Wait for me di Irene Adler (/viewuser.php?uid=22495)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Promessa: Per stare con voi ***
Capitolo 2: *** Malinconia: Monaco di Baviera 1923 ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni: un mondo così nuovo, così sconosciuto ***
Capitolo 4: *** Separazione: Vorrei stare al tuo fianco ***
Capitolo 5: *** L'arrivo: vecchie conoscenze ***
Capitolo 6: *** Dilemmi: problemi fra donne ***
Capitolo 1 *** Promessa: Per stare con voi ***
Wait
for me
By
Irene Adler
Note
d’inizio: Prima di cominciare, devo premettere
alcune
cosucce che vi avrei volentieri risparmiato se non fossero strettamente
necessarie. Allora…la ff è ambientata alla fine
del film.
Dal secondo capitolo in poi l’ambientazione si
sposterà
nella Germania del 1923, più precisamente Monaco e
dintorni…sono gli anni del
dopoguerra, ma per questioni di copione ho preferito inserire alcuni
riferimenti a sporadici scontri ancora in atto per movimentare un
po’
l’ambientazione; inoltre, più avanti,
inserirò anche rivolte e simili. Non mi
rifaccio ad avvenimenti realmente accaduti (in questo caso durante la
prima
guerra mondiale), ma ho preso spunto per poi sviluppare una serie di
eventi di
mia invenzione…spero che questo non disturbi qualche grande
appassionato di
storia^^ In ogni caso più avanti aggiungerò
l’avviso AU se sarà il caso.
Avviso fin da subito che
probabilmente non riuscirò ad
aggiornare con costanza, nonostante la fan fic sia quasi del tutto
terminata.
Dopo queste piccole precisazioni vi
lascio alla ff.
Buona (speriamo) lettura!
Capitolo 1
Promessa: per stare con voi.
Aspettava.
I suoi occhi cerulei vagarono da una
parte all’altra del
viale, cercando fra la moltitudine degli Alchimisti di Stato i visi di
chi, da
molto tempo, era diventata la sua famiglia.
Man mano si succedevano volti di
militari e civili feriti,
esausti o terrorizzati dalla battaglia appena conclusa, la
più devastante che
la capitale avesse mai intrapreso.
La città era in ginocchio,
ovunque edifici fatiscenti
cedevano rovinosamente, mietendo vittime che si venivano ad aggiungere
a quelle
della battaglia contro gli sconosciuti uomini in armatura provenienti
dal
portale.
Si fece largo fra quelle persone,
mentre l’angoscia si
faceva sempre di più sentire.
Una mongolfiera atterrò
poco lontano e distrattamente riuscì
a distinguere la figura del colonnello Mustang che scendeva dal
velivolo e si
guardava intorno apparentemente alla ricerca di qualcuno.
“Winry,
aspettami!”
La voce di Sheska era lontana,
smorzata dal vociare confuso
delle persone scampate alla battaglia.
Un bruciore al petto
iniziò a toglierle il fiato, mentre
avvertiva sempre più che la sensazione provata
precedentemente, quando aveva
visto quell’oggetto volante varcare nuovamente il portale.
-Ed…-
“Winry!”
Un’altra voce si era unita
a quella di Sheska, più
profonda e maschile
che lei ignorò
completamente, talmente era la foga con la quale stava cercando.
Una mano guantata le si
posò sulla spalla e la fece trasalire appena, costringendola
a voltarsi per incontrare gli occhi color ebano del colonnello Mustang;
al suo
fianco Sheska e il tenente Hawkeye la fissavano con
un’espressione che le
veniva difficile decifrare.
Fissò smarrita entrambe,
ma quando loro non sostenettero il
suo sguardo si ritrovò costretta a chiedere spiegazione a
Mustang.
“Winry…”
Lei assottigliò gli occhi,
chiedendogli di parlare.
“Acciaio…ha
riattraversato il portale” rispose laconico.
La bionda abbassò il viso,
con tremendo sconforto.
Ed aveva fatto la sua scelta ed era
stata quella più giusta
per il suo paese natale, ma non per lui, non per lei…non per
loro.
“Capisco…”riuscì
a soffiare, rendendosi conto solo in quel
momento che i suoi timori erano divenuti realtà.
Sheska
le si fece
vicino, mettendole una mano sulla spalla.
Winry non piangeva; il dolore che
provava le impediva
perfino di versare lacrime.
Si guardò ancora intorno,
gli occhi spenti, alzando con
fatica lo sguardo per cercare il viso dell’unica persona che,
in quel momento,
avrebbe potuto starle vicino e condividere, almeno in parte, il suo
stesso
dolore.
Si levò dagli una lacrima
inesistente, tentando di
riacquistare un po’ di contegno; avrebbe avuto dopo il tempo
per piangere e
sfogarsi. Tutta una vita, si disse.
“Colonnello, sa
dov’è Al?” chiese, tentando di abbozzare
un
sorriso speranzoso.
L’espressione di Mustang si
fece, se possibile, ancor più
imperscrutabile.
Lo incoraggiò con lo
sguardo a parlare, mentre sentiva la
pressione della mano di Sheska aumentare per chissà quale
motivo.
Il tenente Hawkeye la
guardò con tristezza abbandonando la
sua solita espressione decisa, ma lei non vi fece caso.
Si sporse oltre il colonnello quasi
sperasse di vedere la
figura di Al avvolta in un lungo mantello rosso, un tempo appartenuto a
suo
fratello maggiore.
“Winry…”
La ragazza tornò a fissare
il colonnello.
“Allora
dov’è Al?” disse, mentre sentiva il tono
della sua
voce farsi sempre più allarmato, spezzato da una nuova
emozione.
“Ascoltami
Winry…”
La ragazza ignorò le sue
parole e superò l’uomo di qualche
passo, portandosi le mani alla bocca.
“Al! Alphonse!”
Ripetè quel nome
più e più volte, sapendo, in cuor suo, che
il suo grido non sarebbe arrivato alle orecchie dell’amico
d’infanzia.
Riza le si fece vicino, bloccandola
per un braccio.
“Non
c’è Winry”sussurrò,
fissandola.
Lei la allontanò. Sapeva
dove il tenente volesse andare a
parare, ma il suo cuore, la sua mente, provavano repulsione a
quell’idea,
quella dura realtà.
“Alphonse!”
Si voltò bruscamente verso
Mustang, rimasto immobile fino a
quel momento.
“Dov’è
Al?! Cosa gli è successo? Mi
risponda!”gridò con il
petto in fiamme, mentre un bruciore intenso s’impossessava
della sua gola e le
lacrime cominciavano a illucidirle gli occhi.
Che fosse ferito? Scomparso? No, non
poteva essere…Lei
doveva prendersi cura di lui…
L’angoscia per la sorte di
Al non era che l’ultima goccia di
tutte le sensazioni che stavano per farla esplodere.
Aveva perso Ed, la sua amicizia, il
suo amore e non voleva
assolutamente che tutto ciò riaccadesse con Al. Senza
entrambi si sentiva
persa.
Le bastò
un’occhiata di Mustang per comprendere ogni cosa.
“Loro…hanno
entrambi
attraversato il portale”sussurrò.
“Mi dispiace”
Le gambe le cedettero, ciocche di
capelli biondi le
coprirono il viso.
Sheska si chinò su di lei
e vide che, malgrado tutto, un
sorriso, seppur pieno di malinconia e sconforto, le solcava le labbra
della
meccanica.
“Winry-chan…”
Lei non diede segno di averla udita;
nonostante avesse perso
le persone più importanti della sua vita non poteva che
essere almeno
rincuorata del fatto che fossero insieme, sani e salvi, anche se in un
altro
mondo. Però…
“Mi hanno lasciato
sola…di nuovo”
Fin dalla loro partenza, anni prima,
quando avevano preso la
decisione di lasciare Risembool per ritrovare i loro corpi, aveva
deciso
che li avrebbe aspettati, perché sapeva che, un giorno,
sarebbero tornati da
lei; ma in quel momento era diverso: Anche se li avesse aspettati tutta
la
vita, loro non sarebbero mai tornati, mai.
Loro erano la sua famiglia.
“Devo
andare…devo distruggere il portale”
Le parole di Mustang furono come una
pugnalata al cuore.
Distruggere il portale significava
arrendersi all’idea di
perderli per sempre, tutti e due.
“Aspetti!”
Si rimise in piedi, guardandolo con
supplichevole decisione.
“La prego colonnello, non
lo distrugga!”
Lui la fissò intensamente.
“Non si può fare
altrimenti: Ci sarebbe il rischio di una nuova invasione”
La ragazza sostenne il suo sguardo.
“Potrà
distruggerlo non appena sarò passata io”
Quella frase, pronunciata con voce
decisa, scatenò in
ciascuno dei presenti reazioni differenti.
“Winry, ma cosa
dici?!”
Sheska la fissava sbigottita, i pugni
stretti portati al
petto.
La ragazza la fissò e
l’amica.
“Ho fatto la mia scelta
Sheska…”riuscì a dire con voce roca.
Era una decisione sofferta, da un
certo punto di vista anche
egoista, ma il cuore le diceva che se non avesse preso quella decisione
subito, se ne sarebbe pentita per sempre.
“Raggiungerai Edward
allora…” si lasciò scappare Riza,
osservando seriamente la ragazza.
Lei abbozzò un sorriso.
“Li raggiungerò
tutti e due”disse semplicemente.
“E se Acciaio e suo
fratello avessero già distrutto l’altro
portale? Non pensi che in questa eventualità il tuo
tentativo sarebbe
vano?”domandò Mustang.
Winry lo guardò con
decisione.
“Senza alchimia ci
impiegheranno molto di più per
distruggerlo, per quando l’avranno fatto conto di averlo
già passato”
Mustang la osservò. Era
un’idea assurda, senza contare che
fosse anche molto pericolosa, a dir poco folle… ma era il
suo desiderio.
“E sia”disse
infine con voce roca.
Sul viso di Winry si dipinse uno
sguardo pieno di
gratitudine.
“Quando?Come pensi di
farlo?”
Gli occhi della ragazza si
soffermarono sulla carcassa di uno
dei mezzi nemici, molto simile a quello utilizzato da Edward.
“Intendi ricostruire
quell’aggeggio?!”
“Tre giorni”
Il colonnello la fissò.
“Mi dia tre giorni per
ricostruirlo, non appena avrò passato
il portale potrà richiuderlo”
“Come farai? E’ a
pezzi, senza contare che non esiste in
tutta Amestris una diavoleria simile…”
“Lasci fare a me. La
prego…”
Mustang annuì grave.
“Va bene.Ti farò
avere tutto il necessario. Tre giorni, non
uno di più”
“…ma,
colonnello--”tentò di replicare Sheska.
Winry mise una mano sulla spalla
dell’amica.
“Winry…”
“Sheska…
è la mia scelta. Loro sono la mia famiglia, senza
di loro non sarei la stessa”
La bruna sentì che in
quelle parole c’era un fondo di
verità.
Un silenzio opprimente scese sul
gruppo, infine Sheska annuì
con il capo.
Winry sospirò, per poi
concentrare lo sguardo in un punto
imprecisato del cielo.
-Edward, Alphonse…Stavolta
siate voi ad aspettare
me…aspettatemi, vi raggiungerò ad ogni costo!-
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Capitolo 2 *** Malinconia: Monaco di Baviera 1923 ***
Cap 2 wait for me
Capitolo
2
Malinconia: Monaco di Baviera 1923
Era tarda notte.
L’intera casa era avvolta
da un silenzio tombale, rotto
solamente dai respiri lenti e regolari dei suoi abitanti.
Alphonse Elric se ne rimaneva
immobile con le coperte tirate
fino al mento, gli occhi socchiusi e impastati di sonno. Si
rigirò su un lato,
affondando il viso nel cuscino ma dopo pochi minuti si alzò,
sedendosi sul
bordo del letto, incapace di riaddormentarsi.
Erano
due giorni che
riusciva a dormire solo per poche ore a notte e i segni della sua
stanchezza si
potevano vedere nelle occhiaie scure sotto i suoi occhi grigioverde e
il
pallore del suo volto.
I suoi pensieri furono interrotti da
un gemito soffocato
proveniente dalla stanza affianco, che lo fece rizzare subito in piedi.
Indossò rapidamente le
ciabatte e uscì dalla sua stanza,
mentre un nuovo gemito, più acuto, lo allarmava ancora di
più. Attraversò quel
breve tratto di corridoio che lo separava dalla camera attigua e
aprì la porta.
“Nii-san!”
Il suo fratellone era steso sul
letto, il viso sudato e
deformato da una smorfia, le mani, sia quella artificiale che quella di
carne,
serrate in una stretta convulsa sulle coperte chiare.
Il minore degli Elric si
precipitò immediatamente al suo
capezzale, inginocchiandosi precipitosamente di fianco al letto e
cominciando a
scuotere il fratello, che sembrava ancora fra le braccia di morfeo, in
preda di
un incubo dovuto al dolore che da due giorni non gli dava tregua.
Le mani del ragazzino si serrarono
con più forza sulle
spalle del fratello maggiore che, a quella stretta, cominciò
a dibattersi nel
sonno.
“Svegliati,
nii-san!”
“ Rivoglio mio
fratello…ridagli il suo corpo, ridaglielo!”gemette
l’altro.
Edward tentò di
divincolarsi dalla presa del fratellino, che
si stava preoccupando sempre più..
“Nii-san è solo
un sogno, svegliati!”
“Alphonse, che sta
succedendo?!”
Noah era comparsa sul ciglio della
porta e guardava
preoccupata entrambi gli Elric; evidentemente aveva sentito le voci
dalla
camera attigua in cui lei dormiva ed era accorsa immediatamente.
“Noah, chiama un dottore,
presto!”
La ragazza scomparve immediatamente
oltre la
porta; Alphonse
ne sentì i passi frettolosi scendere le scale per
raggiungere
l’unico telefono
della casa funzionante, che si trovava nel negozio di fiori della
signora
Glacier al piano sottostante. Si trovò a maledire
mentalmente
quel trabiccolo di apparecchio telefonico che avevano nella loro casa e
che non dava cenni di vita da almeno due settimane.
“Nh! N-non...”
“Nii-san,
calmati!”
Edward ormai si agitava sempre di
più e a stento Alphonse
riusciva a bloccarlo.
“Win…Winry...n-non...”
“Fratellone,
svegliati!”
Dopo l’ennesimo,
supplichevole richiamo del fratello minore,
Ed riaprì gli occhi di scatto, respirando a grandi boccate.
I suoi occhi ambrati si soffermarono
sul viso del ragazzino al suo fianco, tentando di metterlo a fuoco.
“A-Al?”sussurrò
infine.
Con il respiro affannoso si
guardò intorno,
come per accertarsi di non trovarsi ancora nell'incubo che poco prima
viveva, mentre con un braccio si detergeva un rivolo di sudore freddo
che gli scendeva per la tempia.
Il minore si chinò su di
lui, allentando un po’ la presa
sulle sue spalle.
“Si, nii-san. Sono
io…”gli rispose "Stavi parlando nel sonno,
stavi...."
-Stavi rivivendo il giorno della
trasmutazione della mamma, vero? E stavi chiamando Winry...-
Il suo viso si corrugò,
assumendo un cipiglio apprensivo e malinconico.
-Fratellone...non riesci a darti
pace, non è vero?-
“Al…il dolore
alla gamba…“gemette sconnessamente il
maggiore, ignaro dei pensieri del fratello minore, stringendo una mano
attorno all’attaccatura dell’automail.
“Cerca di resistere, Noah
è andata a chiamare un medico.
Sarà qui presto, vedrai!”lo rassicurò
l'altro.
“Al! Io non voglio un
medico!” mormorò Ed a denti
stretti, sorpreso da un’altra fitta di dolore lancinante alla
giuntura della protesi d'acciaio.
“E invece si, nii-san! Dopo
due giorni in questo stato lo
chiamo eccome un medico, che tu voglia o
meno!”replicò Al, sbuffando spazientito.
Era stanco ma non gli importava,
tuttavia la cocciutaggine del fratello, in quel momento, lo indisponeva
parecchio.
Edward rinunciò
momentaneamente a replicare non appena vide la sua espressione e
abbozzò un sorriso tirato,
socchiuse gli occhi e fissò il viso del fratellino.
“Al, sei
pallido…”sbottò.
Alphonse si sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio e lo guardò
dritto negli occhi.
“Ti
preoccupi sempre
troppo…”continuò il maggiore.
“Mi preoccupo quando devo,
stupido fratellone!”replicò l'altro sbuffando.
Furono interrotti da Noah, che
entrò nella camera
avvisandoli che presto sarebbe arrivato un medico.
Per dieci minuti buoni aspettarono il
suo arrivo, mentre un
Edward dolorante e quanto mai contrariato continuava a ripetere, fra un
gemito
e l’altro, che no: lui non aveva affatto bisogno di un
dottore, ne in quel
momento, ne mai.
Dopo l’ennesima replica del
fratello minore il campanello
squillò al piano di sotto e Noah andò ad aprire
alla porta, mentre Edward la
supplicava di non farlo.
"Noah, ferma! Il dolore mi
stà già passando, lo giuro! Lascia perdere il
medico! Noah! Mi hai sentito?!"
“Ti comporti come un
bambino nii-san!”
Il biondo ex alchimista decise di
giocarsi l’ultima carta e fissò con una faccia da
cane bastonato il fratello.
“Alphonse, ti
prego…non permettere ad uno
sconosciuto di mettere le mani addosso al tuo adorato fratello
maggiore. Ti
prego!”
“Nii-san!”
Una nuova fitta di dolore
impedì ad Edward di continuare la sua penosa sceneggiata.
“Abbiamo un paziente
reticente a quanto pare…”
Edward con uno scatto d'ira
s'alzò a sedere tenendosi la gamba dolorante e
sbraitò contro
la persona che era appena apparsa oltre il ciglio della porta.
“Si faccia gli affaracci
suo--!”
La voce di Edward morì in
gola non appena i
suoi occhi si posarono sulla persona
che era appena entrata, Alphonse seguì il suo sguardo e non
appena vide anch'egli si trattenne da passarsi una mano sugli occhi per
massaggiarsi le tempie pulsanti.
-No! Non adesso!-gemette mentalmente
il minore degli Elric, mentre Noah lo fissava dubbiosa.
La ragazza apparsa sulla porta alle
spalle della giovane gitana portava
i capelli biondi, lunghi, legati in una coda alta, una frangetta a
solleticare gli
occhi nascosti da un paio di occhiali da vista.
La giovane fissò Edward
per qualche istante, togliendosi gli
occhiali e guardandolo con sguardo professionale che ai due fratelli
provocò un deja vu .
Era l’esatta copia di una
meccanica di loro
conoscenza, eppure i suoi occhi erano di un caldo e profondo
nocciola e i capelli avevano una tonalità leggermente
più
scura dalla Winry di loro conoscienza.
“Winry…”
boccheggiò per un istante Ed, reso non del tutto
lucido dal dolore.
Si limitò solo a quel
bisbiglio confuso, ma
Al notò l'improvvisa tensione dei muscoli delle sue braccia,
quasi come se lui si stesse trattenendo dall'allungare un braccio nella
sua direzione per poterla toccare.
“Ci conosciamo?”
domandò la giovane, avvicinandosi e posando
a terra la sua pesante borsa da lavoro.
Ed fece una smorfia alla vista di
quei caldi occhi
nocciola che si posavano su di lui: con tutta probabilità
avrebbe tanto voluto fossero cerulei, limpidi e profondi come il mare.
“No, no e solo
che…lei assomiglia ad una nostra
conoscente”precisò Al frettolosamente per togliere
d'impiccio il fratello.
“Capisco…”replicò
di rimando la dottoressa.
"E' insolito...anch'io mi chiamo
Winry, Winry
Roughbert per la precisione" continuò per fare
conversazione, sorridendo senza perdere
l'aria estremamente professionale che fino a quel momento aveva avuto.
"Potrei forse essere una parente
della vostra conoscente...voi siete di qui o siete di passaggio?"
Al sorrise cortesemente.
"Siamo a Monaco da poco
tempo, fino a poco
fà abbiamo viaggiato. E' la prima volta che capitiamo da
queste
parti così la Winry di nostra conoscenza...non penso che lei
possa conoscerla..."
"Capisco...." disse lei per poi
tornare immediatamente seria.
Si avvicinò ad Edward, che
si era di colpo
rabbuiato appena resosi conto che quella non era la sua amica
d’infanzia, fissandolo intensamente.
"Bene signor...Elric?"
Ed annuì.
"Vediamo di dare un'occhiata a questa
protesi..."
La dottoressa invitò
Alphonse e Noah ad uscire dalla stanza
per poter controllare l’automail di Ed con calma e i due si
accomodarono nel corridoio.
Dovettero passare poco più
di venti minuti prima che la porta
della camera di Edward si aprisse per far uscire la giovane donna.
Alphonse, che
fino a quel momento era rimasto appoggiato al muro davanti alla camera
del fratello,
le si avvicinò.
“Allora, come
sta?”
Lei gli dedicò un sorriso
di circostanza sistemandosi una ciocca di capelli biondo scuro dietro
l'orecchio.
“Il dolore era causato da
un nervo mal collegato alla
protesi, l’ho messo a posto e ora sta decisamente meglio,
anche se sarebbe
meglio evitare di sforzare eccessivamente l’arto per almeno i
prossimi
quattro-cinque giorni”
Alphonse annuì con
decisione.
"Ora è a posto, ma la
parte interessata potrebbe infiammarsi se si sottoponesse a sforzi..."
“Non si preoccupi, lo
terrò d’occhio io”replicò Al.
La dottoressa infilò nella
borsa un paio di guanti medici, per poi prendere un piccolo blocchetto
di fogli e una penna.
“Ancora una cosa: se
dovesse ripresentarsi un po’ di dolore
potete somministrargli uno di questi anti dolorifici leggeri che
dovrebbero
calmare il tutto in un’ora circa. Purtroppo non
potrò venire nuovamente a
controllare le sue condizioni, sarò impegnata da domani al
fronte, per curare i
feriti”
La ragazza porse al minore degli
Elric una ricetta per il
farmaco strappandola dal suo taqquino.
Dopo ciò Al la
riaccompagnò fino alla porta, la ringraziò
per l’ennesima volta e poi chiuse l’uscio alle sue
spalle.
“Allora è tutto
a posto…”
Al annuì tranquillamente
in direzione di Noah, seduta sulla poltrona
del piccolo salotto dell’abitazione.
“Si, tutto a posto. Puoi
andare a dormire
tranquilla ora” le disse il piccolo Elric per poi augurarle
la
buona notte.
Percorse automaticamente il piccolo
corridoio e si fermò davanti la porta della camera del
fratello, per poi entrare.
Lo trovò seduto sul bordo
del letto, intento a fissare
assente il paesaggio fuori dalla finestra.
“Nii-san…”
Il maggiore abbassò lo
sguardo a terra,
intrecciando le dita
metalliche con quelle di carne davanti al viso. Sembrava voler stare
per i
fatti suoi, ma Al non se
la sentiva di lasciarlo solo con i suoi pensieri, nonostante sapesse di
non poter far nulla
per lui.
Si avvicinò al letto e vi
si sedette sopra, avvertendo le molle del materasso cigolare
al peso supplementare che dovevano reggere.
“Stai bene?”
-No, che non sta bene- si rispose da
solo, fissando gli
occhi ambrati del fratello; il suo viso si era fatto cupo e sembrava
dimostrare molti più anni di quanti ne avesse realmente.
Edward gli rivolse una lunga
occhiata, per poi gettarsi
all’indietro, fra le candide coperte del suo letto.
“E’
così…”
La voce del maggiore si
soffocò da sola, mentre il suo
proprietario fissava il soffitto chiaro della stanza, le braccia
incrociate
dietro la nuca.
“Nii-san…?”
“E’
così simile… ”sussurrò
impercettibilmente il maggiore
dei due.
Alphonse sapeva cosa, o
per meglio dire chi, era la causa della malinconia del fratello, ma
ancora più frustrante era sapere che non poteva fare nulla
per placare quei
sentimenti.
Lui poteva donargli solo il suo
amore, quello fraterno che
li legava indissolubilmente da una vita, mentre al suo fratellone
mancava
qualcosa di ben diverso: l’amore della donna che amava, di
quella persona che mai più
avrebbe rivisto se non nei sogni.
“Fratellone…”
Voleva solo parlare Alphonse, voleva
solamente che lui si
sfogasse, essergli di un qualche appoggio e, in cuor suo, voleva sapere
se Ed
provasse i suoi medesimi sentimenti, perché, nonostante
provasse solo semplice
amicizia nei confronti di Winry, sentiva a volte un vuoto spaventoso
all’altezza dello stomaco, un senso di smarrimento e
nostalgia al solo ricordo
di lei e delle persone che si trovavano oltre il portale, nel mondo in
cui
erano nati e cresciuti.
“…fratellone,
io…”
Il viso di Edward si
rabbuiò.
“Lasciami solo”
Il silenzio scese fra i due, pesante
e palpabile,
tuttavia Al non si mosse di un millimetro. Il piccolo Elric ammise a se
stesso che non solo desiderava che il fratello si confidasse con lui,
ma che desiderava lui stesso confidarsi, parlare al suo fratellone di
ciò che provava e lo tormentava. Naturalmente entrambi si
comprendevano perfettamente con un'occhiata, ma Al in quel momento
sentiva il bisogno di poter liberare quelle parole e sentire il Ed fare
altrettanto.
“Certe
volte…penso…penso a casa
nostra”cominciò prendendo coraggio.
“Mi capita spesso di
pensare al colonnello e la signorina
Hawkeye…e alla zia Pinako, Den e... aWinry”
“E’ inutile
pensarci”
Edward ora lo fissava, una
rassegnazione mascherata da
decisione nelle iridi dorate.
“Facendo così
non facciamo altro che soffrire,
inutilmente.”si fermò per un breve istante, per
poi riprendere “Ora questo è il
nostro mondo e, che ci piaccia o meno, non potremmo mai più
tornare indietro”
“Anch’io lo
so…solo…non faccio che pensare che avrebbe
potuto esserci un’alternativa a tutto questo”
Il maggiore gli posò una
mano sulla spalla.
“Tutto ciò
l’abbiamo fatto per
salvare il nostro mondo; abbiamo il compito di chiudere quel portale al
più presto e quando lo sarà
Amestris sarà in salvo definitivamente; mai più
nessuno potrà tentare un'invasione”
-Sei così determinato
fratellone...eppure
lo sento...sento che anche tu provi lo stesso che provo io.
Perchè non vuoi parlarmene?Sono forse io ad essere troppo
debole
da averne il bisogno?-
Sorrise Ed, mentre l’altro
si alzava in piedi per dirigersi
verso la porta; una volta sul ciglio si fermò.
“Nii-san…”
L’altro gli
dedicò un’ultima sfuggevole occhiata.
“Io non mi pento di averti
seguito e non lo farò mai. Stare in questo o nell'altro
mondo…”
Ed guardò il suo
fratellino, mentre questi voltava il capo
verso di lui.
“…per me ha
importanza solo se posso esserti affianco”terminò
con estrema sincerità.
Era vero, ad Al quello che premeva di
più
era poter stare con Ed. Lui era l'unico parente che gli era rimasto,
era il suo prezioso nii-san e lo amava con tutto se stesso; eppure
anche gli altri legami della sua vita erano importanti ed Alphonse
Elric si era reso conto di non potersi aggrappare solamente ad Ed per
poter vivere; proprio quando aveva compreso ciò aveva
tagliato i
ponti con il suo vecchio mondo, con Sheska, la zia Pinako, Il
colonnello Mustang, il tenente Hawkeye, Winry e tutti coloro ai quali
si era affezzionato: si sentiva sperduto da un certo punto di vista
benchè sapesse non essere solo in quel nuovo mondo.
Edward gli sorrise.
"Andrà tutto bene Al.
Riusciremo a costruire la nostra vita: qui, insieme, te lo prometto"
Il maggiore degli Elric si
fermò ad
osservare il viso roseo e sorridente del fratello.
Si ritrovò a pensare che tutti quegli anni di sacrifici e
dolore
non contavano
più se paragonati a quello spettacolo: Alphonse in grado di
parlare con voce viva e umana, l’Alphonse capace di
sorridere, piangere e dormire, l’Alphonse sentimentale che,
nelle
giornate di
pioggia, tornava a casa bagnato fradicio con un gattino sotto la giacca
e che
gli supplicava di tenerlo per almeno una notte. Aveva ritrovato il suo
adorato fratello e ciò per lui contava più di
qualsiasi
altra cosa, nonostante sentisse la mancanza del suo vecchio mondo non
si pentiva della sua decisione. In cuor suo sapeva che sarebbe
sopravvissuto alla mancanza dell'affetto della zia Pinako, a quel
sentimento che preferiva lasciare senza nome che provava per Winry,
alla competizione fra lui e Mustang, ai rimproveri non troppo bruschi
e agli utili consigli del tenente Hawkeye, ma era certo che non sarebbe
riuscito a vivere senza Alphose. Quando si era trovato davati ad una
decisione aveva scelto il male minore ed in questo modo era
riuscito anche ad assucurare la pace al mondo in cui era nato e
cresciuto e alle persone che, come Winry, meritavano la
serenità che lui aveva offerto loro con quella scelta; aveva
la coscienza apposto, ma continuava a sentirsi
inquieto nonostante tutto.
Sorrise e Al lo vide, vide quel
sorriso un
po’ malinconico che caratterizzava il suo fratellone da
quando
aveva abbandonato Amestris.
Avrebbe voluto parlargli ancora, ma
desistette per un motivo a lui stesso sconosciuto.
“Grazie Ed”disse
in un sossurro.
Il maggiore fece un piccolo cenno col
capo, sospirando impercettibilmente.
“Buona notte,
nii-san”disse Al uscendo dalla camera.
“Notte,
fratellino…”
Note finali: Ecco qui il secondo capitolo! Vi è piaciuto? Ho
ritardato la pubblicazione per allungare un pò la storia e
mettere qualche descrizione in più, come mi è
stato consigliato...devo dire di esserne soddisfatta^^ Ringrazio Annie
Black (Ecco qua cosa combinano nel mentre i due Elric^^Spero proprio
che questa fan fic soddisfi le tue aspettative; farò del mio
meglio perchè sia così^^), WinryRockbellTheQueen
(che nome lungo xD Anch'io ammetto di essere in astinenza da EdWinry,
quindi scrivere questa fanfic per me è un qualcosa di
terapeutico^_^ Grazie e continua a seguirmi!) , Aer_alchemist (Grazie
per il commento; effettivamente ho notato che non è scritta
al meglio e perciò sto cercando di risolvere il problema
sistemando e riscrivendo alcuni punti. Ti ringrazio per avermelo fatto
notare, vedrò di migliorare per rendere migliore la mia fan
fic!) e Leli 1441 ( *Logorata dai sensi di colpa* Azz mi hai beccata!
Quella royai da terminare è lì in attesa di
essere completata, ma purtroppo l'ispirazione ha levato le tende e non
accenna a tornare. Appena mi torna prometto di finirla come si deve,
nel mentre comunque ho preparato una sorpresuccia in questa fic....^_^)
Mi raccomando, recensite!
A presto,
Irene Adler
|
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Capitolo 3 *** Incomprensioni: un mondo così nuovo, così sconosciuto ***
Capitolo
3
Incomprensioni: Un mondo
così nuovo, così
conosciuto.
by
Irene Adler
L’impatto fu violento da
farle temere di morire sul colpo
senza neppur rendersi conto pienamente della situazione.
Sentì la lamiera del
mezzo accartocciarsi su se stesso con uno stridore terrificante,
cigolando e
lacerandosi con una facilità sconcertante.
Mai era salita su un mezzo simile e,
mentre l’abitacolo si
accartocciava per il violento urto, per un istante sperò di
non dover mai più
salire su un simile aggeggio, nonostante le sue parti meccaniche
fossero, per
una maniaca della meccanica come lei, qualcosa di tremendamente
affascinante.
Ciò che rimaneva
dell’aereo si capottò per l’ultima
volta,
avvolto da una nube di polvere e detriti, per poi finalmente fermarsi.
La prima cosa che Winry Rockbell
pensò, scontata ma
rincuorante, fù che era vita e avrebbe sorriso se non fosse
stata per la paura
che ancora le sconquassava il petto.
-E’ già qualcosa
Winry, il peggio è passato- si disse
riaprendo gli occhi che poco prima aveva serrato. Le mani le tremavano
mentre
si passava il dorso di quella destra sulla fronte, ma non vi
badò, anche perché,
oltre ad esse, tutto il suo corpo tremava per ciò che aveva
vissuto pochi
secondi prima.
Prima di spostarsi
nell’abitacolo, ormai quasi del tutto
sventrato nell’impatto, si tastò le gambe per
verificare se ci fossero
eventuali ferite, poi fece lo stesso con le braccia e il busto; il
risultato fu
meno grave di quanto pensasse: la caviglia destra
nell’impatto aveva subito una
botta non indifferente, ma non tanto grave da preoccupare, la spalla
destra le
doleva e probabilmente l’omero era uscito dalla sede
dell’articolazione ma per
metterlo a posto sarebbe bastata la giusta manovra e un po’
di sangue freddo.
Ciò che la preoccupava maggiormente era l’ematoma
alla tempia sinistra, che le
sfocava la vista ed iniziava a provocarle giramenti di testa
particolarmente
fastidiosi.
-Devo uscire di qui…-
Non conosceva le condizioni del mezzo
e se questi perdeva
carburante avrebbe potuto prendere fuoco e ucciderla.
-Sarebbe il colmo…
riuscire ad attraversare il portale per
poi morire fra le fiamme…-
Poggiò mollemente una
mano al vetro dell’abitacolo, per buona parte
scheggiato e in frantumi,
tentando di aprire il portellone.
-Non esiste…che io muoia
in un posto simile!Non dopo tutto
quello che ho fatto…-
Cercò di fare leva con il
braccio sano, ma non ottenne
risultati migliori e il portellone continuò a rimanere
bloccato,
imprigionandola al suo interno.
Si abbandonò contro il
sedile respirando affannosamente,
mentre la vista si appannava sempre più; cercò di
riacquistare un po’ di lucidità
per trovare il modo di uscire da lì in fretta, mentre le
sembrava di udire il
lieve crepitio di un fuoco.
-Che la benzina abbia preso fuoco?-
Sentendo l’odore di fumo
tentò di spingere con tutte le
proprie forze il portellone, mentre la paura cresceva sempre
più incontrollata
dentro di lei.
Le fiamme iniziarono ad intravedersi
nello squarcio sulla
fiancata, minacciandola con i suoi colori violenti.
-Apriti! Apriti! Io non
posso…! Non qui dentro!-
Le spinte divennero pugni, che si
fecero man mano sempre più
violenti.
“Dannazione!”
gemette a denti stretti, mentre la vista le si
offuscava sempre di più.
Sentì con orrore di star
per perdere coscienza e si gettò
con tutte le sue forze contro l’uscita
dell’abitacolo, senza riuscire a
muoverlo.
Scivolò contro la
superficie liscia e fredda dell’aereo,
mordendosi a sangue il labbro per tentare, con il dolore, di non
svenire.
-Ed…Al…-
Il fuoco divampò al suo
fianco e pian piano l’incoscienza
prendeva possesso del suo corpo.
Con gli ultimi barlumi di ragione la
sua mano si chiuse sul
piccolo ciondolo che portava al collo, nel quale vi era una foto di
lei, Ed e
Al da piccoli.
“Alphonse…Edward…mi
dispiace”
Poteva sentire il calore del fuoco al
suo fianco.
“Temo…”
Qualcosa al suo fianco si
spostò, ma lei aveva quasi del
tutto perso la percezione di ciò che la circondava.
“…che non ci
sarà una prossima volta...”
Una figura si stagliò fra
il rosso sanguigno delle fiamme.
“…per
noi”
“Ehi
tu, che ci fai
qui dentro?!”
Un viso sfocato apparve
dall’altra parte del vetro dell’abitacolo
ma Winry ormai riusciva solamente a distinguerne a mala pena le
fattezze umane,
mentre tutto si faceva sempre più confuso nella sua mente.
“Non preoccuparti, ora ti
tiro fuori!”
Un sorriso appena accennato le
comparve sulle labbra, poi
sprofondò nell’oblio.
“Ehi! Ragazzina, rimani
sveglia!”
All’esterno
dell’abitacolo lo sconosciuto afferrò una sbarra
di ferro per far leva sul portellone, applicò tutto il suo
peso per smuovere
l’ostacolo e, con un suono metallico, il portellone si
aprì di qualche centimetro.
“Resisti
ancora un
po’! Ci siamo quasi!”
I cardini cedettero, lasciando
spalancare l’uscita
dall’abitacolo.
“Ragazzina!
Ragazzina!”
Non ricevendo risposta,
l’uomo si sporse all’interno delle
lamiere ed estrasse il corpo inerte della ragazza, prendendola fra le
braccia e
sottraendola al fuoco che ormai aveva attecchito anche al corpo
principale del
piccolo aereo.
Questi si allontanò in
gran fretta chiamando all’attenzione
altre persone che stavano nelle vicinanze, già
precedentemente avvisate dal
rumore causato dall’impatto dell’aereo della
ragazza, che stavano già
organizzando tutto il necessario per placare l’incendio.
“Heiz il fuoco si sta
propagando! Portate le pompe
dell’acqua, dobbiamo evitare che l’incendio si
propaghi ulteriormente!”
“Sarebbe meglio chiamare i
pompieri! Non abbiamo le
attrezzature necessarie per far fronte…!”
“Certo Heiz, allora quando
arriveranno qui sarai tu a
spiegare loro cosa sia quella specie di porta dell’inferno
che stà sopra le
nostre teste!”
“C-Capisco…”
“Signor Huges! Che
è successo, chi è quella ragazza?!”
“Non ne ho idea.
E’ venuta da Shamballa, l’ho vista passare
il portale con uno degli aerei di Thule, credo sia ferita in modo
piuttosto
serio!”
“Un medico! Chiamate un
medico!”
Il crepitio del fuoco si faceva
sempre più alto, ma un altro
suono lacerava l’aria.
“Guardate lassù!
Sta succedendo qualcosa al portale per
Shamballa!”
“Presto, andiamo via di
qui!!”
Se Winry fosse stata cosciente
avrebbe sentito urla
indistinte, un violento scoppio e avrebbe visto l’uomo che
l’aveva salvata
portarla di peso al sicuro, lontana dal portale, che ora iniziava a
creparsi e
a cedere alla gravità.
Tutto durò pochi istanti,
nei quali il passaggio verso il
mondo alchemico si sbriciolò sotto gli occhi di un piccolo
gruppo di persone,
atterrite e attonite, per poi cadere a terra in un cumulo di macerie.
L’uomo che corrispondeva al
nome di Huges fissò la ragazza
svenuta con sguardo torvo, mentre gli ultimi resti di ciò
che era il passaggio
verso quel regno tanto misterioso e sconosciuto divenivano inutile
polvere.
“Buongiorno signora
Glacier!”
La donna posò un piccolo
vaso di fiori sul bancone del
negozio per poi girarsi verso di il ragazzino che l’aveva
salutata.
“Buongiorno Alphonse. Tuo
fratello sta meglio?”domandò
dolcemente, accarezzando con la punta delle dita i piccoli boccioli di
ciclamino che sporgevano solo di qualche centimetro dal terriccio umido
del
vaso.
Il piccolo Elric annuì
rafforzando la presa sulle borse
della spesa, dentro le quali c’era l’occorrente per
la cena.
“Si, lui sta un
po’ meglio. Con la scusa che deve rimettersi
in sesto cercherò di propinargli da bere un po’ di
latte”
“Sta attento,
l’ultima volta l’ha versato fuori dalla
finestra”lo informò Glacier, accennando al vaso di
geranei posto sul cortiletto
interno del negozio, posizione che coincideva perfettamente con la
finestra del
cucinotto di casa Elric.
-Dannazione!-
Al abbassò lo sguardo,
mortificato.
“M-mi dispiace immensamente
per i suoi fiori! Le prometto
che la cosa non si ripeterà mai più!”
Glacier scosse il capo sorridendo
radiosa, per poi estrarre
da sotto il bancone un mazzo di gerbere e sistemarlo in un vaso.
“Non devi scusarti caro!
Anzi, devo dire che dopo il
trattamento a base di latte quei geranei hanno rafforzato il proprio
fusto e
sembra che anche il colore sia più brillante!”
Il minore degli Elric
sospirò, mentre le sue labbra si
piegavano in un sorriso arrendevole.
La signore Glacier era sempre
così buona e dolce che il
piccolo Al si trovava spesso e volentieri a contemplarla e notare
sempre
maggiori punti in comune fra lei e sua madre; a volte, quando lei
sorrideva,
aveva la sensazione che Trisha Elric fosse davanti a lui, in attesa di
lodarlo
per la sua prima trasmutazione o per aver finito il latte prima di Ed.
Al si sentiva sciocco per questi suoi
pensieri, ma era più
forte di lui ed in più gli faceva veramente bene
chiacchierare anche solo
qualche minuto al giorno con la signora Glacier, almeno riusciva a
distrarsi
dai suoi pensieri più negativi.
“Alphonse…Al…caro,
tutto bene?”
Il minore dei fratelli Elric si
scosse dai suoi pensieri e
si affrettò a rispondere alla donna, che lo fissava con un
po’ di
preoccupazione.
“E’ tutto a
posto? Ti vedo un po’ strano…Faresti meglio a
riposarti un po’!”
“E’ tutto ok!
Sono solo un po’ pensieroso…e poi
c’è Ed che
non mi rende la vita facile” disse, sorridendo
tranquillizzante alla donna.
“Il mio fratellone certe
volte sa essere così infantile…”
Glacier ricambiò il
sorriso.
“A volte sembri tu il
fratello maggiore fra i due, Al. Si
vede che tieni davvero moltissimo a lui!”
Al incespicò nel primo
gradino che portava alla sua
abitazione, poi si voltò con il viso un po’
arrossato.
“B-Beh, è mio
fratello e la mia famiglia: gli voglio bene
anche quando mi fa arrabbiare, forse è per questo che non
riesco mai a
sgridarlo seriamente!”
“E’ il tuo
tallone d’Achille Al, sei sempre dolce con tutti,
non riesci mai ad arrabbiarti seriamente…Ah!
Max…i-il signor Huges intendo- si
corresse arrossendo appena-… ha chiamato stamattina quando
tu e tuo fratello
eravate fuori. Mi ha detto di dirvi che il portale è
diventato instabile e si è
definitivamente chiuso…e che una rag…”
“UHAAAAH!”
Un urlo disumano proveniente dal
piano superiore fece
rizzare i capelli al giovane Elric e per poco Glacier non
rischiò di far cadere
a terra una piccola pianta di rose selvatiche.
“ALPHOOOONSEEEE!”
Il ragazzino sussultò,
salutò di fretta la padrona di casa e
si precipitò su per le scale.
Spalancò la porta di casa
e si guardò attorno, alla ricerca
della figura famigliare del fratello maggiore, che gli apparve giusto a
qualche
passa davanti a sè.
“Nii-san…?”
Edward Elric guardava fra il
terrorizzato e lo schifato una
ciotola posata a terra contenente una sostanza biancastra, nota ai
più come
latte, mentre un ignaro e innocente gattino attingeva da quel
contenitore,
leccandosi di tanto in tanto i baffi.
“Al!”
Il minore degli Elric posò
a terra le borse della spesa e
guardò il maggiore, sospirando.
“Che
c’è?”
Edward si passò una mano
sulla fronte nell’evidente
tentativo di recuperare un po’ di calma.
“Al…Al…Al…”
“Sono qui”disse
l’altro con un’innocenza disarmante, mentre
rivolgeva un’occhiata amorevole alla creaturina pelosa che in
quel momento
aveva preso a leccarsi la zampetta, soddisfatto della mangiata.
Ed sospirò gravemente.
“Nii-san…?”
“Uno. Che ci fa
questo…animale…- indicò la dolce
creaturina
-…a casa nostra?”
“Nii-san,
io…”
“Due- continuò
l’Elric maggiore-…perché hai
disseminato la
casa di ciotole di latte? Perché ci sono tutte quelle
confezioni di
quella…roba…sparse per casa?”
La sua voce era un po’
più alterata del solito.
Il povero Alphonse diede una rapida
occhiata alla busta
della spesa, che conteneva un’altra confezione del demoniaco
liquido biancastro
che il fratello tanto rifuggiva.
Senza dar il tempo al minore di
rispondere, Edward indicò il
gattino dal pelo fulvo.
“Non può stare
qui, lo sai Al!”
“Nii-san, era fuori al
freddo aveva tanta fame…- provò a
giustificarsi il fratello-…era tutto
infreddolito…non
potevo…”continuò a
balbettii.
“Si che potevi lasciarlo
fuori! Se la sarebbe
cavata!”replicò l’altro.
Alphonse tentò di prendere
la parola con un flebile ‘ma io’,
ma il fratello non gli diede modo di parlare.
“Quante volte ti
avrò detto che non abbiamo abbastanza
spazio in questa casa?!”
“Ma
io…”
“Niente ma Al! Ora riporti
questo gatto dove l’hai trovato e
già che ci sei togli dai piedi tutto il latte che
c’è in giro!”
Alphonse abbassò il capo,
il viso nascosto dai capelli
chiari.
“Io…”
“Al, subito!”
“Ma il
latte…”
“Subito!”
“Il
gatto…”
“Ora, Al!”
Alphonse sollevò il capo e
prima ancora che Edward avesse il
tempo di dire un’altra parola, prese il micetto in braccio e
corse lungo il
piccolo corridoio dell’abitazione.
“Stupido fratellone!Sei
senza cuore!”
Ed fece appena in tempo a registrare
quella frase che sentì
la porta della stanza del fratello sbattere piuttosto violentemente.
Rimase a fissarla per un momento, poi
distolse lo sguardo.
“Dannazione!”
Afferrò al volo il suo
cappotto e si avviò verso l’uscita di
corsa, incrociando Noah sulla soglia.
“Edward, ma
che…?”
“Torno per cena!”
“Ma Ed! La tua
gamba!”
“Sta meglio!”
“Ma il
dottore…”
“Noah, lasciami stare! Ho
bisogno di una boccata d’aria!”
Detto ciò uscì
di casa.
Era sera tardi quando
rincasò.
Noah era andata a letto da parecchio
e l’abitazione era
vuota e silenziosa.
Edward posò stancamente la
giacca sul divano, ignorando la cena che la giovane gitana le aveva
tenuto da parte e che, per strane ragioni, alla sola vista gli
provocava il voltastomaco.
Percorse il corridoio sul quale
s'affacciavano le uniche tre camere della casa, fermandosi davanti a
quella che apparteneva ad Alphonse, per poi
posare una mano sulla superficie
irregolare e scura della porta.
“Al…sei
sveglio?”
La mano del ragazzo sfiorò
la maniglia d'ottone, senza accennare alcun movimento per aprire
l'uscio.
“Al…”
Dall’interno non
provenì alcuna risposta.
Edward fissò la maniglia
in un breve attimo di indecisione,
poi la sua mano piegò il freddo metallo, socchiudendo la
porta.
Al
era coricato sul
letto, le spalle alla porta; sembrava dormire.
Si avvicinò titubante, per
poi fissare il suo viso.
Con tutta probabilità
aveva pianto, perché le guance erano
arrossate, i capelli arruffati attaccati al viso ancora umido; fra le
sue
braccia spuntava il musetto del gattino che aveva raccolto per strada,
che
dormiva beatamente accoccolato fra la pelle morbida e asciutta del
petto del
ragazzino e il tessuto morbido del pigiama, aperto per i primi tre
bottoni.
A questa vista il maggiore degli
Elric provò una gran tenerezza,
mista a tristezza.
Ultimamente non faceva mai la cosa
giusta con Al, riusciva
sempre a farlo arrabbiare o preoccupare più del necessario.
Stavolta l’aveva fatto
piangere e, a giudicare dal suo viso,
anche parecchio.
Era la prima volta che lo vedeva in
quello stato da dopo la
trasmutazione.
-Scusami Al…è
solo che io…-
Come poteva dirglielo? Dirgli che
ogni volta che chiudeva
gli occhi vedeva i visi di chi aveva lasciato per sempre ad Amestris,
parlargli
del dolore costante che gli bruciava il petto ogni volta che si
accennava
inavvertitamente al loro vecchio mondo?
E poi quella donna…quella
ragazza così simile a Winry
nell’aspetto l’aveva inquietato più di
ogni altra cosa.
Temeva che con il tempo il viso di
quella sconosciuta e
della sua amica di infanzia potessero sovrapporsi, finendo per
confondersi.
Temeva di dimenticarsi di Winry, di
sostituirla con
qualcun'altra.
Tuttavia tutto questo Ed non poteva
dirlo a suo fratello e
sentiva che non sarebbe stato giusto farlo in nome di una regola non
scritta che
implicava il suo ruolo di fratello maggiore; Ed sapeva che Al soffriva
per la
lontananza dal loro mondo, ma sentiva anche che il parlarne avrebbe
solo
peggiorato le cose. In più lui con le parole non era mai
stato bravo, neanche
lontanamente.
“Scusami, Al”
Odiava vederlo triste, più
di ogni altra cosa al mondo.
-Lo so che è sciocco
volerti proteggere anche adesso Al. Sei
grande ormai e il mio ruolo di fratello maggiore non vale
più un gran che, però
non voglio mai più vederti piangere-
Ed ricordava ancora quelle lacrime
invisibili che aveva
visto più volte scendere dalle aperture vuote
dell’elmo dell’armatura che
faceva da corpo a suo fratello; ricordava ogni istante, ogni dettaglio,
ogni
notte che trascorrevano insieme, nelle quali fingeva di dormire ed
invece
ascoltava i discorsi che Al gli faceva credendolo addormentato. Lui
aveva visto
ogni notte le sue lacrime invisibili al resto del mondo e il vederle in
quel
momento, lì, cristallizzate e libere di sfogarsi sulle
guance di carne di Al,
le rendeva forse ancor più dolorose ai suoi occhi di
fratello maggiore.
-Forse sono un fallimento come
nii-san, ma voglio poterti
proteggere Al, proteggerti dal dolore che hai vissuto per anni e anni e
che ora
non meriti-
Sospirò
nell’oscurità.
“Al…tuo fratello
è uno sciocco…”
-Come posso proteggerti dalla
tristezza se invece riesco
solo ad esserne la causa?-
Al si mosse nel sonno, mentre il
gattino si accoccolava
meglio fra le sue braccia.
“Nii-san…insieme…nello
stesso…mondo”
Al sorrideva.
“In…sieme…”
Ed si ritrovò, suo
malgrado, a fare altrettanto.
Si diede dello sciocco.
Che importava tutto ciò
che aveva pensato? Alphonse voleva
che lui fosse al suo fianco, l’aveva detto chiaramente
più e più volte e ad Ed
questo bastava: avrebbe continuato questa battaglia contro i mulini a
vento
solo per lui, per il suo nii-chan.
Bloccò l’impulso
di arruffare i capelli chiari del fratello
per paura di svegliarlo, gli diede le spalle e si avviò
verso camera sua,
schivando abilmente una ciotola di latte posata di fianco alla porta.
Note finali: Ecco qua il terzo capitolo, spero vi sia piaciuto^^ L'ho
allungato un pochetto prima di pubblicarlo e ho modificato un
pò lo schema della casa dove abitano Ed ed Al, che
teoricamente sarebbe quella del film, ma che, per questioni di copione,
ho dovuto modificare un pò (per esempio aggiungendo il
cortile interno e una camera in più.
Mi raccomando, recensite per dirmi se vi è piaciuto o se ci
sono cose da sistemare!
Al prossimo capitolo,
Irene Adler
|
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Capitolo 4 *** Separazione: Vorrei stare al tuo fianco ***
Capitolo
4
Separazione: Vorrei stare al tuo fianco
“S-signor…Huges?
Maes Huges?”
L’uomo la fissò
interrogativo, aggrottando appena la fronte.
Lei, continuando a fissarlo,
tentò di alzarsi a sedere ma
non ci riuscì, le braccia tremanti che a stento rispondevano
ai suoi ordini.
Al suo fianco l’identica
copia della Glacier di Amestris
fissò dubbiosa prima l’uno poi l’altra.
“Caro, conosci questa
ragazza?”
L’uomo sospirò,
scotendo la testa “Deve essere ancora un po’
confusa per il colpo preso alla testa…”
Winry tentò di replicare
fiocamente, ma una fitta lancinante
alla fronte e una più fioca alla spalla fasciata la
costrinse ad adagiarsi
nuovamente fra le coperte.
Glacier si avvicinò a lei
preoccupata, sedendosi di fianco
al letto e sfiorandole delicatamente la fronte con una pezza
d’acqua umida.
“Sta ferma. Devo cambiarti
la fasciatura ora…”
La bionda la fissò per
qualche istante, ancora frastornata e
confusa.
-Cosa sta succedendo?-
Abbandonò mollemente il
capo sul cuscino, fissando incupita
la donna al suo fianco destreggiarsi con garza e disinfettante per
sostituirle
la benda vecchia.
-Forse sto
sognando…-pensò fissando prima Glacier poi Huges
con uno sguardo attento e meditabondo.
-E’ solo uno stupido
sogno…deve essere per forza così.
Questo vuol forse dire…?-
Fissò l’uomo dai
capelli scuri cercandovi qualsiasi
caratteristica che potesse differirlo dal Maes Huges di Amestris, ma,
con suo
rammarico, non ne trovò.
Si lasciò scappare un
sospiro arrendevole e il suo corpo si
rilassò maggiormente, accarezzato dalle coperte candide.
-Se lui è il signor
Huges…io sono…?-
Glacier le disse qualcosa che lei ben
non comprese e subito
dopo avvertì una fitta alla spalla che le strappò
un’esclamazione di sorpresa.
“Ho finito di medicarti,
ora puoi riposare” le disse con
gentilezza la donna, gettando la garza sporca in un cesto di vimini
posto sotto
la finestra vicina.
Winry socchiuse le labbra per
rispondere, ma non riuscì ad
articolare una sola parola, così si limitò ad
annuire fissandola negli occhi
con gratitudine.
-Non è possibile che sia
morta…altrimenti non avvertirei
dolore-
Ciò che sentiva era reale,
dal tocco delicato delle coperte
sulle braccia nude al dolore pulsante e persistente al capo, al tiepido
venticello che spirava dalla finestra socchiusa; su tutto
ciò Winry non aveva
dubbi: era reale e lei era viva.
Eppure qualcosa era fuori posto:
quelle due persone
rendevano il tutto irreale.
“D-dove
sono?”
Glacier scambiò uno
sguardo con l’alter di Huges, poi questi
si avvicinò al letto.
Winry notò un qualcosa di
militare nei suoi movimenti e
constatò che erano identici a quelli dello Huges che lei
aveva conosciuto;
l’unica cosa che al momento le faceva pensare
all’uomo davanti a sé come ad una
persona solo somigliate al tenente colonnello di Amestris era il suo
comportamento: lo Huges davanti a lei non sorrideva, non dimostrava un
carattere allegro e un po’ burlone, non aveva fotografie
della sua famiglia che
spuntavano dalla tasca della giacca.
No. Lui non era il signor Huges.
“Sei a casa mia. Ti ho
portata qui subito dopo il tuo
arrivo”disse l’uomo, fissandola con la medesima
attenzione che la giovane gli
stava riservando.
“Elycia…”sussurrò
lei.
Huges aggrottò la fronte.
“Come prego?”
“Elycia…dov’è?”
Dallo sguardo che l’uomo le
lanciò Winry si convinse che lui
non poteva essere assolutamente Maes Huges, così
portò lo sguardo sulla donna:
era identica a Glacier e si era dimostrata egualmente gentile e dolce,
come lo
era quella di Amestris.
“Ancora quello
sguardo…assomiglio a qualcuno che
conosci?”domandò
tranquillamente la donna.
La ragazza la fissò per
qualche istante senza dire nulla,
poi fece un semplice cenno negativo con la testa.
No, neanche lei era la Glacier di
Amestris.
“Ti è andata
bene. Te la sei cavata solamente con una botta
alla testa e qualche contusione; la spalla andrà a posto del
tutto fra qualche
giorno”asserì grave l’uomo, sistemandosi
gli occhiali sul naso e avvicinandosi
ancora di più.
Winry gli dedicò, seppur
inconsapevolmente, un’occhiata
identica a quella che aveva dedicato a Glacier.
“ Perché hai
lasciato Shamballa? Perché sei venuta in questo
mondo?Che intenzioni hai?”domandò guardingo
l’uomo.
“Sham…balla?”
Socchiuse gli occhi nel tentativo di
mettere a fuoco come si
deve ciò che la circondava, ma quello che ottenne fu solo
l’effetto contrario.
“Max,
non farla
stancare, è ancora ferita!Non affaticarla, se si sentisse
male non potremmo
portarla dalla dottoressa, dato che adesso è impiegata al
fronte” lo redarguì
appena Glacier posandogli una mano sulla spalla.
Detto ciò si
allontanò da lui per poi avvicinarsi alla
giovane distesa nel letto, ignorando la protesta dell’uomo.
“Come ti
chiami?”domandò gentile.
Winry abbandonò il capo
sul cuscino, mentre un’improvvisa
spossatezza la assaliva; era ancora stordita dall’incidente e
quella situazione
tanto bizzarra non le stava decisamente giovando.
“Mi
chiamo…Winry”sussurrò, senza neanche
pensare di mentire
alla donna: dopotutto era stata gentile con lei, non le avrebbe fatto
del male
ed in più rivelarle il suo nome non poteva certo metterla in
situazioni
spiacevoli.
-Sono così
confusa…-
Winry sospirò lievemente
affondando il capo nel morbido e
candido cuscino.
“Ora riposati Winry, sei
ancora debole…”
Inconsciamente annuì
appena.
“Starò io con
te…qui sei al sicuro”
Winry le credette e
s’abbandonò alle braccia di Morfeo.
Alphonse socchiuse gli occhi,
infastidito dai raggi
mattutini che filtravano dalla finestra. Il micetto accoccolato fra le
sue
braccia gli strusciò il muso contro il collo, emettendo fusa
intense e
piacevoli.
“Ahaha!Ehi, mi fai il
solletico!”disse, mentre il felino
prendeva a leccargli il mento con la linguetta ruvida.
“Basta, dai!”
Il minore degli Elric lo
afferrò dolcemente facendogli un
grattino dietro l’orecchio e sorridendo
all’espressione soddisfatta del piccolo
felino a quelle attenzioni.
“Ti piace
eh?”ridacchiò fissandolo con dolcezza.
Un miagolio d’apprezzamento
accompagnò quell’affermazione,
facendo sorridere maggiormente Al, che però tornò
serio un attimo dopo.
Il gatto puntò i suoi
occhi ambrati in quelli grigioverdi
dell’Elric, che distolse lo sguardo.
“Hai gli occhi come quelli
del mio fratellone”sorrise,
stavolta con fare malinconico.
Era la prima volta che litigava con
Ed da quando aveva
riacquistato il suo corpo e il peso di quello
‘scontro’ lo avvertiva in un nodo
allo stomaco ben poco piacevole.
-Sono stato proprio uno sciocco; ho
sbagliato a portare
questo gattino in casa senza dirgli nulla-pensò, carezzando
il capo del micio.
-E forse anche sul
latte…non posso obbligarlo a berlo se non
gli piace…anche se gli fa bene- aggiunse un attimo dopo.
Si alzò in piedi.
-Si, andrò a chiedergli
scusa!-
Indossò rapidamente la
camicia chiara del giorno prima, un
paio di pantaloni scuri e un gilet del medesimo colore, osservando per
un
istante la sua figura nello specchio da parete sopra il comodino;
abbracciò poi
il gatto e scese le scale intenzionato a riappacificarsi con il
fratello,
mentre qualcuno suonava alla porta di casa.
“Arrivo!Sto
arrivando!!”
Noah era fuori casa, così
come Glacier, quindi fu Edward a
dirigersi verso l’uscio, maledicendo mentalmente la sua gamba
dolorante che gli
impediva di camminare decentemente.
Vi fù un altro
scampanellio, più insistente dei precedenti.
“Un attimo!”
Aprì la porta e
fissò con sguardo seccato la persona che gli
si parava davanti.
“Si tratta della dimora dei
fratelli Elric?”
Edward fissò
l’uomo, sospettoso. Doveva avere sui
trent’anni, indossava una divisa militare verde scuro e i
suoi penetranti occhi
grigio topo osservavano l’interno della piccola abitazione.
“Chi li
desidera?”domandò formale, fissando i tipi in
uniforme dietro l’uomo che stava parlando.
In quel mentre Alphonse fece la sua
comparsa scendendo dalle
scale che conducevano al piano superiore, il gattino in braccio e
un’espressione dispiaciuta dipinta sul viso.
“Nii-san, io
vole--“
“Al, torna di
sopra!”
Il ragazzino lo fissò
sbigottito, per poi portare lo sguardo
verso gli sconosciuti alla porta.
“Che
cosa…?”
“Muoviti!”
Il giovane Elric fece per seguire il
consiglio del fratello,
ma due dei militari entrarono bruscamente in casa, costringendolo ad
avvicinarsi alla porta d’ingresso. Il gatto che il ragazzino
teneva in braccio
finì sul pavimento, dove prese a soffiare minaccioso con la
coda ritta.
Edward guardò con astio il
soldato che gli aveva parlato per
primo, tenendo sotto controllo gli altri due uomini e il fratello con
la coda
dell’occhio.
“Che significa questo?Chi
siete?!”
“ Sono il sottotenente
Grunder.Sono stato incaricato dal
governo di arruolare un uomo per ogni famiglia, di modo da contribuire
all’accrescimento delle truppe del nostro paese. Siamo in
guerra e questa città
è a rischio. Siccome lei è invalido-
lanciò un’occhiata all’automail al
braccio
lasciato scoperto per una buona metà dalla manica- non vedo
alternative signor
Elric. Suo fratello prenderà il posto assegnato a
lei!”
I soldati che avevano preso Alphonse
lo invitarono ad uscire
dalla porta, senza tante cerimonie.
“Nii-san, ma
che…?!”
Edward tese una mano verso di lui
afferrandolo per una
manica e se lo portò al fianco.
“Lui non va da nessuna
parte, sottotenente!”
Questi fissò impassibile
Edwarde per qualche secondo.
“In questo
caso…”
I soldati si mossero, prendendo per
le spalle il minore
degli Elric e trattenendo il maggiore.
“Non potete
farlo!”
Alphonse si aggrappò alla
camicia del fratello, mentre
questi tentava di tenerlo a se cingendogli con fermezza le spalle con
un
braccio.
“Lasciatelo!Non ne avete il
diritto!”
“Questa è la
guerra signor Elric. La priorità va al bene del
paese”replicò severo il sottotenente.
Edward sentì la propria
presa scivolare dal polso alla mano
del fratello, che serrò la propria con una stretta forte e
disperata.
“Fratellone!”
Altri due soldati afferrarono Al e lo
strattonarono bruscamente,
troncando quella stretta che univa ancora i due fratelli.
“Lasciatelo
andare!”
Edward tentò di
avvicinarsi a spintoni e a spallate,
tendendo un braccio verso il fratellino che lo guardava atterrito,
completamente bloccato dai soldati, che già lo stavano
trascinando sul camion
dove le reclute prendevano posto.
“NOOO! AAAL!”
Avrebbe combattuto per impedire che
glie lo portassero via,
ma l’automail e la sua gamba erano così deboli che
lo stare in piedi era di per
se difficoltoso.
“NIII-SAN!”
Alphonse gridava, disorientato,
scosso, spaventato, gli
occhi liquidi fissi nelle iridi ambrate del maggiore, che stava facendo
di
tutto per riuscire a raggiungerlo.
Del tutto indifferente alla scena che
gli si presentava
davanti, il sottotenente diede l’ordine di bloccare il
maggiore degli Elric.
Uno dei soldati lo colpì
alla nuca con il calcio di una
pistola e per un istante Ed barcollò, mentre la vista
diveniva sfocata, poi
cadde in ginocchio sentendo l’equilibrio venir meno.
“FRATELLONE!”
Il grido angosciato di Al lo
raggiunse appena, mentre il
giovane Elric si dibatteva penosamente, le lacrime che ormai gli
illucidivano
gli occhi e lo sguardo fisso sull’unico componente della sua
famiglia steso a
terra.
“Cosa gli avete fatto?!
Lasciatemi, lasciatemi
andare!Lasciatemi!!”
“Al…”
Edward poggiò una
mano sul ginocchio tentando di far leva su di esso per
rimettersi in
piedi.
-Dannazione, non vi
permetterò di portarlo via!-
“Alphonse!”
Il ragazzino venne caricato di peso
sul camion dove le
reclute aspettavano guardando la scena, immobili; i soldati salirono
con lui
trattenendolo.
“ALPHONSE!”
Il camion si mise in moto con uno
sbuffo di fumo nero, che
Edward inalò per poi tossire ripetutamente.
“Nii-san!”
Il veicolo partì ed
iniziò ad acquistare velocità, Edward
cominciò ad inseguirlo, ignorando il dolore bruciante alla
gamba.
“Al, salta!”
gridò tendendo un braccio verso di lui.
Alphonse, con la forza della
disperazione, si liberò con uno
strattone di chi lo bloccava e si accinse a lanciarsi dal veicolo in
corsa,
quando una mano guantata gli si posò sulla spalla.
“Sicuro di volerlo
fare?”
Gli occhi del ragazzino, che fino a
qualche momento prima
erano fissi sul viso del fratello maggiore, si puntarono sulla figura
dell’uomo
che lo aveva bloccato.
“Se ti rifiutassi di
arruolarti potrebbero mettere in
prigione tuo fratello o perfino giustiziarlo…”
La voce roca dell’uomo
graffiò il cuore del minore degli
Elric, che sembrò sbiancare di colpo.
“…sicuro di
volere questo?”
Il ragazzino emise un respiro
strozzato, mentre il suo
labbro inferiore tremò appena.
-Io…-
“Salta!”
-Io non…-
Gli occhi grigioverdi del minore
incontrarono quelli dorati
di Ed, ricolmi di lacrime e rassegnazione.
Un sorriso triste si
affacciò sulle labbra di Al.
“Perdonami”
sussurrò
Appena un soffio, ma già
dallo sguardo l’altro aveva capito
le sue intenzioni.
“no…”
Al si allontanò dal bordo
del veicolo e i soldati che prima
l’avevano immobilizzato lo inchiodarono senza troppe
cerimonie sul pavimento
del mezzo.
“No,
Al…” si ritrovò a gemere Edward.
Per l’ultima volta gli
occhi del fratello si posarono sui
suoi.
“ALPHON--“
Un dolore acuto alla gamba
bloccò l’ex alchimista di stato,
che cadde rovinosamente a terra.
“Perdonami…”
Al voltò dalla parte
opposta il viso, nascondendolo in parte
nell’ombra, sedendosi affianco all’uomo che gli
aveva parlato.
“Al!!”
“Perdonami,
nii-san!”mormorò con un filo di voce, prima di
sentire il richiamo angosciato del fratello maggiore che chiamava il
suo nome
per l’ultima volta.
“ALPHOOONSEEE!!!”
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Capitolo 5 *** L'arrivo: vecchie conoscenze ***
Capitolo
5
L’arrivo:
Vecchie conoscenze
“Oggi mi sento molto
meglio”esordì Winry stiracchiandosi pigramente.
Glacier le sorrise, mentre Maximilian
Huges se ne rimaneva
al di fuori della stanza per dare alle donne un pò di
privacy.
“Ne sono felice. Se avessi
avuto bisogno di un medico
saresti dovuta andare nella città vicina…di
questi tempi le strutture sanitarie
non sono molto efficienti e la nostra dottoressa è stata
spedita al fronte”disse brevemente Glacier.
Winry si sporse un poco verso la
donna notando una sfumatura di voce particolarmente rassegnata.
“Che sta succedendo in
questo mondo? Anche stando solamente
in questa stanza riesco ad avvertire che qualcosa non
va…”disse infine, fissando la finestra, dalla
quale potevano scorgere cupi edifici e campagne deserte.
Glacier sospirò,
passandosi stancamente una mano fra i corti capelli castani.
“E’ la guerra. La guerra cambia sempre
tutto, la sua presenza impregna l’aria, cambia le persone, lo
stile di vita…”
La bionda sospirò: quelle
parole le ricordavano molto la sua Amestris.
“Non so da che mondo tu
venga…-continuò l’altra-…ma
in
questo sono anni che si preannunciava la guerra e ora che è
scoppiata possiamo
solo pregare perché finisca al più presto. Il
prezzo del cibo è aumentato
paurosamente, i servizi di assistenza sono impegnati per lo
più ai fronti, così
da privarne i cittadini. Il coprifuoco scatta appena giunge la sera ed
ogni
volta che si esce di casa non si ha la sicurezza di tornare a casa. I
militari
pattugliano la città, strappano alle famiglie figli e mariti
per arruolarli
nell’esercito. E poi le armi. Quelle dannate armi da fuoco
non fanno altro che
mietere vittime su vittime…è orribile”
Winry annuì gravemente.
“Anche da dove provengo
c’era la guerra…solo…al posto delle
armi da fuoco viene impiegata l’alchimia- si fermò
per un attimo, non sapendo se continuare- L’alchimia
è
fatta per aiutare la gente…eppure nel mio mondo la si usa
principalmente per
azioni belliche. I miei genitori erano medici durante la guerra contro
Ishibar…anche loro, come molti altri, sono morti per mano di
quei militari che
avrebbero dovuto proteggerli”
“I nostri mondi non sono
poi così differenti”constatò
cupamente Glacier e Winry non potè che annuire, seppur a
malincuore.
Per un po’ regnò
il silenzio nella stanza, poi Glacier si
alzò in piedi.
“Ora basta con queste
discussioni deprimenti. Se te la senti
verresti con me fuori? Ho alcune commissioni da fare e avrei bisogno di
una mano”
La bionda annuì con il
capo, si alzò e si affacciò alla
finestra, mancando di scorgere, per un pelo, un camion
dell’esercito al cui
interno vi era un ragazzino di sua conoscenza, che, con occhi di un
grigio
cangiante, fissava assente ciò si era lasciato alle spalle.
Un’ora, due,
tre…Alphonse non poteva sapere quanto tempo
fosse passato.
Fino a poco prima era a casa,
tranquillo e sicuro di
riuscire a riappacificarsi con suo fratello, un attimo dopo si era
trovato
strappato via da lui, senza neanche comprenderne pienamente il motivo,
caricato
brutalmente su un camion pieno di persone a lui sconosciute, che lo
fissavano
di sfuggita.
Si strinse nelle spalle, mentre un
improvviso brivido gli
percorreva la schiena, per poi fissare il paesaggio fuori dal mezzo.
-Chissà dove
andiamo…Quanto mancherà?-
“Una decina di chilometri e
dovremmo arrivare a destinazione”
Il giovane ex alchimista
voltò il capo verso l’uomo al suo
fianco, il cui viso era celato dall’ombra.
“Il campo di addestramento
è vicino…mancheranno pochi
minuti”
“G-grazie
mille”rispose atono il giovane Elric, fissando con grande
interesse le sue mani giunte il grembo.
“Era tuo fratello il
ragazzo di prima, non è vero? Il
biondino con l’arto
meccanico…”continuò lo sconosciuto,
muovendosi appena nell'ombra.
Alphonse annuì appena con
la testa, non ancora del tutto
sicuro di potersi fidare di quell’uomo, benchè in
teoria non ci fosse nulla di male nel scambiare quattro chiacchiere.
Un sospiro provenne
dall’ombra, mentre lo sconosciuto si sistemava in
una posizione più comoda.
“Avrà avuto
diciotto anni al massimo…tu quanti ne hai?”
Al fu tentato di mentire per un
istante.
“T-Tredici,
signore…”disse infine.
L’altro sospiro.
“Quanto è caduto
in basso questo paese…far combattere
perfino dei ragazzini…per cosa poi?”
Sembrava aver rivolto più
a se stesso che ad altri quel
breve pensiero e Alphonse preferì rimanere in silenzio.
Il camion si arrestò di
colpo.
“Presto scendete! Datevi
una mossa!”
Un paio di soldati invitarono le
reclute a scendere dalla
vettura e dirigersi verso il campo di allenamento.
Il campo era cintato da una rete di
ferro a maglie larghe la cui base era sostenuta dal una serie di sacchi
di sabbia posti da ambo i lati; le strutture all'interno erano per lo
più tende e vi erano solo un paio di strutture con muri di
mattoni.
Alphonse si guardò intorno
disorientato: ovunque guardasse
vedeva uomini intenti a lustrare armi, i visi sporchi e sguardi
tremendi,
sguardi di chi sente che ormai il proprio destino non è
più nelle proprie mani ma in quelle di persone a lui
sconosciute, pronte, senza alcuna esitazione, a mandarli al massacro
per i più innumerevoli motivi.
“Alphonse”
Si girò di scatto,
riconoscendo la voce dell’uomo con il
quale aveva parlato durante il tragitto.
I suoi occhi si soffermarono sul viso
dello sconosciuto.
“Da quello che ho capito
è questo il tuo nome…”
Il ragazzino si riprese, annuendo
appena con il capo e
distogliendo lo sguardo da quello grigio screziato dell’uomo.
“Si, mi chiamo Alphonse
Elric, signore!”
Questi sospirò, mentre una
mano andava a scompigliarsi i
capelli corvini.
L’altro abbassò
lo sguardo, seguendo il flusso di cadetti
che si riversava nell’accampamento militare.
“Non posso permettere che
un ragazzino se ne rimanga da solo
in un ambiente tanto meschino…”
La mano dell’uomo gli si
fermò vicino al braccio in un chiaro sengno di amicizia e
supporto.
“Mi chiamo Roy Mayer.
Piacere di fare la tua conoscenza, piccolo”
Il giovane Elric rialzò lo
sguardo, osservando il viso del
perfetto alterego dell’Alchimista di Fuoco Roy Mustang.
“Piacere di conoscerla,
signore!”rispose, stringendogli per
qualche istante la mano.
Questi lo guardò con un
mezzo sorriso sul viso, fissandolo con profondi occhi screziati.
“D’ora in poi ti
terrò d’occhio io Alphonse. E’ un brutto
ambiente questo, per niente adatto ai ragazzini come te”
Lui annuì con il capo.
“Non ti posso promettere
niente, ma farò il possibile perché
tu sopravviva abbastanza a lungo da rivedere quel tappo di tuo
fratello!”
Alphonse lo guardò un
po’ spiazzato, chiedendosi se avesse sentito bene.
“Che
c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?
Sarà alto al
massimo dieci centimetri più di te…per la sua
età è piuttosto basso. Sei
d’accordo?”replicò l'altro alla vista
della sua espressione confusa.
Il ragazzino abbozzò un
timido sorriso, sicuro che se il suo
nii-san avesse sentito le parole dell’alter del colonnello
come minimo gli
avrebbe donato una morte lenta e dolorosa.
“Solo…un
pochino”ammise colpevole.
-Se Ed mi avesse sentito ora mi
ritroverei come minimo pieno di lividi!-
“Bah! Sei un ragazzino un
po’ troppo sdolcinato per i miei
gusti, ma mi stai simpatico! Bene, ascolta attentamente ciò
che ti dico…”
“Si!”
“Se ti cacci nei guai vieni
sempre da me, nei limiti del
possibile tenterò di tirartici fuori. Non ti allontanare e
soprattutto pensa
due volte prima di aprir bocca”
“Si, signore. Lei sembra
pratico, ha già fatto il
soldato?”domandò ingenuamente Al.
L’uomo lo fissò
per un attimo lievemente stupito, poi si
rabbuiò appena, scompigliandosi ancora una volta i capelli.
“Cosa te lo fa pensare?
Sono solo una semplice recluta come
te!”
Al non rimase molto convinto da
quelle parole, ma preferì
non insistere, così annuì educatamente.
“Un’altra cosa
Alphonse…”
Il ragazzino lo fissò con
attenzione.
“…non chiamarmi
signore, mi fa sentire vecchio! Ho solo
trent’anni, non cinquant’otto che diamine! Chiamami
Roy”
“O-ok
sign…R-Roy”
Dire che gli faceva una strana
impressione chiamare per nome
la copia sputata del colonnello Mustang era un eufemismo.
“Bravo ragazzo!”
Entrambi si fermarono, giunti
finalmente al centro
dell’accampamento, mentre un soldata parlava a gran voce.
"Ora verrete divisi in squadroni e
verrete assegnati a vostri superiori, dai quali verrete addestrati per
la battaglia. Se porterete onore al nostro paese verrete lautamente
ricompensati! Onore alla Germania!"
Roy esibì per un istante
un sorriso che non aveva nulla di felice, anzi, aveva una connotazione
sarcastica.
"Onore alla Germania!" disse
meccanicamente con voce piatta mentre un sottotenente gli passava di
fianco.
Si voltò poi verso
Alphonse e gli posò una mano sulla spalla.
“Questo è il
punto del non ritorno. Benvenuto all’inferno,
Alphonse Elric!”
Afferrò il cappotto e
scribacchiò rapidamente un biglietto
per Noah.
Intendeva lasciare quella casa per
andare a cercare il suo
fratellino e impedire che venisse coinvolto in quella terribile guerra,
a
qualunque costo.
L’idea che Al fosse da
qualche parte solo e spaesato, con in
mano un fucile e costretto ad uccidere persone lo terrorizzava a dir
poco.
Alphonse era in gamba, intelligente e
coraggioso, non aveva
nulla da ridire sotto quell’aspetto, ma la guerra non era
qualcosa che si
potesse affrontare con facilità, soprattutto se si era un
soldato.
Si rimaneva segnati
nell’anima e nel corpo ed Edward non
voleva che accadesse ad Alphonse; lui doveva sorridere, vivere,
crescere e sognare, doveva recuperare tutto ciò che aveva
perso negli anni in
cui la sua anima era rimasta legata ad un’armatura.
Uscì di corsa di casa,
trascinandosi dietro una piccola
borsa contenente giusto lo stretto indispensabile per il viaggio.
-Ti troverò
Al…anche a costo di andare in capo al mondo!-
“Grazie di avermi
accompagnata Winry.Non ce l’avrei mai
fatta da sola”
“Non si preoccupi signora
Glacier, per me è stato un piacere
poterla aiutare!”
Le due donne camminavano per la
strada con in mano alcuni
sacchetti, contenenti gli ingredienti per la cena.
“Posso farti una domanda un
po’ indiscreta Winry?”
La bionda la guardò per
qualche istante, per poi annuire.
“Perché sei qui?
Non penso che tu abbia attraversato quel
portale per nulla”
La ragazza abbassò il
viso, sospirando appena.
“Io mi ero stancata di
aspettare…una persona. La devo
trovare a qualunque costo, c’è una cosa importante
che devo dirgli”
Glacier fissò il viso
della diciottenne che aveva preso
colore, poi sorrise guardando il cielo. Lei aveva quello stesso sguardo
imbarazzato quando segretamente pensava a Max Huges, prima che
diventasse il
suo attuale fidanzato.
-Ah, l’amore…-
Winry distolse lo sguardo dalle sue
scarpe, per fissare il
cielo.
-Edward…-
Doveva assolutamente ritrovarlo,
voleva vederlo, averlo
accanto, potergli dire ciò che non era stata capace di
dirgli prima; non le
importavano le conseguenze. Aveva abbandonato il suo mondo e la sua
vita pur di
ritrovare lui e Al, ormai la sua scelta l’aveva fatta.
“Signora Glacier!”
Si scosse dai suoi pensieri e il suo
sguardo si posò sulla
figura di una ragazza che correva nella loro direzione, gli occhi fissi
sulla
donna al suo fianco.
Glacier posò a terra la
borsa e rivolse un’occhiata attenta
alla giovane gitana che le si era fermata di fronte, con il fiatone per
la
corsa.
-E questa ragazza chi
è?-pensò Winry, osservando con
discrezione e curiosità la giovane donna.
“Cosa
c’è Noah?”
La ragazza, una mano premuta al petto
come ad allentare il
battito cardiaco irregolare, si prese qualche istante di sosta,
guardando
Glacier con insistenza.
“Se ne è andato!
Ha lasciato un biglietto…”
Glacier prese in mano la situazione.
Cinse le spalle la
giovane e la costrinse a sedersi sulla panchina in ferro battuto lungo
la
strada.
“Calmati Noah, racconta
tutto dal principio…cosa è
successo?”
Winry si avvicinò ad
entrambe, posando anch’ella la borsa
della spesa, che cominciava ad indolenzirle le braccia.
Osservò quella strana
ragazza con le trecce, avendo la sensazione che assomigliasse a
qualcuno di sua
conoscenza.
Solo in quel momento Noah si rese
conto della sua presenza e
la fissò, gli occhi nocciola appena sgranati e fissi in
quelli blu della
meccanica.
-Ma questa ragazza…-
La gitana si ricordò di
aver visto il suo volto sorridente
nei sogni di Edward, di aver sentito vaghi fantasmi dei sentimenti del
ragazzo
alla vista di lacrime cristalline scendere da quegli occhi
zaffiro…
“Noah!”
La bruna si scosse, riportando lo
sguardo sulla signora
Glacier.
“Ed se ne è
andato. Ha lasciato un biglietto in cui diceva
che andava a cercare Alphonse, che l’avevano preso e portato
via…”
Al sentire quei due nomi Glacier e
Winry reagirono in due
modi diversi.
La Rockbell sgranò per un
istante gli occhi, il fiato
bloccato in gola, mentre Glacier si incupì di colpo.
“Vuol dire che i militari
hanno portato via Alphonse?! Com’è
possibile…”
“Elric…”
Noah e l’altra si voltarono
verso la bionda, che le fissava
in cerca di risposte.
“Le persone di cui state
parlando sono Edward e Alphonse
Elric?!”
Dopo un attimo di tentennamento
entrambe annuirono e il
cuore di Winry saltò un battito.
Non fece tempo a provare un
po’ di sollievo nell’averli
scoperti vivi, sani e salvi, che subito quel sentimento fu sostituito
dalla
paura e dall’ansia. Cosa voleva dire che Al era stato presto
dai militari? Cosa
gli era successo? Dov’era Ed?
“Winry…”
“Signora Glacier, la prego,
mi permetta di venire con
voi!”la supplicò decisa.
La donna la guardò.
“Sono loro le persone che
cercavi, non è vero?”
L’altra annuì e
la donna acconsentì con un cenno di capo,
per poi prendere la busta della spesa e iniziare a dirigersi verso
casa,
seguita a ruota da Noah e Winry.
La gitana, durante il tragitto, non
faceva altro che fissare
la bionda al suo fianco, un’espressione appena incupita sul
viso.
Note dell'autrice:
Voglio ringraziare tutti coloro che
seguono questa storia, nonostante i miei tempi di aggiornamento siano
paurosamente lunghi. Grazie a tutti di cuore per i vostri commenti e
anche solo per leggere la mia storia: questo capitolo è
dedicato a voi, spero che vi piaccia!
Purtroppo non ho tempo per rispodervi uno a uno, ma quando
avrò tempo lo farò più che volentieri.
Al prossimo capitolo e non mancate di recensire per farmi sapere se vi
è piaciuto il nuovo aggiornamento!
Sepre vostra,
Irene Adler
|
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Capitolo 6 *** Dilemmi: problemi fra donne ***
wait for me cap 6
Sono
in tremendo ritardo, a mia discolpa c'è solo il fatto che ho
dovuto studiare come una matta...Comunque ecco qui il nuovo capitolo!
Rignrazio Leuconoee per la sua recensione (il tuo dubbio è
in parte risolto in questo capitolo ^_-) Buona lettura!
Capitolo
6
Dilemmi:
Problemi fra donne
Guardava fuori dalla finestra
quell’insolita città, così
diversa da Central City.
Era un mondo nuovo, per un certo
verso molto moderno
rispetto alla sua Amestris, tuttavia non riusciva a separarlo
nettamente dal
suo.
Winry sospirò e
osservò la piccola camera in cui era stata
ospitata.
Subito dopo aver raggiunto la casa
dove Ed e Al avevano
vissuto, lei, la signora Glacier e Noah avevano deciso di pensare ad un
piano
per il giorno successivo.
Glacier l’aveva invitata a
rimanere per la notte e occupare una delle due
camere che c’erano nel piccolo appartamento oltre a quella di
Noah.
Winry, dal principio un
pò esitante,
aveva poi accettato volentieri, nonostante trovasse insolitamente
strana l'idea di condividere la medesima casa di Ed e Al.
Anni prima non si sarebbe fatta
problemi a condividere l'abitazione con i due ragazzi, ne tantomeno
condividere camera, coperte o perfino il letto con loro; ora invece
provava dentro di sè una sensazione davvero insolita: un
misto di malinconia e dolce ricordo.
Si era sdraiata nel letto qualche ora
dopo la cena, ma non
era riuscita a prendere sonno.
Quel cuscino aveva un profumo
maledettamente famigliare e la
ragazza aveva riconosciuto in esso quello piacevole di Alphonse.
L'immagine, proveniente dai suoi
ricordi, di un Al undicenne accoccolato fra le coperte, i capelli
scarmigliati e un sorriso innocente sul volto, tornò vivido
nella sua mente, facendola per un attimo sorridere.
In seguito alla presunta morte di Ed
anni prima, aveva passato moltissimo tempo con Alphonse, avendo modo di
recuperare molto del rapporto che, con la lontananza e
l'impossibilità di vedersi, era andato assopendosi.
Winry, anche non riuscendo ad
ammetterlo a se stessa, si era lasciata sostenere dalla presenza del
minore di fratelli Elric, così dolce, ma così
sicuro nello stesso tempo: era stato la sua ancora di salvezza, la
persona che le aveva dato la possibilità di
riprendersi dalla scomparsa di Ed.
Winry si trovò a pensare a
lui, a come potesse stare e a cosa gli stesse capitando in quel momento.
"Al..."
Si era alzata dal letto ed era
rimasta a guardare il paesaggio cittadino alla
finestra per diverso tempo, meditando su come raggiungere i due
fratelli.
"Se solo sapessi dove..."
sospirò scostando una ciocca di capelli pallidi dietro
l'orecchio.
Percorse il piccolo corridoio sul
quale si affacciavano le
stanze da letto e si affacciò in una di esse,
entrando quasi con reverenza.
Un profumo familiare la avvolse
dolcemente, mentre, a piedi scalzi, si fermava al centro della piccola
stanza.
Quella doveva essere la camera di Ed;
lo sentiva per l’aria
impregnata del suo profumo, per la disposizione degli oggetti e per la
mancanza
di ogni cosa futile nell’arredo.
La sua attenzione venne attirata da
alcuni automail di strana fattura posti dentro a contenitori di legno
chiaro.
Sorrise, convenendo che quella doveva
essere proprio la stanza di Edward.
Si avvicinò al letto e si
sedette su di esso, non senza provocare il cigolio del vecchio
materasso.
Si sdraiò su di esso,
abbracciando il cuscino e coprendosi con le coperte candide, impregnate
da quel profumo che solo la pelle di Ed poteva avere.
Affondò il viso del
guanciale, respirando dolcemente e chiudendo gli occhi: improvvisamente
l'agitazione e la malinconia l'avevano abbandonata, facendo posto ad un
piacevole torpore.
Rimase al buio in silenzio ed infine
si addormentò, mentre due occhi
scuri la fissavano con attenzione dalla porta socchiusa.
“Buongiorno!”
Winry entrò nella piccola
ma accogliente cucina, dove Noah
si dava da fare ai fornelli.
“Buongiorno,
Winry” la salutò cordialmente Glacier, seduta
su una delle quattro sedie poste accanto alla tavola.
“Buongiorno a lei signora
Glacier!” disse la Rockbell
rispondendo al saluto, mentre l’odore inconfondibile del
caffè riempiva la
stanza.
La bionda, non volendo rimanere con
le mani in mano, si avvicinò a Noah.
“Posso darti una
mano?”domandò cortese.
Lei alzò gli occhi dal
bollitore ammaccato, fissandola per
un istante.
“Potresti prendere le
tazze? Sono nella credenza…”
La ragazza diresse lo sguardo verso
le molteplici ante
presenti in quella cucina, per poi fissare un po’ imbarazzata
la bruna.
“E’ quella in
alto, la prima a destra…”rispose lei alla sua
implicita domanda.
Aprì quella che le era
stata indicata e prese le prime tre
tazze che le capitarono a tiro.
Noah la seguì di sfuggita
con lo sguardo, finche non le posò sulla
tavola.
“No, questa non si
può usare…”disse prendendone una dal
bordo un po’ sbeccato e riponendola nuovamente al proprio
posto, con gentilezza.
“E’ quella di Ed.
L’ha fatta cadere un paio di giorni fa e
si è un po’
incrinata...”spiegò, per poi porgerne a Winry
un’altra appena più
grande.
"Perde se ci versi dentro qualcosa,
ma Edward non vuole saperne di cambiarla, così la teniamo
con le altre" aggiunse la gitana.
“O-ok…”
Winry prese posto affianco a Glacier,
mentre Noah
versava il caffè bollente nelle tazze e le porgeva ad
entrambe.
La bionda la fissò per
qualche istante affaccendarsi per
recuperare l’occorrente per la colazione. Le sue movenze
pratiche e disinvolte le ricordarono un pò sua madre,
quando, anni prima, le preparava le frittelle per colazione.
Winry si distolse da quegli sciocchi
ed irrazionali pensieri notando che Noah era molto pratica e
senz’altro conosceva ogni
angolo della casa come le proprie tasche.
Ed, Noah e Al.
Erano vissuti, fino al giorno prima,
insieme.
Per quale motivo?
Si diede della stupida pensando che
non erano affari suoi,
che non doveva riguardarle la scelta dei due fratelli su chi portare a
vivere
con loro, però non poteva far a meno di
chiederselo…
Una ragazza e anche bella, davvero
molto bella…da sola con Al
ed Ed…con Ed…da consolare?
Fissò laconica il liquido
scuro che riempiva la tazza fra le
sue mani, pensando che la gelosia le faceva davvero scherzi orribili.
-Anche se
fosse…io…-
“Winry, cosa
c’è, non ti piace?”
“Uh?”
Alzò gli occhi per
incontrare quelli scuri di Noah, che la fissava apprensiva.
“Forse non ti senti
bene?”
Si riprese e scosse il capo, cercando
di rassicurare lei
e Glacier, che
intanto si era sporta
appena verso di lei.
“Sono solo un po’
pensierosa, tutto qui!”
Si alzò da tavola e
tornò verso la stanza dove aveva
dormito.
“Farò colazione
più tardi, vado un attimo in camera!”
La faccenda la riguardava eccome.
Sfiorò delicatamente una
camicia bianca appesa nell’unico
armadio della stanza, avvertendo su di essa il leggero ed
inconfondibile
profumo di Ed.
Tornò a sedersi sul letto
e soffermò lo sguardo sul
contenitore di legno chiaro nel quale facevano bella mostra varie
protesi
meccaniche, di cui sicuramente lei non era l'ideatrice.
-Ha già rimpiazzato i miei
automail…- pensò.
Dopo un attimo di meditazione ne
afferrò una con gesto
rabbioso e prese ad osservarla con grande attenzione.
-Cosa avranno di speciale?!
Cos’hanno più dei miei?!-si
chiese indispettita.
Estrasse la copertura della protesi,
osservando i meccanismi
celati sotto di essa.
-Non sembrano essere un gran
che…-
Tastò sapientemente le
giunture dei vari pezzi, osservando
con particolare minuzia ogni dettaglio.
-Abbastanza leggeri, ma ben poco
resistenti…una botta e si
rompono!Edward non capisce un accidenti di automail! Appena lo trovo io
lo…lo…-
Prese dal comodino un piccolo set di
attrezzi da meccanico
che si era portata con se, estraendo da esso un cacciavite a stella che
avvicinò pericolosamente alla protesi .
“Rimettilo a
posto”
Voltò il capo verso la
porta, dove Noah la osservava
attentamente.
In un nano secondo posò il
cacciavite, mentre la ragazza
bruna si avvicinava, prendendole dalle mani la protesi e rimettendo il
rivestimento.
“Nessuno può
toccarle tranne Ed”
Winry sospirò.
“Capisco, allora dei miei
automail si è già sbarazzato”disse
con un filo di voce, nascondendo un po’ di risentimento. Se
avesse avuto Ed
sottomano probabilmente l’avrebbe pestato a sangue con la
chiave inglese.
Noah si voltò verso di
lei, per poi sedersi al suo fianco.
“Edward utilizzava sempre
quelle protesi…diceva che erano
comode e leggere”iniziò.
Winry avrebbe voluto sbuffare
sonoramente e ribadire ad alta
voce l’ignoranza del ragazzo in quel campo, ma rimase in
silenzio.
“Però…da
quando è tornato da Shamballa, indossa sempre gli
stessi e una volta mi ha detto che sono il regalo di una persona
cara”
Winry sgranò appena gli
occhi, per poi abbassarli sulle mani
che teneva in grembo, un’impercettibile sorriso le aveva
piegato labbra.
Ed non si era voluto disfare del suo
lavoro e questo la
rendeva felice, la faceva sentire utile, anche se lontana da lui.
-Che sciocca che sono…-
“Tu ci sei
sempre…”
Riportò lo sguardo su
Noah, che fissava a terra.
“Come?”
“Nei suoi
sogni…tu ci sei sempre. Lui sogna il tuo sorriso
ogni notte, nel sonno ripete il tuo nome…ti
chiede di perdonarlo...”
-...e ti chiede di amarlo-
completò mentalmente la gitana, non sapendo
perchè, di preciso, non avesse rivelato anche
quell'informazione alla ragazza bionda.
“ Ma
come…?”
“Io posso vedere i sogni e
i pensieri delle persone anche
solo toccandoli”cominciò, accompagnando quelle
parole posando una mano sul
ginocchio di Winry.
“Per questo so che i sogni
di Edward sono su di te…per
questo so che anche tu non fai che pensare a lui”
Winry rimase per un attimo stupita,
senza accorgersi che le
sue guance si stavano colorando di un piacevole rossore.
Noah, si alzò
improvvisamente, sorridendo appena e
accostandosi alla porta.
“Ti ho tenuto in caldo il
caffè…”
“V-vengo fra
poco”rispose Winry.
La bruna annuì e
uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
-Qualunque cosa provi Edward per lei,
dev'essere lui stesso a dirlo...- pensò.
-...non ho diritto di parlare a suo
nome di cose a lui tanto importanti-
Tornò in cucina da
Glacier, pensando che, dopotutto, lei e Winry sarebbe probabilmente
andate d'accordo.
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