Shadow from the Past di Fiamma Drakon (/viewuser.php?uid=64926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pensieri sul davanzale ***
Capitolo 2: *** Ombra argentea ***
Capitolo 3: *** Occhi rosso sangue ***
Capitolo 4: *** Chiamata senza risposta ***
Capitolo 5: *** Visione ***
Capitolo 6: *** Perdono ***
Capitolo 7: *** Occhi spettrali ***
Capitolo 8: *** Il Luogo del Silenzio ***
Capitolo 9: *** Nel bosco ***
Capitolo 10: *** Oltre il cancello ***
Capitolo 1 *** Pensieri sul davanzale ***
1_Pensieri sul davanzale
Non sapeva perché, eppure si sentiva stranamente attratto da lei.
Forse perché le piaceva rischiare nonostante fosse ben consapevole delle poche vite a sua disposizione.
Forse perché somigliava in modo terribilmente affascinante ad un macabro angelo di morte.
Forse perché era un suo simile, un Homunculus, come lui.
Forse perché era l’incarnazione di un peccato, come lui.
Forse perché era un’emarginata, come lui.
Forse perché aveva una perversa inclinazione violenta, come lui.
Forse perché provava anche lei un profondo odio verso gli umani.
O forse era per altro, per qualche particolare che ancora gli sfuggiva ma che l’attraeva innegabilmente a lei.
Eppure era davvero strano: lui era
un Homunculus e, in linea di principio, gli Homunculus non dovrebbero
provare nessun tipo d’emozione, essendo del tutto privi
d’anima, però, a distanza di ben due anni dalla sua
“nascita”, non ne era più tanto convinto: forse le
emozioni potevano sussistere autonomamente indipendentemente dalla
presenza o meno di un’anima.
Oppure, pur essendo un Homunculus e
nonostante fosse fermamente convinto del contrario, in un qualche
remoto angolo di se stesso era presente un minuscolo abbozzo
d’anima.
Sospirò, alzando le sue
vuote iridi dorate verso il cielo trapunto di stelle, adagiando la
testa contro lo stipite della finestra, circondando con le braccia la
gamba sinistra.
Star seduto sul davanzale della
finestra della sua camera a rimirar le stelle era il momento della
giornata che preferiva: quella vista gli dava una pace interiore quasi
irreale e dava piena libertà ai suoi pensieri di vagare
indisturbati alla deriva.
No, non proprio: solitamente si soffermavano su una cosa in particolare.
Malice.
Nella sua mente la rivedeva con una
nitidezza indescrivibile: ogni più piccolo dettaglio del suo
fisico, ogni espressione, ogni particolare del suo sguardo magnetico.
Era semplicemente perfetta: era la Malizia perfetta.
Di solito si vedevano di rado: a
lei piaceva girovagare per Amestris per seguire i comportamenti degli
umani nel loro ambiente naturale. Era il suo passatempo preferito,
subito dopo il sottile, perverso gusto che provava nell’uccidere
gli stupidi umani che l’avvicinavano, ignari della
fatalità del loro gesto.
Era già passata una
settimana dall’ultima volta che l’aveva vista e il maniero
sembrava aver perso ogni fascino, ogni segno di vita.
Lui era l’incarnazione dell’Orgoglio.
Non era da lui abbassarsi a provare futili emozioni come l’infatuazione.
Lui era tutto ciò che caratterizzava un uomo: il rifiuto degli
stupidi sentimenti femminili, la virilità racchiusa in un'unica,
semplice espressione.
L’Orgoglio.
Eppure Malice era tutto ciò
che di più simile ad una famiglia aveva e forse anche di
più. L’infatuazione che provava per lei gli sembrava la
cosa più concreta del suo piccolo mondo racchiuso fra quelle
quattro mura.
In lontananza, vide il riverbero
lunare riflettersi sul mare, che appariva come un’immobile
distesa mimetizzata con l’oscurità della volta celeste.
Socchiuse gli occhi e poggiò
delicatamente una mano sulla parete dietro di sé, nella camera,
sfiorando appena l’elsa della sua inseparabile spada: un
po’ gli mancava il piacere di perforare la tenera carne umana con
la sua lama, di assaporare il gusto del sangue fresco, ma ancora di
più sentiva la nostalgia della compagnia di Malice.
Chissà, forse quando sarebbe tornata sarebbe rimasta con lui più a lungo di qualche misero giorno.
E magari, forse, avrebbe capito cosa lui provava verso di lei.
Pride si sentì avvampare
istantaneamente al solo pensiero di una dichiarazione in piena regola:
non era esattamente da lui esprimere apertamente cosa sentiva dentro.
Preferiva lasciare agli altri il compito d’intuirlo.
Aveva ancora qualcosa, in fondo,
dell’essere umano che era stato: da quanto ne sapeva, nemmeno a
lui piaceva molto manifestare direttamente i propri sentimenti.
Sorrise fra sé e sé
pensando a che razza di essere umano potesse essere stato un tempo:
quello che l’aveva creato, un certo Alphonse, gli aveva detto che
Edward, così pareva chiamarsi l’umano che Alphonse voleva
riportare in vita, fosse un tipo un po’ stravagante, una vera
testa calda, ma anche un alchimista molto dotato.
Lui ne era rimasto assai colpito,
data la difficoltà che sapeva di avere ad arrabbiarsi: preferiva
la calma e la tranquillità del silenzio, della pace, anche se
non disprezzava affatto un po’ di moto.
Era freddo e calcolatore, come non
mancava mai di ripetergli Malice ogni volta che lo vedeva, impassibile
dinanzi a tutto e tutti.
Ma davanti a lei perdeva tutta la sua freddezza e si lasciava un po’ trasportare dal suo istinto di maschio.
Era imbarazzate da ammettere, terribilmente, eppure non poteva negare l’evidenza.
E tutte le volte si ripeteva sempre
la stessa domanda, cercando di trovarvi una risposta: “ma
l’infatuazione fa sempre quest’effetto?”.
Non lo sapeva proprio: era la prima
volta che lo sperimentava. Non sapeva se anche quell’Edward si
fosse mai infatuato di qualcuna.
I suoi occhi scintillavano della luce riflessa dalle stelle.
Appena Malice fosse tornata, forse avrebbe potuto comprendere meglio cosa stesse realmente provando.
Sospirò ancora e schiuse le livide labbra in un dolce sorriso.
Appena Malice fosse tornata...
Pride scese dal davanzale con un
fluido, aggraziato movimento e s’avvicinò al letto a
baldacchino posto dietro di lui, drappeggiato da tende bianche bordate
da raffinato pizzo nero.
Si distese sotto le coperte, voltandosi su un fianco, attendendo che il sonno sopraggiungesse.
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Capitolo 2 *** Ombra argentea ***
2_Ombra argentea
Pride se ne stava
ripiegato su se stesso, rannicchiato davanti al davanzale ad ammirare
le stelle, incapace di prender sonno: era ansioso per Malice.
Poco prima aveva avuto una delle
solite “soffiate” dalle ombre degli alberi, che lo avevano
messo in guardia riguardo “qualcosa che zoppicava”, come
gli avevano detto loro, e non era più riuscito a chiudere occhio.
E se quella cosa fosse stata
Malice? No... gli alberi e le loro ombre sapevano riconoscerne la
figura... eppure si sentiva stringere dall’inquietudine: ma se
fosse stata realmente Malice?
Non voleva crederlo, eppure l’ipotesi era plausibile: era da una
settimana che non la vedeva, non aveva notizie di lei e quindi non
poteva essere assolutamente certo del fatto che stesse bene.
Era un Homunculus a rischio, per le
poche vite a sua disposizione. Inoltre, la sua ostinazione a non
volerne altre e ad esporsi continuamente non contribuivano a farlo
sentire più tranquillo.
Ogni suo senso era teso al massimo,
all’erta, pronto a cogliere ogni minima avvisaglia di pericolo,
ogni più piccolo tentativo di comunicazione da parte delle ombre
del bosco che circondava le mura esterne del maniero.
Aveva paura.
Non era molto virile ammetterlo, ma era la pura e semplice realtà: aveva paura.
Sì... paura per Malice.
Chissà, forse in quello
stesso momento era a chilometri di distanza, ignara di tutto,
perfettamente in salute ad osservare gli umani come suo solito, senza
pensare minimamente a lui, solo a casa e terribilmente in ansia per lei.
Non sapeva cosa pensare, cosa aspettarsi: sapeva solo di essere terribilmente in ansia.
Puntellò i gomiti sul
davanzale e si sporse a guardare il giardino oscuro attorno al maniero,
fino alle mura e oltre, cercando di scorgere qualche segno che
preannunciava il pericolo.
Rimase lì ad osservare,
totalmente assorto, come una sentinella ligia al dovere anche in una
notte di burrasca, per quelle che sembrarono essere interminabili ore,
ma che in realtà furono solo pochi minuti.
Solo pochi, semplicissimi minuti,
che gli furono più che sufficienti: Pride scorse un’ombra
oltrepassare con un agile balzo le mura di recinzione e avviarsi a
passo sostenuto verso il maniero.
Sbatté più volte le
palpebre, visibilmente confuso: quella figura emanava davvero filamenti
argentei di luce o era solo frutto della sua preoccupazione?
Non rimase molto a chiederselo e, presa la spada poggiata vicina alla finestra, corse rapidamente verso la porta ed uscì.
Le tenebre del corridoio lo
accolsero silenziose, avvolgendolo in un’atmosfera cupa carica di
spasmodica attesa mista ad ansia. L’Homunculus strinse più
saldamente la presa sull’elsa della sua spada, come a cercare
coraggio in quell’arma.
Non doveva aver paura:
probabilmente era l’ennesimo ladruncolo da quattro soldi che
sperava di far fortuna a suo discapito, ignaro del fatto che sarebbe
stata l’ultima notte della sua vita.
Non era il fatto che ci fosse un
intruso in casa a spaventarlo, bensì il fatto che chiunque fosse
aveva attorno a sé filamenti di luce argentea, il che non era
assolutamente normale.
Scese a tentoni le scale, attento a
non lasciarsi sfuggire nessun eventuale rumore che potesse fargli
intuire la presenza di qualcun altro nel maniero.
Ogni gradino che scendeva sentiva
maturare dentro di sé una più salda certezza, un
più fermo coraggio: ogni umano che avesse tentato di entrare o
fosse entrato nel suo maniero, avrebbe assaggiato la sua spada.
E lui avrebbe assaporato il suo sangue.
L’Homunculus si fermò
davanti alla porta principale: chissà, forse se l’era
soltanto immaginato... magari la sua ansia gli aveva giocato un brutto
scherzo.
Si rilassò e allentò appena la presa sull’elsa, voltandosi per tornare verso la camera, quando...
È nel giardino...
Pride rimase immobile, completamente, assolutamente immobile: allora non se l’era immaginato, qualcosa o, piuttosto, qualcuno era davvero entrato nel giardino.
Repentino si volse verso la porta
e, penetrata l’oscurità che lo separava dalla maniglia, la
strattonò con forza. La porta s’aprì con uno
schianto e Pride apparve sull’uscio con portamento arrogante,
simile in tutto e per tutto ad un angelo guardiano delle tenebre.
Con l’elsa saldamente stretta
nella mano, s’avviò a passo svelto e deciso attraverso la
semioscurità della notte, guardandosi attentamente intorno alla
ricerca dell’ombra scorta dalla finestra.
Nel silenzio teso come una corda di
violino nell’aria immobile, Pride avvertì un rumore
sottile, smorzato, accompagnato da un timido passo irregolare sul prato.
Rimase lì, in attesa, totalmente all’erta, scrutando nell’impenetrabile notte dinanzi a sé.
Di nuovo quel rumore smorzato e quel passo irregolare.
Pride fissò gli occhi sul punto dal quale sembravano provenire quei rumori.
- Pride... ahn... -.
Quella voce femminile gli era
così terribilmente familiare che in un primo momento rimase
lì, immobile, finché la realtà lo travolse con la
forza di un maremoto e alla diffidenza si sostituì
un’angoscia struggente e incontrollata.
- MALICE!!! - gridò, correndo avanti, nella notte.
- Pri... de... -.
Il suo nome biascicato a fatica
dalla voce fiaccata di Malice lo richiamava incessantemente, gli
risuonava nelle orecchie, obbligandolo a proseguire nelle tenebre,
cercando a tentoni un contatto con lei.
- MALIIIIIICE!!! - la chiamò ancora, più forte.
- Pr... ide... P... ride... -.
I suoi strazianti, labili tentativi
di chiamarlo gli strinsero il cuore in una morsa d’acciaio,
costringendo l’Homunculus ad accelerare ancora, tramutando i suoi
passi in una frenetica, spasmodica corsa verso di lei.
D’un tratto riuscì a scorgerne il profilo, curvo, fiaccato e in poche, rapidissime falcate le fu davanti.
- Malice... che cosa hai fatto? Cos’è successo?! - chiese.
- Pr... ide... - ripeté ancora lei, il sussurro smorzato dal suo viso affondato nel petto di lui.
Pride le cinse le spalle e le
carezzò il capo, ma ritrasse subitaneamente la mano quando
sentì qualcosa di viscido striarle i capelli, rimanendo sul suo
palmo.
Un familiare odore gli riempì le narici, appestando l’aria attorno a loro.
No, non poteva essere, ma che altro poteva essere se non... - Sangue... - sussurrò.
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Capitolo 3 *** Occhi rosso sangue ***
3_Occhi rosso sangue
Pride rimase assorto per
qualche istante, osservando le sottili striscioline di sangue che
rigavano il pallido palmo della sua mano.
Nei suoi occhi si dipinse pian piano un’espressione di tormento estremo, mista ad un’angosciosa apprensione.
L’Homunculus afferrò
la compagna per le spalle, staccandola dal suo petto, reggendola in
modo che potesse guardarla bene in viso.
- MALICE SEI FERITA!!!! - urlò lui.
Quando i suoi occhi incrociarono quelli di lei, capì cos’era veramente
tutto quel sangue: le sue iridi avevano assunto un’inquietante
colorazione rossa, della medesima tonalità del sangue.
E lui sapeva fin troppo bene cosa significava quell’improvviso cambiamento.
Sul viso pallido e scarno di lei apparve un sorriso sghembo che sapeva vagamente di folle.
- Pr... ide... -.
Quegli occhi intrisi di pazzia e
dilatati all’inverosimile le conferivano un aspetto inquietante e
macabro che Pride non le aveva mai visto assumere.
Si riprese subito e la strinse a sé, incamminandosi rapidamente verso il maniero.
- Dobbiamo far presto! Le tue
Pietre... hai finito le vite... - mormorò, più a se
stesso che a lei, come se darsi conferma ad alta voce lo aiutasse ad
accettare l’orribile realtà che aveva di fronte, la
concreta possibilità di perderla.
Per sempre.
Malice rise.
Una risata sguaiata che lui non
aveva mai sentito e che era così diversa dalla sua consueta,
cristallina risata innocente.
La risata che, lo sapeva, era l’inizio della vera sofferenza.
Pride la ghermì più
saldamente alla vita e la trascinò di peso fino al maniero,
cercando di fare il più velocemente possibile: non voleva
perderla.
La fitta di dolore acuto che
provò a quel pensiero fu tale che l’Homunculus non
riuscì a comprendere il perché di quell’improvvisa
sofferenza. Sapeva solo che non avrebbe mai permesso che lei lo
lasciasse per un suo stupido gesto avventato. Era l’Homunculus
per eccellenza con il quale avrebbe voluto trascorrere il resto della
sua esistenza, un’esistenza che aveva un retrogusto amaro senza
di lei, come ogni giorno in cui stavano divisi, separati da paurose
distanze.
Un’esistenza che non valeva
la pena d’essere vissuta senza lei accanto, un’esistenza
vuota, completamente priva di significato.
“Senza un supporto spirituale, si perderebbe ogni volontà di vivere”.
Quella frase balenò nella
mente di Pride più vivacemente di quanto volesse: senza di lei,
avrebbe perso ogni stilla di volontà e con essa, avrebbe perso
tutto: sarebbe rimasto solo un guscio vuoto e presto avrebbe tentato di
suicidarsi tante volte quante ne sarebbero occorse affinché
morisse definitivamente.
Rientrò in casa e, cercando d’essere delicato ma rapido, trasportò Malice fino al piano di sopra.
Qui la condusse lungo il corridoio e spalancò con un calcio la porta della sua stanza.
Stava per entrare quando si sentì tirare.
Abbassò lo sguardo: Malice gli stava indicando la propria camera.
- Come? - mormorò lui, confuso, ma lei continuò ad indicargli la camera.
Senza chiudere la porta, Pride la
trascinò fino nella propria stanza, poggiandola quanto
più delicatamente poté sul letto, per poi schizzare via
alla ricerca di qualche Pietra che, ne era certo, teneva di scorta da
qualche parte.
Quando ritornò, teneva
strette nella mano destra minuscoli frammenti di Pietra Filosofale e
s’avvicinò rapidamente a Malice con fare apprensivo.
Nel poco tempo che era stato via
era peggiorata ancora, in modo assai inquietante: la sua pelle,
già d’un pallore cadaverico, era divenuta esangue,
diafana. I suoi occhi, socchiusi, vibravano appena nello sforzo di
rimaner aperti, le iridi rosse appena visibili sotto le palpebre,
mentre dalle labbra appena schiuse trapelava un sottilissimo rivolo di
sangue, simile a quello che tracimava silenzioso dai lati dei suoi
occhi.
Stava morendo, definitivamente, per sempre.
Stava per lasciarlo, ancora, ma
stavolta non sarebbe mai tornata a confortarlo, non sarebbe mai tornata
a trovarlo, non l’avrebbe mai più rivista, per sempre.
E lei stava lottando strenuamente
contro quella morte eterna: non voleva arrendersi, non quando in gioco
c’era qualcosa di più della semplice curiosità per
gli esseri umani, non quando in gioco c’era la possibilità
di perdere per sempre la compagnia di Pride a causa di un suo stupido,
banale errore.
In un istante Pride le fu accanto e
si chinò premurosamente su di lei, accostandole alla bocca la
mano a coppa nella quale teneva i minuscoli frammenti di Pietra
Filosofale.
- Avanti Malice... non puoi
lasciarmi così... coraggio, resisti... - mormorò,
cercando di farle mangiare le Pietre.
Con non pochi sforzi da parte
d’entrambi, finalmente Pride riuscì a somministrarle le
Pietre e lei iniziò a manifestare nuovamente segni di vita.
Malice sbatté le palpebre
ripetutamente, mentre la vista le si offuscava e le iridi riassumevano
in consueto viola di sempre, spostando la sua attenzione sulla stanza
intorno a lei, osservando i suoi tratti messi in risalto dal riverbero
lunare che entrava dalla finestra alle sue spalle.
L’Orgoglio, chino su di lei,
le aveva appena salvato la vita. Sentiva la sua mano premuta
delicatamente sul suo ventre, l’altra che le sorreggeva ancora il
capo.
Nell’ombra proiettata sul suo
viso, l’Homunculus riuscì a scorgere le sue iridi vuote:
erano le medesime iridi color oro dell’ultima volta, lo stesso
sguardo imperturbabile che in quel momento seguiva solo lei ed i suoi
spostamenti.
- Grazie... - sussurrò Malice al suo orecchio.
Pride si sentì letteralmente
avvampare per l’intimità del momento e ringraziò la
semioscurità della notte, che riusciva a mascherare
l’improvviso sprazzo d’imbarazzo dipinto sul suo volto.
Sentì la mano di Malice
risalirgli lungo il braccio, poggiarsi delicatamente e saldamente sulla
spalla. Tolse il braccio che lui teneva ancora sotto la sua testa e lo
portò alle labbra, mordicchiandogli appena il polpastrello
dell’indice con fare provocatorio.
Pride sentì potente il desiderio di averla, di essere un tutt’uno con lei, poterla sfiorare, poterla baciare.
- Pride... - gli sussurrò di nuovo nell’oscurità, cingendogli le spalle, attirandolo a sé.
Lui non riusciva più a
capire niente: era totalmente preda dell’istinto e
l’istinto gli diceva di assecondarla, di prendersi qualcuna delle
tante soddisfazioni che si affacciavano tumultuosamente nel suo
subconscio in quel momento.
Sapeva solo di desiderarla, di volerla per sé, di non volersene separare mai più per nessuna ragione al mondo.
Lentamente si allungò sul
letto, sopra di lei, sfiorandole appena il seno con il petto, mentre le
sue labbra ricercavano spasmodiche quelle di Malice. Quando finalmente
si trovarono, si cercarono avidamente, provando il sottile piacere del
possesso vicendevole.
La mano di Malice gli risalì
lungo la schiena, seguì il profilo del suo collo e arrivò
fino al viso, togliendo i fastidiosi ciuffi che coprivano la visuale.
Era bellissimo, stupendo, meraviglioso.
Era l’Orgoglio ed era suo, era l’Orgoglio che bramava da così tanto...
Pride non ragionava più
coerentemente: era dominato solo dalla struggente passione che si era
d’un tratto impossessata del suo corpo e che lo spingeva verso di
lei, verso il piacere della sua compagnia che aveva così a lungo
bramato.
Rimasero lì, avvinghiati l’uno all’altra, ancora perfettamente ignari di ciò che doveva accadere.
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Capitolo 4 *** Chiamata senza risposta ***
4_Chiamata senza risposta
Pride fu svegliato il mattino seguente dalla limpida luce mattutina che filtrava dalla finestra, colpendolo in pieno viso.
Il biondo si mise una mano sugli occhi, cercando di contenere il riverbero solare che lo stava letteralmente accecando.
Accanto a sé sentiva ancora la presenza di Malice, il suo respiro regolare.
Si volse a guardarla: era incantevole nella sua macabra innocenza.
Era lì, sdraiata accanto a lui, perfettamente addormentata.
Era così bella, così innocente e così dannatamente attraente.
E lui le piaceva.
Inspirò profondamente,
cercando di contenersi dall’esultare ad alta voce: la sera prima
aveva finalmente avuto conferma di ciò che provava. Lui le
piaceva come lei piaceva a lui.
Era stato semplicemente pazzesco, qualcosa di assolutamente straordinario.
Lei lo ricambiava: stentava ancora a crederci, nonostante fosse la pura e semplice verità.
Cercò di calmarsi e il suo sguardo saettò di nuovo verso Malice: semplicemente perfetta.
D’un tratto, il suo fine
udito captò il riecheggio del trillo del telefono nel corridoio
e s’alzò. Velocemente, uscì dalla camera e percorse
il corridoio, scese le scale e sollevò la cornetta.
- Pronto? - domandò.
Nessuna risposta, solo silenzio e
quel silenzio gli provocò un’ondata improvvisa ed
assolutamente immotivata di brividi.
- Chi parla? - chiese.
Di nuovo, nessuna risposta.
Perplesso e, in un certo senso, spaventato, riagganciò la cornetta e risalì le scale.
Era quasi arrivato in cima, quando il telefono squillò di nuovo.
Quel trillo aveva improvvisamente assunto un suono vagamente sinistro.
Ridiscese le scale e rialzò il ricevitore.
- Pronto?! Si può sapere chi parla?! - domandò con una punta di minaccia nella voce.
Un respiro, rauco, impercettibile,
gli giunse all’orecchio e gli provocò nuovi, strani
fremiti: avrebbe giurato che quella persona o qualsiasi cosa ci fosse
al di là della cornetta stesse ridacchiando sommessamente.
Riagganciò senza perdere un
solo istante e risalì le scale velocemente: non gli piaceva
affatto la sensazione di profondo disagio che provava.
Stava ancora ragionando su ciò che gli era appena successo, quando sbatté contro qualcuno lungo il corridoio.
- Oh, Malice... scusami io... non
ti avevo vista... - cercò di giustificarsi il biondo, arrossendo
imbarazzato, evitando di guardarla direttamente negli occhi.
Malice lo fissava dal basso, ancora un po’ assonnata.
- Figurati! Mi sorprende piuttosto
che tu sia rimasto sorpreso notandomi! L’imperturbabile Pride
finalmente un po’ scosso! - esclamò lei, sorridendogli
allegramente.
Lui ricambiò il suo sorriso,
guardandola apertamente negli occhi e rimase sorpreso: la
vitalità che l’aveva animata fino a pochi istanti prima
era del tutto svanita, sostituita da un diffidente sguardo indagatore.
- Cosa ti è successo? - lo aggredì con molto meno tatto del consueto.
Pride riconobbe immediatamente quel tono: era quello che utilizzava per sapere qualcosa riguardante le sue visioni.
- Nulla - rispose lui altrettanto freddamente.
- Pride, non essere cocciuto e non
cercare di tenermi nascoste certe cose, perché sai benissimo che
ti smaschererei subito! - gli ringhiò contro lei, gli occhi
ridotti a due fessure.
Diveniva intrattabile quando entravano in gioco le sue visioni.
- Non mi è successo niente di particolare - ribadì Orgoglio.
Malice emise una specie di basso ringhio, molto simile a quello di un gatto, fissandolo ostinatamente in modo penetrante.
L’Homunculus si sentì
letteralmente perforato da quegli occhi così potenti come da una
lama arroventata, ma non desisté: non aveva la minima intenzione
di dirle cos’era appena accaduto. Ci andava di mezzo il suo
orgoglio personale.
Ma, a quanto pareva, neppure Malice sembrava intenzionata a lasciar perdere.
- Dimmelo! Lo sai che lo vedrò comunque con le visioni, tanto vale che tu mi risparmi la fatica -.
- Non è successo
assolutamente niente! Sono solo... stanco. Mi hai fatto preoccupare un
sacco ieri sera, credevo che non sarei riuscito a salvarti. Tutto qui -
mentì, osservandola dritta negli occhi.
Lei parve momentaneamente spiazzata e rimase immobile a fissarlo. Quando parlò di nuovo, aveva le lacrime agli occhi.
- E allora?! Chi ti ha chiesto niente?! -.
- Non mi pare una buona scusa...
saresti potuta morire... ma perché devi sempre esporti
inutilmente per correr dietro a quegli stupidi umani?!?! -.
Lei rimase scioccata: stavolta era stato veramente cattivo.
- Qui l’unico stupido sei tu, Pride! -.
Gli mollò un ceffone e corse via, chiudendosi nella sua stanza, sbattendo violentemente la porta.
Lui rimase lì, in mezzo al
corridoio, palesemente stupito, sfiorandosi appena la guancia
brutalmente colpita: era stato troppo duro con lei e lo sapeva, ma
ormai il danno era fatto. Non avrebbe dovuto essere così pesante
con lei: era certo che ora l’avrebbe odiato e addio ai bei
momenti che per lunghissime sere aveva immaginato con tanto fervore.
Aveva rovinato tutto a causa di quella telefonata.
Si voltò di nuovo verso il
corridoio: quella telefonata non era normale. Affatto. Gli aveva
lasciato una malsana sensazione di paura che non sapeva spiegarsi in
alcun modo: sapeva solo che non era normale che un Homunculus del suo
calibro potesse essere spaventato da una voce roca al di là di
un telefono.
Troppo, malsanamente strano e non se lo sapeva spiegare in nessun modo.
Chissà, forse era stata solo soggezione...
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Capitolo 5 *** Visione ***
5_Visione
Stupido! Era stato uno stupido.
Un vero stupido: perché l’aveva trattata tanto male? Idiota.
Era un vero e proprio idiota.
Lei si era preoccupata per lui e come l’aveva ripagata? L’aveva trattata malissimo!
Sì, il suo odio era meritato
e, per quanto si fosse impegnato per cercare di ottenere il suo
perdono, sapeva che tutto sarebbe stato futile.
Totalmente futile.
Avrebbe preso a testate la parete se fosse servito a qualcosa, ma era inutile.
Idiota.
Avrebbe voluto strapparsi il cuore con un paio di pinze arroventate, se fosse servito ad ottenere il suo perdono.
Idiota.
Avrebbe sofferto migliaia di morti atroci solo per poterle provare di essere realmente pentito.
Sospirò, mentre un profondo
rammarico s’impadroniva di lui, trascinandolo sempre più
giù in un pozzo senza fondo né speranza.
Preso da quei tristi pensieri, s’incamminò lungo il corridoio, gli occhi bassi colmi d’angosciosa tristezza.
Passando davanti alla camera di
Malice, il biondo non osò alzare nemmeno lo sguardo e
proseguì, diretto nella sua stanza.
IDIOTA,
CRETINO, IMBECILLE!!! CREDE DAVVERO CHE MI DIVERTA A FARLO
PREOCCUPARE?!?! RAZZA DI INGRATO! E IO CHE MI SONO PURE PREOCCUPATA PER
LUI!!! Razza di stupido...
Malice, gettata sul suo letto, il
viso affondato nel cuscino per impedire alle lacrime che erano in
procinto di travolgerla di fuoriuscire a fiotti ininterrotti, ripensava
con amarezza al colloquio di poco prima con Pride.
Quella mattina era stata
così felice di aver passato la notte con lui... credeva che
sarebbe andato tutto per il verso giusto... e invece le si era
rivoltato contro, era diventato d’un tratto ostile.
Perché? Era forse sbagliato
preoccuparsi per le persone care, anche se sono solo Homunculus? Non
riusciva a comprenderlo affatto: perché essere così
cattivo? Che motivo c’era?
Rimase immobile sul letto quando
avvertì la familiare scossa di freddo pervaderle la schiena,
seguita immediatamente da una vampata di calore. Il buio dinanzi ai
suoi occhi chiusi andò sfocando pian piano, sostituito da una
nebulosa immagine della quale riuscì a scorgere un profilo
argenteo che pareva circondato da qualcosa di indefinito e quello che,
ad occhio, pareva essere Pride.
La visione s’interruppe senza
darle ulteriori notizie, ma ciò che aveva visto era stato
sufficiente: ogni sua visione poteva mostrarle uno scorcio di futuro o
di passato e quello che aveva visto era stato, con ogni
probabilità, uno spezzone del futuro di Pride.
No, non voleva sapere altro: non
voleva più preoccuparsi di lui e della sua incolumità,
non se doveva essere trattata male.
Le lacrime minacciarono nuovamente
di travolgerla, nonostante cercasse di arginarle: non voleva più
versare una che fosse una sola lacrima per Pride.
Lui era disteso sul suo letto
ancora disfatto e carezzava il vuoto accanto a sé, vuoto che
quella notte era stato occupato da Malice.
I suoi occhi indagavano il
soffitto, disegnandovi arabescati motivi inesistenti, nella vuota
speranza di riuscire a colmare il vuoto che il litigio con Malizia
aveva portato.
Ci stava malissimo: era davvero
depresso. Perché l’aveva trattata a quel modo orribile?
No, non riusciva a conviverci: doveva fare qualcosa.
Il problema era: che cosa? Di certo
Malice non gli avrebbe rivolto la parola per tantissimo tempo, ma
doveva parlarle, assolutamente.
Si alzò con decisione e uscì dalla camera.
Con poche, lunghe falcate raggiunse la camera di Malice e bussò alla porta, rapido, quasi aggressivo.
Dall’interno sentì
provenire un lieve rumore che annunciava l’imminente arrivo
dell’Homunculus sulla porta.
Quando questa si aprì,
repentino, agile e potente, un ceffone si abbatté
sull’Orgoglio, che non ebbe neanche il tempo di reagire che
già la porta si era richiusa, accompagnata da un sonoro schianto.
Pride si massaggiò la guancia dolente, sulla quale era ancora impressa la manata di Malice.
Lui picchiò di nuovo sulla porta, con più forza di prima.
- Malice! Malice ti prego aprimi! Ti supplico, voglio parlarti! Mi dispiace, davvero! Ti giuro che no... -.
S’interruppe quando i suoi
occhi incrociarono una figura solitaria lungo il corridoio: immobile,
lo fissava con vuote pupille leggermente a mandorla d’un biancore
spettrale e, attorno al suo sfocato profilo, l’Homunculus
giurò che ci fossero dei filamenti d’un biancore argenteo.
I medesimi filamenti argentei che aveva scorto attorno alla figura balzata quella notte oltre il muro di cinta.
Nel corridoio riecheggiò una
risata, rauca, sommessa, intrisa di una vaga perfidia tale da far
accapponare la pelle. Somigliava molto ad una risatina di scherno e
Pride giurò che fosse rivolta a lui... da parte di
quell’ombra.
Che cosa ci faceva quella persona in casa?
Senza neanche attendere che
l’ordine arrivasse dal cervello agli arti, l’Homunculus
iniziò a corrergli incontro, rapido, con aggressività.
Quando gli fu quasi addosso,
riuscì a cogliere altri particolari del viso: i tratti erano
morbidi, anche se il mento era aguzzo. Le labbra, sottili, erano
stirate in una smorfia che somigliava più ad un ghigno e ai lati
degli occhi pareva emanare qualcosa, che poi sembrava sfumare
confusamente nell’aria.
Era tanto vicino da poterlo colpire
direttamente e fu ciò che Pride tentò di fare,
tentò solamente, perché il suo pugno fendette
l’aria senza poterlo colpire: svanito.
Nel corridoio Orgoglio
percepì ancora un labile riecheggio della risata di scherno di
quell’essere e si guardò intorno, confuso e spaesato:
com’era possibile che fosse svanito nel nulla?
In quel momento, sentì una porta aprirsi, cigolando, alle sue spalle...
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Capitolo 6 *** Perdono ***
6_Perdono
Pride si volse di
scatto, aspettandosi di vedere nuovamente comparire l’ombra
evanescente di poco prima, ma invece si ritrovò a fissare i
profondi occhi viola di Malice, immobile sull’uscio della sua
camera a fissarlo, perplessa.
- Che cosa stai facendo in quella posizione? - domandò.
L’Homunculus, palesemente in
imbarazzo, riassunse velocemente una postura normale, chiedendosi se
fosse una punizione del Fato farsi beccare a fare l’idiota da
solo.
Eppure, quell’ombra era stata lì e gli aveva anche sorriso. Anzi, aveva riso di lui.
- Niente - si affrettò a rispondere, cercando di mantenere un tono di voce controllato e, soprattutto, normale.
Fra loro s’insinuò uno
strano silenzio imbarazzato, mentre si squadravano a vicenda, lei
severa e perplessa, lui chiaramente imbarazzato.
Malice fece per rientrare in camera.
- No, aspetta! - esclamò lui, facendo un passo verso di lei, come a volerla fermare fisicamente.
Si ricompose quando lo sguardo severo della ragazza ricadde su di lui.
- Cosa c’è? - chiese lei, evidentemente seccata o forse ancora arrabbiata per la discussione di poco prima.
- Ecco, io... - esordì
Pride, ancor più in difficoltà di prima: parlarle quando
era arrabbiata lo metteva sempre a disagio.
- Una cosa di giorno! Non ho tutta la vita! - lo interruppe Malice, aggressiva.
- Scusa - esclamò di getto
Orgoglio, cadendo in ginocchio, il viso basso seminascosto dai ciuffi
di capelli ai lati del viso - Mi dispiace... io... non volevo
offenderti - disse lui, la voce intrisa di pentimento e rimorso.
Le sembrava davvero pentito: non
l’aveva mai visto così sofferente. Era un modo di chiedere
scusa del tutto estraneo a Pride, che solitamente si scusava in modo
implicito e molto meno scenico.
Gli si avvicinò lentamente, osservandolo dolcemente.
Si chinò davanti a lui e gli
spostò i ciuffi dagli occhi, tracciando con il dito il profilo
del suo viso. Nel suo sguardo, avvertì una nota di rimorso.
Gli diede uno schiaffo, talmente forte da fargli spostare di lato il viso, lasciandolo attonito.
Gli prese poi il volto tra le mani e lo girò verso di sé.
- Non devi essere così
tragico per chiedere semplicemente scusa - gli disse con una nota
d’ironia nella voce - Su, rialzati. Il mitico Orgoglio che si
prostra alla Malizia... mai sentita una cosa del genere - aggiunse.
Lui la guardava dal basso verso
l’alto, perplesso: non capiva il perché dello schiaffo.
Forse era solo il bisogno di scaricare la rabbia repressa...
O forse se lo meritava.
Sì, forse quello schiaffo era riuscito ad esprimere meglio di qualsiasi altra cosa lo stato d’animo di Malice.
L’Homunculus si rialzò e la guardò di nuovo.
D’istinto, Malice si buttò sul suo petto, cingendolo appena all’altezza del bacino.
- Ti amo... - sussurrò.
Lui rimase perplesso per qualche istante, prima di cingerle amorevolmente le spalle.
Nel farlo, tuttavia, non appena
alzò lo sguardo dinanzi a sé, notò di nuovo, con
orrore, l’ombra evanescente di poco prima, osservarlo dalle
profondità del corridoio, sogghignante.
- Presto... ci rincontreremo... - sussurrò.
L’Homunculus
indietreggiò di qualche passo, spaventato: ma che cos’era
quell’ombra che, a quanto pareva, lo stava perseguitando? Non
poteva essere niente di...
Suo malgrado, provava paura.
Era l’Orgoglio e provava paura, sì, paura verso quella cosa che, lo sapeva, non poteva essere niente di umano,
perché nessun essere umano era capace di svanire e ricomparire a
proprio piacimento, nessun essere umano era capace di emanare, come
aura, filamenti di luce argentea.
No, nonostante odiasse ammetterlo, aveva paura e, nonostante non se ne capacitasse, quella cosa non era umana.
- Pride, che ti succede? Sei
pallidissimo... stai male? Ho forse fatto qualcosa? Pride, rispondi! -
esclamò Malice, preoccupata, sfiorandogli appena un braccio.
L’ombra ridacchiò, divertita.
- Pride... che c’è? - domandò ancora Malice.
L’Homunculus deglutì e
allungò una mano verso l’oscurità del corridoio,
verso quell’ombra ghignante e spettrale.
- Pride! -.
- N-non è niente... davvero - disse.
- Pride, so quando c’è
qualcosa di sbagliato e ora ne sono sicura: c’è qualcosa
che ti preoccupa e voglio saperlo! - disse, decisa.
Nei suoi occhi, l’Homunculus percepì una fiamma di decisione irremovibile.
Nonostante fosse restio a parlarne
e nonostante sapesse che c’era una buona probabilità di
non riuscire a convincerla, inspirò profondamente, conducendola
verso la propria stanza.
- Malice tu... credi nelle ombre? -.
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Capitolo 7 *** Occhi spettrali ***
7_Occhi spettrali
Pride la condusse nella propria stanza e, una volta dentro, l’Homunculus si chiuse la porta alle spalle.
- Pride, cos’è questa storia? - chiese Malice, spiazzata.
Non le piaceva essere confusa: le dava sui nervi.
Pride si volse a guardarla, profondamente, quasi trapassandola con lo sguardo.
Nei suoi occhi, la ragazza percepì una serietà molto più spinta di ciò che sembrasse.
- Tu lo sai che le ombre esistono.
Tu hai il potere di parlarci con le ombre. Perché ora te ne esci
con questa buffonata?! - esclamò Malice, stizzita.
- Perché io parlo con le ombre inanimate - spiegò Orgoglio, sottolineando con particolare enfasi l’ultima parola.
Malizia rimase disorientata da
quell’affermazione: cosa voleva dire? Esisteva forse una
differenziazione anche fra le ombre?
Pride non cessò di
osservarla con quello sguardo che lasciava intuire davvero poco, ma era
lampante che, qualsiasi cosa volesse dirle con quel discorso, non era
niente di positivo.
- Vedi, ci sono due tipi di ombre nell’universo, quelle inanimate, ossia quelle proiettate dalla luce solare e quelle animate... - spiegò Pride.
Le scoccò un’occhiata
eloquente, lasciandole intuire cosa fossero le ombre animate e, quando
arrivò a capirlo, Malice gli rispose con un’occhiata
palesemente scioccata.
- E tutto ciò che cos’ha a che fare con quello che è successo in corridoio? -
- C’entra eccome
perché... - qui s’interruppe e assunse un inquietante
sguardo adombrato - ... ne ho vista una nel corridoio. Mi guardava... -
abbassò gli occhi - ... non so cosa volesse né
perché fosse lì, ma di una cosa sono certo:
quell’ombra non era umana. Troppo malsana per esserlo... -
- Ma sei sicuro che fosse realmente un’ombra? Forse era solo frutto della tua immaginazione... -
- I frutti della tua immaginazione
ridono di te e ne senti riecheggiare le risate lungo il corridoio?
No... quell’ombra era vera -
- Ma... perché dovrebbe venire a cercarti? Che motivo ha? -
- Non lo so ancora tuttavia, una
volta, Envy mi disse che talvolta le ombre animate cercano qualcosa che
un tempo era a loro legato... -
- Ma tu stesso hai detto di non averla mai vista! -.
Le parole di Malice risuonarono
potenti nel suo inconscio e l’immagine dell’ombra
sogghignante nel corridoio riapparve nella sua mente più nitida
di quanto desiderasse e, in essa, avvertì una nota di
familiarità che prima non aveva percepito.
In quel medesimo istante, mentre ne
osservava il ricordo proiettato nella propria mente, ebbe
l’impressione di guardare uno sconosciuto dall’aria
familiare.
Troppo familiare.
Non sapeva dove, eppure gli
sembrava d’averla già vista, in un luogo e in un tempo
indeterminato e ciò gli dava una stranissima sensazione che
avrebbe preferito di gran lunga non provare.
- Pride, che ti succede? - chiese Malice, apprensiva.
- Niente... pensavo... - rispose
l’Homunculus, sbattendo le palpebre ripetutamente, cercando di
allontanare dalla propria mente e attenzione l’immagine appena
focalizzata.
- Credi che... tornerà? - chiese Malice.
La domanda le venne spontanea, come anche a Pride.
- Non lo so... comunque, sarei l’unico a vederla, perciò... tu non potresti accorgertene... - disse lui.
I suoi occhi vagarono per la
stanza, inquieti: non sapeva come, ma aveva l’orribile sensazione
che qualcuno lo stesse osservando. Sentiva uno strano formicolio
pervadergli la schiena e si volse.
Ancora una volta, la terza nel
medesimo giorno, e di ciò Pride fu sconvolto, incrociò
quello sguardo perlaceo e spettrale, fisso su di lui.
L’ombra, stavolta,
l’osservava attraverso la finestra e, almeno, così parve
all’Homunculus, sembrava aver assunto dei lineamenti più
grotteschi, quasi animali.
Gli ricordava un serpente,
appostato e pronto a balzare addosso alla prima ignara preda di
passaggio, solo che quella volta, aveva già designato la sua
vittima: lui.
Attorno ai suoi occhi c’era ancora quel barlume argenteo che sfumava, silenzioso, nel vento.
Pride rimase immobile ad osservarlo per qualche istante, impassibile.
- Pride...? - mormorò
Malice, ma lui non rispose e ciò poteva significare solo una
cosa: l’ombra era lì, da qualche parte.
- Pride? Pride?? - lo chiamò ancora lei.
L’ombra ridacchiò ancora e svanì.
- PRIDE! -
- COSA C’È?!?! -.
Lui la guardò, d’un tratto innervosito, poi si rilassò.
- Scusa... era di nuovo... -
- ... l’ombra... - completò Malice - Sì, lo so... - disse.
- Lo sai? - chiese Pride, incredulo.
- Certo. Mi è bastato
guardarti in faccia per capirlo: avevi un’espressione talmente
stranita e assorta che mi è sembrato troppo strano tu stessi
pensando ad altro - spiegò rapidamente lei.
Pride si sedette sul letto, sospirando e si afferrò la testa, tenendola fra le mani.
- Che cosa posso fare? -.
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Capitolo 8 *** Il Luogo del Silenzio ***
8_Il Luogo del Silenzio
Malice si voltò verso Pride, disteso sul suo letto, arpionato alla coperta, mentre osservava il soffitto.
Sospirò.
- Pride, devi star calmo... -
- Io sono calmo... -
- Ooooh, lo vedo... -.
Aveva passato tutta la giornata con
lui, cercando in ogni modo possibile ed immaginabile di togliergli dal
cervello quella dannatissima ombra, ma era tutto inutile: ogni tanto,
non sapeva bene né dove né quanto frequentemente,
l’ombra riappariva e Pride andava di nuovo in paranoia.
Inutile.
- Almeno cerca di dormire... okay?? -.
Il biondo sospirò.
- Okay... -.
Lei gli si avvicinò un’ultima volta e gli posò un casto bacio sulla fronte.
- Buonanotte -.
- ... ‘notte -.
Uscì dalla stanza, lasciandolo da solo con i suoi pensieri.
Non poteva continuare in quel modo:
ogni sguardo di quell’ombra era come una pugnalata al cuore, una
orribile, dilaniante, profonda ferita che si rinnovava continuamente e
sempre più dolorosamente.
Insopportabile.
Eppure lui, l’Orgoglio, poteva lasciarsi sopraffare da un tale senso d’impotenza?
Era esattamente quel che provava ogni volta che la vedeva: impotenza.
Frustrante, irritante impotenza.
Era come se ogni volta che i loro
sguardi s’incrociavano, qualcosa gl’impedisse di utilizzare
le proprie capacità, come se divenisse d’un tratto solo un
corpo vuoto, privo di forza.
L’unica cosa che poteva fare
era guardarla, osservare quelle inquietanti pupille bianche e provare
quell’orribile senso di familiarità incoerente.
Sospirò e socchiuse gli
occhi, distrutto, desideroso solo di poter dormire, di riuscire a
dimenticarsi, anche solo per quelle dolci ore notturne, tutto
ciò che riguardava quell’ombra.
Dimenticarsela per sempre, come se non l’avesse mai vista.
Sarebbe stato bellissimo...
Un luogo vuoto, buio, lugubre.
Un luogo di morte.
Un luogo di silenzio.
Quello era il luogo del silenzio, il silenzio tetro e sinistro che accompagnava l’oblio eterno.
Ne era certo, non sapeva come né perché né come, ma lo sapeva.
Intorno a lui, il niente, solo terreno, duro, insensibile.
Nell’aria gravava
un’opprimente atmosfera di morte, un’atmosfera così
pesante che fu come essere soffocato nonostante l’aria avesse
libero accesso ai polmoni.
Era terribile.
Refoli sinistri presero a spirare, sollevando alcuni ciuffi dei suoi capelli.
Fruscii terribilmente freddi e lugubri.
Dalle tenebre dinanzi a lui,
apparve una figura perlacea, effimera, che prese sempre più
consistenza, fino a divenire l’ombra che tormentava ogni sua
azione da quel fatale primo sguardo.
L’ombra che stava osservando,
tuttavia, era più “umana”, somigliava
incredibilmente ad un ragazzo, un essere umano.
Somigliava terribilmente a lui.
Pride si avvicinò ad esso,
senza riflettere, senza possibilità di scampo, come se il suo
corpo non fosse più padrone delle sue azioni, bensì
soggetto al volere di un altro.
E quell’ombra, quell’essere a metà tra un fantasma e un essere umano, rideva.
Una risatina sottile che trasudava malignità pura.
Incurvato, la testa leggermente incassata nel torace, ghignava, facendo vibrare le spalle.
E Pride gli camminava incontro, inconsciamente.
Quando furono l’uno dinanzi
all’altro, la mano dell’Homunculus si mosse, lenta, verso
l’ombra, sfiorando tuttavia la liscia parete di uno specchio che
gli rimandava l’immagine di un se stesso sconosciuto
dall’aria familiare.
Incredibilmente, orribilmente familiare...
Si svegliò, gli occhi fissi sul soffitto.
La porta in quell’istante cigolò e da essa apparve quell’ombra umana.
Entrò tranquilla, scivolando
macabra nella stanza, volgendosi poi d’improvviso verso di lui,
osservandolo dall’alto in basso, ghignante.
Con un repentino scatto, gli fu sul viso, le pupille bianche fisse nelle sue.
Sul suo viso s’allargò
un ghigno folle, depravato, mentre nei suoi occhi sì accendeva
una luce rosso sangue che trasformò anche il suo sguardo in un
qualcosa di assolutamente riprovevole e perverso.
- Presto... saremo di nuovo insieme... - sussurrò.
Quel sussurro, che pareva molto
più simile ad una minaccia, gli gelò letteralmente il
sangue nelle vene, facendogli risalire lungo la spina dorsale ondate di
brividi.
- Presto... - ripeté.
- PRIDE!!! -.
L’Homunculus si
risvegliò dall’incubo per trovarsi ad osservare le
profondità più recondite delle iridi viola di Malice,
distesa su di lui, il viso a pochissimi centimetri dal suo, in stato di
totale panico.
- Pride! O grazie al cielo ti sei
svegliato! Mi hai fatta preoccupare! - esclamò, mettendosi
seduta sul letto, sospirando, sollevata.
Ma nella mente di Pride, una cosa
sola era presente, un solo pensiero, un solo assillo che gli premeva
dentro con forza, opprimendolo.
Presto... saremo di nuovo insieme.
Ed era ciò che lo assillava a trasformare quella minaccia in tragica, orripilante realtà.
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Capitolo 9 *** Nel bosco ***
9_Nel bosco
Pride scattò
seduto sul letto, incurante di Malice che ancora lo fissava, corse
attraverso la stanza, repentino, agile, fulmineo e saltò oltre
il davanzale, atterrando pesantemente in giardino, correndo via, nelle
tenebre.
- PRIIIIIIIDE! -.
Il grido di Malice gli giunse
attutito dal rumore dei suoi stessi passi, del suo respiro mozzato
dalla corsa e dall’orribile frastuono nella sua testa, il chiasso
psicologico che mai avrebbe voluto udire.
Nel bosco! Nel bosco! Quell’ombra è nel bosco! È tra noi!
Quelle frasi allarmanti provenienti
dalle centinaia di alberi attorno a lui formavano un urlio incessante
che gli provocava un mal di testa terribile.
Ma ancora più di quelle
grida incoerenti, lo preoccupava il fatto che quell’ombra era
giunta fin lì con il solo scopo di prenderlo.
Era arrivata per lui.
E non aveva scampo: se voleva liberarsene, doveva andare nel bosco.
Saltò oltre il muro di cinta e si precipitò fra le fronde smosse dalla fredda brezza notturna.
Si sentiva sempre più
agitato ad ogni passo compiuto in quella desolazione, verso
l’inesorabile incontro con quell’ombra.
Verso l’oblio.
La sua risata riecheggiò
tutt’intorno a lui, quella gelida risata, agghiacciante quasi
quanto la sua stessa voce, precedendo la sua lugubre ed inevitabile
apparizione.
- Pride... benvenuto... - gli sibilò.
L’Homunculus si piantò
sulle gambe, dritto, ostentando un coraggio ed una risolutezza che non
provava realmente fino in fondo.
L’ombra inclinò appena di lato la testa.
- Mi sembri alquanto insicuro... riesco a leggere la paura nei tuoi occhi... eheheheh... -.
Pride non si lasciò perdere d’animo.
- Che cosa sei?! - esclamò, cercando di mantenere la voce ferma.
- Io? Sono l’ombra di ciò che un tempo eri tu... -
- C-come?! - domandò Pride,
al colmo dello stupore, mentre un avviso di terrore s’insinuava
dentro di lui, come una serpe, pronta a prendere il sopravvento al
momento giusto.
- Semplice. Quando Alphonse
aprì il Portale e tu nascesti, io riuscii ad uscire a mia
volta... non lo sai che l’anima e il corpo si attraggono...? -.
Non poteva essere.
Non riusciva a crederci.
Quella... quella era l’anima dell’umano dalla cui fallita trasmutazione era nato.
Quella era l’anima di Edward.
- Edward... Elric? - domandò l’Homunculus, esitante.
- Vedo che almeno la tua precedente
identità la ricordi... buono a sapersi... dovrò forzare
meno la mano... - esclamò l’ombra.
Nei suoi occhi apparve un subitaneo scintillio.
- Io mi riunirò a te. Per sempre - ringhiò.
Pride indietreggiò di qualche passo, incerto, spaventato, prima di prepararsi ad attaccare.
Quando l’ombra gli fu
dinanzi, avvertì un brivido di gelo percorrergli la spina
dorsale, mentre schiudeva le zanne biancastre quasi volesse morderlo.
Continuò ad avvicinarsi, minaccioso, finché le sue zanne non gli sfiorarono la pelle del collo.
- Tranquillo... non sentirai nulla e dopo... dopo saremo insieme per sempre... - gli sussurrò freddamente.
Pride cercò di sottrarsi, ma la presa dell’ombra si era fatta d’un tratto concreta e salda.
Sarebbe stato succube di quell’ombra e dopo... sarebbe tornato umano.
Lo sapeva: basta l’anima a
farlo divenire umano e quell’anima era proprio ciò che
mancava affinché fosse un umano completo.
Dopo, sarebbe stato vulnerabile, sarebbe stato mortale. Di nuovo.
In quell’istante,
avvertì un rumore accanto a sé, ma ormai era tardi:
avrebbe vissuto da umano il resto dei suoi giorni, fino alla morte.
Di nuovo.
Chiuse gli occhi: non voleva vedere più nulla, avrebbe atteso la fine nelle tenebre.
Se doveva soffrire, avrebbe sofferto nelle tenebre.
D’un tratto, fu spinto via, a terra.
- PRIDE! -.
Il grido di Malice gli giunse di
nuovo, ma da più vicino. Quest’ultimo si voltò,
aprendo di nuovo gli occhi: Malizia era distesa a terra, alla portata
di quell’Edward evanescente, che la teneva ferma per la gola.
- MALICE! - gridò l’Homunculus, facendo per rialzarsi.
- Non ti muovere, altrimenti la ucciderò... - disse.
- Tu brutto... lasciami andare! - ringhiò Malice, scalciando, cercando di divincolarsi.
- R-riesci a vederlo? - domandò Pride.
- Certo! - esclamò Malice, dimenandosi con furia.
A quel punto, Pride ebbe come
l’impressione che l’anima fosse divenuta in un certo senso
corporea e sorrise, rialzandosi.
- Va bene... vieni -.
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Capitolo 10 *** Oltre il cancello ***
10_Oltre il cancello
L’ombra lasciò andare Malice, sogghignando.
Quest’ultima ricadde a terra
e osservò l’anima di Edward avvicinarsi a Pride
lentamente, protendendo le braccia verso di lui, le grinfie aperte,
pronte a ghermirlo.
Si avvinghiò a lui e lo morse al collo.
Pride avvertì un capogiro e
fu abbagliato da una luce biancastra, mentre un dolore acuto e
penetrante s’insediava in lui, fin dentro le ossa.
Malice lo fissò, terrorizzata, lo sguardo vitreo puntato sull’Homunculus e l’ombra che lo ghermiva.
- PRIIIIIIIIIIIDE! - gridò.
L’unica a svanire fu l’ombra ed il corpo di Pride ricadde a terra pesantemente, privo di sensi.
- PRIDE! - esclamò ancora Malice, camminando carponi fino al suo fianco, poggiando il capo sul suo petto.
Perché si era lasciato persuadere da quell’ombra?! Che cosa credeva di ottenere?
Non capiva, ma vederne il corpo steso a terra gli provocava un’ondata di dolore acuto, come fosse già morto.
Orgoglio si ritrovò dinanzi ad un immenso cancello di ferro battuto dall’aspetto solenne e lugubre al tempo stesso.
- Che... che posto è questo? - esclamò.
La sua domanda riecheggiò nel nulla che lo circondava, ritornandogli alle orecchie senza risposta.
È il tuo Portale Pride... qui ci uniremo di nuovo...
Il sibilo che gli aveva appena parlato era arrivato da dentro di lui, lo aveva percepito distintamente.
- Il mio Portale? - domandò ancora.
Oltre questo cancello, io e te diventeremo nuovamente una cosa sola, un essere completo...
- Un essere umano - disse l’Homunculus, lasciando trapelare dalla sua voce una triste rassegnazione.
Esatto. Non è ciò che hai sempre desiderato? Diventare un essere umano completo...
Ripensò a Malice, alla sera che avevano trascorso insieme, all’esistenza passata in sua compagnia.
Diventare umano era stato il suo
sogno, ma in quel momento l’unica cosa che voleva era poter stare
di nuovo con lei, per sempre, da essere imperfetto quale era nato.
Non gl’importava più di diventare un umano, se diventarlo significava dover dire addio a Malice, un giorno.
Perché la morte non guarda mai in faccia nessuno...
Pride... tu sei nato per divenire completo... ed ora, finalmente, potrai esserlo...
Non gl’importava più.
Avanti, attraversa il Portale...
Il cancello si aprì, sinistro e lui vi si gettò dentro, pensando un’ultima volta a Malice.
In esso, riconobbe l’Inferno dal quale era sorto.
Era il medesimo luogo infame dal quale Alphonse, due anni addietro, l’aveva liberato.
Alla fine, vi aveva fatto ritorno.
Aborriva quel luogo con tutto se stesso, eppure infine vi era tornato.
Dentro sentiva qualcosa sussultare,
ribelle, finché non uscì fuori e si trovò a
fissare di rimando quell’altro se stesso, quel Pride sconosciuto
dall’aria familiare che era Edward Elric, il vero se stesso.
Perché lui, Pride, non era
altro che il risultato di una trasmutazione umana fallita,
l’essere imperfetto che rappresentava l’Orgoglio e che, se
fosse stato portato a nuova vita da essere perfetto quale doveva
essere, sarebbe stato identico ad Edward.
Perché lui era solo una
patetica imitazione, un fantoccio malriuscito, una creatura che aveva
mente e corpo, ma priva d’anima.
E quell’anima, che ora gli
stava dinanzi, l’avrebbe reso completo, l’essere perfetto
che tanto aveva desiderato essere.
Ma in quel momento, in quella circostanza, non desiderava più divenire umano, desiderava solo essere se stesso.
Desiderava solo essere Pride, l’incarnazione dell’Orgoglio.
E comprese che quello era il suo destino...
Si ridestò e avvertì qualcosa poggiato sul suo petto.
- Malice? - domandò di getto.
Malizia alzò lo sguardo su
di lui, le lacrime che le rigavano il viso, mentre un sorriso di
sollievo e felicità sostituiva una smorfia di dolore profondo.
- Pride? Pride sei davvero tu? - chiese, la voce rotta dall’emozione.
- Certo! - esclamò.
Malice sospirò, sollevata, prima di mollargli un ceffone sulla guancia.
- Ahio! Cos’ho fatto?! -
- Idiota! Credevo che saresti morto! - esclamò lei, indignata, prima di stringersi di nuovo al suo petto.
Lui rimase perplesso ad osservarla, prima di carezzarle amorevolmente i capelli.
- Ma l’ombra? - chiese ancora Malizia, guardandolo.
- Era fuggita per sbaglio dal
Portale e, una volta rientrata, ne è stata nuovamente
risucchiata... - s’interruppe un istante ed alzò lo
sguardo a fissare il cielo che traspariva appena tra le fronde degli
alberi che, come braccia, si protendevano verso la volta celeste - ...
perché i morti, non possono tornare in vita. Mai... -.
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