Sorpassando Tutti gli Altri Dèi

di AquilanteMalabestia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Intro ***


So what's the next step?

"Dictatorship," says Bowie. "There will be a political figure in the not too distant future who'll sweep this part of the world like early rock and roll did.

"You probably hope I'm not right. But I am. My predictions are very accurate ... always."

[...]

"You've got to have an extreme right front come up and sweep everything off its feet and tidy everything up. Then you can get a new form of liberalism.

[...]

"So the best thing that can happen is for an extreme right Government to come. It'll do something positive at least to the cause commotion in people and they'll either accept the dictatorship or get rid of it.

- Intervista a David Bowie, 1975. *

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Capitolo 2
*** I ***


Sul profilo della montagna, sagoma nera censurata dalla notte giunta al termine, davanti all'orizzonte azzurro elettrico si staglia il Suo magnifico carro, bianco e lungo come un serpente di marmo. Col Suo carro Egli trasporta il Sole fino all'apice dei cieli, perché Apollo il magnanimo sempre ci fa dono del calore e della luce del Sole. Si apre una porta del Suo candido cocchio e Apollo il Grandioso si libra sopra la valle: i fili d'oro mossi dei Suoi capelli al vento incoronano il volto perfetto, sottile da eterno fanciullo; le labbra come una lieve pennellata si aprono per mostrare i Suoi denti immacolati, quanto le più pregiate tra le perle che adornino il collo di una dea; il Suo collo vigoroso è uno stelo sopra la terra vergine del busto, glabro ma modellato oltre ogni perfezione immaginabile dall'uomo: come mura inespugnabili si espandono i Suoi pettorali, sotto la giacchetta bianca le cui estremità ciondolano sui pantaloni a zampa di elefante, lucidi come la neve che va sciogliendosi tra le rocce; ai piedi ha stivali coi tacchi in pelle tinta del rosa dell'aurora.

Un fulmine viola è tinto sulla faccia, ad abbellire il Suo occhio sinistro. Occhi d'Infinito possiede, Apollo Nostro Signore: pozze nere da cui vociano le anime del Tartaro, al centro di pascoli verdi sempre immobili nella loro attenzione fulminante. Una pupilla ha più larga, il Nostro Caro Leader: un giorno, quel che la biologia definisce Suo padre (la bestia indegna di aver gettato il seme nel mare caldo della donna tra i cui mulinelli amniotici sarebbe cresciuta la cartilagine del corpo apollineo), quel padre marchiò la figura tenera fatta della sua stessa carne, appena approdata alla pubertà, con tutta la forza che la sua mano chiusa a falange potesse esercitare, ma non abbastanza da coprire la paura effeminata che aveva scatenato quel gesto vergognoso. La vergogna e la paura il padre sempre aveva cercato di presentare, ad Apollo, come indegne di albergare nel corpo di un vero uomo; così il tempo era passato - l'infanzia una morsa tra modelli di cruda pietra e il placido silenzio assenso di un seno in cui nascondersi - e sempre il Nostro Eroe aveva taciuto e simulato, ignorando ogni moto dell'animo per compiacere l'ordine della normalità. Ma quel giorno fatale, nessuno avrebbe potuto cogliere la vergogna più di Apollo, costretto da Se stesso a nascondersi dentro la tana del lupo, in preda ad un comune istinto animale, quando il corpo gli parve urlare per rompere le catene piantate al suo parto, lo stomaco contorcersi al richiamo abominevole, le gambe tremare davanti a quella natura impossibile; nessuno più di lui conobbe la paura quando la furia del padre gli gettò negli occhi la verità che era stata spiata e riportata già ovunque, che già era diventata una divisa da detenuto per il carcere del diletto e del giudizio degli altri: tutti sapevano quel che era successo in bagno, durante l'intervallo.

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Capitolo 3
*** II ***


Davanti allo sdegno paterno e all'indifferenza umiliata della madre, chiusa a guscio nel suo pianto, Apollo lo Sventurato abbandonò il nido di pietra e si perse da qualche parte della capitale, tra il fragore delle luci al neon e gli schermi e lo sciamare di auto, turisti, puttane, drogati, ladri e punk dalla faccia corrosa e lo sguardo feroce; si perse naufragando in una dolce pozza di petrolio nauseante, lontano dalla stasi della vita per bene, in un locale nel cui retro avrebbe preso a dormire, lavorando la sera e proprio la sera guardando esibirsi Marsia. Marsia era il canto rauco delle viscere terrestri: ogni suo gesto forsennato, ogni nota della sua Squier rossa scheggiata e rattoppata era un invito a sciogliere la bestia dentro ciascun uomo. Apollo una notte trovò la forza di abbandonarsi alla corrente: fu Marsia ad intendere quello che il Suo sguardo, bloccato tra le mura famigliari e una pulsione a lanciarsi nel vuoto, sottaceva assieme alla voce tentennante. Non esitò a strappare il Febo dalla zavorra del suo timore. Vissero per anni nella stessa dimora che il mito riporta con le mura affrescate di sangue e graffiti e il cesso in comune in fondo al pianerottolo, tra le nebbie brune e fetide del quartiere del porto, in mezzo a demoni tristi divorati dallo stesso loto che smerciavano ad anime naufraghe affamate d'oblio, in mezzo al mercato della carne insaccata tra vesti succinte per meglio mostrare la merce. Nel gelido inverno di una stanza chiazzata, con un grosso futon rigido a molle come letto d'amore, per scaldarsi Apollo accettò il sangue ed il corpo di uno degli spiriti infami che animavano Marsia, sciolto in un cucchiaio annerito e nella carne tenera sparato come un fulmine, dentro le vene e fin dentro il cervello, dentro cui Apollo si sentì come il figlio di Gesù.

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