Wait for me

di Irene Adler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Promessa: Per stare con voi ***
Capitolo 2: *** Malinconia: Monaco di Baviera 1923 ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni: un mondo così nuovo, così sconosciuto ***
Capitolo 4: *** Separazione: Vorrei stare al tuo fianco ***
Capitolo 5: *** L'arrivo: vecchie conoscenze ***
Capitolo 6: *** Dilemmi: problemi fra donne ***



Capitolo 1
*** Promessa: Per stare con voi ***


Wait for me

 

By Irene Adler

 

 

Note d’inizio: Prima di cominciare, devo premettere alcune cosucce che vi avrei volentieri risparmiato se non fossero strettamente necessarie. Allora…la ff è ambientata alla fine del film.
Dal secondo capitolo in poi l’ambientazione si sposterà nella Germania del 1923, più precisamente Monaco e dintorni…sono gli anni del dopoguerra, ma per questioni di copione ho preferito inserire alcuni riferimenti a sporadici scontri ancora in atto per movimentare un po’ l’ambientazione; inoltre, più avanti, inserirò anche rivolte e simili. Non mi rifaccio ad avvenimenti realmente accaduti (in questo caso durante la prima guerra mondiale), ma ho preso spunto per poi sviluppare una serie di eventi di mia invenzione…spero che questo non disturbi qualche grande appassionato di storia^^ In ogni caso più avanti aggiungerò l’avviso AU se sarà il caso.

Avviso fin da subito che probabilmente non riuscirò ad aggiornare con costanza, nonostante la fan fic sia quasi del tutto terminata.

Dopo queste piccole precisazioni vi lascio alla ff.

Buona (speriamo) lettura!

 

 

Capitolo 1

Promessa: per stare con voi.

 

 

Aspettava.

I suoi occhi cerulei vagarono da una parte all’altra del viale, cercando fra la moltitudine degli Alchimisti di Stato i visi di chi, da molto tempo, era diventata la sua famiglia.

Man mano si succedevano volti di militari e civili feriti, esausti o terrorizzati dalla battaglia appena conclusa, la più devastante che la capitale avesse mai intrapreso.

La città era in ginocchio, ovunque edifici fatiscenti cedevano rovinosamente, mietendo vittime che si venivano ad aggiungere a quelle della battaglia contro gli sconosciuti uomini in armatura provenienti dal portale.

Si fece largo fra quelle persone, mentre l’angoscia si faceva sempre di più sentire.

Una mongolfiera atterrò poco lontano e distrattamente riuscì a distinguere la figura del colonnello Mustang che scendeva dal velivolo e si guardava intorno apparentemente alla ricerca di qualcuno.

“Winry, aspettami!”

La voce di Sheska era lontana, smorzata dal vociare confuso delle persone scampate alla battaglia.

Un bruciore al petto iniziò a toglierle il fiato, mentre avvertiva sempre più che la sensazione provata precedentemente, quando aveva visto quell’oggetto volante varcare nuovamente il portale.

-Ed…-

“Winry!”

Un’altra voce si era unita a quella di Sheska, più profonda  e maschile che lei ignorò completamente, talmente era la foga con la quale stava cercando.

Una mano guantata le si posò sulla spalla e la fece trasalire appena, costringendola a voltarsi per incontrare gli occhi color ebano del colonnello Mustang; al suo fianco Sheska e il tenente Hawkeye la fissavano con un’espressione che le veniva difficile decifrare.

Fissò smarrita entrambe, ma quando loro non sostenettero il suo sguardo si ritrovò costretta a chiedere spiegazione a Mustang.

“Winry…”

Lei assottigliò gli occhi, chiedendogli di parlare.

“Acciaio…ha riattraversato il portale” rispose laconico.

La bionda abbassò il viso, con tremendo sconforto.

Ed aveva fatto la sua scelta ed era stata quella più giusta per il suo paese natale, ma non per lui, non per lei…non per loro.

“Capisco…”riuscì a soffiare, rendendosi conto solo in quel momento che i suoi timori erano divenuti realtà.

 Sheska le si fece vicino, mettendole una mano sulla spalla.

Winry non piangeva; il dolore che provava le impediva perfino di versare lacrime.

Si guardò ancora intorno, gli occhi spenti, alzando con fatica lo sguardo per cercare il viso dell’unica persona che, in quel momento, avrebbe potuto starle vicino e condividere, almeno in parte, il suo stesso dolore.

Si levò dagli una lacrima inesistente, tentando di riacquistare un po’ di contegno; avrebbe avuto dopo il tempo per piangere e sfogarsi. Tutta una vita, si disse.

“Colonnello, sa dov’è Al?” chiese, tentando di abbozzare un sorriso speranzoso.

L’espressione di Mustang si fece, se possibile, ancor più imperscrutabile.

Lo incoraggiò con lo sguardo a parlare, mentre sentiva la pressione della mano di Sheska aumentare per chissà quale motivo.

Il tenente Hawkeye la guardò con tristezza abbandonando la sua solita espressione decisa, ma lei non vi fece caso. 

Si sporse oltre il colonnello quasi sperasse di vedere la figura di Al avvolta in un lungo mantello rosso, un tempo appartenuto a suo fratello maggiore.

“Winry…”

La ragazza tornò a fissare il colonnello.

“Allora dov’è Al?” disse, mentre sentiva il tono della sua voce farsi sempre più allarmato, spezzato da una nuova emozione.

“Ascoltami Winry…”

La ragazza ignorò le sue parole e superò l’uomo di qualche passo, portandosi le mani alla bocca.

“Al! Alphonse!”

Ripetè quel nome più e più volte, sapendo, in cuor suo, che il suo grido non sarebbe arrivato alle orecchie dell’amico d’infanzia.

Riza le si fece vicino, bloccandola per un braccio.

“Non c’è Winry”sussurrò, fissandola.

Lei la allontanò. Sapeva dove il tenente volesse andare a parare, ma il suo cuore, la sua mente, provavano repulsione a quell’idea, quella dura realtà.

“Alphonse!”

Si voltò bruscamente verso Mustang, rimasto immobile fino a quel momento.

“Dov’è Al?! Cosa gli è successo? Mi risponda!”gridò con il petto in fiamme, mentre un bruciore intenso s’impossessava della sua gola e le lacrime cominciavano a illucidirle gli occhi.

Che fosse ferito? Scomparso? No, non poteva essere…Lei doveva prendersi cura di lui…

L’angoscia per la sorte di Al non era che l’ultima goccia di tutte le sensazioni che stavano per farla esplodere.

Aveva perso Ed, la sua amicizia, il suo amore e non voleva assolutamente che tutto ciò riaccadesse con Al. Senza entrambi si sentiva persa.

Le bastò un’occhiata di Mustang per comprendere ogni cosa.

 “Loro…hanno entrambi attraversato il portale”sussurrò.

“Mi dispiace”

Le gambe le cedettero, ciocche di capelli biondi le coprirono il viso.

Sheska si chinò su di lei e vide che, malgrado tutto, un sorriso, seppur pieno di malinconia e sconforto, le solcava le labbra della meccanica.

“Winry-chan…”

Lei non diede segno di averla udita; nonostante avesse perso le persone più importanti della sua vita non poteva che essere almeno rincuorata del fatto che fossero insieme, sani e salvi, anche se in un altro mondo. Però…

“Mi hanno lasciato sola…di nuovo”

Fin dalla loro partenza, anni prima, quando avevano preso la decisione di lasciare Risembool per ritrovare i loro corpi, aveva deciso che li avrebbe aspettati, perché sapeva che, un giorno, sarebbero tornati da lei; ma in quel momento era diverso: Anche se li avesse aspettati tutta la vita, loro non sarebbero mai tornati, mai.

Loro erano la sua famiglia.

“Devo andare…devo distruggere il portale”

Le parole di Mustang furono come una pugnalata al cuore.

Distruggere il portale significava arrendersi all’idea di perderli per sempre, tutti e due.

“Aspetti!”

Si rimise in piedi, guardandolo con supplichevole decisione.

“La prego colonnello, non lo distrugga!”

Lui la fissò intensamente.

“Non si può fare altrimenti: Ci sarebbe il rischio di una nuova invasione” 

La ragazza sostenne il suo sguardo.

“Potrà distruggerlo non appena sarò passata io”

Quella frase, pronunciata con voce decisa, scatenò in ciascuno dei presenti reazioni differenti.

“Winry, ma cosa dici?!”

Sheska la fissava sbigottita, i pugni stretti portati al petto.

La ragazza la fissò e l’amica.

“Ho fatto la mia scelta Sheska…”riuscì a dire con voce roca.

Era una decisione sofferta, da un certo punto di vista anche egoista, ma il cuore le diceva che se non avesse preso quella decisione subito, se ne sarebbe pentita per sempre.

“Raggiungerai Edward allora…” si lasciò scappare Riza, osservando seriamente la ragazza.

Lei abbozzò un sorriso.

“Li raggiungerò tutti e due”disse semplicemente.

“E se Acciaio e suo fratello avessero già distrutto l’altro portale? Non pensi che in questa eventualità il tuo tentativo sarebbe vano?”domandò Mustang.

Winry lo guardò con decisione.

“Senza alchimia ci impiegheranno molto di più per distruggerlo, per quando l’avranno fatto conto di averlo già passato”

Mustang la osservò. Era un’idea assurda, senza contare che fosse anche molto pericolosa, a dir poco folle… ma era il suo desiderio.

“E sia”disse infine con voce roca.

Sul viso di Winry si dipinse uno sguardo pieno di gratitudine.

“Quando?Come pensi di farlo?”

Gli occhi della ragazza si soffermarono sulla carcassa di uno dei mezzi nemici, molto simile a quello utilizzato da Edward.

“Intendi ricostruire quell’aggeggio?!”

“Tre giorni”

Il colonnello la fissò.

“Mi dia tre giorni per ricostruirlo, non appena avrò passato il portale potrà richiuderlo”

“Come farai? E’ a pezzi, senza contare che non esiste in tutta Amestris una diavoleria simile…”

“Lasci fare a me. La prego…”

Mustang annuì grave.

“Va bene.Ti farò avere tutto il necessario. Tre giorni, non uno di più”

“…ma, colonnello--”tentò di replicare Sheska.

Winry mise una mano sulla spalla dell’amica.

“Winry…”

“Sheska… è la mia scelta. Loro sono la mia famiglia, senza di loro non sarei la stessa”

La bruna sentì che in quelle parole c’era un fondo di verità.

Un silenzio opprimente scese sul gruppo, infine Sheska annuì con il capo.

Winry sospirò, per poi concentrare lo sguardo in un punto imprecisato del cielo.

-Edward, Alphonse…Stavolta siate voi ad aspettare me…aspettatemi, vi raggiungerò ad ogni costo!-

     






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Capitolo 2
*** Malinconia: Monaco di Baviera 1923 ***


Cap 2 wait for me

Capitolo 2

Malinconia: Monaco di Baviera 1923

 

 

Era tarda notte.

L’intera casa era avvolta da un silenzio tombale, rotto solamente dai respiri lenti e regolari dei suoi abitanti.

Alphonse Elric se ne rimaneva immobile con le coperte tirate fino al mento, gli occhi socchiusi e impastati di sonno. Si rigirò su un lato, affondando il viso nel cuscino ma dopo pochi minuti si alzò, sedendosi sul bordo del letto, incapace di riaddormentarsi.

 Erano due giorni che riusciva a dormire solo per poche ore a notte e i segni della sua stanchezza si potevano vedere nelle occhiaie scure sotto i suoi occhi grigioverde e il pallore del suo volto.

I suoi pensieri furono interrotti da un gemito soffocato proveniente dalla stanza affianco, che lo fece rizzare subito in piedi.

Indossò rapidamente le ciabatte e uscì dalla sua stanza, mentre un nuovo gemito, più acuto, lo allarmava ancora di più. Attraversò quel breve tratto di corridoio che lo separava dalla camera attigua e aprì la porta.

“Nii-san!”

Il suo fratellone era steso sul letto, il viso sudato e deformato da una smorfia, le mani, sia quella artificiale che quella di carne, serrate in una stretta convulsa sulle coperte chiare.

Il minore degli Elric si precipitò immediatamente al suo capezzale, inginocchiandosi precipitosamente di fianco al letto e cominciando a scuotere il fratello, che sembrava ancora fra le braccia di morfeo, in preda di un incubo dovuto al dolore che da due giorni non gli dava tregua.

Le mani del ragazzino si serrarono con più forza sulle spalle del fratello maggiore che, a quella stretta, cominciò a dibattersi nel sonno.

“Svegliati, nii-san!”

“ Rivoglio mio fratello…ridagli il suo corpo, ridaglielo!”gemette l’altro.

Edward tentò di divincolarsi dalla presa del fratellino, che si stava preoccupando sempre più..

“Nii-san è solo un sogno, svegliati!”

“Alphonse, che sta succedendo?!”

Noah era comparsa sul ciglio della porta e guardava preoccupata entrambi gli Elric; evidentemente aveva sentito le voci dalla camera attigua in cui lei dormiva ed era accorsa immediatamente.

“Noah, chiama un dottore, presto!”

La ragazza scomparve immediatamente oltre la porta; Alphonse ne sentì i passi frettolosi scendere le scale per raggiungere l’unico telefono della casa funzionante, che si trovava nel negozio di fiori della signora Glacier al piano sottostante. Si trovò a maledire mentalmente quel trabiccolo di apparecchio telefonico che avevano nella loro casa e che non dava cenni di vita da almeno due settimane.

“Nh! N-non...”

“Nii-san, calmati!”

Edward ormai si agitava sempre di più e a stento Alphonse riusciva a bloccarlo.

 “Win…Winry...n-non...”

“Fratellone, svegliati!”

Dopo l’ennesimo, supplichevole richiamo del fratello minore, Ed riaprì gli occhi di scatto, respirando a grandi boccate.

I suoi occhi ambrati si soffermarono sul viso del ragazzino al suo fianco, tentando di metterlo a fuoco.

“A-Al?”sussurrò infine.

Con il respiro affannoso si guardò intorno, come per accertarsi di non trovarsi ancora nell'incubo che poco prima viveva, mentre con un braccio si detergeva un rivolo di sudore freddo che gli scendeva per la tempia.

Il minore si chinò su di lui, allentando un po’ la presa sulle sue spalle.

“Si, nii-san. Sono io…”gli rispose "Stavi parlando nel sonno, stavi...."

-Stavi rivivendo il giorno della trasmutazione della mamma, vero? E stavi chiamando Winry...-

Il suo viso si corrugò, assumendo un cipiglio apprensivo e malinconico.

-Fratellone...non riesci a darti pace, non è vero?-

“Al…il dolore alla gamba…“gemette sconnessamente il maggiore, ignaro dei pensieri del fratello minore, stringendo una mano attorno all’attaccatura dell’automail.

“Cerca di resistere, Noah è andata a chiamare un medico. Sarà qui presto, vedrai!”lo rassicurò l'altro.

“Al! Io non voglio un medico!” mormorò Ed a denti stretti, sorpreso da un’altra fitta di dolore lancinante alla giuntura della protesi d'acciaio.

“E invece si, nii-san! Dopo due giorni in questo stato lo chiamo eccome un medico, che tu voglia o meno!”replicò Al, sbuffando spazientito.

Era stanco ma non gli importava, tuttavia la cocciutaggine del fratello, in quel momento, lo indisponeva parecchio.

Edward rinunciò momentaneamente a replicare non appena vide la sua espressione e abbozzò un sorriso tirato, socchiuse gli occhi e fissò il viso del fratellino.

“Al, sei pallido…”sbottò.

Alphonse si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lo guardò dritto negli occhi.

 “Ti preoccupi sempre troppo…”continuò il maggiore.

“Mi preoccupo quando devo, stupido fratellone!”replicò l'altro sbuffando.

Furono interrotti da Noah, che entrò nella camera avvisandoli che presto sarebbe arrivato un medico.

Per dieci minuti buoni aspettarono il suo arrivo, mentre un Edward dolorante e quanto mai contrariato continuava a ripetere, fra un gemito e l’altro, che no: lui non aveva affatto bisogno di un dottore, ne in quel momento, ne mai.

Dopo l’ennesima replica del fratello minore il campanello squillò al piano di sotto e Noah andò ad aprire alla porta, mentre Edward la supplicava di non farlo.

"Noah, ferma! Il dolore mi stà già passando, lo giuro! Lascia perdere il medico! Noah! Mi hai sentito?!"

“Ti comporti come un bambino nii-san!”

Il biondo ex alchimista decise di giocarsi l’ultima carta e fissò con una faccia da cane bastonato il fratello.

“Alphonse, ti prego…non permettere ad uno sconosciuto di mettere le mani addosso al tuo adorato fratello maggiore. Ti prego!”

“Nii-san!”

Una nuova fitta di dolore impedì ad Edward di continuare la sua penosa sceneggiata.

“Abbiamo un paziente reticente a quanto pare…”

Edward con uno scatto d'ira s'alzò a sedere tenendosi la gamba dolorante e sbraitò contro la persona che era appena apparsa oltre il ciglio della porta.

“Si faccia gli affaracci suo--!”

La voce di Edward morì in gola non appena i suoi occhi si posarono sulla persona che era appena entrata, Alphonse seguì il suo sguardo e non appena vide anch'egli si trattenne da passarsi una mano sugli occhi per massaggiarsi le tempie pulsanti.

-No! Non adesso!-gemette mentalmente il minore degli Elric, mentre Noah lo fissava dubbiosa.

La ragazza apparsa sulla porta alle spalle della giovane gitana portava i capelli biondi, lunghi, legati in una coda alta, una frangetta a solleticare gli occhi nascosti da un paio di occhiali da vista.

La giovane fissò Edward per qualche istante, togliendosi gli occhiali e guardandolo con sguardo professionale che ai due fratelli provocò un deja vu .

Era l’esatta copia di una meccanica di loro conoscenza, eppure i suoi occhi erano di un caldo e profondo nocciola e i capelli avevano una tonalità leggermente più scura dalla Winry di loro conoscienza.

“Winry…” boccheggiò per un istante Ed, reso non del tutto lucido dal dolore.

Si limitò solo a quel bisbiglio confuso, ma Al notò l'improvvisa tensione dei muscoli delle sue braccia, quasi come se lui si stesse trattenendo dall'allungare un braccio nella sua direzione per poterla toccare.

“Ci conosciamo?” domandò la giovane, avvicinandosi e posando a terra la sua pesante borsa da lavoro.

Ed fece una smorfia alla vista di quei caldi occhi nocciola che si posavano su di lui: con tutta probabilità avrebbe tanto voluto fossero cerulei, limpidi e profondi come il mare.

“No, no e solo che…lei assomiglia ad una nostra conoscente”precisò Al frettolosamente per togliere d'impiccio il fratello.

“Capisco…”replicò di rimando la dottoressa.

"E' insolito...anch'io mi chiamo Winry, Winry Roughbert per la precisione" continuò per fare conversazione, sorridendo senza perdere l'aria estremamente professionale che fino a quel momento aveva avuto.

"Potrei forse essere una parente della vostra conoscente...voi siete di qui o siete di passaggio?"

Al  sorrise cortesemente.

"Siamo a Monaco da poco tempo,  fino a poco fà abbiamo viaggiato. E' la prima volta che capitiamo da queste parti così la Winry di nostra conoscenza...non penso che lei possa conoscerla..."

"Capisco...." disse lei per poi tornare immediatamente seria.

Si avvicinò ad Edward, che si era di colpo rabbuiato appena resosi conto che quella non era la sua amica d’infanzia, fissandolo intensamente.

"Bene signor...Elric?"

Ed annuì.

"Vediamo di dare un'occhiata a questa protesi..."

La dottoressa invitò Alphonse e Noah ad uscire dalla stanza per poter controllare l’automail di Ed con calma e i due si accomodarono nel corridoio.

Dovettero passare poco più di venti minuti prima che la porta della camera di Edward si aprisse per far uscire la giovane donna. Alphonse, che fino a quel momento era rimasto appoggiato al muro davanti alla camera del fratello, le si avvicinò.

“Allora, come sta?”

Lei gli dedicò un sorriso di circostanza sistemandosi una ciocca di capelli biondo scuro dietro l'orecchio.

“Il dolore era causato da un nervo mal collegato alla protesi, l’ho messo a posto e ora sta decisamente meglio, anche se sarebbe meglio evitare di sforzare eccessivamente l’arto per almeno i prossimi quattro-cinque giorni”

Alphonse annuì con decisione.

"Ora è a posto, ma la parte interessata potrebbe infiammarsi se si sottoponesse a sforzi..."

“Non si preoccupi, lo terrò d’occhio io”replicò Al.

La dottoressa infilò nella borsa un paio di guanti medici, per poi prendere un piccolo blocchetto di fogli e una penna.

“Ancora una cosa: se dovesse ripresentarsi un po’ di dolore potete somministrargli uno di questi anti dolorifici leggeri che dovrebbero calmare il tutto in un’ora circa. Purtroppo non potrò venire nuovamente a controllare le sue condizioni, sarò impegnata da domani al fronte, per curare i feriti”

La ragazza porse al minore degli Elric una ricetta per il farmaco strappandola dal suo taqquino.

Dopo ciò Al la riaccompagnò fino alla porta, la ringraziò per l’ennesima volta e poi chiuse l’uscio alle sue spalle.

“Allora è tutto a posto…”

Al annuì tranquillamente in direzione di Noah, seduta sulla poltrona del piccolo salotto dell’abitazione.

“Si, tutto a posto. Puoi andare a dormire tranquilla ora” le disse il piccolo Elric per poi augurarle la buona notte.

Percorse automaticamente il piccolo corridoio e si fermò davanti la porta della camera del fratello, per poi entrare.

Lo trovò seduto sul bordo del letto, intento a fissare assente il paesaggio fuori dalla finestra.

“Nii-san…”

Il maggiore abbassò lo sguardo a terra, intrecciando le dita metalliche con quelle di carne davanti al viso. Sembrava voler stare per i fatti suoi, ma Al non se la sentiva di lasciarlo solo con i suoi pensieri, nonostante sapesse di non poter far nulla per lui.

Si avvicinò al letto e vi si sedette sopra, avvertendo le molle del materasso cigolare al peso supplementare che dovevano reggere.

“Stai bene?”

-No, che non sta bene- si rispose da solo, fissando gli occhi ambrati del fratello; il suo viso si era fatto cupo e sembrava dimostrare molti più anni di quanti ne avesse realmente.

Edward gli rivolse una lunga occhiata, per poi gettarsi all’indietro, fra le candide coperte del suo letto.

“E’ così…”

La voce del maggiore si soffocò da sola, mentre il suo proprietario fissava il soffitto chiaro della stanza, le braccia incrociate dietro la nuca.

“Nii-san…?”

“E’ così simile… ”sussurrò impercettibilmente il maggiore dei due.

Alphonse sapeva cosa, o per meglio dire chi, era la causa della malinconia del fratello, ma ancora più frustrante era sapere che non poteva fare nulla per placare quei sentimenti.

Lui poteva donargli solo il suo amore, quello fraterno che li legava indissolubilmente da una vita, mentre al suo fratellone mancava qualcosa di ben diverso: l’amore della donna che amava, di quella persona che mai più avrebbe rivisto se non nei sogni.

“Fratellone…”

Voleva solo parlare Alphonse, voleva solamente che lui si sfogasse, essergli di un qualche appoggio e, in cuor suo, voleva sapere se Ed provasse i suoi medesimi sentimenti, perché, nonostante provasse solo semplice amicizia nei confronti di Winry, sentiva a volte un vuoto spaventoso all’altezza dello stomaco, un senso di smarrimento e nostalgia al solo ricordo di lei e delle persone che si trovavano oltre il portale, nel mondo in cui erano nati e cresciuti.

“…fratellone, io…”

Il viso di Edward si rabbuiò.

“Lasciami solo”

Il silenzio scese fra i due, pesante e palpabile, tuttavia Al non si mosse di un millimetro. Il piccolo Elric ammise a se stesso che non solo desiderava che il fratello si confidasse con lui, ma che desiderava lui stesso confidarsi, parlare al suo fratellone di ciò che provava e lo tormentava. Naturalmente entrambi si comprendevano perfettamente con un'occhiata, ma Al in quel momento sentiva il bisogno di poter liberare quelle parole e sentire il Ed fare altrettanto.

“Certe volte…penso…penso a casa nostra”cominciò prendendo coraggio.

“Mi capita spesso di pensare al colonnello e la signorina Hawkeye…e alla zia Pinako, Den e... aWinry”

“E’ inutile pensarci”

Edward ora lo fissava, una rassegnazione mascherata da decisione nelle iridi dorate.

“Facendo così non facciamo altro che soffrire, inutilmente.”si fermò per un breve istante, per poi riprendere “Ora questo è il nostro mondo e, che ci piaccia o meno, non potremmo mai più tornare indietro”

“Anch’io lo so…solo…non faccio che pensare che avrebbe potuto esserci un’alternativa a tutto questo”

Il maggiore gli posò una mano sulla spalla.

“Tutto ciò l’abbiamo fatto per salvare il nostro mondo; abbiamo il compito di chiudere quel portale al più presto e quando lo sarà Amestris sarà in salvo definitivamente; mai più nessuno potrà tentare un'invasione”

-Sei così determinato fratellone...eppure lo sento...sento che anche tu provi lo stesso che provo io. Perchè non vuoi parlarmene?Sono forse io ad essere troppo debole da averne il bisogno?-

Sorrise Ed, mentre l’altro si alzava in piedi per dirigersi verso la porta; una volta sul ciglio si fermò.

“Nii-san…”

L’altro gli dedicò un’ultima sfuggevole occhiata.

“Io non mi pento di averti seguito e non lo farò mai. Stare in questo o nell'altro mondo…”

Ed guardò il suo fratellino, mentre questi voltava il capo verso di lui.

“…per me ha importanza solo se posso esserti affianco”terminò con estrema sincerità. 

Era vero, ad Al quello che premeva di più era poter stare con Ed. Lui era l'unico parente che gli era rimasto, era il suo prezioso nii-san e lo amava con tutto se stesso; eppure anche gli altri legami della sua vita erano importanti ed Alphonse Elric si era reso conto di non potersi aggrappare solamente ad Ed per poter vivere; proprio quando aveva compreso ciò aveva tagliato i ponti con il suo vecchio mondo, con Sheska, la zia Pinako, Il colonnello Mustang, il tenente Hawkeye, Winry e tutti coloro ai quali si era affezzionato: si sentiva sperduto da un certo punto di vista benchè sapesse non essere solo in quel nuovo mondo.

Edward gli sorrise.

"Andrà tutto bene Al. Riusciremo a costruire la nostra vita: qui, insieme, te lo prometto"

Il maggiore degli Elric si fermò ad osservare il viso roseo e sorridente del fratello. Si ritrovò a pensare che tutti quegli anni di sacrifici e dolore non contavano più se paragonati a quello spettacolo: Alphonse in grado di parlare con voce viva e umana, l’Alphonse capace di sorridere, piangere e dormire, l’Alphonse sentimentale che, nelle giornate di pioggia, tornava a casa bagnato fradicio con un gattino sotto la giacca e che gli supplicava di tenerlo per almeno una notte. Aveva ritrovato il suo adorato fratello e ciò per lui contava più di qualsiasi altra cosa, nonostante sentisse la mancanza del suo vecchio mondo non si pentiva della sua decisione. In cuor suo sapeva che sarebbe sopravvissuto alla mancanza dell'affetto della zia Pinako, a quel sentimento che preferiva lasciare senza nome che provava per Winry, alla competizione fra lui e Mustang, ai rimproveri non troppo bruschi e agli utili consigli del tenente Hawkeye, ma era certo che non sarebbe riuscito a vivere senza Alphose. Quando si era trovato davati ad una decisione aveva scelto il male minore ed in questo modo era riuscito anche ad assucurare la pace al mondo in cui era nato e cresciuto e alle persone che, come Winry, meritavano la serenità che lui aveva offerto loro con quella scelta; aveva la coscienza apposto, ma continuava a sentirsi inquieto nonostante tutto.

Sorrise e Al lo vide, vide quel sorriso un po’ malinconico che caratterizzava il suo fratellone da quando aveva abbandonato Amestris.

Avrebbe voluto parlargli ancora, ma desistette per un motivo a lui stesso sconosciuto.

“Grazie Ed”disse in un sossurro.

Il maggiore fece un piccolo cenno col capo, sospirando impercettibilmente.

“Buona notte, nii-san”disse Al uscendo dalla camera.

“Notte, fratellino…”


























Note finali: Ecco qui il secondo capitolo! Vi è piaciuto? Ho ritardato la pubblicazione per allungare un pò la storia e mettere qualche descrizione in più, come mi è stato consigliato...devo dire di esserne soddisfatta^^ Ringrazio Annie Black (Ecco qua cosa combinano nel mentre i due Elric^^Spero proprio che questa fan fic soddisfi le tue aspettative; farò del mio meglio perchè sia così^^), WinryRockbellTheQueen (che nome lungo xD Anch'io ammetto di essere in astinenza da EdWinry, quindi scrivere questa fanfic per me è un qualcosa di terapeutico^_^ Grazie e continua a seguirmi!) , Aer_alchemist (Grazie per il commento; effettivamente ho notato che non è scritta al meglio e perciò sto cercando di risolvere il problema sistemando e riscrivendo alcuni punti. Ti ringrazio per avermelo fatto notare, vedrò di migliorare per rendere migliore la mia fan fic!) e Leli 1441 ( *Logorata dai sensi di colpa* Azz mi hai beccata! Quella royai da terminare è lì in attesa di essere completata, ma purtroppo l'ispirazione ha levato le tende e non accenna a tornare. Appena mi torna prometto di finirla come si deve, nel mentre comunque ho preparato una sorpresuccia in questa fic....^_^)
Mi raccomando, recensite!

A presto,
Irene Adler

 

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Capitolo 3
*** Incomprensioni: un mondo così nuovo, così sconosciuto ***


Capitolo 3

Incomprensioni: Un mondo così nuovo, così conosciuto.

by Irene Adler

 

 

L’impatto fu violento da farle temere di morire sul colpo senza neppur rendersi conto pienamente della situazione. Sentì la lamiera del mezzo accartocciarsi su se stesso con uno stridore terrificante, cigolando e lacerandosi con una facilità sconcertante.

Mai era salita su un mezzo simile e, mentre l’abitacolo si accartocciava per il violento urto, per un istante sperò di non dover mai più salire su un simile aggeggio, nonostante le sue parti meccaniche fossero, per una maniaca della meccanica come lei, qualcosa di tremendamente affascinante.

Ciò che rimaneva dell’aereo si capottò per l’ultima volta, avvolto da una nube di polvere e detriti, per poi finalmente fermarsi.

La prima cosa che Winry Rockbell pensò, scontata ma rincuorante, fù che era vita e avrebbe sorriso se non fosse stata per la paura che ancora le sconquassava il petto.

-E’ già qualcosa Winry, il peggio è passato- si disse riaprendo gli occhi che poco prima aveva serrato. Le mani le tremavano mentre si passava il dorso di quella destra sulla fronte, ma non vi badò, anche perché, oltre ad esse, tutto il suo corpo tremava per ciò che aveva vissuto pochi secondi prima.

Prima di spostarsi nell’abitacolo, ormai quasi del tutto sventrato nell’impatto, si tastò le gambe per verificare se ci fossero eventuali ferite, poi fece lo stesso con le braccia e il busto; il risultato fu meno grave di quanto pensasse: la caviglia destra nell’impatto aveva subito una botta non indifferente, ma non tanto grave da preoccupare, la spalla destra le doleva e probabilmente l’omero era uscito dalla sede dell’articolazione ma per metterlo a posto sarebbe bastata la giusta manovra e un po’ di sangue freddo. Ciò che la preoccupava maggiormente era l’ematoma alla tempia sinistra, che le sfocava la vista ed iniziava a provocarle giramenti di testa particolarmente fastidiosi.

-Devo uscire di qui…-

Non conosceva le condizioni del mezzo e se questi perdeva carburante avrebbe potuto prendere fuoco e ucciderla.

-Sarebbe il colmo… riuscire ad attraversare il portale per poi morire fra le fiamme…-

Poggiò mollemente una  mano al vetro dell’abitacolo, per buona parte scheggiato e in frantumi, tentando di aprire il portellone.

-Non esiste…che io muoia in un posto simile!Non dopo tutto quello che ho fatto…-

Cercò di fare leva con il braccio sano, ma non ottenne risultati migliori e il portellone continuò a rimanere bloccato, imprigionandola al suo interno.

Si abbandonò contro il sedile respirando affannosamente, mentre la vista si appannava sempre più; cercò di riacquistare un po’ di lucidità per trovare il modo di uscire da lì in fretta, mentre le sembrava di udire il lieve crepitio di un fuoco.

-Che la benzina abbia preso fuoco?-

Sentendo l’odore di fumo tentò di spingere con tutte le proprie forze il portellone, mentre la paura cresceva sempre più incontrollata dentro di lei.

Le fiamme iniziarono ad intravedersi nello squarcio sulla fiancata, minacciandola con i suoi colori violenti.

-Apriti! Apriti! Io non posso…! Non qui dentro!-

Le spinte divennero pugni, che si fecero man mano sempre più violenti.

“Dannazione!” gemette a denti stretti, mentre la vista le si offuscava sempre di più.

Sentì con orrore di star per perdere coscienza e si gettò con tutte le sue forze contro l’uscita dell’abitacolo, senza riuscire a muoverlo.

Scivolò contro la superficie liscia e fredda dell’aereo, mordendosi a sangue il labbro per tentare, con il dolore, di non svenire.

-Ed…Al…-

Il fuoco divampò al suo fianco e pian piano l’incoscienza prendeva possesso del suo corpo.

Con gli ultimi barlumi di ragione la sua mano si chiuse sul piccolo ciondolo che portava al collo, nel quale vi era una foto di lei, Ed e Al da piccoli.

“Alphonse…Edward…mi dispiace”

Poteva sentire il calore del fuoco al suo fianco.

“Temo…”

Qualcosa al suo fianco si spostò, ma lei aveva quasi del tutto perso la percezione di ciò che la circondava.

“…che non ci sarà una prossima volta...”

Una figura si stagliò fra il rosso sanguigno delle fiamme.

“…per noi”

 “Ehi tu, che ci fai qui dentro?!”

Un viso sfocato apparve dall’altra parte del vetro dell’abitacolo ma Winry ormai riusciva solamente a distinguerne a mala pena le fattezze umane, mentre tutto si faceva sempre più confuso nella sua mente.

“Non preoccuparti, ora ti tiro fuori!”

Un sorriso appena accennato le comparve sulle labbra, poi sprofondò nell’oblio.

“Ehi! Ragazzina, rimani sveglia!”

All’esterno dell’abitacolo lo sconosciuto afferrò una sbarra di ferro per far leva sul portellone, applicò tutto il suo peso per smuovere l’ostacolo e, con un suono metallico, il portellone si aprì di qualche centimetro.

 “Resisti ancora un po’! Ci siamo quasi!”

I cardini cedettero, lasciando spalancare l’uscita dall’abitacolo.

“Ragazzina! Ragazzina!”

Non ricevendo risposta, l’uomo si sporse all’interno delle lamiere ed estrasse il corpo inerte della ragazza, prendendola fra le braccia e sottraendola al fuoco che ormai aveva attecchito anche al corpo principale del piccolo aereo.

Questi si allontanò in gran fretta chiamando all’attenzione altre persone che stavano nelle vicinanze, già precedentemente avvisate dal rumore causato dall’impatto dell’aereo della ragazza, che stavano già organizzando tutto il necessario per placare l’incendio.

“Heiz il fuoco si sta propagando! Portate le pompe dell’acqua, dobbiamo evitare che l’incendio si propaghi ulteriormente!”

“Sarebbe meglio chiamare i pompieri! Non abbiamo le attrezzature necessarie per far fronte…!”

“Certo Heiz, allora quando arriveranno qui sarai tu a spiegare loro cosa sia quella specie di porta dell’inferno che stà sopra le nostre teste!”

“C-Capisco…”

“Signor Huges! Che è successo, chi è quella ragazza?!”

“Non ne ho idea. E’ venuta da Shamballa, l’ho vista passare il portale con uno degli aerei di Thule, credo sia ferita in modo piuttosto serio!”

“Un medico! Chiamate un medico!”

Il crepitio del fuoco si faceva sempre più alto, ma un altro suono lacerava l’aria.

“Guardate lassù! Sta succedendo qualcosa al portale per Shamballa!”

“Presto, andiamo via di qui!!”

Se Winry fosse stata cosciente avrebbe sentito urla indistinte, un violento scoppio e avrebbe visto l’uomo che l’aveva salvata portarla di peso al sicuro, lontana dal portale, che ora iniziava a creparsi e a cedere alla gravità.

Tutto durò pochi istanti, nei quali il passaggio verso il mondo alchemico si sbriciolò sotto gli occhi di un piccolo gruppo di persone, atterrite e attonite, per poi cadere a terra in un cumulo di macerie.

L’uomo che corrispondeva al nome di Huges fissò la ragazza svenuta con sguardo torvo, mentre gli ultimi resti di ciò che era il passaggio verso quel regno tanto misterioso e sconosciuto divenivano inutile polvere.

 

“Buongiorno signora Glacier!”

La donna posò un piccolo vaso di fiori sul bancone del negozio per poi girarsi verso di il ragazzino che l’aveva salutata.

“Buongiorno Alphonse. Tuo fratello sta meglio?”domandò dolcemente, accarezzando con la punta delle dita i piccoli boccioli di ciclamino che sporgevano solo di qualche centimetro dal terriccio umido del vaso.

Il piccolo Elric annuì rafforzando la presa sulle borse della spesa, dentro le quali c’era l’occorrente per la cena.

“Si, lui sta un po’ meglio. Con la scusa che deve rimettersi in sesto cercherò di propinargli da bere un po’ di latte”

“Sta attento, l’ultima volta l’ha versato fuori dalla finestra”lo informò Glacier, accennando al vaso di geranei posto sul cortiletto interno del negozio, posizione che coincideva perfettamente con la finestra del cucinotto di casa Elric.

-Dannazione!-

Al abbassò lo sguardo, mortificato.

“M-mi dispiace immensamente per i suoi fiori! Le prometto che la cosa non si ripeterà mai più!”

Glacier scosse il capo sorridendo radiosa, per poi estrarre da sotto il bancone un mazzo di gerbere e sistemarlo in un vaso.

“Non devi scusarti caro! Anzi, devo dire che dopo il trattamento a base di latte quei geranei hanno rafforzato il proprio fusto e sembra che anche il colore sia più brillante!”

Il minore degli Elric sospirò, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso arrendevole.

La signore Glacier era sempre così buona e dolce che il piccolo Al si trovava spesso e volentieri a contemplarla e notare sempre maggiori punti in comune fra lei e sua madre; a volte, quando lei sorrideva, aveva la sensazione che Trisha Elric fosse davanti a lui, in attesa di lodarlo per la sua prima trasmutazione o per aver finito il latte prima di Ed.

Al si sentiva sciocco per questi suoi pensieri, ma era più forte di lui ed in più gli faceva veramente bene chiacchierare anche solo qualche minuto al giorno con la signora Glacier, almeno riusciva a distrarsi dai suoi pensieri più negativi.

“Alphonse…Al…caro, tutto bene?”

Il minore dei fratelli Elric si scosse dai suoi pensieri e si affrettò a rispondere alla donna, che lo fissava con un po’ di preoccupazione.

“E’ tutto a posto? Ti vedo un po’ strano…Faresti meglio a riposarti un po’!”

“E’ tutto ok! Sono solo un po’ pensieroso…e poi c’è Ed che non mi rende la vita facile” disse, sorridendo tranquillizzante alla donna.

“Il mio fratellone certe volte sa essere così infantile…”

Glacier ricambiò il sorriso.

“A volte sembri tu il fratello maggiore fra i due, Al. Si vede che tieni davvero moltissimo a lui!”

Al incespicò nel primo gradino che portava alla sua abitazione, poi si voltò con il viso un po’ arrossato.

“B-Beh, è mio fratello e la mia famiglia: gli voglio bene anche quando mi fa arrabbiare, forse è per questo che non riesco mai a sgridarlo seriamente!”

“E’ il tuo tallone d’Achille Al, sei sempre dolce con tutti, non riesci mai ad arrabbiarti seriamente…Ah! Max…i-il signor Huges intendo- si corresse arrossendo appena-… ha chiamato stamattina quando tu e tuo fratello eravate fuori. Mi ha detto di dirvi che il portale è diventato instabile e si è definitivamente chiuso…e che una rag…”

“UHAAAAH!”

Un urlo disumano proveniente dal piano superiore fece rizzare i capelli al giovane Elric e per poco Glacier non rischiò di far cadere a terra una piccola pianta di rose selvatiche.

“ALPHOOOONSEEEE!”

Il ragazzino sussultò, salutò di fretta la padrona di casa e si precipitò su per le scale.

Spalancò la porta di casa e si guardò attorno, alla ricerca della figura famigliare del fratello maggiore, che gli apparve giusto a qualche passa davanti a sè.

“Nii-san…?”

Edward Elric guardava fra il terrorizzato e lo schifato una ciotola posata a terra contenente una sostanza biancastra, nota ai più come latte, mentre un ignaro e innocente gattino attingeva da quel contenitore, leccandosi di tanto in tanto i baffi.

“Al!”

Il minore degli Elric posò a terra le borse della spesa e guardò il maggiore, sospirando.

“Che c’è?”

Edward si passò una mano sulla fronte nell’evidente tentativo di recuperare un po’ di calma.

“Al…Al…Al…”

“Sono qui”disse l’altro con un’innocenza disarmante, mentre rivolgeva un’occhiata amorevole alla creaturina pelosa che in quel momento aveva preso a leccarsi la zampetta, soddisfatto della mangiata.

Ed sospirò gravemente.

“Nii-san…?”

“Uno. Che ci fa questo…animale…- indicò la dolce creaturina -…a casa nostra?”

“Nii-san, io…”

“Due- continuò l’Elric maggiore-…perché hai disseminato la casa di ciotole di latte? Perché ci sono tutte quelle confezioni di quella…roba…sparse per casa?”

La sua voce era un po’ più alterata del solito.

Il povero Alphonse diede una rapida occhiata alla busta della spesa, che conteneva un’altra confezione del demoniaco liquido biancastro che il fratello tanto rifuggiva.

Senza dar il tempo al minore di rispondere, Edward indicò il gattino dal pelo fulvo.

“Non può stare qui, lo sai Al!”

“Nii-san, era fuori al freddo aveva tanta fame…- provò a giustificarsi il fratello-…era tutto infreddolito…non potevo…”continuò a balbettii.

“Si che potevi lasciarlo fuori! Se la sarebbe cavata!”replicò l’altro.

Alphonse tentò di prendere la parola con un flebile ‘ma io’, ma il fratello non gli diede modo di parlare.

“Quante volte ti avrò detto che non abbiamo abbastanza spazio in questa casa?!”

“Ma io…”

“Niente ma Al! Ora riporti questo gatto dove l’hai trovato e già che ci sei togli dai piedi tutto il latte che c’è in giro!”

Alphonse abbassò il capo, il viso nascosto dai capelli chiari.

“Io…”

“Al, subito!”

“Ma il latte…”

“Subito!”

“Il gatto…”

“Ora, Al!”

Alphonse sollevò il capo e prima ancora che Edward avesse il tempo di dire un’altra parola, prese il micetto in braccio e corse lungo il piccolo corridoio dell’abitazione.

“Stupido fratellone!Sei senza cuore!”

Ed fece appena in tempo a registrare quella frase che sentì la porta della stanza del fratello sbattere piuttosto violentemente.

Rimase a fissarla per un momento, poi distolse lo sguardo.

“Dannazione!”

Afferrò al volo il suo cappotto e si avviò verso l’uscita di corsa, incrociando Noah sulla soglia.

“Edward, ma che…?”

“Torno per cena!”

“Ma Ed! La tua gamba!”

“Sta meglio!”

“Ma il dottore…”

“Noah, lasciami stare! Ho bisogno di una boccata d’aria!”

Detto ciò uscì di casa.

 

Era sera tardi quando rincasò.

Noah era andata a letto da parecchio e l’abitazione era vuota e silenziosa.

Edward posò stancamente la giacca sul divano, ignorando la cena che la giovane gitana le aveva tenuto da parte e che, per strane ragioni, alla sola vista gli provocava il voltastomaco.

Percorse il corridoio sul quale s'affacciavano le uniche tre camere della casa, fermandosi davanti a quella che apparteneva ad Alphonse, per poi posare una mano sulla superficie irregolare e scura della porta.

“Al…sei sveglio?”

La mano del ragazzo sfiorò la maniglia d'ottone, senza accennare alcun movimento per aprire l'uscio.

“Al…”

Dall’interno non provenì alcuna risposta.

Edward fissò la maniglia in un breve attimo di indecisione, poi la sua mano piegò il freddo metallo, socchiudendo la porta.

 Al era coricato sul letto, le spalle alla porta; sembrava dormire.

Si avvicinò titubante, per poi fissare il suo viso.

Con tutta probabilità aveva pianto, perché le guance erano arrossate, i capelli arruffati attaccati al viso ancora umido; fra le sue braccia spuntava il musetto del gattino che aveva raccolto per strada, che dormiva beatamente accoccolato fra la pelle morbida e asciutta del petto del ragazzino e il tessuto morbido del pigiama, aperto per i primi tre bottoni.

A questa vista il maggiore degli Elric provò una gran tenerezza, mista a tristezza.

Ultimamente non faceva mai la cosa giusta con Al, riusciva sempre a farlo arrabbiare o preoccupare più del necessario.

Stavolta l’aveva fatto piangere e, a giudicare dal suo viso, anche parecchio.

Era la prima volta che lo vedeva in quello stato da dopo la trasmutazione.

-Scusami Al…è solo che io…-

Come poteva dirglielo? Dirgli che ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva i visi di chi aveva lasciato per sempre ad Amestris, parlargli del dolore costante che gli bruciava il petto ogni volta che si accennava inavvertitamente al loro vecchio mondo?

E poi quella donna…quella ragazza così simile a Winry nell’aspetto l’aveva inquietato più di ogni altra cosa.

Temeva che con il tempo il viso di quella sconosciuta e della sua amica di infanzia potessero sovrapporsi, finendo per confondersi.

Temeva di dimenticarsi di Winry, di sostituirla con qualcun'altra.

Tuttavia tutto questo Ed non poteva dirlo a suo fratello e sentiva che non sarebbe stato giusto farlo in nome di una regola non scritta che implicava il suo ruolo di fratello maggiore; Ed sapeva che Al soffriva per la lontananza dal loro mondo, ma sentiva anche che il parlarne avrebbe solo peggiorato le cose. In più lui con le parole non era mai stato bravo, neanche lontanamente.

“Scusami, Al”

Odiava vederlo triste, più di ogni altra cosa al mondo.

-Lo so che è sciocco volerti proteggere anche adesso Al. Sei grande ormai e il mio ruolo di fratello maggiore non vale più un gran che, però non voglio mai più vederti piangere-

Ed ricordava ancora quelle lacrime invisibili che aveva visto più volte scendere dalle aperture vuote dell’elmo dell’armatura che faceva da corpo a suo fratello; ricordava ogni istante, ogni dettaglio, ogni notte che trascorrevano insieme, nelle quali fingeva di dormire ed invece ascoltava i discorsi che Al gli faceva credendolo addormentato. Lui aveva visto ogni notte le sue lacrime invisibili al resto del mondo e il vederle in quel momento, lì, cristallizzate e libere di sfogarsi sulle guance di carne di Al, le rendeva forse ancor più dolorose ai suoi occhi di fratello maggiore.

-Forse sono un fallimento come nii-san, ma voglio poterti proteggere Al, proteggerti dal dolore che hai vissuto per anni e anni e che ora non meriti-

Sospirò nell’oscurità.

“Al…tuo fratello è uno sciocco…”

-Come posso proteggerti dalla tristezza se invece riesco solo ad esserne la causa?-

Al si mosse nel sonno, mentre il gattino si accoccolava meglio fra le sue braccia.

“Nii-san…insieme…nello stesso…mondo”

Al sorrideva.

“In…sieme…”

Ed si ritrovò, suo malgrado, a fare altrettanto.

Si diede dello sciocco.

Che importava tutto ciò che aveva pensato? Alphonse voleva che lui fosse al suo fianco, l’aveva detto chiaramente più e più volte e ad Ed questo bastava: avrebbe continuato questa battaglia contro i mulini a vento solo per lui, per il suo nii-chan.

Bloccò l’impulso di arruffare i capelli chiari del fratello per paura di svegliarlo, gli diede le spalle e si avviò verso camera sua, schivando abilmente una ciotola di latte posata di fianco alla porta.


















Note finali: Ecco qua il terzo capitolo, spero vi sia piaciuto^^ L'ho allungato un pochetto prima di pubblicarlo e ho modificato un pò lo schema della casa dove abitano Ed ed Al, che teoricamente sarebbe quella del film, ma che, per questioni di copione, ho dovuto modificare un pò (per esempio aggiungendo il cortile interno e una camera in più.
Mi raccomando, recensite per dirmi se vi è piaciuto o se ci sono cose da sistemare!
Al prossimo capitolo,
Irene Adler

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Capitolo 4
*** Separazione: Vorrei stare al tuo fianco ***


Capitolo 4

Separazione: Vorrei stare al tuo fianco

 

“S-signor…Huges? Maes Huges?”

L’uomo la fissò interrogativo, aggrottando appena la fronte.

Lei, continuando a fissarlo, tentò di alzarsi a sedere ma non ci riuscì, le braccia tremanti che a stento rispondevano ai suoi ordini.

Al suo fianco l’identica copia della Glacier di Amestris fissò dubbiosa prima l’uno poi l’altra.

“Caro, conosci questa ragazza?”

L’uomo sospirò, scotendo la testa “Deve essere ancora un po’ confusa per il colpo preso alla testa…”

Winry tentò di replicare fiocamente, ma una fitta lancinante alla fronte e una più fioca alla spalla fasciata la costrinse ad adagiarsi nuovamente fra le coperte.

Glacier si avvicinò a lei preoccupata, sedendosi di fianco al letto e sfiorandole delicatamente la fronte con una pezza d’acqua umida.

“Sta ferma. Devo cambiarti la fasciatura ora…”

La bionda la fissò per qualche istante, ancora frastornata e confusa.

-Cosa sta succedendo?-

Abbandonò mollemente il capo sul cuscino, fissando incupita la donna al suo fianco destreggiarsi con garza e disinfettante per sostituirle la benda vecchia.

-Forse sto sognando…-pensò fissando prima Glacier poi Huges con uno sguardo attento e meditabondo.

-E’ solo uno stupido sogno…deve essere per forza così. Questo vuol forse dire…?-

Fissò l’uomo dai capelli scuri cercandovi qualsiasi caratteristica che potesse differirlo dal Maes Huges di Amestris, ma, con suo rammarico, non ne trovò.

Si lasciò scappare un sospiro arrendevole e il suo corpo si rilassò maggiormente, accarezzato dalle coperte candide.

-Se lui è il signor Huges…io sono…?-

Glacier le disse qualcosa che lei ben non comprese e subito dopo avvertì una fitta alla spalla che le strappò un’esclamazione di sorpresa.

“Ho finito di medicarti, ora puoi riposare” le disse con gentilezza la donna, gettando la garza sporca in un cesto di vimini posto sotto la finestra vicina.

Winry socchiuse le labbra per rispondere, ma non riuscì ad articolare una sola parola, così si limitò ad annuire fissandola negli occhi con gratitudine.

-Non è possibile che sia morta…altrimenti non avvertirei dolore-

Ciò che sentiva era reale, dal tocco delicato delle coperte sulle braccia nude al dolore pulsante e persistente al capo, al tiepido venticello che spirava dalla finestra socchiusa; su tutto ciò Winry non aveva dubbi: era reale e lei era viva.

Eppure qualcosa era fuori posto: quelle due persone rendevano il tutto irreale.

 “D-dove sono?”

Glacier scambiò uno sguardo con l’alter di Huges, poi questi si avvicinò al letto.

Winry notò un qualcosa di militare nei suoi movimenti e constatò che erano identici a quelli dello Huges che lei aveva conosciuto; l’unica cosa che al momento le faceva pensare all’uomo davanti a sé come ad una persona solo somigliate al tenente colonnello di Amestris era il suo comportamento: lo Huges davanti a lei non sorrideva, non dimostrava un carattere allegro e un po’ burlone, non aveva fotografie della sua famiglia che spuntavano dalla tasca della giacca.

No. Lui non era il signor Huges.

“Sei a casa mia. Ti ho portata qui subito dopo il tuo arrivo”disse l’uomo, fissandola con la medesima attenzione che la giovane gli stava riservando.

“Elycia…”sussurrò lei.

Huges aggrottò la fronte.

“Come prego?”

“Elycia…dov’è?”

Dallo sguardo che l’uomo le lanciò Winry si convinse che lui non poteva essere assolutamente Maes Huges, così portò lo sguardo sulla donna: era identica a Glacier e si era dimostrata egualmente gentile e dolce, come lo era quella di Amestris.

“Ancora quello sguardo…assomiglio a qualcuno che conosci?”domandò tranquillamente la donna.

La ragazza la fissò per qualche istante senza dire nulla, poi fece un semplice cenno negativo con la testa.

No, neanche lei era la Glacier di Amestris.

“Ti è andata bene. Te la sei cavata solamente con una botta alla testa e qualche contusione; la spalla andrà a posto del tutto fra qualche giorno”asserì grave l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso e avvicinandosi ancora di più.

Winry gli dedicò, seppur inconsapevolmente, un’occhiata identica a quella che aveva dedicato a Glacier.

“ Perché hai lasciato Shamballa? Perché sei venuta in questo mondo?Che intenzioni hai?”domandò guardingo l’uomo.

“Sham…balla?”

Socchiuse gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco come si deve ciò che la circondava, ma quello che ottenne fu solo l’effetto contrario.

 “Max, non farla stancare, è ancora ferita!Non affaticarla, se si sentisse male non potremmo portarla dalla dottoressa, dato che adesso è impiegata al fronte” lo redarguì appena Glacier posandogli una mano sulla spalla.

Detto ciò si allontanò da lui per poi avvicinarsi alla giovane distesa nel letto, ignorando la protesta dell’uomo.

“Come ti chiami?”domandò gentile.

Winry abbandonò il capo sul cuscino, mentre un’improvvisa spossatezza la assaliva; era ancora stordita dall’incidente e quella situazione tanto bizzarra non le stava decisamente giovando.

“Mi chiamo…Winry”sussurrò, senza neanche pensare di mentire alla donna: dopotutto era stata gentile con lei, non le avrebbe fatto del male ed in più rivelarle il suo nome non poteva certo metterla in situazioni spiacevoli.

-Sono così confusa…-

Winry sospirò lievemente affondando il capo nel morbido e candido cuscino.

“Ora riposati Winry, sei ancora debole…”

Inconsciamente annuì appena.

“Starò io con te…qui sei al sicuro”

Winry le credette e s’abbandonò alle braccia di Morfeo.

 

 

Alphonse socchiuse gli occhi, infastidito dai raggi mattutini che filtravano dalla finestra. Il micetto accoccolato fra le sue braccia gli strusciò il muso contro il collo, emettendo fusa intense e piacevoli.

“Ahaha!Ehi, mi fai il solletico!”disse, mentre il felino prendeva a leccargli il mento con la linguetta ruvida.

“Basta, dai!”

Il minore degli Elric lo afferrò dolcemente facendogli un grattino dietro l’orecchio e sorridendo all’espressione soddisfatta del piccolo felino a quelle attenzioni.

“Ti piace eh?”ridacchiò fissandolo con dolcezza.

Un miagolio d’apprezzamento accompagnò quell’affermazione, facendo sorridere maggiormente Al, che però tornò serio un attimo dopo.

Il gatto puntò i suoi occhi ambrati in quelli grigioverdi dell’Elric, che distolse lo sguardo.

“Hai gli occhi come quelli del mio fratellone”sorrise, stavolta con fare malinconico.

Era la prima volta che litigava con Ed da quando aveva riacquistato il suo corpo e il peso di quello ‘scontro’ lo avvertiva in un nodo allo stomaco ben poco piacevole.

-Sono stato proprio uno sciocco; ho sbagliato a portare questo gattino in casa senza dirgli nulla-pensò, carezzando il capo del micio.

-E forse anche sul latte…non posso obbligarlo a berlo se non gli piace…anche se gli fa bene- aggiunse un attimo dopo.

Si alzò in piedi.

-Si, andrò a chiedergli scusa!-

Indossò rapidamente la camicia chiara del giorno prima, un paio di pantaloni scuri e un gilet del medesimo colore, osservando per un istante la sua figura nello specchio da parete sopra il comodino; abbracciò poi il gatto e scese le scale intenzionato a riappacificarsi con il fratello, mentre qualcuno suonava alla porta di casa.

 

“Arrivo!Sto arrivando!!”

Noah era fuori casa, così come Glacier, quindi fu Edward a dirigersi verso l’uscio, maledicendo mentalmente la sua gamba dolorante che gli impediva di camminare decentemente.

Vi fù un altro scampanellio, più insistente dei precedenti.

“Un attimo!”

Aprì la porta e fissò con sguardo seccato la persona che gli si parava davanti.

“Si tratta della dimora dei fratelli Elric?”

Edward fissò l’uomo, sospettoso. Doveva avere sui trent’anni, indossava una divisa militare verde scuro e i suoi penetranti occhi grigio topo osservavano l’interno della piccola abitazione.

“Chi li desidera?”domandò formale, fissando i tipi in uniforme dietro l’uomo che stava parlando.

In quel mentre Alphonse fece la sua comparsa scendendo dalle scale che conducevano al piano superiore, il gattino in braccio e un’espressione dispiaciuta dipinta sul viso.

“Nii-san, io vole--“

“Al, torna di sopra!”

Il ragazzino lo fissò sbigottito, per poi portare lo sguardo verso gli sconosciuti alla porta.

“Che cosa…?”

“Muoviti!”

Il giovane Elric fece per seguire il consiglio del fratello, ma due dei militari entrarono bruscamente in casa, costringendolo ad avvicinarsi alla porta d’ingresso. Il gatto che il ragazzino teneva in braccio finì sul pavimento, dove prese a soffiare minaccioso con la coda ritta.

Edward guardò con astio il soldato che gli aveva parlato per primo, tenendo sotto controllo gli altri due uomini e il fratello con la coda dell’occhio.

“Che significa questo?Chi siete?!”

“ Sono il sottotenente Grunder.Sono stato incaricato dal governo di arruolare un uomo per ogni famiglia, di modo da contribuire all’accrescimento delle truppe del nostro paese. Siamo in guerra e questa città è a rischio. Siccome lei è invalido- lanciò un’occhiata all’automail al braccio lasciato scoperto per una buona metà dalla manica- non vedo alternative signor Elric. Suo fratello prenderà il posto assegnato a lei!”

I soldati che avevano preso Alphonse lo invitarono ad uscire dalla porta, senza tante cerimonie.

“Nii-san, ma che…?!”

Edward tese una mano verso di lui afferrandolo per una manica e se lo portò al fianco.

“Lui non va da nessuna parte, sottotenente!”

Questi fissò impassibile Edwarde per qualche secondo.

“In questo caso…”

I soldati si mossero, prendendo per le spalle il minore degli Elric e trattenendo il maggiore.

“Non potete farlo!”

Alphonse si aggrappò alla camicia del fratello, mentre questi tentava di tenerlo a se cingendogli con fermezza le spalle con un braccio.

“Lasciatelo!Non ne avete il diritto!”

“Questa è la guerra signor Elric. La priorità va al bene del paese”replicò severo il sottotenente.

Edward sentì la propria presa scivolare dal polso alla mano del fratello, che serrò la propria con una stretta forte e disperata.

“Fratellone!”

Altri due soldati afferrarono Al e lo strattonarono bruscamente, troncando quella stretta che univa ancora i due fratelli.

“Lasciatelo andare!”

Edward tentò di avvicinarsi a spintoni e a spallate, tendendo un braccio verso il fratellino che lo guardava atterrito, completamente bloccato dai soldati, che già lo stavano trascinando sul camion dove le reclute prendevano posto.

“NOOO! AAAL!”

Avrebbe combattuto per impedire che glie lo portassero via, ma l’automail e la sua gamba erano così deboli che lo stare in piedi era di per se difficoltoso.

“NIII-SAN!”

Alphonse gridava, disorientato, scosso, spaventato, gli occhi liquidi fissi nelle iridi ambrate del maggiore, che stava facendo di tutto per riuscire a raggiungerlo.

Del tutto indifferente alla scena che gli si presentava davanti, il sottotenente diede l’ordine di bloccare il maggiore degli Elric.

Uno dei soldati lo colpì alla nuca con il calcio di una pistola e per un istante Ed barcollò, mentre la vista diveniva sfocata, poi cadde in ginocchio sentendo l’equilibrio venir meno.

“FRATELLONE!”

Il grido angosciato di Al lo raggiunse appena, mentre il giovane Elric si dibatteva penosamente, le lacrime che ormai gli illucidivano gli occhi e lo sguardo fisso sull’unico componente della sua famiglia steso a terra.

“Cosa gli avete fatto?! Lasciatemi, lasciatemi andare!Lasciatemi!!”

“Al…”

Edward poggiò una  mano sul ginocchio tentando di far leva su di esso per rimettersi in piedi.

-Dannazione, non vi permetterò di portarlo via!-

“Alphonse!”

Il ragazzino venne caricato di peso sul camion dove le reclute aspettavano guardando la scena, immobili; i soldati salirono con lui trattenendolo.

“ALPHONSE!”

Il camion si mise in moto con uno sbuffo di fumo nero, che Edward inalò per poi tossire ripetutamente.

“Nii-san!”

Il veicolo partì ed iniziò ad acquistare velocità, Edward cominciò ad inseguirlo, ignorando il dolore bruciante alla gamba.

“Al, salta!” gridò tendendo un braccio verso di lui.

Alphonse, con la forza della disperazione, si liberò con uno strattone di chi lo bloccava e si accinse a lanciarsi dal veicolo in corsa, quando una mano guantata gli si posò sulla spalla.

“Sicuro di volerlo fare?”

Gli occhi del ragazzino, che fino a qualche momento prima erano fissi sul viso del fratello maggiore, si puntarono sulla figura dell’uomo che lo aveva bloccato.

“Se ti rifiutassi di arruolarti potrebbero mettere in prigione tuo fratello o perfino giustiziarlo…”

La voce roca dell’uomo graffiò il cuore del minore degli Elric, che sembrò sbiancare di colpo.

“…sicuro di volere questo?”

Il ragazzino emise un respiro strozzato, mentre il suo labbro inferiore tremò appena.

-Io…-

“Salta!”

-Io non…-

Gli occhi grigioverdi del minore incontrarono quelli dorati di Ed, ricolmi di lacrime e rassegnazione.

Un sorriso triste si affacciò sulle labbra di Al.

“Perdonami” sussurrò

Appena un soffio, ma già dallo sguardo l’altro aveva capito le sue intenzioni.

“no…”

Al si allontanò dal bordo del veicolo e i soldati che prima l’avevano immobilizzato lo inchiodarono senza troppe cerimonie sul pavimento del mezzo.

“No, Al…” si ritrovò a gemere Edward.

Per l’ultima volta gli occhi del fratello si posarono sui suoi.

“ALPHON--“

Un dolore acuto alla gamba bloccò l’ex alchimista di stato, che cadde rovinosamente a terra.

“Perdonami…”

Al voltò dalla parte opposta il viso, nascondendolo in parte nell’ombra, sedendosi affianco all’uomo che gli aveva parlato.

“Al!!”

“Perdonami, nii-san!”mormorò con un filo di voce, prima di sentire il richiamo angosciato del fratello maggiore che chiamava il suo nome per l’ultima volta.

“ALPHOOONSEEE!!!”

 

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Capitolo 5
*** L'arrivo: vecchie conoscenze ***


Capitolo 5

 L’arrivo: Vecchie conoscenze

 

“Oggi mi sento molto meglio”esordì Winry stiracchiandosi pigramente.

Glacier le sorrise, mentre Maximilian Huges se ne rimaneva al di fuori della stanza per dare alle donne un pò di privacy.

“Ne sono felice. Se avessi avuto bisogno di un medico saresti dovuta andare nella città vicina…di questi tempi le strutture sanitarie non sono molto efficienti e la nostra dottoressa è stata spedita al fronte”disse brevemente Glacier.

Winry si sporse un poco verso la donna notando una sfumatura di voce particolarmente rassegnata.

“Che sta succedendo in questo mondo? Anche stando solamente in questa stanza riesco ad avvertire che qualcosa non va…”disse infine, fissando la finestra, dalla quale potevano scorgere cupi edifici e campagne deserte.

Glacier sospirò, passandosi stancamente una mano fra i corti capelli castani. “E’ la guerra. La guerra cambia sempre tutto, la sua presenza impregna l’aria, cambia le persone, lo stile di vita…”

La bionda sospirò: quelle parole le ricordavano molto la sua Amestris.

“Non so da che mondo tu venga…-continuò l’altra-…ma in questo sono anni che si preannunciava la guerra e ora che è scoppiata possiamo solo pregare perché finisca al più presto. Il prezzo del cibo è aumentato paurosamente, i servizi di assistenza sono impegnati per lo più ai fronti, così da privarne i cittadini. Il coprifuoco scatta appena giunge la sera ed ogni volta che si esce di casa non si ha la sicurezza di tornare a casa. I militari pattugliano la città, strappano alle famiglie figli e mariti per arruolarli nell’esercito. E poi le armi. Quelle dannate armi da fuoco non fanno altro che mietere vittime su vittime…è orribile”

Winry annuì gravemente.

“Anche da dove provengo c’era la guerra…solo…al posto delle armi da fuoco viene impiegata l’alchimia- si fermò per un attimo, non sapendo se continuare- L’alchimia è fatta per aiutare la gente…eppure nel mio mondo la si usa principalmente per azioni belliche. I miei genitori erano medici durante la guerra contro Ishibar…anche loro, come molti altri, sono morti per mano di quei militari che avrebbero dovuto proteggerli”

“I nostri mondi non sono poi così differenti”constatò cupamente Glacier e Winry non potè che annuire, seppur a malincuore.

Per un po’ regnò il silenzio nella stanza, poi Glacier si alzò in piedi.

“Ora basta con queste discussioni deprimenti. Se te la senti verresti con me fuori? Ho alcune commissioni da fare e avrei bisogno di una mano”

La bionda annuì con il capo, si alzò e si affacciò alla finestra, mancando di scorgere, per un pelo, un camion dell’esercito al cui interno vi era un ragazzino di sua conoscenza, che, con occhi di un grigio cangiante, fissava assente ciò si era lasciato alle spalle.

 

Un’ora, due, tre…Alphonse non poteva sapere quanto tempo fosse passato.

Fino a poco prima era a casa, tranquillo e sicuro di riuscire a riappacificarsi con suo fratello, un attimo dopo si era trovato strappato via da lui, senza neanche comprenderne pienamente il motivo, caricato brutalmente su un camion pieno di persone a lui sconosciute, che lo fissavano di sfuggita.

Si strinse nelle spalle, mentre un improvviso brivido gli percorreva la schiena, per poi fissare il paesaggio fuori dal mezzo.

-Chissà dove andiamo…Quanto mancherà?-

“Una decina di chilometri e dovremmo arrivare a destinazione”

Il giovane ex alchimista voltò il capo verso l’uomo al suo fianco, il cui viso era celato dall’ombra.

“Il campo di addestramento è vicino…mancheranno pochi minuti”

“G-grazie mille”rispose atono il giovane Elric, fissando con grande interesse le sue mani giunte il grembo.

“Era tuo fratello il ragazzo di prima, non è vero? Il biondino con l’arto meccanico…”continuò lo sconosciuto, muovendosi appena nell'ombra.

Alphonse annuì appena con la testa, non ancora del tutto sicuro di potersi fidare di quell’uomo, benchè in teoria non ci fosse nulla di male nel scambiare quattro chiacchiere.

Un sospiro provenne dall’ombra, mentre lo sconosciuto si sistemava in una posizione più comoda.

“Avrà avuto diciotto anni al massimo…tu quanti ne hai?”

Al fu tentato di mentire per un istante.

“T-Tredici, signore…”disse infine.

L’altro sospiro.

“Quanto è caduto in basso questo paese…far combattere perfino dei ragazzini…per cosa poi?”

Sembrava aver rivolto più a se stesso che ad altri quel breve pensiero e Alphonse preferì rimanere in silenzio.

Il camion si arrestò di colpo.

“Presto scendete! Datevi una mossa!”

Un paio di soldati invitarono le reclute a scendere dalla vettura e dirigersi verso il campo di allenamento.

Il campo era cintato da una rete di ferro a maglie larghe la cui base era sostenuta dal una serie di sacchi di sabbia posti da ambo i lati; le strutture all'interno erano per lo più tende e vi erano solo un paio di strutture con muri di mattoni.

Alphonse si guardò intorno disorientato: ovunque guardasse vedeva uomini intenti a lustrare armi, i visi sporchi e sguardi tremendi, sguardi di chi sente che ormai il proprio destino non è più nelle proprie mani ma in quelle di persone a lui sconosciute, pronte, senza alcuna esitazione, a mandarli al massacro per i più innumerevoli motivi.

“Alphonse”

Si girò di scatto, riconoscendo la voce dell’uomo con il quale aveva parlato durante il tragitto.

I suoi occhi si soffermarono sul viso dello sconosciuto.

“Da quello che ho capito è questo il tuo nome…”

Il ragazzino si riprese, annuendo appena con il capo e distogliendo lo sguardo da quello grigio screziato dell’uomo.

“Si, mi chiamo Alphonse Elric, signore!”

Questi sospirò, mentre una mano andava a scompigliarsi i capelli corvini.

L’altro abbassò lo sguardo, seguendo il flusso di cadetti che si riversava nell’accampamento militare.

“Non posso permettere che un ragazzino se ne rimanga da solo in un ambiente tanto meschino…”

La mano dell’uomo gli si fermò vicino al braccio in un chiaro sengno di amicizia e supporto.

“Mi chiamo Roy Mayer. Piacere di fare la tua conoscenza, piccolo”

Il giovane Elric rialzò lo sguardo, osservando il viso del perfetto alterego dell’Alchimista di Fuoco Roy Mustang.

“Piacere di conoscerla, signore!”rispose, stringendogli per qualche istante la mano.

Questi lo guardò con un mezzo sorriso sul viso, fissandolo con profondi occhi screziati.

“D’ora in poi ti terrò d’occhio io Alphonse. E’ un brutto ambiente questo, per niente adatto ai ragazzini come te”

Lui annuì con il capo.

“Non ti posso promettere niente, ma farò il possibile perché tu sopravviva abbastanza a lungo da rivedere quel tappo di tuo fratello!”

Alphonse lo guardò un po’ spiazzato, chiedendosi se avesse sentito bene.

“Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato? Sarà alto al massimo dieci centimetri più di te…per la sua età è piuttosto basso. Sei d’accordo?”replicò l'altro alla vista della sua espressione confusa.

Il ragazzino abbozzò un timido sorriso, sicuro che se il suo nii-san avesse sentito le parole dell’alter del colonnello come minimo gli avrebbe donato una morte lenta e dolorosa.

“Solo…un pochino”ammise colpevole.

-Se Ed mi avesse sentito ora mi ritroverei come minimo pieno di lividi!-

“Bah! Sei un ragazzino un po’ troppo sdolcinato per i miei gusti, ma mi stai simpatico! Bene, ascolta attentamente ciò che ti dico…”

“Si!”

“Se ti cacci nei guai vieni sempre da me, nei limiti del possibile tenterò di tirartici fuori. Non ti allontanare e soprattutto pensa due volte prima di aprir bocca”

“Si, signore. Lei sembra pratico, ha già fatto il soldato?”domandò ingenuamente Al.

L’uomo lo fissò per un attimo lievemente stupito, poi si rabbuiò appena, scompigliandosi ancora una volta i capelli.

“Cosa te lo fa pensare? Sono solo una semplice recluta come te!”

Al non rimase molto convinto da quelle parole, ma preferì non insistere, così annuì educatamente.

“Un’altra cosa Alphonse…”

Il ragazzino lo fissò con attenzione.

“…non chiamarmi signore, mi fa sentire vecchio! Ho solo trent’anni, non cinquant’otto che diamine! Chiamami Roy”

“O-ok sign…R-Roy”

Dire che gli faceva una strana impressione chiamare per nome la copia sputata del colonnello Mustang era un eufemismo.

“Bravo ragazzo!”

Entrambi si fermarono, giunti finalmente al centro dell’accampamento, mentre un soldata parlava a gran voce.

"Ora verrete divisi in squadroni e verrete assegnati a vostri superiori, dai quali verrete addestrati per la battaglia. Se porterete onore al nostro paese verrete lautamente ricompensati! Onore alla Germania!"

Roy esibì per un istante un sorriso che non aveva nulla di felice, anzi, aveva una connotazione sarcastica.

"Onore alla Germania!" disse meccanicamente con voce piatta mentre un sottotenente gli passava di fianco.

Si voltò poi verso Alphonse e gli posò una mano sulla spalla.

“Questo è il punto del non ritorno. Benvenuto all’inferno, Alphonse Elric!”

 

Afferrò il cappotto e scribacchiò rapidamente un biglietto per Noah.

Intendeva lasciare quella casa per andare a cercare il suo fratellino e impedire che venisse coinvolto in quella terribile guerra, a qualunque costo.

L’idea che Al fosse da qualche parte solo e spaesato, con in mano un fucile e costretto ad uccidere persone lo terrorizzava a dir poco.

Alphonse era in gamba, intelligente e coraggioso, non aveva nulla da ridire sotto quell’aspetto, ma la guerra non era qualcosa che si potesse affrontare con facilità, soprattutto se si era un soldato.

Si rimaneva segnati nell’anima e nel corpo ed Edward non voleva che accadesse ad Alphonse; lui doveva sorridere, vivere, crescere e sognare, doveva recuperare tutto ciò che aveva perso negli anni in cui la sua anima era rimasta legata ad un’armatura.

Uscì di corsa di casa, trascinandosi dietro una piccola borsa contenente giusto lo stretto indispensabile per il viaggio.

-Ti troverò Al…anche a costo di andare in capo al mondo!-

 

“Grazie di avermi accompagnata Winry.Non ce l’avrei mai fatta da sola”

“Non si preoccupi signora Glacier, per me è stato un piacere poterla aiutare!”

Le due donne camminavano per la strada con in mano alcuni sacchetti, contenenti gli ingredienti per la cena.

“Posso farti una domanda un po’ indiscreta Winry?”

La bionda la guardò per qualche istante, per poi annuire.

“Perché sei qui? Non penso che tu abbia attraversato quel portale per nulla”

La ragazza abbassò il viso, sospirando appena.

“Io mi ero stancata di aspettare…una persona. La devo trovare a qualunque costo, c’è una cosa importante che devo dirgli”

Glacier fissò il viso della diciottenne che aveva preso colore, poi sorrise guardando il cielo. Lei aveva quello stesso sguardo imbarazzato quando segretamente pensava a Max Huges, prima che diventasse il suo attuale fidanzato.

-Ah, l’amore…-

Winry distolse lo sguardo dalle sue scarpe, per fissare il cielo.

-Edward…-

Doveva assolutamente ritrovarlo, voleva vederlo, averlo accanto, potergli dire ciò che non era stata capace di dirgli prima; non le importavano le conseguenze. Aveva abbandonato il suo mondo e la sua vita pur di ritrovare lui e Al, ormai la sua scelta l’aveva fatta.

“Signora Glacier!”

Si scosse dai suoi pensieri e il suo sguardo si posò sulla figura di una ragazza che correva nella loro direzione, gli occhi fissi sulla donna al suo fianco.

Glacier posò a terra la borsa e rivolse un’occhiata attenta alla giovane gitana che le si era fermata di fronte, con il fiatone per la corsa.

-E questa ragazza chi è?-pensò Winry, osservando con discrezione e curiosità la giovane donna.

“Cosa c’è Noah?”

La ragazza, una mano premuta al petto come ad allentare il battito cardiaco irregolare, si prese qualche istante di sosta, guardando Glacier con insistenza.

“Se ne è andato! Ha lasciato un biglietto…”

Glacier prese in mano la situazione. Cinse le spalle la giovane e la costrinse a sedersi sulla panchina in ferro battuto lungo la strada.

“Calmati Noah, racconta tutto dal principio…cosa è successo?”

Winry si avvicinò ad entrambe, posando anch’ella la borsa della spesa, che cominciava ad indolenzirle le braccia. Osservò quella strana ragazza con le trecce, avendo la sensazione che assomigliasse a qualcuno di sua conoscenza.

Solo in quel momento Noah si rese conto della sua presenza e la fissò, gli occhi nocciola appena sgranati e fissi in quelli blu della meccanica.

-Ma questa ragazza…-

La gitana si ricordò di aver visto il suo volto sorridente nei sogni di Edward, di aver sentito vaghi fantasmi dei sentimenti del ragazzo alla vista di lacrime cristalline scendere da quegli occhi zaffiro…

“Noah!”

La bruna si scosse, riportando lo sguardo sulla signora Glacier.

“Ed se ne è andato. Ha lasciato un biglietto in cui diceva che andava a cercare Alphonse, che l’avevano preso e portato via…”

Al sentire quei due nomi Glacier e Winry reagirono in due modi diversi.

La Rockbell sgranò per un istante gli occhi, il fiato bloccato in gola, mentre Glacier si incupì di colpo.

“Vuol dire che i militari hanno portato via Alphonse?! Com’è possibile…”

“Elric…”

Noah e l’altra si voltarono verso la bionda, che le fissava in cerca di risposte.

“Le persone di cui state parlando sono Edward e Alphonse Elric?!”

Dopo un attimo di tentennamento entrambe annuirono e il cuore di Winry saltò un battito.

Non fece tempo a provare un po’ di sollievo nell’averli scoperti vivi, sani e salvi, che subito quel sentimento fu sostituito dalla paura e dall’ansia. Cosa voleva dire che Al era stato presto dai militari? Cosa gli era successo? Dov’era Ed?

“Winry…”

“Signora Glacier, la prego, mi permetta di venire con voi!”la supplicò decisa.

La donna la guardò.

“Sono loro le persone che cercavi, non è vero?”

L’altra annuì e la donna acconsentì con un cenno di capo, per poi prendere la busta della spesa e iniziare a dirigersi verso casa, seguita a ruota da Noah e Winry.

La gitana, durante il tragitto, non faceva altro che fissare la bionda al suo fianco, un’espressione appena incupita sul viso.









Note dell'autrice:

Voglio ringraziare tutti coloro che seguono questa storia, nonostante i miei tempi di aggiornamento siano paurosamente lunghi. Grazie a tutti di cuore per i vostri commenti e anche solo per leggere la mia storia: questo capitolo è dedicato a voi, spero che vi piaccia!

Purtroppo non ho tempo per rispodervi uno a uno, ma quando avrò tempo lo farò più che volentieri.
Al prossimo capitolo e non mancate di recensire per farmi sapere se vi è piaciuto il nuovo aggiornamento!

Sepre vostra,
Irene Adler

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Capitolo 6
*** Dilemmi: problemi fra donne ***


wait for me cap 6

Sono in tremendo ritardo, a mia discolpa c'è solo il fatto che ho dovuto studiare come una matta...Comunque ecco qui il nuovo capitolo! Rignrazio Leuconoee per la sua recensione (il tuo dubbio è in parte risolto in questo capitolo ^_-) Buona lettura!

Capitolo 6

Dilemmi: Problemi fra donne

 

 

Guardava fuori dalla finestra quell’insolita città, così diversa da Central City.

Era un mondo nuovo, per un certo verso molto moderno rispetto alla sua Amestris, tuttavia non riusciva a separarlo nettamente dal suo.

Winry sospirò e osservò la piccola camera in cui era stata ospitata.

Subito dopo aver raggiunto la casa dove Ed e Al avevano vissuto, lei, la signora Glacier e Noah avevano deciso di pensare ad un piano per il giorno successivo.

Glacier l’aveva invitata a rimanere per la notte e occupare una delle due camere che c’erano nel piccolo appartamento oltre a quella di Noah.

Winry, dal principio un pò esitante, aveva poi accettato volentieri, nonostante trovasse insolitamente strana l'idea di condividere la medesima casa di Ed e Al.

Anni prima non si sarebbe fatta problemi a condividere l'abitazione con i due ragazzi, ne tantomeno condividere camera, coperte o perfino il letto con loro; ora invece provava dentro di sè una sensazione davvero insolita: un misto di malinconia e dolce ricordo.

Si era sdraiata nel letto qualche ora dopo la cena, ma non era riuscita a prendere sonno.

Quel cuscino aveva un profumo maledettamente famigliare e la ragazza aveva riconosciuto in esso quello piacevole di Alphonse.

L'immagine, proveniente dai suoi ricordi, di un Al undicenne accoccolato fra le coperte, i capelli scarmigliati e un sorriso innocente sul volto, tornò vivido nella sua mente, facendola per un attimo sorridere.

In seguito alla presunta morte di Ed anni prima, aveva passato moltissimo tempo con Alphonse, avendo modo di recuperare molto del rapporto che, con la lontananza e l'impossibilità di vedersi, era andato assopendosi.

Winry, anche non riuscendo ad ammetterlo a se stessa, si era lasciata sostenere dalla presenza del minore di fratelli Elric, così dolce, ma così sicuro nello stesso tempo: era stato la sua ancora di salvezza, la persona che  le aveva dato la possibilità di riprendersi dalla scomparsa di Ed.

Winry si trovò a pensare a lui, a come potesse stare e a cosa gli stesse capitando in quel momento.

"Al..."

Si era alzata dal letto ed era rimasta a guardare il paesaggio cittadino alla finestra per diverso tempo, meditando su come raggiungere i due fratelli.

"Se solo sapessi dove..." sospirò scostando una ciocca di capelli pallidi dietro l'orecchio.

Percorse il piccolo corridoio sul quale si affacciavano le stanze da letto e si affacciò in una di esse, entrando quasi con reverenza.

Un profumo familiare la avvolse dolcemente, mentre, a piedi scalzi, si fermava al centro della piccola stanza.

Quella doveva essere la camera di Ed; lo sentiva per l’aria impregnata del suo profumo, per la disposizione degli oggetti e per la mancanza di ogni cosa futile nell’arredo.

La sua attenzione venne attirata da alcuni automail di strana fattura posti dentro a contenitori di legno chiaro.

Sorrise, convenendo che quella doveva essere proprio la stanza di Edward.

Si avvicinò al letto e si sedette su di esso, non senza provocare il cigolio del vecchio materasso.

Si sdraiò su di esso, abbracciando il cuscino e coprendosi con le coperte candide, impregnate da quel profumo che solo la pelle di Ed poteva avere.

Affondò il viso del guanciale, respirando dolcemente e chiudendo gli occhi: improvvisamente l'agitazione e la malinconia l'avevano abbandonata, facendo posto ad un piacevole torpore.

Rimase al buio in silenzio ed infine si addormentò, mentre due occhi scuri la fissavano con attenzione dalla porta socchiusa.

 

“Buongiorno!”

Winry entrò nella piccola ma accogliente cucina, dove Noah si dava da fare ai fornelli.

“Buongiorno, Winry” la salutò cordialmente Glacier, seduta su una delle quattro sedie poste accanto alla tavola.

“Buongiorno a lei signora Glacier!” disse la Rockbell rispondendo al saluto, mentre l’odore inconfondibile del caffè riempiva la stanza.

La bionda, non volendo rimanere con le mani in mano, si avvicinò a Noah.

“Posso darti una mano?”domandò cortese.

Lei alzò gli occhi dal bollitore ammaccato, fissandola per un istante.

“Potresti prendere le tazze? Sono nella credenza…”

La ragazza diresse lo sguardo verso le molteplici ante presenti in quella cucina, per poi fissare un po’ imbarazzata la bruna.

“E’ quella in alto, la prima a destra…”rispose lei alla sua implicita domanda.

Aprì quella che le era stata indicata e prese le prime tre tazze che le capitarono a tiro.

Noah la seguì di sfuggita con lo sguardo, finche non le posò sulla tavola.

“No, questa non si può usare…”disse prendendone una dal bordo un po’ sbeccato e riponendola nuovamente al proprio posto, con gentilezza.

“E’ quella di Ed. L’ha fatta cadere un paio di giorni fa e si è un po’ incrinata...”spiegò, per poi porgerne a Winry un’altra appena più grande.

"Perde se ci versi dentro qualcosa, ma Edward non vuole saperne di cambiarla, così la teniamo con le altre" aggiunse la gitana.

“O-ok…”

Winry prese posto affianco a Glacier, mentre Noah versava il caffè bollente nelle tazze e le porgeva ad entrambe.

La bionda la fissò per qualche istante affaccendarsi per recuperare l’occorrente per la colazione. Le sue movenze pratiche e disinvolte le ricordarono un pò sua madre, quando, anni prima, le preparava le frittelle per colazione.

Winry si distolse da quegli sciocchi ed irrazionali pensieri notando che Noah era molto pratica e senz’altro conosceva ogni angolo della casa come le proprie tasche.

Ed, Noah e Al.

Erano vissuti, fino al giorno prima, insieme.

Per quale motivo?

Si diede della stupida pensando che non erano affari suoi, che non doveva riguardarle la scelta dei due fratelli su chi portare a vivere con loro, però non poteva far a meno di chiederselo…

Una ragazza e anche bella, davvero molto bella…da sola con Al ed Ed…con Ed…da consolare?

Fissò laconica il liquido scuro che riempiva la tazza fra le sue mani, pensando che la gelosia le faceva davvero scherzi orribili.

-Anche se fosse…io…-

“Winry, cosa c’è, non ti piace?”

“Uh?”

Alzò gli occhi per incontrare quelli scuri di Noah, che la fissava apprensiva.

“Forse non ti senti bene?”

Si riprese e scosse il capo, cercando di rassicurare lei e  Glacier, che intanto si era sporta appena verso di lei.

“Sono solo un po’ pensierosa, tutto qui!”

Si alzò da tavola e tornò verso la stanza dove aveva dormito.

“Farò colazione più tardi, vado un attimo in camera!”

 

La faccenda la riguardava eccome.

Sfiorò delicatamente una camicia bianca appesa nell’unico armadio della stanza, avvertendo su di essa il leggero ed inconfondibile profumo di Ed.

Tornò a sedersi sul letto e soffermò lo sguardo sul contenitore di legno chiaro nel quale facevano bella mostra varie protesi meccaniche, di cui sicuramente lei non era l'ideatrice.

-Ha già rimpiazzato i miei automail…- pensò.

Dopo un attimo di meditazione ne afferrò una con gesto rabbioso e prese ad osservarla con grande attenzione.

-Cosa avranno di speciale?! Cos’hanno più dei miei?!-si chiese indispettita.

Estrasse la copertura della protesi, osservando i meccanismi celati sotto di essa.

-Non sembrano essere un gran che…-

Tastò sapientemente le giunture dei vari pezzi, osservando con particolare minuzia ogni dettaglio.

-Abbastanza leggeri, ma ben poco resistenti…una botta e si rompono!Edward non capisce un accidenti di automail! Appena lo trovo io lo…lo…-

Prese dal comodino un piccolo set di attrezzi da meccanico che si era portata con se, estraendo da esso un cacciavite a stella che avvicinò pericolosamente alla protesi .

“Rimettilo a posto”

Voltò il capo verso la porta, dove Noah la osservava attentamente.

In un nano secondo posò il cacciavite, mentre la ragazza bruna si avvicinava, prendendole dalle mani la protesi e rimettendo il rivestimento.

“Nessuno può toccarle tranne Ed”

Winry sospirò.

“Capisco, allora dei miei automail si è già sbarazzato”disse con un filo di voce, nascondendo un po’ di risentimento. Se avesse avuto Ed sottomano probabilmente l’avrebbe pestato a sangue con la chiave inglese.

Noah si voltò verso di lei, per poi sedersi al suo fianco.

“Edward utilizzava sempre quelle protesi…diceva che erano comode e leggere”iniziò.

Winry avrebbe voluto sbuffare sonoramente e ribadire ad alta voce l’ignoranza del ragazzo in quel campo, ma rimase in silenzio.

“Però…da quando è tornato da Shamballa, indossa sempre gli stessi e una volta mi ha detto che sono il regalo di una persona cara”

Winry sgranò appena gli occhi, per poi abbassarli sulle mani che teneva in grembo, un’impercettibile sorriso le aveva piegato labbra.

Ed non si era voluto disfare del suo lavoro e questo la rendeva felice, la faceva sentire utile, anche se lontana da lui.

-Che sciocca che sono…-

“Tu ci sei sempre…”

Riportò lo sguardo su Noah, che fissava a terra.

“Come?”

“Nei suoi sogni…tu ci sei sempre. Lui sogna il tuo sorriso ogni notte, nel sonno ripete il tuo nome…ti chiede di perdonarlo...”

-...e ti chiede di amarlo- completò mentalmente la gitana, non sapendo perchè, di preciso, non avesse rivelato anche quell'informazione alla ragazza bionda.

“ Ma come…?”

“Io posso vedere i sogni e i pensieri delle persone anche solo toccandoli”cominciò, accompagnando quelle parole posando una mano sul ginocchio di Winry.

“Per questo so che i sogni di Edward sono su di te…per questo so che anche tu non fai che pensare a lui”

Winry rimase per un attimo stupita, senza accorgersi che le sue guance si stavano colorando di un piacevole rossore.

Noah, si alzò improvvisamente, sorridendo appena e accostandosi alla porta.

“Ti ho tenuto in caldo il caffè…”

“V-vengo fra poco”rispose Winry.

La bruna annuì e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

-Qualunque cosa provi Edward per lei, dev'essere lui stesso a dirlo...- pensò.

-...non ho diritto di parlare a suo nome di cose a lui tanto importanti-

Tornò in cucina da Glacier, pensando che, dopotutto, lei e Winry sarebbe probabilmente andate d'accordo.

 

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