Sterminatrice

di Kira Kinohari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio I ***
Capitolo 2: *** Episodio II ***
Capitolo 3: *** Episodio III ***



Capitolo 1
*** Episodio I ***


Le campane della cattedrale risuonarono avvertendo gli abitanti della cittadina che la sera stava rubando il posto al giorno. Da diversi minuti, però, il cielo dava lo stesso annuncio, colorandosi man a mano di tonalità sempre più scure.
Quanto più si avvicinava la sera, tanto più il vento soffiava, attraversando le vie della città, oltrepassando le fibre dei tessuti per arrivare alle ossa.
Atena sentì l’aria scuoterla, percorrendo l’interezza della sua colonna vertebrale e costringendola a chiudere fino al meno la zip della sua giacca di pelle color daino; la sua tenuta da combattimento.
Il sentiero che si addentrava nel bosco era scuro, e sempre più raramente illuminato quanto più ci si avvicinava agli alberi. Anche l’odore si modificava, diventando più pungente, più selvatico, più vero.
La donna continuò il suo percorso, aveva bisogno di raggiungere il buio per riuscire a trovare ciò che stava cercando, per terminare la sua missione e dedicarsi alla sua serata.
Lo scricchiolio di un ramo la mise sull’attenti. Si voltò di scatto verso la fonte del suono che attendeva impazientemente, facendo svolazzare i suoi corti, ribelli, capelli neri.
Due occhi rossi si accesero, illuminando la piccola radura; alberi, cespugli e qualche animale che sparì in fretta.
La creatura la stava osservando, dalla sua bocca deformata, con lunghi e affilati denti che uscivano dalle labbra, stava colando bava. Non era nuova a quell’eventualità; si trattava di una reazione naturale all’odore della sua pelle, un odore così dolce che qualsiasi mostro avrebbe dato la sua vita anche solo per un assaggio. Erano nemici naturali, ma lui non poteva fare a meno di lei… o meglio, lei non poteva fare a meno di lei, perché in questo caso si trattava di una femmina della specie.
Entrambe rimasero ferme, la donna in attesa di una mossa che sarebbe arrivata presto. Solitamente si dilettava con i suoi obbiettivi prima di finirli, correndo, fingendosi spaventata, così da poter dar loro l’ultimo inebriante soffio di adrenalina, ma non quella sera. Aveva un appuntamento e non avrebbe giocato, così rimase immobile, aspettando che il desiderio della sua rivale la portasse ad attaccare.
Successe prima di quanto potesse sperare. In un attimo fulmineo la creatura si avventò su di lei, facendo solo un minimo, umanamente impercettibile, rumore, ma Atena fu pronta e con la stessa velocità tirò fuori le sue lame gemelle e iniziò la sua danza della distruzione.
Il giovane ed affascinante biondo si avvicinò con passo sicuro alla bellissima ragazza che aveva appena attraversato le porte del locale. La osservò con attenzione, immaginando ciò che sarebbe potuto accadere dopo la cena, bramando quel momento.
«Perdona se sono in ritardo.» disse la ragazza con la sua dolcissima voce «Purtroppo avevo del lavoro da sbrigare prima di poter staccare.» “Staccare eccome!” rise dentro sé.
«Ci mancherebbe, una donna non deve mai sentirsi in colpa per un ritardo, soprattutto una donna così bella.» rispose lui, tendendole il braccio.
Insieme si avviarono verso il loro tavolo. Quando si sedettero lei si guardò intorno, godendo della vista sul lago illuminato fievolmente dalla luna. Nel frattempo lui osservava attentamente lo spacco del suo abito che metteva in mostra il suo seno piccolo, ma sodo.
Il locale era incredibilmente pieno, vedeva diverse famiglie che attendevano di ordinare, guardando impazienti a destra e a sinistra, come in cerca di un cameriere da fermare. Eppure, da loro arrivò subito un giovane per consegnare loro i menù. Era alto, con corti capelli neri e due occhi profondi. Sparì veloce come era arrivato, lasciando in Atena uno strano sospetto; era strano che fosse arrivato tanto in fretta da loro quando c’erano altri clienti che aspettavano da più tempo, e strano il modo in cui le sue pupille scintillavano.
Aveva ragione o forse il suo lavoro la stava facendo diventare eccessivamente preoccupata?
C’era un solo modo per scoprirlo, un test. Per questa ragione si scusò con il suo accompagnatore per dirigersi alla toilette. Entrò nei bagni delle donne e si fermò davanti al lavabo di marmo in attesa.
“Fa che non sia così, fa che non sia così, fa che non sia così” ripeté nella sua mente, aveva bisogno di rilassarsi, bisogno di una serata semplice, bisogno di essere umana.
La porta si aprì lentamente emettendo un suono strozzato e, nel momento esatto in cui il giovane entrò, lei seppe che il suo sesto senso non l’avrebbe mai tradita.
«Sei un ibrido?» chiese Atena, trattenendo un sospiro.
«Conosci la mia natura.» replicò lui, sorpreso.
«Sì, io la stermino.» rispose, seccamente «Ma non ti preoccupare, non faccio mai male agli ibridi, loro riescono a evitare di fare del male agli esseri umani, possono evitare di bere sangue umano, anche se non possono resistere a me…» sussurrò, avvicinandosi a lui maliziosamente. Gli lasciò un bacio a fior di labbra, stordendolo con il suo tocco speciale, appoggiando delicatamente la mano alla base del suo collo.
«Tu non mi hai mai vista… tu non mi cercherai questa sera…» sussurrò suadentemente, prima di uscire dal locale.
Quando tornò al suo tavolo trovò un piatto di antipasto di mare ad aspettarla. Il profumo era delizioso e invitante.
«Spero che non ti dispiaccia, ho ordinato per te un antipasto.»
«Grazie, sei stato molto gentile.»
Mangiò con più fretta rispetto a quanto era suo solito. Avrebbe voluto godersi la cena appieno, ma l’effetto del suo tocco sarebbe svanito entro l’ora, quindi avrebbero dovuto fare in fretta, per cui, durante la cena si accertò di fare quanti più riferimenti a ciò che sarebbe accaduto dopo la cena, affinché l’uomo – profondamente controllato dalla sua libido più che dal suo cervello – decidesse che la priorità era uscire da quel ristorante affollato e appartarsi in un luogo intimo.
Presto si ritrovarono in una stanza da letto di una bellissima villa, stretti in un abbraccio che avrebbero voluto non finisse mai. Consumarono le calorie assunte con la cena, e continuarono anche quando ormai non sarebbe servito a nulla, finché non ebbero voglia di mangiare di nuovo.
Si addormentarono mentre facevano le ore piccole guardando un film alla televisione.
Si svegliò non appena sentì il telefono vibrare, grazie al suo sonno incredibilmente leggero e al suo udito super sviluppato. Allungò la mano per afferrare il suo smartphone, poi si alzò e si spostò in un’altra stanza per parlare.
«Hektor, ma ti sembra l’ora di chiamare?» chiese, con la voce impastata da una sola, unica, ora di sonno.
«Mi dispiace, ma sono arrivati nuovi ordini.»
«Mai un attimo di pace, eh?»
«Questa è la tua vita, lo sai.»
«Sì, sì.» rispose, scocciata. «Dove diamine devo andare, questa volta?»
«Stati Uniti.»
«Perfetto, non vedevo l’ora di rivedere il mio amico jetlag.»
«Il tuo aereo parte tra poche ore, quindi devi sbrigarti.» continuò il suo collega, ignorando il suo tono lamentoso.
«Inviami i dettagli per e-mail. Faccio un salto in albergo per cambiarmi e vado in aeroporto.»
«Perfetto. Il biglietto lo dovrai ritirare in aeroporto. Buon viaggio.»
«Buona notte.» rispose lei, prima di interrompere la comunicazione.
Quando nessuno fu più in grado di ascoltarla, sbuffò. Aveva solo ventisette anni, ma era stanca di prendere ordini dagli altri. Lei non era altro che uno strumento nelle mani di uomini senza cuore il cui unico obbiettivo non era realmente quello di tenere in vita l’umanità, ma piuttosto fare i loro interessi, spianare il cammino al potere.
Stanca, ma senza alcuna via d’uscita, si avvicinò al letto dell’uomo che le aveva fatto passare una notte fantastica. Dormiva beatamente, con il volto rilassato, come lei non faceva da anni, come forse non aveva fatto mai. Accarezzò i suoi capelli biondi, scese lungo il collo con le sue dita soffuse, poi ripercorse i contorni del suo falco, tatuato sulla spalla. Lì sotto, appena più in basso, tra le sue scapole, lasciò un bacio e poi uscì silenziosamente dalla villa, senza lasciare alcun segno della sua presenza poiché non sarebbe mai potuta tornare. Avrebbe voluto ringraziarlo per il suo tempo, per il piacere che le aveva dato, ma sarebbe stato un errore.
Percorse velocemente, a piedi, la strada che la separava dal suo motel di campagna. Lì si fece una breve doccia fredda per svegliarsi completamente, indosso abiti puliti e comodi, poi mise su la giacca di pelle e uscì dall’albergo, dove un taxi la stava aspettando.
Mentre la città iniziava a svegliarsi con il progredire della luce del giorno, lei pensò a quanto dovesse essere bella una vita normale, seppur ordinaria. La maggior parte delle persone viveva un’esistenza semplice, facile, e se ne lamentava. Tutti desideravano rimanere vivi attraverso la storia, tutti volevano lasciare il segno, raggiungere la fama, sentirsi speciali e unici.
Lei era unica, lo era sempre stata, ma questo non l’aveva mai resa felice.
Il suo sogno era la normalità.
Che stronza, la vita.

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Capitolo 2
*** Episodio II ***



«Grazie per aver viaggiato con noi!» esclamò sorridendo la hostess, con la sua divisa aderente blu.
Atena ne analizzò profondamente il volto, il sorriso era bello, ma controllato. Mentre si accorgeva di questo pensò a cosa potessero provare giovani così carine, di bella presenza come direbbe un datore di lavoro, tenute a fingere allegria e disponibilità per tutto il giorno.
In un certo modo provava empatia, anche lei viveva un'esistenza fatta di costrizioni, di ordini, di azioni che avrebbe dovuto compiere volente o nolente.
Dopo pochi anni di lavoro già non vedeva l'ora che arrivasse il tempo di appendere le lame al muro, erano giorni che non faceva altro che pensarci, alla libertà. L'aveva mai conosciuta? Ne aveva mai avuto l'opportunità?
Certo aveva girato il mondo, sul suo passaporto si susseguivano i timbri di tutti gli stati che aveva visitato per lavoro, ma non era stato come vederli realmente, non li aveva goduti appieno.
Percorse di gran carriera l'aeroporto finché non arrivò, finalmente all'uscita. Fortunatamente c'erano ancora taxi fermi fuori dall'edificio, così le bastò un attimo per accordarsi sul prezzo, prima di partire. Non che i soldi fossero un problema, fortunatamente i suoi spostamenti erano coperti per intero dall'associazione; a lei rimanevano le spese accessorie come i pranzi, eventuale shopping, ricambi per gli strumenti operativi.
Rimase piacevolmente sorpresa nell'incontrare una tassista donna, con lunghi, fluenti capelli biondi e un abbigliamento elegante, anche se scuro. Sul cruscotto della sua automobile erano sparse foto di famiglia in cui abbracciava tre bambini, probabilmente i suoi figli. Atena si chiese se facesse quel lavoro per bisogno di denaro e per le poche possibilità che le si erano presentate nella vita, o se fosse una passione, una sorta di tradizione di famiglia poiché pensando alle madri che aveva conosciuto le sembrava strano che preferisse un lavoro tanto rischioso, considerando gli ultimi avvenimenti che erano stati descritti alla televisione.
«Allora signorina, mi ha detto per la periferia della città, ma non mi ha detto quale albergo.»
«Un attimo solo, devo controllare la prenotazione.»
La giovane sbloccò il tuo telefono e sfogliò tra le applicazione per trovare l'email che le avevano mandato con tutti i dettagli.
«Star Hotel»
Non appena lei pronunciò quel nome, la donna strinse le labbra, sorpresa.
«Signorina, è sicura? Quel posto è frequentato da gente poco raccomandabile. Le posso indicare hotel migliori che chiedono appena un prezzo maggiore.»
In quel momento la gentilezza della donna le fece ricordare perché passava i suoi giorni a dare la caccia a creature mostruose senza poter avere una famiglia o degli amici. Era per proteggere la Terra, per proteggere le persone dal cuore buono, dagli occhi cortesi, dalle maniere dolci. Era quello il motivo per cui si faceva comandare a bacchetta da una ristretta cerchia di anziani che spesso abusavano del loro potere. Persone che avevano la sua vita tra le mani, una vita in cui ogni legame personale e affettivo era assolutamente vietato e impensabile. Eppure non era un peso, non per la purezza degli umani.
«Non si preoccupi per me, c'è chi mi proteggerà.» le disse.
Quando scese dall'auto lasciò il doppio del denaro che avrebbe dovuto dare all'autista, ringraziandola nuovamente e suggerendole di godersi quanto più possibile la vita e l'amore dei suoi figli. Poi la salutò ed entrò nello squallido ostello in cui avevano prenotato per la sua prima notte.
Conosceva bene il posto, non era la prima volta che pernottava lì, sempre una notte e sempre per lo sesso motivo; avrebbe dovuto visitare l'informatore ceco.
*
Quando uscì dal KFC a circa un kilometro di distanza dall'albergo, in cui aveva gustato un buon panino al pollo fritto con una porzione doppia di patatine fritte, sentì profondamente la mancanza del clima mite dell'Europa. Il freddo statunitense, a causa della corrente oceanica la fece pentire di non aver lasciato la sua adorata giacca di pelle, ma non l'aveva potuta tradire per il comodo, caldo piumino che l'attendeva nella sua valigia. Si rallegrò, invece, di aver indossato i suoi stivali imbottiti, alti fino al ginocchio.
Non solo la tenevano calda, ma le rendevano la sua camminata agevole mentre si muoveva veloce tra le strade più sporche e losche della città. La sua meta era un vecchio pub con le finestre rotte e dei brutti ceffi che, non appena entrò, la squadrarono dalla testa ai piedi. Lei non se ne fece un problema, continuò a camminare finché non raggiunse il bancone, insensibile agli sguardi che esprimevano chiaramente le distorte idee che si stavano creando nelle loro piccole, vuote testoline.
«Devo vedere il ceco.» urlò al barista che stava servendo alcune birre. L'uomo gli fece cenno verso la solita, porta rossa. Un movimento con cui le dava il permesso di andare, come se ne avesse avuto bisogno...
La stanza era buia, l'unica fonte di luce una timida candela, accesa su un tavolino di legno segnato dal tempo.
«Ceco, svegliati.» sibilò Atena con voce tagliente.
L'anziano uomo dai lunghi, ma radi capelli bianchi si mosse appena nel suo letto. Il suo corpo era debole come qualsiasi uomo medio della sua età, ma aveva la stessa prepotenza di un giovane. Con quel suo modo di fare arrogante si mise a osservare nel nulla, senza parlare, in attesa che fosse lei a fare la prima mossa.
«Perché diamine mi avete chiamata qui?» sbottò lei, infastidita da quel comportamento.
Nonostante fosse stata costretta più volte a comunicare con quell'uomo non aveva mai provato altro se non disgusto. Non solo per quello che era, un essere umano vile, debole e cattivo, ma anche per quello che amava fare... cose che Atena non avrebbe mai pensato, mostruosità che le fecero chiedere come fosse possibile che un uomo del genere fosse considerato un consulente e non un mostro da eliminare come quelli a cui lei dava la caccia.
«Vai sulla costa. Lì troverai una piccola città, Forks, in cui si mormora ci siano strane creature della notte.»
Le sue parole erano lente, necessitavano lunghe pause tra una parola e l'altra, con respiri ansanti e rumorosi.
Atena sperò che il karma lo avesse premiato con qualche malattia, ma si pentì subito di averlo pensato. Era stato un pensiero perfido e lei non avrebbe mai dovuto essere perfida. Letale, ma giusta, per proteggere gli innocenti, niente di più.
«Inizierò domani.» disse, prima di andarsene da quella stanza che odorava di chiuso e putridume.
Quando uscì dal locale, con tutti gli occhi ancora puntati addosso come spilli sul tessuto da plasmare di una sarta, notò che sorprendentemente l'aria si era fatta meno fredda, ora era quasi tiepida.
«Non è buon segno.» sussurrò fra sé la ragazza.
Tornò al suo ostello pensando a quale avrebbe potuto essere il significato di quel cambiamento. Pensò subito a un terremoto, d'altronde non era una novità che la East Coast fosse una zona ad alto rischio sismico.
Cercò di evitare gli altri ospiti dell'edificio che bighellonavano tra le scale e i corridoi, scambiandosi droga e bottiglie di alcol.
Entrò nella sua stanza, si tolse i vestiti e indossò la tuta felpata, poi si mise sotto il lenzuolo e accese il suo portatile. Scrisse una mai a Hektor, spiegandogli che aveva eseguito la prima parte del lavoro, ovvero il contatto con il consulente, e che l'indomani si sarebbe diretta verso il luogo di interesse.
Si sentì malinconica mentre cercava di prendere sonno in quel posto, così prese il suo telefono e cercò le vecchie foto, le immagini dei tempi che antecedevano la Successione in cui c'erano lei e il suo allenatore Ulisse. Ah, quanto le mancava quell'uomo, il suo corpo caldo e atletico, la sua voce... In quel momento avrebbe desiderato essere con lui, condividere con lui ancora una notte, poter godere della sua Grecia, delle casette bianche, del mare pulito e irrequieto, delle correnti, dei piatti, delle tradizioni, dei suoni e dei profumi.
Mise in stand-by il telefono, rimosse la cover che lo proteggeva da tutti i numerosi urti dovuti alla sua attività, poi ne tirò fuori la lunga lettera che l'unico uomo di cui era stata innamorata le aveva scritto dopo la notte di passione che avevano condiviso dopo che lei era stata incaricata ufficialmente di sostituire la precedente Sterminatrice. Una notte così magica avrebbe dovuto per sempre rimanere un segreto. Quella notte rappresentava un grande crimine per loro, avevano infranto le regole.
Si addormentò tra le lacrime, lacrime che solcavano raramente le sue guance.
Quella notte sognò il loro attimo di felicità.
*
«Atena, io non posso, lo sai.» le disse dolcemente Ulisse accarezzandole una guancia mentre lei si stringeva di più al suo corpo.
«Non puoi, ma lo vuoi come lo voglio io. Ti amo Ulisse, lo sai.»
«Lo so, ma questo è proibito, pericoloso.»
«Rischio la vita ogni giorno, non ho paura di ciò che è svantaggioso.»
Ed erano finiti tra lenzuola anonime, in un letto troppo piccolo per ospitarli entrambi, nascosti dai membri dell'associazione, silenziosi come ombre, come amanti, come ladri. Si rubavano un po' d'amore, in un mondo in cui persino amare era vietato.

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Capitolo 3
*** Episodio III ***


Si svegliò di soprassalto; dopo tante notti di dormite brevi e superficiali, era riuscita, finalmente, a prendere sonno per davvero. Furono le scosse di terremoto a svegliarla, scosse fortissime che fecero precipitare tutto il quartiere per strada. Tutti, ma non lei.
Atena si riparò sotto all'arco della porta, ma per fortuna prima di quanto si aspettasse tutto fu finito.
In un primo tempo decise di vestirsi con una comoda tuta nera, ordinare le sue cose e posizionarle sotto la scrivania e rimettersi a letto, così da potersi riposare ancora, ma pur essendo pronta per qualsiasi evenienza. Non ci mise molto a cambiare idea: le sembrava impossibile riuscire a riprendere sonno considerati tutti i rumori che la circondavano: bambini urlanti e spaventati per ciò che era successo, ma soprattutto per essere stati strappati dai loro letti ed esser stati portati in strada con quel buio e quel vento; vicini di stanza ubriachi che avevano approfittato del terremoto per tornare a ricordarsi di qualche strano pretesto in modo da poter urlare contro il loro compagno di viaggio; pazzi che avevano deciso di aumentare il panico della gente sparando petardi per la strada. Tutto questo la fece riconsiderare la sua posizione, così prese le sue cose, chiamò un taxi e si fece portare via dal quel luogo oscuro.
Si fece lasciare davanti ad un hotel a quattro stelle che aveva visto nel pomeriggio, appena arrivata, e lì prenotò una stanza con un balcone al sesto piano per tutta la settimana. La accompagnò un gentile valletto che si occupò dei suoi due bagagli fino alla stanza 513, dove lei lasciò qualche dollaro di mancia prima di entrare in un mondo completamente nuovo. Nelle ultime settimane aveva visitato la Romania, la Russia e la Francia e in tutti e tre i paesi non aveva potuto godere di lussi poiché si richiedevano azioni immediate; si era dovuta accontentare di motel od ostelli in cui si doveva ritenere fortunata se trovava un materasso integro, lenzuola pulite e stanze inodori, ma la 513 in confronto poteva essere definita una suite. La stanza era innanzitutto luminosa e ampia, con pareti bianche e pulite, un grande letto matrimoniale, un tavolo e un paio di poltrone, due armadi e un bagno privato con vasca. C'era anche un minibar da cui si servì immediatamente perché si sentiva disidratata e soprattutto un inebriante profumo di pulito.
Per cacciare via la stanchezza e la sporcizia che si sentiva addosso dopo i luoghi che aveva visitato nelle ultime ore si concesse un lungo bagno caldo, talmente lungo che quando ne uscì l'acqua era diventata fredda e il sole stava iniziando ad illuminare la città dormiente.
Mentre sceglieva cosa indossare pensò al piano di azione che avrebbe dovuto seguire per risolvere il problema: innanzitutto bisognava capire quale fosse il vero problema, esistevano queste creature della notte oppure erano umani deviati dalla loro natura? Negli ultimi anni aveva visto cose terribili, ma continuava a pensare che i peggiori crimi erano quelli commessi dalla stessa razza umana, dagli stessi fratelli che avrebbero dovuto aiutare il prossimo, ma che in una strana, appassionate e terribile sensazione di onnipotenza avevano creduto di possedere il diritto e il dovere di decidere della vita di un'altra persona, o meglio della sua fine, spesso anche in modo incredibilmente cruento.
Quindi il suo primo compito era quello di visitare la città e comprendere che cosa pensava la gente e che cosa provocava inutili morti.
«No, Atena.» si disse mentre indossava comodi pantaloni scuri, gli stivali imbottiti, un maglioncino caldo e la sua solita giacca di pelle «Il tuo primo compito è mangiare.».
Dopo essersi concessa un'abbondante colazione continentale composta da uova strapazzate, fettine di pancetta croccanti, salsicce e pane caldo con burro e marmellata d'arance, si diresse verso la hall dell'albergo dove si informò sulla possibilità di prendere un'automobile in affitto.
La gentile signorina che si trovava al posto informazioni le disse che non sarebbe stato necessario per lei cercare un concessionario che affittasse automobili perché l'albergo si occupava dello stesso servizio a prezzi convenienti per i suoi clienti, doveva solo scegliere il modello che più si adattava alle sue esigenze. Considerando che non sarebbe stata una spesa personale, ma dell'associazione, Atena decise di prendere la berlina da centoventi dollari al giorno e, con un gran sorriso sulle labbra, partì per dirigersi verso la piccola cittadina d'interesse.
Da Portland prese l'I-5 fino a Longview e poi optò per la Ocean Beach Highway. Nonostante l'automobile le avrebbe permesso di raggiungere il posto in poco tempo grazie alla sua cilindrata e ai suoi cavalli, Atena decise di prendersela comoda, di godersi quella mattinata di sole e quel viaggio lungo la costa pacifica americana. Ci fu anche un momento in cui decise di fermarsi lungo la U.S. 101, nei pressi di Kalaloch; parcheggiò in una rientranza e scese velocemente verso la piccola spiaggia costellata di alghe e tronchi. Rimase qualche tempo a osservare l'oceano infrangere le sue onde ripetutamente sulla sabbia scura e umida, ipnotizzata dalla semplicità di quella scena.
Semplicità, cos'era?
Lei non lo sapeva, in realtà.
Sei ore dopo essere partita dal suo hotel si ritrovò finalmente nei pressi di Forks, la cittadina di Washington.
Si fermò alla prima tavola calda che riuscì a trovare, i morsi della fame le avevano rovinato la parte finale del viaggio, anche se aveva smangiucchiato un muffin sulla via. Sedette al tavolino più appartato che poté trovare e prese il menù plastificato dal tavolo. Il piatto del giorno sembrava invitante, un buon spezzatino di cervo con patate arrosto. Una donna venne a prendere la sua ordinazione, o meglio una ragazza. Sembrava essersi appena diplomata, probabilmente stava iniziando a mettere da parte i soldi per il college.
«Salve, come posso aiutarla?»
«Prenderò una porzione di piatto del giorno con una coca cola.» disse lei, cercando di mostrare il suo più amabile sorriso.
Purtroppo non era abituata a trattare con le persone, ma solo con le sue vittime. Certo, chiamarle vittime era inappropriato visto che metteva fine a pericolosi soggetti che avrebbero potuto decimare la popolazione mondiale se non fossero state tenute sotto controllo.
«Arriva subito.»
Dopo aver pranzato ed essersi goduta anche un fetta di apple pie decise di mettersi al lavoro, il pomeriggio era ormai iniziato e presto il sole sarebbe tramontato costringendola a tornare al suo albergo a notte fonda.
Si alzò dal tavolo, prese il portafoglio che teneva nella tasca interna della giacca e si avvicinò al bancone per pagare. Una donna decisamente più adulta stava dall'altra parte.
«Buongiorno, signora. Le pago uno spezzatino, una coca, una fetta di torta e un caffè.»
«Sono trentacinque dollari, cara.»
Atena tirò fuori i soldi, li contò e li porse alla proprietaria.
«Siamo di passaggio?» chiese la donna.
«Si e no, mi piacerebbe visitare la zona, soprattutto la locomotiva di Shay perché purtroppo in Europa non ci sono.»
«Europa, che sogno!» commentò la donna. Probabilmente era abituata a chiacchierare amabilmente con tutti i suoi clienti e sembrava provare particolare piacere nel parlare con i volti nuovi, ma Atena non era brava con i rapporti umani e quindi cercò in ogni modo di districarsi da quella trappola fatta di convenevoli, anche a costo di risultare antipatica.
Quando si fu, finalmente liberata, si rese conto che non avrebbe avuto abbastanza tempo per poter effettuare una vera e propria ricerca, così decise di tornare immediatamente a Portland, prendere le sue cose e lasciare l'albergo per avvicinarsi maggiormente, ma il suo istinto le disse di non farlo.
C'era qualcosa di magico e speciale nel suo lavoro, nel suo essere la Sterminatrice. Erano le sue sensazioni, le sue abilità di comprendere il nemico e sentirne la presenza a distanza di molti chilometri.
Probabilmente, non si era accorta del suo allarme interno fino a quel momento perché era troppo concentrata a nutrirsi e non dare nell'occhio, ma ora era impossibile non farci caso. Era impossibile non sentire quella sirena che le urlava "sei vicina, così vicina che potresti toccarli".
Erano molti, un intero clan.
Questo avrebbe reso le cose più difficili, sì, ma anche più interessanti. Era stanca di singole prede che si aggiravano scioccamente in città lasciando segni palesi della loro esistenza; stupidi mostri che non erano neppure capaci di salvaguardare la loro stessa esistenza attraverso la prudenza nelle azioni.
Una forza invisibile le sussurrò di prendere il sentiero che portava nel centro più occulto della foresta; lei seguì il suo volere. Più gli alberi si moltiplicavano la sciando sempre meno spazio alla luce del pomeriggio, più sentiva la sirena intensificarsi, anche se – doveva ammetterlo – c'era qualcosa di diverso, quella volta. Era come una sensazione familiare, ma d'altronde non erano tutte le sue battute di caccia uguali tra loro?
Rimase qualche minuto a pensare, mentre si faceva più cauta, silenziosa e letale.
Se li avesse trovati subito avrebbe potuto farli fuori e tornare alla sua stanza lussuosa e riposarsi qualche giorno, ma se non fosse riuscita a sterminare l'interno gruppo in una volta i sopravvissuti avrebbero potuto scappare e costringerla ad un inseguimento lungo e stressante che l'avrebbe portata chissà dove. Avrebbe dovuto essere scaltra; la forza senza l'uso del cervello era inutile.
Quando i suoi pensieri si zittirono, e rimasero solo lei e la foresta, i suoi sensi si acuirono e le permisero si percepire dei suoni, lievissimi sussurri di passi rapidi e leggeri. Una femmina, suppose Atena.
Ne seguì le orme sonore finché non raggiunse un ruscello in una radura libera da alberi, dove poteva vedere i colori del cielo farsi sempre più scuri.
Non c'era nessun altro oltre a lei.
Atena sbuffò, stizzita. Com'era possibile? Le sue capacità iniziavano a farsi più deboli? La stanchezza stava forse prendendo il sopravvento sulla sua persona?
Se il Consiglio avesse saputo che lei non era più in ottima forma avrebbe potuto provvedere a sostituirla e la sostituzione significava una cosa sola per lei; morte.
No, non avrebbe dovuto lasciarsi andare.
Si sedette sul bordo del ruscello, mise le mani a coppa e le riempì d'acqua che si gettò sul viso per risvegliarsi.
La creatura approfittò della sua distrazione per agire e calarsi dal ramo su cui si era nascosta.
Atena non se ne accorse subito, ci fu una frazione di millesimo di secondo prima che i suoi sensi si risvegliassero e le urlassero di fare attenzione e poi la vide; pallida come la cera, bellissima con i suoi corti capelli corvini e gli occhi pulsanti d'ambra.
«Alice.» sussurrò, incredula.
La vampira le sorrise di rimando, mostrando le sue zanne taglienti.

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