Tanti di questi giorni, Rin!

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tredicesimo compleanno ***
Capitolo 2: *** Quattordicesimo compleanno ***
Capitolo 3: *** Quindicesimo compleanno ***



Capitolo 1
*** Tredicesimo compleanno ***


Anno Quinto dalla sconfitta di Naraku

 

 

“Sesshōmaru-sama, è bellissimo!”

E davvero, il kimono bianco decorato con campanule rosse le stava divinamente.

Lo stomaco del demone si contorse e fece un improvviso balzo, una capriola all'indietro alla stregua di un guerriero che para un colpo in aria, per poi tornare a toccare il suolo come se niente fosse successo.

Cosa è stato?

“Grazie mille, Sesshōmaru-sama. Le campanule ricordano il mio nome. Il fatto che ve ne siate ricordato mi fa oltremodo piacere.”

Rin alzò il viso sorridente verso l'adorato yōkai, e di nuovo Sesshōmaru fu colpito da una specie di sussulto, una frana interiore che non si poteva fermare, come se la sua anima stesse slittando dal luogo in cui era riposta- chissà poi dove sta un'anima?!- si propagasse per l'intero suo corpo dilagando senza limiti, ed uscisse poi con un carico di sogni e progetti, paure e speranze, le sue, di Sesshōmaru medesimo, per entrare all'interno delle iridi di Rin depositandovi, dentro di lei, quel regalo così prezioso.

E' così che ci si sente quando ci si sta innamorando?

La domanda se la ritrovò nel cervello senza capire bene da dove fosse venuta, e la cosa lo inorridì parecchio, tuttavia sentiva che era ciò che era appena successo.

Non sono mai stato preda di un simile sentimento prima.

Che diamine di sensazione strana!

Mi sembra di non essere più padrone del mio cuore, che sta battendo ad un ritmo tutto suo. Un ritmo scandito dalla voce, dagli occhi e dall'odore di questa ragazzina umana.

Quest'ultimo, il suo odore, era la cosa che più lo stava sconcertando negli ultimi tempi. Poteva essersi abituato alla sua nuova altezza, poteva essersi abituato al suo nuovo modo di parlare adulto, poteva essersi persino abituato, anzi ne era inspiegabilmente intimorito -sensazione sgradevolissima il timore, lui che non lo aveva mai provato-, ai suoi nuovi seni più gonfi che tendevano la stoffa del vestito.

Ma l'odore!oh quell'odore di muschio e di fragole lo rendevano stranito e a profondo disagio, per la prima volta, quando si disponeva nei suoi confronti, come se non ci fosse più corrispondenza tra il modo in cui i suoi sensi percepivano la ragazzina e il modo invece in cui lui la vedeva -ancora?!-, ovvero una bambinetta di sette anni.

“Questa è la mia amica Kurashi-chan. E' la figlia di Rikichi-san, il capovillaggio. Oh Sesshōmaru-sama, sapeste come sono contenta di avervi qui, oggi.” Rin fece una specie di volteggio su sé stessa, per poi piroettare attorno alla ragazzina chiamata Kurashi ed in seguito anche attorno a Jaken.

Sesshōmaru dal canto suo, diede a malapena un'occhiata alla brunetta dalla pelle leggermente scura che vantava un'amicizia con Rin, concentrato com'era proprio su quest'ultima.

Com'era cresciuta in così poco tempo?! Da quanto non le faceva visita? Una, due settimane?

Ultimamente veniva da lei sempre più spesso, spinto da una specie di frenesia di sapere se stava bene, che cosa faceva nelle sue giornate; spinto da un desiderio quasi assurdo e puerile, nato di fresco, di sapere, e di farsi rassicurare, che pensava a lui qualche volta- desiderio assurdo tra l'altro: pretendeva davvero che Rin, vivace ragazzina di tredici anni appena compiuti e con un intero mondo -umano- da esplorare, pensasse tanto intensamente a lui come lui pensava tanto intensamente a lei?

Si era fatta degli amici, Rin, e al villaggio viveva bene e veniva istruita, il mondo le si era spalancato davanti. Lui, invece, aveva solo lei a cui pensare, nessun'altra che lei.

In quegli anni aveva ingaggiato scaramucce con demoni di bassa lega che non avevano richiesto neppure l'utilizzo di Bakusaiga; questo perché per quanto la voglia di incrementare il proprio potere e la propria forza non si fosse estinto, tuttavia esitava ad allontanarsi dalla pianura di Musashino, quindi niente ricerca di demoni alla sua portata per ora. Rin, e quel quasi irritante bisogno di vederla a distanza di poche giornate, venivano prima.

Ma a dispetto di tutto, adesso non era lei il problema. Il problema era lui, Sesshōmaru, e quello che gli stava accadendo al momento, lì, su due piedi.

Il fatto che si sentisse come se il cuore si fosse dilatato dentro il suo corpo offuscando e prendendo possesso di tutto il resto- per il grande Inugami, percepiva quel battito impazzito perfino nelle gambe, nei piedi, o nelle punte degli artigli delle mani, per non parlare della mokomoko che pareva pulsare forsennata- tutto questo era la prova evidente che una linea, quella linea, era stata appena valicata, la linea che separava il suo affetto disinteressato per l'umana da un interesse affettuoso che andava oltre, oltre ogni misura da lui fin ora esplorata nei legami, pochi a dire il vero, che aveva avuto con le altre creature che popolavano questo mondo.

Intanto le due ragazzine si erano dirette verso un canale con l'acqua che arrivava alle caviglie, per poi cominciare a sgambettare e ridere di gusto mentre si spruzzavano a vicenda.

Percepisco il mio petto lacerarsi, ma non per una ferita, semmai per sanare qualcosa che solo uscendo da me per andare verso Rin può guarire dopo secoli e secoli di totale solitudine.

Devo allontanarmi da te, ragazzina. Devo prendere le distanze e confrontarmi con la mia anima che ha il desiderio di chiamarti con parole tutte nuove. Amore mio. Mia amata. Parole di demone o di uomo, a questo punto non lo so più.

Può uno come me nutrire tale affetto e donarsi ad un altro essere, così, senza una sorta di resistenza interiore, come ho appena fatto quando ti ho vista con quel vestito addosso e ridere felice per le mie attenzioni?

Sesshōmaru avrebbe voluto muoversi, dare corpo a quei propositi che gli intimavano di allontanarsi da lei almeno per raccogliere le idee sul nuovo sviluppo delle circostanze contingenti, tuttavia non riusciva a far muovere un solo, dannato, muscolo.

 

Jaken lo guardava intimorito. Il padrone sembrava non arrabbiato, ma agitato, mandando vibrazioni che il suo valletto non era abituato a sentire da quel yōkai.

Sesshōmaru era la sicurezza fatta demone. Da lui emanava incessantemente quella granitica ed incrollabile padronanza di ogni cosa che lo riguardasse, che fosse la sua aura demoniaca, o persino il suo passato rancore verso il fratellastro, o niente di meno che la brama di ottenere Tessaiga.

Anche in quel frangente, nel pieno di quella ossessione durata per secoli, il daiyōkai era stato comunque in grado di dominarsi, di controllarsi, più o meno. Adesso invece, quegli occhi di quell'oro così impressionante erano inquieti, parevano aver trovato e perso qualcosa nella medesima istanza.

Inoltre il kappa non era stato l'unico ad assistere a quella sconcertante scena che da fuori, vista da qualcuno che niente sapeva di Sesshōmaru e dello spietato controllo che egli esercitava tanto su sé stesso ogni momento di ogni singolo giorno, o che niente sapeva del suo rapporto con quella fanciulla umana, poteva sembrare un quadretto sereno e privo di increspature.

Sesshōmaru, hai appena reso il mio compito di crescere questa ragazzina un po' più difficile.

Kaede sospirò pesantemente. Ogni anno si sentiva nondimeno più stanca, alzarsi dal letto era diventato più faticoso, e molti degli esorcismi o di cure apportate ai malati ultimamente ricadevano sempre di più su Kagome. Ed ora questo.

Qui, sotto i miei occhi che non vedono più tanto bene le cose materiali ma quelle dell'anima ancora si, tu le hai appena messo tra le mani una cosa sacra, la più sacra di tutte. Le hai donato il tuo cuore di demone, la tua anima finora intoccabile. E ne sei anche consapevole, cosa che ti ha sconvolto. E come darti torto? Turberebbe anche l'animo del più avvezzo a queste cose, e tu non lo sei di certo, avvezzo ad un tale evento.

La miko si sentì tremare dentro.

Come farò a far capire a quella ragazzina che cosa ha or ora avuto da te? Come farò ad insegnarle ad averne cura, a trattarlo con rispetto, con delicatezza, sia che lo accetti, sia nella sciagurata ipotesi che si trovi costretta a rifiutarlo?

“Così Sesshōmaru ha fatto il primo passo, eh?” Kagome la raggiunse con il piccolo Kanaya attaccato all'hakama rossa. Il bambino aveva appena imparato a camminare, pur tuttavia lo faceva in modo un poco malfermo e curiosamente tenero.

“Già. Quello che si è fatto oggi non si può più disfare. Sesshōmaru ha deciso, o meglio ha compreso ciò che prova per Rin, e che indirizzo dare a questi suoi sentimenti per lei. Non credo nevvero che la desideri fisicamente, è solo una ragazzina d'altronde, ma quella cosa che ti fa battere il cuore, quel senso di meraviglia nello scoprire che il proprio animo si è allargato per accogliere un'altra persona dentro di sé, quello si. “La vecchia miko sospirò piano, come per non disturbarli. “Se ne sta innamorando, sai? Sesshōmaru intendo.” Kagome annuì pensierosa, poi Kaede continuò: “ Non credo però che sappia a che cosa andrà incontro nei prossimi anni. In virtù della scelta appena presa, ci saranno delle conseguenze. Penso che tu Kagome, o chi sai, “la voce di Kaede si abbassò e lo sguardo si diresse verso un certo han'yō vestito di rosso che, poco lontano, litigava con Shippō per una questione di spiedini alla brace, “dovreste parlargli. Deve essere preparato, o rischierà grosso.”

 

“Vieni, Rin. Devo parlarti. “

La ragazzina seguì obbediente il suo Sesshōmaru-sama. Era stata contentissima della sua venuta, del fatto che si fosse ricordato il suo compleanno, e quel kimono,poi! Era bellissimo, morbido e profumato, sapeva di lui, del suo odore, forse perché era dentro la sua armatura da un po', a contatto con il suo torace.

Rin si sentì arrossire. Che strano! Mai prima di allora si era sentita così accaldata pensando a Sesshōmaru-sama, al fatto che lui le facesse sempre dei regali pregiati e di fattura costosissima, al fatto che usasse sempre quel tono così gentile solo ed esclusivamente con lei, al modo in cui la guardava ultimamente, come se le volesse rivelare un segreto. Un segreto bellissimo e terribile.

Intanto l'inu-yōkai si era seduto accostato ad un albero, le gambe leggermente piegate e i gomiti appoggiati su di esse.

Siamo finiti proprio qui. Sotto il Goshinboku.

Rin si accodò tranquilla, accomodandosi accanto a lui che guardava l'orizzonte come se improvvisamente si fosse dimenticato della sua presenza.

“Ti piace la vita al villaggio?”le chiese invece di botto.

“Si certo.” Non seppe che altro rispondere, Rin. Si, le piaceva stare a Musashi, ma ogni giorno lontana da lui era un qualcosa che Rin riteneva alla stregua di un esilio, o di una tremenda prova di forza. Ma questo non glielo avrebbe mai potuto dire, a Sesshōmaru-sama. L'avrebbe considerata una debole, o un'ingrata.

“Nessuno ti fa del male, vero? O altri problemi di sorta?”

La ragazzina negò titubante con il capo. Dove voleva arrivare Sesshōmaru-sama con quelle domande?

“Vedo che ti sei cucita una sopraveste con la stoffa di O-Yutori che ti ho dato anni fa.”Rin si guardò la specie di casacca blu scuro, ampia e dotata di cappuccio dalle maniche larghe bordate di fili rossi che portava da quel giorno del tifone. Sotto invece spiccava il nuovissimo kimono bianco con le campanule color granato.

Sesshōmaru alzò il viso verso il cielo azzurro dove nemmeno una nube lo bucava. Una colata unica di color acquamarina, la sfumatura della giovinezza.

“Quando avrai un problema, o sarai ansiosa, o triste, o per qualsiasi altro motivo...sentiti libera di chiamarmi. Io verrò da te immediatamente.”

Rin quasi sobbalzò, e abbassò gli occhi. Perché si sentiva il cuore battere impazzito nel petto? Kami del cielo, sembrava voler schizzare via.

Il tono del demone era calmo ma non piatto, leggero ma privo di leggerezza.

Quelle parole parevano...parevano un giuramento, una promessa.

“E se fossimo lontani,” puntò l'oro delle iridi nelle sue e Rin sentì quasi un senso di vertigine, come se il suo senno stesse vacillando, “se tu chiamerai il mio nome io volerò da te senza indugio. Se non puoi farlo Rin, se non puoi parlare, basta che fischi e correrò da te. E se non puoi fare neanche quello, allora sussurra il mio nome tra le tue dita.” Neanche a dirlo avvicinò la sua mano artigliata a quella della ragazzina umana. Non la toccò, eppure a Rin sembrò quasi di sentirla sulla sua, calda, misteriosa, avvolgente.

“Le distanze non sono un problema.” Tornò di nuovo a guardare il cielo, Sesshōmaru. Sembrava quasi...quasi diverso. I tratti erano inalterati, certo, ma quegli occhi non mentivano. Non potevano mentire a lei, non potevano mentire sotto quell'albero.

Un misto di imbarazzo, fierezza, incertezza e orgoglio sincero. Ecco che cosa vi leggeva.

Apri bene le orecchie Rin, perché quello che ti dirà plasmerà il tuo futuro, il vostro futuro negli anni a venire, questo le venne in mente in quel momento, anche se mai, mai si sarebbe aspettata quel tono, quell'impeto, quella spontanea e aperta dichiarazione.

“I nostri cuori sono legati insieme. Con la fiducia che proviamo l'uno per l'altra non c'è niente di cui aver paura. Avere semplicemente tale sentimento dentro di me è abbastanza per sentire il tuo cuore. Questo perché...” Si bloccò Sesshōmaru-sama. La osservò di sottecchi velocemente, nello stesso modo in cui l'aveva guardata tanti anni prima quando gli aveva chiesto se si fosse dimenticato di lei dopo la sua morte. Uno sguardo da sotto in su, uno sguardo che voleva dire tante cose eppure sufficiente a dire tutto. Per ora dovrò accontentarmi di questo, pensarono all'unisono.

“Meglio lasciare le cose come stanno.” Non sarebbe andato oltre, e lei se lo fece bastare. “Abbiamo molto tempo davanti a noi. Fino ad allora...prenditi cura di te stessa, va bene?”

Rin tremava come una foglia e non sapeva bene il perché, eppure annuì piano, in silenzio. Una dolce brezza scompigliava le fronde del dio-albero e i loro capelli, mentre quel puro cielo d'estate li avvolgeva abbracciandoli.

 

InuYasha sbuffava come in nessun caso era accaduto in duecento e passa anni.

Mai, mai gli era capitato di fare una cosa simile. Kagome l'avrebbe pagata cara, carissima, quella iniziativa che rischiava di farglici lasciare le penne.

Imbracciò Tessaiga e se la mise sulla spalla destra, tanto per darsi un tono e per avere l'arma a disposizione. Sesshōmaru di sicuro lo avrebbe ucciso.

 

Lo trovò a naso, mentre stava uscendo dal villaggio con Jaken che lo seguiva come quel leccapiedi che era.

“Sesshōmaru, fermati un po'!”

Il fratello che aveva già sentito la sua presenza si voltò di tre quarti e lo fulminò di sbieco. Manco si diede la pena di rispondere, eppure si era fermato.

“Tu piccoletto,” si rivolse proprio al kappa che parve farsi minuscolo al tono del mezzodemone e alla sua occhiataccia, “vedi di smammare. Io e Sesshōmaru dobbiamo fare una bella chiacchierata.”

Jaken non si mosse per diversi secondi, non prima di un impercettibile segno che solo lui parve comprendere, e che il demone bianco gli scoccò di rimando.

“Ti metti a dare ordini ai miei servi ora?” Non pareva seccato, solo annoiato. Ma InuYasha non si fece incantare. Quella punta di curiosità non se le era immaginata.

“Figurati! Non me ne frega niente del tuo valletto, ma quello che ti devo riferire non vuole orecchie indiscrete. E sappiamo tutti quanto sia indiscreto Jaken.”

“La stai facendo lunga InuYasha, e non è da te. Quindi arguisco che questa cosa così misteriosa non sia affatto piacevole a sentirsi.” Ora era quasi divertito, il suo fratellino. Maledetto Sesshōmaru, goditela adesso, perché quel sorrisetto te lo leverò subito!

“Non è piacevole neanche a dirsi. Però puoi dare la colpa a Kagome e alla vecchia. Io sono solo il messaggero.”

Vide Sesshōmaru accigliarsi. Se c'entravano loro due allora il soggetto in discussione poteva essere solo Rin.

“Parla.” Tono lapidario, cupo, da vero dannato qual'era. Un dannato che si era appena riscoperto innamorato di una tredicenne umana.

“Ecco...come iniziare?” InuYasha avvampò pensando al discorso che doveva propinare a quell'individuo che era Sesshōmaru, e si rese conto che davvero stava rischiando la vita.

Kagome, preparati a rimanere prematuramente vedova. Spero che il senso di colpa ti tormenti per anni!

“Rin sanguinerà molto presto.” Sbottò di punto in bianco.

Alla faccia che voleva prendere la questione alla larga questa volta! La sua tendenza ad andare al succo della situazione non si smentiva.

Vide suo fratello sbiancare, o provarci almeno, dato che più nivea di così la sua pelle perfetta non poteva diventare.

In meno di un millisecondo fu davanti all'han'yō che arretrò spaventato da quella mossa fulminea.

“Che stai vaneggiando, mezzodemone? L'ho appena lasciata in ottima salute nelle vostre mani. Cos'è, mi stai minacciando o cosa? Ti avverto InuYasha,” mise le mani su Bakusaiga, stordito e lucido come non mai, e con la voglia di uccidere colui che gli stava davanti dopo anni che questa voglia se l'era fatta passare, “non esiterò ad usarla. Aspetta.”

Negli occhi di InuYasha vi lesse qualcosa che lo fece desistere dal portare avanti quelle argomentazioni così assurde. No, suo fratello non avrebbe mai torto un capello a Rin, quindi ci doveva essere dell'altro, qualcosa che non gli sarebbe piaciuto per niente. D'altronde era stato avvertito.

“Dimmi che non è malata, ti prego...” Non aveva mai e poi mai pregato nessuno in trecento e dieci anni di vita, nemmeno suo padre quando sapeva benissimo che non sarebbe tornato quella sera di eclissi di luna.

“No, non devi minimamente preoccuparti della sua salute,”si affrettò a rassicurarlo, perché la faccia di Sesshōmaru lo aveva atterrito.

In quei tratti di solito così impassibili vi aveva letto una tale paura, una tale angoscia che si era sentito tremare i polsi.

“Allora di cosa stai sproloquiando? Parla, mezzodemone.” Ora era arrabbiato, di brutto.

InuYasha si trovò a fare una cosa per lui inusuale. Pensare alle parole da usare prima di sputarle fuori dalla bocca.

“Diciamo così, le femmine umane, quando diventano dell'età di Rin ecco...diventano fertili. Ogni mese, se non sono gravide, sanguinano da...da...”-Kagome, dannata, perché adesso mi vengono in mente immagini di te nuda mentre ci accoppiamo?!- “il posto, sai... quello da dove nascono i bambini.”

InuYasha era così imbarazzato che voleva sprofondare sottoterra. E vedendo gli occhi del fratello fu quasi certo che sarebbe stato lui a spedircelo.

Sesshōmaru lo inchiodò al suolo con uno sguardo che non prometteva niente di buono. “E mi spieghi perché questo bizzarro fenomeno dovrebbe interessarmi?”

“Per tutti i kami idiota che non sei altro! Almeno fammi finire!”

“C'è ancora dell'altro che deve uscire dalla tua sciocca bocca?”

“Bah diciamo. Le femmine umane la prima...la prima volta che...che si accoppiano...”era inutile, proprio non gli riusciva. Quello era un argomento che non si poteva toccare così impunemente, se poi dovevi farlo con tuo fratello, il glaciale Principe dei Demoni, si può ben capire come InuYasha si sentisse tremolare le gambe.

“Tu, mezzodemone, dove vuoi andare a parare con questi discorsi?”

Gli occhi del fratello mandavano bagliori di fuoco dorato.

“Sto dicendo solo che sono una razza fragile, il loro corpo non è come quello dei demoni, e bisogna essere delicati.”

Il fratello gli stava davanti pensando che fosse un emerito idiota.

Oppure no? Che avesse mangiato la foglia?

Sesshōmaru in effetti lo adocchiò come se avesse capito e non capito. O meglio il messaggio gli era arrivato ma non lo avrebbe mai ammesso, né a se stesso né ad anima viva.

E anche InuYasha capì.

Non posso dirgli altro. Se lo facessi, se fossi più esplicito, rovinerei tutto. E' dannatamente troppo orgoglioso, inoltre non sa un accidenti dell'anatomia di una ragazza umana. Se gli spiegassi cose come la verginità o il ciclo mensile- ed pensandoci anche InuYasha rabbrividì -si allontanerebbe da Rin per sempre. Con un alzata di spalle sbuffò: “ Ah come non detto! Lascia perdere. A vederci presto.” Si volse con finta baldanza. Che si arrangino da soli. Io non mi immischio più di così.

 

Lo yōkai bianco sentì che il piccolo kappa sarebbe presto comparso da dietro il cespuglio a sinistra, quindi aveva poco tempo per ricomporsi.

Maledetto InuYasha! Lui e i suoi stupidi discorsi! Che cosa aveva voluto insinuare?

Tuttavia Sesshōmaru decise che era il caso di riflettere su quelle parole.

Frasi che non erano una minaccia per il presente ma un monito per il futuro. Il suo futuro con Rin.

A questo ci era arrivato anche lui. Questo poteva ammetterlo anche lui.

Tre erano le informazioni che ne aveva ricavato. Primo: quella impicciona di sua cognata e la vecchia sapevano della svolta che avevano preso i suoi sentimenti per Rin; secondo: le donne umane avevano questa specie...di cosa ciclica che accadeva ogni mese, qualcosa che aveva a che fare con la capacità di figliare; e terzo: il corpo di un'umana, un'umana che si apprestava al suo primo accoppiamento doveva essere trattato con attenzione e cautela.

Bene! Allora così sia. Si, si era innamorato di quella ragazzina, va bene? Si lui, il grande e potente Sesshōmaru, Principe dei Demoni, aveva intenzione di passare la sua vita con una donna ningen ed accoppiarsi con lei, va bene?

Non doveva dare spiegazioni a nessuno, tanto meno a quel dannato di suo fratello.

“Padron Sesshōmaru, siamo pronti per andare?”

Jaken non avvertiva più quell'agitazione di poc'anzi nel demone dalla chioma argentea, anzi, vi era una convinzione ferrea in lui, una certezza che prima non c'era ed adesso si, qualcosa che aveva a che fare con quello che InuYasha gli aveva detto, poco ma sicuro.

 

Il dado era stato tratto, il latte versato, i buoi erano usciti dalla stalla.

Rin aveva un anno in più.

Sesshōmaru un anno in meno ad aspettarla.

 

 

 

 

Salve a tutti! Sono tornata con una nuova one-shot che fa parte di una raccolta, un album di fotografie scattate dal Sommo e munifico Sesshōmaru alla sua Rin nel corso degli anni.

La dichiarazione che le fa è presa da Asatte, il CD drama approvato dalla stessa Rumiko-sama; le frasi le ho volute ricalcare parola per parola (solo qualche licenza linguistica di traduzione mi sono concessa!) compreso il riferimento alla stoffa per farne un kimono che le ha regalato. La veste di O-Yutori ricalca il modello di quella di Hinezumi, e chi ha già letto la fic “Nel Domani” ne avrà già notata l'allusione, poiché “Nel Domani” è ambientato due anni prima degli eventi sopracitati.

Vi avviso che il rating potrebbe cambiare, evolvendosi alla stregua del rapporto dei protagonisti, no?ahaha

Che dire?spero vi piaccia! Buona lettura!

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Capitolo 2
*** Quattordicesimo compleanno ***


Anno Sesto dalla Sconfitta di Naraku

 

 

Ancora prima di vederla sentì il suo odore.

Un profumo di fragole e muschio che lo mandava in estasi. Si, recentemente l'odore di Rin lo mandava in pura estasi.

Negli ultimi tempi questo era divenuto penetrante e sottile come una lama, assolutamente impossibile da ignorare, tanto che il suo naso ne veniva solleticato insieme a tutta la sua persona, in un modo talmente intenso che se lui non fosse stato Sesshōmaru e lei non fosse stata Rin, ovvero il Glaciale Principe dei Demoni e la sua protetta, si sarebbe messo ad annusarla uggiolando per tutto il giorno.

Mai si era sentito così coinvolto da un semplice odore. Mai si era eccitato davanti al sentore di un altro essere vivente in maniera così eclatante.

Frenati Sesshōmaru. Oggi Rin compie solo quattordici anni, e non è il caso di indugiare in simili fantasie.

Se lo impresse nel cervello quel monito, anche se suddette fantasie che nutriva nei suoi confronti da qualche mese a questa parte erano ancora nebulose e stentanti a prendere forma, un po' per senso di colpa e un po' per senso di pudore.

Per il grande Inugami, era pur sempre il figlio primogenito del grande Inu No Taisho e uno tra i più alti esponenti del Clan dei Cani, non un semplice yōkai che si accoppiava con chiunque in qualunque posto, seguendo solo il suo istinto.

A proposito dell'istinto, quello di Sesshōmaru in quel momento urlava. Dov'era Rin? Perché non la vedeva ancora? Era nascosta dietro quei cespugli?

Il suo odore era intenso, ma pur tuttavia quella nota di sangue non se l'era immaginata.

Si era spaventato, Sesshōmaru; subito aveva sfoderato gli artigli luminescenti e velenosi, tuttavia, dopo una prima analisi delle circostanze, aveva stabilito che non c'erano presenze demoniache né puzza di umani pericolosi nelle vicinanze.

Solo lei, che lo attirava come il fondo di un pozzo pieno di luce.

Magari è caduta. Si è fatta male. O peggio.

Accelerò il passo, sorpreso però di non essere poi tanto agitato. Da qualche parte nel suo essere, nel suo essere legato a Rin, era sicuro che non fosse in pericolo di vita.

La stessa consapevolezza gli diceva, anche, che era meglio che le si avvicinasse cautamente, che la ragazzina, per un motivo a lui ancora sconosciuto, non avrebbe apprezzato una sua entrata trionfale da grande eroe della situazione; quindi agilmente si mosse tra i cespugli fino ad arrivare al grande albero dove le aveva detto le parole più importanti che avesse mai proferito in tutti i suoi trecentoundici anni di vita, lui che le parole le lesinava come se fossero inutili. Come se fossero preziosissime.

L'energia spirituale di quell'albero era innegabile, intangibile, avvolgente come un bel ricordo.

Ed era lì -proprio come se la ricordava, bellissima e concreta, misteriosa e onirica- che si trovava il baricentro di Sesshōmaru, l'umana che gli aveva stravolto l'esistenza centenaria in un battito di ciglia.

Il demone si fermò.

Era tutta intera, eppure aveva la netta impressione che stesse soffrendo molto. E fu questo a farlo muovere, il bisogno di consolarla, di rassicurarla, di farsi spiegare perché se ne stesse accucciata ai piedi del dio-albero con le mani strette tra le cosce e l'aria affranta come non mai.

“Sesshōmaru-sama!”

Fu sollevato di vedere la felicità inondarle gli occhi scuri- e anche un po' compiaciuto- ma subito dopo un violento rossore si propagò sull'intero volto, e la fanciulla abbassò lo sguardo piena di vergogna.

Che sta succedendo? Il daiyōkai la osservò con occhi di falco in cerca di una ferita che spiegasse quell'afrore di sangue che la avvolgeva come uno muro, un muro che in quel momento Sesshōmaru vide ergersi in tutta la sua pericolosità.

Niente e nessuno.

Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di mettersi tra lui e quella ragazzina. Nemmeno a una ferita che non si vedeva.

La raggiunse e si sedette vicino a lei, mentre con orrore si accorgeva che Rin si ritraeva spaurita, le mani pallide sotto le ginocchia e lo yukata bianco con mezzelune blu che la rendeva ancora più smunta, ancora più bella, ancora più spigolosa. Proprio come una luna a metà. Proprio come il suo shirushi demoniaco sulla fronte.

“Rin.”

Disse solo quella semplice parola, che nascondeva e mostrava assieme un mondo di altre parole. Sono qui. Puoi parlarmi. Ti ascolto.

Rin rimase in silenzio ma la postura divenne meno rigida, meno lontana.

L'inu-yōkai si appoggiò al dio-albero e subitamente un calore lo invase, un languore molto simile a quello che provava quando pensava alla sua ragazzina, e di cui non avrebbe mai più potuto fare a meno.

Aspettò Sesshōmaru.

Aspettò per un tempo lunghissimo, godendosi il sole che lentamente tramontava su quella giornata di festa, pensando a come un altro anno fosse volato e a quanto Rin fosse cambiata velocemente, inesorabilmente.

La luminosità di quei capelli così scuri, la fossetta sul mento, le ossa leggere, e le labbra poi! Oh grande e potente Inugami, quelle labbra erano turgide, rosee e piene, tant'è che quando Rin, in uno dei suoi rari movimenti gli rivolgeva il profilo di sbieco, quella striscia arricciata del colore delle fragole sotto il suo grazioso nasino lo costringeva a passarsi la lingua sulle sue di labbra, come a pregustare qualcosa della stessa consistenza pastosa del burro, della stessa dolcezza instancabile del miele.

Uno stormo di rondini volò sopra di loro, pronto per tornare ai propri nidi per prepararsi alla notte.

Il suono delle loro grida riscosse la fanciulla che si volse verso di lui- finalmente! Ora poteva vederle intere quelle morbidezze incurvate all'ingiù in un sorriso triste- e sussurrò piano:

“Vi ho trattenuto Sesshōmaru-sama. Perdonatemi. Oggi non sto particolarmente bene.” Pareva contrita, prossima al pianto.

“Si prepara un'eclissi. Stasera vedremo una luna di sangue.” Non sapeva il perché le avesse risposto così, con un tale volo pindarico, tuttavia lei sbiancò e Sesshōmaru quasi si rammaricò di quello stratagemma usato per farla parlare.

“Allora lo sapete. Ve ne sarete certamente accorto. Devo puzzare molto.”

Cosa? Il demone bianco quasi trasecolò internamente, sorprendendosi lui stesso dello sforzo che dovette fare per non far trasparire nemmeno un'oncia della sua costernazione. Del suo timore.

Il problema doveva essere grave, oppure...oppure vuoi vedere che?!...Una conversazione avuta tanto tempo prima in una giornata come quella, con lo stesso cielo terso e lo stesso sapore di estate rimbalzò dentro di lui, incastrandosi alla perfezione nella trama di ipotesi che si era costruito.

Rin sanguinerà molto presto.

La voce di quel dannato di suo fratello gli percosse le orecchie, ammonitrice e subdola come il peggiore- o il migliore?- dei consiglieri.

“Rin, hai avuto il tuo primo mestruo per caso?”

La buttò lì quella parola, e vide che aveva colpito nel segno.

Poiché Sesshōmaru era Sesshōmaru, dopo ciò che suo fratello gli aveva riferito un anno prima, aveva fatto delle ricerche- conosci il tuo nemico!- su quello strano fenomeno che affliggeva le donne umane quando diventavano fertili.

Ma proprio perché era Sesshōmaru, in lui che era un demone non esisteva quella pudicizia sull'argomento caratteristica degli uomini comuni. Non era un tabù per lui. Era solo un fenomeno come tanti, uno di quei processi dell'organismo ningen da studiare, da capire, da osservare distaccatamente, preso da lui in considerazione solo in virtù del fatto che Rin ne sarebbe stata coinvolta. E di conseguenza anche lui.

Ma Rin non era un demone, anzi nella società umana, per volontà di Sesshōmaru medesimo, ci era tornata a vivere eccome, e in quel momento, al sentire quella parola, singhiozzò annuendo:

“La Somma Kaede mi ha rivelato tutto al riguardo. Mi ha spiegato che da oggi sono diventata adulta. Kurashi-chan e le altre donne vogliono addirittura farmi una festa. Mi hanno detto che è una cosa che fa parte della natura. Mi hanno detto che potrei sentire dolore. Mi hanno detto anche come mantenere la mia persona in questi giorni e che da adesso in poi devo stare attenta a come mi comporto con gli uomini. Ma non mi hanno detto che mi sarei sentita così sporca al vostro cospetto.

Finì la frase quasi gridando.

Il demone bianco restò in silenzio. Il dolore che percepiva in lei adesso era chiaro, così come la sua provenienza.

Poteva quasi sentire i crampi che la facevano fremere e raggomitolare su se stessa, e quel sangue poi non era normale. Era pungente, pieno di altre sostanze che gli facevano pensare ai baci, alle carezze, agli abbracci, cose che lui conosceva pochissimo ma che ora si era scoperto di desiderare. Desiderare da quella femmina. Rin. Da lei e da lei soltanto.

Un movimento spontaneo dettato dalla voglia profonda di consolarla fece muovere il suo ginocchio destro fino a entrare in contatto con il fianco sinistro di Rin -che sensazione deliziosa!- e sembrò che la ragazzina gradisse quella vicinanza perché il pianto divenne gradualmente più indistinto e basso.

Proprio come il sole che oramai era quasi del tutto tramontato dietro la collina, e la luna già era sorta in tutto il suo alone color ruggine.

Sesshōmaru non aveva parole per farla sentire meglio, per dirle che non doveva temere il suo disgusto, il disgusto di un demone dall'olfatto portentoso. Non era una ragazzina umana, quindi non poteva immaginare il disagio delle sue condizioni, ma proprio perché gli odori erano la sua specialità – e Rin ne era ampiamente consapevole- poteva capire il perché si sentisse vulnerabile, esposta, non pulita vicino a lui. E qualsiasi gesto tranne quello che aveva appena compiuto non era sicuro che Rin lo avrebbe gradito, né era sicuro di essere pronto egli stesso a compiere un simile passo. Eppure lo spettro di baci, carezze ed abbracci aleggiava ancora dentro di lui, in modo simile all'idea folle che gli era venuta sentendo la sofferenza di quell'umana così spaventata, così fragile.

Diversi uccelli notturni si alzarono in volo e bucarono la luna di macchie nere mentre i loro canti si diffondevano nella pianura di Musashino.

“Sono sicura che loro non si sentono mai così.” La voce della ragazza era poco più che un sussurro. “Vorrei che mi crescessero le ali per volare alla stessa stregua, per sentirmi leggera e mondata da ogni cosa.”

Il cuore di Sesshōmaru sobbalzò per un sentimento rarissimo in lui. Stupore.

Che le loro menti, le loro anime e i loro desideri fossero in tale sintonia?

“Alzati Rin.” Le ordinò quasi, facendolo a sua volta ed ergendosi in piedi davanti a lei. “Vuoi venire con me?” proseguì poi più accomodante.

“Certo.” Non gli chiese dove, perché o cosa avesse intenzione di fare. Si fidava di lui e lo avrebbe seguito sempre e dovunque.

Si, è la cosa giusta. Concretizzerò questa idea folle che ho partorito dalla tristezza di questa umana. Ovunque mi porti.

 

Rin teneva gli occhi serrati.

Ogni cosa intorno a lei che aveva dato per scontata era sparita. La terra sotto i suoi piedi, la piacevole brezza di quelle giornate estive, la tranquillità di un villaggio come Musashi.

Sotto di lei sentiva solo il vuoto, mentre il vento, lì ad alta quota, non era più tenue e rassicurante, ma un boato continuo, che divorava ogni rumore.

Ma nulla poteva tutto questo farla pentire di aver accettato quell'abbraccio.

Si, perché la cosa più scontata di tutte, ovvero il distacco emotivo a cui era tanto abituata quando si rapportava con lui, si era sbriciolata nel momento in cui Sesshōmaru-sama le aveva avvolto le braccia attorno al corpo in una stretta in cui non sarebbe passato nemmeno un ago, e poi una portentosa spinta derivante dallo sprigionarsi del suo potere demoniaco li aveva sollevati in alto in un luccichio magico, come polvere di luna.

“Apri gli occhi Rin. Non c'è nulla di cui aver paura. Sei al sicuro.”

La voce del demone bucò l'urlo del vento e subito Rin sentì i muscoli rilassarsi e le palpebre aprirsi, per spalancarsi sul volto tanto amato, tanto cercato nei suoi periodi di assenza.

Tale sguardo che le rivolgeva le fece galoppare il cuore, e in risposta anche quello dello yōkai si mise a fremere.

Gli occhi negli occhi, si osservarono, stupiti di quanto si sentissero liberi lassù, tra le nubi filamentose e biancheggianti dal riflesso della luna che si stava anche lei schiarendo uscendo dal cono d'ombra delle Terra.

Quei due pallidi esseri ridotti ad un puntolino visti dal suolo, si scrutarono a vicenda, districando emozioni e aggrovigliandone altre più di prima, mentre gli uomini sotto di loro, allo stesso modo ridotti a brulicanti formiche, andavano a coricarsi pieni di speranze semplici, paure semplici, sogni semplici.

“Come ti senti ora? Va meglio?”

La ragazza non rispose, confusa ed ammutolita. Meglio? Ma se si sentiva nel Nirvana!

“Ti fa ancora male...?”

Sesshōmaru non capiva. Rin sembrava imbambolata, e lui non si sentiva da meno.

Uno stordimento magnifico lo invadeva, mentre ogni centimetro di corpo entrato in contatto con quello della ragazza gridava e protestava di fondersi con lei, come solo due amanti potrebbero bramare. Come solo due amanti potrebbero ottenere.

Ma loro non lo erano, ed il solo motivo per cui aveva fatto quello che aveva fatto era stato per metterle quelle ali che tanto l'avrebbero fatta sentire meglio, abbattendo quel muro di sangue, dell'essere diventata donna, dell'essere diventata grande.

Magari così grande da essere finalmente pronta per scegliere. Per scegliere lui.

Tuttavia non ebbe il tempo per riflettere su tali desideri pieni di anni di frustrazione e solitudine, poiché Rin gli passò le mani sotto le ascelle per poi avvolgergli la schiena con le sue braccia leggere davvero come ali, ed aggrapparsi con tutte le sue forze, mentre una dolcezza infinita le riempiva gli occhi, e il grande demone si sentì sciogliere, morire in quella stretta piena di gratitudine. E forse anche di qualcos'altro.

Aveva capito. Aveva capito il suo gesto e lo aveva apprezzato come solo lei poteva fare.

“Si, adesso sto benissimo. Grazie Sesshōmaru-sama. E' stato il regalo di compleanno più bello che potevate farmi. Io...io vi...”

“Dobbiamo scendere. Quassù la temperatura è più fredda e non hai la veste di O-Yutori con te.”

L'aveva interrotta sul più bello. Perché lo aveva fatto, in nome del Sacro Inugami?

Se Rin gli avesse palesato i suoi sentimenti, quelli che nutriva anche lui per lei, non sarebbe stato tutto più semplice? Il periodo di separazione sarebbe finito, se la sarebbe portata via da Musashi e tanti saluti a quel mondo umano che tanto disprezzava, che tanto lo confondeva, che tanto si era scoperto a rivalutare.

Vide il viso di lei offuscarsi sempre più. Dipendeva dal fatto che stavano lentamente scendendo verso il suolo scuro della pianura di Musashino, lontani dalla luna e dai suoi raggi? O forse l'aveva in qualche modo offesa?

“Devo allontanarmi un attimo Sesshōmaru-sama, e tornare al villaggio. Io...Io...” Rin si nascose le mani dietro la schiena dopo nemmeno due secondi che avevano toccato terra staccandosi da lui, velocemente, per poi correre lungo il sentiero che conduceva alle prime case.

“Vi aspetto sotto il dio-albero. Ci sarete, vero?” gli gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

Il demone bianco non rispose. O meglio, conosceva una sola risposta, talmente ovvia che non era necessario esprimerla.

Sempre e dovunque.

 

Dove era finito? Perché ci metteva tanto?

Rin era appoggiata al tronco del Goshinboku ormai da ore. La luna, ad occidente, aveva ormai percorso più della metà della volta celeste punteggiata di pallide stelle, e Sesshōmaru ancora non si vedeva.
Seppure non lo aveva confermato a parole, i suoi occhi, gli occhi del suo demone, avevano risposto si, si , e ancora si. Ti aspetto.

Ed era con questa convinzione che la ragazza si era trattenuta fino a notte inoltrata dopo essere corsa al villaggio per cambiarsi la pezza in mezzo alle gambe.

Si era accorta di sanguinare parecchio, e anzi, ancora adesso il fiotto caldo che sentiva lì in mezzo le impediva una posizione comoda. Nonostante ciò, si sentiva bene.

La pelle, dopo quel volo notturno, era più fresca, e i crampi erano passati.

Si semisdraiò stendendo e intrecciando le lunghe gambe sull'erba, le mani appoggiate sul ventre, mentre un piacevole torpore la invadeva.

Il ricordo delle mani di Sesshōmaru-sama attorno alla sua vita era vivido, caldo, confortante, ma lo era ancor di più rivivere nella mente il contatto che lei aveva cercato. Le dita ancora pizzicavano dopo avere sentito i muscoli compatti della schiena del demone, la durezza delle sporgenze ossee delle scapole, il morbido ma ferreo avvallamento della spina dorsale che portava giù, fin oltre il bordo dell'hakama in zone che Rin mai aveva neanche lontanamente pensato a cercare nel suo signore e padrone.

Tutto questo fantasticare su di lui l'aveva fatta fremere in maniera nuova, sonnacchiosa; languida come una gatta, mentre lì sotto, in mezzo alle gambe si sentiva più umida che mai, Rin quasi non si accorse di scivolare nel sonno di chi è immerso nel piacere.

Il suo Sesshōmaru-sama era bellissimo. Il suo Sesshōmaru-sama l'aveva stretta tra le sue forti braccia. Il suo Sesshōmaru-sama le voleva bene.

 

Doveva riprendersi.

Doveva calmarsi e riprendersi, e sperare che il cuore smettesse quella corsa impazzita nel petto.

Che gli era preso adesso?

Da ore cercava di riguadagnare il suo celeberrimo autocontrollo, e seppure con estrema difficoltà ci era alla fine riuscito. Ma la sensazione sgradevole di non essere più padrone dei suoi impulsi non gli piaceva per niente. Soprattutto perché a quegli impulsi non poteva dare sfogo alcuno.

Era meglio tornare da Rin, sperando che lei lo avesse aspettato.

Sperando che lei non lo avesse fatto.

Cosa voglio veramente?

Che lei ci sia sotto quell'albero dagli strani ed antichi influssi, o che non ci sia, così ritroverei la mia tranquillità di spirito?

Anche per quella domanda la risposta era palese. Si, voglio tornare e incontrarla di nuovo. Non importa quanto debba trattenermi, quanto debba aspettarla. Sempre meglio che non vederla affatto.

 

All'inizio pensava di sognare.

Si, con lo zampino di quella luna magica, credette che quello che vedeva davanti ai suoi occhi fosse solo il frutto di un sogno, di un'illusione dovuta a quei nuovi sentimenti che si era ritrovato a provare per lei.

La creatura magica sembrava più una millenaria divinità dei cieli piuttosto che una ragazzina umana di quattordici anni appena compiuti.

Le fronde dell'albero chiamato Goshinboku aleggiavano alla leggera brezza così come alcune ciocche dei suoi capelli dalle striature scurissime, lunghi, serici, lisci come lame, per poi andare ad attorcigliarsi solo verso le punte creando un effetto di piccola onda. Erano lunghi i capelli di Rin, lungo il dorso e oltre, raggiungendo quel fondoschiena che ultimamente si attardava spesso ad osservare, soprattutto quando camminava, incurante dello sguardo e dei pensieri che il demone covava.

Era appoggiata al tronco, sdraiata tranquillamente immersa nel suo di sogno, che doveva essere bellissimo dati i lineamenti rilassati, quasi felici del volto.

Pareva brillare di luce propria, la sua Rin.

E brillava davvero, cosparsa da tutta quella polvere luccicante che la ricopriva dalla testolina perfetta all'attaccatura del seno che si intravedeva dal kimono troppo, troppo corto, alle lunghe gambe sode e flessuose, fino alla punta dei piedi non più nudi ma che calzavano dei geta laccati di azzurro scuro con hanao bianchissimi; la sua polvere, di Sesshōmaru medesimo, prodotta dal potere demoniaco di levitare, ora la faceva risplendere in modo tale che persino la luna appesa in quel cielo nero e le pallide stelle ne venivano surclassate.

Quello scintillio era la prova evidente di quanto fossero stati vicini, lassù tra le nubi, quanto le avesse permesso di avvicinarsi a lui, quanto l'avesse stretta forte a sé.

La misura perfetta del loro abbraccio.

Non sa neanche di avermi così addosso, di avere una parte di me letteralmente attaccata alla sua pelle, talmente tanto che andrà via solo tra qualche giorno. Non può nemmeno immaginare che lo yukata che le ho regalato l'ho fatto ricamare appositamente con quei simboli, le mezzelune della mia nobile stirpe materna, affinché avesse la mia presenza sul suo corpo ogni volta che lo indossa, un'ipoteca che vorrei arrivasse alla sua anima. Al suo cuore umano.

Ed il cuore di Rin in quel momento ebbe un balzo in avanti che la fece sussultare, svegliare di soprassalto e puntare il volto assonato proprio verso la sua direzione.

Inoltre nel suo viso dovette scorgere qualcosa, un frammento di quel desidero lacerante che gli infuriava dentro, il desiderio di lei, il desiderio di possederla con ogni fibra del suo essere, perché si alzò freneticamente in piedi quasi traballando mentre lui la raggiunse con un balzo da predatore qual'era, un predatore che si sentiva il fuoco nelle vene, la testa ed i lombi pulsare al ritmo di quel cuore di cui ormai aveva perso del tutto il controllo.

“Sesshōmaru-sama!” ebbe appena il tempo di dire, che già il demone la raggiunse in tre secondi netti.

Sono innamorato e sono pazzo. E soprattutto la desidero come non ho mai desiderato niente prima d'ora!

L'abbracciò di getto, per la seconda volta quel giorno, buttandosi contro di lei che era piccola, bassa e piena di stupore. Poteva vederlo dai suoi occhi, tutta la sorpresa di quell'ardimento così innaturale per uno come lui, tuttavia non gli importava. Non gli importava affatto.

“Sesshōmaru-sama, cosa state...?”

“Shh Rin. Non parlare.”

La fece voltare velocemente, in modo che la schiena della ragazza aderisse al suo petto, per poi stringerla per i fianchi quasi artigliando le unghie nello yukata.

E proprio lo yukata fu il suo primo obiettivo; cominciò dal basso, accarezzando con avidità e dita frementi ogni centimetro dello spazio sensibile dietro le ginocchia, per arrivare fino al bordo del tessuto e lentamente ma inesorabilmente tirarlo su, sempre più su, sfiorando al contempo la pelle esposta, ed arrivando alle cosce calde, morbide, tentatrici come non mai.

Rin non sapeva che fare, che suoni emettere tanto era frastornata dal succedersi degli eventi, dalla velocità con cui si erano manifestati.

Percepiva il calore delle mani di Sesshōmaru-sama, l'eco frenetica del respiro di lui sul collo, dietro di lei, mentre questi le alzava lo yukata fino a scoprirle il bacino arrotolandolo fino alla vita.

Kami del cielo, sta succedendo veramente?

I sensi erano paralizzati dalla paura e dall'eccitazione, e poi frementi, e poi paralizzati ancora.

Si, perché lei sapeva benissimo cosa Sesshōmaru-sama le stava facendo. Cosa le avrebbe fatto.

Rin viveva in un villaggio, in una villaggio pieno di persone che facevano cose all'interno delle loro case dalle pareti di legno, cose che poteva sentire nei bisbiglii delle donne, tra cui anche Kagome-sama e Sango-san quando pensavano di non essere viste, o nelle battute degli uomini ai vari chioschi quando passava una bella ragazza o quando erano ubriachi.

Avrebbe voluto che tutto fosse già finito, ma al contempo voleva prolungare il più possibile quelle sensazioni così nuove, così devastanti tanto da arrivare nella pancia, nella gola, nelle orecchie dove sentiva il rombo del cuore che batteva alla stregua di un tamburo.

Se poteva solo immaginare che queste cose accadessero tra uomini e donne, negli animali, che erano tanti a Musashi, lo spettacolo era anche più esplicito, e Rin, con imbarazzo prima e curiosità poi, si era chiesta se quella foga, quella forsennatezza che poteva notare in ogni singola spinta di un accoppiamento tra un bue e una vacca, ci fosse anche in un uomo quando si perdeva dentro una donna.

Sarà così anche con voi, Sesshōmaru-sama?

“Ti farà un po' male all'inizio, Rin. Ma poi...”

La voce di Sesshōmaru le giungeva da dietro le spalle quasi irriconoscibile, alterata, digrignante, come una lama che stride chiedendo pietà.

“Ma poi...?”

“Poi, Rin, ci sarà solo il piacere.”

Proprio in quel momento si sentì alzare di peso, il corpo del demone -il suo inguine per la precisione, Rin ne era sicura anche se non lo vedeva- spinse contro il suo sedere portandolo in alto mentre le dita di Sesshōmaru-sama le aprivano le natiche e qualcosa di duro e morbido insieme si accostava alla sua apertura da dove nascevano i bambini.

Una parte di lei era pronta ad abbandonarsi, a liquefarsi, ad accogliere il membro di quell'essere così amato lì in piedi in mezzo alla foresta, eppure una frazione del suo cervello rimaneva dispettosamente distaccata, solida, non coinvolta. Non pronta per qualcosa a cui Rin non sapeva ancora dare un nome, non pronta per qualcosa che la ragazza ancora non capiva e non trovava in sé stessa. Troppo in fretta! Sta accadendo tutto troppo in fretta! Non ci sto capendo nulla! Non qui, non così!

E fu questa stessa frazione del suo cervello- o della sua anima celebrale- a sospirare di sollievo quando subentrò inaspettatamente il freddo, l'aria umida della sera che sostituiva il calore delle mani che fino ad un attimo prima l'avevano arpionata con tutta la bramosia del mondo.

Si voltò, Rin, per vedere cosa gli avesse fatto cambiare idea.

Sesshōmaru-sama era perfettamente immobile e senza un capello fuori posto, le iridi non più rosse e luminose, e l'hakama tirata di nuovo su a coprire il tutto ; come se la scena di prima non fosse mai successa, come se non si fosse gettato su di lei spinto dal desiderio più puro.

“Va a casa Rin. E' quasi l'alba.” Il tono era piatto, duro, e liscio come uno scudo.

“Io...”

“Zitta Rin. Fa' silenzio.”

Di nuovo l'abbracciò -riuscirò mai più a non farlo!?- questa volta non per soddisfare una mera voglia di lussuria, ma spinto dall'emozione ben più schiacciante di farsi perdonare, di farsi capire, di farsi ricordare.

Posò entrambe le mani ai lati del suo volto, chinandosi quasi alla sua stessa altezza, per poi posare la fronte con tanto di nobile shirushi demoniaco contro quella della ragazza invece diafana e candida.

Avrebbe voluto dirle tante cose.

Che si era fermato appena in tempo anche se non voleva fermarsi.

Che lo aveva fatto quando si era accorto della pezza tra le sue gambe e del fatto che fosse appena entrata in una nuova fase della sua vita tutta nuova e da scoprire. Una tappa che lui non voleva farle bruciare.

Che aveva capito che non era pronta, che mancava qualcosa a quel tipo di unione, che aveva solo quattordici anni e tanti sentimenti inesplorati che l'attendevano.

Le teste erano talmente vicine che quasi le bocche si incontravano, i respiri caldi di entrambi si rincorrevano intrecciandosi l'un l'altro, affannandosi a vicenda, incollandosi come neanche due lingue sarebbero riuscite a fare.

L'odore dell'alito di lui che sapeva di bosco, di pioggia, di notti d'autunno si mischiò a quello di lei, pieno di fragole e sole e primavera.

Rin tremava come mai in vita sua. In quel momento pensò che il demone volesse posare la bocca sulla sua, e già quella sensazione di estraniamento la colmava di nuovo senza che lei lo volesse, urlandole in testa E' troppo presto anche per questo! E' troppo presto!, ma ciò non avvenne.

O meglio, Sesshōmaru, con ogni stilla della lucidità che gli era rimasta, che lei gli aveva lasciato, fece di tutto per resistere, per non leccarle le palpebre velate di ombretto azzurro scuro, per non mordicchiarle il mento, o quell'incredibile fossetta che si creava agli angoli della bocca quando lei sorrideva.

No, Sesshōmaru non cedette, limitandosi a quel contatto di sospiri. L'unico modo in cui avrebbe potuto darlo quel non-bacio. L'unico modo in cui Rin avrebbe potuto accettarlo, quel non-bacio.

Rin, d'altra parte era sicura di aver smesso di respirare quando aveva capito che il demone bianco non sarebbe andato oltre. Per il sollievo, per la delusione, per l'incertezza.

“Devo andare. Adesso torna al villaggio. Seriamente.” A fatica staccò una per una le dita dalla faccia di quella ragazzina. “Ah, Rin. Non tornerò tanto presto,” continuò inaspettatamente.

Stavolta la voce era lapidaria davvero, con un'inclinazione che non gli aveva mai sentito. Solo quelli che lo avevano incontrato prima che lei arrivasse al suo fianco, tanti anni prima, si sarebbero potuti ricordare di tanto gelo.

Un gelo che la fece rabbrividire da capo a piedi, mentre il cuore le sprofondava nello stomaco.

“No, vi prego no! Almeno non lasciatemi qui. Portatemi con voi. Sesshōmaru-sama, non potete andarvene senza di me!”

“No, Rin.” Si allontanò da lei a distanza di sicurezza. Non si fidava più nemmeno del suo famoso autocontrollo. “Ritornerò nel Kyūshū, nella mia terra d'origine per affari che riguardano solo me. Tu non c'entri affatto.” Rimarcò su quei pronomi con tutta la perfidia amara che solo un desiderio inesaudito produce.

Qualcosa si spezzò dentro Rin, un qualcosa che fece crac! dentro i suoi occhi lasciando alle lacrime carta bianca per inondarle il viso, le mani e ogni cosa che si ritrovarono sul loro cammino. Con poche parole secche e brutali l'aveva rimessa non solo al suo posto, ma rispedita di filato in quel cantuccio squallido, in quella bettola piena di desolazione e gola vuota che era la sua catapecchia d'infanzia.

“Sesshōmaru-sama non capisco. Ho detto qualcosa che vi arrecato offesa? Ho fatto qualcosa che vi arrecato offesa? Vi voglio bene. Siete tutto per me. Lo sapete, vero?”

Appunto.

Mai come in quel momento ringraziò di essere un inu-yōkai. D'altronde Naraku una volta glielo aveva rinfacciato. La sua anima era diversa da quella degli umani, la sua anima poteva sopportare tanto dolore rimanendo inalterata, integra. Il dolore di sapere che Rin non poteva attualmente ricambiarlo, neanche se ci avesse provato. Lei gli voleva bene. Bene come la ragazzina che ancora era.

Mentre lui era innamorato.

Mentre lui era un pazzo.

Pazzo al punto di essersi immaginato già una Rin adulta che con cognizione di causa avrebbe potuto pronunciare parole, parole d'amore, e fare gesti, gesti d'amore. Ebbene, così non era.

Il tempo degli uomini e quello dei demoni, due costanti che quasi mai si incontravano tra loro, si burlavano di lui, della loro stramba relazione che li sfidava, quella tra uno yokai dalla vita centenaria e una piccola umana che sarebbe morta in poche decine di anni.

C'erano poche cose che Sesshōmaru non poteva fare. Combattere con il tempo era tra queste.

Se ne sarebbe andato per un po', avrebbe messo quante più leghe fra sé e quella ragazzina che lo tentava come non mai.

Un anno. Anche meno, se proprio non fosse riuscito a resistere.

“Sesshōmaru-sama, tornerete?”

I singulti di Rin si erano fatti radi, duri come piccole pietruzze, e facevano male quando lei li emetteva. Facevano male quando lui li sentiva.

Si girò per non guardarla: “Non lo so, Rin.” Non voleva abbassarsi, non voleva darle anche quella soddisfazione. “Vai a casa tua, ora. Altrimenti chiamerò Jaken per accompagnartici.”

La mia casa siete voi. Questo avrebbe voluto ribattere la ragazza, ma sapeva perfettamente che era tutto inutile, tutto fiato sprecato.

Sesshōmaru-sama non sarebbe più venuto a cercarla, non lo avrebbe più rivisto per un bel pezzo. Forse mai più. Aveva una vaga idea del perché della sua decisione ma il pensarci le faceva diventare le guance bollenti e le gambe come gelatina di riso.

Ad ogni modo, il danno era fatto. Si voltò per andarsene, una piccola speranza nel cuore che l'avrebbe fermata, l'avrebbe richiamata indietro dicendole che era tutto una scherzo, una burla di compleanno.

Il compleanno che aveva preferito. Il compleanno che avrebbe più odiato.

 

Sesshōmaru la vide andarsene, silenziosa, minuscola, opaca come un piccola ombra sperduta.

Neanche per un attimo ebbe la tentazione di richiamarla indietro, di fermarla.

Anzi, più gli stava lontano meglio era.

Doveva ritrovare se stesso, la sua lucidità, la sua proverbiale imperturbabilità.

Le terre dell'Ovest. I ricordi di suo padre, di sua madre, del clima piovoso delle zone della sua infanzia da dove proveniva sentì che stavano riempiendo il vuoto lasciato da Rin -bugie bugie bugie- e quasi si convinse che fosse meglio così. Che non gli sarebbe mancata affatto.

 

Non sapeva che quella decisione avrebbe cambiato la vita sua e di Rin, insieme a quella di tutti quanti, in un modo sorprendente e drastico che nessuno di loro poteva neanche minimamente immaginare.

 

 

Salve a tutti! Eccomi qui di nuovo con questo nuovo capitolo che mi è venuto un po' lunghetto, lo so, ma volevo assolutamente spiegare gli eventi per come me li sono immaginati. Diciamo che il rapporto tra i nostri due protagonisti ha fatto un balzo da cui non si può più tornare indietro.

Volevo inoltre ringraziare tutti coloro che hanno recensito, messo tra le preferite e tra le seguite questa storia. Vorrei solo che sapeste quanto mi avete fatto felice, e quanto le vostre parole mi abbiano incoraggiata ad andare avanti.

Infine parlerò del rating, che è cambiato, dato che qui questi due fanno sul serio. O almeno per ora solo il nostro bel demone! Ahahha.

Fatemi sapere cosa ne pensate. Buona lettura!

 

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Capitolo 3
*** Quindicesimo compleanno ***


La Luna non ci amerà per sempre.

 

 

Anno Settimo dalla Sconfitta di Naraku

 

Una distesa di neve.

Una sconfinata distesa di neve purissima, scintillante, fredda e compatta, eppure tiepida e morbida al tatto.

Le labbra del demone, insaziabili, sprofondarono in quella goduria come un affamato fa con una pietanza appena messa sotto la propria bocca, lasciando una scia di baci arroventati che avrebbero sciolto quella polvere nevosa di cui era fatta la spalla di Rin.

“Sesshōmaru-sama.”La sentì ridere nel suo orecchio sinistro. “Mi state facendo il solletico.”

“Mm.” Non le rispose nemmeno, preferendo continuare lungo la base del collo, risalire sotto il mento per poi succhiarne la punta intrappolandolo dolcemente tra le proprie fauci.

“Vi piace?” chiese lei altrettanto dolcemente con un tono tra il roco e l'innocente che lo fece impazzire e diventare duro in un istante.

Se gli piaceva?! Decise, di nuovo, di non rispondere. Si, quella domanda non meritava neanche una replica. O meglio ne meritava una che sarebbe piaciuta ad entrambi.

Tornò indietro, sotto la gola, ed in seguito incuneandosi nell'attaccatura a sinistra del collo, per poi finire con la rotondità della clavicola, seguendo il percorso dei baci precedenti, godendosi il sapore della propria saliva lasciata prima, non ancora asciugatasi, mischiato a quello della pelle della ragazza.

E fu a quel punto che capì che non avrebbe resistito oltre. La voleva e se la sarebbe presa subito. Lì dove si trovavano.

La spinse contro la fontana a forma di mezzaluna per poi cercare di posarcela sopra.

“Sdraiati sul bordo. E' abbastanza largo per entrambi.” Le alitò nell'orecchio, nervoso, su di giri come non mai.

“Sesshōmaru-sama, non possiamo! Questo è un posto importante per la vostra famiglia,” trillò divertita e dispiaciuta al contempo.

“Mm. Sul serio?” Mentre continuava a vezzeggiarla senza tregua, diede un occhiata di sottecchi alla grande Tsukiegao che svettava al centro del salone dell'enorme palazzo di suo nonno. Nell'Ovest.

Come ci erano finiti lì? Davvero vi ci aveva portato Rin?

Si sentiva confuso, inebriato dall'odore di quella ragazzina di neppure quindici anni, e la voglia immensa di affondare in lei per tutta la notte. E oltre.

“Sembra una mezzaluna. Ma anche una bocca che ride. E' uno scherzo, per caso?”

La perdonò per quel commento perché lei gli stava sorridendo, e Sesshōmaru non sapeva combattere contro i suoi sorrisi.

L'angolo destro della sua di bocca, però, si incurvò all'insù in un ghigno che niente aveva di scherzoso.

“Noi demoni cane non siamo famosi per i nostri sorrisi. O meglio, lo siamo, ma in tutt'altro senso.”
Padron Sesshōmaru vi prego, picchiatemi, calpestatemi, ma non sorridete.

“Ah si? A volte con me sembrava di vedervi un'espressione molto simile a quella.” E Rin, stranamente provocatoria, indicò la grande vasca intagliata in pregiatissimo marmo bianco dalle venature blu cobalto. “Devo arguire che in realtà volevate mangiarmi? Devo temervi?”

Gli si strofinò contro civettuola e candida insieme, assolutamente irresistibile per nemmeno un secondo di più.

“Tu Rin, puoi dire di essere l'unico essere umano a non dover temere il sorriso di un demone cane.”

Lo disse senza pensarci, stupendosi l'attimo dopo di essersi lasciato sfuggire una simile frase.

Che gli stava succedendo adesso, per il grande Inugami?

Si sentiva senza freni, senza controllo, con dei flash in cui si vedeva dall'esterno di sé stesso abbracciare spasmodicamente quell'umana dai lunghi capelli scuri e dalla faccia sempre felice.

Sesshōmaru, tu a differenza di InuYasha, anche se vieni messo alle strette non perdi mai la presa sulla tua coscienza.

Che Bokusenō fosse un ciarlatano? Mai si era sentito lasciato così andare, senza davvero presa su niente che non fosse il corpo di Rin.

Rin, di cui era pazzo.

“Davvero? Sono innamorata di voi Sesshōmaru-sama, ma non salirò su quella fontana.”

“Mfp.” Grugnì quasi, con il suo lobo destro avvolto nella propria lingua. Pazienza, allora lo faremo in piedi.

Se la fece aderire addosso, afferrandola sotto i glutei e portandola contro il suo bacino, facendole capire chiaramente quanto se ne fregasse di profanare quel luogo.

“Siete tremendo Sesshōmaru-sama.” Di nuovo quella risata, così famigliare, così pura, così amata.

In quel momento baciarla in bocca divenne un bisogno così primordiale per lui da superare persino l'ossessione di secoli di brandire Tessaiga.

Fece per sporgesi verso di lei, eppure non gli riusciva di avvicinarsi, a quell'ovale di morbida carne rosata che luccicava semiliquida e perlacea nel buio della notte nel Kyūshū.

Provava la stessa sensazione di quando era sul monte Hakurei.

Un senso di intoccabile santità, tutta umana, circondava quella bocca, che non sarebbe stata vinta nemmeno dalle sue voglie.

Cosi ripiegò sul resto del corpo di Rin. Posso accontentarmi, per ora.

Le aveva già fatto cadere la spallina del kimono sinistro per deliziarsi di lei prima; ora volle di più e la fece scendere ulteriormente fino all'attaccatura del seno dove il suo odore era più penetrante e la pelle ancora più sensibile.

“Dovrei fermarvi.” Rin gli passò la mano nei capelli imprigionandolo dolcemente tra il gomito e quella rotondità incantevole, insopportabilmente irresistibile.

“Togliti il kimono.” Asciutto, brutale, forse più di quanto volesse, ma c'erano momenti in cui un maschio sano e in salute non riusciva a trattenersi. Ovvero quando amava alla follia la donna che gli stava tra le braccia.

“Non posso, lo sapete Sesshōmaru-sama.”

Ma si rendeva conto, quella ragazzina, di stare giocando con il fuoco? Davvero credeva che l'avrebbe lasciata andare?

“Come vuoi. Non dire che non ti avevo avvertita.”

Se non poteva averla a gambe larghe sul bordo di una fontana- per quanto mistica fosse-, se non poteva averla in piedi avvolta attorno ai suoi fianchi, almeno poteva prendersi un anticipo. Un lauto, lautissimo anticipo.

Cominciò a divorarla di baci sopra il kimono, un kimono che aveva già visto in un'altra occasione, ma non ricordava quando- e questo era strano per uno come lui- un kimono bianco pieno di margherite a otto petali.

Una di queste era posizionata proprio sopra il capezzolo destro di Rin e Sesshōmaru, con voluttà famelica, si mise a succhiarla -la margherita e il prezioso tesoro racchiuso sotto di lei- attraverso la veste, fino a sentirla dura e svettante dentro la bocca, come se il fiore avesse preso vita e consistenza alla stregua dell'estremità appuntita del seno della ragazza.

“Rin.”

Smise quella tortura, una tortura che affliggeva lui però, per proferire solo quella singola parola.

Una parola dietro alla quale stavano nascosti più livelli di richieste, di domande. E anche più livelli di risposte.

Una parola che sarebbe bastata, alla ragazza che gli stava davanti -e a lei sola, dato che nessuno lo conosceva così a fondo- per chiedere spiegazioni del perché fosse così reticente, per confermarle che faceva sul serio con lei, per rassicurarla su quanto ci tenesse a quella stramba relazione tra uno dei più potenti daiyokai in circolazione e una semplice -adorabile- umana.

Tornò a guardarla in volto, gli occhi languidi e scuri, le guance rosse, e quelle labbra che sembravano fatte per baciare. Per baciare lui, e lui soltanto.

“Sesshōmaru-sama. Questa volta dovrete fare molto di più.”

“E cioè?”

“Dovrete farmi vedere chi siete.”

Gli alitò quella frase criptica in faccia, e immediatamente un odore di prato, di fiori e di cielo -se il cielo avesse avuto un odore- gli arrivò alle narici colpendolo come un pugno ben assestato in pieno petto.

Le afferrò le braccia con violenza per portarla più vicina a sé, mentre il desiderio prendeva possesso di tutto. Del corpo, della mente, del cuore.

Questa volta l'avrebbe baciata sulle labbra. Ci sarebbe riuscito.

Era vicinissimo a quelle sporgenze morbide, mentre lei lo osservava meravigliata e scettica.

Sentiva il suo respiro regolare, per nulla agitato mentre quello suo, di Sesshōmaru medesimo, si faceva via via più pesante ogni millimetro che guadagnava. Quando fu così vicino che il fiato di Rin provocava uno spostamento d'aria persino dentro il suo naso, quando le bocche furono talmente accostate che un leggero fremito avrebbe potuto fare la differenza tra un miracolo e un rifiuto, in quello spicchio di spazio dove l'attimo coesisteva con l'infinito e l'intero suo mondo sembrava sorreggersi in quei secondi, proprio allora tutto l'amore che provava per lei si frantumò, in schegge affilatissime di senno e realtà.

“Sesshōmaru-sama, vi siete svegliato finalmente.”

Jaken non avrebbe mai saputo quanto fosse stato vicino alla morte in quel momento.

“Scusatemi se ho interrotto il vostro riposo, ma il pasto è pronto.”

Il demone bianco non fece una piega mentre tentava di riacquistare lucidità e scrollarsi di dosso per l'ennesima volta quel sogno. Sempre lo stesso.

“Volete qualcosa in particolare, Sesshōmaru-sama?”

La solerzia del kappa quel mattino gli dava particolarmente sui nervi.

Grande Inugami, quella notte lei gli era apparsa ancora più desiderabile delle altre volte, più reale delle altre volte, tanto che gli sembrava di avere quella margherita ancora in bocca.

E poi ci era andato così vicino. Così dannatamente vicino.

Non riusciva mai a baciarla. Il sogno si interrompeva sempre in quel punto, e Sesshōmaru si sentiva pieno di frustrazione, di risentimento. E di stupore.

Si, sentiva stupore. Un senso di sorpresa mista a -dolore?- per come ancora non riuscisse a crederci.

Rin aveva deciso, quasi tre mesi prima, di restare al villaggio, di non seguirlo, di rifiutare tutto quello che poteva darle. Aveva rifiutato lui.

“Non mi interessano cose come il cibo.”

“Ma dovrete mangiare pur qualcosa. Sono giorni che ne toccate a malapena.” Da quando quella stupida di Rin vi ha dato il benservito. Povero Sesshōmaru-sama.

A volte, mentre dormiva lo sentiva lamentarsi nel sonno, o piuttosto in quella specie di dormiveglia agitato, mormorando parole che provocavano nel valletto verde una profonda rabbia e una grande sofferenza. Maledetta maledetta ragazzina.

“Ti sembra che ne risenta, eh Jaken? Puoi dire che il tuo padrone sia debole e privo di energie?”

“Assolutamente no. Perdonatemi Sesshōmaru-sama.”

Debole? No di certo. Privo di energie? Nemmeno. Privo di altro? Oh si!

“Sesshōmaru-sama, dove state andando? Almeno aspettatemi!” Perso nei propri pensieri, il kappa si era accorto troppo tardi che l'inu-yōkai era già in movimento.

Certo, andava da lei. Come ogni dannato giorno.

Perché c'erano molte cose che si potevano dire di un demone cane. Che mettessero un'incredibile strizza addosso quando sorridevano. Che erano inesauribili in orgoglio e in forza.

Ma un'altra cosa era altrettanto certa. Quando ne trovavano uno, sarebbero sempre tornati dal loro padrone.

“Sono preoccupata per Rin.” Il suo era stato solo un sussurro per non farsi sentire dalla ragazzina poco lontano, tuttavia l'udito sensibilissimo di InuYasha captò esattamente ogni singola parola ed intonazione della frase della moglie.

In quel caldo pomeriggio di Fumitzuki lui e Kagome, insieme a Kaede, ai ragazzi e al mezzodemone cavallo chiamato Jinenji erano intenti a raccogliere le erbe mediche che in parte sarebbero state usate fresche per infusi o impacchi mentre le altre venivano seccate per tutto l'autunno in piccoli sacchettini attaccati alle pareti.

“Tsk. A me non sembra affatto. Sta sempre insieme a Kohaku e ai due figli del capovillaggio.”

Kagome sbuffò rassegnata e con fatica si inginocchiò vicino a dove erano state piantate la menta e l'alchechengi dalle escrescenze rosse. Ormai era quasi al settimo mese di gravidanza e quel ventre tondo sporgeva parecchio sotto l'hakama dalla cintura allentata.

Si, ma non così tanto. Non come dovrebbe.

Un'ombra di preoccupazione, una in più che proprio non era necessaria in quel periodo così movimentato, le fece imperlare la fronte di sudore non solo per il caldo.

Il giorno prima Kaede l'aveva visitata e aveva confermato i suoi sospetti. Il bambino era molto piccolo. Troppo piccolo per non destare crucci o timori di sorta.

“Ma guardala InuYasha! Mi sembra di essere in Kodomo no Omocha quando Sana soffre della “malattia della bambola” per il dolore della partenza di Akito!”

Kagome ne parlava come di una disgrazia personale; forse quei due, Sana e Akito, erano suoi conoscenti che si erano lasciati? Ma che diavolo c'entrava un giocattolo per bambini?!

InuYasha si grattò la testa confuso. Quando a volte Kagome faceva certi discorsi con un senso che solo lei capiva, o perdeva la pazienza o perdeva interesse.

Decise per il secondo, perché non voleva litigarci. Percepiva che qualcosa non andava, e non solo perché quella ragazzina umana aveva -giustamente- liquidato quel borioso di suo fratello. Che si svegliasse, anche lui, e facesse a meno di un po' del suo sussiego per riprendersi Rin.

No, il problema doveva essere diverso. Forse riguardava il fatto che da mesi sua moglie non dormisse bene, si agitava nel sonno e mormorava cose strane di cui non riusciva ad afferrare il senso compiuto.

“Noi andiamo al fiume a fare il bagno. Ci vediamo per cena, va bene?”Lo sterminatore e gli altri, seguiti da Kirara, si diressero fuori dal villaggio lentamente poiché Katāshi li seguiva con il suo bastone a mò di stampella.

“Non angustiarti, Kagome. Devi riposare in questo periodo, no? Ti avverto che ti sorveglierò da vicino, e non permetterò a nessuno di darti fastidio.” L'han'yō, baldanzoso roteò il fodero nero con dentro la potente spada Tessaiga come farebbe un giocoliere, facendo ridere Kagome che cominciò ad avviarsi verso casa più allegramente di come ci era partita.

E' tutto quello che voglio per te, Kagome. Che tu non smetta mai di sorridere.

Rin immerse con sollievo le mani e le braccia fino ai gomiti dentro l'acqua fresca del fiume, trovandola leggermente tiepida di sole e deliziosamente rinvigorente, tanto che se ne buttò sprazzi sul collo e sul volto.

Era stata una giornata afosa, con il cielo velato di nubi biancastre e lattiginose che quasi sembravano più sporcarlo che altro.

Rin, così come gli altri, vestiva uno yukata estivo, quello che si era cucita da sola applicandovi sopra tante margherite ad otto petali. Quello con cui aveva detto addio al suo amato demone.

Mi ama. Non mi ama. Mi ama.

Per mesi ci aveva giocato con quella cantilena, mentre lo cuciva e aspettava che lui tornasse, con petali bianchi che sbucavano fuori dalle sue dita come cristalli di neve, o castelli in aria. Uno diverso dall'altro, uno uguale all'altro.

“Rin-chan. Domani sarà il tuo compleanno, vero?” Katāshi-kun si era avvicinato zoppicando con una rara espressione di felicità. “Mia sorella ha detto che lei e le altre ragazze del villaggio stanno preparando una festa con coroncine di fiori, doni e cibi complicatissimi da preparare. Posso venire anch'io? Ci terrei molto.”

Si sedette vicino al bordo del fiume con più facilità di quanta le sue condizioni avrebbero potuto permettere.

“Ma certo. Vieni pure.”

Lo disse senza enfasi e senza tristezza, i pensieri altrove, fissi, come un chiodo nel legno, ad un demone dai capelli argentati e lo sguardo impassibile.

Chissà se sarebbe venuto?

Una parte di Rin gridava Si si, ti prego, fa che venga! mentre l'altra non avrebbe voluto vederlo mai più.

Questi due brandelli di desideri erano perfettamente allo stesso livello, e avevano instaurato dentro di lei una sorta di pace amorfa, piatta, incolore.

Come l'espressione immota che poteva vedere riflessa nel fiume in quel preciso istante specchiandosi.

Si sentiva strana in quei giorni, Rin.

Una volta aveva incontrato un pescatore che era stato attaccato da un'anguilla appena pescata e che lo aveva investito con una scarica di energia che lo aveva fatto cadere a faccia in giù nel fiume, rischiando di morire annegato.

Prima di perdere i sensi aveva riferito di aver sentito una sensazione né di leggerezza né di pesantezza, una forma di vuoto totale molto simile alla buddità.

Rin si sentiva proprio così, paralizzata e vuota, stretta in un cerchio di calma molto simile all'occhio di un tifone.

Con la tempesta ormai alle spalle. Con la tempesta davanti a sé.

“Non porti più quella strana veste blu sopra il kimono. Non hai più visto il tuo protettore, quel demone cane tanto arcigno?”

“No, non l'ho più incontrato.” Lo disse come se non le fosse importato assolutamente nulla, come se nemmeno la riguardasse, la sorte dell'inu-yōkai in questione.

Katāshi, osservandola abbassare la testa e nascondere gli occhi sotto la frangetta scura, pensò che mai aveva visto persona più bella in vita sua, e mai persona più infelice, tanto che superando per un momento la sua innata timidezza, le mise la mano sulla sua, inerte sul bordo del fiume.

“Hai molti amici dalla tua parte, Rin.” Alzò lo sguardo sulla sorella e Kohaku, che giocavano a spruzzarsi dentro il fiume ridendo felici. “Kohaku-kun ne è un esempio. Scommetto che era per lui il pegno che ti ho intagliato, vero? Allora, glielo hai dato? Che ha detto?”

Per un attimo non fu sicuro che Rin gli avrebbe risposto. Si insomma, sembrava stranita, lontana da tutto e da tutti.

“Hai ragione. L'ho dato a Kohaku-kun. Ne è stato contento.”

Il tono della ragazza non poteva dirsi altrettanto. Non che fosse triste, o depressa. Più che altro Rin pareva sulle sue, come se la sua anima fosse altrove. O spinta in profondità dentro di lei, rincantucciata a prendere fiato dopo una lunga battaglia.

“Quindi sei innamorata di lui, giusto? Te lo chiedo perché sembravi tenerci tanto a quell'oggetto. Ero sicuro che fosse per una persona speciale.”

“Si, è così. Kohaku è speciale per me.”

“Capisco.”

Spero che sia come dici, Rin. Almeno saresti felice, anche se non lo dimostri un granché. Però non ho motivo di dubitare che tra voi due ci sia qualcosa. Spero solo che Kurashi non la prenda troppo male.

Katāshi sospirò affranto. Sua sorella, con un'abile mossa, lo aveva lasciato da solo con Rin per sondare i sentimenti della ragazza verso Kohaku. Questo perché si era presa una cotta tremenda per lo sterminatore, e voleva essere sicura che Rin non se ne avesse a male se provava a corteggiarlo.

Come farò a dirle che non ha nessuna speranza?

Una figura in bianco se ne stava dritta impettita vicino ad un albero di ciliegio, in quel momento dell'anno privo di fiori. E privo di frutti.

Le due persone al fiume che stava tenendo d'occhio e che catalizzavano tutta la sua attenzione non potevano rendersi conto che sentiva ogni cosa che si stessero dicendo, anche da così lontano.

Hanno parlato di un pegno.

Qualcosa che Rin avrebbe dovuto dare ad una persona speciale.

Lo ha dato a Kohaku.

Un sentimento nuovissimo eppure antico deflagrò in Sesshōmaru, dalla testa alla punta degli eleganti stivali di provenienza continentale.

Disprezzo.

Disprezzo per tali creature, gli esseri umani, che si erano rivelati ancora una volta infimi e sleali.

Quel ragazzino.

Puntò gli occhi su Kohaku che stava urlando divertito qualcosa alla nekomata chiamata Kirara.

Come aveva potuto, soprattutto dopo che lui, Sesshōmaru, aveva fatto così tanto per quel misero cucciolo di ningen?

Era quasi riuscito a sopportarlo -quel quasi voleva dire tutto e niente- tanto da salvarlo più volte, tanto da ammetterlo nella sua cerchia, in quella specie di vincolo che gli umani chiamavano gruppo.

Invece quel giovanotto pieno di ferite, di speranze, pieno di tradimenti, gli si era rivoltato contro.

Lui e Rin erano innamorati, non è vero? Stavano così le cose, non è vero?

Bene.

E quella ragazzina poi.

Per primo avrebbe pensato a lei.

Un pezzo di corteccia del ciliegio schizzò via con uno scoppio mentre due occhi rossi come braci si allontanavano veloci nel buio del bosco.

Dovrete farmi vedere chi siete.

Le avrebbe fatto esattamente questo. Le avrebbe fatto vedere chi era Sesshōmaru.

“Sbrigati Rin, la cena sarà quasi pronta.”

Il cielo era ancora chiaro, ma l'afa era aumentata con il calare della sera.

Credo che stanotte ci sarà un temporale.

“Voi andate avanti. Io starò qui ancora un po'.”

“Sei sicura? Tra poco sarà buio e potresti fare brutti incontri.”

Kohaku la guardò male, ma Rin non demordette. Sapeva cavarsela anche da sola.

“Non ti devi preoccupare per me.”

“Come vuoi,” le rispose triste.

Non appena fu sicura che non ci fosse più nessuno, emise un sospirone che ebbe il potere di creare qualche spaccatura nella maschera di indifferenza che portava da settimane. Ma non di farla cadere del tutto.

Come era bello stare finalmente sola! Sola con sé stessa e quella specie di torpore neutro che si trascinava dietro.

Tuttavia un fruscio famigliare le fece balzare la pressione a mille, tanto che temette di farsela addosso per lo spavento e la paura di trovarselo di fronte.

Ma non fu Sesshōmaru che si ritrovò davanti agli occhi.

Il nanetto verde fremeva di indignazione, e i suoi occhietti gialli si erano fatti sottili e cattivi mentre la squadravano malevoli.

“Jaken.” Rin non sapeva se essere contenta di rivederlo oppure infastidita da tanto malcelato rancore.

“Eccola, la sciocca umana che ha osato dire di no al mio padrone.”

“Jaken, anche io sono felice di vederti.” Optò per l'ironia, che sapeva che avrebbe fatto infuriare il valletto come non mai.

“Io invece avrei preferito non incontrarti affatto. Le ragazzine ingrate come te meritano solo di non essere considerate. Se fossi nel padrone non sarei stato tanto indulgente. Sei una piccola irriconoscente. Dovresti vergognarti!”

Il becco del kappa non stava fermo da quanto era arrabbiato.

“Che vuoi dire Jaken? Che avrei dovuto seguire Sesshōmaru-sama anche se desidero restare al villaggio?”

“Tsk. Cos'è che il mio padrone non avrebbe potuto darti e che invece puoi trovare a Musashi, eh?”

Rin non seppe come rispondere. Perché Jaken era venuto a cercarla dopo tutte quelle settimane?

Che la sua decisione di restare al villaggio fosse stata recepita da Sesshōmaru-sama come una ferita al suo orgoglio?

Probabilmente si, e questo non era mai stato nelle intenzioni di Rin. Non era colpa dello yōkai se non la ricambiava. Non era colpa dello yōkai se era innamorato di un'altra.

Se c'era una cosa che sapeva bene era che non si poteva decidere chi amare.

Mi ama, non mi ama.

“Sai Jaken, una volta mi dicesti che Sesshōmaru-sama avrebbe fondato un grande impero, dopo aver sconfitto tutti i demoni maggiori che lo avrebbero contrastato.” La mente riandò a quella sera, vicino al fuoco a mangiare radici di bosco, quando aveva solo sette anni e un unico desiderio, sempre lo stesso, da chiedere alle stelle. Fatemi rimanere con Sesshōmaru-sama per sempre.

“Forse avevi ragione a dire che io gli avrei solo dato fastidio, sai? Non saprei proprio che ruolo avere nella sua nuova vita. Sono un'umana, e per di più donna. Lui non ha bisogno di me.”

Cercò di essere il meno drammatica possibile. In fondo era la pura realtà delle cose.

“Mi stai dicendo che è colpa mia se non vuoi più seguire Padron Sesshōmaru?!” Jaken si mise a tremare. Se Sesshōmaru lo avesse saputo lo avrebbe ucciso senza pietà.

Ma Rin fece una specie di sorriso sghembo e tremolante. “No, Jaken. La decisione è stata solo mia.”

Mm, questa non me la racconta giusta. “Potresti ripensarci. So per certo che a Padron Sesshōmaru farebbe molto piacere se tornassi a viaggiare con noi.”

Non voleva esporsi più di così. C'era di mezzo l'orgoglio del Principe dei Demoni, in fondo.

La ragazza si limitò ad annuire in modo strano, quasi inquietante.

“E' tardi, Jaken.” Poi si guardò attorno, quasi spaventata. “Lui è...”

“No, è sparito da un bel po'. Sembrava furioso.”

Il demone avanzava su per la fenditura rocciosa con balzi lenti ma pieni di rabbia.

Infilzava Bakusaiga nel granito che formava quella montagna come se fosse burro, creando tanti buchetti sulla parete che rappresentavano la scia del suo passaggio.

Quel monte era un luogo con una strana aura, e si credeva che fosse sorto in una sola notte dopo un terremoto fortissimo direttamente dal mare.

Su un suo pendio si era creata una spaccatura che si ripiegava su sé stessa creando una impervia salita di gradoni di roccia racchiusa dalle pareti stesse della montagna, illuminata da una lama di cielo in cima che in quel momento baluginava di un bianco-arancio.

L'alba del quindicesimo compleanno di Rin.

Non avrei mai dovuto provare queste cose per lei. Non avrei mai dovuto dirle quelle parole, quelle idiozie su un fantomatico legame esistente tra noi. Non avrei dovuto farle quelle promesse.

Fendette la spada creata dalla sua sola volontà e la infilzò fino all'elsa nella parete alla sua destra, per poi ritrarla fuori con un movimento furibondo, disperato.

Non avrei mai dovuto portarla con me, permetterle di essere il mio punto debole. Non avrei mai dovuto abbassarmi a salvare la vita di una piccola miserabile umana. Una della stessa risma della madre di quell'ignobile mezzodemone che si è ritrovato ad avere immeritatamente lo stesso sangue di mio padre.

Un'altra scudisciata, un altro foro che fece quasi gemere la pietra marrone-grigia che svettava attorno a lui.

Non avrei mai dovuto pensare che un mezzosangue come InuYasha potesse essere degno di Tessaiga, potesse essere degno della reputazione degli Inu-yōkai, che potesse essere degno della mia stima.

Arrivò in cima alla fenditura dove si potevano sentire borbottii misteriosi, e ombre scure e sottili danzavano alla luce di un fuocherello sorto dal nulla.

Si, non avrebbe dovuto permettere tante cose.

La più importante delle quali era che non si sarebbe mai dovuto lasciar trascinare da quella ragazzina pescata in una catapecchia umana -almeno suo padre aveva avuto la decenza di prendersi per puttana personale una hime dell'Est-; e tutto perché? Perché lei gli aveva aperto un mondo, gli aveva fatto intravedere un nuovo modo di vivere fatto di calore, di dolcezza, di allegria, di affetto incondizionato.

Glielo aveva offerto sciogliendo il gelo del suo cuore, si era insinuata dentro di lui con quel dono luminoso senza pietà, abbattendo tutte le barriere che Sesshōmaru aveva eretto o che gli erano congenite per nascita e temperamento.

Per poi portarselo via.

Così.

Senza nessun rimorso.

Vicino alle braci, che sembravano più fuochi spettrali color giallo cadaverino, se ne stava ingobbito il demone Bureikāzu, che lo accolse con un'occhiata spenta ed indifferente continuando a martellare un grosso masso messo tra le sue ginocchia.

“Il grande Sesshōmaru nella mia umile dimora.” Allargò le braccia con fare teatrale ma l'inu-yōkai rimase rigido e fermo come una statua.

“Mi servono le tue creature, “lo freddò senza tanti preamboli.

“Ah, ma davvero? Sai che sono molto rare? Quante ne vorresti?”

“Otto.”

“Che cosa? Principe dei Demoni, tu devi essere fuori di senno.”

“Le voglio per oggi.”

Lo spaccapietre spalancò la bocca e il martellare cessò di creare echi sinistri tutt'intorno. “Non se ne parla. Me ne chiedi così tante e le vuoi per il giorno corrente? Ripeto, devi essere pazzo.”

“Non sono affari tuoi sei io lo sia o meno. Sappi solo che verrai ricompensato adeguatamente.”

Il demone cane aveva una reputazione che parlava per lui. Se diceva una cosa -e non ne diceva molte, di cose- poi questa era seguita dai fatti.

“Va bene. Ma dovrai sborsare parecchio. Dimmi un po', per chi sono? Chi si merita tanto disturbo?”

Rin.

Il suo sorriso.

Si, ne valeva la pena per una come lei.

Arrivò nel bel mezzo dei festeggiamenti.

Rin, ovviamente, si trovava al centro dell'attenzione, con quel suo yukata pieno di margherite sgargianti e malinconiche insieme.

Non fece neanche in tempo ad avvicinarsi che subito tutti gli astanti si volsero verso di lui, leggermente ansiosi.

E come non esserlo? La sua aura demoniaca sprizzava yōki da tutti i pori, tanto che InuYasha brandì Tessaiga e Sango si chiese quanto ci avrebbe potuto mettere a correre in casa per afferrare Hiraikotsu.

“Datti una calmata Sesshōmaru.” InuYasha non avrebbe voluto alzare la lama del loro padre ancora una volta contro il fratello. Lo aveva già fatto fin troppe volte, però se lo costringeva non si sarebbe tirato indietro.

Ma il demone bianco imperterrito marciò dritto verso la festeggiata, le mani strette a pugno, la mascella contratta.

Quando fu a pochi passi da lei, alzò il pugno destro, le strisce magenta che spiccavano nette, lineari, mansuete.

In quel mentre Kohaku e la ragazzina chiamata Kurashi balzarono per farle da scudo e Rin indietreggiò con nel volto tanto sgomento da fare paura.

Non per il timore che le facesse del male, né per il disagio di vederlo dopo parecchie settimane in seguito all'averlo lasciato.

No, Rin si sentì piegare in due internamente perché per la prima volta dalla presa di posizione di stare al villaggio, aveva incontrato lo sguardo di Sesshōmaru. Lo aveva scrutato dritto negli occhi, poiché essi erano le sole finestre da cui potevano trapelare le emozioni di uno come Sesshōmaru per chiunque avesse avuto il fegato di reggerne lo sguardo.

Ebbene, in quelle pozze dorate non vi aveva visto rabbia, oppure contentezza per la sua nuova vita con la sua splendida famiglia di inu-yōkai, ma lo stesso vuoto grigio in cui era invischiata lei, lo stesso sentimento di qualcuno che si ritrova sperduto in un paesaggio lunare e desolato senza una metà di sé stesso.

E capì, Rin, che Sesshōmaru l'amava. La amava così come lei amava lui. Forse di più.

Tuttavia, se si aspettava che questa consapevolezza la rendesse felice in un istante, si sbagliò clamorosamente.

Anzi, provava un dolore insopportabile in tutto il corpo, perché se è vero che quando un cuore va in frantumi fa male, quando questo si ricompone fa ancora più male, con mille e mille schegge che, aguzze e spietate, tornano ad incastrarsi al loro posto.

E svenne, Rin, proprio nell'esatto momento in cui il pugno di Sesshōmaru si apriva per rivelare l'oggetto al suo interno.

“Uao, davvero splendido! E' il regalo per Rin, giusto?”Kagome era infervorata.

La margherita che capeggiava nel palmo candido di Sesshōmaru ebbe il potere di calmare gli animi immediatamente, anche perché la perdita di conoscenza della ragazza e la pronta presa di Kohaku distrassero i presenti dallo strano comportamento del daiyōkai.

“Posso vederlo, Sesshōmaru?” Sango si avvicinò cautamente al fratello di InuaYsha che glielo diede senza nemmeno badarci tanto, catturato com'era dalla scena di Kohaku che stava cercando di rianimare la ragazza.

“Questa è giada. Mai vista una sfumatura cromatica così densa e priva di macchie. E queste sono perle marine fossilizzate. Sono rarissime, solo demoni-spaccapietre le collezionano. Si trovano dentro fossili di antiche ostriche vecchie di millenni e sepolte sotto montagne che prima si trovavano in fondo al mare.” La sterminatrice tocco in maniera reverenziale quelle otto gocce bianche che formavano la corolla della margherita e la giada centrale tonda alla perfezione color limone.

“Se credi che basti un regalo da corte imperiale te lo puoi scordare, mi hai sentito, Principe dei Demoni?”

Un silenzio di tomba scese sul gruppo. Rin non aveva ancora aperto gli occhi che la voce di Kurashi si levò come una lama che ne incontra un'altra.

“Di un po', non ti vergogni, grande demone cane? Non ti vergogni di trattare così la mia amica? Prima Rin era una persona sempre contenta. Lei rideva. Poi tu te ne vai, e dopo un po' ritorni, e poi te ne vai ancora.” Kurashi aveva gli occhi pieni di lacrime, mentre già InuYasha si apprestava a doverla difendere dagli artigli di Sesshōmaru. Non era certo tipo da tollerare un comportamento simile, lui! “Smettila di entrare ed uscire dalla sua vita. Vattene una buona volta, e non tornare più!”

Gelo.

Più di un cuore perse qualche colpo aspettando la mossa del glaciale fratello di InuYasha, il quale cercò di correre ai ripari.

“Smettila Kurashi. So che tieni a Rin ma prendertela con Sesshōmaru non contribuirà ad allungarti la vita. E tu Sesshōmaru, non pensarci nemmeno a...”

Con grande costernazione di tutti, lo yōkai non sfoderò le unghie velenose contro la ragazzina dalla pelle scura che lo squadrava senza paura e con il naso che le colava impietosamente.

Questa umana ha coraggio. Questa umana ha ragione.

Era partito con le più meschine intenzioni, il giorno prima.

Le vecchie convinzioni del passato su cui si era basata la sua vita per secoli avevano ripreso il sopravvento su di lui, tornando a galla quando aveva ascoltato quella conversazione al fiume che gli aveva chiarito molte, troppe cose.

Ma il sorriso di Rin, il suo primo sorriso sdentato rivolto a lui, e a lui solo, non poteva essere cancellato così facilmente. Nemmeno se lo avesse voluto. E non lo voleva.

Per primo avrebbe pensato a lei.

Si, Rin sarebbe venuta sempre prima. La sua felicità, il suo futuro, le sue speranze.

Era partito con le più meschine intenzioni. Era arrivato con la più salda delle certezze.

La certezza di poterla lasciar andare, anche se non si era aspettato di doverlo fare in maniera così drastica.

Non aveva sopportato neppure la sua vista, Rin. Lo temeva alla stregua dei briganti che avevano sterminato la sua famiglia.

“A quanto pare ci siamo erette a paladine della buona causa, uhm?” Con un scatto prese il mento di Kurashi tra il pollice e l'indice, sollevandola quasi da terra.

“Sesshōmaru, tu non...”

“Calmati InuYasha.” La voce pareva fatta di ghiaccio secco, da spaccare le vene nei polsi. “Non ho intenzione di sporcare i miei artigli con il sangue di questa femmina. Non oggi almeno.” L'intero corpo della figlia del capovillaggio tremò come un fuscello al vento quando percepì quelle dita fredde e acuminate premere sul suo mento, la mostruosa forza latente in esse tanto che avrebbe potuto distruggerle la mandibola con una minima aggiunta di pressione.

“Puoi assicurare alla tua amica che non dovrà temere oltre la mia presenza.” Osservò tutti gli altri di sbieco, un sorriso crudele in faccia e gli occhi di un giallo primario, ridotto e ritornato alle basi di un tempo.

All'espressione di un tempo.

Lasciò la presa su Kurashi senza tante cerimonie, per poi compiere un gesto stranissimo, inusitato. Si chinò sopra la la ragazza svenuta, delicato, quasi cerimonioso, e con una mossa veloce le attaccò la preziosa spilla dove un tempo c'era il suo caratteristico codino.

“Se le succederà qualcosa sappi che ti cercherò. E ti troverò. Ti pentirai della vita che quella sacerdotessa ti ha donato. Mi hai capito, Kohaku?”

Fu un sussurro inudibile per chiunque altro.

“Aspettate Sesshōmaru-sama. Voi avete frainteso...”

Non gli diede la possibilità di accampare scuse di sorta. Erano un'inutile perdita di tempo. E Sesshōmaru odiava perdere tempo, soprattutto in chiacchiere.

Se ne andò così come era venuto.

Senza convenevoli di rito, senza cordialità, senza il minimo cenno che vi avrebbe fatto ritorno.

Quella notte fu l'ultima volta che fece quel sogno.

Ma a differenza delle altre non si stavano scambiando effusioni, né erano nel lontano Kyūshū.

Si trovavano altresì nel loro posto, sotto il Goshinboku, entrambi in piedi accostati al tronco di quell'albero dalla vita millenaria, spalla a spalla. E Rin sorrideva.

“Grazie di avermi mostrato chi siete. La persona più generosa, e forte, e coraggiosa che esista in questo mondo.” Gli si appoggiò contro il fianco destro, affondando nella mokomoko con un'aria serena, sbarazzina, piena di leggerezza.

Talmente leggera che bastò che Sesshōmaru distogliesse lo sguardo per meno di un secondo che la vide sparire in tante piccole margherite che non appena toccarono il suolo cominciarono a roteare in un balletto vivace, per poi ricadere formando un tappeto bianco tutt'intorno al demone.

Si era svegliato, e si era sentito come quando aveva riacquistato il suo braccio, la stessa sensazione di piacevole sofferenza di chi sa che ha fatto la cosa giusta nonostante fosse la più difficile da compiere.

“Sesshōmaru-sama, il pasto è pronto. Volete mangiare?”

Jaken lo chiese solo per formalità, tanto sapeva già la risposta.

“Servimi pure quello che hai preparato, ma fai in fretta,” si sentì invece ribattere.

Il demone bianco appuntò gli occhi alle colline che delimitavano la pianura di Musashino, le loro cime brumose e i pendii di un verde lucente per via dei temporali notturni, le valli piene di fiumi e cascate, i torrenti impetuosi e i boschi scuri e misteriosi.

Un senso di nostalgia invase Jaken, perché sapeva esattamente cosa il suo signor Sesshōmaru avrebbe detto di li a poco.

Quella mattina sembrava più pacato del solito, ma anche più disteso. “Vedi di sbrigarti. Stiamo per partire per il continente.”

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo di questa antologia di one-shots su Rin e Sesshōmaru, e prima di tutto voglio sentitamente ringraziare chi l'ha recensita, messa tra le preferite e le seguite.

Dopo i doverosi ringraziamenti, è mia premura, per evitare magari confusioni di sorta, ricordare di nuovo che questa raccolta riempie in maniera fondamentale la long Inuyasha-Secondo Arco-Prima Parte § La Guerra dei Cani §; questa è stata una scelta obbligata per me, per rendere la long più scorrevole senza però rinunciare ad approfondire i momenti più belli della mia ship preferita, ovvero i compleanni di Rin.

Quindi, per arrivare al succhettoXD, date una scorsa al primo capitolo della long in questione, se vi va di capire come siamo giunti al punto che il mio bel demone sia così triste dopo l'abbandono di Rin, ok?

In ultimo, vi saluto con tanti bacini bacetti, sperando di sapere se vi è piaciuta!

 

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