Quella volta che Michi si è rovinato la vita

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 
1.

«Michi, credimi, non ne posso più» si sfogò l'adolescente con tono vagamente lagnoso. Dalle sue labbra si formavano lente nubi di fumo e vapore, causate dall'intenso freddo invernale e dalla canna che stringeva fra le dita intirizzite. Gli occhi azzurri erano volti verso il cielo scuro, alla ricerca delle stelle coperte dalle nubi. Il piccolo cilindro di carta biancastra fumava lentamente, confondendosi con la foschia serale; ogni tanto rischiava di spegnersi a causa del leggero vento che soffiava sulla pianura. «Ieri ho beccato un'insufficienza in Sistemi. Scuola di merda» sentenziò seccamente mentre passava da fumare all'amico. Erano in due seduti in quella piazza desolata, su di una panchina arrugginita e circondati da erbacce. Il moro colse la canna dalle dita dell'altro, traendone rapidamente una boccata senza intervenire in quello sfogo. Erano ben coperti contro il gelo, nessuno dei due con un'aria troppo allegra nonostante la droga in circolo. Poco lontano scoppiò un petardo; non ebbero alcuna reazione. Michi fumò ancora. Le sue mani, più scure di quelle dell'amico, erano avvolte in un paio di guanti a mezze dita. Quasi tutto il suo abbigliamento era nero, estremamente contrastante con quello della persona seduta al suo fianco. Giubbotto nero chiuso al di sopra di un jeans scuro, sciarpa nera, cappello di filo nero, scarpe nere, guanti neri. Perfino i capelli che spuntavano disordinati sulla fronte e sulle tempie erano neri, anche le sue occhiaie lo erano. Le iridi, di un marrone scuro diverso però dalla pece delle pupille, davano anch'esse un'idea di oscurità nonostante il colore più chiaro; era come se un'aura di negatività lo circondasse. La barba irregolare da ragazzo non riusciva a proteggere il suo viso dal freddo; si strofinò la mano libera su una guancia, con il dorso coperto a contatto con la pelle insensibile.
L'amico ruppe di nuovo il silenzio quando la canna, accorciatasi ormai di molto per i continui tiri, passò di nuovo tra le sue mani. «Domani sera andiamo in disco a rimediare un limone, è venerdì, non resto in questo posto di merda» sbottò soffiando il fumo dalle narici. «Prendiamo il motorino, famo un posteggio fuori al baretto e andiamo» decise per entrambi. Michi non disse una parola e l'altro si girò verso di lui, squadrandolo divertito. «Oh Mi'? Miche'? Già stai in para?» chiese con tono da presa in giro. Michi emise un grugnito di disapprovazione e come risposta gli arrivò un pugno sul braccio. «'cazzo fai, Lore, mi fai male!» si lamentò con voce rauca, finalmente degnandolo di uno sguardo. I loro occhi si incrociarono e i due ragazzi si guardarono a vicenda per qualche momento, Michi con le labbra sottili all'ingiù e Lore ridacchiando, forse già sotto l'effetto degli stupefacenti. Michi fu il primo a distogliere lo sguardo con un sospiro, tornando a concentrarsi sull'asfalto fra le sue scarpe. Un urlo interruppe il silenzio della notte; le pupille dilatate di Lore erano rivolte di nuovo al cielo e i suoi polmoni erano pieni di aria fredda, mentre urlava il suo vuoto entusiasmo alla luna. Si era alzato di scatto e aveva lanciato il mozzicone di canna lontano, voltandosi poi su se stesso quasi saltellando. Indossava un giubbotto rosso, sgarciante, con una kefiah a quadri e dei jeans chiari molto aderenti. Pestava l'asfalto macchiato con scarpe da ginnastica multicolori, di plastica anche se evidentemente costose e le mani non erano coperte, così come i suoi capelli biondi e ben pettinati in un ciuffo alla moda. Non aveva barba e risultava estremamente affascinante tra le sue coetanee, complice anche la sua disponibilità a offrire droga e alcol a chiunque ne volesse. «Andiamo a bere qualcosa, muovi il culo nonno!» apostrofò Michi, disponibile come un cagnolino e ormai intento ad alzarsi a sua volta. Il moro, alto almeno dodici, tredici centimetri in più dell'amico, infilò le mani nelle tasche della giacca e lo seguì senza dire nulla. La luna cominciava appena a intravedersi tra le nubi.


 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 
2.
 
«Michi, sei tu?»
Una voce femminile si confondeva con il rumore di un pianto di bambini. Michi non rispose, chiuse la porta d'ingresso dietro di sé e cominciò a sfilare il giubbotto con la solita espressione persa sul volto. Puzzava terribilmente di alcol e marijuana, ma il suo odore si confondeva con quello della casa fatiscente in cui viveva. Nonostante l'ora di cena fosse passata da un pezzo, l'odore di cavolo continuava ad aleggiare con forza in tutte le camere. Michi a volte pensava che se anche avessero smesso di mangiare, le pareti della casa avrebbero restituito loro quei disgustosi odori di verdura.
«Oh, finalmente sei tornato. Tua sorella si è svegliata piangendo per il mal di orecchi e ovviamente anche Samu e Tommaso hanno cominciato a... Michi?» s'interruppe improvvisamente la madre. Indossava un pigiama sgualcito, i capelli ingrigiti erano raccolti con una pinza e delle borse profonde si erano scavate sotto i suoi occhi scuri. La bambina che portava in braccio, di forse quattro o cinque anni, piangeva disperatamente e il volto era rosso dallo sforzo. Il naso le gocciolava senza pietà, trascurato dalla madre, e altri due strilli di bambini piccoli provenivano da una cameretta in fondo al corridoio. La casa era piccola ma Michi riusciva comunque ad avere quel po' di privacy di cui aveva bisogno: sbatté la porta della sua camera e la chiuse automaticamente a chiave. Erano le due del mattino e le urla dei bambini, nonostante fossero attutite dalla porta chiusa, penetravano comunque nella mente stanca del ragazzo.

«...»
Sospirò, stanco e ancora vittima di uno stato alterato di coscienza. Si gettò sul letto disfatto ancora con i vestiti addosso e cominciò a scalciare via le scarpe graffiate. Qualcosa vibrò nella tasca destra del jeans e il ragazzo ne estrasse un vecchio cellulare android dallo schermo illuminato; lesse il messaggio mentre s'infilava sotto alle coperte. 

 
Lore
02:07
Dmn XBOX? Ho preso COD

 
Il messaggino, inviato via chat istantanea, ebbe subito risposta.
 
02:07
Certo

 
Michi continuava a fissare lo schermo; un poco enigmatico "sta scrivendo..." lo informava che l'amico non aveva ancora finito con la comunicazione notturna. Si erano appena lasciati eppure sembrava avessero ancora molto da dirsi, anche se in quel modo quasi unilaterale che li caratterizzava.
 
Lore
02:08
Dmn bigio, dv fare benza x la sera

 
Non rispose subito, riflettendo per un po'. Lo sguardo si spostò sull'unica finestra della camera. La stanza era buia e l'unica fonte di luce proveniva dall'esterno. Il ragazzo immaginò che la luna fosse ormai visibile al di sopra delle nubi, ma il vetro era opaco a causa della differenza di temperatura tra l'interno e l'esterno. In effetti, a pensarci bene, cominciava a sentire un po' di caldo. Il cellulare vibrò di nuovo.
 
Lore
02:10
Oh ma 6 in botta?

 
Quasi rischiò di cadergli in faccia. Si affrettò a digitare una risposta veloce, poi si alzò a sedere e tirò in basso la zip della felpa per sfilarla con difficoltà.
 
02:11
No, i fratelli piangono e mamma rompe.
Uno sbatti incredibile

 
Invece aveva mentito, era "in botta" eccome. Si sentiva stordito dalle sostanze assunte e ci mise un po' per togliere le braccia da entrambe le maniche. Intanto i messaggi continuavano ad arrivare e per fare presto gettò l'abito sul pavimento accanto al letto, rintanandosi poi sotto le coperte. Gli sembrava di sentire freddo nonostante il sudore che gli imperlava la fronte.
 
Lore
02:11
K sclero

Lore
02:12
Dmn prendo anke 1 boccia, vieni?

Lore
02:14
Frocio vd da solo
Stai sotto d brutto

Lore
02:16
???
Zio c 6 rimasto?

 
Prima che il cellulare potesse squillare, Michi pensò saggiamente di rispondere all'ondata di messaggi. La testa gli girava un po' dalla stanchezza.
 
02:16
Cazzo dici, sto pezzando fa caldo.
Stavo togliendo la felpa

 
Digitò rapidamente e inviò senza rileggere, controllando che non fosse arrivato altro nel frattempo. Lore aveva una loro foto insieme sul programma di messaggistica istantanea, che permetteva l'inserimento di una sola foto alla volta da mostrare ai propri contatti. Michi l'ingrandì: erano loro due a una serata in discoteca. Lui aveva un sorriso stanco in volto e Lore aveva un braccio intorno al suo collo; essendo più basso di lui quasi lo trascinava con sé. L'espressione era di sfida, con la bocca aperta in un urlo di giubilo e con una sigaretta incastrata fra i capelli corti e l'orecchio sinistro. Entrambi in mano reggevano una bottiglia di birra: la foto era professionale, scattata e caricata sui social network dalla discoteca stessa, ed entrambi sembravano più attraenti di quanto non fossero in realtà. A Michi non dispiaceva.
 
Lore
02:17
Vb allora c vediamo dmn
Vd a farmi 1 paglia, notteee

 
La conversazione finì lì. Michi lanciò un'ultima occhiata alla chat con l'amico, che adesso non portava più la dicitura "in linea". Senza cambiare espressione chiuse gli occhi, poggiando il cellulare accanto a sé, e restò ad ascoltare il pianto dei fratelli per qualche minuto senza riuscire ad addormentarsi. Alla fine decise di necessitare di un ultimo momento di svago; le mani scesero a sbottonare i jeans, tirò giù la zip e faticò per qualche secondo nel tentativo di abbassare i boxer nel buio delle coperte. Toccò il membro con le mani tiepide per qualche momento, aspettando che diventasse turgido, poi la mano sinistra andò a recuperare il cellulare. Più tardi ansimò a voce alta: nessuno l'avrebbe sentito con il rumore che regnava all'interno della casa.
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3.

La musica elettronica si diffondeva a un volume estremamente alto. Le casse dello stereo si gonfiavano pericolosamente a ogni nota, emettendo di tanto in tanto una vibrazione fastidiosa. Lore non sembrava preoccuparsene: lui e Michi erano stesi sul suo divano gonfiabile in una coltre di fumo dolciastro. L'odore dell'erba si era probabilmente diffuso in tutta la casa, ma i genitori erano a lavoro e in ogni caso avevano rinunciato a punire quell'unico figlio ormai viziato e cresciuto così, con l'abitudine di sfidare le autorità. La musica si confondeva agli sporadici urli dei ragazzi e agli spari dei loro personaggi nel videogame a cui stavano giocando. Il televisore era enorme, di quelli ricurvi di ultima generazione, e ben rifletteva la situazione economica generale del biondo. Lui e la sua famiglia, composta di sole tre persone, vivevano in una villa ed erano tra le persone più ricche dell'intero paesino. La camera di Lore era enorme e aveva qualunque cosa potesse desiderare: console da gioco, televisore, cellulare, computer e stereo sempre di ultima generazione, letto a una piazza e mezza, il divano gonfiabile che Michi gli ha sempre invidiato, una collezione di videogame e bluray estremamente vasta, perfino una stampante 3D che l'amico non gli aveva mai visto utilizzare e che probabilmente non era mai stata accesa. Non c'era però rivalità tra di loro: erano amici e Michi non poteva desiderare le sue cose con cattiveria; inoltre Lore conosceva bene la sua situazione economica tutt'altro che florida, così offriva sempre lui l'alcol, l'erba, la droga, l'entrata e le consumazioni in discoteca, la benzina, i passaggi in motorino, le ricariche del cellulare... Spendeva un centinaio d'euro alla settimana prelevando i soldi dal conto dei genitori e non veniva mai fermato; le grida e i litigi erano giornalieri, ma a Lore bastava uscire e bere qualcosa per dimenticarsi della sua famiglia.

«Stasera devo scopare come un dannato!» urlò per farsi sentire al di sopra degli spari. Anche il volume del televisore era altissimo. «Perché?» domandò l'amico senza girarsi; stava perdendo e cercava di concentrarsi. «Zio non sborro da una settimana, ho bisogno di figa» ottenne come risposta. Michi si lasciò andare in una risata, divertito dalla volgarità delle sue parole e dal suo momento fortunato al videogame. Mentre sparava all'ennesimo soldato Lore cominciò a cantare a squarciagola; era una canzone famosa di un DJ italiano e Michi si accodò, ritrovandosi entrambi a urlare entrambi in un inglese sgrammaticato. Il padrone di casa alzava anche il joypad a ritmo di musica, esaltando ulteriormente l'amico. Il divano-penisola permetteva loro di stendersi parzialmente e per scendere bisognava spostare lateralmente le gambe; sia la birra che il posacenere erano quindi poggiati sul pavimento, a entrambi i lati del divano. Mentre cambiava canzone Lore mise in pausa il gioco, lasciando il joypad accanto a sé e sporgendosi alla sua sinistra. «Ma dove...» borbottò. Michi lo imitò, liberandosi del joypad e poggiando la testa allo schienale. Cominciava a girargli tutto ed era provato da quel mix di fumo, alcol e musica dal ritmo ripetitivo: in discoteca poteva sfogarsi ballando, a casa era costretto a restare fermo e a sudare freddo. Socchiuse gli occhi per un attimo, poi sospirò e fece per voltarsi verso l'amico, ancora impegnato in qualcosa. Lore lo guardò con gli occhi rossi e lucidi (Michi immaginò che fossero simili ai suoi: l'erba non perdona) per poi poggiare la mano destra vicino alla sua mancina. Le dita si sfiorarono per un momento e Lore si sporse verso di lui, forse sbilanciandosi anche troppo per la sua stabilità. Michi avvicinò il viso sudato a quello del biondo, ben pettinato anche in casa, e poggiò le sue labbra sottili contro quelle gonfie e schiuse dell'altro. Il tutto durò solo un attimo: Lore alzò entrambe le mani e, ritraendosi, colpì l'amico al petto in un violento spintone. «'cazzo fai?!» gli urlò contro. Era rosso in viso dalla rabbia; Michi sentì il cuore scendergli nelle viscere. «Ti ho chiesto 'cazzo hai fatto!» urlò di nuovo con più forza. Una mano era alzata a mezz'aria, forse nell'intento iniziale di stringersi in un pugno. Michi deglutì e provò a rispondere con la bocca secca. «Credevo...» provò a balbettare con la voce tremante. «Credevi?!» ruggì l'altro senza distogliere lo sguardo dal viso imbarazzato dell'altro. «Mi hai preso per frocio?!» continuò finalmente stringendo la mano. Michi tremava disperatamente, quasi rimpicciolendo nella vergogna che lo ricopriva; aveva compreso troppo tardi il significato di quel gesto, volto a cercare il posacenere e di sicuro non a baciarlo. L'amico assottigliò gli occhi leggermente meno lucidi; stava realizzando qualcosa e smise di parlare per qualche minuto, continuando a osservare il suo migliore amico dallo sguardo basso e l'espressione terrorizzata. «Lore scusami, scusami, ti prego...» riprese a mormorare all'improvviso mentre sul volto dell'altro si allargava un sorriso tutt'altro che benevolo. Gli si avvicinò nuovamente, afferrandogli la nuca con forza e pigiandogli le labbra contro la bocca. I loro denti urtarono; Michi aveva gli occhi sbarrati e non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo ma complice il fumo, complice l'alcol e complice soprattutto la disperata cotta che aveva ormai da anni, si lasciò andare molto presto. Lore gli infilò la lingua in bocca, attorcigliandola intorno a quella dell'altro e provocandogli una forte erezione. Sentiva il sapore del suo amico in quello scambio di saliva e in pochi secondi la mano sulla sua nuca, anche se continuava a stringere dolorosamente, non serviva più a niente: era lui a stringersi contro l'altro. Lore si staccò bruscamente, lasciando Michi con le labbra schiuse e bagnate di saliva: lo guardava come un cane bastonato. Gli occhi di Lore brillavano senza un motivo apparente, inquietando appena l'amico. «Vuoi che ti scopo?» gli mormorò in maniera sgrammaticata all'orecchio. I jeans di Michi erano troppo gonfi perché lui potesse mentire: si lasciò andare in un unico, roco: «Sì». Lore sorrise maliziosamente, abbassando i pantaloni della tuta e liberando il suo sesso ancora non eretto. «Succhiamelo» gli intimò senza guardarlo; portò una mano alla nuca dell'amico, abbassandogli il capo con forza, e portò lo sguardo al soffitto. Con il capo poggiato e gli occhi chiusi si assicurava di avere fantasie diverse; Michi era alticcio, era fatto, era tutto fuorché lucido, ma riusciva ancora a ragionare abbastanza da conoscere la verità: Lore era tremendamente eterosessuale, lo era sempre stato e in più di un'occasione si era dimostrato anche violento nei confronti di ragazzi a sua detta "froci". Tutto ciò che stava accadendo era assurdo (ma non per questo Michi non gli assaporò le carni) e il vero motivo gli sfuggiva in un modo incomprensibile. Provò a rilassarsi e presto si dimenticò delle sue preoccupazioni: quel pomeriggio scoprì anche che il tanto vantarsi di Lore, riguardo le sue abilità a letto, era totalmente giustificato.

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4.

La vita diventò un tormento ancora maggiore di quello ch'era stato fino a quel momento. Nel chiuso della sua camera Michi passava ore intere a fissare le crepe nel soffitto; ogni qualvolta Lore non era fisicamente nei paraggi si ritrovava, in ogni caso, incastrato nei pensieri del suo amico. Il giovane innamorato aveva già rivissuto decine di volte quella scena nella sua mente, proprio come in un film di cui faticava a comprendere la trama. Lore l'aveva baciato, aveva fatto sesso con lui e anche se a questo pensiero si eccitava inevitabilmente, ogni volta un piccolo mostro gli si rigirava nelle viscere. Ripensandoci, a disagio, si rendeva conto di quanto quell'accadimento fosse stato terribilmente sbagliato; il tocco delle labbra di Lore gli era sembrato quasi violento e la sua lingua ruvida, al sapore di luppolo e nicotina, si era mossa nella sua bocca con un finto languore che aveva avvertito come glaciale, forse addirittura diabolico.
Disteso sul letto sfatto a formulare questi pensieri, sentì la pelle delle braccia accapponarsi e il freddo dell'angoscia lo avvolse senza pietà.
L'atteggiamento del suo vecchio amico era stato gelido, meccanico, forse studiato. Aveva goduto nella sua bocca e poi, rilassatosi, l'aveva fatto suo con fare sadico e...
Si voltò su un lato. Sul comodino c'era il suo cellulare e lo schermo era spento; essendo primo pomeriggio probabilmente Lore stava giocando ai videogame, litigando con la madre o forse tutt'e due le cose contemporaneamente. Non riusciva a trovare l'aggettivo che cercava per descrivere il loro rapporto sessuale e il cuore aveva preso già da un po' a battere in modo forsennato.
"Studiato", pensò improvvisamente; l'espressione gli era giunta come una rivelazione. Tornò a voltarsi sulla schiena, una mano poggiata sul petto e l'altra gettata penzoloni dal bordo del letto. L'aveva scopato in modo studiato, rifletté ancora. Nei pantaloni del pigiama l'erezione continuava a pulsargli con forza; al suo corpo non sembravano importargli quei dubbi che lo affliggevano da un po'. Erano passati ormai quattro giorni e Lore sembrava non avere intenzione di affrontare la questione. Aveva ripreso a comportarsi come sempre, a parlare di ragazze, a lamentarsi della famiglia, a imprecare contro l'istituto che era costretto a frequentare... C'erano stati solo due piccoli cambiamenti: aveva smesso di chiamarlo "frocio" e aveva smesso di invitarlo a casa sua. Non si erano più visti in un luogo privato da allora.

Il cellulare sul comodino vibrò; Michi si limitò ad allungare la mano penzolante per recuperarlo e portarlo al di sopra del viso.

 
Lore
15:52
Bomfunk zio! Dj set stasera

Lore
15:52
Situa a casa del cazzo, vieni?

Lore
15:52
Fotte 1 cazzo ke è mercoledi, vieni

 
I messaggi si erano susseguiti rapidamente. Michi deglutì al pensiero di tornare a ballare con Lore dopo quel sabato sera. Ci rifletté su per un momento nel silenzio assoluto della casa; i suoi genitori erano a lavoro, i suoi fratelli erano a scuola e lui...
 
Lore
15:54
Minkia allora?

 
Aveva gli occhi umidi per un motivo che non riusciva a comprendere. Sperò che il cuore la smettesse presto di cozzargli contro le costole in un modo così doloroso.
 
15:54
Ovvio che vengo.
Mi passi a prende?

 
Il pensiero di ritrovarsi in motorino con Lore, con il suo pube così vicino alla pelle dell'amico, lo eccitò ulteriormente. Mentre aspettava una risposta toccò con un dito nodoso l'immagine del suo contatto, ingrandendola. Erano ancora loro due in discoteca, abbracciati con fare stupido. L'elastico dei pantaloni scivolò in basso abbastanza agevolmente.

 

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Capitolo 5
*** 5 ***



5.


Quel sabato sera proprio non riusciva a divertirsi. Aveva bevuto una birra prima di entrare, restando in silenzio mentre Lore guidava, e il vento freddo che gli scompigliava i capelli l'aveva aiutato a restare concentrato sulla realtà delle cose. È vero, le sue parti intime erano state a contatto con il bacino dell'altro, ma fra di loro c'erano stati due strati di denim azzurro, almeno un altro di cotone (lui aveva indossato i boxer, ma non poteva sapere tutto dell'altro) e sedici anni di amicizia: quest'ultimo, limite più invalicabile di tutti, era il muro invisibile che li separava per davvero. In quel momento Michi si muoveva frastornato sotto le luci lampeggianti della discoteca, ciondolante nella musica elettronica e con gli occhi fissi su Lore, distante alcuni passi da lui e impegnato a strusciarsi su di una ragazza attraente.
 
Abitualmente, quando andavano in discoteca, si fermavano sotto un ponte a un centinaio di metri dall'ingresso. Ci si ritrovava con altre conoscenze, si fumava una canna in compagnia; Michi era abituato a dividere l'erba con Lore, un po' separati dagli altri e mormorando fra loro. Quella sera avevano parcheggiato sotto il ponte, spento il motorino, avevano sfilato i caschi e...
«Bella raga! Pronti a sbocciare?» chiese Lore con enfasi. Era molto più socievole del solito, forse troppo: gli mollò il casco tra le mani e s'infilò una mano in tasca. «Zio c'hai le cartine? Devo fare piazza con 'sti sottoni, prendi qua» lo apostrofò lanciandogli una bustina con l'erba. Lore la prese al volo, notando che l'amico aveva già diviso la dose abituale in due: lo stava escludendo dal gruppo, lasciandolo a fumare da solo. Si diresse con gli altri, ridendo a una battuta che Michi non sentì, senza degnarlo di un solo altro sguardo. 

Quindi no, quella sera proprio non riusciva a divertirsi. Aveva bevuto una birra, aveva fumato da solo e non riusciva a fare altro che fissare Lore, vestito da fighetto come suo solito e comportandosi da vero stronzo.
«Se il Lore ti becca a lumare la sua tipa così ti fa il culo!» gli rise all'orecchio un ragazzo del gruppo. Michi si voltò a guardarlo con fare inebetito, non capendo a cosa si riferisse. L'altro gli diede una gomitata divertita; era più alto di lui, più massiccio, più attraente e più tamarro. Michi lo tollerava solo perché era simpatico a Lore. «Sciallo, non sbirro!» continuò a sputazzargli su un lato della guancia prima di cominciare a ridere. Michi tornò a voltarsi verso l'amico, poi capì a cosa si riferisse il nuovo arrivato: probabilmente credeva stesse osservando la ragazza in atteggiamenti intimi con Lore. Tornò a guardare l'altro, le palpebre chine a metà al di sotto delle luci lampeggianti della discoteca. «M'hai sgamato» gli diede corda a voce troppo bassa, tentando un mezzo sorriso. Gli arrivò un'altra gomitata. «Cosa? Non ti sento! Urla!» continuò a gridargli al di sopra della musica. Michi cominciò a irritarsi per tutta quella situazione: Lore lo ignorava, un ragazzo del gruppo non lo lasciava in pace, aveva caldo e voglia di tornare a casa. «Ho detto che m'hai sgamato! Ci tiriamo una paglia? Fa un cazzo di caldo bestia» urlò a sua volta. Incontrando l'approvazione dell'altro si diressero all'uscita del club, entrambi con il loro bel timbro nell'interno polso; appena messo piede fuori dal locale, Michi tirò un sospiro di sollievo. Portò le mani alle tasche dei jeans, cercando il pacchetto di sigarette da offrire al ragazzo accanto a sé. Toccò prima quelle posteriori, poi quelle davanti e infine portò una mano alla fronte, voltandosi verso l'ingresso. «No, che babbo, mi è caduto il pacchetto quasi nuovo» esclamò dispiaciuto. L'altro rise, gli batté con forza una mano sulla spalla per poi infilarla di nuovo in tasca. «Sciallo, volevo fare lo stesso due passi, andiamo alla macchinetta» lo invitò a passeggiare. Michi aprì bocca per declinare, non poteva abbandonare Lore da solo... Poi la richiuse subito dopo, al ricordo dell'amico intento a lavorarsi la mora dotata di un bel corpo vista poco prima. Sorrise. «'nnamo dai» accettò la passeggiata notturna, incamminandosi verso l'uscita del parcheggio.
Dopo pochi passi si fermò all'improvviso. «Aspe', Paolo, ma che sbatti c'hai? Vuoi farti due chilometri a piedi?» domandò appena più lucido; l'altro si voltò a guardarlo, sbattendo le ciglia nere incredibilmente lunghe. Si strinse nelle spalle. «A Casinéta ci deve stare una macchinetta, che cazzo. Se non ti va un purino rimedio un po' d'erba» si offrì imbarazzando Michi, il quale ricominciò a camminare scalciando la bustina vuota di un preservativo. «Ma va', non sono ancora un chiove, so camminare sai» scherzò a mezza voce.  L'altro rise. Camminavano vicini, Michi sentendosi stranamente basso nonostante il suo quasi-metro-e-ottanta; Paolo lo superava di almeno tutta la testa, e il suo fisico molto ben curato, da amante delle palestre, infilato in una t-shirt aderente lo faceva sembrare ancor più massiccio di quanto non fosse in realtà. Il silenzio sembrava farsi troppo pesante e Michi stava per iniziare un discorso qualsiasi per spezzarlo, ma venne interrotto dall'altro. «De bun sii de Biagrass?» gli chiese improvvisamente in dialetto stretto. Michi si voltò a guardarlo stupito, con le labbra leggermente aperte in un'espressione abbastanza buffa da indurre Paolo al riso. Michi arrossì. «Sì, sèmm de Biagrass» rispose a tono, quasi offeso dalla reazione dell'altro. Ottenne un respiro e un segno di diniego con il capo. «Io sono di Busto, ma sto da amici a Magenta. Non c'è un cazzo su da me» ribatté. Calò di nuovo il silenzio; entrambi camminavano troppo lentamente per importarsene davvero della destinazione; entrambi avevano le mani nelle tasche ed entrambi avevano assunto la stessa postura incurvata. «Perché, a Magenta c'è qualcosa?» gli chiese retoricamente, lanciandogli uno sguardo; gli occhi grigi dell'altro, arrossati com'erano dalla stanchezza e dal fumo, gli ricordarono quelli azzurri di Lore. Tornò a guardare l'asfalto davanti a sé con un groppo alla gola. «No, a Magenta non c'è troppo un cazzo, ma non ci stavo dentro. Mia madre mi tirava certe asciugate di coglioni assurde, poi s'è messa a trombare con un canazzo violento e ha cominciato anche l'altro» gli confidò inaspettatamente. Michi tornò a scrutarlo senza sapere cosa dire, restando in silenzio. «Ai diciotto ho fugato e sto da amici da un paio d'anni. Il Lore m'ha detto che anche voi avete i vostri casini e non mi pare un abbaione» sottolineò ricambiando l'occhiata. Michi storse la bocca. «No, non dice balle. Abbiamo tutti i nostri bordelli» gli rispose vago. Anche se era tornato a guardare l'asfalto, continuava a sentire su di sé gli occhi dell'altro. Si sentì a disagio. «Ora che fai a Magenta?» buttò lì per cambiare argomento. «L'operaio. Andiamo di là che in piazza ci sono magrebi a vendere di brutto a quest'ora» lo invitò a cambiare strada, indicando il tragitto con un cenno del mento rasato. Michi lo seguì in silenzio per un altro centinaio di metri, poi tolse le mani da tasca e le portò a intrecciarsi dietro la nuca.
«Finalmente una macchinetta. In questo cazzo di paese nessuno fuma?» domandò a mezza voce; Paolo rise, avvicinandosi al distributore e sfilando il portafogli dalla tasca posteriore destra dei jeans bassi. «Che tiri? Manhattan bianche?» gli chiese divertito. Michi incrociò le braccia sul petto, intuendo il tono derisorio dell'altro. «No, Marlboro rosse. Che frociata sono le manhattan?» ribatté osservando i movimenti di Paolo. Il ragazzo era intento a riporre il portafogli in tasca, prendendo un accendino da quella anteriore. «Una frociata da froci» rispose aprendo il pacchetto di Pall Mall rosse. Gettò la carta trasparente a terra, aprendo il pacchetto e portando una sigaretta alle labbra. L'accese con ancora il pacchetto stretto in una mano, gettandogli un'occhiata sottecchi. Michi cominciava a sentirsi a disagio. «Mi stai dando del frocio?» chiese bruscamente. Paolo inspirò, lasciando che il fumo fluisse dalle narici. Gli tese il pacchetto aperto e quando le dita del ragazzo sfilarono la seconda sigaretta del pacchetto, le Pall Mall vennero prontamente infilate nella tasca posteriore libera. La mancina andò quindi alla sigaretta pendente a un angolo delle labbra, liberandole dal fumo. Michi portò la sua sigaretta immacolata alla bocca e tese la mano libera verso l'altro, in attesa dell'accendino. In tutta risposta, Paolo gli si avvicinò facendo scattare l'accendino. «Perché, non lo sei?» chiese con tono disinteressato accendendogli la sigaretta. Michi alzò lo sguardo sul suo volto: bruno, dai lineamenti duri e con la mascella squadrata, dagli occhi grigi troppo penetranti per non metterlo a disagio con un'occhiata decisa. Soffiò fuori il primo tiro. «Cosa te lo fa pensare?» ribatté dopo un momento, guadagnandosi un sorrisetto ambiguo da parte di Paolo che non accennava a discostarsi da lui. «Non paglieggiare... Non sono così babbo. Si capiva di brutto che ti stavi scopando il Lore con gli occhi» lo informò divertito senza interrompere il contatto visivo; Michi arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo e dando così una conferma ai dubbi del bruno. «Ma come stai? Siamo amici, stavo... Stavo...» balbettò nel tentativo di trovare una valida scusa. Paolo gli soffiò il fumo in faccia. «Sciallo, zio. Te l'ho detto, non sbirro mica. Ma ti conviene lasciar perdere di brutto il Lore. È etero» sottolineò con un altro sorrisetto ambiguo. Michi si concesse un lungo tiro di sigaretta, lasciando cadere la cenere al suolo prima di rispondere. Soffiò via il fumo dalle narici. «Questa stronzata te l'ha detta lui?» chiese con voce tremante, ottenendo una risata da parte dell'altro; Paolo finalmente si allontanò, scostandosi di qualche passo e poggiando la schiena al muro accanto al distributore. Alzò la gamba destra, poggiando la suola della scarpa sportiva anch'essa al muro, poi tirò ancora con estrema calma. «Te l'ho detto. Ce l'avevi scritto in faccia» scandì senza togliergli lo sguardo da dosso; sembrava divertito, e il timore in Michi cominciava lentamente a lasciare spazio alla rabbia. «Com'è che mi lumavi così tanto?» chiese utilizzando lo stesso termine gergale usato da Paolo mezz'ora prima. «Questo non è da froci?» domandò con irritazione; le braccia erano nuovamente incrociate sul petto e lo sguardo fisso sul volto di Paolo, riuscendo a sostenere il suo sguardo. L'altro si prese tutto il tempo necessario per rispondere, dedicando prima attenzione alla sigaretta e poi, dopo aver soffiato fuori il fumo racchiuso tra le guance, si lasciò andare a un altro sorrisetto. «Non ho mai detto di non esserlo» spiazzò Michi con tono complice.
Calò il silenzio; dopo qualche momento Michi si diresse a sua volta verso il muro, dove imitò l'atteggiamento di Paolo: schiena e suola destra al muro, sigaretta alle labbra e mano libera in tasca. Gli ci volle un po' per tornare a parlare, ma l'altro non sembrava dispiaciuto da quel silenzio. Alla fine si decise. «Che storia» commentò semplicemente; l'altro si accodò con un sospiro divertito. «Quindi, c'hai provato con Lore?» chiese a bruciapelo con voce quasi tremante. Paolo rise di nuovo, scuotendo il capo con fare rassegnato. «No, fa brutto ma non è il mio tipo» rispose alla fine con calma, portando la sigaretta quasi terminata alle labbra. Michi emise un grugnito di soddisfazione. «Quindi come sai che è etero?» rincarò la dose mosso dalla gelosia. Paolo si strinse nelle spalle. «Lo so e basta. Non tirarmi un'asciugata adesso» ribatté senza perdere il tono allegro. Michi si ammutolì di nuovo per più di un minuto, poi sospirò. Aveva di nuovo le braccia conserte. «Beh, quindi quale sarebbe il tuo tipo?» domandò con tono spento. Paolo rise di nuovo, questa volta di gusto, gettando la sigaretta in lontananza con un colpo di pollice e raddrizzandosi. «Eddài. Michi. Sei tu il mio tipo» ammise con un sorriso e un sopracciglio tirato verso l'alto. Michi ci mise un po' a comprendere quella risposta; Paolo gli si piazzò davanti, prendendogli il capo fra le mani e baciandolo con forza. Michi lasciò cadere la sigaretta al suolo, chiudendo gli occhi e lasciandosi spingere contro il muro dalla foga di quel bacio dalle lingue serrate.


 
 


Note dell'autore ~
Mi scuso per l'interminabile attesa, è stato un mese pienissimo e non ho potuto aggiornare prima. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento: vi ricordo che le recensioni sono sempre ben accette!
Ne approfitto per comunicarvi che è finalmente uscito il mio primo libro, pubblicato da Genesis Publishing a fine febbraio. Potete trovarlo qui e un po' in tutti gli store online. All'interno c'è più di una storia romantica, quindi credo che possa interessarvi. Enjoy~

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Capitolo 6
*** 6 ***


6.
 

Michi non era troppo sicuro di come fosse finito in città, né era eccessivamente felice di trovarcisi. La musica elettronica era così alta da far tremare i vetri, e il puzzo di sudore impregnava abbastanza l'aria da impedirgli di respirare decentemente. Inoltre non si trovava a suo agio in mezzo a quelle persone ubriache, fatte e fin troppo ricche per lui: con Lore era diverso, aveva preso coscienza della loro differenza economica sin dalle scuole medie ed era diventato, per così dire, un'abitudine a cui si era dovuto rassegnare. Nulla a che vedere però con quello sconosciuto ambiente all'ultima moda, con abiti provenienti da Via Monte Napoleone, scintillanti come se avessero ancora l'etichetta con il prezzo attaccato. Gettò uno sguardo a un abito a suo dire terribile, l'unico che riconoscesse in quella bolgia infernale, un Versace: il padre di Lore l'aveva regalato a sua moglie per il suo compleanno, e il suo amico gli aveva parlato a lungo dei duemilacento-e-passa euro spesi "per una pezza di seta". Abbassò lentamente lo sguardo sulle proprie scarpe, quelle buone che indossava solo il sabato sera, un paio di Nike da cinquantanove-e-novantanove, acquistate su Amazon un anno prima. L'imbarazzo lo colse con forza, e vergognandosi del proprio abbigliamento tentò di defilarsi; si sentiva come osservato da tutti i presenti.
Quando, dopo la loro passeggiata notturna, lui e Paolo erano tornati alla discoteca, avevano trovato un Lore sovraeccitato ad attenderli. La ragazza con cui aveva flirtato per un'ora buona li aveva invitati a una festa a Milano, tenuta a quanto pare da "degli amici di amici suoi". Avevano lasciato il motorino là nel parcheggio ed erano andati con la ragazza, una sua amica, Paolo e un altro del gruppo. Sei di loro in una Mercedes S Cabrio, le due ragazze sui sedili anteriori e loro quattro su quelli posteriori. L'amico di Paolo era seduto a terra, Lore era semidisteso e con un'altra birra in mano (Michi si chiese dove l'avesse presa), Paolo seduto di fianco a Lore e... Michi quasi incastrato fra i due, con una mano di Paolo tamburellante sulla coscia destra e con un braccio di Lore dietro alla nuca. Il desiderio di fare un incidente mortale svanì all'arrivo, quando finalmente poté camminare liberamente, e ritornò dopo cinque minuti nell'appartamento sconosciuto.

«Michi, vie' qua!» venne richiamato alla realtà. Lore gli si avvicinava facendosi strada tra i ragazzi intenti a ballare, afferrandolo per un polso e trascinandolo con sé. Gli mise un braccio attorno alle spalle, tirandolo lievemente verso il basso a causa della sua statura, e cominciò a urlargli all'orecchio. «T'ho portato ai livelli, visto?!» chiese retoricamente al di sopra della musica. Michi si limitò ad annuire, seguendolo docilmente attraverso una delle porte socchiuse. L'appartamento era enorme e gli sembrava ci fosse ancora molto da vedere, nascosto dietro i corpi danzanti. Smise di farsi domande quando l'amico richiuse la porta dietro di sé; i presenti, compresi loro, erano una dozzina. La stanza era piena di fumo, e anche se la musica era ben udibile, giungeva abbastanza ovattata da poter permettere un tono di voce decisamente più basso. Michi si guardò intorno, capendo di trovarsi in una camera da letto. Una coppia amoreggiava sul letto, affianco a un altro ragazzo intento a bere a canna da una bottiglia di Bacardi. Non era un Breezer e il tipo non era sobrio, notò Michi prima di spostare lo sguardo. Altri due ragazzi stavano giocando all'XBOX, e un altro era semidisteso contro un muro. Sperò stesse dormendo. «'cazzo fai, vieni» gli mormorò l'amico, tirandolo per un braccio e spostandolo verso l'angolo dove erano radunati gli altri quattro. Una poltrona e un divano creavano un angolino relax; entrambe occupate da due persone, un'altra si stava sedendo e l'ultimo ragazzo, sulla trentina, cominciò a parlare con Lore. «Sto con la Sara... Sciallo, dimmi quanto devo collare, pago per lui» si riferì a Michi senza voltarsi; il trentenne stava squadrando il suo outfit con aria sospettosa. Michi si sentì ancor più a disagio; stava per chiedere a Lore cosa stesse facendo, quando finalmente l'occhio gli cadde sul tavolino posto nell'angolo. Strattonò con violenza un gomito dell'amico, voltandolo verso di sé. Si allontanò di un passo, provando a trascinarlo con sé sotto lo sguardo pungente dell'altro. «Lore, vuoi rimanerci? Hai perso la testa?!» s'innervosì a bassa voce. I suoi occhi sbarrati si scontrarono contro quegli altri eccitati. «Stai manzo, non ti piace sciare?» quasi gli rise in faccia, aumentando l'irritazione di Michi. Lo scrollò ancora senza lasciare la presa. «Parli come questi sancarlini del cazzo, sveglia! Questa è coca, non una canna di merda!» esclamò. Lore cambiò rapidamente umore, come suo solito, e lo allontanò bruscamente con uno spintone. Michi lo lasciò andare. «Oh, e non m'asciugare! Se non ci stai dentro allora vai a fare il frocio da un'altra parte!» ringhiò a voce più alta. Lo spacciatore sorrise divertito e Michi arrossì bruscamente, offeso. Non sapeva se prendersela per il suo comportamento o per quell'appellativo che, dopo gli ultimi avvenimenti, doveva per forza aver assunto un altro significato. «Lore, vaffanculo!» gli urlò dietro mentre si dirigeva verso la porta. L'amico non gli rispose, in compenso uno dei giocatori all'XBOX gli imprecò contro. Tornò nella sala principale richiudendo la porta dietro di sé.

Il posto gli sembrò, se possibile, ancora più confusionario. Gli ci volle qualche secondo per capire perché vedesse sfocato; passò il dorso della mano destra sugli occhi, asciugandoli alla bell'e meglio, poi cominciò a cercare un bagno. Dopo qualche minuto trovò la stanza desiderata, ed entrato si chiuse a chiave all'interno per evitare fastidi. Non riuscì a compiere nemmeno un passo verso l'interno che qualcuno bussò alla porta. «Occupato!» urlò quasi istericamente. «Michi? Che cazzo è successo?» gli giunse ovattata la voce di Paolo. Ci rifletté su per un momento, poi tornò alla porta e la aprì abbastanza da farlo sgusciare all'interno. Michi si appoggiò con il busto contro la porta, richiudendola e tornando a isolare il bagno dalla musica elettronica che gli spaccava i timpani. Un paio di occhi grigi scrutavano i suoi, gonfi dal pianto trattenuto a stento. Paolo gli rivolse un sorriso nel tentativo di confortarlo e il labbro inferiore del ragazzo cominciò a tremare. «Come cazzo ci siamo finiti ai Navigli?» domandò con voce appena tremante, facendo qualche passo in avanti e venendo accolto fra le braccia dell'altro. Non gli dispiacque il contatto con la sua t-shirt aderente quanto sudata, e il pensiero di averlo giudicato male fino a poche ore prima lo fece sentire ancora più stupido di quanto non gli sembrasse già di essere. Affossò il viso nell'incavo della spalla dell'altro, sentendolo ridere. «Idea del tuo amico, non mia. Che t'ha fatto che stai così?» gli domandò con una punta di divertimento nella voce. Michi si strinse nelle spalle e Paolo sospirò, scostandolo da sé e inclinando il capo per guardarlo negli occhi. «Già mi accendi di brutto normale, poi se fai così non mi tengo» scherzò per farlo sorridere. Ci riuscì. «Qualcuno lo sa?» chiese andando a sedersi contro un muro; anche il bagno era grande, in quella casa, e c'era abbastanza spazio per stendersi sul pavimento, se l'avessero voluto. Paolo si limitò a sedersi accanto a lui. «Che sono gay? No cazzo, no» rise, poi gli girò la domanda. «Ti?». Michi scosse il capo. «No. Un altro po' e non lo sapevo neanch'io. Lore l'ha saputo a muzzo» rispose, improvvisamente anche lui divertito dall'espressione interrogativa dell'altro. «È stata un po' una figura da babbione. Eravamo da lui, ciocchi per il fumo e il bere, lui si è avvicinato e...» lasciò cadere la frase, lasciando il resto all'immaginazione. Paolo portò una mano alla tempia sinistra, scoppiando a ridere imbarazzato. «Non ci credo, dovevi essere proprio in botta» provò a giustificarlo. Michi si strinse nelle spalle. «E non t'ha parcheggiato un pugno in faccia?» tornò a ridacchiare. Michi si strinse di nuovo nelle spalle e Paolo, scuotendo la testa, tornò a baciarlo con foga. Michì sentì i loro denti urtare. «Ti te seet tutt un ciula» gli disse scherzosamente tra le labbra. "Sei proprio un imbranato". Sorrise, tirandolo a sé per il collo della t-shirt. «Va a ciapà i ratt» rispose con lo stesso tono, quasi affannando. La complicità lasciava spazio all'eccitazione e Paolo cominciò a sbottonargli frettolosamente i jeans; scomodi sul pavimento si tirarono su a fatica, Michi quasi schiacciato contro il muro dal desiderio dell'altro. Non fecero però in tempo ad approfondire quel primo contatto, però, che la porta del bagno si aprì improvvisamente. Paolo si ritrasse forse troppo lentamente, perché una voce maschile aveva già cominciato a lamentarsi ad alta voce. «Ma che frociate state a fa' nel mio cazzo di bagno?!» urlò loro contro un ragazzo che, secondo l'opinione di Michi, sarebbe potuto essere più omosessuale di loro. Paolo aprì bocca per ribattere, ma la comparsa di Lore sulla soglia lo fece ammutolire per qualche motivo. «We Paolo. Perché fai piazza nel cesso?» gli chiese con un lieve scatto della spalla destra, quasi un tic. A Michi bastò una sola occhiata per rendersi conto che alla fine aveva ceduto; le pupille dilatate, la pelle del viso arrossata, le tempie pulsanti e il suo muoversi a scatti, come dopo una forte dose di caffè, erano abbastanza rivelatori (e preoccupanti, aggiunse mentalmente dopo un attimo). Paolo sorrise, allargando le mani. «Tu perché non vai a fare il sottone altrove?» gli propose beffardo. «Paolo...» provò a intervenire Michi a mezza voce. Lore s'incupì, avvicinandosi a grandi passi. «Paolo, perché no—» tentò di comunicare Michi; Paolo si voltò a guardarlo, ignorando Lore e non vedendo, così, il pugno infracostole che gli spezzò il fiato, portandolo a chinarsi in avanti. «Lore!» urlò Michi sconvolto. L'amico era evidentemente eccitato e il proprietario della casa, divertito, si era appoggiato all'ingresso del bagno a godersi la scena. Prima che Paolo potesse rialzarsi o reagire in qualche modo, Lore sferrò un altro pugno sullo zigomo destro. Il ragazzo, anche se ben allenato, era stanco ed era stato colto di sorpresa: in più, pensò Michi, non aveva appena tirato della cocaina. Fece un passo indietro nel vedere Lore infierire sul ragazzo. Un calcio centrò Paolo in pieno viso, rompendogli il naso. Il ragazzo ululò dal dolore, rinunciando al tentativo di alzarsi e raggomitolandosi su se stesso, le mani schiacciate sul viso. «Lore, basta! Fermo! Cazzo Lore FERMATI!» strillò con il viso bianco e le mani scosse da violenti tremiti. La vista del sangue largo sul pavimento cominciò a nausearlo; Lore stava tempestando il ragazzo di calci nel ventre e qualcuno alle loro spalle rideva e ululava divertito. Tentò di farsi coraggio, avvicinando l'amico e venendo spintonato con forza. Lanciò un'occhiata a Paolo, nella speranza che riuscisse ad approfittare di quel momento per rialzarsi, ma era ancora raggomitolato sul pavimento. Non dava segni di vita e il terrore gli attanagliò lo stomaco. «Lorenzo! Lore! Dio p***o smettila!» urlò al di sopra del frastuono. Riconobbe la voce del padrone di casa alle sue spalle. «Oh qualcuno sbatta 'sto ciollone fuori» invitò qualcuno accanto a sé a tirarlo fuori dal bagno; l'ordine venne subito eseguito e Michi si ritrovò fagocitato dalla folla divertita. Lore continuava a calciare il ragazzo, ora intimandolo ad alzarsi. Scorse qualche smartphone intento a riprendere la scena, poi le lacrime cancellarono il resto; si ritrovò sbattuto fuori dall'appartamento dopo qualche secondo, con ancora la sua giacca all'interno. Ingoiò le lacrime, tentando di calmare il tremito che lo scuoteva con forza, poi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans ancora sbottonati e cominciò a scendere gli scalini con passo insicuro. Digitò il centotredici.


 

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Capitolo 7
*** 7 ***


7.
 

Non fu un ritorno a casa facile, non fu una settimana facile. Non aveva il numero di Paolo né aveva più parlato con Lore, quindi non aveva idea di come fosse andata a finire; ma il mattino dopo, quand'era tornato a casa in bus, aveva visto Lore parcheggiare il motorino e rientrare a casa come se nulla fosse. Lui aveva passato la notte in bianco, seduto tremante su di una panchina ai giardinetti, e il suo migliore amico —se così poteva ancora definirlo— aveva continuato a spassarsela senza il minimo senso di colpa. 
Aveva evitato di chiamarlo, di scrivergli o di andarlo a trovare per tutta la settimana. Aveva dovuto sorbirsi la ramanzina di sua madre per la giacca persa, su quanto fosse costata e su come non potessero permetterselo. Aveva pensato a Paolo per tutto il tempo, chiedendosi come stesse e quanto lo odiasse. E quel sabato...

Ogni tanto accendeva il suo vecchio mp3, un oggettino piccolo come il suo pollice, datato duemilaotto o giù di lì. Andava ancora alle elementari quando glielo regalarono per il compleanno, e nel corso degli anni aveva caricato le canzoni che non avrebbe voluto far trovare sul suo cellulare da Lore o dagli altri amici. Quel sabato pomeriggio, di ritorno dalla scuola, lo tirò fuori dal cassetto della scrivania e si gettò sul letto con gli auricolari nelle orecchie. La batteria segnava un terzo di carica e la canzone in riproduzione era Creep dei Radiohead, canzone tradotta in seconda media e diventata la colonna sonora segreta della sua vita. «I want you to notice when I'm not around, you're very special... I wish I was special» canticchiava a occhi chiusi, ancora con la stretta al petto che si portava dietro da una settimana. Intanto pensava: "Sono sette giorni". «But I'm a creep, I'm a weirdo... What the hell am I doing here?». Sussultò, voltandosi su di un fianco al vibrare del cellulare sul comodino, facendo cadere l'mp3 dal letto. Gli auricolari si staccarono e la canzone andò in pausa, con lo schermo illuminato e il titolo scorrevole. Rimase fermo per qualche secondo, togliendo lentamente gli auricolari dalle orecchie e lasciando che cadessero a terra accanto al riproduttore musicale. Da dove si trovava riusciva a vedere solo la miniatura dell'applicazione di messaggistica istantanea: non leggeva cosa vi fosse scritto ma la macchia di colore in alto a sinistra era la nuova immagine del profilo di Lore. Era della festa del sabato precedente, una foto in cui lui era assente. Mentre rimuginava sul da farsi lo schermo si oscurò, inducendo Michi ad alzarsi di scatto e ad afferrare il cellulare.

 
Lore
14:21
Disco stase?

 
Il messaggio diceva proprio così. "Disco stase?", rilesse più volte in mente il ragazzo. Poco più sopra c'era: "Ultimo accesso alle 14:22". Aveva appena chiuso l'applicazione, notò Michi. Portò il pollice al touch screen, scorrendo i messaggi verso l'alto. L'ultimo era del sabato precedente. Sospirò.
 
14:23
Non credo di voler più uscire con te

 
Rispose brevemente. Si sedette sul bordo del letto, mettendosi comodo in attesa della risposta e tenendo d'occhio la schermata. Lore tornò online e gli ci vollero più di due minuti per formulare una risposta.
 
Lore
14:26
I miei sn fuori. Passi?
Parliamo

 
Lo invitò. Michi sentì il battito del cuore accelerare. Gli ci volle un po' per convincersi, ma alla fine cedette; strinse le labbra e digitò uno stentoreo "Ok" prima di alzarsi e dirigersi verso la porta della camera, cellulare in tasca ed mp3 sul pavimento.
 
* * *
 
Meno di cinque minuti dopo, Michi stava suonando il campanello della pretenziosa villetta vicino casa. Poteva vederla da camera sua, la villetta di Lore. A volte, la notte, si addormentava così: i fratelli piangevano, l'aria era umida e le luci si spegnevano lentamente al secondo piano che scorgeva dalla finestra, mentre l'amico andava a dormire. A volte le luci restavano accese per tutta la notte e Michi sapeva di potergli scrivere, perché gli avrebbe risposto subito.
La porta si aprì.
«Zio, sembri morto. Che faccia c'hai?» lo apostrofò ridacchiando. Stava fumando una canna, segno che i genitori erano davvero fuori casa. Michi guardò alle spalle del ragazzo con diffidenza. «Sei solo?» gli chiese con tono serio. «Chi cazzo ci deve stare? Entra» lo invitò, tirandolo per un braccio e richiudendo la porta d'ingresso. Michi si fece muovere come un burattino, senza togliere nemmeno le mani dalle tasche. Rimase a fissarlo con sguardo cupo; Lore lo degnò solo di un'occhiata veloce, voltandogli poi le spalle e dirigendosi verso le scale. «Mica sei inca per quel frocio?» chiese ridacchiando. Il ragazzo avvertì una stretta allo stomaco ma non commentò, limitandosi a raggiungere l'altro al piano superiore e poi in camera sua. «Com'è che lo stereo è spento?» chiese Michi. Anche l'Xbox era spenta, ma non commentò. Lore evitò di rispondere, chiudendo la porta della camera e allontanando la canna dalle labbra. Soffiò fuori il fumo e portò gli occhi arrossati a fissare quelli dell'altro. «Tira. È una mista fatta bene» ghignò. Michi non riusciva a dirgli di no; prese fra le labbra la canna umidiccia e tirò. Dopo un tiro sentì il nervosismo cominciare a dissolversi, e vedendo Lore fissarlo con ancora il ghigno stampato in faccia decise di farne un altro. «Meglio?» gli chiese l'amico. Michi annuì con mezzo sorriso, non ancora del tutto convinto. «Meglio» rispose, beccandosi una pacca sulla spalla. La mano non si spostò finché non scivolò fino al gomito, tirandolo con sé verso il divano. Si sedettero, gettandosi pesantemente su di esso. Le gambe erano distese e loro scivolavano sempre più verso il basso, ridacchiando stupidamente di tanto in tanto. Fumavano in silenzio, passandosi la canna con mollezza.
«Perché l'hai picchiato?» chiese finalmente Michi. Stava nuovamente passando il mozzicone di canna all'amico, e quando le loro dita si sfiorarono ebbe un tremito; Lore era gelido. Si strinse nelle spalle. «Era un frocio» rispose svogliato. Espirò lentamente il fumo. «Anch'io lo sono» gli ricordò Michi. Lo fece con estrema calma, quasi misurando le parole; non riusciva a provare paura in quello stato rilassato, ma la piccola parte vigile del suo cervello continuava a ricordargli di non fidarsi troppo di Lore. Si aspettava uno scatto d'ira, invece l'altro scoppiò a ridere. «Che c'entra. Tu sei mio» gli rispose con estrema naturalezza.
Per Michi quella frase aveva una carica erotica immensa. Una scossa lo pervase, tramutandosi in un caldo desiderio verso l'altro. Lore stava terminando l'ultimo tiro della canna quando il compagno gli si mise addosso a cavalcioni. Il biondo ci mise un attimo per rendersi conto di avere già i pantaloni della tuta giù fino alle ginocchia. Non commentò, guardandolo solo divertito, e lasciò che l'umida bocca di Michi cullasse i suoi bollori adolescenziali. Emise un mugolio di apprezzamento, poggiando una mano sulla testa del ragazzo e modulando la velocità dei suoi movimenti. 

 

Note dell'autore ~
Posso praticamente fare copia incolla dell'ultimo messaggio... Scherzi a parte: ancora una volta mi scuso per l'interminabile attesa, "è stato un mese pienissimo e non ho potuto aggiornare prima" (sì, di nuovo). Si sta per arrivare a una svolta cruciale nella storia di Michi —e, indirettamente, di quella di Lore. Se avete letto questo capitolo vi invito a lasciare una recensione: quelle positive sono sempre gradite, quelle neutro e negative aiutano a migliorare... Ergo non potete sbagliare! :-)
Proverò ad aggiornare il prima possibile. A presto!

 

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Capitolo 8
*** 8 ***


8.
 

Il corpo di Lore era caldo e Michi era scosso dai brividi. Sentiva il peso del ragazzo su di sé, il petto glabro dell'amico che si strusciava lentamente sulla sua schiena e il respiro affannoso solleticargli l'orecchio. Era un rapporto improvvisato e consumato male, senza conoscenza teorica né pratica, qualcosa di malato per entrambi. Michi godeva e allo stesso tempo piangeva nelle lenzuola sudate; nonostante la marijuana fumata e l'eccitazione per l'amplesso in corso, non riusciva a smettere di pensare quanto si sentisse usato. Le lacrime gli scorrevano incontrollate sulle gote, giù per le guance, a scomparire nelle pieghe del lenzuolo; e dalle labbra gli uscivano solo gemiti di piacere. Lore riusciva a muoversi nonostante avesse fumato molto più dell'altro. Era di qualche mese più giovane di Michi ma aveva sempre avuto un'intraprendenza e un'acutezza mentale totalmente sconosciute all'amico. Adesso gli mormorava all'orecchio: «Sei mio, sei mio», come fossero stati amanti da sempre e non amici per caso. Lo feriva con volontà, muovendosi scompostamente per vederlo contorcersi sotto di sé. "Ora cede", pensava, e invece l'altro gemeva dal piacere. Lore si sentiva inebriato dal potere, nel vedere Michi così sottomesso, nel vedere Michi sopportare il dolore che gli infliggeva fisicamente e quello più subdolo, meschino, nell'allontanare i suoi potenziali amanti. Aveva quasi ucciso Paolo e gli era piaciuto, Michi aveva pianto e ora era di nuovo lì, sotto di sé. «Posso scoparti solo io. Hai capito?» ringhiò al suo lobo destro, e Michi annuì esattamente come voleva lui. Completò il suo lavoro, la sua prostituzione per una marionetta vivente. Si tirò su i calzoni, gettandosi di schiena sul letto e lasciando che il bruno si rivestisse lentamente. Non lo guardava, udendo i suoi movimenti al suo fianco. Stava per rimettere il jeans, gettato momentaneamente sul pavimento, quando Lore lo afferrò per un braccio. Michi lo seguì docilmente, stendendosi al suo fianco e lasciandosi muovere. Lore gli portò la testa sul proprio petto, avvolgendolo con un braccio. Michi avvertiva un gelo disumano in quei movimenti, una recita di cui si rendeva conto ma a cui non poteva più fare a meno. Gli venne da singhiozzare, ma riuscì a trattenersi.
«Michi... Penso di trovarmi la tipa» gli disse con voce misurata. Quasi poté udire lo stomaco dell'altro attorcigliarsi dal dolore, come quello di qualunque sedicenne innamorato e non ricambiato. «Io non ti basto..?» gli mormorò in risposta con la voce già rotta dal pianto. Michi non poté vedere il ghigno di Lore, più inquietante del solito ma questa volta ben celato nella voce pacata. «Miche', ma una femmina fa quello che voglio io. Tu no, fai tanto l'abbaione, usciamo e te ne vai con il primo ciollone che vedi...» si riferì a Paolo non troppo velatamente. Michi alzò lo sguardo verso Lore, ora con gli occhi scuri pieni di lacrime e le labbra umide e schiuse dal dolore. «Non è vero, Lore'. Io ti amo. Ti amo da un casino. Fanculo tutti, fanculo questo posto di merda. Andiamocene insieme» si difese con il fiatone. Cercava di non piangere e Lore gli rivolse un sorriso di biasimo. «Ma ora sei in botta, che ne so che dici serio? Magari poi tutti scoprono che stiamo insieme» sottolineò le ultime due parole per qualche momento di troppo «e poi mi lasci come un babbo di minchia» rifletté. Mosse la testa in un segno di diniego, muovendo poi il braccio per spostare Michi dal proprio petto. «No!» esclamò l'altro alzandosi improvvisamente. Aveva una mano puntellata sul materasso per restare in quella posizione girata verso Lore, mentre l'altra era sul petto del suo amante. «No, Lore, te lo giuro! Farò tutto quello che vuoi!» promise in preda al panico. Lore alzò un sopracciglio. «Tutto?» sottolineò. Michi non riusciva a parlare, in preda alle lacrime com'era; si limitò ad annuire. Si alzò a sedere anche Lore, avvolgendo l'altro con un braccio. Avvicinò le labbra a quelle bagnate di Michi. «Vedremo...» gli mormorò prima di baciarlo. Michi smise di farsi domande, limitandosi a ricambiare il bacio più atteso della sua vita.


 

Note dell'autore ~
Credo proprio che questo sia il penultimo capitolo. Pronti per la chiusura?

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Capitolo 9
*** 9 ***


9.
 

"Dio", pensò. "Quanto sangue".
Forse doveva provare paura, almeno così gli sembrava di ricordare. La botta di cocaina cominciava a lasciare lentamente il suo cervello e il cuore si alternava tra il batticuore chimico e quello del terrore.
"Anch'io ho tutto questo sangue dentro?", si chiese distrattamente. La donna si trascinava lentamente sul pavimento; le dita le scivolavano sul pavimento di mattonelle e le impronte scarlatte cozzavano contro il bianco perla del corridoio. Lo sguardo del ragazzo si spostò alle proprie mani: reggeva un lungo coltello da cucina con la mano destra e la sinistra era sporca del proprio sangue. Dei graffi profondi gli avevano scorticato la pelle, graffi di autodifesa che gli bruciavano nell'animo.
Si immaginò per un attimo al di fuori del proprio corpo: in piedi in quel corridoio, con una donna morente e in preda al panico intenta a strisciare lontano da lui, con un cadavere disteso nella camera alle proprie spalle. Tremava dal freddo, la temperatura era salita fino a sfiorare i trentanove, o almeno così immaginava. In lontananza udì una sirena, poi un'altra, diversa: autoambulanza e polizia, due lampeggianti diversi che correvano verso di lui, per strapparlo da quella casa e tutto ciò che lo circondava. Per strapparlo dalla sua vita.

Il gorgheggiare della donna distesa sul pavimento lo riscosse: stavano per strapparlo dalla sua vita, ma lui non aveva ancora finito di strappare alla coppia la loro. Si mosse verso di lei, distesa al suolo e in lacrime, con il volto girato verso il ragazzo pallido e dalle labbra violacee. Mormorava una prega lamentosa, gli occhi gonfi di pianto e la bocca piena di sangue: senza pensarci due volte il coltello venne conficcato un'altra volta nel corpo della donna, questa volta nell'unico punto vitale raggiungibile. La sua gola venne squarciata, il sangue ricoprì il viso e la maglia del ragazzo s'impregnò del puzzo e del colore della morte.
La porta della villa venne sfondata con forza, delle urla si susseguirono per qualche istante e prima che potesse rendersene conto venne spinto lateralmente al suolo, poi con la faccia contro il pavimento freddo.
Da quella posizione poteva vedere il viso morto a pochi centimetri da lui: labbra che gli avevano spesso sorriso, occhi che conosceva da sempre... E la vita assente in essi. Venne tirato in piedi con i polsi stretti in bracciali d'acciaio, una maschera di sangue e apatia. Quel muro di divise venne improvvisamente spezzato da un adolescente in lacrime, occhi rossi e gonfi, labbra tremanti e viso sconvolto. La voce stridula continuava a gracchiare parole che il ragazzo non riusciva a comprendere: cercava le iridi azzurre dell'altro, completamente assorbite dalle lacrime, e spariva a tratti tra i poliziotti che lo circondavano. Qualcuno provava a consolarlo, qualcuno a parlargli.
Avvertì una mano infilarsi nella sua tasca, qualcosa venirgli estratto: lo stavano perquisendo. «Quello è mio...» provò a biascicare. Il poliziotto non lo degnò di uno sguardo: i suoi occhi erano concentrati sul display dell'mp4, ancora acceso. «The National, "I need my girl". Porca puttana, questa roba la ascolta mia figlia» sentì dirgli a un collega. Il cavo degli auricolari venne arrotolato attorno al riproduttore musicale e imbustato, poi portato via. Il ragazzo non vi badò, i suoi occhi erano già tornati sulla figura dell'amico piangente.
Cominciarono a spingere l'assassino, a trascinarlo via. «Cammina», gli intimarono. Lui camminò, e intanto ascoltava le urla dell'altro. Lo indicava, diceva: «Li hai uccisi! Figlio di puttana, li hai uccisi!». Quasi non aveva più fiato, urlava tanto da avere un rigurgito. Il ragazzo scosse la testa, ora anche lui con gli occhi lucidi. «Ma l'ho fatto per te...» mormorò. Nessuno lo sentì. Ormai l'amico cominciava a scomparire dalla sua vista. «Doveva andare tutto bene, dovevamo... Noi dovevamo...» tornò a mormorare. Lo sguardo era perso, posato sul pavimento. Lo riportò per un istante sull'amore della sua vita, mentre veniva infilato a forza in una volante della polizia: con le lacrime sugli occhi, solo per un momento, sorrise soddisfatto. Lore sorrise e Michi si sentì morire, morire più profondamente dei genitori del suo amico. La sua mente si disconnesse completamente, rinunciando alla lucidità per non perdere la ragione. Gli occhi vacui, per consolare il cuore e l'anima finiti frantumi in un solo istante, richiamarono alla mente una sola canzone. L'aveva ascoltata, in un pomeriggio d'estate di molti anni prima, con Lore sul letto di camera sua. La canzone diceva: «Grazie per ogni singolo momento nostro, per ogni gesto, il più nascosto, ogni promessa, ogni parola scritta, dentro una stanza che racchiude ogni certezza...». Quella volta aveva perfino capito di essere innamorato di lui.

«E piantala di cantare!» ringhiò il poliziotto alla guida.
Michi trattenne il respiro.


 
 


Note dell'autore ~
Ora conoscete la storia di Michi, e di come Lore gli rovinò la vita.
O forse se l'è rovinata da sola?
Dite la vostra nelle recensioni. Alla prossima, e grazie per aver letto fin qui.
 

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