You’re dripping like a saturated sunrise

di aui_everdeen_love
(/viewuser.php?uid=415798)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .rosso. ***
Capitolo 2: *** .arancione. ***
Capitolo 3: *** .giallo. ***
Capitolo 4: *** .verde. ***
Capitolo 5: *** .azzurro. ***
Capitolo 6: *** .indaco. ***



Capitolo 1
*** .rosso. ***


.rosso.

 (Oikawa&Iwaizumi)

 

La palla si schiacciò sul pavimento di legno lucido con forza, producendo un suono simile a quello di una cannonata.

Oikawa sorrise leggermente, stiracchiando le labbra in un sorriso forzato.

Se avesse dato tutto se stesso, poche ore prima nello scontro con la Karasuno, avrebbe avuto la certezza di poter giocare ancora una volta,davanti a un pubblico e in mezzo ai suoi compagni, non da solo in una palestra silenziosa.

E fu in quel momento, con le mani arrossate, il respiro mozzato e un falsissimo sorriso sul volto, che tutte le sue fantasie di andare ai nazionali e di essere il migliore, sfumarono.

Di colpo, senza fare rumore.

Un momento prima c’erano, infrangibili come una parete di marmo, un momento dopo erano spariti, dissolvendosi nell’aria come del fumo.

Si avvicinò al cesto e ne tirò fuori l’ennesima palla, senza degnare di uno sguardo la figura imponente che si stava avvicinando con passo veloce e, sicuramente, furioso.

“Non provare a lanciare quella palla, idiota” Hajime si parò davanti all’amico, con le braccia spalancate e le gambe leggermente divaricate, formando così una barriera con il suo corpo.

Oikawa lo guardò per qualche lunghissimo e interminabile secondo, poi annuì leggermente, ributtando la palla nel cesto e, sospirando, incominciò a sistemare la palestra.

Iwaizumi spalancò leggermente gli occhi e socchiuse le labbra, sorpreso di non dover sostenere uno scontro con l’amico.

“Che succede, scemo?” 

“Niente” il più basso sbuffò rumorosamente

“Balle. Su, sputa il rospo” 

“Ti ho detto che non c’è niente” il capitano della Aoba Johsai strinse i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.

“Lo sai benissimo che le tue scene melodrammatiche con me non attaccano…” Hajime non dette troppa importanza allo strano comportamento dell’amico, visto che quest’ultimo era solito ad abbandonarsi a penosi teatrini.

Tooru si girò di scatto, con gli occhi color nocciola infuocati e il viso contratto in un’espressione furiosa.

“Abbiamo perso perché mi sono fatto scappare una fottuttissima palla del cazzo. Capisci? Potevo prenderla, lo sappiamo tutti! Era facile. Era una palla facile…” grosse lacrime cristalline incominciarono a solcare le gote arrossate di Oikawa, prima lentamente, poi sempre più veloce. “Avete perso per un mio stupidissimo errore. Dio…” il ragazzo s’infilò le mani tra i capelli castani e iniziò a tirarsi delle ciocche con eccessivo vigore.

Si accasciò su se stesso e i primi singhiozzi uscirono dalle sue labbra morbide.

Hajime, dopo un completo momento di smarrimento, si piegò sulle ginocchia in modo da riuscire a guardare negli occhi l’amico.

“A volte sai essere incredibilmente stupido.” gli prese il viso tra le mani e con i pollici gli asciugò le lacrime “Quante volte te lo devo dire?” si sporse leggermente verso di lui, quanto basta per potergli sfiorare le labbra con le proprie.

 “Non si vince, non si perde da soli” Hajime eliminò la distanza che li separava, lentamente, senza mai distogliere gli occhi da quelli di Oikawa, che avevano smesso di lacrimare.

Fu un bacio salato che sapeva di rancore.

Fu un bacio che infiammò i due ragazzi, rannicchiati nel centro della palestra, elettrizzando i corpi dei due, portandoli verso un viaggio che mai avevano pensato di intraprendere.

Fu un bacio che iniziò molte cose.

Fu un bacio rosso.

 

angolino

ciao bella gente.
Bhe, che dire? Eccomi qui con questo primo capitolo.
Spero vi piaccia. 
Ho scelto il rosso per gli Iwaoi perchè questo colore rappresenta principlamente l'ira e la passione (i sentimenti forti, in pratica) e chi meglio di OIkawa e Hajime avrebbero potetuto "calarsi" in questo capitolo?
Kizzez

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** .arancione. ***


 

.arancione.





Daichi guardava Suga, accartocciato sulla propria borsa di scuola in cerca di chissà cosa, con un’insistenza maggiore al normale.

Si rese conto che i suoi occhi non si staccavano neanche per un momento dalla figura snella del ragazzo accanto a lui.

Come poteva distogliere lo sguardo? 

Semplicemente non poteva: i capelli perlacei scendevano a ciocche disordinate verso il viso delicato dell’amico, gli occhi dorati che vagavano in cerca dei fazzoletti o di un pacchetto di cracker integrali, le guance leggermente arrossate a causa del venticello fresco che soffiava quella sera e le labbra umide.

Sugawara Koushi era certamente l’essere più bello su tutta la terra e di questo Daichi ne era sicuro quanto del suo amore per la pallavolo.

“Ah! Trovate!” La voce allegra e squillante di Suga costrinse Daichi a distogliere lo sguardo velocemente, per poi puntarlo su ciò che l’amico aveva finalmente tirato fuori dalla borsa, sperando vivamente che non fosse stato colto nell’ambigua e decisamente imbarazzante azione di osservare l’altro come uno stalker.

Koushi aveva tra le mani un paio di chiavi argentate con attaccata ad esse una piccola palla da pallavolo blu e gialla che fungeva come portachiavi.

“Là c’è casa mia” Suwamura non aveva bisogno di quell’informazione: l’abitazione dell’amico la conosceva come le sue tasche, avendo trascorso ore e pomeriggi in quell’abitazione dalle pareti color tramonto a consumare un amore che sapeva di felicità.

“Suga” Daichi si fermò e attese che l’amico si girò “Andiamo via. Per sta notte soltanto. Ti prego” il capitano non era riuscito a stare da solo con l’altro dall’inizio della scuola e, prima della partitella contro l’Aoba Johsai che si sarebbe tenuta l’indomani, aveva bisogno di parlargli a tutti i costi.

L’alzatore lo guardò dritto negli occhi, scrutandolo con quei suoi grandi occhi color caramello, per poi annuire.

I due camminarono per un tempo che sembrò loro lungo come una notte intera, in silenzio, con i gomiti che si sfioravano e mille parole che scoppiavano nel petto.

Superarono il quartiere dove abitava Suga e percorsero la strada che portava all’orto botanico. La costruzione, un grande ragnatela di fili di ferro ricoperti da pannelli di vetro scintillante, era circondata da un giardino lussureggiante, pieno di piante dai frutti succosi e da api e farfalle, e al suo interno possedeva la più grande collezione di fiori della prefettura. 

Daichi prese la mano dell’altro timidamente, intrecciando le dita lentamente.

“Mi dispiace tanto” fu soltanto un sospiro da parte sua, ma Koushi lo sentì benissimo.

Si girò verso di lui, con un sorriso amaro sulle labbra chiare e con gli occhi gonfi di sogni appassiti.

“Non mi serve la tua compassione, Daichi.” gli strinse la mano con un po’ di pressione in più “Kageyama è molto più bravo di me e sono felice che sia lui a giocare domani.” 

Sawamura scosse la testa, gli lasciò la mano e, con un movimento al dir poco fulmineo, gli si parò davanti.

Sorrideva.

“Non ti capirò mai, lo sai vero?” poi lo baciò, unendo le proprie labbra con quelle delicate del ragazzo che aveva di fronte.

Fu un bacio lento e bellissimo, come Daichi lo immaginava da settimane, condito dal profumo dei fiori.

Quando si staccarono, avevano le labbra rosse e gonfie, gli occhi felici come quelli di un bambino il giorno del suo compleanno e il cuore che batteva come un tamburo.

“Anche se domani non giocherai e  Kageyama è più bravo di te, per me sei essenziale. Rimani con me, per sempre. Ti prego” al capitano della Karasuno uscirono quelle parole senza che lui potesse fare qualcosa e, rendendosi conto di quello che aveva appena detto, arrossì come una ragazzina.

Koushi, invece, lo guardava senza parole e con le lacrime agli occhi.

Poi, si alzò sulle punte dei piedi e fece una cosa che Daichi non si era mai immaginato: lo abbracciò.

Gli circondò le spalle con le braccia e incastrò il viso nell’incavo del collo dell’altro, in silenzio…perché, in fondo, di parole non ce n’era il bisogno

Fu un’abbraccio che ricordava il tramonto.

Fu un’abbraccio felice, gioioso e che tolse un peso dal cuore di entrambi.

Fu un’abbraccio arancione


»angolino»

Se siete arrivati fin qua, grazie.
Grazie, grazie e grazie.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso per eventuali errori che siete liberirissimi di segnalare.
Comunque, l'arancione è un colore felice, gioioso e  che isprime fiducia (e dai, chi isprime più fiducia di Daichi? Suga).
Bhè, è tutto per adesso.
Ci vediamo nel prossimo capitolo
Zao

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** .giallo. ***


.GIALLO.

(Hinata&Kageyama)

 

Il cielo, quella sera, era colorato di gioia e le poche nuvole rosate risplendevano di fresca felicità.

Il sole, che si stava buttando al di là dell’orizzonte, illuminava con i suoi raggi tiepidi i campi verdi e la stradina di terra nera che tagliava a metà la campagna.

La via era deserta, se non fosse stato per due figure che correvano a passo spedito sull’asfalto: una alta e dalle spalle larghe, e un’altra decisamente più piccola e dai capelli color fuoco.

Kageyama spiava di nascosto l’altro, dall’alto, mentre quello gli correva a fianco.

Hinata, invece, aveva lo sguardo puntato dritto davanti a se, cercando di tenere il passo dell’alazatore che, solo per dispetto, aumentava sempre di più.

“Guarda che lo so benissimo che stai aumentando…non sono stupido!” gli disse il rosso, muovendo velocemente gli occhi dorati verso di lui.

“Certo che ce ne hai messo di tempo…cos’è? Non dirmi che sei già stanco?” il moro sogghignò, beandosi dell’espressione imbronciata che apparve sul viso del più piccolo.

“Sei davvero tanto antipatico, lo sai?!” gli gridò dietro Shoyo, cercando subito dopo di sfuggire alle mani di un arrabbiatissimo Tobio, chiaramente fallendo.

Kageyama lo afferrò per la maglia e lo strattonò così forte che fece perdere l’equilibrio al più piccolo, il quale crollò rovinosamente sull’erba fresca, trascinando l’alzatore con se.

I due ruzzolarono tra il verde umido per un paio di metri, per poi ritrovarsi in un’ambigua e decisamente imbarazzante posizione pochi istanti dopo: Tobio era steso sul suolo umido, rigido e dritto come un soldatino di piombo, mentre Hinata era pesantemente spalmato su di lui, con il viso a pochi centimetri (o forse solamente millimetri) dal suo.

I due si guardarono, rossi in volto, per poi scoppiare in una genuina risata assolutamente fuori luogo.

Il primo a smettere fu l’alzatore, che rimase a contemplare il viso del rossino, incantato, rapito dall’energia, dalla bellezza, dalla gioia che Shoyo trasmetteva in quel momento: aveva le palpebre abbassate, delle lacrime cristalline agli angoli degli occhi, le labbra rosee arricciate all’insù e il petto sconquassato dalle risate. Sprizzava gioia color canarino da tutti i pori, e così avrebbero fatto i suoi occhi se fossero stati aperti e di questo Kageyama ne era certo.

Quando anche Hinata riuscì a placare gli spasmi, si ritrovò il volto di Tobio decisamente troppo vicino al suo, con un sorriso bellissimo e alquanto inusuale stampato su quella sua stupidissima faccia da idiota.

“Perché sorridi? Cos’è? Mi trovi buffo, eh?”

L’alzatore sbuffò, cercando di sopprimere quella strana posizione che le sue labbra avevano assunto involontariamente, per poi spingere di lato il corpo del più piccolo di scatto, il quale batte il suolo con un urlo di sorpresa.

“Perché l’hai fatto? Guarda che mi sono fatto male, sai”

Kageyama gli lanciò una breve occhiata per accertarsi che non si fosse fatto male davvero, per poi far scorrere lo sguardo verso il cielo rosato.

Fu una cosa strana, o forse è meglio dire improvvisa, quella che successe dopo, così strana che Tobio non credette che fosse successa davvero: Hinata gli si stese vicino, lentamente e trattenendo il respiro, e fece scivolare le sua mano minuta dentro quella grande e calda di Tobio.

Kageyama sussultò, voltandosi velocemente verso l’altro.

Shoyo sorrideva, tranquillo e felice.

Aveva il viso tanto luminoso di gioia che l’alzatore dovette quasi chiudere gli occhi, ma quella vista era troppo bella per farlo.

E, inaspettatamente e sorprendentemente, anche Kageyama Tobio sorrise.

Fu un sorriso nuovo, felice e travolgente come un’onda.

Fu un sorriso che sapeva di gioia nuova, di gioia che sarebbe arrivata come il sole la mattina, luminosa e splendente, cancellando ogni dubbio e ogni forma di tristezza.

Fu un sorriso che segnò la loro alba.

Fu un sorriso giallo.




»Mio angolino»
Salve a tutti, belli e brutti.
Mi dispiace un sacco per il riatrdo con il quale ho pubblicato questo -orribile- capitolo ma la scuola, eh sì la scuola, mi sta portando via un sacco di tempo uff
Comunque, il giallo è un colore che indica la felicità e la spensieratezza, quindi ho pensato che Kags e  Shoyo sarebbero stati perfetti.
Mi scuso per eventuali errori e ringrazio per le visulazziazioni e i commenti che mi avete lasciato.
zao

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** .verde. ***


.verde.

 

Quel giorno, pioveva.

Grosse gocce cristalline e fredde scendevano velocemente dalle nuvole plumbee da un paio d’ore.

Kenma osservava in silenzio, stravaccato sul suo letto dalle coperte color del prato, le scie d’acqua che queste formavano quando incontravano la sua finestra.

A Kozume, la pioggia era sempre piaciuta: quello strano profumo che si poteva aspirare poco prima che iniziasse a scosciare un temporale e quella strana sensazione verde speranza che ti pervadeva appena essa cessava, gli ombrelli che ti coprono la testa, gli stivali di gomma, i the al bergamotto fumanti con i biscotti che stavano nella scatola di latta verde petrolio, i pomeriggi a oziare sul letto e a giocare ai videogiochi e, infine, le lacrime profondamente ed infinitamente tristi del mondo che lo facevano sentire un po’ più sicuro di se stesso e un po’ meno fuori posto.

Perché, se anche il globo alcuni giorni piangeva, poteva sentirsi malinconico anche lui. Si poteva ritenere, almeno così pensava, giustificato della sua profonda e infinita insicurezza.

Kenma sentì un rumore alle sue spalle, segno che qualcuno era entrato nella sua camera, e pochi istanti dopo un profumo delicato e non troppo dolce gli sfiorò le narici.

“Oi, non dirmi che ti stai deprimendo di nuovo…” il biondino girò lievemente la testa, facendo così entrare nel suo campo visivo un Kuroo dai capelli corvini indefinibilmente disordinati e dai pantaloni di un improponibile color lattuga lisi sulle ginocchia.

Il ragazzo reggeva due tazze sbeccate contenenti del the fumante, che appoggiò subito dopo sul comodino vicino al letto, mentre Fuan, il micio dal pelo candido e dagli occhi smeraldo, miagolava in cerca di attenzioni.

Kozume si rigirò verso la finestra, senza degnare l’amico di una risposta, andando a soffermare lo sguardo sue due grosse gocce che si stavano sfidando in una gara silenziosa, la quale sarebbe finita con la fine dello specchio di vetro su cui stavano scivolando.

Alle sue spalle, Tetsuro ridacchiò, e Kenma sapeva che su quel suo bellissimo viso era appena spuntato il ghigno che lo caratterizzava da anni, per poi lasciarsi cadere a peso morto sul corpo esile del biondino.

Kenma strabuzzò gli occhi e fu costretto a ingoiare un boccone inesistente, rischiando di soffocare.

“Ma sei impazzito?!” gli sibilò dietro il più piccolo, perdendo per pochi secondi la sua solita e placida calma,  appena riuscì ad ispirare dell’aria e appena il suo amorevole e simpatico migliore amico non si tolse dal suo fianco per potersi stendere nello spazio libero del letto.

“Scusa, scusa…però non ho potuto resistere, sai” 

L’alzatore sbuffò, decidendo di ignorare qualsiasi cosa sarebbe uscita da quella sua stupida boccaccia da quel momento in avanti, continuandogli a dare le spalle.

Kenma, rannicchiato come un gatto sulla sua porzione di letto, sentì Kuroo girarsi verso di lui, in un silenzio che se avesse avuto un colore sarebbe stato sicuramente il verde elettrico, e allungare il braccio, poteva sentire i muscoli sotto il fellone grigio, e infilare la mano nei suoi capelli biondi.

Sentì le dita affusolate giocare e rincorrersi tra le sue ciocche morbide, sentì il palmo che gli lisciava un groviglio di fili dorati ribelli e le unghie che gli sfioravano la pelle della nuca, provocandogli brividi in tutto il corpo minuto.

Il tutto con una delicatezza che Kozume non pensasse che un tipo come lui, sempre in movimento e così dannatamente impetuoso, potesse avere.

Stettero così per un tempo che parve infinito, con il rumore della pioggia in sottofondo e il profumo di the a solleticare le narici.

“Sei davvero bellissimo, lo sai?” fu un solo sospiro quello che lasciò le labbra di Kuroo, ma riuscì ugualmente a scaldare il corpo del biondino e fargli colorare le guance di un -adorabile- rosso tanto ed irrimediabilmente evidente.

Le dita di Tetsurou avevano abbandonato la testa del più piccolo e gli occhi scuri iniziarono a fissare quei fili color dell’oro, come se volesse leggere ciò che frullava dietro quella cascata dorata.

Aspettava una risposta, e questo Kenma lo sapeva.

Non si mosse, sperando che come al solito fosse l’altro a prendere l’iniziativa.

Aveva paura, Kozume aveva una terribile e gigantesca paura di voltarsi:   sapeva di doverlo fare, la sua coscienza glielo stava gridando, così come sapeva di dover dare una risposta all’amico. Semplicemente, non ci riusciva: il suo corpo sembrava un pezzo di legno attaccato alle coperte con della colla super resistente.

“Okay, ho capito” Kuroo si alzò dal letto, ferito e mortificato, s’infilò le scarpe senza stare ad allacciarsi le stringhe sporche e. in pochi lunghi passi, uscì dalla camera del biondino.

Kozume sentì Tetsurou correre giù dalle scale di legno

Ti prego, non andartene

Lo sentì salutare frettolosamente sua madre

Non farlo

Lo sentì scivolare via, facendo un rumore simile a quello di una porta chiusa con forza.

No, Kenma non lo avrebbe lasciato andare, e di questo ne era sicuro.

Scattò come una molla, uscendo da quello stato di torpore in cui era: balzo giù dal letto, infilò le ciabatte e si precipitò verso la porta di casa.

Quando raggiunse l’esterno, l’aria fredda gli punse le guance pallide e le gocce d’acqua che scendevano ancora dalle nubi scure gli andarono ad imperlare le ciocche dei capelli biondi come la rugiada sui fili d’erba, la mattina.

incominciò a correre, sebbene le ciabatte di gomma non aiutassero, dietro un puntino verde lontano.

“Kuroo!” mosse le gambe più velocemente che poté.

Lui non si fermò.

“Kuroo!”la sua voce sapeva di disperazione.

Ora riusciva a vedere chiaramente la sagoma dell’amico.

Lo chiamò un’ultima volta, usando tutto il poco fiato che ancora aveva in corpo.

Kuroo fermò la sua fuga disperata verso un posto in cui liberarsi di quel senso di smarrimento e frustrazione che gli bloccava la gola, girando il busto, richiamato dalla voce del biondino, rapito come un marinaio dal canto soave di una sirena.

Kozume gli stava di fronte, con le gote rosse e la fronte luccicante di sudore , circondato da un alone di vapore biancastro.

“Kuroo…Kuroo scusami, ti prego” lo vide avvicinarsi, con le labbra che tremavano “Resta con me, ti prego Kuroo. Non lasciarmi, ti prego” Tetsurou sapeva quanto il biondino stesse combattendo contro il desiderio di accasciarsi a terra e incominciare a piangere.

E, allora, fece la cosa più istintiva che avesse mai fatto: con uno slancio fulmineo circondò l’esile corpo di Kenma con le proprie braccia, intrappolandolo in un abbraccio che mozzò il fiato ad entrambi.

“No, non me ne andrò” era una promessa, ed entrambi lo sapevano.

Kuroo si staccò un filo. lasciando giusto lo spazio sufficiente per appoggiare la mano sulla guancia calda dell’amico. Con un movimento dolce come il miele, Tetsurou fece risalire la propria mano fino all’orecchio, per poi tuffarsi nuovamente nei suo capelli dorati.

Fu una carezza che spazzò via tutti i dubbi e tutte le insicurezze di Kenma e che gli riempì il petto di una sicurezza mai  provata prima.

Fu una carezza che lo fece sorridere, dimentico delle sue paure.

Fu una carezza che gli diede una certezza, quella di voler Kuroo al suo fianco.

Fu una carezza verde


>>mio angolino>>
Ehilà.
Eccomi qui, dopo anni e millenni, con il quarto capitolo.
Ta daaaaan.
Allora, allora...il verde è da sempre il colore della speranza, però girovagando su internet ho anche trovato che questo colore è, da un lato, il colore dell'insicurezza (appena l'ho letto, il visino di Kenma mi è spunato davanti lol) mentre dall'altro il colore della sfacciataggine o qualcosa di simile. Perciò, ho provato a combinare questi tre elementi in un unico capitolo, cercando ANCHE di scriverlo un po' più lungo del solito (probabilmente è venuta fuori una schifezza lmao però ci ho provato).
Grazie per i commenti che mi avete lasciato nei precedenti capitoli u.u 
Ah, prima che mi dimentichi...ho pensato che si potrebbe fare un gruppo su Whatsup di noi amanti di HQ!! (a qualcuna ho già mandato un mesaggio, ops...mi scuso per avervi importunate)...sarebbe una cosa carina, no? Fatemi sapere
zao

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** .azzurro. ***


.azzurro.


La neve scendeva piano quel giorno: piccoli e leggeri fiocchi candidi si posavano sui tetti delle case, sui rami spogli e grigi degli alberi, sulle panchine, sui ciuffi d’erba che crescevano sporadici ai piedi dei lampioni e sui cappelli colorati della gente, ricoprendo tutta la città di un leggero strato bianco che pareva zucchero a velo.

Akaashi camminava lento, lasciando tante impronte sulla coperta fredda che ricopriva il marciapiede, immerso nei suoi pensieri azzurri e avvolto in un cappotto troppo largo.

Sentì la tasca della giacca vibrare.

Con un’espressione alquanto contrariata sul volto, il ragazzo c’infilò la mano, per poi tirarla fuori pochi secondi dopo con il cellulare, il quale aveva lo schermo illuminato e pieno di notifiche di messaggi non letti, stretto tra le dita.

“Bokuto-san è troppo impaziente…” Akaashi sbuffò, rilasciando nell’aria ghiacciata una nuvola di vapore.

Era da pochi mesi che il più grande aveva lasciato il liceo ed era “migrato” all’università, ma questo non aveva lasciato un momento di pace al più giovane: infatti Kotaro, un giorno sì e l’altro no, mandava montagne di messaggi e chiamate, lamentandosi di quanto Keiji gli mancasse.

E così, Akaashi aveva ceduto e gli aveva concesso, non senza un sorriso che aveva presto fatto sparire, un “appuntamento”.

Il ragazzo svoltò l’angolo e continuò a camminare fin che non raggiunse il bar prestabilito per l’incontro.

E, come da manuale, Bokuto era già lì pronto a corrergli tra le braccia: il ragazzo, appena vide Keiji, gli saltò addossò con un sorriso azzurro posato sulle labbra e una cuffia a forma di gufo calata sui capelli.

“Akaashi! Akaashi! Akaashi! Che bello, Akaashi! Oggi ti ho pensato subito quando mi sono svegliato e non ho smesso per tutta la giornata! Akaashi!” Una cascata di parole lasciò la gola del più vecchio e investì il più giovane come una tempesta di ghiaccio “Cosa vuoi fare oggi, Akaashi? Andiamo a pattinare? No, forse è meglio bere qualcosa…lo sai che la cioccolata calda la fanno buonissima qua? Devi proprio provarla…” Keiji non era più abituato allo schiamazzo del compagno, almeno non direttamente: le telefonate e i messaggi capì che non erano proprio la stessa cosa.

Akaashi inspirò, riempiendosi i polmoni di pazienza, per poi alzare l’indice e andarlo a posare sulle labbra screpolate di Kotaro, che si zittì all’istante.

“Ora, che ne dici se entriamo, ci togliamo i giacconi e ordiniamo della cioccolata? Poi, se vuoi, andiamo a pattinare. Okay?” il ragazzo parlò lentamente, liberando le parole azzurre con calma e non staccando gli occhi da quelli color nocciola dell’altro.

Bokuto, disorientato inizialmente dal dito morbido sulle proprie labbra ruvide, annuì velocemente per poi girarsi su sé stesso, con un movimento al dir poco fulmineo, e avviarsi verso l’entrata del bar.

Il locale era stato ricavato da un vecchio appartamento e Akaashi si stupì come l’altro potesse frequentare posti del genere: lo spazio era illuminato dalle grandi finestre che si affacciavano su un piccolo cortile ora innevato, tante bocce di vetro pendevano dal soffitto come grandi fiocchi di neve, alcune contenenti delle lampadine e altre delle piante grasse, tanti tavolini di legno scuro riempivano la maggior parte dello spazio mentre quello che restava era occupato da scaffali pieni di libri e da vasi che ospitavano un sacco di piante dalle foglie di varie forme.

Un’anziana signora dalle guance rosse e piene accolse loro con un sorriso ce profumava di biscotti e il grembiule turchese sporco di marmellata.

“Volete sedervi, cari?” la donna aveva una voce dolce come il miele”

“Sì, grazie” Bokuto rispose gentilmente, senza urlare e, quando la donna si girò per condurli al tavolo,  la seguì senza scapitare.

Si sedettero ad un tavolino vicino alla finestra, illuminato dalla luce fredda di quella giornata nevosa.

La donna, prima di congedarsi, lanciò un veloce sorriso nella direzione del più giovane e un occhiolino verso il più vecchio.

Akaashi la guardò stranito, seguendola con gli occhi mentre quella spariva spariva dietro delle tendine azzurre che, probabilmente, erano l’ingresso della cucina.

“Sembri confuso” Bokuto rise, riportando l’attenzione del moro su di sé.

“Non pensavo tu conoscessi un locale del genere …”

“Ah bhe…in verità, ecco…è stato Kuroo a farmi scoprire questo posto…” Kotaro ridacchiò, provocando una reazione chimica nel petto del più giovane, la quale si manifestò come una pennellata rossa sulle guance di Akaashi.

“Mh, perché sei arrossito?” la domanda scomoda, eccola, era arrivata e il più giovane sprofondò in una voragine d’imbarazzo dalla quale, ne era sicuro, non ne sarebbe uscito facilmente.

Fortunatamente, a dargli una mano ci pensò l’anziana signora: questa, infatti, tornò da loro con un vassoio ceruleo  stretto tra le mani, il quale reggeva due tazze colme di densa cioccolata e piattini pieni di dolci vari.

“Spero sia di vostro gradimento. Fatemi sapere se avete bisogno di qualcos’altro, okay?” disse quella, sempre con il suo sorriso azzurro fiordaliso sul volto pieno di rughe, per poi scivolare.

Keiji prese tra le mani la tazza, quasi scottandosi al tocco con la superficie curva di ceramica, per poi portarsela alla labbra.

Il profumo dolce della bevanda gli fece chiudere gli occhi, inebriante come una droga.

Quando li riaprì, si ritrovò un Bokuto dal viso scarlatto e la bocca aperta che lo fissava.

“Cosa c’è, Bokuto-san?” gli chiese Akaashi pazientemente e gentilmente, quasi come una mamma al suo adorabile bambino capriccioso.

 “A-Akaashi…sei bellissimo!” Kotaro lo disse, anzi lo urlò, senza pensare e di getto, ma ne era convinto e lo avrebbe detto altre cento e mille volte.

Il moro ne restò, indubbiamente e prevedibilmente, spiazzato ma sorrise sinceramente a quelle parole.

Gli occhi azzurri di Keiji si legarono a quelli topazio di Bokuto in uno sguardo leale, fresco e sereno.

Fu uno sguardo vero, che non ebbe di parole di essere capito.

Fu uno sguardo che, finalmente, li unì.

Fu uno sguardo azzurro. 

 

>>mio angolino>>

Yo!!

Eccomi qua zam zam

Questo capitolo, ad essere sincera, non mi mi piace proprio per niente e mi dispiace di aver ridotto questi due bellissimi gufi in una schifezza simili.

GOMEN!

Comunque, l’azzurro è un colore che per prima cosa esprime pazienza (AKAASHI!!), per seconda cosa è un colore fresco, sereno, leale, veritiero e, chi ne è amante, è una persona calma (AKAASHI!! pt.2) mentre chi lo odia tende ad essere scalmanato (BOKUTO). 

Spero di scrivere qualcosa di più accettabile, la prossima volta.

Grazie mille per le recensioni e le visualizzazioni che mi avete lasciato nei capitoli precedenti.

Mi scuso in anticipo per gli errori che troverete, i quali siete liberissimi di segnalare.

Zao

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** .indaco. ***


 

INDACO



A Paloma, gentile come un sole arancione

 

 

L’aria, quella sera di tardo Novembre, era fredda e il cielo notturno coperto da soffici nubi scure.

Due ragazzi camminavano lungo la strada che costeggiava il parco, in silenzio, uno con pensieri indaco incastrati tra i capelli e l’altro con la rabbia stretta tra i denti.

Tsukishima marciava veloce, con le mani infilate nelle tasche della giacca, sguardo basso, le cuffie premute sopra le orecchie e una smorfia sul volto.

Yamaguchi, che arrancava dietro l’amico, non ci mese molto a capire che il biondo era arrabbiato, o depresso, o -peggio- arrabbiato e depresso.

“Tsukki! Ehi, Tsukki, aspettami!” tra uno sbuffo e l’altro, Tadashi riuscì a muovere le gambe affaticate più velocemente, cos’ da raggiungere l’altro che, invece, continuò imperterrito a camminare veloce come se fosse inseguito da una mandria di tirannosauri inferociti e affamati.

“Tsukki…” il più basso gli afferrò la manica della giacca, in un disperato tentativo di fermare la corsa furiosa dell’altro.

“Cosa diavolo c’è, Yamaguchi?!” Kei si voltò di scatto, togliendosi rabbiosamente le cuffie, confermando così i sospetti (o, meglio, i presagi) dell’amico.

“Stavo per chiederti proprio la stessa cosa, sai? E’ da quando abbiamo finito l’allenamento che sei arrabbiato…” Tadashi si sedette sul bordo del marciapiede, in attesa che Tsukki si confidasse con il suo migliore amico.

Proprio in quel momento, la luna decise di uscire dal suo nascondiglio di nuvole e la sua luce perlacea volò fino al viso lentigginoso di Yamaguchi, accarezzandolo e baciandolo.

Tsukishima sentì le proprie guance andare letteralmente a fuoco e, per cercare di uscire da quel momento imbarazzante in cui era cascato come una pera, incominciò a far schioccare la lingua contro il palato e a guardarsi intorno, fingendo palesemente di trovare interesse per i fili d’erba scintillanti di bianca lune lunare.

“Tsukki…” Tadashi lo chiamò, con le labbra increspate in un leggero sorriso indaco, aspettando pazientemente la confessione.

Kei sospirò, passandosi una mano sul volto e strizzando gli occhi da dietro gli occhiali, cercando di far scomparire il rossore che stava dilagando sulle sue guance.

Yamaguchi ridacchiò, avendo notato l’imbarazzo dell’amico, per poi levare gli occhi al cielo spumoso di nuvole.

“E’ un peccato che non si vedano le stelle, no?” la luna stava ancora danzando sulle infinite lentiggini di Tadashi, esibendosi in una danza di luci e di ombre riservata solo al biondo.

 

“G-già…un vero peccato” il biondo riservò un veloce sguardo al cielo notturno, pero poi concentrarsi completamente sullo splendido volto dell’altro.

Yamaguchi Tadashi era tanto, irrimediabilmente, troppo bello: i capelli color muschio che gli solleticavano spesso le orecchie, gli occhi grandi che sembravano due gemme color ambrosia e le lentiggini, quelle dannatissime lentiggini, tante ed infinite da sembrare stelle scintillanti nel cielo…

Kei tirò un lungo sospiro e, strisciando le suole delle scarpe sull’asfalto freddo, andò a sistemarsi vicino all’amico, il quale aveva ancora gli occhi traboccanti di scura volta celeste.

Il biondo raccolse le ginocchia al petto, circondandole con le lunghe braccia, ed incassò la testa tra le spalle magre, sempre lanciando occhiate all’altro in cerca di reazioni che lo inducessero ad iniziare il suo “racconto”.

Perché, sotto le spoglie acide di un alto ragazzino impertinente, viveva un timido individuo dall’animo instabile e sensibile, il quale aveva sempre bisogno di essere incoraggiato e difeso.

Questo, chiaramente, Tadashi lo sapeva.

Yamaguchi staccò gli occhi dal cielo, cercando di nascondere un sorrisetto divertito mordicchiandosi le labbra desse, e legò il suo sguardo a quello dell’altro, annuendo leggermente.

Tsukki ingoiò un boccone d’aria.

“Uhm, ecco…è da un po’ che ci penso…forse dovrei lasciar perdere la pallavolo e il club…” le parole di Tsukishima vibrarono nel cielo indaco e nel petto del moro, il quale ora non sorrideva più e che guardava l’altro con un’espressione seria sul volto lentigginoso.

“Perché?”

“Perché, ecco, non credo di essere necessario…infondo, Kageyama ed Hinata sono molto più bravi di me…e poi, c’è il capitano e Azumane-san e…” un suono indaco, simile a una stella nascente, lasciò la gola di Tadashi e si propagò nell’aria sotto la forma si una cristallina risata.

“Ma sei scemo? Alcune volte mi chiedo proprio da dove tu le prenda, queste idee del cavolo!” Yamaguchi aveva le lacrime agli occhi e le lentiggini color pervinca illuminate.

“Ascoltami bene, Tsukki…” il moro si fece serio tutto d’un tratto, e l’amico si sentì come una candela a cui era stato tolto l’ossigeno “…tu servi alla squadra. I tuoi muri sono indispensabili…credi forse che Hinata riuscirebbe a respingere tutti quegli attacchi?! E metà degli attacchi che quei due idioti riesce a segnare sono merito dei tuoi one touch! Tsukki,, per la squadra sei importante.”

Kei, finalmete, sorrise.

Il biondo allungò la mano verso quella dell’altro, intrappolandola in una morsa che sciolse il cuore ad entrambi.

Yamaguchi guardò le loro mani legate in un intreccio indaco, pero poi nuovamente lo sguardo ambrato sul cielo scuro.

“Anche per me sei importante, Tsukki” Tsukishima arrossì ma, sotto il rosso lucido, Tadashi intravide un sorriso imbarazzato.

Kei, dopo quelle semplici parole, sentì tutta la tristezza defluire via come l’acqua.

Sentì il proprio cuore più leggero e lo spirito libero da tutte quelle stupide ed inutili preoccupazioni che l’affiggevano.

Quelle, furono parole che lo liberarono.

Furono parole che fecero vedere il cielo a Tsukishima.

Furono parole che lo resero felice.

Furono parole indaco.

 

<

Bhè, zalve!

Dopo uno schifoso quinto capitolo, sono tornata per la vostra gioia con questo penultimo capitolo che, devo dire, mi ha alquanto soddisfatta.

Allora…l’indaco è un colore che, è detto, scacci la depressione e altri sentimenti negativi.

Perciò, ho pensato che Yam e Tsukki fosse proprio i due perfetti per questo capitolo: il secondo ha bisogno del primo per essere felice, non trovate?

Spero che quanto scritto vi sia piaciuto e mi scuso per gli errori che potreste trovare, e che siete liberissimi di segnalare.

Zao

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3535395