!! – strinse i pugnetti. 
- Perché? Che ti ha fatto? No, aspetta. Murtagh, non è nemmeno l’alba! Sei andato a disturbarla? 
- No, papà. – rispose. 
- Murtagh … 
- Alec dolmiva e nessuno stava facendo la gualdia! – frignò. 
- Ma … ma si fa?! – feci sconcertato. – Ma come ti viene in mente?! 
- E lei mi ha visto e sono entlato nella culla con lei, pecchè ha una culla comodissima, papà. E abbiamo giocato, ma poi la bimba Katie mi ha liempito di una loba schifosa gialla e puzzolente! 
- Ti ha vomitato in faccia? 
- Sì! 
- E perché non sei sporco? 
- Pecchè il papà della bimba Cheitilin mi ha aiutato! E abbiamo letto il liblo dei Cavalieli dei Dlaghi. 

Sospirai. 

- Mi stai dicendo che a tre anni vai già a rompere le scatole alle ragazze nei loro letti? 
- Che diavolo succede? – sbuffò Selena svegliandosi. 
- Tuo figlio si è introdotto nella culla di Katherine, che gli ha vomitato in faccia. E Derek gli ha persino letto un libro! 

Selena guardò Murtagh un attimo. 

Poi scoppiò a ridere. 

- Oh, Murtagh … non andare nei letti delle ragazze. Sei ancora piccolo. 

Lui sospirò. 

- Evvabbene. – brontolò. – Ma io volevo solo fale la gualdia alla bimba Cheitilin. Mica bacialla sulla bocca come fa il papà con te, mamma. Bleeeehh. 

E accompagnò il tutto con un fremito disgustato. 

- Bravo. – mi complimentai. – Continua a pensare che fa schifo finché tu e Katherine non sarete abbastanza grandi. 
- Morzan! – sibilò Selena. 
- Che c’è? Sono carini! 
 

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Capitolo 45
*** Vendetta ***


SELENA

 

DUE SETTIMANE DOPO

 

- Lassiami mamma! – strillò Murtagh imbufalito, mentre cercavo di metterlo nella vasca. 

Eravamo a Uru’Baen da tre giorni, ma il re non ci aveva ancora convocati. 

Meglio, dopotutto. 

- Smettila. Il bagnetto lo devi fare!
- Non è velo! 
- Murtagh Morzansson, smetti immediatamente di fare i capricci o non ti farò più fare la guardia a Katherine! – lo minacciai. 

La minaccia funzionò, perché entrò da solo nella vasca. 

- Uffa pelò. – brontolò arrabbiato. – Io volevo giocale ancola.
- È quasi ora di cena, piccolo. Non si mangia tutti sporchi. – gli spiegai mentre iniziavo a lavargli i capelli. – Se fai il bravo e ti fai lavare, poi ti lascio dentro a giocare con la tua barchetta, va bene?

Gli si illuminò lo sguardo nel sentir nominare la barchetta. 

- E va bene. – sbuffò, cercando di rimanere arrabbiato. – Pelò sei una mamma cattiva. 
- Ah. E perché?
- Pelchè io volevo giocale! 
- Ma mica Robert ti ha fatto male?
- Pelò mi piace giocale a fale la lotta con la ppada e lo scudo. 
- È spada, amore. 

Cercò di ripetere la parola, ma non gli venne. Pace. 

- Mamma?
- Dimmi. 
- Dov’è la bimba Cheitilin? 
- È andata a casa sua, tesoro. 

Murtagh mise il broncio. – Ma è casa nostla la sua casa. 

- No. La sua casa è molto più a nord, in un posto dove c’è sempre tanta neve, tranne che in estate. 
- E dov’è quetta casa?
- A Winterhaal. 
- E qua che succede? 

Morzan entrò con un mezzo sorriso, che però non mi convinse del tutto. 

- Amore, puoi venire un momento? – fece. 
- Potrei, ma tuo figlio potrebbe annegare, quindi non posso. – commentai. 

In un attimo, aveva tirato fuori Murtagh dalla vasca e l’aveva avvolto in un telo di spugna. 

- Morzan, che succede? 

Tutta quella fretta mi mise preoccupazione, perché non era da lui. 

Prendi il bambino e scappa. Io cerco di trattenerlo, sussurrò in fretta alla mia mente. 

Trattenere chi?

Il re. È qui per Murtagh. Prendilo e scappa con Dracarys immediatamente. 

E tu? 

Io me la caverò. Non mi ucciderà, amore, gli servo troppo. Ma tu e Murtagh … potreste non avere la stessa fortuna, ecco. 

In men che non si dica aveva vestito il piccolo e me l’aveva messo in braccio. 

- Non puoi restare qua … - sussurrai sconvolta, mentre cercava di asciugarmi le lacrime. 

Alla fine, era successo. 

Voleva nostro figlio ed era venuto a prenderselo. 

Morzan fece un piccolo sorriso e mi sfiorò le labbra con un bacio. 

- Starò bene, tesoro. Non preoccuparti per me. Ehi, tu. – si rivolse a Murtagh, le lacrime che gli luccicavano negli occhi. – Obbedisci alla mamma, va bene? Fa il bravo. 
- Pecchè papà? 
- Perché sì. Va al Nord. – tornò a parlare a me. – Derek e Miranda sono già là. 
- Ma … 
- Sssh. Andrà tutto bene. Adesso vai, muoviti. 
- Morzan … 
- Subito.

Gli bastò toccare un mattone del muro perché un passaggio segreto si aprisse. 

- Va, ora. 

Mi strinse ancora un attimo a sé, poi mi spinse nel passaggio, richiudendo la porta cosicché non potessi tornare indietro. 

No … 

MUOVITI! 

Guardai il viso di Murtagh, contratto dalla paura, e lo presi in braccio, iniziando a correre per le scale. 

Ti porterà alla torre di Dracarys. Sali e andatevene. 

Vieni anche tu … 

Non posso. Ci troverebbe subito. Usa il diamante dell’anello, è pieno di energia e sosterrà un incantesimo dell’invisibilità per almeno quattro giorni, il tempo di arrivare a Winterhaal. 

Morzan … 

Subito. 

Troncò ogni legame e non ebbi altra scelta se non quella di continuare a correre, fino a raggiungere una minuscola porta che però fui in grado di oltrepassare. 

Appena uscii, mi trovai accerchiata da almeno venti soldati, che guardavano me e Murtagh e tenevano le lunghe lance puntate su di noi. 

- Dacci il bambino e avrai salva la vita, donna. – ringhiò uno di loro, e Murtagh trasalì, stringendomi le braccia al collo e nascondendo il viso. 
- Mai. 

I soldati ghignarono, ma non fecero in tempo a toccarci che riuscii a sterminarli tutti con un’unica parola di morte.

- Mamma … - Murtagh iniziò a piangere, terrorizzato. 
- Sta buono, cucciolo. La mamma ti protegge, andrà tutto bene. 
- Pecchè ci volevano fale male? 
- Perché sono cattivi. Ma adesso la mamma gli ha fatto fare una lunga nanna e non ti faranno niente. 

Lo misi su Dracarys, legandogli le gambe con le cinghie, poi feci per tornare indietro ad aiutare Morzan. 

Ma il richiamo di Murtagh fu più forte. 

Non sarebbe sopravvissuto se l’avessi lasciato solo …

Così salii dietro di lui, stringendogli le braccia intorno alla vita, e Dracarys si preparò a partire. 

- Letta. 

Mi sentii gelare nel sentire quella voce. 

- Scendi dal drago, tesoro, prima che tuo figlio faccia una brutta fine. E porta giù anche lui, già che ci sei. 

Non potei che obbedire, sapendo che in gioco era la vita di Murtagh. 

Il piccolo rimase aggrappato a me mentre scendevamo, per fronteggiare l’uomo che lo voleva morto. 

Galbatorix era di fronte a noi, ma i miei occhi si riempirono di lacrime nel vedere l’uomo di fianco a lui. 

Ridotto in catene, ferito e sanguinante, Morzan non ce l’aveva fatta. 

- Morzan … 
- Il tuo caro marito ora è l’ultimo dei Rinnegati. 

Ultimo? 

No, Enduriel era … 

Un soldato avanzò, con un sacchetto di stoffa in mano. 

Gocciolava sangue, e inorridii nel capire cosa ci fosse dentro. 

- No … 

L’uomo sorrise, estraendo dal sacco il corpicino di un bambino. 

Era il piccolo Adam, il figlioletto appena nato di Enduriel e Amelia. 

L’aveva massacrato. 

- Sua madre non ha retto a lungo. – ridacchiò Galbatorix. – è morta di crepacuore ed Enduriel ha preferito togliersi la vita. 
- Sei un bastardo. – riuscii solo a dire, disgustata. 
- In realtà, dolcezza, sono un re. – sorrise, avvicinandosi. 
- Lasciali stare. – sibilò Morzan. 
- Non posso, amico. – ghignò. – Ti avevo detto o no di non affezionarti? E ora non sei nemmeno in grado di uccidere un bambinetto. Dovrò pensarci io. 
- Lascia stare Murtagh. – ringhiai. 
- Potrei, se facessi un accordo. 
- Selena, no! – gridò Morzan, ma era troppo tardi. 
- Andata. 

Il re sembrò deliziato. 

- La tua vita per la sua. E Morzan non lo frequenterà. 
- Non accettare! Selena! – urlò. 
- E a quel punto chi mi garantirà che hai rispettato la tua parte di accordo? – ringhiai. 
- Molto bene. – da divertita, la sua espressione sembrò infuriata. – Uccidilo tu stessa. 

Col cavolo. 

Vedendo che non lo facevo, divenne viola di rabbia. 

- UCCIDILO! 

Tentò di usare il mio vero nome, ma senza successo. 

- Come diavolo è possibile … - sembrò disorientato e approfittai di quel momento di debolezza. 

Iniziai un attacco diretto contro la sua mente e in contemporanea uno fisico. 

Ma come mi aspettavo, non ebbi successo. 

Mi respinse in un attimo, e ricambiò il favore, mandando me e Murtagh contro un muro. 

- La tua indisciplina non conosce davvero limiti. – sibilò. – Morzan, pensaci tu. 

Ma anche con lui, il vero nome non sortì alcun effetto. 

Grazie, Eragon

- Maledizione. – ringhiò. – Benissimo. La morte è troppo poco per due bastardi come voi. 

Liberò Morzan, che subito ci corse incontro, stringendoci forte. 

- Hai tre minuti, Morzan. – ghignò il re. – Dite addio al bambino. 
- Cosa?! – sussurrai sconcertata. L’aveva liberato, voleva dire che … 

Morzan scosse la testa. 

Le lacrime che gli scorrevano dagli occhi lasciavano tracce di pulito sul suo viso, lavando via il sangue e lo sporco. 

Prese Murtagh tra le braccia, stringendolo e coccolandolo. 

- Papà … - mormorò il piccolo, abbracciandolo. 
- Sssh. – gli sussurrò Morzan. – Andrà tutto bene, leoncino. 
- Pecchè sei tliste papà?

Morzan gli fece un piccolo sorriso, dandogli un bacio sulla fronte. 

- Non preoccuparti, cucciolo. Sii forte. – gli si spezzò la voce, mentre non riuscivamo più a trattenere le lacrime. - Piccolo mio. Ricordati che ti voglio bene. Fregatene di quello che dirà la gente, il tuo papà ti ha amato dal primo momento in cui ha saputo che saresti venuto al mondo. Un leone non si fa confondere dall’opinione delle pecore.

Gli occhi di Murtagh si riempirono di lacrime, mentre inconsciamente capiva che molto probabilmente non ci saremmo mai più rivisti. 

- Papà … 

- Andrà tutto bene. – lo rassicurai, cercando di trattenere le lacrime. Inutilmente. - La mamma ti vorrà sempre bene. Dovrai essere forte, amore mio. E ricordati … non mangiare i pistacchi, o starai male. Un giorno ci rivedremo, piccolo. Te lo prometto. 

- Murtagh … - Morzan deglutì, e li capii che aveva deciso qualcosa. – Non odiarci troppo. 
- Morzan, cosa … 
- Non soffrirà la nostra mancanza. – mormorò. – Non soffrirà. Tornac lo proteggerà. 

Pochi attimi dopo, l’espressione disperata di Murtagh si tramutò nell’indifferenza. 

E capii. 

Aveva sostituito i ricordi felici con rabbia, dolore e odio, così da vivere felicemente la nostra assenza. 

Non potei che trovarmi d’accordo, visto il frangente. 

L’attimo dopo, Galbatorix ci immobilizzò e un soldato mi strappò nostro figlio dalle braccia. 

Non pianse. 

Non si voltò nemmeno a guardarci mentre veniva portato via, e noi venivamo trascinati in una cella per maghi. 

Il ghigno di Galbatorix fu l’ultima cosa che vedemmo, prima che le guardie serrassero la porta.  

Relegandoci in un mondo di oscurità. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 46
*** Belle ***


 

MORZAN

 

VENT’ANNI DOPO

 

 

- Parlami delle tue vecchie conquiste … - mormorò Selena, in uno dei quei momenti di tenerezza che seguono l’amore. 

Era tra le mie braccia, ed ero piuttosto convinto che fosse in procinto di addormentarsi, anche perché era incinta e il piccolo la stava facendo impazzire. 

Ridacchiai a quel pensiero. Il bambino la tirava matta, ma le faceva venire parecchie voglie, molte delle quali si risolvevano solo con la mia presenza, in ambiti in cui gli abiti non erano graditi ospiti. 

Bravo bimbo. 

Aiuta il tuo papà. 

- Perché ti interessa? 
- Così. 
- Non è vero. Sei gelosa. 
- Non sono gelosa … - brontolò. 
- Sei la ragazza più gelosa con cui sia mai stato. 
- Ah-ah! Quindi sei stato con altre! – saltò su. 
- Certo. Prima di te, con milioni di donne. – la presi in giro, accarezzandole i capelli. – Spesso con più d’una a botta e … 
- Morzan! 
- Beh, allora parlami tu delle tue. Dubito che non ti sia mai innamorata di qualcuno. 

Il rossore sulle sue guance fu la prova schiacciante. 

- Ah! Allora vedi che non sono il tuo unico amore! – usai il suo stesso tono accusatore di prima. 
- Certo che non lo sei. – sorrise dolcemente. – Anche il bambino lo è. Entrambi voi siete i miei amori. 
- E tu e lui i miei … adesso mi dici di questo qualcuno. 

Arrossì ancora di più. 

- Ero piccola e lui molto più grande. 
- Allora è un vizio! – risi. – “Io con uno di quarant’anni in più di me non mi sposo” e poi concepisci un figlio da ubriaca con uno che ne ha cento, di anni in più di te. 
- Non fare il moralista. 
- Adesso parlami di lui … 
- Beh, un giorno arrivò nel mio villaggio. All’epoca mi colpì molto il suo arrivo, perché era quel genere di cosa che vedi una volta nella vita, non so se mi spiego … avevo circa dodici anni ed ero con la mia ex amica Shirley.
Mi ricordo che pioveva, perché io e lei avevamo preso (ovviamente in prestito senza permesso) il mantello di suo padre e ci riparavamo sotto di esso. 
Quando lui arrivò pensai che fosse veramente un gigante, perché era alto quasi più del doppio di me ed indossava un’armatura talmente lucidata e scintillante che brillava nonostante non ci fosse uno straccio di raggio di sole. Con me e Shirley c’era anche Garrow, perché Cadoc non voleva che due bambine se ne andassero in giro da sole, anche se poi non aveva problemi a mandarmi nella foresta a cacciare per giorni … beh, ma Garrow in realtà non ha importanza, perché non fece niente se non girarsi i pollici tutto il tempo. A un certo punto la mela mi cadde dalla mano e finì nel fango. E il nuovo arrivato la raccolse.

Nel sentire quel particolare, mi raggelai. 

- Non è possibile. – sussurrai incredulo. 

Un gran sorriso accese il volto di Selena. 

E nel vedere quel sorriso riconobbi senz’ombra di dubbio la bambina di Carvahall avvolta in stracci sporchi e logori, ma con un sorriso più luminoso del sole. 

- L’uomo misterioso la raccolse, disse delle strane parole e improvvisamente la mia mela era pulita. Me la porse e la prima cosa che notai furono gli occhi. Meravigliosamente unici. 

E da quel momento a quell’uomo appartenne il mio cuore. – fece un sorriso e si sporse a baciarmi, ma decisi di renderle più facile il tutto prendendola in braccio. 

Solo che evidentemente al piccolo non andò bene che coccolassi solo la sua mamma, perché il calcetto che tirò lo sentii persino io. 

- Ehi! Non fare male alla mamma! – lo sgridai. – Che è piccola, una nana. E poi è lei che ti sta facendo crescere, non si merita certo che la picchi. 

Selena rise divertita, e il bambino sembrò calmarsi. 

Incuriosito, allungai la mente verso la sua, scoprendo un piccolo mondo fatto di calore, suoni attutiti, affetto e tranquillità. 

- Ciao piccolo … 

Sentii la mia voce arrivare distorta dalle barriere che lo separavano dal mondo, ma il bimbo reagì al suono appoggiando una piccola mano alla barriera e spingendo leggermente. 

E così misi la mia mano su quel punto, sentendo la sua premere verso di me. 

 

 

 

 

 

Non era possibile. 

Sconvolto, fissai il ragazzo che era appena entrato nella cella. 

Indossava abiti ricercati e alle spalle aveva assicurato un mantello rosso, ma fu soprattutto ciò che aveva allacciato la cintura ad aiutarmi a capire chi fosse. 

Quello era il cinturone di Zar’roc.

E su quella spada avevo imposto una magia: nessuno, a parte un membro della mia famiglia, Brom o Selena avrebbe potuto usarla. 

Di sicuro quel ragazzo non era Brom. 

Restavano solamente due possibilità: Eragon o Murtagh. 

Ma quel viso … 

Vederlo fu esattamente come specchiarsi. 

A parte gli occhi, certo. Grigi e limpidi, seppur leggermente velati dalla paura e dal sospetto. 

Eppure fui certo che era Murtagh solo quando sussurrò “mamma”. 

- Murtagh … - non riuscii a trattenermi dal pronunciare il suo nome e nemmeno dal piangere, perché finalmente rivedevo mio figlio, dopo venti lunghissimi anni. 

Mi sembrava incredibile che la piccola peste che in soli tre anni era diventata l’incubo di tutti i servitori si fosse trasformata in quel giovane uomo forte e sicuro di sé. 

Sapevo che rivedermi gli avrebbe fatto male, a causa dell’incantesimo che avevo fatto quando era ancora solo un bambino. 

Perciò non mi stupii quando le mani gli tremarono, facendo cadere la torcia, e corse fuori. 

Quello che non mi aspettavo fu il suo rientro, accompagnato da un secondo ragazzo che sembrava avere circa due anni e mezzo, tre in meno di lui. 

E nonostante avessi visto il suo volto solo nei ricordi di Selena, non potei non riconoscerlo. 

Era Eragon. 

Fu Murtagh, la voce un misto di rabbia e insicurezza, a dare l’ordine di liberarci. 

 

 

 

 

 

- Okay, forse questa non me la aspettavo. – commentai guardando la scena che si stava palesando davanti ai miei occhi increduli. 

Ci avevano ridato le nostre vecchie stanze, e Selena, nonostante si stesse riprendendo in fretta, non si era ancora alzata dal letto, mentre io avevo già fatto il giro dell’intero palazzo per tre volte, in una sola notte. 

Vidi un grosso drago rosso atterrare nel giardino, e una sagoma che riconobbi immediatamente come quella di Murtagh andarci incontro. 

Quello che non mi aspettavo fu la figura di una ragazza accanto a Murtagh, che lui teneva stretta a sé. E il mio sconvolgimento aumentò quando i due si girarono abbastanza da permettermi di notare che lei aveva un neonato tra le braccia. 

Studiai meglio la ragazza, ansioso di capire chi evidentemente fosse entrato in famiglia: doveva essere ricca, perché l’abito che indossava era … beh, doveva valere parecchio, nonostante fosse molto semplice. Anche il mantello, bordato di pelliccia di lupo, era da nobile. 

Chi diavolo andava in giro per Uru’Baen con mantelli di pelliccia? 

Aveva lunghi capelli biondo scuro, lasciati sciolti sulle spalle e acconciati in morbidi boccoli, sui quali era posta una tiara di diamanti e zaffiri. 

Non sarà mica … 

Scacciai subito il pensiero. Quando gli avevo cancellato la memoria avevo anche tolto tutti i ricordi che Murtagh aveva del Nord, di Alec e Katherine. 

Eppure mi sembrava l’unica spiegazione plausibile.

Quando lui prese il bambino dalle braccia della donna, mi venne quasi un infarto. 

Non poteva già avere un bambino!

Aveva solamente ventitré anni, che gli diceva la testa?!

E soprattutto, ero un nonno e nessuno si era preso la briga di dirmelo?!

Eri in una cella, dimenticato dal mondo, brontolò Dracarys. 

Ah, già. 

Murtagh saltò su sul drago, riconsegnando il bambino alla ragazza, e spiccò il volo. 

Dopo qualche minuto, una dragonessa, blu questa volta, con una squama bianca sul muso, si avvicinò alla ragazza. 

Intuii che dovevano stare avendo una conversazione, ma dopo qualche attimo la dragonessa spiccò il volo senza di lei. 

Entrambe avevano un’espressione triste sul viso, ma la ragazza si rincuorò guardando il bambino. Gli lasciò un bacio sulla guancia e rientrò nel palazzo. 

Bene. Andiamo a vedere un po’ chi è. 

- Sel, io esco, va bene?

Mi accorsi che dormiva, perciò uscii ugualmente. 

 

 

Ci vollero quasi tre ore perché ritrovassi la ragazza. E in realtà fu lei a trovare me, venendomi addosso. 

- Mi scusi … - mormorò, e mi fece tenerezza il tono mortificato della sua voce. – Sa per caso dirmi dove posso trovare Morzan? 

Sollevò il viso verso di me, guardandomi con due grandi occhi castano dorati. 

Era bellissima, e questo era innegabile: sarebbe stata ugualmente perfetta anche in abiti miserevoli. 

Eppure mi era familiare. 

- Tu non sei di qui, vero? – risposi, stranito. Anche i bambini quella mattina si erano nascosti vedendomi, e una ragazza nemmeno mi riconosceva? 
- No. – sospirò lei. – Ma per favore, potrebbe rispondermi? 
- Sono io Morzan. – dissi in fretta per celare l’imbarazzo, e una O di stupore si disegnò sulle sue labbra. 
- Oh … 
- E tu saresti? – ormai ero troppo curioso, dovevo capire perché quella ragazza mi fosse tanto familiare. 
- Katherine di Winterhaal. 

A momenti registrai prima il nome della città che il suo. – Winterhaal? Nel Nord, quindi. – iniziai a ragionare, poi mi ricordai il nome.
Katherine. 

E li capii perché quella ragazza mi fosse familiare. 

L’avevo tenuta in braccio quando aveva solo cinque minuti di vita!

Ora che ce l’avevo davanti, era impossibile non riconoscerla. Non era praticamente cambiata. 

Gli occhi che mi scrutavano adesso erano gli stessi che mi guardavano incuriositi e gioiosi vent’anni fa.

I capelli biondo scuro erano gli stessi che avevo accarezzato. 

- Sei Katherine, la figlia di Derek. – dissi stupito. La somiglianza tra i due era innegabile, quasi più marcata di quella tra Murtagh e me … no, beh, non esageriamo. – Lo conosco bene. 
- Come fai a conoscere mio padre? – chiese incuriosita. 
- Diciamo che siamo stati amici … ma perché la Principessa del Nord dovrebbe venire a cercare un Rinnegato?

Una mezza idea già ce l’avevo. 

Una sfumatura di rosso le accese le guance. 

- Sono la moglie di Murtagh. – disse tutto d’un fiato. 
- E allora benvenuta in famiglia, Katherine di Winterhaal … - non potei finire di parlare, che il bambino che teneva tra le braccia protestò vivamente, pretendendo l’attenzione di quella che senza dubbio era sua madre. 

E osservando meglio, capii che era una bambina. 

Una piccola dolce principessina … 

- E lei chi è? – chiesi rapito. 

Era bellissima.
So che tutti i nonni pensano così dei loro nipoti, ma quella bambina era obiettivamente bellissima, come pochi bambini sono. 

- Lei è Belle. – sorrise Katherine orgogliosa. – è nostra figlia. 

Belle … un nome più azzeccato di quello non esisteva. 

La piccola mi fissò con due grandi occhi grigi, gli stessi di Murtagh e Selena, animati dalla stessa curiosità e gioia. 

Poi mi fece un gran sorriso sdentato. E capii che da quel momento, qualunque cosa Belle mi avrebbe chiesto, non avrei potuto dirle di no. 

- Quanto ha? 
- Un mese appena compiuto. – la voce di Katherine tremava di felicità, quella felicità che solo una persona diventata da poco genitore può provare. 
- Ma sei già grande, allora … 

 

 

 

 

- SELENAAAAAAAA!!!! – urlai entrando nella camera. 

Svegliandola. 

Infuriata, mi puntò un pugnale contro. 

- Morzan. – sibilò. – Riprovaci un’altra volta e ti tolgo la possibilità di avere figli. 

Portarmi una mano al cavallo dei pantaloni fu piuttosto istintivo. 

- Okay, piccola. Ma senti questa … ti ricordi di quando Murtagh ha detto che odiava Katherine? 
- Katherine la figlia di Derek? – una risata abbandonò le sue labbra. – Altroché!
- Ecco. Indovina un po’? 
- Cosa? – fece confusa. 
- Ci ha fatto una bambina! – urlai pazzo di gioia. 
- Una bambina? – Selena sussurrò, incredula. – Ma non è possibile … è piccolo! 
- Dovresti vederla. È bellissima, perfetta, piccola, bellissima!

Mi buttai sul letto, non riuscivo a togliermi l’immagine della mia nipotina dalla mente. 

- E come si chiama? 
- Belle! Belle Selena, per la precisione. – aggiunsi. – Dovevi esserci. È la bambina più bella del mondo. Persino più di Murtagh, Selena. È bellissima! BELLISSIMA! 
- E com’è?
- Bellissima! È piccola così, e ha i tuoi occhi. E ha un sorriso … oddio, ha un sorriso che ti costringe a fare tutto quello che vuole lei. 
- Ne sembri innamorato. – rise Selena, abbracciandomi. 
- Innamoratissimo della mia nipotina? Ma per tutta la vita! Ho deciso. Adesso vado da Katherine e le chiedo se posso portarla a volare! 

Feci per alzarmi, ma lei mi tenne giù.

- No, caro mio. – mi squadrò minacciosa. – Non porterai ansia ad altre madri portando neonati a volare. 
- Ma … 
- Morzan!
- Volevo solo l'aiuto della piccola per fare una torta!

La sua occhiataccia mi fece desistere. 

- Sei noiosa come vent’anni fa. – sbuffai. – Almeno te la senti di uscire? 

Un gran sorriso le si dipinse in volto. 

 

 

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Capitolo 47
*** Nonna ***


SELENA

 

Fu veramente bello potersi addormentare in un letto vero, con la malattia quasi scomparsa. Qualche colpo di tosse c’era ancora, ma sinceramente non me ne importava. 

Murtagh era vivo, e stava bene. A sconvolgermi era il fatto che si fosse già sposato e che già avesse una bambina: l’ultima immagine che avevo di lui era quella di un piccolo bambino di tre anni, e mi sembrava impossibile che fosse cresciuto. 

In quei vent’anni, avevo passato il tempo a fantasticare su lui e suo fratello, cercando di immaginarmi come sarebbero cresciuti. Ora che erano cresciuti, non potevo immaginare che uno di loro avesse già una moglie e una figlia. 

D’altra parte, Morzan era ancora sovraeccitato dall’incontro con la nostra nipotina, perfino di più di quando era nato Murtagh. Andava in giro con un sorriso ebete stampato in faccia e spesso sbatteva contro mobili e porte. 

Non riusciva a smettere di muoversi e continuava a pregarmi di concedergli di portare Belle su Dracarys. Ormai mi ero stufata di continuare a rispondere sempre e solo “No, Morzan” e “Smettila di chiedermelo perché tanto non attacca” e dover sopportare la faccia da cucciolo bastonato che faceva ogni volta che rifiutavo per ottenere un assenso. 

Stavo iniziando ad accarezzare l’idea di dirgli di sì, ma mi scacciai subito quel pensiero dalla mente. Non era a me che doveva chiedere il permesso, in fin dei conti, ma a Katherine. 

Già, Katherine. 

Mi sembrava impossibile che Murtagh alla fine avesse sposato proprio lei, la stessa bambina che da piccolo odiava e amava. 

Eppure non riuscivo a pensare ad una compagna più adatta a lui, da come Morzan l’aveva descritta.

Mi stiracchiai, uscendo dalle coperte. Morzan era sparito, probabilmente era andato a cercare Katherine per convincerla a fargli portare la bambina sul drago.

Andai verso la finestra, e fu bello rivedere i giardini di Uru’Baen finalmente curati e pieni di gioia e vita. L’alba illuminava tutto di rosso e oro. Mi godetti un po’ la vista, poi andai in bagno per darmi una sistemata. 

Ovviamente, non feci in tempo ad asciugarmi il viso che Morzan mi chiamò, di nuovo urlando. 

- Che c’è?! – sbuffai uscendo, e con sorpresa vidi che era seduto accanto ad una ragazza di circa diciannove, vent’anni, che singhiozzava contro il muro. 
- Morzan, ma che diavolo … 
- È Katherine. – disse in fretta, preoccupato come non mai. – Hanno rapito Belle. Murtagh è là fuori e lei non è in condizioni di cercare la bambina. Fa sì che si calmi, io vado a cercare la piccola. 

E uscì come un razzo. 

Occupai il suo posto di fianco a Katherine, e fu impossibile non riconoscerla. Praticamente era Derek al femminile, con la stessa faccia da peste di vent’anni fa. 

- Ehi. Non preoccuparti. – la rassicurai aiutandola ad alzarsi. – Andrà tutto bene. 
- La mia bambina … - singhiozzò nel panico. 
- Morzan la ritroverà, non devi aver paura. 

Cercai di tranquillizzarla facendola pensare ad altro, chiedendole quanto avesse Belle o da quanto lei e Murtagh stessero insieme, ma non ebbi nessun effetto. 

Alla fine, vedendo che non si calmava, la feci dormire con la magia. E anche nel sonno, non fu tranquilla. 

Ormai ero in ansia anche io, per quella bimba. Non l’avevo mai vista, ma la notizia di essere nonna ... aveva fatto nascere un sentimento nuovo dentro di me, e ormai amavo quella creaturina che era mia nipote, nonostante non l’avessi mai nemmeno tenuta in braccio. 

Per ingannare l’attesa e la preoccupazione, mi presi cura di sua madre. 

Non dovetti nemmeno farlo per molto, perché un’oretta dopo, due figure entrarono nella stanza, immagini quasi speculari l’uno dell’altro, se non per qualche differenza. 

Rimasi imbambolata a guardare il viso di mio figlio, incredula che fosse diventato tanto grande, tanto bello, tanto perfetto. 

Era identico a Morzan, se non per gli occhi e i tratti un po’ più ingentiliti. Era leggermente più basso, ma la struttura fisica era identica. 

Murtagh … 

E tra le braccia teneva un piccolo fagotto rosa, che stranamente non piangeva. 

Doveva essere addormentata. 

- Ma come diavolo ti è venuto in mente? – malgrado tutto, nonostante non lo vedessi da vent’anni, non potei trattenere quel rimprovero, guadagnandomi un’occhiata stupita da parte di entrambi. - Mettere una ragazza a cercare la propria figlia, ad un mese dal parto e una settimana da un viaggio snervante, in completo stato di shock! 
- Non avrebbe accettato di starsene con le mani in mano. – rispose, un po’ stranito da quell’accoglienza. 

A quel punto non ce la feci più e corsi ad abbracciarlo. 

Fu il pianto della piccola a separarci, un ueeee acuto come pochi. 

Mi sembrò di risentire Katherine, quando Murtagh o Alec la infastidivano troppo. 

Tutta la mia attenzione venne catalizzata dalla piccola tra le sue braccia, e li capii tutta la felicità di Morzan, perché la provai anche io. 

Era perfetta. 

Bellissima, piccola, tenera e perfetta. 

Rimasi letteralmente incantata dai suoi grandi occhioni grigi, gli stessi del suo papà, e dai capelli biondo scuro, innegabilmente presi dalla sua mamma. Anche il piccolo naso sembrava essere di Katherine. 

Nonostante fossi una madre, non potei negare che Morzan aveva ragione. Non ero in grado di dire chi, tra lei e Murtagh, fosse più perfetto alla nascita. 

Non mi accorsi nemmeno di stare piangendo dalla commozione. 

- E tu chi sei? – sussurrai sfiorandole la manina. 
- Belle. – Murtagh rispose, trattenendo le lacrime di puro orgoglio e felicità. – Belle Selena di Winterhaal. 

A quel punto dovetti asciugarmele, le lacrime. 

- Posso? 

L’attimo dopo ce l’avevo tra le braccia, la mia piccola nipotina. 

Aveva smesso di piangere, e ora sorrideva tutta contenta, fissandomi con quei grandi, curiosi e brillanti occhi grigi, dai quali sprizzavano intelligenza e gioia di vivere. 

- Ma sai che somigli proprio tanto al tuo papà? – mormorai, perché a Murtagh ci somigliava tantissimo. 
- È più simile a Katherine. – obiettò lui. 
- Tu sta zitto, che è identica a te, cosa ne vuoi sapere! Vero, Belle? Cosa ne sa il papà? Un bel niente! 
- È vero. – commentò Morzan. Ottima scelta. 
- Belle?

Katherine, finalmente, si era svegliata. 

E fu bellissimo poterle restituire la sua piccola. 

- Tu, piccola criminale, mi hai fatta morire! – rise tra le lacrime. – Non lo rifare mai più o ti do in pasto ai mastini dello zio Alec!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 48
*** Family ***


MORZAN

EPILOGO

 

 

 

Murtagh mi fissò infuriato, gli occhi luccicanti di rabbia. 

- Okay papà. – sibilò. – Se non lo fai, io non ti dico più che ti volio bene. 
- Oh, non lo farai. 
- Dammela! – strillò, iniziando a fingere di piangere e a pestare i piedi. 

Ma col cavolo che gli avrei dato Zar’roc! 

Quel bambino era capace di uccidersi con una margherita!

- Murtagh, senti, la spada del papà è … - tentò Selena, ma lui era talmente infuriato che le afferrò i capelli e li tirò talmente forte da farle lanciare una mezza imprecazione. 
- Tu sta zitta! SIETE CATTIVIII!! – urlò buttandosi a terra e iniziando a prendere a pugni il pavimento. – VI ODIOOOO!!! 

A quel punto, stufo del capriccio che andava avanti da quattro ore, presi il piccolo da sotto le ascelle e lo tirai su. 

Mi beccai un calcio nelle costole. 

- LASSIAMI PAPAAAA!!! – strillò continuando ad agitare le gambette. 
- E invece no. – ringhiai. – Tu adesso ascolti me e chiedi scusa alla mamma. 
- NOOO!!!
- Murtagh Morzansson, obbedisci oppure niente regalo. – lo minacciai. 

Quello sembrò avere effetto. 

Mi guardò male, ma smise di prendermi a calci e brontolò sottovoce. – Scusa mamma. 

 - Bene. Adesso, veniamo a noi. Sei ancora piccolo per usare le armi … 
- IO SONO GLANDEEEEEE!!!! 
- Grandissimo, ma anche il papà è ancora troppo piccolo per certe cose. – inventai. – E tu sei troppo piccolo per usare la spada vera. La tua di legno puoi usarla. Quella del papà la puoi vedere, al massimo toccare dove ti dico io, intesi? 

Murtagh sembrò soppesare l’idea. 

Poi mi fissò truce. – Ebbabene. – sibilò. – Pelò sono ancola molto allabbiato con te. Dovlai falti peldonale. 

- Oh, e come? – ridacchiai. 
- Devi dalmi una tolta gigante. 
- Una torta? 
- Sì. 
- Hai fatto un brutto capriccio, amico. Non ti sei certo meritato una torta. – commentai. 

Murtagh trasalì. – Pelò io ti volio tanto bene. – dopo di quello, fece un sorriso da malandrino … 

Come fai a non dargli tutto ciò che vuole?

 

 

 

 

 

Mi risvegliai da quel sogno solo grazie al pianto di un bambino. 

Ero nella tenda dell’esercito con Selena, che dormiva con una mano appoggiata alla pancia che celava il nostro terzo bambino. 

Ma la mia mente era ormai attirata da quell’acuto pianto che subito riconobbi. 

Era Belle. 

Sapendo che Katherine non si sarebbe svegliata, dato che l’avevo fatta scivolare io in un sonno incantato, mi alzai e raggiunsi la sua tenda, poco distante dalla mia. 

- Ehi … 

Presi Belle dalla culla, che piangeva con un’espressione triste sul viso. 

- Che succede, bellissima? 

Iniziai a cullarla un po’, portandola fuori perché prendesse un po’ d’aria fresca. 

Era una bellissima sensazione, tenere tra le braccia quella bambina. 

Con Murtagh non avevo mai potuto farlo, anzi, mia nipote era la bambina con la quale avevo passato più tempo in tutta la mia vita. 

Praticamente la rubavo a sua madre in ogni momento, con scuse sempre diverse: "la porto a volare" era la più comune. 

Le sfiorai la mente per capire cos’avesse, e capii. 

Le mancava Murtagh. 

E vedere quei grandi e limpidi occhi grigi riempirsi di lacrime nel ricordare come il suo papà la stringeva, la coccolava e l’amore che pervadeva ogni momento passato con i suoi genitori … 

Non potei accettarlo. 

Strappatemi Selena, uccidete Dracarys, ma Belle che piange di sofferenza no. 

Fu la sua espressione a provocare nella mia mente la nascita di un piano. 

Che iniziava in quel momento.

Ci misi meno di cinque minuti a farla dormire di nuovo, il che mi sorprese: con Murtagh, farlo dormire era un’impresa. 

Non appena i suoi occhi si chiusero, la rimisi nella sua culla e svegliai in fretta Katherine, che per prima cosa cercò un pugnale. 

Le spiegai in fretta il mio piano, più che altro perché pensavo che dovesse saperlo. 

E come mi aspettavo mi chiese di venire con me. 

Fu difficile decidere. 

Da una parte, non volevo metterla in pericolo; dall’altra, sapevo che non se ne sarebbe mai stata con le mani in mano a fare la moglie indifesa. In questo era identica a Selena.

Va a finire che se le dico di no, me la ritrovo morta dopo che ha combinato qualcuna delle sue, commentai tra me e me. 

Così accettai, e il suo viso fu illuminato da un gran sorriso che prometteva vendetta e speranza. 

 

 

 

La sorpresa sul volto di Selena quando, da partiti in due, tornammo in quattro, fu impagabile. 

Scesi in fretta da Dracarys e andai verso Belle. 

- Ehi, piccola. – attirai la sua attenzione e mi fissò incuriosita. – Guarda un po’ chi c’è là con la mamma … 

Guardò verso la sua mamma, e non appena lei e Murtagh si videro … 

Missione compiuta. 

 

 

 

 

 

Lo schiaffo no. 

Avevo sopportato di vedere Selena fisicamente e psicologicamente distrutta, Katherine messa peggio di lei, Belle incatenata. 

Ma lo schiaffo che Galbatorix diede a Selena … 

Quello non potei accettarlo. 

Uscii allo scoperto, seguito da Murtagh, Arya ed Eragon, incurante delle preghiere di Sel. 

- Lasciali. – ringhiai. 

Ottenni solo risate di scherno. 

- Non potete farmi proprio niente. – commentò lui. – Solo obbedirmi. Li libererò … ma ad un prezzo. Sceglietene uno da uccidere, o tutti tornerete al mio servizio. Ti piacerebbe, Morzan? – rise. – Non avrai dimenticato Mavis, spero. 

Nel sentire il suo nome, l’antico dolore ribollì, mai risolto e mai dimenticato.

Per un attimo, rividi il suo corpo esanime riverso tra le mie braccia, l’ombra del suo ultimo sorriso impressa sul volto mortalmente pallido.  

Come osava fare il suo nome?! 

- Stanotte verrà vendicata. – sibilai estraendo Zar’roc dal fodero. 

Ricordai le lacrime di Derek nel vederne il corpo martoriato. 

Ricordai le mie, di lacrime, nel perdere mia sorella e mio nipote.  

Ci chiese di nuovo di scegliere. 

Ci rifiutammo, e ci ritrovammo immobilizzati. 

Un incantesimo scomodo, ma semplice. 

Raggiunsi le menti degli altri, tranquillizzandoli e iniziai a lavorare al controincantesimo, ma lui afferrò Katherine per le manette. 

Il pugnale luccicò di morte mentre lo sollevava … 

- UCCIDI ME! 

Murtagh gridò, facendo esattamente il suo gioco. 

Galbatorix non avrebbe mai ucciso davvero Katherine: gli serviva in quanto Cavaliere e in quanto perfetta arma da usare per controllare Murtagh.

No, ragazzino, aspetta …  

Ovviamente ignorò me e sua madre e giurò al re. 

Tornando uno schiavo, un reietto … degno figlio di suo padre, come l’avevano definito tutti. 

Ma fu quando Galbatorix pugnalò Katherine allo stomaco che capii davvero. 

Senza Katherine, Murtagh non avrebbe più avuto bambini, il suo vero nome non sarebbe mai cambiato e di conseguenza sarebbe rimasto suo per l’eternità. 

L’urlo di mio figlio e il suo pianto quando Katherine chiuse gli occhi mi straziarono l’anima. 

E il dolore che mi provocarono liberò in me abbastanza energia da riuscire ad oppormi all’incantesimo del re e alzare Zar’roc. 

E, dopo centoventi anni di schiavitù, liberarmi dalle catene, trafiggendolo. 

 

 

 

 

 

 

 

DIECI ANNI DOPO

 

 

 

- Papààààà!!!

Mavis corse verso me e Selena, negli stranamente assolati giardini di Winterhaal. 

Dopo la caduta di Galbatorix ci eravamo ripresi il nostro castello tra il lago e le montagne, ma spesso andavamo al Nord, anche perché Murtagh e Katherine erano rimasti lì e la moglie di Eragon, Serena, era del Nord.

- Ehi, piccola. - mi saltò in braccio, stringendomi le braccia al collo. - Tanti auguri!

Era il giorno del suo decimo compleanno e aveva detto di voler festeggiare al Nord. “Katie è incinta, papà” aveva detto, sorprendendo sia me e sua madre per la saggezza di quelle parole. “Non voglio che si sforzi”. 

Perciò, la festa che avevamo intenzione di organizzare a casa l’avevamo fatta lì, e i giardini della capitale erano addobbati a festa con nastri oro, rosa, argento e bianco, come lei aveva voluto. 

Era stata Mavis, più che altro, a organizzare la festa: non aveva voluto minimamente che io e Selena ci intromettessimo, ma lo stesso discorso non era stato esteso a Katherine e, soprattutto, a Belle: zia e nipote si adoravano alla follia ed erano palesemente migliori amiche. 

- Hai visto che regalo mi hanno fatto Katie e Murtagh? - sorrise, gli occhi brillanti di felicità. 
- No, cos’è?
- UNA CORONA!!! 

E mi mostrò una tiara d’argento, decorata con zaffiri e ametiste che riprendevano il colore azzurro-viola dei suoi occhi. 

- Mettila, allora, no? 

Fece un sorriso emozionato e poi Selena la aiutò a mettersi il diadema. 

Era bellissima. 

Subito dopo scappò via per andare a giocare con Nadara, anche se poi le vedemmo litigare. 

Feci per alzarmi e andare a sedare la lite sul nascere, ma Selena mi tenne giù. 

- è solo una lite. - sorrise pacata, iniziando a riordinare la moltitudine di giocattoli, abiti e gioielli che la nostra piccola aveva ricevuto. 

L’attimo dopo, fu Grace, l’ultima arrivata, a saltarmi in braccio. 

- E tu cosa vuoi, eh? 
- Che fai le magie quelle tuuuuutte che scintillano! - sorrise la piccola. Aveva solo tre anni, ma era già sveglia. 

Somigliava tanto a Murtagh, lei. 

Gli stessi occhioni grigi brillavano d’intelligenza sul suo viso, ma il nasino all’insù era innegabilmente di sua madre. 

- Tipo queste? 

Mi bastò far comparire delle scintille perché la bambina fosse contenta, e un secondo dopo scappò via verso Katherine. 

Vidi Mavis correre da Murtagh, irritata, e poi lui, la bambina e Katherine raggiungere Nadara. 

Pochi attimi, e le due giocavano insieme come prima. Diedi un’occhiata a Belle, che stava facendo le coccole al suo drago argenteo, e a Killian, che giocava alla guerra con degli amichetti. 

Mi buttai sull’erba morbida, godendomi il sole dell’estate, ma ovviamente non feci in tempo che la mente di Murtagh raggiunse la mia. 

KATHERINE STA PARTORENDOOO!!!, gridò terrorizzato. 

Calmati. Ai bambini ci penso io, lo rassicurai, anche se non so quanto funzionò. 

 

 

 

 

Tre ore dopo, vidi Belle uscire di corsa dal palazzo, il fiato corto. 

- Allora? - fece Selena, preoccupata. 

Un gran sorriso illuminava il volto della nostra prima nipotina. 

- Sono due gemelli! - sorrise ravviandosi i boccoli biondo scuro. - Un maschio e una femmina. Papà mi ha detto di andare a dirlo a tutte le città con Killian!

E corse via, saltando sul suo drago con suo fratello e spiccando il volo. 

Le grandi ali del drago oscurarono per un momento il sole, e io e Selena la guardammo allontanarsi. 

 - No, io la seguo … - iniziai a dire, ma lei mi fulminò. 
- Murtagh sa quello che fa. - mi rimbeccò. 
- Murtagh è un ragazzino irresponsabile sfornabambini … 
- Murtagh ha trentaquattro anni. Belle starà bene. - rise, poi si sollevò sulle punte dei piedi. - Anzi … ti consiglio di risparmiare le tue preoccupazioni. 

Quel consiglio mi fece strano. 

- E perchè?

Un gran sorriso le illuminò il viso. 

- Aspetta nove mesi e vedrai. 

Detto questo, se ne andò, lasciandomi lì, imbambolato e intento a metabolizzare.

Era incinta. 

A quel punto la rincorsi, la presi per i fianchi e la sollevai, facendola girare in aria e beandomi della sua risata. 

- Un altro?! - gridai stupito. 
- Un altro. - sorrise baciandomi. 

Sospirai, pazzo di gioia, e la strinsi a me. 

C’erano voluti giusto centocinquant’anni, ma finalmente avevo una vita se non perfetta, la più bella che potessi mai immaginare. 

 

FINE. 

 

 

 

 

E anche questa storia è giunta al termine ... il ritardo nella pubblicazione dell'epilogo è dovuto principalmente a due motivi: quello che avevo scritto non mi convinceva e volevo fare qualcosa di decente ... okay, in realtà non ce la facevo a separarmi dalla storia, soprattutto perchè non avevo altri progetti. Adesso li ho, perchè a breve arriverà la traduzione di una storia (sempre nel fandom di Eragon) pubblicata su fanfiction.net, con il permesso dell'autrice che ho già ottenuto, quindi sono riuscita a postare questo capitolo con il cuore più leggero. 
Anyway, passiamo ai ringraziamenti!
Prima fra tutti, la mitica Rosanera Rinnegata!
I tuoi poemi mi hanno accompagnata durante tutto questo fantastico percorso ed è diventata un'abitudine leggere le tue recensioni alla sera, anche se spesso non rispondevo più che altro per mancanza di tempo o perchè non sapevo che altro dire se non "ehi, sono troppo d'accordo!": in tali casi il rischio spoiler sarebbe stato altissimo, perchè se ho un vizio è proprio quello di fare spoiler ovunque! 
è stato fantastico trovare un'altra persona che adorasse Morzan e che pensasse che non fosse così cattivo come Chris lo fa passare (anche se Morzanstronz fa la sua figura pure lui) e un bel po' delle tue idee che mi hai scritto nelle recensioni le ho usate nei capitoli, come per la passeggiata al chiaro di luna di Morzan e Selena!
Grazie mille per tutto il sostegno!


Eragon90:
il pugile della situazione! la prima cosa che hai scritto è "vediamo se c'è qualcuno da prendere a pugni" e li sono veramente morta dal ridere. Sei stato il primo a commentare la mia prima storia su questo fandom e ringrazio con tutto il cuore anche te per il sostegno dimostratomi. 



Che la vostra spada resti affilata!

A presto, dalla vostra

   
Renes Mikaelson. 

 

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Capitolo 49
*** Avviso ***


Ciao ragazze e ciao ragazzi, 
sono qua perchè devo, in tutta onestà, dirvelo. Inizialmente questa storia avevo iniziato a scriverla a titolo personale e ho deciso di pubblicarla successivamente. 
Dato che appunto era a titolo personale non mi sono resa conto di aver importato in questa storia elementi di un'altra, presente su fanfiction.net e che attualmente sto traducendo. è stato un errore commesso completamente in buona fede, perchè sinceramente non mi ricordavo che tali elementi, ovvero il nome del drago di Morzan (già cambiato in precedenza del termine della storia) e la presenza di una nonna di Selena, appartenessero ad un'altra storia. 
Mi dispiace immensamente, ma ora sono qui, oltre che per dirvi ciò, per chiedervi questo: volete che pubblichi le storie attualmente in traduzione? 


                                                                                                                                                                                                                                                    Vi mando un grosso bacio e di nuovo tutte le mie scuse! Renes Mikaelson
 

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