The Gift

di FairyCleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La festa dei ciliegi ***
Capitolo 2: *** Quella piccola crepa ***
Capitolo 3: *** Il mancato re ***
Capitolo 4: *** Un regalo di troppo ***
Capitolo 5: *** Un altro mondo ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***
Capitolo 7: *** Una vittoria a metà ***
Capitolo 8: *** Una nuova realtà ***
Capitolo 9: *** Il piano A ***
Capitolo 10: *** Nella tana del lupo ***
Capitolo 11: *** Trabocchetti ***
Capitolo 12: *** L'ennesimo inganno ***
Capitolo 13: *** Non sempre i sogni son desideri ***
Capitolo 14: *** Una mossa azzardata ***
Capitolo 15: *** Il salvataggio ***
Capitolo 16: *** Non sempre fidarsi è un bene ***
Capitolo 17: *** Il principe dei saiyan ***
Capitolo 18: *** La vittima sacrificale ***
Capitolo 19: *** L'incontro ***
Capitolo 20: *** Un'idea improvvisa ***
Capitolo 21: *** Finalmente fuori ***
Capitolo 22: *** Restiamo uniti ***
Capitolo 23: *** Un attacco inaspettato ***
Capitolo 24: *** Crudeltà ***
Capitolo 25: *** Il tormento dell'impotenza ***
Capitolo 26: *** Il piano di Vegeta ***
Capitolo 27: *** Questione di sguardi ***
Capitolo 28: *** Contatti ***
Capitolo 29: *** Solamente colpa sua ***
Capitolo 30: *** Eroe ***
Capitolo 31: *** Accuse ***
Capitolo 32: *** E' lui ***
Capitolo 33: *** La leggenda di un eroe ***
Capitolo 34: *** Un colpo di fortuna ***
Capitolo 35: *** Tempo ***
Capitolo 36: *** Puoi chiudere gli occhi ***
Capitolo 37: *** Quell'immenso dolore ***
Capitolo 38: *** L'attesa ***
Capitolo 39: *** Un nuovo arrivo ***
Capitolo 40: *** Il volto del nemico ***
Capitolo 41: *** "Mi dispiace" ***
Capitolo 42: *** I dubbi di Goku ***
Capitolo 43: *** La Pietà ***
Capitolo 44: *** Un sentimento più forte ***
Capitolo 45: *** Un barlume di speranza ***
Capitolo 46: *** Il nemico è vicino ***
Capitolo 47: *** Una brutta sorpresa ***
Capitolo 48: *** L'infuriare della battaglia ***
Capitolo 49: *** Un sacrificio inutile ***
Capitolo 50: *** Tutto è perduto ***
Capitolo 51: *** Avrà davvero vinto? ***
Capitolo 52: *** Il valore del sacrificio ***
Capitolo 53: *** Oozaru ***
Capitolo 54: *** Il coraggio di un uomo ***
Capitolo 55: *** La porta ***
Capitolo 56: *** Sino all'ultimo respiro ***
Capitolo 57: *** Dietro la porta rossa ***
Capitolo 58: *** Quello che le leggende non dicono ***
Capitolo 59: *** Una cosa sola ***
Capitolo 60: *** Un degno finale ***



Capitolo 1
*** La festa dei ciliegi ***


Disclaimers: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
 
The Gift

Capitolo 1

La festa dei ciliegi

 
C’era odore di festa nell’aria. La sera era rischiarata da milioni di luci colorate e ovunque si espandeva il profumo caldo e invitante delle più disparate leccornie preparate nei vari chioschetti allestiti per l’occasione. I bambini, seguiti a stento da genitori avvolti da abiti variopinti, si spostavano rumorosamente da una parte all’altra del lungo viale chiassoso, saltando da una bancarella all’altra per cercare a volte di vincere un pesciolino rosso, altre per comprare quei cibi che solitamente le mamme tendono a vietare. Erano le loro voci, le voci di piccoli e grandi che almeno per un giorno avevano lasciato a casa pensieri e affanni, voci miste al suono dei tamburi e della musica degli artisti di strada che gremivano la città. Ormai da qualche giorno tutto era tappezzato di un pallido rosa talmente soffice da dare l’impressione di camminare sul velluto a chiunque fosse stato così fortunato da trovarsi lì proprio in quegli istanti. Certo, in molti continuavano a lamentarsi che il tutto fosse diventato molto “scivoloso”, ma quelli che borbottavano finivano con l’essere gli stessi che, dall’alto di un terrazzo, potevano ammirare indisturbati quella meraviglia che la natura stava offrendo gratuitamente. Persino il cielo sembrava invidioso, quella sera: le stelle sembravano più luminose del solito, quasi volessero competere con le luminarie sospese nel vuoto su quelle strade così affollate.
“Guarda che meraviglia Trunks! Erano mesi che aspettavo questa festa! Finalmente potrò giocare al tirassegno e provare a prendere un pesciolino rosso! E guarda quante cose da mangiare ci sono laggiù! Credo di non averne mai viste tante tutte insieme! Ho già l’acquolina in bocca! E’ vero che andiamo a mangiare tra poco? Eh Trunks? Eh?”.
Il piccolo saiyan dai capelli lilla aveva sorriso prima di rispondere al suo compagno di giochi. Era incredibile come un solo anno di differenza potesse segnare così tanto i loro caratteri e il loro modo di reagire agli eventi, alcune volte. Per lui, quella era una festa come tante altre a cui aveva preso parte in precedenza, ma per Goten era molto diverso. Forse, ciò era dovuto anche al fatto che lui vivesse in una grande città mentre il suo amico abitasse in quel posto sperduto tra le montagne, a pensarci bene. Ma, a dirla tutta, alla fine non era poi tanto importante il perché fosse così tanto emozionato: l’importane per lui era che si divertisse anche più di come aveva sognato di fare.
Goten e la sua famiglia erano arrivati in città dal giorno prima, e sarebbero stati ospiti alla Capsule Corporation per quasi una settimana. In occasione della festa dei ciliegi, Chichi aveva deciso che per tutti fosse arrivato il momento di rifare il guardaroba e aveva preteso che l’intera ciurma maschile al suo seguito si sottoponesse a un’estenuate seduta senza pausa di shopping sfrenato, con il risultato di accumulare un quantitativo tale di capi d’abbigliamento e accessori da fare invidia a qualsiasi diva capricciosa. Ovviamente, Bulma si era gentilmente offerta di accompagnarli e di suggerire a lei e al suo migliore amico – ormai sull’orlo di una crisi di panico – quali fossero gli abiti più in voga in quel momento, riuscendo persino a ritagliare un po’ di tempo per sé. Trunks aveva sopportato pazientemente , sorridendo divertito per le surreali scene a cui aveva assistito. Di quel passo, aveva creduto che la sera sarebbero stati tutti troppo stanchi per andare alla festa, ma per fortuna si era sbagliato. Non vedeva l’ora di accontentare Goten, e se per farlo doveva resistere a due donne in preda a manie da shopping compulsivo lo avrebbe fatto ben volentieri.
Stare in casa con un altro bambino era estremamente divertente. Trunks aveva chiesto tante volte alla sua mamma di “fargli un fratellino”, ma né lei né il padre gli erano parsi molto propensi. Si annoiava tremendamente nel trascorrere i momenti di pausa da solo, soprattutto la sera, dopo aver guardato un po’ di tv in salotto con i suoi ed essersi ritirato nella sua camera. Possedeva ogni genere di gioco, tutto quello che desiderava o progettava la sua mente di bambino veniva acquistato o realizzato da quel geniaccio di suo nonno, ma non era divertente giocare sempre da soli. Certo, c’erano spesso i suoi amici che venivano a pranzare da lui dopo la scuola, ma non era lo stesso che dividere la camera con qualcuno che aveva più o meno la sua età e a cui si poteva raccontare praticamente qualsiasi cosa. E questo era esattamente quello che faceva insieme a Goten. Il piccolo saiyan figlio del migliore amico di sua madre lo aveva tenuto sveglio praticamente per tutta la notte parlandogli della festa dei ciliegi. Ricordava di avervi partecipato una sola volta quando aveva poco più di due anni e lo spettacolo di tutti quei petali che danzavano nell’aria come fiocchi di neve rosa era rimasto talmente impresso nella sua mente da infante da averlo quasi ossessionato. Aveva chiesto tante volte alla sua mamma di poterli rivedere, ma lei aveva sempre risposto che avrebbero dovuto aspettare un altro anno e si era convinto che quel momento non sarebbe mai più arrivato. Certo, avrebbe potuto sgattaiolare fuori dalla sua stanza e volare sino a destinazione senza che nessuno lo vedesse (forse, sarebbe riuscito anche a corrompere Gohan), ma era una cosa che voleva fare con la sua famiglia. E, proprio quando si era rassegnato, con suo grande stupore, aveva saputo che presto si sarebbero recati in città e avrebbe potuto finalmente realizzare quel suo piccolo sogno.
Aveva raccontato quella storia a Trunks almeno dieci volte, durante la notte. Il piccolo aveva ascoltato senza lamentarsi, provvedendo a far sentire il suo amico più a suo agio possibile. Dopo mezzanotte, aveva persino provveduto a preparargli latte caldo e biscotti. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, soprattutto dopo quello che avevano trascorso insieme durante la lotta contro Majin-Bu. Era stata un’avventura incredibile, ma doveva ammettere che quel periodo di pace non gli dispiacesse affatto. L’essere stato ucciso e riportato in vita gli aveva fatto capire quanto importante fosse godere al meglio ogni singolo istante. Era stata una lezione molto dura da imparare per un ragazzino della sua età, ma aveva compreso perfettamente che le sfere del drago non sarebbero state lì presenti in ogni occasione e che ogni cosa doveva essere vissuta al momento giusto con accanto le persone più giuste.
“Da cosa vuoi cominciare?” – gli aveva chiesto, eccitato più che mai.
“Non lo so! È tutto così bello! Non è vero Trunks?”.
“Sì, Goten… È bellissimo”.
Il piccolo saiyan dai capelli corvini aveva preso il suo amico per mano, trascinandolo verso uno dei vicoli più nascosti. Gli umani avevano finito con l’associare il volo a eventi catastrofici, e non volevano affatto scatenare il panico tra la folla. Volevano solo divertirsi e ingozzarsi di schifezze fino a stare male. E, ne erano certi, Goku avrebbe fatto lo stesso. L’eroe che aveva salvato il pianeta dai più disparati nemici aveva deciso di viaggiare con il resto della compagnia a bordo dell’aeroplano messo a disposizione da Bulma. Se fosse sgattaiolato al seguito di suo figlio e di Trunks, Chichi lo avrebbe ucciso sul serio, e non sarebbe stato sufficiente neppure l’intervento di un dio per farlo ritornare a camminare nel mondo dei vivi.
C’erano proprio tutti, su quell’aereo, compresi Majin-Bu, Mr Satan e il simpatico cagnolino che avevano accudito entrambi con tanta dedizione. Tutti, tranne uno, ma sarebbe stato da folli pensare che si sarebbe unito a “quel branco di inutili terrestri”, come era solito chiamarli da quando si era stabilito sul loro pianeta. Bulma non aveva insistito. Aveva smesso di arrabbiarsi per le scelte del marito, ma aveva ugualmente lasciato sul loro letto un abito adatto per l’occasione, se avesse eventualmente deciso di raggiungerli. Eventualmente, sia chiaro. Vegeta era particolare, e nonostante gli immensi cambiamenti che aveva subito nell’ultimo periodo, ancora non si era abituato agli eventi mondani. Detestava tutto quello che considerava futile, comprese le feste affollate. Anzi, soprattutto le feste affollate. Ma qualcosa diceva a Trunks (e non solo a lui) che suo padre si sarebbe fatto vivo prima di quanto pensassero. Se c’era una cosa che il principe dei saiyan non riusciva proprio a tenere a bada era la gelosia nei confronti di sua moglie. E quando un certo Yamcha respirava lo stesso ossigeno che aleggiava attorno alla sua Bulma quella gelosia diventava mille volte più evidente del solito. Ergo, era molto probabile che Vegeta sarebbe piombato alla festa all’improvviso, splendente nel suo abito migliore, provvisto di sguardo assassino e vena pulsante in fronte prossima all’esplosione.
“Goten, Trunks, mi raccomando, non allontanatevi troppo!” – aveva urlato Chichi – “So che siete capaci di badare a voi stessi, ma fate ugualmente attenzione!”.
La moglie di Goku era particolarmente attraente quella sera. Solitamente scialba e poco attenta al look, indossava un abito rosso tradizionale piuttosto sensuale, e il rossetto che portava era dello stesso identico punto di colore. Era semplicemente deliziosa eppure, tanto per cambiare, suo marito sembrava decisamente più interessato ad altre delizie, finendo con il comportarsi peggio dei bambini. Purtroppo, le due donne avevano scelto come compagni di vita due tra gli uomini più bizzarri dell’intera galassia, ma c’era ben poco da fare. I sayan erano fatti in quel modo, prendere o lasciare, e sarebbero state delle folli a pensare di farseli scappare.
“Guarda Chichi… Non trovi che quel ciondolo sia meraviglioso? Guarda che decorazione particolare! E questi orecchini? Sono a dir poco splendidi! Che ne pensi di farci un regalino, amica mia?” – Bulma era immediatamente partita all’assalto delle decine di bancarelle che si trovavano al suo cospetto, sfoderando abili doti da provetta compratrice.
“Ma siete incredibili!” – aveva esclamato Crilin, sconvolto – “Avete svaligiato un intero centro commerciale in poche ore e avete il coraggio di continuare a comprare inutili cianfrusaglie! Come può venirvi in mente di fare una cosa del genere?”.
Il silenzio piombato tra loro e lo sguardo sfoderato dalle due donne aveva fatto pentire il pover’uomo di aver parlato esattamente un nanosecondo dopo aver aperto bocca. Aveva visto un lampo di pura furia attraversare le iridi di entrambe, e cominciava a capire perché Goku e Vegeta, i due esseri più potenti di sempre, si comportassero come cagnolini al cospetto di quelle due belve travestite da agnellini.
“Perché, mio caro Crilin…” – aveva esordito Chichi – “Pensi che una donna non abbia bisogno di coccolarsi, di tanto in tanto?”.
“Esattamente” – aveva proseguito Bulma – “Cosa pensi? Che noi, dato che siamo donne, dobbiamo stare tutto il giorno a rassettare casa, sfornare torte e lavare i vostri vestiti oltre che lavorare per mandare avanti la baracca?”.
“Emmm… No… Io… Volevo dire…” – ma non aveva avuto il coraggio di proseguire. L’aura emanata dalle due non prometteva niente di buono. Disperato, aveva rivolto il proprio sguardo verso la bellissima C-18 che, impassibile, si era avvicinata a sua volta alla bancarellina, tenendo tra le braccia la bionda figlioletta così somigliante al suo papà.
“Volevi dire che quegli orecchini sono meravigliosi e che ora, da bravo marito e da bravo papà, ne comprerai un paio anche a tua moglie e a tua figlia, non è vero?”.
Sentendo le parole di Chichi, aveva dovuto ammettere la tremenda sconfitta, cedendo a quella specie di ricatto e facendo un dono alle due donne della sua vita. Eppure, dopotutto, non gli era andata poi tanto male: sua moglie e sua figlia sorridevano felici per quel piccolo gesto non proprio spontaneo. Ah, le donne… Ne sapevano davvero una più del demonio.
Bulma aveva continuato a sorridere alla scena, nascondendo la soddisfazione che gli aveva dato l’aver incastrato in quel modo uno dei suoi migliori amici. A volte, Chichi sapeva essere una complice a dir poco perfetta. Così, con il sorriso stampato sulle labbra, aveva continuato a frugare tra le “cianfrusaglie” di quella bancarella, cercando qualcosa di particolare che potesse attirare la sua attenzione. Ora, voi mi direte che qualsiasi cosa è in grado di attirare l’attenzione di una donna, eppure, dovreste sapere che Bulma non è una donna comune. Per una persona che può comprare qualsiasi cosa con lo schiocco delle dita era diventato quasi un obbligo selezionare con cura cosa le veniva offerto. O, almeno, di farlo quando si trattava di voler cercare qualcosa di particolare per qualcuno in particolare. Proprio quando stava per rinunciare, quel qualcosa che cercava era sbucato fuori, catturando immediatamente la sua attenzione. A prima vista, poteva sembrare un oggetto del tutto insignificante, quel medaglione di metallo, ma Bulma vi aveva scorto qualcosa di unico per via dell’incisione che recava sul verso: si trattava di una sorta di corona, una corona a tre punte con in basso una sorta di ferro di cavallo rovesciato che somigliava tantissimo a quello che aveva visto più volte disegnare a suo marito nei momenti di pausa dall’allenamento, simbolo che aveva poi scoperto essere quello della sua casata reale. Sarebbe stato un pensiero carino da prendere per il suo Vegeta, aveva pensato. Peccato solo che avesse una crepa che lo attraversava nel mezzo, una crepa riparata con una sostanza dorata che aveva lasciato un profondo solco simile a una cicatrice o a una smagliatura. Forse, questo avrebbe potuto dare fastidio a suo marito… O forse no, chi poteva dirlo?
“Vedo che la signora ha buon gusto…” – aveva detto il commerciante, avvicinandosi maggiormente a lei.
“Come?” – Bulma era trasalita, persa com’era nei suoi pensieri – “Ah, sì… Certo”.
Sollevando il capo, aveva avuto modo di osservare meglio l’uomo che aveva davanti. Era uno strano figuro, alto, dinoccolato ed estremamente magro, con la pelle color dell’ebano, la testa pelata e un singolare pizzetto azzurro che terminava in un ricciolo accuratamente acconciato che gli dava un’aria del tutto singolare. Persino la voce di quell’uomo era bizzarra, così come i suoi occhi gialli con le iridi allungate simili a quelle dei gatti. La cosa veramente strana, però, era che lei non lo avesse notato sin dall’inizio. Era come se fosse sbucato dal nulla, ma non era il caso di fare tanto la sospettosa e di farsi tutti quei problemi per un semplice mercante, no?
“Le piace questo medaglione?”.
“No… Cioè, volevo dire, sì. O meglio, penso che potrebbe piacere a …”.
“Ooooh, si tratta di un regalo. E, mi dica, chi è il fortunato o la fortunata che lo riceverà, questa sera?”.
“Non ho ancora detto di volerlo acquistare…” – aveva risposto lei, divertita. Quell’uomo sapeva farci con i clienti.
“Neanche a un buon prezzo e dopo aver ascoltato la sua storia?”.
“Perché? C’è dietro una storia?”.
“Certo mia cara fanciulla. Dietro a ogni pezzo così raro si nasconde una storia”.
“E quale sarebbe quella di questo medaglione, mio buon amico?”.
“Bè, mia cara, sa, io qui ho tutti oggetti particolari, oggetti che provengono da ogni parte del mondo. Eppure, questo pare che non sia di questo mondo. Oh, lo so che può sembrarle strano, ma è così. Questo medaglione proviene dallo spazio”.
“Dallo spazio?” – di quel passo, era certa che preso l’avrebbe convinta a comprarlo, e qualcosa le diceva che non avrebbe preso solo quel piccolo pensierino per il suo Vegeta.
“Sì, mia cara. Dallo spazio. Sa, mi trovavo nel deserto, in quel periodo. Avevo contrattato a lungo con alcuni produttori di tappeti per comprare i loro pezzi più pregiati, e quella notte mi ero fermato in un’oasi con altri mercanti come me. Il cielo era stellato, luminoso come poche volte, e una stella… una cometa, credo, improvvisamente l’ha tagliato a metà, sfrecciando a una velocità impressionante. A quel tempo, ero un ragazzino desideroso di possedere ricchezze, e come può immaginare, il desiderio che avevo espresso riguardava l’avverarsi di quel sogno. Stavo proprio pensando a questo, prima di addormentarmi e la mattina, dopo aver immaginato di essere diventato il re del mondo e di essere circondato da tutto quello che potevo anche solo pensare di poter desiderare, ho trovato nei pressi della mia carovana il medaglione che ha catturato la sua attenzione, sepolto per metà dalla sabbia. Come poteva trovarsi in quel luogo così inospitale un oggetto tanto prezioso? E com’era possibile che nessuno lo avesse notato prima? Che io stesso, così attento a tutto ciò che mi circonda, non lo avessi visto? Può immaginare quanto grande sia stata la mia sorpresa nel prenderlo tra le mani e scoprire di quale pregevole fattura fosse ogni suo singolo ornamento e di quale strano materiale fosse realizzato, niente che i miei occhi avessero mai visto prima di allora. Peccato solo che avesse un orribile squarcio che lo devastasse da parte a parte, quasi una ferita che per fortuna non era stata capace di renderlo meno bello e accattivante. Ma sa qual era la cosa più straordinaria, mia cara signora? Quell’oggetto era bollente al tatto, e posso assicurarle che le notti del deserto possono essere veramente gelide. È stato a quel punto che mi sono convinto che non fosse il prodotto di mani umane ma che provenisse direttamente dallo spazio e che fosse mio dovere prendermene cura. Così, ho cercato di ripararlo versando una sottile striscia di oro puro su quella ferita, decidendo di custodirlo fino a oggi. E, chi lo sa, magari, esso stava aspettando proprio lei”.
Bulma era estremamente divertita. Era una storia accattivante, ma se era così prezioso, perché aveva deciso di metterlo in vendita tra gli oggetti più comuni?
“Oh, mia cara. So bene cosa sta pensando, in questo istante. Ma lasci che le risponda senza farle perdere troppo tempo. La mia vita è stata lunga e piena di soddisfazioni. E, anche se non sono diventato ricco come credevo, ho guadagnato abbastanza da potermi permettere una casa modesta e la maggior parte delle cose che avevo sempre sognato di comprare. Quella di stanotte sarà la mia ultima esposizione, e quale momento migliore per trovare un nuovo proprietario per questo medaglione? Qualcuno che possa godere della stessa fortuna che ha portato a me? Ma non poteva essere destinato a chiunque, o no. Questo oggetto, non è per chi ha abbastanza soldi per poterlo acquistare senza battere ciglio. Se così fosse stato, lo avrei riposto nella cassetta di sicurezza, chiedendo al compratore una cifra spropositata. Questo oggetto è per chi sa osservare. E lei, mia cara, lo ha notato tra centinaia di cose nuove. Lei, proprio come me, trova affascinante un qualcosa di rotto che è stato riparato da chi ha saputo riconoscerne il valore. Qualcosa mi dice che lei, non troppo tempo addietro, ha avuto occasione di riparare qualcosa di rotto, o meglio ancora, qualcuno. Ho ragione? Lo prenda, mia cara… Lo prenda pure. E ricordi sempre che esso è molto più di quello che può sembrare”.
Non aveva avuto modo di chiederli altro. Rapita e divertita da quella stori così improbabile, Bulma aveva estratto dal portafogli le poche monete che il mercante chiedeva per quella sorta di amuleto così prezioso, diventando la nuova, seppur momentanea, proprietaria di quell’oggetto dalla storia così accattivante anche se sicuramente inventata.

 
*
 
“Urca! Se mando giù un altro boccone rischio davvero di scoppiare! Ma è tutto così invitante e gustoso che non so resistere! Guarda che bocconcino! E guarda quella frittura di gamberi! Potrei morire adesso senza averla assaggiata! Perché avere scrupoli, allora? Si mangiaaaa!!”.
Era senza speranze. Suo marito era veramente senza alcuna speranza. Sarebbe stato bello se avesse parlato di lei come parlava del cibo, ma era un’eventualità che diventava giorno per giorno sempre più remota. Eppure, ormai, la povera Chichi si era rassegnata a quella condizione, accettando Goku per quello che era e imparando ad amare anche i suoi difetti che, posso assicurarvi, erano davvero decine di migliaia. Era rimasta sola per tantissimo tempo, quindi preferiva avere accanto un marito distratto e pasticcione che nessun marito e, dopotutto, Goku era dolce e premuroso a modo suo, e amava i suoi figli più di qualsiasi altra cosa. Glielo aveva dimostrato ogni giorno dopo il suo ritorno, e aveva dimostrato di amare anche lei rinunciando a ore del suo prezioso allenamento per dedicarsi alla vita da agricoltore, quanto di più lontano ci si poteva aspettare da un guerriero saiyan, anche per uno cresciuto sulla Terra. Quasi non riusciva a credere che finalmente stessero riuscendo a godersi un po’ di pace. In quei giorni tremendi che avevano trascorso a causa di Majin-Bu, aveva pensato di non riabbracciare più i suoi figli, di non poter mai più rivedere la sua casa e di non riavere indietro quella vita strappatale ingiustamente e prematuramente. Quegli avvenimenti l’avevano cambiata nel profondo. E, per quanto, in un primo momento, avesse odiato a morte Majin Bu per la strage e Vegeta per essere stato in parte responsabile di quella tragedia, era arrivata quasi al punto di perdonarlo. Quasi, sia ben chiaro, non era cambiata fino a quel punto. Che fine avesse fatto quel borioso di un principe era un mistero. Aveva una moglie così bella e gentile, perché mostrarsi tanto geloso per poi lasciarla scorrazzare indisturbata in mezzo a una tale folla, costantemente importunata dai commenti e dagli sguardi ammirati di centinaia di uomini? Voleva bene a Bulma, ma doveva ammettere di essere un po’ invidiosa di lei, a volte. Lei era bella, intelligente, aveva successo, e gli uomini la guardavano come lei non era mai stata guardata. Nonostante facesse tutto ciò che era in suo possesso per essere attraente, Chichi finiva con il risultare solo carina. A volte, si domandava perché Goku avesse scelto di stare con lei invece di trascorrere la propria vita con Bulma, ma non era gelosa del rapporto che intercorreva tra i due. Suo marito non era innamorato di un’altra e Bulma non avrebbe mai e poi mai tradito Vegeta. Lo sapeva nel profondo del suo cuore.
“Sei stata via molto” – le aveva detto, vedendo Bulma avvicinarsi.
“Ho ascoltato la bizzarra storia di quel mercante. Ci sa davvero fare con i clienti”.
“Cosa ti ha costretta a comprare? Un profumo? O un costoso paio di orecchini?”.
“Niente del genere, amica mia. Solo un pensiero per chi penso sia degno di portarlo”.
Era chiaro che stesse parlando di Vegeta. Poteva leggerglielo in faccia. Ogni volta che nominava o si riferiva al burbero principe dei saiyan, lo sguardo di Bulma si illuminava. Non aveva mai visto nessuno amare in quel modo, e lo trovava a dir poco meraviglioso, anche se non pensava che lui lo meritasse. Non del tutto, almeno.
“Di qualsiasi cosa si tratti, sono certa che a Vegeta piacerà”.
“Lo spero tan-EHI! Stia più attento per cortesia!”
Un uomo, un uomo molto attraente dalla lunga capigliatura corvina e gli occhi blu come la notte aveva involontariamente urtato Bulma, facendo cadere a terra la sua borsetta.
“Che disastro” – tutto il contenuto si era riversato al suolo, costringendola a chinarsi per raccoglierlo, e facendo fare lo stesso all’uomo che era stato la causa di quel pasticcio.
“Sono mortificato signorina… Lasci che la aiuti”.
Chichi si era chinata a sua volta per aiutare Bulma a rimediare, ma non aveva potuto fare a meno di notare con che occhi quell’uomo stesse guardando la sua amica. Sembrava quasi che la stesse contemplando.
“Non si preoccupi, ce la faccio benissimo da sola. Anzi, vede? Sono già arrivati i rinforzi”.
“Ma no, davvero. Sono così mortificato. La prego di accettare le mie scuse e di farsi offrire qualcosa da bere per farmi perdonare. Io mi chiamo…”.
“Mi sembrava di aver sentito che la signora non avesse bisogno di aiuto, o mi sbaglio?”.
Non c’era stato bisogno che Bulma si girasse per capire a chi appartenesse quella voce. L’avrebbe riconosciuta tra un milione, e no, non era positivo il tono che stava usando. Non lo era affatto.
“Prego?” – l’uomo sembrava alquanto infastidito dall’improvvisa interruzione del suo tentativo di abbordaggio. Peccato che non avesse idea che chi stava osservando dall’alto al basso non era un uomo qualsiasi. Né tra gli uomini, né per la donna che aveva cercato di corteggiare.
“Non mi pare il caso di…”.
“A me sì, Bulma”.
“Ah, lo conosci?” – aveva detto, deluso, rivolgendosi a lei.
“Sì. Mi conosce. Si dia il caso che tu, bellimbusto, stia parlando con il marito della signora e che quest’ultima non ti abbia dato il permesso di darle del tu. Quindi…” – e gli si era avvicinato minacciosamente, frapponendosi tra loro e sfoderando uno dei suoi sguardi più minacciosi – “Sei pregato di sparire”.
Non erano certe che il malcapitato in questione fosse in grado di rilevare la presenza di un’aura o meno, ma erano più che sicure che avesse ugualmente percepito quanto potesse essere pericoloso l’essere che aveva davanti, perché un istante dopo era sgattaiolato via con la coda fra le gambe, maledicendo se stesso e la propria stupidità.
“Tsk” – era stato il commento di un Vegeta pronto a esplodere, ma allo stesso più sollevato per lo scampato pericolo.
“Non ti sembra di aver esagerato un po’, tesoro?”.
Vegeta non aveva risposto. Si era limitato a girarsi verso di lei e a guardarla dritto negli occhi con un misto di rabbia e di vergogna. Per un istante, Chichi aveva avuto la sensazione che si sarebbe messo a urlare, invece, era accaduto l’impensabile: il burbero principe dei saiyan aveva incrociato le braccia al petto e aveva distolto lo sguardo da quello della moglie nel vano tentativo di non mostrarle il rossore comparso sul suo viso. Roba da non crederci.
“Lo sai che ti amo, vero?” – era stata Bulma a fare il primo passo, saltandogli con le braccia al collo e abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo – “Grazie per essere venuto, tesoro. E per avermi salvato da quel brutto cattivone. Ma ora, ti prego, non andare in giro a far spaventare la gente. È una serata così bella… Voglio solo divertirmi. Andiamo a cercare gli altri, Chichi? Che dici?”.
E, in un solo istante, la sua amica aveva fatto sì che il marito si calmasse e che rimanesse lì con lei. Sapeva perfettamente che ciò fosse assurdo, ma per un nano-secondo aveva pensato che Bulma avesse fatto quella scenetta di proposito.
“Ma cosa vai a pensare?” – si era rimproverata, dandosi della sciocca – “Smettila di essere invidiosa e va da Goku. Come ha detto Bulma, è una bella serata. Non rovinare tutto con le tue stesse mani”.

 
*
 
La notte era calata, e la magia di quella serata aveva riempito i cuori di tutti (e le pance di alcuni). Stanchi, ma felici, i nostri amici avevano fatto ritorno alle loro case, parlando incessantemente dei momenti trascorsi insieme. I piccoli Goten e Trunks erano così stanchi da essere crollati durante il viaggio di ritorno e, se non era stato particolarmente singolare vedere Goku prendere il braccio il suo secondogenito, non si poteva dire lo stesso di Vegeta. Il saiyan aveva preso suo figlio come se fosse stato un tesoro prezioso, cercando di stare attento a non disturbarlo, e lo aveva messo a letto con grande attenzione, preoccupandosi di aprile la finestra per far entrare l’aria fresca della notte e di chiudere bene la porta prima di uscire.
Goku e Chichi erano andati subito a letto. Anzi, La mora aveva praticamente trascinato via suo marito sotto lo sguardo divertito di Bulma che aveva perfettamente compreso le intenzioni della sua amica. Al povero saiyan sarebbe toccato un dopocena molto molto movimentato.
“Pensi che sentiremo ululare?” – aveva commentato Bulma, mettendosi la camicia da notte.
“Tsk! Ti prego. Per quanto io sia un uomo e quindi tu sia convinta che apprezzi qualsiasi genere di perversione, sappi che non è questo il caso. Non ho intenzione di immaginare Kaharot che si rotola nel letto con sua moglie. Rabbrividisco al solo pensiero” – e aveva scosso le spalle come se fosse stato realmente attraversato da un brivido.
Bulma aveva sorriso, mordendosi leggermente il labbro inferiore. Eccolo lì, suo marito, il principe dei saiyan, seduto sul bordo del letto dandole le spalle, tutto intento a sbottonare accuratamente la camicia bianca che lei aveva scelto per lui. Era bellissimo. Fiero e sicuro di sé come pochi. Certo, era anche autoritario e impertinente, oltre che capriccioso e zuccone, ma era anche buono e gentile, a modo suo, e la amava. La amava con tutto il suo cuore.
“E dimmi…” – aveva detto lei, salendo sul letto e gattonando fino a trovarsi dietro di lui per cingergli il torace con le braccia – “Cosa hai intenzione di immaginare?”.
Erano in penombra, ma sapeva di essere riuscita a farlo arrossire. Lo sapeva dai piccoli segnali che emanava da quel suo corpo così perfetto, segnali che aveva imparato a leggere con il tempo e che non avrebbe mai potuto travisare in nessuna maniera.
“Ecco… Io…”.
“Sai che c’è? Mi sono resa conto di non aver premiato il mio eroe per avermi salvata da quel brutto e losco individuo…” – aveva proseguito, sciogliendo l’abbraccio e gattonando verso il suo comodino, proprio doveva aveva lasciato il sacchettino di velluto viola.
“Tsk… Non mi sembrava che quell’individuo fosse poi così brutto…”.
“Io, principe dei saiyan, posso assicurarti che ai miei occhi, sarai sempre tu l’uomo più bello della galassia intera. Ecco. Prendi, mio eroe. La fanciulla spera che questo dono possa allietare il tuo cuore”.
“Tsk” – si era limitato a dire, nascondendo un sorriso e accettando di buon grado quanto gli era stato offerto.
Non gli era occorso molto tempo per aprire il sacchetto e osservarne il contenuto. E, doveva ammettere che non gli dispiaceva affatto.
“Ti piace?” – gli aveva chiesto, ansiosa. Era bravissima a fare regali, ma con suo marito era un autentico terno a lotto.
Vegeta non aveva risposto immediatamente, limitandosi a osservare quanto aveva tra le mani.
“So che è rovinato, ma quando l’ho visto mi è venuto subito in mente il simbolo che disegni di tanto in tanto… L’ho trovato così somigliante che non ho potuto fare a meno di comprarlo. Si tratta di un pensiero ma spero che ti piaccia. Non ti ho offeso, vero?”.
“No” – era stato secco. Deciso – “Non mi hai offeso. Anzi. Solo che…”.
“Che?”.
“Niente…” – aveva detto, stringendolo in mano e girandosi verso di lei, baciandola – “Mi piace tantissimo”.
Gli era saltato al collo, baciandolo con tutta la passione che poteva dimostrargli. Ma prima di proseguire, avrebbe dovuto chiudere a chiave la porta. Non voleva che lei e suo marito fossero disturbati da qualcuno che non aveva intenzione di “immaginare cosa stessero facendo”, e Goku era solito piombare all’improvviso nelle stanze altrui scambiandole per il bagno o, peggio ancora, per la cucina.
“Torno subito” – gli aveva detto, correndo verso la porta con zelo, senza essere in grado di vedere la strana espressione piombata sul viso di suo marito, un marito che per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto ferire sua moglie.

Continua…
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Tock! Tock! *Cleo si affaccia silenziosamente nel Fandom*.
E sì, a quanto pare chi non muore si rivede! E per me sarà un grande onore anche solo sperare di rivedervi tutti. Sapere che ci siete, sarà una gioia immensa.
Ebbene sì, ce l’ho fatta anche io. Mi sono laureata e ora, aspettando che ricominci ottobre per frequentare la magistrale, sono tornata con una Long sui nostri eroi che progettavo di scrivere da tanto ma che non aveva mai preso forma in maniera concreta. Vegeta, Goku e tutti i nostri amici saranno nuovamente impegnati a farci ridere (spero), piangere (?) e sognare (magari). Mi siete mancati tantissimo, e spero di condividere con voi ogni attimo di questa storia come abbiamo fatto in passato con le precedenti. Per ora, non oso aggiungere altro, anche perché è tanto che non scrivo e non so bene cosa dire. Perdonate questa pazza per i suoi discorsi senza senso e per le sue assenze ingiustificabili. Mi auguro di riuscire a farmi perdonare.
A presto!
Sempre vostra,
Cleo.

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Capitolo 2
*** Quella piccola crepa ***


Capitolo 2

Quella piccola crepa

 
La notte era trascorsa in fretta, e l’alba di un nuovo giorno aveva bussato alle finestre della città con i suoi raggi tiepidi ma per nulla timorosi di mostrarsi al mondo.
Vegeta e Goku si erano alzati molto presto, lasciando le rispettive mogli tra le braccia di Morfeo. Erano soliti allenarsi di buon mattino, e non vi avrebbero rinunciato per nulla al mondo, neppure dopo le fatiche dovute a una serata di festa seguita da una nottata molto movimentata.
Goku si sentiva piacevolmente confuso. Chichi non era una donna molto passionale, ma la scorsa notte era stata… diversa. Molto, molto diversa. Non che si lamentasse, ci mancherebbe altro! Solo, non ci era abituato. Amava sua moglie, anche se non era solito dimostrarglielo, e lei amava lui. E non era il solo saiyan ad amare follemente una terrestre. Certo, tra lui e Vegeta c’era una differenza abissale, caratterialmente e non solo. Per quanto il principe fosse burbero e testardo, era completamente incapace di celare i sentimenti che provava per la sua famiglia. Anzi, paradossalmente, più mostrava indifferenza, più si palesava l’amore incondizionato che Bulma e Trunks erano stati in grado di suscitare in lui. Ancora ripensava con stupore al momento in cui aveva appreso che il saiyan fosse diventato padre. Che avesse avuto un figlio con la sua migliore amica, poi, gli era parso ancora più strano. Bulma, la ragazza con cui aveva vissuto mille avventure e che era certo si sarebbe sposata con Yamcha, aveva avuto un figlio da uno degli assassini più spietati mai incontrati sul loro cammino, e non solo gli aveva fatto il dono di farlo diventare padre, ma gli aveva donato la capacità e la voglia di mettersi in gioco in un modo diverso dal solito, un modo che lo aveva fatto crescere in maniera smisurata fino a portarlo al punto di sacrificare la propria vita per chi amava. Se non fosse stato per Vegeta, non avrebbe mai sconfitto Majin-Bu. L’intuito del suo antico rivale era stato una vera e propria manna dal cielo, e lo aveva riscattato dalle cattiverie commesse in passato e non (tra cui quella di aver liberato lo stesso Majin-Bu, in effetti). Adesso, il principe dei saiyan era un uomo nuovo, un uomo più rilassato che avrebbe sempre nutrito il desiderio di diventare il guerriero più forte mai esistito, ma che, allo stesso tempo, desiderava con maggiore forza proteggere i suoi cari.
Quella mattina, come al solito, aveva trovato Vegeta che lo attendeva in giardino, intento a fare qualche esercizio di riscaldamento immerso nel più totale silenzio. Come facesse a essere così mattiniero sarebbe rimasto per sempre un mistero per il nostro Goku, pronto a sorbirsi l’ennesima ramanzina di chi aveva dovuto attendere l’arrivo dell’ idiota di terza classe, per citare integralmente Vegeta. Eppure, stranamente, il principe dei saiyan sembrava non aveva neanche lontanamente notato la sua presenza: stava continuando imperterrito a tirare pugni davanti a sé, con lo sguardo perso nel vuoto e i pensieri effettivamente altrove. Era stato inutile provare a chiamarlo. Certo, Goku non aveva propriamente parlato a voce alta, ma lo avrebbe sentito comunque se fosse stato lì con la mente e non solo con il corpo.
“Emm… Vegeta…” – aveva provato di nuovo, terrorizzato all’idea dell’eventuale reazione dell’amico – “Ehi… Vegeta!”.
Ma niente, era stato del tutto inutile. Era assente. Completamente, totalmente assente.
Che cosa doveva fare? Doveva piombargli davanti, mettersi a urlare o aspettare che il saiyan si accorgesse di lui? Non voleva farlo arrabbiare, ma era impaziente di allenarsi, e soprattutto, voleva capire il perché di quell’assurdo comportamento. Cosa aveva potuto distrarre tanto il suo amico da non avergli fatto rendere conto che lui fosse lì e lo stesse chiamando da almeno cinque minuti? Stava cominciando a scalpitare. Lui voleva allenarsi, doveva allenarsi! Era questione di vita o di morte. La sua, di morte! Perché, se Chichi si fosse svegliata e si fosse accorta che era ancora in casa, l’avrebbe costretto a tornare al centro commerciale, ed era certo che sarebbe deceduto sul serio, o per la noia, o per essersi rifiutato di seguirla.
“Adesso basta! Mi sono stancato! Noi dobbiamo allenarci!” – aveva quasi urlato, sparendo un istante dopo per poi comparire come se niente fosse davanti a un Vegeta ancora distratto e intento a tirare pugni, con l’esito di prendersi un gancio destro dritto dritto sul naso.
“Kaharot!” – aveva esclamato lui, esterrefatto – “Ma che diamine combini?”.
“Ahio! Urka che botta…” – non era stato in grado di parare il colpo, cadendo con il deretano sull’erba mentre si massaggiava il naso dolorante – “Ma insomma, Vegeta! Si può sapere che ti prende stamattina? Sei impazzito?”.
“Tsk! Guarda che sei tu quello che mi è sbucato davanti all’improvviso! Quando capirai il concetto di ‘spazio personale’? Ma sentilo…”.
“Ma se sono almeno cinque minuti che provo ad attirare la tua attenzione! Sei tu che non mi hai sentito e hai continuato a tirare pugni al vento! Si può sapere che cos’hai?”.
Il principe dei saiyan aveva assunto una strana espressione, diventando estremamente silenzioso.
“Allora?”.
“Tsk! Non ho niente Kaharot… Andiamo… Mettiti in piedi. È tardi, avremmo già dovuto iniziare ad allenarci diverso tempo fa”.
Non gli credeva. Non credeva a una sola parola di quello che Vegeta gli aveva detto. Era strano, lo conosceva sin troppo bene per non capirlo, ma non avrebbe insistito. Sapeva bene come prendere il suo amico… Era certo che dopo un allenamento spossante e un centinaio di ferite sarebbe stato dell’umore giusto per fare quattro chiacchiere. O, almeno, era quello che sperava. Perché, con Vegeta, qualsiasi cosa diventava più difficile di un terno a lotto.

 
*

“Allora, amica mia… Stanotte avete festeggiato, non è vero?”.
Chichi era arrossita come non mai nell’udire quelle parole, rischiando di strozzarsi con il sorso di caffè che aveva tentato di mandare giù.
“Ma… Bulma… Cosa dici?”.
“Oh, ma dai, Chichi! Non sarai davvero imbarazzata per questo… Sono cose naturali tra marito e moglie!”.
“Bè, sì, lo so… Però…”.
“Però?”.
Però era estremamente indecisa sul da farsi. Era sempre stata certa che parlare di certe cose fosse estremamente sconveniente per una signora, ma Bulma era capace di rendere tutto così spontaneo e naturale. Non vi era malizia nella sua voce. Non in quell’occasione, almeno. Forse, le avrebbe fatto bene parlare con un’altra donna, condividere segreti e fantasie. Bulma non avrebbe mai osato prenderla in giro o tradirla. Era un’amica, e sapeva di potersi fidare di lei ciecamente.
“Bé, sì… Abbiamo festeggiato. E Goku sa il fatto suo quando si tratta di festeggiare” – ormai era in ballo. Valeva la pena scatenarsi, no?
Si erano guardate per un attimo negli occhi prima di iniziare a ridere come due adolescenti. Chichi non si era mai sentita così bene come in quei giorni, circondata dall’affetto delle persone che amava e supportata da un’amica leale e sincera.
“Pare che sia una caratteristica dei saiyan, quella di essere bravissimi a festeggiare” – aveva commentato Bulma – “Ma non dirlo mai davanti a Vegeta! Potrebbe morire per l’imbarazzo!”.
“Ah ah ah! Posso immaginare… È talmente riservato… Penso che sverrebbe dalla vergogna!”.
“Hai intesto bene… Vegeta è particolare… È fatto a modo suo… Ma è un modo che non si può non imparare ad amare”.
“Sai, mi sono sempre chiesta come tu abbia fatto” – aveva improvvisamente detto Chichi, pentendosene un istante dopo.
“A fare cosa, amica mia?”.
“Ecco…” – perché non era stata zitta?
“A stare con Vegeta, dici?”.
Sì, intendeva proprio quello.
“Lo so che mi avete presa tutti per matta, ma Vegeta non è così come sembra. Certo, quando l’ho conosciuto, aveva di lui la stessa opinione di tutti. Lo odiavo, a dire il vero. Aveva ucciso Yamcha e i nostri amici, per colpa sua avevamo perso le sfere del drago e siamo stati costretti a scontrarci con quel pazzo di Freezer, ma c’era qualcosa in lui che mi attirava senza possibilità di oppormi. Vegeta non era solo un folle sanguinario, seguiva una sua etica personale, l’etica dei saiyan, che gli imponeva di non arrendersi mai davanti a niente e nessuno, di non accettare mai la schiavitù e di ribellarsi di fronte a quello che riteneva ingiusto. Sempre nell’ottica saiyan sia ben chiaro! Un’ottica non del tutto condivisibile, è vero, ma che, se limata a dovere, poteva condurre a qualcosa di buono. Mi sono affezionata a lui gradualmente. Alla sua forza, alla sua testardaggine e alla sua lealtà verso i desideri che albergavano in lui. Pensavo fosse impossibile, ma mi sono avvicinata a lui quasi senza accorgermene. E lui, ha fatto lo stesso. Non me l’ha mai detto, ma credo che veda qualcosa di se stesso, in me, qualcosa che ci accomuna e ci rende perfetti l’uno per l’altra. Quando ho scoperto di aspettare Trunks ero al settimo cielo. E lo era anche lui, nonostante non l’abbia neanche voluto prendere in braccio fino alla fine dello scontro con Cell. Poi, dopo Majin-Bu, le cose sono cambiate ulteriormente, e in meglio. Forse, l’averci perso lo ha portato a capire quanto in verità tenesse a noi. E non ti nego che la cosa mi ha resa felice e appagata. Amo mio marito, e lui ama me, anche se ci ha messo sette anni ad ammetterlo”.
Era stata una risposta più che mai esaustiva, e invidiava la capacità dell’amica di amare a prescindere da tutto. Era certa che lei non sarebbe mai stata in grado di provare qualcosa per un uomo dal passato affine a quello del principe dei saiyan. Questo, la rendeva forse una persona peggiore di quella che credeva di essere? Si augurava di no.
“E dimmi, che ha detto del regalo che gli hai fatto?”.
“Mi è sembrato entusiasta, ma con Vegeta è sempre un terno a lotto anche per me che lo conosco come le mie tasche!”.
“Ti ha dato modo di pensare che non gli piacesse?”.
“No, affatto! Ma non lo ha ancora indossato. Cielo, potrebbe anche essere che non lo porterà mai… Ma chi può dirlo? Ora, vogliamo andare a svegliare Trunks e Goten?”.
“Buona idea… In realtà, dovrei anche andare a casa di Videl e recuperare mio figlio… Non approvo che passi la notte a casa della sua ragazza”.
“Chichi! Non lo avrai detto sul serio?”.
“Mai stata così seria!” – aveva detto lei, sfoderando il suo sguardo severo – “Certe cose si fanno da sposati, soprattutto non alla loro età. Gohan è un ragazzo responsabile, ma le donne sono tentatrici, e lui è ancora così ingenuo! Proprio come suo padre. Sarà meglio sbrigarci… Ti aspetto di sopra!”.
Era inutile. Chichi non sarebbe mai cambiata. Ma, del resto, era anche quello che rendeva la sua amica quella che era, no? Prendere o lasciare. Quella regola valeva davvero per tutti.

 
*
 
“Giuro, la mamma non mi incastrerà mai più. Preferisco battermi contro Majin-Bu altre mille volte piuttosto che seguirla!”.
“Hai ragione, Goten. Io ci sono abituato, ma così è davvero troppo!”.
“Non voglio mai più vedere un centro commerciale in vita mia. Mai più”.
Lo avevano fatto. Bulma e Chichi avevano ingannato i bambini, portandoli di nuovo in giro per negozi invece che al parco giochi, come promesso.
“Se vedo un’altra camicia, o un altro pantalone, o una cinta o un paio di scarpe mi metto a urlare”.
“A chi lo dici… Io volevo così tanto andare al parco giochi… Anche se… In effetti…”.
“In effetti cosa?”.
“Potrei provare a chiedere a papà di portarci lì… Siamo stati buoni e pazienti! Ce lo meritiamo! E poi, sono loro a essere troppo stanche per accompagnarci! Noi siamo pieni di energia! Giusto, Goten?”.
“Sì! Ma… Lo farebbe davvero?”.
“A dire il vero, di solito è lui a portami al parco giochi dopo l’allenamento…”.
“Veramente?” – Vegeta portava Trunks al parco giochi. Che cosa strana. Suo padre non lo aveva mai portato al parco giochi.
“Sì… Potremmo chiederglielo! Andiamo Goten! Vieni con me!”.
Senza pensarci, i due bambini erano corsi in camera di Bulma e Vegeta, rimanendo molto delusi nello scoprire che il saiyan non fosse ancora rientrato dagli allenamenti.
“Uffa! Ancora non sono tornati!” – aveva detto Goten, triste più che mai.
“Che disdetta… Si stanno trattenendo più del solito. Chissà perché…”.
“Che barba… Sono certo che oggi rimarremo qui…”.
“Già, anche io… Ma potremmo…”.
“Cosa?”.
“Aspetta un istante… Voglio mostrarti una cosa…”.
Trunks si era diretto verso l’armadio, nella speranza di trovare quello che cercava. Sapeva di non dover curiosare tra le cose dei suoi, ma era certo che non si sarebbero arrabbiati. Del resto, volevano solo giocare.
“Trovata!” – eccola lì, la scatola che sua madre custodiva così gelosamente. Non sapevano che lui sapesse della sua esistenza, e non lo avrebbero mai saputo.
“Che cosa c’è qui dentro, Trunks?”.
“Guarda! Guarda Goten… Questa è la battle suite che mio padre indossava quando si è scontrato con Freezer. Guarda che ferite aveva riportato… Eppure, non si è arreso fino all’ultimo. Fino a che non lo ha colpito come il codardo che era”
Gli avevano raccontato la storia un centinaio di volte, e non poteva credere che quel farabutto lo avesse ucciso nonostante fosse inerme. Suo padre si era battuto con onore, come il grande saiyan che era.
“Wow… Che meraviglia! Non ne avevo mai vista una originale. Una non costruita da tua madre, intendo”.
“Già… Questa, poi, ha un’altra storia da raccontare… Pare che con questa, mio padre abbia cercato il tuo in tutta la galassia per sfidarlo e batterlo. Non accettava che lui fosse diventato super saiyan al suo posto”.
“Ma poi, anche Vegeta lo è diventato”.
“Sì… È diventato un super saiyan straordinario”.
“Mi piace tuo padre, sai?” – gli aveva detto Goten, accarezzando la tuta di Vegeta con estremo rispetto – “È così fiero. All’inizio pensavo fosse cattivo… Ma non lo è. È uno tosto! E ti vuole bene…”.
“Lo so… Il mio papà è speciale. Non ce ne sono come lui…”.
“Hai ragione…”.
“Penso sia il caso di rimetterlo a posto… Non trovi?”.
“Sì! E dopo potremmo giocare a scontrarci come hanno fatto Freezer e i nostri padri all’epoca! Potremmo convincere Gohan a giocare con noi! Lui farebbe Freezer e noi i nostri papà!”.
“Che splendida idea! Mi piace! Andiamo!”.
Ma, mentre lo stava riponendo nella scatola, qualcosa aveva attirato l’attenzione del piccolo saiyan dei capelli corvini.
“Ehi… Cos’è questo?” – aveva preso un sacchettino viola, porgendolo subito dopo al suo amico.
“Non lo so!” – Trunks lo aveva girato tra le mani, incuriosito – “Vediamo!”.
“È un medaglione” – aveva detto, osservando da vicino il contenuto del sacchetto misterioso.
“Hai ragione… Lo avevi già visto prima?”.
“No, mai… È strano!”.
“Sembra… Rotto…” – gli aveva detto Goten, toccandolo a sua volta.
“Già… È…”.
“Che cosa state facendo?” – la voce tuonante di Vegeta aveva interrotto i due ragazzi, facendo sì che entrambi lasciassero cadere il medaglione al suolo.
“Papà, noi…”.
“Quante volte devo dirti di non curiosare tra le cose mie e di tua madre, Trunks?”.
I bambini si erano sentiti morire. Colti con le mani nella marmellata, non avrebbero potuto negare la loro colpevolezza neanche volendo.
“Mi dispiace papà… Non è colpa di Goten. Sono stato io a portarlo qui. Volevo solo fargli vedere la tua battle suite… Scusa”.
Il saiyan non aveva risposto, guardandoli in silenzio con occhi severi fino a quando un timido sorriso non aveva fatto capolino sul suo viso. Con una scrollata di spalle li aveva congedati, intimandogli di non fare mai più cose del genere.
“Filate… Subito!”.
“Subito! Ah, papà… Tieni…” – Trunks aveva raccolto il medaglione, porgendoglielo – “È molto bello. Dovresti indossarlo, qualche volta” – ed era andato via, seguito da un Goten a dir poco mortificato.
Ancora una volta, il principe dei saiyan era caduto in un silenzio tombale, stringendo tra le mani quell’oggetto, prima di riporlo nella sua custodia senza degnarlo di uno sguardo. Eppure, se lo avesse fatto, se avesse speso anche un solo istante per dargli una fugace occhiata, si sarebbe accorto che non era come quando glielo avevano donato. Se lo avesse guardato, si sarebbe accorto che lì, dove c’era l’oro a tenerlo unito, la crepa aveva cominciato a diventare più evidente. Se lo avesse guardato, si sarebbe accorto che presto le parti sarebbero tornate a essere due.
Continua…
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Famiglia, buon pomeriggio!
Eccomi qui, puntuale come un orologio, a postare il secondo capitolo della mia Long. Inutile dire che si tratta ancora di capitoli introduttivi (ma io lo dico lo stesso da brava puntigliosa quale sono. XD), e che servono per farvi capire in quale clima si svolgeranno i fatti e su chi sarà concentrata maggiormente l’attenzione (mia e vostra, mi auguro). Sarà una storia… STRANA, per certi versi… Ma starà a voi giudicare. =)
Ciò detto, mi ritiro, sperando di non morire liquefatta. Qui in Calabria il caldo si fa sentire, amici miei… E parecchio!
A giovedì prossimo!
Un bacione
Cleo

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Capitolo 3
*** Il mancato re ***


Capitolo 3

Il mancato re

 
Per la famiglia Son, i giorni di vacanza erano giunti al termine. Quella sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero trascorso alla Capsule Corporation e, anche se tornare alla vita quotidiana non sarebbe stato davvero così male come sembrava, nell’etere aleggiava un velo di tristezza. Chichi non si era mai lamentata della sua casetta nella montagna: lì poteva respirare aria pulita, trascorrere qualche piacevole e raro momento sdraiata al sole e mangiare il cibo sano e genuino che lei e suo marito producevano non senza sforzi, ma le comodità della città erano tutt’altra cosa. Le sarebbe mancata la possibilità di uscire tutte le sere, di comprare i detersivi al supermercato senza dover percorrere chilometri e il poter frequentare teatri e cinema. Ma, la cosa che le sarebbe mancata più di tutte, era il contatto con un’altra donna. Circondata com’era da soli uomini, aveva quasi dimenticato cosa volesse dire confrontarsi con un’altra persona del suo stesso sesso, e questo l’aveva stimolata a tirare fuori la sua parte più femminile, raffinata e sensuale, parte che Goku – e non solo – aveva profondamente apprezzato. Aveva notato gli sguardi che alcuni signori le avevano riservato la sera prima, quando erano usciti per prendere un gelato, e aveva notato ancora di più i loro sguardi delusi nell’istante in cui si erano resi conto che stessero osservando con non poca malizia una moglie e una madre. Erano piccole cose, ma erano pur sempre attenzioni che a una donna facevano più che mai piacere. Peccato che suo marito, ovviamente, non si fosse accorto di nulla. Almeno, non prima che Vegeta gli assestasse una sonora gomitata e gli lanciasse un’occhiata fulminante seguita da un non proprio sussurrato “Sei un perfetto idiota, Kaharot”.
Così, tra un rimprovero e l’altro, tra una risata e una lacrima versata per un film romantico visto in quattro sullo stesso enorme divano –  per volere delle donzelle che avevano costretto i mariti a sopportare due ore di una pellicola più smielata di un’intera confezione di orsetti gommosi – era giunta l’ultima sera in cui sarebbero stati tutti insieme.
Per l’occasione, Bulma aveva deciso di portare i suoi amici a cena nel miglior ristorante della città, decisa a non badare minimamente a spese (e si sa che con due saiyan puri e altri tre mezzosangue a seguito, la cosa sarebbe diventata davvero interessante).
Erano tutti perfettamente agghindati per l’occasione. Bulma indossava uno splendido abito rosso lungo con uno spacco che non lasciava nulla all’immaginazione. Aveva i capelli tirati indietro e indossava un semplice paio di orecchini di perle non particolarmente vistosi. Chichi, di rimando, aveva deciso di indossare un abito nero a tubino corto sino al ginocchio ma con una profonda scollatura sulla schiena. Aveva i capelli sciolti e le labbra color del fuoco. Entrambe avevano indossato dei tacchi vertiginosi che, se per il marito della mora non avrebbero causato il minimo problema, lo stesso non si poteva dire per il povero Vegeta, costretto a sembrare ancora più basso di quanto già non fosse. Quella sera, il principe dei saiyan aveva più di un motivo per essere nervoso. L’allenamento del mattino era stato un autentico disastro, distratto com’era. Si sentiva strano, agitato, e anche un po’ fiacco, a dire il vero. Era strano da giorni, ormai, anche se aveva cercato in ogni modo di non darlo a vedere. Sua moglie e suo figlio erano più felici che mai, e lui non poteva lamentarsi più di tanto di quel nuovo assetto familiare. Anzi, a essere sincero, la presenza costante di Kaharot in casa aveva quasi cominciato a piacergli. Trunks aveva qualcuno con cui giocare e battersi, qualcuno che gli avrebbe permesso di crescere e migliorarsi giorno per giorno, e lui poteva dire quasi lo stesso di sé. Certo, se anche Gohan avesse deciso di allenarsi invece di perdere tempo prezioso dietro la figlia di quell’idiota di mr. Satan sarebbe stato meglio, ma era un adolescente in piena tempesta ormonale e poteva in parte capire il perché preferisse altro alla loro compagnia. Quella che proprio non riusciva a capirlo e che, di conseguenza, non riusciva proprio a tollerare, era Chichi. Non poteva farci niente, era più forte di lui. Quella donna era un’isterica, nonché una grandissima civetta. Gli sembrava che facesse di tutto per imitare sua moglie, senza rendersi conto che tra lei e Bulma c’era un abisso, non solo in bellezza, ma anche in intelligenza e classe. Si sentiva osservato da lei. Osservato e giudicato, in un certo qual modo, ed era certo che l’antipatia fosse reciproca. Era ovvio che non si potesse andare d’accordo con tutti – e lui, in effetti, andava d’accordo veramente con pochi – ma lei… lei era veramente troppo. Asfissiante, pedante, capricciosa, ostinata e terribilmente irritante, questo era quella donna per lui. Cosa ci avesse trovato Goku in lei non riusciva veramente a capirlo.
Aveva portato pazienza per il bene di sua moglie e di suo figlio, e per potersi allenare più a lungo con Kaharot. A ogni modo, quello non sarebbe stato più un problema, perché il giorno successivo sarebbero tornati a casa loro. Se fosse stato possibile, gli sarebbe piaciuto continuare ad allenarsi insieme a lui la mattina presto. Era molto migliorato da quando avevano iniziato a lottare strenuamente, anche se non era stato in grado di trasformarsi in super saiyan di terzo livello. Era arrivato al punto di pensare che non ci sarebbe mai riuscito, se doveva essere sincero con se stesso, anche se non capiva il perché. Era come se non riuscisse a incanalare la sua energia in modo giusto, come se essa finisse col disperdersi inutilmente impedendogli di raggiungere quel tanto agognato obiettivo. La sua non poteva davvero definirsi rassegnazione: era il principe del popolo di guerrieri più forti della galassia, un popolo di guerrieri fieri e spietati, ma era qualcosa che ci andava molto vicino. Da qualche giorno, poi, c’era qualcosa in lui che continuava a tormentarlo, qualcosa gli impediva di dormire serenamente e che occupava costantemente i suoi pensieri. E sapeva anche di cosa si trattava. Kaharot aveva provato a farlo cedere più di una volta, curioso di sapere cosa lo stesse tormentando, ma lui non aveva ceduto. Quel segreto doveva rimanere suo e suo soltanto. Per questa ragione non aveva fatto notare nulla a sua moglie. Per orgoglio, e per non ferire i suoi sentimenti, perché la causa del suo malessere era dovuta proprio al regalo che la terrestre aveva fatto al saiyan.
Vegeta era rimasto davvero di stucco quando aveva scoperto quale fosse il contenuto del sacchetto viola, mascherando a fatica il suo stupore e il suo tormento. Non aveva avuto modo di dirglielo, ma quel medaglione non recava sul dorso un simbolo simile a quello che disegnava sovrappensiero: quel simbolo era esattamente quello che gli capitava di riprodurre ogni volta che ne aveva l’occasione. Per quanto fosse stato solo un bambino e qualcuno potesse pensare che i suoi ricordi fossero sfocati, non avrebbe mai potuto confonderlo con un altro, così come non avrebbe potuto confondere il materiale e la forma. Ma, se si trattava realmente di quello che pensava, come aveva attraversato la galassia finendo nella mani di un mercante? Come poteva essere che il medaglione recante lo stemma della casata dei Vegeta, la casa reale saiyan, fosse sulla Terra? E non era solo quello l’interrogativo che impediva al principe di dormire sonni sereni. Un dubbio atroce lo aveva assalito, provocando in lui un misto tra rabbia e timore. Per fugare ogni incertezza, avrebbe dovuto scrutarlo meglio, osservare ogni singola parte, ma non era certo di voler sapere, motivo per cui lo aveva chiuso in quella scatola piena di ricordi del passato. Perché, se quello era davvero quel medaglione, significava che era quello indossato da suo padre il giorno stesso della sua morte, che quello era il medaglione reale del re dei saiyan, quello che un giorno sarebbe toccato a lui nel momento della sua ascesa al trono, quello che, da come gli era stato raccontato, Freezer aveva ridotto in pezzi dopo aver eliminato re Vegeta suo padre. Sarebbe stato troppo, per lui, una beffa del destino davvero insopportabile: il simbolo regale di cui era stato così precocemente privato, in qualche modo, forse, era giunto a lui, ma senza quello che avrebbe significato ottenerlo. Sarebbe passato a essere da principe a re di un popolo estinto, da principe a re di una razza che non esisteva più da decenni, e quella sarebbe stato l’ultimo smacco di quel bastardo di Freezer. No, non sarebbe stato in grado di sopportarlo. Vegeta non parlava mai del suo passato, non esprimeva mai sentimenti a riguardo, mostrandosi stoico, impassibile. Più volte avevano provato a chiedergli della sua famiglia, dei suoi ricordi, ma lui aveva sempre finto di non curarsene, mostrandosi completamente disinteressato e privo di sentimenti. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggere se stesso e il proprio dolore. C’erano cose che nessuno avrebbe mai potuto capire, nessuno. Neppure la sua Bulma. E sarebbe continuato a essere in quel modo fino alla fine dei suoi giorni.
Non sarebbe stato in grado di farle capire quello che provava. Ero certo che sua moglie avrebbe travisato ogni sua parola, scambiando la sua rabbia e il suo dolore per rimpianto. Avrebbe voluto essere il re dei saiyan? Certo. Gli spettava di diritto. Ma non avrebbe rinunciato a essere suo marito e il padre di suo figlio. Avrebbe voluto conquistare pianeti e diventare l’essere più temuto e rispettato dell’intero universo? Forse, una volta. Ma se avesse potuto, se lui fosse stato re, avrebbe unito la razza terrestre e quella saiyan per creare una nuova specie di guerrieri super forti e dotati di un intelletto superiore alla norma, una razza che non avrebbe avuto bisogno di un eroe per difendersi dal nemico, ma che sarebbe stata perfettamente in grado di preservare la propria esistenza autonomamente. E, a quel punto, non ci sarebbero stati più Freezer, Cell o Majin-Bu capaci di contrastarli. A quel punto, tutti avrebbero avuto timore di loro.
Senza rendersene conto, mentre formulava quel pensiero, Vegeta si era trovato a sorridere. Suo padre sarebbe inorridito a quelle parole: un principe saiyan che pensava a difendersi e non ad attaccare, che pensava al bene della galassia invece che alla sua distruzione. Lo avrebbe accusato di essere diventato un rammollito, un essere più orripilante di quegli umani tra cui viveva e che si era rifiutato di assoggettare, e se la sarebbe presa con Bulma. Ma, per fortuna suo padre non c’era. E quel medaglione non poteva sicuramente essere quello che credeva. Aveva sicuramente viaggiato troppo con la fantasia, e quello era colpa degli innumerevoli film che suo figlio gli imponeva di andare a vedere al cinema. I saiyan non esistevano più, né quello stupido simbolo di potere. Era andato distrutto il giorno stesso della morte di suo padre, e non avrebbe potuto raggiungerlo né da integro né da riparato e per nessuna ragione al mondo.
“Tsk. Smettila di preoccuparti come un idiota e torna da tua moglie” – si era detto, riflettendosi nello specchio mentre chiudeva l’ultimo bottone della sua camicia – “Non c’è niente da temere” – temere cosa, poi? Un pezzo di ferro?
E, uscendo, aveva chiuso alle proprie spalle la porta della camera da letto, lasciando che il buio si diffondesse nella stanza. Non aveva potuto vedere che qualcosa di insolito era apparso come per magia sul suo comodino. Non aveva potuto vedere che il contenuto del sacchetto viola, quel contenuto che tanto lo tormentava, aveva cominciato a brillare.
Continua…
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Ragazzi, eccomi qui!
Scusate per l’immenso ritardo. Io cerco di essere puntuale, ma la vita reale è più veloce di me, a quanto sembra, e mi assale con i suoi mille problemi quotidiani.
Cominciamo a capire quali siano i tormenti di Vegeta, a quanto sembra. Uomo e saiyan, marito e guerriero, padre e principe, lotta con se stesso per migliorarsi senza snaturarsi, cercando il modo migliore di vivere.
Che cos’è, in realtà, il medaglione? Cosa significa?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo…
Bacini!
Cleo

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Capitolo 4
*** Un regalo di troppo ***


Capitolo 4

Un regalo di troppo

 
“Per favore, Goku, ti prego! Cerca di stare seduto composto! E non ingozzarti come un essere privo di un minimo di educazione! Non voglio fare brutta figura in un posto del genere! Almeno per una volta nella tua vita comportati da persona civile!”.
Chichi aveva impartito al marito una serie di norme da seguire nel corso della serata durante tutto il tragitto dalla Capsule Corporation al lussuoso ristorante, cercando di evitare quello che soleva avvenire ogni volta che capitava loro di mangiare fuori casa. Non ce la faceva proprio a non essere in ansia. Quando si tratta di cibo, Goku non era proprio in grado di darsi un minimo di contegno, e la mora non voleva trovarsi a fine serata con vestiti da smacchiare e il volto imporporato per la vergogna.
“Ingozzarsi non significa gustare” – aveva cercato di spiegargli almeno un milione di volte – “Quindi ti prego: prendi bocconi piccoli, mastica, e non fare rumore quando ingoi”.
Ma era certa che non la avrebbe ascoltata. O meglio, in un primo momento avrebbe provato a seguire i consigli – per altro non richiesti – della moglie, ma poi sarebbe tornato tutto esattamente com’era. Eppure, rassegnarsi non era nell’indole della mora, e avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per correggere la primitività del marito. Di rimando, Bulma non sembrava per niente preoccupata. Vegeta era un saiyan, ed esattamente come Goku non si poneva problemi simili, ingurgitando rumorosamente quintali di cibo senza badare agli sguardi sconcertati di chi si trovava accanto a lui. Forse, Bulma aveva provveduto a fare le dovute raccomandazioni al marito prima di uscire da casa, ma l’ansia la stava divorando, impedendole di non pensare alla tremenda figura che avrebbero fatto di lì a breve.
Eppure, al contrario di ogni possibile elucubrazione, non solo Vegeta aveva conversato brevemente con il maître di sala mostrandosi più cordiale di quanto avrebbe mai potuto anche solo lontanamente pensare, ma aveva anche spostato la sedia a sua moglie per farla accomodare e aveva steso il tovagliolo sulle gambe, rimanendo seduto dritto e composto per tutta la sera. Aveva scelto il vino, consigliato a Goku di prendere la specialità dello chef, il filet mignon, e aveva sorriso a ogni battuta della moglie, portando Chichi a credere che a un certo punto l’avrebbe persino invitata a ballare, essendo presente in sala un quartetto d’archi e una pista da ballo di notevoli dimensioni. Ovviamente, questo non era avvenuto, ma l’idea che Vegeta potesse avere un lato così diplomatico e un altro addirittura romantico l’aveva spiazzata.
Goku non si era comportato così male come aveva temuto, alla fine. Certo, era riuscito a macchiarsi la camicia, ma lo aveva fatto nello sforzo di imitare il suo amico e principe. Era certa di aver visto suo marito sudare nell’istante in cui un boccone di filet mignon era scappato dalle sue fauci finendo prima sulla camicia e poi sui pantaloni, e Chichi non aveva potuto non sentirsi un po’ in colpa per le sue continue ramanzine. Forse, dopotutto, aveva davvero esagerato. Tutta quella situazione aveva messo profondamente Goku a disagio, impedendogli di godersi pienamente la serata. Forse, sarebbe stato meglio se avessero mangiato una pizza in un locale meno impegnativo. Anche i ragazzi si erano sentiti ingessati, e questo le aveva fatto venire mille scrupoli: sapeva che Bulma aveva scelto quel ristorante proprio per esaudire un suo desiderio, ma quella scelta, forse, aveva penalizzato tutti gli altri. A ben vedere, anche se erano partiti per accontentare principalmente Goten, per tutta la settimana avevano tutti fatto quello che lei aveva voluto senza lamentarsi, cosa non propriamente nella norma, obiettivamente. Goku e i suoi figli erano soliti lagnarsi per ogni cosa che lei pensava o metteva in atto, ma, in quei giorni, l’avevano seguita per negozi, portata al cinema e al teatro, l’avevano accompagnata in svariati saloni di bellezza senza neanche battere ciglio, e ora questo: una cena in un posto lussuosissimo che aveva solo potuto vedere sulle riviste. Se il suo sesto senso non la stava ingannando, c’era sotto qualcosa. Ma cosa?
“Chichi, cara, mi accompagneresti un istante alla toilette? Devo rinfrescarmi un istante…” – le aveva chiesto Bulma, e lei l’aveva seguita, dandosi della sciocca per l’ennesima volta. Le sue erano delle paranoie a dir poco inutili.
Rimasti soli, mariti e figli avevano avuto modo di rilassarsi un attimo, tirando un enorme respiro di sollievo.
“Urca! Conosco fin troppo bene mia moglie. Comincia a sospettare qualcosa!”.
“Tsk! Certo che sospetta! Lei è dotata di cervello! Non è mica come te che sei un idiota! Per fortuna sei riuscito a fare danni anche questa volta, no?” – aveva risposto bruscamente Vegeta, riferendosi alla macchia che Goku si era procurato con tanta maestria.
“Dai Vegeta, non essere così duro con lui… In fondo, papà sta facendo del suo meglio…” – aveva provato a difenderlo Gohan.
“Tsk! Ammetto che sia stato meno disastroso del solito! Ma mi chiedo perché sia ancora qui invece di essere andato a prendere lui sa cosa. Quanto tempo pensi possa metterci Bulma per fare ciò che deve? Saranno di nuovo qui a breve!”.
“URCA! Vegeta, hai ragione! Che farei senza di te? Vado subito!” – e si era posato due dita sulla fronte.
“Sì, ma non…” – troppo tardi. Prima che Vegeta potesse fargli notare che quello non era il luogo ideale per teletrasportarsi, Goku si era smaterializzato davanti ai camerieri e ai commensali lì presenti, provocando un istante di assoluto panico.
“Tsk… Razza di idiota!” – aveva commentato Vegeta, guardandosi attorno.
“Oh papà!” – avevano detto all’unisono Gohan e Goten.
Trunks si era limitato a ridere. Il bello non era tanto la reazione dei presenti dovuta alla sparizione di Goku, ma alla reazione di quando sarebbe riapparso. Qualcosa gli faceva pensare che sarebbero scappati tutti a gambe levate.
Infatti, esattamente un attimo dopo, Goku era riapparso con in mano una piccola confezione e un enorme mazzo di rose rosse, e un’espressione in viso che tradiva agitazione e un pizzico di paura.
“Mamma che paura! Non trovavo il regalo! Per un attimo ho creduto di averlo perso nel nasconderlo!”.
Ovviamente, non si era accorto dello sguardo assassino che gli aveva rivolto il principe dei saiyan, né delle espressioni di rimprovero dipinte sui visi di Goten e di Trunks.
“Tsk… Razza di cretino!”.
“Ma che succede?” – si era chiesto, ignaro di aver scatenato il panico.
“Sì…” – la voce di Gohan proveniva dalla saletta accanto – “Sì, mio padre è un famoso illusionista e ha eseguito quel trucco solo per far divertire mio fratello e il suo amico. Non c’è niente di cui aver paura. Forse avremmo dovuto avvertirvi, me ne scuso. Sono a dir poco mortificato… La prego di perdonarci… Come dice? Un suo spettacolo in città? Potrebbe essere… Voglio dire, ancora non ne abbiamo parlato ma di certo sarà il primo ad avere i biglietti. La ringrazio e mi scusi ancora… Buona serata”.
“Ma con chi parlavi?” – aveva chiesto Goku al figlio mentre tornava verso il tavolo.
“Con il direttore del ristorante. Aveva chiamato al telefono per sincerarsi della misteriosa sparizione di un cliente e il maître mi ha permesso di dargli delle spiegazioni. Ora, sono figlio del più grande illusionista della storia” – aveva berciato, ricordandogli molto Vegeta.
“Tsk! Tuo figlio comincia a imparare, finalmente!” – aveva commentato il principe dei saiyan, scuotendo la testa e incrociando le braccia al petto.
“Urca! Non ci avevo pensato, in effetti! Ma… Un illusionista hai detto?”.
“Sì, papà. Gli dovrai uno spettacolo! Ma prima, cerca di non fare altri danni prima dell’arrivo della mamma”.
“Oh papà, Gohan ha ragione. Ti prego, sii cauto!”.
Non era mai stato così agitato in vita sua. Neanche il giorno delle nozze si era sentito in quel modo. Neanche prima di una battaglia. Era tutto nuovo per lui, e per la prima volta in vita sua aveva davvero paura di sbagliare.
“Dite che le piacerà?”.
“Tsk! Certo che le piacerà, Kaharot. Sempre se non farai ancora l’idiota! Ora, mettiti seduto e non fare più niente di avventato. Stanno tornando” – e aveva fatto un gesto al cameriere che era sparito dietro la porta della cucina, pronto a ritornare al momento più opportuno.
“Ci voleva proprio!” – aveva commentato Bulma, sorridendo – “Una donna deve darsi una rinfrescata al trucco di tanto in tanto, no?”.
“Certo!” – aveva detto Chichi, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – “Solo che ora ha voglia di dolce… Cosa mi consigli di ordinare, Bulma?”.
“Hanno già pensato al dolce per noi, cara!” – aveva detto – “E sono certa che ti piacerà tantissimo”.
Non si era accorta di quello che l’aspettava al tavolo finché non si era trovata lì davanti. La splendida tavola rotonda apparecchiata a dovere era passata a essere da attrattiva principale a puro contorno di quello che stava accadendo, perché suo marito, il suo Goku, la stava aspettando in piedi, stringendo tra le mani un enorme fascio di rose rosse e portando negli occhi la luce di un sentimento ancora inespresso.
“Ma cosa… Cosa sta succedendo?”.
Ancora prima che finisse di pronunciare quella domanda, i musicisti avevano iniziato a suonare quella che era stata la loro canzone nel giorno delle nozze e Goku, un Goku profondamente emozionato, si era avvicinato a lei, porgendole i fiori sotto lo sguardo partecipe dei presenti.
“Chi-Chichi” – aveva iniziato a balbettare lui – “Io… Ecco… Questi sono, sono per te…” – e le aveva praticamente buttato i fiori addosso, impacciato e teso come non mai.
“Giuro che ora lo ammazzo…” – aveva sussurrato Vegeta, coprendosi gli occhi con una mano.
“Bu-Bu-Buon… BUON ANNIVERSARIO TESORO!”.
E, oltre al mazzo di fiori, le aveva dato un fugace bacio sulla fronte, arrossendo.
Goku, l’uomo che correva nudo davanti a tutti, che mangiava ingozzandosi senza badare a chi aveva attorno, che non aveva senso del pudore né peli sulla lingua e che era puro e ingenuo come un bambino, era arrossito. Non riusciva a crederci nessuno, neanche lo stesso Goku.
“Urca! Ce l’ho fatta! Hai visto Vegeta che non sono il testone che credevi?”.
E, proprio quelle parole, seguite alla reazione di un principe dei saiyan che stava per strozzarsi con la sua stessa saliva, avevano riportato tutto su un piano più naturale e conosciuto. Perché Goku, nonostante tutto, rimaneva sempre Goku, anche se indossava un abito elegante e regalava fiori alla moglie.
Chichi non aveva proferito parola, troppo commossa per fare qualsiasi cosa. Suo marito, il testone distratto che non ricordava neanche quando fossero nati i figli, aveva ricordato la data del loro matrimonio. La cosa bizzarra era che, dopo tutti quegli anni di delusione, era stata lei a non badare più a certe ricorrenze per non soffrire senza motivo. E invece, ecco che l’aveva completamente sorpresa, portandole i fiori e chiedendo di suonare la loro canzone.
“Vieni a sederti, cara…” – l’aveva  invitata Bulma, sorridendo teneramente – “Non vorrei che tu svenissi!”.
Anche perché, non era il momento più adatto per svenire. La serata era appena iniziata, e Bulma voleva che fosse indimenticabile.
E lo era stata. Dopo un momento di shock iniziale, Chichi aveva baciato suo marito per ringraziarlo, rimproverando tutti bonariamente per averla presa in giro, soprattutto Bulma, che l’aveva condotta in bagno con l’inganno. A fine serata, dopo aver mangiato anche un ottimo dolce, aveva scoperto che era stato suo marito a pagare la cena a tutti. Goku aveva lavorato tutti i giorni in una palestra in centro per mettere da parte i soldi, mentendole spudoratamente nel dire che usciva per allenarsi con Vegeta. Pensare che lei si arrabbiava quotidianamente perché pensava che perdesse tempo, quando invece suo marito stava lavorando sodo per lei.
Era stata la serata perfetta. Non l’avrebbe dimenticata neppure tra un milione di anni. Ora ne aveva la prova. Amava Goku e lui amava lei. Niente e nessuno avrebbe potuto separarli, neppure la morte.
“Tesoro” – le aveva detto lui, sorridente e felice come non mai – “C’è una cosa che vorrei darti”.
“Un’altra cosa?” – stentava davvero a crederci. Cos’altro aveva pensato per lei il suo Goku?
“Ecco…” – e le aveva consegnato una scatolina a dir poco inequivocabile – “Spero che ti piaccia”.
“Tesoro…” – stava per ricominciare a piangere, ma non voleva fare le cose prima del tempo e non voleva rovinarsi il trucco. Quello sarebbe venuto dopo.
“Dai mammina, aprilo!” – l’aveva esortata Goten.
“Sì mamma! Sono davvero curioso!”.
Erano tutti in attesa. Goku aveva voluto scegliere da solo il regalo da fare a sua moglie ed erano tutti impazienti di scoprire cosa avesse scelto.
Chichi aveva il cuore in gola. Non aveva mai ricevuto regali del genere, non aveva mai trascorso una serata come quella. Ma ecco che, dopo aver sciolto il fiocco che sigillava la scatolina di velluto e averla aperta, la sua espressione era improvvisamente mutata.
“Chichi…” – Goku era preoccupato – “Che c’è? Non ti piace?”.
“Sì, Chichi… Tutto bene?” – Bulma non riusciva a capire.
“Io… Io…”.
Non capivano. Cosa poteva essere andato storto? Goku era oltremodo agitato. Aveva comprato quel regalo convinto che sua moglie avrebbe molto più che gradito. Che cosa la turbava tanto?
“Amore mio, è bellissimo, grazie mille”.
“Urca! Meno male!” – aveva tirato un respiro di sollievo mentre guardava sua moglie togliere l’anello che le aveva regalato dalla scatolina blu.
“È perfetto!” – aveva esclamato mentre lo infilava al dito – “Hai indovinato persino la misura! Grazie Goku, grazie di cuore!”.
Aveva fatto colpo. Non ci poteva credere. Per la prima volta in vita sua, sua moglie era pienamente soddisfatta di lui. Quasi stentava a crederci. E i suoi amici, compreso quel burbero di Vegeta, erano fieri di lui. Non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per averlo aiutato a rendere felice la sua Chichi.
“Questo è uno dei giorni più belli della mia vita!” – aveva abbracciato suo marito così forte che avrebbe potuto stritolarlo, se non si fosse trattato del più potente saiyan mai nato. Il saiyan più forte e gentile della storia.
“E grazie anche a voi! Siete stati proprio bravi a non farmi capire niente… Bulma, amica mia, sei davvero unica!”.
“Non guardare me! Non ho fatto niente! È tutto merito di Goku!”.
“Ho accanto a me proprio il marito dell’anno, a quanto sembra! Serata perfetta, fiori perfetti, regali perfetti. Senti che profumo… Sono così freschi e… E questo cos’è?”.
“Questo cosa, tesoro?”.
“Questo!” – e, nel dirlo, aveva tirato fuori qualcosa dal mazzo di fiori, qualcosa che qualcuno, lì, aveva già avuto modo di vedere.
“Non è… Non è possibile…” – Vegeta era esterrefatto.
Goku non capiva – “Questo non… Non ce l’ho messo io… Urca! Ma da dove è sbucato?” – aveva detto, allungandosi nel tentativo di prenderlo dalle mani di sua moglie. Cosa ci facesse lì, non ne aveva idea. Sapeva solo che non doveva trovarsi lì e qualsiasi cosa ci facesse, poteva essere un problema.
“Ma quello… Quello è il medaglione che ti ha regalato la mamma!” – aveva esclamato Trunks, rivolgendosi a suo padre.
Non c’erano dubbi. La forma era quella, il disegno era quello, il materiale era quello. Ma come poteva trovarsi lì? Non aveva senso. Non aveva alcun senso.
“Io non capisco…” – Bulma non era stata in grado di negare un po’ di risentimento… Cosa ci faceva lì il regalo che aveva fatto a suo marito?
Tra i presenti era calato il silenzio. Un silenzio profondamente imbarazzante.
“Bulma…” – Vegeta non sapeva cosa dire esattamente, ma sentiva il disagio di sua moglie.
“Va tutto bene…” – aveva detto lei – “Sarà caduto lì quando Goku ha nascosto i fiori…” – era l’unica spiegazione che fosse riuscita a darsi – “Ora, che ne dite di andare a casa?”.
“Sì…” – Vegeta si era alzato di scatto. Una goccia di sudore gli imperlava la fronte – “Andiamo via”.
“Aspetta... Credo che questo debba tenerlo tu” – e gli aveva dato il medaglione.
Ma, nello stesso istante in cui le dita di entrambi i saiyan si erano trovate su di esso, nell’istante in cui entrambi lo avevano sfiorato, era accaduto qualcosa che nessuno avrebbe potuto spiegarsi neanche volendo Perché, in quello stesso istante, un fiotto di energia inimmaginabile li aveva investiti in pieno, inondando i presenti e tutto quello che li circondava di una luce mai vista prima di allora, una luce così bianca da far male agli occhi, una luce che aveva fatto sparire ogni cosa, inghiottendola senza possibilità di appello. Non avevano avuto il tempo di gridare. Non avevano avuto il tempo di capire e reagire. Erano solo scomparsi, così come era scomparso tutto quello che avevano attorno, lasciando dietro di sé il nulla. Eppure, una cosa era rimasta, nel mezzo di quello spettrale candore. L’unica cosa che era rimasta, erano i pezzi del medaglione che, probabilmente, Bulma non avrebbe mai dovuto regalare al suo Vegeta.
Continua…
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Ok, sono di nuovo in ritardo. Ma basta aggiornare, no? (Cleo fa finta di niente invece di scusarsi).
Ed ecco che il medaglione comincia a fare danni, ma danni seri. E durante una serata più unica che rara! Era stato tutto più che perfetto… Ora… Ora… Bè, non posso proprio dire altro! XD Presto scoprirete cosa accadrà!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 5
*** Un altro mondo ***


Capitolo 5

Un altro mondo

 
Stava fluttuando. Sentiva le membra pesanti, aveva ancora le palpebre serrate e faceva fatica a respirare, proprio come se fosse in uno stato di semi-incoscienza, come quando cercava di svegliarsi da un sogno spaventoso senza riuscirci, un sogno che gli avrebbe rovinato l’intera giornata, rendendolo più nervoso e irritabile del solito. Sì, stava fluttuando. Aveva braccia e gambe sollevate, come se fosse disteso su qualcosa, ma questo qualcosa non era altro che aria, un’aria pesante, opprimente, che gli stava impedendo di destarsi da quel torpore. Aveva provato a reagire muovendo la testa, ma non gli era stato possibile. Era come se qualcosa lo trattenesse, come se qualcosa lo avesse imprigionato con dei fili invisibili.
Il panico lo stava assalendo. Ed era panico misto a una rabbia incontrollabile. Eppure, sapeva che l’unico modo per venirne a capo era mantenere la calma. Ovunque egli fosse, provava delle forti emozioni, e ciò voleva dire che non era morto come avrebbe potuto sospettare inizialmente, ma che era ancora vivo. Era più volte passato a miglior vita, anche mantenendo il proprio corpo, ma quel genere di sensazioni si potevano provare solo nel caso opposto, e questo era un fattore positivo. Almeno, sperava che lo fosse. Ma perché era immobilizzato e incapace di espandere la propria aura? E, cosa più importante, che fine avevano fatto gli altri? Perché, la prima cosa che aveva fatto appena si era reso conto di essere vigile, era stata concentrarsi e provare a percepire gli spiriti dei presenti, soprattutto quelli della sua famiglia. Se qualcuno avesse osato fare del male a chi amava, non avrebbe avuto pietà alcuna, men che meno per se stesso, che, a quel punto, non sarebbe stato in grado di perdonare per non aver reagito al momento opportuno.
“Ma guarda… Chi avrebbe mai detto che ti saresti preoccupato tanto per qualcun altro. È proprio vero che le cose possono cambiare in maniera imprevedibile… Ma in modo così radicale non avrei mai potuto pensarlo. Non per uno della tua razza,  almeno”.
Non c’era un punto preciso da dove quella voce provenisse. Sembrava che fosse nella sua testa. Ma com’era possibile? Chi poteva averlo immobilizzato e averlo costretto nel suo stesso corpo violandogli la mente come se niente fosse?
“Quante domande, principe dei saiyan… O, forse, dovrei dire re?”.
Vegeta si stava innervosendo ogni istante sempre più. Era come se dalla base del suo cranio fosse partito un formicolio che si era sparso velocemente per tutto il corpo senza trovare un punto di sfogo. Perché lui non riusciva a reagire, lui non poteva reagire. E temeva che questo potesse farlo impazzire.
“Stai calmo… Non sono qui per farti innervosire. Vorresti sapere cosa sta succedendo e chi sono io, non è così?”.
Certo che era in quel modo. Certo che voleva sapere cosa diavolo stesse succedendo e chi fosse quell’invadente menomato che avrebbe presto fatto una brutta fine. Ma c’era qualche altra cosa che voleva sapere con maggior brama.
“Oh, maestà… Sei un’autentica sorpresa. Sta tranquillo. Loro stanno bene. Sono sani e salvi…Come? Non ti fidi di me? Vuoi guardare con i tuoi stessi occhi? Mmm… Sei diffidente e maleducato, sai? Ma, se ci tieni tanto…”.
Improvvisamente, la forza inspiegabile che gli serrava le palpebre era sparita, e Vegeta era stato in grado di aprire gli occhi, scoprendo, dopo un iniziale smarrimento dovuto all’accecante luce bianca che lo aveva abbagliato, che era effettivamente sdraiato nel bel mezzo del nulla, e che davanti a sé, quasi come se fossero appesi su un soffitto invisibile, giacevano addormentati Bulma e suo figlio Trunks.
Se prima era riuscito in qualche modo a mantenere la calma, la situazione era precipitata improvvisamente. Assalito dal timore che il proprietario della voce avesse fatto del male alla sua famiglia, Vegeta aveva provato ad incrementare la propria aura nella speranza di liberarsi da quella costrizione, ma era stato del tutto inutile. Qualcosa continuava a impedirgli di sfogarsi, qualcosa di molto più grande di lui che gli impediva di salvare chi amava.
“Tua moglie e tuo figlio sono a dir poco deliziosi. Lei è veramente bella, sai? Hai scelto bene… E il piccolo Trunks… Adorabile. Così educato, sensibile e forte… Ha ereditato i pregi di entrambi… Chi lo sa… Magari ha ereditato anche qualcos’altro da uno dei due, no?”.
Dal nulla, era comparsa un’affusolataa mano nodosa, una mano spettrale, dotata di lunghi artigli ricurvi. Sembrava che quella mano fosse l’appendice di un braccio immensamente lungo, un braccio mostruoso appartenente a qualche assurda creatura che doveva essere fermata a ogni costo.
“Nnnn… Nnn…” – ce la stava facendo. Contrariamente a quello che aveva creduto per un istante, quella sorta di compulsione poteva essere spezzata – “Non toccarlo”. Lo aveva detto chiaro e forte, con tutta la rabbia che aveva in corpo. Nessuno poteva permettersi di fare del male alla sua famiglia, men che meno davanti a lui. Non doveva sfiorarli neppure con un dito. Se ci avesse provato, lo avrebbe ucciso all’istante.
“Quanta forza principe dei saiyan… Non lo avrei mai creduto”.
E, dopo averlo detto, aveva ritratto la mano, e questa era sparita nel nulla, evanescente come un fantasma che aveva deciso di giocare un brutto tiro ai nuovi proprietari di una vecchia dimora. Solo che quella non era casa loro. Quello era un posto che in realtà non esisteva, era un posto che andava al di là della loro comprensione, e cominciava a temere che si trovassero lì proprio per colpa sua.
“Mostrati bastardo” – aveva sussurrato tra i denti, cercando di recuperare almeno un briciolo della calma perduta. Che epilogo di serata. Come avevano fatto a trovarsi lì? Erano a cena in uno stramaledetto ristorante per fare una sorpresa a Chichi, cosa c’entrava quella voce? A chi appartenevano essa e quella mano? E cosa voleva quel mostro da loro? – “Dove diavolo sei Kaharot, quando servi?”.
“È singolare che il tuo pensiero sia rivolto a Goku, in questo momento. Credevo che il principe dei saiyan fosse in grado di tirarsi fuori da solo, dai guai… Da qualsiasi genere di guaio”.
“Apri bene le orecchie maledetto bastardo…” – la vena sulla sua fronte pulsava vistosamente e stava sudando. Se avesse trovato il punto debole di quel tizio e di quella barriera invisibile, avrebbe potuto recuperare le energie necessarie per scappare e salvare la sua famiglia. Ma, se era in grado di leggere tra i suoi pensieri, qualsiasi mossa sarebbe stata vana. Eppure, poteva arrendersi senza averci davvero provato? Mai. Neppure tra un milione di anni – “Lascia andare mia moglie e mio figlio e liberami. Dopo, faremo i conti”.
“Molto nobile da parte tua… Sono colpito”.
“Saprei io come colpirti” – aveva pensato Vegeta, pentendosene un istante dopo. Non era quello il modo per convincere quell’individuo a fare ciò che gli aveva chiesto.
Si aspettava una risposta da parte sua, un’altra illusione acida, indecifrabile, invece, il nulla. Era come se fosse sparito, come se non si trovasse più lì. Per fortuna, era ancora in grado di vedere, e si era anche reso conto di riuscire a muovere il collo. Si era guardato prima a destra, poi a sinistra, ma l’unica cosa che aveva visto era il bianco, un bianco simile a quello che albergava nella Stanza dello Spirito e del Tempo. Eppure, era simile ma non uguale. Perché, nel bianco che li divorava, albergava qualcosa di malvagio, di spaventoso, e lui non aveva la benché minima idea di come fare per svegliarsi da quell’incubo.
Doveva riuscire a liberarsi. Era l’unica cosa che poteva fare al momento. Dopo, avrebbe liberato Trunks e Bulma e li avrebbe protetti a qualsiasi costo. Perché loro erano la sua famiglia, i suoi cari, e non poteva permettere che accadesse loro qualcosa di orribile.
“Forza Vegeta… Forza…” – si era incitato.
Ma, proprio mentre stava per accadere qualcosa di positivo, proprio quando si era reso conto di riuscire a muovere leggermente una spalla, il corpo di Bulma, seguito a ruota da quello di Trunks, avevano cominciato ad allontanarsi da lui.
“Ma cosa… Bulma! NO!”.
Nello stesso istante in cui la donna aveva aperto gli occhi, dietro la sua figura erano comparse delle fiamme verdi come degli smeraldi e lei, immobile come una statua di cera, aveva pronunciato il suo nome, chiamandolo disperatamente, con una sofferenza nella voce che non aveva mai sentito prima di allora.
“BULMAAAA!” – aveva fatto di tutto per liberarsi, di tutto, ma non c’era riuscito. Così, in preda alla disperazione e con gli occhi velati da lacrime di dolore e rabbia, aveva assistito alla morte di sua moglie arsa viva da fiamme più calde di quelle dell’inferno, scoprendo che, di lì a poco, lo stesso destino sarebbe toccato anche a suo figlio.
Non ce l’aveva fatta a non guardare. Nonostante ci avesse provato, i suoi occhi erano rimasti incollati su quei corpi straziati. E, proprio quando stava per arrendersi, quando stava per abbandonarsi alla più totale disperazione, una mano ossuta e fredda come il ghiaccio si era posata sulla sua spalla, e la stessa voce che lo aveva tormentato fino a pochi minuti prima gli aveva sussurrato all’orecchio.
“Tutto ciò che tocchi sarà destinato a perire tra le fiamme. Ricorda, Vegeta, ricorda i loro occhi quando sarà il momento, ricorda il loro dolore e il tuo. Questo è solo l’inizio principe dei saiyan. Questo è l’inizio della fine”.

 
*
 
“NOOOOO!”.
“Sta calmo amore! Calmo!”.
Aveva aperto gli occhi scatto, scoprendo di essere in grado di sollevarsi senza fatica. Le catene invisibili che lo rendevano prigioniero non esistevano più, così come non esisteva più il bianco opprimente che lo aveva circondato fino a qualche istante prima. C’era un forte odore di fumo nell’aria, e percepiva una presenza minacciosa incombere su di loro. Eppure, c’era anche qualche altra cosa che credeva di aver perso per sempre. C’erano la voce di sua moglie che cercava di rassicurarlo e le sue mani amorevoli che lo accarezzavano e stringevano senza alcun timore.
“Bu-Bulma…” – com’era possibile? Lui l’aveva vista morire, l’aveva vista bruciare viva insieme a loro figlio. Che cosa stava succedendo?
“Sono qui amore mio… Sta tranquillo”.
Ora che lo guardava meglio, sembrava che non se la fosse cavata benissimo: Il bellissimo abito da sera era strappato in più punti, era sporca di terra e sangue e i capelli erano tutti arruffati. In più, aveva perso le scarpe e i numerosi tagli che aveva sulle piante dei piedi dimostravano che aveva camminato a lungo scalza.
L’aveva abbracciata senza pensarci due volte, stringendola al petto fin quasi a soffocarla. Aveva la bocca secca e gli facevano male gli occhi e i muscoli. Non aveva idea di cosa stesse accadendo ma non gli importava. Sua moglie era viva, e questo era l’importante.
“Amore mio…”.
“Dov’è Trunks?” – l’aveva interrotta bruscamente, in preda al panico, scostandosi da lei e guardandola intensamente negli occhi.
“Sta riposando in quella grotta, tesoro… Insieme agli altri…”.
“Gli altri?” – questo significava che Kaharot e la sua famiglia stavano bene.
“Sì…” – lei era stravolta, provata oltre ogni immaginazione. Sembrava sul punto di volergli dire qualcosa ma che le mancasse il coraggio.
“Che cosa non vuoi dirmi, Bulma?”.
Era impossibile che Vegeta non notasse l’ansia nella sua voce. Così come non era possibile che Bulma non avesse notato la sua, di ansia.
“Tesoro… Io… Penso che sia il caso che tu venga con me” – e si era alzata, invitandolo a seguirla.
Non era stato facile. Era come se lui avesse dormito per settimane e che il suo corpo non rispondesse ai comandi impartiti. Con estremo sforzo, Vegeta si era messo in piedi e, barcollando un po’, si era deciso a seguire Bulma. Solo allora si era accorto di trovarsi in cima a un paesaggio roccioso, probabilmente una sorta di montagna, e che ciò non lasciava presagire nulla di positivo. Rocce più altura significavano una sola cosa: difesa. Ma difesa da cosa?
Mentre formulava quei pensieri, Vegeta aveva raggiunto il punto in cui lo aveva condotto sua moglie e aveva colto l’invito a guardare, sperando che fosse ancora nell’incubo da cui aveva tante volte provato a svegliarsi. Quanto aveva visto era spaventoso e inspiegabile: tra alberi abbattuti, campi bruciati e case divelte, si ergeva una costruzione altissima, una sorta di torre simile ad una zanna d’avorio circondata alla base e a diverse altezze da anelli concentrici che formavano balconi e gradinate. E lì, lì in cima, fluttuava lo stesso stemma che aveva visto un milione di volte. Lì, sulla sommità di quel corno gigantesco, troneggiava lo stemma del re dei saiyan.
Continua…
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Eccomi qui, a diffondere ancora dubbi e aloni di mistero!
*Cleo ha manie di grandezza, ultimamente*
Ragazzi, credetemi, non so neanche io da quale angolo della mia mente malata sia venuto fuori questo capitolo. So solo che ho paura. Ho più paura di Vegeta, perché quello che accadrà non sarà piacevole per nessuno.
Purtroppo – o meglio, meno male – non posso aggiungere altro.
Vi ringrazio per aver letto questo capitolo e per aver recensito i precedenti, scusandomi in anticipo per refusi vari ed eventuali.
Vi adoro!
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 6
*** Rivelazioni ***


Capitolo 6

Rivelazioni

 
“Non è… Non è possibile… Io non capisco… Non capisco…”.
Continuava a ripeterlo come un mantra, incapace di staccare gli occhi sgranati e velati di lacrime da quello scenario post-apocalittico. Era un qualcosa che non avrebbe potuto spiegarsi neanche volendo. Se davvero aveva dormito, quel risveglio era stato anche peggio dell’incubo che lo aveva tormentato con tanta insistenza mentre era imprigionato dalle invisibili catene di quel bianco così inquietante e opprimente. Per un attimo, aveva creduto che fosse quella l’illusione. Per un attimo, aveva creduto che non ci fosse niente di reale in quella costruzione, nel tocco di sua moglie, nella sensazione del vento che sferzava sul suo viso. Ma quel corpo era suo, quelle aure erano tangibili, così come l’incombente presenza malvagia che aleggiava tutt’attorno non poteva essere confusa con le reminiscenze di un sogno dai risvolti oscuri. No. Quello che vedeva non poteva non essere reale. Quello che vedeva era il mondo, il loro mondo, ferito, dilaniato, martoriato da un male sin troppo grande per essere compreso, affrontato e sconfitto. E lui, principe consapevole dell’inevitabile sorte avversa, cosa avrebbe potuto fare per difendere chi amava? Quella volta, lui, Vegeta, cosa avrebbe potuto fare per arginare il male?
“Questo è ciò che abbiamo visto al nostro risveglio” – gli aveva detto la moglie, avvicinandosi con cautela. Comprendeva lo smarrimento del marito. Era stato lo stesso provato da tutti. Quel senso di desolazione, di sconfitta, era stato il peso più grande che avevano dovuto affrontare sino ad allora. Nulla li aveva resi così vulnerabili e fragili. Quell’onnipotenza così ostentata, così malevola, li aveva costretti a nascondersi come conigli in una tana troppo piccola e poco protetta. Ma che alternative avevano avuto? Nessuna. Assolutamente nessuna. Erano state quelle le parole che aveva usato per descrivere la situazione. Una situazione che aveva qualcosa di grottesco, oltre che crudele e incomprensibile.
“Non saprei dirti cosa sia accaduto veramente” – aveva proseguito – “Ci siamo risvegliati in questo luogo dopo aver abbandonato lo stato comatoso in cui eravamo. È stata un’esperienza orribile. Tutti noi ricordiamo solo di essere stati prigionieri del nostro corpo. Sentivamo le urla, il dolore di chi ci circondava, ma non potevamo fare niente. Goku, Goten e Trunks ci hanno raccontato di aver provato a scrutare con gli occhi della mente quanto avevano attorno, ma è stato tutto vano. Abbiamo tutti sentito i morsi della fame, la sete, il dolore delle membra costrette a stare nella stessa posizione per un tempo che è sembrato infinito. E poi… Poi… Quando tutto è finito e abbiamo aperto gli occhi, ci siamo trovati esattamente dove eravamo all’inizio. Eravamo ancora nel ristorante, ma tutto era cambiato. Era come se un meteorite si fosse abbattuto non solo su di noi, ma sul mondo intero. E, quando abbiamo guardato fuori, questo è quello che abbiamo visto: morte, desolazione e tormento. E tu… Tu, amore mio, non riuscivi a destarti dal tuo sonno. Ho provato a scuoterti, ci ho provato ancora, ancora e ancora, ma non è servito a niente. Per un attimo, ho avuto paura di averti perso di nuovo. Ma respiravi, il tuo cuore batteva. E Goku ti ha portato in spalla fino al punto più remoto che conosceva. Niente è come lo conoscevamo”.
Aveva fatto una lunga pausa, cercando di non soffocare nelle sue stesse lacrime. Quello che avevano dovuto fare per sopravvivere era stato terribile. Erano stati giorni duri, bui, pieni di terrore. Ma come avrebbe potuto spiegare tutto quello all’uomo che amava senza sentirsi tremendamente responsabile?
“Il mondo è cambiato, Vegeta. Non esiste più niente all’infuori di quello che vedi. Qualcuno ha distrutto ogni cosa, anche i luoghi che consideravamo impenetrabili. Il palazzo e quanto vedi ai suoi piedi è tutto ciò che resta del mondo. Il resto, non è altro che una serie di castelli che lui controlla senza pietà. Le città non esistono più. Uomini e donne sono stati resi schiavi. I bambini sono stati separati dalle madri, gli anziani e i malati sono diventati carne da macello… E lui… Lui regna incontrastato su tutti noi. E non abbiamo la più pallida idea di come fare a fermarlo”.
Quello sarebbe stato il momento più opportuno. Arrivati a quel punto, avrebbe dovuto chiedere di chi o cosa stesse parlando, chi o cosa fosse l’artefice della rovina del mondo, ma non era certo di volerlo sapere. Forse, anche lui avrebbe dovuto raccontarle quanto aveva visto, ma perché tediarla con altre preoccupazioni relative a una possibile dipartita imminente? Perché angosciarla con quel fardello?
“Che cosa non mi stai dicendo, Bulma?”.
Glielo aveva detto con voce ferma, impassibile, con lo sguardo fisso davanti a sé e le mani morbide lungo i fianchi. Aveva addosso il completo che aveva indossato per la cena di Goku e Chichi, un bel completo nuovo che era stato rovinato dall’orrore che qualcuno aveva perpetrato per chissà quale infido scopo. Con quale genere di nemico avevano a che fare? Con quale bestia avrebbero dovuto almeno provare a scontrarsi? Aveva il cuore in tumulto e le membra pesanti, Vegeta. Ma, davanti a lei, non avrebbe mostrato neppure il più lontano segno di cedimento. Era l’unica cosa che poteva fare per sperare di proteggerla.
Lei lo aveva guardato a lungo prima di scoppiare a piangere, cadendo letteralmente in ginocchio ai suoi piedi. Aveva nascosto il viso tra le lacrime, vergognandosi per la sua stoltezza e per la sua estrema ingenuità.
“Temo… Temo di essere io la causa di tutto questo…” – aveva detto lei tra i singhiozzi.
Lui, ancora una volta, era rimasto impassibile, quasi fosse diventato di pietra.
“Non abbiamo avuto modo di vederlo… Lui non si è mostrato… Ma guarda cosa impera sulle nostre teste! Guarda quale simbolo svetta in cima a quella torre di morte e sofferenza!”.
Lo aveva praticamente urlato, incapace di controllare le sue emozioni. Quanto aveva patito doveva essere stato atroce, e lei, piccola anima smarrita, si sentiva impotente rispetto alla sciagura che credeva di aver, seppure involontariamente, causato.
“Ogni istante mi convinco sempre più che sia stata colpa mia. Pensi che non abbia notato la tua espressione nel vedere quale fosse il dono che ti avevo fatto? Tu avevi compreso sin dal primo istante che quella non fosse una mera coincidenza, non è forse così? Sono stata una folle… Avrei dovuto lasciarlo su quella maledetta bancarella e andare via. Invece, ho fatto la sciocca e ora…”.
“Alzati” – le aveva ordinato, imperioso, senza distogliere lo sguardo da davanti a sé – “Immediatamente”.
Solitamente, Bulma non tollerava quel genere di imposizione, ma aveva obbedito ciecamente, asciugandosi le lacrime col dorso della mano e lisciandosi ciò che restava del suo abito, rimanendo in attesa di una mossa di Vegeta, mossa preceduta da un opprimente silenzio. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere in grado di leggere nella mente di suo marito. Qualsiasi. Ma ecco che, quando stava per chiedere, Vegeta aveva proferito parola, mostrandosi fiero e orgoglioso come sempre.
“Portami dagli altri. Adesso. E, Bulma: non voglio mai più vederti piangere. Né ora, né mai”.
Erano state quelle le sue ultime parole prima di dirigersi verso la grotta scortato da sua moglie. Lei non avrebbe mai dovuto piangere né sentirsi in colpa per quello che stava accadendo. Non era Bulma il mostro che aveva causato quella sciagura. Sperava solo che lei riuscisse a capirlo sin nel profondo.

 
*
 
“Svegliati, idiota. Non è il momento di fare il bell’addormentato” – aveva svegliato Goku con un calcio nei reni, lo sguardo carico d’odio e una risolutezza che nell’ultimo periodo gli era venuta meno.
I saiyan si era destato dal suo sonno urlando di dolore, causando irrimediabilmente la stessa sorte negli altri.
“Ma sei impazzito?” – lo aveva rimproverato Chichi, soccorrendo suo marito dolorante per il colpo subito.
Goku stava respirando a fatica, premendo forte sulla parte lesa nella speranza di alleviare il suo dolore.
“Tsk. In questo modo hai garantito la salvezza di tutti, Kaharot?” – lo aveva rimproverato, velenoso come un cobra.
“Io-io almeno ero sveglio” – Goku aveva risposto con una punta di acidità nella voce che non gli si addiceva. Guardava Vegeta con risentimento, quasi volesse saltargli addosso e picchiarlo. Che bisogno c’era di reagire in quel modo in una situazione come quella?
Sentendosi punto nel vivo, Vegeta aveva serrato forte i pugni, digrignando rumorosamente i denti.
“Credo che tu non abbia capito con chi abbiamo a che fare, Kaharot”.
“Oh, ma davvero? Illuminaci tu che sai tutto, allora!” – era intervenuta Chichi, furiosa. Non si trovava in condizioni migliori di Bulma, ma almeno quest’ultima era rimasta bella come sempre. Lo stesso non si poteva dire della mora, che con quel broncio misto a sporcizia sembrava molto meno attraente del solito.
“Papà…” – Trunks gli era praticamente corso incontro, fermandosi davanti a lui nello stesso istante in cui si era reso conto del buongiorno che aveva riservato a Goku.
Era confuso. Perché comportarsi in quel modo dopo tutto quel tempo che erano stati separati?
“Se non te ne fossi accorta, siamo in guerra, sciocca donna! Una guerra che ci terra impegnati molto più del previsto, fidati del sottoscritto!”.
“Fidarmi di te?” – aveva urlato lei, al limite dell’indignazione – “Io, NOI, dovremmo fidarci di te? Lasciami indovinare, Vegeta, tu sai esattamente chi ha causato tutto questo, vero?”.
Se ne avesse avuto l’opportunità, gli avrebbe cavato gli occhi dalle orbite. Era convinta che Vegeta sapesse chi c’era dietro a quel disastro.
“Da quando siete venuti sulla Terra a cercare Goku, non abbiamo avuto un attimo di pace. Siamo stati attaccati da qualsiasi tipo di mostro o creatura pronta a vendicarsi dei torti subiti a causa vostra! Voi saiyan siete stati la rovina del mondo! Vi odio per questo! Vi odio!” – si era alzata in piedi, stringendo i pugni con tanta forza da farsi penetrare le unghie nella carne – “È per colpa vostra se soffriamo! Se, ogni singola volta, sono persone innocenti a pagare per i vostri crimini passati, presenti e futuri. Sono davvero stanca di tutto questo! Siamo tutti stanchi! Se sai chi è il responsabile parla una buona volta e finiamola qui!”.
“Oppure?” – Vegeta aveva riempito la pausa che si era venuta a creare senza esitazioni – “Perché c’è un oppure. Non è così, Chichi? Cosa farai? Mi staccherai la testa? Fa pure! Sono proprio curioso di vedere come farai”.
“Ma la volete smettere?” – Bulma non credeva alle proprie orecchie. Gli sembrava davvero il momento di mettersi a litigare per decidere di chi fosse la colpa di quanto stava accadendo? – “Non so se lo abbiate notato o meno, ma il mondo è andato a pezzi senza che ce ne accorgessimo! Chichi, adesso basta! Sono stanca di questa storia! Sì, Vegeta può aver commesso degli atti disumani in passato, ma è cambiato! Se la metti così, quante volte siamo stati attaccati da nemici che volevano misurare la propria forza con Goku? Anche tuo marito è un saiyan e di conseguenza è una calamita per guai di ogni genere! Ma mai, mai mi sarebbe venuto in mente di attaccarlo come tu stai facendo con Vegeta! E tu, mio caro, sei stato forse morso da una vipera durante il coma? Smettetela e cominciamo a ragionare sul da farsi. Chiunque abbia preso possesso del nostro pianeta deve essere fermato in un modo o nell’altro!”.
“Già…” – Trunks e Goten erano rimasti in disparte, decidendo di non partecipare alle dispute “dei grandi”. Così, solo il piccolo saiyan dai capelli corvini era stato in grado di udire le parole del suo amico del cuore – “Ma quale sarà il modo più adatto per fermarlo se non sappiamo neppure chi è il nostro nemico?”.

 
*

Avevano dovuto attendere che gli animi si placassero prima di stabilire il modo più adatto per agire. Il clima non era disteso, e c’era da aspettarselo, dati i risvolti di quella sorta di riunione. Nessuno di loro aveva realmente torto, ma nessuno aveva pienamente ragione.
Vegeta aveva eliminato le parti del completo che più gli impedivano di muoversi, rimanendo in piedi, immobile, sulla cima dell’altura, a fissare quanto si ergeva all’orizzonte, cercando di concentrarsi su tutto quello che aveva attorno. Bulma e suo figlio avevano deciso di non disturbarlo, osservandolo da lontano insieme agli altri. Chichi continuava ad avere addosso il cipiglio di prima, mentre Goku, dopo l’iniziale reazione alquanto violenta, sembrava essere dispiaciuto per la situazione venutasi a creare. Aveva sbagliato a dire quelle cose a Vegeta. Solo perché quest’ultimo si era comportato male, ciò non significava che avrebbe dovuto ricambiare con la stessa moneta. Il fatto era che quella faccenda sfiorava livelli di assurdità mai visti sino a quel momento. E dire che ne avevano passate davvero tante. Ma era come se fossero isolati dall’universo intero, e la cosa lo tormentava più di quanto non desse a vedere. Appena si era destato da quel sonno, aveva provato a concentrarsi per contattare re Kahio del Nord, ma era stato vano. Era come se il legame che era in grado di creare con l’Aldilà fosse svanito nel nulla. Lo stesso era successo con Dende e Popo, al Palazzo del Supremo. Qualcosa gli stava impedendo di chiedere aiuto, o anche solo la parvenza di una spiegazione. Ed era certo che questo qualcosa fosse l’aura malvagia che aleggiava su tutti loro. Era qualcosa di a dir poco spaventoso. Non tanto per la potenza che emanava, ma per quanto fosse negativa, malvagia. Credeva di aver conosciuto il male quando aveva affrontato Kid-Bu, ma era evidente che si fosse sbagliato. Non era così idiota da non essersi reso conto che quella faccenda avesse a che fare con il medaglione che Bulma aveva donato a Vegeta, ma continuava a non capire quale fosse il legame tra i due avvenimenti. Sapeva solo che era sparito nel nulla, e che, se davvero era la chiave di tutto, si trovavano veramente in guai seri. Sicuramente, rimanere nascosti in una grotta a morire di fame e di sete non li avrebbe aiutati. Quindi, sarebbe stato meglio escogitare qualcosa, e in fretta. O le cose sarebbero precipitate prima che potessero anche pensare di risolverle.
“È potente” – aveva detto, avvicinandosi a Vegeta – “Potente ed estremamente malvagio”.
“Lo so” – era stata la sua breve risposta.
“Pensi che…”.
“Sì, Kaharot. Non sono stupido. Penso che la chiave di tutto sia il medaglione che mi ha regalato Bulma. E anche lei lo pensa, quindi ti prego di non sottolinearlo ulteriormente. Si sente già abbastanza in colpa”.
“Hai ragione… Ma…”.
“Dovremmo recuperarlo? Certo. Se solo sapessimo dove diamine si trovi!”.
Era nervoso. Vegeta era tremendamente nervoso. Per questo, temeva quale sarebbe stata la risposta alla sua prossima domanda.
“Senti… Ma tu… Tu sai cosa davvero significava quel simbolo? Se lo sai devi dirmelo, Vegeta… È troppo importante”.
Il principe dei saiyan aveva leggermente chinato il capo prima di rispondere, chiudendo gli occhi, come per scacciare via un peso troppo grande, un ricordo troppo doloroso per essere condiviso a cuor leggero.
“Kaharot, credimi. Non vedevo quel simbolo da quando Freezer ha annientato mio padre e distrutto il nostro pianeta. O almeno, così credevo. Ero un bambino quando questo è accaduto, ed è evidente che la mia memoria mi abbia giocato qualche scherzo. Forse, i continui colpi alla testa degli ultimi quarant’anni cominciano a dare i loro frutti”.
Ironia. Vegeta stava facendo ironia. Stentava a crederci.
“Lei lo aveva detto. ‘Questo simbolo somiglia a quello che disegni sempre’. Già. Gli somiglia. Ma questo significa che non è il simbolo regale dei saiyan. E mi chiedo come ho fatto a non essermene reso conto prima”.
“E allora, che simbolo è, Vegeta?”.
Ancora un’esitazione prima di rispondere. Cosa aveva paura di dirgli?
“Quel simbolo è quello del gran sacerdote dei saiyan, Kaharot”.
“Il gran… Il gran sacerdote?” – aveva appena scoperto che i saiyan adoravano una qualche divinità e che avevano anche un gran sacerdote. Ma che ci faceva lì il suo simbolo?
“Sì, Kaharot. Quello è il simbolo dell’uccisore degli dei”.
“Eh? Ma… Che significa?” – era confuso. Un uccisore di dei? Ma i sacerdoti non li adoravano?
“Significa che siamo soli, Kaharot. E che non avremo nessun Dio a cui fare appello, stavolta. Che sia il Supremo o un qualsiasi Kahio che si trovi dall’altra parte. E significa che siamo stati noi a liberarlo, Goku. Con tutto quello che comporta”.
“Vegeta, mi stai spaventando”.
“Oh, Kaharot… Fidati di me… Fai bene ad avere paura. Perché questa, è l’unica cosa che potrebbe tenerti in vita al momento”.
“Ma…”.
“Non ci sono ma. Né se. Non questa volta. E io non so come fare per rispedire quel mostro nel buco da cui lo abbiamo involontariamente tirato fuori”.
Continua…
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Finalmente, Cleo è puntuale! 
Non ci crede neanche lei! xD
Scherzi a parte, finalmente abbiamo capito chi c'à dietro a tutta questa storia! 
Nel prossimo capitolo scopriremo di più! 
Bacioni
E grazie di tutto!
Cleo

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Capitolo 7
*** Una vittoria a metà ***


Capitolo 7

Una vittoria a metà

 
Spiegare brevemente agli altri quanto fosse realmente accaduto non era stato facile. Vegeta era dovuto partire da lontano, narrando loro di una vicenda che i saiyan imparavano sin dai primi anni di vita.
“Questa era la storia che ci veniva raccontata prima di andare a dormire, per rammentarci che il potere può avere un prezzo molto alto da pagare e che per ottenerlo bisogna essere disposti a pagarlo, anche con la vita”.
I presenti non avevano osato emettere un fiato, pronti a carpire ogni singola sfumatura di quel racconto nella speranza di poter trovare una soluzione a qualcosa che era evidentemente più grandi di loro.
Per tutto il tempo, Goku era rimasto accanto a Vegeta, quasi volesse supportarlo nella scelta delle parole più adatte da usare in quella circostanza così particolare. Se avesse potuto, avrebbe preso donne e bambini e li avrebbe condotti al sicuro sul pianeta dei Kaioshin, ma un crudele scherzo del destino, o meglio, il piano malefico di quella creatura infernale, glielo aveva impedito. Erano soli, bloccati sul loro pianeta come topi intrappolati nella loro tana, e Goku sperava ardentemente di non fare la loro stessa fine.
“C’è stato un tempo buio per noi saiyan, un tempo più buio del nostro asservimento a Freezer, un tempo in cui credevamo fermamente a una divinità. Il termine più adatto che mi viene in mente per tradurre il suo antico nome è guerriero. I saiyan lo adoravano con ardore. Il Guerriero infondeva loro la forza necessaria per intraprendere anche le più crudeli battaglie senza il timore della morte. Anzi, è stato proprio il Guerriero a insegnare loro a sfidarla senza timore, ma sempre con rispetto. Ogni anno, per secoli, il gran sacerdote e i suoi adepti sacrificava in suo onore il combattente più forte dell’ultimo pianeta conquistato, in modo da intercedere presso di lui affinché donasse a noi tutti forza e coraggio. Il gran sacerdote ha sempre goduto del rispetto di tutto il popolo, anche del re, che non si piegava mai davanti a nessuno. Lui parlava in nome di un dio supremo, e nessuno avrebbe mai messo in discusso la sua parola. Ma poi… Poi, è arrivato lui, Vickas, e le cose sono cambiate senza che neanche se ne accorgessero. Al contrario dei suoi predecessori, egli pretendeva di seguire i soldati saiyan nelle spedizioni e non ambiva più ad avere un guerriero da sacrificare. Al suo posto, preferiva l’officiante del posto, dicendo che sacrificare un infedele al nostro dio lo avrebbe reso più fiero e benevolo verso noialtri. Ovviamente, niente di quanto usciva dalla sua bocca corrispondeva a verità, e l’errore più grande commesso dal sovrano dell’epoca, oltre a credergli, è stato quello di non aver agito quado ancora era in grado di fermarlo. Vedete, Vickas non sacrificava gli officianti al Guerriero. Credo che quell’eventualità non gli sia passata per la testa neanche per un attimo. Lui li usava per entrare in contatto con le divinità che veneravano. Fin qui, niente di strano, mi rendo conto. Ma la stranezza è arrivata quando ha acquisito la capacità di imprigionare gli dei e di attingere al loro potere, diventando così forte da essere persino in grado di privarle della loro esistenza immortale, caratteristica che gli è valsa il suo odiato soprannome”.
“L’uccisore degli dei” – era intervenuto Goku, con uno strano tremolio nella voce.
“Esattamente” – aveva proseguito Vegeta, che aveva notato lo sguardo atterrito dei presenti – “Lui assorbiva il potere dalle divinità, tutto il loro potere, e le privava della vita, diventando ogni giorno sempre più forte e sempre più crudele. Provate a immaginare cosa significhi possedere tutta quella forza, tutta quella potenza. Era diventato invincibile. I saiyan che abitavano il pianeta in quell’epoca non hanno mai compreso come potesse aver sviluppato simili capacità e come fosse possibile che nessuno se ne fosse accorto a tempo debito. Quando finalmente il re ha capito quale fosse la minaccia che incombeva sulla sua stirpe e sull’intero pianeta, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per fermarlo. Eppure, nessuno tra i suoi soldati più forti, guerrieri scelti per la loro crudeltà, il loro coraggio e la loro forza fisica, sono stati in grado di fermarlo. Occorreva un sacrificio più grande. Un sacrificio che ha comportato il dispendio di più potere di quello che avrebbero potuto immaginare. Quel medaglione, Bulma, il medaglione che abbiamo creduto fosse un oggetto innocuo, era la prigione che il Guerriero aveva donato al re per liberarsi della minaccia di Vickas. Per far sì che il Guerriero lo ascoltasse, era salito egli stesso al tempio chiedendo udienza, supplicandolo di un aiuto, offrendo come dono la sua stessa vita, e scoprendo, suo malgrado, che per il Guerriero ciò non fosse abbastanza. Lui voleva per sé un altro dono”.
“Un altro… Un altro dono?” – Bulma non era certa di voler sapere quale fosse il seguito di quella storia.
“Il Guerriero ha preteso la vita dell’unico figlio del re”.
Un silenzio tombale era piombato tra loro. Quella storia non poteva corrispondere a verità. O sì? Il re aveva davvero sacrificato il suo unico figlio per salvare tutti? Non potevano crederlo.
“Il prezzo da pagare fu immensamente alto, ma il sangue del principe sacrificato sull’altare del Guerriero diventò un disco duro e lucente, e non credo che ci sia bisogno di specificare di cosa parlo”.
“Mio Dio…” – aveva sussurrato Bulma, portandosi le mani alla bocca. Aveva toccato un oggetto forgiato dal sangue di un essere usato per un sacrificio. Sarebbe scoppiata a piangere per il ribrezzo se ciò non fosse stato troppo, in quella circostanza.
“Il destino dell’intera razza saiyan sarebbe stato segnato per sempre senza quell’intervento. A quel punto, il re ebbe la forza necessaria per fermarlo, ma non avrebbe potuto farlo da solo. Per far sì che la prigione potesse aprirsi, i guerrieri dovevano essere due. Ed è qui che entra in gioco l’ultimo tra gli ultimi, un essere che viveva nei bassifondi, un essere che non aveva mai partecipato a una battaglia nella sua vita, un essere apparentemente senza valore, ma che aveva in sé il coraggio di un autentico guerriero saiyan. Nessuno sa cosa accadde durante la battaglia. Le antiche scritture non riportavano dati su questo, ma quegli esseri così agli opposti furono in grado di imprigionare Vickas, nonostante definissero quella una vittoria a metà. Fino a oggi, a quanto sembra. O meglio, fino a quando non lo abbiamo liberato con le nostre azioni scellerate”.
“Non puoi accusarti di questo, Vegeta” – gli aveva detto Gohan – “Non potevi sapere che…”.
“Quando sarai abbastanza maturo, imparerai dai tuoi errori. Io ne ho commesso uno imperdonabile non prestando ascolto al tarlo che si era insinuato in me. Qualcosa mi diceva che non poteva essere solo un caso se quel medaglione fosse finito proprio nelle mie mani, ma non gli ho prestato ascolto. Se lo avessi fatto, forse…”.
“Basta così” – Chichi era piombata in piedi, risoluta – “Abbiamo tutti affrontato la questione in modo sbagliato, fino a ora. Ma sappiamo con chi abbiamo a che fare, quindi…”.
“Tsk… Come se fosse così facile. Il Guerriero non viene più pregato da secoli e il medaglione non esiste più. Non sappiamo neppure perché avesse quello squarcio, nel mezzo. Di certo, recava il simbolo del gran sacerdote perché indicava che lì albergava quel mostro. Ma ora, secondo voi, dove potremmo trovare qualcosa che gli si avvicini?”.
“Dende o re Kahio potrebbero…”.
“TSK! MA È POSSIBILE CHE NON LO CAPIATE?” – non era riuscito a trattenersi – “Dende, Popo, Re Kahio del Nord, i Kaioshin… Potrebbero non esistere più!”.
“Co-cosa?” – Goten e Trunks lo avevano detto all’unisono, guardando disperatamente Goku per ricevere una smentita che non sarebbe mai arrivata.
“Siamo soli, qui, se non lo aveste ancora capito. Siamo soli con quel mostro. E non ho la più pallia idea di come fare a sconfiggerlo”.

Continua…
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*Cleo chiede scusa per l’ennesimo ritardo*
E il bello è che questo capitolo l’ho scritto due settimane fa, ma poi sono andata al mare, non avevo internet e non ho potuto postarlo.
Ma eccomi qui, pronta a rendervi partecipe dei mille problemi dei nostri amici. Vegeta impazzirà, prima o poi… Povero caro…
Bene, direi che sono nel fango fino alle orecchie. Come potranno sconfiggere Vickas? Sono soli, tagliati fuori dal mondo, non si sa dove siano gli altri, se siano ancora vivi o meno, non si sa niente. Si sa solo che un mostro governa il mondo e che c’è bisogno di un sacrificio per fermarlo. Ma, ancor più. Il guerriero esiste ancora o no? *MISTERO*
Ciò detto, vi saluto, augurandovi un buon rientro dalle vacanze e aspettando che sia lunedì prossimo per aggiornare di nuovo!
Un bacione
Cleo

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Capitolo 8
*** Una nuova realtà ***


Capitolo 8

Una nuova realtà

 
Aver preso la decisione di lasciare nella caverna Bulma, Chichi, Trunks e Goten non era stato semplice. Ma non potevano rimanere nascosti lì per sempre, e non potevano lasciar morire di fame le loro famiglie. I bambini si erano lamentati di quanto fosse stato ingiusto aver scelto di lasciarli indietro, perché sostenevano di non aver alcun bisogno di essere protetti e di sapere perfettamente quando e come dare aiuto ai grandi. Goten aveva urlato a squarciagola di essere ormai diventato un ometto e di essere anche più forte di Gohan, e che per questo non aveva la benché minima intenzione di nascondersi dal nemico, neppure se questo era un pazzo sanguinario desideroso di uccidere le divinità. Era quasi scoppiato in lacrime pur di convincere il padre e il fratello a non lasciarlo indietro, ed era stato solo grazie all’intervento di un più maturo Trunks se aveva cambiato idea, accogliendo la proposta dei loro papà.
“Dobbiamo occuparci delle nostre mamme” – aveva detto il piccolo saiyan dai capelli lilla dopo aver fatto anche lui un po’ di capricci – “Hanno bisogno di noi”.
Ed era vero. Bulma e Chichi avevano realmente bisogno di protezione. Soprattutto, avevano bisogno di sapere che i piccoli di casa fossero al sicuro, anche se, a ben vedere, sembrava che sulla Terra non esistessero più luoghi sicuri.
Chichi non era stata contenta di vedere Gohan seguire il padre e Vegeta, ma comprendeva quanto fosse importante fare una ricognizione e quanto fosse ancora più importante – almeno per ora – rifocillarsi. Il punto era che esisteva anche un altro motivo che la rendeva estremamente nervosa e preoccupata, ma non avrebbe osato dare voce a quel timore perché mai avrebbe potuto provare a dissuadere suo figlio qualora avesse deciso di seguire il suo cuore e partire alla ricerca della sua Videl.
“Stai attento” – erano state le uniche parole che aveva riservato per lui, le stesse che aveva sussurrato a Goku dopo averlo stretto in un forte abbraccio.
Bulma e Vegeta non avevano osato dirsi nulla. Erano intervenuti gli occhi a sopperire alla mancanza delle parole. Uno sguardo severo ma preoccupato di lui, e il dolore di lei dovuto alla separazione imminente e alla consapevolezza dei tormenti che stavano lacerando il suo uomo. Vegeta non era un folle, al contrario di quello che tanti continuavano a credere, compresa la lì presente Chichi. Il principe dei saiyan era una creatura razionale, calcolatrice e sicuramente stava elaborando un piano che potesse trarre tutti in salvo, un piano che cominciava con l’analizzare la situazione sin nel più piccolo dettaglio e nello scartare i pro e i contro che avrebbero portato a formulare un piano A, un piano B e in evenienza anche un piano C.
Quello che Bulma non poteva sapere era che, in quell’occasione, non esistevano piani alternativi. In verità, non esisteva neppure un autentico piano A, perché, per la prima volta nella sua vita, Vegeta non aveva neanche la parvenza di un’idea che potesse risolvere la situazione.
“Torneremo entro l’alba” – aveva sentenziato, dando le spalle a chi sarebbe rimasto indietro – “Non osate uscire da qui per nessuna ragione al mondo. Trunks, Goten, siete responsabili dell’incolumità delle vostre madri. Conto su di voi” – ed era andato via prima ancora che i bambini potessero dire qualcosa, anche un semplice ciao.
Esattamente opposta era stata la reazione di Goku – “Mi raccomando, fate i bravi” – aveva detto, accarezzando le testoline di entrambi – “Torneremo presto”.

 
*
 
Avevano deciso di avvicinarsi a quello strano agglomerato di costruzioni che doveva sicuramente essere la città governata da quel mostro con estrema circospezione. Non erano esperti di missioni stealth, ma per necessità erano in grado di improvvisarsi anche provette spie del governo, e quella era una necessità con la N maiuscola.
Il primo punto di quella ricognizione era cercare di capire quali fossero le reali condizioni degli esseri umani. Sicuramente ridotti in schiavitù, erano consapevoli del loro nuovo stato o erano vittima di qualche sorta di maleficio? Vegeta non sapeva quali fossero tutte le potenzialità di Vickas, e non voleva farsi cogliere impreparato. Soprattutto perché non avevano la più pallida idea di che aspetto avesse e se fosse nel palazzo o meno. Per entrare nella cittadina, sarebbero stati costretti a mascherare il loro aspetto. Non era difficile immaginare che loro fossero in cima alla probabile lista dei ricercati stilata dal nuovo regnante, e farsi beccare appena varcata la soglia della città sarebbe stato da perfetti idioti. Fossero stati soli, forse, avrebbero attaccato la fortezza senza neanche pensarci, ma c’erano mogli e figli che attendevano il loro ritorno, e non potevano permettersi errori. Così, alle stregue dei peggiori ladri mai visti prima, avevano rubato alcune rozze coperte marroncine che qualche povera donna aveva avuto la noncuranza di stendere ad un filo dietro casa, e si erano ammantati con esse, facendo in modo di nascondere bene il viso. Vegeta provava un’immensa vergogna nel dover celare la propria identità, ma sapeva bene che non aveva alternative: o quello, o farsi scoprire ancor prima di aver capito come agire.
“Stiamo vicini e cerchiamo di non dare nell’occhio” – aveva detto, mantenendo un tono di voce molto basso – “E mi raccomando, non fate niente di stupido”.
Se per fare niente di stupido Vegeta intendeva non fare niente e non aiutare chi avevano attorno, sarebbe diventato molto più complicato del previsto, perché lo scenario che si era palesato davanti ai loro occhi era stato più desolante di quanto avessero mai potuto immaginare. Ovunque, tra cumuli di immondizia e di fango, si ergevano piccole case in pietra con i tetti di paglia che sembra fossero sul punto di ripiegarsi su se stesse, inghiottendo così il cospicuo numero di persone che vi avevano trovato riparo. Bambini, donne e anziani, erano vestiti di stracci e avevano l’aspetto di chi non faceva un pasto decente da mesi. Ovunque vigeva un odore sgradevole, e avevano avuto modo di appurare che masse di animali emaciati vivevano nella stessa stanza dei loro padroni. Era una scena surreale, quasi come se fossero piombati sul set di qualche film medievale riprodotto in modo fin troppo fedele. Solo che quello non era un film: quella era vita reale, e loro c’erano finiti dentro senza sapere come.
“Che desolazione…” – aveva sussurrato Goku, incapace di girare lo sguardo davanti a tutta quella sofferenza.
“Ma come è stato possibile?” – Gohan non riusciva a farsene una ragione. Avrebbe voluto fermarsi e parlare con il primo passante in modo da capire come potesse essere accaduta una cosa simile, ma farlo significava svelarsi, e svelarsi significava mettere a repentaglio la missione, e forse anche morire. Aveva il cuore in tumulto. In quel luogo regnavano dolore, fame e miseria e sembrava impossibile anche solo pensare di debellarli.
“Una moneta” – lo aveva pregato un bambino sì e no dell’età di suo fratello, un bambino dal viso sporco, dai piedi scalzi e sanguinanti e dalla chioma arruffata – “Per piacere signore… Una moneta… Ho così tanta fame”.
“Io… Io…” – non aveva saputo cosa dire. Gli occhi stravolti dalla sofferenza e il brontolio di quello stomaco affamato lo avevano privato dell’uso della parola.
“Non abbiamo niente per te” – era intervenuto Vegeta, crudele, impassibile – “Vattene”.
Solo così erano riusciti a passare oltre, anche se il cuore dei presenti era rimasto indietro, sulla manina tesa di quel bambino bisognoso, compreso il cuore di Vegeta.
La situazione non era migliorata neppure nei pressi della fortezza. Stando a quello che aveva studiato nei libri di storia, accanto ai palazzi dei signori abitavano i contadini e i borghesi più ricchi, ma in quella situazione le cose erano andate diversamente. La miseria regnava ovunque, e sembrava che per nessuno potesse esistere una possibilità di riscatto.
Gohan aveva il cuore in gola. Se quelle erano le condizioni della popolazione, ciò voleva dire che nella stessa situazione si trovasse anche la sua Videl. Ma dove potevano essersi nascosti lei e suo padre? Sempre ammesso che fossero ancora in vita. Non aveva osato fare domande in giro, esattamente come gli era stato ordinato da Vegeta. Aveva provato a concentrarsi per individuare la forza spirituale di lei, ma gli era stato impossibile: troppo grande era l’aura malvagia di Vickas, così grande da coprire tutte le energie che avevano attorno. Non era stato neppure in grado di percepire la presenza di Junior. Cosa ne era stato del suo amico e maestro? Che fosse stato annientato insieme a Dende? Non poteva credere che ciò fosse possibile, ma se Vegeta aveva ragione su quel mostro, l’opzione non poteva essere scartata. Anche se, a ben vedere, entrambi non erano divinità nel senso stretto del termine.
“Sta calmo figliolo” – aveva cercato di rincuorarlo improvvisamente Goku, quasi avesse letto nei suoi pensieri – “Sono certo che siano nascosti da qualche parte, al sicuro”.
“Lo spero tanto papà… Lo spero tanto”.
“Tsk! Fate silenzio e ascoltate!” – Vegeta si era bloccato di colpo, irrigidendosi e voltando il capo verso sinistra – “Sta accadendo qualcosa”.
In un primo momento, non si erano resi conto di quello che Vegeta aveva cercato di spiegargli ma, poco dopo, il suono di quelle che sembravano essere urla di donne aveva catturato la loro attenzione.
“Da quella parte”.
Avevano cercato di muoversi in fretta, sperando che quell’atteggiamento non spiccasse, passando attraversando un vicolo buio e fangoso sin quasi a scontrarsi con una piccola folla di persone accalcate sotto un alto palco di legno.
“Ma cosa sta succedendo? Perché ci sono tutte queste persone qui?”.
La scena continuava ad avere qualcosa che diventava sempre più surreale man mano che continuavano a osservarla. Non occorreva uno sforzo mentale eccessivo per comprendere che quel palco non fosse altro che un luogo destinato alle esecuzioni capitali, ma qualcosa lì non quadrava. Solo che non riuscivano a rendersi conto di cosa fosse questo qualcosa.
“VI PREGO! LASCIATELO ANDARE! VE NE PREGO!” – urlava una donna ai piedi dell’alto podio. Un’altra le faceva eco poco più indietro, e altre ancora piangevano in maniera sommessa lì vicino. Quelle che si trovavano accanto a loro avevano gli occhi atterriti di chi aveva già provato lo stesso dolore delle presenti e, vestite di nero dalla testa ai piedi, contribuivano a rendere ancora più cupa quell’atmosfera di morte incombente.
Solo a quel punto Vegeta aveva parlato, dandosi dello stupido per non averlo notato immediatamente.
“Donne…” – aveva sussurrato, inquieto – “Sono tutte donne”.
Aveva ragione. Non vi erano uomini lì. E non ne avevano incontrati neppure durante la loro ricognizione nella cittadina, ora che ci facevano caso. Avevano visto solo donne, anziani e bambini, ma nessun uomo adulto o adolescente. Non avevano incontrato nessuno che potesse anche solo potenzialmente proteggere chi era più debole e in difficoltà.
“Vegeta…”.
“Lo so Kaharot. Siamo nei guai. Ma sta zitto e non fare gesti avventati. Neanche tu, Gohan. State fermi e zitti. Forse, saremo così fortunati da fare in modo che nessuno si accorga di noi”.
E forse, ci sarebbero riusciti veramente, perché sembrava che la folla fosse troppo impegnata ad attendere l’arrivo del condannato a morte, condannato che non aveva osato tardare troppo. Era giunto sul palco con la testa nascosta dentro un cappuccio nero, le mani legate dietro la schiena segnata da centinaia di frustate, i piedi scalzi e con addosso solo dei pantaloni verdi logori. Lo stavano trascinando due guardie armate. Entrambe recavano sull’armatura saiyan il vessillo di Vickas e avevano un elmo calato sul capo, elmo che impediva di vedere i loro volti.
“Per favore! Liberatelo!” – continuavano a urlare le donne – “Lui non c’entra!”.
Ma nessuno le stava ascoltando. Neppure Vegeta, Goku e Gohan, distratti dai discorsi delle donne in nero che si trovavano dietro di loro.
“Un altro che cade in nome della libertà” – aveva detto una, la voce assente – “Un altro che muore per aver provato a rialzarsi”.
“Papà…”.
“Sta zitto!” – Vegeta aveva rimproverato di nuovo Gohan, stringendo forte i pugni. Aveva la terribile sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.
E, purtroppo, di lì a poco avrebbe scoperto che i suoi timori erano più che fondati.
“Ma quello… Quello è…”.
Gohan non aveva avuto il coraggio di finire la frase, troppo sconvolto per quello che gli stavano mostrando i suoi occhi: il condannato a morte, l’uomo che era stato costretto a inginocchiarsi davanti al boia, non era altri che il loro amico Tenshing.
“Dobbiamo… Dobbiamo…”.
“Figliolo…”.
Ma prima che potessero agire, prima ancora che potessero pensare, il boia aveva calato la sua lama, decapitando con un solo fendente uno di quegli amici che avevano con tutto il cuore sperato di incontrare e di portare in salvo.
Il mondo era crollato sulle loro spalle. Persino Vegeta aveva accusato il colpo, trattenendo il respiro un istante di troppo. Non poteva credere a quello che aveva visto, non poteva pensare che fosse reale.
“Eccoli lì! Sono loro quelli che non hanno voluto darmi una moneta!”.
La voce squillante del bambino che avevano incontrato poco prima li aveva raggiunti quasi come un’eco dall’aldilà, riportandoli sulla Terra dallo stato di catatonia in cui sembravano essere piombati.
“Che diamine…”.
“Scappa!” – aveva praticamente urlato Goku a Vegeta – “Scappa! Prima che riescano a prenderci”.
Continua…
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Visto? Sono riuscita a essere puntuale! *Cleo si gasa*
Che dire: ambientazione simpatica, no? Vogliamo fare le vacanze in una di quelle casette e assistere agli spettacoli serali che prevedono un’esecuzione dietro l’altra?
Povero Tenshing…Povero, povero Tenshing… Decapitato così, su due piedi! =(
Quanto sono stata cattiva? Che cosa vuole davvero Vickas? E che fine faranno Vegeta, Goku e Gohan?
Scopriremo nel prossimo capitolo se i nostri amici sono riusciti a fuggire.
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 9
*** Il piano A ***


Capitolo 9

Il piano A

 
Li stavano inseguendo. Erano dieci, armati di lancia e scudo recante l’emblema di Vickas, ed erano palesemente dietro di loro.
“Forse non è vero che sono spariti tutti gli uomini” – aveva commentato Goku a voce sin troppo alta, mentre cercava un posto dove potersi nascondere insieme a Vegeta e a Gohan.
Erano stati traditi. Il ragazzino che aveva chiesto loro l’elemosina li aveva venduti probabilmente per un tozzo di pane o un piatto di minestra. Non se la sentiva di biasimarlo, era evidente che patisse la fame da tempo immemore, ma se un’anima innocente era riuscita a sporcarsi per così poco, era sintomo di quanto la situazione fosse grave.
Gohan apriva la fila, ben attento – come gli altri – a tenere il viso coperto. Probabilmente, il ragazzino aveva detto alle guardie di aver visto tre uomini dagli occhi e dai capelli scuri vagare per la città incappucciati, e sarebbe stato stupido da parte loro mostrare i visi e le loro capigliature inconfondibili a chi era praticamente alle loro spalle.
“Kaharot, risparmia il fiato e corri!” – lo aveva ammonito Vegeta, quello rimasto più indietro di tutti. Non aveva ancora deciso cosa fare. Di certo c’era che correre all’infinito era fuori discussione, ma anche lo sparire lì davanti a tutti. Aveva pensato di far utilizzare il teletrasporto a Goku, ma riflettendoci bene si era convinto che quella non fosse la mossa più adatta a quelle circostanze. Probabilmente, Vickas era sulle loro tracce e doveva aver fornito ai suoi scagnozzi una descrizione dettagliatissima di quelli che erano aspetto e poteri di ogni saiyan, mezzo-saiyan e umano in grado di combattere presente sulla sua sempre meno ipotetica “lista”.
E poi, non era veramente certo di voler sparire nel nulla. Sarebbero tornati al fortuito rifugio in cui si trovavano mogli e figli, e poi? Cosa avrebbero fatto? Avrebbero vagato in attesa di trovare il momento propizio per tornare indietro e commettere di nuovo gli stessi errori? No, ormai il danno era fatto e si doveva sfruttare quell’occasione fino all’ultimo. Forse, e ripeto, forse, Vegeta cominciava a elaborare un vero autentico piano A.

 
*

“Vegeta! Ma che fai?” – aveva urlato Goku nel vedere il suo amico fermarsi e girarsi di scatto verso gli inseguitori – “Non farlo Vegeta, ti prego!”.
“TACI!” – gli aveva urlato lui, sempre più deciso a porre fine a quella pagliacciata – “Ora mi sono stancato di giocare al gatto e al topo!”.
“NO!” – avevano gridato all’unisono padre e figlio, vedendo Vegeta avvicinare i polsi l’un l’altro e spalancare i palmi delle mani – “TI PREGO! FERMATI!”.
Ma era troppo tardi. Prima ancora che riuscissero a fare qualcosa, Il principe dei saiyan aveva sferrato uno dei suoi colpi più letali, moderando la forza e controllando perfettamente la direzione di quel lampo di luce accecante affinché colpisse solo i due soldati che aveva davanti. Per quanto fossero due servitori dell’odioso Vickas, i due malcapitati non avevano neppure avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava per capitargli. Probabilmente, non si erano neppure accorti di essere passati a miglior vita e di come ciò era capitato perché tutto era durato il tempo di un respiro.
Dopo il boato, era calato un silenzio irreale. Passanti, protagonisti della scena, persino gli animali si erano come congelati, inorriditi e spaventati da quanto avevano avuto modo di vedere.
Goku e Gohan avevano trattenuto il fiato, ancora sconvolti per la decisione folle presa dal loro compagno. Era stato lui stesso a proporre una missione stealth, come gli era venuto in mente di trucidare due guardie in quel modo barbaro? Erano pur sempre persone! Goku guardava il suo amico con sguardo accigliato, incapace di comprendere le sue ragioni, men che meno di condividerle. Era inutile, al principe dei saiyan piaceva uccidere, e quella sua peculiarità li avrebbe sempre resi uno l’antitesi dell’altro.
“Ora che hai inscenato questo meraviglioso spettacolo che pensi di fare?” – lo aveva ammonito, mostrando un’acidità che non gli apparteneva.
Vegeta aveva ancora i palmi aperti davanti allo sterno, lo sguardo concentrato e una goccia di sudore che scendeva pacata dalla sua ampia fronte. Il contraccolpo aveva fatto sì che la coperta usata come mantello cadesse alle sue spalle e che tutti potessero vederlo. A quel punto, pensare di nascondersi era praticamente impossibile.
I soldati erano atterriti. Nessuno di loro aveva osato muovere un passo. Troppo spaventati per poter anche solo pensare di agire, erano rimasti immobili nelle loro posizioni, le lance basse e gli scudi sollevati davanti al viso che evidentemente fornivano loro solo una parvenza di protezione da un altro eventuale attacco letale.
“STAI INDIETRO!” – aveva avuto il coraggio di urlare uno di loro nel vedere Vegeta rilassarsi e avanzare di un passo – “STAI INDIETRO!”.
Ma Vegeta sembrava non averlo neppure ascoltato e, come se niente fosse accaduto, si era chinato per raccogliere la coperta, posandola nuovamente sulle sue spalle.
“Avete paura?” – li aveva scherniti, gli occhi bassi e un sorrisetto beffardo stampato in viso – “I coraggiosi membri dell’armata di Vickas hanno paura di tre piccoli innocui furfanti? E dire che prima siete stati così bravi nel decapitare quel povero idiota… Com’è che si chiamava? Ah, Tenshing… Vi siete sentiti forti, non è così?” – ed era avanzato di altri due passi, provocando l’arretramento di chi aveva davanti – “Tsk! Che razza di codardi! E lui, così forte e potente, avrebbe affidato a voi il compito di mantenere l’ordine in questa fogna di città? Complimenti… Un bel salto di qualità!”.
“A-arrenditi!” – aveva detto coraggiosamente uno di loro mentre cercava di avanzare a piccoli passi incerti, lo scudo alto e la lama puntata dritta davanti a sé – “Arrendetevi tutti! O per voi sarà la fine”.
“TSK! Ma lo avete sentito, amici?” – e si era girato verso Goku e Gohan – “Ci sta consigliando di arrenderci! O sta forse minacciando di ucciderci?”.
“Andiamo Vegeta…” – lo aveva ammonito Gohan – “Non esagerare!”.
“Ah, non devo esagerare? Allora, perché non chiediamo a questo simpatico giovanotto che fine abbiano fatto mr. Satan e la sua adorabile figlia? Sono certo che ti interesserà sapere quale sia stata la loro sorte, non è vero?”.
Sentendosi punto sul vivo, Gohan aveva assunto un’espressione rigida, impassibile. Era ovvio che volesse sapere dov’era Videl. Ma non in quel modo assurdo.
“Allora, non vuoi saperlo?”.
“Vegeta, ora basta…”.
“Basta, dici, Kaharot?” E perché mai? Mi sembrava di capire che anche tu volessi sapere che fine avessero fatto Crilin, Yamcha e il resto dei tuoi inutili amici terrestri, non è vero? Quale occasione migliore!”.
Improvvisamente, uno squillo di tromba aveva squarciato l’aria, e il rumore inconfondibile di uomini in marcia aveva fatto sì che i pochi spettatori rimasti si precipitassero nelle loro case.
“OOOOOH!” – aveva esclamato Vegeta, sorridendo sempre con maggior cattiveria – “Arriva la cavalleria!” – e si era girato verso Goku e Gohan – “Allora? Che ne dite di farci dire dove sono gli altri? Avrei un po’ fretta, oggi… Ho un bastardo da rispedire in un medaglione”.

 
*

“Urca!!” – aveva detto Goku, appiattendosi contro una parete e nascondendo ancora di più il viso nella stoffa marrone – “È davvero enorme!”.
“SSSSSSHHHH! Razza di idiota, vuoi che ti sentano? Fa stare zitto questo idiota di tuo padre!”.
“Papà, Vegeta ha ragione… Abbiamo fatto tanto per non farci seguire e ora roviniamo tutto sul più bello?”.
“Urca! Avete ragione!”.
“STA ZITTO!” – questa volta lo avevano sussurrato entrambi a voce più alta, fulminandolo con lo sguardo. Se avesse potuto, Vegeta lo avrebbe fulminato per davvero.
Il principe dei saiyan e i suoi due compagni di esplorazione erano riusciti ad avvicinarsi di soppiatto alla fortezza, nascondendosi dentro ad un carro che trasportava fieno per i cavalli che trainavano la carrozza di sua eminenza, come avevano detto i due carrettieri che li avevano gentilmente scortati sino alle stalle della modesta dimora di Vickas.
Ovviamente, erano riusciti ad arrivare sino a lì solo grazie al piano geniale che Vegeta aveva architettato e messo in pratica in meno di un secondo: avevano staccato di molto le guardie, ma stavano per essere raggiunti da altre che provenivano da ogni direzione. Doveva essere scattato l’allarme e presto sarebbero stati circondati. Il tempo a loro disposizione diminuiva a vista d’occhio e loro non potevano sprecarne dell’altro mettendosi a combattere contro soldati male addestrati. Per questa ragione, Vegeta aveva fermato i suoi compagni invitando loro a creare diverse copie di se stessi che avrebbero tenuto impegnati quegli idioti per un po’ permettendo loro di avvicinarsi alla fortezza. “Qualcosa mi dice che qualcuno dei nostri potrebbe essere prigioniero lì dento” – aveva detto, serio – “Non voglio perdere più tempo prezioso”. Così, dopo aver creato le copie, si erano nascosti tra le balle di fieno stipate su quel carretto e avevano pazientemente atteso di giungere a destinazione, sperando che Vegeta avesse veramente ragione e che potessero individuare chi tra i loro amici era ancora superstite.
Goku e Gohan si erano meravigliati molto nell’apprendere che quell’arrogante fosse preoccupato per Crilin e gli altri. Avevano sempre creduto che odiasse tutto e tutti, invece, da quanto avevano visto, era esattamente il contrario. Gli dispiaceva solo di non essere arrivati in tempo per salvare anche il povero Tenshing. Speravano solo che non avessero giustiziato nessun altro.
“Ora come facciamo a entrare? Ci noterebbero subito…”.
“Lo so Kaharot…” – era un problema. Ma un problema serio. Avrebbero potuto teletrasporarsi, certo. Ma questo significava mettere a nudo la forza spirituale di Kaharot e mettersi nelle condizioni di farsi scoprire. E, soprattutto, considerando che non avevano la più pallida idea di come fosse strutturato quel postaccio, come potevano sapere in che stanza sarebbero apparsi? Con la fortuna che avevano, era capace che sarebbero spuntati direttamente nella camera da letto di Vickas, e giocare la parte delle prostitute di quel mostro era l’ultima cosa che Vegeta voleva fare.
La situazione non avrebbe avuto esiti migliori neppure se fossero stati in grado di percepire le forze spirituali altrui. Chi gli garantiva che i loro amici fossero davvero nelle segrete, ammesso che si trovassero lì? Vickas era furbo… Estremamente furbo. Ma loro dovevano essere più furbi di lui.
“Dobbiamo sapere dove si trovano… Se sono qui e come diamine si arriva al posto in cui sono eventualmente nascosti. Non possiamo metterci a fare un tour della fortezza. Quello lo faremo quando saremo più preparati. Dobbiamo solo capire dove sono gli altri e, se siamo fortunati, che aspetto può avere quel gran bastardo che ha fatto tutto questo casino. Non possiamo farci cogliere nuovamente impreparati”.
Aveva ragione. Ma come potevano fare?
“Un momento!” – Gohan aveva avuto un’idea – “Papà, tu puoi ancora fare quella specie di lettura del pensiero, vero?”.
“Eh?”.
“Sì! Ricordi? Quando sei atterrato su Namecc hai saputo tutto quello che era successo solo sfiorando il capo di Crilin! Sai ancora farlo?”.
“Ma certo! Perché me lo…” – ma non aveva fatto in tempo a finire la frase perché Gohan era sparito, ricomparendo un istante dopo con in spalla il corpo privo di sensi di una delle guardie che presidiavano le scuderie.
“Ma dico, sei impazzito?” – per poco, a Vegeta non veniva un infarto. Possibile che non riuscissero a capire che NON DOVEVANO FARE MOSSE AVVENTATE?
“Non mi ha visto nessuno. Ho preso lui perché mi sembrava… Bè, ho preso lui perché era il più vicino. Papà, perché non ci provi e non vedi se lui può aiutarci?”.
Potenzialmente, il piano poteva anche essere buono, ma era rischioso. Se si fosse svegliato avrebbero dovuto ucciderlo, e il cadavere di una guardia era difficile da occultare a lungo.
Ma Goku, entusiasta della geniale idea del figlio, non aveva perso tempo, poggiando la mano sul capo di quel povero malcapitato e concentrandosi per carpire quanti più segreti potesse custodire quella mente inesplorata.
E quella di Gohan, era veramente stata un’idea brillante. In pochi attimi, aveva scoperto che le supposizioni di Vegeta corrispondevano a realtà e che i suoi amici si trovavano davvero nel castello, nelle segrete, compresi Videl, suo padre e Crilin.
“Ci siamo!” – aveva detto, fiducioso – “So dove andare e come poter entrare!” – aveva esclamato, orgoglioso. Per una volta, poteva dire di saperne una più di Vegeta.
Continua…
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Eccomi qui!
Contente? Sono di nuovo puntuale!
Devo dire che le buone idee fioccano, non trovate? Sono proprio contenta…
Ma cosa troveranno, ora, all’interno della fortezza?
Lo scopriremo presto!
Vi ringrazio per le splendide recensioni e per l’affetto che mi dimostrate!
Alla prossima!
Bacini
Cleo

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Capitolo 10
*** Nella tana del lupo ***


CAPITOLO 10

Nella tana del lupo

 
Erano riusciti a entrare. Eludendo la sorveglianza e seguendo esattamente il percorso che Goku aveva carpito dalla mente di quel soldato, erano riusciti a entrare all’interno del bastione, con il cuore in gola e la speranza di cavarne finalmente un ragno dal buco.
La struttura, esternamente scarna ma imponente, all’interno era un insieme di scale e corridoi costellati da decine e decine di porte tutte uguali in forma, colore e misura. Non vi era alcun tipo di ornamento. Né un quadro, né uno specchio. Solo freddo marmo bianco alle pareti e un marmo più scuro usato per la pavimentazione, tirata così tanto a lucido da potercisi specchiare. La fonte di luce proveniva dall’alto, ma sembrava impossibile da individuare: era come se lo stesso soffitto emanasse luce, nonostante l’assenza di neon o lampadine. L’impressione che dava quel posto era un qualcosa a metà tra la sterilità di un ospedale e la sobria ricchezza di un palazzo dall’epoca indefinibile, quasi come se fosse una struttura sospesa nel tempo.
Nessuna guardia era presente all’interno. Nessuna. E, se questo, da un lato, poteva essere un bene, dall’altro aveva cominciato a far credere a Vegeta, Goku e Gohan che tutto era stato – e continuava a essere – sin troppo facile.
“È tutto troppo tranquillo” – aveva sibilato Gohan, guardandosi a destra e a sinistra con aria circospetta e muovendosi silenzioso come un’ombra. Quel posto non gli piaceva. Quel silenzio non gli piaceva. Niente era come avrebbe dovuto essere. Possibile che Vickas si sentisse talmente al sicuro in casa propria da evitare qualsiasi tipo di sorveglianza interna?
Quello era solo uno dei quesiti che continuavano ad affliggere il giovane saiyan. Lì dentro c’erano Videl, suo padre e molti dei loro amici e se questo poteva essere un bene perché avrebbero evitato di cercare in lungo e in largo per tutto il pianeta come dei pirati alla ricerca di un mitico tesoro, dall’altro non voleva sapere cosa poteva voler dire essere prigionieri di un carceriere che, al momento, non aveva neanche un volto ma che si era fatto conoscere benissimo mediante la sua aura e le sue azioni. Nessuno di loro aveva visto Vickas. Nessuno sapeva quale fosse il suo aspetto. Se fosse alto, basso, magro, muscoloso, di che colore fossero i suoi occhi e i suoi capelli. Vickas poteva essere chiunque, poteva essere ovunque. E loro erano in casa sua, impreparati a fronteggiare un’eventuale attacco a sorpresa.
Goku aveva deciso di non fiatare. Lo avevano sgridato troppe volte in precedenza, e non voleva che ciò capitasse di nuovo, non in quella situazione. Lui era l’unico che conosceva il percorso che li avrebbe condotti nelle segrete, e non poteva commettere errori. Anche perché, se non lo avesse ucciso Vickas, di certo sarebbe morto per mano di Vegeta. Quest’ultimo, si trovava tra Goku e Gohan, e aveva la capacità di muoversi così silenziosamente da dare l’idea che sotto i suoi piedi ci fosse velluto. Aveva i nervi a fior di pelle. Goku riusciva a percepire che la sua tensione era salita alle stelle. E questo perché Vegeta si sentiva responsabile dell’accaduto. Poteva in parte comprendere le sensazioni dell’amico ma, appena avrebbero avuto un po’ di tempo, lo avrebbe speso per convincerlo del fatto che non fosse colpa di nessuno se Vickas era un pazzo sanguinario desideroso di potere e ricchezze. Era strano che dovesse essere lui a fare da psicologo a uno come Vegeta, ma era evidente che in quella situazione fossero lui e Bulma quelli che avevano bisogno di maggiore aiuto. Già… Bulma. Chissà come se la stavano cavando lei, sua moglie e i bambini. Forse, avevano fame e sete. Avevano promesso loro che gli avrebbero portato da mangiare, ma gli eventi avevano preso una piega inaspettata e quella promessa era passata in secondo piano. Era preoccupato, non era in grado di negarlo. Per quanto avessero raccomandato loro di non muoversi dalla grotta, non era certo che avrebbero seguito l’ordine impartitogli. Erano figli dei loro padri, del resto, incapaci di rimanere in disparte con le mani in mano. E come biasimarli? Il mondo era andato in rovina e loro non potevano fare niente. Ma le loro madri avevano bisogno di protezione, e in loro assenza, loro erano gli unici in grado di fornirgliela.
“Dobbiamo girare a destra e poi prendere le scale” – aveva sussurrato appena, a un certo punto, volgendo il capo verso i suoi compagni di viaggio. C’era quasi. Ancora pochi metri e avrebbero raggiunto i loro amici.
“Cerchiamo di fare in modo che non si mettano a urlare” – aveva commentato Vegeta – “Non vorrei che uno slancio di entusiasmo da parte loto mandasse a monte tutto il piano”.
“Hai ragione” – aveva detto Gohan – “Anche se…”.
“Sì, ragazzino, lo so. Questa storia puzza da morire anche a me”.
Arrivati all’ultimo gradino, si erano resi conto di trovarsi completamente, totalmente al buio. Era una situazione quasi surreale. Com’era possibile che non se ne fossero accorti prima, poi? La discesa era stata lunga e loro avevano candidamente ammesso a se stessi di essere stati quasi tutto il tempo persi nei propri pensieri, ma quello che era appena accaduto era impossibile da spiegare. Era come se qualcuno avesse spento la luce nello stesso istante in cui si erano resi conto di quello che stava capitando. Ma, rendersene conto, non aveva migliorato la situazione. Non erano dotati di vista a raggi infrarossi e, per quanto potessero provare a percepire le aure altrui, se era stato impossibile farlo all’esterno, lì, nella casa di Vickas, era ancora meno probabile che ciò avvenisse. La forza spirituale di quell’individuo era diventata immensa e, a meno che i loro amici non avessero amplificato le loro presenze tutti allo stesso istate – e al massimo – , non sarebbero stati in grado di individuare proprio nessuno.
“E adesso cosa facciamo?” – aveva chiesto Gohan.
“Bè, prendiamoci per mano e…”.
“Tsk. Io non ti prendo per mano Kaharot. Chiudete il becco e state vicini. O, se proprio avete intenzione di avere contatto fisico, mettetevi una mano sulla spalla”.
“Urca! Ok, fatto E ora?”.
“Cammina Kaharot, con cautela. Tieni orecchie e occhi aperti. Anche tu, Gohan. Anche se non vediamo niente, non significa che non possiamo percepire niente”.
E, proprio come gli era stato ordinato, aveva fatto, cercando di seguire alla lettera ogni singola parola di Vegeta.
Ma quel corridoio – ammesso che fosse tale – sembrava infinito. Erano sulla strada giusta o avevano preso un abbaglio?
“Ehi…” – si era bloccato all’improvviso, incredulo – “Lo avete sentito anche voi?”.
In un primo momento, non avevano capito di cosa stesse parlando Goku. Poi, prestando più attenzione, tutti si erano resi conto che quello che sentivano era il pianto di un bambino.
“Che sia…?”.
Senza perdere ulteriore tempo, avevano accelerato il passo, rendendosi conto di aver preso la direzione giusta nel sentire che l’intensità di quel pianto aumentava.
Ed ecco che, improvvisamente, un tenue bagliore era comparso e avevano avuto modo di scorgere delle sagome. Ma non sagome qualsiasi, bensì le sagome di chi stavano cercando con tanto fervore.
“Crilin!” – aveva bisbigliato Goku con fin troppo entusiasmo nel vedere il suo amico che cercava di consolare la sua bambina in lacrime.
“Goku!” – aveva esclamato lui, incredulo, le lacrime agli occhi per la gioia – “Gohan, Vegeta! Ci siete anche voi!”.
“Tsk! Ma volete tacere o no?” – Vegeta avrebbe voluto ucciderli. Eppure, poteva capire la gioia di chi aveva davanti.
Da quel po’ che aveva potuto modo di vedere, lì, dietro quelle sbarre, c’erano Crilin e la sua famiglia, Yamcha, Videl, suo padre e persino il maestro Muten. Ma non vi era traccia di Junior, Dende, Rif e di Majin Bu.
“Gohan!” – aveva esclamato la giovane mora, correndo verso di lui per potergli afferrare la mano. Era dimagrita, e la sua pelle era gelata, ma l’emozione nei suoi occhi era palpabile. Chissà per quanto tempo aveva sperato che Gohan, vivo e in salute, arrivasse in quel posto e le donasse la libertà. Bè, quel momento era arrivato e il figlio di Goku si era guadagnato il tiolo di eroe. Almeno agli occhi di chi lo amava perdutamente.
“Cerchiamo di tirarvi fuori da qui” – aveva tirato corto Vegeta, smorzando forse l’entusiasmo dei presenti ma cercando di accelerare i tempi. Non potevano più esitare.
Già, ma come avrebbero fatto a farli uscire? Se le sbarre potevano essere piegate, lo avrebbero già fatto, no? E perché non c’erano guardie? Qualcosa non quadrava… Qualcosa…
“LASCIAMI! LASCIAMI SUBITO!”.
Inizialmente, non avevano capito cosa fosse accaduto. Poi, dopo aver avuto modo di capire, si erano accorti che quel qualcosa di losco che temevano si celasse nell’ombra si era manifestato, e che li aveva realmente colti di sorpresa.
Videl, o almeno, un essere che le assomigliava, aveva aggredito Gohan, tirando di forza il suo braccio tra le sbarre e mordendolo con forza sul polso.
“LASCIALO!”.
Ma, prima che Goku potesse intervenire, era stato attaccato a sua volta da C18, subendo lo stesso destino del figlio.
Vegeta era stato più furbo: temendo che la piccola e bionda figlia di Crilin facesse lo stesso, si era allontanato dalle sbarre appena in tempo, altrimenti avrebbe subito lo stesso destino.
“Amore, ti prego! No!” – Crilin aveva provato a fermare la moglie, ma sembrava che lei non fosse in grado di ascoltarlo. Era come in trance, rapita dal sapore del sangue che usciva dalla ferita inferta a Goku con i suoi denti aguzzi. Persino i suoi occhi erano cambiati: da azzurri erano diventati rossi come il fuoco. Se avesse potuto, lo avrebbe dissanguato lì, in quello stesso istante. E lo stesso avrebbe fatto Videl se suo padre non fosse intervenuto. Era evidente che mr. Satan sapesse esattamente cosa fare, perché, appena aveva preso sua figlia per le spalle sussurrandole parole dolci e di conforto, la giovane era tornata in sé, guardando Gohan con occhi pieni di lacrime e cadendo in un sonno che sembrava quasi letale.
Lo stesso era capitato a C18 dopo l’ennesimo intervento di Crilin, ma la situazione si era risolta con maggiore difficoltà. La piccola, al contrario, sembrava impossibile da placare: voleva attaccare Vegeta, aveva un disperato bisogno di morderlo e di assaggiare il suo sangue, mail principe dei saiyan non glielo avrebbe mai permesso. Goku e Gohan sembravano deboli, provati, e non aveva intenzione di fare la loro stessa fine.
“Ti prego piccola… Ti prego… Calmati” – aveva provato ancora una volta Crilin dopo aver adagiato sua moglie su uno sporco pagliericcio. E lei, alla fine, si era calmata, ma solo dopo aver saggiato il sangue del padre, un padre che, con le lacrime agli occhi, sembrava aver perso persino la voglia di vivere.
“Dovete farci uscire…” – aveva detto Yamcha – “Non resisteremo a lungo, in questo modo… Dobbiamo andare via”.
“Sarebbe più facile se capissimo come aprire queste sbarre” – aveva sibilato Vegeta, ancora scosso.
“Ma cosa… Cos’hanno? Che cosa gli è successo?”.
“Tirateci fuori di qui, per favore…” – aveva detto Crilin a Goku, dopo che Marron si era calmata – “Vi prego”.
“Sì” – una voce. Una voce spettrale aveva squarciato il buio e quel silenzio che regnava tra un respiro e l’altro – “Loro vi pregano”.
Continua…
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Ragazze, scusate il ritardo e perdonate il “capitolo di passaggio”.
Sono arrivati sino alla prigione e dire che hanno trovato una “bella sorpresa”. Che cos’hanno le ragazze? E di chi era quella voce?
Lo scopriremo presto.
Ringrazio tutte per le recensioni e perdonate questa povera ritardataria!
Bacini
Cleo

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Capitolo 11
*** Trabocchetti ***


Capitolo 11

Trabocchetti

 
Erano rimasti di sasso. Per un istante, avevano creduto di aver avuto un’allucinazione uditiva, ma un evento del genere non poteva essere stato corale, e Vegeta, Goku e Gohan erano certi di non essere impazziti.
“L’avete… L’avete sentito?” – aveva bisbigliato Goku, incredulo, mentre era intento a tamponare con la mano la ferita sanguinante. E non aveva avuto bisogno di alcuna risposta per scoprire che sì, quella voce l’avevano sentita tutti, compresi coloro che erano rinchiusi in quella squallida cella.
Vegeta non aveva osato fiatare. Sembrava quasi che si fosse estraniato dai presenti nel tentativo di capire cosa stesse succedendo e se il momento di scontrarsi con Vickas fosse finalmente arrivato.
Crilin aveva stretto più forte a sé la sua bambina. Era stanco, provato, sembrava invecchiato di dieci anni in un solo secondo. Aveva il volto segnato dalle rughe provocate da un dolore che era più dell’anima che fisico.
“Non dovevate venire qui” – aveva bisbigliato mister Satan, cocente di una rabbia covata da tempo – “Non dovevate”.
“Ma di cosa sta parlando, mister Satan?” – Gohan era esterrefatto. Non poteva davvero aver sentito il padre di Videl dire una cosa del genere. Loro avevano sfidato il nemico pur di aiutarli, pur di tirarli fuori da quella topaia e non meritavano quel tipo di trattamento. Accettava il fatto che avessero paura, che temessero le conseguenze di quella incursione, ma erano in dovere di aiutarli ed era loro dovere farsi aiutare. Perché reagire in quel modo non riusciva a comprenderlo. Ma non era solo quello che non riusciva a comprendere, in quel frangente. E l’ignoranza lo faceva sentire tremendamente impotente.
“Chi diavolo sei?” – Vegeta aveva provato a resistere nella speranza di poter fare la prima mossa, ma non gli era stato possibile. Non aveva percepito nulla di diverso, non era stato in grado di capire quale fosse la fonte di quella voce né tanto meno a chi appartenesse, ed era inutile continuare ad aspettare. Che fosse arrivato o meno il momento di affrontare il nemico, era tempo di agire.
Ma non aveva ricevuto alcun tipo di risposta. Sembrava che chiunque si trovasse dietro a quella voce volesse solo prenderli un po’ in giro, volesse aumentare la loro ansia e costringerli a fare qualcosa di sciocco e avventato. E, date le reazioni dei presenti, sembrava proprio che fossero sul punto di farlo.
La vena sulla fronte del principe dei saiyan sembrava sul punto di esplodere. Mantenere la calma era diventato praticamente impossibile e nonostante i mille sforzi, era certo che presto avrebbe perso le staffe. Non sopportava chi si nascondeva come un codardo, non sopportava chi osava prendersi gioco di lui, non sopportava più quella situazione e basta! Ma perdere le staffe poteva voler dire perdere Bulma e Trunks, e lui ricordava benissimo quella sorta di visione che aveva avuto prima di svegliarsi. Ricordava benissimo come avevano sofferto prima di essere portati via da lui e non aveva intenzione di far sì che quella possibilità così nefasta diventasse realtà.
“Vegeta…” – Goku si era accorto immediatamente del cambiamento subito dall’amico. Avevano combattuto mille battaglie insieme, e il principe era diventato per lui un libro aperto. Ma non era il momento di commettere sciocchezze. Dovevano portare i loro amici fuori da lì, e ora che li avevano trovati, lo avrebbero fatto a qualunque costo.
“Lo so Kaharot. Lo so” – non c’era stato neanche bisogno che aggiungesse altro per far capire a Goku che avesse perfettamente inteso ciò che voleva dirgli. Per questo, aveva preso un bel respiro e aveva chiuso gli occhi per un breve istante, aprendo e chiudendo i pugni ritmicamente prima di rivolgersi nuovamente a chi era ancora prigioniero – “Non sono qui per perdere tempo. Nessuno di noi è venuto qui per perdere tempo. Non so cosa diavolo abbiano mogli e figlie, ma siamo venuti qui per tirarvi fuori. E state pur certi che ci riusciremo”.
Sembrava quasi che avesse dimenticato l’episodio appena accaduto e che la sua unica preoccupazione fosse far uscire Crilin, Marron, C18 e tutti gli altri da quella cella umida e sporca. Anche a costo di farsi prosciugare da quella specie di vampire assetate di sangue.
“Già… Ma come faremo?” – Gohan non riusciva a darsi pace. Non poteva credere che Videl lo avesse attaccato. La sua Videl, la ragazza di cui si era innamorato e che non avrebbe fatto soffrire per nessuna ragione al mondo, lo aveva morso senza neanche provare a trattenersi. Poteva ancora vedere il sangue che era rimasto sulle sbarre. Sembrava quasi che risplendesse e… E ora che guardava meglio, non era solo un’impressione.
“Ma cosa…? Papà… Vegeta… Guardate” – e aveva indicato quanto visto poc’anzi: il sangue che splendeva come oro colato.
Erano stati talmente distratti da quella stupida voce da non essersi accorti di quell’ovvietà. E pensare che al buio quella luce era ancora più intensa. A quanto pare, Vickas – o chi per lui – era riuscito nell’intento di farli distrarre in modo che il sangue di Goku e Gohan si depositasse per bene sulle sbarre per… Già, per fare cosa?
“È così che vi tiene prigionieri, non è vero? Con il vostro stesso sangue…” – la voce di Vegeta, anche se pacata, dimostrava un disgusto impossibile da celare. Come aveva fatto a non pensarci immediatamente? Come aveva potuto pensare che un essere così subdolo come il Vickas dei racconti che gli narravano da bambino non pensasse a una cosa così tremenda e crudele per tenere prigionieri i loro amici? Ora tornava tutto. Tornava il perché gli uomini fossero talmente emaciati e il perché nessuno avesse provato a piegare quelle sbarre di metallo.
“Lui le ha maledette” – aveva detto Yamcha, - “Le ha maledette e le costringe a nutrirsi di noi. Ogni volta che il nostro sangue o quello di qualche povero sventurato tocca quelle dannate sbarre, diventano inavvicinabili e impossibili da piegare. Abbiamo provato a fermarle in ogni modo, abbiamo provato a impedire loro di nutrirsi del nostro sangue, ma è stato tutto inutile. Cadono per un po’ di tempo in una sorta di sonno profondo e poi si svegliano più affamate e aggressive che mai. Quel mostro di Vickas ha tramutato le nostre amiche, le loro mogli e le loro figlie in bestie fameliche. E noi… Noi non abbiamo potuto fare niente per fermarle”.
Erano interdetti, pietrificati da quella verità così crudele. Che situazione assurda.
Non avevano idea di cosa significasse la frase sono state maledette, e quella era la cosa peggiore, perché sembrava che l’unico modo veramente utile per aiutare Crilin e gli altri fosse spezzare la maledizione. Ma in che modo?
Vegeta aveva formulato un pensiero che aveva rigettato un istante dopo. La soluzione c’era. Era sotto i loro occhi. Ma metterla in atto significava macchiarsi del sangue delle persone amate, soprattutto del sangue di una bambina innocente. Era troppo anche per lui. Ma se non potevano avvicinarsi alle sbarre senza diventare la cena di quella specie di vampire, come avrebbero fatto ad tirarli fuori di lì?
“Non so che cosa fare…” – aveva ammesso Gohan, sincero e distrutto. E non lo sapeva per davvero. Era tutto estremamente insolito e complicato. Erano entrati come se niente fosse, la sorveglianza era inesistente, avevano sentito una voce che li derideva e i loro amici erano prigionieri del loro stesso sangue. E loro tre, lui, suo padre e Vegeta, erano diventati pedine di quel subdolo gioco messo in atto da Vickas. Solo il cielo poteva sapere quanto fosse arrabbiato, deluso, disorientato. Ma doveva stare calmo… Doveva farlo per Videl… Prima o poi gli sarebbe venuta in mente un’idea. A costo di tirarli fuori da lì con la forza del pensiero!
“Un momento…” – improvvisamente, Gohan si era frizzato, fulminato da un’idea lampante – “Ma perché non ci abbiamo pensato prima?” – questa storia delle sue idee tardive doveva smettere. Però, in quel momento, ringraziava il cielo di averci pensato. Forse, non era una soluzione, ma dovevano tentare.
“A cosa, figliolo?”.
“Papà, puoi usare il teletrasporto! Così non dovrai toccare quelle stupide sbarre e loro non avranno neanche il tempo di attaccarti!”.
“Urca! Hai ragione!”.
“Tsk… Ogni tanto anche voi Son avete delle buone idee!” – Vegeta sperava solo che quella trovata funzionasse.
Goku non aveva perso tempo. Dopo aver chiesto ai prigionieri di raggrupparsi e di tenere strette tra le braccia le donne in modo che causassero il minor numero possibile di incidenti, si era telestrasportato nella cella per poi, un istante dopo, portare tutti fuori da lì.

 
*

Si erano ritrovati all’aperto, lontani dalla fortezza, increduli di essere riusciti a scappare.
“Guarda tesoro!” – aveva detto Crilin alla figlia – “Siamo liberi!”.
La piccola, esattamente come Videl e C18, si era nascosta tra le braccia del padre per ripararsi dalla luce. Il troppo tempo trascorso al buio aveva contribuito a renderle fin troppo sensibili, ma quella reazione poteva anche essere una conseguenza della famosa maledizione. In quel momento era difficile stabilirlo. Lo avrebbero fatto più tardi. Per ora, era importante condurli nella grotta, da Bulma, Chichi e i bambini e cercare da mangiare. Avevano bisogno di rimettersi in forze e di farlo subito.
Goku era contento di sapere che i suoi amici stavano bene, ma non riusciva a darsi pace per la sorte toccata a Tenshing. Mancavano ancora tanti di loro all’appello. Genio, Baba, Junior, Dende, Popo… E presto avrebbe fatto di tutto per cercarli. Ma ora, avrebbe fatto meglio a godersi il momento, almeno finché sarebbe durato.
“Papà” – la voce di Gohan lo aveva distolto dai suoi pensieri, riportandolo sulla terra – o almeno su quello che ne era rimasto.
“Figliolo?”.
“Che fine ha fatto Vegeta?”.

 
*

Era rimasto di ghiaccio. Non era successo quello che aveva sperato, evidentemente, perché lui non avrebbe dovuto trovarsi lì. Avrebbe dovuto essere fuori, con gli altri, lontano da quel posto diabolico. Invece, Vegeta, il principe dei saiyan, si trovava in una grande stanza che aveva l’aspetto di un antico tempio greco, solo che, al posto della cella e della statua della divinità a cui era dedicato, era presente una grandissima scalinata che conduceva su un alto scranno dorato a forma di leone sdraiato con il capo ben eretto, la cui schiena ferina formava la seduta ricoperta di morbidi cuscini di velluto rosso.
L’aura di Vickas era diventata spaventosa, e non era difficile intuire il motivo. Era caduto nella sua trappola. Era stato così facile entrare perché il nemico avrebbe fatto di tutto per non farlo più uscire da lì. E lui, il principe dei saiyan, c’era cascato come una pera dall’albero.
Non esisteva una porta, né una finestra, né un lucernario. La grande sala ornata di colonne era illuminata da quattro enormi bracieri posti agli angoli, le cui fiamme ardenti disegnavano sulle pareti ombre sinistre. Fuggire era impossibile. Anche se avesse avuto il dono del teletrasporto, il nemico gli avrebbe impedito di scappare. Ora, ne aveva la certezza: Vickas lo voleva lì, e voleva che lui fosse da solo.
“Fatti vedere bastardo!” – aveva urlato, sull’orlo di perdere il controllo – “Basta giochetti! O devo pensare che hai paura di me?”.
L’aveva sentita in lontananza, quella voce, quasi fosse un’eco. Questo, era successo la prima volta. Poi, la seconda, l’aveva sentita più chiaramente, e la terza, l’ultima, era stata un autentico colpo al cuore. Perché non avrebbe potuto confonderla con quella di nessun altro, e perché si aspettava qualsiasi cosa fuorché quello che aveva udito.
Il suo cuore si era fermato, quando non solo le sue orecchie avevano udito, ma quando i suoi occhi avevano visto, perché era l’ultimo che avrebbe voluto vedere in quel momento. Eppure era lì, davanti a lui, tremendamente spaventato e pieno di sensi di colpa.
“Mi dispiace” – aveva sussurrato, gli occhi pieni di lacrime e la voce tremante – “Mi dispiace tanto”.
“Vieni qui…” – aveva bisbigliato appena, deglutendo a fatica e allargando le braccia, sperando che lo avesse udito. – “Vieni subito qui”.
E lui lo aveva fatto, senza esitazioni. Aveva troppa paura ed era allo stesso tempo troppo contento di non essere più solo, e si era finalmente sentito al sicuro tra quelle forti braccia che tante volte lo avevano consolato.
Erano insieme. Ma Vegeta continuava a non capire cosa fosse accaduto. Vegeta non riusciva a capire perché suo figlio Trunks si trovasse lì.

Continua…
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*Cleo si fustiga*
Ragazze, scusate per la lunga attesa. La vita reale si mette in mezzo a rovinare tutto e aggiornare diventa complicato.
Ringrazio ancora tutte voi per le meravigliose recensioni e per la pazienza!
Ma passiamo al capitolo.
VICKAS SEI UN GRANDISSIMO FIGLIO DI P*****A!!! (E se lo dice l’autrice sarà vero).
A voi le domande che, sono sicura, saranno le stesse delle mie.
Bacini
Cleo

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Capitolo 12
*** L'ennesimo inganno ***


CAPITOLO 12

L’ennesimo inganno

 
Lo aveva stretto tra le braccia come solo un’altra volta aveva osato fare. Ma, se quella passata occasione era stata il preludio di un’imminente addio, questa volta non aveva dovuto abbracciarlo e dirgli che gli voleva bene perché sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto, ma perché non aveva la benché minima intenzione di lasciarlo andare.
Sentiva il suo respiro affannoso, il suo piccolo cuore battere all’impazzata, ed era certo di aver sentito un singhiozzo sommesso e dell’umido sulla spalla. Non era difficile intuire che gli occhi di suo figlio fossero bagnati dalle lacrime, ma non lo avrebbe sgridato ricordandogli che un vero guerriero deve essere forte e duro come la roccia. No. Lo avrebbe lasciato piangere, se ciò lo avesse fatto sentire meglio, perché Trunks non era solo un piccolo soldato, ma era il suo unico, amatissimo figlio.
“Mi dispiace tanto…” – aveva detto, nascondendo il viso sul petto del padre – “Non volevo che ciò avvenisse”.
“Sssshhh… Tranquillo… Sta tranquillo” – non era bravo a consolare. Non lo era mai stato ed era certo che presto avrebbe detto o fatto qualcosa di sbagliato. Ma non era in grado di fare altro, in quel momento. Vegeta era atterrito, sconfitto, in parte disperato. Mille domande si affollavano nella sua mente, ma non riusciva a darsi né una risposta né una parvenza di pace. Tutto quello non poteva avere una spiegazione razionale. O forse l’aveva, ma era terrorizzato alla sola idea dell’esito di quella spiegazione che la sua mente si rifiutava di darsi.
Lui, Goku e Gohan avevano lasciato Trunks con il piccolo Goten, Bulma e Chichi nella grotta. Lui lo aveva salutato, gli aveva parlato, lo aveva visto, toccato, e lo stesso avevano fatto tutti gli altri. Quindi non poteva essere lì, no? Però, il Trunks che stringeva tra le braccia era reale. Sentiva il suo pianto, avvertiva il suo respiro, il suo calore, il suo odore. Ed erano gli stessi che aveva sentito ogni giorno da quando era nato, erano gli stessi che aveva sentito addosso al Trunks che aveva lasciato in quella grotta, con sua madre. Ma se entrambi erano Trunks, o meglio, se quel Trunks era lo stesso che aveva visto insieme a Bulma, questo voleva dire che il loro nascondiglio era stato scoperto e che erano stati catturati? Questo voleva dire che Bulma si trovava all’interno della fortezza ed era diventata prigioniera di quel mostro abominevole che rispondeva al nome di Vickas?
Il suo cuore aveva cominciato a correre all’impazzata. Se avevano liberato dei prigionieri solo per crearne degli altri la loro missione era stata più che rovinosa, oltre che vana. Ma quell’idiota di Kaharot e di suo figlio che fine avevano fatto? Possibile che non si fossero accorti che lui non li aveva seguiti? Mai prima di allora avrebbe tanto voluto non trovarsi da solo a dover affrontare quella situazione così brutta. Mai prima di allora il principe dei saiyan aveva avuto tanta paura.
“Ascoltami Trunks” – gli aveva detto, prendendogli il viso tra le mani. Lo stava guardando intensamente negli occhi per vedere se così facendo potessero verificarsi cedimenti o stranezze, ma non era avvenuto niente del genere: quello era il suo Trunks, non aveva più alcun dubbio.
“Papà…”.
“Ascoltami. Devi ascoltarmi. Da quanto tempo sei qui?” – continuava a tenergli il viso tra le mani, asciugandogli le lacrime con i pollici – “Ho bisogno di sapere da quanto tempo ti trovi qui dentro, Trunks. Ho bisogno di sapere se anche Bulma…” – non aveva avuto il coraggio di finire la frase dopo aver visto suo figlio che si nascondeva nuovamente sul suo petto piangendo a dirotto
Era rimasto pietrificato. Avrebbe tanto voluto essere in possesso delle abilità di quel decerebrato di Kaharot e leggere nei ricordi di suo figlio, ma non poteva. Poteva solo presupporre il peggio, e questo era assurdo considerando che era convinto di averlo vissuto nel momento in cui aveva visto la figura di Trunks apparire dal nulla.
Lo aveva lasciato piangere, accarezzandogli i capelli in maniera un po’ rude, ma allo stesso tempo carico di affetto e comprensione. Doveva dargli solo il tempo di sfogarsi. Dopo, lui avrebbe avuto il tempo di capire.

 
*

“Urca! Ma come abbiamo fatto a non accorgerci che non era con noi! Non riesco a capire!”.
Goku non si dava pace. Aveva perso Vegeta, e non poteva non sentirsi in colpa per quanto era accaduto. Lui stava usando il teletrasporto, lui li stava conducendo fuori da lì, ed era stato lui ad averlo perso. Un amico, un confidente, una mente esperta e un grande guerriero non era più lì con loro. Cosa avrebbe detto a Bulma e al piccolo Trunks? Che Vegeta si era perso durante il teletrasporto e nessuno lì aveva la più pallida idea di che fine avesse fatto? Perché davvero nessuno era stato in grado di percepire la sua presenza.
Gohan aveva avuto un colpo al cuore. Se avevano trovato in quelle condizioni Crilin, C18 e gli altri, non aveva idea di cosa avrebbe fatto Vickas a Vegeta, il primogenito del re dei saiyan. Aveva ascoltato bene la descrizione di quella storia agghiacciante raccontata proprio da Vegeta e, se non aveva capito male, in passato erano riusciti a fermare Vickas sacrificando proprio il principe dei saiyan di allora. Se l’agnello sacrificale doveva essere Vegeta, cosa gli avrebbe fatto Vickas per evitare di essere nuovamente imprigionato? Quello era uno di quei momenti in cui avrebbe tanto voluto avere un consiglio da parte di Junior, suo maestro, suo grande amico e confidente. Ma di lui non c’era traccia, come non c’era traccia di Dende o di Popo. Non avevano contatti con le divinità, né di quel mondo né dell’Aldilà, e questo deponeva a loro sfavore. Cosa gli avrebbe detto di fare, Junior, in quella circostanza? Verso quale strada lo avrebbe indirizzato?
“Papà… Vegeta si trova sicuramente nel castello”.
“Sì, lo penso anche io”.
“Lo pensiamo tutti, Goku” – era intervenuto Crilin, sempre più stremato.
“Questo è un brutto tiro di quell’abominio di Vickas. Non vedo come sia possibile il contrario. Vegeta non è uno stupido o uno sprovveduto. Ma è evidente che quel mostro sia più furbo di tutti noi”.
Gohan aveva chiuso gli occhi, corrugando la fronte come se stesse cercando di concentrarsi. Ed era proprio quello che stava facendo. Stava cercando un disperato contatto con Vegeta. Sapeva perfettamente dove indirizzarsi. Lo sapevano tutti. Questo perché tutti avevano capito, tutti avevano compreso che ogni singolo momento delle azioni svolte dai tre saiyan era stato programmato dalla mente malata di Vickas. Il bambino era stato mandato da lui, i soldati che si erano lasciati ingannare dai loro doppi lo avevano fatto su suo ordine. Persino la morte di Tenshing e la guardia che avevano tramortito erano state architettate ad arte. Loro dovevano penetrare nella fortezza perché era stato Vickas a indirizzarli verso quel posto. E Vegeta era l’unico che non era stato morso da una delle ragazze. L’unico il cui sangue non aveva toccato quelle maledette sbarre. Non poteva essere un caso. Non poteva.
“Torniamo da mamma e dagli altri, papà. Torniamoci subito” - non potevano permettersi altri errori.
“Ma… Cosa diremo a Bulma e a Trunks?”.
“Non lo so… Ma, ora come ora, sono certo che Vegeta non vorrebbe che li lasciassimo da soli”.

 
*

Il racconto del piccolo Trunks era stato confuso e frammentario. Aveva parlato di buio, di tenebre, ma anche di Chichi, Bulma e Goten. Con la voce rotta dal pianto, aveva raccontato al padre di essere stato ‘colpito da qualcosa’ mentre sostava davanti all’ingresso della grotta e di aver sentito urlare sua madre e Chichi, prima di perdere i sensi. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da momento in cui era svenuto a quando aveva riaperto gli occhi, ma aveva ripetuto sino allo sfinimento di aver avvertito un forte senso di smarrimento, di disagio e di aver capito di non essere solo come in un primo momento aveva temuto.
“Loro mi parlano” – aveva detto – “Continuamente. E io non riesco a farli smettere”.
“Non capisco… Chi ti parla?” – Vegeta non riusciva a credere alle sue orecchie. Cosa diamine andava blaterando suo figlio? Chi gli parlava? E perché?
“Non lo so… Sono tante, tantissime voci… Le sento continuamente. Anche adesso”.
Preso dal panico, prima di porre la successiva domanda, Vegeta si era guardato attorno nella speranza di poter capire se qualcuno si trovasse nei paraggi o meno. Ma niente. Erano soli. Ed era certo di non aver udito altro all’infuori del crepitio delle fiamme e dei loro respiri.
Tutta quella storia non aveva senso. Vicaks non accennava a palesarsi, nelle segrete, quando si trovava con Goku e gli altri, tutti avevano udito una voce inquietante che si era fatta scherno di tutti loro, ora, dopo essere stato separato dal gruppo, aveva scoperto che suo figlio era stato non solo rapito, ma sentiva delle voci. Suo figlio sentiva le voci e non aveva idea di che fine avessero fatto sua madre, Chichi e Goten. Però le aveva sentite urlare. Cielo se era confuso! Ma doveva stare calmo e cercare di non far agitare ancora di più Trunks. Il bambino cercava forza in lui, non poteva permettersi di deluderlo.
“E… Che cosa ti dicono queste voci?” – mai avrebbe voluto fargli quella domanda, ma non aveva avuto scelta. La conoscenza è potere, gli avevano insegnato. E lui aveva un disperato bisogno di sapere.
Ma Trunks non aveva risposto immediatamente. Il piccolo saiyan dai capelli lilla si era irrigidito e aveva piegato il capo a sinistra, come un automa. Persino i suoi occhi erano cambiati. Da azzurro intenso erano diventati vitrei e sembrava che fissassero il vuoto.
“T-Trunks?” – una goccia di gelido sudore aveva attraversato la schiena del principe dei saiyan. Stava per accadere qualcosa. E non sarebbe stato niente di buono.
“Loro dicono che devo ucciderti”.
“C-cosa?” – non era possibile. Aveva sentito sicuramente male.
“E hanno detto che devo farlo adesso”.

Continua…
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Eccomi qui… E sono solo con un giorno di ritardo rispetto a quanto fissato!
Faccio seri progressi! XD
Scherzi a parte, odio tutti. Odio la magistrale, odio le mille commissioni che mi affidano a casa, odio TUTTOOOOO!!
Tranne voi! <3
Ma pensiamo al capitolo – che è decisamente più interessante (o almeno spero).
Sono brava a complicare le cose, vero?
Ma voi mi volete bene lo stesso, no? Anche se Trunks ha detto che deve uccidere il suo meraviglioso papà, non è così?
Abbiate pietà di me, vi prego! O io non potrò averne per i nostri amici!
Ora scappo. Scusate per eventuali errori/orrori di battitura. Li faccio quando sto bene, figuratevi quando ho mal di testa.
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 13
*** Non sempre i sogni son desideri ***


Capitolo 13

Non sempre i sogni son desideri

 
Avevano raggiunto l’ingresso della grotta tutti insieme. Dopo aver perso Vegeta in modo a dir poco inspiegabile, né Goku né suo figlio volevano rischiare di lasciare qualcun altro indietro. Avevano impiegato un po’ più del dovuto, forse, ma era stato giusto così. Tutti avevano azzerato le proprie aure e si erano mossi cautamente, nascondendosi all’occorrenza tra i rami e dietro gli spuntoni di roccia. Nessuno di loro amava celarsi come un animale braccato, ma c’era ben poco da fare: non erano pronti a combattere. E, se non lo erano Goku e Gohan che godevano ancora del pieno delle forze, non potevano di certo esserlo coloro che per tanto tempo avevano sopportato un’orribile prigionia.
Il saiyan cresciuto sulla Terra non aveva idea di come trovare le parole adatte per spiegare a una moglie e a un figlio che l’uomo a cui tenevano più al mondo non aveva avuto la possibilità di tornare indietro sano e salvo e che, purtroppo, questo era capitato per colpa sua. Era ovvio che non avesse perso di vista il suo compagno di proposito, ma non riusciva ad accettare di non aver neanche percepito che qualcosa non andasse prima e durante il teletrasporto, e di aver appreso quanto accaduto solo quando ormai era troppo tardi. Gohan aveva ragione. E non c’era stato bisogno che Goku lo sentisse parlare o che leggesse tra i suoi pensieri per arrivare alle sue stesse conclusioni: tutto quello che avevano vissuto era stato una macchinazione di quel viscido verme di Vickas. Ma cosa voleva da Vegeta? Lui non era una divinità, e di certo non avrebbe potuto assorbire i suoi poteri. Che fosse in verità in grado di fare una cosa del genere anche con chi non aveva una natura divina? Del resto, Vickas era una sorta di leggenda rivelatasi una realtà concreta, ed era possibile che molti dettagli della storia che veniva tramandata fossero inesatti. Ma, se davvero era così, perché scegliere solo Vegeta e non assorbire i poteri di tutti? Non voleva attribuire demeriti al suo amico, ma lui e Gohan avevano dimostrato maggiore forza rispetto al principe dei saiyan. Lui soprattutto, che tra tutti i saiyan, sia purosangue che mezzosangue, era l’unico in grado di raggiungere lo stadio di super saiyan di terzo livello senza dover ricorrere alla tecnica della fusione. Cercare di capire come ragionasse quel pazzo era praticamente impossibile. E l’avere le mani completamente legate rendeva tutto più complicato e frustrante.
Dove diamine era Vegeta? Certo, si trovava all’interno della fortezza, di questo ne aveva la certezza matematica. Ma in quale punto preciso?
Era certo che Bulma lo avrebbe accusato di non aver avuto il fegato di tornare indietro a salvare l’uomo che amava. Così come era certo che avrebbe urlato, pianto e scalciato e che il piccolo Trunks avrebbe fatto di tutto per cercare di salvare il suo adorato papà. Ma non poteva permetterglielo. Vegeta poteva perdonargli di essere stato il cretino che lo aveva servito a Vickas su di un piatto d’argento, ma mai gli avrebbe perdonato di aver fatto lo stesso con Trunks. Non sarebbe stato facile, ma doveva riuscirci a tutti i costi: doveva proteggere i suoi amici e i suoi cari.
“Ci siamo quasi. La grotta è laggiù. Mi raccomando, avviciniamoci tutti con cautela. Non vorrei che la mamma e gli altri si spaventassero”.
La voce di Gohan aveva riportato Goku sulla Terra, distogliendolo dai suoi pensieri. Il momento di dire la verità era arrivato. Sperava solo che Dende – ovunque egli fosse – gliela mandasse buona.
“Chichi?” – aveva deciso di aprire lui la strada e di affrontare di petto lei, Bulma e Trunks. Sarebbe stato stupido rimandare o delegare tutto a Gohan. Per cui, con il cuore in gola, aveva chiamato flebilmente il nome di sua moglie, attirando così l’attenzione di chi aveva preso dimora in quell’anfratto. E, dopo aver incrociato lo sguardo di chi doveva affrontare, aveva sperato per un fugace istante di trovarsi al posto di Vegeta.

 
*

“FERMATI! ADESSO BASTA TRUNKS!”.
Non riusciva a fermarlo. Ma non riusciva neppure ad attaccarlo. L’unica cosa che Vegeta continuava a fare, era scansarsi a ogni assalto e schivare ogni singolo pugno, calcio o onda di energia prodotte da suo figlio.
Perché lo stava attaccando? Perché il sangue del suo sangue si stava rivoltando contro di lui in quel modo? Perché sentiva delle strane, assurde voci?
Non poteva essere vero. Suo figlio non poteva essere vittima di una sorta di maleficio o stregoneria, Trunks non poteva aver perso il senno! Si rifiutava di crederlo allo stesso modo in cui si rifiutava di attaccare. Mai, mai avrebbe torto lui un capello. Ricordava ancora quel giorno nella camera gravitazionale e ricordava ancora meglio quando aveva dovuto colpirlo per fare in modo che perdesse i sensi prima di sacrificarsi nello scontro con Majin-Bu. Suo figlio non avrebbe più sofferto per mano sua. Piuttosto, la morte.
Ma come avrebbe fatto a fermarlo? Continuava a urlargli di fermarsi, lo stava supplicando. Lui, il fiero principe dei saiyan, stava supplicando un marmocchio di placare la sua ira e di ascoltarlo. Ma quello non era un marmocchio qualunque. Quello era suo figlio, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvargli la vita.
“DANNAZIONE, DEVI TORNARE IN TE!” – aveva detto, schivando l’ennesimo colpo energetico che aveva divelto una delle gigantesche colonne portanti. Questo aveva causato la caduta di parte della copertura, e Vegeta aveva scoperto che altri piani si ergevano sopra la stanza in cui aveva trovato Trunks. Aveva potuto scorgere una lunghissima scala a chiocciola con all’estremità una sorta di lucernario, ma ogni volta che provava a imboccare quella fortuita via d’uscita, finiva con l’arrivo di Trunks che gli impediva di mettere in atto quanto progettato.
“Tu non puoi uscire” – aveva detto il piccolo saiyan – “Non hai il permesso”.
Il saiyan dai capelli lilla aveva un aspetto raggelante. Sembrava una sorta di automa, un manichino controllato da qualcuno di molto più furbo e potente. Ma perché? Perché giocare proprio con lui? Che male aveva fatto per meritarsi questo?
“Che male ho fatto, dici?”.
Nuovamente, Vegeta era rimasto di sasso. Come poteva essere possibile che Trunks sapesse esattamente quello che lui stava pensando? Non aveva senso!
“Oh, sì che ce l’ha. Qui tutto ha un senso, papà. Dovresti saperlo” – e aveva nuovamente attaccato, stavolta con maggiore veemenza.
“Trunks, io…”.
“Tu. Sì, papà. Tu. Io sono qui per colpa tua. Hanno ragione le voci. Hanno avuto ragione sin dal primo istante. Io sto pagando nuovamente i tuoi errori e quelli della razza da cui discendiamo. Io soffro e muoio a causa tua!”.
“Ma che cosa stai dicendo?”.
“La verità. E non puoi dire il contrario. Tu mi hai ucciso, papà. Mi hai ucciso nello stesso momento in cui hai fatto in modo che io venissi al mondo. Non ho chiesto io di nascere. Non ho chiesto io di essere tuo figlio. Eppure sono qui, a combattere contro di te e contro queste voci che mi hanno fatto impazzire. Ma tra poco finiranno… Oh, sì. Hanno promesso che mi avrebbero lasciato libero se avessi fatto in modo di distruggerti. Mi dispiace, io non voglio farti del male. Ma io devo prendermi cura della mamma. Me lo hai detto tu, ricordi? Lei non c’entra… E neanche io. Non vorrei ucciderti, non vorrei che tu morissi, ma non ho scelta”.
“Trunks… Devi ascoltarmi… Sono tutte bugie. È Vickas che ti fa avere questi pensieri! Tu sei più forte di lui! Sei più forte di questa specie di stregoneria!”.
“Davvero dici?” – e sembrava essere tornato in sé. Ma, così come era rinsavito, un istante dopo era tornato esattamente come prima. Anzi, se ciò era possibile, i suoi occhi erano diventati ancora più freddi e crudeli – “Sì, papà… Hai ragione. Io sono forte”.
“Esattamente, Trunks… Tu sei mio figlio. Sei il figlio del principe dei saiyan. Sei il più forte di tutti”.
“È vero. Ma questo significa che sono anche più forte di te”.

 
*

“Siete tornati!” – Chichi aveva raggiunto suo marito di corsa, gettandosi senza esitazioni tra le sue braccia. Era così contenta di vederlo e di sapere che finalmente stava bene! E aveva potuto constatare che con lui ci fossero anche Gohan e tutti gli altri – “E li avete trovati!”. Non riusciva a credere ai suoi occhi, ma ce l’avevano fatta. Crilin, Marron, C18, Yamcha, Mr Satan e Videl erano lì con loro. Certo, erano un po’ ammaccati, ma stavano bene.“Oh, ragazzi…” – aveva le lacrime agli occhi dalla gioia. Per un istante, aveva dimenticato dolore e sofferenza, persino l’angoscia e la fame. Non aveva potuto non ricompensare suo marito con un bacio rapido e pieno di tenerezza. Ma perché Goku sembrava non essere altrettanto felice, non riusciva a spiegarselo. Era andato tutto per il meglio, no? Erano sani e salvi, giusto? E se non erano riusciti a trovare proprio tutti non poteva biasimarsi per questo. Avrebbero potuto fare altre missioni, pensare a un piano d’azione comune e… E….
“Goku” – una vocina trepidante aveva interrotto il filo dei suoi pensieri e aveva attirato l’attenzione di suo marito – “Dov’è il mio papà?”.

 
*

La stanza era buia, come solitamente la preferiva. Pesanti tendaggi di velluto rosso schermavano le ampie finestre arcuate e ogni fonte di luce artificiale era stata opportunamente resa inefficace. Qualsiasi tipo di bagliore o di scintillio lo avrebbero distolto dallo spettacolo di cui era artefice e spettatore.
Adorava le urla, adorava gli strepitii, adorava provocare dolore, fisico o mentale che fosse. La sua specialità era trovare i punti deboli dei propri nemici e giocare con loro sino allo sfinimento. Amava i giocattoli nuovi, soprattutto se si trattava di giocattoli particolarmente difficili da rompere. Osservare la loro fine era a dir poco estasiante. Godere dei frutti del proprio raccolto lo era ancora di più. E quel principe, quel borioso membro della famiglia reale, doveva essere il pezzo più pregiato di quella sua collezione da troppo tempo priva di un nuovo acquisto. Era bastato trovare un punto debole, una falla in quel suo cuore di pietra per portarlo a cedere. Ed era stata una grossa sorpresa scoprire che, dopotutto, quel cuore non era così duro come credeva.
Gli era bastato qualche passo per raggiungere l’altare di giada su cui lo aveva adagiato. Il suo corpo brillava di luce propria, quasi fosse una stella che ardeva nello spazio infinito. Ma lui sapeva che Vegeta non era una stella. Quanto era bello vederlo agitarsi nel coma. Quanto era meraviglioso sentire i suoi gemiti sommessi, fiutare il suo dolore, il suo smarrimento, la sua paura. Era perfetto. E le cose perfette dovevano essere rese immutabili, no? Almeno, fin quando da loro si continuava a trarre godimento.
Oh, sì, aveva avuto davvero un’ottima idea, doveva ammetterlo. Era davvero fiero di se stesso.
“Dormi Vegeta… Dormi…” – aveva detto, chinandosi leggermente sul suo orecchio – “E sogna. Prima o poi, sarà mio piacere svegliarti”.

Continua…
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*Cleo è in perfetto orario*
Sono fiera di me stessa. Sono rimasta sveglia fino alle 2.00 di stanotte per scrivere il capitolo e poco fa ho finito di revisionarlo (spero non ci siano i soliti orrori).
Dunque, Vickas ce l’ha proprio fatta sotto il naso. Trunks è ancora nella grotta e Vegeta è in una specie di stato comatoso come in qualche capitoletto fa. Dio mio quanto detesto questo mostro abominevole! Ma ora, cosa faranno i nostri amici? Andranno a salvarlo o rimarranno esattamente dove sono?
Lo scopriremo presto!
Grazie per le recensioni e i consigli! Vi adoro!
Bacini
Cleo

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Capitolo 14
*** Una mossa azzardata ***


Capitolo 14

Una mossa azzardata

 
“Non è vero… Non è possibile… Lui non può essere rimasto in quella torre… Perché lo hai lasciato in quella maledetta torre, Goku? Perché?”.
Bulma era scoppiata in lacrime. Dopo un primo istante di felicità dato dalla constatazione della liberazione dei suoi amici, aveva appreso la terribile notizia riguardante la triste sorte di suo marito, e una serie incontrollabile di emozioni l’aveva stravolta. Prima, aveva rifiutato di crederci, convinta che il suo migliore amico e suo figlio la stessero prendendo un po’ in giro. Poi, li aveva aggrediti, sia verbalmente che fisicamente, cominciando a tirare pugni sul vigoroso petto del saiyan con cui aveva vissuto centinaia di avventure. Il suo pianto disperato risuonava all’interno della grotta, e sembrava quasi che i suoi singhiozzi e il suo dolore potessero arrivare sino al cuore del pianeta. Ma forse, neanche l’abbraccio di Madre Natura sarebbe stato capace di consolarla. L’unico abbraccio che avrebbe potuto fare qualcosa per lei sarebbe stato quello della persona per la quale stava soffrendo così intensamente.
“Bulma…” – Goku non sapeva cosa dire. Troppo grande era il suo senso di colpa, e troppo grande era la vergogna che aveva assalito il suo cuore. Non aveva mai lasciato nessuno indietro. Mai. Eppure, adesso lo aveva fatto con Vegeta. Aveva fatto una scelta. Aveva scelto di non tornare indietro. E, a onor del vero, non sapeva neppure il perché – “Mi dispiace… Torneremo subito indietro… Non avrei dovuto lasciarlo lì… Mi dispiace…”.
“N-no” – la sua voce tremava. Gli occhi erano diventati rossi come il fuoco – “Non avresti dovuto lasciarlo indietro. Non avresti dovuto abbandonarlo! Non dopo quello che ci ha raccontato!”.
Era evidente che si riferisse alla storia narrata da Vegeta, così come era evidente che Bulma condividesse le stesse preoccupazioni di Gohan. Dovevano tornare indietro. Dovevano assolutamente tornare indietro e liberare il loro amico. E dovevano farlo subito.
In barba a qualsiasi scenata di gelosia o qualsiasi altra eventuale reazione di sua moglie, Goku aveva stretto la sua migliore amica tra le braccia, affondando il viso tra i suoi capelli turchini. Bulma era come una sorella per lui. A volte, era stata anche un po’ una mamma e, adesso, quella persona così preziosa, quella persona così importante, stava soffrendo terribilmente per colpa di una sua decisione scellerata. Certo, così facendo, aveva messo al sicuro Crilin e gli altri, ma questo poteva aver comportato una catastrofe di dimensioni ben maggiori. Se Vegeta era la chiave di tutto, se Vegeta era il principe da sacrificare, cosa comportava la sua permanenza tra le mani di Vickas?
Sconvolta da quel gesto inaspettato, Bulma aveva improvvisamente cessato di piangere, vergognandosi davanti a Chichi per quella dimostrazione sin troppo eccessiva di affetto. Forse, era stata troppo dura con Goku. Non era veramente colpa sua se Vegeta si era perso, così come non era colpa di Gohan, o di Crilin o di tutti gli altri. Quei poverini avevano patito le pene dell’inferno, non era giusto ritenerli responsabili dell’accaduto. Così come non era giusto credere che Vegeta, il suo Vegeta, potesse arrendersi con tanta facilità a un mostro come Vickas. Suo marito era forte, anzi, era il più forte di tutti. Doveva solo aspettare e sperare in meglio. Sarebbe tornato da lei in un modo o nell’altro.
“Perdonami” – aveva detto, staccandosi da lui e asciugandosi le lacrime con i resti del suo vestito sgualcito e sporco. Aveva guardato Chichi di soppiatto, vergognandosi ancora per quello slancio di eccessivo affetto dimostratogli da Goku. Se Vegeta avesse fatto una cosa simile con Chichi, non avrebbe reagito così bene come aveva fatto la sposa di Goku. Era pur vero che la mora e suo marito non avevano lo stesso rapporto che lei aveva con Goku, ma ciò non toglieva che le reazioni di una donna gelosa potevano essere le più disparate e le più violente, a volte. Quei pensieri l’avevano fatta sorridere, sebbene il suo fosse un sorriso amaro. Come poteva formulare simili immagini in un momento come quello? Come poteva pensare alla gelosia sapendo che Vegeta, il suo Vegeta, era molto probabilmente prigioniero di un mostro che chiamavano l’uccisore degli dei?
“Ti prego… Vi prego. Non lasciatelo con Vickas troppo a lungo… Vi prego”.
“Papà, Bulma ha ragione… Dobbiamo tornare indietro”.
“Sì…” – era stata la voce di Yamcha a interrompere i loro ragionamenti. Era stanco, sfinito, ma i suoi occhi bruciavano di una determinazione mai vista prima – “Dovete andare, e subito. Penseremo a tutto io e Crilin”.
“Ma, le ragazze hanno dimostrato di non essere del tutto lucide. Se dovessero attaccarvi come farete a difendervi?” – Goku non poteva fare a meno di pensarci. Era stato vittima di quella specie di stregoneria, non voleva che lo stesso accadesse a Chichi, Bulma e i bambini. Se non fossero stati in grado di fermarle, cosa sarebbe accaduto? No, non poteva lasciarli soli.
“Ce la faremo” – aveva detto Crilin, dopo aver adagiato la sua bambina accanto alla madre – “Dobbiamo farcela. Loro non si sveglieranno immediatamente. Hanno bisogno di tempo per recuperare i danni dati dall’esposizione al sole. Non sono più abituate… Nessuno di noi lo è, ma possiamo tenerle sotto controllo se mangeremo qualcosa e ci riposeremo a turno. A costo di legarle, se dovesse essere necessario, non permetteremo che facciano del male a Chichi, Bulma e i bambini. Vegeta ci ucciderebbe se accadesse qualcosa sua moglie o a suo figlio, e non voglio che...”.
“Ehi” – la voce di Chichi aveva interrotto il ragionamento di Crilin – “Ma dove… Dove sono i bambini?”.
“Cosa?” – Bulma era rimasta di ghiaccio.
“Non-non ci sono. Goten! Trunks! Dove siete?”.
Impossibile. L’accesso alla grotta era uno e uno soltanto. I bambini non potevano essere usciti senza che loro li vedessero passare.
“Ma dove… Dove… Trunks! TRUNKS!” – Bulma era corsa fuori dalla grotta, urlando disperatamente il nome del figlio. Conosceva sin troppo bene la creatura frutto del suo ventre e temeva di sapere perché la sua chiamata non avesse ricevuto alcuna risposta – “Ti prego, non dirmi che… No, no, NO!”.
Era bastato che guardasse in cielo per scorgere una scia ormai sbiadita e due puntini lontani dirigersi verso il covo del nemico. E gli era bastato questo per far sì che capisse che rischiava di perdere molto più di quanto aveva temuto.

 
*

Dovevano fare presto. Dovevano volare più veloci che mai e raggiungere il suo papà per liberarlo dalla prigionia di quel mostro. Ancora non riusciva a credere che Goku e Gohan lo avessero lasciato indietro. Ancora non riusciva a credere che si fossero dimenticati di lui.
“Più in fretta Goten. Più in fretta!”.
Poteva fidarsi solo del suo migliore amico. I grandi erano traditori e falsi. I grandi pensavano solo a loro stessi e a quello che gli faceva più comodo. I grandi avevano lasciato suo papà indietro a morire. Ma lui non lo avrebbe permesso. Lui non avrebbe consentito a Vickas di fargli del male.
“Sì, Trunks!” – Goten non lo avrebbe mai abbandonato, così come non avrebbe perdonato tanto presto suo padre e suo fratello per aver lasciato indietro Vegeta. Dopo tutto quello che aveva fatto per loro, dopo che li aveva accolti tutti nella sua casa, come avevano potuto compiere un gesto così vile? Vegeta era un amico, e gli amici non si abbandonano mai. Era stato Gohan a dirglielo. Perché non aveva tenuto fede a quell’insegnamento? – “Aspettaci Vegeta… Tieni duro”.
Lo sguardo di Trunks era diventato ancora più determinato. Certo che avrebbe tenuto duro. Suo padre era il principe dei saiyan, era il più forte di tutti!
“Aspettami papà… Sto arrivando”.
Quella volta, sarebbe stato lui a salvarlo. Quella volta, sarebbe stato lui a ricoprire il ruolo del coraggioso e letale principe dei saiyan.

Continua…
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Ragazze, scusatemi.
Il mese di ottobre è stato una specie di ecatombe. Non solo il mal di testa e la sinusite mi hanno perseguitata, ora si c’è messa pure la renella in compagnia delle coliche renali. Oggi sto meno peggio dei giorni scorsi e ho avuto la forza di mettermi a scrivere. So che il capitolo è breve e di passaggio, ma abbiate un po’ di pazienza.
Spero che vi sia ugualmente piaciuto.
A presto
Bacini
Cleo

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Capitolo 15
*** Il salvataggio ***


CAPITOLO 15

Il salvataggio

 
Avevano raggiunto la sommità dell’enorme bastione prima di quanto avessero sperato, nonostante il terrore che fosse ormai troppo tardi avesse invaso completamente i loro piccoli cuori da bambino. Ma Trunks e Goten non erano come tutti gli altri bambini del mondo, no. Trunks e Goten erano diventati grandi da un momento all’altro, esattamente quando avevano deciso di caricare sulle loro spalle il peso della salvezza della galassia intera, e lo avevano riconfermato in quell’occasione, quando i grandi erano ancora intenti a decidere se passare all’azione o meno. Quello non era un momento in cui si poteva aspettare. Qualsiasi fosse il piano di Vickas, qualsiasi fosse la reale portata del suo potere, non potevano lasciare che decidesse della libertà o, peggio ancora, della vita di Vegeta.
Forse, i grandi lo avevano dimenticato, forse, gli era passato di mente. Ma loro non lo avevano dimenticato affatto. Loro ricordavano perfettamente che non ci fossero più tracce né di Dende né di Junior e che l’eventualità di una loro possibile morte potesse significare solo una cosa: se qualcuno, tra loro, avesse perso la vita, non avrebbe potuto in alcun modo riacquistarla.
Entrambi sapevano cosa volesse dire perdere qualcuno che amavano: durante la campagna contro Majin-Bu, uno aveva perso il padre, l’altro aveva perso il fratello, e non volevano, non potevano permettere che un loro caro morisse e non avesse più l’opportunità di tornare in vita. Questo, poteva anche non rappresentare un problema per Goku e per gli altri, ma per loro lo era eccome, soprattutto, per il piccolo Trunks. Suo padre doveva essere salvato. Che gli piacesse o no, lo avrebbero tirato fuori da lì a ogni costo.
“Mio Dio” – Goten si guardava attorno, esterrefatto. La vista da lì era a dir poco spaventosa – “Questo posto mette i brividi. E l’aura di Vickas… È spaventosa”.
“Lo so… La sento anche io… Sembra quasi che bruci a contatto con la pelle. Ma non possiamo farci spaventare così facilmente”.
“Certo che no” – il piccolo saiyan dai capelli corvini aveva tirato fuori uno sguardo più deciso e minaccioso che mai. Erano entrambi determinati a liberare Vegeta e non solo. Se si fosse presentata l’occasione di battersi contro quel mostro che aveva invaso il loro pianeta, bè, non sarebbero scappati. Vickas poteva anche essere l’uccisore degli dei, ma loro non erano divinità. Loro erano due guerrieri mezzosangue che padroneggiavano non solo la trasformazione in super saiyan, ma anche la tecnica della fusione che, sfruttata al meglio, avrebbe concesso loro la vittoria. Vickas doveva essere fermato a tutti costi. Persino a costo della loro, di vita. E sapevano perfettamente che il pericolo di una morte imminente non fosse poi così lontano.
“Dobbiamo entrare. E dobbiamo farlo adesso. Questa è casa sua, potrebbe attaccarci in qualsiasi momento e da qualsiasi punto. Chissà quali trucchetti conosce quella specie di mostro schifoso. Quel bastardo rapitore…”.
“Trunks…” – se sua madre avesse sentito il suo amico usare quel linguaggio così colorito, lo avrebbe sicuramente sgridato a dovere. Ma, forse, comportarsi da adulti significava anche parlare come loro. Non era giusto sgridarlo. Non era giusto mettergli pressioni inutili. Dovevano solo agire. A costo di fare un buco sulla sommità dell’edificio e rischiare così di attirare l’attenzione di tutti. Vegeta doveva essere liberato e…-“Ma cosa stai facendo???”.
“Quello per cui siamo venuti qui: per salvare mio padre”.
Prima che potesse anche solo urlargli di fermarsi, Goten aveva visto il suo amico caricare una potentissima onda di energia e direzionarla sotto i suoi piedi, quasi avesse letto nella sua mente e avesse messo in pratica i suoi pensieri. Un boato incredibile seguito da un denso fumo nero e al rumore di mille calcinacci in rovina, avevano pervaso l’aria. La voragine prodotta da quell’esplosione era di dimensioni considerevoli, e aveva permesso loro di vedere quella che sembrava essere una lenta discesa verso i meandri più profondi dell’inferno. Avevano letto da qualche parte che man mano che ci si avvicinava al demonio la temperatura calava sino a gelare tutto ciò che lo circondava, ma dubitavano che, in quell’occasione, ciò corrispondesse a verità. Il calore emanato dall’aura di Vickas era aumentato, propagandosi nell’ambiente circostante senza alcuna pietà. Ma loro non si sarebbero fatti cogliere impreparati. Loro sarebbero stati pronti ad affrontare qualsiasi pericolo o eventuale nemico. Loro erano lì per compiere una missione, e lo avrebbero fatto a tutti i costi.
“Sei pronto?” – aveva chiesto a Goten.
“Lo sono sempre stato”.
E, così dicendo, si erano calati all’interno di quell’enorme castello/prigione, carichi di speranze e di attese.
“Aspettami papà. Ovunque tu sia, sto venendo a prenderti”.

 
*

“Che cosa avete fatto bambini? Cosa?”.
Goku e Gohan avevano raggiunto il castello di Vickas senza perdere ulteriore tempo, scoprendo, loro malgrado, che i bambini non avevano fatto troppi complimenti, e che non erano entrati di soppiatto o dalla porta principale, ma ne avevano aperta una nuova in un punto a loro piacimento.
“Perché essere talmente avventati! Non gli è stato insegnato a combattere in questo modo!” – Gohan era furioso con suo fratello e con Trunks. Volevano forse farsi ammazzare invece di far uscire da lì Vegeta sano e salvo?
Goku guardava all’interno del palazzo, serio e concentrato più che mai.
“In perfetto stile principe dei saiyan, non ci sono dubbi”.
“Papà… Ti sembra il momento di fare del sarcasmo?” – a volte, proprio non lo capiva.
“No, Gohan. Non lo è. Questo é il momento di agire e gli unici che lo hanno fatto, tra noi, sono stati due bambini. Certo, due guerrieri, ma pur sempre bambini. Loro hanno agito là dove noi abbiamo deciso di non intervenire”.
“Ma… Noi avevamo un piano e…”.
“Un piano che è stato pilotato da Vickas stesso, come anche tu ci facevi notare qualche tempo fa. Forse, decidere di essere così avventati, non è stato del tutto un male…”.
“Non puoi crederlo realmente!”.
“In questo momento, credo solo a quello che vedo, figliolo. E vedo due bambini che non hanno esitato nel venire in aiuto di uno di noi. Inutile nascondersi ancora. Siamo qui. Siamo in quattro. Cinque, contando anche Vegeta. Vickas è uno soltanto. Forse, singolarmente, non abbiamo le carte in regola per abbatterlo, ma unendo le forze, penso che potremo almeno tenerlo a bada il tempo necessario a trovare una soluzione autentica. Non ho intenzione di sacrificare nessuno. Men che meno Vegeta. Non glielo permetterei neanche se fosse lui stesso a proporsi. Basta perdite, basta morti. Ma basta per davvero”.
Era evidente che suo padre cominciasse a essere stanco di quelle circostanze sempre così sfavorevoli. Continuavano a pagare gli errori commessi in passato dai saiyan. Non solo loro, ma anche i terrestri e chiunque si imbattesse sul cammino dei loro antichi nemici. In un lasso di tempo per loro impossibile da determinare, Vickas aveva sconvolto nuovamente il loro mondo, e cosa avevano fatto? Si erano nascosti come topi messi all’angolo, come topi che non avevano neanche visto il gatto con cui avevano a che fare.
“Adesso, noi entreremo qui dentro e faremo di tutto per aiutare i bambini a liberare Vegeta. E, se dovesse essere necessario, persino a fermare quel verme schifoso di Vickas. Sono scappato una volta, e ho scoperto che non mi si addice. Non sono un codardo, e non lo sei neanche tu. Dunque, figliolo, bando alle ciance e diamoci da fare. L’attesa non ha fatto altro se non prolungare la voglia di uno scontro. E che sia pure all’ultimo sangue, se serve. Potrò dire di essere morto con onore”.

 
*

“Papà!”.
“Vegeta!”.
“PAPA’!!”.
“VEGETA! DOVE SEI?”.
Stavano urlando da diversi minuti, nella speranza di udire in qualche modo anche solo un rantolo provenire dalla voce di suo padre in modo da capire quale fosse la stanza – o peggio la prigione – in cui era stato segregato, ma niente. Non aveva avuto nessun tipo di riscontro. Cercare di percepire la sua aura era stato altrettanto inutile, dato che la forza spirituale di Vickas copriva tutte le altre. Come avessero fatto a orientarsi Goku e gli altri nella precedente missione, non riusciva proprio a capirlo. Ma non era momento di pensare a quelle cose.
“Dove sei papà… Dove sei?”.
“Trunks, è tutto inutile. Qui non c’è anima viva… Questo posto spaventoso sembra completamente vuoto”.
“Hai detto bene, sembra. Papà e gli altri sono venuti qui, e qui lo hanno lasciato. Non è possibile che si trovi altrove”.
“Sì, ma…”.
“Capisco le tue preoccupazioni. Ma sono certo che è qui che dobbiamo cercare. Fidati di me, Goten. Ti prego”.
“Ti seguirei anche in capa al mondo, se me lo chiedessi”.
Il sorriso del suo amico gli aveva scaldato il cuore. Era proprio vero che chi trova un amico trova un tesoro.
“Forza, Trunks. Continuiamo a cercare. Sono certa che Vegeta sia qui da qualche parte”.
“Qualcuno qui ha bisogno di una mano, forse?”.
Una voce, una strana voce che non avevano mai udito prima di allora aveva raggiunto le loro orecchie, mettendoli immediatamente in allarme.
“Chi va là?” – aveva chiesto Trunks, minaccioso più che mai.
“Chi sei? Fatti vedere immediatamente!” – gli aveva fatto eco Goten.
Ed ecco che, dall’ombra, uno strano figuro dinoccolato dalle lunghe dita aveva fatto la sua apparizione, facendoli restare più che mai di stucco.
“Chi diavolo sei tu?” – avevano praticamente chiesto all’unisono.
“Un amico”.
“Un amico? Qui? Nella tana del lupo?”.
“Non tutti sono lupi, qui dentro. Alcuni sono solo teneri agnelli sacrificali”.
Un momento di silenzio aveva seguito quell’affermazione. A chi si stava riferendo?
“Che cosa vuoi da noi? Chi sei? E cosa ci fai qui?”.
“Vi ho già detto di essere un amico. Un agnello. E so di potervi aiutare. Cercate il principe, non è vero?”.
“Sì…” – Goten era stato preso da uno slancio di entusiasmo – “Il principe dei saiyan”.
“Oh, ma sei più vicino a lui di quanto tu creda!”.
“Che vuoi dire?”.
“Che, a volte, basta guardare per vedere”.
“Adesso basta. Smettila di parlare per enigmi e portaci da lui, se davvero vuoi aiutarci!”.
“Oh, lo farò, miei giovani amici. Attendevo il vostro arrivo da tanto tempo… Sapete, anche io voglio essere liberato da questa infinita prigionia. E credo che voi siate sulla buona strada per rendere un servigio a tutti”.
“Tu puoi aiutarci a fermare Vickas?”.
“Posso… Certo. O forse no. Chi può dirlo? Sta a voi fidarvi. E potrete dimostrare di averlo fatto solo accettando di seguirmi. Il principe vi attende. Volete farlo aspettare ancora?”.
“Voglio che tu mi mostri dove sia. Altrimenti non mi muoverò da qui”.
Trunks era deciso più che mai a non farsi imbrogliare da nessuno, men che meno dal primo arrivato sbucato dal nulla.
“Trunks ha ragione… Vogliamo le prove”.
“E le prove avrete, miei giovani, diffidenti amici”.
Ciò detto, aveva estratto dall’ampia manica una sfera di cristallo, e con un abile movimento della mano aveva fatto sì che qualcosa al suo interno si animasse e immagini prima confuse, poi sempre più nitide, prendessero forma.
“Papà!” – aveva urlato Trunks, vedendo la sagoma del principe dei saiyan prendere vita.
“Mi seguirai, adesso, piccolo Trunks? Mi seguirete entrambi?”.
“Sì... Portami da mio padre”.

Continua…
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Carissimi lettori,
Cleo è tornata, ed è anche puntualissima! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano troppi errori/orrori di battitura. I miei occhi ormai si incrociano ogni 2x3.
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto. Leggermente più corposo degli altri, ha visto l’entrata in scena di un personaggio che… Bè, ditemelo voi chi è!
I bambini faranno bene a fidarsi? E Goku ha ragione, o questa è l’ennesima macchinazione di Vickas?
Ora vado… Mi aspettano alcuni amici per prendere insieme il caffè del dopocena!
Un bacino a voi tutti!
A presto!
Cleo

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Capitolo 16
*** Non sempre fidarsi è un bene ***


CAPITOLO 16

Non sempre fidarsi è un bene

 
Il corridoio che stavano percorrendo sembrava non finire mai. Le pareti, tutte identiche tra loro, erano spoglie e tinteggiate di un bianco talmente accecante che avrebbe fatto male agli occhi se la fonte di illuminazione non fosse stata formata da semplici fiaccole per metà sospese nel vuoto. L’unico rumore che si percepiva, oltre al crepitio dei loro stessi passi sul lucido pavimento di marmo, era quello del pesante respiro dello strano uomo di cui avevano deciso di fidarsi.
Era strano, tremendamente strano. E non si riferivano solo al rantolo che emetteva a pause regolari, ma proprio all’individuo nella sua totalità. Era alto. Bulma avrebbe usato un’espressione simile a dinoccolato e avrebbe aggiunto che era estremamente magro, se avesse dovuto descriverlo a qualcuno. Aveva la pelle color dell’ebano, la testa pelata e un singolare pizzetto azzurro che terminava in un ricciolo accuratamente acconciato. Persino la sua voce era bizzarra, proprio come i suoi occhi gialli con le iridi allungate simili a quelle di un felino.
Di certo, il suo aspetto non era rassicurante, e ancor meno era il modo in cui aveva fatto il suo ingresso, offrendosi immediatamente di garantire aiuto e sostegno a coloro che cercavano il principe dei saiyan.
Trunks e Goten non erano due stupidi. Certo, erano dei bambini. Certo, volevano essere determinanti nel ritrovamento e nel salvataggio di Vegeta, ma avevano affrontato centinaia di pericoli e lottato contro nemici dal calibro inimmaginabile che in un primo momento si erano presentati timidi e indifesi come il soggetto che stava facendo loro strada per non sapere che il lupo può essere travestito da agnello. Loro non volevano e non potevano farsi cogliere impreparati. Per questo, avanzavano a debita distanza, attenti a ogni minima variazione dell’aura di Vickas e pronti a reagire a qualsiasi azione improvvisa messa in atto dalla loro guida improvvisata. Erano andati lì per aiutare Vegeta, non per diventare un problema. Erano andati lì per dimostrare ai grandi che non sempre le loro decisioni erano giuste e che anche chi era piccolo di età e statura poteva essere molto più saggio e grande di chi era anagraficamente tale.
Ma il corridoio apparentemente infinito non li stava aiutando a mantenere la calma. I loro volti erano tesi, i muscoli contratti, pronti a scattare a qualsiasi evenienza, e le menti concentrate sullo svolgere la missione il più in fretta possibile. Vickas poteva arrivare, e loro non potevano farsi cogliere impreparati.
“Siete silenziosi, miei piccoli amici”.
La voce di quell’uomo era fastidiosa in modo inspiegabile. Sembrava che fosse in grado di arrivare direttamente al loro cervello, provocando tutta una serie di spiacevoli sensazioni. Avrebbero tanto preferito che non aprisse mai più bocca, ma era fondamentale per loro sapere chi lui fosse e cosa volesse in realtà. Con le domande giuste, avrebbero anche potuto carpire i suoi segreti e scoprire quali fossero i suoi reali scopi. Perché, se Trunks e Goten avevano capito qualcosa – e sì, l’avevano capita – era che tutto lì dentro fosse un inganno, e non potevano permettersi di diventarne vittime inconsapevoli.
“Non abbiamo molto da raccontare”.
Trunks era riuscito a rispondere prima che Goten intervenisse in maniera brusca. Conosceva bene il suo amico, e aveva letto sul suo viso quanto grande fosse l’irritazione verso lo sconosciuto che li stava guidando. Il piccolo saiyan dai capelli corvini aveva una dote innata nel capire con un solo sguardo la reale natura delle persone, nonostante tutti pensassero che fosse un credulone alle stregue di suo padre. Ma, nonostante condividesse le sue preoccupazioni, Trunks sapeva, sentiva che non era il caso di mostrarsi minacciosi. Prudenti, sicuramente, ma non minacciosi. Non ancora, almeno. Non prima che avesse posto le giuste domande e ottenuto le risposte che cercava.
“È un vero peccato” – aveva proseguito lui, voltando il capo nella loro direzione – “I bambini conoscono sempre delle meravigliose storie da raccontare”.
“Bè, è vero. Di storie interessanti ne abbiamo da raccontare un sacco. Non è vero, Goten?” – e lo aveva guardato nella speranza che capisse che era in cerca del suo appoggio.
“Sì… È proprio così”.
“Solo che noi preferiamo ascoltarle”.
“Capisco… Ne avete ascoltata qualcuna che vi ha particolarmente colpito, di recente?”.
Si erano guardati per un lunghissimo istante prima di rispondere praticamente all’unisono.
“Forse” – avevano pronunciato nello stesso istante e con lo stesso identico tono, proprio come accadeva quando praticavano la tecnica della fusione.
“Siete misteriosi…” – aveva sfoderato un sorriso ambiguo, praticamente impossibile da decifrare – “Criptici, direi. Non vi andrebbe di raccontarmi la storia che avete sentito?”.
Dove voleva arrivare? Stava cercando di tergiversare, portarli a distrarsi e attaccare nel momento meno opportuno o che altro?
“Penso che la conosca anche tu, la storia di cui parliamo” – era intervenuto Goten, con tono quasi provocatorio.
“Non saprei… Chi è il protagonista?”.
“Alcuni direbbero un uomo” – stavolta, era stato Trunks a parlare – “Altri, un saiyan. Altri ancora, direbbero che il protagonista non fosse altro che un mostro”.
“Un mostro? Sembra interessante”.
Forse, avevano cominciato a scoprire qualcosa da quella sorta di interrogatorio. L’uomo si era meravigliato nel sentire che il protagonista della storia era un mostro, non si era meravigliato nel sentire che fosse un saiyan, dunque, questo poteva voler dire qualcosa. Che conoscesse il popolo saiyan era chiaro. Aveva chiamato Vegeta il principe dei saiyan, appunto, ma in che misura sapeva della loro esistenza? Li aveva solo sentiti nominare o li aveva conosciuti di persona?
“Dipende dai punti di vista” – aveva sempre risposto Trunks – “Dal mio, di punto di vista, i mostri non lo sono quasi mai, interessanti”.
“Singolare affermazione. Tu, che sei un giovane guerriero, dovresti avere più curiosità verso coloro che vengono chiamati mostri, e desiderare ardentemente che loro arrivino per poter dare prova della tua forza e del tuo valore. E lo stesso vale per il tuo giovane e simpatico amico dai capelli a punta”.
“Ti sbagli” – era intervenuto Goten con una veemenza impossibile da celare – “Non c’è niente di buono nel vedere che qualcuno si è preso la briga di voler comandare su tutti gli altri riducendoli prigionieri!”.
“Oh, ma io non parlavo di questo. Prigionia e schiavitù dovrebbero sempre essere evitate, certo. Ma anche in questo caso potrei dirvi che dipende da… Come li avete chiamati? Ecco, sì, punti di vista”.
“Che vuoi dire?”.
“Voglio dire che, un giorno, lo schiavo potrebbe diventare libero e decidere di ridurre in schiavitù chi prima lo schiavizzava, punendolo e rammentandogli costantemente quanto miserabile e insignificante fosse la sua stessa esistenza proprio come veniva fatto con lui ogni singolo giorno. Questa, forse, può sembrarvi una follia, un’aberrazione, ma provate a vedere le cose dal punto di vista dello schiavo e ponetevi delle domande. Scoprirete che le risposte sono molto più semplici e decifrabili di quanto possa sembrare in partenza!”.
“Quello che dici non ha senso!” – Goten sembrava furioso, e anche Trunks doveva ammettere di essere pienamente disgustato da quel ragionamento – “Staresti dicendo che, nel mondo, tutto è solo o bianco o nero, che è tutto o niente e che non può esistere alcun tipo di compromesso, non è forse così?”.
“Compromesso, dici? Però, sono sorpreso… Un esserino così piccolo e apparentemente dall’aria un po’ distratta che formula un simile pensiero. Non lo avrei mai neanche immaginato!”.
“Ti stai forse prendendo gioco di me?”.
A quel punto, Trunks era dovuto intervenire: l’aura di Goten aveva avuto un forte sussulto e lui non voleva che attirassero maggiormente l’attenzione. Ormai ne aveva la certezza: erano stati scoperti e quel tizio non era altri se non un seguace di Vickas, ma non potevano comunque perdere le staffe, non fino a quando non avessero scoperto quali fossero le sue abilità. Per quanto ne sapevano, poteva trattarsi di una specie di mago/sacerdote esattamente come il mostro che serviva, e dopo l’esperienza con Babidi non sarebbero stati talmente idioti da cascarci un’altra volta. Per quello che avevano avuto modo di vedere e capire, Vickas non era Majin-Bu, e loro non avevano alcuna intenzione di morire quel giorno.
“No, Goten, lui non si sta prendendo gioco di te” – il suo tono e il suo sguardo erano stati inequivocabili – “Cerca solo di esprimere il suo modo di vedere le cose”.
Un modo da schiavo, avrebbe voluto aggiungere, ma si era trattenuto. D’accordo: quell’essere lavorava per Vickas. Ma se fosse stato un suo schiavo in cerca di rivalsa o un uomo ora libero che prima era stato schiavo, questo non era stato ancora in grado di dirlo. Sapevano troppo poco per formulare ipotesi più precise, ma se avesse continuato a parlare con quel ritmo, forse ne sarebbero venuti a capo.
“Il tuo amico dai capelli lilla è molto più prudente di te, devo ammettere” – aveva proseguito l’uomo – “Ma non c’è motivo di temere una mia reazione violenta nei vostri riguardi. Non possiedo i mezzi per arrecare danno a guerrieri del vostro calibro e, ancor meno, possiedo l’intenzione. Sono qui per condurvi dal principe dei saiyan, ve l’ho già detto. Non aspiro ad altro”.
“Ti crediamo” – Trunks aveva dovuto prendere un lunghissimo respiro prima di dire quella menzogna – “Ma la strada sembra infinita”.
“Comprendo la tua fretta, mio giovane amico. Ma la pazienza, in questi casi, è fondamentale. Il posto in cui ci troviamo è stato progettato per fare in modo che chi non conoscesse i suoi segreti si perdesse senza avere la possibilità di trovare una via d’uscita, vagando nei suoi interminabili corridoi sino alla morte. È stata una fortuna, per voi, imbattervi in me. Li conosco quasi come se fossi stato io stesso a costruirli”.
Un brivido aveva attraversato la spina dorsale di entrambi, facendoli raggelare. Non era Vickas, di questo ne erano sicuri. Se si fosse trattato di lui, la sua aura li avrebbe travolti inesorabilmente, mentre, di quello scricciolo, percepivano appena appena la forza vitale. Ma che senso poteva avere quel discorso, allora? Che senso potevano avere quelle allusioni?
“Ma quindi… Quindi tu, non hai paura dei mostri?” – Trunks si era intestardito: voleva sapere di più e ci sarebbe riuscito a ogni costo.
“Mio giovane amico, quando arriverai alla mia età, scoprirai che tante cose hanno smesso già da molto tempo di farti paura. Oh, sì, lo so. Non ti sembro così vecchio come dico di essere, ma gli occhi possono ingannare. Del resto, non è la vita stessa un inganno?”.
Quella volta, nessuno dei due aveva osato dire qualcosa. Avevano paura. Avevano una paura nera. Si erano cacciati in quella situazione con le loro stesse mani e si stavano rendendo conto che uscirne era diventato impossibile. Eppure, il loro timore più grande non era rappresentato dall’eventualità – per altro, sempre più probabile – di morire. Il loro timore era quello di aver deluso i propri cari e di aver condannato non solo Vegeta, ma il mondo stesso a una fine atroce.
‘Papà… Dove sei?’.
“Ecco” – si era fermato improvvisamente davanti a una grande parete bianca su cui si trovava una porta a dir poco immensa – “Siamo giunti nel luogo che avevate desiderato raggiungere con grande ardore. Una volta entrati, state pur certi che troverete il principe dei saiyan”.

Continua…
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Eccomi qui!
Perdonate il ritardo. Io odio l’università. La odio con tutto il cuore!
Per questo, preferisco passare subito a noi.
Allora, chiunque abbia detto che il tizio sospetto non era altri se non il mercante del primo capitolo ha vinto un mio abbraccio virtuale! Siete mitiche!
Il suo strano discorso ha confuso anche me che l’ho scritto, in un primo istante. Ma tutto ha un senso. Ora, sono arrivati dal principe dei saiyan o no?
Lo scopriremo la prossima settimana!
Bacini
Cleo

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Capitolo 17
*** Il principe dei saiyan ***


Capitolo 17

Il principe dei saiyan

 
Vegeta stava ancora disperatamente cercando di evitare quell’assurda lotta che il suo unico figlio aveva ingaggiato contro di lui.
Nonostante le sue suppliche, Trunks non sembrava minimamente intenzionato a porvi fine, attaccandolo sempre con maggiore veemenza e rapidità, impedendogli così di capire in che modo avrebbe potuto mettere la parole fine a quella situazione così imprevista.
Tutto stava andando storto. Sembrava che non ci fosse modo per Vegeta di rendere gli eventi a lui favorevoli. Goku e Gohan lo avevano abbandonato, suo figlio lo stava attaccando, Vickas lo aveva praticamente reso prigioniero e non vedeva da nessuna parte una possibile via d’uscita.
Trunks era forte, estremamente forte. Era stato lui stesso ad addestrarlo, e dopo lo scontro con Majin-Bu, il piccolo saiyan mezzosangue aveva tirato fuori un carattere e una grinta che in un primo momento sembravano sopiti. Suo figlio era diventato più forte di lui, e se questo era stato causa di orgoglio e rimpianto allo stesso tempo, in quell’occasione poteva solo essere la seconda opzione. Lui non poteva salvarsi. O meglio, avrebbe anche potuto farlo, ma non avrebbe potuto salvare Trunks a sua volta. Perché era certo che suo figlio fosse manovrato da quel mostro abominevole che aveva attaccato il loro pianeta, e lui non disponeva dei mezzi necessari per farlo tonare in sé.
Quanto a lungo avrebbe potuto continuare quella sorta di nascondino? Per quanto tempo ancora sarebbe stato in grado di sfuggire ai suoi attacchi o di rispondere con eguale forza, senza volergli realmente arrecare danno?
Certo, aveva pensato anche all’eventualità contraria: decidere di scatenarsi e provare così ad atterrarlo, ma non voleva farlo. Lui non voleva e non poteva ferire a morte il suo unico figlio.
“Trunks! Ascoltami! Guardami! GUARDAMI!” – continuava a supplicarlo da un tempo che gli sembrava infinito, ma il bambino era sordo alle sue invocazioni.
Forse, l’unico modo per farsi ascoltare, sarebbe stato quello di farsi colpire e atterrare, ma a quel punto, chi poteva garantirgli che non sarebbe morto per sua mano? Ucciso dal suo unico erede, ucciso dal suo stesso sangue. No, non avrebbe permesso che ciò accadesse: non avrebbe permesso che Trunks si sporcasse le mani commettendo un crimine così atroce. Ma non perché gli importasse della propria vita, bensì, perché non voleva che il suo bambino trascorresse il resto della propria vita portando sulle sue spalle il peso e il rimorso di un’azione compiuta in un momento di mancata lucidità.
Purtroppo, esattamente come aveva previsto, scappare in eterno non rappresentava una soluzione duratura, ed ecco che, alla prima distrazione, un’onda di energia molto simile al suo Final Flash lo aveva colpito di striscio a un braccio, costringendolo ad atterrare e a nascondersi sotto una delle colonne cadute al suolo, esattamente come un animale ferito a morte dal suo predatore.
Il dolore era lancinante. Il colpo aveva scavato la carne proprio lì dove la spalla si unisce al braccio e aveva lasciato un solco profondo e sanguinante. Vegeta conosceva esattamente quel genere di dolore: lo aveva provato tante volte, durante le innumerevoli battaglie che aveva combattuto. Eppure, quello era mille volte peggio. Mai e poi mai avrebbe creduto di giacere a terra, ferito, per colpa di un attacco sferratogli da suo figlio. Mai e poi mai avrebbe creduto di odiarsi per non essere stato in grado di proteggere qualcuno, nonostante quel qualcuno lo stesse accusando di averlo ucciso nello stesso istante in cui aveva contribuito a farlo venire al mondo.
Le parole di Trunks riecheggiavano nella sua mente annebbiata da dolore.
“Non ho chiesto io di nascere. Non ho chiesto io di essere tuo figlio. Eppure sono qui, a combattere contro di te e contro queste voci che mi hanno fatto impazzire. Ma tra poco finiranno… Oh, sì. Hanno promesso che mi avrebbero lasciato libero se avessi fatto in modo di distruggerti”.
Perché? Perché gli rinfacciava una cosa simile? Lui, che era stato amato sin dal principio, come poteva credere che le parole pronunciate dalle voci che sentiva nella sua mente fossero vere? Come poteva credere che avesse scelto di metterlo al mondo con il solo scopo di farlo soffrire?
Rintanato sotto quelle macerie, Vegeta continuava a pensare ai primi mesi di vita di Trunks, alle sue scelte, al suo comportamento discutibile, pentendosi per ciò che aveva fatto o, peggio, che non aveva fatto per lui. Ma era cambiato. Inaspettatamente, grazie alla visita di quel Trunks proveniente dal futuro, aveva capito che anche lui era in grado di volere bene a qualcuno e che quel piccolo che non faceva altro che piangere non era solo il frutto dei suoi lombi, ma il risultato di un amore che non sapeva neanche di poter provare. A quel punto, nonostante avesse tentato con tutto se stesso a convincersi del contrario, tutto era stato chiaro, e aveva finalmente compreso che quel mostro che tutti temevano era diventato qualcos’altro, qualcosa che lo terrorizzava e lo deliziava allo stesso tempo, ma che prima o poi avrebbe smesso di temere: un padre che amava suo figlio e un compagno che amava follemente la donna che aveva accanto.
“Tu mi hai ucciso, papà”.
Non poteva averglielo detto realmente. Non poteva pensarlo per davvero.
Udire quelle parole lo aveva distrutto nel profondo. Si vergognava di se stesso, si vergognava da morire perché sapeva cosa poteva voler dire pensare del proprio genitore una cosa così orribile. E lo sapeva perché erano state le stesse parole che aveva pronunciato al suo riflesso, nello specchio, l’attimo in cui aveva capito di essere stato venduto a Freezer dal suo stesso padre. Lui, l’erede al trono, il principe della gloriosa stirpe dei guerrieri saiyan, era stato usato come merce di scambio, venduto per un fantomatico tesoro che non avrebbe mai ottenuto, per l’illusione di una vittoria che non sarebbe mai sopraggiunta. Da principe a schiavo. Da futuro re e padrone a sottomesso. Quello voleva dire morire. E lui non avrebbe mai permesso che suo figlio diventasse lo schiavo di qualcuno.
“DANNAZIONE!!” – lo aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, scatenando tutta la sua ira – “VICKAS! BRUTTO BASTARDO, SMETTILA DI USARE MIO FIGLIO E FATTI VEDERE IN FACCIA SE NE HAI IL CORAGGIO! SONO IO IL TUO AVVERSARIO, NON USARE TRUNKS! FATTI VEDERE O GIURO CHE BUTTERO’ GIU’ QUESTO POSTO E TUTTO QUELLO CHE HAI COSTRUITO!!”.
Improvvisamente, non sentiva più il dolore causato dalla ferita al braccio, non sentiva più la fatica, non sentiva più niente, se non il bruciante desiderio di porre fine a quell’assurdità e salvare la vita di suo figlio.
L’energia che stava sprigionando era pazzesca, forse, poco inferiore a quella emanata durante la sua lotta all’ultimo sangue intrapresa contro Majin-Bu. C’era la vita di suo figlio in ballo. La vita, e la sicurezza del sangue del suo sangue. Trunks non avrebbe vissuto il suo stesso destino. Trunks sarebbe stato libero e salvo. A qualsiasi costo.
“FATTI VEDERE O NON RISPONDO PIU’ DELLE MIE AZIONI!”.
Ma Vickas non si sarebbe fatto vedere. Perché non erano quelli i suoi piani, anche se, ovviamente, questo Vegeta non poteva saperlo. Mentre scatenava la sua ira, o meglio, sognava di farlo, Vickas si sarebbe mostrato altrove.

 
*

Lo aveva condotto in una stanza completamente buia al cui centro si trovava un enorme specchio ovale dalla cornice dorata sospeso a mezz’aria.
Era a dir poco impressionante: non solo per le dimensioni, ma perché sembrava che emanasse una luce propria, e l’assenza di qualsiasi tipo di supporto lo rendeva magico e temibile allo stesso tempo.
“Che scherzo è questo?” – aveva tuonato il piccolo saiyan dai capelli turchini, più furioso che mai – “Mi avevi promesso che ci avresti condotti da mio padre!”.
“Già!” – Goten gli aveva fatto immediatamente eco – “Che scherzo è questo?”.
“Nessuno scherzo. Mi hai chiesto di condurti dal principe dei saiyan, e io ti ho portato da lui”.
“Qui non c’è nessuno!”.
“Ne sei sicuro? Guarda meglio… E sono certo che troverai quello che stai cercando”.
Prima che uno dei due piccoli guerrieri potesse anche solo sperare di dire qualcosa, il losco figuro che li aveva condotti sino a lì era sparito, e la porta da cui erano entrati si era chiusa improvvisamente, lasciandoli prigionieri in quel luogo in compagnia di quell’inquietante, immenso specchio.
“Siamo in trappola!” – aveva urlato Goten, cercando disperatamente una maniglia che non esisteva più: al posto della porta c’era solo una fredda e liscia parete impenetrabile – “Come faremo adesso?”.
Avrebbe tanto voluto dargli una risposta, ma non ne era in grado. L’unica cosa che avrebbero potuto fare, sarebbe stata avvicinarsi allo specchio.
“Stammi vicino, Goten. Non lasciarmi solo. Se dovessimo essere attaccati, l’unico modo per sopravvivere è restare uniti”.
“Sì…” – e lo aveva raggiunto, convinto di sapere cosa volesse fare.

 
*

Vegeta stava continuando a scatenarsi, incurante che quella potenza aveva travolto anche suo figlio. Sembrava completamente assente, come se si trovasse in un altro luogo.
Ancora un po’, e quella maledetta prigione sarebbe crollata, permettendo loro di scappare. Meglio ancora se Trunks avesse perso i sensi. Lo avrebbe condotto fuori con più facilità.
Ma, preso dall’ira, non si era accorto di quanto stesse accadendo attorno a lui, di come i muri stessero perdendo compattezza, e di come una voce che parlava una strana lingua, una sorta di nenia antica, fosse comparsa dal nulla.
Aveva chiuso gli occhi, troppo concentrato, troppo desideroso di porre fine a quella situazione di stallo e di uscire vincitore da quello scontro impari. Aveva chiuso gli occhi, e non aveva visto le pareti dissolversi, i fuochi spegnersi e i calcinacci scomparire, così come era appena scomparsa l’immagine di suo figlio che sorrideva maligno nel veder comparire qualcos’altro, nel veder comparire due mani spettrali reggere un’ingombrante, pesante corona.

 
*
 
“Avviciniamoci Goten. Ma tieni gli occhi aperti” – gli aveva detto, dirigendosi verso lo specchio.
“Sì” – lo stava seguendo, perplesso e spaventato. Non gli piaceva quello specchio. Non gli piaceva quel posto. Non gli piaceva niente!
“GUARDA!” – Trunks lo aveva urlato senza neanche rendersene conto – “PAPA’!”.
Anche se sembrava impossibile, quella che stavano vedendo allo specchio non era la loro immagine riflessa, ma la finestra su di un luogo che gli era impossibile raggiungere. E quella finestra, quello spiraglio, aveva permesso loro di vedere Vegeta che fluttuava a mezz’aria, addormentato, e qualcuno che stava posando qualcosa sul suo capo.
“VEGETA! SVEGLIATI!”.
“PAPA’!!! NO! LASCIALO STARE!”.
Non avevano idea di chi fosse, perché non potevano vederlo, così come non avevano avuto idea di cose fosse accaduto finché non lo avevano visto. E lì, era stato tutto chiaro, nitido e spaventoso.
 
“Io ti incorono re dei saiyan. Da principe ti sei addormentato e da re ti sarai svegliato. Finché la morte non sopraggiunga, mietendoti con la sua lunga falce”.
In quello stesso istante, lo specchio aveva smesso di mostrargli quell’immagine, e sarebbe tornato a essere anche un semplice specchio, se non avesse riflesso una sola delle persone che gli stavano davanti.
“T-Trunks…” – Goten non riusciva a capire. Perché la sua immagine non veniva mostrata dalla lucida superficie riflettente?
“Volevi vederlo e te l’ho mostrato…” – e di nuovo la voce dell’uomo misterioso era comparsa, preannunciando il suo arrivo e la riapertura della porta prima serrata – “Ora puoi vedere il principe dei saiyan”.

Continua…
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Eccomi qui, anche se con un pochino di ritardo.
Ho un po’ di fretta, dunque, oggi non farò molti giri di parole. Vi ringrazio per aver letto e recensito il capitolo precedente e mi auguro che questo vi sia piaciuto! Direi che colpi di scena ce ne sono stati a sufficienza! E ora, finalmente, sappiamo chi è il VERO principe dei saiyan.
Bacini
Cleo

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Capitolo 18
*** La vittima sacrificale ***


Capitolo 18

La vittima sacrificale

 
“Il… Il principe dei saiyan?”.
Trunks non capiva cosa volesse dire lo strano figuro che andava e veniva a suo piacimento. Quello che aveva davanti agli occhi era solo il suo riflesso, non era l’immagine di suo padre. E che significato poteva avere la scena a cui aveva assistito prima di vedere solo la propria immagine specchiata su quella enorme superficie infernale?
“Io non capisco! Dov’è mio padre? Che cosa sta succedendo qui?”.
Stava davvero per perdere la pazienza. Avevano sbagliato a fidarsi di quell’uomo. Ormai ne aveva le prove tangibili: si stava solo prendendo gioco di loro. Non era minimamente intenzionato ad aiutarli. Voleva solo confonderli, disorientarli, e loro c’erano cascati come perfetti idioti.
“Adesso basta! Mi hai stancato!” – Goten aveva aumentato di colpo la propria forza spirituale, espandendo la sua aura come non mai. Sembrava come impazzito. Sin da quando erano entrati aveva cominciato a mostrare segni di insofferenza, ma reagire in quel modo non era da lui.
Trunks non aveva capito che lui si era solo stufato di quella situazione assurda. Avevano perso sin troppo tempo, erano solo stati ingannati e presi in giro da quell’uomo che era stato evidentemente inviato a loro da Vickas, e questo doveva finire una volta per tutte: Vegeta doveva essere trovato, e subito. Il momento di esitare era giunto alla fine: dovevano uscire da lì.
“Mio giovane saiyan, pensavo fossimo amici!” – aveva commentato l’uomo, per nulla preoccupato o in qualche modo impaurito.
“Amici? Ci stai solo raggirando! Noi non abbiamo tempo da perdere!”.
“Goten…” – Trunks si sentiva tra due fuochi: comprendeva la reazione dell’amico, ma non voleva commettere altre mosse sbagliate.
Potevano morire. E non voleva che ciò avvenisse prima che avessero almeno potuto vedere il suo papà.
Cosa aveva Goten? E cos’era questa storia del principe dei saiyan? Cos’era la scena che avevano visto nello specchio? Che significava quel gioco di parole?
Il principe dei saiyan. Il principe dei saiyan.
Trunks continuava a ripeterlo senza sosta, cercando una plausibile spiegazione.
Il principe dei saiyan.
Ed ecco che, improvvisamente, ogni tassello era andato al suo posto e tutta la scena a cui aveva assistito aveva avuto finalmente un senso.
“Sono io…” – aveva bisbigliato a se stesso – “Sono io il principe dei saiyan”.
Sì. Era lui il principe dei saiyan.
Tutto era chiaro: anche se incosciente, anche se non aveva avuto modo di rendersene conto, suo padre era stato incoronato re del popolo saiyan, e questo aveva fatto sì che il titolo di principe passasse a lui.
Lui era il figlio del re. Lui era il nuovo erede al trono. E poco importava se non esistevano più un trono o un pianeta su cui regnare. Vegeta era re e lui era principe. E questo voleva dire che suo padre avrebbe dovuto fare solo una cosa per fermare Vickas.
“Papà deve uccidermi”.

 
*

“Trunks! Goten! Dove siete?”.
“Bambini! Venite fuori! Non è il momento di scherzare!”.
No. Non lo era affatto. Per questo avevano cominciato a urlare come matti, nel disperato tentativo di fermare quelle due pesti o, nel peggiore dei casi, di andare in loro soccorso.
Ma tutto era stato vano.
Quel dannato castello sembrava deserto esattamente come la prima volta che lo avevano visitato. Di loro non c’era la minima traccia. Anzi, non c’era proprio traccia di nessuno.
L’unica cosa che continuavano a percepire era quella maledettissima aura opprimente che continuava, immutabile, a dargli fastidio persino durante la respirazione.
“Ma dove si sono cacciati? Dove?” – Gohan sembrava quasi impazzito. Era arrabbiato per aver dovuto lasciare Videl, era arrabbiato per aver lasciato Vegeta indietro ed era arrabbiato per quel gesto avventato messo in atto dai bambini. Ed era arrabbiato anche perché, ancora una volta, si erano mostrati incapaci di trovare sia lui che Vegeta.
“Possibile che qui non si senta niente se non quest’ingombrante presenza? Lo trovo assurdo!”.
“Gohan, reagire in questo modo non ci aiuterà a trovare una soluzione. Né a trovare i ragazzi. Non ti riconosco più, figliolo”.
Sapeva che non era il momento più adatto per rimproverarlo, ma non era neanche il momento di perdere le staffe o, peggio ancora, la speranza. Si sarebbe aspettato una reazione del genere da Vegeta, non da Gohan! A furia di frequentare quello zuccone borioso del principe dei saiyan, suo figlio stava evidentemente diventando come lui.  Assurdo!
“Sono arrabbiato, papà. Mi dispiace, ma non posso farci niente. Non capisco perché capiti sempre tutto a noi”.
“Le cose capitano a chi è in grado di affrontarle. Ci siamo mai tirati indietro o ci siamo mai abbattuti, forse? MAI. Perché farlo ora?” – si era formato proprio davanti a lui, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle e guardandolo dritto in quegli occhi così simili ai suoi – “Pensa al momento in cui tu, appena adolescente, hai affrontato Cell in persona, battendolo con le tue sole forze. Hai sconfitto l’essere perfetto e hai tenuto testa a Majin-Bu qualche anno dopo. Puoi tutto, Gohan. Basta solo che tu lo voglia. Credi in te stesso. E torneremo da Videl prima di quanto tu possa immaginare”.
Era arrossito, vergognandosi dei suoi pensieri e delle sue parole. Suo padre aveva ragione. Era uno sciocco. Era solo uno sciocco.
“Fidati di me” – aveva proseguito Goku – “E fidati di te stesso, figliolo. E sono sicuro che riusciremo a…”.
Ma non aveva fatto in tempo a finire la frase, perché una violenta esplosione aveva lasciato in sospeso le sue parole, cogliendo entrambi di sorpresa.
Goku aveva fatto appena in tempo a fare da scudo con il proprio corpo a suo figlio, assumendosi la responsabilità di genitore preoccupato per la sua progenie. Gohan stesso era stato colto di sorpresa più di quel gesto che dell’esplosione, ma subito aveva catalizzato le sue attenzioni verso il punto di provenienza dello scoppio.
“Ma cosa è stato?”.
“Papà… Guarda!”.
Quello che avevano visto era stato un uomo, uno strano uomo che fluttuava a mezz’aria come se non fosse accaduto niente e, diradatisi il fumo e la polvere sollevata dai calcinacci, avevano visto anche Goten, seguito da un Trunks che gli urlava di non commettere altre sciocchezze.
“I ragazzi!”.
Forse, avevano avuto un colpo di fortuna, anche se non avevano la benché minima idea di quello che fosse realmente successo e chi diamine fosse quello strano individuo.
“Trunks! Goten!” – li aveva chiamati Gohan.
“Ehi! NO!”.
Il piccolo super saiyan non aveva fatto neanche in tempo a rendersi conto che lì ci fossero Gohan e Goku che aveva dovuto ripararsi dalle conseguenze provocate dall’ennesimo colpo di energia lanciato da Goten.
“FERMATI GOTEN! BASTA!”.
“FIGLIOLO! MA CHE STAI FACENDO? SMETTILA!”.
Di quel passo, avrebbe fatto crollare l’intera struttura! Cosa aveva Goten? Perché si stava comportando in modo talmente avventato? Cosa lo aveva accecato sino a quel punto?
“Dobbiamo fermarlo!”.
“Trunks, stai indietro!”.
La scena era diventata molto più movimentata di quanto avrebbero anche solo lontanamente potuto immaginare. Uno scontro apparentemente impari stava avendo luogo.
 “Adesso basta. Va da Trunks, Gohan. Subito”.
Goku si era teletrasportato esattamente dietro suo figlio minore, cercando di bloccare la sua ira, questo mentre Gohan aveva compiuto il compito affidatogli.
Era impressionante. Goten non sembrava neanche più lui. Era come agitato da un sentimento che non aveva mai conosciuto prima, era mosso da un odio così profondo da renderlo simile ai saiyan di cui parlavano le storie di Vegeta.
“LASCIAMI!”.
“BASTA FIGLIOLO! BASTA!” – tenerlo fermo stava diventando impossibile anche per lui.
“HO DETTO DI LASCIARMI!”.
“Lascialo pure, Kaharot. Lascia che si sfoghi. Ne ha tutto il diritto, se crede che questo sia giusto”.
Kaharot? Lo aveva chiamato Kaharot? Ancora una volta: chi era quell’individuo? E cosa stava capitando ai suoi figli?
“LASCIAMI PAPA’! LASCIAMI!”.
“Chi sei tu? E come fai a sapere il mio nome?”.
“Tutto a tempo debito, soldato. Tutto a tempo debito!”.
E, nello stesso instante in cui aveva smesso di parlare, Goten si era divincolato dalla stretta di suo padre, caricando una testata contro l’uomo che lo aveva provocato, uomo che, dal suo canto, era svanito nel nulla. Inutile sottolineare che l’unica cosa colpita, e per altro anche sfondata, dal giovane saiyan, era stata la parete che aveva davanti, ma quella conseguenza azzardata aveva fatto sì che potessero giungere nel luogo tanto agognato: finalmente, avevano trovato Vegeta.

Continua…
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Ragazze, scusate per il breve capitolo!
Oggi è stata una giornata movimentata! E lo saranno anche le prossime settimane!
Non vedo l’ora che arrivino le vacanze di Natale, credetemi.
Dunque: hanno trovato Vegeta. Finalmente, direi. Trunks è abbastanza sconvolto dalla scoperta fatta e Goten e Gohan… Bè, su loro non mi esprimo. Lascio a voi ogni parere e/o commento.
Un bacino
Cleo

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Capitolo 19
*** L'incontro ***


CAPITOLO 19

L’incontro

 
“Ve-Vegeta?” - aveva balbettato Goku, incredulo.
“VEGETA!” – gli aveva fatto eco Gohan, ancora più stravolto del padre.
“Pa-papà! Papà!!” – Trunks non riusciva a crederci. Finalmente aveva trovato suo padre. Era così emozionato da continuare a pensare che in realtà stesse ancora sognando. Era contento come quando, la mattina di Natale, scendeva in salotto e cominciava a scartare i regali che Babbo Natale aveva lasciato per lui. Anzi: lo era molto di più, perché, finalmente, i suoi sforzi avevano dato i frutti sperati. Finalmente, aveva trovato chi aveva cercato con tanto ardore.
Non ci aveva pensato due volte, volando a gran velocità nella sua direzione, fermandosi proprio a pochi centimetri da lui. Il suo piccolo cuoricino batteva all’impazzata e i suoi occhi color del mare erano velati da lacrime di pura gioia. Per un istante, non si era reso conto che suo padre fluttuasse su una sorta di altare, privo di sensi. L’importante era che lui respirasse e che il suo cuore pompasse ancora sangue nelle vene. Il resto non contava più.
“Oh, papà…” – gli aveva posato una manina sul petto, cercando di trattenere i singhiozzi – “Svegliati… Dobbiamo andare via da qui… Dai…” – aveva provato a scuoterlo. Prima con delicatezza, poi con maggiore veemenza, ma era stato tutto inutile. Vegeta non aveva la benché minima intenzione di destarsi dal suo sonno – “Che cosa ti ha fatto quel mostro?”.
“Trunks, che cosa succede?” – Goku era stato il secondo ad avvicinarsi a Vegeta. In un primo momento, dopo aver soccorso Goten, che dall’impatto aveva perso i sensi, aveva deciso di lasciare Vegeta alle cure di suo figlio, ma quando si era concentrato per percepire la sua forza spirituale e si era reso conto che il principe dei saiyan non accennava a svegliarsi, aveva deciso di avvicinarsi a sua volta, nella speranza di fare luce in quella faccenda dai toni così oscuri.
“Non riesco a svegliarlo” – aveva ammesso Trunks, tra le lacrime – “Papà non apre gli occhi, Goku!”.
Il saiyan adulto non aveva osato rispondere. Non aveva il coraggio di dire a quel bambino così in pena che suo padre aveva effettivamente qualcosa che non andava, e che non accennava ad aprire gli occhi perché la sua aura si stava lentamente spegnendo.
“Coraggio Vegeta. Coraggio. Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, non puoi permettere che vincano la guerra! Tu sei il principe dei saiyan! Non puoi permettere che Vickas vinca! Svegliati, Vegeta. SVEGLIATI!”.
Aveva parlato con voce sincera, mettendosi in contatto direttamente con lo spirito del suo più grande rivale. Era troppo agitato per leggere nella sua mente e carpirne i segreti, e non voleva rendere le cose così semplici! Non era il momento di abbattersi e lasciarsi morire. Vegeta avrebbe dovuto svegliarsi e raccontare loro ogni cosa con quel suo vocione imperioso e a volte fastidioso. Avevano un disperato bisogno di lui, a livello affettivo e di strategia: era un rivale e un amico, un fratello e uno stratega. Senza la sua sapiente guida, non sarebbero stati in grado di battere Vickas, e Bulma e Trunks non avrebbero retto il colpo conseguente alla sua perdita.
“MI HAI SENTITO O NO, ZUCCONE? VUOI SVEGLIARTI E LOTTARE O CONTINUARE A RIPOSARE? SVEGLIATI VEGETA, O GIURO CHE SE MORIRAI CHIEDERO’ A RE YAMMER DI SPEDIRTI IN UN GIRONE INFERNALE CON TANTO DI PRATI VERDI, ORSETTI DANZANTI E FATINE CANTERINE!”.
Se, in un primo momento, qualcuno avesse visto il cipiglio che aveva in volto, questo qualcuno avrebbe pensato che Goku stesse ragionando con intensità su un argomento ostico, di difficile decifrazione, e non che stesse pensando a orsetti e faine canterine. “Quando la smetterai di frugare tra i pensieri altrui, Kaharot?”.
Eppure, a quanto sembrava, la minaccia aveva sortito esattamente l’effetto sperato. Vegeta aveva parlato con un filo di voce, ma il suo tono era inconfondibile. Nonostante avesse continuato a tenere gli occhi fissi davanti a sé e fosse rimasto immobile, la sua forza spirituale era cresciuta, tornando a essere quella di un tempo, se non addirittura più grande e, per una ragione apparentemente inspiegabile, aveva persino smesso di levitare.
“URCA! Ce l’hai fatta razza di zuccone!”.
“PAPA’!” – aveva urlato Trunks, saltandogli al collo senza pensarci.
“Grazie a Dio si è svegliato” – era stato il commento di un Gohan che continuava a cullare tra le proprie braccia il fratellino ancora privo di sensi.
“Hai anche il coraggio di lamentarti? Allora stai veramente bene!” – lo aveva schernito Goku, dandogli la mano per aiutarsi a tirarsi su. Ma Vegeta, orgoglioso come sempre, l’aveva rifiutata dopo averla guardata con disprezzo, alzandosi con le sue sole forze per mettersi seduto. Però, per quanto avesse potuto fingere, c’era ancora in lui qualcosa che non andava. La testa gli doleva terribilmente, ed era stato costretto a coprirsi gli occhi con il palmo della mano destra e ad aggrapparsi forte con l’altra al bordo dell’altare per non rischiare di cadere in avanti.
Aveva mugugnato qualcosa, digrignando i denti con forza nella speranza di ricacciare indietro quella fitta lancinante.
“Papà…” – Trunks era preoccupatissimo, e lo stava aiutando a sorreggersi. Suo padre poteva anche rifiutare l’aiuto di Goku, ma non gli avrebbe permesso di rifiutare anche il suo – “Respira papà. E sta tranquillo: ci siamo noi qui con te”.
“Vegeta…”.
“Sto bene” – aveva tuonato un istante dopo, intimando ai presenti di lasciargli spazio – “Tsk! Ancora non aveva capito che dovete smetterla di preoccuparvi per me?”.
“Hai ragione papà… Scusaci” – il piccolo aveva ancora gli occhi lucidi, ma quella reazione era la prova più tangibile dello stato di salute più o meno ottimale del principe dei saiyan.
Principe dei saiyan.
Ma ecco che quell’appellativo ripetuto da tutti fino allo sfinimento per riferirsi a Vegeta aveva fatto scattare un interruttore nel piccolo Trunks, che finalmente si era reso conto di quanto fosse accaduto in quella stanza qualche minuto prima.
“No” – aveva detto, con voce tremante, indicando il capo di suo padre – “Tu non sei più il principe dei saiyan, papà”.
Dopo un attimo di confusione, Vegeta aveva sfiorato con le dita il punto indicatogli dal figlio, scoprendo, suo malgrado, che qualcosa di freddo e liscio lo circondava.
“Tsk! Ma che diamine…?”.
“Urca!”.
“Vegeta, ma quella… Quella è una corona!” – Gohan era talmente sconvolto da non essere stato in grado di controllare neppure il suo tono di voce, tono che aveva sfiorato i livelli di isteria di quello di sua madre.
Era una corona. Era realmente una corona. E Vegeta e gli altri avevano potuto appurarlo meglio quando era stata sfilata via dal suo capo e tenuta a mezz’aria dalle mani tremanti di colui che fino a poco prima l’aveva portata senza neanche saperlo.
“Io… Io non capisco… Io non ricordo… Ma cosa…”.
Era stravolto. Il cuore galoppava all’impazzata, e per un attimo aveva creduto di perdere i sensi. L’ultima volta che l’aveva vista, circondava il capo di qualcun altro, qualcuno che gli somigliava profondamente, più in aspetto che in carattere, a essere sinceri. L’ultima volta che l’aveva vista, era stato durante una cerimonia solenne, e brillava come i raggi di sole del mattino. L’ultima volta che l’aveva vista, aveva giurato a se stesso che un giorno l’avrebbe portata con onore, e che sarebbe stata il simbolo del potere saiyan sull’universo intero. L’ultima volta che l’aveva vista, aveva desiderato ardentemente di diventare al più presto il nuovo re del popolo saiyan.
“Vegeta, ma cos’è successo?”.
“Credo che dovremmo inchinarci” – era stata la voce tremante del piccolo Trunks a catturare l’attenzione di tutti – “Dopotutto, adesso non siamo più al cospetto di un principe”.
“Cosa?” – Gohan era stravolto.
“Io l’ho visto. Potete chiedere a Goten quando si sveglia, se preferite. Ho visto qualcuno porre la corona sul suo capo… Noi abbiamo assistito alla sua incoronazione”.
“URCA! QUESTO VUOL DIRE… VUOL DIRE… CHE TU SEI IL RE, ADESSO? IL RE DEI SAIYAN?”.
“A quanto pare sì, razza di idiota”.
Sarebbe stata quella la risposta che, in circostante normali, Vegeta avrebbe dato a Goku. Ma la notizia lo aveva stravolto a tal punto da avergli impedito di proferire parola. Re dei saiyan. Qualcuno lo aveva incoronato re dei saiyan. E se lui era re, questo voleva dire che… che…
“Trunks”.
In quell’istante, l’istante in cui aveva capito ogni cosa, il suo cuore aveva perso un battito, e non era stato più in grado né di respirare né di pensare lucidamente. Avrebbe voluto piangere, urlare, disperarsi, ma non trovava la forza di farlo. Ancora una volta, il destino aveva deciso di punire chi più amava al mondo. Ancora una volta, aveva deciso di far scontare i suoi peccati agli innocenti che erano stati così stolti da volergli bene. E, ancora una volta, lui non poteva fare niente per cambiare le cose.
“Io… Io non…No” – aveva lasciato cadere quella corona diventata più pesante che mai sul pavimento, stringendo il figlio al petto davanti a tutti senza il timore di essere deriso o additato. Non gli importava niente degli altri, non gli importava niente se non l’incolumità di chi stringeva forte tra le braccia. Trattenere le lacrime stava diventando impossibile, così come stava diventando impossibile trattenere la collera che montava come un toro imbizzarrito, placata solo dal dolore che attanagliava il suo cuore ferito.
“Vegeta…” – Goku non sapeva cosa dire. Nessuno sapeva cosa dire. Perché davanti a quell’evidenza così spaventosa, qualsiasi reazione sarebbe stata inutile, vana, e completamente, assolutamente fuori luogo.
Trunks si era lasciato abbracciare forte, ricambiando quella stretta con altrettanto ardore. Sentiva il dolore di suo padre, il senso di colpa e frustrazione che lo stavano consumando a una velocità impensabile, eppure, non poteva non gioire di quel momento così unico, speciale. Sembrava che Vegeta fosse in grado di dimostrargli affetto in modo più diretto solo in circostanze drammatiche e, nonostante la sua giovane età, aveva capito che momenti come quelli erano preziosi e andavano custoditi con gelosia. Ma non era solo quello che aveva capito il piccolo saiyan dai capelli lilla. Solo che non sapeva come spiegare al suo adorato papà che, nonostante la paura, aveva già accettato di percorrere il cammino che qualcuno aveva tracciato per lui.
“Non è colpa tua, papà” – gli aveva detto, cercando di trattenere le lacrime – “Non sono arrabbiato con te. Non voglio che stai male e piangi… Tu-tu devi prenderti cura della mamma, no?”.
Aveva cercato di usare le stesse parole che, in una circostanza non troppo lontana, Vegeta aveva rivolto a lui. Solo che suo padre aveva capito perfettamente quanto stava per accadere, perché lo aveva stretto con maggiore forza, quasi volesse inglobarlo in sé per proteggerlo e sottrarlo all’orrore che lo avrebbe atteso.
“Io non lascerò che tu muoia” – aveva asserito, cercando di trattenere il pianto dirompente che tra poco sarebbe affiorato in superficie – “Ti proteggerò fino alla fine. Fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia”.

Continua…
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Perdonatemi.
Non posso chiedervi altro. Sparire così e riapparire dopo tutto questo tempo non è un atteggiamento da persona seria, me ne rendo conto perfettamente. Ma credetemi se vi dico che la fine del 2016 è da dimenticare e lo stesso vale per questo inizio di 2017. Ho vissuto solo lutti e sciagure. I momenti belli sembra che rifuggano da me come le persone sane da un appestato, e la voglia di scrivere è andata via con essi.
Eppure, bisogna pur provare a rimettersi in piedi, no? Per questo, anche se con estremo ritardo, sono ancora qui e vi chiedo di perdonare questa vostra autrice un po’ sfortunata ma che vi stima e scrive per voi.
Un abbraccio
Cleo

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Capitolo 20
*** Un'idea improvvisa ***


CAPITOLO 20

Un’idea improvvisa

 
Erano trascorse diverse ore, ormai, da quando Goku e Gohan erano partiti a gran velocità, un po’ per andare in aiuto di Vegeta e un po’ per fermare quelle due piccole pesti di Trunks e Goten che, in un gesto avventato, si erano dirette senza alcuna remora verso il castello di Vickas per trarre in salvo un principe dei saiyan rimasto indietro senza un’apparente spiegazione logica.
L’attesa si era trasformata in una lenta e dolorosa agonia per chi era stato costretto a rimanere, soprattutto per Chichi e per Bulma, mogli e madri di chi aveva intrapreso la missione di salvataggio peggio organizzata della storia ma anche di chi, allo stesso tempo, era degno di tutta la fiducia esistente al mondo.
Anche se a fatica, erano riuscite a tenere la mente occupata prestando soccorso agli amici che erano stati liberati dalla prigionia di quel mostro di Vickas. Le donne erano quelle che avevano riportato le conseguenze più gravi, ma erano tutte giovani e forti, e Bulma era certa che con un po’di sano riposo e dopo essersi rifocillate, sarebbero tornate più in forma di prima. Certo, se avessero avuto del cibo e un posto più comodo della terra brulla dove posare i loro corpi affaticati sarebbe stato meglio, ma, per ora, avrebbero dovuto accontentarsi. Di certo, era meglio vederle dormire piuttosto che intente a mordere a sangue chiunque si trovasse alla loro portata e fosse di sesso maschile, ovviamente.
Il racconto di Crilin aveva terrorizzato le due donne, anche se Bulma aveva fatto di tutto per tentare di nasconderlo. Esattamente come Chichi, anche lei aveva temuto che quella sorta di maledizione potesse essere in qualche modo contagiosa e colpire anche loro, ma poi si era immediatamente ricreduta, dandosi della sciocca e della superstiziosa. Lei era una scienziata, una studiosa, e per quanto avesse visto e vissuto le avventure più incredibili mai narrate, per quanto avesse avuto a che fare con vampiri, alieni, fantasmi e divinità, avrebbe sempre continuato a cercare una spiegazione razionale per ogni cosa. E, analizzando sommariamente il colorito delle ragazze – che da pallido era tornato a essere di un rosa piacevolissimo – e udendo il ritmo ormai più regolare del loro respiro, era arrivata alla conclusione che stare a distanza da Vickas facesse loro solo del bene. Forse si sbagliava, forse no, ma sentiva che era proprio l’aura di quel mostro spietato ad averle in qualche modo infettate e, a quanto sembrava, nonostante fosse opprimente anche a quella distanza, stare lontane dalla fortezza era la soluzione più ovvia.
Crilin era distrutto. Lo erano anche Mr Satan e gli altri, ma il suo più vecchio amico cominciava ad accusare la stanchezza del periodo trascorso in prigionia. Continuava a stare seduto su uno spuntone di roccia, accanto alla sua famiglia, con il capo chino e le spalle curve, la mente persa chissà in quale pensiero, se di vendetta o di sollievo per il momentaneo “scampato pericolo”. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarsi e di aprire il suo cuore. Per questa ragione gli si era seduta accanto e gli aveva sorriso con gentilezza, attendendo che fosse lui il primo a proferire parola.
“Non servo a niente” – aveva esordito lui, con la voce rotta da un pianto ormai impossibile da trattenere e le spalle tremanti per lo sforzo di trattenere le lacrime – “Se un uomo non è in grado di proteggere i propri cari, se non è in grado di salvare sua moglie e sua figlia, qual è lo scopo della sua vita? Non ho potuto fare niente per loro, Bulma, niente. Come sono caduto in basso. Forse, sarebbe stato meglio se fossi morto subito!”.
Aveva nascosto il viso tra le mani, sprofondando nella vergogna e nella disperazione. Ormai, non gli importava neppure di mostrarsi in lacrime davanti a tutti. Era un debole, un codardo, un essere inutile. Quell’ennesima umiliazione non avrebbe cambiato l’opinione che aveva di se stesso e che di certo i suoi amici avevano di lui. Si vergognava, si vergognava come un ladro, forse anche di più! C18 e Marron non si meritavano un marito e un padre del genere. Avrebbe solo voluto sparire dalla faccia dell’universo e non farsi vedere mai più. Ecco, quella sarebbe stata l’unica cosa buona che avrebbe potuto fare in quella sua miserabile vita. E, forse, l’avrebbe fatto, se Bulma non avesse cambiato registro, assestandogli un sonoro ceffone e guadandolo con occhi pieni di furore.
“Stammi a sentire, ma quand’è che sei diventato così piagnucolone? Vuoi che ti ricordi di quella volta in cui ti sei allenato duramente per combattere contro Vegeta e Nappa? Vuoi che ti ricordi che hai quasi ucciso mio marito? Che sei venuto con me e con il piccolo Gohan sul pianeta Namecc e che hai avuto il fegato di metterti contro Freezer in persona? O che ti parli dell’aiuto che hai dato nello scontro contro Cell e del coraggio che hai dimostrato di avere persino contro quella belva di Majin-Bu? Ovviamente, senza offesa, Mr Satan!
Tu sei l’essere umano più forte che io conosca, Crilin! E tua moglie e tua figlia sono ancora vive grazie alle cure che hai riservato loro! Sono vive e stanno bene grazie a te! Certo, Vegeta, Goku e Gohan sono venuti in vostro soccorso, ma chi avrebbero salvato se tu non le avessi aiutate a sopravvivere? Se tu non le avessi coccolate e confortate quando avevano più bisogno? Hai sposato una cyborg! C18 si è innamorata di te, Crilin! Se avesse anche solo lontanamente creduto in tutte queste sciocchezze di cui parli, non lo avrebbe fatto. Lei ha visto chi sei realmente, sa cosa sei capace di fare! Conosce in te la bontà e lo spirito di sacrificio! E poco importa se non hai la forza di un alieno! Sei umano: ed è questo che ci rende grandi, che ti rende grande! Noi, semplici esseri umani, lottiamo e combattiamo al fianco degli dei!
E poi, davvero pensi che Vegeta o Goku non abbiano mai neanche un piccolo dubbio? Che anche loro non siano assaliti da attimi di sconforto? Bene, ti sbagli. Loro provano i nostri stessi sentimenti, le nostre stesse paure. Perché, nonostante tutto, hanno capito che è mille volte meglio essere umani. Dunque, smettila di piangerti addosso! O subirai la mia ira! E fidati, dopo aver vissuto con Vegeta per anni e anni, anche io ho imparato infallibili tecniche di attacco! E lo stesso vale per tutti i presenti in questa stanza! Saremo anche isolati, saremo pochi, ma non siamo stupidi! Abbiamo ancora tanto da dare e dimostrare! Perciò, rimbocchiamoci le maniche: Vegeta e gli altri torneranno presto, e avranno bisogno di noi”.
E, in effetti, quel discorso era realmente riferito a tutti i presenti, in primis a se stessa, che per un istante aveva creduto di impazzire di dolore e per colpa dell’attesa.
“Hai ragione” – aveva detto lui, sorridendo con lieve imbarazzo – “Hai perfettamente ragione. Hanno bisogno di noi. Non solo i nostri cari, ma anche Goku e gli altri”.
“Hai ragione. Avete ragione entrambi” – aveva aggiunto Chichi – “Non so ancora come faremo per fermare Vickas, ma per ora, dobbiamo cercare di essere d’aiuto, per quanto possiamo. Saranno tremendamente affamati, al loro ritorno. Povero Gohan, e poveri Goten e Trunks! Dobbiamo pensare a un modo per sfamarli! Dobbiamo sfamare tutti!”.
Sì. Dovevano dare da mangiare a tutti. Ma andare a caccia era fuori questione, così come intrufolarsi nuovamente nel villaggio alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Tutto era diventato troppo rischioso, tutto era troppo pericoloso per loro, e non potevano permettersi di dare altre preoccupazioni ai guerrieri saiyan che li stavano proteggendo. Goku, Vegeta e tutti gli altri avevano bisogno del loro sostegno, non di altri guai. Era la situazione più assurda a cui avessero mai fronteggiato, quella che stavano vivendo. Peggiorarla sarebbe stato da autentici irresponsabili.
“Sarà pure così” – era intervenuto Yamcha, che parlava fissando un punto impreciso davanti a sé. Stava stringendo con tanta forza i pugni da essere arrivato al punto di tremare, e un furore mai visto in lui prima sembrava che stesse per portarlo sul punto di esplodere – “Ma io comincio a essere stanco di pagare per gli errori dei saiyan”.
Un silenzio improvviso era calato sui presenti, rendendo improvvisamente quell’atmosfera rovente gelida come una notte d’inverno.
“Cosa?” – Crilin non credeva alle sue orecchie. Yamcha doveva essere impazzito.
“Hai sentito benissimo. Hanno sentito tutti. E sono in tanti a pensarla come me, anche se io sono stato l’unico a dirlo ad alta voce. Sono stanco di dover subire l’ira di mostri e guerrieri fortissimi che in realtà ce l’hanno con noi sappiamo chi. Negli ultimi anni, la Terra è stata in pericolo sempre e solo per colpa di una certa persona e…”.
“Stai forse dando la colpa dei mali del mondo a mio marito, Yamcha?”.
Se avesse potuto, se ne fosse stata capace, Bulma avrebbe incenerito il suo ex-fidanzato con lo sguardo. Come poteva aver espresso un pensiero così meschino? Come aveva osato!
“Capisco che tu sia ancora in collera con lui per ragioni personali, ma questo è un colpo troppo basso persino per te!”.
“Stai davvero tirando fuori un’altra volta quella storia, Bulma?”.
“Mi sembra che sia stato tu a farlo!”.
“Ragazzi… Sul serio, non mi sembra il caso di…”.
“TACI, CRILIN!” – lo avevano detto all’unisono, pietrificando il povero malcapitato che aveva provato a sedare quella lite sul nascere.
“Non puoi pensare sul serio quelle cose!”.
“Sì che posso! Possiamo tutti! I nostri peggiori guai sono iniziati da quando Vegeta è atterrato su questo pianeta! Abbiamo dovuto fronteggiare Freezer, poi Cell alla massima potenza, poi, sempre per colpa sua, Majin-Bu è stato liberato, e ora questo! Non ce la faccio più! Nessuno ce la fa più! Non siamo in grado di porre rimedio alla scelleratezza dei nemici di tuo marito! Noi siamo stanchi, Bulma! E prima o poi capirai di esserlo anche tu!”.
Non aveva neanche finito di parlare che un sonoro ceffone aveva arrossato la sua guancia, lasciandolo interdetto. Bulma lo aveva schiaffeggiato. Lo aveva realmente schiaffeggiato!
“Bulma…”.
“Non ti devi permettere! Nessuno di voi deve permettersi di fare simili pensieri o insinuazioni! Vegeta può anche aver sbagliato, in passato, ma è cambiato! Non è più quello di prima e non è giusto attribuirgli colpe che non ha! Davvero pensate che lui non rifletta mai su queste cose? Che lui non abbia mai neanche per un istante provato ribrezzo verso il se stesso che è stato in passato? Vegeta non è la macchina da guerra che tutti pensate che sia! È un bravo marito, un padre severo ma che sa anche essere gentile e che sa giocare con suo figlio! Vegeta sarà anche il saiyan che ha liberato Majin-Bu, ma è l’uomo che amo e che mi ama a sua volta e non permetterò a nessuno di voi di screditarlo o… o…” – ma non aveva finito di parlare, perché, improvvisamente, la povera Bulma si era accasciata al suolo, causando una crisi isterica alla povera Chichi e un principio di infarto a Crilin e al resto dei presenti.
Paradossalmente, il primo a prestarle soccorso era stato proprio Yamcha, che l’aveva sorretta poco prima che cadesse completamente a terra.
“Bulma… Bulma… Apri gli occhi! Devi aprire gli occhi! Bulma!” – le aveva dato dei leggeri schiaffetti sulla guancia nella speranza che l’aiutassero a riprendersi, ed era effettivamente stato in quel modo, perché la donna dai capelli turchini aveva poco dopo schiuso le palpebre, mugugnando leggermente qualcosa di incomprensibile.
“Ti senti bene, amica mia?” – Chichi le aveva preso la mano, stringendola con forza e gentilezza insieme – “Cosa ti è successo?”.
“Io… Non lo so… Improvvisamente, ha cominciato a girare tutto e… Ho tanta sete e tanto freddo… Fa così tanto freddo”.
Senza pensarci due volte, Yamcha aveva stretto la sua vecchia fidanzata più forte al petto, cercando di trasmetterle calore. Sapeva che, se Vegeta fosse arrivato, avrebbe rischiato la vita, ma in quel momento non riteneva che ciò fosse una cosa importante. Voleva solo che Bulma, la sua Bulma, stesse bene. E continuava a darsi dello stupido per essere stato probabilmente la causa di quel malore.
“Dobbiamo trovare un riparo più sicuro” – quella volta, era stato Mr Satan a parlare – “Come dicevi tu, Bulma, siamo esseri umani. Speciali, ma umani. E non possiamo stare qui per sempre”.
Sì, certo. Ma dove potevano andare? E Goku e gli altri come avrebbero fatto a ritrovarli? L’aura di Vickas era troppo immensa, così grande da coprire quelle altrui, non sarebbero mai stati in grado di raggiungerli!
“Ma-ma certo!” – aveva sussurrato Bulma, prima con debolezza, poi con maggiore forza – “Un riparo… Una casa… Una capsula!”.
“Una capsula?” – le aveva fatto eco Chichi – “MA CERTO! LA CAPSULA! Sei un genio, Bulma!”.
“Ma di cosa state parlando?”.
“Delle capsule costruite da Bulma, Yamcha! Le capsule prodotte dalla sua azienda!”.
“Sì, questo lo avevamo capito tutti. Ma dove pensi di trovare una capsula qui, adesso, con una casa all’interno?”.
“Se siamo fortunati, non troppo distante da qui!” – così dicendo, aveva preso Crilin per un braccio e lo aveva trascinato fuori, portandolo sull’orlo del precipizio e indicando un punto preciso che si trovava tra un mucchietto di alberi abbattuti e di cespugli aggrovigliati.
“Ma quello… Quello…”.
“Quello è un aereo della Capsule Corporation. O quello che ne resta. E, come ben sai, tutti gli aerei prodotti dalla Capsule Corporation hanno in dotazione un kit di sopravvivenza. Se siamo abbastanza fortunati, forse, non è andato distrutto durante la collisione. E, chi lo sa, magari laggiù, c’è qualcuno ferito che ha bisogno del nostro intervento. Non pensi sia nostro compito andare a controllare?”.
Lo aveva incastrato. Lo aveva incastrato eccome. Ma aveva ragione. Entrambe avevano ragione da vendere. Come sempre, del resto. Era inutile, le donne sarebbero sempre state un passo avanti a loro. E se doveva ringraziare Dio per la loro presenza sulla Terra, bè, non pensava potesse esserci momento migliore.
“Vado immediatamente a vedere, Chichi. Se la mia famiglia dovesse chiedere di me, puoi dire loro che tornerò presto” – e si era alzato in volo, scendendo poco dopo in picchiata verso i resti dell’aereo.
A Chichi non era rimasto altro da fare se non vedere il migliore amico di suo marito ridursi a un minuscolo puntino e pregare che le cose, per una volta, potessero andare come avevano sperato. E, nel veder riapparire Crilin un attimo dopo con un sorriso smagliante e una piccola scatola gialla in mano, non aveva potuto non sorridere a sua volta, Forse, dopotutto, ancora non tutto era perduto.
Continua…
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Eccomi qui, in perfetto orario!
Stento io stesso a crederci, eppure, sono stata puntuale. Mi dovete scusare per questo capitolo, ma non potevo proprio dimenticarmi di Bulma e gli altri! Le loro gesta sono altrettanto importanti. =)  Posso solo augurarmi che vi sia piaciuto!
Scusate anche per vari ed eventuali refusi. Quelli, purtroppo, sembra non manchino mai.
Che altro dire? Nel prossimo capitolo scopriremo cosa faranno Vegeta e il resto dei nostri amati saiyan!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 21
*** Finalmente fuori ***


CAPITOLO 21

Finalmente fuori

 
Non avrebbero mai pensato di poter vivere una situazione come quella. Nonostante le mille difficoltà che avevano affrontato in passato, mai prima di allora erano stati in preda a una simile disperazione, generata dalla presa di coscienza dello scacco matto che avevano appena subito. Il re era stato distrutto, e non c’era stata nessuna regina lì, a proteggerlo.
Eppure quel re, quello stesso re che era stato sconfitto a livello psicologico, fisico e persino nell’anima, stava facendo di tutto per mantenersi in piedi e non crollare definitivamente. Perché, se quella era una partita a scacchi, per la prima volta era presente un pezzo nuovo, un pezzo estremamente pregiato e raro: il principe. E, a quel punto, né alfieri, né cavalli, né la regina e neppure il re potevano essere considerati più importanti di lui. Ma, al contrario di quello che si sarebbe potuto pensare, il principe non era il pezzo da proteggere, ma l’esatto contrario. Il principe era la pedina che avrebbero dovuto sacrificare per fare a loro volta scacco matto e mettere la parola fine a quella partita iniziata a loro insaputa da un nemico che non avevano neanche avuto modo di vedere.
Nessuno dei presenti aveva avuto il coraggio di fiatare. Il silenzio era diventato assordante, pesante come un macigno, esattamente come la consapevolezza che, per fermare il piano di un mostro, avrebbero dovuto immolare un innocente.
“Non lo permetterò” – aveva ripetuto Vegeta fino allo sfinimento, prima di cadere in una sorta di stato catatonico – “Non permetterò a nessuno di farti del male” – continuava a dire, mentendo a se stesso pur di non ammettere che questo nessuno era se stesso.
Mai avrebbe creduto che Vickas potesse tirargli un colpo così basso, che potesse essere così vile e meschino. Avrebbe preferito immolarsi lui pur di fermarlo, avrebbe preferito farsi sacrificare come un agnello piuttosto che mettere fine alla vita di suo figlio con le sue stesse mani. Quello era troppo. Era troppo persino per Vegeta l’assassino, per Vegeta soldato dell’esercito di Freezer, per Vegeta principe dei saiyan. Lui era re, adesso, incoronato dallo stesso essere che si era fatto gioco di loro e che, con ogni probabilità, rideva di gusto per la messa in opera del suo perfido, malefico piano.
No. Suo figlio non sarebbe morto mano sua. Suo figlio non sarebbe morto per mano di nessuno. Non aveva chiesto di essere incoronato, non aveva scelto di portare quel fardello e non avrebbe adempiuto a un compito così spregevole. Trunks era parte di ciò che amava, era il frutto più prezioso di un sentimento che aveva imparato ad accogliere nel suo cuore. E nessuno, nessuno avrebbe osato torcergli un capello.
“Vegeta…” – Gohan e Goku, rimasti in un primo momento in disparte per lasciare loro un briciolo di privacy, avevano entrambi fatto un passo avanti, nel tentativo di poter almeno infondere loro un po’ di conforto, se non era possibile dare loro un po’ di speranza. Il Son più giovane reggeva ancora tra le braccia il fratellino, cercando di proteggerlo dagli eventi che li avevano travolti senza alcuna pietà. Se Goten avesse sentito, se Goten avesse saputo, avrebbe subito un colpo durissimo. Trunks per lui era come un fratello e, dopo la fusione e la lotta contro Majin-Bu, era diventato parte della sua stessa essenza. Se avesse saputo che lui era stato maledetto, che lui era stato trasformato nella vittima sacrificale che avrebbe potuto porre la parola fine a quella tragedia immane, sarebbe impazzito di dolore.
Dopo la strana reazione che aveva avuto pochi minuti prima, Gohan non voleva fare in modo che qualcosa potesse provocare in lui ulteriori turbamenti. Vickas stava agendo in modo subdolo anche sul subconscio del suo adorato fratellino, non aveva più alcun dubbio, e questo faceva di lui un'altra persona da proteggere e custodire con estrema gelosia.
“Vegeta” – Goku aveva provato a chiamarlo di nuovo, stavolta con più forza e determinazione. Si sentiva tremendamente a disagio per la prima volta nella sua vita, oltre che fuori luogo e frastornato dalla velocità con cui gli eventi stavano volgendo in negativo. Eppure, voleva provare a mascherare quello che il suo cuore stava provando, nel tentativo – probabilmente vano, ne era consapevole – di aiutare colui che era a sua insaputa diventato il re de saiyan.
“Kaharot, dobbiamo portarlo via da qui. Dobbiamo portare via entrambi”.
Era chiaro che si riferisse anche a suo figlio Goten, e non poteva dargli torto: quella maledetta fortezza era un luogo pieno di pericoli e di insidie, una trappola per topi. Ed era inutile specificare quale fosse il ruolo che loro stavano interpretando magistralmente.
“Papà, io non voglio che tu e la mamma soffriate a causa mia. Io voglio portare la pace. Voglio…”.
“Non osare neanche pensarlo” – Vegeta era stato glaciale. Il suo sguardo avrebbe tramutato in pietra anche l’aria, in quell’occasione, e a Trunks non era rimasto altro da fare se non tacere e accettare passivamente la volontà e gli ordini di suo padre. Ma, in cuor suo, Vegeta sapeva quanto grande fosse lo spirito di sacrificio del suo unico figlio, e temeva da parte sua qualche azione sconsiderata. No, Trunks non poteva più essere lasciato solo. Trunks doveva essere protetto e sorvegliato a vista affinché non potesse compiere qualche sciocchezza. E, suo malgrado, forse, doveva stare lontano da lui. La leggenda parlava chiaro: sarebbe stato il re a dover sacrificare volontariamente il suo primogenito, il suo unico figlio per imprigionare l’uccisore degli dei. Lui non avrebbe mai accettato di mettere in pratica un simile abominio, ma non poteva sapere quali assurdi tiri avrebbe giocato loro il nemico invisibile che li stava man mano annientando. Perché sì, Vegeta si sentiva in quel modo: annientato. Completamente, totalmente annientato.
“Usciamo da questo posto schifoso immediatamente. Non voglio restare qui un minuto di più” – così dicendo, aveva preso suo figlio in braccio come si faceva con un infante, si era messo in piedi e aveva spontaneamente messo una mano sulla spalla di Goku, lasciandolo perplesso. Vegeta aveva sempre rigettato anche solo l’idea di sfiorarlo. Invece, in quell’occasione, aveva fatto l’esatto contrario. Goku non poteva e non voleva neanche lontanamente immaginare come potesse sentirsi. Essere padrone della vita e della morte era una responsabilità che nessun essere umano avrebbe dovuto avere, ma solo in quell’istante sembrava essersi reso realmente conto di quello che ciò comportava. Solo il cielo poteva sapere quanto, in quel momento, avrebbe avuto bisogno di parlare con Re Kaioh, di sfogarsi con lui, di chiedergli consiglio e aiuto. Ma non avrebbe potuto farlo. E non avrebbe potuto perché Vickas, così vile e codardo, aveva posto un freno a qualsiasi contatto con la Terra e il mondo degli dei.
“Avvicinati, Gohan” – era stato perentorio, forse anche un po’ duro. Ma era rabbia quella che stava provando. Rabbia mista a frustrazione per essere stato una vittima inerte delle circostanze.
Era assurdo pensare che una cosa così innocua come un regalo potesse condurre a morte e distruzione. Era assurdo pensare che un nemico così antico, una leggenda, potesse tornare e che per fermarlo sarebbe stato necessario sacrificare la vita di un bambino, di un piccolo eroe dagli occhi chiari che aveva sempre il sorriso sulle labbra e una buona parola per tutti. E Goku, in quel frangente, non aveva potuto non pensare all’altro Trunks, quello del futuro, quel ragazzo così in gamba ma così sfortunato che aveva perso tutti quelli che amava ma che non si era dato per vinto. Sembrava quasi che quel piccolo saiyan mezzosangue fosse nato sotto una cattiva stella e che il suo destino fosse stato segnato ancor prima della sua venuta al mondo. Ma poteva davvero essere così? Potevano davvero arrendersi e lasciare che Vickas vincesse la guerra?
“Troveremo un modo, Vegeta. Te lo giuro. Troveremo il modo di impedire che questa barbarie si compia. Lo giuro a te e al piccolo Trunks. Lo giuro sulla mia stessa vita” – e, con quella promessa ancora appesa alle sue labbra, Goku aveva posato due dita sulla fronte, sparendo nel nulla insieme alle persone che, anche se in silenzio, anche se inermi, avevano e avrebbero prestato giuramento insieme a lui.

 
*

Questa volta, era reale il silenzio che regnava in quella stanza. Adesso era tangibile, vero, apparentemente immutabile. Non c’erano respiri, non c’era alcun battito di cuore a disturbare quella calma improvvisa.
Eppure, qualcuno c’era, in quel luogo che era stato scenario del terrore. E questo qualcuno, era lo stesso che si era chinato per raccogliere la corona che poco prima aveva cinto il capo del neo-eletto re dei saiyan.
Il simbolo di regalità splendeva lucente tra le mani ossute di chi lo rimirava senza proferire parola. Le cose erano andate esattamente come aveva voluto. Vegeta era diventato il re e il ragazzino era a diventato di diritto il suo erede al trono, il principe dei saiyan. Così facendo, sua maestà il re sarebbe stato costretto a sacrificare il suo unico figlio per porre fine a quella che qualcuno avrebbe definito una spiacevole vicenda. Ed era certo che Vegeta non lo avrebbe fatto, era certo che non avrebbe sacrificato quella vita per nessuna ragione al mondo. Non c’erano possibilità di imbrogliare, quella volta. Aveva fatto in modo che le fatidiche sfere del drago non potessero essere in nessun modo rintracciate, aveva fatto in modo che nessun aiuto spirituale potesse giungere in loro soccorso. Li aveva bloccati, isolati, annientati, resi schiavi del destino, burattini privi di una reale scelta.
Qualcuno avrebbe potuto obiettare che la scelta c’era, e che essa consisteva nell’immolare un bambino per ottenere la vittoria o lasciarlo vivere e crescere in un mondo di miseria. Ma lui sapeva già quale scelta aveva fatto Vegeta. E lo sapeva perché aveva avuto modo di scrutare in quel suo cuore all’apparenza nero come la notte, ma che in verità brillava di una luce che neanche lui sapeva di possedere. Sì, ne aveva avuto la conferma. Il re dei saiyan non avrebbe mai immolato spontaneamente il suo unico figlio. E questo poteva solo volgere a suo favore.
Eppure… Eppure, qualcosa continuava a tormentarlo. Un dubbio si era insinuato in lui, perché, nonostante prevedesse ogni cosa, nonostante il suo piano fosse praticamente perfetto, non aveva tenuto in considerazione un aspetto che non aveva tanto a che fare con il nuovo re, ma direttamente con il suo giovane erede.
“Chi avrebbe mai detto che un saiyan potesse scegliere di sacrificarsi per il bene comune?”.
E Trunks lo aveva detto chiaramente più volte: era disposto a morire pur di salvare chi amava.
Aveva visto il cambiamento nel cuore di quegli strani saiyan, così diversi da quelli che lui aveva incontrato numerosi anni addietro, ma quella era stata un’eventualità di cui non aveva tenuto conto. Vegeta era stato la sua sorpresa più grande, ed era stato proprio il suo cambiamento a far girare le carte a suo favore. Quel bastardo discendeva dalla stirpe che lo aveva costretto alla resa, aveva in sé il sangue del figlio di quel re che lo aveva imprigionato, del suo secondo figlio, per essere precisi, quello che aveva avuto dopo aver compiuto il sacrificio, e per questo doveva essere punito. Privarlo della vita sarebbe stato troppo poco. Voleva che soffrisse, voleva che si disperasse, e aveva capito che l’unico modo per farlo era mettere a repentaglio la vita di suo figlio, e farlo in modo del tutto originale. Anche se…
“Il mio signore non è contento?”.
Una voce improvvisa lo aveva distolto dai suoi pensieri.
“Sei tu” – aveva detto, glaciale.
“Chi altri se non io, mio signore e padrone” – e si era avvicinato con cautela e sicurezza insieme, il capo chino e le mani in preghiera – “Sento che il dubbio si sta insinuando in te, padrone. Cosa ti turba?”.
“Dimmi, verme. Tu vuoi vivere?”.
Quella domanda lo aveva lasciato interdetto. Una goccia di sudore aveva attraversato l’intera lunghezza della sua schiena, partendo dalla nuca e morendo all’altezza delle natiche. Cosa voleva dire?
“Mio signore. Sai che la mia vita è legata a te. Io sono solo un tuo umile servitore. Il mio compito è riverirti e renderti omaggio”.
“Continui a tergiversare. Tu vuoi vivere, oppure no?”.
“Padrone, la mia vita è tua”.
Stava tremando. E, allo stesso tempo, stava disperatamente provando a far sì che ciò non si notasse. Perché era improvvisamente diventato così sospettoso nei suoi riguardi?
“Sei stato tu a consigliarmi. Tu sei stato in tutto questo tempo i miei occhi, le mie orecchie. Sei stato al mio fianco nonostante non avessi più niente da offrirti, aspettandomi per secoli, sino a consumarti. Sei stato un servitore fedele, l’unico che è stato realmente tale. Ma ora, il tuo consiglio insinua in me il dubbio. Perché hai voluto che fornissi loro l’unico modo che hanno per fermarmi?”.
Ancora una volta, il silenzio era stato protagonista di quella scena.
“Padrone… Mio unico, solo padrone” – aveva detto, gettandosi ai suoi piedi – “Tu volevi che lui soffrisse, non è così? Tu volevi che lui sopportasse le tue stesse pene, non è vero? Ebbene, il mio consiglio portava solo a questo, mio unico e solo padrone. Ho condotto qui il bambino affinché il padre si sentisse responsabile per lui, l’hai reso principe affinché il padre portasse sulle spalle il peso della rovina dell’universo intero. Vegeta non cederà. Lui non ucciderà mai la sua progenie. E questo lo porterà a vivere la sua miserabile esistenza con il rimorso di non aver potuto porre fine a quella che loro considerano una sciagura quando ancora era in tempo. Sì, lui soffrirà. Lo giuro sulla mia vita”.
“Quella vita che è nelle mie mani, giusto?”.
La domanda lo aveva completamente atterrito. Ma sì, la sua vita era in quelle mani così potenti e grandi. In quelle mani che potevano realizzare ogni cosa.
“Non lo ucciderà. Lo avete visto con i vostri occhi”.
“Ma non avevamo letto nel cuore del bambino. Non avevamo tenuto in considerazione la sua, di volontà. Se dovesse portare suo padre a convincerlo del contrario, cosa sarebbe di me, di te, di tutto questo?”.
Non aveva osato proferire parola.
“Non mi sarei dovuto fidare. Ecco come il tuo giuramento perde di significato! ECCO COME MI HAI TRADITO!” – e, ancor prima che finisse di parlare, l’aria era diventata ancora più rovente e un turbine di spaventosa energia si era levata da quell’essere oltremodo spaventoso.
“Pa-padrone…”.
“TU PORRAI FINE ALL’EQUIVOCO CHE HAI CREATO” – aveva tuonato – “TU RIMEDIERAI ALL’ERRORE. SOLO ALLORA, FORSE, AVRO’ PIETA’ DI TE”.

Continua…
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Eccomi qui, anche questa settimana in perfetto orario (più o meno).
Allora, direi che bisogna ricapitolare un attimo la situazione, no?
Dunque: Vegeta è re. Trunks è il principe. La leggenda parla chiaro su come fermare Vickas, no? Ma quest’ultimo, così desideroso di punire Vegeta per un crimine che non ha neanche commesso, ha fatto sì che lo privasse di una reale scelta, perché, secondo quanto ha visto nel suo cuore, era certo che non avrebbe mai fatto del male al suo unico figlio immolandolo pur di fermarlo. Quindi, a conti fatti, Vickas avrebbe potuto regnare indisturbato, no? Eppure, l’insistenza di Trunks lo sta facendo vacillare, e abbiamo scoperto che questo piano “geniale” non è del tutto frutto della sua mente malata ma di qualcuno che abbiamo già conosciuto.
Dubbi? Incertezze?
Aspetto di sapere che idea vi siate fatti!
Bacini
Cleo



 

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Capitolo 22
*** Restiamo uniti ***


CAPITOLO 22

Restiamo uniti

 
Avevano abbandonato il castello con la morte nel cuore e mille dubbi inespressi che li stavano man mano consumando.
Erano diventati loro malgrado i protagonisti di un gioco mortale, un gioco a cui non avevano scelto volontariamente di partecipare e che li aveva portati a commettere più passi falsi che mosse degne di lode.
Non si erano curati neppure di non dare troppo nell’occhio, in quell’occasione. L’unica cosa a cui Goku, Gohan, Vegeta e il piccolo Trunks stavano pensando, era di lasciarsi alle spalle il più in fretta possibile quell’orribile posto e raggiungere a gran velocità chi li stava attendendo con immensa trepidazione.
Gohan teneva stretto a sé il suo piccolo, adorato fratellino, seriamente preoccupato per non aver visto da parte sua alcun tipo di reazione a quel sonno forzato. Avrebbe tanto voluto provare a scuoterlo, a farlo svegliare, ma sembrava che non ci fosse modo di far sì che ciò si verificasse. Lo stato comatoso in cui versava ormai da diverso tempo sembrava quasi irreversibile, ma non aveva osato chiedere a qualcuno dei presenti cosa pensavano si potesse fare per cambiare quella che, a suo sentire, era diventata una spaventosa realtà.
Vegeta e Trunks erano troppo provati da quanto era loro capitato, e suo padre… Bè, suo padre non poteva sempre designarsi paladino della giustizia e risolutore di ogni genere di sciagura o calamità. Quello che spesso tendevano tutti a dimenticare era che, per quanto lui fosse sempre presente e puntualmente disposto a sacrificare la propria vita per un bene comune, Goku non era tenuto a farlo e che anche loro erano perfettamente in grado di assumersi delle responsabilità.
Del resto, cosa avrebbe potuto sperare che facesse, suo padre, per scoprire cosa fosse capitato a Goten? O cosa avrebbe potuto fare Vegeta? A quel punto, avrebbero potuto chiedere la stessa cosa a lui, e avrebbe risposto che il massimo che poteva fare era non creare allarmismo e provare, almeno per una volta dopo tanto tempo, ad alleggerire il peso che gravava sulle spalle del saiyan che aveva contribuito a farlo venire al mondo.
Vegeta, solitamente propenso a volare un passo avanti a tutti gli altri, in quell’occasione era rimasto indietro. Gohan sospettava che ciò stesse avvenendo perché, così facendo, poteva tenere sotto controllo Trunks senza dare troppo nell’occhio. E, qualcosa, diceva al giovane Son che non era il saiyan con i capelli lilla l’unico che voleva in qualche modo proteggere. Gohan era certo che Vegeta si sentisse responsabile per tutti e per tutto. Ormai aveva imparato a conoscerlo bene, e sapeva distinguere ogni suo atteggiamento, per quanto egli cercasse di mascherarlo sotto quel suo consueto cipiglio.
Vegeta stava soffrendo. Il principe, anzi, il re dei saiyan, stava tremendamente soffrendo per il barbaro destino che era capitato a loro tutti, destino di cui si sentiva tremendamente, immancabilmente responsabile. Era inutile che provassero a consolarlo, a ripeterglielo fino allo sfinimento: niente avrebbe potuto convincere Vegeta che era una vittima degli eventi esattamente come tutti loro, e non la causa scatenante di quelle sciagure che continuavano a perseguitarli.
Sapeva perfettamente che sia Bulma sia suo padre avevano provato a parlargli per convincerlo della sua totale estraneità ai fatti, ma quella ultima batosta aveva reso i loro sforzi vani. Non se la sentiva di biasimarlo, ma non poteva neanche permettergli di distruggersi. Avrebbero trovato una soluzione. Non sapeva ancora quale fosse, ma non potevano darsi per vinti. Se Junior fosse stato lì, lo avrebbe spronato a lottare con tutte le sue forze. E lui, Son Gohan, non avrebbe mai deluso colui che era stato non solo un maestro di arti marziali, ma un maestro di vita.
“La caverna è laggiù” – aveva detto Trunks, indicandola con il suo piccolo dito. Preso dall’ansia, Goku li aveva portati fuori dal castello, ma non nei pressi della grotta dove si erano rifugiati gli altri, ed erano stati costretti a percorrere un tragitto più o meno lungo in volo. Qualcuno avrebbe potuto accusarli di aver prestato poca prudenza, ma non era stato così: avevano ormai capito che Vickas era ovunque, pronto a giocare il più spregevole tra i tiri mancini, e che nascondersi da suoi occhi erano un pensiero sciocco e una cosa irrealizzabile. Così come sarebbe stato irrealizzabile pensare di nascondersi agli occhi di Bulma.
Non che Vegeta avesse pensato di farlo: lui possedeva il coraggio di un vero saiyan, ma affrontare sua moglie non sarebbe stato facile neanche per lui. Sapevano che Bulma avrebbe capito, ma sapevano anche che inizialmente avrebbe perso le staffe, non risparmiando schiaffi o calci a chiunque si trovasse alla sua portata, marito compreso. Erano certi che anche Chichi avrebbe reagito in malo modo alla notizia che avrebbero dovuto dare loro, e Goku sperava con tutto il cuore che sua moglie non esagerasse nel dare addosso a Vegeta. Aveva già abbastanza preoccupazioni.
Si erano fermati tutti di colpo, atterrando proprio davanti alla caverna, trovandola stranamente vuota.
“Chichi?” – aveva chiamato Goku.
“Mamma?” – aveva provato Trunks.
“Bulma… Crilin… Dove siete?”.
“Qui non c’è nessuno, Gohan” – aveva detto Vegeta, ancora più preoccupato – “Tsk! Ma dove diavolo sono andati tutti? BULMA! BULMA!”.
“TESORO!” – la voce di Bulma, e non solo quella, lo aveva travolto all’improvviso, prendendolo alle spalle con una mossa a sorpresa.
La turchina aveva stretto suo marito con forza, gli occhi colmi di lacrime e le spalle tremanti per lo sforzo di trattenere il pianto. Era sollevata, sollevata e contenta di sapere che suo marito stava bene, che tutti stavano bene ed erano lì, incolumi.
“Mi sei mancato così tanto. Sono stata così in pensiero. Pensavo che quel mostro di Vickas ti avesse fatto del male e che non ti avrei più rivisto. Oh, amore, sono così contenta di vederti! Sono morta di paura!”.
Vegeta non si era mosso, incapace di reagire a quella dimostrazione di affetto. Si sentiva spaesato, confuso, imbarazzato in parte e incapace di confidare a sua moglie quanto accaduto.
“E ci siete anche voi! E stati tutti bene! Chichi sarà felicissima! E anche Crilin! Scusate se vi abbiamo fatto preoccupare, ma ci sono novità! Seguitemi! Lasciate che vi mostri cosa abbiamo fatto! O meglio: trovato!”.
E, senza che loro potessero opporsi in qualche modo, Bulma li aveva condotti fuori dalla grotta, in uno spiazzo circondato da alti pini sopravvissuti alla furia di Vickas.
“Io non capisco…” – aveva detto Goku, osservando il luogo dove li aveva condotti l’amica – “Ma dove sono tutti?”.
“Un po’di pazienza e lo vedrai con i tuoi occhi”.
Ed ecco che, prima ancora che potessero fiatare, Bulma aveva premuto un piccolo tasto su un telecomando tirato fuori da chissà dove e, chissà come, una porta si era aperta all’improvviso, mostrando loro l’ingresso di una casa perfettamente arredata e funzionale.
“U-URCA!”.
“Mamma! Ma avete trovato… Avete trovato…”.
“Un’intera collezione di capsule, tesoro. E questa è stata la perla del tesoro scovato da Crilin: una casa dotata dei più avanzati sistemi di sicurezza presenti al mondo. Come potete vedere, al di fuori è completamente invisibile, ed è dotata di uno scudo anti-atomico e di una serie di giocattolini che potrebbero rivelarsi molto utili, date le circostanze”.
“Ma-ma… Bulma, è fantastico!”.
“Sì, Gohan, lo è. Siamo al sicuro. Per quanto si possa pensare di essere al sicuro da quel mostro. E siamo equipaggiati, nonché dotati di qualsiasi genere di comfort. Ma vi prego di entrare. Potrete fare una doccia, rifocillarvi e cambiarvi d’abito. Anche riposare, se serve. E mi racconterete tutto quello che è successo”.
Ora che la guardavano meglio, effettivamente, Bulma non indossava più l’abito rovinato e sporco sopravvissuto all’attacco di Vickas, ma una comoda e calda tuta di velluto viola, e la sua pelle e i suoi capelli splendevano di un nuovo vigore.
“Andrà tutto bene, ragazzi. Questa non è una prigione. Fidatevi di me: questo è solo un momento di gioia”.
Ma no, quello non sarebbe stato un momento di gioia, e Bulma lo aveva capito nello stesso istante in cui aveva finito di pronunciare quella frase e aveva posato il suo sguardo fiducioso prima sul marito e poi sul suo piccolo, adorato unico figlio.
“Ma… Vegeta… Trunks… Che vi succede?”.
“Entriamo” – Vegeta era stato perentorio – “È tempo che tutti sappiate quanto è accaduto”.
“Ma cosa… ASPETTA!”.
Ma Vegeta non l’aveva ascoltata ed era entrato in casa, seguito da Trunks e da Gohan.
“Entra dentro, Bulma” – le aveva consigliato Goku, mettendole una mano sulla spalla in segno di affetto – “Ci sono delle cose di cui dobbiamo parlare”.

 
*
 
Aveva raccontato la tremenda vicenda di cui erano stati protagonisti senza fare troppi preamboli, senza fronzoli e con una calma che aveva reso tutto irreale e lontano nel tempo, come se quanto accaduto non li riguardasse da vicino, come se fosse capitato a qualcun altro e non a loro che, inermi, continuavano a stare seduti attorno al tavolo rotondo che si trovava esattamente al centro dell’ampio salotto. Le tazze fumanti di thè verde che avevano preparato per loro Chichi e Bulma erano rimaste intonse, diventando man mano fredde e prive di attrattiva. Lo stesso destino era toccato ai biscotti della fortuna, i preferiti di quello che era ormai diventato il re dei saiyan.
Nessuno aveva osato fare domande e Bulma, la madre del bambino diventato vittima sacrificale, era rimasta in piedi, davanti al lavandino, il capo chino e la mente perduta chissà dove, intenta a strofinare con la spugna insaponata una tazza pulita, diventata il suo unico sfogo.
“Questo è quanto” – aveva sentenziato Vegeta, glaciale. Aveva in ogni modo provato a non far trasparire alcun tipo di sentimento, ma era proprio lo sforzo di rimanere impassibile che rendeva ogni suo tentativo vano.
Sarebbe crollato. Prima o poi, Vegeta sarebbe crollato, e il compito di sorreggerlo e rimetterlo in piedi, a quel punto, a chi sarebbe toccato?
“Papà… Tu lo sai che non ci sono alternative… Noi lo dobbiamo fermare e…”.
“Ti ho già detto che questa decisione non spetta a te”.
“Oh Trunks, ma cosa stai dicendo?” – Crilin, in un primo momento impassibile, non era riuscito a non intervenire in quel dialogo padre-figlio poco produttivo – “Nessuno di noi ti permetterà di compiere qualche gesto estremo. E poi, davvero credi che tuo padre possa scegliere volontariamente di immolarti? Non dire sciocchezze…”.
“Ma come lo fermeremo? Come? Quel Vickas si sta prendendo gioco di noi. Lui ha fatto di proposito una cosa del genere per mettere papà di fronte a una scelta che non riesce a prendere! Per questo voglio prendere io questa decisione! Lasciatemi decidere! Vi prego!”.
“Ora basta!” – Chichi, rimasta fino a quel momento in silenzio, seduta sul divanetto accanto al suo piccolo ancora addormentato, era stata perentoria. Il suo sguardo saettava, e una fermezza non udibile neppure in Vegeta si era palesata nel suo tono di voce – “Unico o no capace di fermare Vickas, noi non ti permetteremo di fare niente di stupido, intesi? Non faremo il suo sporco gioco e ci impegneremo a fondo per sconfiggerlo in qualche altro modo. Non è vero, Goku? Non è così, Vegeta?”.
Era strano che fosse proprio lei a fare quel discorso, che proprio lei non stesse incolpando Vegeta dell’ennesimo fallimento. Eppure, sembrava che la decisione nella sua voce avesse in un certo qual modo convinto Trunks della scelleratezza delle sue convinzioni.
“Qui, di nostra mano, nessuno verrà sacrificato, o immolato, o venduto al demonio. Nessuno subirà gli eventi passivamente. Siamo tutti lottatori, anche se lottiamo in modi diversi! Pensaci bene, Trunks: come potrebbe continuare a vivere, tuo padre, sapendo che coscientemente ha privato della vita il sangue del suo stesso sangue? E tua madre? Che opinione avrebbe di lui? A quel punto, sarebbe meglio morire tutti”.
“Eh? Urca tesoro! Non credevo che tu…”.
“Siamo qui, Goku. Siamo quelli che restano del nostro gruppo di amici, molto probabilmente. Siamo feriti e spaventati, ma siamo insieme. Le persone che sono fuori, invece, sono diventate schiave e vittime di Vickas, e io non permetterò che qualcuno, tra noi, subisca la stessa sorte. Nessuno dovrà morire. Ho ragione, Vegeta?”.
In un primo momento, il re dei saiyan non aveva risposto. Ma poi, preso coraggio e assimilate le parole della donna che tanto lo detestava, aveva risposto con un cenno di assenso, mostrandosi in parte sollevato da quell’incombenza così pesante.
“Adesso, filate a lavarvi e a riposare. Al vostro risveglio, prometto che troverete da mangiare i vostri piatti preferiti. Devono essere in forze per sconfiggere il nemico, non è così, Bulma?”.
E la turchina, esattamente come il marito, aveva risposto con un cenno del capo, sorridendo tristemente.
“Ce la faremo. E cominceremo a farlo restando uniti”.
E così dicendo, tutti si erano messi all’opera, cercando di non svegliare chi riposava già da diverso tempo. Nessuno, però, si era accorto di quanto stava avvenendo sotto il loro naso: nessuno si era accorto che un’aura verdognola si era sviluppata attorno al corpicino del piccolo Goten.

Continua…
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Eccomi qui, di nuovo puntuale!
E pensare che giovedì ho un esame e devo ancora finire di ripetere!
Ma non potevo abbandonarvi: no e poi no!
Dunque, i nostri amici si sono ricongiunti. Dieci e lode a Chichi, che solitamente odio a morte. Ma come hanno fatto a non accorgersi di Goten?
Lo capiremo nel prossimo capitolo!
Grazie di tutto!
Un bacione
Cleo

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Capitolo 23
*** Un attacco inaspettato ***


CAPITOLO 23

Un attacco inaspettato

 
Alla fine, avevano deciso di seguire il consiglio di Chichi e godere così di qualche ora di riposo. Stanchi e stremati com’erano, avrebbero potuto fare ben poco per provare a far girare le cose nel verso giusto (semmai fossero riusciti a capire quale fosse).
Goku non se l’era fatto ripetere due volte e aveva aperto la prima porta a caso oltre lo stretto corridoio dalle pareti verdognole, scoprendo, suo malgrado, che quella stanza era già stata occupata.
“Goku, ma che fai? Brutto maleducato che non sei altro! Chiudi immediatamente quella porta!”.
La voce imperiosa di sua moglie lo aveva raggiunto immediatamente, e il vederla infuriata con in mano un mestolo di acciaio non aveva contribuito a rendere più tranquillo lo sbadato saiyan.
“Urca!” – aveva esclamato lui, incapace di capire cosa turbasse tanto la sua adorata e adorabile sposa.
“Spiare così C18 e la sua piccola! Ma non ti vergogni neanche un po’? Razza di screanzato! E poi, vorresti infilarti sotto le coperte lurido e puzzolente come una vecchia scarpa? E no, mio caro! FILA NELLA DOCCIA, ADESSO”.
Inutile sottolineare che il moro non se l’era fatto ripetere due volte e che era letteralmente volato in bagno, causando l’ilarità del presenti.
“Non c’è che dire” – era stata l’esclamazione di Yamcha – “Abbiamo trovato il vero autentico rivale di Goku!”.
“Puoi dirlo forte!” – gli aveva fatto eco Crilin – “E, a dire il vero” – aveva proseguito, abbassando il tono della voce – “Se avessi una moglie come Chichi morirei di paura anche io”.
“Come hai detto, prego?”.
Crilin era rimasto pietrificato: come diamine aveva fatto a sentirlo?
“Chi? Io? Nulla! Perché, Chichi?”.
“Stammi un po’ a sentire. Anzi, statemi a sentire tutti: d’ora in avanti, in questa casa ci saranno delle regole. Regole ferree alle quali vi impedirò di disubbidire con tutta me stessa. E fidatevi, miei cari maschietti, Bulma, la nostra numero 18 e persino Videl faranno di tutto affinché voi non veniate meno ai vostri doveri di guerrieri, uomini e mariti. Ego: datevi tutti da fare o rimarrete a digiuno per il resto della vostra vita”.
“SISSIGNORA!” – avevano risposto i presenti, compreso Goku, che aveva osato sporgere appena il naso dalla porta del bagno.
Solo uno di loro non aveva fatto parte di quel coro polifonico male assortito. E questo perché aveva già trascorso qualche minuto nella penombra di quella che aveva scoperto essere la sua camera da letto, perso nei propri pensieri e sprofondato in un qualcosa che gli altri avrebbero definito sconforto misto ad autocommiserazione.
Bulma, che non lo aveva lasciato neanche per un istante da quando era rientrato in compagnia del loro piccolo Trunks e degli altri, se ne stava seduta sul letto, in silenzio, con entrambe le mani appoggiate al materasso e la testa sprofondata tra le spalle, gli occhi puntati sulla schiena vigorosa di un re dei saiyan che, in silenzio, continuava a fissare un punto impreciso al di fuori della finestra.
Erano tante le cose avrebbe voluto chiedergli. Ancora di più erano quelle che avrebbe voluto fare. Ma urlare, scalciare e piangere non avrebbe sistemato le cose. Nessuno di quei gesti avrebbe salvato la vita al suo Trunks o alleviato quel peso dal cuore di Vegeta. Nessuno. E non avrebbero di certo alleviato il peso che gravava sul suo, di cuore. Perché nessuno, nessuno, avrebbe mai potuto toglierle dalla testa la convinzione che la colpa fosse sua e solo sua di quanto erano stati costretti a subire.
Il silenzio tra loro era diventato insopportabile, ma nessuno aveva il coraggio di interromperlo. Le parole erano vane, vuote, completamente prive di significato in quella circostanza, e pronunciare una qualsiasi frase sembrava un’offesa.
Era stato per quello che Bulma si era alzata in piedi e, noncurante di sporcarsi, aveva abbracciato suo marito forte come poche volte in vita sua, poggiando la guancia destra tra le sue scapole e le mani esattamente all’altezza del suo cuore.
Lui non si era mosso. Dopo un primo istante di sgomento in cui aveva impercettibilmente irrigidito ogni singolo muscolo, aveva respirato profondamente. Non c’era bisogno che uno dei due dicesse o facesse altro, perché quella muta dichiarazione era stata più convincente e rassicurante di tutto il resto.
Ed era stato a quel punto che Vegeta si era girato di fronte a lei e le aveva concesso di baciarlo, stringendola tra le braccia a sua volta.
Adesso, entrambi sapevano realmente che niente avrebbe potuto separarli.

 
*
 
La casa era stranamente cheta. Goku, Gohan e Trunks si erano ripuliti e avevano recuperato le forze gustando i manicaretti di Chichi per poi decidere di andare a riposare. Solo Vegeta e Goten non avevano subito lo stesso trattamento: il primo perché si era ritirato in camera con sua moglie e il secondo perché non si era ancora destato dal suo sonno.
Per farlo stare più comodo, Chichi lo aveva svestito, frizionato con un panno tiepido e gli aveva infilato una morbida tuta di qualche taglia in più rispetto a quella che portava il piccolo Son, adagiandolo con cautela su un lettino della stanza che avrebbe diviso con Trunks. Quella casa era veramente immensa, per loro fortuna, e i bambini avrebbero avuto ogni genere di comfort. Sperava solo che il suo piccolo riuscisse a goderne. Nel tentativo di mostrarsi forte e di mantenere la sua autorità, Chichi aveva mascherato i reali timori che provava verso il suo secondogenito. Lo aveva fatto per suo marito, per Gohan e per tutti gli altri, ma soprattutto per la sua amica Bulma, distrutta dopo aver appreso la terribile verità che riguardava Vegeta e Trunks.
Potevano sconfiggere Vickas, potevano rispedirlo nella prigione da cui lo avevano fatto evadere, ma a un prezzo così alto da pagare da non rendere la prima un’opzione neppure ponderabile. Non voleva neppure sapere come si sentisse la sua amica. In un solo colpo, avrebbe perso tutti i suoi cari perché, se c’era una cosa che aveva capito, se c’era una cosa che aveva letto nei suoi occhi appena aveva avuto modo di incrociarli, era che Vegeta non sarebbe mai sopravvissuto all’eventualità di mettere in pratica una simile scelleratezza.
Solo gli dei sapevano quanto ciò l’avesse terrorizzata e fatta sentire in colpa allo stesso tempo: quello che considerava un mostro, uno spietato assassino, alla fine dei conti aveva dimostrato di avere un cuore. Ma mettere i suoi cari, suo figlio, e in un certo qual modo anche se stesso davanti alla salvezza dell’universo intero, avrebbe fatto sì che quest’ultimo finisse con l’odiarlo ancora di più?
Chichi si era domandata tutte queste cose ciclicamente, mentre si occupava degli stomaci di tutti e della comodità del proprio bimbo, estraniandosi per qualche istante dalla realtà che la circondava. Certo, quella, per loro, al momento rappresentava una sorta di isola felice, un posto dove sentirsi almeno un po’ al riparo, ma per quanto tempo sarebbe durata quella parvenza di normalità? Vickas stava dando loro la caccia? Quali erano le sue reali intenzioni, poi, non riusciva proprio a capirlo.
Perché fornirgli un modo per fermarlo? Era come se gli avesse dato un vantaggio che non potevano realmente sfruttare. Che volesse metterli l’uno contro l’altro? Ma a che scopo? Aveva già dimostrato di essere infido ed estremamente pericoloso, oltre che potente. Cosa voleva ottenere?
Era così persa nei suoi pensieri da non essersi accorta di aver lavato per tre volte lo stesso piatto. Di quel passo, avrebbero consumato le scorte di sapone liquido per stoviglie prima del previsto!
“Stai attenta Chichi. Almeno tu, mantieni la calma”.
Era strano che stesse facendo quel discorso proprio a se stessa, così famosa per le sue sfuriate e i continui svenimenti. Certo, avrebbe continuato a interpretare quel ruolo per cercare di salvare le apparenze, ma solo lei sapeva, in realtà, quanto quella situazione la mettesse in agitazione.
Aveva fatto una promessa a se stessa, e l’aveva fatta nello stesso istante in cui si era resa conto dell’ombra che era calata sul volto di Bulma. Era come se avesse udito il rumore del suo cuore mentre si infrangeva, e non voleva che lei subisse il tormento e la sofferenza di perdere chi amava. Bulma era la loro roccia, era l’allegria, era il buon umore, e doveva aiutarla a mantenere tale in un momento così difficile.
Per questo, aveva messo la cena in caldo per lei e per Vegeta e si era sdraiata sul divano, immergendosi nei suoi pensieri e nella calma del salotto. Forse, solo in quel modo, sarebbe stata in grado di venire a capo di quella specie di dilemma.

 
*

Si era svegliato di colpo, incapace, inizialmente, di capire dove fosse e chi ci fosse nel lettino accanto a quello in cui si trovava lui.
Come si fosse trovato in quella stanza non lo sapeva, ma quello che aveva accanto non poteva essere altri se non lui, e la cosa aveva riempito il suo cuore di gioia.
Si sentiva strano, a dire il vero. Era come se una sorta di energia straordinaria stesse attraversando il suo corpo, facendolo ardere come mai prima d’ora. Era una cosa strabiliante, meglio della trasformazione in super saiyan, meglio di Gotenks stesso.
Eppure, in cuor suo, sapeva che quell’energia era strana, che non faceva parte di lui, e aveva provato a scacciarla indietro, concentrandosi sulla propria aura e sulla propria forza di volontà. Ma, suo malgrado, aveva scoperto di non esserne in grado. Era come se la sua forza spirituale fosse ingabbiata da qualcosa di potente e di oscuro insieme, qualcosa che lo faceva esaltare e spaventare allo stesso tempo.
Aveva provato a fermarsi, ma non c’era riuscito. Aveva provato a chiamare il suo nome, ma era stato tutto vano. Senza sapere come, era sceso dal letto, muovendosi in direzione del piccolo Trunks, che giaceva addormentato serenamente e lo aveva fatto nello stesso istante in cui lui aveva aperto gli occhi, scoprendosi vittima della persona di cui si fidava ciecamente.
“Goten? Che stai facendo? No! NO!”.
Ma le sue suppliche erano state vane, perché Goten aveva agito lo stesso, senza remore o dubbi, lasciandogli sul braccio sinistro l’impronta sanguinante dei suoi piccoli denti affilati.

Continua...
_________________________________________________________________________________________________________
Lettrici e lettori, Cleo si scusa per il ritardo.
Odio l’università che mi fa spesso fare ritardo. Ma vi prometto di tornare a essere puntuale e di aggiornare ogni lunedì come è stato per tutto il mese di gennaio.
Allora, Goten, alla fine, ha agito, eh? Quell’aura verdognola non lasciava presagire nulla di buono, in effetti. =(
Cosa avrà fatto al nostro piccolo Trunks?
Lo scopriremo presto!
Bacini
Cleo
Ps: scusate per i mille-mila refusi.

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Capitolo 24
*** Crudeltà ***


CAPITOLO 24

CRUDELTA’

 
“Il mio signore e padrone sarà soddisfatto, adesso” – aveva chiesto lui, inchinandosi platealmente ai suoi piedi per nascondersi nell’ombra prodotta dall’alta figura della creatura a cui si era sottomesso.
Stava tremando. Ma il suo, era uno strano tremore, un tremore non generato soltanto dalla paura. C’era qualcosa di più, qualcosa che il suo signore e padrone non avrebbe mai dovuto percepire, perché, in quel caso, per lui sarebbe stata la fine.
Vickas lo aveva osservato a lungo prima di parlare. I suoi occhi sembravano leggergli dentro. Le chiare pupille giallastre dall’iride allungata lampeggiavano nel tentativo di carpire i più profondi segreti del verme che strisciava ai suoi piedi. Provava una profonda repulsione nei suoi confronti. In parte per la resa plateale che aveva fatto nei suoi riguardi, in parte perché non accettava di avere bisogno di lui, una creatura infima e rivoltante che lo serviva solo per avere salva la vita.
La sua pazienza era arrivata al limite della sopportazione, ormai. Poteva anche essere stato liberato, ma non era ancora libero nel vero senso della parola. Quando sarebbe arrivato quel momento? Quando avrebbe potuto percorrere in completa autonomia quel cammino, e riprendere ciò che aveva conquistato con tanta fatica in un tempo così remoto da non lasciare quasi più traccia del suo passaggio, se non un segno nella memoria popolare di chi aveva le sue stesse origini e che lo aveva considerato una leggenda alla stregua del super saiyan?
“Non tollererò altri errori” – era stata la sua glaciale risposta. Avrebbe potuto distruggerlo con un solo respiro, se avesse voluto, ma non poteva farlo ancora – “Eppure, devo ammettere che questa trovata potrebbe avere dei risvolti decisamente interessanti”.
Aveva tirato un respiro di sollievo, lui, imponendosi di non farlo notare e bloccando il naturale gesto di sollevare il capo e fissarlo in quegli occhi spaventosi che lo atterrivano ogni volta.
“Lo spero, mio signore. Il mio unico desiderio è quello di compiacervi, lo sapete bene”.
“Sì, lo so”.
E aveva ascoltato il resto del racconto in silenzio, desideroso di apprendere dettagli che non avrebbe potuto avere in nessun altro modo. Quei maledetti si stavano nascondendo, e lo stavano facendo piuttosto bene, doveva ammettere. Ma lui aveva bisogno di sapere, lui aveva bisogno di capire cosa stesse accadendo a quel gruppo così eterogeneo che avrebbe fatto di tutto per proteggere il proprio pianeta e i propri cari, e aveva bisogno sopra ogni altra cosa di sapere cosa stesse accadendo a colui che lo aveva così sconvolto e interessato allo stesso tempo.
Vegeta era speciale. Lo aveva capito dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lui. Persino quando era ancora prigioniero del medaglione aveva un fremito ogni volta che si trovava a contatto con la sua pelle e con il suo spirito. L’ormai attuale re dei saiyan aveva capito sin dall’inizio che qualcosa non andasse in quel gingillo, ma non era stato in grado di decifrare i segnali che il suo subconscio cercava di inviargli, per sua fortuna, altrimenti, non sarebbe stato liberato tanto facilmente, e chissà quanto tempo ancora avrebbe dovuto attendere prima di poter uscire da quella specie di limbo in cui era stato imprigionato per secoli.
Vegeta non era come gli altri saiyan. Vegeta non aveva niente a che fare né con lui, né con quell’altro saiyan di infimo livello, quel Kaharot che sulla Terra continuavano a chiamare Son Goku. Aveva avuto modo di leggere nel cuore dell’ormai ex-principe dei saiyan, e non aveva potuto non rimanere estremamente colpito dalla scoperta che aveva fatto. Era quasi come se in lui ombre e luci vivessero un continuo, irrisolvibile conflitto, come se bene e male fossero ancora alla ricerca di un equilibrio, condizione che lo rendeva estremamente, totalmente instabile e tremendamente interessante e unico come uomo e soprattutto come saiyan. Scoprire il suo punto debole non era stato particolarmente complicato, ma era stata una sorpresa. Era convinto che, come tutti i saiyan, fosse alla ricerca del potere e della gloria, e ciò in parte era pur vero, ma questo desiderio era affievolito dalla volontà ferrea di proteggere quella donna e quel bambino, portandolo al punto di sacrificare la sua vita per loro. Un saiyan, e non uno qualunque, bensì l’erede al trono, aveva sacrificato se stesso pur garantire la salvezza della sua famiglia. E pensare che per imprigionarlo, era necessario che il re immolasse spontaneamente suo figlio! Era per questa ragione che aveva accettato l’idea di quel verme di incoronare Vegeta re dei saiyan e di portarlo sull’orlo del baratro, con la certezza che non avrebbe mai e poi mai sacrificato il bambino e che per lui non ci sarebbe stato modo di poter essere nuovamente imprigionato.
Ma non era solo quella la ragione per cui aveva accettato quel consiglio così azzardato. Lo aveva fatto perché godeva immensamente nel pensare di essere causa di tormento per quell’uomo dal cuore così confuso. Lui, il grande Vickas, l’uccisore degli dei, colui che aveva bisogno di un sacrificio umano per poter essere fermato, colui che aveva posto fine a una linea di sangue, era profondamente interessato a quella creatura così straordinaria che rispondeva al nome di Vegeta, il saiyan dalla doppia anima. Quale avrebbe prevalso, in quel caso? Chi avrebbe vinto? Il bene o il male? La parte buona o la parte cattiva?
A quanto sembrava, molto dipendeva dalla scelta di suo figlio, quell’ibrido dai capelli lilla. Non aveva calcolato che il ragazzino decidesse di immolarsi spontaneamente, e se avesse convinto suo padre a farlo, ciò per lui sarebbe stato motivo di rovina. Ma era così desideroso di vedere quale tra le due parti avrebbe vinto in Vegeta che, alla fine, si era lasciato convincere da quella nullità. Amava giocare d’azzardo, ma, forse, aveva esagerato, ed era necessario porre rimedio. Anche se…
“Vi vedo dubbioso, padrone”.
“Ciò corrisponde a verità”.
Stava tremando con maggiore intensità, e stavolta era diventato più difficile mascherarlo. Perché, improvvisamente, aveva tutte quelle incertezze? Che avesse percepito qualcosa?
“Vegeta è la chiave di tutto. Ma tu hai agito su suo figlio. Queste mosse causano in me reazione altalenanti. E tu conosci la ragione”.
“Ovviamente, padrone”.
“Sì… Ovviamente”.
Non gli piaceva. Non gli piaceva per niente la piega che aveva preso quella situazione. Ma cosa poteva fare, a quel punto? Doveva mantenere la calma e continuare a fare da pedina in quel gioco mortale, sperando di non dover giocare ancora per molto quel ruolo così pericoloso.
“Padrone, il giovane Son ha fatto ciò che era giusto. La forza della vostra aura è bastata per far sì che in tutti i saiyan si insinuassero il seme del dubbio e il germe della violenza”.
“In tutti, tranne che in Vegeta e in suo figlio”.
Non aveva risposto. Anche lui si era domandato del perché ciò fosse accaduto, ma non poteva certamente considerarlo un male. Anzi, quella situazione poteva essere sicuramente sfruttata in modo molto vantaggioso.
Così, il suo umile servitore aveva gli aveva raccontato di come il piccolo Son fosse stato controllato nel sonno grazie alle influenze della sua aura, e di come, anche a grande distanza, egli avesse potuto pilotare la sua mente e usarlo come mezzo, come contenitore di quel veleno così raro che avrebbe condotto il figlio del re a morte certa, una morte anticipata da una lenta e inesorabile agonia.
Era stato Vickas stesso a chiedergli di agire in quel modo. Non aveva voluto sporcarsi la mani in prima persona con il bambino, costringendolo a usare le sue speciali abilità. A cosa li avrebbe condotti tutto quello, ancora non avrebbe potuto saperlo. Sapeva solo che non c’era più tempo e che le opzioni rimaste erano sempre di meno. Ormai, non poteva più sbagliare, o sarebbe stata la sua fine.
“Dunque, il piccolo principe morirà?”.
“Sì, mio signore. Lui morirà e il padre non avrà modo di impedirlo, esattamente come tu desideri”.
E, dopo aver udito quelle parole, aveva sorriso con cattiveria, inclinando leggermente il capo da un lato.
“Spero che l’attesa non sia lunga come temo. Sono proprio curioso di sapere cosa farà il nostro re, a quel punto”.
E non era il solo a volerlo sapere. Ma il suo servitore sperava solo che quel sacrificio non si rivelasse vano.

Continua…
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Lettori e lettrici,
Scusate per il mega-ritardo. Non ho internet a casa causa cambio gestore e solo oggi sono riuscita a passare a casa di zio per aggiornare la nostra storia.
Ma passiamo a noi!
Dunque, abbiamo appena letto un capitolo dedicato interamente a Vickas e al suo servitore senza nome.
Hanno avvelenato Trunks. O meglio, il servitore ha avvelenato Trunks e Vickas non vede l’ora di capire come Vegeta reagirà a tutto questo.
Ora, ricapitoliamo tutto un attimo: lui, Vickas, è tostissimo. La sua sola aura ha incasinato completamente le menti dei saiyan, fuorché quelle di Vegeta e Trunks. Ma il cuore del primo è impegnato in una perenne lotta tra bene e male, mentre il piccolo non si sa perché non ha subito i suoi effetti dannosi.
Ribadisco, Vickas è tostissimo, eppure, sta aspettando QUALCOSA. Ma cosa? Perché fa agire sempre il losco figuro? E cosa fa tremare quest’ultimo, se non si tratta solo della paura?
A voi lascio la possibilità – se ne avete voglia – di formulare le ipotesi!
Bacini
Cleo

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Capitolo 25
*** Il tormento dell'impotenza ***


CAPITOLO 25

Il tormento dell’impotenza

 
“Che cosa diavolo sta succedendo?”.
“Viene dalla stanza dei bambini!”.
“Goten! Trunks!”.
“Cielo! Qualcuno vada a vedere!”.
Quell’orribile, raccapricciante urlo aveva portato il trambusto tra i presenti. Yamcha e Crilin erano stati i primi a sentirlo, ed erano stati i primi ad accorrere, seguiti da Chichi e da Goku, svegliatosi all’improvviso dal leggero sonno in cui era caduto.
“Che cosa è stato?”.
“Non lo so!” – aveva risposto una Chichi in preda al panico ancora intenta a percorrere quel corridoio interminabile – “Fa presto!”.
Una volta arrivati alla soglia della stanza, avevano potuto constatare con i loro occhi quanto accaduto, reagendo esattamente allo stesso modo dei due terrestri accorsi prima di loro.
“Che cosa… Goten… Che cosa è successo?”.
Chichi si era precipitata dal suo piccolo ometto, ancora incerta sulla veridicità della scena che gli si era presentata davanti, abbracciandolo con forza. Finalmente si era svegliato, ma il suo aspetto non lasciava presagire niente di positivo. Aveva le lacrime agli occhi, lo sguardo colmo di mortificazione e rimorso per quanto aveva fatto, e tremava come una foglia, desideroso di buttare fuori tutto quello che si agitava nel suo cuore di bambino.
“Non volevo farlo. Mamma… Mi dispiace tanto” – e, alla fine, non era riuscito a trattenersi, scoppiando in lacrime tra le braccia di chi gli aveva donato la vita.
“Tesoro…” – Chichi era sempre più confusa.
“Scusa, Trunks…” – aveva detto il piccolo, tirando su col naso – “Scusami tanto!”.
Goku non aveva detto niente, osservando ogni cosa con un apparente distacco. Stava cercando di fare luce sulla faccenda, a modo suo, anche se il tutto si stava rivelando molto più complicato del previsto.
Quando lui e Chichi erano arrivati sulla soglia della stanza, avevano visto Trunks sul suo letto, che si contorceva dal dolore, con accanto Yamcha che cercava di soccorrerlo, e sul pavimento, poco lontano, c’era suo figlio, quasi in lacrime. Crilin gli cingeva le spalle con entrambe le braccia, cercando in qualche modo di tranquillizzarlo. Non era necessario essere in possesso di una laurea per capire che Trunks fosse stato vittima di Goten, ma perché suo figlio lo avesse attaccato – qualsiasi cosa gli avesse fatto – non era ancora stato in grado di capirlo.
“Trunks… Sta calmo… Lasciami vedere… Non posso aiutarti se non mi fai vedere. Ti prego, ascoltami” – Yamcha stava facendo del suo meglio per farsi ascoltare dal piccolo saiyan dai capelli lilla, ma le sue suppliche erano del tutto inutili: Trunks era in preda a un dolore che lo stava dilaniando, un dolore che sembrava impossibile da placare, e nessuno riusciva a capire come fosse possibile che Goten ne fosse la causa.
“Tesoro mio…” – Chichi stava accarezzando con dolcezza i capelli del figlio, inspirando forte il suo odore, mentre il suo sguardo, incrociatosi in un primo momento con quello di Crilin, si era posato su Trunks, alla ricerca di qualsiasi particolare o segnale che potesse permetterle di capire cosa gli avesse fatto suo figlio.
“TRUNKS!”.
Bulma e Vegeta erano arrivati poco dopo, il cuore in gola e il fiato corto più per lo spavento che per la corsa. La turchina si era precipitata sul letto, strappando letteralmente suo figlio alle scarse cure di Yamcha, mentre continuava a chiedergli perché stesse piangendo e cosa gli fosse successo.
Ma Trunks non rispondeva. Trunks continuava a gridare e a piangere, quasi fosse incapace di sentire le voci di chi si stava preoccupando per lui.
“Che diamine sta succedendo qui?” – Vegeta sembrava impazzito dalla frenesia – “Ditemi che cosa sta succedendo” – lo aveva sibilato tra i denti, prendendo Yamcha per il colletto del vestito e sollevandolo dal pavimento.
“Ehi… Sta-sta calmo!”.
“Parla”.
“Vegeta” – era intervenuto Goku – “Lui non era presente. Nessuno di noi lo era”.
“TSK” – lo aveva lasciato andare dopo aver udito le parole del saiyan, raggiungendo sua moglie e suo figlio – “Dimmi cosa succede, Trunks. Ho bisogno di sapere cosa ti succede!”.
Nessuno dei presenti si era reso conto che anche il resto degli inquilini di quell’affollata casa erano sopraggiunti, nessuno escluso. Gohan era arrivato insieme a Videl, seguiti da Mr. Satan, C18 e dal resto della combriccola, spaventati e straniti da quanto stava avvenendo.
Con estrema fatica, Bulma era riuscita a far calmare almeno in parte suo figlio, stringendolo e cullandolo come solo una madre era in grado di fare. Trunks continuava a piangere, ma con maggiore veemenza, anche se non riusciva, anzi, non voleva lasciare la presa che aveva sul suo piccolo ma forte braccio sinistro. In un primo istante, presi dal trambusto causato dal pianto dei bambini, nessuno si era accorto di quel particolare che, col senno di poi, non era poi così irrilevante.
“Tesoro… Tesoro… Fa vedere alla mamma cos’hai sul braccio… Su… Fatti coraggio…”.
Dopo aver insistito un po’, e con l’aiuto di un Vegeta che per la prima volta nella sua vita era stato delicato, Bulma era riuscita a fare in modo che suo figlio allentasse quella presa così solida e mostrasse a entrambi i genitori prima, e al resto dei presenti poi, quanto nascondeva con tanto impegno e tanta sofferenza.
“Ma… È un morso!” – aveva esclamato, incredula – “Questo è un morso” – e non aveva proseguito per evitare che i presenti la prendessero per matta, limitandosi a scambiare un’occhiata più che eloquente con suo marito, provato e stranito almeno quanto lei.
A quelle parole, Goten aveva cominciato a singhiozzare con più forza, nascondendo il viso tra il petto di sua madre.
Non c’erano dubbi, ormai. Quel morso, quello strano morso che brillava di una luce verdognola, gli era stato sicuramente impresso dal suo amico Goten.
“Dobbiamo parlare” – era stato Goku a proferire parola, con un tono serio che non gli apparteneva – “E dobbiamo farlo subito”.

 
*
 
I momenti successivi erano stati inspiegabili, quasi ovattati. Almeno per Vegeta, Bulma, Goten, Trunks e Chichi.
Il re dei saiyan aveva preso suo figlio tra le braccia senza fiatare, portandolo in bagno e reggendogli la testa mentre la madre cercava di lavare via il verde e il sangue da quella ferita dall’aspetto infernale.
Goten continuava a rifiutarsi di parlare, così come Trunks. Troppo scosso da quello che gli era capitato, aveva finito con il calmarsi e addormentarsi, ma il suo era un sonno agitato, fatto di dolore e incubi spaventosi, un sonno che i suoi genitori non avevano potuto evitare. Vegeta non aveva aperto bocca, un po’ per lo shock di vedere il suo unico figlio in quello stato, un po’ per la frustrazione che, silenziosa come un serpente, si stava insinuando in lui. Che fosse colpa di Goten, non c’erano dubbi. Per qualche ragione non impossibile da immaginare, il secondogenito di Goku e Chichi aveva inferto quello spaventoso morso a suo figlio, morso di cui temevano l’esito più di ogni altra cosa al mondo, forse, più di Vickas stesso.
Non solo quel bastardo aveva fatto in modo che Trunks diventasse la vittima sacrificale e Vegeta il suo carnefice, no. Quella bestia era riuscita a infliggere ancora più dolore e sofferenza a quella famiglia così unita ma così sfortunata.
Ma Vegeta non si preoccupava solo per suo figlio. Vegeta temeva che sua moglie, stanca, provata e distrutta sin nell’animo da quel susseguirsi di tragici eventi, fosse sul punto di crollare. La conosceva sin troppo bene, ormai. Certo, forse, ciò non sarebbe stato del tutto un male. Solitamente, dopo aver pianto e urlato a squarciagola, sua moglie risorgeva, come una fenice dalle sue ceneri, più forte e più determinata di prima. Ma quella situazione era più complicata delle mille che avevano dovuto affrontare in precedenza, e sembrava che non ci fosse modo di evitare il peggio, nonostante stessero facendo di tutto per provare a farlo.
Chichi continuava a stringere suo figlio in maniera convulsa, quasi stesse tentando di proteggerlo. Vegeta cominciava a pensare che la mora temesse un suo scatto d’ira e le sue funeste conseguenze, e ciò non aveva di certo contribuito a farlo stare tranquillo. Avevano ancora paura di lui, ne era certo. Nonostante fosse stata lei stessa a difenderlo, in un certo qual modo, era ugualmente spaventata da lui e dal suo imprevedibile modo di fare, a volte criptico, a volte sin troppo esplicito e poco attento al benessere altrui. Ma non poteva biasimarla. Goten aveva morso Trunks, e nonostante non gli fosse neanche passato per la mente di accusarlo o rinfacciarglielo, capiva perfettamente il suo punto di vista.
Per questa ragione, aveva lasciato che lei e la sua famiglia, accompagnati da Videl e da Mr. Satan, si chiudessero in una sala e parlassero di quanto accaduto, in modo da poter cercare di comunicare col bambino e confermare i loro sospetti
Trunks, addormentato, aveva preso il posto occupato poco prima da Goten sul divano posizionato in cucina, con accanto sua madre, Yamcha e Vegeta. Gli altri, più o meno sollevati di vedere i propri familiari in condizioni migliori, avevano preso posto attorno all’ampia tavola rotonda, nel più totale silenzio, incapaci di provare anche solo lontanamente a darsi una spiegazione.
Bulma aveva gli occhi gonfi e rossi. Lo sforzo di trattenere le lacrime cominciava a farsi sentire, così come la necessità di fare qualcosa di più concreto per uscire da quella assurda e terribile situazione. Avrebbe tanto voluto che suo marito le stesse più vicino, ma Vegeta sembrava paralizzato dallo svolgersi degli eventi. Il forte saiyan che aveva sposato cominciava a dare segni di cedimento, nonostante provasse a mascherarlo in ogni modo. Non era quello il momento di stare divisi, di erigere un muro. Credeva di averglielo dimostrato poco prima, in camera da letto. Ma lui non sembrava aver recepito il messaggio. Suo malgrado, Vegeta si era chiuso ancora più in se stesso, limitandosi a osservarli senza dire o fare nulla. E, a quel punto, la turchina non aveva neanche più provato ad avvicinarsi a lui, limitandosi ad accettare il conforto di chiunque fosse stato così gentile da offrirglielo.
Così, quasi le avesse letto nel pensiero, Yamcha si era fatto coraggio e aveva sfidato l’autorità che la presenza di Vegeta imponeva loro, stringendo con dolcezza la spalla di quella donna che aveva sperato, molto tempo addietro, di prendere per moglie. Colta alla sprovvista, Bulma era sobbalzata, voltandosi a guardare chi aveva davanti. Non ce l’aveva più fatta, scoppiando a piangere disperatamente tra le braccia di chi aveva dimostrato di essere al suo fianco.
“Non fare così…” – aveva sussurrato lui, lievemente arrossito e intento ad accarezzarle la spalla – “Troveremo una soluzione”.
“Yamcha ha ragione, Bulma…” – Crilin si era alzato e le si era avvicinato, cercando di sorridere e di infonderle un po’ di forza – “Ne verremo a capo, in qualche modo”.
E, di lì a qualche istante, un brusio di voci si era propagato per la stanza, le voci di chi non era stato abbandonato e non avrebbe abbandonato a sua volta chi si trovava nel bisogno.
Nel vedere quella dimostrazione di affetto, l’amore e il sostegno dei suoi amici, le lacrime di dolore si erano tramutate in parte in lacrime di gioia.
“Grazie…” – aveva singhiozzato in qualche modo – “Grazie di cuore”.
Eppure, era un’altra la persona che avrebbe voluto ringraziare, ma in quel momento, non ne aveva alcun motivo. Perché Vegeta, il suo Vegeta, sembrava diventato una perfetta, immutabile, imperturbabile statua di marmo.

 
*

Goku, Gohan e Videl avevano lasciato Goten alle cure di sua madre. Finalmente, il bambino sembrava essersi calmato, ma si era rifiutato di uscire dalla stanza. Non si sentiva pronto ad affrontare Trunks, né i suoi genitori. Avrebbe dovuto dare spiegazioni che neppure lui conosceva, e non voleva farlo in prima persona. Non ancora, almeno. Sarebbe diventato un interrogatorio, più che una confessione, e aveva preferito restare rintanato sotto le coperte, a piangere in silenzio a fasi alterne, timoroso di aver fatto qualcosa di irreparabile. Per scoprire la verità, aveva lasciato che suo padre leggesse nella sua mente, ma non aveva osato chiedere. A giudicare dallo sguardo che aveva fatto, qualsiasi cosa avesse visto doveva essere stata terribile. Per questo motivo, aveva lasciato che suo padre si caricasse il peso di una sua colpa e spiegasse agli altri quanto era accaduto, nella speranza che si potesse trovare una soluzione.
Quando Goku era entrato nella stanza, aveva cercato di fare il meno rumore possibile per sondare la situazione, ma era stato inutile. Il suo ingresso silenzioso era stato percepito da tutti i presenti che, impazienti, attendevano il responso del saiyan.
Così, aveva preso posto al tavolo accanto a C18 e agli altri, cominciando a raccontare quanto aveva avuto modo di apprendere.
Era stata tutta opera di Vickas, ma questo già lo sapevano tutti. Era stato il modo in cui aveva agito a rivelarsi del tutto particolare. Perché il verme schifoso con cui avevano a che fare non aveva agito in prima persona, no Signore. Si era fatto aiutare dal suo servitore, lo strano uomo che avevano conosciuto i bambini e che aveva venduto il medaglione a Bulma, e lo aveva fatto sfruttando l’influenza dell’aura malvagia del suo padrone, aura che in qualche modo aveva provato a intaccare anche l’integrità di Gohan. Non aveva idea in che modo ciò avvenisse, sapeva solo che era accaduto e basta. Il perché avesse agito in quel modo così subdolo, coinvolgendo Goten oltre che Trunks, non riusciva proprio a capirlo. Forse, voleva punirli. Forse… Forse non era il caso di fare ipotesi. Sapeva solo che quel morso avrebbe avuto delle conseguenze, e non aveva avuto bisogno di vederlo da qualche parte per scoprirlo.
“Possiamo solo aspettare e sperare in meglio” – aveva detto, concludendo così quel discorso. Avrebbero solo dovuto aspettare il risveglio di Trunks e provare a fargli qualche domanda. Ma la sera stava calando, e il bambino aveva sofferto troppo per sperare in un suo imminente destarsi.
“Spero che la notte ci porti consiglio e possa aiutarci a fare luce su questa situazione” – aveva aggiunto, mostrandosi forte. Ma mai come allora avrebbe voluto parlare con il suo caro vecchio amico re Kaioh.

 
*
 
La notte e il suo manto di stelle avevano avvolto quel mondo così devastato, ma la loro luce non era stata abbastanza confortante per il piccolo Goten, svegliatosi nel cuore della notte nello stesso lettone in cui dormivano i suoi genitori. Era tutto sudato e lo stomaco cominciava a brontolargli per la fame. Se avesse voluto, gli sarebbe bastato svegliare la sua mamma e la fame si sarebbe placata, ma non aveva avuto il cuore di farlo. Per questo motivo, era sceso dal letto ed era uscito dalla stanza in punta di piedi, per poi andare in cucina e prendere qualcosa da mangiare, ma una volta varcata la soglia, gli si era fermato il cuore.
Trunks dormiva sul divano e Bulma, la povera, sfinita Bulma, si era addormentata con la testa sul tavolo e le braccia penzoloni.
Trattenere le lacrime era diventato difficile. Si sentiva in colpa. Era uno strazio dover assistere a quella scena, perché ne era, anche se involontariamente, il diretto responsabile. Improvvisamente, il piccolo saiyan aveva dimenticato i morsi della fame, e si era precipitato in camera da letto dei suoi per prendere la coperta che sua madre aveva lasciato sulla sedia accanto all’armadio e posarla con delicatezza sulle spalle di Bulma. Poi, senza neanche rendersene conto, si era avvicinato a Trunks e si era steso sul divano, accanto a lui, facendosi piccolo piccolo mentre si accoccolava su un fianco. Aveva voglia di piangere, ma non poteva farlo. Lui doveva prendersi cura del suo amico, doveva essere pronto se Trunks avesse bisogno di aiuto.
Ma il piccolo non aveva fatto i conti con le emozioni che aveva provato e con la stanchezza che gli avevano causato, finendo con l’addormentarsi dopo pochi minuti senza rendersi conto che Trunks, il suo migliore amico, suo fratello, aveva aperto gli occhi per un breve istante e gli aveva sorriso, felice di non essere più solo.

Continua…
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Ragazze/i,
Continuo a chiedervi scusa per il ritardo, ma sono ancora senza modem che, per la cronaca, doveva arrivare giorno 24. Sono arrabbiata nera.
Ma potete perdonarmi, no?
Capitolo di passaggio, ovviamente.
Regalatemi Goten!
Bacini
Cleo
 

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Capitolo 26
*** Il piano di Vegeta ***


CAPITOLO 26

Il piano di Vegeta

Non era stato capace di lasciarsi andare e provare finalmente a riposare. Era distrutto, stremato, ma anche solo il semplice pensiero di abbandonarsi al sonno lo faceva sentire ancora più frustrato e irrequieto di quanto già non fosse. Non stava bene. E mascherarlo era inutile, considerando che lo avevano notato tutti, ma non riusciva proprio a fare a meno di continuare a credere che, se si fosse mostrato impassibile, chi gli stava attorno ne avrebbe tratto vantaggio e avrebbe fatto mille passi indietro dal bordo di quel baratro da cui si erano pericolosamente affacciati.
Non aveva osato entrare nella stanza in cui si trovavano suo figlio e sua moglie. Non subito, almeno. Si era nascosto nella penombra della stanza che avrebbero dovuto condividere, ed era rimasto in piedi, sulla soglia, continuando a fissarli senza quasi battere neanche le palpebre, senza quasi respirare. Non gli era sfuggito lo sguardo carico di interrogativi che gli aveva riservato la sua Bulma, così come non era stato in grado di non farsi turbare dalle occhiate di tutti coloro che avevano presenziato al racconto di Goku, racconto che non osava definire spiegazione per la banalità delle conclusioni a cui era giunto. Il morale della favola era che Vickas li teneva ben stretti per gli attributi e che Yamcha sembrava essere diventato improvvisamente il paladino della giustizia. Ma cosa poteva fare, lui, se lo svolgersi degli eventi lo aveva ridotto a uno straccio? Certo, era stata una sua decisione quella di mascherare le sue reali sensazioni, le sue vere emozioni, ma non trovava altro modo se non quello per dare forza a se stesso e a chi amava. Non era un tipo espansivo, non era un tipo da abbracci, e questo sua moglie lo sapeva benissimo. Piangeva, quando la situazione finiva con lo scivolargli dalle mani in maniera irreparabile, ma non voleva mostrarsi in lacrime a nessuno dei presenti, men che meno a Bulma, che di lacrime ne aveva versate anche troppe, e al suo Trunks, la cui sorte sembrava essere finita nelle mani di un mostro che non accennava a rivelare il suo volto e men che meno la sua reale natura.
Cominciava realmente ad avere paura, Vegeta. Paura di non riuscire a gestire la situazione, paura di perdere suo figlio in maniera atroce, paura di dover giustificare ogni sua azione e reazione, paura di non riuscire a controllarsi e commettere la più grande sciocchezza della sua lunga e spesso miserabile esistenza.
Quella di cui erano diventati vittime, era la peggior forma di schiavitù che si potesse vivere. Non erano schiavi fisicamente, ma lo erano emotivamente e psicologicamente. Ogni loro singolo pensiero, ogni loro singola azione, erano dettati dal desiderio e dalla paura di non conoscere quella che sarebbe stata la prossima mossa del nemico, mossa che avrebbe potuto farli precipitare in una situazione ben più spiacevole di quanto già non fossero.
Avrebbe voluto mettersi a urlare, avrebbe voluto scatenare la sua ira, la sua potenza, e distruggere Vickas con le sue stesse mani, vendicare suo figlio, il suo orgoglio, ma sapeva che agire in maniera così sconsiderata sarebbe stato come uccidere chi amava, e non voleva farsi odiare da Bulma più di quanto questo non fosse già plausibile.
Che cosa non erano stati in grado di capire? Cosa voleva realmente Vickas?
Erano ore, ormai, che provava a ragionarci. Alternava pensieri strettamente legati ai suoi cari a quelli più ampliamente riferibili all’operato del bastardo che li aveva fatti trovare in quella situazione assurda.
Ricapitolare tutto non era stato facile. Troppi punti erano oscuri, troppe cose non avevano apparentemente alcun senso, e un’idea fissa continuava a tormentarlo: quella che Vickas fosse perfettamente in grado di penetrare nella loro mente a suo piacimento e dunque fosse a conoscenza di ogni loro singola mossa, di ogni loro singolo movimento, di ogni loro singolo pensiero. Se fosse realmente stato in quel modo, significava che non avevano speranze di sentirsi al sicuro. Sarebbe stato divertente mettersi a imprecare e dirgliene di tutti i colori, ma a che pro? Per il gusto di sfogarsi un po’, certamente, e poi? Questo avrebbe risolto la situazione? Ovviamente no. Anzi, avrebbe solo portato Vickas e quel suo schifoso tirapiedi a farsi delle grasse risate. Ma, se davvero era in grado di percepire ogni loro singolo pensiero, questo voleva dire che sapeva esattamente dove fossero, e che non esisteva per loro alcun posto sicuro.
Come poteva condividere una simile preoccupazione con gli altri? Certo, non occorreva un genio per capire che Vickas fosse in grado di eseguire il controllo mentale (lo aveva fatto con le donne che aveva tenuto prigioniere ed era riuscito a farlo anche su Goten e in parte su Gohan) ma che potesse anche leggere nelle loro menti era un’altra faccenda. Un faccenda spaventosa che faceva rabbrividire anche lui, in quel momento impotente e vittima degli eventi come tutti gli altri.
Quel bastardo li aveva isolati da ogni genere di contatto con il resto dell’universo e dal mondo degli dei. Per quello che avevano avuto modo di vedere nel loro rocambolesco tour del villaggio, uccideva gli uomini a suo piacimento e controllava mentalmente le donne – la morte di Tenshing era stata veramente inaspettata – e aveva controllato ogni loro movimento fino a farli penetrare nella sua fortezza, rapirlo, incoronarlo re e fare di suo figlio la vittima sacrificale per rispedirlo da dove era venuto, questo prima di far sì che Goten lo aggredisse mordendolo su un braccio.
Erano troppe le cose che non quadravano, che non avevano senso. Pe prima cosa: perché uccidere gli uomini? E se li aveva uccisi, perché lo stesso non era avvenuto per Crilin, Yamcha e il resto della compagnia? Poi, perché controllare le donne e trasformarle in vampire o qualcosa di simile? Ma la domanda che lo tormentava più di tutte era una, e non riusciva proprio a darsi una spiegazione: perché fare di lui il re, di suo figlio il principe e quindi la vittima che, una volta sacrificata, avrebbe potuto fermarlo? Perché dare loro un modo per sconfiggerlo o, in un certo qual modo, di imprigionarlo nuovamente? Non poteva credere che avesse deciso di correre questo rischio solo per ferirlo, per metterlo davanti a una scelta che non avrebbe mai acconsentito a fare e farlo diventare responsabile della distruzione dell’universo intero. Se fosse stato davvero in quel modo, ciò significava che per Vickas tutto quel macello costituiva puramente una faccenda personale. Ma poteva avercela con lui solo perché discendeva da quella stirpe che lo aveva imprigionato?
Vegeta non capiva. Non capiva e non riusciva a ragionare, un po’ per colpa della stanchezza, un po’ per colpa dei sentimenti contrastanti che lo stavano letteralmente divorando.
Solitamente, avrebbe provato una certa invidia verso la calma – reale o apparente – di Kaharot, verso il suo ottimismo, ma neanche Goku sembrava più se stesso. I loro ruoli sembravano quasi essersi invertiti. Ed ecco che quell’idiota dormiva insieme alla sua famiglia – cosa che aveva fatto pochissime volte in vita sua – mentre lui si stava limitando a osservarla da lontano e soffrire in silenzio, desideroso più che mai di tornare alla normalità, qualsiasi cosa essa potesse significare.
Così, Vegeta aveva trascorso il resto della notte in questo stato, alternando momenti in cui si sedeva sul letto ad altri in cui tornava alla porta a osservare i suoi cari da lontano, imponendo a se stesso di rimanere impassibile persino nell’istante in cui aveva visto il figlio minore di Kaharot uscire dalla stanza e sdraiarsi accanto a Trunks. Non ce l’aveva con Goten. Come avrebbe potuto? Era solo un’altra vittima degli eventi, l’ennesima pedina nella mani di Vickas, ma aveva paura che potesse essere ancora un pericolo per suo figlio e per la sua famiglia in generale. Era chiaro che fossero loro il bersaglio e che tutti fossero solo di contorno a quello che sembrava un episodio di una serie tv scritto appositamente per lui e per i suoi cari. Ma Vegeta cominciava a temere l’eventuale epilogo, anche perché non riusciva a capire a quale punto della storia fossero arrivati.
Di certo, non poteva negare che, almeno in parte, la notte gli avesse portato consiglio, aiutandolo ad arrivare a una conclusione che non aveva esitato nell’esplicare a un Goku svegliatosi all’alba.
“Abbiamo bisogno di entrare in contatto con re Kaioh, Kaharot, e di sapere che fine hanno fatto Junior e Dende. Almeno, questo è il primo passo che dobbiamo fare prima di andare al passaggio successivo”.
 Il Son lo aveva lasciato parlare, impedendo a se stesso di intervenire in ogni modo. Nel bene o nel male, Vegeta aveva sempre avuto delle buone idee e li aveva fatti uscire da situazioni apparentemente impossibili da districare.
“Che cosa vuoi fare, Vegeta?”.
“Tsk. Te lo dico solo se eviti di dire che ti sembra un’autentica follia”.
“Urca, giuro che non lo farò”.
“Bene, perché posso fidarmi solo di te, razza di zuccone, e la cosa non mi tranquillizza affatto”.
A quel punto, aveva inghiottito rumorosamente, attendendo con pazienza di venire a conoscenza dei dettagli del suo piano.
“Torneremo al castello, o alla fortezza, o come cavolo vuoi chiamarla, e gli chiederemo gentilmente di seguirci, se ci tiene alla pelle”.
“Eh?”.
“Dobbiamo parlare con il tirapiedi di Vickas, Kaharot. E dobbiamo farlo a modo nostro. Qualcosa mi dice che, alla fine dei conti, potrebbe anche essere disposto a collaborare”.

Continua…
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Eccomi qui, con un ritardo mega-galattico e con un nervosismo addosso che non vi so spiegare.
Sono ancora senza modem e ho terminato i giga della promozione telefonica. Ecco perché non ho né potuto leggere né rispondere alle vostre recensioni fino a ora e non ho potuto aggiornare. Certo, è un capitolo introspettivo e non succede niente di particolarmente entusiasmante, ma Vegeta, forse, ha un piano, ed è fondamentale capire come sia arrivato a questa conclusione.
Spero che possiate perdonarmi e che leggiate con piacere quanto scrivo e che pubblico con ritardo, non per mia volontà, ma per eventi che esulano dalle mie competenze (purtroppo non posso rompere ogni poco le scatole alla mia vicina e a zio).
A presto! (ho paura di dirlo, ormai).
Bacini
Cleo

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Capitolo 27
*** Questione di sguardi ***


CAPITOLO 28

Questione di sguardi

 
Goku non pensava che Vegeta fosse pazzo, no. Goku pensava che Vegeta, diventando re, avesse perso completamente il senno, che fosse un folle, un avventato e anche parecchio sciocco nel credere per prima cosa che non lo avrebbe considerato tale e per pensare che avrebbe acconsentito a seguirlo in quello che più che un piano era un’ autentica missione suicida.
Non sapeva bene come reagire, come prenderlo per evitare che potesse offendersi o peggio ancora, compiere qualche gesto inconsulto.
Goku temeva che, durante il breve periodo trascorso nel suo maniero, Vickas avesse fatto qualcosa al suo amico. Era già la seconda volta che quell’individuo agiva in modo subdolo sul corpo e sulla mente di Vegeta, e temeva che quella che per il re risultasse come l’ultima spiaggia fosse invece frutto di un piano ben studiato dal nemico.
Tra tutti coloro che avevano avuto il privilegio di trovarsi ancora insieme dopo il risveglio dalla cena che Goku e i suoi figli avevano organizzato per Chichi, Vegeta era stato l’ultimo ad aprire gli occhi. Tra tutti aleggiava il sentore che qualcosa di sovrannaturale fosse la causa di quel torpore, e che laddove si fosse ridestato, ci sarebbero state delle conseguenze imprevedibili e per nulla piacevoli né per il diretto interessato né per chi aveva avuto la fortuna di trovarglisi accanto.
Per questo e per tutta un’altra serie di pensieri che continuavano ad accavallarsi, Goku non aveva né dato conferma di adesione a quel folle piano, né smentita, sperando che nel mentre potesse venirgli qualche idea meno complicata e soprattutto meno suicida di quella che era saltata in mente al re dei saiyan.
“Tsk. Sarebbe gradita da parte tua una qualsiasi risposta, Kaharot”.
“Sì, lo so… Ma…”.
“Ma cosa?”.
“Vegeta… Io non voglio offenderti ma… Insomma, questo piano è un po’…”.
“Mi sembrava di averti detto che non avrei gradito risposte scontate o scortesi da parte tua”.
“Lo so, ma…”.
“Sì, Kaharot, il piano è folle. Lo so perfettamente. Ma dimmi che alternative abbiamo. Non sappiamo niente. Non riusciamo a capire, non riusciamo a sapere e di conseguenza ad agire! Re Kaioh e gli altri sono irraggiungibili persino da te. Junior e il supremo sono spariti nel nulla. L’aura di quel bastardo è ovunque, e ora Trunks… Ora lui…”.
La voce di Vegeta si era rotta, e non era stato in grado di continuare. Aveva chinato il capo, chiudendo gli occhi e stringendo con forza i pugni.
Nel vedere quella reazione, a Goku si era stretto il cuore, invece. Più volte lo aveva visto in difficoltà, ma mai fino a quel punto. Vegeta era disperato. Era disperato e gli sembrava di non avere più i mezzi e la forza di proteggere chi amava e contemporaneamente guidare tutti verso la vittoria contro quella belva spietata che li aveva attaccati senza dargli neanche la possibilità di capire che ciò stesse effettivamente accadendo.
Se fosse stato un altro, lo avrebbe abbracciato. Se fosse stato un altro, gli avrebbe almeno messo la mano sulla spalla in segno di conforto. Ma Vegeta non era un altro. Vegeta era sempre lui, nonostante gli anni trascorsi sulla Terra accanto alla sua famiglia lo avessero completamente cambiato. Vegeta era lui e sarebbe rimasto lui fino alla fine: orgoglioso e schivo quanto bastava per essere riconosciuto sino all’ultimo come ultimo erede purosangue di una stirpe finita sull’orlo dell’estinzione.
“Se pensi che sia la cosa giusta da fare, verrò con te” – aveva detto Goku, alla fine, sorridendo senza sembrare troppo sdolcinato o preoccupato o disperato, cosa che, a dirla tutta, era più di quanto volesse ammettere a se stesso. E pensare che tutti lo consideravano il perenne ottimista, colui che riservava sempre un sorriso a tutti e che vedeva la luce alla fine del tunnel in ogni occasione! Peccato che, in quella situazione, lui non si sentisse affatto in quel modo – “Però, ascoltami. Io non penso che sia saggio arrivare sino al castello”.
“A no?”.
“Mi fa piacere vedere che non hai perso completamente il senso dell’umorismo!” – aveva provato a ironizzare Goku, ma vedendo affiorare uno sguardo assassino sul volto dell’amico aveva fatto immediatamente un passo indietro, mostrandosi molto più rispettoso – “Scherzi a parte, sono sicuro che c’è un altro modo per parlare con il tirapiedi di Vickas”.
“Tsk. PARLA”.
“Oh, lo  farò Vegeta, sta tranquillo. Ma prima devo occuparmi di una questione più importante”.
*
“Mamma… Mamma! È pronta la colazione? Sto morendo di fame, e anche Goten! Ti prego, fai presto o finirò col mangiare il tovagliolo e le posate!”.
“Sì… Anche io ho tanta fame, mamma… Ma davvero tanta tanta”.
Sembrava che le cose fossero tornate a essere più o meno normali, per quanto quella parola potesse avere ancora il senso di un tempo. I due piccoli saiyan avevano svegliato le rispettive mamme più con il brontolio dei loro stomaci che con le parole, e la gioia di entrambe era venuta fuori non solo mediante baci, lacrime e carezze, ma nel vederle indaffarate in cucina come avrebbero fatto in un qualsiasi giorno di quella vita che erano stati costretti ad abbandonare.
L’odore della pancetta che sfrigolava, delle uova e dei muffin che cuocevano in forno avevano svegliato tutta la combriccola che, quatta quatta, in punta di piedi, si era affacciata timidamente in cucina, con l’acquolina in bocca e lo stomaco brontolante, proprio come quello dei bambini.
Sarebbe superfluo dire che le due mamme non avevano badato a risparmiarsi, noncuranti del fatto che essendo in una situazione di emergenza, forse era il caso di non dare fondo alle seppur cospicue scorte presenti in quel ricovero che tutto era fuorché di fortuna. Ma pazienza: quel giorno era speciale per entrambe, anzi, era speciale per tutti, ed era il minimo che si prodigassero per festeggiare il ritorno e il risveglio dei presenti.
“Prendete posto a tavola” – aveva detto una Bulma con gli occhi rossi per il pianto, ma un pianto di gioia, stavolta – “E abbia un altro po’ di pazienza, tesoro. Presto avrai modo di saziarti”.
“Come stai, Trunks?” – gli aveva chiesto Videl, ancora un po’ pallida ed emaciata.
Gohan non l’aveva lasciata neanche per un istante da quando era rientrato dalla missione salvataggio. Era convinto che se si fosse allontanato da lei sarebbe accaduto qualcosa di terribile, e non voleva assolutamente che ciò si verificasse. Voleva starle accanto e proteggerla, per quanto ciò fosse possibile, e cercare di scoprire qualcosa in più sul nemico nella speranza che così facendo sarebbero riusciti a fermarlo. In ballo c’era la salvezza dell’universo intero, e lui, in una certa misura, si sentiva responsabile per via del sangue saiyan che scorreva nelle sue vene. Vickas doveva essere fermato, in modo o nell’altro. Peccato solo che non avesse idea di quali fossero le due opzioni tra cui dover scegliere.
“Meglio” – aveva risposto Trunks alla giovane mora, prendendo di nascosto la mano del suo migliore amico per donargli conforto e sostegno. Sapeva che quanto accaduto lo aveva profondamente turbato, e nonostante gli avesse più volte confermato che non lo riteneva responsabile, era difficile per Goten accettare una simile condizione – “Ho una fame da lupi, però. E non vedo l’ora che la colazione arrivi in tavola! Potrei mangiare un elefante intero!”.
“Bè, considerando che sei figlio di tuo padre, potresti farlo tranquillamente e potresti avere il coraggio di dire che hai ancora fame, dopo!” – era intervenuto mr. Satan, pentendosene un istante dopo: temeva che se Vegeta fosse stato nei paraggi lo avrebbe fulminato con lo sguardo.
Ma Vegeta non era nei paraggi, e questo Bulma lo sapeva benissimo, così come non era nei paraggi neppure il Son Senior.
“Ma dove si sono cacciati quei due?” – aveva sussurrato Chichi alla sua amica, sperando che nessuno l’avesse sentita.
“Non ne ho idea” – aveva risposto Bulma con tono glaciale.
“Purtroppo, sappiamo con chi abbiamo a che fare” – aveva provato a ironizzare Chichi, ma invano. La turchina aveva continuato a fissare con insistenza le uova che stava cucinando, impassibile, fredda come il ghiaccio, quasi come se non le interessasse quale sorte fosse toccata al marito, questo perché – ne era certa – Bulma era arrabbiata follemente con lui.
“Yamcha, per favore, potresti venire qui un istante?” – aveva cambiato improvvisamente e bruscamente discorso, facendole capire che quella parentesi era stata chiusa e doveva rimanere tale.
A Chichi non piaceva quell’atteggiamento. Così come non le piaceva quello strano attaccamento che Bulma stava dimostrando nei confronti di Yamcha. Se era un modo per far ingelosire Vegeta non era davvero il migliore. Ma provare a dirglielo avrebbe causato l’effetto contrario, e lei non voleva affatto che ciò avvenisse. Forse, quella di Bulma era semplicemente una fase, e poteva augurarsi solo che finisse al più presto.
Dal canto suo, appena arrivato in cucina, Vegeta aveva finto di non vedere quanto si palesava davanti ai suoi occhi. Chichi non riusciva a capire se lo facesse per puro orgoglio o per reale noncuranza. Stava di fatto che non si era degnato di reagire, limitandosi a dare una fugace occhiata alla moglie per poi tornare a discutere con suo marito. Cosa avessero di così importante e misterioso da dirsi, lui e Goku, non riusciva proprio a capirlo. Aveva il fondato timore che quei due stessero architettando in gran segreto qualcosa di estremamente stupido e pericoloso, e il solo pensiero l’aveva mandata in totale agitazione. Ma quando avrebbe avuto il tempo di parlare con loro? Erano entrambi così schivi, così misteriosi.
E poi, non voleva dare eccessivamente nell’occhio: lei, solitamente così plateale, così desiderosa di farsi ascoltare da tutti, in quella circostanza aveva pensato bene di mantenere un briciolo di pacatezza e di “contegno”, sperando che questo suo modo di agire potesse in qualche modo mantenere gli animi sereni tra i presenti.
La mora non era una sciocca: sapeva perfettamente che quell’isola felice non era niente di più che un sogno, l’illusione di una salvezza che presto sarebbe diventata un pericolo reale e vicino, ma era necessario per tutti che si fingesse il contrario, almeno in quell’istante. Era necessario un briciolo di tranquillità, uno spiraglio di sole in quel buio così opprimente in cui si erano svegliati loro malgrado.
“Mammina, daiiiii! Io ho fame. Davvero, ho tanta, tantissima fame” – Goten si era alzato da tavola e gli si era avvicinato, afferrandola per il grembiule che poi aveva dolcemente scosso per attirare la sua attenzione. Il piccolo Son era bellissimo, con le guance paffute, gli occhietti tristi e un po’ lucidi e il pancino che brontolava rumorosamente. Era la copia esatta di suo padre, la copia di quel Goku che l’aveva conquistata quando erano poco più che bambini e che aveva promesso di sposarla senza sapere realmente a cosa andasse incontro, ma che aveva mantenuto fede a quella promessa, giurando di proteggere lei e i loro figli a costo della sua stessa vita. Ed era proprio quello che terrorizzava la giovane mora: che Goku decidesse di fare qualcosa che potesse mettere a rischio la sua incolumità e la sua sopravvivenza.
“Mamma?”.
“Sì tesoro… Arrivo subito”.
E, nello stesso istante in cui aveva asserito che sarebbe subito arrivato tutto in tavola, Goku l’aveva raggiunta, mettendole entrambe le mani sulle spalle e guardandola dritto negli occhi. Tra i presenti era calato il silenzio, anche se avevano cercato di fingere indifferenza, che quella scena non si stesse verificando sotto i loro occhi.
“Io e Vegeta dobbiamo fare una cosa” – aveva esordito senza troppi preamboli. Era serio, ma in un certo qual modo sereno, se ciò era possibile – “Ma saremo di ritorno al più presto”.
“State attenti” – aveva risposto, scuotendo brevemente il capo in un primo momento. Era inutile provare a obiettare: aveva già deciso, e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea – “E cercate di tornare tutti interi”.
Sarebbe stato bello poter descrivere una simile scena svoltasi anche tra il re dei saiyan e la sua umana consorte, ma il destino non aveva voluto che ciò avvenisse. Bulma aveva continuato a cucinare e suo marito, impassibile, aveva continuato a rimanere lontano, in disparte, fingendo di non vedere. Solo un attento osservatore avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi un lampo di dolore immenso, dilaniante. Ma l’unica che avrebbe potuto vederlo, l’unica che nei suoi occhi era in grado di leggere sino alle profondità più recondite della sua anima tormentata, in quel momento stava guardando negli occhi qualcun altro. E solo Dio sapeva che questo gesto aveva piegato in due un re.

Continua…
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Ragazzi e ragazze,
eccomi qui. In ritardo abissale e ancora senza modem e senza connessione. Mi prendono in giro, è inutile. Ma non parliamone più. Quando arriverà farò festa.
Tornando a noi, questo può sembrare un capitolo di passaggio e anche un po’ ripetitivo, ma in realtà non lo è…
Vedremo presto per quale motivo!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 28
*** Contatti ***


CAPITOLO 28

Contatti

 
Erano usciti da casa senza voltarsi. Non era quello il momento di esitare, di avere ripensamenti. Sapevano che era rischioso, ma tirarsi indietro era assolutamente fuori questione. C’era troppo in ballo, ergo, dovevano smetterla di avere paura e agire. Anche se, a onor del vero, in quel frangente non sapevano cosa fosse più difficile da mettere in pratica.
Goku aveva addosso quello sguardo serio che aveva tirato fuori solo nei momenti più complicati della sua avventurosa e rocambolesca vita. Molti lo definivano “lo sguardo da battaglia”, altri, “lo sguardo da saiyan”, ma qualsiasi fosse il modo in cui lo chiamavano, tutti sapevano che quando Goku lo sfoderava era perché i guai in vista erano enormi, e la soluzione non si trovava esattamente dietro l’angolo. Per questo motivo aveva deciso di avere fede nel folle piano di Vegeta, provando così a tornare alla fortezza di quel verme che li aveva resi schiavi della sua volontà e cercare una soluzione all’assurdità in cui si erano risvegliati improvvisamente dopo un momento di festa, dopo un momento in cui si erano permessi di abbassare la guardia e dedicarsi completamente alle famiglie e a quella normalità che sembrava non potesse essergli concessa.
Vegeta… Bè, forse, sarebbe più opportuno non parlare di lui. O meglio, sarebbe più opportuno lasciarlo alle sue riflessioni, concedendogli così di trovare un senso agli eventi che lo avevano suo malgrado travolto. Ma, così facendo, lo avremmo solo spinto all’autocommiserazione e all’accettazione di un’imminente sconfitta, cosa che nessuno dei presenti – compreso lui – avrebbe mai potuto tollerare. Quel piano, seppur folle, seppur estremo, era suo, e non aveva intenzione di delegare qualcuno nel metterlo in atto, anche se andare significava correre il rischio di perdere chi amava più di ogni altra cosa al mondo.
Ma non sembrava che Goku avesse intenzione di attuarlo. Lo aveva fatto scivolare silenziosamente tra le rocce, conducendolo in un primo momento a valle – e lì aveva pensato che stesse già mettendo in pratica il suo piano – ma poi lo aveva costretto a salire in cima a una montagna brulla, su uno spiazzo reso inospitale da chissà quale assurda pratica di quel mostro con cui avevano a che fare. Che intenzioni avesse quell’altro debosciato era un autentico mistero. Forse, lamentarsi, da parte sua, era eccessivo, considerando che il piano – per l’appunto assurdo – era stato partorito dalla sua ampia fronte, ma quando Goku faceva le cose senza esprimersi era in grado di mandarlo letteralmente nel pallone.
“Tsk! Non so se lo hai notato, ma la fortezza di quell’abominio è dall’altra parte, Kaharot”.
“Lo so” – era stata la sua risposta – “Ma abbi pazienza. Ti avevo detto che avrei dovuto fare una cosa, prima. No?”.
“Tsk. Sì, ma…”.
“Allora niente ma. Fidati di me, Vegeta. Per una volta, fidati di me”.
E si stava fidando. Era ovvio, no? Solo che non amava essere tenuto sulle spine in quel modo. Forse, quell’idiota non se n’era accorto, ma la situazione era già abbastanza oscura e complicata di suo, quindi perché peggiorare qualcosa che aveva già portato tutti sull’orlo della disperazione?
“Kaharot…”.
“Ci siamo, Vegeta” – aveva detto, fermandosi nello spiazzale – “Ci siamo… E ora promettimi che mi darai tutto l’aiuto di cui ho bisogno”.

 
*

“Che ne dici di andare un po’ fuori? Non penso che ci accadrà qualcosa se restiamo nei paraggi”.
“No, non mi va di uscire… Preferisco stare qui, vicino alla mamma”.
“Oh, andiamo! Non dirai sul serio!”.
“No, davvero, non insistere. Sono certo che se chiedessimo loro il permesso, ci direbbero di no. Soprattutto dopo quello che ti è… Che ci è successo… No, no. Io resto qui”.
Trunks aveva sbuffato, arresosi all’evidenza. Goten era troppo spaventato, non avrebbe mai accettato di uscire fuori dalla casetta con lui. Non voleva allontanarsi molto, voleva solo prendere una boccata d’aria – quelle mura lo stavano opprimendo – ma uscire da solo non era la stessa cosa che essere in compagnia del suo migliore amico. Doveva ammettere, però, che Goten non avesse tutti i torti. Dopo quello che era successo a entrambi, sarebbe stato meglio non fare sciocchezze, ma lui stava veramente morendo dalla noia! E poi, sua madre era diventata veramente troppo apprensiva. Sembrava quasi che lei e Chichi si fossero scambiate i ruoli.
“Va bene… Ma allora, se dici che non possiamo uscire, cosa proponi di fare? Mi annoio troppo qui dentro!”.
“Non lo so… Potremmo chiedere a Gohan se gli va di farci un po’ di compagnia!”.
“Per fare cosa? No… E poi c’è Videl con lui… Non penso che abbia voglia di stare con noi”.
“Perché no?”.
“Goten… Davvero non ci arrivi?”.
“Emmm…. Io…”.
“Oh, lascia perdere! Piuttosto, dove credi che siano andati i nostri papà?”.
“Non ne ho idea… Erano così… Così… Strani”.
“Pensi che vogliano tornare lì? Alla fortezza, intendo…”.
Goten aveva chinato il capo, serrando con forza le palpebre e abbracciandosi da solo come se stesse cercando di darsi un po’ di conforto. Come faceva, Trunks, a parlare con tanta leggerezza di quel posto terrificante?
“Goten… Stai bene?”.
“Non voglio che parli di quel posto”.
“Eh?”.
“Hai capito…Io non voglio che tu… Che tu ne parli, ecco!” – senza neanche rendersene conto, aveva gettato lo sguardo proprio sul braccio che aveva morso inconsapevolmente, e aveva ricominciato a odiarsi per essere stato così debole e così condizionabile. Trunks non avrebbe dovuto più rivolgergli la parola, altro che chiedergli di uscire fuori a giocare e fingere che non fosse mai accaduto niente. Per questa ragione, e anche per vergogna e per timore di fargli nuovamente del male, il piccolo saiyan dai capelli corvini era scattato in piedi dal pavimento su cui era sdraiato in compagnia del suo migliore amico ed era corso nella stanza che condivideva coi in suoi genitori, chiudendosi a chiave dall’interno.
“Goten, ma dove… Ehi! Aspetta!”.
Ma lui non aveva aspettato. Anzi, gli aveva letteralmente sbattuto la porta in faccia. Era stato a quel punto che il braccio aveva iniziato a dargli un leggero fastidio, ricordandogli quello che gli era capitato qualche ora prima. Ma Goten non aveva colpa, non sapeva più come farglielo capire, ormai.
“Ehi…” – lo aveva chiamato con dolcezza, posando una mano piccola eppure già temprata dalla fatica e dalle prove che aveva dovuto affrontare sulla porta scura – “Goten… Ascolta… Io non sono arrabbiato con te. Non è colpa tua… Davvero… Non voglio pressarti… Voglio solo farti sapere che ti voglio bene… Spero che tu lo sappia…”.
Sperava realmente che lo sapesse, perché non aveva la benché minima intenzione di perdere la sua amicizia. Il piccolo Son era troppo importante per lui. Troppo.
“Io vado… Cioè, voglio dire, torno di là… Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi, va bene? Magari, in questo posto è nascosto qualche videogioco. Vado a cercarlo, va bene? Tu aspettami… Ok Goten…? Ok…” – e si era allontanato con cautela, quasi con le lacrime agli occhi. Non avrebbe potuto sapere che, di lì a poco, le cose sarebbero cambiate drasticamente.

 
*
 
Stava realmente per perdere la pazienza. Lo aveva condotto lì senza dargli una spiegazione e continuava a tenerlo sulle spine, dandogli le spalle, fissando il cielo e mantenendo un silenzio che non gli si addiceva affatto. Aveva voglia di scherzare? Lui no. Lui non aveva la benché minima intenzione di scherzare o perdere tempo. Voleva solo andare nella fortezza, prendere quell’ebete di leccapiedi che si era trovato quel mostro ignobile di Vickas, e trovare una soluzione ai problemi di suo figlio, prima, e a quelli dell’universo intero, poi.
“Kaharot, comincio veramente a perdere la pazienza” – aveva praticamente ringhiato. La vena sulla sua fronte aveva pericolosamente incominciato a pulsare, e i palmi delle mani – serrate attorno alle sue braccia tornite – stavano cominciato a sudare e tremare contemporaneamente.
“Vuoi chiudere per un attimo il becco, per cortesia? Non riesco a concentrarmi”.
“Che cosaaaa?”.
Vegeta non riusciva a credergli. Gli aveva veramente detto che doveva chiudere il becco? Goku aveva forse deciso di morire per mano sua e non di Vickas? Stava realmente pensando di farlo fuori in quel preciso istante. Chichi glielo avrebbe perdonato, ne era certo. Anzi, forse lo avrebbe anche ringraziato, dato che quell’idiota si stava rivelando una palla al piede più che un aiuto concreto.
“Io ti…”.
“Ce l’ho fatta!!!” – aveva improvvisamente esclamato Goku. Di nuovo.
“Eh?”.
“Ce l’ho fatta Vegeta! Coraggio! Vieni qui e metti una mano sulla mia spalla!”.
“Ma che diamine vai blaterando?” – aveva detto lui, arrossendo. Non amava il contatto fisico – escludendo sua moglie, ovviamente – e non aveva né intenzione né la voglia di toccarlo, quindi no, non lo avrebbe fatto e…
“Ma ti vuoi sbrigare?” – e lo aveva colto alla sprovvista, prendendolo per mano come se fossero stati due bambini che si volevano bene. O una coppietta al parco, se preferite.
“Kaharot, giuro che…” – ma non aveva fatto in tempo a dire niente, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la rabbia, e soprattutto perché, nello stesso istante in cui lo aveva toccato, Goku gli aveva concesso di leggere nei suoi pensieri, o meglio, gli aveva concesso di entrare in contatto con la propria mente, permettendogli così di scoprire le motivazioni che lo avevano spinto a salire sino a quel posto sperduto.
“Ma questo è…”.
“Sì, è re Kaioh del Nord”.
Non poteva crederci. E lo stava vedendo con i propri occhi! O meglio, con gli occhi della mente. Mai avrebbe potuto pensare che quell’ebete, alla fine, potesse riuscire a mettersi in contatto con una divinità. Inizialmente, aveva creduto che fossero completamente isolati e che, peggio ancora, Vickas avesse fatto fuori l’intera schiera di divinità varie ed eventuali con cui avevano avuto a che fare o meno. Invece, a quanto sembrava, almeno re Kaioh del Nord era vivo e vegeto. Anche se, a onor del vero, non sembrava passarsela benissimo.
Era come se attorno al suo minuscolo, ridicolo pianetuccio si fosse creata una sorta di cappa densa e semi-trasparente che impediva a ciò che si trovava all’esterno di entrare, ma che, evidentemente, impediva anche a ciò che si trovava dentro di uscire. Se re Kaioh stesso fosse stato o meno in grado di costruire una cosa del genere, Vegeta non poteva saperlo, ma forse, era proprio quella sorta di barriera che aveva impedito loro di entrare in contatto con lui in precedenza.
“Re Kaioh! Re Kaioh, mi sente, non è vero? Re Kaioh, per favore! Sono io, Goku!”.
Il buffo sovrano del Nord non sembrava che avesse udito quella sorta di richiamo. Aveva l’aria preoccupata, tesa. Si guardava attorno con circospezione, cercando chissà cosa chissà dove, ma Vegeta era certo che non avesse udito la voce irritante del babbeo che continuava a tenere per mano.
“RE KAIOH, DANNAZIONE, CI SENTE O NO. ABBIAMO BISOGNO DI LEI. E NE ABBIAMO BISOGNO ADESSO”.
Come al solito, il suo intervento era stato brusco e sgarbato, ma sembrava che quel suo atteggiamento – almeno in quell’occasione – avesse ottenuto l’effetto sperato, perché re Kaioh aveva alzato il capo verso un punto preciso, questo dopo aver sussultato per essere stato colto alla sprovvista.
“Ma chi… Chi è? Come avete fatto a entrare in contatto con me?”.
“Re Kaioh, siamo Goku e Vegeta! Che gioia sentirla e sapere che sta bene!”.
“Oh! Ragazzi” – gli occhi della divinità si erano improvvisamente riempiti di calde lacrime di gioia – “Siete vivi. Siete vivi! Non posso credere che voi siate vivi e stiate bene!”.
“Tsk! Ma è rimbambito o cosa?”.
“Shhhh! Vuoi che ti senta?” – certe volte, Vegeta era impossibile da decifrare e comprendere.
“Emmm, sì…”.
“Perché state bene, non è così? Da quando è successo questo pandemonio e hanno deciso di isolarci, non ho più potuto mettermi in contatto con te e non sapevo cosa accadesse sulla Terra. Ero così in pensiero. Ma ora… Ora…”.
“La vuole piantare con questa nenia, o no? Abbiamo bisogno di lei!”.
“Cosa? Ah, sì, certo. Ma ditemi, vi prego, cos’è successo esattamente sulla Terra?” – il suo tono preoccupato non lasciava presagire nulla di buono. Possibile che non fosse a conoscenza di quello che gli era capitato?
“Re Kaioh, la faccenda è complicata…”.
E Goku, con estrema pazienza, aveva raccontato all’amico e maestro quello che avevano vissuto, visto e patito, facendo attenzione a non omettere nessun particolare, in modo da fornirgli un quadro più completo possibile.
Al termine di quell’infernale racconto, era toccato alla divinità fare lo stesso, e a quel punto, Goku e Vegeta avevano capito perché non erano più stati in grado di contattare nessun essere superiore, neanche Dende e Junior.
Nello stesso istante in cui si era “rotto l’incantesimo” e Vickas era venuto fuori, quella creatura infernale aveva cominciato a nutrirsi dell’essenza delle divinità terrestri. La prima che era stata vittima di quella sorta di mietitura era stata una divinità minore che adoravano e pregavano alcune popolazioni del Sud, e che viveva nascosta e indisturbata tra la lussuosa vegetazione che si nascondeva dietro una maestosa cascata. Quella prima uccisione aveva consentito a Vickas di recuperare solo una piccolissima parte delle se forze, ma esse erano state sufficienti a far sì che anche le altre divinità minori presenti sulla Terra venissero attirate e sacrificate al suo volere, con le conseguenze che avevano avuto modo di appurare in prima persona una volta dopo aver riacquistato conoscenza.
Allarmate, le divinità celestiali avevano prelevato con la forza Dende e Popo e le avevano condotte nell’Aldilà. Avevano fatto lo stesso con Junior, anche se non era stato facile convincerlo a seguire le guardie celesti senza opporre eccessiva resistenza. Sembrava che si fosse convinto solo dopo che gli avevano fatto notare che, tra tutti i terrestri, lui sarebbe stato in grado di creare delle nuove sfere del drago se fosse stato necessario, e che sarebbe potuto entrare in azione laddove ci fosse stato bisogno del suo intervento, soprattutto se questo consisteva nel difendere il Supremo della Terra. La stessa cosa era stata fatta non con il solo capo dei saggi, ma con l’intero popolo Namecciano: tutti, ma proprio tutti, erano stati condotti su un pianeta che si trovava nel regno dell’Aldilà, in modo da garantire loro protezione. Preoccupato però dal crescente potere di Vickas, re Yammer aveva ordinato a tutte le divinità di chiudere qualsiasi canale che potesse metterle in contatto con il resto dell’universo, creando una barriera protettiva intorno a ogni singolo pianeta con lo scopo di proteggerli. Eppure, quella misura li rendeva totalmente isolati gli uni dagli altri. Persino i Kaioshin avevano dovuto sottostare a quel comando, e ciò aveva causato problemi soprattutto alle anime dei defunti che a milioni erano giunte alle porte dell’Averno. Erano soprattutto uomini, a quanto gli era parso di capire, e dopo il racconto di Goku, quella era ormai diventata una certezza. Aveva spiegato loro che avrebbe tanto voluto contattarli, ma gli era stato impedito, e che si meravigliava molto di constatare che loro fossero riusciti a eludere tutto quel complesso sistema di sorveglianza angelico.
“Mi chiedo, a questo punto, se non ci sia una falla nel sistema”.
“Lei dice?”.
“Non vedo come avreste potuto fare a contattarmi, altrimenti”.
“Re Kaioh, se è davvero come pensa, questo significa che…”.
“Sì, Goku. Sono a rischio, come tutte le altre divinità di questo mondo, e non solo. Vickas è il peggiore mostro con cui abbiamo avuto a che fare sino a ora. Già durante il suo primo attacco eravamo stati costretti a prendere le stesse misure di protezione, e abbiamo resistito contro ogni sua pretesa o aggressione. Fortunatamente, tra le divinità maggiori non ci sono state vittime, ma l’aver preso possesso di tutti i poteri di quelle minori che aveva incontrato lungo il suo cammino lo aveva reso pericoloso e aggressivo. E purtroppo, per fermarlo era stato necessario il sacrificio di cui aveva già parlato a lungo Vegeta".
“Re Kaioh, a questo proposito, ma perché, secondo lei, Vickas avrebbe dovuto fornirci su un vassoio d’argento l’unico modo conosciuto per fermarlo? Non ha senso!”.
“Oh, figliolo… Cercare di capire le motivazioni e le azioni di un simile folle esula dalle mie competenze, ma… Ma…Insomma, credo che volesse ferire Vegeta, in qualche modo. Mi dispiace… Ma non vedo altra spiegazione”.
Un lungo silenzio aveva messo in pausa quella conversazione a volte interrotta e disturbata da una specie di “assenza di segnale”. E, con grande sorpresa, era stata la voce carica di risentimento dell’ormai re dei saiyan ad aver messo fine a quel momento di riflessione, un re dei saiyan che sembrava sul punto di esplodere.
“Codardi”.
“Cosa?” – Goku e re Kaioh lo avevano detto all’unisono.
“E voi sareste divinità? Siete un ammasso di codardi. Le persone hanno sofferto, sono morte, e invece di intervenire, vi siete nascosti come conigli impauriti aspettando che qualcun altro si occupasse di questo disastro. Siete dei codardi! Mi fate schifo, tutti!”.
“Vegeta!”.
Goku non riusciva a credere a ciò che aveva udito. Veramente Vegeta pensava quelle cose?
“Non voglio più ascoltare. Basta! Non siete di nessuna utilità! Chiudete quella falla nel sistema e lasciateci in pace una volta per tutte. E non provate mai più a dire che siete preoccupati per noi. Se così fosse stato, sareste venuti ad aiutarci invece di rinchiudervi nella vostra bellissima torre dorata”.
E, così detto, aveva imposto a Goku di lasciar andare la sua mano, interrompendo il contatto con re Kaioh e ponendo fine anche a quella sorta di empatia che sembrava essersi sviluppata con il saiyan più giovane.
“Vegeta…” – Goku non sapeva cosa dire. Non lo biasimava del tutto, ma non se la sentiva neppure di prendersela con le divinità, men che meno con il suo maestro. Avevano fatto ciò che ritenevano più giusto, anche se ciò, ai loro occhi, poteva sembrare sbagliato.
“Sta zitto Kaharot. Non dire più niente. Non osare aprire bocca”.
Il cuore di Goku aveva perso un battito nell’istante in cui si era reso conto che gli occhi di Vegeta erano diventati lucidi. Si stava sforzando di non piangere, ma il Son temeva che quello sforzo fosse vano.
“Io…”.
“No. Non devi dire niente” – il re dei saiyan aveva chinato il capo, sforzandosi di trattenersi – “Non è tuo figlio quello che deve morire. E non sei tu a dover… A dover…” – ma non aveva proseguito neanche quella volta, coprendosi gli occhi con la mano destra e stringendo il pugno con la sinistra con così tanta forza da far penetrare le unghie nella carne.
“Goku… Figliolo…”.
“Sì, re Kaioh… La sento”.
Era scosso, ma non poteva permettersi di lasciare in sospeso quella conversazione.
“Mi spiace che Vegeta pensi questo… Ma capisco perfettamente le sue ragioni”.
“Non c’è niente che voi possiate fare?”.
“No, ragazzo. Niente. Vickas è un prodotto dell’odio e del rancore saiyan, e solo un saiyan può fermarlo. So che è atroce, ma non esiste un altro modo”.
“Non ci voglio credere, re Kaioh. DEVE per forza esistere un altro modo. Non posso neanche pensare all’eventualità che Vegeta debba… Non voglio neanche dirlo”.
“Figliolo, io non ho le risposte a questi tuoi interrogativi. Magari fosse il contrario… Sono impotente… E non sai quanto questo mi deprima. Il piccolo Trunks non ha colpe. E neanche Vegeta… Per non parlare di Goten, poi… Mordere il suo migliore amico… Anche questa, deve essere una trovata di Vickas… Cielo quanto vorrei poter entrare in quel suo cervello bacato e scoprire cosa sta architettando quel farabutto!”.
“Sa, re Kaioh, forse, questa cosa non è poi così tanto impossibile come crede”.
“Cosa? Che vuoi dire?”.
“Che lei ha molte più doti di quanto non pensi… Deve solo credere maggiormente nelle sue capacità e nel suo coraggio. Crede di farcela?”.
Re Kaioh del Nord non era certo di farcela, così come non era certo di aver compreso ciò che Goku volesse dirgli. Ma di una cosa cominciava a essere sempre più certo: che il suo allievo, ormai, cominciasse a parlare come un maestro.
“Si fidi di me, re Kaioh. E non abbia paura. FORSE, possiamo scoprire se esiste un altro modo per arrestare l’avanzata di quella belva”.

 
*

Si era precipitato fuori di corsa, con il cuore in gola e la sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere all’uomo che più amava al mondo.
Nessuno lo aveva visto uscire – stranamente – ed era sfrecciato via come un lampo verso la radura, stravolto e spaventato dalla voce del padre che continuava a chiamarlo e a ripetergli di andare in suo soccorso. Non si era reso conto che fosse impossibile il semplice fatto che nessun’altro lo avesse udito. La paura era stata troppo grande, la voglia di aiutarlo, lo era stata ancora di più.
“Papà! Sto arrivando! Stai tranquillo! Non ti lascio!”.
Eppure, una volta raggiunto il punto in cui suo padre avrebbe dovuto trovarsi, aveva scoperto che lì non c’era nessuno. Poteva averlo immaginato? Il suo cervello poteva avergli fatto un simile scherzo?
“Papà?” – aveva chiamato, timidamente – “PAPA’!” – aveva urlato, sperando di non essersi sbagliato. Ma lui non si era sbagliato, solo che non avrebbe potuto capire cosa gli era capitato, né intuirlo, e questo perché qualcuno, qualcuno di potente e di subdolo, si stava divertendo a giocare con lui, con un bambino che, esattamente come suo padre, aveva l’unica colpa di possedere quello stesso sangue, di appartenere, suo malgrado, a quella stessa stirpe.
Chissà come sarebbero andate le cose, se Trunks fosse stato un altro, se non fosse stato uno di quei saiyan.
Ma, purtroppo per lui, non avrebbe mai potuto scoprirlo. Purtroppo per lui, sarebbe stato una pedina di quel gioco malato di cui si era ritrovato a far parte, e non una pedina qualunque, ma una delle più preziose.
Arrivati a quel punto, quale dei giocatori avrebbe prevalso? I saiyan, o Vickas e il suo scagnozzo? Per saperlo, avrebbero dovuto aspettare le prossime mosse, sperando che, per il piccolo, non fossero quelle sbagliate.

Continua…
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*CLEO È TORNATA*
Visto??? Ce l’ho fatta anche io!! Ancora non ci credo, ma ho la connessioneeeeeee!!!
Dio mio, cambiare gestore è stato più lungo ed estenuante di un parto! Ma sono tornata!! Non ci credevate più, vero?
Invece, eccomi qui, con un nuovo capitolo di questo mio scritto. Le cose cominciano a evolversi, no? Ma ditemi un po’ cosa ne pensate! Sono curiosa di saperlo!! Come avrete notato, lo stile è un po’ diverso – ho cercato di buttarla un po’ meno sul tragico in alcuni passaggi, essendo un capitolo abbastanza Angst – e ho inserito nuovi elementi.
Scusate se non ho ancora risposto alle vostre ultime recensioni: lo farò al più presto.
Per ora, posso solo augurarmi che il capitolo vi sia piaciuto.
Un bacione

A PRESTO!! (POSSO FINALMENTE DIRLO!!!)
Cleo

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Capitolo 29
*** Solamente colpa sua ***


CAPITOLO 29

Solamente colpa sua

 
Aveva avuto una strana sensazione. Non avrebbe saputo spiegare di cosa si trattasse nello specifico. Era stata come una forte stretta allo stomaco. Una fitta intensa, dolorosa, che l’aveva portata a toccarsi l’addome con entrambe le mani, quasi stesse stringendo con forza un punto preciso per evitare che ciò che si trovava all’interno potesse fuoriuscire. Subito dopo, aveva iniziato a sudare. La nuca, la fronte, le mani, tutto era diventato umido e scivoloso. Poi, era sopraggiunto il tremore. Partito dalle mani, si era propagato per tutto il corpo, costringendola a spostarsi dal computer – sì, c’era persino un computer in quella casa/capsula – e a recarsi in salotto, sperando, per l’appunto, che la sua brutta sensazione rimanesse tale.
“Trunks!” – aveva chiamato, affacciandosi nel corridoio. “Trunks!” – aveva ripetuto, dirigendosi verso il salotto – “Avete visto Trunks?” – era stata la domanda che aveva fatto a Crilin e famiglia, seduti attorno al tavolo.
“Oh, ciao Bulma!” – l’aveva salutata Crilin – “Mmmm… No. Mi spiace. Ma credo che sia con Goten. Tu lo hai visto, tesoro?” – aveva domandato a sua figlia.
“No, papà… Mi spiace”.
“Va bene… Chiederò a Chichi”.
Così dicendo, aveva allungato un po’ il collo per constatare se la sua amica fosse o meno indaffarata ai fornelli, ma non era lì. Strano. Sembrava che, per Chichi, fosse una specie di missione l’atto di nutrire tutti i presenti. Forse, stava riposando. O, più semplicemente, stava facendo compagnia a Videl e a suo padre. Per fortuna – e per la gioia di Gohan – aveva ritrovato la sua famiglia acquisita, ed era plausibile che volessero stare un po’ insieme. In effetti, non li avrebbe disturbati se non avesse avuto quell’orribile sensazione che le attanagliava il petto. Non poteva aspettare oltre.
“Chichi?” – aveva chiamato, bussando leggermente alla porta della sua camera da letto – “Chichi… Sei qui dentro?”.
“Sì Bulma! Entra pure!”.
La voce della mora non era stata per niente ovattata dallo spessore della porta e dei muri. Le sembrava piuttosto allegra, nonostante fosse perfettamente a conoscenza dell’ angoscia che le provocava l’assenza del marito. In un’altra circostanza, anche lei sarebbe stata in pensiero per Vegeta, ma in quel caso… No, in quel caso, non lo era affatto. Anzi: pensare al marito la portava solo a innervosirsi maggiormente.
Per questo, aveva abbassato la maniglia, aveva aperto la porta ed era entrata, scoprendo che, ad accoglierla, c’erano i sorrisi di Chichi, Gohan, Videl e di Goten. Ma non di suo figlio Trunks.
“Ti serviva qualcosa, Bulma?”.
Il cervello della turchina sembrava essere completamente scollegato da tutto il resto.
“Bulma? Stai bene?” – le aveva chiesto Videl, rimessasi del tutto in forma.
“Dov’è Trunks?” – aveva detto lei, neanche fosse un cyborg, un automa, continuando a fissare la copia in miniatura del suo migliore amico – “Dov’è?”.
“Ma si può sapere che ti prende?” – Chichi non capiva, e non le piaceva il tono ansioso che aveva la sua voce – “È successo qualcosa a Trunks?”.
“Goten, ti prego… Dimmi dov’è mio figlio”.
Ma il piccolo Son, dopo aver rivolto a sua madre e a suo fratello uno sguardo inequivocabile, aveva scosso il capo e sollevato brevemente le spalle, rispondendo con quel gesto alla domanda della mamma del suo migliore amico.
“TRUNKS! TRUNKS!”.
Non erano sicuri di aver capito cosa fosse accaduto, ma non avevano perso tempo: avevano abbandonato tutti e quattro il loro rifugio per seguire la loro amica in quella folle corsa disperata.
“TRUNKS!” – continuava a chiamare lei, aprendo e chiudendo le porte di ogni singola stanza (compreso il bagno, in cui un povero Mr. Satan aveva cercato invano un po’ di privacy).
“Ehi, ma che le prende?” – aveva domandato Yamcha ai presenti, incuriositi all’unisono dal comportamento assurdo della scienziata.
“Sta cercando suo figlio” – era stata la risposta di C18.
“Pensava che fosse con Goten, evidentemente” – aveva aggiunto Gohan – “E quando ha scoperto che non era così… Bè, potete vederlo coi vostri stessi occhi!”.
Yamcha non aveva perso tempo, aveva raggiunto la donna che aveva sempre amato e l’aveva spinta a voltarsi verso di lui per guardarlo in viso. Non l’aveva mai vista in quelle condizioni. Mai. Neanche quando si era resa conto che suo figlio versava in quello strano stato comatoso da cui, fortunatamente, era uscito. I suoi occhi erano spiritati, emanavano terrore e apprensione verso il destino di chi amava con tutta la sua anima.
“Bulma. Dimmi che cosa sta succedendo” – era stato risoluto.
“Trunks…”.
“Sì, ho capito. Ma che cosa è successo a Trunks?”.
“Non è in casa. Io… Non riesco a trovarlo. Credo che gli sia successo qualcosa!”.
“Ma no! Sta tranquilla… Sei sicura di aver controllato bene in tutte le stanze? Magari sta giocando, è distratto, e…”.
“Sono sicura. Yamcha, perché non vuoi credermi?”.
Certo che le credeva. O meglio, credeva alla sua apprensione. Poteva capire perfettamente il perché di quella reazione, constatando quello che aveva dovuto passare Trunks in precedenza. Ma così non aiutava se stessa né suo figlio, laddove fosse stato necessario.
“Aiutami a trovarlo. Ti prego, Yamcha, ti prego”.
“Voleva andare fuori a giocare…”.
Era stata la timida vocina di Goten ad attirare la loro attenzione.
“Che cosa?” – la voce di Bulma lasciava trasparire sempre più agitazione – “Dove? Quando? E con chi?”.
Si era liberata dalla stretta di Yamcha e aveva afferrato il piccolo Son per le spalle con entrambe le mani, fissandolo negli occhi al punto di inibirlo.
“Rispondi Goten”.
“Bulma… Ti prego…” – Chichi capiva perfettamente lo stato d’animo della sua amica, ma quell’atteggiamento non riusciva proprio a digerirlo – “Goten risponderà prima e meglio se evitiamo di metterlo sotto pressione” – aveva usato il plurale per far sì che quella frase non sembrasse un attacco, ma dubitava di esserci riuscita. Suo figlio non c’entrava con ogni singola cosa che sarebbe potuta eventualmente capitare a Trunks, Bulma doveva farsene una ragione – “Coraggio, tesoro… Rispondi”.
“Lui voleva che uscissimo fuori a giocare. Si stava annoiando tanto… Ma io gli ho detto di no, che era meglio non uscire. E sono venuto in stanza… Poi… Poi sono entrati anche la mamma e gli altri, e non l’ho visto più”.
Non stava dicendo tutto. Bulma ne era sicura, ma sapeva che, insistendo, avrebbe ottenuto solo l’effetto contrario.
“Ma ti ha detto dove sarebbe voluto andare?” – aveva chiesto Videl con il tono di voce più dolce che era riuscita a tirare fuori.
“No… Ha detto solo che voleva andare fuori”.
A quel punto, Bulma non aveva esitato, alzandosi di scatto a dirigendosi verso la porta. A nulla erano valsi i tentativi di Yamcha e degli altri di fermarla. Lei doveva trovare suo figlio, e doveva farlo a qualsiasi costo.

 
*

“Papà? Papà! Dove sei? Sto venendo ad aiutarti!”.
Possibile che non riuscisse a vederlo da nessuna parte? Lui non aveva sognato: era proprio voce di suo padre quella che aveva udito. Ma perché nascondersi? E dov’era andato a finire Goku? Che lo avesse lasciato nei guai e fosse scappato via come un coniglio impaurito? Non era da lui, certo, ma in situazioni come quelle poteva accadere qualsiasi cosa!
“Papà!! Papà, ti prego, rispondimi!”.
“Sono qui” – la voce di Vegeta lo aveva colto alla sprovvista, facendolo sussultare.
“Ma qui dove? Papà, aumenta la tua aura! Così potrò trovarti!”.
Preso dall’ansia di soccorrerlo, non si era reso conto di aver cominciato a grattarsi con insistenza un punto ben preciso, un punto che avrebbe dovuto fari sì che si rendesse conto dell’imminente pericolo. Ma non c’era modo che il piccolo potesse accorgersi di quanto sarebbe accaduto. Era troppo grande il suo desiderio di aiutare il papà, l’uomo che amava con tutto se stesso. Voleva solo che la sua famiglia rimanesse unita, che stessero tutti bene. Perché le cose non potevano andare come voleva, per una volta nella sua vita?
“Papà… PAPA’!”.
Se fosse stato più attento, si sarebbe reso conto che suo padre era apparso dove un attimo prima non vi era proprio nessuno. Ma lui non era attento. Era solo ansioso.
Per questo era corso nella sua direzione, inginocchiandosi ai suoi piedi. Era svenuto. O almeno, così gli era parso. Ma come poteva essere svenuto se gli aveva risposto sino a qualche istante prima?
“Papà… Che cosa ti prende, papà? Devi svegliarti…”.
Aveva cominciato a scuoterlo per una spalla, ma non sembrava che avesse sortito qualche tipo di effetto. Niente, suo padre continuava a non reagire.
“Papà… Andiamo! Ti devi alzareeee!” – lo aveva scosso con maggiore forza. Poi lo aveva strattonato, gli aveva persino dato un pugno in un fianco, ma niente. Non c’era verso di svegliarlo.
“MALEDIZIONE!”.
Aveva tirato fuori un’espressione identica a quella del genitore attualmente in pericolo. O presunto tale.
Le sue sopracciglia si erano aggrottate e la vena sulla sua fronte, quella vena che non sapeva neanche di avere, si era gonfiata aveva iniziato a pulsare incessantemente.
E poi, era successo: senza che lui potesse controllarsi, si era trasformato in super saiyan, facendo tremare tutto ciò che lo circondava, non rendendosi conto che, stranamente, avesse iniziato a tremare anche il corpo di suo padre. O meglio, avesse iniziato a tremare la figura evanescente che aveva le stesse sembianze di Vegeta.

 
*

“TRUNKS!”.
Stava correndo come mai aveva corso prima di allora. Dalla fretta, era uscita di casa scalza, e il terreno brullo le aveva ferito le piante di entrambi i piedi, facendole sanguinare. Ma questo non l’aveva fermata. Nulla avrebbe potuto fermare una madre che tentava disperatamente di salvare suo figlio.
L’esplosione di luce gialla seguita dal tremolio dell’aria era stata inconfondibile. Neanche fosse stata capace di percepire le aure, Bulma si era diretta precisamente in quel punto, certa che si trattasse del suo bambino, ancor più certa che fosse in pericolo.
A nulla erano valsi i richiami di chi continuava a rincorrerla nel tentativo di fermarla e farla ragionare. Lei era determinata a salvare il suo bambino.
Ma Bulma non era pronta a trovarsi davanti a quella scena. Nessuno lo sarebbe stato. Perché mai nessuno avrebbe potuto pensare che, dopo quell’esplosione di energia, Trunks sarebbe stato trovato riverso al suolo, con il braccio sanguinante e Vegeta, seduto sui talloni, con i guanti sporchi del suo sangue e sul volto il sorriso più crudele che avesse mai avuto modo di vedere.
Era stato un attimo. Un breve, fugace attimo. Perché, nello stesso istante in cui Yamcha l’aveva raggiunta, Vegeta non c’era più. Le uniche cose che erano rimaste lì, per Bulma, su quella terra brulla e secca, erano suo figlio privo di sensi e la sensazione, quella stessa sensazione che l’aveva spinta a cercare, a correre fino a lì, quella sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere, che era divenuta realtà.
“È colpa sua…” – aveva sibilato, tetra, con la voce carica d’odio, mentre stringeva al petto il corpicino senza sensi del figlio – “È solamente colpa sua”.
Yamcha e gli altri non sapevano a chi si stesse riferendo con esattezza, anche se temevano di averlo in parte intuito.
E, se lei che lo aveva sposato, se lei che diceva di amarlo, era arrivata a formulare un simile pensiero, cosa avrebbero fatto, o detto, il resto dei presenti?
Qualcosa lasciava intendere che non sarebbe trascorso molto tempo prima di scoprirlo.

 
Continua…
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Eccomi.
Scusate per i tre giorni di ritardo. Ho dovuto fare il fine settimana a tirocinio e non ho potuto scrivere/aggiornare.
Ma eccomi di nuovo qui, per voi, con un altro capitolo di questa storia sempre più confusa. XD
Era veramente Vegeta o no?
A voi l’onore di rispondere.
Bacini
Cleo

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Capitolo 30
*** Eroe ***


CAPITOLO 30

Eroe

 
Era stata una fitta al petto che lo aveva fatto trasalire. Una dolorosa, acuta fitta al petto che gli aveva mozzato il respiro, costringendolo ad aggrottare le sopracciglia, già abbastanza accigliate, e a posare la mano destra un po’ più a sinistra dello sterno, quasi all’altezza di quel cuore che in tanti pensavano fosse ancora fatto di pietra.
“Urka! Vegeta, che ti succede?”.
Aveva fatto di tutto per fare in modo che quell’ebete non se ne accorgesse, ma era chiaro che non fosse poi così tanto impegnato nella conversazione con quel codardo di re Kaioh come aveva sperato, perché alla sua prima – e unica – smorfia si era girato verso di lui, pronto a soccorrerlo all’evenienza.
Che succede, figliolo?”.
Re Kaioh aveva percepito nella voce di Goku una forte ansia, e apprendere palesemente che fosse rivolta all’ormai re dei saiyan era stato come aggiungere paglia sul fuoco. Per questa ragione si era concentrato sino al massimo delle sue capacità, superando la barriera tramite la crepa che si era formata e giungendo finalmente a osservare coi suoi stessi occhi quanto stava accadendo sul pianeta Terra. La descrizione fatta dai due guerrieri di quanto era avvenuto, non era paragonabile al vederlo coi propri occhi. Se non avesse saputo che quello era il pianeta azzurro, avrebbe stentato a riconoscerlo. Ovunque regnavano desolazione e distruzione, e l’aura opprimente e possente di Vickas faceva da padrona, anche se il suo proprietario stentava a mostrare il proprio viso.
“Figliolo…”.
L’espressione che aveva visto sul volto di Vegeta lo aveva completamente atterrito. Quel povero ragazzo stava soffrendo di un dolore indicibile, di un dolore talmente grande che nessuna parola sarebbe stata in grado di descriverlo. Fargli domande non sarebbe stato produttivo, e questo perché re Kaioh era certo che neppure Vegeta sarebbe stato capace di spiegare come e soprattutto perché si sentisse in quel modo. Sapeva solo che quel dolore non era frutto di un malessere fisico, ma che era un avvertimento. Un avvertimento che qualcosa non stava andando come sperato.
“Vegeta, ti prego, dicci che cos’hai!”.
Aveva cercato di prendere un respiro profondo, consentendo alla cassa toracica di espandersi e ai polmoni di riprendere la loro naturale funzione. L’aria bruciava nel suo petto come non mai. Il cuore batteva all’impazzata, ma anche esso, seppure con qualche difficoltà in più, era tornato a funzionare regolarmente, e anche il sudore che imperlava la sua ampia fronte aveva finalmente cessato di grondare.
“Io… Io non…”.
Ma non era stato in grado di terminare la frase che aveva tentato di formulare, perché un’improvvisa, fortissima esplosione li aveva colti di sorpresa, facendoli piombare in uno stato di momentanea catatonia.
“Mio Dio” – aveva sussurrato Goku, incredulo – “Da quella parte c’è…”.
“Bulma… Trunks…”.
“VEGETA! ASPETTA!”.
Era durato tutto meno di un secondo. Goku non aveva avuto il tempo di reagire con prontezza, o forse non aveva voluto farlo. Perché fermare Vegeta? Perché impedirgli di andare, se lui stava per fare la stessa, identica cosa?
“Re Kaioh, io devo seguirlo!”.
“Figliolo… Tu lo sai che potrebbe essere una trappola, non è vero?”.
“Lo so bene…” – aveva detto, continuando a osservare la sagoma di Vegeta che diventava un puntino man mano sempre più vicino al luogo dell’esplosione – “Ma non posso abbandonarli”.
Ciò detto, il giovane saiyan aveva sfoderato tutta la velocità di cui disponeva e aveva seguito il suo amico, sperando che non fosse troppo tardi. Perché, se così fosse stato, a quel punto niente avrebbe più potuto placare la sua furia.

 
*
 
Forse, non avrebbe dovuto trasformarsi. Forse, non avrebbe dovuto lasciare Goku dietro di sé e scappare via in quel modo. Forse, non avrebbe dovuto rivolgersi a re Kaioh con quel tono. Ma i forse, in quel momento, non sarebbero riusciti a scalfire la mente del re dei saiyan in nessun caso. Era solo uno il tarlo che continuava a tartassarlo, a tormentarlo, a costringerlo a sbrigarsi e a fare il percorso tutto d’un fiato, con il cuore in gola e il timore opprimente di quello che avrebbe trovato al suo arrivo.
“BULMA! TRUNKS!” – aveva urlato, planando proprio lì dove c’era stata l’esplosione e atterrando goffamente per la fretta di entrare in azione.
Ma le fiamme gli impedivano di vedere, così come il fumo, che aveva appestato l’aria rendendola irrespirabile e aveva arrossato i suoi occhi neri come la notte, come quella notte in cui temeva che potessero essere sprofondati i suoi cari.
“VEGETA, ASPETTAMI!” – Goku lo aveva seguito, ma il crepitio delle fiamme e il rumore metallico della struttura che si accartocciava su se stessa non avrebbe mai permesso al suo compagno di udire quel richiamo disperato.
Lo scenario che si era presentato davanti ai suoi occhi era stato desolante. Là dove sino a qualche ora prima si ergeva la casetta che avevano scovato in quel relitto di aeroplano, dove si ergeva il loro rifugio più fortunato che di fortuna, ora c’erano solo detriti e fiamme.
“Ma com’è stato possibile?”.
Erano mancati poco più di un’ora, avevano lasciato gli amici e le rispettive famiglie al sicuro, protetti dal dispositivo inventato dalla Capsule Corporation. Come poteva essere accaduto quel pandemonio? Come aveva fatto Vickas a trovarli?
“Chichi… I ragazzi…” – continuava guardarsi in giro con aria disperata. Dov’erano tutti? Perché non riusciva a percepire le aure di nessuno? – “No! Vegeta, ti prego, non farlo!”.
Il cuore gli era balzato in gola nell’istante in cui si era reso conto, dalla sua posizione privilegiata, che il suo compagno aveva cercato di attraversare un varco fra le fiamme, finendo inghiottito in esse. Ma cosa gli era passato in quella testa bacata? Come gli era venuto in mente di fare una cosa del genere?
“VEGETA!”.
Non sapeva come aiutarlo. Entrare lì dentro significava suicidarsi. Per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, Goku non sapeva veramente cosa fare. Era paralizzato, inerme, ed era tutta colpa di quell’orrendo mostro di Vickas.
Improvvisamente, c’era stato un altro scoppio forte almeno quanto il precedente, e le fiamme erano divampate di colpo, alzandosi come un muro impenetrabile dispensatore di morte e distruzione. Era impossibile scorgere Vegeta. Era impossibile persino percepire la sua aura, nonostante fosse a due passi da lui. Ma poteva essere… Poteva…
“No… Non sei morto, Vegeta… Tu non sei… Non sei…” – e stava per farlo. In barba a Vickas – tanto aveva scoperto dove si trovava il loro nascondiglio – in barba alla sicurezza, in barba a tutto quello in cui aveva tentato di credere per tenere tutti al sicuro. Vegeta era in pericolo e lui non avrebbe permesso che il suo compagno perdesse la vita per aver preso una decisione avventata.
Non aveva neanche dovuto concentrarsi, non aveva neanche dovuto pensare. Senza quasi sapere come ciò stesse avvenendo, l’energia aveva iniziato a convogliarsi nei palmi delle sue mani, mani che avevano assunto la sua posa più conosciuta.
“Ondaaa…” – stava per dirlo – “Eneeerrrr…” – stava per farlo – “Geeee… Tiiiii…C-!!!”.
Nello stesso istante in cui stava per pronunciare l’ultima sillaba e lanciare il suo micidiale attacco nel tentativo disperato di diradare le fiamme, Vegeta era uscito da esse come una fenice che sorge dalle proprie ceneri, reggendo con sé due dei superstiti di quella terribile sciagura.
Per un lunghissimo istante, Goku aveva smesso di respirare. Il suo amico, ancora trasformato in super-saiyan, aveva il capo chino in avanti, gli abiti ridotti quasi completamente in cenere, e reggeva con una mano, dalla cintola, il piccolo Goten, privo di sensi, mentre con l’altra teneva in braccio la piccola Marron, che aveva il visetto reso scuro dalla fuliggine, rigato dalle lacrime e presentava una brutta ustione sul braccino sinistro.
“Ve-Vegeta…”.
Non sapeva cosa fare. Le fiamme continuavano a crepitare sotto di loro, la bambina piangeva e lui non si muoveva. Vegeta non si muoveva da lì.
“Vegeta…” – aveva provato di nuovo, stavolta con maggiore fermezza.
Ma il re dei saiyan non aveva proferito parola. Tremando, aveva sollevato con difficoltà il piccolo Goten, cercando di far capire a suo padre che doveva andare in suo soccorso. Solo allora, Goku si era precipitato, prendendo suo figlio e la piccola Marron tra le braccia, questo un istante prima di scorgere per un istante il volto di un Vegeta che, dopo aver perso i sensi, stava precipitando nuovamente tra quelle fiamme che tanto desideravano inghiottirlo.
“No! NOOOOO!”.
Non era stato necessario produrre nessuna onda energetica affinché il fuoco si spegnesse. L’aura di Goku era esplosa improvvisamente in una furia disarmante ed era stata in grado di placare quei ruggiti, tutto questo esattamente un attimo prima che Vegeta finisse per essere divorato da quel vortice infernale.
Lo aveva visto cadere rovinosamente al suolo, fra le macerie. Aveva sentito il tonfo provocato da quella caduta e aveva stretto più forte a sé i bambini, prima di scendere in suo aiuto.
Marron si era aggrappata a lui con tutte le sue forze, nonostante fosse spaventata a morte, nonostante fosse stremata. Continuava a piangere, ma senza urlare, e sembrava che non avrebbe mai più lasciato andare il giovane Son.
“Marron… Devi stare qui” – aveva provato lui dopo aver adagiato Goten sul terreno intonso – “Devi stare con Goten”.
“No!” – aveva esclamato lei, avvinghiandosi a lui con tutta la forza di cui poteva disporre uno scricciolino della sua età.
“Ti prego, piccolina… Ti prego… Non posso lasciarlo lì”.
Si dice che i bambini, spesso, siano in grado di capire molte più cose rispetto agli adulti e, in quell’occasione, quella diceria era diventata pura verità. Sebbene fosse terrorizzata, la piccola Marron si era resa conto che lo zio Goku fosse molto più spaventato di lei e che Vegeta, quell’uomo tanto burbero di cui avevano tutti tanto timore, stava tanto male, e stava così male perché aveva fatto di tutto per salvarla.
“Sto qui-qui con Goten, va bene?”.
“Sì, va bene. Grazie di cuore…”.
Le aveva accarezzato la guancia, pulendo via parte dello sporco che vi sia era depositato, aveva sorriso e aveva cercato di mostrarsi forte, desiderando con tutto se stesso di non dover essere ambasciatore di morte presso la sua migliore amica e suo figlio.
Era arrivato nel punto in cui era piombato Vegeta con un balzo, librandosi nuovamente in volo un attimo dopo per essere stato colto alla sprovvista dal calore ustionante che produceva ciò che era rimasto della pavimentazione della loro casa.
“Urka!” – aveva esclamato, sentendosi un perfetto idiota. Se lui si era ustionato i piedi per essersi appena appoggiato, allora Vegeta…
Era stato preso dal panico e aveva fatto l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare in quel momento: sollevare il corpo senza sensi del suo amico senza nessuna precauzione, strattonandolo per la fretta di sottrarlo a quell’infernale tormento.
Vegeta si era rianimato di colpo, cominciando a tremare poco dopo. I suoi occhi erano spalancati, così come la sua bocca, contratta nell’atto di tirare fuori un urlo che non sarebbe mai uscito da quelle labbra sanguinanti.
“Aah-ah…” – era stato più un singhiozzo che un lamento. Aveva abbandonato il capo sul petto del suo eterno rivale, stringendo con tutta la forza che gli restava in corpo i lembi della maglia che indossava.
“Mi dispiace! Mi dispiace da morire!”.
Non si era reso conto immediatamente di quello che era successo. Gli era occorso un attimo per realizzare, per rendersi conto che la pelle sulla schiena del suo amico non esisteva più, che si era ridotta a un ammasso di carne e vestiti bruciati, in parte rimasti per giunta là dove un istante prima era sdraiato, su quel suolo maledetto dove fino a un istante prima dello scoppio i bambini stavano giocando.
“Oh mio Dio…” – aveva sussurrato, cercando di non farsi prendere dal panico. Non sapeva come aiutarlo. Non ne aveva i mezzi. Erano ferite gravi e loro non avevano senzu, non avevano Dende, non avevano niente per consentirgli di guarire da ustioni così estese.
“T-Trunks…” – aveva bisbigliato lui, cercando di reprimere il dolore – “Lui… Non è…”.
“Cosa? Lui non è cosa? Non è qui? È questo che vuoi dire? Non ti devi sforzare, hai capito? Se non è qui, allora vuol dire che è al sicuro… Ok? Non ti sforzare Vegeta, ti prego”.
Ma lui continuava a chiamare suo figlio. Lui continuava a pronunciare il suo nome e tentava disperatamente di rimettersi in piedi, nella speranza di riuscire a reggersi e poter andare a cercarlo.
“GOTEEEN!! GOTEEEEN!” – avevano udito d’un tratto.
“Chichi” – era lei. Non c’erano dubbi, quella era la voce di sua moglie – “CHICHI!” – aveva urlato a sua volta, sperando che lei lo sentisse.
“Goku? GOKU!”.
Era apparsa da ciò che rimaneva di quello che un tempo era stato un florido boschetto. Aveva gli abiti strappati, era ferita e tossiva a intervalli regolari, ma sembrava che tutto sommato non stesse poi così male. Era stato un autentico sollievo rivederla. Almeno, due membri della sua famiglia stavano bene.
“Tesoro…” – l’aveva chiamata lui, cercando di mostrarsi tranquillo – “Siamo qui”.
La mora era corsa dal marito, di spalle rispetto a lei, con il cuore in gola, perché il ciuffo di capelli neri che aveva visto spuntare oltre la sua spalla le era parso per un breve istante appartenente a suo figlio.
“Oh no!” – aveva esclamato, terrorizzata all’idea che al suo piccolo fosse capitato qualcosa di terribile. Ma, dopo quell’attimo di puro panico, si era resa conto della presenza di Marron, e che la piccola continuava ad accarezzare la testolina di Goten, svenuto, ma apparentemente senza neanche un graffio. A quel punto, Chichi aveva tirato un respiro di sollievo. Ma se quello era Goten, chi si trovava tra le braccia di Goku?
Aveva portato entrambe le mani alla bocca quando si era resa conto di chi fosse. Aveva portato le mani alla bocca e aveva soffocato un urlo, anche se non era riuscita a placare i battiti accelerati del suo cuore e a impedire ai suoi occhi di riempirsi di lacrime.
“Ma cosa… Goku… Che cosa gli è successo?”.
“Mamma… Papà…” – Goten si era svegliato di colpo, impedendo al padre di rispondere alla domanda di Chichi. Il piccolo Son era ancora un po’ intontito per il troppo fumo inalato, ma pian piano aveva recuperato lucidità, rendendosi conto immediatamente di quanto fosse accaduto.
“Vegeta” – era corso verso di lui e, senza neanche rendersene conto, gli aveva preso la mano, cominciando ad accarezzargli il dorso con il pollice – “Vegeta…” – non voleva piangere. Non doveva piangere. Glielo doveva. Per rispetto, doveva trattenere le lacrime. Ma come poteva farlo dopo aver visto quello che aveva fatto per lui e per Marron, dopo aver visto come il suo gesto lo aveva ridotto?
“Io non capisco… Chichi, Goten, che cosa è successo?” – cercava spiegazioni. Ne aveva bisogno. Per se stesso e per Vegeta.
“Eravamo sul pavimento della cucina… Stavamo giocando, io e Marron, come ci avevi detto di fare mamma dopo che Bulma e gli altri sono usciti di corsa da casa…”.
“Sì, tesoro… Lo so… Io ero lì, ero sulla soglia… Mi ero affacciata appena perché non li vedevo tornare e poi… E poi…”.
“Poi c’è stato il boato” – aveva aggiunto Marron – “E tutto è venuto giù. Le fiamme sono comparse all’improvviso e Goten mi ha protetta… Ma poi il fumo era troppo e ci ha fatto stare male… La tosse era forte… Mi girava la testa… E Goten è caduto e la sua gamba si è incastrata. Io ho cercato di svegliarlo ma mi sono appoggiata a un tubo e mi sono bruciata. Pensavo di morire. La mamma non c’era. Neanche papà. E poi… E poi è arrivato lui… E ci ha salvati… Lui ci ha salvati. Sentivo la sua voce da lontano, come in un sogno. Ci chiamava, e ci ha salvati. Papà mi dice sempre che io sono una principessa… E un principe è venuto a salvarmi” – prendendo esempio dal suo amico, anche lei si era avvicinata a Vegeta, posandogli timidamente la manina su una guancia.
“Non è un principe” – era intervenuto Goten, con la voce carica di emozione – “Lui è un re… È il mio re. E si è sacrificato per salvarmi”.
Chichi non aveva proferito parola. Lo stesso aveva fatto Goku.
“Non farlo morire, zio Goku. Lui non è cattivo come tutti dicono. Quella è una bugia. Promettimi che lo aiuterai. Promettimelo”.
Si era guardato con Chichi per un momento fugace, incapace di trovare una risposta adatta alle circostanze. Come avrebbe potuto promettere a suo figlio e a quella piccola anima di salvare colui che era diventato a tutti gli effetti il loro eroe?
“Ti prego… Tu sei forte… Guarisci… Ti prego…”.
Vegeta tremava, ma era ancora cosciente per quel poco che gli concedeva di continuare a chiedere del figlio.
Non poteva sapere che, a qualche centinaio di metri da dove lui giaceva agonizzante tra le braccia del suo più acerrimo rivale, suo figlio si trovava tra le braccia di un altro suo rivale, un rivale su un campo di battaglia ben diverso da quello cui si trovava solitamente. Così come non poteva sapere che, suo malgrado, quella battaglia così antica, la battaglia dei sentimenti, sarebbe stata per lui la sconfitta più grave che avrebbe potuto mai subire in vita sua.

Continua…
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Una sola parola *ANGST*.
Mi credete? Ho passato quasi tutto il tempo a leggere ogni battuta che scrivevo con tanto di intonazione specifica per l’occasione e di lacrime agli occhi, soprattutto per quanto riguardava le parti del nostro EROE.
Povero Vegeta. Povero, povero Vegeta.
Il parallelo con il capitolo precedente e con quanto era capitato a Bulma mi sembrava d’obbligo. Che dite? Cosa pensate? Sono ansiosa di leggere i vostri commenti.
Mi scuso ancora per il ritardo e vi avviso sin da ora che il prossimo capitolo potrebbe arrivare dopo qualche giorno rispetto al solito appuntamento del lunedì (ho due esami consequenzialmente la prossima settimana).
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 31
*** Accuse ***


CAPITOLO 31

Accuse

 
“Papà, devi fare qualcosa. Dobbiamo aiutarlo”.
Goten era determinato a salvare il suo re, esattamente come la piccola Marron. I due adulti leggevano paura negli occhi di quei meravigliosi bambini, ma essa era in parte oscurata dal desiderio di aiutare chi li aveva salvati da una morte atroce.
“Tesoro…” – Chichi non sapeva come proseguire. Continuava a spostare lo sguardo da suo figlio a Vegeta, da Vegeta a Marron e da Marron a Goku, ricominciando a fare questa specie di giochino ogni volta che giungeva a puntare gli occhi sull’ultimo della lista.
I lamenti di Vegeta erano diventati impercettibili. Respirava a fatica, tossendo un misto tra sangue e fuliggine. Il suo corpo straziato emanava un forte odore di carne ustionata, e gli spasmi che aveva in maniera irregolare lo facevano sembrare una specie di enorme giocattolo rotto.
Stava soffrendo. Stava soffrendo come tanti, tantissimi anni fa, per colpa di quel virus che aveva colpito il suo giovane cuore, aveva sofferto Goku. Ma, in quell’occasione, c’erano state le medicine ad aiutare suo marito a superare quel momento difficile. Adesso, non avevano niente che potesse andare in loro soccorso. Non avevano bende, non avevano morfina, non avevano neanche acqua pulita per provare a lavare le ferite, probabilmente. La casa-capsula che avevano trovato era saltata per aria, e con essa, l’illusione di essere almeno in parte al sicuro. No, non avevano medicine e non avevano modo di avvalersi di interventi sovrannaturali. Che cosa sarebbe stato dell’uomo che aveva salvato suo figlio da morte certa, arrivati a quel punto?
“Ci serve dell’acqua” – aveva dichiarato improvvisamente, in un primo momento quasi in trance, poi, riconquistando il vigore e la fermezza che erano soliti contraddistinguerla.
“Acqua?”.
“Sì, acqua, Goku. Acqua e garze, in verità. Dobbiamo evitare che l’ustione peggiori”.
Chichi non era una sciocca o un’incosciente. Non una di quelle che predica bene e razzola male. Chichi non imponeva ai propri figli di studiare per poi rimanere immersa nel buio dell’ignoranza. No. Chichi leggeva, quando non era costretta a svolgere le sue mille faccende domestiche, leggeva e si documentava sugli argomenti più disparati, e uno di quelli che l’aveva incuriosita maggiormente era come effettuare dei piccoli interventi di pronto soccorso.
Dovevano spogliarlo. Gli abiti infetti dovevano essere rimossi, ma dovevano far attenzione a non strappare i brandelli di stoffa ancora a contatto con la zona ustionata. Dovevano spogliarlo e immergerlo in acqua fredda, ma non ghiacciata, perché far scendere troppo repentinamente la temperatura corporea avrebbe solo peggiorato le cose. L’ideale, sarebbe stato usare garze apposite imbevute in acqua e posizionarle poi sull’ustione, ma non ne erano in possesso e, in ogni caso, quella di Vegeta non era una scottatura che si era procurata una massaia distratta in cucina. Quella di Vegeta era un’ustione gravissima, un’ustione che richiedeva l’intervento immediato di un medico. Ma non c’erano medici lì con loro, e non ce n’erano nei paraggi. Erano soli, soli e disperati, ma non così tanto da decidere di arrendersi.
“Ci deve essere un ruscello qui attorno. O che so, un fiumiciattolo, un torrente, qualsiasi cosa, Goku. Dobbiamo trovarlo e dobbiamo fare presto”.
“Vado a controllare”.
“No Goten. Potrebbe essere pericoloso. Vickas potrebbe essere ancora in giro e potrebbe tendere un altro agguato”.
“Lo so, papà. Ma con questa mossa, è uscito allo scoperto. Non mi farò cogliere impreparato”.
“Ma…”.
“Mi hai addestrato per battermi contro Majin-Bu, papà. Contro una creatura magica giunta al massimo della sua potenza. Vickas è pericoloso, lo so. Ha dimostrato di essere furbo e subdolo, ma non è al massimo delle sue forze, o non giocherebbe a nascondino. Sono stanco di scappare, e Vegeta ha bisogno di aiuto”.
La determinazione della voce del figlio aveva convinto i genitori a lasciarlo andare. Erano due incoscienti? Può darsi. Ma Goten non era un bambino come tutti gli altri. Goten aveva nelle vene sangue saiyan, e loro non potevano che andarne fieri.
“Stai attento” – si era limitata a dirgli sua madre, dandogli così la sua benedizione. E sì, Goten sarebbe stato attento, perché era stanco di quella situazione, era stanco di fuggire, era stanco di avere paura. Vegeta non poteva morire per mano di Vickas. Nessuno di loro sarebbe morto per mano di Vickas. Lo avrebbe impedito a ogni costo.

 
*
 
Al loro ritorno, non avevano trovato altro se non macerie al posto di quella che era stata la loro momentanea abitazione. Qui e là, vi erano ancora tracce di qualche piccolo focolaio di incendio, ma per il resto, quell’area era diventata dominio di cenere, fumo e distruzione.
“Mio Dio” – aveva commentato Videl, portando entrambe le mani alla bocca – “Papà! PAPA’!”.
Non riusciva a credere che potesse essere capitato sul serio. Non poteva credere che suo padre potesse essere… Che lui… Non voleva neanche pensarci. Per questo non aveva esitato, correndo in direzione delle macerie, scavando a mani nude tra la cenere e i residui di quello che pensavano potesse essere il loro rifugio sicuro.
“Videl, aspetta” – ma Gohan non era riuscito a fermarla. La sua fidanzata sembrava essere impazzita dalla paura di aver perso l’unico genitore che le era rimasto.
Ma, se avesse continuato in quel modo, se avesse continuato a cercare alla cieca tra i resti della casa ancora bollenti, avrebbe solo rischiato di fare del male a se stessa.
Mr Satan non era lì, ne era certo. Non percepiva la sua aura, era vero, ma quell’uomo aveva più vite di un gatto. Non poteva essere morto in quell’incendio. Così come non erano morti sua madre e suo fratello. Non potevano essere morti e basta.
“Mamma! Papà! Siamo qui!”.
Erano arrivati sul luogo dell’esplosione tutti, uno per volta: Videl, Gohan, Crilin, C18, Yamcha, Trunks e Bulma, che non aveva osato allontanarsi da suo figlio e non sembrava essersi neanche resa conto per davvero di quello che si era palesato davanti ai suoi occhi.
“Marron!” – C18 non aveva perso tempo, correndo in direzione della voce della sua bambina.
Lo stesso avevano fatto tutti gli altri un attimo dopo, tranne Gohan, che ancora tentava di calmare una Videl che cercava disperatamente di ritrovare suo padre.
“Marron, tesoro, stai bene?” – la cyborg aveva abbracciato a bambina con forza, riempiendola di baci – “Oh, tesoro. Il tuo braccio…”.
“Non è niente mamma. Io sto bene. Ho avuto tanta paura, ma lui mi ha salvata”.
“Lui?”.
Sì, lui. E le era bastato sollevare lo sguardo per capire di chi stesse parlando sua figlia.
“Mio Dio…”.
E quella era stata l’esclamazione di tutti nel vedere la scena che si era loro palesata.
“Che cosa gli è successo?”.
Crilin non riusciva a crederci. Non sapeva se ridere o piangere. Vegeta era tra le braccia di Goku, tremava di dolore, era sporco di sangue, fuliggine e la sua schiena… La sua schiena era devastata, un ammasso informe di carne, sangue e brandelli di vestiti. Chichi gli accarezzava i capelli con delicatezza, senza essere invadente, e nel frattempo gli teneva stretta la mano destra, cercando di infondergli conforto. Ma la cosa che lo aveva atterrito più di ogni altra, era stata la sua espressione: Vegeta aveva gli occhi appena appena schiusi e fissava il vuoto, inerme, sconvolto dal dolore, ma stravolto ancora di più da qualcosa che non era riuscito a capire.
“Ha salvato me e Goten, papà… Ora dobbiamo aiutarlo noi”.
Ed era stato a quel punto che Goten era piombato dall’altro, all’improvviso, avvertendo i suoi di aver trovato un ruscello non distante da lì.
“Dobbiamo portarcelo subito. Dobbiamo curarlo papà. Adesso”.
Era tutto confuso, distorto, insensato. Sembrava che niente potesse volgersi a loro favore per nessuna ragione al mondo. Prima erano stati rapiti, imprigionati, costretti a nutrire le donne col proprio sangue, costretti a vedere il loro mondo andare in pezzi e a nascondersi come topi in quello che credevano fosse il loro unico posto più o meno sicuro. Invece, prima avevano dovuto assistere a quello che era successo a Trunks, e ora questo. Per di più, non c’erano tracce di mr. Satan e del maestro Muten. Cos’altro poteva andare storto?
“Papà, vuoi sbrigarti o no?”.
“Sì, Goku, dobbiamo sbrigarci se vogliamo aiutarlo…”.
“T-Trunks…” – aveva sussurrato Vegeta ancora una volta, ritornando lucido per un breve istante – “Trunks”.
A quel punto, Yamcha era comparso con il giovane saiyan dai capelli lilla tra le braccia, seguito da sua madre.
Padre e figlio condividevano la stessa sorte ma, anche in quell’occasione, Vegeta aveva dimostrato di possedere una forza d’animo fuori dal comune, una forza che esulava da ogni genere di comprensione umana o qualsivoglia divina.
“Trunks” – lo aveva detto con chiarezza, quella volta, e lo aveva detto non appena i suoi occhi avevano visto quanto si palesava davanti a lui e a cui rifiutava di credere.
“Lasciami” – aveva imposto a Goku di metterlo a terra, e nonostante il dolore, nonostante le fitte che provava a ogni passo, nonostante fosse sul punto di svenire, non si era arreso. Pur non approvando quella decisione, il Son aveva obbedito, consentendo a un padre di raggiungere il figlio per cui sarebbe morto.
Ma, proprio quando Vegeta stava per accarezzarlo, proprio nell’istante in cui stava per posare la mano sui suoi capelli lilla, qualcosa si era messo fra loro, o meglio, qualcuno. E, da quel momento, niente sarebbe stato più come prima.
Lo schiaffo era arrivato senza che se ne accorgesse, e gli aveva fatto perdere l’equilibrio, facendolo stramazzare al suolo. Per sua fortuna, era caduto di fianco, ma ciò non aveva attutito più del necessario la scossa di dolore profondo che aveva attraversato il suo corpo. Per un breve istante, tutto attorno a sé era diventato bianco. Poi, un conato di vomito misto a sangue lo aveva scosso, costringendolo a sopportare l’apprensione di quello che solitamente avrebbe definito quel deficiente di Kaharot.
“Ma che cosa fai?” – Chichi non era riuscita a trattenersi. Bulma era forse impazzita?
“Non osare mai più avvicinarti a mio figlio” – aveva sibilato – “Mai più”.
E, così dicendo, aveva strappato Trunks dalle braccia di Yamcha, stringendolo al petto e voltando le spalle all’unico uomo che l’amava per quello che era, voltando le spalle ad un uomo a cui non erano rimaste neanche più lacrime da versare.

Continua…
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Ragazze, ciao a tutte!
Eccomi qui, come promesso. Vi dico sin da ora che l’esame di lunedì è andato bene e che ne ho registrato un altro ieri fatto a maggio. Ora si pensa a quello della prossima settimana! Ma torniamo a noi.
L’Angst continua a regnare indisturbato.
Povero amore mio… Povero, povero amore mio. Bulma, seriamente, inizio a odiarti. Svegliati Trunks! Svegliati, e fai ragionare tua madre!
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 32
*** E' lui ***


CAPITOLO 32

È lui

 
“Non devi più avvicinarti a mio figlio”.
Vegeta non riusciva a crederci. Bulma, la donna che amava, aveva davvero avuto il coraggio di parlare di Trunks come qualcosa di suo e lo aveva schiaffeggiato. Aveva avuto il coraggio di impedirgli di avvicinarsi a lui e lo aveva allontanato usando la forza, lasciando che fosse un altro a cullarlo e a proteggerlo al posto suo.
Per un attimo, gli era mancato il fiato. L’impatto violento contro il terreno gli aveva impedito di rimanere a contatto con la realtà, ma si era fatto forza, più per quel bambino che per se stesso, e non aveva ceduto. Ma non era stato il dolore delle ustioni o quello della caduta a farlo sentire così male, no. A farlo stare così male, erano stati lo sguardo e le parole della donna che aveva giurato di amarlo finché morte non li avesse separati.
“TU SEI COMPLETAMENTE IMPAZZITA!”.
Chichi non aveva resistito, urlando in faccia alla sua amica quello che pensava e provava in quel frangente. Era vero, Vegeta non suscitava in lei simpatia o affinità di alcun tipo, ma non poteva sopportare di vederlo trattare in quel modo. Non dopo quello che aveva fatto per Marron. Non dopo quello che aveva fatto per Goten.
Per questa ragione aveva messo momentaneamente da parte i vecchi rancori, inveendo contro la turchina e inginocchiandosi davanti al re dei saiyan nel goffo tentativo di aiutarlo a mettersi in piedi.
Ma Vegeta non l’aveva neanche guardata. I suoi occhi, quegli occhi neri come la notte, quegli occhi arrossati dal fumo e in parte dallo sforzo di trattenere quella sorta di dolore liquido non riuscivano a staccarsi da quelli di chi lo guardava con odio e con profondo rancore.
“È colpa tua. È solo colpa tua!” – aveva rincarato la dose, con fare sempre più accusatorio – “Io ti ho visto. Ti ho visto accanto a lui mentre sanguinava, inerme! Che cosa gli hai fatto, razza di farabutto? DIMMI CHE COSA GLI HAI FATTO?”.
Ma Vegeta non rispondeva, Vegeta non si muoveva, Vegeta non faceva niente.
“Bulma” – era intervenuto Goku, incredulo come il resto dei presenti davanti a quell’atteggiamento che aveva dell’isterico e dell’infantile insieme. Conosceva quella donna praticamente da tutta la vita, e non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto perdere il controllo in quel modo. Se c’era una cosa che tutti apprezzavano di Bulma, era proprio la sua estrema razionalità. Certo, a volte faceva delle sfuriate assurde, ma questo la aiutava a sfogarsi e a tornare a essere la se stessa di sempre, la donna geniale che aveva una soluzione per tutto.
Quella che avevano davanti, non sembrava neanche più lei. Era come se fosse indemoniata, posseduta da qualche spirito malvagio che le impediva di pensare lucidamente e di agire di conseguenza. E Vegeta… Vegeta era ridotto in uno stato pietoso. Mai avrebbe pensato di assistere a una simile scena, eppure si stava verificando, nonostante i mille pericoli che stavano correndo.
“Non tentare di giustificarlo, Goku!”.
“Non si tratta di giustificare nessuno!” – aveva incalzato, serio – “Ma lui era con me. Vegeta è stato con me per tutto il tempo. Ha salvato Marron e Goten da una morte orrenda. E soprattutto, come puoi pensare che possa fare del male a Trunks o a te? Persino durante il torneo, quando ha preso la pessima decisione di farsi controllare da quel pazzo di Babidi, ha pensato a voi ed è tornato sui suoi passi. Cosa può farti credere che voglia la morte di Trunks o la tua? Perché è questo quello a cui stai pensando, te lo leggo negli occhi, Bulma. E non sai quanto questo mi spaventi”.
Ed era vero. Goku non era solito esternare i propri timori o sentimenti. Non era nella sua natura di sempliciotto perennemente ottimista, ma negare le sue reali sensazioni sarebbe stato l’ennesimo errore. Non potevano permettersi di mettersi l’uno contro l’altro, di scannarsi a vicenda. Dovevano mantenere la calma, per quanto questo fosse difficile, e capire che, molto probabilmente, quello che gli era capitato era tutto frutto del piano malefico ordito da quel gran verme schifoso che rispondeva al nome di Vickas.
“Vegeta è stato con me tutto il tempo e non vi farebbe mai del male. Ripeto, non so cosa tu abbia visto, ma sono certo che sia opera di Vickas”.
Sembrava che il tempo si fosse fermato. Bulma e Vegeta continuavano a fissarsi, immobili, e i presenti non osavano neppure fiatare.
Yamcha si sentiva profondamente a disagio, in quella circostanza. Anzi, si sentiva praticamente un verme schifoso.
Aveva fra le braccia il figlio di una coppia in crisi, un bambino ferito, usato da un bastardo come pomo della discordia, ma non riusciva a non godere segretamente della considerazione che la donna che aveva sempre desiderato aveva nei suoi confronti. Era un mostro? Probabile. Un essere schifoso? Sicuramente. Ma non aveva mai voluto nessuno all’infuori di Bulma e non aveva mai accettato che avesse deciso di prendere per marito uno che aveva decretato la sua morte nel periodo in cui lei era la sua fidanzata. Certo, lui non era stato uno stinco di santo, ma subire quella umiliazione era stata troppo anche per uno come lui. Avrebbe dovuto provare pietà per Vegeta? Forse, ma non ci riusciva. Perché forse, finalmente, le cose stavano tornando come avrebbero dovuto essere sin dall’inizio, e quell’abominio di saiyan sarebbe tornato letteralmente con la coda tra le gambe sul pianetucolo da cui era venuto. Forse, Bulma sarebbe stata di nuovo la sua donna. E forse, lui non sarebbe stato mai più solo.
Ed era proprio mentre il suo cervello stava formulando quei pensieri malati che il piccolo Trunks si era mosso, destandosi poco dopo dal suo sonno.
“Papà…” – aveva sussurrato, sollevando lentamente le palpebre.
“Oh, tesoro!” – Bulma era accorsa, strappandolo tra le braccia di Yamcha e stringendolo al petto – “Non sai che paura! Che cosa ti è successo? Che cosa ti hanno fatto?”.
“Mamma… Mi fai male… Non stringermi così forte…” – aveva detto, e si era lasciato abbracciare e coccolare dalla donna che lo aveva messo al mondo, un po’ perché adorava essere accudito, un po’ perché era ancora intontito. Ma il suo atteggiamento era mutato nello stesso istante in cui aveva avuto modo di capire chi fosse l’uomo accanto a Chichi che non riusciva a smettere di guardarlo.
“Oh Dio… Papà!” – aveva preteso che la madre lo lasciasse andare. A nulla erano valsi i tentativi di Bulma di tenerlo stretto a sé, di impedirgli di lasciare le sue braccia. Voleva raggiungere suo padre, doveva raggiungere suo padre, e poco importava se il suo braccio sanguinava, poco importava se si sentiva debole. Suo padre, il re dei saiyan, era… Era… Non sapeva cos’era o cosa gli fosse capitato, ma aveva bisogno di lui.
Gli si era inginocchiato accanto, incapace di capire cosa avrebbe dovuto fare per aiutarlo. Erano ustioni quelle che lo avevano deturpato e che sicuramente lo stavano facendo soffrire come mai prima aveva sofferto.
Ma perché era a terra? Perché c’era al suo fianco Chichi invece di sua madre? Che cosa stava succedendo?
“Trunks…”.
“Mamma, dobbiamo aiutarlo. Dobbiamo aiutare papà, adesso. FATE QUALCOSA!”.
Sembrava che fosse piombato improvvisamente in uno stato di isteria impossibile da tenere a bada. E come dargli torto? Vegeta non stava bene. Non stava bene e loro non stavano facendo niente.
“Mamma, ma si può sapere cosa stai combinando? DOBBIAMO MUOVERCI!”.
“Hai ragione Trunks. Hai ragione” – e Goku era intervenuto, rispondendo alle suppliche di quel bambino desideroso di aiutare suo padre – “Coraggio Vegeta. Devi farti coraggio” – e lo aveva aiutato ad alzarsi, cercando di fare attenzione a non causargli più dolore del necessario.
I lamenti sommessi di Vegeta erano stati la prova che aveva fallito.
“Dove lo portate?” – aveva chiesto Trunks, deciso a seguirli anche in capo al mondo.
“Dobbiamo bagnare le ferite, tesoro… Goten sa dove possiamo trovare acqua pulita e aiutarlo. Ma tu devi restare qui” – Chichi aveva cercato di essere delicata, di non farlo agitare, ma era difficile. Il braccino continuava a sanguinare e un pallore spettrale si stava propagando sul suo visetto e sulle sue labbra. Senza adeguati accorgimenti, temeva che Trunks corresse realmente il rischio di non farcela.
“Non posso lasciarlo!” – aveva esclamato lui, deciso nei suoi propositi – “Papà ha bisogno di me. Lo so papà… Lo so che non eri tu, prima. Devi resistere. Va bene?”.
Vegeta non aveva emesso alcun suono, nonostante il tremore avesse continuato a propagarsi per quel suo corpo così malridotto.
Padre e figlio condividevano lo stesso destino, la stessa sorte, e sembrava che niente potesse fare in modo che le cose venissero chiarite.
Eppure, tra qualche istante, i nostri amici avrebbero imparato che anche nei momenti più bui e disperati, poteva accadere che la fortuna cominciasse a girare.

 
*

Erano sbucati dal nulla, quasi come accadeva durante un’apparizione celeste o durante un incontro ravvicinato del terzo tipo. Erano sbucati dal nulla e avevano fatto un gran chiasso, attirando l’attenzione di tutti, specialmente di chi aveva pianto disperatamente per la loro assenza.
Ma non era per quello che le facce di chi li osservava avevano assunto un’espressione di sorpresa. Non era perché Mr Satan e il maestro Muten erano magicamente riapparsi, ma perché avevano portato qualcuno insieme a loro, qualcuno che aveva il volto tumefatto e che era stato legato alla buona. E perché questo qualcuno aveva lo stesso identico aspetto di Vegeta.
“Papà?” – Videl non riusciva a trattenere le lacrime. Suo padre era vivo e stava bene! Ma perché non aveva percepito la sua presenza, e perché si trovava con quel vecchiaccio pervertito? E soprattutto, chi era quel tipo che avevano legato?
“Videl, tesoro! Hai visto, ce l’abbiamo fatta!”.
“Modestamente, sappiamo quello che facciamo, no?” – aveva rincarato il vecchietto delle tartarughe.
Erano entrambi un po’ bruciacchiati e sudati, ma sembravano in ottima forma. Lo stesso non si poteva dire del loro ostaggio – perché non si poteva definire quel tipo in nessun altro modo. Che cosa avevano combinato?
“Ma-maestro? Ma cosa…”.
Era sconvolgente quello che si stava palesando davanti ai loro occhi. Non aveva senso. Se quello che era tra le braccia di Goku era Vegeta, chi era quello trattenuto da quei paladini della giustizia un po’ improvvisati?
Il re dei saiyan era stato il primo a trasalire nel vedere la propria immagine riflessa sul viso di quell’impostore. Doveva trattarsi di qualche trucco di Vickas, ne era certo. E forse, arrivati a quel punto, persino Bulma sarebbe tornata sui suoi passi.
“È lui!” – aveva esclamato Trunks – “È quello che ha cercato di ingannarmi!”.
“Abbiamo sentito qualcuno avvicinarsi, qualcuno che correva” – aveva detto Muten – “Eravamo qui fuori, io e Satan, e abbiamo visto qualcuno correre. E questo qualcuno era Vegeta! Ma perché avrebbe dovuto farlo, se era con Goku? E perché non usare la tecnica del volo invece che darsela a gambe levate come un coniglio? E poi, qualcosa non quadrava. Il suo Ki non era quello di Vegeta, e abbiamo deciso di seguirlo. E abbiamo scoperto qualcosa di molto interessante. Su, amico! Perché non dici chi sei veramente e non racconti a tutti quello che hai combinato?”.
“Ce lo dirà” – aveva detto Chichi, decisa – “Ma questo solo dopo aver curato le ustioni di Vegeta”.

 
*
 
Lo avevano portato al ruscello. Lo avevano spogliato e lo avevano immerso in acqua, pancia in giù, facendo in modo che la testa rimanesse fuori dall’acqua e che nessuna parte ustionata entrasse in contatto con le pietre presenti sul fondale. Non si trattava di acque profonde, ma erano limpide, cristalline, e soprattutto, erano fredde. Il povero saiyan aveva cominciato a tremare con maggiore veemenza, lasciandosi sfuggire rantoli di puro dolore. Chichi aveva tentato di staccare i lembi di vestiti dalla carne, ma il malcapitato non aveva retto, svenendo e rinvenendo in più riprese, fin quando lei non aveva deciso di lasciar perdere. Non potevano fare altro per lui, se non sperare in un miracolo, nonostante sapessero che non sarebbe mai arrivato.
“Allora, vuoi dirci chi sei o no?” – aveva incalzato Muten, tenendo quella specie di clone di Vegeta inchiodato al suolo.
La scena aveva qualcosa di surreale: Bulma era vicino a Yamcha ma non troppo distante da un Trunks che si era fatto fasciare il braccio ma si era rifiutato di lasciare suo padre, assistito costantemente da Chichi e da Goku. Goten e Marron non si erano lasciati neanche per un istante, ma C18 non aveva intenzione di perdere di vista sua figlia. Crilin, Videl e Gohan, non riuscivano a capacitarsi dell’atto eroico messo in pratica da Mr Satan e dal maestro Muten, che trionfanti, continuavano a esercitare coercizione su quell’individuo che sembrava la copia esatta di Vegeta.
“Ti decidi a parlare o vuoi nuovamente assaggiare la furia dei miei pugni?” – era stata la minaccia di Satan.
Ma lui non parlava. Sembrava terrorizzato e rassegnato allo stesso tempo, e per questo si era rifugiato in quell’ostinato silenzio.
“VUOI DIRE QUALCOSA O NO?”.
Non era quello il modo. Non era quello il modo e Goku lo sapeva perfettamente. Anzi, lo sapevano tutti. Ma era stato l’intervento di Crilin a spiazzare tutti.
“Tu sei lo scagnozzo di Vickas. Tu sei quello che ha venduto il ciondolo a Bulma e che ha causato tutto questo trambusto. Tu sei quello che ci ha venduti e sei quello che ha causato dolore a tutti, cercando di uccidere la mia bambina e il figlioletto di Goku”.
“Ne sei convinto?” – gli aveva chiesto Gohan.
“Mai stato più sicuro di qualcosa in vita mia”.
E, a quel punto, un sorriso era comparso su quel viso che aveva smesso di somigliare tanto a quello di Vegeta, fino a prendere le sembianze di chi aveva causato l’inizio di quella spiacevole vicenda.
“A quanto pare, alla fine mi avete scoperto” – era stato il suo commento sarcastico – “Ma vi avverto. Uccidere me non risolverà i vostri guai. Nonostante io sia desideroso di morire più di ogni altra creatura al mondo”.
“E perché dovresti voler morire?” – gli aveva chiesto Goku.
“Perché io sono stato l’inizio di tutto questo”.
“Sì, questo lo abbiamo capito”.
“No, Goku, Tu non hai capito. La verità è che io… Io sono Vickas”.

Continua…
__________________________________________________________________________________________________________
*TA-DAM*
Piaciuto il colpo di scena? E la citazione dal primo film su Iron Man? XD
Mi aspetto pomodori e insulti. XD
Non aggiungo altro! Devo volare a studiare perché non ho potuto fare l’esame questa settimana e devo prepararne due insieme, povera me!
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 33
*** La leggenda di un eroe ***


CAPITOLO 33

La leggenda di un eroe

Lo shock aveva investito i presenti, costringendoli a sgranare gli occhi fino a sentire fitte acute alle pupille colpite violentemente da polvere, fuliggine e calore.
Lo shock li aveva come ibernati, bloccati, li aveva resi manichini inermi, figure umanoidi incapaci di reagire agli eventi, di pensare, di agire razionalmente.
Ma potevano aver frainteso, tutti, all’unisono, quanto udito? Potevano davvero aver capito fischi per fiaschi, Roma per toma, o qualsiasi cosa al posto di un’altra?
Non sarebbero bastati tutti i modi di dire presenti nella galassia per spiegare concretamente quello che provavano e pensavano. Ma qualcosa diceva loro che, in fondo, quanto avevano udito fosse talmente assurdo da corrispondere a verità.
Il tempo, bloccato dopo quella dichiarazione, aveva ripreso a scorrere solo quando il figuro presentatosi come Vickas aveva ripreso a parlare. Nessuno lo aveva invitato a proferire parola, ma lui lo aveva fatto ugualmente, convinto che, dopo tutto, quegli umani volessero ascoltarlo. Poco importava quanto bizzarra fosse la sua storia, quanto essa potesse sembrare inverosimile. Era la verità. Quello che aveva da raccontare era solo ed esclusivamente la verità.
E, arrivati a quel punto, poco importava se lo avessero preso sul serio o no. Arrivati a quel punto, voleva solo condividere il suo segreto con qualcuno, anche se questo qualcuno era il suo nemico.
Osservava quelle povere creature ignare, quelle vittime di un gioco malato cui si erano trovate protagoniste intente a scrutarlo a loro volta, aspettando una mossa, o anche solo una semplice parola da parte loro.
Solo dopo aver scrutato nei loro occhi si era reso definitivamente conto che non sarebbero mai arrivati né l’uno, né l’altra.
Quelle persone non sembravano neanche più tali, ormai. In alcuni di loro, l’umanità sembrava essersi affievolita.
Le aure che emanavano e che solo in parte erano in grado di percepire grazie alle abilità di lotta conseguite dopo anni di duro addestramento, ai suoi occhi erano chiare e leggibili come un libro aperto. Alcuni di loro erano circondati da un alone bluastro, altri da uno grigio, mentre alcuni erano avvolti da una pesante coltre di petrolio liquido che presto li avrebbe inghiottiti completamente, a cominciare dal piccolo saiyan che rispondeva al nome di Goten sino ad arrivare alla donna che tutti chiamavano Bulma. C’erano poi il bambino coi capelli lilla, il nuovo attuale principe dei saiyan, e Vegeta, il re, suo padre, l’uomo che gli aveva donato la vita, che avevano un’aura indefinita. Se gli avessero chiesto di fare un paragone, avrebbe detto che il loro alone somigliava alla fiamma di una candela consumata, una fiamma tremolante e pronta allo spegnimento. Ma nessuno mai avrebbe chiesto il suo parere, né tanto meno, lo avrebbero ascoltato se avesse spiegato quello a cui stavano andando incontro. O forse… Forse lo avrebbero fatto. Ma solo dopo la fine del suo discorso principale, solo dopo aver udito il racconto della verità venuto fuori dalla sua bocca, raccontato dalle sue parole, dalla sua voce .
“Io sono Vickas” – aveva ripetuto, serio, inesorabile. E questo perché lui era realmente il sacerdote Vickas, il saiyan della leggenda. Ma non della leggenda che lo voleva quale uccisore degli dei. Questo essere, questo fantomatico sacerdote votato al male per sete di potere, questo saiyan capace di assoggettare, piegare e uccidere le divinità, non era mai realmente esistito. Quella che aveva raccontato Vegeta, quella che i padri saiyan raccontavano ai propri figli per metterli in guardia dai pericoli della magia e dell’occulto, era una storia a cui erano state cambiate le parti principali. Era una verità cambiata al punto da diventare una menzogna, una leggenda non più vera di quella che i terrestri raccontavano sulla mitica spada estratta dalla roccia da re Artù.
Si era messo in una posizione un po’ più comoda prima di iniziare quel suo racconto, sebbene, a ogni suo movimento, il vecchietto con gli occhiali e l’omone baffuto intervenissero per tenerlo ben saldo e a “portata di mano”. Doveva ammettere che quei due avessero tirato fuori una grande grinta e si fossero fatti rispettare durante lo scontro che aveva preceduto la sua cattura, e non li avrebbe delusi rivelandogli che, in realtà, aveva deciso di cedere alle loro “lusinghe” più per stanchezza che per sconfitta, e perché credeva che, in fondo, loro potessero realmente aiutarlo a venire fuori da quello stato di prigionia in cui viveva da quel lontano, lontanissimo giorno in cui aveva perso il controllo della situazione, finendo col diventare una marionetta animata da un perfido burattinaio più crudele del deminio.
Nel riprendere il suo aspetto consueto, quello con cui si era presentato a Bulma e ai bambini, aveva fatto sì che i presenti sobbalzassero per un breve istante, stravolti dall’evento magico che si era palesato ai loro occhi. E dire che avrebbero dovuto essere ormai abituati alle trasformazioni. Forse, una così radicale non avevano mai avuto modo di vederla. E, forse, non l’avrebbero vista mai più. Pensare che quello non era neanche il suo vero aspetto. Se solo avessero potuto vederlo nel pieno del suo vigore, quando la sua pelle era soda, i suoi muscoli guizzanti e la schiena dritta, le loro reazioni sarebbero state diverse. Ricordava ancora quando le donne lo scrutavano con occhi carichi di desiderio e gli uomini lo guardavano con occhi carichi di invidia. Lui era forte, potente, bello e le sue capacità gli consentivano di ottenere favori dagli dei. Per non parlare del fatto, poi, che egli era membro della famiglia reale, e non uno qualunque, ma il primogenito del re, colui a cui spettava il trono per diritto ma a cui aveva rinunciato in favore del suo fratellino, quel guerriero dall’aspetto austero e dal carattere orgoglioso che avrebbe dato avvio alla stirpe che avrebbe regnato sul pianeta Vegeta sino alla distruzione di quest’ultimo perpetrata per mano di Freezer.
C’era molto di suo fratello nell’attuale re dei saiyan, così come c’era molto dell’altro in quel Goku, che continuava a fissarlo con stupore e incertezza insieme. Sì, sarebbe stato veramente bello battersi ad armi pari. Peccato che ciò non sarebbe mai potuto accadere.
“Tutto è iniziato durante uno dei miei viaggi… Ero giovane, pieno di vigore. I miei risultati nell’arte del combattimento erano più che soddisfacenti, ma le mie inclinazioni hanno fatto in modo che imboccassi un sentiero diverso, non comune, e che ha rischiato di condurre mio padre alla follia. “Un principe non può venire meno ai suoi doveri” aveva asserito. Ma, nonostante le sue proteste, non poteva ostacolare i miei studi, opporsi al mio volere. Nessuno di loro avrebbe potuto. All’epoca in cui nacqui e accrebbi le mie conoscenze, il popolo saiyan era agli albori, così come lo era anche la sua futura fama di razza distruttrice. Per la maggior parte di noi, l’identità comune era quella del guerriero propenso alla lotta, del soldato pronto a combattere ogni genere di battaglia, ma questo non valeva per me. Io ero interessato alla scienza e allo studio dell’occulto, o di quello che mio padre chiamava magia, e che attribuiva a una sorta di infusione divina.
In quel lontano periodo, i saiyan adoravano diverse divinità a cui attribuivano diversi compiti, ma solo in pochi erano a conoscenza della verità, perché erano in pochi a indagarla. Io ero uno fra essi.
Esse non erano altro che un unico e solo dio in grado di mutare aspetto e “disposizione d’animo” a seconda dell’occorrenza. Le divinità che adoravano erano le mille facce di un unico essere scontroso e dispettoso, un essere che prediligeva i sacrifici umani a quelli animali e che pretendeva, in cambio dei pochi favori che elargiva, di mietere vittime a suo piacimento e di nutrirsi delle loro anime.
I sacerdoti erano perfettamente a conoscenza di ciò, ma per loro, era più facile sottomettersi alla volontà di chi avrebbe potuto annientarli piuttosto che provare, in qualche modo, a contrastarlo. E poi, erano sì suoi servitori, ma lui aveva fornito loro le conoscenze che tanto bramavano. Aveva insegnato loro a governare gli elementi, a sfruttare le forze della natura a loro piacimento e a manipolare le menti umane e animali con la sola forza del pensiero. Pensate realmente che avrebbero rinunciato a tutto questo potere? No, affatto. E, inizialmente, la cosa mi era parsa molto allettante. Così, ho rinunciato a quello che mi spettava di diritto, passando il testimone al mio fratellino. Ma questa parte della storia, forse vi interessa un po’ di meno.
Sta di fatto che i miei poteri crebbero a dismisura. I sacerdoti cominciarono a temermi, proprio come aveva iniziato a fare anche lui, che mi aveva donato quello che mi stava permettendo di essere quasi un suo pari. Ero indistruttibile, o almeno, questo era ciò che pensavo. Non mi ero reso conto che più potere attingevo da lui, meno la mia anima mi apparteneva. Fu solo quando mio padre morì che mi resi conto dell’irreparabile: non provai niente. Nessun tipo di emozione. Né rabbia, né dolore, né dispiacere. Non provavo assolutamente nulla, se non sete. Una sete che non avevo mai avvertito prima in vita mia. La faccenda vi dice qualcosa, dolci fanciulle?”.
L’allusione alle donne che, una volta rese prigioniere, si erano nutrite del sangue dei congiunti, era palese. Ma questo cosa poteva voler dire? Che loro erano diventate accolite di Vickas? O meglio, di quello che loro credevano fosse Vickas ma che in realtà non lo era?
“Il mio desiderio di sangue cresceva in modo proporzionale alla mia sete di potere. Ma più desideravo quanto vi ho detto, più lui diventava forte, temibile e minaccioso. Eppure… Era come se non riuscisse a sprigionare pienamente il suo potenziale.
Almeno, fino a quella notte.
Quando mi sono reso conto di quello che era realmente accaduto, di quanto lui fosse diventato pericoloso e tremendamente vicino all’uomo, era ormai troppo tardi: i sacerdoti, riunitisi di notte sotto una luna piena e grande come mai prima allora, avevano sacrificato le loro vite, concedendogli di mettere piede nel nostro mondo in forma concreta, con la promessa di rinascere sotto forma di semi-dei e di poterlo così governare al suo fianco.
Inutile dirvi che le cose non andarono come promesso. Mai, mai potrò dimenticare quanto accaduto. Mai dimenticherò i suoi occhi fiammeggianti usciti dal cuore della notte e la potenza della sua aura che si è abbattuta su di noi. Se credete che questo potere da voi percepito sia tutto quello che è in grado di sprigionare, vi sbagliate. Voi non avete idea di chi lui sia e di cosa sia realmente in grado di fare. I vostri dei hanno fatto bene a fuggire, perché li avrebbe divorati uno a uno, assorbendo ogni loro caratteristica e abilità.
Lui e uno ed è mille, ricordatelo sempre.
E io non sono altro che uno schiavo”.

 
*
 
Non aveva senso. Tutto quello che stavano ascoltando non aveva alcun senso. Certo, era molto probabile che la sua mente fosse offuscata dal dolore causatogli dalle ustioni, ma possibile che ogni sua conoscenza in merito a quella leggenda fosse una menzogna? Vickas non era realmente Vickas. O meglio, era lui, lo schiavo, e non il padrone? E se Vickas non era il nome dell’uccisore degli dei, in quale modo avrebbero dovuto chiamarlo?
C’erano tante cose di cui parlava che erano molto strane. Era come se avesse insinuato che la sua vita avesse avuto inizio secoli e secoli addietro, e che fosse il legittimo erede al trono del pianeta Vegeta. Un futuro re che aveva abdicato in favore di suo fratello minore. Questo voleva dire, se il dolore non lo aveva fatto completamente uscire fuori di testa, che lui e quello lì discendevano dalla stessa linea di sangue, che quella cosa informe fosse un saiyan e per giunta un suo avo. Un avo che aveva dedicato la sua esistenza allo studio dell’occulto.
Non era in grado di verificare se ciò fosse vero. Non vedeva somiglianze fisiche tra loro, e non riusciva a percepire in lui nessun tipo di forza spirituale. Eppure, sembrava in grado di fare grandi cose. Ma queste grandi cose, evidentemente, erano frutto del contratto stipulato con il suo padrone.
Aveva un terribile mal di testa, Vegeta. Le tempie continuavano a pulsare mentre il suo corpo, straziato dal fuoco, veniva trafitto da continui spasmi e fitte continue. Avrebbe tanto voluto cedere, abbandonarsi a esso e cadere nell’oblio, perché era certo che solo così avrebbe potuto liberarsene. Ma cedere significava lasciare da soli Trunks e Bulma, e lui sapeva benissimo cosa aveva visto nei suoi sogni. La sua famiglia, seppur sua moglie lo stesse respingendo, aveva bisogno di qualcuno che potesse proteggerla, e non avrebbe mai lasciato questo compito a quell’idiota di Yamcha.
Ma, arrivati a quel punto, quale poteva essere realmente la verità? Quel racconto, proprio perché incompleto, lo aveva lasciato perplesso, amareggiato, desideroso di ulteriori chiarimenti. Trovare la forza di porre le domande giuste era impossibile. Avrebbe lasciato ad altri il compito di portare alla luce la verità. Lui avrebbe ascoltato, rimanendo buono in un angolo per entrare in azione solo in evenienza. Sempre sperando che non ce ne fosse bisogno.
“I sacerdoti non sono tornati in vita sotto forma di semi-dei come avevano creduto. Il loro sacrificio li aveva resi forti e potenti più che mai, ma quella forza era frutto di una trasformazione animalesca che non erano in grado di controllare e che li stava portando a distruggere il pianeta e i suoi abitanti. Tutte anime mietute per accrescere il potere di quello che credevamo fosse un dio. Solo guardandolo dopo averlo visto uscire dalla sua prigione mi sono reso conto di chi fosse realmente: un demonio con l’aspetto di una scimmia. Se solo avessi impedito quel rituale, niente di quanto segue sarebbe mai avvenuto”.
Chichi aveva portato entrambe le mani alla bocca, sconvolta. Quell’uomo, quel Vickas, era un saiyan vissuto secoli e secoli fa che aveva appena raccontato loro la storia di come era nata la maledizione che accomunava tutti i guerrieri nati sul pianeta Vegeta. Quell’uomo brutto, in parte deforme, era Vickas e aveva raccontato loro parte di una leggenda di cui credevano di sapere tutto ma che in realtà era fondata su una marea di bugie. Dovevano fidarsi di lui? Aveva cercato di ingannarli e ucciderli. Ma perché, allora, le sembrava che lui stesse dicendo il vero? Le girava la testa dalla stanchezza e dalla confusione, ma non poteva permettersi debolezze. Doveva sapere cosa fosse accaduto per trovare una soluzione, e niente l’avrebbe fatta dissuadere da quell’obiettivo.
“Finalmente, dopo averlo servito e adorato per anni, potevo vederlo e chiamarlo per nome. Oozaru, aveva detto di chiamarsi. Peccato che non avesse specificato cosa aveva intenzione di fare”.
Oozaru. Come la forma che lui, Vegeta e i loro figli assumevano durante le notti di luna piena quando erano in possesso della coda. Quel demonio aveva maledetto i sacerdoti facendogli assumere la loro stessa forma e, sicuramente, quel maleficio si era poco dopo esteso a tutti gli altri saiyan.
Goku non riusciva a crederci. Non era in grado di farsene una ragione. Perché liberarlo? Perché servirlo? Per diventare delle divinità? Non poteva pensare che esistessero degli esseri talmente vili e sciocchi. Eppure, a quanto pare, essi esistevano, e non erano altro che saiyan.
“Quella maledizione si estese su tutta la popolazione come un morbo infettivo impossibile da arrestare. Solo i saiyan dal comparto genetico più resistente furono in grado di sopportarla. Gli altri perirono, diventando nutrimento per Oozaru. Fu così che si formarono due compagini: una di superstiti, ancora non infettati dal morbo, e una di accoliti, perfidi distruttori assetati di sangue che si spostavano di pianeta in pianeta con la prospettiva di mietere vittime in favore del loro signore e padrone. Il potere di Oozaru cresceva a dismisura, fino a che le divinità celesti non decisero di intervenire in soccorso della Galassia, fallendo miseramente. Neanche io so dirvi quanto egli divenne forte. Ma avevo deciso che avrei fatto di tutto per fermarlo. Non ero riuscito a impedire il rituale a cui mi ero rifiutato di partecipare intuendone il pericolo, è vero, ma dovevo almeno provarci. Egli mi aveva fornito potere, ma mi aveva anche ingannato, facendomi tradire prima la mia famiglia e il mio popolo, e poi i miei fratelli sacerdoti, seppur per una buona causa. E, nello stesso tempo, aveva ingannato anche loro, perché, sebbene io non volevo più fare parte della loro setta, furono loro ad allontanarmi, proprio perché avevano iniziato a temermi.
Ancora non riesco a comprendere le piene ragioni di Oozaru, il suo strano modo di agire Mi voleva con sé, eppure mi voleva annientare.
Questo comportamento, vi ricorda per caso quello di qualcuno?”.
Era ovvio che si stesse riferendo a Freezer.
“Mio fratello, il re del pianeta Vegeta, si era rifugiato con la compagine sotterranea in un luogo protetto, cercando di tenere in salvo i suoi cari e di escogitare un piano che potesse condurli a una vittoria certa. A lui non importava di sacrificare la sua vita. Lui voleva solo salvare chi amava.
Ma non aveva idea di quanto salato fosse il prezzo da pagare”.
Ed ecco che stava per arrivare la parte in cui il primogenito del re era stato sacrificato per salvare tutti. Questo stava per dire Vickas, Gohan ne era certo. E di lì a breve, quel suo pensiero avrebbe trovato conferma. Ma non come lui si aspettava.
“Oozaru mi temeva, ricordate? Mi temeva perché non era mai stato realmente in grado di assoggettarmi. La verità era che io lo avevo sfruttato, e non il contrario, ma era comunque certo che non avrebbe avuto problemi a fermarmi, se solo mi avesse trovato. Fu proprio questo il suo errore”.
“Avanti, taglia corto e dicci come lo avete fermato” – aveva pensato Crilin – “Non mi fido di te, ma hai l’aria di uno che ormai non ha più niente da perdere. Dicci cosa dobbiamo fare e basta”.
“Sono stato io a creare il ciondolo. Io l’ho fermato. Ma ho avuto bisogno di un bel po’ di aiuto esterno per mettere in atto il mio piano.
Vedete, non ho imprigionato e ucciso gli dei come volevano farvi credere per comodità. Sono stati loro a sacrificare le loro vite e a donare a me i loro poteri affinché riuscissi a portare a termine il rituale.
Io ho preso sulle mie spalle il fardello che quel sacrificio comportava” – e aveva cominciato a fissare le sua mani tremanti, quasi come se da esse cercasse di trarre un qualche tipo di risposta – “Non esisteva nessun Guerriero. A meno che non vogliate dire che sia io stesso il Guerriero”.
Maestro Muten aveva fatto in modo da non perdere neanche una sillaba del discorso di quello strano figuro. Ma cosa avevano in testa quei saiyan? Cosa? Vendere le proprie anime per ottenere più potere. Praticare la magia nera, liberare sul loro pianeta demoni e finire con l’essere vittime di una maledizione causata dalla loro stessa sete di potere. Non sarebbe mai stato capace di comprendere la loro essenza sino in fondo e rabbrividiva al solo pensiero che, se non fosse stato per quella botta in testa, Goku, il suo pupillo, sarebbe stato esattamente uguale a loro.
“Il mio potere assommato a quello delle divinità, e l’unione del sangue di mio fratello e quello dell’ultimo dei saiyan, della creatura più infima tra tutte, erano la chiave di volta.
 Questa era la formula che avevo creato affinché il mio sortilegio funzionasse. Il primo, l’ultimo e colui che poteva legarli insieme. Gli elementi c’erano tutti. O almeno, così credevo.
Avevo creato un modo per imprigionarlo, non per sconfiggerlo. E, il termine stesso, prevedeva un luogo in cui bloccare per sempre quell’abominio che avevo, mio malgrado, contribuito ad alimentare. Ma di questo, vi ho già parlato”.
Erano certi di sapere come sarebbe andata a finire.
“Vedete, le cose non sono andate come dice la leggenda.
Io lo amavo.
Lo amavo con tutto me stesso. Era il figlio che non avevo avuto, la parte secolare della mia famiglia, il futuro dell’intera stirpe saiyan.
E io, avrei involontariamente posto fine alla sua vita.
Non fu mio fratello a sacrificare mio nipote. Fui io. Io, con l’inesperienza e con l’ebbrezza dei poteri conferitimi dalle divinità, causai la morte di quel giovane così forte, così coraggioso, del re migliore che il nostro popolo avrebbe mai potuto anche solo sperare di avere.
Non avete idea di come mi sentivo in quel momento. Forte, potente, invincibile. Il potere degli dei scorreva nelle mie vene e sentivo di poter fermare Oozaru.
Era tutto pronto. I guerrieri erano lì, il loro sangue si era unito, e con esso, i loro spiriti e i loro corpi erano entrati in connessione, formando un unico essere, nuovo e mai visto prima di allora”.
Incredibile. Stava parlando della fusione. Yamcha era oltremodo sconcertato.
“Ma il rituale chiedeva potere. Molto più di quello di cui disponevo, e avevo cominciato ad assorbirlo inconsapevolmente dagli abitanti del pianeta, da quei poveri superstiti che avevano fatto di tutto pur di mettersi in salvo. Li stavo uccidendo. Nel tentativo di salvarli, li stavo condannando a morte. Ma mio nipote…
Lui, li ha protetti, tutti.
Raccogliendo ogni singolo briciolo della forza che aveva in corpo, aveva creato una barriera tanto grande e spessa da impedirmi di prosciugare l’energia dei saiyan, facendo sì, però, che il potere di cui avevo bisogno venisse attinto completamente da lui.
Il rituale funzionò. Oozaru venne imprigionato in una dimensione creata appositamente in quel ciondolo, e i suoi seguaci avevano ripreso la forma saiyan. Solo molto tempo dopo avremmo scoperto che la maledizione avrebbe segnato ognuno di noi, quasi a ricordarci che con la magia non si può scherzare.
Mentre, per quanto riguarda lui, il principe…
Non c’era più alcuna traccia. Non si avvertiva la sua essenza, niente. Era diventato cenere. Era come se non fosse mai esistito.
Fu allora che il dolore e la vendetta delle divinità ricadde su di me, perché io sapevo che sarebbe successo e non lo avevo impedito, perché io ero stato la causa di tutto, nonostante, alla fine, lo avessi fermato.
Mi legarono a Oozaru irrimediabilmente. Il ciondolo divenne la mia salvezza e la mia condanna. Fui esiliato dai miei cari, odiato per aver ucciso il principe e per averli maledetti, anche se indirettamente. Ed è da allora, che vago, desiderando solo di cadere nell’oblio.
La leggenda, col tempo, finì con l’essere distorta. Il popolo saiyan era diventato brutale, sanguinario, una compagine di mercenari spietati che mutavano aspetto a ogni luna piena. Ricordare un giovane immolatosi per la sua salvezza, era controproducente, avrebbe smentito la loro fama di crudeli assassini. No. Meglio fare in modo che uno di loro avesse perso il senno, decidendo di uccidere gli dei e mostrando a tutti quanto potessero diventare pericolosi. Così come, l’accettare che un padre avesse sacrificato il suo unico figlio, avrebbe dato prova della loro totale spietatezza.
Non fa una piega, no?
In quanto a me…
Vickas si nutre della mia essenza, nonostante si trovi all’interno del ciondolo, impedendomi di essere libero, impedendomi di morire e trovare finalmente la pace”.
“Per questo sei venuto qui…” – aveva esordito Bulma, interrompendo quel monologo – “Per questo hai fatto sì che Vegeta venisse incoronato. Per scaricare il peso della tua malvagità su di lui e su Goku. Per distruggere la mia famiglia e il mio mondo”.
Aveva dato voce ai pensieri di tutti. Perché, allora, ad alcuni sembrava l’esatto contrario?
“No, Bulma. Non è per questo che ho attraversato la galassia e ti ho donato il mio ciondolo. Non è per lavarmene le mani”.
“E ALLORA PER COSA?” – aveva tuonato lei.
“Perché so che loro” – e aveva indicato Goku, Vegeta e Trunks – “sono gli unici in grado di sconfiggerlo per sempre”.

Continua…

Scusate per l’attesa. Il capitolo è stato lungo e difficoltoso. Ma spero che vi sia piaciuto. Allora, le cose non stavano esattamente come credevano i nostri amici, no?
Ora, avete capito perché “il servitore” aveva fatto sì che Vegeta venisse incoronato, servendo loro la soluzione su un piatto d’argento? Lui è una vittima delle circostanze (più o meno) e vuole liberarsi del suo oppressore. Considerato che Oozaru, come vedremo, in fondo è un po’ fesso, tutto – più o meno – quadra.
Certo, ho plagiato la storia originale secondo il mio volere. Spero non vi siate offese!
Mi sono molto divertita nel rivelare la verità su Vickas. Ci tengo a farvelo sapere!
Alla prossima!
Un bacione
Cleo

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Capitolo 34
*** Un colpo di fortuna ***


CAPITOLO 34

Un colpo di fortuna

 
Erano trascorsi giorni dal momento in cui avevano appreso quale fosse, realmente, la verità.
Dopo qualche esitazione iniziale, dopo titubanze e ulteriori – necessari – chiarimenti, avevano finito con l’accettare il folle racconto di Vickas, reagendo, loro malgrado, a quella situazione che diventava mano a mano sempre meno gestibile.
Le condizioni di Trunks non erano affatto migliorate. Bulma si rifiutava di ammetterlo, ma il suo piccolo saiyan dai capelli lilla era sempre più stanco, sempre più emaciato, sempre più debole. Trascorreva la maggior parte del tempo a dormire, un po’ tra le sue braccia, un po’ tra quelle di Yamcha, praticamente mai tra quelle di Vegeta.
Il re dei saiyan era vivo praticamente per miracolo, e le sue condizioni, al contrario di quelle di suo figlio, avevano cominciato a migliorare dopo che sia lui che gli altri avevano accettato l’aiuto di quel verme che odiavano per averli condannati a patire le pene dell’inferno, e che, arrivati a quel punto, avrebbero persino dovuto ringraziare per aver curato le gravissime ustioni di Vegeta.
Quest’ultimo, dal canto suo, sembrava caduto in una sorta di stato catatonico. Aveva lasciato che Vickas, aiutato da Chichi che si era improvvisata infermiera, armeggiasse con la sua pelle e con le ustioni, senza proferire parola, senza emettere neppure un lamento.
Era come se non fosse più lì con loro, ma in un luogo lontano, un luogo impossibile da raggiungere, e tutti, Goku più degli altri, erano convinti che stesse vivendo una specie di incubo.
Il giovane Son non si era dato pace da quando aveva appreso la verità sulle sue origini. Non sapeva bene per quale assurdo motivo, ma finiva sempre con lo scoprire qualcosa di nuovo, per altro sempre più assurdo e sempre più pericoloso. La trasformazione in Oozaru, l’orrenda forma animalesca che portava gli altri a definire i saiyan degli scimmioni, era frutto di una maledizione in piena regola. Era evidente che, con il tempo, in qualche modo gli altri saiyan fossero riusciti a controllarla – ricordava benissimo come Vegeta l’avesse sfruttata a suo vantaggio – ma non si poteva dire la stessa cosa né per lui, né per Gohan. Lo mandava in bestia sapere che un uomo dall’intelligenza di Vickas si fosse letteralmente fatto fregare in quel modo e che fosse riuscito, a sua volta, a fare lo stesso con tutti loro.
Voleva liberarsi di quel fardello. Lo aveva detto chiaramente. Eppure, non era riuscito a venire meno all’ordine impartitogli dal suo superiore e aveva fatto in modo che la maledizione gettata su Trunks – l’ennesima di quel gioco perverso – accelerasse il suo corso. Non aveva avuto il coraggio di dirlo a Bulma, ancor più gli era mancato con Vegeta, ma lo avevano capito tutti, lì: il battito del piccolo continuava a decelerare, e senza di lui, sarebbe stato impossibile rinchiudere Oozaru nel medaglione. Trunks si sarebbe sacrificato senza pensarci due volte pur di salvare l’universo e le persone che amava, ma sarebbe stato giusto permetterglielo, laddove si fosse presentata l’occasione? Porre il peso di una scelta così dura sulle spalle di un bambino non era una cosa che si poteva affrontare a cuor leggero. E poi, potevano veramente fidarsi delle parole di Vickas? E ancora, lui voleva che loro ponessero fine alla vita di quel mostro, allora, perché ricreare le condizioni per poterlo solo imprigionare? C’era qualcosa che non gli aveva detto?
Era in questo modo che il Son continuava a tormentarsi da giorni, non riuscendo a dormire per più di tre ore di fila e preoccupandosi a tal punto per le sorti dei suoi amici da farsi persino passare l’appetito. Certo, non che ci fosse molto da mangiare dopo che la casa-bunker era saltata in aria, ma la situazione, anche in quel caso, per lui non sarebbe mutata.
La verità, era che la rabbia per quello che aveva fatto a Trunks, a Goten, a Vegeta e agli altri, lo stava facendo veramente impazzire. Se Vickas aveva deciso di aiutare Vegeta, lo stesso non aveva fatto con il piccolo Trunks. Non che si fosse rifiutato, sia chiaro. Aveva solo detto che le sue abilità non erano sufficienti per arrestare la corsa di quella sorta di morbo.
Cosa fosse questo morbo, però, non lo aveva spiegato. Così come non era loro chiara una cosa: Oozaru era uscito fuori dal ciondolo, d’accordo, ma dov’era? Perché rintanarsi in quello stupido palazzo e mandare il suo leccapiedi in avanscoperta? Uno che non aveva esitato a tradirlo una volta raggiunte le giuste condizioni, per altro! Si stava letteralmente arrovellando il cervello nella speranza di venirne a capo, ma la soluzione, invece di avvicinarsi, sembrava ogni istante sempre più lontana.
Questo Vickas, poi… Aveva qualcosa di estremamente inquietante: non mangiava, non beveva, non dormiva. Parlava solo se interrogato, agiva solo se i suoi servigi erano richiesti e… E basta. Per il resto, non faceva niente, se non rimanere seduto in un angolo e fissare con insistenza, quasi in modo molesto, il povero Vegeta.
E poi, Goku, ancora non riusciva a farsi un ragione del fatto che Bulma avesse reagito in quel modo, nei confronti di quel pover’uomo. Nessuno era riuscito ad accettarlo, se dovevano dirla tutta. Quella sua arroganza nei confronti del marito, quel suo continuare a respingerlo, a rinnegare ciò che lui rappresentava per lei e viceversa aveva qualcosa di irreale. Che colpa poteva avere, lui, di tutto quel dramma in cui erano capitati? Perché si ostinava a non voler vedere che Vegeta, come tutti loro, non era altro se non una vittima degli eventi? E Yamcha, poi… Non gli erano sfuggite le occhiate di disprezzo che Chichi aveva tenuto in serbo solo per lui. Certo, non si poteva dire che il nostro Goku fosse un genio nel comprendere le dinamiche di coppia, ma non era di certo così stupido come voleva sembrare. E neanche Chichi, ovviamente. Anzi, proprio nessuno, lì, pensava o aveva mai pensato che lei fosse una stupida o un’ingenua. Che cosa si era messo in testa? Che stando vicino a Bulma, sostenendola su quella sua presa di posizione assurda, fosse per lui un modo per ricondurla a sé? Ma possibile? Yamcha non gli sembrava il tipo capace di commettere un atto così subdolo, né Bulma una donna capace di farsi abbindolare come una ragazzina inesperta. Qualcosa gli diceva che anche in quelle reazioni così insolite, c'entrasse lo zampino di Vickas. O forse, arrivati a quel punto, c’entrava quello di Oozaru.
La situazione non poteva andare avanti in quel modo. Avrebbero presto dovuto trovare il modo di agire.
Ma come? Come avrebbero potuto fare a fermare Oozaru?
Perché Vickas aveva parlato tanto ma, alla fine dei conti, non aveva detto niente di concreto che potesse permettere loro di capire come fermare il nemico.
Era dotato di poteri psichici, paranormali o come diamine voleva egli stesso definirli, su questo non vi erano dubbi. Che li usasse per stare in contatto con Oozaru e informarlo di ogni loro mossa?
Goku non ci capiva più niente.
Nessuno, lì, ci capiva più niente.
E, a quel punto, non gli restava che fare una cosa: che chiedere consiglio a chi sapeva più di lui. Ma come farlo senza far sì che Vickas se ne accorgesse? Non poteva rischiare… Eppure…
“Io esco” – aveva sentenziato, improvvisamente.
“Ma… Papà… Fuori è buio pesto e fa freddo…” – Gohan aveva ragione. Era una notte senza luna, quella e, contrariamente a ogni loro previsione, aveva persino iniziato a nevicare. Non erano preparati ad affrontare il gelo, e la caverna in cui si erano riparati, nonostante il fuoco scoppiettante, non era mai stata fredda come allora.
“Lo so. Ma abbiamo bisogno di legna. E di cibo. Se sono abbastanza fortunato, posso imbattermi in qualcosa di grosso, e…”.
“Ma, Goku, non puoi andare da solo!” – aveva incalzato Crilin – “Per trovare della selvaggina dovresti spingerti molto più lontano di quanto tu abbia mai fatto fino a ora! Potrebbe essere veramente pericoloso!”.
“Certo che sarebbe veramente pericoloso” – avrebbe voluto dirgli, ma si era trattenuto. Se avesse perso la sua calma e il suo perenne ottimismo, allora sì che avrebbero avuto dei guai seri. Doveva andare, e doveva farlo da solo. O meglio, avrebbe tanto voluto che Vegeta lo seguisse, ma il suo fedele supporto era… Era… Non sapeva come definire Vegeta, ma una cosa la sapeva con certezza: che non si sarebbe mosso da lì per nessuna ragione al mondo, un po’ per mancanza di forza, ma soprattutto, per mancanza di volontà.
“Non preoccupatevi” – aveva detto, invece – “Starò attento. E, se la fortuna mi assiste, tornerò con qualcosa di succulento da mettere sotto i denti. Voi promettetemi di stare attenti e di non perderlo di vista” – aveva aggiunto, rivolgendo uno sguardo truce degno quasi del re dei saiyan a Vickas – “Non commetterò mai più l’errore di voltare le spalle al nemico. Neanche se quest’ultimo si prostrasse ai miei piedi”.
Così dicendo, era partito, lasciando dietro di sé amici e parenti pieni di dubbi e incertezze. Di una sola cosa erano sicuri: era stato impossibile, dopo le parole di Goku, non rievocare il ricordo del terribile mostro che rispondeva al nome di Freezer.

 
*
 
“Re Kaioh! Re Kaioh! Mi sente? Non mi faccia urlare, la prego… Re Kaioh!”.
Ma no, a quanto pare, il simpatico sovrano del Nord non era in grado di sentirlo. D’accorso, non lo aveva chiamato a pieni polmoni, ma lo aveva fatto solo per evitare di attirare l’attenzione. Possibile che quel buffo ometto non riuscisse proprio a sentire la sua voce? Neanche poco poco? Eppure, il punto era esattamente quello. Aveva posizionato lì un sasso e vi aveva inciso sopra un cerchio molto rudimentale pur di ritrovarlo. Perché re Kaioh non lo sentiva?
“Urka! Perché non ne va mai una per il verso giusto?”.
Poteva arrendersi? Poteva veramente rinunciare a parlare con lui, ad avere un suo consiglio?
“Maledizione!” – aveva tuonato, somigliando sempre più a Vegeta – “Perché non mi sente?”.
A quel punto, aveva agito senza neanche pensarci su più di tanto: aveva messo due dita alla fronte ed era partito alla volta del piccolo, tondeggiante pianeta, deciso più che mai a scoprire che fine avesse fatto il suo ultimo maestro.

 
*
 
Per un attimo, aveva temuto di non riuscirci. Invece, il nostro Goku ce l’aveva fatta eccome, atterrando esattamente dove era solito atterrare: esattamente davanti alla buffa casetta in cui aveva dormito per quasi un anno durante quel suo soggiorno nel regno dell’Aldilà. Eppure, del suo maestro, non vi era ancora la benché minima traccia. Ma come? Perché non si trovava lì? Non lasciava mai il pianeta…
Un brivido aveva percorso la spina dorsale di Goku. Che Oozaru avesse scoperto quel varco e avesse eliminato le divinità prima del suo arrivo? Poteva davvero essere?
“Stai calmo, Goku… Non hai mai perso la pazienza in tutta la tua vita, e inizi a farlo adesso? No… Calmo… Respira… Respira e vedrai che troverai una spiegazione… Sì, la troverai eccome… Basta solo che tu stia calmo e che ricominci a respirare”.
Si sentiva un idiota a ripetersi quelle cose, ma doveva farlo, se voleva venire a capo di quell’enigma. Ed ecco che lo aveva fatto: si era concentrato, aveva respirato e aveva chiuso gli occhi, concentrandosi sull’aura dell’essere che stava disperatamente cercando.
E, finalmente, lo aveva trovato.
“Sapevo di farcela!” – aveva esclamato, sprizzando gioia da tutti i pori – “Coraggio Goku, non hai un minuto da perdere!”.
Se Vegeta fosse stato lì, gli avrebbe realmente dato dell’idiota per aver continuato a parlare a se stesso in terza persona. Ma Vegeta non era lì e, in ogni caso, lui aveva trovato re Kaioh. Quindi, si meritava un autoelogio, no? Più che meritarlo, ne aveva veramente tanto bisogno. E avrebbe avuto bisogno anche di qualcos’altro, una volta raggiunto il posto in cui il re si trovava, o sarebbe uscito fuori di testa per lo stupore e per la gioia.
“FIGLIOLO! Ma tu che cosa ci fai qui? Come hai fatto ad arrivare? A momenti mi facevi venire un infarto! Ehi! Sto parlando con te, Goku! GOKU!”,
“Eh? Cosa? Oh! Urka! Re Kaioh! È veramente lei? No riesco a credere di averla trovata! E non riesco a credere di aver trovato tutti loro! Ma, mi dica, perché non era sul suo pianeta? Cos’è questo posto? E dov’è Junior?”.
“Vuoi fare silenzio?” – lo aveva ammonito il suo interlocutore – “Tu non dovresti neanche essere qui! Che cosa ti è saltato in mente?”.
L’essersi trovato di fronte all’intero popolo namecciano e l’aver percepito anche le aure di Kaioshin il Sommo e Kaioshin il Supremo lo aveva sconvolto a tal punto da avergli fatto quasi dimenticare il motivo di quel suo viaggio così rischioso. Ma non c’era voluto molto prima che ritornasse in sé e cominciasse a raccontare la storia di Vickas, lasciando tutti i presenti che si erano presi la briga di ascoltarlo letteralmente sconcertati e increduli.
“Tu… Tu mi staresti dicendo, che… Che…”.
“È proprio come le ho detto! O meglio, come ha detto Vickas. Ma io non riesco a fidarmi di lui. Quell’individuo è subdolo, è marcio dentro… E io non posso farlo… Lei non ha idea di quello che sta accadendo tra di noi… Trunks e Vegeta sono… E Bulma… Be’, se vuole posso mostrarglieli!”.
Sì, re Kaioh avrebbe tanto voluto vedere, ma non poteva rischiare di attirare l’attenzione di questo Oozaru su di lui e sul mondo delle divinità. Se la storia di Goku era vera, avevano problemi molto più gravi di quanto avrebbe anche solo potuto lontanamente sospettare.
“Lei lo conosce, re Kaioh? Voglio dire, ha mai sentito parlare di questo demonio, di questo Oozaru che ci ha maledetti?”.
“No, figliolo, mi dispiace… Ma posso provare a chiedere a chi ha più conoscenze di me”.
“A chi?”.
Era inutile, a volte, Goku era veramente un sempliciotto.
“Parlo di Kaioshin il Sommo, figliolo…”.
“URCA! MA CERTO!” – era ovvio che parlasse di lui, come aveva fatto a non pensarci prima?
“Ma ora devi andare”.
“Eh? Cosa? Ma non andiamo a parlarci?”.
“No, Goku. Io vado a parlarci. Tu torni sulla Terra. Subito”.
“Ma…”.
“Niente ma. Sarò io a mettermi in contatto con te e a dirti quello che ho scoperto. Ma tu devi andare via, adesso. Intesi?”.
“Sì, però…”.
“Goku?”.
Non lo aveva mai visto così minaccioso.
“Sì… Vado, vado… Ma mi lasci almeno salutare Junior!”.
“Non ora. A tempo debito, potrai farlo”.
E Goku, mesto, era andato via, atterrando esattamente nel luogo da cui era partito. Era triste, e non riusciva a capire perché fosse stato trattato in quel modo da re Kaioh. Che avesse fretta, poteva capirlo, ma addirittura liquidarlo… Non lo aveva mai fatto prima! C’era rimasto davvero molto male.
A quel punto, gli era rimasta una sola cosa da fare: portare ai suoi cari il pasto che aveva loro promesso. Ma sarebbe riuscito a trovare qualcosa in quel terreno brullo? Lo sconforto lo aveva assalito, e il terrore di tornare indietro a mani vuote sarebbe divenuto realtà se, improvvisamente, un grosso, enorme, pezzo di carne proveniente da un animale indefinito non fosse piombato esattamente sulla sua testa, corredato da un bigliettino che aveva preso fuoco un istante dopo.
“Spero che basti a sfamarvi almeno per stasera”.
Forse, dopotutto, quel suo viaggio nell’Aldilà non era stato così infruttuoso come aveva creduto. Almeno, per quella sera, il pasto era assicurato.

Continua..

Scusate il ritardo. Scusate, scusate, scusate.
Ma non sono stata con le mani in mano! La scorsa settimana ho scritto una fic per un Contest e quella prima ancora ho dato l’ultimo esame della sessione estiva! Posso dirmi abbastanza soddisfatta!
Allora, mie care: cosa pensate di questo mio capitolo? I dubbi di Goku sono anche i vostri o no? E di re Kaioh cosa mi dite?
Fatemi sapere, se vi fa piacere.
Vi ringrazio ancora per aver recensito il precedente capitolo!
Un bacino!
A presto!
Cleo

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Capitolo 35
*** Tempo ***


CAPITOLO 35

Tempo

Goku era sparito da ore, e Chichi, Gohan e Goten cominciavano veramente a essere preoccupati. Non era uno sprovveduto, lo sapevano benissimo… Ma a nessuno dei tre era piaciuto lo sguardo che aveva assunto prima di lasciare il loro nuovo rifugio, e cominciavano a dubitare che si trattasse solo ed esclusivamente della necessità di attenuare i morsi della fame il motivo che lo aveva spinto ad uscire allo scoperto. Gohan era sempre più convinto di aver sbagliato a lasciar andare suo padre da solo. Non voleva controllarlo, né farlo sentire inadeguato – era pur sempre suo padre, l’ adulto – ma non era capace di nascondere i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni. Era come un libro aperto per le persone che lo amavano e lo stimavano, e non solo per loro, a quanto sembrava.
“Sei in ansia per il tuo adorato papà…”.
Vickas aveva appena sussurrato quelle parole, ma era stato perfettamente in grado di farsi sentire dal suo ancora ignaro, nuovo interlocutore.
Gohan gli aveva rivolto uno sguardo truce. Certo che era preoccupato per suo padre, ma quello, non gli riguardava affatto. Anzi, a lui non riguardava un bel niente di quello che pensavano e provavano lui e tutti gli altri. Era sua la colpa di tutte le sciagure che erano capitate. Era stato lui a cedere il ciondolo a Bulma in modo che arrivasse in mano a Vegeta, era stato lui a volere che Oozaru venisse liberato, e tutto questo era successo solo perché quell’infame a cui facevano la guardia a turno, voleva liberarsi di un fardello di cui era stato la causa.
Se glielo avessero domandato, avrebbe risposto che provava molto più rancore nei suoi confronti che in quelli di Oozaru.
Non si fidava di lui.
Nessuno di loro nutriva fiducia in Vickas, a essere precisi. La sensazione che si fosse fatto catturare di proposito, che fosse lì solo per spiarli, cresceva ogni istante sempre più nei loro cuori.
Che cosa avrebbero fatto, se li avesse attaccati? Come avrebbero reagito se avessero scoperto che quella su Oozaru non era altro che una menzogna e che lui fosse l’artefice di ogni cosa?
Certo, sin dall’inizio, avevano percepito nettamente due auree ben distinte, e quella più potente, quella che li stava opprimendo, non apparteneva alla creatura che avevano davanti. Ma se si fosse trattato di un trucco? Se anche quella fosse stata una sua trovata, come avrebbero dovuto agire? Erano tutti lì, spaventati, stanchi, indifesi… Potevano realmente batterlo?
Gohan, Goku e Vegeta avevano visto con i loro occhi quale atroce fine fosse stata riservata al povero Tenshing.
Il giovane Son non era stato in grado di darsi una spiegazione a riguardo, ma non si sarebbe di certo abbassato a chiedergliene una.
E se quello fosse stato solo un modo per ferirli, un modo per far capire loro chi aveva in mano le redini del gioco e che poteva fare di loro quello che voleva, come voleva e quando voleva?
Non avevano più avuto modo di avvicinarsi a quella sorta di cittadina. Ormai, aveva capito il motivo per cui teneva con sé solo le donne e i bambini, aveva capito che la sua aura era in grado di creare sconvolgimenti anche nei cuori più puri, anzi, proprio nei cuori più puri, incapaci di schermarsi di fronte al suo sconfinato potere. Ma al potere di chi? Di Vickas, o di Oozaru?
Se avesse potuto, si sarebbe liberato di lui lì, in quel preciso istante, e sarebbe partito alla volta della fortezza, ponendo fine all’esistenza di quella creatura maledetta. Voleva il potere degli dei? Benissimo, lo avrebbe spedito all’inferno con le sue stesse mani, a costo di accompagnarlo di persona.
Per colpa sua, aveva rischiato di perdere Videl… Per colpa sua, Goten aveva fatto del male a Trunks. Per colpa sua, aveva dovuto separarsi dal suo maestro Junior. Non avrebbe mai e poi mai avuto pietà di lui. Né di lui, né di questo fantomatico Oozaru che continuava a non mostrare il suo viso.
La rabbia stava nuovamente montando nel giovane guerriero. Era una rabbia incontrollabile, qualcosa che non aveva niente a che fare con quella che gli aveva permesso di trasformarsi nel mitico super saiyan e che gli aveva permesso di sconfiggere Cell. Era qualcosa di nuovo, di sconosciuto, e cresceva in modo spropositato.
Le sue mani avevano cominciato a tremare.
Vickas lo stava guardando con quei suoi occhi a tratti privi di emozione.
Vickas lo stava deridendo.
Vickas lo stava sfidando.
E lo stava per fare. Stava per trasformarsi e ucciderlo. E lo avrebbe fatto, se solo qualcuno, qualcuno che non si sarebbe mai aspettato di vedere, non lo avesse fermato.
“Figliolo… No”.
Era stato un attimo, eppure, era certo che si trattasse di lui.
Non avrebbe mai confuso la sua voce con quella di un altro, né mai avrebbe potuto accadere una cosa simile con il suo aspetto. Eppure… Eppure, quello che lo stava guardando con occhi stanchi e severi non era Junior… Quello che aveva davanti, era il povero Vegeta.
“Io… Io…”.
Non riusciva a trovare le parole. Era veramente così stanco da aver avuto un’allucinazione? O Vickas era talmente potente da fargli vedere quello che più gli andava a genio?
Senza neanche rendersene conto, aveva nascosto per un attimo il viso dietro i palmi delle mani, traendo un respiro profondo. Vegeta non aveva lasciato la sua spalla per tutto il tempo. Era strano ricevere da lui un contatto fisico. Vegeta era sempre schivo, riservato, e non gli era mai capitato di vederlo anche solo accennare una carezza o un abbraccio verso qualcuno che non facesse parte della sua famiglia. In realtà, anche verso di loro non gli era parso di vedere chissà quale estremo slancio di affetto.
Eppure, era proprio lui quello che lo stava ancora osservando con quei suoi occhi tristi, forse un po’ persi, ma ancora carichi di quella forza che lo aveva da sempre contraddistinto e che lo aveva sempre portato a rimettersi in piedi dopo ogni sconfitta, dopo ogni rovinosa caduta. Forse, non lo aveva mai avuto così vicino, se non nelle rare occasioni in cui si erano scontrati. Improvvisamente, gli era tornato in mente quell’episodio, sul pianeta Namecc, in cui lo aveva invitato a schierarsi dalla sua parte. Lo aveva accarezzato, e poi lo aveva tradito.
Quello che aveva davanti era lo stesso Vegeta di quella volta, eppure, era diverso. Il suo aspetto poteva anche essere lo stesso, ma il suo sguardo no, così come non era lo stesso il cuore che batteva in quel petto devastato dal dolore fisico e da un dolore che veniva direttamente dall’anima.
“Vieni con me, Gohan… Te ne prego”.
E lo aveva seguito, senza chiedere dove volesse portarlo e cosa volesse da lui. Lo avrebbe seguito ovunque e avrebbe fatto qualsiasi cosa. Questo perché finalmente, per la prima volta, aveva capito che poteva realmente, ciecamente fidarsi di lui.

 
*
 
“Non devi credere a tutto quello che ti dice” – aveva esordito l’attuale re dei saiyan, raccogliendo dal ruscello dell’acqua fredda e limpida da una foglia superstite che usavano come ciotola, offrendola poi al giovane Son. Le mani di Vegeta, solitamente rivestite da candidi guanti, erano in parte coperte da bende, in parte, mostravano chiaramente i segni dell’ustione che si era causato per salvare suo fratello e la figlioletta di Crilin e C 18.
La neve continuava a cadere, lenta, silenziosa, inesorabile. Era già riuscita a ricoprire gran parte del terreno con il suo manto biancastro, e il freddo cominciava a diventare estremamente pungente. Qualche fiocco era caduto anche nella foglia colma di acqua che Vegeta gli stava offrendo. Si era soffermato a osservarla per qualche minuto, prima di prenderla. Aveva cercato di fare attenzione a non sfiorare le mani ferite di Vegeta, ma aveva ottenuto scarsi risultati. Le sue dita avevano toccato inavvertitamente i dorsi fasciati, causando sul suo viso una piccola ma percepibile smorfia di dolore.
“Mi dispiace…” – si era scusato, pentendosene un attimo dopo. Non era la sua pietà che voleva, Vegeta. Avrebbe dovuto immaginarlo.
“Tsk… Non farlo, Gohan… Ti prego. Almeno tu, non farlo”.
Cosa? Cosa non doveva fare? Non doveva avere pietà di lui? Non doveva essere dispiaciuto? No. Certo che non doveva. Vegeta voleva aiuto, evidentemente, non suscitare pietismi nelle persone che lo circondavano. A volte, era un perfetto idiota.
Imbarazzato più che mai, aveva chinato il capo, perdendosi per un istante nell’acqua limpida che aveva iniziato a cadere dai bordi della foglia piegati alla meno peggio. E, allora, aveva sorriso, mesto, e aveva bevuto, ringraziando silenziosamente l’uomo che aveva davanti per quel gesto di amicizia inaspettato.
“Io non mi fido di lui” – aveva esordito, prendendo coraggio.
Vegeta gli dava le spalle. Non aveva più la sua posa eretta, da uomo impassibile: stava leggermente curvo in avanti, e continuava a mantenere il peso tutto sulla gamba destra. Non stava bene. Per quanto Vickas lo avesse aiutato, le ferite e la sorte toccata a Trunks lo avevano devastato.
E lui cosa aveva fatto per aiutarlo? Niente. Assolutamente nulla. Si sentiva estremamente in colpa. Ma le cose sarebbero cambiate. Poteva contare su di lui. Anzi, gli avrebbe chiesto scusa per non averglielo consentito in precedenza, e…
“Non lo so, Gohan”.
“Come?” – non lo sapeva? Stava davvero provando a dirgli che si fidava delle parole di Vickas?
Un lungo istante di silenzio aveva preceduto le motivazioni fornite da Vegeta. Gohan non sapeva se erano la stanchezza, il dolore o la rassegnazione a farlo parlare, ma non poteva credere che pensasse realmente di potersi fidare di chi aveva ingannato sua moglie e aveva fatto del male a lui e a suo figlio.
“Sai, per tutta la mia vita, hanno provato a ingannarmi. Mio padre, è stato il primo. Mi aveva detto che sarei stato il guerriero saiyan più forte mai nato, e non stato così. Freezer mi aveva raccontato che il mio pianeta era stato distrutto da un meteorite, e anche questo era falso. Io stesso ho provato a prendermi in giro, quando ho concesso a Babidi di prendere possesso della mia mente per diventare più forte, perché desideravo ardentemente tornare a essere il cinico guerriero di un tempo. Eppure, ogni singola volta, qualcosa dentro di me, qualcosa che non so spiegare, mi suggeriva l’esatto opposto, che le cose non erano come volevano farmi credere, o come volevo credere io stesso. Ma, nella mia estrema cocciutaggine, mi rifiutavo di capire, mi rifiutavo di vedere.
Ora come ora, credo che questa sia un’offesa alla mia intelligenza. Ma cosa posso farci… Ho un carattere difficile, no?”.
Non cercava approvazione. Era una sorta di ammissione di colpe, e Gohan continuava a non capire perché ne stesse parlando proprio con lui.
“Sono stanco, Gohan… Forse è per questo che parlo in questo modo. O forse, sono semplicemente impazzito, non lo so. Ma non so come venire a capo di questa situazione”.
“Vegeta… Io farò tutto quello che mi chiederai, ma…”.
“È questo, il punto… Siete tutti convinti che io sappia cosa fare. Non so perché sia così. Forse perché sono un saiyan. Ma io non so cosa si debba fare, adesso. Trunks… Lui sta…” – e aveva lasciato la frase in sospeso.
“No, Vegeta, no! Non devi pensare a queste cose! Noi lo salveremo!” – come gli era venuto in mente di pensare a una simile eventualità? Trunks sarebbe guarito. Tutti loro sarebbero guariti e avrebbero sconfitto Oozaru e punito Vickas! Perché si stava perdendo d’animo in quel modo?
Vegeta aveva preso un profondo sospiro e aveva chinato il capo, chiudendo gli occhi. Gohan era certo di non aver mai visto quell’espressione sul suo viso, mai. Neanche quella volta sul pianeta Namecc, quando era stato ucciso da Freezer.
“Vickas… Oozaru… Io non so neanche contro chi stiamo combattendo, ormai. Ma credo in una cosa, Gohan. Che il mio nemico, ora come ora, sia il tempo”.
“Il tempo?”.
“Io non ho più tempo. Trunks non ha più tempo. Ce ne stiamo qui, nascosti… Terrorizzati. Forse, anche rassegnati. E non ho più tempo per salvare chi ho giurato di proteggere”.
Aveva iniziato a tremare. Poteva vederlo chiaramente. Il panico lo aveva assalito. Non avrebbe sopportato di vederlo piangere, non di nuovo, non in un momento come quello.
“Che cosa vuoi fare, Vegeta?”.
Aveva preso un lungo respiro prima di rispondere.
“Gohan, dovete controllarvi” – improvvisamente, era tornato a essere quello di un tempo. Era impressionante il cambiamento che il giovane Son aveva visto in Vegeta in termine di qualche istante. Prima sembrava spacciato, e ora, eccolo lì, che gli impartiva ordini.
“Emmm… Io non capisco”.
“Siete vittime dell’influenza di quella bestia di Oozaru. E vittime dell’odio che provate nei confronti di Vickas. Fidati, ragazzo, nessuno dovrebbe avercela con lui più del sottoscritto, ma non è questo il momento. Lui vuole essere aiutato, vuole essere liberato. Non lo nego, ci ha ingannati, usati, sfruttati. È solo colpa sua siamo nella condizione che siamo, ma…”.
“Vegeta…”.
“Aiutami a trovare il tempo, Gohan. Aiutami”.
Non capiva. Di che cosa stava parlando? Lo avrebbe aiutato, certo, ma doveva permettergli di capire.
“Farò tutto quello che vuoi, Vegeta. Te lo prometto”.
“Allora, prova a fidarti di Vickas”.
“Ma… Ma lui…”.
“Ho capito, Gohan. Lo so. Ma non ho soluzione. Fidati di lui… Fidati di me, e aiutami a recuperare almeno un po’ di tempo”.
“Come posso fare?”.
“Tu non riesci a vederlo… Non è colpa tua… Alcune delle tue abilità sono ancora sopite. Ma fidati, se tu fossi in grado di andare oltre il suo aspetto esteriore, di concentrarti sulla sua aura e di vedere qual è il suo aspetto reale, ne rimarresti sconvolto”.
Ma di cosa stava parlando?
“Lui ti osserva, Gohan. Ti brama”.
“Eh?” – la cosa stava diventando inquietante.
“E sai perché?”.
No, come avrebbe potuto immaginarlo?
“Perché lui era esattamente identico a te”.

 
*

“Sei tornato, amore mio! Cielo che sollievo, come sono contenta!”.
Chichi era euforica. Quando Goku aveva deciso di uscire da solo, era piombata nello sconforto, aumentato nel constatare che anche Gohan aveva seguito le sue orme, questo prima di rendersi conto che fosse in compagnia di Vegeta.
“Sì, sono tornato! E guardate qui: stasera si mangia!”.
“Oh Goku, sei il migliore!” – Crilin aveva quasi le lacrime agli occhi. Quel pezzo di carne non identificato era gigantesco. Li avrebbe sfamati per giorni se fossero riusciti a conservarlo in maniera adeguata.
“Mi metto subito all’opera!”.
Chichi non aveva perso tempo, attizzando il fuoco e iniziando a preparare la carne prima di cuocerla. Quel pasto avrebbe alleggerito gli animi di tutti.
 E poi, non aveva potuto non notare la bizzarra espressione che era apparsa sul volto di suo marito. Gli era capitato qualcosa, qualcosa di positivo che non riguardava solo la cena. Prima o poi glielo avrebbe detto, ne era certa. Per ora, avrebbe fatto meglio a sfamare tutti i presenti.
“Dove sono Gohan e Vegeta?” – aveva chiesto a Satan e al maestro Muten.
“Sono qui fuori” – contrariamente a quanto si aspettava, era stato Vickas a rispondere – “Sai, decidono della mia sorte… Hanno pareri contrastanti, a quanto sembra”.
Quella constatazione lo aveva lasciato di sasso. L’occhiata lanciatagli da Vickas, poi, lo aveva raggelato. Perché sembrava che continuasse a giocare al gatto e al topo? Anzi, al gatto e ai topi? Cosa non riusciva a vedere?
“Non guardarmi così, Son Goku. Lo so che non ti fidi di me”.
“E dimmi… Faccio bene, Vickas?”
Era calato il silenzio tra i presenti. Nessuno si aspettava un simile risvolto.
Goku guardava Vickas, e Vickas guardava Goku. L’aria era diventata tesa, irrespirabile.
E poi, prima che potessero anche solo capire quello che stava accadendo, era successo: Vickas aveva attaccato Goku.
“NO! FERMATEVI!”.
Le urla di Chichi non erano servite a nulla, così come non era servito a nulla il tentativo di intervento del piccolo Goten e di Crilin.
I due stavano combattendo all’ultimo sangue, scatenando una potenza che poche volte avevano avuto modo di vedere. Pugni, calci, onde di energia stavano illuminando l’angusto spazio costituito dalle rocciose pareti della caverna, costringendo i presenti a trovare riparo.
Bulma si era nascosta nei pressi dell’ingresso, stringendo Trunks tra le braccia, pronta a fuggire una volta trovato il momento più opportuno.
“FERMATI! GOKU, FIGLIOLO, BASTA! O VERRA’ TUTTO GIU’!” – ma persino la richiesta di Muten era stata ignorata. Goku non sentiva niente, se non l’esigenza di battersi contro Vickas.
“Io voglio essere libero!” – aveva tuonato, inesorabile – “Voglio tornare a essere libero!” – e aveva continuato a colpire Goku.
“Non te lo permetterò, Vickas!”.
“Invece sì, lo farai eccome!”.
Le cose erano precipitate prima ancora che Goku potesse avere il tempo di capirlo. Gohan e Vegeta, allarmati dal trambusto proveniente dalla grotta, erano accorsi, e l’attenzione di Vickas si era immediatamente spostata sul maggiore dei figli Son.
Ora, era Gohan l’avversario di Vickas.
“GOHAN! NO!” – Vegeta avrebbe voluto farlo, avrebbe tanto voluto farlo, ma non ne aveva la forza. Come intervenire se a stento si reggeva in piedi? Il suo discorso non aveva sortito nessun effetto, allora? Era stato tutto vano? – “Kaharot… Fermalo!”.
Ma Goku non riusciva a muoversi. Era come prosciugato, svuotato. Ed era caduto sulle ginocchia, incapace di alzarsi e di respirare regolarmente.
“Mi serve tempo… Mi serve tempo per… Per…” – e i suoi occhi si erano posati su sua moglie e su suo figlio, debole, esangue, più stanco che mai.
Non poteva permettere che ciò accadesse. Lui non si era sbagliato. Lui non… Non…
“FERMATEVIIIIII!”.
Se gli avessero chiesto come aveva fatto, dove aveva trovato tutta quella forza, non avrebbe saputo rispondere. Eppure, eccolo lì, a splendere nel buio come solo un super saiyan poteva fare. Eccolo lì, a difendere la sua idea, a prendersi il tempo che gli mancava. Non lo avrebbe permesso. Non avrebbe permesso alla stanchezza di vincere. Doveva aiutare suo figlio, doveva aiutare chi amava. E niente glielo avrebbe impedito.
“HO DETTO BASTAAAAA!!!”.
Aveva atterrato Vickas sferrandogli un solo, potentissimo colpo al ventre. Il sacerdote saiyan si era piegato in avanti e aveva vomitato sangue, prima di cadere al suolo.
Gohan era atterrato accanto a lui, tenendolo fermo, inchiodato al suolo. La sua aura sembrava niente a confronto di quella di Vegeta, ma qualcosa gli suggeriva che nulla, in quella grotta, fosse capitato per caso. E poi, era successo. Vickas aveva riso, e gli aveva detto l’ultima cosa che avrebbe creduto di poter udire, prima di spirare sotto i suoi occhi.
“Adesso lo so… Adesso so che potete fermarlo”.
E, senza sapere come, o perché, il giovane Son si era sentito invadere di una nuova forza, una forza mai provata prima di allora. E quello che era stato fino a pochi istanti fa un dubbio, non aveva potuto che diventare una certezza. Alla fine dei conti, Vegeta aveva davvero avuto ragione.

Continua…


Eccomi qui!
Puntualissima, stavolta! ;)
Ci siamo quasi, ragazze. Non mancano tantissimi capitoli alla fine di questa storia. Sono a dir poco elettrizzata.
Ma cosa sarà capitato a Gohan? E a Goku? E dove ha preso tutta quella forza, Vegeta?
Lo scopriremo presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 36
*** Puoi chiudere gli occhi ***


CAPITOLO 36

Puoi chiudere gli occhi

 
Il trambusto che aveva caratterizzato quell’evento così improvviso non aveva permesso a nessuno dei presenti di agire in maniera razionale, logica, men che meno tempestiva.
Mai avrebbero potuto pensare a un gesto così avventato, così sciocco, così inspiegabile. Così come non avrebbero potuto spiegarsi il perché Goku fosse stato incapace di controllare la propria forza e, ancor meno, fosse stato incapace di fermare il nemico, di arrestare quella sorta di suicidio programmato messo in atto da Vickas. Il Son era sempre stato il loro punto di riferimento. Goku era colui che risolveva ogni genere di problema, che sconfiggeva i nemici dopo essersi divertito un po’, era colui che non aveva mai fallito. Invece… Invece, quella volta, era toccato a Vegeta giocare questo ruolo. Perché Goku non era più riuscito a muoversi, ritrovandosi sfinito improvvisamente. Perché si era dovuto fermare, cercando di espandere il più possibile la propria cassa toracica e permettere all’aria di tornare a circolare. Perché si era sentito venir meno. E perché, i presenti ne erano sempre più convinti: Vickas aveva voluto che le cose andassero così.
Questo non era un demerito nei riguardi di Vegeta. Tutti erano consapevoli della sua forza, del suo valore. Ma, allo stesso tempo, sapevano perfettamente che il re dei saiyan fosse in qualche modo l’eterno secondo, colui che era sempre un passo indietro rispetto a chi aveva sempre definito un’inutile terza classe.
Bene, in quel frangente, il passo indietro sembrava essere stato non solo colmato, ma sembrava essere diventato tale a sfavore di Goku.
Neanche il diretto interessato era riuscito a spiegarsi questo suo nuovo potere, questa energia che, improvvisamente, aveva sentito scorrere nelle vene. Era stata come un’ondata che, nonostante si fosse propagata da lui, lo aveva allo stesso tempo investito, sconvolgendolo.
Aveva capito sin da subito che qualcosa non quadrava. D’accordo, era stato ferito gravemente dalle fiamme magiche prodotte dall’intervento di quello che avevano sempre definito quel verme di Vickas, ma era quasi certo che il verme, stavolta, non avesse messo in pratica un intervento così verminoso come poteva sembrare.
Non era certo che gli altri lo avessero visto. Così come non era certo di averlo visto egli stesso. La concitazione del momento, la furia che lo aveva investito, la voglia di fermare quella creatura di cui aveva ammesso di fidarsi ma che continuava a compiere atti che andavano al di là dell’umana comprensione, potevano averlo confuso. Eppure, a giudicare dall’espressione che aveva visto sul volto di Gohan, qualcosa di giusto doveva averlo pur visto.
“Io non… Non… Io non capisco… Non capisco…”.
Gohan stava tremando. Quel fremito incontrollabile era partito dalle mani per poi propagarsi per tutto il corpo, travolgendolo, sconvolgendolo allo stesso modo o forse anche di più di quello che si era palesato davanti ai suoi occhi, davanti agli occhi di tutti.
“Vegeta… Vegeta… Ti prego… Dimmi che lo hai visto… Dimmi che-che…” – non aveva finito la frase, perché era caduto al suolo, sbattendo con forza il coccige. In un’altra circostanza, sarebbe stato un evento quasi comico. Ma, in quel frangente, non vi era nulla di tale.
Questo perché Vickas non era semplicemente passato a miglior vita. Questo perché Vickas, prima di spirare e sparire letteralmente nel nulla, di dissolversi come neve al sole, aveva assunto quello che era il suo aspetto originario, dando la possibilità a Gohan di capire cosa realmente volessero dire le sue parole. Questo perché Gohan, sembrava l’esatta copia, il gemello, il clone di Vickas.
Il re dei saiyan non aveva risposto immediatamente. Aveva lasciato che i presenti riacquistassero sicurezza, che decidessero di avvicinarsi perché si sentivano nuovamente al sicuro, per quanto questo potesse sembrare impossibile. Chichi aveva soccorso Goku, aiutandolo a rimettersi in piedi. Il Son aveva ancora qualche difficoltà, ma aveva cercato di dissipare la paura che aveva assalito la moglie e il figlioletto. Stava bene veramente, del resto. Certo, aveva un bel capogiro, ma la situazione sarebbe rientrata al più presto. Doveva rientrare. E non poteva più permettersi distrazioni o cedimenti.
“Mai avrei pensato di poter assistere a una scena simile” – aveva ammesso, candido, Mr. Satan – “E dire che ne ho viste tante. Con Cell, con Bu… Ma questo… Questo è troppo anche per uno come me”.
Forse, per una volta, non si stava dando le solite arie. Forse, per una volta, aveva veramente ragione. Quello era un evento straordinario, un evento inspiegabile che non avrebbero potuto elaborare in fretta. Ma, quello che avevano visto, cosa significava?
Perché i due si somigliavano così tanto? Perché Vickas li aveva attaccati? E, soprattutto, cosa voleva dire che aveva finalmente capito che potevano battere Oozaru?
Le domande che avevano da fare erano tante, tantissime, e forse, non avrebbero mai avuto una risposta. Stava di fatto che Vickas, chiunque egli fosse realmente e qualunque fosse il suo vero aspetto, non si trovava più con loro e, forse, non sarebbe tornato mai più.
“Non possiamo rimanere qui” – aveva detto Videl, seria, apparentemente imperturbabile, ma in verità timorosa per la sorte toccata al suo Gohan – “Cambiamo posto. C’erano delle caverne più spaziose, a qualche chilometro da qui. Potremo accendere un fuoco più grande e potremo mangiare. Dopo, a stomaco pieno, forse riusciremo a capire qualcosa in più di quello che è successo”.
E, senza aspettare di ricevere smentite o conferme, aveva aiutato Gohan ad alzarsi ed entrambi si erano diretti presso l’uscita, seguiti, poco dopo, da suo padre, da Yamcha e da tutti gli altri.
Solo tre di loro si erano attardati, e non era difficile immaginare di chi si trattasse.
“Vegeta… Tu puoi spiegarci qualcosa?” – Chichi glielo aveva chiesto con una gentilezza che non le apparteneva, solitamente. Il suo tono era stato pacato, timoroso, ma estremamente dolce. Era quasi come se temesse di infastidirlo, di urtare la sua sensibilità, resa ancora più fragile e più preziosa dal semplice fatto che lei era stata in grado di scoprirla, di vederla, solo da pochissimo tempo.
“Non lo so, Chichi… Non so se ne sono realmente in grado. Non so neanche se ho veramente capito che cosa stia succedendo. Ma dobbiamo fermare Oozaru”.
E, così dicendo, aveva seguito il resto del gruppo, ma prima aveva posato per un lungo istante gli occhi sul suo unico figlio, sospirando in maniera impercettibile. Era impossibile che solo Bulma non fosse in grado di rendersi conto di aver ferito suo marito molto più di quanto avessero mai fatto i colpi ricevuti in battaglia.

 
*

Avevano cenato, alla fine dei conti.
Nessuno di loro sapeva bene come avesse fatto a mandare giù il cibo, ma stava di fatto che ciò era successo.
Era come se tutti loro stessero andando avanti per inerzia, come se stessero vivendo una realtà che tale non era, come se fossero i protagonisti di un sogno che sarebbe potuto terminare da un momento all’altro, appena la sveglia, o il gallo, avessero deciso di entrare in scena.
Chichi, aiutata da Videl e – stranamente – anche da C 18, aveva cucinato il pezzo di carne di dubbia provenienza che Goku aveva portato con sé. Quest’ultimo, dopo un po’ di incoraggiamento, aveva cominciato a mangiare di gusto, fermandosi per decenza e solo per evitare che gli altri patissero ancora la fame a causa della sua ingordigia. C’era da dire, però, che quello era veramente uno strano pezzo di carne. Sembrava che, a ogni morso, a ogni strappo, a ogni taglio, si rigenerasse la porzione che era appena stata portata via. Ciò aveva causato non poco turbamento nei presenti, soprattutto in Chichi, che continuava a chiedere al marito da quale animale avesse prelevato quel trancio così succulento e invitante. La reticenza di Goku, la vaghezza delle sue risposte, l’aveva irritata e non poco, ma come avrebbe fatto a tenergli il muso dopo che lui l’aveva guardata negli occhi, le aveva sorriso e le aveva chiesto di fidarsi di lui? Suo marito era l’uomo più buono che avesse mai avuto l’opportunità di conoscere. Si era innamorata di lui anche e soprattutto per questo motivo, e si era fidata ciecamente sin dal primo istante. Che importava se il cibo era incantato? Goku doveva avere i suoi motivi per essere così misterioso, e lei non avrebbe più fatto domande inopportune. Anche perché, a onor del vero, colui che doveva essere tempestato di domande, era un certo re che se ne stava seduto da solo, in disparte, con la schiena poggiata alla parete del loro rifugio, le ginocchia piegate, gli avambracci poggiati su di essi, le mani penzolanti, e lo sguardo fisso verso il nulla.
Era a disagio.
Sapeva che Vegeta stava soffrendo, e non riusciva a sopportare di vederlo in quelle condizioni. Non aveva mai nutrito particolare simpatia, per lui, lo sapevano tutti, ma le cose erano drasticamente mutate. Certo, non che lo ritenesse l’uomo migliore dell’anno, ma quello che gli aveva visto fare, il modo in cui lo aveva visto agire, era un qualcosa che pensava di non poter mai associare a colui che aveva da sempre considerato un mostro sanguinario dedito solo alla lotta e alla distruzione.
Aveva salvato Goten e la figlioletta di Crilin. Era quasi morto per trarli in salvo dalle fiamme, e continuava a portarne le conseguenze sulla pelle. Le ustioni, curate in qualche modo da lei e da quel pazzo di Vickas, dovevano dolergli in maniera inimmaginabile, ma sul suo viso non si leggeva niente se non una piccolissima, quasi impercettibile smorfia nei momenti in cui compiva qualche movimento più brusco.
Per Chichi era stato strano approcciarsi a lui in modo così intimo. Non aveva mai sfiorato la pelle di un altro uomo all’infuori di quella di suo marito, e si era per un attimo sentita in imbarazzo. Lo stomaco le si era torto fino a farle male e aveva cominciato a provare una strana sensazione sulle labbra e in bocca, quasi come se la sua salivazione avesse deciso di bloccarsi improvvisamente.
Forse, per la prima volta, cominciava a capire che cosa Bulma avesse visto in lui. Si era sempre chiesta come avesse fatto, la sua amica, ad accettare una creatura del genere al suo fianco, come avesse potuto non averne paura.
Ma ora che era lì, ora che aveva avuto modo di vederlo per ciò che era realmente, aveva capito. E non riusciva ad accettare che i loro ruoli si fossero quasi ribaltati. Se persino lei, a volte così cocciuta e intransigente, era stata in grado di andare oltre quella corazza di egoismo e cinismo che Vegeta si ostinava a voler indossare, perché Bulma si era imposta di fare l’esatto opposto? Da cosa scaturivano tutto quell’odio, tutto quel rancore, tutto quel risentimento?
Trunks non stava bene, e non avevano idea di cosa avrebbero potuto fare per salvare il piccolo. Vickas, da questo punto di vista, non era stato particolarmente incoraggiante. Ma il giovane saiyan dai capelli lilla, nei pochi momenti di lucidità che ancora lo investivano, continuava a chiedere con insistenza di suo padre, quel papà che continuava a guardarlo da lontano con occhi tristi e pieni di terrore.
E Chichi, per la prima volta in tutta la sua vita, si era ritrovata nella condizione di dover reprimere a fatica dei sentimenti nuovi. O meglio, dei sentimenti già provati ma ora indirizzati verso persone nuove. Eppure, aveva strenuamente, costantemente deciso di reprimerli. Forse, se Yamcha l’avesse per un attimo lasciata da sola, avrebbe parlato con Bulma, sgridandola, cercando di farla tornare in sé. Ma con Vegeta… Con lui era tutta un’altra storia. Non aveva il coraggio di avvicinarsi a lui. Non di nuovo. Non a cuor leggero. Quella sensazione all’altezza dello stomaco l’avrebbe uccisa, e non sarebbe stata in grado di proferire parola. Una cosa, però, l’avrebbe fatta, ed era quella che cercava di evitare più di ogni altra, perché era certa che, dopotutto, abbracciare Vegeta, stringerlo forte e dirgli che sarebbe andato tutto bene, sarebbe stato estremamente imbarazzante e sconveniente.
“A cosa stai pensando?”.
Goku aveva interrotto il filo dei suoi strampalati pensieri, facendola sobbalzare. Non sapeva se suo marito si fosse accorto che aveva fissato Vegeta con insistenza, e la cosa l’aveva messa profondamente a disagio.
“Niente… A niente…”.
“Chichi… Sarò ingenuo, ma non stupido…” – ciò detto, l’aveva abbracciata. Non lo faceva molto spesso, e mai in pubblico, ragion per cui l’aveva completamente spiazzata. Era arrossita, e aveva nascosto il viso sul petto del marito, inspirando profondamente il suo odore. L’odore di casa.
“Sono preoccupata… Tanto…”.
“Sì, anche io…”.
Stavano bisbigliando. Nessuno li avrebbe sentiti, ma non volevano essere inopportuni o sembrare invadenti. Erano marito e moglie che condividevano le stesse preoccupazioni verso una coppia di amici che sembrava essersi irrimediabilmente separata, e che aveva un bambino la cui sorte sembrava ogni istante sempre più preoccupante.
Osservando la situazione dall’esterno, in maniera molto più distaccata, qualcuno avrebbe potuto considerare a dir poco assurdo un simile atteggiamento da parte loro, considerando la tragedia che stavano vivendo. Con Oozaru in circolazione, il loro principale desiderio era quello di veder tornare la pace tra Bulma e Vegeta. Il punto, però, era proprio questo: non stavano giocando al Dottor Stranamore*. Chichi e Goku erano stati più volte vittime degli eventi e, dopo mille peripezie e dopo una lunga assenza da parte del Son, avevano finalmente compreso che era solo restando uniti che avrebbero potuto risolvere ogni guaio e vincere qualsiasi battaglia. Era per questo che la loro apprensione aumentava sempre più. Se non riuscivano a collaborare, se Oozaru – o Vickas – erano riusciti a separarli, cosa sarebbe accaduto quando sarebbe giunto il momento cruciale della battaglia? Aveva già vinto in partenza, a quel punto. E questo, loro, non potevano permetterlo.
Ma cosa avrebbero potuto fare?
Sembrava che a un passo avanti, ne facessero mille indietro.
Quando Vickas li aveva attaccati, Goku aveva provato a fronteggiarlo, ottenendo scarsi risultati. Paradossalmente, Vegeta lo aveva non solo fermato: lo aveva ucciso, e Gohan – per quanto avevano potuto capire – aveva subito le dirette conseguenze della morte del sacerdote saiyan. Quali fossero queste conseguenze non gli era ancora stato concesso di capirlo, ma qualcosa suggeriva a entrambi che non ci sarebbe stato poi tanto da attendere.
Trunks stava davvero male. Nessuno, all’infuori di Vegeta, voleva ammetterlo. Men che meno sua madre. Chichi e Goku non potevano biasimarla per questo, ma non potevano accettare quell’odio gratuito che aveva mostrato nei riguardi di Vegeta. Lui era stanco, ferito, provato, incapace di darsi una risposta alle mille domande che si stava ponendo, incapace di capire perché fosse sempre tutta colpa sua. La verità era che, entrambi, lo stavano osservando mentre si spegneva lentamente. Se non aveva ancora mollato, se non aveva ancora gettato la spugna, era solo stato per amore di quel bambino che non aveva il permesso di avvicinare. Quanto doveva amare lui e Bulma per accettare una simile condizione?
Goten, poi… Temevano che non si sarebbe mai ripreso dallo shock di aver ferito mortalmente il bambino che amava come un fratello. Da quando erano rientrati dalla fortezza di Vickas, la luce nei suoi occhi si era spenta. Sembrava che non ci fosse differenza tra i suoi occhi e quelli di Vegeta: erano pozze nere di dolore e paura mal celati e che sembravano provenire direttamente dalle loro anime.
Crilin, C 18, Satan e tutti gli altri… Be’, forse era per loro che non avevano ancora smesso di lottare. Per loro, e per tutte le donne e i bambini che Oozaru aveva deciso di rendere suoi schiavi.
No, non potevano permettergli di vincere. Non potevano e basta. Sarebbe stato meglio morire, a quel punto, ma almeno essere finalmente liberi dalla paura che li stava divorando sino all’osso.
“Che cosa facciamo?”.
Chichi glielo aveva chiesto di punto e in bianco. Un altro, al suo posto, si sarebbe meravigliato, ma non Goku. Lui sapeva che sua moglie era perfettamente in grado di percepire ogni suo stato d’animo, ogni idea, ogni reazione, e anche in quel caso, era stato come se avessero fatto quel ragionamento ad alta voce, magari davanti a una buona tazza di caffè, o stesi sul letto, mentre cercavano di rilassarsi dopo una dura giornata di lavoro. Erano fatti l’uno per l’altra. Così come lo erano Bulma e Vegeta. C’era solo bisogno che qualcuno lo ricordasse alla donna dai capelli color turchese.

 
*

“Ha ricominciato a nevicare” – Videl lo aveva detto quasi senza essersene accorta. La cena aveva bene o male ristorato tutti, e il fuoco attorno a cui si erano stretti aveva evitato che morissero congelati. Purtroppo, la magia della neve avrebbe potuto tramutarsi per loro in una trappola mortale. Ma dovevano rimanere nascosti. Oozaru era lì fuori, ovunque si trovasse. E Oozaru era estremamente pericoloso.
Gohan, ancora stravolto dopo quello che gli era capitato, aveva stretto a sé la fidanzata, facendola arrossire. Non erano soliti scambiarsi effusioni in pubblico, ma quella era una circostanza speciale. Paradossalmente, era Gohan quello ad avere più bisogno di attenzioni. Non riusciva ancora a capire come si sentisse, cosa provasse. Avvertiva un profondo cambiamento, ma non era in grado di percepirne la reale essenza. Certo, c’entrava sicuramente Vickas. Ma avrebbe dovuto ringraziarlo o maledirlo?
Non si era fidato di lui neanche per un istante, neanche dopo il discorso che gli aveva fatto Vegeta. Che il re dei saiyan fosse in grado di percepire qualcosa che per lui era rimasto un mistero, era l’unica cosa che aveva veramente chiara. Ma cosa poteva fare se non aspettare e vedere come sarebbero andate le cose? Se veramente lui e Vickas erano in qualche modo legati, lo avrebbe scoperto prima del previsto. Forse, alla fine, poteva anche essere che Vegeta avesse ragione. Avrebbe solo dovuto aspettare e vedere quale sarebbe stata l’evoluzione delle cose.
Videl si era appena accoccolata sul suo petto quando entrambi si erano accorti che Vegeta, di nuovo, fosse uscito fuori, al freddo, completamente solo. Continuava a non capire quel suo atteggiamento, quella forza improvvisa che aveva scatenato, il malessere accusato da suo padre e l’assurdità della situazione che stavano vivendo. Ma non poteva lasciarlo andare fuori da solo.
C’era qualcosa di diverso, in Vegeta, qualcosa che impediva loro di riconoscerlo nell’uomo burbero e cinico che avevano conosciuto. Certo, gli avvenimenti dell’ultimo periodo avevano sconvolto tutti, ma quel cambiamento era troppo radicale, troppo improvviso, troppo… doloroso. Sì, non avrebbe potuto trovare un termine diverso. Gli faceva male vedere Vegeta in quello stato, e aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse stata in suo potere per aiutarlo a stare meglio. Anche solo stargli accanto e offrigli un po’ di conforto.
“Vai pure…” – Videl non lo avrebbe mai ostacolato, ma non se la sentiva di accompagnarlo in quell’impresa. Non sapeva niente di Vegeta, e non voleva risultare inopportuna o invadente.
Così, Gohan l’aveva baciata sulla fronte e aveva seguito le orme di Vegeta, scoprendo che il re, in barba al freddo pungente e al vento gelido che si era appena levato, aveva abbandonato la maglia al suolo, cercando di trovare sollievo dal dolore grazie ai cumuli di neve che con delicatezza aveva posato sulle ustioni che lo deturpavano.
Lo aveva sentito mugugnare, e il cuore gli si era stretto in una morsa. Quanto dolore stava patendo? Quanta sofferenza? E questo per mano di Vickas e di Oozaru. Non era colpa di Vegeta. Non era colpa di nessuno di loro se stava capitando l’irreparabile. Ma non si sarebbero arresi. Mai. A costo di combattere sino alla morte, Oozaru non avrebbe trionfato.
“Vegeta…” – stava per dirgli qualcosa. Stava per dirgli che poteva contare su di lui, che sarebbe andato tutto bene, ma si era fermato all’improvviso. Le parole gli erano morte in gola, e la testa aveva cominciato a dolergli in maniera insopportabile. Una nausea inspiegabile lo aveva investito ed era come se avesse iniziato a levitare. Poi, senza sapere come, o perché, si era ritrovato immerso nel buio, a vagare senza una meta, in preda al panico più totale. E, senza che lui potesse comprenderne la ragione, lo aveva visto. In mezzo a quell’oscurità, colpito da un cono di luce che si allargava progressivamente verso il basso, aveva visto il piccolo Trunks, in piedi, immobile, con il braccio tinto dal rosso del suo stesso sangue che lo fissava con occhi colmi di rassegnazione e terrore.
Aveva provato a chiamarlo, ma nessun suono era uscito dalla sua bocca. Aveva provato a raggiungerlo, ma i suoi muscoli non rispondevano ai comandi.
E poi, lo aveva visto. Aveva visto due mani spuntare dal nulla e afferrare Trunks con disgustosi artigli ricurvi.
A quel punto, tutto si era dissolto nel nulla.
L’urlo spaventoso di Bulma, aveva smaterializzato quel luogo, riportandolo con i piedi per terra. Gohan stava tremando coma una foglia al vento.
Troppo sconvolto anche solo per dire qualcosa, non aveva fermato Vegeta, che, mezzo nudo, era tornato indietro, con lo sguardo colmo di terrore.
Che cos’era quella cosa che aveva visto? Cosa? Forse, per la prima volta in tutta la sua vita, Gohan, avrebbe preferito non saperlo.

 
*

“Che cosa succede?”.
Si erano riuniti tutti accanto a Bulma, facendo cerchio attorno a lei e al piccolo Trunks che, per qualche oscura ragione, aveva improvvisamente ricominciato a sanguinare dalla ferita sul braccio.
Nessuno sembrava aver udito la domanda concitata di Vegeta. Ma non aveva avuto bisogno di nessuna risposta. Trunks stava perdendo sangue, più di quanto non ne avesse mai perso in precedenza, e né Bulma, né Yamcha stavano facendo qualcosa per lui.
“Nooo… Piccolo mio… Nooo…” – Bulma sembrava impazzita. Continuava a stringere suo figlio, ad accarezzargli e baciargli i capelli con disperazione – “Fate qualcosa… Lui deve vivere… TRUNKS, NON PUOI MORIRE!”.
Lo aveva urlato disperatamente, alzandosi in piedi di scatto e afferrando un ciocco di legna ardente dal fuoco, ignorando il bruciore che aveva investito la sua piccola, delicata mano.
“NON FARLO!”.
Ma la supplica di Chichi non era stata ascoltata dalla donna, che aveva preso in mano la situazione e aveva spinto con tutta la forza che aveva quella punta ardente contro il morso sanguinante.
Trunks aveva gridato, svegliandosi di colpo. Aveva gli occhi pieni di lacrime, era sconvolto, e non riusciva a capire chi è che gli stesse procurando tutto quel dolore.
“Ma-Mamma…” – lo aveva sussurrato appena, ma era stato in grado di farsi sentire. Perché gli stava facendo una cosa del genere? Perché?
“BULMA, FERMATI!”.
“STA ZITTO, VEGETA! TUTTI VOI DOVETE STARE ZITTI, E DOVETE STARE INDIETRO!” – li aveva minacciati con quella rudimentale arma. Forse, il fuoco nei suoi occhi ardeva di più di quello che aveva appena posato sulla pelle di suo figlio – “Stammi a sentire, Trunks” – aveva incalzato – “Tu non morirai. Tu devi lottare. Devi rimanere con me, hai capito? RIMANI CON ME!”.
Ma, se in un primo momento sembrava che quel disperato tentativo fosse servito a qualcosa e che la ferita si fosse cauterizzata, così non era stato. Perché il sangue, quasi avesse deciso di prendersi gioco di loro, aveva cominciato a scorrere più copioso di prima.
Era stato a quel punto che era avvenuto ciò che tutti, forse, speravano sin dall’inizio. Vegeta non aveva proferito parola, ma aveva strappato il figlio, suo figlio, dalle braccia della madre, e lo aveva stretto al petto, incurante del dolore fisico e delle deboli proteste della moglie.
“Devi smetterla…” – le aveva detto, serio, severo – “Basta… Basta così” – e si era seduto come qualche ora prima, solo che le sue mani non erano più vuote, ma stringevano la cosa più preziosa della sua vita: stringevano il suo unico e solo figlio.

 
*

Non aveva idea di quanto tempo potesse essere trascorso. Forse minuti… Forse ore… Forse mesi o anni.
Era rimasto fermo, immobile, in silenzio, con Trunks tra le braccia e il dolore del corpo ormai del tutto offuscato da quello del cuore.
Tra i presenti, nessuno aveva osato dire o fare qualcosa, neppure Bulma, che si era abbandonata al pianto tra le braccia di Yamcha, prima di cadere in un sonno profondo e senza sogni.
Aveva gli occhi di tutti puntati addosso, lo sapeva bene, ma non gli importava. Non gli importava più di niente e nessuno, se non della creaturina ormai allo stremo che si era aggrappata alla vita con le poche forze che gli erano rimaste. Ed era proprio per lui se, con la voce tremante e quasi rotta dal pianto, si era accostato al suo orecchio, sussurrando le uniche parole che non avrebbe mai pensato di dirgli.
“Ehi…” – gli doleva la gola. Mio Dio com’era difficile.
Trunks aveva aperto gli occhi, a fatica, sorridendo come meglio poteva riuscirgli.
“E-ehi…” – aveva ricambiato in un sibilo impercettibile.
“Come va?” – che domanda stupida.
“Mmm…” – aveva mugugnato il piccolo, accennando un sorriso subito trasformatosi in una smorfia di dolore.
A quel punto, Vegeta non poteva più tirarsi indietro.
“Voglio che mi ascolti. Va bene, figlio mio?”.
“O-Ok…”.
Aveva chiuso gli occhi per un istante, inspirando profondamente prima di proseguire.
“Lo so che sei un guerriero… Tu sei un saiyan, proprio come me… E lotti. Lo so che sei forte e lotti… Ma…” – come poteva dirglielo? Come? Si era improvvisamente sentito venire meno. Ma non poteva tirarsi indietro. Non più, ormai – “Se sei troppo stanco… Trunks… Se sei troppo stanco, se vuoi, puoi chiudere gli occhi”.
Lo aveva fatto. Lo aveva fatto veramente. Aveva detto a suo figlio di lasciarsi andare. Aveva dato a suo figlio il permesso di morire. Perché Vegeta lo aveva capito sin da subito. Vegeta sapeva che Trunks stava stringendo i denti solo per lui e per Bulma, e sapeva che l’egoismo stava consumando il frutto del loro amore.
“Ma… La ma-mamma…”.
“La mamma capirà… Lei vuole che tu stia bene… Capito…? La mamma capirà…”.
Stava convincendo più se stesso che il suo piccolo, e lo sapeva, proprio come Trunks.
“Va bene così, figlio mio… Sono fiero di te. Mi hai reso orgoglioso come mai prima d’ora. Lo sai, vero?”.
Trunks gli aveva fatto un cenno, strofinandogli il capo sul petto, proprio all’altezza del cuore.
“Ho freddo” – aveva detto, e suo padre lo aveva stretto con più forza, facendo attenzione a non fargli del male.
Se Trunks avesse fatto attenzione, avrebbe sentito il cuore di Vegeta ridursi in milioni di piccoli frantumi. Se avesse potuto, lo avrebbe visto spegnersi insieme a lui. Ma Trunks non avrebbe potuto farlo. Perché il piccolo saiyan dai capelli lilla aveva esalato il suo ultimo respiro, spegnendosi tra le braccia di chi avrebbe dato la vita per lui.
Si era alzato all’improvviso, cercando di fare attenzione a non fare subire colpi bruschi al corpicino che aveva in braccio. Il suo sguardo era vuoto, assente, e non aveva udito la voce di chi gli chiedeva cosa fosse accaduto. Lui non era lì. Era andato via insieme a Trunks, ma nessuno se n’era ancora accorto.
“Vegeta?” – era stata Chichi la prima a chiamarlo, cercando di capire.
Ma lui niente. Lui non avrebbe mai potuto sentirla.
Si era semplicemente incamminato verso sua moglie e, stranamente, lei si era svegliata prima del suo arrivo.
Era stato allora che la mano di Trunks, inerme, era caduta verso il basso, verso quella madre che l’avrebbe accolta in qualsiasi situazione.
E Bulma, Yamcha, Chichi e tutti gli altri avevano capito: il piccolo Trunks non c’era più.
“No… No…” – aveva ripetuto, portandosi entrambe le mani alle labbra e poi accarezzando, tremante, la mano del figlio – “NO!”.
Era scoppiata in lacrime, imponendo a Vegeta di lasciare alle sue cure il figlio. Forse, avrebbe potuto fare qualcosa. Forse, era ancora in tempo!
“Trunks… Amore… Svegliati… Svegliati…” – ma lui non si sarebbe svegliato. Trunks, avrebbe riposato per sempre.
Aveva guardato Vegeta con occhi iniettati di sangue e aveva sputato su di lui tutto il suo odio, tutto il suo rancore – “Lo hai ucciso tu. Tu. È colpa tua se è morto. Io ti odio. Ti odio. E vorrei solo che fossi tu al suo posto”.
Era rimasto impassibile. Immobile. Questo, prima di darle le spalle e avviarsi verso l’uscita, sentendosi addosso gli occhi di tutti.
“Spero che tu soffra quanto ha sofferto lui” – aveva rincarato la dose lei, cinica, crudele.
Non riusciva a rendersi conto che, alla fine dei conti, Vegeta stava soffrendo molto, molto di più e che, se avesse potuto, avrebbe scambiato la sua vita con quella di suo figlio.

Continua…


Lettrici, lettori, ben trovati!
Eccomi qui, dopo una settimana di ritardo (perdonatemi, ero al mare ed ero senza connessione) con un capitolo che per me è speciale.
Vi ho già detto che siamo quasi giunti alla fine di questo mio scritto, vero? Mancano davvero pochissimi capitoli e, come avrete avuto modo di notare, l’Angst regna sovrano. Ora, io non so se ve lo avevo già accennato in precedenza in questa storia o in altre, ma quando inizio una Fanfiction, dovete sapere che parte tutto da una scena, da un momento, da un flash che, solitamente, fa capolino prima che io vada a letto. Di conseguenza – considerando che questo flash non è mai l’inizio della storia – diventa tutto un modo per arrivarci. E ci siamo. Perché il flash in questione, parte con Vegeta che prende in braccio suo figlio e lo invita a lasciarsi andare. Sì, forse ne ho avuto qualcun altro per questa storia in particolare, ma questo è quello principale. E vi dirò: non sono neanche soddisfatta pienamente di come è venuto su questo capitolo. Ma, per ora, va bene così.
Lo so. Starete pensando che sono stata un po’ OOC con alcuni personaggi: avete letto di abbracci, di baci, di effusioni e carezze, ma questa è la mia visione di una simile situazione. A volte si crolla. A volte, ci si scopre molto diversi da come si pensava di essere. Non mi sto giustificando, ma ci tenevo a spiegarvi il mio punto di vista. J
E so di essere stata ripetitiva. Ma era d’obbligo farlo per aiutarvi a calarvi nella situazione.
Ancora non ci credo che siamo quasi giunti al termine. Ancora non ci credo che Trunks non ci sia più.
Che altro posso dire?
Vi ringrazio per aver letto questo capitolo e – per chi lo ha fatto – averlo recensito.
Vi adoro.
A prestissimo!
Un bacio
Cleo

Ps: Dottor Stranamore è una citazione dal telefilm Grey's Anatomy
.

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Capitolo 37
*** Quell'immenso dolore ***


CAPITOLO 37

Quell’immenso dolore

 
Non c’era più.
Il suo adorato, forte, piccolo saiyan, l’unica vera gioia che la vita le avesse mai concesso, non c’era più.
Il suo cuore aveva smesso di battere, le sue palpebre si erano chiuse per sempre e nessuno, nessuno avrebbe mai più potuto restituirglielo.
Stavolta, non ci sarebbe stato un eroe pronto a sacrificare la vita per donarla a lui. Stavolta, non ci sarebbero state le sfere del drago a riportarlo indietro. Stavolta, non ci sarebbe stato niente all’infuori di quell’immenso dolore che la stava letteralmente divorando.
Era colpa sua.
Era solo ed esclusivamente colpa sua.
Gli aveva permesso di prenderlo, ed ecco il risultato. Ecco il frutto seminato dal mostro che era la causa di ogni singolo istante di dolore che avevano dovuto patire. Ecco che, come volevasi dimostrare, Vegeta non sapeva seminare nulla all’infuori di dolore, morte e disperazione.
Che cosa gli aveva mai fatto?
Cosa poteva aver fatto a quel bambino meraviglioso? Al frutto del suo ventre? Lo aveva strangolato, forse? Lo aveva soffocato? Non era stata in grado di scorgere segni di violenza su quel corpicino privo di vita, ma lui doveva avergli fatto qualcosa. Ne era certa. Finché era stato tra le sue amorevoli braccia, Trunks aveva lottato, si era difeso con le unghie e con i denti aggrappandosi alla vita e alla speranza di tornare a essere il bambino sano che tutti avevano avuto l’onore di conoscere.
Ma questo, non sarebbe mai più potuto accadere. Non avrebbe mai più visto gli occhi radiosi del suo bambino, non avrebbe mai più udito la sua risata.
Vegeta lo aveva ucciso.
Vegeta aveva ucciso suo figlio e lei non lo avrebbe mai potuto perdonare.
Mai.
Quel sentimento che stava provando, quella cosa che tutti chiamavano odio, si era insinuato in lei irrimediabilmente. Le radici, dapprima poco profonde, avevano cominciato a nutrirsi di quella linfa malvagia, sino a esplodere nell’istante in cui aveva compreso quello che era realmente avvenuto.
A quel punto, niente aveva più potuto tenere a freno la sua lingua, o il suo cuore.
Aveva vomitato addosso a Vegeta tutto quello che pensava, tutto quello che sentiva, augurandogli di soffrire, di morire, dicendogli che avrebbe preferito vedere lui morto, ma non Trunks. Non lui. Non il suo bambino.
Perché Trunks era suo e solo suo.
Non era mai stato loro. Non veramente, non completamente. Peccato solo che lo avesse capito troppo tardi, quando tutto era inutile, quando tutto era diventato ormai vano.
Avrebbe dovuto dare retta alle sue amiche. Avrebbe dovuto lasciar perdere quel farabutto bastardo che l’aveva messa incinta e si era tirato indietro, incurante di quello che una donna aveva bisogno in una fase così delicata della sua vita. Avrebbe dovuto lasciarlo e provare a riallacciare le cose con Yamcha, come avevano detto loro. Lui avrebbe capito. Avrebbe accettato di crescere il figlio di un altro, l’avrebbe perdonata per quel suo errore e sarebbero stati di nuovo felici. Sì… Avrebbe dovuto fare così dal primo istante. Così avrebbe tenuto lontano Trunks dai pericoli della lotta, dagli orrori della guerra e del combattimento.
Invece no. Lei, testarda come un mulo, aveva zittito quelle che Vegeta definiva pettegole e aveva deciso di provare a far cambiare idea a quel burbero saiyan. E, alla fine, c’era riuscita. Alla fine, erano diventati una famiglia.
O forse no.
Forse, non lo erano mai stati.
E, quando finalmente aveva capito, dopo che Trunks era stato ferito dall’ennesimo comportamento avventato e irresponsabile di Vegeta, dopo che il suo piccolo aveva deciso di immolarsi per salvare suo padre, quando lei aveva davvero compreso che Yamcha sarebbe tornato al suo fianco senza battere ciglio e le avrebbe dato tutto quello che aveva sempre desiderato, aveva scoperto che il loro tempo era finito per sempre.
Non ci sarebbero stati pic-nic, non ci sarebbero state foto di famiglia in cui nessuno aveva il broncio, non ci sarebbero state serate romantiche disturbate da continui brontolii, non ci sarebbero stati più bambini terrorizzati dall’aura emanata da coloro che – purtroppo – aveva contribuito a generarli. Non ci sarebbe stato niente del genere.
Trunks era morto.
Trunks non c’era più.
Per cosa valeva la pena di vivere, ormai?
Avvertiva un dolore fortissimo all’altezza del petto. Per un attimo, aveva creduto che sarebbe morta di infarto. E, forse, sarebbe stato meglio.
Avrebbe raggiunto finalmente il suo piccolo, sarebbe stata lontana da Vickas, lontana da Oozaru, lontana da Vegeta, lontana da quel dolore che aveva investito tutti con la sua furia distruttiva.
Ma no. Lei era sopravvissuta. Lei era lì. Per qualche motivo che la sua mente razionale non riusciva ad afferrare, lei era lì mentre suo figlio… Mentre lui… Lui…Non riusciva neanche a pensarlo.
“Bulma…”.
Yamcha aveva provato ad accostarsi a lei. Aveva provato ad accarezzarla, ad abbracciarla e consolarla, se ciò poteva essere anche solo lontanamente possibile, ma si era spostata di scatto, stringendo con più forza al petto quel corpicino senza vita che mi muoveva mollemente ad ogni suo cambio di posizione.
Lui, sconcertato, offeso – forse – aveva tirato indietro la mano di scatto, mostrandole uno sguardo mortificato. Perché lo stava respingendo? Lui voleva solo aiutarla, voleva lenire il suo dolore, accoglierlo, se possibile. Ma lei non aveva voluto. Lo aveva lasciato solo e lo aveva ferito. Lo aveva ferito mortalmente.
“Nessuno osi toccarlo…” – aveva ringhiato lei. Inginocchiata in quel modo, con il viso rigato dalle lacrime, gli occhi rossi dal pianto, lo sguardo truce e le unghie che quasi penetravano tra le carni di suo figlio, sembrava un animale ferito che ancora cercava di difendere il proprio cucciolo dall’attacco di un gigantesco predatore.
“Nessuno osi toccarlo” – la sua voce era crudele, roca, ferma, carica d’odio.
Nessuno avrebbe toccato suo figlio. Si sarebbe fatta ammazzare, piuttosto. Trunks sarebbe rimasto lì tra le sue braccia finché la morte non avrebbe preso anche lei. E a Bulma, era rimasto solo da sperare che arrivasse al più presto.
Ma gli altri?
Cosa avrebbero fatto tutti gli altri?
L’avrebbero lasciata consumarsi dal dolore o gli avrebbero impedito di farlo?
Vedeva i loro volti, osservava i loro visi e si domandava incessantemente cosa pensassero, cosa provassero, cosa avessero intenzione di fare.
Volevano aiutarla, forse? Volevano lenire le sue sofferenze?
No.
Loro volevano solo strapparle suo figlio dalle braccia, ne era certa.
Lei lo sentiva… Lei, lo sapeva perché era finalmente in grado di vedere. Lo vedeva sul volto di Chichi che, chissà per quale motivo, aveva deciso di diventare l’avvocato difensore del re dei saiyan. Lo vedeva sul volto di quell’oca di Videl, lo leggeva negli occhi di quel patetico di un mr. Satan e nello sguardo di Goten, in quegli occhi che piangevano la morte di suo figlio.
“Tu…” – aveva sibilato – “Proprio tu osi piangere per Trunks? Sì, tu! Parlo con te, Goten! Piccolo verme… È anche colpa tua se Trunks è morto. Tu lo hai… INFETTATO col tuo morso e lo hai ucciso. Sì… Lo hai ucciso insieme a Vegeta. Voi lo volevate morto… Morto!”.
“Ma che cosa stai dicendo, Bulma?” – Chichi era incredula. Poteva rispettare il dolore della turchina, lo comprendeva, ma non poteva accettare quel rancore, quel veleno che stava gettando addosso al suo povero bambino. Se Trunks l’avesse sentita, gli avrebbe spezzato il cuore – “Goten e Trunks erano come due fratelli! LO SONO ANCORA! Come puoi pensare una cosa simile? Come?”.
Senza rendersene conto, era scoppiata a piangere. Aveva voglia di picchiarla, di prendere a schiaffi quel suo viso così perfetto, di darle pugni e calci in quantità tale da farla rinsavire. Pensare che suo figlio avesse voluto una cosa del genere era da folli! Goten era buono, gentile, premuroso, affettuoso e amava Trunks con tutta la sua anima. Lo amava proprio come lo amava Vegeta.
“Sei ingiusta… Sei tremendamente ingiusta”.
Goku, rimasto in silenzio fino a quel momento, non aveva potuto fare a meno di prendere la parola. Goten aveva cercato rifugio tra le sue braccia, e gli si era spezzato il cuore per la seconda volta, dopo averlo sentito singhiozzare. La prima, era stata dopo aver visto quello che Vegeta aveva fatto per Trunks. Non a Trunks, come lei credeva. Perché lui poteva anche essere stato un assassino, uno sporco criminale, un soldato assetato di sangue e qualsiasi altro abominio che la mente umana avrebbe potuto partorire. Ma ora, non lo era più. Ora, era… Era… Goku non aveva idea di cosa fosse diventato il suo amico. Ma, di certo, non era più il mostro che Bulma cercava di dipingere.
“Trunks soffrirebbe molto nel sentire quello che stai dicendo”.
“Oh, ma davvero? E cosa sai tu di mio figlio, Goku? Lo hai mai portato al parco? Hai mai trascorso del tempo con lui? Hai anche mai solo parlato con lui? No, non lo hai mai fatto. Nessuno di voi lo ha mai fatto veramente all’infuori di me. Io sono sua madre, l’unica che lo ama, che lo capisce e lui… Lui… Lui è morto” – e aveva iniziato a dondolarsi avanti a indietro – “Mio figlio è morto… È morto…”.
I suoi singhiozzi riecheggiavano nella caverna, ma sembrava che venissero direttamente dal cuore dell’inferno. Erano i lamenti di un’anima dannata che non sarebbe mai stata investita dalla luce divina.
“Trunks è morto, e io non ho potuto fare niente per impedirlo…”.
Già… Non aveva potuto fare niente. Esattamente, come nessuno dei presenti.
“Sì, Bulma. Trunks è morto. Ma questo tuo atteggiamento non lo riporterà in vita! Nessuno di noi può fare niente per questo, adesso! Ma abbi fede! Io e Vegeta sconfiggeremo Oozaru! Te lo prometto!”.
A quelle parole, aveva smesso di dondolarsi avanti e indietro, rimanendo immobile, impassibile. Il capo era chino, gli occhi fissi su suo figlio, il respiro che diventava ogni istante sempre più affannoso. E il suo cuore… Il suo cuore batteva in modo irregolare.
“Bulma?”.
“Tu non puoi promettermi niente”.
Era scattata in avanti all’improvviso, compiendo un balzo che nessun essere umano comune avrebbe potuto fare. La sua pelle era diventata livida e le fauci, spalancate all’inverosimile, mostravano lunghi canini scintillanti. Un ringhio spaventoso sembrava essere uscito direttamente dalla sua gola.
“STAI ATTENTO!”.
Vegeta, fino a qualche istante prima rimasto impassibile e in disparte, lo aveva avvertito appena in tempo, prima che fosse troppo tardi. Goku aveva spinto Goten di lato, bloccando Bulma con entrambe le mani un attimo prima che potesse morderlo. Sembrava impazzita, invasata, posseduta, e voleva ferirlo a ogni costo. Ma a Goku era parso anche altro. Gli era parso che volesse nutrirsi di lui.
“FERMATI! FERMATI!”.
Era stato Vegeta il primo a intervenire. Aveva bloccato le braccia della turchina con le sue, stringendola con forza, ma senza farle male.
Lei scalciava, urlava, si dimenava, ed era riuscita a divincolarsi in parte dalla sua presa, provando a graffiarlo con quelle sue unghie mostruose. Guardava Goku, e Goku guardava lei. Che cosa dovevano fare?
“BASTA!”.
Vegeta aveva provato a essere più risoluto, per quanto quell’assurda situazione glielo permettesse, ma era chiaro che le parole non sarebbero servite. Era chiaro che sarebbe dovuto passare ai fatti. Ma avrebbe avuto il coraggio di colpirla? Aveva perso suo figlio, sua moglie e l’amore che si era guadagnato in pochissimo tempo, sarebbe stato in grado di sopportare anche la perdita della sua dignità?
Eppure, alla fine, aveva scoperto che non avrebbe dovuto fare niente, perché senza che lui capisse come, Bulma si era accasciata sul petto di Goku, svenuta.
Tra i presenti, era sceso il silenzio. Nessuno si sarebbe mai aspettato che Bulma perdesse i sensi. Questo perché nessuno si sarebbe aspettato che a colpirla sarebbe stato proprio Yamcha.

 
*

Era impaziente.
Aveva atteso così a lungo quel momento e ora stava finalmente per gustarlo.
Certo, magari le cose non erano andate esattamente come aveva sperato, ma perché lamentarsi, a quel punto?
Sarebbe tornato.
E nessuno sarebbe più stato in grado di fermarlo.

Continua…

Ragazze, scusate per l’attesa.
Mi dispiace di non aver aggiornato la scorsa settimana, ma hanno operato la mia nonnina e non ero dell’umore più adatto per scrivere.
Spero di essermi fatta perdonare e che questo capitolo vi sia piaciuto. Siamo agli sgoccioli. Accadrà tutto in due capitoli più l’epilogo, ve lo dico sin da ora. Mi sono fatta ispirare da David Lynch e di far accadere tutto in pochissimi capitoli! Ma il mio, non sarà un finale alla Twin Peaks (serie TV che consiglio a tutti). Io, vi dirò ogni cosa!
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 38
*** L'attesa ***


CAPITOLO 38

L’attesa

 
L’aveva colpita. Yamcha l’aveva colpita e lei era svenuta, diventando – almeno per il momento – completamente inoffensiva verso il povero Goku o verso chiunque fosse stato lei d’intralcio.
Era svenuta e ora se ne stava lì, a terra, a pochi centimetri da colui che era stato mira della sua ira e che fino a qualche istante prima le aveva fatto da materassino, circondata da spettatori allo stesso tempo increduli e sollevati per quanto accaduto.
La scena – sì, anche questa – aveva qualcosa di surreale. Era come se tutti fossero immobili, frizzati, incapaci di riordinare le idee e agire di conseguenza. Yamcha, colui che lo aveva fatto, colui che l’aveva abbattuta senza quasi esitare, aveva ancora le mani serrate a pugno, a  memoria della secca botta che le aveva dato dietro la nuca. Goku era attonito, così come Vegeta, che non riusciva a capacitarsi della presa di posizione di quel decerebrato che si era insinuato fra lui e sua moglie. Chichi, Gohan, Videl e tutti gli altri avevano trattenuto il fiato, convinti che un singolo spostamento d’aria avrebbe potuto far precipitare nuovamente le cose.
Goku e Vegeta continuavano a fissarsi. Il primo era certo che la mossa più saggia da fare sarebbe stata alzarsi da lì e sincerarsi delle condizioni di Bulma, ma temeva di peggiorare la situazione. Certo, sembrava totalmente inoffensiva, ma cosa poteva garantirgli che quello non fosse solo un trucco? E cosa avrebbero dovuto fare per evitare che, al suo risveglio, partisse di nuovo alla carica? Era diventata una bestia incontrollabile, una specie di mostro assetato di sangue. Del suo sangue, per l’esattezza, e questo l’aveva portato ad allontanarla da sé repentinamente. Non che avesse paura di lei, questo doveva essere chiaro. Se avesse voluto, l’avrebbe fermata senza sforzo. Lui aveva paura per lei. La situazione della sua famiglia era drammatica, e non voleva essere responsabile di nuovi tormenti né per la sua migliore amica né per Vegeta, che cercava ancora di metabolizzare la perdita di suo figlio.
E, paradossalmente, era stato proprio lui a compiere il primo passo, spostando il peso indietro e stringendo con forza entrambi i pugni.
Temevano che sarebbe esploso. Temevano che, dopo tutto che aveva visto, dopo tutto quello che aveva subito, avrebbe avuto bisogno di sfogarsi, seminando panico e distruzione.
Invece, non era accaduto nulla del genere, e Goku e gli altri si erano sentiti degli emeriti sciocchi per essersi mantenuti pronti a intervenire.
Questo perché Vegeta, dopo aver dato un breve sguardo alla donna che aveva partorito suo figlio, dopo aver guardato Goku e poi un Yamcha che aveva balbettato qualcosa di incomprensibile, era indietreggiato, recandosi presso il punto in cui era stato così barbaramente abbandonato il corpo senza vita di suo figlio.
Sotto lo sguardo vigile dei presenti, lo aveva prima guardato a lungo. Poi, si era seduto sui talloni e lo aveva accarezzato sulla guancia, spostando una ciocca di capelli ribelle da quel suo visino ancora tiepido. Infine, senza proferire parola, lo aveva preso tra le braccia, stringendolo al petto e recandosi fuori dalla grotta in cui il re dei saiyan aveva lasciato i pezzi del suo cuore.
Alla fine, quello che aveva visto nel suo sogno si era avverato. Alla fine, non aveva potuto salvare nessuno.
“Ma dove va?” – aveva chiesto Goten a nessuno nello specifico, asciugandosi le lacrime.
“Non lo so, tesoro mio…” – Chichi avrebbe voluto seguirlo, ma non ne aveva avuto il coraggio.
“Lasciamolo solo e occupiamoci di Bulma” – era stato il Maestro Muten a parlare, con tono serio, asciutto, perentorio – “Vegeta sta per fare l’unica cosa che un genitore non dovrebbe mai fare per un figlio”.
A quel punto, tutto era stato chiaro. A quel punto, non c’erano più dubbi.
Vegeta, stava per dare degna sepoltura alla carne della sua carne.

 
*
 
Non aveva idea di come avesse potuto farlo, di chi gli avesse dato la forza di agire.
Aveva recuperato la maglia che si era tolto quando aveva cercato sollievo dal dolore causatogli dalle ustioni e si era incamminato.
Non aveva in mente un posto preciso dove recarsi, non si era fatto un’idea, no. Aveva semplicemente seguito l’istinto, l’unica cosa che gli era rimasta, perché Vegeta sapeva, Vegeta sentiva che ragione e sentimento lo avevano ormai abbandonato definitivamente.
Per questo aveva camminato, camminato e camminato finché qualcosa non gli aveva detto di fermarsi e lui aveva obbedito.
Poi, tutto era avvenuto in sequenza, come se fosse stato un automa a eseguire quei gesti e non un essere dotato di coscienza.
Aveva avvolto il corpicino di suo figlio nella sua maglia, coprendogli anche il viso e lo aveva adagiato al suolo, chiedendogli scusa silenziosamente per non aver trovato un posto caldo e asciutto dove sistemarlo. Poi, poco dopo, si era inginocchiato, esitando, prima di affondare la mano nella neve, soffice e compatta allo stesso tempo. Avrebbe dovuto ritrarsi per il freddo.
Avrebbe dovuto tremare, ma non lo stava facendo affatto.
Vegeta stava scavando, scavando e scavando, rimuovendo prima il candido strato nevoso, giungendo poi al suolo gelato, umido, lasciando che la terra gli sporcasse le unghie e che i sassi gli ferissero le mani. Dapprima, aveva scavato lentamente, in maniera meticolosa. Poi, aveva lasciato che la frenesia avesse la meglio e aveva scavato sempre più velocemente, incurante di tutto quello che lo circondava. Avrebbe potuto formare la fossa con la semplice forza del suo Ki, se avesse voluto, ma non voleva. Voleva imbrattarsi le mani, a testimonianza di quanto sporca fosse la sua anima. Questo perché, per quanto fosse convinto di aver fatto la cosa giusta, era pur sempre responsabile della morte di suo figlio.
Sì, Bulma faceva bene a odiarlo. Bulma faceva bene a desiderare la sua morte. Era un mostro. Un maledetto mostro che stava scavando la tomba del suo bambino in cui presto lo avrebbe seppellito, lasciandolo al freddo, lasciandolo al buio, lasciandolo solo.
Vegeta scavava e malediceva se stesso, scavava e si torturava, scavava e si odiava, scavava e realizzava ogni secondo sempre di più che non avrebbe mai più rivisto la luce negli occhi di suo figlio, che non avrebbe più sentito la sua risata, che non avrebbe mai più potuto allenarlo, crescerlo, amarlo.
Lo aveva realizzato quando aveva deciso di aver scavato abbastanza. Quando lo aveva stretto per l’ultima volta. Quando lo aveva adagiato con attenzione in quella terra così fredda, e quando lo aveva coperto con lo spesso strato che aveva rimosso solo qualche momento prima.
Non ci sarebbero stati fiori, per lui. Non ci sarebbero stati encomi, discorsi di commiato. Non ci sarebbe stato niente. Niente, all’infuori delle lacrime di un padre che non aveva potuto fare nulla per salvare suo figlio e che, addirittura, lo aveva preso per mano conducendolo in un posto che forse non avrebbe neanche potuto raggiungere.
Sarebbe dovuto esserci lui al suo posto. Lui sarebbe dovuto morire.
A quel punto, forse, avrebbe potuto espiare ogni singolo peccato che aveva commesso.

 
*

“È fuori da troppo tempo… Fa freddo… Nevica sempre più forte… Dovremmo andare a cercarlo, Goku. Mi rifiuto di stare ancora qui ad aspettarlo”.
Sarebbe uscita lei se non fosse subito andato lui. D’accordo concedergli del tempo per seppellire suo figlio e metabolizzare la cosa, d’accordo non violare la sua privacy, ma quello era troppo. Era veramente troppo.
Vegeta era fuori da ore, al gelo, nella neve. La notte era calata e di lui non vi era traccia. Nessuno era stato in grado di percepire la sua aura e di localizzarlo. Nessuno. Ma, a parte lei, a parte Chichi, nessuno sembrava particolarmente preoccupato della cosa. Sì, certo, era grande e vaccinato, aveva dimostrato di poter sprigionare un potere immenso, ma quello che aveva dovuto fare avrebbe condotto alla pazzia chiunque. Aveva ascoltato il consiglio dato loro da Maestro Muten, lo aveva messo in pratica, ma ora basta. Ora, doveva proprio sapere dove fosse e che stesse bene, altrimenti, sarebbe impazzita anche lei.
“Papà, mamma ha ragione. Non possiamo lasciare che si ammali o peggio… Dobbiamo andare a cercarlo”.
Goten era diventato apprensivo almeno quanto sua madre, se non di più. Dopo quello che gli aveva detto Bulma, il piccolo aveva taciuto a lungo, ma teneva troppo a Vegeta per non essere in apprensione. Lo aveva sempre temuto e rispettato, ma dopo gli ultimi avvenimenti, a quei sentimenti si era aggiunto qualcosa di diverso, qualcosa che lo aveva spinto a legarsi a lui e a volergli bene, in un certo modo. Non poteva pensare che lui fosse in pericolo o che, peggio ancora, anche a lui potesse toccare la stessa sorte del suo amico Trunks. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare il peggio. Anche uscire fuori a cercarlo senza l’aiuto di nessuno.
“Forse, se riuscissimo a concentrarci e a localizzarlo attraverso il Ki, noi…”.
“No, papà” – lo aveva interrotto Gohan, rimasto in silenzio sino a quell’istante – “Noi non dobbiamo fare niente, adesso. Tornerà prima di quanto crediamo. Fidatevi di me”.
L’aver avvertito la necessità di sottolineare che dovessero fidarsi di lui aveva messo il giovane Son in una strana posizione. Le persone lì presenti non erano semplici amici. Erano membri di un gruppo molto unito, di una sorta di famiglia allargata che era stata sempre pronta ad agire all’unisono, incurante delle difficoltà e di ogni eventuale pericolo. Tutti avevano sempre riposto una cieca fiducia l’uno nell’altro, per questo quella sorta di preghiera era sembrata estremamente fuori luogo. Ma non era difficile immaginare perché Gohan avesse usato esattamente quell’espressione. Era cambiato. In lui, c’era qualcosa di diverso, e nessuno – neppure egli stesso – era ancora giunto alla conclusione se il cambiamento fosse stato positivo o negativo.
Aveva previsto la morte di Trunks. O meglio, aveva visto qualcosa che gliela aveva preannunciata, ma non aveva avuto il coraggio di rivelare a nessuno quel segreto che celava in sé qualcosa di oscuro. E, proprio come aveva capito che per il piccolo non ci sarebbe stata speranza, sapeva che Vegeta stava bene, che presto sarebbe tornato e forse – forse – avrebbe sconfitto il nemico.
Certo, qualcuno avrebbe potuto obiettare dicendo che a chiunque sarebbe servito un po’ di tempo per riflettere in totale solitudine dopo aver subito una tale perdita, ma non era quello il caso. C’era dell’altro che Gohan sapeva, che sentiva, e l’arrivo di Vegeta aveva confermato quella sua nuova abilità. Questo perché l’ultimo re dei saiyan, pallido, infreddolito e con le mani sporche di terra e sangue, aveva appena varcato la soglia del loro rifugio, inginocchiandosi accanto al fuoco senza dire una parola.
Chichi aveva tratto un respiro di sollievo. Vegeta stava bene, per quanto quella parola avesse un significato discutibile applicata alla sua persona. Sapeva di esagerare, sapeva di essere inopportuna, ma non se la sentiva di reprimere i suoi sentimenti. Motivo per cui, aveva raggiunto Vegeta in un baleno, limitandosi a rimanere in silenzio mentre gli copriva le spalle con un lembo di coperta che avevano recuperato dalle macerie del loro precedente, momentaneo rifugio.
Era stata attenta a non toccarlo con le mani. La sua schiena martoriata avrebbe urlato, altrimenti, eppure, per un breve istante, aveva avuto come l’impressione che il re dei saiyan non provasse più alcun tipo di dolore fisico. E, la mora, non aveva potuto far altro se non sperare di essersi sbagliata, o che i suoi timori non dovessero espandersi improvvisamente.
Lo sguardo di Vegeta era perso tra le fiamme, lo avevano notato tutti. Cosa vi scorgesse dentro quell’uomo distrutto sarebbe rimasto un mistero per sempre.  
Gli occhi di tutti erano puntati su di lui, ma non era in grado di accorgersene.
Erano in tanti a chiedersi se aveva notato che, esattamente di fronte a lui, oltre quel muro di fiamme, si trovava sua moglie, ancora priva di sensi a causa del colpo ricevuto. E chissà se come si sarebbe comportato nei suoi riguardi, adesso che le cose erano così diverse, così complicate.
Forse, lo avrebbero scoperto l’indomani, quando il sole sarebbe sorto e la notte avrebbe portato loro consiglio.
Per ora, avrebbero solo potuto tacere e aspettare, dedicando la notte a ricordare la creatura che li aveva lasciati. Dedicando la notte a pensare al piccolo, sfortunato Trunks.
*
La notte era buia, fredda, priva di stelle, e la neve non aveva smesso di cadere neanche per un istante, ricoprendo con il suo movimento silenzioso ogni singolo centimetro che era in grado di raggiungere, compreso il rettangolino di terra che un padre disperato aveva scavato per un figlio che non c’era più.
Non vi era nessun movimento, lì attorno, escluso quello dei fiocchi delicati che, sempre più fitti, si posavano sullo strato formatosi in precedenza. Non vi erano animali usciti alla disperata ricerca di cibo o ansiosi di trovare un riparo, anche solo di fortuna.
Eppure, se l’occhio più attento di un passante avesse avuto l’opportunità di trovarsi lì, presso quel sepolcro, avrebbe notato un piccolo, quasi impercettibile movimento all’altezza del terreno amorevolmente appiattito. E se quello stesso passante avesse avuto il coraggio di rimanere, avrebbe visto anche altro: avrebbe visto qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Continua…


Eccomi qui!
Stranamente, in perfetto orario!
XD
Vi avviso sin da ora che potrebbero esserci ritardi la prossima settimana… Purtroppo, sarò impegnata nel week-end per via del Festival del Fumetto che si terrà nella città in cui vivo, e potrei non riuscire a trovare un po’ di tempo per scrivere quello che dovrebbe essere l’ultimo capitolo.
Sarà denso, ricco, molto concentrato.
Ma può essere che decida di dividerlo in due parti. Dipende da come lo imposterò.
Per ora, rimaniamo focalizzati su questo e cerchiamo di capire cosa diamine sia accaduto sul finale.
Sospetti? Ipotesi?
Fatemi sapere!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 39
*** Un nuovo arrivo ***


CAPITOLO 39

Un nuovo arrivo

 
Il dolore li aveva lacerati, spossati, dilaniati nel corpo e nell’anima.
Sembrava che non fossero più in grado di reagire o, peggio ancora, che avessero preferito non fare niente, persi nella convinzione che qualsiasi azione sarebbe stata vana.
Quella grotta, quell’umido antro appena rischiarato dalla danza delle fiamme ardenti, era l’unico luogo che li aveva fatti sentire al sicuro. Era l’unica cosa che, oltre al dolore, continuava a mantenerli uniti.
Nessuna frase di circostanza era stata pronunciata. Nessuna azione di conforto era stata messa in atto. Niente. Nessuno aveva fatto niente all’infuori di sedersi e aspettare, perché erano certi che il peggio dovesse ancora arrivare.
Dormivano tutti, lì dentro. Chi stretto tra le braccia del proprio amato, chi da solo, alla ricerca di un po’ di calore e di un po’ di conforto che sarebbe giunto solo dalla lercia coperta scelta per avvolgersi.
Vegeta era uno di loro. Sua maestà il re dei saiyan, l’uomo più orgoglioso e testardo che avesse mai visto la luce nell’intero universo, giaceva solo, triste e abbandonato a un destino che non era stato in grado di plasmare con quelle mani forti e callose che tante volte avevano deciso le sorti altrui.
Quelle mani, le sue mani, avevano avuto l’onere di scavare la tomba di suo figlio, dell’unica creatura per cui avrebbe dato la vita senza esitazione. Quelle mani non erano state in grado di tenerlo stretto a sé. Quelle mani tremanti, sporche di terra e sangue, quelle mani maledette, lo avevano lasciato andare, così come avevano lasciato andare la donna che amava e che stentava ormai a riconoscere.
Dov’era andata a finire la sua Bulma? Dov’era andato il suo Trunks? E lui? Lui, dove stava andando?
La verità era che si era perso e non era stato più in grado di ritrovarsi. Vickas prima, Oozaru poi, lo avevano privato della capacità di scegliere, di essere il padrone indiscusso della sua sorte. E ora se ne stava lì, immobile, intento a rimuginare sempre sugli stessi avvenimenti, sulle stesse parole udite e pronunciate, sugli stessi sogni che non era stato in grado di far rimanere tali.
Cosa avrebbe dovuto fare, adesso, Vegeta?
Cosa avrebbe dovuto fare Bulma?
Che cosa sarebbe capitato a Goku, al piccolo Goten, a Chichi e a tutti gli altri?
Non lo sapeva. Ma il peggio consisteva nel fatto che improvvisamente, suo malgrado, si era perfettamente reso conto di una cosa che in un’altra circostanza gli avrebbe raggelato il sangue. Vegeta si era reso conto che a lui non importava più niente.

 
*
Gohan continuava ad agitarsi.
Aveva dormito per qualche ora, ma poi aveva iniziato a svegliarsi e a riaddormentarsi in continuazione, diventando nervoso e agitato. Videl gli era rimasta accanto per tutto il tempo, ma le sue premure non avevano avuto l’effetto sperato. Gohan aveva percepito, anzi no, aveva visto cose che non sarebbe stato in grado di spiegarle, e non voleva peggiorare una situazione già molto, molto precaria.
Più volte, la sua pelle si era accapponata. Immerso in quel mare di oscurità alternata a brevi spiragli di luce, aveva udito suoni, percepito odori e visto persone che lo avevano profondamente turbato.
Non era uno stupido. Aveva cominciato a comprendere il dono che Vickas gli aveva fatto, ma non era così certo di saperlo usare o di volerlo usare. Quelle cose che vedeva, quelli che lo cercavano nel buio erano spiriti, anime sperdute in un mondo che non apparteneva né al loro né all’Aldilà, ma che viveva esattamente al confine, una sorta di limbo spirituale che tratteneva in sé coloro che non avevano trovato la pace.
Aveva visto volti di ignoti, ma anche volti potenzialmente conosciuti. Vi erano tanti saiyan, lì… Aveva visto i loro visi, percepito le loro essenze e li aveva scrutati, osservati, interrogati più con l’espressione che a parole, scoprendosi non ancora padrone di un potere che, usato correttamente, avrebbe potuto essere loro di grande utilità. Ma sarebbe stato in grado di usarlo? Vickas glielo aveva lasciato, lo aveva infettato con quel morbo utile e spaventoso allo stesso tempo senza spiegargli come utilizzarlo. Gli avrebbe permesso di fermare Oozaru? Non lo sapeva. Così come non sapeva perché, fra tanti, avesse scelto proprio lui.
Lo aveva visto, non era cieco. Aveva visto l’aspetto di Vickas mutare, trasformarsi da quel mostriciattolo informe a un giovane forte e vigoroso, un giovane che aveva il suo stesso, preciso, identico volto.
Erano legati, in qualche modo oscuro, e quello era stato sufficiente a far sì che fosse il nuovo detentore di quella strabiliante abilità. E, proprio perché legati, aveva provato a chiamarlo, a mettersi in contatto con lui, ma era stato tutto inutile. Non aveva avuto modo di percepire la sua presenza, né sulla Terra, né il quella profonda oscurità, né in se stesso.
E lo odiava. Lo odiava per non avergli permesso di capire e imparare, per avergli fatto vedere quale sarebbe stato il destino di Trunks senza che potesse agire e impedire che diventasse realtà.
Ancora non riusciva a credere a ciò che era successo, a come Vegeta avesse agito per il bene di Trunks, prendendo quella decisione così difficile ma così tremendamente necessaria.
L’aver scoperto, poi, che Bulma, come tutte le altre, fosse affetta da quella sorta di maledizione lanciata da Oozaru, era stato l’ennesimo colpo sotto la cintura.
Ogni istante, tutto diventava sempre più complesso. Perché, tra tanti nemici, avevano avuto la sfortuna di imbattersi in uno di tale portata? Prima, sembrava che il loro avversario fosse Vickas. Poi, si era scoperto che Vickas era in realtà il custode del ciondolo che imprigionava Oozaru e che pur di essere libero da quella maledizione aveva lasciato che quell’abominio si risvegliasse, cedendo i suoi poteri a Gohan e sparendo letteralmente nel nulla.
E non occorreva aver vinto un premio Nobel per sapere che il peggio si trovava dietro l’angolo. Oozaru non aveva più scuse, ormai. Oozaru si sarebbe mostrato al più presto, palesando il proprio aspetto, la propria forza e i propri obiettivi. Gohan non aveva potuto fare a meno di pensare che se solo avesse avuto un altro po’ di tempo da trascorrere in compagnia di Vickas, se solo avesse avuto l’opportunità di capire, adesso sarebbe stato in grado di prevedere ogni sua mossa e di scoprire come si fa a uccidere un dio.
Non gli restava che mettersi nuovamente comodo, per quanto ciò potesse essere possibile, e aspettare che le tenebre lo avvolgessero ancora una volta. Forse, a quel punto, sarebbe stato in grado di vedere quanto gli era ancora celato.

 
*
 
Era stato spaventoso.
Non l’aveva mai vista in quello stato, mai. E non c’entrava solo la maledizione di Oozaru, o di Vickas, o di chiunque altro potesse essere tirato in ballo in quel dramma che stavano vivendo.
Bulma non era più lei. Non lo era stata sin dal primo istante, più precisamente, sin da quando si era allontanata dal marito per avvicinarsi a lui, il vecchio fidanzato che l’aveva presa e scaricata a suo piacimento finché non era stato lui quello a essere scaricato, un lui che non sarebbe mai stato veramente bene accanto a lei.
Come aveva fatto a essere così stupido? Come aveva potuto pensare che quella sarebbe stata la sua occasione? Che sarebbero stati una famiglia?
Bulma non sarebbe mai stata sua.
Lei era di un altro uomo, più precisamente, era la consorte di un re senza corona e senza scorta* che in qualche modo le aveva completamente invaso il cuore, rendendola finalmente una persona completa, la madre e la moglie che un marito e un figlio amavano incondizionatamente.
Ma ora, quel figlio adorato non c’era più, e quel marito, il marito che aveva giurato di amare, dormiva da solo accovacciato su una coperta di stracci, con la schiena martoriata e l’animo ridotto a brandelli da un dolore che nessuno sarebbe stato in grado di sopportare.
E lui? Cosa stava facendo, lui? Il terzo incomodo, il motivo di separazione, cosa stava facendo?
Forse, si stava dando troppe arie. Perché non pensava davvero di essere stato la causa della loro separazione. Non era così importante, dopotutto. Era solo un uomo che si sentiva solo e che aveva provato a cercare il proprio posto nel mondo, decidendo di occupare quello sbagliato.
No.
Non aveva il diritto di stare lì, a farle da cuscino, ad accarezzarle i capelli. Non aveva il diritto di prendere il posto di Vegeta.
Per questo motivo aveva sostituito il suo petto con la giacca della tuta che indossava e lo aveva posto con estrema dolcezza sotto il capo di lei, per poi alzarsi e dirigersi a grandi passi verso l’uomo che si trovava dall’altra parte del muro di fuoco. Perché questa era l’unica cosa giusta da fare. Perché lui non era e non sarebbe mai stato il re del cuore della donna che amava.

 
*
 
Crilin, C 18 e la loro piccolina avevano occupato un angolo di quella grotta un po’ più riparato. Avrebbero fatto di tutto per tenere al sicuro il loro tesoro più prezioso.
Ne aveva passate così tante, quella creaturina dai capelli color dell’oro… Era un miracolo che avesse ancora la forza di sorridere. Ma le lacrime che aveva versato per il piccolo Trunks erano state troppo anche per lei. Il dolore della perdita aveva offuscato la felicità che la contraddistingueva, e loro non potevano permettere che altri tragici avvenimenti potessero turbarla.
Per fortuna, erano riusciti a impedire che assistesse alla violenta reazione di Bulma, al modo in cui Yamcha l’aveva colpita e all’affiorare di quell’espressione di desolazione che aveva devastato il viso dell’uomo che aveva fatto di lei una piccola principessa.
Vegeta era diventato importante per quella bambina. Più volte aveva chiesto alla mamma di lasciarla andare lui, di permettergli di raggiungerlo, ma lei era stata irremovibile, decisa più che mai a impedire un contatto tra i due. La piccola non aveva capito le sue ragioni, ma come spiegarle che lui era stanco, disturbato e tremendamente instabile?
Avevano assistito tutti alla scena, così come tutti avevano visto la potenza che era stato in grado di sfoderare contro Vickas. Se fosse impazzito e avesse ucciso la sua unica figlia, come avrebbero reagito tutti? Lo avrebbe impedito a ogni costo, per tutelare lei e sì… per tutelare anche lui. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
In qualche modo, lei e Vegeta avevano saldato il conto che avevano in sospeso da quel lontano episodio vissuto nel periodo di Cell, e adesso erano pari. Non si sarebbe data una nuova motivazione per odiarlo. Non dopo che aveva salvato la vita di sua figlia.
Per questo motivo lei e suo marito si erano messi da parte: per amore. Ma lei sapeva benissimo che, laddove sarebbe servito, niente avrebbe potuto impedire al suo uomo di soccorrere gli amici con cui era cresciuto, così come sapeva che non si sarebbe messa in mezzo. Volente o nolente, lo aveva capito da tanto tempo, sin da quando li aveva incontrati per la prima volta. Quelle persone erano legate da qualcosa di molto più profondo del semplice tempo trascorso insieme, erano una famiglia. E, sotto sotto, doveva ammettere che anche a lei facesse piacere farne parte.

 
*

Non erano mai andati particolarmente d’accordo. Un po’ perché non avevano mai davvero avuto modo di frequentarsi, un po’ perché uno pensava che l’altro fosse sì un brav’uomo, ma fosse anche un po’ troppo sicuro di alcune capacità vantate ma mai realmente possedute.
Eppure, quei due uomini così diversi, quei due maestri, si erano ritrovati a vivere le stesse preoccupazioni, le stesse ansie, lo stesso dolore.
Entrambi, chiusi nel loro silenzio, si erano scoperti a vivere un momento di pura sofferenza, di simbiosi – quasi – con quell’uomo che aveva perso tutto in così poco tempo, con quell’uomo che stava per perdere anche se stesso.
Vegeta li aveva in qualche modo stregati, coinvolgendoli in quella discesa nel baratro intrapresa così rapidamente da mozzare loro in respiro.
Più volte, da quando lo aveva visto tornare sporco della terra scavata per seppellire suo figlio, Satan si era chiesto cosa avrebbe fatto se fosse stato lui a perdere Videl.
Più volte, Muten, si era chiesto come avesse fatto Vegeta a trattenere il suo dolore, a rimanere, suo malgrado, ancora in piedi.
E più volte, entrambi, si erano chiesti cosa avrebbero fatto se fossero stati al suo posto, se tutto il mondo che conoscevano fosse crollato come un castello di carte soffiato via da un diavolo che ancora non si era palesato.
Già… Cosa avrebbero fatto?
E cosa dovevano fare per fermare Oozaru? O, almeno, per scoprire dove si nascondesse? Erano i più deboli lì… I più inutili. Ma non potevano non aiutare. Non potevano mollare. In quanto anziani, avrebbero dovuto dare ai più giovani le giuste motivazioni per andare avanti e sconfiggere definitivamente il nemico.
Eppure, cosa avrebbero potuto dire a un padre che aveva perso suo figlio? Cosa avrebbe potuto motivarlo?
Senza saperlo, entrambi avevano maturato lo stesso, temibile pensiero.
Forse, non avrebbero dovuto motivare l’uomo. Forse, avrebbero dovuto motivare il saiyan. E loro sapevano che, in casi come quello, sono una cosa avrebbe potuto spronarlo ad andare avanti. Loro sapevano che il motivo propulsore sarebbe stata una parola che inizia con la “v”. Che questa parola non era altro se non la vendetta.

 
*

Goten piangeva.
Chichi era certa di non averlo mai visto piangere tanto in tutta la sua vita. Il suo bambino era forte, valoroso, ma quello che aveva dovuto sopportare era stato spaventoso. Veder morire Trunks, vedere Vegeta distruggersi non era una cosa che poteva essere superata con facilità.
Aveva paura per lui. Paura che si distruggesse, che si lasciasse andare. Questo perché si sentiva responsabile, causa diretta della morte del suo migliore amico. Ma lei sapeva che ciò non corrispondeva a verità. Come tutti loro, anche lui era stato una vittima, una pedina nelle mani di un mostro che ancora non si era neppure degnato di mostrarsi, e non doveva assumersi colpe che non aveva.
Ma smettere di soffrire per la perdita di qualcuno non poteva avvenire così in fretta. Il dolore non si può accendere e spegnere mediante un interruttore, e questo lei lo sapeva bene. Se avesse potuto, avrebbe fatto in modo che Goten la smettesse di soffrire e che Vegeta la smettesse di incolparsi per la morte del suo unico figlio.
Non era colpa sua. Non era colpa di nessuno.
Adesso, però, che cosa avrebbe potuto fare, lei, una piccola donna terrestre senza una particolare abilità, senza una forza fisica notevole, per convincere tutti che le cose dovevano cambiare? Cosa avrebbe potuto fare, lei, per convincere suo marito, Vegeta e il resto dei presenti che dovevano lottare? Che Oozaru doveva essere fermato e che se non avessero avuto la forza di intervenire del mondo che conoscevano non ci sarebbe stata più traccia?
Purtroppo, ancora non era stata in grado di darsi una risposta. La verità, era che Chichi, la nostra giovane, coraggiosa, instancabile Chichi, era in attesa di un miracolo. Ma, se i cancelli erano chiusi, se non c’era modo per loro di entrare in contatto con un mondo altro, quale divinità avrebbe mai potuto ascoltarla?

 
*
 
Aveva fatto un brutto sogno. O almeno, credeva che fosse stato tale. Si sentiva strana, pervasa da un senso di irrequietezza che non riusciva a spiegarsi. Avvertiva una spossatezza non comune in lei, sempre così vitale ed energica, così pronta a vivere nuove avventure e a lanciarsi in qualsiasi genere di follia, arrivando al punto di decidere che – dopotutto – trascorrere il resto dei suoi giorni accanto a un saiyan che si dilettava a fare l’assassino non era poi così male.
Istintivamente, si era girata, mentre aveva ancora le palpebre serrate, e aveva cercato proprio l’uomo che aveva deciso di sposare. Ma, suo malgrado, si era ritrovata a tastare solo del freddo terriccio umido, e solo in quell’istante era tornata in sé, ricordando quanto fosse successo, e ripiombando in una dimensione diventata il regno dello sconforto e della morte.
Non era stato un brutto sogno.
Trunks non c’era più. Il suo piccolo, adorato Trunks, non era più in vita, e lei non aveva potuto fare niente per evitarlo. Ma, peggio ancora, aveva accusato l’uomo che tanto amava, il padre di quel bambino così meraviglioso, di essere la causa di quella perdita prematura.
Lei, Bulma Brief, aveva augurato all’amore della sua vita di morire tra le più atroci sofferenze.
L’aria le era venuta a mancare all’improvviso. Non c’era modo di lasciare che i polmoni facessero il loro dovere, che il respiro le concedesse di vivere, nonostante i suoi innumerevoli sforzi. Sudava freddo, Bulma, e tremava. Se ciò non fosse stato del tutto impossibile, si sarebbe di certo convinta che il suo stesso corpo si rifiutasse di continuare a vivere, che il suo io avesse deciso che non aveva più alcun senso andare avanti.
Si era girata su un fianco, allora, e si era guadata intorno, indecisa se chiedere aiuto o meno. Sì, forse sarebbe stato meglio lasciarsi andare e raggiungere Trunks. Tutto era vano, ormai, niente aveva più senso. La sua unica ragione di vita non c’era più, e Vegeta, il suo Vegeta, doveva sicuramente odiarla.
Senza che se ne accorgesse, i suoi occhi lo avevano cercato, ed ecco che, poco dopo, si erano posati su di lui che, con gli occhi quasi vitrei, giaceva immobile su quel suolo che faceva loro da pavimento, da letto e da cuscino. Non c’era più vita, in lui, seppur continuasse a respirare. In Vegeta non c’era più spazio per niente se non per quell’immensa, sconfinata agonia a cui Oozaru li aveva destinati. Perché ora che era più lucida, ora che cominciava finalmente a comprendere la verità, aveva finalmente capito che, proprio come lei, il re dei saiyan non era altro se non una vittima di quello spietato gioco di potere. E, oltre a questo, aveva capito che per lei non ci sarebbe mai più stato modo di ottenere perdono.
Ma era stato a quel punto che lo aveva sentito. Proprio quando aveva deciso di lasciarsi andare, di abbandonarsi all’oblio, aveva sentito una flebile voce provenire da lontano e, non sapeva neanche lei come, alla fine aveva deciso di restare. Non nella caverna, dove il pallido riflesso di quell’uomo distrutto le avrebbe costantemente ricordato quanto fosse stata debole e sciocca. Non lì, in compagnia delle persone che – forse – ancora la amavano e la stimavano. Aveva deciso di restare per verificare se quel palpito del suo cuore, quel sussulto, potesse corrispondere almeno in parte a verità. Perché era certa che non avrebbe mai potuto confondere la voce di Trunks con quella di nessun altro al mondo.

 
*

Era stato un lungo viaggio, quello che aveva dovuto affrontare. Ancora non riusciva a credere che gli avessero concesso quel privilegio, quell’opportunità.
Nutrivano fiducia, in lui, ma lo aveva capito solo dopo essere stato informato di quanto stesse avvenendo e di quale fosse il suo arduo compito.
Non si trattava di una missione irrilevante. Era rischioso, quasi folle, ma non potevano non tentare.
Ogni cosa aveva una motivo di esistere, una sua logica, seppur apparentemente inspiegabile. Bastava semplicemente fare un po’ di attenzione e ogni mistero sarebbe stato svelato. E, a quanto sembrava, nessuno era più indicato di lui per scoprire quale fosse la soluzione di quell’enigma.
Era su questo che continuava a riflettere mentre attraversava la porta tra i due mondi. Era concentrato, carico, deciso a portare a compimento il suo incarico. Ma la desolazione lo aveva assalito nell’istante in cui i suoi occhi avevano avuto modo di vedere, nell’attimo in cui aveva finalmente compreso quali eventi drammatici avessero sconvolto per l’ennesima volta la pacifica esistenza di quel mondo su cui si era ritrovato a dimorare.
Aveva trattenuto il fiato per un lungo istante, convinto che anche solo un battito di ciglia avrebbe potuto peggiorare le cose. Non era stupido: era perfettamente in grado di comprendere che non fosse in possesso di un simile potere, ma il precario equilibrio delle cose non doveva essere compromesso. Almeno, non per mano sua.
Così, determinato e timoroso allo stesso tempo, si era ritrovato esattamente davanti all’ingresso di quel loro momentaneo rifugio, alzando gli occhi a cielo dopo aver constatato che la loro ingenuità li avesse portati a non pensare di doverlo in qualche modo nascondere.
Ma ecco che un nuovo, ancora più profondo timore, lo aveva assalito. Cosa avrebbero detto, dopo averlo visto? Quale sarebbe stata la loro reazione. Purtroppo per lui, sapeva bene che lo avrebbe scoperto solo dopo essersi palesato.
E, senza pensarci troppo, alla fine lo aveva fatto. Alla fine, aveva preso un profondo respiro e aveva fatto il suo ingresso trionfale, ignaro che, a poche centinaia di metri da lui, una donna di nome Bulma Brief stava per commettere il più grosso errore della sua giovane vita, perché Bulma Brief sarebbe presto stata accecata da un sentimento chiamato amore.

Continua…

Emm… CIAO!
*Cleo cerca di non farsi fulminare con lo sguardo attraverso il PC*
XD
Ragazze: scusate. Davvero, sono l’autrice più sfacciata di questo universo, ma GIURO che non lo faccio di proposito. Non volevo farvi attendere tutto questo tempo, ma ho riflettuto, riflettuto e riflettuto, ho scritto, ho scritto e riscritto, e mi sono resa conto che un solo capitolo non sarebbe bastato per raccontarvi tutto quello che ho da dire.
Per cui, non so quanti capitoli ci vorranno, ma sicuramente non uno solo, o due.
Cercherò di essere più puntuale e di farmi perdonare.
M ditemi: avete capito chi è il nostro nuovo arrivo?
Si accettano scommesse!
A presto!
E scusate ancora!
Cleo

*Citazione tratta dalla canzone di Fabrizio De Andrè "La canzone di Marinella".



 

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Capitolo 40
*** Il volto del nemico ***


CAPITOLO 40

Il volto del nemico

 
Aveva freddo. La neve non aveva cessato di cadere, e i suoi abiti non erano abbastanza caldi per evitarle di battere di denti e di stringersi nelle spalle. A nulla erano valsi i tentativi di riscaldarsi strofinando i palmi delle mani sulle braccia intirizzite: il vento era troppo impetuoso e pungente per far sì che quel gesto potesse servire realmente a qualcosa.
Eppure, quel freddo non l’avrebbe fermata. Come avrebbe potuto arrestare la sua corsa, la sua ricerca, se era spronata dalla volontà di trovare la fonte di quella voce, se era la voce stessa a guidarla e a darle la forza di andare avanti?
L’aveva sentita chiaramente: era la voce di Trunks.
Sì, lei lo aveva visto: aveva visto il suo corpicino senza vita, lo aveva stretto tra le braccia, lo aveva coccolato, accudito finché non glielo avevano portato via per ricondurlo alla madre terra, per seppellire per sempre il suo dolce visino di bambino.
Non era una sciocca, così come non era impazzita. Lei sapeva benissimo che suo figlio non c’era più e che, laddove avesse realmente sentito quella voce, si sarebbe trattato di un’eco proveniente dall’oltretomba.
Questo ultimo particolare non era così improbabile come avrebbero creduto in tanti: non era la prima volta che avevano a che fare con spiriti dell’Aldilà o con persone tornate momentaneamente in vita con tanto di aureola fluttuante sulla testa. Che fosse il caso anche del suo Trunks? Che re Yammer, o re Kaioh o qualche altro essere supremo, avesse deciso di restituirglielo?
Il suo cuore stava scoppiando di gioia al solo pensiero. Forse, le divinità che li proteggevano e li guidavano avevano visto il suo dolore, avevano compreso il suo pentimento e avevano deciso di alleviare le sue sofferenze restituendole suo figlio! Forse, lo avevano fatto per lei e per il suo adorato Vegeta.
Cielo, quanto sarebbe stato felice nel vederla entrare nella grotta con il loro piccolo, il loro Trunks, stretto tra le braccia? Riusciva già a prefigurarsi la scena: Vegeta li avrebbe visti arrivare, avrebbe spostato lo sguardo su Trunks, tremando di gioia e di dolore, poi i suoi occhi neri si sarebbero incatenati in quelli di lei e si sarebbero perduti nel più caloroso e amorevole degli abbracci: quello del ritorno, quello del perdono.
Sì, avrebbe riavuto ogni cosa: suo figlio, suo marito, la sua vita, la sua famiglia.
Doveva solo stringere i denti e avanzare, nonostante il freddo pungente, nonostante il gelo, nonostante la neve. Dopo, tutto sarebbe stato come doveva essere: imperfetto, ma suo.
“Trunks, amore mio, aspettami. Sto venendo a prenderti”.
E, alla fine, lo aveva trovato. Bulma Brief aveva ritrovato il suo piccolo, dolce, bellissimo bambino.

 
*

Gohan era stato il primo, tra tutti, a percepire quella presenza che sostava sulla soglia del loro rifugio di fortuna.
Per un breve, brevissimo istante, aveva creduto di essersi appisolato e di aver sognato. Non sarebbe stata una cosa del tutto impossibile, a onor del vero, ma Gohan non aveva sonno. Era stanco, certo, ma era troppo concentrato nel tentativo di svelare il mistero che si nascondeva dietro a quelle sue nuove abilità. E, a dirla tutta, aveva realmente creduto che fossero state queste ultime a permettergli di scovare quel misterioso intruso.
Aveva azzerato la sua forza spirituale. Era per quello che nessuno si era accorto del suo arrivo. Per di più, si muoveva silenzioso come un gatto. Ma la cosa più strana, la cosa che lo aveva sbalordito più di tutte, era il fatto che quel nuovo arrivato si era fermato sulla soglia e non si decideva a palesarsi. Era come se stesse esitando. Perché mai fare una cosa simile? Per decidere quale fosse il metodo migliore per attaccarli?
Eppure, non lo riteneva veramente possibile. Il loro nemico era Oozaru, e Gohan non aveva percepito alcun tipo di cambiamento nella sua aura. Era la stessa forza opprimente che li aveva investiti sin dal primo istante, solo che ora era diventata freddo pungente e non più un caldo soffocante. La loro pelle bruciava in egual modo, ma per motivi diversi. E l’individuo all’ingresso non era la causa di quel cambiamento, di questo ne era più che sicuro.
Per questa ragione, e per evitare che gli altri – sufficientemente stanchi e provati – si agitassero inutilmente, Gohan aveva deciso di agire da solo. Le abilità donate da Vickas dovevano pur servire a qualcosa, no? Bene! Lo avrebbero aiutato a capire se di lì a poco sarebbero stati in pericolo o meno. Ma la volontà di attivare quei suoi nuovi sensi di ragno lo aveva distratto da qualcosa di molto più evidente: Goten lo aveva preceduto di qualche minuto.
Nello stesso istante in cui si era accorto della mancanza del fratello, Gohan aveva deciso di agire, caricando le forze per sferrare uno dei suoi attacchi più letali. Al diavolo la discrezione, al diavolo la diplomazia, al diavolo tutto! Non ci sarebbero state altre morti ingiuste, ancor di più se si trattava di suo fratello.
Col cuore in gola e i sensi in tumulto, il giovane Son si era recato fuori dalla grotta a grandi passi, pronto a concentrare il suo micidiale Ki in un pugno capace di buttare giù una montagna. Ma, proprio mentre stava per attaccare, mentre stava per porre fine all’esistenza dello sconosciuto visitatore, si era bloccato.
Un nodo apparentemente indistricabile gli si era formato in gola e, poco dopo, tutto il dolore, la frustrazione e il pericolo si erano sciolti in lacrime perché si sarebbe aspettato di trovarsi davanti chiunque, fuorché la persona che stringeva tra le braccia quel monello di suo fratello Goten.
“Sei… Sei tu! Sei veramente tu!”.
Non avrebbe voluto che proprio lui lo vedesse piangere. Non adesso che era diventato un uomo, almeno. Avrebbe voluto mostrarsi sempre coraggioso e forte come una roccia, ai suoi occhi, ma il suo cuore non aveva retto l’emozione e, senza neanche rendersene conto, gli era corso incontro, fermandosi un istante prima di saltargli al collo e rendersi completamente ridicolo.
Perché sì: era lui. Era veramente lui.
Forse, dopotutto, la Provvidenza non si era completamente dimenticata di loro. Forse, dopotutto, qualcuno voleva ancora salvare le loro vite. E, chiunque avesse deciso di ricondurlo a loro, non aveva potuto prendere decisione migliore. Perché nessuno sarebbe mai stato come il suo maestro Junior.

 
*

Non riusciva a smettere di piangere.
Non riusciva neppure a vedere distintamente la figura che aveva davanti, tanto grosse e copiose erano le gocce salate che le rigavano le guance.
Ma era lui. Era Trunks! Ne era certa!
Il suo piccolo era tornato da lei! Gli dei l’avevano benedetta!
“Amore mio… Amore mio… Sei vivo!”.
“Sì, mammina mia… Sono vivo. E sono qui per stare con te”.
La voce di Trunks era soave come mai lo era stata prima, sembrava miele, una dolce melodia nel bel mezzo di quella tormenta spaventosa. Lui stava lì, in piedi, era vivo, sano, bello più che mai.
Non credeva ai suoi occhi e nello stesso tempo non vedeva l’ora di stringerlo, coccolarlo, amarlo.
“Amore mio… AMORE MIO!”.
Gli era corsa incontro, gettandosi ai suoi piedi e stringendolo forte tra le braccia. Avrebbe voluto stritolarlo, se ne avesse avuto la forza, soffocarlo col suo amore di madre.
“La mamma è qui, tesoro… La mamma è qui!” – gli aveva ripetuto, baciando con dolcezza i suoi capelli – “Oh, tesoro, ma sei mezzo congelato! Le tue manine sono gelide… Devi riscaldarti…”.
E le aveva prese amorevolmente tra le sue, cominciando ad alitarci sopra nella speranza che il suo fiato caldo alleviasse le sofferenze del figlio.
Trunks la guardava, un po’ stordito, forse, un po’ incredulo. Ma poi, all’improvviso, aveva piegato il capo di lato, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Sì… Hai ragione, mammina…” – aveva detto – “Dovrei proprio cercare di riscaldarle”.
Bulma non si era resa conto di quanto era successo finché non aveva sentito un dolore improvviso proprio all’altezza del petto, seguito da una sensazione spiacevole di viscido e bagnato. Pian piano, tutto attorno a sé era diventato sfocato, lontano, imperscrutabile e lo aveva visto, prima di chiudere per sempre gli occhi: aveva visto la mano di suo figlio stringere quello che un tempo era stato il suo cuore.

Continua…

Ciao ragazze!
Eccomi qui con il mio aggiornamento settimanale!
Non mi state odiando, vero? Lascio dire tutto a voi. Vi prego solo di perdonare l’ennesima citazione – stavolta presa da Spiderman – e di perdonare anche la “licenza poetica” che mi sono presa sul finale. Direi che Bulma sarebbe dovuta passare a miglior vita in meno di un secondo, ma la mia voglia di Angst ha prevalso come al solito.
Che dire?
Spero che vi sia piaciuto!
Al prossimo aggiornamento!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 41
*** "Mi dispiace" ***


CAPITOLO 41

“Mi dispiace”

 
Yamcha aveva preso coraggio e gli si era avvicinato. Le mani erano madide di sudore, e una sorta di tremore inaspettato lo aveva investito, costringendolo più volte a prendere dei lunghi e profondi respiri. Non aveva timore di lui. O meglio, ne aveva, ma non si trattava di quella sensazione spaventosa generata dalla evidente immane potenza di cui disponeva il suo futuro interlocutore. In parole povere, Yamcha non temeva la sua forza: Yamcha non aveva idea di come avrebbe fatto a confrontarsi con i suoi sentimenti.
Lo aveva ferito. Indirettamente? Certo. Volontariamente? Anche. Era stato un perfetto farabutto, uno di quelli che Vegeta avrebbe chiamato filibustiere, un autentico donnaiolo rovina famiglie, in sostanza. E sì, anche se nessuno ci avesse creduto, anche se tutti avessero pensato che lui sarebbe rimasto in eterno il solito codardo – in parte anche un po’ sfigato – si era deciso a cambiare le carte in tavola e parlare apertamente all’uomo che aveva davanti, sempre se quest’ultimo fosse stato così gentile da riservargli anche solo un fugace attimo del suo tempo.
Aveva il cuore in gola. Non erano propriamente in un luogo intimo, un luogo in cui si poteva parlare a tu per tu, e non sapeva bene come iniziare il discorso. Avrebbe dovuto chiedergli immediatamente scusa, o avrebbe dovuto prima fare un lungo preambolo e giungere al nocciolo della questione solo in seguito? Non ne aveva idea, ma in qualche modo, avrebbe raggiunto il suo scopo. E forse, dopo, Vegeta gli avrebbe concesso il suo perdono.
“Vegeta…” – non sapeva neanche da dove fossero venute fuori le parole. Aveva parlato e basta, con un tono più fermo di quanto avrebbe sperato – “Ho bisogno di parlare con te”.
Il silenzio perpetrato dal suo presunto interlocutore pesava come un macigno.
Yamcha lo sapeva: avevano gli occhi di tutti puntati addosso. Per quanto i loro amici fossero discreti, quello era un momento cruciale per mantenere la coesione tra di loro, per provare – almeno fin dove era possibile – a ristabilire l’ordine, riorganizzarsi e ripartire. Quella che stava prestando maggiore attenzione era proprio la moglie di Goku. Non aveva neanche fatto finta di non ascoltare. Anzi, sembrava che avesse fatto di tutto per farsi notare da lui, quasi per ribadire un concetto che più volte aveva espresso a gesti e parole: nessuno doveva toccare Vegeta.
Yamcha non aveva idea di come avesse fatto, Chichi, a cambiare idea così in fretta sul re dei saiyan. Lo aveva detestato forse più degli altri fino a prima che questa terribile vicenda avesse luogo, ma ora si occupava di lui con la stessa attenzione che rivolgeva a suo marito. Forse, a ben vedere, Bulma non era stata l’unica a perdere interesse verso il proprio compagno e a rivolgerla verso qualcun altro. Peccato solo che per quanto riguardava la turchina fosse stata tutta opera di Vickas e di Oozaru.
Vegeta continuava a stare seduto, immobile, con il capo abbandonato sulla fredda roccia e lo sguardo perduto in una dimensione lontana e irreale. Dove fosse in realtà e cosa stesse cercando, forse non lo avrebbero mai saputo, ma in quel momento non era importante. O forse, lo era troppo affinché uno come lui potesse fare qualcosa. La sua voce lo avrebbe raggiunto? Le sue scuse sarebbero state in grado di toccare le corde della sua anima o lo avrebbero lasciato totalmente indifferente? Ovviamente, se avesse continuato a esitare non lo avrebbe mai scoperto.
“Non so se ti interessa quello che ho da dirti. So di non esserti mai piaciuto particolarmente, e so che opinione hai di me. So di essere un perfetto idiota, a volte, e so che i miei… Che i miei sentimenti verso Bulma non sono mai cambiati. E questo lo sai pure tu” – era certo di aver percepito un piccolo movimento nel suo viso, qualcosa di simile a un tic nervoso. Forse, quello era segno che lo stava ascoltando? – “Ma ho sbagliato. Ho sbagliato a provare… Sì, insomma…” – Dio com’era difficile – “Non avrei dovuto approfittare della situazione per cercare di farla di nuovo mia. Bulma stava male, tu non c’eri, eri distante, proprio come ora, e mi sono avvicinato a lei naturalmente, come quando, da ragazzi, sentivo che aveva bisogno di me. Volevo proteggerla, farla sentire amata, al sicuro e volevo… Volevo che fosse di nuovo mia. E per un istante, ho creduto che ciò potesse diventare realtà.
Penserai che sono impazzito… Che non dovrei confessarti queste cose, ma mi sono stancato di sapere che pensiate che sono un codardo. E mi sono stancato di pensarlo io stesso. Non sono un verme, un rovina famiglie. Sono solo un uomo innamorato di una donna che ha perso tanto tempo fa, e sono profondamente geloso di te. Di te e di quello che hai.
Come un idiota, ho cominciato a credere che non te lo meritassi, che rovinassi tutto quello che tocchi quando invece… Invece… Sono stato io a farlo. Forse, se non mi fossi messo fra di voi, se avessi capito che quello che vedevo in Bulma non era un ritorno di fiamma nei miei riguardi ma una macchinazione di quei mostri, adesso le cose sarebbero diverse. O forse no. Questo non posso saperlo.
Mi dispiace, Vegeta.
Sono un idiota. Ma non voglio più essere un codardo”.
Aveva finito. Non sapeva neanche come avesse fatto a iniziare, ma aveva finito. In fondo, era stato meno traumatico di come aveva creduto. Le parole erano uscite da sole, travolgendolo come un fiume in piena, e ora si sentiva più leggero, ma anche svuotato, privo di qualsiasi tipo di energia.
Quella farsa doveva finire. Quella messa in scena assurda, quel rapporto esistito solo nella sua testa doveva essere interrotto, e questo era accaduto nello stesso istante in cui aveva pronunciato le parole mi dispiace. Sì: Yamcha si era appena scusato con l’uomo che tantissimi anni addietro si era appropriato della sua vita.
Eppure, quello stesso uomo non aveva fatto niente.
Impassibile e sperduto esattamente come prima, sembrava che non avesse neanche lontanamente udito le sue parole.
Yamcha aveva ricominciato a tremare, aprendo e chiudendo i pugni a intermittenza per via del nervosismo crescente. Era difficile cercare di penetrare la corazza che Vegeta aveva costruito attorno a sé, adesso ancor di più.
Ma poi, qualcosa era avvenuto, nonostante fosse l’ultima cosa che Yamcha e gli altri avrebbero mai creduto di vedere. Perché, nonostante la catatonia, da quegli occhi vuoti e impassibili, simili a quelli di una perfetta statua di marmo greco scolpita da un esperto Pigmalione, era scesa una sola, amarissima lacrima.

 
*

“Sei tu… Sei veramente tu!”.
Non riusciva ancora a credere ai suoi occhi. Gohan era sconvolto, felice, aveva il cuore in tumulto dalla gioia. Junior era lì, il suo maestro era vivo, stava bene ed era di nuovo insieme a loro. Se questo non era un dono degli dei, in che altro modo avrebbe potuto definirlo?
“Non riesco a crederci! Mi sembra di sognare! Sei qui! Oh, Junior…” – stava per piangere. Sentiva le lacrime bruciare e il naso chiudersi, ma aveva fatto di tutto per trattenersi. Era un uomo, ormai, e voleva che Junior lo vedesse come tale e non più come il bambino che aveva allenato prima della venuta dei saiyan.
Anche Goten era emozionato. Il suo fratellino non stava più nella pelle: esattamente come lui, era ansioso di sapere dove fosse stato e come avesse fatto a raggiungerli proprio ora che avevano più bisogno di aiuto.
L’emozione del momento aveva confuso le loro menti. Avrebbero dovuto aggiornarlo o Junior sapeva già ogni cosa? Dovevano subito andare a chiamare gli altri o sarebbe stato meglio non dire loro del suo arrivo? Dovevano… Oh, al diavolo! Finalmente si erano riuniti, e solo questo era importante. Solo e soltanto questo.
“Figliolo… So che sei contento di vedermi, e so che lo stesso vale per te, Goten. Vorrei raccontarvi ogni cosa, ma il tempo stringe e non posso permettermi di sprecarlo narrando più volte le stesse vicende. Dobbiamo riunirci, subito, e trovare una soluzione al problema”.
Era risoluto più mai. Sembrava che lui possedesse le risposte a ogni loro quesito.
“Dicci cosa dobbiamo fare e sarà fatto all’istante. Abbiamo bisogno di aiuto, Junior. La situazione è drammatica e Trunks… Lui è…”.
“Lo so”.
Un lungo momento di silenzio era sceso tra loro.
“Lo so, figli miei… Ma dobbiamo fare in modo che la sua morte non sia stata vana”.
“Che vuoi dire?” – aveva chiesto Goten.
“Presto lo saprete. Dovete solo fidarvi di me. Potete farlo?”.
“Come potremmo non fidarci di… Di…”.
Ma Gohan non aveva fatto in tempo a finire la frase. Se non fosse stato per Junior, sarebbe caduto rovinosamente al suolo e non ci sarebbero state delle amorevoli braccia a reggergli il capo mentre il suo corpo era scosso da incontrollabili tremiti simili a convulsioni. Era spaventoso: aveva gli occhi riversi all’indietro e una densa bava biancastra aveva fatto capolino agli angoli della sua bocca.
“Ma che cosa gli succede, Junior? Gohan! GOHAN!”.
E, nello stesso istante, anche se in due posti diversi – seppur vicini – il giovane Son e il re dei saiyan avevano pronunciato lo stesso, identico nome.
Bulma.

Continua…


Ragazzi, eccomi qui!
Scusate per il ritardo. Questa settimana proverò a fare doppio aggiornamento (ma non garantisco).
Bene bene… Yamcha ha tirato fuori un po’ di carattere, a quanto pare. Ne sono felice. Chichi è sempre in agguato, vero? Guai a chi tocca il suo… Emmm… Volevo dire il nostro Vegeta!
Ma che mi dite di lui e Gohan?
Io non posso assolutamente aprire bocca. Sono proprio curiosa di sapere cosa pensiate a riguardo!
Per ora, miei cari, vi saluto, augurandovi un felice Halloween (questo capitolo è sufficientemente a tema), una Festa dei Santi in compagnia dei vostri cari e un Giorno dei Morti in ricordo di chi non c’è più.
Un bacino
Cleo

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Capitolo 42
*** I dubbi di Goku ***


CAPITOLO 42

I dubbi di Goku

 
“Figliolo! Figliolo! Apri gli occhi… Gohan, stai calmo e cerca di aprire gli occhi!”.
“Ma che cos’ha? Junior, che cos’ha il mio fratellone?”.
Il panico aveva assalito il piccolo Son. Non aveva mai visto suo fratello in quelle condizioni. Sentiva un peso fortissimo all’altezza del petto, un peso che gli impediva di respirare. La sua mente aveva iniziato a galoppare a gran velocità, toccando lidi intrisi di disperazione e morte. Gli scenari più cupi avevano preso corpo nella sua fantasia, e nonostante cercasse di ricacciare indietro quelle immagini spaventose, l’epilogo era sempre lo stesso: Gohan non si sarebbe svegliato mai più.
“APRI GLI OCCHI, GOHAN, PER FAVORE!”.
Aveva cominciato a scuoterlo con violenza, affondando poi il visino rigato dalle lacrime su quell’ampio petto che tante volte gli aveva fatto da cuscino. Suo fratello era tutto per lui. Gli aveva fatto da padre, era uno dei suoi più grandi amici e non avrebbe accettato di perderlo dopo quello che era capitato a Trunks. Poteva perdere una persona cara alla volta. Anzi, non poteva perderne più nessuna!
Non gli importava come, gli importava solo che Gohan la smettesse di tremare e aprisse gli occhi, che suo fratello, in parole povere, stesse bene e tornasse definitivamente da lui.
“Calmo, Goten… Così non lo aiuti”.
Junior, con voce ferma, aveva cercato di rassicurare in qualche modo l’esatta copia in miniatura di Son Goku. Era spaventoso vedere quanto terrore si annidasse in quegli occhi scuri, ma poteva comprenderne perfettamente la natura. Fino a qualche istante prima, era stato lo stesso identico sentimento provato da lui.
Dopo un’iniziale incertezza, aveva capito cosa stava capitando al suo protetto e sapeva che sarebbe stato perfettamente in grado di superare quella sorta di crisi. Dovevano solo dargli tempo, e tutto sarebbe tornato esattamente come doveva.
“Ecco, vedi? Le convulsioni stanno diminuendo… Vedi, Goten? Sei sul suo petto, senti il suo respiro… Sta tornando a essere regolare… Va tutto bene… Va tutto bene”.
Sembrava che lo stesse dicendo più a se stesso che al piccolo Son, che stesse cercando un modo per convincersi che la sua presenza lì sarebbe stata d’aiuto e, forse, c’era riuscito. Del resto, aveva una missione da portare a termine e non avrebbe deluso chi gliel’aveva affidata.
Dopo qualche istante di trepidazione, Gohan aveva realmente ricominciato a respirare con una cadenza naturale, così come i battiti impazziti del suo cuore si erano finalmente placati. Stava bene, o almeno così sembrava, anche se non aveva ancora ripreso conoscenza.
Goten era visibilmente sollevato, ma non aveva potuto fare a meno di notare – proprio come Junior – che l’espressione sofferente affiorata insieme a quello strano episodio non era del tutto sparita dal suo volto.
Che cosa era capitato a Gohan? Non avrebbe saputo spiegare il motivo, eppure, il piccolo Son era certo che Junior possedesse tutte le risposte inerenti al caso.
“Sei qui per aiutarci, non è vero?” – aveva esordito improvvisamente, col viso ancora umido di lacrime ma con un’ espressione nuova in viso, un’espressione più matura e decisa.
“Sono qui per esservi di supporto, figliolo”.
Non avrebbe saputo spiegarglielo meglio. Non aveva i mezzi per battere Oozaru, ma si trovava lì per aiutare chi li possedeva.
Era a conoscenza di tante cose, Junior, più di quante avrebbe mai osato sperare. Doveva solo trovare il coraggio necessario per entrare in quella caverna e spiegare a gran voce ciò che aveva da dire.
Forse, non era la manna dal cielo che i presenti avrebbero sperato ma, almeno per una volta, avrebbero dovuto accontentarsi.

 
*
 
C’era un po’ di trambusto, fuori.
Goku era stato uno dei primi ad avvertire che qualcosa non andava, ma per non far agitare la sua Chichi era rimasto al suo posto, accanto a lei, cercando di acuire i sensi quanto bastava per capire cosa stesse succedendo proprio sotto il suo naso.
Era sul punto si scoprire di cosa si trattasse quando era stato distratto da Yamcha e dal suo strano comportamento. Il suo vecchio amico si era avvicinato a Vegeta e aveva fatto un lungo discorso che aveva spiazzato i presenti.
Aveva visto chiaramente come tutti avevano finto indifferenza, ma era stato impossibile non udire le parole pronunciate da Yamcha. I volti dei suoi amici erano dei libri perfettamente leggibili, ed erano tutti troppo stanchi e provati per avere le forze necessarie a simulare disinteresse.
Solo Chichi, contrariamente a tutti gli altri, non aveva nascosto la sua curiosità. Si era stranamente affezionata molto a Vegeta, Goku lo aveva notato da qualche tempo, ma non era sicuro di aver compreso fino in fondo il motivo di quel suo cambio repentino di rotta. Certo, lo aveva visto struggersi per suo figlio, compiere scelte e gesti che nessun genitore avrebbe mai dovuto mettere in atto, ma quello poteva bastare?
Si sentiva un po’ messo da parte, doveva ammetterlo.
 Si sentiva… Si sentiva… Geloso.
Sì, Goku si sentiva profondamente geloso per la prima volta in tutta la sua vita.
E pensare che, fino a poco prima, non aveva la benché minima idea di cosa fosse questo sentimento che aveva fatto impazzire Vegeta durante lo scontro contro Majin-Bu, quando aveva promesso una foto della sua Bulma al vecchio Kaioshin il Sommo. Così come non aveva mai considerato l’eventualità che sua moglie, la sua Chichi, potesse avere tanto interesse nei confronti di un altro uomo, e non di uno qualsiasi, ma verso uno che sembrava fosse il suo nemico giurato.
Non era un completo idiota: aveva visto come le donne guardavano il nuovo re dei saiyan. Seppur di piccola statura, Vegeta sembrava un gigante quando camminava tra la folla. Sicuro di sé, aveva un portamento regale, e qualsiasi cosa indossasse – sì, persino una stupida camicia rosa – lo faceva sembrare identico a quei modelli che svettavano imperiosi sulle copertine delle più famose riviste di moda.
Ma poteva davvero essere che Chichi si fosse invaghita di lui? Che sua moglie, la madre dei suoi figli, avesse una cotta per il marito di una delle sue più care amiche? E Vegeta? Si era accorto di quei sentimenti?
“Urca, Goku… Ma cosa vai a pensare? Qui stiamo rischiando che avvenga l’Apocalisse e tu perdi tempo a pensare a queste sciocchezze? Chichi non ti tradirà mai! Con Vegeta, poi… No, ma dico, stiamo scherzando? Smettila di fare l’idiota e torna in te. Chichi è tua moglie e non ti tradirà mai”.
Ci era mancato poco che non esprimesse quel pensiero ad alta voce.
Forse, per la prima volta da quando si erano conosciuti, Goku aveva iniziato a farsi un esame di coscienza.
Non aveva potuto fare a meno di rimproverarsi per tutti gli anni in cui aveva dato per scontata quella donna meravigliosa che aveva accanto. Certo, Chichi sapeva essere scontrosa e molto dura, ma quale altra moglie avrebbe tollerato i suoi strani atteggiamenti? Chi avrebbe mai potuto accettare di avere al proprio fianco un marito che preferiva allenarsi su un minuscolo pianeta piuttosto che vivere a casa propria e crescere i loro figli insieme? Ma lui la amava. A modo suo, strampalato, infantile, la amava.
Forse, cominciava a capire cosa le piacesse così tanto in Vegeta. O, almeno, cosa le avesse fatto cambiare idea su di lui così repentinamente. Vegeta non aveva paura di essere se stesso. Non aveva paura di amare.
Sì, sapeva nascondersi all’occorrenza dietro quella maschera fatta di puro egoismo, ma quel travestimento non aveva mai davvero attecchito in quella circostanza così drammatica. Vegeta si era mostrato per quello che era: innamorato, fragile e soprattutto umano.
E quell’umanità era venuta fuori quando una lacrima aveva attraversato il suo viso e un nome era uscito dalle sue labbra, il nome dell’unica donna che avrebbe mai potuto amare. Il nome della sua adorata Bulma.
Era stato in quell’istante che Goku ne aveva avuto la conferma: non ci sarebbe mai stata un’altra donna per lui. Mai.
Sperava solo che non potesse esserci un altro uomo per la sua Chichi.

 
*
 
“Ma che cosa gli hai fatto, Yamcha? Cosa gli hai fatto?”.
Chichi era partita all’attacco come una furia dopo aver visto il turbamento affiorato sul volto di Vegeta. Non poteva sopportare di vedere quel pover’uomo piangere. Quello era troppo anche per lei. Certo, sapeva che il momento del crollo sarebbe arrivato anche per il re dei saiyan, ma non in quel modo, non a causa dell’idiozia di Yamcha. Gli sembrava il momento più adatto per fare l’eroe? Veramente?
Se non fosse stato eccessivo anche per una teatrale come lei, lo avrebbe preso a schiaffi. Possibile che fossero tutti una grandissima massa di egoisti e nessuno si rendesse realmente conto di quanto stesse soffrendo quell’uomo? Prima Bulma col suo comportamento scellerato, poi Crilin e la sua famiglia che lo stavano evitando manco fosse un appestato, ora Yamcha. No, non poteva sopportare altro. E non poteva farlo neanche Vegeta. Per questo, in barba a tutto quello che avrebbe detto o pensato Goku su di lei, aveva deciso di raggiungerlo e di offrirgli il suo aiuto, o qualsiasi altra cosa di cui Vegeta avesse avuto bisogno.
Ma, proprio mentre stava per raggiungerlo, la mora si era bloccata di scatto, notando solo in quel momento qualcosa che avrebbe dovuto vedere sin dal primo istante.
Il sangue le si era gelato nelle vene, così come il respiro le era venuto a mancare. Per un attimo, le sue gambe avevano tremato ed era certa che sarebbe caduta a terra se la sua forza di volontà non fosse stata più grande di quello che stava provando in quel frangente. Questo perché solo ora si era accorta che qualcosa non andava. E questo qualcosa, o meglio, questo qualcuno, non era più dove sarebbe dovuto essere.
“Ma dove… Dov’è Bulma?”.
Goku, rimasto un istante pietrificato dopo aver visto la reazione di sua moglie, si era affrettato a raggiungerla, posandole una mano sulla spalla. E, poco dopo, esattamente come lei, aveva iniziato a guardarsi attorno, sperduto e confuso, alla ricerca di quell’amica che tante volte era accorsa in suo aiuto con una delle sue fantomatiche idee geniali.
Eppure, di lei non c’era traccia. Così come non c’era traccia né di Gohan né del piccolo Goten.
“Oddio…” – aveva bisbigliato Chichi, diventando bianca come un lenzuolo – “Mi sento male… Mi sento male…”.
Sarebbe caduta al suolo se non ci fosse stato Goku, pronto a sorreggerla. Sua moglie, la sua roccia, la donna che aveva tenuto insieme la loro famiglia, giaceva inerme tra le sue braccia dopo aver perso i sensi per lo shock. E, se fosse stato più debole, se fosse stato un altro, era certo che anche lui avrebbe rischiato di svenire.
“Possibile che nessuno si sia accorto che non c’erano?” – Crilin non riusciva a capacitarsene.
“Ma non è possibile… Non possono essersi volatilizzati come dei fantasmi! Mi rifiuto di crederlo!”.
E, proprio come C18, anche tutti gli altri si rifiutavano di pensarci.
Si erano addormentati, era vero. Avevano riposato, ma non accorgersi che Bulma, Goten e Gohan, che ben tre membri del loro gruppo si fossero allontanati era da imbecilli con la testa tra le nuvole.
Videl stava per intervenire almeno per quanto riguardava la sorte di Gohan quando, improvvisamente, qualcuno era apparso sulla soglia della caverna, facendo tremare di paura tutti i presenti.
Fortunatamente per loro, quella paura era diventata qualcosa di molto diverso quando il piccolo Goten aveva fatto capolino, facendo strada a un Gohan piuttosto mal ridotto e a qualcuno che non avrebbero mai più creduto di vedere.

 
*
 
“Junior?” – aveva chiesto Goku più a se stesso che al diretto interessato.
“Ragazzi… Non posso crederci…” – aveva esclamato Crilin – “È davvero Junior!”.
L’incertezza iniziale aveva lasciato spazio all’incredulità, poi alla gioia, poi alle lacrime di alcuni, troppo confusi e troppo emozionati da quell’arrivo inaspettato.
“Urca, non posso credere che sia proprio tu, Junior! Qui deve esserci lo zampino di re Kaioh e dei Kaioshin, ho ragione? Che gioia vederti! Ora che sei qui, sono certo che le cose andranno per il meglio! Ma cosa è successo a Gohan?”.
Il Son aveva pronunciato quelle parole d’un fiato, impedendo a Junior di fornirgli anche solo una parvenza di risposta sensata. Era ansioso, impaziente di sapere ogni cosa, ma non poteva abbandonare Chichi in quello stato e non poteva fingere che Gohan non avesse una cera orribile.
Fortunatamente, la giovane Videl era andata immediatamente in suo soccorso, abbracciandolo con tenerezza e aiutandolo a sorreggersi correttamente.
“Sto bene, Videl… Sto bene… Ma cos’ha la mamma? Papà, che cosa è successo a mamma?”.
Doveva essere stata l’agitazione insita nel suo tono di voce, o che avesse pronunciato il suo nome, stava di fatto che Chichi, quasi come per magia, aveva aperto gli occhi, chiamando flebilmente il suo primogenito.
“Gohan… Gohan! Tesoro mio, che ti succede?”.
Ed ecco che era di nuovo in piedi, come se non fosse accaduto niente, pronta a proteggere i suoi cuccioli come solo una vera leonessa sapeva fare.
Aveva abbracciato e baciato suo figlio sulla fronte, lo aveva stretto e poi era scoppiata in lacrime, celando con le mani quel suo pianto di gioia e di disperazione.
Erano insieme. Erano di nuovo tutti insieme. E non erano soli, perché con loro c’era anche Junior. Gli dei avevano inviato il namecciano più forte di sempre in loro soccorso. Forse, dopotutto, c’era ancora speranza.

 
*
 
Troppo grande era stata la loro emozione affinché si potessero accorgere che qualcosa non andava. Troppa la gioia nel vedersi riuniti ancora una volta perché potessero rendersi conto che per uno di loro non ci sarebbe stato più spazio per sentimenti simili, che per uno di loro era semplicemente troppo tardi.
“Vi racconterò tutto… Giuro che vi dirò ogni cosa” – aveva detto Junior, cercando di riportare tutti con i piedi per terra – “Ora, però, vi prego di ascoltarmi perché il nemico potrebbe attaccare da un momento all’altro e dobbiamo farci trovare pronti Fidatevi di me. Vi chiedo solo di fidarvi di me”.
Il viso di Gohan si era rabbuiato nuovamente, ed entrambi i suoi genitori non avevano potuto non accorgersene.
“Che cosa ti succede, tesoro?” – come sempre, era stata sua madre a rompere il ghiaccio.
“Mamma…” – la voce di Gohan era rotta dal groppo che aveva in gola – “Devo… Devo parlare con…” – ma Muten lo aveva interrotto di soprassalto.
“Che fine ha fatto Vegeta?”.

 
*
 
La neve non sarebbe stata sufficiente a fermarlo. Il dolore neppure.
Non era più lui. Non era più un essere senziente, forse non era neanche più un essere umano. O forse, lo era troppo per rendersi conto di quanto immenso fosse il suo dolore, la sua sofferenza, il suo tormento, questo mentre li stava scacciando disperatamente, convinto che solo vedendo, solo toccando, sarebbe stato in grado di capire.
Non aveva sentito quasi niente del discorso di Yamcha. Non aveva capito e non gli interessava farlo. Quel cerebroleso aveva infilato una parola dietro l’altra nel tentativo di muoverlo a compassione, probabilmente, giustificandosi come solo un ragazzino che aveva rotto un vaso pregiato avrebbe potuto fare. Ma Yamcha non aveva rotto un oggetto prezioso. Yamcha aveva… Aveva… Non gliene fregava niente di quello che aveva fatto.
Non gli importava più di niente se non di scacciare via quel pensiero crudele, se non di zittire quella voce interiore che continuava a ripetergli che aveva perso ogni cosa.
Lui era lì. Una fiamma dorata che fendeva il bianco abbagliante di una notte di luna piena. Lui era lì, solo, alla disperata ricerca dell’unica persona che lo facesse ancora sentire speciale.
“Dove sei? Dove sei?”.
Non sentiva niente. Non c’erano aure da percepire, non c’erano battiti da udire, né respiri da captare. Non c’era niente se non il vuoto e il silenzio di quella landa desolata, niente se non il freddo pungente del vento e la livida luce della luna.
E poi, suo malgrado, aveva visto.
Poi, suo malgrado, aveva sentito, e a quel punto aveva veramente sperato che la terra si aprisse e lo inghiottisse. A quel punto, aveva veramente sperato di morire.
Perché la sua Bulma, l’amore della sua vita, giaceva a faccia in su, nella neve, con i capelli turchini sparsi come un cuscino ai lati del suo viso e uno squarcio rosso ancora grondante nel petto.

Continua…


Ciao a tutti!
Eccomi qui, con questa valle di lacrime interminabile!
Vi chiedo scusa sin da ora per le “continue sparizioni dei personaggi”, ma sono da copione. XD
Allora, che mi dite?
Goku avrà finalmente capito che deve fare il marito e che non può andarsene in giro ad allenarsi perché la sua “Chichina” potrebbe guardarsi attorno? E che mi dite di lei? Prova davvero qualcosa per il nostro bel tenebroso o è solo afflitta per lui?
Ma vogliamo parlare di quest’ultimo, poi? Pover’uomo. Povero, povero Vegeta.
Direi che ho detto tutto.
Ah, Junior ce l’ha fatta a palesarsi, alla fine. Meglio così.
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 43
*** La Pietà ***


CAPITOLO 43

La Pietà

 
“Ma dove è andato a finire? Com’è possibile che nessuno di noi si sia accorto che non era più qui? Come?”.
Chichi sembrava impazzita. E non era la sola. Ma nessuno meglio di lei era stato in grado di esprimere lo sdegno e l’agitazione che la scoperta appena fatta avevano provocato.
Vegeta era sparito sotto il loro naso come se niente fosse. Se non avesse avuto la certezza che non era in grado di eseguire la tecnica del teletrasporto, avrebbe pensato che fosse sparito grazie a essa.
Dove si era diretto? E come aveva fatto anche solo a mettersi in piedi, considerando le condizioni pessime in cui versava?
Le ustioni alla schiena gli procuravano dolori lancinanti e la sofferenza emotiva lo aveva distrutto.
Per non parlare, poi, della misteriosa sparizione di Bulma! Possibile che le persone sparissero da lì quasi come se venissero risucchiate da qualche strano vortice invisibile ai loro occhi?
“Che diamine succede, qui dentro?”.
Lo aveva chiesto più a se stessa che agli altri. Del resto, esisteva davvero qualcuno in grado di fornire loro delle spiegazioni concrete?
Forse sì. Forse, Junior conosceva le risposte a ogni loro quesito. Ma perché, allora, se ne stava lì, in silenzio, tenendoli sulle spine, con il volto contratto in una smorfia indecifrabile e i pugni serrati sino a schiarirgli le nocche?
“Per l’amor del cielo, qualcuno vada a cercare quei due!” – stava per avere un’altra crisi isterica. Ma questa volta non sarebbe svenuta. Questa volta, avrebbe stretto i denti e si sarebbe fatta valere! Questa volta, sarebbe diventata una tigre rabbiosa. Non potevano perdere altri compagni di viaggio, altri amici. Se nessuno di loro aveva il coraggio di andare fuori a cercarli bastava dirlo: sarebbe andata da sola.
“Chichi, tesoro, cerca di calmarti…”.
“Calmarmi?” – non credeva alle sue orecchie. Goku le aveva veramente detto che doveva cercare di calmarsi? Ma era serio? Come poteva stare calma davanti a una situazione del genere? Aveva capito quello che era successo? Aveva visto in che stato pietoso era Vegeta? Aveva visto quanto stanco fosse il loro Gohan? – “Non starai dicendo davvero, immagino?”.
“Mammina…”.
“Non interrompere gli adulti mentre stanno parlando, Goten!”.
Il suo tono era stato molto più duro di quello che avrebbe voluto, ma il suo piccolino doveva capire che non c’era tempo da perdere. Dovevano trovare Bulma e Vegeta e dovevano farlo subito.
I presenti erano rimasti immobili e in silenzio. Quella non era la solita sfuriata di Chichi. Nel suo tono di voce c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non sarebbero stati in grado di spiegarsi. Non si trattava solo dell’ansia generata dalla sparizione di Bulma e di Vegeta. Per niente. Era come se la mora avesse dato voce alle loro paure più recondite, ai loro timori più radicati. Come avrebbero fatto a sconfiggere il nemico se non erano stati neanche in grado di accorgersi che i loro amici non si trovavano più lì con loro?
“Dobbiamo andare a cercarli, adesso”.
“Lo faremo” – la voce di Junior aveva avuto la giusta carica di decisione e tenerezza che serviva in situazioni come quelle. Era ancora strano pensare che un essere come Junior potesse conoscere sentimenti come tenerezza e affetto, ma più trascorrevano il tempo in sua presenza, più questa sensazione si diradava. La verità era che Junior, proprio come Vegeta, era molto più umano di quanto potesse sembrare. La verità era che Junior, suo malgrado, sapeva amare proprio come ogni altro essere vivente al mondo.
Era per questa ragione se, tra tanti namecciani, proprio lui era stato scelto per essere inviato in loro soccorso. Perché lui li amava, uno per uno. Anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

 
*
 
Era strano osservarlo così da vicino.
Fino a poco prima, aveva avuto modo di studiare i suoi movimenti solo da lontano, in silenzio, e doveva ammettere che vivere le cose fosse mille volte meglio che osservarle. Dopo tutto quel tempo, aveva rischiato di dimenticare quanto entusiasmante fosse sentirsi vivi.
Purtroppo, non era stata una sua scelta. Condizioni superiori alla sua volontà gli avevano imposto di agire in quel modo un po’ vigliacco, forse, di stare al sicuro, in disparte, nella sua splendida torre, assistito e guidato da un essere rivelatosi tutto fuorché leale.
Aveva vissuto in una menzogna.
Questa constatazione, era stata molto più dolorosa della prigionia.
Eppure, avrebbe dovuto ringraziare il fato: adesso, sapeva che non poteva fidarsi di nessuno.
Abituarsi a quel corpo non era stato per niente difficile. Giovane anzi, giovanissimo, il suo ospite era stato un’autentica manna dal cielo. Quell’involucro era troppo perfetto affinché potesse permettersi di sprecarlo.
Alla fine, le cose erano andate esattamente come aveva voluto.
Quanto accaduto era la prova più tangibile che niente sarebbe stato mai in grado di fermarlo.
Non ce l’aveva fatta quel verme strisciante di Vickas con i suoi piani subdoli e non ce l’avrebbe di certo fatta quell’altra larva umana che stringeva tra le braccia il corpo esanime della donna che amava.
Già, l’amore.
Un sentimento sciocco e vile che rende gli uomini burattini e i guerrieri inutili fantocci di carne.
Quell’essere in lacrime, quello che egli stesso aveva incoronato re, non sarebbe mai stato in grado di fermarlo. Aveva perso troppo. Anzi, aveva perso tutto. E lui, immobile, si divertiva a osservarlo da lontano, con un’espressione indecifrabile in volto e il pugno che ancora stringeva il cuore ormai freddo di quella che un tempo era stata la madre del suo ospite.
Una donna bellissima, quella Bulma, ma incapace di arrendersi a lui. Era incredibile quanta resistenza avesse dimostrato di avere quello scricciolo vivente. Un’altra, al suo posto, avrebbe ceduto immediatamente. Ma lei no. Lei non aveva obbedito alla sua volontà e non aveva portato a termine la missione che egli le aveva affidato. O meglio, non lo aveva fatto come egli aveva creduto. Perché, alla fine, il suo nemico era stato ugualmente spezzato, sconfitto, distrutto, ridotto a niente.
E la cosa più divertente era che era poteva ancora vederlo soffrire, perché in quella circostanza, essere ancora in vita era molto peggio che non esistere più.
Senza rendersene conto, aveva cominciato ad accarezzare con il pollice il vischioso organo che stringeva con una forza non necessaria. Sentiva il sangue grondare e cadere al suolo goccia dopo goccia, sempre più lentamente.
Come avrebbe reagito se si fosse presentato lì, adesso, e glielo avesse donato? Del resto, l’atmosfera era perfetta per elargire doni di quella festività che i terrestri chiamavano Natale. Sarebbe stato come quell’essere panciuto che aveva visto nei ricordi del suo ospite. Santa Claus, era il suo nome, se non sbagliava. Sì, sarebbe stato a dir poco perfetto.
E si sarebbe palesato realmente davanti a quell’uomo dal cuore infranto se non fosse avvenuta una cosa che lo aveva reso ancora più curioso ed eccitato: l’arrivo improvviso di alcune persone che avrebbero fatto meglio a stare nel loro nascondiglio, convinte di essere finalmente al sicuro.

 
*
 
Avevano usato il teletrasporto.
Su insistenza di Chichi, Goku aveva dovuto usare la sua tecnica speciale e condurre lei e Junior nel luogo esatto in cui si trovava Vegeta.
Trovarlo non era stato semplice. La sua aura era ridotta al minimo, e solo grazie alla perseveranza del Son e all’aiuto del giovane Gohan erano riusciti a raggiungerlo. Ma non senza un avvertimento da parte di quest’ultimo.
“Abbiate pietà di lui”.
Non era stati in grado di comprendere quelle parole sino a quando non avevano visto con i loro occhi quanto era avvenuto. E lì, avevano davvero dovuto raccogliere anche le briciole del coraggio che era loro rimasto, perché niente al mondo avrebbe mai potuto prepararli a una scena così straziante.

 
*
 
“Gohan…”.
“Fratellone… Ci sei?”.
Videl e Goten erano preoccupati proprio come gli altri, ma erano stati i soli ad aver avuto il coraggio di chiamarlo per nome e di chiedere con lo sguardo quello che la loro voce non sarebbe mai riuscita a domandare.
Gohan non aveva risposto immediatamente a quelle mute domande. Aveva chiuso gli occhi, aveva chinato leggermente il capo in avanti e aveva preso un bel respiro, deciso a non abbandonarsi al dolore che quelle visioni gli causavano.
Quando si era trattato di Trunks aveva solo visto. Ma ora… Ora, aveva sentito. Aveva sentito il suo stesso dolore aveva sentito la vita scivolare via dal suo corpo, esattamente come era avvenuto per lei.
Così, lo aveva saputo. Così, aveva saputo che Bulma, la loro geniale amica, non faceva più parte di quel mondo così triste e malandato.
Sì, lui c’era. Ma era anche da un’altra parte. Solo che spiegarlo a Goten e a tutti gli altri non sarebbe stato semplice.
Perché lui era lì fisicamente, era vero, ma la sua mente era con suo padre, sua madre e con Junior e ora, era anche con quel povero disgraziato che rispondeva al nome di Vegeta.
Dove avrebbe trovato il coraggio di rivelare a tutti quanto aveva visto? Quali parole avrebbe dovuto usare per spiegare il dolore, il senso di smarrimento e di vuoto che provenivano dalla pallida ombra del guerriero che aveva cercato di ucciderli in un passato neanche troppo remoto?
Stava soffrendo sin dentro l’anima, Gohan. E avrebbe voluto risparmiare quella sofferenza a chi amava.
Ma non poteva.
Quei visi familiari, quegli occhi innocenti, volevano che lui li rendesse partecipi degli eventi, per quanto tristi e sconvolgenti potessero rivelarsi.
“Lo hanno trovato” – aveva esordito, ingoiando il groppone che gli si era formato in gola – “Lo hanno trovato…”.
“Che sollievo…”.
“Già, figliola! Ma che vi avevo detto? Ha la pellaccia dura quel Vegeta! Avrà solo avuto bisogno di schiarirsi le idee e… E…”.
Ma Mr. Satan non aveva terminato la frase dopo aver osservato con più attenzione gli occhi del fidanzatino di sua figlia. Non aveva mai visto quell’espressione sul viso di Gohan. Il sangue gli si era raggelato nelle vene e si era costretto a ricacciare indietro ogni singolo pensiero negativo, seppur con scarsi risultati. Ormai, era evidente: qualcosa non era andato come previsto.
“Ti prego, Gohan, continua…” – la voce di maestro Muten era calma, pacata, era la voce di un saggio nonnino che cercava di infondere coraggio ai nipotini spaventati. Perché, nonostante l’anagrafe dicesse il contrario, gli abitanti di quella caverna non erano altro che bambini alla disperata ricerca di conforto.
Crilin aveva il cuore in gola. Temeva di sapere quello che Gohan avrebbe detto loro. Non sapeva perché, ma era come se ogni singola fibra del giovane Son stesse comunicando loro la verità. Una verità che non riguardava Vegeta, o almeno, non soltanto.
E poi, lo aveva fatto.
Gohan aveva preso coraggio e aveva aperto gli occhi, stringendo i pugni e trattenendo a stento le lacrime.
“Bulma è… Lei…”.
E, nello stesso istante in cui stava per dirlo, il resto dei componenti di quel gruppo di disperati era tornato alla base, mostrando ai loro occhi quanto avevano semplicemente potuto immaginare.

 
*
 
“No… No… NO!”.
Yamcha era stato il primo a cedere. Sconvolto da quanto si era palesato davanti ai suoi occhi, si era accasciato sulle ginocchia, tremante, incapace di reagire al dolore che lo aveva improvvisamente dilaniato.
“Oh no! Mammina no!”.
“Non guardare tesoro, non guardare” – C18 aveva costretto sua figlia a distogliere lo sguardo, affondandole il visino nel suo petto affinché non fosse partecipe dell’orrore che stavano vivendo.
“Dio mio… Non è vero. Non può essere… NO!” – Crilin non aveva potuto trattenersi. Sconvolto, era scoppiato in lacrime, dando sfogo a tutto il dolore e alla frustrazione che sentiva.
Mr Satan aveva portato entrambe le mani alla bocca, mentre il maestro Muten aveva distolto lo sguardo, avvilito.
Gohan aveva abbracciato Videl e Goten… Goten aveva urlato, incredulo, correndo a grandi passi verso la sua mamma, quella mamma che si rifiutava di lasciar andare la mano di Vegeta.
Se uno scultore fosse stato lì presente, avrebbe dato un titolo alla composizione umana che si stagliava sul fondo di una parete rocciosa che ben si prestava a quella rappresentazione.
Perché Goku, in piedi, con gli occhi pieni di lacrime amare, reggeva tra le braccia il corpo senza vita della bellissima Bulma, così bella che avrebbe potuto anche solo sembrare addormentata se quello squarcio sul suo petto non avesse detto il contrario. Perché Junior, con quell’ampio mantello tinto di rosso che morbidamente cadeva sulle sue spalle, reggeva con una mano il petto di quello che un tempo era stato un principe, un guerriero e poi un re, mentre Chichi, in lacrime, teneva stretta tra le sue una di quelle forti mani ormai inerti. Perché in quel tripudio di lacrime, in quell’immagine di dolore, c’era una cosa che spiccava più delle altre: lo sguardo assente dell’indiscusso protagonista di quello che sarebbe di certo stato il gruppo scultoreo più sofferto e sentito di tutta la storia dell’arte mondiale. Perché le parole di Gohan avevano finalmente un senso, e la pietà aveva assunto la sua forma più completa.

Continua…


Eccomi qui, anche se con un pochino di ritardo!
Ma giovedì ho fatto un esame e non ho potuto aggiornare prima!
Capitolo di passaggio – più o meno.
Povero Geta (era da tanto che non lo chiamavo così). Povero tesoro mio.
Non mi odiate, vero?
Spero proprio di no!
A presto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 44
*** Un sentimento più forte ***


CAPITOLO 44

Un sentimento più forte

 
Smarrimento. Rabbia. Frustrazione. Dolore. Morte.
Erano questi i sentimenti che albergavano nei cuori degli abitanti di quella spoglia e inospitale caverna.
Non più uomini e donne, ormai, ma fredde stature di cera ormai consunta, resa molle e inservibile da sferzate troppo violente affinché una superficie così delicata potesse difendersi. Loro, caduti e tornati in piedi più volte, letteralmente morti e risorti in più occasioni, erano ormai certi che non si sarebbero mai più scrollati di dosso quella sensazione di impotenza e di fine imminente.
Questa consapevolezza non era sorta per via dello stato in cui versavano. Per quanto quella scena fosse straziante e pietosa allo stesso tempo, per quanto l’empatia nei suoi confronti fosse ormai la stessa che provavano verso chiunque altro del loro gruppo di amici – ormai lontani erano i tempi in cui credevano che non sarebbero mai stati in grado di perdonarlo – era stato un altro il motivo che li aveva portati a voler gettare la spugna, a capire che arrendersi era l’unica soluzione che valesse la pena di sforzarsi a trovare.
E il motivo lo avevano visto nel corpo senza vita della loro amica dai capelli turchini. Il motivo lo avevano visto negli occhi spenti e senza speranza dell’unico su cui avevano potuto contare in qualsiasi occasione.
Goku era rimasto immobile per un tempo che era parso interminabile, parte di quel macabro gruppo scultoreo che non avrebbero mai voluto vedere. Gli occhi, velati dalle lacrime, arrossati dallo sforzo di trattenere un pianto forse più di liberazione che di dolore, non sembravano neanche più i suoi. Neri, profondi, solitamente comunicanti gioia e resi unici da uno slancio apparentemente inarrestabile verso la vita, erano… diversi. Diversi al punto da mettere loro paura.
Non c’era bisogno che i suoi amici fossero in grado di leggere nei suoi pensieri per capire quanto il loro campione, il loro eroe, il loro salvatore, si sentisse impotente e indifeso, immerso e perso, come tutti, in una situazione che non gli apparteneva, in un piano di cui non riusciva a comprendere neanche le parti più superficiali, in un gioco mortale di cui non avrebbe mai desiderato far parte.
Oozaru non era un nemico comune.
Goku non era giunto a questa conclusione tramite al racconto di Vickas o dopo aver percepito la sua immensa aura.
Oozaru non era simile a nessuno dei mostri con cui aveva avuto a che fare non per via della sua immensa forza. Questa caratteristica, per il giovane Son, era stata sempre motivo di un non dissimulato piacere che lo rendeva a tutti gli effetti membro della stirpe dei guerrieri saiyan. La forza era stata sempre il punto di partenza da cui provare a migliorarsi, a cambiare e a giungere a un livello più alto, sia spiritualmente che fisicamente.
Ma Oozaru… Oozaru era diverso da qualsiasi altra cosa avessero mai dovuto affrontare, sconfiggere, distruggere.
Rinchiuso in quel suo castello, se ne stava lì, al sicuro, a osservarli, a farli impazzire, a tormentarli con quel suo modo di fare, a giocare con loro da lontano, muovendo i fili di quella partita mai veramente giocata e, di conseguenza, mai veramente vinta o persa.
E li stava decimando, Oozaru.
Anche da lontano, li stava uccidendo uno alla volta, terribilmente, crudelmente, inesorabilmente.
Prima era toccato a Rif e a Tenshing. Poi al piccolo Trunks. Adesso, era stato il turno di Bulma. Ancora non riusciva a credere di stringere tra le braccia il suo corpo senza vita. Era così fredda, la sua geniale amica. Fredda e rigida. Ma, forse, non era mai stata più bella di allora.
La morte aveva portato via tanti, troppi, tra loro, e temeva di sapere chi sarebbe stata la prossima vittima del Tristo Mietitore. Ma se anche lui fosse andato via, se anche Vegeta avesse deciso di abbandonarli, che cosa avrebbero dovuto fare?
Si sentiva perso, Goku, perso e impotente per la prima volta in tutta la sua esaltante carriera di guerriero.
Per la prima volta in vita sua avrebbe preferito essere Kaharot, invece che Son Goku. Essere Kaharot significava essere un semplice soldato, ed essere un semplice soldato significava dover obbedire incondizionatamente agli ordini del proprio superiore, del proprio capo invece che agire in prima persona come tutti si aspettavano, nell’attesa che, magicamente, potesse porre fine a qualsiasi tipo di ingiustizia o sopruso.
Ma lui non era più capace di agire come aveva sempre fatto perché non sapeva più di cosa fosse capace o meno. Per ora, si sentiva solo in grado di trattenere le lacrime per far forza a Chichi, ai suoi figli, ai suoi amici e a quell’uomo che forse sarebbe morto di lì a poco.
Quanto sapeva essere beffardo, a volte, il destino? Tanti anni fa, durante uno dei loro primi incontri, aveva sorretto il corpo senza vita di Vegeta esattamente come stava facendo adesso con quello della sua migliore amica, nonché moglie di quel burbero che aveva stravolto il cuore di molti.
Poteva realmente fare qualcosa per evitare il peggio? Forse no. O forse, invece, poteva farlo. Non avrebbe avuto risposta certa finché non si fosse trovato faccia a faccia con il nemico. A quel punto, avrebbe saputo ogni cosa, anche quale sarebbe stato l’esito di quello scontro così ingiusto e impari. Battersi sarebbe stata la sua prima scelta, sempre e comunque. Doveva solo aspettare che Oozaru gli permettesse di farlo. Nel frattempo, avrebbe aiutato qualcun altro a ricordare chi era. Perché lui era un saiyan. Loro erano dei saiyan. Peccato solo che ci avessero impiegato così tanto tempo per capirlo.
“Vegeta…” – Chichi stava provando disperatamente a scuotere membra e animo di quella creatura che le stava scivolando dalle dita come fredda sabbia nella notte. Credeva che il suo cuore sarebbe presto esploso per l’incapacità di contenere tutto il dolore e l’angoscia che quel mostro spietato stava provocando.
Non credeva che avrebbero perso anche Bulma. Non credeva che una famiglia potesse essere vittima di così innumerevoli catastrofi, che una sola persona potesse annegare in un tale dolore e in una tale sofferenza. Come biasimarlo per quella sua catatonia? Come accusarlo di codardia, di aver gettato la spugna? Era rimasto solo. E non ci sarebbe stata la certezza del ritorno dovuta alla miracolosa presenza delle sfere del drago. Non ci sarebbe stato nessun intervento divino, quella volta. C’erano solo loro, stremati, forse inutili, e Junior. Gli dei avevano inviato loro Junior.
Era una persona orribile per aver generato quel tipo di pensiero? Ma doveva davvero giustificarsi per aver creduto che il maestro di suo figlio, alla fine dei conti, non fosse mai stato poi così determinante come tutti speravano? Junior era… Era solo Junior. Come avrebbe potuto aiutali a sconfiggere un nemico che non avevano neanche mai visto e da cui si nascondevano come prede spaventate?
Ma come avrebbe dato voce a quei pensieri? A quelle parole? A quello struggimento? Si guardava attorno, Chichi. Si guardava attorno nella speranza che qualcuno le prestasse la voce, che qualcuno potesse alleviarla da quel peso, da quel tormento. Ma gli occhi dei suoi amici non avevano fatto altro che gettarla ancora di più a fondo nel baratro, e da laggiù, poteva vederli cadere insieme a lei, pronti ormai ad essere afferrati dall’unica cosa agognata, la morte.
“Vegeta… Forza…” – ma provarci ancora non era servito a niente. Provarci ancora, serviva solo a farsi ancora più male.
A quel punto, Junior aveva aiutato il re dei saiyan a mettersi seduto, facendo attenzione a non compiere movimenti troppo bruschi. Chi avrebbe mai detto che, un giorno, sarebbe stato gentile con lui? Che, un giorno, avrebbe dovuto compiere una missione così importante che lo avrebbe condotto a dover spronare quell’uomo così misterioso? A non permettergli di lasciarsi andare?
Guardando quelle persone, i suoi compagni, i suoi amici, per un attimo si era scoperto un essere privo di coraggio. C’era qualcosa nei loro occhi, qualcosa di indecifrabile e di oscuro che lo aveva fatto tremare, fermarsi, esitare. Aveva paura, Junior. Paura di deluderli, paura di non essere abbastanza. Aveva notato il modo in cui Chichi lo guardava, aveva visto in lei il sentore, la convinzione che la sua presenza lì, tra loro, non avrebbe fatto alcuna differenza. E temeva di deludere anche il resto di quella combriccola di micini spaventati. Ma, soprattutto, temeva di deludere lui, Gohan, il suo protetto, il suo figlioccio, il ragazzo che gli aveva mostrato le gioie e i dolori di una seppur acquisita paternità. C’era mancanza di fede, in lui? C’era mancanza di fiducia in quegli dei che lo avevano così caldamente raccomandato? No, non si trattava di ciò. Era solo che gli eventi lo avevano travolto e stravolto talmente all’improvviso da confondere il suo cuore e il suo animo. Come avrebbe potuto anche solo sospettare che Bulma e Trunks avrebbero chiuso gli occhi per sempre a così breve distanza l’una dall’altro, e proprio mentre lui stava arrivando? Non bastava, forse, l’aver dovuto apprendere della triste sorte di Rif e Tenshing? Di sapere che non ci fosse alcuna traccia neppure del forte, fortissimo Majin-Bu? Ed era stato Goku a informare tutti loro. Quello strano eroe dai capelli palmati aveva trovato un varco tra il loro mondo e quello dell’Aldilà e aveva fatto finalmente comprendere alle divinità che il timore, la paura della morte, non potevano portarli a ignorare il pericolo che incombeva su tutti i mondi, conosciuti e non. E solo adesso che ci rifletteva per davvero Junior era stato in grado di capire che la soluzione fosse dietro l’angolo e che lo stesso, identico ragionamento, valesse proprio per tutti.
“Continuare a fare il suo gioco non porterà a nulla di buono” – aveva così esordito, fiero, duro e pacato allo stesso tempo – “Nascondersi non è una soluzione”.
Stava parlando a tutti, e a nessuno. Aiutava ancora Vegeta a reggersi, cercava in qualche modo di attirare la sua attenzione. Ma il re dei saiyan era lontano, distante, perso nel suo universo di dolore e angoscia.
Doveva riportarlo indietro. Doveva far sì che Vegeta tornasse da loro, e doveva farlo subito.
“Sono stato mandato qui per una ragione. E so che non sarà facile, ma voglio che mi ascoltiate. A cominciare da te, Vegeta. Ovunque tu sia, devi fare lo sforzo di tornare qui”.
Ma lui non era lì e, forse, non sarebbe tornato mai più.
“Dacci solo qualche minuto” – aveva detto Yamcha, spiazzando i presenti – “C’è una cosa che dobbiamo fare, prima”.

 
*
 
Ciò che avevano dovuto fare non era stato facile, ma era stato necessario. Che Yamcha avesse deciso di svolgere in prima persona quel compito, poi, era stato in parte sconvolgente, in parte quasi una ovvietà. Vegeta non ne sarebbe stato in grado. Per questo, lui si era limitato ad assistere a ogni fase, o almeno così avevano sperato tutti gli altri, cercando di non disturbarlo, di non infliggergli ulteriori pene, ulteriori sofferenze.
Così, Yamcha, aiutato da Chichi e da Videl, aveva cercato di sistemare come meglio aveva potuto la salma della donna verso cui aveva da sempre provato dei sentimenti che andavano al di là del semplice stare insieme. Tra le lacrime, le due donne e l’uomo che l’amava ormai non troppo segretamente avevano cercato di ravvivare i suoi capelli turchini, di pulire gli schizzi di sangue più evidenti e di ricomporre quel suo petto in modo da non rendere così visibile l’orrore che lo attraversava. Tutto quel rito si era svolto nel più religioso silenzio, mantenuto in rispetto della loro più cara amica e in rispetto dell’unico membro della sua famiglia rimasto ancora in vita.
E Crilin non aveva potuto fare a meno di pensare al fatto che l’assenza dei genitori di Bulma fosse stata solo un bene. E Goku, Maestro Muten e tutti gli altri, non avevano potuto fare a meno di rievocare i momenti trascorsi insieme a quella donna così geniale, testarda e gentile, sorridendo e piangendo insieme, giurando di vendicarla e maledicendosi per la loro stupidità e per non aver capito sin dal primo istante che qualcosa, in lei, da un po’ di tempo non era più come avrebbe dovuto essere.
Junior non li aveva disturbati. Sapeva quanto fosse importante per gli esseri umani dare segna sepoltura ai propri cari. E, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, stava diventando sempre più difficile nascondere che quel momento gli fosse indifferente. Volente o nolente, si era affezionato a tutti loro. E pensare che, inizialmente, il suo scopo primario fosse stato quello di assoggettarli tutti. Era cambiato. Era cambiato sin dentro l’anima, e questo lo faceva sentire molto più vicino a Vegeta di chiunque altro. La loro evoluzione era stata simile, anche se avvenuta mediante percorsi diversi. Junior aveva sacrificato la sua stessa vita per proteggere Gohan, mentre il re dei saiyan non aveva potuto fare niente per impedire la morte di suo figlio, così come non aveva potuto fare niente per impedire la morte di sua moglie. Stava soffrendo per lui. Stava soffrendo con lui. Ma doveva aiutarlo a tornare in sé. Doveva farlo per il suo bene e per quello dell’universo intero.
Così, la cerimonia di sepoltura della donna dai capelli turchini si era svolta in tutta la solennità che qualche vecchio lenzuolo in parte bruciacchiato e quel freddo terreno ricoperto di neve potevano offrirle. Era stato Yamcha in persona a scavare la profonda fossa che l’avrebbe ospitata per chissà quanto tempo, innaffiandola con una valle di lacrime inarrestabili. Ma da solo non ce l’avrebbe fatta a lasciarla lì, da sola, a buio e al freddo, ed era toccato a Goku giungere in suo aiuto, promettendole che l’avrebbero vendicata e che avrebbero in qualche modo sistemato ogni cosa.
Ma nessuno, neanche Junior, si sarebbe aspettato di vedere quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Era come se Goku non fosse stato più lui per qualche lungo, interminabile minuto, e che le parti si fossero in qualche modo ribaltate.
Grazie all’utilizzo del teletrasporto, il capofamiglia Son si era portato esattamente davanti a Vegeta, rimasto nella grotta in compagnia di Chichi, C18 e della sua piccolina, e senza che loro potessero intervenire, lo aveva schiaffeggiato con così tanta forza da rompergli il labbro e farlo sanguinare.
“GOKU!” – Chichi non riusciva a credere ai suoi occhi – “MA CHE STAI FACENDO?”.
“Quello che avrei dovuto fare dal principio!”.
Inarrestabile e feroce come una furia, Goku non si era fermato davanti alle suppliche di sua moglie, o al pianto disperato della figlioletta di Crilin, o alla totale mancanza di reazione da parte di Vegeta. Anzi, questo suo atteggiamento lo aveva solo portato a diventare sempre più aggressivo e violento.
“PERCHÉ NON REAGISCI?” – continuava a urlargli mentre lo tempestava di pugni e calci –“PERCHÉ TI COMPORTI DA VIGLIACCO?”.
Si era chinato su di lui, afferrandolo per il colletto della maglia e colpendolo ripetutamente sulla guancia destra. Se Goku non fosse stato un saiyan, le sue nocche, entrate ripetutamente in contatto con lo zigomo di Vegeta, si sarebbero certamente fratturate. Ma lui non era un semplice essere umano, così come non lo era la sua vittima.
Goku voleva disperatamente che Vegeta reagisse. Era rimasto troppo tempo a guardarlo, a compatirlo, e quello era il risultato della loro volontà di rimanere in disparte: tutta la sua famiglia non c’era più, e presto anche lui li avrebbe abbandonati. Non poteva permetterlo.
Per questo stava dando sfogo alla sua rabbia e stava cercando di suscitare in lui un qualsiasi tipo di reazione. Quello non era l’uomo che aveva conosciuto e che aveva cercato di ucciderlo! Quello non era l’uomo che aveva sfidato Freezer e che aveva combattuto senza esitazioni contro Cell e contro Majin-Bu! Proprio nello scontro avuto con quest’ultimo, Vegeta aveva deciso di immolarsi pur di consentirgli di lanciare la sua Energia Sferica. Era meglio morire piuttosto che restare con le mani in mano! Come aveva potuto ridursi a quello? Come?
Sempre più infuriato, lo aveva preso per un braccio, costringendolo ad alzarsi per poi vederlo cadere un istante dopo. A quel punto, non si era più controllato, e aveva lasciato che la sua forza e la sua ira esplodessero, trasformandosi in super saiyan. La voce terrorizzata di Chichi e di Videl che gli chiedevano di smetterla erano un suono ovattato, lontano. Lo sguardo incredulo dei suoi amici, accorsi per le loro grida, non era da meno. Con un calcio, un solo, potentissimo calcio, aveva condotto Vegeta al di fuori della soglia, facendolo cadere di peso nella neve, non più candida, ma macchiata dal sangue che grondava dal suo naso fratturato.
“Vieni con me” – come avrebbe fatto Freezer, Goku lo aveva sollevato per i capelli, cacciandogli un lamento, e lo aveva sbattuto con violenza proprio sul ciglio della tomba di sua moglie, costringendolo a guardarvi dentro, mentre gli teneva premuto il viso proprio sul bordo freddo e cedevole.
“Guarda! GUARDALA! Sai perché si trova lì? Lo sai? Perché non abbiamo fatto niente! Perché la paura ci ha bloccati qui e ci ha fatto nascondere come conigli! E guarda a cosa ci ha condotti! GUARDA! Trunks è morto! Bulma è morta! Quanti di noi devono morire prima che tu capisca? Eh? Perché fai così? Perché non reagisci? Perché ti ostini a non capire?”.
Stava aumentando ancora la sua aura e non aveva impiegato molto tempo affinché il secondo livello del super saiyan si fosse palesato. La sua aura era così calda da sciogliere la neve. Se avesse continuato in quel modo, sarebbe presto diventato super saiyan di terzo livello e, a quel punto, la sua forza spirituale sarebbe stata talmente immensa da raggiungere ogni angolo della Terra. Solo un miracolo avrebbe potuto fare in modo che Oozaru non li trovasse.
“Che cosa gli è preso? È forse impazzito? Dobbiamo fermarlo o preso saranno in due i corpi da seppellire in quella fossa!”.
Mr. Satan non credeva ai suoi occhi. Ormai a conoscenza dell’indole pacifica di Goku, non avrebbe mai creduto di poterlo vedere in preda a una tale ira. Cosa voleva dimostrare? Vegeta stava soffrendo, aveva appena perso tutta la sua famiglia, come poteva credere che un simile atteggiamento potesse giovargli?
“FATE QUALCOSA!”.
“Non faremo niente, Satan. Stai calmo” – era stata la voce di Maestro Muten che aveva permesso a lui e ai presenti, scioccati e increduli, di riflettere e pensare a quanto stava avvenendo – “Goku e Vegeta sono molto più simili di quanto crediamo. Lasciamolo fare. Forse, Goku ha capito qualcosa che noi non siamo in grado di comprendere”.
Poteva anche essere vero, ma quello spettacolo era raccapricciante. Vegeta continuava a non reagire a quella violenza gratuita. Se ne stava lì, con gli occhi chiusi, deciso a non obbedire agli ordini di un Goku sempre più violento e feroce.
“Papà, lascialo stare!”.
“FERMO, GOHAN!” – lo aveva redarguito Junior – “NON INTERVENIRE!”.
“Di questo passo lo ucciderà!”.
“Non accadrà!” – lo aveva rassicurato – “E tu, questo, dovresti saperlo”.
“Eh?”.
“Concentrati, figliolo. Concentrati e aiuta tuo padre in questa impresa disperata. Vegeta è la nostra unica speranza, Gohan. Sono qui per questo, per aiutarvi a capire. Ma, a quanto vedo, lo state facendo benissimo anche da soli”.
Il giovane Son lo guardava stranito, incerto sul da farsi. Poi, però, aveva obbedito, sorretto dalla fermezza di Junior e dal sorriso della sua amata Videl, e aveva chiuso gli occhi, scoprendo che, nonostante quel trambusto, entrare in contatto con Vegeta gli era venuto molto più naturale di quando credesse.
Parlare direttamente all’animo e al cuore di un uomo era diverso che rivolgersi semplicemente al suo udito. Gohan sentiva Vegeta, ed era certo che Vegeta sentisse lui, per quanto continuasse a sfuggirli.
“Non avere paura” – era stata la prima cosa sensata che gli fosse venuta in mente di dire – “Non avere paura, Vegeta, e guarda. Fa come ti dice papà, guarda”.
“Lasciatemi in pace” – erano state le sue uniche parole, mentre ancora si ostinava a tenere le palpebre serrate – “Lasciatemi in pace”. Era una supplica, non un ordine. E quel tono sommesso, quella voce pietosa, aveva solo contribuito ad alimentare l’ira del Son.
“MALEDIZIONE, VEGETA, GUARDA!”.
Se avesse spinto ancora, Vegeta sarebbe finito sul freddo corpo avvolto dal sudario di Bulma. Goku sarebbe davvero arrivato a tanto?
“E va bene! Vuoi che te lo dica?”.
“Non permettergli di farlo”.
“Lo vuoi sentire?”.
“Sai che non sarebbe la verità”.
“Perché mi stai costringendo a questo non lo capirò mai, ma si vede che è questo ciò che desideri!”.
“Vegeta, apri gli occhi e reagisci!”.
“Lasciatemi in pace”.
“Non abbiamo la minima intenzione di farlo”.
Non sapeva come ci fosse riuscito, ma ce l’aveva fatta. Prima che Goku lo facesse, prima che incolpasse Vegeta della morte dei suoi cari solo per avere una reazione da parte sua, Gohan aveva raccolto tutta la concentrazione necessaria e aveva fatto cadere il velo, concedendo a quel povero disgraziato, a quell’anima in pena, di entrare in contatto con le uniche persone che avesse mai amato, di vedere la sua Bulma e il suo Trunks che gli sorridevano teneramente, chiedendogli di non lasciarsi andare.
Era successo tutto insieme e tutto troppo all’improvviso per essere spiegato nel dettaglio. Ma proprio mentre Goku stava per dirlo, proprio quando la frase era stata già sul punto di essere pronunciata, Vegeta aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, facendo leva sui palmi e sprigionando un’energia che avevano visto solo in pochissime occasioni.
Avevano dovuto aggrapparsi per non essere spazzati via. Gohan aveva protetto Videl, Chichi aveva stretto Goten, e tutti gli altri si erano protetti a vicenda, escluso Goku, che era stato scaraventato molto più lontano di quanto non avrebbe creduto.
Solo Junior aveva previsto ogni cosa, formando attorno a sé, a Gohan e a Videl una barriera abbastanza spessa da impedire a quella potenza così pura di raggiungerli.
“Ma cosa… Cosa sta succedendo?” – aveva chiesto la giovane dai corti capelli corvini, spaventata e incredula.
“Quello che sarebbe dovuto accadere dal principio” – aveva detto il namecciano, sorridendo speranzoso – “Ce l’hai fatta, Gohan. Ce la state facendo tutti”.
Il giovane mezzosangue, ancora un po’ scosso, lo aveva guardato per un momento lunghissimo, tornando poi a concentrarsi sulla figura di Vegeta che ancora urlava e sprigionava energia luminosa da quella posizione di totale seppur apparente sottomissione.
E poi, Junior lo aveva fatto: Junior aveva estratto qualcosa dalla tasca e l’aveva data a Gohan, continuando a sorridere.
“Ma questo… Questo è il medaglione in cui era stato imprigionato Oozaru!”.
“Lo è… E non lo è” – aveva detto lui, misterioso –“Ma di una cosa sono certo: adesso, siete pronti a usarlo”.

Continua…


Eccomi qui, con una settimana di ritardo. Vi chiedo umilmente scusa e vi ringrazio per le recensioni dei capitoli precedenti e per la pazienza.
Spero di essermi fatta perdonare!
Volevate una reazione? Ecco la reazione! XD
Non ho molto da dire, in realtà. Penso che il capitolo parli da solo. Posso solo augurarmi che vi sia piaciuto e che restiate con me fino alla fine. Ormai, ci siamo quasi (lo so, lo dico da un po’, ma vorrei arrivare a un numero “tondo” di capitoli. Non so se mi spiego).
Per ora vi saluto, e vi auguro di trascorrere un piacevole week-end!
Un bacino
A presto!
Cleo

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Capitolo 45
*** Un barlume di speranza ***


CAPITOLO 45

Un barlume di speranza


 
La potenza scatenata dal re dei saiyan sembrava inarrestabile. Scariche elettriche violentissime si propagavano dal suo corpo, illuminando il cielo come avrebbero fatto delle saette durante un temporale. La terra attorno a lui tremava, scossa inaspettatamente da un rilascio di energia inatteso e insperato, da un qualcosa di così unico e temibile insieme da mozzare il fiato a chi se ne stava lì, fermo, a osservare.
Tante volte lo avevano visto all’opera. Tante volte avevano tremato e si erano meravigliati di quanto vigore, di quanto potere disponesse quell’uomo dalla corporatura così minuta, quell’uomo che mai come nessuno era caduto e si era rimesso in piedi, che mai come nessuno aveva sofferto per le umiliazioni subite ma che da esse aveva tratto la forza necessaria per risorgere, proprio come una fenice avrebbe fatto dalle sue ceneri.
Vegeta era tutto quello: Vegeta era potenza, distruzione, morte, fierezza, orgoglio e vanità. Ma Vegeta era anche dolore, sofferenza, timore, paura e a volte, inaspettatamente, era anche tenerezza e amore.
Non erano state le parole di Goku a smuovere il suo animo. O almeno, non era stato solo merito loro. Qualcosa, alla vista del corpo immobile e senza vita di sua moglie, qualcosa, in quella posa così simile a quella che poco prima aveva assunto il suo unico figlio, aveva fatto sì che quello scudo di disperazione in cui si era rifugiato si infrangesse, liberando il guerriero, o meglio, il saiyan che si trovava in lui.
Vegeta non sembrava avere alcun limite. La sua energia non sembrava averne. Era quasi impossibile credere che quell’uomo così sfigurato dal dolore, che quell’uomo dall’animo segnato dalla sofferenza, potesse dimostrare con tanta tenacia il suo vero io, la sua essenza più recondita.
Nessuno, tra i presenti, aveva osato fiatare o aveva anche solo pensato di avvicinarsi a lui. Sapevano bene cosa significasse quella reazione, cosa stesse dimostrando. Sempre così controllato, sempre così razionale e calcolatore, Vegeta stava cercando anzi, aveva trovato, la forza di reagire solo nell’attimo in cui aveva deciso di lasciarsi andare, seguendo lo stesso, implicito consiglio che qualche ora addietro aveva dato al suo figlioletto morente.
Non era solo la rabbia quella che gli aveva permesso di scatenare una simile energia. Non erano solo il dolore e la frustrazione. Era di più. E, a loro, miseri esseri insignificanti di fronte a una simile dimostrazione di forza, non restava che rimanere sbigottiti e abbagliati, terrorizzati e ammirati, ma convinti che quella fosse l’unica cosa giusta che si potesse fare per lui.
Videl e Gohan continuavano a rimanere abbracciati, Chichi e gli altri continuavano a rimanere sdraiati a terra con la testa coperta dalle mani, cercando così di proteggersi dalla raffica di sassi e neve che l’esplosione dell’aura di Vegeta stava causando.
Solo Goku, dopo un primo istante di esitazione dovuto alla velocità dell’accaduto, aveva trovato la forza di resistervi. I suoi occhi bruciavano, faticava a tenerli aperti, e anche la sensazione di calore sulla pelle era aumentata a dismisura. Eppure, non aveva ceduto, facendosi forza e decidendo di avanzare in quel turbinio di luce e potenza che egli stesso aveva contribuito a provocare.
Non era facile muoversi in quelle condizioni. Non era facile cercare di raggiungerlo, soprattutto perché non aveva potuto fare a meno di notare una cosa per la seconda volta in poco tempo. Inizialmente, aveva creduto di essersi sbagliato. Ma, quello che inizialmente gli era parso un errore, era ora un’autentica certezza: più l’aura di Vegeta cresceva, più lui si sentiva stanco e svuotato. Più le energie di Vegeta aumentavano, più le sue diminuivano. Lo aveva percepito prima, quando il suo amico aveva reagito alle stranezze di Vickas sino al punto di ucciderlo, e lo stava sentendo anche ora che la sua aura era esplosa. Cosa ciò significasse non era ancora stato in grado di capirlo, ma di una cosa, Goku, era sempre più certo man mano che i secondi trascorrevano: solo uno, tra loro due, avrebbe potuto gareggiare nello scontro finale, e non gli stava risultando molto difficile capire di chi si trattasse.
“Sono certo che si tratti dell’ennesimo tiro mancino di Vickas”.
Lo aveva detto tra sé e sé mentre, a fatica, aveva quasi raggiunto Vegeta. Sono gli dei potevano sapere quanto si sentisse stanco. Senza rendersene conto, era passato dall’essere Super Saiyan di secondo livello all’essere quello di primo per poi, più repentinamente di quello che si potrebbe credere, a tornare alla normalità, a essere il Goku di sempre, il ragazzo dai capelli a palma che non sarebbe mai cresciuto e che avrebbe dato la vita pur di difendere chi amava. E l’avrebbe fatto, si sarebbe sacrificato anche adesso, se ciò significava dare a Vegeta una chance per sconfiggere il nemico, per dare a Vegeta, al suo amico, al suo re, la possibilità di distruggere Oozaru.
“Ve-Vegeta… Vegeta!”.
Era caduto in ginocchio, ansimando. Gli doleva il petto, e credeva che presto i suoi occhi si sarebbero liquefatti. Presto sarebbe stato spazzato via dalla furia distruttiva di un uomo nuovo, diverso e uguale a se stesso come mai era stato prima di allora, un uomo che egli stesso aveva contribuito a forgiare.
Forse, quello era il piano di Vickas sin dall’inizio. Forse, ruotava tutto attorno a Vegeta e a Gohan, il suo Gohan, e tutti gli altri non erano che di intralcio. E poi, quando, con un tonfo violento, anche ginocchia e polsi avevano ceduto facendolo cadere al suolo, quando era certo che l’aura del suo eterno rivale lo avrebbe polverizzato, l’aveva sentita, quella stretta forte e gentile allo stesso tempo, sulla sua spalla destra scossa da un tremito di angoscia e paura, e lo aveva udito, trovando solo a quel punto la forza di rialzarsi.
Era Vegeta, quello che si era inchinato per soccorrerlo, eppure non era lui. Sembrava così giovane, così bello, così sicuro di sé, nonostante gli abiti ridotti a brandelli e lo sguardo triste come mai lo era stato prima di allora. La sua mano era calda e sicura, i suoi muscoli scattanti e reattivi, ma c’era qualcosa che Goku non capiva. Anzi, erano diverse le cose che Goku non capiva. Vegeta era lì, sentiva il suo tocco, vedeva il suo corpo, eppure era evanescente, etereo come uno spirito. Per un attimo, aveva creduto di vedere qualcosa agitarsi nel suo petto coperto solo in parte da vestiti ridotti a un cumulo di stracci, come se su di esso vi fosse uno squarcio grondante un denso liquido nero. Solo in seguito aveva capito, e aveva dovuto recuperare tutto il coraggio e la razionalità che erano a sua disposizione per non cedere allo sgomento: quello che vedeva era il cuore pulsante, ferito, ma ancora vivo, di quello che un tempo era stato il principe dei saiyan.
Gli aveva sorriso. Vegeta gli aveva sorriso con tristezza e sofferenza, ma in un modo che testimoniava la sua volontà di non arrendersi, di non cedere alla pressione di quei sentimenti così difficili da sopportare.
“Ho bisogno che tu resti con me” – gli aveva detto senza alcuna esitazione – “Resta qui con me”.
Lo aveva sentito chiaramente, nonostante le labbra di Vegeta non si fossero mosse neanche di un millimetro. Goku aveva sollevato lo sguardo e si era sporto leggermente in avanti col capo, guardando oltre l’evanescente spalla dell’uomo che aveva davanti, proprio nel punto da cui proveniva l’energia che ancora lo teneva schiacciato al suolo, e se non fosse stato certo della sua sanità mentale, non avrebbe capito. Vegeta era lì, davanti a lui, in una forma sofferente e incorporea, ed era più lontano, solido e vivido, che ancora si lasciava andare a quell’esplosione di collera ed energia.
Poi, all’improvviso, era stata un’altra la voce che aveva raggiunto le sue orecchie e gli aveva fatto accapponare la pelle. Aveva avuto bisogno di un attimo per rendersi conto che solo lui fosse stato in grado di udirla. Non aveva visto alcun turbamento nel viso di Vegeta, in quello di nessuno dei due Vegeta, e questo era strano, considerando che la persona a cui apparteneva quella voce era la stessa per cui stava letteralmente morendo di dolore.
“Salvalo” – si era limitata a dire, apprensiva e lontana mille miglia – “Salvalo”.
Aveva le lacrime agli occhi, Goku. Tra tutte le prove che aveva dovuto affrontare, quella era la più complessa, la più difficile in cui si fosse mai imbattuto, l’unica a cui, forse, avrebbe solo desiderato sottrarsi. Ma Goku non era fatto così. Goku non era mai scappato davanti ai problemi, non si era mai comportato da codardo, e non avrebbe iniziato a farlo in quell’occasione. Bulma, ovunque lei fosse, aveva chiesto il suo aiuto. E non lo aveva chiesto per sé, ma per l’unico membro della sua famiglia rimasto ancora in vita, per l’uomo che amava, per il suo Vegeta.
Non aveva risposto, Goku, perché non ne aveva alcun bisogno. Bulma non aveva bisogno di parole. Vegeta non aveva bisogno di parole.
Raccogliere le forze non era stato semplice, ma lo aveva fatto, nonostante la stanchezza, nonostante l’imbarazzo, e aveva fatto l’unica cosa che avrebbe dovuto fare. Goku aveva allargato le braccia e poi le aveva strette attorno a quella figura evanescente, stringendola a sé. Aveva chiuso gli occhi e aveva respirato a fondo, cercando di dare conforto a quell’anima ferita e di trovare conforto a sua volta. Aveva ragione, Vegeta, e aveva ragione anche Bulma. Per salvarsi, non dovevano abbandonarsi a vicenda. Per salvarsi, dovevano rimanere uniti.
Il tutto era accaduto sotto lo sguardo vigile degli unici che erano stati in grado di partecipare passivamente a quella scena. Gohan aveva permesso a Junior e a Videl di vedere quanto stava accadendo, di osservare lo spirito di Vegeta, col suo cuore ferito e grondante, che si lasciava cullare da un Goku stanco e provato ma ancora desideroso di aiutare, di amare e di sacrificarsi per un bene superiore.
In un’esplosione di luce ormai giunta all’apice del suo splendore, improvvisamente, tutto era svanito e, piano, quasi al rallentatore, era tornato a quella che rischiava di diventare la normalità. La neve, silenziosa e serena, aveva ripreso a cadere come se non fosse accaduto niente e i presenti, stremati e sconvolti, si erano ricomposti come meglio avevano potuto. Maestro Muten era stato il primo ad affacciarsi timidamente verso i protagonisti di quella scena, infondendo così un po’ di coraggio a chi, ancora, era rimasto accucciato nel suo nascondiglio di fortuna.
Senza neanche rendersene conto, si erano ritrovati tutti a sostare dietro Gohan, Junior e a Videl, quasi come se sperassero di ricevere da loro un minimo di protezione. Nessuno aveva osato fiatare.
Vegeta era ancora piegato sui gomiti, ansimante, tremante, col capo nascosto tra le spalle e una leggera nebbiolina che gli aleggiava attorno. Era impressionante vedere come la neve non avesse neanche il tempo di entrare in contatto con la sua pelle perché finiva col vaporizzarsi. Era impressionante vedere come Goku fosse ancora seduto sui talloni e si trovasse in quella posizione così buffa, con le braccia alzate e posizionate in cerchio, come se stesse abbracciando l’aria.
Videl aveva portato entrambe le mani alla bocca, cercando di soffocare i singhiozzi. Non era mai stata una frignona, una donnicciola, ma quello che aveva visto poco prima, quello a cui aveva assistito nelle ore e nei giorni appena trascorsi, andava al di là di ogni dimostrazione di forza fisica e di animo. Il dono di Gohan l’aveva aiutata a vedere, l’aveva aiutata a capire e ora non aveva più dubbi, non aveva più paura. Provava solo tanta tristezza unita, ma anche tanto rispetto verso quei due guerrieri, verso quelle due anime tormentate che non avrebbero mai accettato di arrendersi.
Ed era stata lei, l’unica che, insieme a suo padre, con loro c’entrava poco a niente, la prima a dirigersi verso di loro, seguita da Chichi e da Goten.
Non erano soli, i nostri amici, e non lo sarebbero mai stati.
“Goku… Goku, tesoro, stai bene?”.
La voce di Chichi lo aveva aiutato a uscire da quello stato di trance in cui era piombato. Le aveva fatto veramente paura lo stato in cui aveva trovato suo marito. Sembrava dimagrito improvvisamente e i suoi occhi erano vuoti e spenti. Dolcemente, aveva toccato un suo braccio ancora sollevato e quel magico contatto era stato in grado di riportarlo indietro da quel mondo lontano in cui era piombato.
“Chichi?”.
“Sì amore… Sono io”.
Avrebbe voluto chiedergli tante cose: avrebbe voluto chiedergli perché fosse così magro e perché avesse cercato di abbracciare qualcuno o qualcosa, ma ogni suo proposito era svanito nell’attimo in cui si era trovata soffocata nella sua stretta sicura e amorevole, quando aveva capito che nessuno avrebbe mai potuto farla sentire più amata e al sicuro di così.
Goku le aveva baciato i capelli, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dal momento. Ogni istante era prezioso perché poteva essere l’ultimo, perché sarebbero potuti essere loro quelli al posto di Bulma e Vegeta, e lasciarsi scappare anche solo la più piccola opportunità di dimostrarsi affetto, di donarsi a vicenda la più piccola tenerezza, era da ingrati.
Com’era bella la sua Chichi. Com’era bella con gli occhi velati dalle lacrime e i capelli arruffati dal vento. Com’era morbida la sua pelle sporca di terra, e com’era caldo il suo abbraccio.
“Goku?” – le mancava il respiro. Suo marito si era staccato da lei e le aveva preso il viso tra le mani, accarezzandole entrambe le guance con i polpastrelli ruvidi e temprati dalla fatica. Per un attimo, le era parso che la stesse vedendo per la prima volta in vita sua. Questo avrebbe dovuto farla arrabbiare, forse, ma come poteva avercela con quell’eterno bambino? L’aveva sposata senza neanche rendersi conto di quello che aveva fatto, di cosa comportasse assumersi un impegno così grande. Non era l’uomo perfetto, certamente, ma era suo. E lei era sua. Ne aveva avuto la prova in quel preciso istante.
“Andiamo ad aiutare Vegeta”.
Lo aveva aiutato a mettersi in piedi e lo aveva sorretto in quella breve traversata, conducendolo presso il re dei saiyan.
Videl e Goten avevano provato ad aiutarlo ad alzarsi, ma lui si era rifiutato. Il suo capo era ancora chino e si suoi occhi erano ancora puntati sulla salma della sua amata Bulma. Non c’erano lacrime nei suoi occhi, ma c’era qualcosa che non vedevano da tanto tempo.
“Vegeta…” – lo aveva chiamato Goku, convinto che lo avrebbe ascoltato – “Guardami… Sono qui”.
Le parole di Goku, inaspettatamente, avevano finalmente rotto il maleficio? Non potevano averne la certezza, ma potevano gioire almeno per la reazione suscitata: perché Vegeta, senza alcuna esitazione, aveva incatenato il suo sguardo vigile, fiero eppur sofferente, a quello di Goku.

Continua…


Eccomi qui, anche se con un pochino di ritardo.
Questo non è esattamente un capitolo di passaggio. Goku ha avuto la capacità di fare molto di più di quanto aveva sperato: Goku è entrato in contatto con lo spirito di Vegeta, con la sua parte più intima e sofferente, quella parte che disperatamente cercava di uscire e di chiedere aiuto e che è riuscita a farlo solo quando il guscio si è rotto.
Non avevo in programma di scriverlo. Non so se è venuto bene o male, e spero di essere riuscita a trasmettervi ciò che volevo.
Ora scappo!
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 46
*** Il nemico è vicino ***


CAPITOLO 46

Il nemico è vicino

 
L’esplosione di potenza generata dall’improvvisa reazione di Vegeta non era passata inosservata. Gli abitanti della cittadina, piccoli e fragili creature assoggettate al volere, alla tirannia del loro invisibile sovrano, ne erano stati travolti. Sconcertati e spaventati, i più temerari avevano tentato di trovare riparo nelle proprie case, ma chi aveva avuto la sfortuna di trovarsi all’aperto durante quella specie di uragano, aveva dovuto accontentarsi di sdraiarsi al suolo e di proteggersi la testa con le mani, sperando di uscire, se non illeso, almeno ancora in possesso della propria vita.
Quel nuovo episodio così improvviso aveva riacceso interrogativi e paure che tutti, per tanto tempo, avevano cercato di sopire. Da quando si erano risvegliati in quell’incubo senza sapere come avessero fatto a trovarvisi, avevano provato in ogni modo a non porsi troppi quesiti e a non esporsi, così, in maniera eccessiva.
Non sapevano bene perché, non sapevano come fosse stato possibile, ma dove prima c’era la loro città, le loro strade, le loro case, il loro mondo, c’era tutt’altro. E si trattava di un altro irriconoscibile e spaventoso.
Uomini, donne e bambini avevano cercato di capire, di trovare una ragione a quella strana novità così rurale e arretrata, ma non era stato possibile. Non in un primo momento, almeno.
In gruppi più o meno compatti, con addosso ancora gli abiti che avevano in precedenza, seppur sporchi e strappati, avevano provato a esplorare quel posto, affacciandosi timidamente oltre le porte di quelle strane casette così primitive nella speranza di trovare un segno, un simbolo di quello che era il loro mondo, la loro dimora, la loro identità.
Non c’era nessuno di sospetto in quelle strade così strette e scomode. La maggior parte erano fatte di terra battuta, e bastava fare qualche passo per alzare un gran polverone che rendeva gli occhi rossi e doloranti.
Il silenzio spettrale di quel posto, interrotto solo a brevi tratti dallo scalpiccio dei passanti, era resto ancora più spaventoso da una strana presenza invisibile eppur perfettamente percepibile. Non avrebbero saputo spiegare di cosa si trattasse. Era come se l’aria fosse diventata pesante e rovente, opprimente al punto da rendere difficile respirarla.
I bambini cercavano inutilmente conforto tra le braccia dei genitori, ignari che presto sarebbero stati orfani di padre e costretti a compiere i più abietti tradimenti.
Poteva essere quello il loro pianeta? Poteva essere davvero che quella fosse la Terra? Dove avrebbero trovato riparo? Da chi avrebbero potuto mai avere una spiegazione? Come ci si poteva trovare, di punto in bianco, in un luogo così desolante, diverso e spaventoso?
Purtroppo per loro, fin troppo presto avevano compreso che vagare non li avrebbe aiutati a trovare le risposte a tutti quegli interrogativi. Vagare non avrebbe condotto a nulla se non a portarli, quasi come se fossero stati un gregge guidato da cani da pastore invisibili, nella piazza antistante all’imponente bastione che torreggiava su di essa.
Sembrava quasi che tutta la popolazione mondiale, o quella che ne rimaneva, si fosse radunata lì, in quell’immensa, spropositata piazza da cui si accedeva da quegli stretti vicoli così affollati.
E, senza che se ne rendessero conto, senza che capissero come ciò fosse possibile, si erano ritrovati tutti in ginocchio, a capo chino, offrendo il collo scoperto a un carnefice invisibile, mostrando la loro totale, completa sottomissione a un padrone di cui non sospettavano neppure l’esistenza.
Non avevano avuto modo di vederlo in quella prima occasione, e non avrebbero avuto modo di vederlo in futuro. Ma sin da quel primo, singolare incontro, avevano capito che la vista sarebbe stata superflua. Loro si erano piegati, si erano prostrati, si erano offerti, e niente avrebbe potuto cambiare quella realtà, niente avrebbe potuto evitare che loro fossero schiavi e che, sopra di loro, aleggiasse la presenza di un crudele padrone.
Di lì a poco, avrebbero conosciuto il Mercante, come avevano deciso di chiamarlo. Avrebbero udito il suo tono mellifluo e avrebbero visto le sue dita affusolate agitarsi nell’aria, dichiarando l’inizio di una nuova e prosperosa era all’insegna del vero potere.
Cosa fosse questo vero potere e chi lo detenesse, sarebbe rimasto un celato, cosa che non si poteva di certo dire rispetto a quello che questo padrone volesse da loro. Non aveva fatto mistero di volere che gli uomini facessero lui visita. Peccato solo che, una volta entrati in quella sinistra dimora, non avrebbero più fatto ritorno.
Alcuni, coraggiosi, o forse solo stolti, avevano provato inutilmente a reagire.
Erano stati tutti catturati.
Qualche giorno dopo, le esecuzioni avevano avuto inizio. Resi paralizzati dal più profondo e totale terrore, donne e bambini avevano assistito alla decapitazione e all’impiccagione di mariti, padri, zii, fratelli, cugini e figli. Solo alcuni di loro erano scampati a quella furia omicida, diventando complici di quell’invisibile carnefice che si avvaleva di un curioso intermediario, ammesso che il Mercante giocasse solo quel ruolo.
La povertà aveva reso tutti ancora più sfiduciati e tristi, convinti che l’unico loro destino sarebbe stato quello di soccombere sotto il peso così opprimente di una verità non svelata.
La sofferenza di quelle donne, di quelle creature ridotte a larve umane, era aumentata nell’attimo in cui si erano rese conto di ciò che i loro figli, i loro piccoli desiderosi di protezione, avevano iniziato a fare. Il Mercante li aveva resi i suoi occhi e le sue orecchie, portandoli a mentire alle loro stesse famiglie e a tradirle nel più subdolo dei modi, rivelando all’oppressore dove fossero nascosti gli ultimi uomini rimasti ancora in vita e, talvolta, consegnandoli direttamente nelle loro mani. Non avevano idea di cosa avessero loro fatto, di cosa avessero loro promesso. Sapevano solo che quei bambini non erano più tali, che non erano più i figli che avevano dato alla luce e cresciuto così amorevolmente.
Non vi era più speranza se neppure i bambini erano stati in grado di mantenere la loro innocenza. Non esisteva più niente.
Ma poi, inaspettatamente, proprio quando si erano convinte che non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto liberarle all’infuori della morte, dal bastione aveva avuto inizio un curioso via vai di figure capaci di librarsi nell’aria.
Poi, del Mercante non c’era stata più traccia.
Poi, era stato il silenzio e il vuoto.
Tutto questo, prima di essere stati assaliti da quel vento spaventoso che aveva spazzato via ogni cosa, persino quell’aria opprimente che aveva causato bruciore alla loro pelle per tutto quel tempo.
Forse, quello era segno della loro imminente fine? Quello era segno che presto si sarebbero ricongiunte ai loro mariti, ai loro uomini, alle loro famiglie? Se fosse stato davvero così, sarebbe stata una benedizione, un’autentica liberazione. Avrebbero accolto la morte a braccia aperte. Sì, lo avrebbe fatto anche chi si era rifugiato in casa.
Ma poi, all’improvviso, così come era arrivata, quella forza impetuosa era andata via, lasciandole lì, in sospeso, con altri mille interrogativi che sarebbero rimasti inespressi, forse, fino alla fine dei loro giorni.

 
*
 
Lo aveva osservato con rapimento, affascinato da quella manifestazione di energia così improvvisa e portentosa.
Erano troppo intenti a occuparsi di lui per accorgersi della sua presenza. Non che avesse deciso di palesarsi, ma non stava neanche facendo qualcosa di speciale per nascondersi alla loro vista.
Era estasiato, ammaliato, rapito dalla potenza di quel saiyan, di quel principe che aveva incoronato re da così poco tempo e che aveva compiuto gesti così grandi e inaspettati.
Voleva incontrarlo. Doveva incontrarlo.
Voleva mostrarsi a lui, vedere la sua reazione, scontrarsi con lui e poi distruggerlo, disintegrarlo, annientarlo come aveva fatto tanti, tantissimi anni fa con qualcuno che un po’ gli assomigliava.
Era così interessante osservarli con occhi veri e non semplicemente con gli occhi della mente.
Tutti loro, piccoli insetti stolti, avevano creduto di essere invisibili al loro sguardo. Nascosti come conigli, avevano creduto che una casetta o delle fragili pareti di roccia potessero impedirgli di scovarli, stanarli e sterminarli.
Ovviamente, loro non sapeva che ciò fosse impossibile. Niente sfuggiva al suo sguardo, niente poteva essergli celato, tutto giungeva alle sue orecchie e stuzzicava la sua mente.
Era un dio. Un dio che camminava in un corpo fatto di carne e ossa, un corpo che respirava e che era dotato di un cuore pulsante, un corpo che presto si sarebbe mostrato e che avrebbe di certo causato scompiglio in quello scalmanato gruppo di pecorelle smarrite.
Come avrebbe reagito, lui, a quel punto?
Era così straordinariamente potente ma così straordinariamente fragile allo stesso tempo da essere diventato patetico.
Aveva lasciato che quell’individuo, quella sporca terza classe, stringesse la sua anima, la cullasse e le donasse conforto. Eppure, proprio quel gesto così repellente e sporco sembrava gli avesse conferito conforto e lo avesse riportato su quella che gli umani definivano retta via.
Il re e il suo servitore, il nobile e la terza classe erano ancora insieme, pronti a sfidare la sua autorità, il suo dominio, il suo volere.
Ma era tutto studiato, tutto perfetto, tutto come doveva essere sin dall’inizio. Grazie a Vickas, grazie al suo fedele servitore, aveva finalmente ottenuto il corpo che desiderava e poteva di nuovo camminare in ogni luogo fisico esistente, poteva di nuovo mostrarsi e governare pienamente lì dove aveva potuto solamente aleggiare in veste di presenza invisibile.
Era stato bravo, Vickas il saiyan. Anche se, per un breve lasso di tempo, aveva creduto di non potersi fidare pienamente di lui, si era ricreduto. Non aveva potuto non notare quei momenti in cui non era stato in grado di vedere, quei momenti il cui il suo occhio si era appannato, ma ormai non aveva più importanza. Peccato solo che non sarebbe stato lì presente e non lo avrebbe visto trionfare su ogni essere umano e divino, terrestre e non.
Gli dei… Erano così sciocchi e stolti da credere che non sapesse dove fossero nascosti? Se non li aveva ancora attaccati era stato solo perché le forze a sua disposizione non glielo avevano concesso. Ora che tutto era al suo posto, ora che non mancava più nessun tassello, avrebbe mostrato loro di cosa era realmente capace.
E, prima di tutti, lo avrebbe dimostrato a quel namecciano che, trionfante, mostrava ai suoi amici, a quegli amici che avrebbe dovuto aiutare, l’unico strumento che riteneva capace di imprigionarlo.
Rideva maligno, lì, da lontano, nascosto nel suo posticino fatto di rami e foglie miracolosamente ancora in vita: il namecciano non poteva sapere che non sarebbe stato così facile rimettere in gabbia il grande Oozaru.

 
*

Aveva spiegato con parole semplici e con malcelata concitazione perché si trovasse lì e quale fosse il compito che gli era stato affidato.
Aveva aspettato che Vegeta, ancora scosso e tremante, Goku e tutti gli altri si radunassero attorno a lui per mostrare loro il medaglione che avrebbe imprigionato Oozaru e per dare una spiegazione definitiva a Gohan sul perché e su come avesse acquisito quelle strabilianti abilità che usava come se gli appartenessero da sempre.
Lo avevano ascoltato senza interrompere, rapiti dalle sue parole e ancora in parte storditi da quello che aveva fatto Vegeta.
Così, aveva iniziato dal principio, da quando Oozaru si era liberato e i Kaioshin avevano teletrasportato ogni singolo namecciano sul loro mondo, per tenere al sicuro le sfere del drago e chiunque fosse stato in grado di crearle. Aveva raccontato del suo rifiuto di essere tenuto in custodia come un sorvegliato speciale, di come aveva protestato e lottato per tornare sulla Terra e aiutare tutti loro, e di come Kaioshin il Sommo lo aveva convinto a farsi momentaneamente da parte, promettendogli che, laddove fosse stato necessario, il suo supporto non sarebbe venuto a mancare. Aveva raccontato di come tutti gli dei si fossero riuniti alla ricerca di una soluzione e di come, nel loro isolamento celeste, avessero inizialmente maturato il pensiero di non palesarsi fin quando non avessero ricevuto un attacco diretto da quello che chiamavano Demone-Scimmione. Aveva descritto loro di come Goku avesse trovato un varco tra il loro mondo e l’Aldilà, entrando in contatto con re Kaioh del Nord e smuovendo le coscienze di quelle divinità ridotte a nascondersi come prede impaurite.
E poi… Poi, era arrivato Vickas. O meglio, erano stati loro stessi a chiamarlo, ad avvalersi della sua collaborazione dopo aver visto quello di cui era capace e lì, logicamente, era iniziato il discorso su Gohan e sul medaglione che presto gli avrebbe consegnato.
Gohan e Vickas erano legati. In parte per via di sangue, in parte per una complicata congiunzione astrale e temporale che non sarebbe stato in grado di spiegare pienamente, Gohan era l’unico in grado di accogliere la sua eredità, le sue abilità e, in parte, la sua stessa essenza.
Era come se Vickas vivesse in Gohan, ed era come se quest’ultimo fosse il depositario della sua parte migliore, quella che ancora era sopravvissuta agli anni di esperimenti e schiavitù, l’unica che poteva aiutare Vegeta e Goku a rispedire quel maledetto mostro dal posto in cui era venuto.
La notizia aveva causato non poco trambusto. Vickas, il mostro orribile che aveva causato così tante sciagure in passato oltre che nel loro presente, aveva avuto accesso nel regno dei cieli. Le obiezioni non avevano tardato a sopraggiungere. E se quell’essere avesse offerto loro il proprio aiuto solo per consentire a Oozaru di impadronirsi anche dell’Aldilà? Se fosse stata tutta una trappola?
Sorprendentemente per alcuni, ovviamente per altri, era toccato a Gohan fugare i loro dubbi. Era legato a Vickas, volente o nolente, possedeva i suoi poteri, possedeva una parte di lui. Non sarebbe stato possibile ingannarlo, né ora, né mai.
Junior era stato istruito su quello e su come aiutare Gohan a controllarli. Junior era stato fornito di un nuovo medaglione ed era stato inviato lì per lottare al loro fianco, deciso più che mai a porre fine all’esistenza di quella bestia che si faceva chiamare Oozaru.
Ma Junior era lì anche per qualcun altro. Junior era lì anche per lui, per quel Vegeta che così strenuamente aveva difeso chi amava, mettendo da parte persino se stesso. Erano così diversi, loro, eppure così simili.
Non sapeva ancora come avrebbe fatto ad approcciarsi a lui, a tentare di guidarlo, ma avrebbe assolto il suo compito, in un modo o nell’altro.
Era lì per Vegeta, era lì per Gohan, era lì per tutti loro. Per smuovere i loro animi, per dargli forza e per spronarli.
“Sta arrivando” – aveva detto, alla fine – “È vicino”.
E aveva ragione. Peccato solo che non sapesse quanto fosse vicino in realtà…

Continua…


Eccomi qui, anche se con un giorno di ritardo. Potete perdonarmi?
Piccolo capitolo dedicato a tutto quello che circonda i nostri amici (e non solo).
Oozaru sta arrivando. Saranno pronti ad affrontarlo? Lo scopriremo al più presto.
Miei amati lettori e mie amate lettrici, che dirvi?
Vi ringrazio per l’affetto che mi avete dimostrato fino a ora e vi lascio in anticipo gli auguri di un sereno Natale.
A presto.
Un bacino
Cleo

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Capitolo 47
*** Una brutta sorpresa ***


CAPITOLO 47

Una brutta sorpresa

 
Erano ancora tutti insieme quando l’aura che per così tanto tempo li aveva oppressi si era improvvisamente dissolta, allentando così la pressione che aveva attanagliato il loro petto.
In una circostanza diversa, in una circostanza più normale, avrebbero interpretato quella novità come un segno positivo. Ma i nostri amici sapevano perfettamente che quella non fosse una circostanza normale, che quello non era altro se non un avvertimento, un invito a mettersi in guardia perché lui era lì, vicino, più vicino che mai, e presto li avrebbe travolti con tutta la sua immane potenza.
“Papà…”.
“Gohan, per favore, devi ascoltarmi” – Goku aveva interrotto suo figlio, imponendo la sua volontà su di lui e sui presenti, desiderosi di scrivere la parola fine ma allo stesso tempo terrorizzati all’idea di non sopravvivere allo scontro finale.
C 18 aveva stretto con forza la sua piccola, lasciando che lei nascondesse il tenero visino nell’incavo della sua spalla. Crilin si era avvicinato a entrambe con fare protettivo, sperando di essere all’altezza della situazione. Mr. Satan aveva raggiunto la sua Videl e le aveva rivolto uno sguardo severo e preoccupato allo stesso tempo. Temeva che la sua unica figlia decidesse di combattere al fianco di quei saiyan e che questo la conducesse a una morte prematura. Era perfettamente consapevole del fatto che nessuno di loro fosse veramente al sicuro, ma cavalcare a gran velocità vero la morte non era un’opzione per lui praticabile. Ma Satan sapeva anche che sua figlia non gli avrebbe mai dato ascolto. Videl era non solo una guerriera, era una donna. Una giovane donna perfettamente in grado di prendere le sue decisioni, e qualcosa gli diceva che lei avrebbe scelto di rimanere al fianco di Gohan sino all’ultimo respiro.
Chichi aveva provato a fare lo stesso con Goten, pur sapendo che anche nel suo caso sarebbe stata una causa persa. Suo marito e i suoi figli erano fatti per battersi. I loro geni, le loro anime, i loro cuori erano saiyan. La lotta era nel loro sangue. La battaglia nel loro DNA. Nessuna supplica avrebbe potuto farli desistere, nessuna costrizione. Avrebbero seguito l’odore della battaglia, della guerra, sino ai confini dell’universo.
Junior, Yamcha, Crilin e tutti gli altri non sarebbero stati da meno. Soprattutto lui, Vegeta, quel re senza corona e senza regno che tanto aveva patito nell’ultimo periodo.
Cielo, quanto male poteva fare guardarlo? Era così… Così… Chichi Non avrebbe saputo come definirlo. Sembrava stanco, provato, eppure, finalmente sembrava essere il Vegeta di un tempo, quel guerriero forte e orgoglioso che rideva in faccia al pericolo. La luce del principe dei saiyan, affievolitasi dopo la sua elezione a re, sembrava essere finalmente tornata. Ma Vegeta non aveva ancora proferito parola. Si era limitato ad avvicinarsi a Goku e a sostare, immobile e impassibile, alla sua destra.
“È vicino” – aveva proseguito Goku, passando in rassegna con lo sguardo ciascuno di loro – “Così vicino da mettere i brividi”.
“Ma… La sua aura…”.
“Videl, non farti ingannare da ciò che non riesci a vedere o percepire. Lui è qui. Lo sento sotto pelle, lo sento sin dentro l’anima”.
La giovane dai capelli corvini aveva chiuso gli occhi per un istante, cercando di concentrarsi e di percepire la presenza di Oozaru. Eppure, per quanto si sforzasse, non era possibile per le capire come facesse Goku a sapere quanto fosse vicino. Aveva paura, Videl, ma non sarebbe mai scappata. Gohan aveva bisogno di lei e sarebbe rimasta al suo fianco sino all’ultimo.
“Figliolo, devi riunirli tutti e portarli il più lontano possibile da qui”.
“Ma… Papà…”.
“Lo so, Gohan, ti sto chiedendo molto. Ma questo non è più un posto sicuro per loro… La bambina, Chichi… Sono tutti in pericolo”.
“Io non ti lascio!” – aveva urlato a quel punto la mora. I suoi occhi ardevano come tizzoni e aveva iniziato a tremare dall’ira. Non voleva di certo essere d’intralcio, ma non sarebbe scappata per nessuna ragione al mondo – “Non mi nascondo più, Goku! Ho perso troppo in questo stupido gioco a nascondino! Ho perso la più cara amica che avevo, ho perso l’affetto e la presenza di un bambino che amavo come se fosse mio e ho perso… Ho quasi perso te”.
Quell’ultima rivelazione aveva lasciato il saiyan di stucco. In un’altra circostanza avrebbe reagito con maggiore enfasi, avrebbe cercato di replicare e farla ragionare, ma non gli sembrava quello il caso. Non poteva costringerla a fare ciò che non voleva. La capiva perfettamente. E tirare fuori la scusa che la sua presenza e la preoccupazione che ne derivava l’avrebbero distratto dalla battaglia sarebbe stato a dir poco inutile. Chichi era fatta così, era una tipa tosta. Era anche per questo che l’aveva sposata. Ed era per questo che l’amava così profondamente.
“Mamma…” – Goten era stupefatto. Davvero sua madre era così decisa a restare?
“Restiamo qui, tesoro. Tutti. Ogni volta che ci siamo separati da quando è iniziata questa storia, siamo finiti col non tornare mai più insieme. Non accetto che capiti di nuovo. Non saremo d’intralcio. IO non sarò d’intralcio. O meglio, vorrei che rimanessimo tutti, ma non posso costringere gli altri a seguire ciecamente il mio volere. C18 ha una bimba piccola di cui occuparsi, Videl deve prendersi cura di suo padre e Maestro Muten e Yamcha sono liberi di prendere le loro decisioni, come tutti, del resto. Ma io resto qui. E spero lo facciate anche tutti voi”.
Brillava di luce propria, Chichi. Era come un diamante impossibile da non osservare e ammirare. Aveva coraggio da vendere. E sarebbe rimasta se solo non fosse accaduta una cosa impensabile, poco dopo.
Era stato impossibile non notare la sua reazione. Si era mosso lentamente, avanzando con cautela verso l’unica che lo aveva curato, capito, rispettato. I suoi passi erano piccoli, misurati, e i suoi occhi non si erano staccati neanche per un istante dalla figura femminile che aveva davanti, per scrutarla, catturarla, leggerla. E lei lo aveva accolto con sorpresa, incredula nel vederlo muoversi in completa autonomia. Era a pochi passi da lei, ormai, e non aveva detto neanche una parola. Era a pochi passi da lei e non stava facendo niente.
“Vegeta?” – la mora non riusciva a capire. Era vicino, vicinissimo. Così vicino da averla messa in imbarazzo. Poteva sentire il suo respiro, il battito lento e misurato del suo cuore. E poteva contare le sue ferite, le sue cicatrici, una a una, senza fretta, senza sforzo. Le si era torto lo stomaco e gli occhi le erano diventati lucidi, nonostante si stesse trattenendo dal piangere.
La stava spaventando. La stava spaventando e mettendo a disagio.
Poi, Vegeta aveva fatto qualcosa che mai gli avevano visto fare. Né con Bulma, né con il suo piccolo Trunks.
Vegeta aveva stretto Chichi in un abbraccio, cingendole la vita con le forti braccia e soffocandole il viso sul suo petto.
Non era riuscita a dire di no. Non era riuscita a sottrarsi. Era rimasta pietrificata, di sasso, incapace di muovere anche solo un muscolo, come tutti gli altri.
Adesso sì che poteva sentire il battito del suo cuore. Adesso sì che poteva sentire il suo respiro. Era certa di essere arrossita. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, o meglio, su di loro. Compresi quelli di Goku e dei suoi figli, sorpresi almeno quanto lei da quello slancio d’affetto.
“Vegeta…” – aveva mormorato lei, incapace di ricambiare quell’abbraccio ma anche di sottrarsi ad esso.
“Grazie, Chichi…” – le aveva sussurrato all’orecchio – “Ora, è tempo che tu ti faccia da parte”.
Con un gesto delicato, Vegeta aveva contemporaneamente posato le labbra sulla fronte di lei ed esercitato sul suo collo, con una mano, la pressione necessaria a farle perdere i sensi. Come una foglia, la mora era caduta tra le sue braccia, addormentata, e lui era stato pronto a prenderla, sollevandola senza sforzo.
“Prendi tua madre, Goten” – aveva detto, serio – “Prendila e portala al sicuro. Tutti voi: prendete i vostri cari e portateli al sicuro”.
“Ma…”.
Non aveva avuto bisogno di parole. Vegeta aveva girato appena il capo verso il punto in cui si trovava il piccolo Son e aveva aumentato la sua aura in maniera spropositata, facendolo cadere al suolo a causa dello spaventoso spostamento d’aria da lui provocato. Goten, più tardi, avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi diventare rossi come il fuoco. Non aveva osato replicare. Aveva presto sua mamma sulle spalle, levitando a mezz’aria, e aveva atteso istruzioni, evitando di guardare Vegeta negli occhi.
Goku non si era mosso, ma aveva cercato di studiare i movimenti dell’amico, cercando di non essere imprudente. Vegeta era imprevedibile. Forse, non aveva memoria dell’esperienza che avevano vissuto, ma lui sì. Lui ricordava perfettamente quanto gli aveva mostrato, e non aveva intenzione di venire meno alla silenziosa promessa che aveva fatto.
“Dovete andare” – aveva aggiunto Vegeta – “Questo non è posto per voi”.
“Vegeta…”.
“Qui con me resteranno Gohan, Goku e se vorrà, il piccolo Goten, dopo aver portato in salvo sua madre” – aveva detto, interrompendo Crilin, stavolta.
“Come sarebbe a dire?” – Junior era furioso – “Non ho fatto tutta questa strada per…”.
“Hai fatto tutta questa strada per proteggerci. Per consigliarci, per guidarci. Adesso siamo sulla via giusta. Il percorso è esatto. Lascia che ognuno di noi compia il suo dovere”.
Tremava, Junior. Tremava, ma doveva controllarsi. Dopotutto, Vegeta aveva ragione. Sconfitto, aveva rilassato spalle e pugni, soffermandosi a lungo con lo sguardo sul giovane Gohan. Lui e Vegeta erano troppo importanti per decretare la fine di Oozaru.
“Non mi resta che augurarvi in bocca al lupo” – aveva detto, librandosi a mezz’aria – “Distruggetelo”.
Silenziosamente, chi poteva si era sollevato in aria, chi non poteva, si era aggrappato a chi ne era in grado. Solo Videl si era attardata, cercando di trattenere lacrime e frustrazione.
“Videl…” – Gohan sapeva quanto quel discorso di Vegeta le avesse fatto del male. Sapeva quanto lei volesse rimanere al suo fianco, per aiutarlo, confortarlo, sorreggerlo. Ma sapeva anche che non era possibile e che, suo malgrado, Vegeta aveva pienamente ragione – “Videl, tesoro… Tu…”.
Non lo aveva lasciato parlare. Noncurante della presenza di suo padre e dei loro amici, aveva buttato le braccia attorno al collo di Gohan e lo aveva baciato a lungo, fino al punto di far sciogliere l’imbarazzato saiyan.
Esattamente come sua madre, Gohan era arrossito. Ma, diversamente da lei, aveva ricambiato quella stretta, aveva ricambiato quel bacio. Era stato un dolore grande doversi separare da lei, ma era anche la cosa più giusta che potesse fare.
“Vinci per me, Gohan”.
“E tu proteggi tuo padre e tutti gli altri”.
“Lo farò”.
Lo aveva baciato nuovamente e poi, con le lacrime agli occhi, aveva aiutato suo padre a librarsi in volo, raggiungendo con un po’ di fatica tutti gli altri.
“Seguitemi… Dobbiamo lasciare che se la sbrighino tra loro”.
Così, mestamente, avevano obbedito a Junior nella speranza che Vegeta, Goku, Gohan e presto anche Goten, potessero sconfiggere il nemico.
Ma un’apparizione improvvisa aveva reso vano ogni loro tentativo di fuga. Un’apparizione improvvisa li aveva resi di pietra.

 
*
 
“Tenshing?”.
Yamcha non riusciva a credere ai suoi occhi. Quello che aveva davanti era proprio il suo amico, o stava sognando?
“Ma quello… Quello è Rif!” – aveva esclamato Muten, incredulo a sua volta.
E non erano i soli.
Quasi come se fossero sbucati dal nulla, avevano fatto capolino Majin-Bu, Popo, Balzar e persino Jirobai.
“Bu… Sei proprio tu” – gli occhi di Satan si erano riempiti di lacrime. Non riusciva a credere che quello fosse proprio il suo amico. Se avesse potuto, si sarebbe liberato della presa di sua figlia e lo avrebbe raggiunto, abbracciandolo e lasciandosi stringere da quelle sue enormi braccia rosa.
Ma Junior aveva interrotto la magia, urlando loro di stare indietro.
“NON FATEVI INGANNARE. Quelli non sono i nostri amici”.

 
*
 
Uno… Due… Tre… Quattro… Cinque… Dieci… Venti… Cinquanta passi. Cinquanta passi erano bastati a Oozaru per mostrarsi.
Quando era apparso, i nostri amici erano ancora troppo distratti da quello che stava accadendo sulle loro teste per rendersene conto. E, purtroppo, o giustamente, Vegeta era stato il primo a rendersi conto che era finalmente arrivato.
Senza alcuna esitazione, si era girato esattamente nella sua direzione, trattenendo il fiato nel vedere chi fosse sopraggiunto.
Poi era toccato a Gohan. Poi a Goku.
E nessuno dei tre riusciva a rendersi conto di come potesse essere che davanti a loro vi fosse, sorridente, il piccolo Trunks.
“Sono venuto per giocare” – aveva detto, divertito – “Siamo venuti tutti a giocare con voi”.

Continua…


Eccomi qui!
Per prima cosa, voglio augurarvi un buon 2018!! Spero per voi che sia un anno straordinario! =)
Mi scuso per l’assenza: subito dopo Natale sono partita per Palermo e non avevo un pc disponibile. Ma ci siamo!! Si è mostrato!
Vi aspettavate un arrivo del genere? Sono troppo curiosa di leggere i vostri commenti!
Bene, ragazzi e ragazze, io scappo!!
Devo cenare e poi uscire!
Un bacino
A presto!!
Cleo

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Capitolo 48
*** L'infuriare della battaglia ***


 
 
CAPITOLO 48

L’infuriare della battaglia


 
Si erano scrutati per un tempo che era parso interminabile. Se qualcuno avesse avuto l’opportunità di osservare quella scena da lontano, come ignaro spettatore di quella che sarebbe stata la battaglia per la salvezza dell’universo, avrebbe potuto pensare che quella non fosse la realtà, una scena vista “dal vivo”, ma un fermo immagine.
L’incredulità aveva immobilizzato i nostri amici, ancora desiderosi di comprendere quanto si stava verificando sotto i loro occhi.
Erano stanchi. Stanchi di essere presi in giro, di essere vittime di quel gioco perverso. Quella, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, l’ennesimo scherzo di un mostro di cui solo pochi avevano potuto vedere l’aspetto definitivo.
E, purtroppo per loro, i pochi eletti erano stati Vegeta, Goku e Gohan.
Il re dei saiyan aveva smesso di respirare. Il suo cuore aveva perso un battito nel vedere chi si era palesato, e come lo aveva fatto.
Quello era Trunks. Il suo Trunks. Il suo erede, il suo bambino, l’unico figlio che aveva avuto con la donna che amava e che aveva dovuto seppellire esattamente come aveva fatto con lui poche ore prima.
Era Trunks, ne era certo. Non avrebbe mai potuto confondere i suoi occhi con quelli di un altro bambino, scambiare il suo tono di voce per quello di un altro. Mai. Ma Vegeta sapeva anche che non poteva essere davvero lui. Nessuno tornava dal mondo dei morti senza un intervento divino – o magico.
Trunks era morto, lo aveva seppellito in totale solitudine tra disperazione e lacrime. Aveva scavato la sua fossa a mani nude e vi aveva adagiato dentro il corpicino stanco e martoriato. Vi aveva adagiato il corpicino di quel bambino a cui aveva dato il permesso di salutarlo per sempre, perdendo così, irrimediabilmente, anche l’amore e la presenza dell’unica donna che avrebbe mai potuto amare.
Che fosse un’illusione? Che quello fosse l’ennesimo tiro mancino di Oozaru? Di quel mostro che continuava a farsi beffe di tutti loro senza mai mostrarsi?
Voleva giocare. Chiunque egli fosse, aveva detto loro di voler giocare. E il gioco era iniziato nello stesso istante in cui era apparso, mostrando a Vegeta e a tutti gli altri quanto fossero realmente fragili.

 
*
 
“Tenshing?” – lo avevano chiamato di nuovo.
Nonostante le raccomandazioni di Junior, non potevano non credere a quello che i loro occhi stavano mostrando.
Quello era lui. Era veramente lui. Così come gli altri erano loro. Erano perfettamente a conoscenza delle sorti toccate ai loro compagni di lotta, ai loro amici, ma erano certi che nessuna magia sarebbe stata tanto potente da ingannare in maniera così totale i loro sensi. I sensi di tutti.
Quelli erano davvero i loro amici. Percepivano le loro auree in maniera distinta, vedevano le loro figure, sentivano i cuori battere e i loro petti contrarsi a ogni respiro. Erano loro ed erano vivi. E, soprattutto, erano lì.
“Vi ho detto di non farvi ingannare” – aveva sottolineato Junior, usando un tono quanto mai feroce. Era stato il primo e rimaneva l’unico a rendersi conto del raggiro che era stato messo in atto ai loro danni. Re Kaioh lo aveva avvisato: i modi di Oozaru erano subdoli, spietati, e avrebbero condotto tutti a mettere in dubbio ogni singolo particolare, ogni singolo gesto e ogni singola parola.
Gli esseri che avevano davanti non erano realmente i loro amici. Si rendeva perfettamente conto che spiegarlo lo avrebbe reso folle, ma doveva farlo con tutte le sue forze, con tutta la convinzione di cui era capace.
“Oozaru manipola. Oozaru mente. Possono sembrarvi loro, ma non lo sono”.
“Ma come puoi dire ciò, Junior? Guarda tu stesso con i tuoi occhi! Senti le loro aure! Sono LORO!” – aveva incalzato Crilin.
“Invece no. Non fatevi ingannare da qualche sporco trucco. Quelli possono essere i corpi dei nostri amici, i loro involucri. Ma chi è lì dentro non è chi pensiate che sia”.
“Che discorso complesso, Junior” – era stato proprio Tenshing il primo a prendere la parola – “Complesso e in parte fuori luogo. Posso dirti che ti sbaglio, mio amico alieno. Noi siamo esattamente chi siamo sempre stati”.
“Non è possibile!” – era intervenuto Goten – “Papà e gli altri hanno visto morire il povero Tenshing! E non solo loro! La sua è stata una pubblica esecuzione, quindi tu non puoi essere lui!”.
“Oh, piccolo saiyan… È proprio questo il punto. Sì, è vero, il mio corpo è stato privato della vita, eppure sono qui. Più forte e più vivo che mai. E questo perché qualcuno ha voluto fortemente che rinascessi dalla morte, e che in essa diventassi, insieme agli altri, una creatura nuova, molto più consapevole e molto più potente di prima”.
Ma di cosa andava blaterando? Morte, rinascita… Dove voleva andare a parare?
“Noi tutti siamo morti nell’errore e siamo risorti per volontà del nostro Signore e Padrone, colui che ha deciso di perdonarci e di restituirci la vita, vita che noi onoreremo servendolo sino al nostro ultimo respiro!”.
“Tenshing… Ma cosa dici?”.
“Solo la verità”.
Era stato un coro di voci pronunciate all’unisono a rispondere alla domanda di Videl.
“NOI SIAMO SUOI. SIAMO MORTI E RINATI PER LODARLO E SERVIRLO. SIAMO IL SUO ESERCITO, LA SUA ARMATA. E, PRESTO, NE FARETE PARTE ANCHE VOI”.

 
*

Era accaduto senza preavviso. Gohan aveva chinato la testa indietro, aveva girato gli occhi ed era caduto in una sorta di trance, in uno stato catatonico che gli aveva concesso di vedere ogni cosa per com’era realmente.
Come se fosse stato spettatore improvviso di un film il cui nastro era stato fatto scorrere al massimo della velocità possibile, aveva visto ogni cosa, comprendendo finalmente il senso di quello a cui stavano assistendo. Aveva visto i suoi amici morire e li aveva visti rinascere, uguali ma profondamente diversi da se stessi. Aveva visto ognuno di loro prestare giuramento a Oozaru, li aveva visti adorarlo, venerarlo, dedicare a lui ogni singolo respiro.
Aveva poi visto Oozaru mentre osservava Vegeta e gli altri, mentre si divertiva a giocare con loro, mentre rideva per ogni loro sofferenza. Lo aveva visto indignarsi per aver perso il contatto con loro per un periodo più o meno lungo e lo aveva visto sorridere alla morte di Trunks, suo involucro, suo contenitore, suo abitino nuovo di zecca. E aveva visto anche un’altra cosa, Gohan. Aveva visto qualcun altro uscire dalla sua tomba appena scavata e inchinarsi al cospetto di chi lo aveva riportato in vita. Ma questa cosa non avrebbe saputo come confessarla a Vegeta.
“FIGLIOLO! FIGLIOLO, STAI BENE?”.
Goku era rimasto impressionato negativamente dalla reazione avuta da Gohan durante la visione. Non era abituato a vedere qualcuno in una simile circostanza e l’agitazione del momento aveva causato in lui il repentino galoppare del suo cuore. Non poteva sapere che suo padre, il genitore che non aveva mai conosciuto, era stato omaggiato del dono delle visioni, del dono dell’occhio che gli consentiva di vedere ciò che ancora non era accaduto, e che le sue reazioni erano molto simili a quelle del suo primogenito.
“STAI BENE?” – gli aveva ripetuto, tenendolo tra le braccia.
“Sì… Sì!”.
Gohan non stava dicendo la verità. Gohan stava celando qualcosa di mostruoso, Goku ne era certo. Ma non lo avrebbe forzato. Avrebbe aspettato che suo figlio fosse stato pronto a rivelare ciò che le sue visioni gli avevano mostrato, e qualcosa gli suggeriva che stesse aspettando il momento adatto per parlare con il povero Vegeta, già abbastanza scosso dalla presunta rinascita di suo figlio.
“Tu non sei lui”.
La voce di Vegeta era pacata. Il suo aspetto era diventato… diverso. I due Son non avrebbero saputo definire meglio quel suo strano cambiamento. Persino la voce non sembrava più la sua. Era stranamente rilassato. Che quella fosse rassegnazione?
“Come, papà? Non mi riconosci?”.
“Tu non sei lui. Non sei Trunks” – aveva sottolineato, guardandolo dritto in quegli occhi color acquamarina.
No. Non era il suo Trunks. Lo aveva capito sin da subito. Accettarlo, invece, era stato più difficile. Perché per quanto quello fosse il suo corpicino, l’involucro della sua anima, quest’ultima non albergava più lì. Lo spirito di Trunks era lontano, perso chissà dove, e desiderava ardentemente che giustizia venisse fatta. Vegeta lo sentiva nel profondo del cuore. E se quello non era Trunks, se quello non era il suo bambino, non poteva che essere lui.
“Finalmente ti sei palesato, Oozaru”.

 
*

Stavano sudando freddo.
Erano accerchiati, lo erano stati sin dal primo istante e se ne erano accorti molto tardi, troppo tardi, per poter pensare di rimediare. Non esisteva un piano B, un piano di riserva. Da quel momento in poi, ora che i loro amici – o chiunque egli fossero – erano diventati parte dell’esercito del mostro, per loro non ci sarebbe stata altra soluzione se non battersi.
Satan era interdetto più di chiunque altro. Non poteva credere che Bu, il suo Bu, fosse sparito per sempre e che al suo posto ci fosse un essere molto simile alla creatura mostruosa che aveva causato la fine dell’umanità non troppo tempo addietro. Il suo cuore si era spezzato dal dolore. Si era affezionato al buffo omone rosa sin dal primo istante, nonostante le sue intenzioni non fossero del tutto pacifiche e oneste, inizialmente. Non poteva credere che l’incubo fosse ricominciato e che, quella volta, non avesse alcun potere per rimediare, per far tornare Bu quello che era in realtà: un pacioso bambinone rosa troppo cresciuto.
“Oh papà…” – Videl si era accorta che gli occhi del padre si erano riempiti di lacrime. Videl era in grado di accorgersi di tutto, dopo che Gohan l’aveva allenata, e sapeva bene cosa poteva significare avere un alleato come Majin-Bu dalla propria parte.
Oozaru era stato furbo, molto più furbo di quanto poteva sembrare. La giovane mora cominciava a credere che per loro non ci sarebbe stata più alcuna speranza. Ed era certa che quello stesso pensiero aleggiasse nelle menti altrui.
Istintivamente, si era girata, puntando gli occhi verso Gohan, Goku e Vegeta, per poi portarsi le mani alla bocca nel disperato tentativo di soffocare un urlo.
“GUARDATE!” – aveva detto, additando le persone sotto di sé – “Quello… Quello è…”.
“È il momento” – lo sguardo di Trunks, o meglio, di Oozaru, si era incrociato a quello di Videl, aveva sorriso, e subito dopo aveva dedicato tutta la sua attenzione alla sua armata, dando loro quella specie di ordine velato.
Il caos era piombato sui nostri amici prima del previsto.
Senza pensarci due volte, Junior e Crilin avevano fatto scudo a chi non era in grado di difendersi, mentre gli altri, tutti gli altri, avevano cominciato a difendersi e ad attaccare a loro volta, cercando disperatamente di non farsi sopraffare da quella furia mai vista prima.
Adesso avevano capito davvero che non erano loro. O meglio, lo erano, ma erano totalmente diversi. La loro potenza era cresciuta a dismisura, e sia Junior che Yamcha erano certi di aver sentito Rif e gli altri emettere suoni molto simili a quelli di un animale feroce arrivato sul punto di perdere il controllo.
Come potevano aver ceduto alle lusinghe di un mostro? Come potevano aver accettato di tornare in vita e servirlo ciecamente, diventando sue pedine consenzienti?
“Non riesco… Non riesco a capire…” – aveva ammesso Crilin, cercando di difendersi dai colpi micidiali del piccolo Rif – “Perché ci stanno facendo questo?”.
“Sono controllati da Oozaru!” – aveva risposto Junior – “Non è colpa loro. Il ponte verso l’Aldilà era chiuso, vagavano come anime smarrite bloccate in una dimensione intermedia tra questo mondo e l’altro, stavano soffrendo, impazzendo, e hanno ceduto! Credo che non fossero stati realmente lucidi quando sono stati invitati a tornare, e questo è il risultato!”.
“Ne sei… Ne sei proprio sicuro?”.
Junior aveva deviato un colpo micidiale che probabilmente Crilin non aveva neanche visto prima di rispondere – “Direi che lo sono abbastanza. Dobbiamo mettere Chichi e Marron al sicuro. Per il resto, dobbiamo dare tutti una mano, qui!”.
Aveva ragione da vendere.
Ma come avrebbero fatto a sfuggire alla morsa micidiale di quei pazzi invasati?

 
*

“Goten, piccolo mio, mi dispiace di non aver mai imparato a volare, ti sono solo d’intralcio!” – il piccolo Son e sua madre stavano cercando disperatamente un riparo, seguiti a ruota da Videl, mr Satan e la piccola Marron. C 18 aveva deciso di combattere al fianco di suo marito e aveva affidato la piccola alle cure del papà di Videl. Non era stata una decisione semplice, ma sicuramente era stata la più giusta. Sarebbe rimasta al fianco di Crilin fino all’ultimo. Non le importava di perdere la vita: doveva difendere chi amava, e lo avrebbe fatto con le unghie e con i denti.
Maestro Muten non aveva voluto saperne di seguire i fuggitivi. Aveva deciso di rimanere sul campo di battaglia e di contrastare con ogni mezzo i nuovi nemici, per quanto potesse fare male doversi battere in uno scontro all’ultimo sangue con chi, fino a poco tempo prima, si era spezzato il pane.
La situazione era surreale, mostruosa, a tratti, ma non si sarebbero sottratti al loro destino. Non lo avrebbero fatto loro, e non lo avrebbero fatto neanche i tre saiyan che ancora stavano studiando il vero nemico.
Oozaru, presto, sarebbe sceso in campo, e loro sarebbero stati pronti.

 
*

“Vile” – Goku non ragionava più. Una furia immensa lo aveva pervaso dopo aver assistito all’inizio della battaglia, portandolo ad aumentare la sua aura sempre di più – “Hai usato i nostri amici contro di noi… Come hai potuto?”.
“Io? Io non ho fatto niente, giovane Kaharot”.
Kaharot. Vegeta era l’unico a chiamarlo in quel modo, e sentir pronunciare quel nome con la voce di Trunks era stato a dir poco spaventoso, ma non lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi. Quello non era il figlio della sua migliore amica. Quello non era altri se non Oozaru.
“ME LA PAGHERAI!”.
Prima che potessero fare qualcosa per fermarlo, e contrariamente a ciò che si sarebbero aspettati, Goku era partito all’attacco, cercando di colpire Oozaru al viso con un pugno. Non si era trasformato in super saiyan, ma la sua forza e la sua potenza sarebbero state sufficienti a polverizzare una montagna. Invece, il pugno di Goku non era stato neanche in grado di raggiungere Oozaru: si era bloccato a pochi centimetri dal suo naso, incapace di proseguire. Il nemico lo aveva fermato con la sola forza della sua aura spaventosa.
“Ma… Ma cos-AAAAAAH!”.
Un tocco. Un solo, piccolissimo tocco del dito indice di Oozaru aveva sfiorato il torace di Goku esattamente al centro, e quest’ultimo, inaspettatamente, era caduto al suolo privo di sensi.
Un colpo apparentemente innocuo era bastato a Oozaru per sconfiggere il più potente saiyan mai nato.
“Papà! Maledetto, me la pagherai!”.
Il turno di Gohan era avvenuto poco dopo, e l’esito sarebbe stato pressoché identico se Oozaru non lo avesse deviato, facendo andare il suo colpo a vuoto.
Si era materializzato un istante dopo proprio davanti a Vegeta, continuando a sorridere e a fissarlo negli occhi.
“Questa è la nostra sfida, re dei saiyan” – gli aveva detto – “Una sfida padre-figlio”.
Vegeta non aveva risposto alla provocazione, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
Goku era a terra e Gohan non si era ancora reso conto di quanto fosse accaduto.
“Sono io il tuo nemico, Oozaru” – aveva detto dopo qualche istante – “Sono io che ti ho liberato e sono io che dovrò sconfiggerti”.
“Davvero?”.
“Sì. Non ho più niente da perdere, Oozaru…” – La sua voce era diventata più dura – “Ti batterò anche a costo di rimetterci la vita”.

Continua…


Eccomi qui, come al solito in ritardo!
Scusatemi, davvero.
Ma ci siamo. La lotta è iniziata!!
Mamma che ansia. Come avete potuto leggere, Goku non è stato in grado neanche di avvicinarsi a Oozaru. Che guaio! Riuscirà Vegeta a sconfiggerlo? Confido in lui e nei nostri amici!
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 49
*** Un sacrificio inutile ***


 
CAPITOLO 49

Un sacrificio inutile

 
Il tempo, per loro, sembrava essersi fermato.
Tutto intorno, l’infuriare della battaglia tra membri dello stesso esercito votato a cause differenti e in evidente conflitto, smuoveva terra e cielo, noncurante delle sorti di chi a quella battaglia non avrebbe potuto partecipare e da cui non sarebbe stato in grado di difendersi.
Ma per loro due, protagonisti indiscussi di quella vicenda, sembrava che niente stesse accadendo.
Per loro due, sembrava che Tenshing non stesse combattendo contro Crilin, che Majin-Bu non avesse attaccato un Satan implorante e con le lacrime agli occhi, e che Maestro Muten – improvvisamente rinvigorito – non stesse combattendo contro un Rif diventato più aggressivo e pericoloso che mai, tutto questo mentre una Chichi spaventata per le sorti dei suoi cari e una Marron in lacrime cercavano inutilmente un riparo.
Era come se una bolla invisibile li avesse avvolti.
La tensione era l’unica cosa percepibile, palpabile, pesante come un macigno. Forse, di lì a poco, Gohan, Goku e tutti gli altri avrebbero rimpianto quel momento di stasi. Per ora, non gli restava che attendere. Questo mentre il primo cercava di capire cosa fosse avvenuto e mentre il secondo cercava di riprendersi dallo svenimento causato dal piccolo e precisissimo colpo di Oozaru.
Il nemico era lì.
Il re era lì.
I generali e i loro eserciti erano pronti a darsi battaglia, e qualcosa suggeriva ai presenti che quella a cui avrebbero partecipato sarebbe stata la più spettacolare di sempre.

 
*
“Vegeta! ATTENTO!”.
Era stato Oozaru il primo ad attaccare.
Si muoveva a una velocità spaventosa, e Gohan temeva che il suo avvertimento sarebbe stato nullo. Lo aveva visto sparire e ricomparire davanti a Vegeta in un attimo, sfoderando lo stesso identico attacco riservato al povero Goku, ancora semi-incosciente e dolorante. Ma Vegeta non si era fatto trovare impreparato. L’ex principe dei saiyan aveva da sempre avuto la grande caratteristica di riuscire a imparare dagli errori altrui, di osservare il nemico, studiarlo e carpirne i segreti. Non per niente, qualcuno lo aveva definito “un vero genio del combattimento”*, ma in questo caso, ciò sarebbe bastato?
La risposta non avrebbe tardato ad arrivare, perché Gohan, incredulo, aveva finalmente visto che il suo re, con una mossa repentina invisibile ai suoi occhi di mezzosangue, aveva bloccato il polso di Trunks, o meglio, di Oozaru, impedendo che il colpo andasse a segno.
“Notevole…”.
Era stato questo il commento del mostro. L’espressione divertita sul suo viso faceva apparire mille volte più inquietante la situazione paradossale in cui si trovavano. Un padre non avrebbe mai potuto immaginare di subire un’onta così grave, di vivere un dolore così profondo e straziante, eppure, Vegeta stava reagendo.
Senza dire una parola, aveva stretto la presa sull’esile polso appartenuto al figlio e lo aveva sollevato in aria tendendogli il braccio, in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza.
“Non avresti dovuto farlo…”.
Oozaru gli aveva rivolto uno sguardo tra l’interrogativo e il divertito.
“Non avresti dovuto rubare il corpo di mio figlio” – la calma nella sua voce era spettrale. Vegeta era turbato, eppure sembrava non esserlo. Era lì, eppure non c’era. Queste sensazioni, queste azioni contrastanti, sembravano averlo in qualche modo annullato. E, da quella non esistenza, sembrava aver trovato la forza di reagire.
Non si era neanche piegato sulle gambe per avere più spinta. Non si era neanche preoccupato di dover accumulare energia. Senza preavviso, come se da sempre avesse agito in quel modo, aveva sferrato uno dei più potenti Ki-Blast mai visti sino ad allora, e lo aveva direzionato in pieno viso del nemico.
Preso dal panico, Gohan si era gettato su suo padre, cercando di proteggerlo e di proteggere se stesso da quella furia devastante.
Il boato era stato spaventoso.
Il Ki Blast aveva lasciato al suolo un profondo solco lungo centinaia di metri, e la polvere mista ai detriti sollevatasi per il violento atto distruttivo avevano creato una barriera tra Vegeta, Oozaru e tutti gli altri.
Gohan non poteva saperlo, ma quell’esplosione aveva provocato una momentanea interruzione di quello scontro aereo, e questo aveva permesso a Chichi e chi aveva bisogno di un riparo di mettersi al sicuro.
“Mio Dio” – era stata l’unica cosa in grado di pensare ed esprimere – “Mio Dio”.
Un colpo del genere avrebbe polverizzato chiunque. Forse, persino Majin-Bu.
Ma che effetto avrebbe avuto su Oozaru? Temeva e allo stesso tempo non desiderava altro che scoprirlo.
“Mmm…”.
“Papà!”.
Il lamento sommesso di Goku lo aveva distolto dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà.
“Papà, stai bene?”.
Era una domanda sciocca. Più sciocca che mai.
Goku non stava bene. Per niente. Sembrava essere uscito da quello stato comatoso, ma si era rannicchiato su di un fianco, accovacciandosi in posizione fetale. Stava soffrendo. Suo padre soffriva e lui non era in grado di comprenderne la ragione, men che meno di aiutarlo.
“Papà…” – il panico galoppava a una velocità spaventosa. Si sentiva impotente, inutile. Non aveva la forza necessaria a contrastare Oozaru e non aveva idea di cosa stesse capitando a suo padre e di come potesse fare per aiutarlo – “Va… Va tutto bene… Ci sono io qui, papà, ma devi dirmi che cos’hai! Cosa senti, papà? Cosa?”.
Nel mentre, la nube di polvere si era diradata mostrando, a chi stava osservando, quanto fosse accaduto.
Vegeta aveva ancora entrambe le braccia sospese a mezz’aria, una nell’atto di reggere Oozaru, l’altra a novanta gradi, con la mano aperta davanti al viso del nemico, o a quello che ne restava.
“O-Oddio…” – Gohan era sconvolto, a dir poco disgustato.
Oozaru era sicuramente privo di sensi, ma aveva il capo reclinato all’indietro in maniera innaturale, quasi come se le sue vertebre avessero subito un distacco, una frattura, e la pelle… La pelle del viso era completamente ustionata, ed emanava un odore nauseabondo.
E Vegeta era lì, impassibile, con gli occhi puntati su di lui, quasi come se non si fosse reso conto di aver volontariamente sfigurato il corpicino del figlio.
“So che sei vivo” – aveva detto, serio – “Non prenderti gioco del tuo avversario”.
E si era messo a ridere. Oozaru si era messo a ridere, aprendo gli occhi di scatto e scuotendosi divertito.
“Con te non si può mai scherzare, non è vero, papà?”.
E quell’ennesimo colpo basso, quel papà pronunciato fin troppo alla leggera, era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Da quel momento non si tornava più indietro. Da quel momento, il vero scontro aveva avuto inizio e solo uno tra i due avrebbe trionfato.
Persino gli dei, dal loro rifugio sicuro, avevano iniziato a fare il tifo per Vegeta.

 
*

Si muovevano tra gli altri combattenti senza neanche dare a questi il tempo di capire da cosa erano stati sfiorati, a volte, travolti, altre.
Erano spaventosi e allo stesso tempo maestosi in quei loro attacchi, in quel loro colpire e parare, attaccare e difendersi. Sembrava che stessero eseguendo una macabra danza della morte, che stessero praticando un proibito e spaventoso rituale apocalittico.
Non erano più padre e figlio.
Non erano più re e divinità malvagia.
Erano animali che difendevano il territorio, lupi, leoni, scimmioni pronti a sacrificarsi per ottenere supremazia, potere, forse, per uno dei due, giustizia.
Lo spaventoso volto sfigurato di Oozaru era bloccato in quel ghigno malefico. L’irritante sorriso che vi era stampato sopra sarebbe stato perfetto come maschera da usare in un film dell’orrore, uno di quelli che non ti fa dormire la notte o che, peggio ancora, si materializzano come il peggiore degli incubi.
Le ustioni caratterizzavano entrambi i combattenti. Oltre a essere uniti dal sangue e dalla leggenda, erano uniti anche da questo inquietante e spaventoso particolare, quasi come se Vegeta avesse voluto contraccambiare il favore.
E Vegeta stava combattendo feroce come non mai, desideroso di vincere. E non per godimento personale. Forse, per la prima volta, per un profondo senso di onore e giustizia.

 
*

Gohan stava osservando tutto dalla sua posizione riparata, rimanendo al capezzale di suo padre. Goku stava sempre peggio. Da quando la battaglia aveva avuto inizio, aveva cominciato a contorcersi, a lamentarsi, a soffrire come mai prima di allora. Gohan era certo di aver visto lacrime rigargli il viso, ma era stata una frazione di secondo.
Non riusciva a capire cosa gli sfuggisse. Il collegamento era lì, davanti ai suoi occhi, ma non riusciva a coglierlo. Forse, non sarebbe stato il momento più adatto per provare ad “azionare” le sue nuove abilità, ma doveva trovare il modo di aiutare suo padre. Doveva salvare Goku.
Così, aveva raccolto tutta la concentrazione di cui disponeva e aveva posato una mano sul capo del padre, prendendo un profondo respiro.
La visione era arrivata senza che potesse accorgersene, cogliendolo alla sprovvista, e così com’era giunta era andata via, lasciandogli addosso la più spiacevole delle sensazioni.
“Gohan!” – Junior era piombato davanti a lui, malconcio e con gli abiti ridotti a brandelli – “Figliolo, stai bene?”.
“S-sì!” – era sconvolto. Le visioni lo facevano stare male, ma stavolta più per quello che aveva visto che per la visione in sé – “Junior… Papà non sopravvivrà”.
“Che vuoi dire?”.
“Guarda Vegeta… Non si è neanche trasformato, eppure ha una potenza straordinaria… Anche prima, quando ha reagito contro Vickas… Non è normale”.
Aveva ragione. Era come se la sua forza fosse aumentata dal nulla.
“Devono avergli fatto qualcosa. Vickas, Oozaru stesso, non riesco a capirlo, ma gli hanno fatto qualcosa, ne sono sicuro”.
“Figliolo…”.
Gohan aveva le lacrime agli occhi dalla rabbia, dal disgusto. Gliene avevano fatta un’altra. Li avevano di nuovo presi in giro.
“Vegeta sta involontariamente assorbendo l’energia vitale di papà”.

 
*

Chichi aveva abbracciato la piccola Marron più forte che poteva, canticchiandole una canzone nel vano tentativo di coprire l’infuriare della battaglia.
Goten e Videl non erano riusciti a portarli molto lontano dal luogo dello scontro e, per di più, il piccolo Son era dovuto tornare indietro, lasciandoli completamente soli.
Per quanto Satan fosse più anziano di lei, la mora non se l’era sentita di affidargli la guida di quel misero gruppo di sfollati, prendendone ella stessa le redini.
“Proviamo a dirigerci verso il villaggio” – aveva detto, seria e decisa – “Qui non saremo mai al sicuro. Forse, non lo saremo in nessun posto, ma almeno lì potremmo provare a confonderci con gli altri. Potremmo provare a non dare fastidio a chi ci ama”.
Anche se a malincuore, la decisione era stata colta all’unanimità. Insieme, cercando di fare più in fretta che potevano, avevano cominciato a marciare a passo sostenuto verso il villaggio, sperando di trovarvi riparo e forse qualcos’altro, perché nel profondo del suo cuore la mora sentiva che quella fosse la direzione giusta, anche se non avrebbe saputo spiegarne il motivo.

 
*
 
“Se continua così, papà morirà presto! Dobbiamo avvertirlo! Dobbiamo fermarlo!”.
“Ma…”.
“No, Junior, non c’è tempo! Se papà muore non potrà più…”.
“Go-Gohan…” – era stato proprio Goku, seppur con un filo di voce, a chiamarlo.
“Papà!”.
“Gohan… Lascia stare… Va bene così…”.
“Goku… Ma cosa stai dicendo?”.
“Non ho… modo di… di aiutare Vegeta…” – parlava a fatica e con un filo di voce.
“Ma non è vero! Servono due guerrieri per sigillare il mostro nel medaglione! Lo hai forse dimenticato?”.
“No, Junior… Lo-lo ricordo bene. Ma serve anche un sacrificio”.
“Non dirai… Papà, non puoi…”.
“Vieni qui, figliolo…. Dammi la mano” – e Gohan aveva obbedito, in lacrime.
“Non puoi morire papà… Non di nuovo”.
“È tutto nelle mani di Vegeta, figlio mio… Lui sa quello che deve fare. L’ho visto… L’ho sentito… Ci siamo affidati l’uno all’altro… Lasciagli portare a termine la sua missione”.
“Non puoi dire sul serio… No papà… No…”.
“Sono ancora qui…” – gli aveva detto, accarezzandogli la guancia – “E lo sei anche tu, invece di batterti insieme agli altri”.
“Ma…”.
“Niente ma… Andate. Troverò un posto sicuro dove ripararmi. Resisterò più che posso. Sto già meglio, non vedi?”.
Non stava meglio. Per niente. Ma non aveva perso il suo ottimismo, la sua ilarità, neanche mentre era in procinto di perdere la vita.
“Vai, figliolo, e rendimi orgoglioso. Mostra a tutti il grande guerriero che sei diventato”.

 
*
 
Lo avevano adagiato in un punto più riparato.
Gohan lo aveva abbracciato con forza trattenendo a stento il pianto e Junior gli aveva fatto un cenno del capo prima di librarsi in volo.
Goku era seduto sghembo, con una mano sul petto e l’altra stesa lungo il fianco, inerme.
Gli restava poco da vivere. Lo sapeva. Lo sentiva.
Quello non era uno scherzo di Vickas o una beffa di Oozaru. Quello era il fato, il destino, il compimento di una profezia.
Era certo che Vegeta non si fosse reso conto di quanto stava avvenendo, ma doveva ammettere che la cosa gli importasse ben poco. Stava combattendo con lui, per lui, attraverso di lui e, insieme, stavano battendo il nemico. A onor del vero, questo avrebbe fatto arrabbiare molto di più l’orgoglioso ex-principe dei saiyan. Ma che gloria poteva esserci nello sfigurare il corpo del proprio unigenito? Nessuna… Ecco perché aveva avuto bisogno di lui, ecco perché aveva dovuto cullare la sua anima perduta, tormentata, distrutta.
E, finalmente, Oozaru era in difficoltà. Lo aveva notato appena aveva ricominciato a vedere le cose chiaramente. Oozaru stava perdendo.
Ogni cosa stava andando come avrebbe dovuto: Vegeta era più forte che mai, Gohan aveva i poteri necessari ad imprigionare Oozaru, lui avrebbe commesso il sacrificio, e Goten… Goten sarebbe dovuto arrivare presto, perché qualcosa gli suggeriva che avrebbero avuto bisogno anche di lui.
E così sarebbe stato, così sarebbero andate le cose se solo non fosse accaduto l’impensabile. Se solo una donna dai capelli turchini che tutti credevano sepolta sotto terra non avesse fatto capolino dal nulla con un coltello in mano e con addosso un ghigno irriconoscibile.
“Bu-Bulma?.
Aveva sorriso, tremenda e letale.
“Bulma… Sono io… Sono io! No… Che vuoi fare?”.
“Giocare, Goku… Ricordi la storia di Biancaneve?”.
Aveva cercato di mettersi in piedi, ma era impossibile. Vegeta stava per sferrare l’attacco finale e lui era senza energie.
“Sta' buono, cerbiatto… Oggi, ho deciso che giocherò a fare il cacciatore”.

Continua…


Ciao a tutti!
Scusate per il ritardo, lo studio è sempre un momento traumatico e toglie il tempo per dedicarsi ad attività decisamente più piacevoli.
Ma eccoci qui, nel bel mezzo della battaglia a chiarire dubbi e a narrare eventi – funesti – che sconvolgono le esistenze dei nostri amici.
Goku… Mio caro, dolce Goku… Ti sto amando come non mai in questo periodo. E dire che non ti ho mai sopportato più di tanto. Riuscivo a tollerarti solo grazie alla presenza di Vegeta. Ma ora… Eccoti qui, pronto a morire per far sì che il tuo antagonista possa trionfare. Peccato che le cose non siano andate come sperato, che il destino abbia deciso ancora una volta di beffare te e le persone che ami.
Bulma ha levato il braccio contro di te, giocando a interpretare il ruolo del cacciatore assoldato dalla perfida regina.
Cosa accadrà, adesso? Cosa sarà di Vegeta e degli altri?
Vinceranno questa battaglia?
Lo scopriremo nel prossimo, ultimo – spero – capitolo.
Vi ringrazio per essere stati con me fino a ora.
Vi adoro.
A presto!
Un bacino
Cleo
*Questo è un commento che fa Whis in DragonBall Super

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Capitolo 50
*** Tutto è perduto ***


CAPITOLO 50
Tutto è perduto
 
Lo aveva colpito.
Lo aveva fatto senza esitazioni, senza remore, con mano ferma e con un’espressione in viso che la vittima di quel sacrificio rituale non avrebbe mai potuto dimenticare. Erano i suoi occhi, quelli in cui si era specchiato, era la sua voce, quella che lo aveva condannato a morte. Ma non era lei. Quella non era la sua migliore amica, e lo aveva capito troppo tardi, Goku, quando ormai la mano era già stata levata contro di lui e la lama aveva trapassato le sue carni diventate improvvisamente morbide come burro.
La vita era scivolata da lui più lentamente di quanto avrebbe creduto.
Non era la prima volta che passava a miglior vita, ma in quell’occasione era stato diverso. Quell’agonia non era stata provocata dal colpo in sé, seppur non avrebbe mai potuto immaginare che un semplice pugnale potesse arrecargli un simile danno. Che la lama fosse intrisa di qualche strana magia? Poteva essere. Con Oozaru, tutto poteva rivelarsi attuabile. Anzi, più una cosa sembrava impossibile, più diventava reale. Proprio come sapere che la sua migliore amica, la scienziata dai capelli color del mare, era tornata dalla morte per prestare servizio alla più infima delle creature, per prostrarsi ai piedi di chi avrebbe dovuto contribuire a distruggere, sconfiggere, eliminare.
Bulma, suo malgrado, si era macchiata dell’omicidio di un altro saiyan: dopo aver distrutto Vegeta nell’animo, aveva posto fine alla vita di Goku, segnando così le sorti dello scontro intrapreso dall’unico uomo che l’avesse mai amata realmente, e anche quelle dell’universo intero.
Non era stato in grado di proferire parola, Goku, prima di spirare.
Un fiotto di sangue bollente era stata l’unica cosa uscita dalla sua bocca distorta dal dolore causato da quell’improbabile dispensatrice di morte.
“Perdonami… Perdonami, Vegeta”.

 
*

Non si era reso conto dell’andamento reale del loro scontro fino a quando le forze non gli erano venute a mancare.
Aveva combattuto in stato di trance, guidato da una forza che non avrebbe saputo spiegare e di cui non conosceva ancora la reale portata. L’aveva sentita crescere dentro di sé sino a vederla esplodere. E, grazie a essa, aveva messo il nemico era alle strette. Stava per sconfiggerlo. Non ci sarebbe stato bisogno di chiedere a Gohan di predire il futuro perché lo vedeva davanti a sè, chiaro come il sole. Avrebbe posto fine alle ingiustizie causate da quella belva che aveva gli occhi di suo figlio, lo avrebbe indebolito e rinchiuso in quel dannato medaglione che, inavvertitamente, lui e quel buono a nulla di Kaharot avevano azionato.
Ma poi, improvvisamente, così come era arrivata, espandendosi senza preavviso, quella forza aveva cominciato a ritrarsi, lasciandolo solo e vulnerabile come non mai.
Un attimo di esitazione.
Era bastato un solo attimo di esitazione, e Oozaru aveva trovato un varco tra i suoi attacchi, colpendo il re dei saiyan in pieno viso, sotto gli occhi sconvolti e atterriti di chi, per un brevissimo istante, si era fermato ad assistere a quel memorabile scontro.
“VEGETA! NOOOOO!” – ma Crilin sapeva che il suo urlo non avrebbe arrestato la sua caduta.
Il cratere generato dall’impatto del re contro il suolo era di dimensioni mai viste sino ad allora.
Il tempo, improvvisamente, sembrava essersi fermato.
I combattenti si erano fermati a mezz’aria, incapaci di proseguire in quello scontro impari.
Gohan e Junior avevano trattenuto il fiato all’unisono, cercando con lo sguardo di individuare, tra polvere e detriti, la sagoma del guerriero che era stato colpito dal nemico.
Oozaru non si era mosso.
Era rimasto lì, imperterrito, a rimirare la sua opera. Non c’era ombra di meraviglia, sul suo viso, né di soddisfazione.
Semplicemente, le cose si erano evolute nella maniera più naturale. Lui, Oozaru, era la divinità reincarnata, l’essere supremo per eccellenza, colui che decideva delle sorti altrui senza possibilità di appello, colui che era in grado di assoggettare gli uomini e persino gli dei.
Non c’erano ostacoli, per Oozaru, e non ci sarebbero mai stati. Presto, sarebbe diventato il padrone di ogni universo conosciuto. Presto, il suo nome sarebbe stato pronunciato con timore e rispetto. Presto, anche le porte dell’Aldilà si sarebbero spalancate e ogni cosa sarebbe stata come avrebbe dovuto essere: assoggettata al suo volere.
Ma prima… Prima, avrebbe dovuto occuparsi di quel piccolo essere che aveva contribuito a dare vita al suo tramite.
Alla fine dei conti, aveva dovuto ammettere che un po’ si fosse divertito a battersi con lui, nonostante avesse usato un trucchetto quanto mai discutibile per affrontarlo. Certo, qualcosa gli suggeriva che il povero, piccolo Vegeta, che il “re dei saiyan” non si fosse neanche reso conto di aver combattuto assorbendo l’energia dal suo eterno antagonista, mille volte più forte e più in gamba di lui.
Patetico. Vegeta era a dir poco patetico. Il “re degli orgogliosi” sarebbe morto se lo avesse anche solo lontanamente intuito, ne era più che certo.
Quando si era insediato nel corpo di Trunks, Oozaru si era impossessato di qualche sua memoria residua, di qualche ricordo persistente, e aveva appreso molte notizie interessanti sull’unico che aveva avuto il fegato – o l’incoscienza – di sfidarlo.
Se solo fosse stato un altro… Se solo Vegeta fosse stato diverso, adesso sarebbe stato al suo fianco nel suo progetto di conquista. Uno schiavo come lui sarebbe stato di straordinaria utilità. Forte, fiero… Un gioiello tra tante pietre di poco valore. Ma no, non si sarebbe fatto comprare. Oozaru lo aveva capito sin dal primo pugno sferrato. Non avrebbe avuto modo di fare breccia nel suo animo, convincendolo a prostrarsi ai suoi piedi, a servirlo, a venerarlo, nonostante il suo animo, in passato, fosse stato più oscuro della notte. Quel misero saiyan, quell’omuncolo da cui avrebbe dovuto pretendere timore e adorazione, aveva riposto la sua fiducia in qualcun altro, affidandosi a lui senza remora alcuna.
“Un vero peccato…” – aveva mormorato, poggiando entrambe le mani sui fianchi – “Adesso, mi toccherà ucciderti”.
“LASCIALO STAREEEEEE!”.
Era piombato su Vegeta come una furia, parandosi davanti a lui con quel corpicino apparentemente fragile e vulnerabile.
“TU NON GLI FARAI DEL MALE. NON TI PERMETTERO’ DI FARE DEL MALE A VEGETA!”.
“GOTEN! Che cosa ti sei messo in testa?” – Gohan non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva appena visto fare a suo fratello. Gli era dato di volta il cervello? Sfidare Oozaru così, apertamente, senza remora alcuna. Non aveva speranze contro di lui! Se anche Vegeta era stato così miseramente atterrato, cosa avrebbe potuto fare lui?
“VA VIA DA LI’!”.
“NON OSARE INTERVENIRE, MEZZOSANGUE!” – Majin-Bu, con la sua enorme mole, si era piazzato davanti al giovane Son, impedendogli così di accorrere in aiuto del suo giovane fratellino – “O dovrai vedertela con me. E ti conviene stare attento… È tanto tempo che non mangio cioccolata” – e si era leccato avidamente le labbra, facendo rabbrividire il povero Gohan.
“Un intruso… Coraggioso! O solo stolto?”.
Oozaru era estremamente divertito da quanto era appena avvenuto. Quella copia in miniatura di Goku era così divertente… Davvero credeva di poter difendere Vegeta? Davvero credeva di poter fare qualcosa contro di lui?
Un mugugno. Un mugugno improvviso aveva avvertito tutti che Vegeta si stava destando da quel sonno indotto e che le cose, per lui, non andavano così bene come tutti speravano.
“Go-Goten…” – aveva biascicato appena il suo nome, incapace di fare altro. Ancora non riusciva a mettere a fuoco ciò che aveva davanti, ma quell’aura non l’avrebbe mai confusa con quella di qualcun altro – “Vai via”.
“Non lo farò! Non ti lascio solo… Tu non sei solo, Vegeta!”.
Forse, il saiyan avrebbe potuto resistere a quella dimostrazione di coraggio. Probabilmente, avrebbe potuto fare lo stesso il re. Ma non l’uomo. L’uomo non avrebbe potuto resistere di fronte a quella dimostrazione di sfrontatezza e coraggio messe assieme. Per questo, aveva sorriso, cercando di trattenere l’emozione e, suo malgrado, si era tirato su, mettendosi faticosamente a sedere sui talloni. Gli fischiavano ancora le orecchie, ma adesso riusciva a mettere meglio a fuoco quanto si presentava davanti ai suoi occhi. La guancia gli doleva profondamente. Era certo che quel pugno micidiale gli avesse mandato in frantumi lo zigomo e un paio di molari, ma aveva avuto il buon senso di non allungare una mano per sincerarsene. Aveva ben altro a cui pensare, il re dei saiyan. Doveva pensare a come mettere al sicuro Goten e a come fermare Oozaru, per quanto, suo malgrado, temesse che ciò non sarebbe stato più possibile.
La forza che aveva sentito scorrergli nelle vene come una linfa benefica era completamente svanita, lasciando al suo posto solo un profondo senso di vuoto e di stanchezza.
Si era sentito cullato, Vegeta. Protetto, per quanto ciò suonasse a dir poco assurdo. Era stato come se ci fosse stato qualcuno accanto a lui per tutto il tempo, qualcuno che lo aveva guidato e aiutato a combattere il mostro che aveva davanti e che era stato sul punto di sconfiggere.
Che cosa era mai potuto accadere?
“Goten” – era più lucido. Sfinito, ma lucido – “Vieni qui”.
“Sì, Goten… Vai da lui…” – Oozaru si divertiva a tormentarli con quel tono ironico, a tratti crudele. Non aveva impiegato troppo tempo per raggiungerli, sfiorando con le punte dei piedi il suolo ormai privo di qualsiasi traccia di neve. Sembrava che non vi fosse mai stato quel soffice manto bianco ad avvolgere ciò che restava del bellissimo pianeta Terra. La terra brulla era l’unica cosa che avrebbero visto coloro che sarebbero stati così coraggiosi – o forse così stolti – da avvicinarsi al luogo della battaglia.
Il piccolo saiyan, contrariamente a quanto gli era stato ordinato, non si era mosso di un millimetro, gonfiando ancora di più il petto nel vano tentativo di apparire più minaccioso che mai.
“Piccolo testardo…” – Vegeta lo aveva sussurrato a denti stretti, costringendosi a rimettersi in piedi. Nonostante qualche piccolo sbandamento, era tornato a essere abbastanza stabile da poter fronteggiare un attacco diretto. Ma la preoccupazione verso il bambino che aveva davanti non gli consentiva di ragionare lucidamente. Se Oozaru avesse fatto la prima mossa, sarebbe stato capace di salvare la vita del figlio di Goku?
Già, a proposito… Kaharot. Che fine aveva fatto quell’idiota adesso che serviva il suo aiuto?
“È proprio una bella domanda, sai, papà?”.
Gli aveva letto nel pensiero. Quel gran bastardo gli aveva letto nel pensiero.
“Ma guarda un po’ chi è arrivato!” – aveva poi aggiunto, puntando un dito esattamente al di là delle spalle di Vegeta – “Adesso sì che si può dare il via alla riunione di famiglia!”.
Si erano girati contemporaneamente, e lo avevano fatto tutti, sia coloro che aleggiavano a mezz’aria che chi sostava al suolo, col cuore in gola e il timore di scoprire quale fosse la verità.
Pensava di aver visto ogni cosa.
Pensava di aver subito abbastanza, di aver lasciato che il suo cuore soffrisse a sufficienza, ma non era così. Evidentemente, qualcuno lassù aveva deciso che per lui il dolore dovesse essere una costante, che per lui non potessero esserci variazioni. E, dopo lo sgomento iniziale, si era dato dello sciocco a credere di aver potuto trovare un po’ di pace. Aveva perso suo figlio, lo aveva seppellito e lo aveva visto tornare. Aveva perso sua moglie, l’aveva seppellita… Perché non aveva neanche tenuto in considerazione l’idea che anche lei potesse tornare dal mondo dei morti?
Aveva serrato le palpebre con forza, rifiutandosi di accettare quanto i suoi occhi gli stavano mostrando. Perché quella donna, per quanto avesse le sue fattezze, non era più lei. Quella donna non era la sua Bulma.

 
*

“Bu-Bulma?” – Goten non riusciva a crederci. Persino lei… Oozaru aveva assoggetto persino la mamma del suo migliore amico.
La donna avanzava sicura, senza staccare gli occhi adoranti dal bambino che aveva davanti.
Madre…” – l’aveva chiamata senza alcuna esitazione – “Hai portato qualcosa per me?”.
La donna aveva superato i presenti in pochi passi, non degnandoli neanche di uno sguardo. Sorridendo, si era inginocchiata davanti a Oozaru, e solo allora avevano avuto l’opportunità di osservare le sue mani e i doni che offrivano.
“Padrone… Ti ho portato il suo cuore”.
A quel punto, Vegeta lo aveva stretto tra le braccia prima che potesse commettere il gravissimo errore di girarsi verso la direzione da cui era venuta Bulma e vedere quello che i suoi occhi avevano visto.
“Vegeta! Ma cosa…?”.
“Non guardare! Non voglio che tu veda!”.
E non avrebbe voluto vedere neanche lui, nessuno di loro avrebbe voluto vedere, ma non era stato possibile evitarlo.
“G-Goku…”.
“Kaharot…”.
“Papà!”.
Nessuna delle loro voci sarebbe stata udita da Goku, e questo perché il dono che aveva fatto Bulma a Oozaru non era altro se non il cuore puro del penultimo saiyan di razza pura che il mondo avesse avuto l’opportunità di conoscere, il cuore puro di un uomo che tutti consideravano un eroe, il cuore dell’uomo che tutti chiamavano Goku e che solo uno continuava a chiamare Kaharot.

 
*

Non poteva essere vero. Non poteva esserlo e basta.
Sgomento, angoscia, paura, terrore, rassegnazione. Cos’altro avrebbero dovuto provare loro che, inermi, non si erano accorti della perdita subita?
Goku era morto. Goku, il loro eroe, non c’era più. Il suo corpo privo di vita giaceva al suolo, con il torace sfondato e la bocca inondata di sangue, gli occhi sbarrati nell’immobilità irreversibile della morte.
Gohan aveva urlato e pianto, e lo stesso aveva fatto Goten, cercando di divincolarsi dalla salda presa di Vegeta.
“PAPAAAAAAA’!!!!”.
“NO! FERMATI!”.
Ma Junior non era stato in grado di arrestare la folle corsa del giovane Son, né Vegeta era stato in grado di tenere a bada il secondogenito dell’idiota che non era più in vita. Le forze lo stavano abbandonando. Era debole, sempre più debole, e la situazione era peggiorata nell’istante in cui Oozaru aveva spalancato le fauci e aveva portato alla bocca quel muscolo ancora caldo e grondante sangue, staccandone con un solo morso un boccone che per lui doveva essere estremamente prelibato.
I due fratelli avevano perso la ragione, lasciandosi accecare da una furia che nessuno aveva mai visto in loro. Goten non aveva esitato a trasformarsi, così come Gohan non aveva avuto alcuna remora nel mostrare la sua forma perfetta, suprema, e avevano colpito insieme, con tutte le loro forze, sfidando apertamente il micidiale nemico.
Non c’era storia. Non erano neanche riusciti a sfiorarlo con un dito. Oozaru aveva giocato con loro, schivando ogni attacco, ridendo di gusto a ogni loro onda di energia e, nel mentre, ferendoli con un lieve tocco delle dita o un semplice spostamento d’aria.
“FERMATEVI! VI FARETE AMMAZZARE!”.
E Junior aveva ragione, ma non sarebbe potuto intervenire in soccorso dei figli dell’uomo che lo aveva aiutato così tanto a cambiare. Tenshing e tutti gli altri glielo avevano impedito. Poteva solo sperare che i due fratelli Son riuscissero a uscire vivi da quello scontro. Se così non fosse stato, avrebbe preferito raggiungerli nella morte.

 
*

“Forza! Non dobbiamo fermarci! Ormai manca poco, non possiamo mollare proprio ora!”.
Chichi era diventata la guida di quel gruppo di esuli, una guida spirituale, si sarebbe potuto dire. Aveva deciso che sarebbero arrivati a destinazione nel più breve tempo possibile e così sarebbe stato. L’imbrunire stava sopraggiungendo, e non poteva permettere che lei e gli altri si muovessero al buio nel sottobosco – o in quello che ne restava.
Dovevano arrivare al villaggio prima di sera. Era questione di vita o di morte. E Chichi, questo, lo sapeva meglio di chiunque altro.
“Dobbiamo arrivare al castello. Dobbiamo arrivarci subito”.
“Al castello?” – mr. Satan era dubbioso – “Perché dovremmo intrufolarci nella tana di quel mostro?”.
“Noi… Dobbiamo farlo e basta!”.
La risposta evasiva della mora non era affatto piaciuta al resto di quel gruppo così male assortito, ma non avrebbe potuto dire altro. Quali parole avrebbe dovuto usare per spiegare loro che sentiva di dover raggiungere il castello di Oozaru? Che una voce, e non una voce qualsiasi, era giunta alle sue orecchie suggerendole quella direzione?
“Bulma, amica mia… Mi dispiace di averti trattata così male. So che sei qui, riesco a sentirti molto più chiaramente di quanto pensi… Guidaci e aiutaci a dare una mano al tuo Vegeta, al mio Goku e a tutti gli altri”.
“Non manca molto. Ma una volta entrati nel villaggio, cercate di non dare nell’occhio! È chiaro che ai popolani sembreremo estremamente sospetti, e non sapremo se ci saranno guardie da affrontare finché non saremo arrivati a destinazione. Intesi?”.
“Sì signora!” – aveva esclamato mr. Satan, piuttosto indispettito. Stimava molto Chichi, ma ora che aveva assunto quest’aria da generale la sopportava un po’ meno. Pensare che, quando tutta quella storia sarebbe finita – si era sforzato di pensare al quando e non al se – sarebbero diventati parenti lo faceva rabbrividire.
Non c’era che dire: sua figlia aveva scelto una consuocera davvero singolare.
“Questo è il villaggio?” – aveva domandato la piccola Marron, curiosa – “Com’è grande!”.
“Sì, piccolina…” – Videl sembrava tesa, ma aveva cercato di non mostrare questo sentimento alla piccola – “Adesso, cerchiamo di fare come ha detto la zia Chichi. Non facciamo rumore, va bene?”.
E Marron aveva risposto con un cenno del capo, facendo immediatamente silenzio.
Avevano una missione molto importante da compiere. Lo sapeva perché a dirglielo era stato il suo amico Trunks.

 
*

 
Stava giocando, Oozaru. Stava giocando con Gohan e Goten, e la cosa peggiore era che i due saiyan non erano stati in grado di rendersene conto.
Le luci dell’imbrunire avevano dato un tocco di magia a quello scontro impari, ma i combattenti – tutti – sapevano bene che, una volta calata la notte, la faccenda si sarebbe complicata. Solo i saiyan, dotati della loro luminosa aura dorata, sprigionata dalla trasformazione, non avrebbero avuto problemi. Ma Vegeta non sembrava intenzionato a trasformarsi per nessuna ragione al mondo.
Era di nuovo immobile, imbambolato, con lo sguardo perso nel vuoto e una stanchezza addosso che non sarebbe stato in grado di scacciare in nessun modo.
Kaharot era morto. Goku, il suo rivale, era morto per mano di Bulma, per mano della Bulma di Oozaru, per essere più precisi, e quella consapevolezza lo aveva reso vuoto, facendolo precipitare nel più totale sconforto. Era solo, adesso, solo come non mai. Per la prima volta in tutta la sua lunga carriera da guerriero, Vegeta aveva deciso di contare sull’aiuto di chi gli stava accanto per sconfiggere il nemico, ed era stato deluso. Goku era morto e non avrebbe potuto intervenire in suo supporto. Trunks non c’era più e Gohan e Goten… Gohan e Goten sarebbero stati presto sconfitti dal nemico. Era stato deluso per l’ennesima volta, illuso e scaricato. E tutto per mano di Oozau.
“Non lo accetto…” – aveva detto tra sé e sé, stringendo i pugni con così tanta forza da ferirsi i palmi delle mani mentre digrignava i denti – “Non lo posso accettare”.
“Che cosa, zuccherino?” – aveva domandato lei, quella donna infernale che si spacciava per la sua Bulma – “Se non parli più forte, come potremo mai sentirti?”.
Nel frattempo, lo scontro continuava ad infuriare. Gohan era svelto, capace, ma non abbastanza forte per battere Oozaru.
Ma un dettaglio, un piccolo, apparentemente insignificante dettaglio, aveva fatto sì che, finalmente, Vegeta capisse qual era la strategia adottata dal giovane Son.
“Ma tu guarda…” – non riusciva a crederci, ma i suoi occhi non potevano ingannarlo nuovamente. Quello che Gohan teneva stretto nel palmo della mano destra, la stessa con cui continuava a colpire il nemico, era il ciondolo in cui era stato imprigionato in passato quel grandissimo bastardo causa di tutti i mali del mondo.
“Dove pensi di andare, zuccherino?” – aveva incalzato lei, parandosi davanti al re nell’istante in cui si era resa conto che volesse raggiungere i suoi amici – “Questa non è la tua battaglia”.
Lo sguardo di Vegeta si era indurito improvvisamente. Era arrivato il momento di scrivere la parola fine a quella storia. Per questa ragione aveva raccolto quel po’ di forze che gli restavano e si era scosso, cercando di sembrare quello che ormai non era più.
“Ascoltami bene, razza di mostro” – aveva detto, dopo aver afferrato i polsi della creatura che aveva davanti.
“Che modi!” – aveva tuonato lei, ma il suo tono era cambiato. Era evidente che cominciasse ad avere paura – “Si tratta così la tua spos-AAAH!”.
Gli era bastato un tocco e quei polsi si erano piegati alla sua volontà come cera.
“Io non sono il tuo zuccherino e tu non sei neanche la pallida ombra della donna che amo”.

 
*

L’aveva uccisa.
Vegeta aveva ucciso la donna che aveva osato spacciarsi per Bulma.
Il corpo, molle, privo di vita, giaceva ai suoi piedi. Era una visione spaventosa, ma era bastata a Gohan, Goten e Oozaru per arrestare momentaneamente il loro scontro.
“Ve-Vegeta…” – Goten non riusciva a crederci. Lo aveva fatto sul serio?
Il piccolo Son non si era reso conto solo in quell’istante che anche lui e Gohan avrebbero dovuto fare lo stesso con Oozaru. Non vi era differenza tra loro e Vegeta. Dovevano fare ciò che andava fatto senza fiatare. Solo così avrebbero potuto sconfiggere il nemico.
Superandola con un’ampia falcata, il fiero saiyan aveva cercato di avvicinarsi il più possibile ai figli di Goku, cercando disperatamente di non attirare l’attenzione di Oozaru. Questi, dal canto suo, non sembrava minimamente sconvolto dall’accaduto.
“Ma pensa un po’… Finalmente, tiriamo fuori un po’ di carattere, papà. Però peccato… La mamma mi piaceva. La nostra prole sarebbe stata straordinaria”.
Non lo aveva detto sul serio. Non poteva aver pensato di generare figli con lei. Mio Dio, quell’essere si rivelava ogni istante sempre più orrido e repellente.
“Gohan…” – lo aveva solo chiamato e guardato più intensamente che poteva, sperando che il figlio di Goku fosse più perspicace di suo padre – “Sono pronto”.
E lui aveva fatto un cenno col capo, convinto che lui e il suo re fossero sulla stessa lunghezza d’onda. Ora o mai più.
“Ma che strano…” – aveva esclamato Oozaru, continuando a guardare in direzione del cadavere di Bulma – “Avrei detto che un momento fa si trovava proprio lì”.
Sciocchi.
Ingenui, sciocchi saiyan che si erano lasciati distrarre dalle parole del nemico. Era tardi, ormai, per rendersi conto del raggiro subito.
Nello stesso istante in cui si erano accorti che il corpo di Bulma fosse sparito, Gohan aveva urlato.
La donna, miracolosamente risorta per la seconda volta, aveva colpito il giovane Son alle spalle, pugnalandolo proprio come aveva fatto con suo padre qualche minuto prima.
“GOHAN!”.
“FRATELLONE!”.
Il medaglione era nelle sue mani. E, un attimo dopo, in quelle di Oozaru.
“MALEDETTO!”.
Nessuna imprecazione aveva potuto fermare quello che era appena stato fatto: il nemico aveva distrutto l’unico strumento che avrebbe potuto fermarlo per sempre.

Continua…


Eccomi qui…
Come avrete intuito, la faccenda non finisce assolutamente qui. Stava venendo fuori un capitolo lungo, lunghissimo, un’epopea, e ho dovuto dividerlo in più parti.
Scusatemi.
Mi dispiace di avervi illusi di nuovo, ma proprio non si potevano leggere tutte quelle pagine così, di botto. Vi avrei annoiati, e non è mia intenzione. Mi dovrete sopportare per un altro po’ di tempo.
Bene.
Ora che ve l’ho detto, spero non mi uccidiate! XD
E mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, anche se non si tratta dell’ultimo.
A presto, miei cari!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 51
*** Avrà davvero vinto? ***


CAPITOLO 51

Avrà davvero vinto?

Vagava da solo in una sorta di limbo da un tempo che gli era parso interminabile. Non vi era niente, lì. Né luce, né oscurità. Niente. Era strana la sensazione che provava, strana e inqualificabile.
Sapeva di essere morto. Gli era capitato così tante volte che quasi ci aveva fatto l’abitudine, ma quell’esperienza era del tutto diversa da quello che aveva vissuto in precedenza. Per un attimo, aveva creduto di aver scorto da lontano la figura di Baba, pronta a scortarlo nel suo ultimo viaggio, ma si era sbagliato. Non vi era nessuno lì. Assolutamente nessuno.
“Ehilà!” – aveva provato a chiamare – “C’è qualcuno qui?”.
Un’eco lontana. Forse, aveva udito un’eco lontana.
“Chi sei? Mi senti?”.
Lo aveva sentito, sì. E proprio perché lo aveva sentito, lo aveva chiamato di nuovo, questa volta in modo chiaro e deciso.
“Goku”.
Qualcuno lo aveva chiamato per nome.
“Non riesco a vederti… Chi sei? E dove sei?”.
Non sapeva cosa o peggio chi sarebbe apparso. Un nemico, forse? Che Oozaru lo avesse spedito sin laggiù per annientarlo totalmente? Sapeva sin troppo bene che se il suo spirito non avesse resistito all’offensiva del nemico non ci sarebbe stato scampo per lui. Sarebbe scomparso, definitivamente, e non avrebbe avuto più modo di tornare indietro.
Ma lei era apparsa dal nulla, e lo aveva fatto mentre stringeva per mano il suo piccolo.
Il cuore di Goku aveva sussultato. Stavolta era lei, ne era sicuro. Stavolta, non avrebbe potuto confonderla per nessun’altra donna al mondo.
“Bulma?! Trunks?!”.
“Goku…” – aveva detto lei, tra le lacrime – “Goku!”.
Si erano abbracciati, scoprendosi più fragili e più vicini che mai. Gli era mancato così tanto, quel bambinone troppo cresciuto dagli improbabili capelli a ciuffo di carota. Gli era mancato da morire.
“Mi dispiace per quello che ti è successo. Perdonami. Lei non è me… Io non sono lei… Ma…”.
“Calmati, amica mia… Calmati. Va tutto bene” – non avrebbe potuto avercela con lei neanche se avesse cercato di farlo di proposito. Le voleva troppo bene. Erano cresciuti insieme, avevano vissuto mille avventure, e questo valeva il perdono concesso a quell’altra. Era la sua migliore amica, Bulma Brief, e ora che l’aveva ritrovata, non l’avrebbe più lasciata andare.
“Lui fa delle cose… Fa delle cose orrende, quell’Oozaru…”.
“Su, Bulma… Cerca di spiegarti” – era più confuso che mai. Era ovvio che Oozaru fosse un bastardo patentato, ma aveva bisogno di sapere a cosa la sua amica si stesse riferendo nello specifico. Forse, avrebbe potuto spiegarle qualcosa in più rispetto a quello che stava accadendo sulla Terra e rispetto a quello strano posto in cui si trovavano.
“La mamma sta cercando di dirti che potrà capitare anche a te” – aveva detto Trunks – “Ma tu devi prometterci che resisterai! PROMETTILO!”.
“Potrà capitare anche a te”. Goku cominciava a pensare che si stessero riferendo a quella specie di Apocalisse Zombie che aveva avuto luogo qualche tempo prima. Questo voleva dire che anche lui sarebbe potuto tornare indietro sotto forma di schiavetto di Oozaru? Giammai!
“Lo prometto… Urca se lo prometto!”.
“Meglio-meglio così…” – aveva detto lei, convinta che Goku avesse capito – “Non potrei sopportare di sapere che una tua metà potrebbe tornare indietro” – e lo aveva abbracciato di nuovo, continuando a piangere.
Adesso, finalmente, Goku aveva capito per davvero. Adesso riusciva a spiegarsi la presenza di Tenshing, di Riff e degli altri. Oozaru aveva riportato indietro solo la loro parte malvagia. Lo aveva fatto con tutti, tranne che con Trunks. Come avrebbe potuto prendere il suo corpo, altrimenti?
Prestando maggiore attenzione, si era accorto di quanto luminosa fosse la figura di Bulma rispetto a quella di suo figlio. Questa non era altro se non un’ulteriore prova della sua teoria: Bulma, quella Bulma, era costituita di bontà allo stato puro, mentre la sua metà malvagia se ne andava in giro ad accoltellare poveri saiyan ignari. Davvero una storia singolare!
“Bè, non mi è andata così male!” – aveva provato a ironizzare, seppur con scarsissimi risultati – “Ma dove diamine siamo finiti?”.
Si era asciugata le lacrime, cercando di ricomporsi.
“Siamo nel nulla, Goku. Non possiamo rimanere sulla Terra e non possiamo raggiungere l’Aldilà. Siamo bloccati qui. E chissà per quanto tempo dovremo rimanerci…”.
“Eppure, mamma, Chichi ti ha sentita…”.
Cosa aveva detto, Trunks? Chichi, la sua Chichi, aveva sentito la voce di Bulma? Cosa diamine stava accadendo? Cielo quanto era nervoso.
“Semmai usciremo da qui, giuro che non frequenterò mai più Vegeta…” – era evidente che la sua compagnia non gli facesse bene.
“Cosa?” – Bulma non capiva come il suo migliore amico potesse essere così tranquillo e come riuscisse a fare ironia.
“Niente, Bulma… Lascia stare! Dicevate, di Chichi?”.
“Già… Chichi” – lo sguardo della turchina si era improvvisamente illuminato. Era assurdo constatare quanto fosse diversa dalla donna che aveva accusato il marito di aver praticamente assassinato il loro unico figlio. A Goku, però, sembrava non andare molto a genio neppure questa versione da martire della sua amica turchina. Voleva indietro la Bulma di sempre. E solo sconfiggendo Oozaru, ciò sarebbe stato possibile.
“Pregavo, amico mio. Pregavo che si mettesse in salvo, che raggiungesse il castello”.
“Il castello?”.
“Sì… Il castello di Oozaru”.
“E perché dovrebbe raggiungere il castello, scusa?”.
“Perché quello è il punto, Goku”.
Adesso sì che era confuso.
“Il punto? Il punto per cosa? E poi, tu come fai a saperlo?”.
“Lo so perché quando Oozaru mi uccisa, mi ha permesso di vedere chi è in realtà. Ho visto nel suo cuore, Goku, in quel pozzo nero di crudeltà e aberrazione, e ho capito. Ho capito ogni cosa”.
Non era possibile che ciò che Bulma stava dicendo corrispondesse alla verità. Che fosse l’ennesimo scherzo? Non lo avrebbe sopportato. Ma sembrava così vera… Così sincera. Se fosse stato vero, se avesse avuto ragione, ciò voleva dire che erano andati vicini alla soluzione di quel dramma senza neanche farlo di proposito? E poi, cosa avrebbero dovuto cercare nel castello?
“Bulma, come hai fatto a parlare con Chichi?”.
“Non lo so… Ho pregato tanto e lei mi ha sentita”.
“Sì, ma le hai detto di preciso cosa deve fare al castello?” – era arrivato il momento di prendere in mano la situazione. Aveva capito che fidarsi di lei era la cosa più giusta da fare. Del resto, era la sua migliore amica, no?
Bulma aveva fatto cenno di diniego col capo.
“Sa solo che deve andare lì”.
“Bene”.
“Bene cosa?”.
“Preparatevi. Ce ne andiamo da qui”.
“Come… Come sarebbe che ce ne andiamo? Siamo spiriti! Dove potremmo mai…?”.
“Fidati, Trunks. E abbi un po’ dì immaginazione. Stavolta, Oozaru non avrà scampo”.

 
*

Aveva distrutto l’unica arma che avevano contro di lui. Aveva distrutto il medaglione e Gohan era ferito, forse mortalmente.
“MALEDETTA!”.
Vegeta aveva sorretto Gohan prima che cadesse al suolo e, prontamente, Bulma si era spostata da lì con un balzo, rifugiandosi accanto a Oozaru.
“Ben fatto, madre mia…”.
“Oh, padrone… Non sono soddisfatta. Avrei voluto donarvi il suo cuore ma quel ficcanaso…”.
“Non temere… Presto, non ci darà più noia. Almeno, non in questa forma!”.
“Lurido figlio di…”.
“Figlio di cosa, Vegeta? O meglio, di chi?” – lo aveva schernito Oozaru – “Non avete ancora capito? Le vostre insulse minacce non servono. Ho vinto, saiyan. Non vi resta che prostrarvi ai miei piedi e adorarmi come avreste dovuto fare sin dall’inizio. Altrimenti… Bè, credo che non sia così difficile immaginare cosa accadrà in caso contrario”.
Goten, rimasto immobile sino a quel momento, era caduto in ginocchio, cominciando a singhiozzare senza freni. Suo padre era morto, suo fratello era gravemente ferito e Vegeta non era in grado di combattere. La verità lo aveva assalito, rendendolo debole e vulnerabile: Oozaru era imbattibile. Era un vero dio. E loro, miseri mortali, non avrebbero potuto fare niente per sconfiggerlo.
“Direi che è arrivato il momento di porre fine a questa idiozia!” – aveva esclamato, osservando il cielo diventato ormai scuro – “La nostra amica è finalmente venuta a farci visita, ed io mi sento più potente che mai”.
Atterrito, Vegeta non aveva potuto fare altro se non sollevare il capo, inorridendo alla vista della luna appena sorta, piena e luminosa come non mai. Le parole di Oozaru avevano acquisito un senso del tutto diverso, ormai.
Ma, improvvisamente, l’agonizzante Gohan gli aveva afferrato con forza il braccio, stringendolo come non mai, e per l’ennesima volta, la visione aveva avuto luogo.
Ruggiti, code, luna piena, il castello, gli dei, Chichi, Bulma, Trunks e Goku.
Adesso, Vegeta, aveva finalmente capito.
“Ehi, ragazzino. Vedi di piantarla” – aveva decretato, perentorio – “Non avrai intenzione di far morire tuo fratello, non è vero?”.
Goten aveva smesso di piangere, tirando su col naso. Certo che non voleva far morire Gohan! Ma Oozaru era imbattibile e aveva un qualche asso nella manica, ormai ne era certo. Aveva provato a fronteggiarlo ma non ci era riuscito. Cosa potevano fare, ancora?
“Prendi Gohan e vattene. Devo restare solo con lui”.
“Ma, Vegeta… Così ti ucciderà”.
Il re dei saiyan aveva sorriso, mesto, mentre nascondeva qualcosa nella tasca dei pantaloni della tuta senza farsi notare.
“Dimmi, Goten, se avessi perso anche tua madre e Gohan, cosa faresti?”.
“Non dire queste cose… NON CI VOGLIO PENSARE!”.
“Sei un bravo bambino, in fondo… Ma ci sono cose che non puoi ancora comprendere” – si era alzato in piedi, fiero e conscio di star galoppando verso la morte – “Io non ho più nulla da perdere. Ma tu sì. Vai, salvati. Salva tutti loro. E non guardarti mai indietro”.
“Vegeta…”.
“Kaharot dovrebbe essere fiero di avere dei figli come voi”.
E, prima che Goten potesse aggiungere altro, si era trasformato e aveva attaccato Oozaru.
Per l’ennesima volta, Vegeta aveva deciso di agire da solo.

Continua…


Eccomi qui, in perfetto orario! XD
Come avrete notato, la storia non si è conclusa neanche in questo “capitolo di passaggio”, che ha aperto la strada a svariati scenari. Cosa avrà mai voluto dire Bulma rispetto a ciò che si trova nel castello?
E Vegeta? Cosa vorrà fare dopo aver visto quello che ha visto? Lo scopriremo molto presto. Per ora, non mi resta che salutarvi.
Un bacino!
A presto!
Cleo

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Capitolo 52
*** Il valore del sacrificio ***


CAPITOLO 52

Il valore del sacrificio

Il teletrasporto era stata la tecnica più utile che aveva appreso in quel suo interminabile peregrinare nei meandri della Galassia avvenuto letteralmente in un’altra vita, e Goku sapeva usarlo egregiamente.
Aveva preso il figlio e la moglie del suo re fra le braccia, dicendo loro di reggersi forte, si era concentrato, ed era partito, consapevole che all’atterraggio i suoi ospiti sarebbero stati lievemente scossi.
Trunks era incredibilmente impressionato. Se fossero riusciti a ritornare in vita, avrebbe sicuramente chiesto al padre del suo migliore amico di insegnargli quel trucchetto favoloso. In quel modo, sarebbe riuscito a venir meno a ogni punizione ovviamente immeritata che potesse essergli inflitta.
In meno di un baleno, era giunti a destinazione. Peccato che, come era solito per il Son, avessero interrotto un momento di cruciale importanza.
“GOKU! MA CHE MODI SONO!”.
“URCA! Mi scusi re Kaioh, non volevo schiacciarla!”.
Imbarazzato, il Son si era messo in piedi, inchinandosi più volte davanti al suo maestro in segno di scusa. Re Kaioh era paonazzo. Se ne avesse avuto le capacità, lo avrebbe ucciso seduta stante. Possibile che quel ragazzo non conoscesse minimamente le buone maniere? Non si piombava in quel modo nel bel mezzo di un’importantissima Assemblea Celeste! Oh, ma gliel’avrebbe fatta pagare… Lo avrebbe tenuto a pane e acqua e…
“Ma tu sei… MA TU SEI MORTO!” – aveva esclamato improvvisamente, non curante degli sguardi perplessi rivolti a lui dai partecipanti a quella riunione più che mai straordinaria.
“Eh eh eh… Volevo arrivarci per gradi, re Kaioh, ma lei mi ha preceduto! Sì, sono morto… Di nuovo, e… EHI! MA CHE COSA CI FA LUI QUI?”.
La domanda era più che lecita, e aveva lasciato tutti col fiato sospeso. Toccava a re Kaioh, rispondere a quel quesito, proprio come era stato da poco stabilito se mai si fosse presentata l’eventualità. Nonostante la precarietà della situazione, sarebbe stato divertente sapere cosa avrebbe raccontato a un saiyan – e non a uno qualsiasi – decisamente forte e pericoloso.
“Emmm… Forse, sarebbe un bene che tu ti sedessi, Goku… Oh! Ma ci sono anche Trunks e Bulma! Non li avevo notati per niente… Eh, eh, eh” – stava tergiversando. E, per tergiversare, stava facendo anche una pessima figura davanti ai suoi colleghi e superiori. Se avesse potuto, sarebbe sparito seduta stante.
Ma Goku non era più in grado di udire le sue parole. Senza pensarci due volte, quasi fosse in preda a uno spirito demoniaco, era partito all’attacco, cercando di colpire chi, suo malgrado, aveva lo stesso identico aspetto di suo figlio Gohan.
“Maledetto! È TUTTA COLPA TUA!”.
Erano identici. Una somiglianza impressionante. Ma Goku non era stato ingannato neanche per un secondo. Quel mostro schifoso non era suo figlio e non lo sarebbe mai stato. Quello era Vickas, e lui lo avrebbe riconosciuto tra mille.
“NO! FIGLIOLO, FERMATI!”.
Ma prima ancora che l’ordine di re Kaioh giungesse alle sue orecchie, Goku aveva fatto la più triste delle scoperte, e l’aveva fatta nell’istante in cui il suo gancio destro, invece di andare a segno, aveva trapassato il corpo del nemico, seguito poco dopo dal resto della sua evanescente figura.
Il silenzio tutt’attorno aveva in sé qualcosa di spettrale. Le divinità sembravano essersi pietrificate. Non un solo suono, non un piccolo, impercettibile respiro era stato emesso. Tutti, dal più saggio al più stolto, dal più anziano al più giovane, dal più forte al più debole, attendevano il seguito di quella improbabile vicenda. Tutti, aspettavano di sapere che reazione avrebbe avuto Son Goku nell’apprendere che, ormai, era fatto solo di spirito.
“Non male, Kaharot…” – lo aveva schernito Vickas – “Davvero non male!”.
“Io… Non capisco… Io…” – si guardava le mani, Goku, più incredulo che mai. Non era stato in grado neanche di udire le parole di scherno di Vickas, tanto grande era il suo disappunto.
“Sei sempre il solito cocciuto!” – lo aveva redarguito Kaioshin il Sommo, scattato improvvisamente in piedi nonostante la sua veneranda età – “Sei morto, Goku! Sei fatto solo di spirito! Come pretendevi di poter attaccare il nostro ospite?”.
“O-ospite?”.
“Sì! Vickas è nostro ospite! Dopo aver compiuto quel gesto estremo, sacrificandosi per il bene comune, ci ha raggiunti e ci ha elegantemente offerto il suo aiuto per fermare Oozaru. Dovresti prendere esempio dai suoi modi raffinati e gentili!”.
Non era vero. Non poteva essere vera neanche una parola pronunciata da quel simpatico nonnetto. Doveva soffrire di una di quelle malattie da anziani, non c’erano alternative. Una di quelle cose tipo… Tipo… Tipo la degenza senile* (a Goku sembrava si dicesse proprio così. Che poi, cosa avessero a che fare i seni con la degenza non era mai stato in grado di capirlo).
E poi, perché Vickas aveva conservato il suo corpo e lui no? Perché gli avevano fatto un simile affronto?
Bulma aveva stretto Trunks a sé con tutta la forza a sua disposizione. Non odiava Vickas. Quella sua forma non ne sarebbe stata in grado, ma non voleva che si avvicinasse in qualche modo al suo bambino. Avevano patito sin troppe sofferenze a causa sua. Non avrebbe sopportato altro.
“Ora, se possiamo riprendere la riunione mettendo da parte vecchie questione ve ne sarei immensamente grato!” – aveva concluso, tornando a sedersi – “A MAGGIOR RAGIONE ORA CHE HAI DECISO DI PASSARE A MIGLIOR VITA! CIELO! Quel pover’uomo di Vegeta fa proprio bene a darti dello zuccone!” – aveva aggiunto, balzando nuovamente in piedi.
I rimproveri di Kaioshin il Sommo avevano in sé qualcosa di estremamente divertente, date le circostanze. Ma le sue sagge parole erano state in grado di richiamare tutti all’ordine, nella speranza che potessero fare il punto della situazione e trovare una soluzione a quella drammatica vicenda, soprattutto ora che avevano appreso della dipartita del Son.
Vickas era rimasto nella stessa identica posizione di prima, incurante della sciocca reazione di Goku. Il suo interesse era tutto rivolto agli spiriti della donna e del bambino che si trovavano di fronte a lui. Dei del cielo, quanto era bella e nobile Bulma. Pensare che era stato lui la causa di ogni sua sofferenza… E quel bambino? Quel povero, piccolo bambino, era stato costretto a sacrificarsi per accogliere in sé una creatura che aveva reso tutti schiavi, e ciò era successo solo per colpa sua, perché voleva essere libero, perché era stato egoista.
Non meritava di stare lì. Non meritava di vedere il Paradiso. Ma quel suo ultimo gesto, quel suo sacrificio perpetrato in favore di Gohan e Vegeta, lo aveva redento da ogni peccato, concedendogli di accedere al Regno dei Cieli in direttissima, e nella sua forma migliore.
Sì, lui era lì per aiutare, nonostante qualcuno non nutrisse fiducia nei suoi riguardi. Era lì per aiutare e lo avrebbe fatto a ogni costo, anche mettendo a repentaglio la sua stessa salvezza.
“Sta per trasformarsi” – aveva asserito, improvvisamente, girandosi verso un Goku ancora sotto shock – “Si trasformerà e a quel punto sarà impossibile fermarlo. Distruggerà la Terra e verrà qui, prendendo le vite degli dei e tutto ciò che più gli aggrada. Oozaru è un mostro, e deve essere fermato. Deve essere fermato subito”.
“E lo dici… Lo dici così?” – Goku aveva stretto i pugni, chinando il capo in avanti nella speranza di nascondere il furore crescente – “Davvero pensi di cavartela in questo modo?” – non riusciva a sopportarlo. Se avesse potuto, lo avrebbe ucciso all’istante. Ma era impotente. Impotente e inutile. E questo non sarebbe mai stato in grado di accettarlo – “Sei un bugiardo”.
Stava per rispondere, Vickas. Stava per rispondere e dirgli che si aspettava quella reazione da parte sua quando era stato interrotto dall’ultima persona che pensava sarebbe intervenuta, e che, invece, aveva di nuovo sorpreso tutti con il suo immenso, spropositato coraggio.
“No, Goku. Dice il vero. Io… Io l’ho visto” – la voce di Bulma era titubante, ma nessuno le avrebbe impedito di dire la verità – “Oozaru è un mostro. La situazione sta per peggiorare. Dobbiamo arrivare al castello per aiutare Vegeta a batterlo. Solo questo, conta”.
Nonostante faticasse ad ammetterlo, Bulma aveva ragione. Non potevano esserci divergenze, non potevano esserci rancori. Goku si era girato, guardando prima lei, in quei suoi intensi occhi blu, poi il piccolo Trunks, che le somigliava così tanto. Aveva fatto una panoramica dell’Assemblea Celeste e alla fine si era soffermato su di lui, il nemico che aveva deciso di aiutarli.
“Se Bulma si fida, dopo tutto quello che le hai fatto… Se gli dei ti hanno concesso di stare qui, chi sono io per dubitare?” – stava tremando. Eppure, non aveva alternative – “Ti ascolterò… Ma giurami che tutto ciò che dirai sarà vero”.
“Sul mio onore. Hai la mia parola di saiyan”.
Sul suo onore saiyan. Vickas, proprio come Vegeta, come l’amico che si stava battendo con ardore contro Oozaru, aveva giurato sul suo onore saiyan. A quel punto, non c’erano più dubbi. Goku aveva capito che si sarebbe finalmente potuto fidare di lui.

 
*

“Ma cosa c’è di così importante nel castello, figliola?” – Kaioshin il Superiore era stato il terzo a prendere la parola, rivolgendosi direttamente a Bulma dopo che gli dei avevano concesso a lei, a Trunks e a Goku di prendere posto tra di loro.
“È complicato, Kaioshin… Non saprei come spiegarlo”.
“Non vuoi neanche provarci?”.
“Devo. Ma non sarà facile… I ricordi sono dolorosi e difficili da mettere a fuoco”.
Una breve pausa aveva seguito quell’affermazione. Il tempo stringeva, ma forzarla non avrebbe avuto senso.
“Forse, Vickas potrebbe spiegarlo meglio, Signori…”.
“Potrei. Ma non lo farò. Non è cattiveria, ma è necessario che tu non sia influenzata da nessun dettaglio esterno nel tuo racconto. Sappiamo che la tua amica Chichi e un esiguo gruppo di terrestri si stanno dirigendo presso la fortezza di Oozaru su tuo invito. Non vuoi dirci perché?”.
“Perché ho visto che lì c’è una cosa… Una specie… Una specie di porta… E va aperta. Solo così potremo aiutare mio marito a batterlo”.
Una porta. Bulma voleva che aprissero una porta.
“Capisco…” – Vickas aveva chinato il capo, portando entrambe le braccia dietro la schiena, come fanno gli anziani mentre camminano.
“Io no” – aveva ammesso Goku, dando voce ai pensieri di molti dei presenti – “Cosa c’entra la porta?”.
“Ma non vorrai… Non vorrai davvero… STAI PARLANDO DI QUELLA PORTA?” – re Kaioh sembrava sul punto di farsi venire un infarto. Alle sue parole, il vociare nella sala era diventato assordante.
Goku si sentiva un idiota: Vickas aveva capito, re Kaioh e gli altri avevano capito, anche Trunks aveva capito. Solo lui, come al solito, continuava a vagare nel buio dell’ignoranza.
“URCA! QUALCUNO MI SPIEGHI!”.
“Lo faremo!” – aveva asserito quello che aveva tutta l’aria di essere un Kaioshin. Goku non l’aveva mai visto, ma a giudicare dal suo aspetto atletico e dal suo sguardo penetrante, doveva essere veramente molto forte e sicuro di sé – “Faremo tutto quello che serve. Ha ragione, lady Bulma… La porta va aperta. E va aperta ora”.
“Sì… è tempo che ci assumiamo le nostre responsabilità” – aveva detto un altro, più basso e tarchiato, con una lunga barba rossa – “Ora o mai più”.
“Siamo in superiorità numerica… Possiamo farcela”.
“Prima che lui si trasformi, interverremo”.
Il vociare era diventato incontenibile. Decine e decine di voci di Kaioshin e re Kaioh che si accalcavano, sovrapponevano… Era una bolgia, non il Paradiso!
“MA INSOMMA! QUALCUNO MI SPIEGA COSA STA SUCCEDENDO?”.
“Lo farò, io, se me lo concedi” – aveva preso la parola Vickas, facendo in modo di ristabilire l’ordine – “Bulma ha visto cosa c’è nel castello. Ha visto la porta, e vuole che la apriamo”.
“Ma quale porta?”.
“Quella che è stata sigillata millenni orsono, Kaharot, quando gli dei hanno compreso quanto pericoloso fosse Oozaru” – aveva preso fiato – “È nel castello, guerriero. Chiusa, sbarrata da tempo immemore. E Bulma vuole che venga aperta per far cadere Oozaru nello stesso istante in cui crederà di aver vinto. Forse, se uniamo le forze, potremmo avere una possibilità”.

 
*

Volevano ristabilire il collegamento. La porta non era altro che il portale, il passaggio che aveva consentito a Oozaru di viaggiare tra il mondo delle divinità e quello dei viventi dopo che i sacerdoti saiyan, tratti in inganno, avevano sacrificato le loro vite per donargli la libertà. Quello era il luogo definitivo, il limbo in cui doveva marcire, in cui, se possibile, doveva coglierlo la morte, se mai essa avrebbe deciso di fargli visita.
“Quando mi sono reso conto di quello che era realmente accaduto, di quanto lui fosse diventato pericoloso e tremendamente vicino all’uomo, era ormai troppo tardi: i sacerdoti, riunitisi di notte sotto una luna piena e grande come mai prima allora, avevano sacrificato le loro vite, concedendogli di mettere piede nel nostro mondo in forma concreta, con la promessa di rinascere sotto forma di semi-dei e di poterlo così governare al suo fianco”.
Erano state esattamente quelle le parole usate da Vickas per raccontare loro la verità. Ma allora, se gli dei avevano una soluzione, perché non l’avevano messa in pratica sin dall’inizio? Cosa li aveva fermati?
Poi, improvvisamente, Goku aveva capito e il disgusto lo aveva assalito, facendolo rabbrividire.
“Dovete sacrificarvi…” – aveva detto – “Dovete sacrificarvi per aprire il portale, non è così? Avete lasciato che migliaia di persone morissero perché non volevate sacrificare le vostre vite! NON HO RAGIONE, RE KAIOH?”.
“Go-Goku…”.
“Mio Dio… È davvero così… Non posso credere alle mie orecchie… Non posso… NON CE LA FACCIO!”.
“Fermati” – sarebbe andato via se Vickas non lo avesse fermato – “Non è il momento di reagire in questo modo, Kaharot”.
“Lasciami in pace!”.
“No. Vuoi vincere, Goku? Vuoi che la pace continui a regnare o vuoi scappare?”.
“Scappare? IO?”.
“Sì. Tu. Ci stai voltando le spalle. Stai voltando le spalle a loro, Goku. A Vegeta, a Chichi, a Gohan. Lo sai che è stato ferito a morte, Goku? Lo sai che Vegeta sta morendo?”.
“Cosa?” – Bulma era caduta in ginocchio dallo shock.
“Papà non sta morendo! Non è vero!”.
“Lo ha attaccato. Lo ha attaccato credendo di poterlo rinchiudere nel medaglione da solo. Pensavi di essere tu la vittima sacrificale, ma non è stato così. Ricordi cosa ti ho raccontato sul medaglione? Che sono stati gli dei a permettermi di forgiarlo sacrificando le loro vite affinché ciò avvenisse? Bene, il medaglione non è niente a confronto del portale. Il sacrificio richiesto per aprirlo e sigillarlo di nuovo sarà immenso e comporterà la perdita di molte esistenze divine. Ricordi, Kaharot? Serviva il sangue del primo e dell’ultimo tra i saiyan. Vegeta, ora è questo. L’unico guerriero di razza pura rimasto ancora in vita. E la sua vita sarà determinante in questa battaglia impari. Tra di voi stava avvenendo una cosa simile alla fusione. Lui prendeva potere da te, lo sai bene. Ma ora è solo. E lui incarna tutto ciò che serve per fermarlo. Vegeta è la chiave di tutto. La nostra ultima speranza. E sta morendo”.
“Come puoi dirmi certe cose? Come puoi dirle a loro?” – e aveva indicato Bulma e Trunks – “Sei un mostro”.
“Non lo siamo, tutti, Goku?” – era stato Kaioshin il Sommo a intervenire, posandogli una mano ossuta sulla spalla – “Mi dispiace averti deluso. E parlo a nome di tutti. Ci siamo comportati da codardi. Siamo venuti meno ai nostri compiti. Ma ora… Ora sappiamo cosa bisogna fare. E lo faremo. Non è vero?”.
Un coro di sì era cresciuto mano a mano, rincuorando almeno in parte il giovane Goku.
“È deciso, allora. Chichi ci aiuterà”.
“Però… Non ho ancora capito cosa deve fare”.
“Dovrà guidarci verso la porta, Kaharot. Tua moglie è speciale. Ha delle doti che ho visto solo in pochissime donne nell’arco della mia lunghissima esistenza” – aveva osservato Bulma, sorridendo sotto i baffi – “Lei saprà trovare la porta e condurre Vegeta presso di essa. Avrai notato la loro crescente affinità, no?”.
L’aveva notata. L’aveva notata eccome.
“Sono in connessione, in un modo tutto loro e del tutto fuori dal comune. E questa empatia non è che un vantaggio. Aiuterà Vegeta a resistere sino all’ultimo. Ma solo se riusciamo a impedire che muoia. A quel punto, non potremo fare più niente”.
“Noi siamo con te”.
“URCA! DENDE! CAPO DEI SAGGI! CI SIETE TUTTI!” – erano spuntati dal nulla. Ma Goku non avrebbe potuto esserne più felice.
“Sì, Goku, ci siamo tutti. E siamo pronti ad aiutarvi in ogni modo” – e aveva mostrato al saiyan la sfera con sopra le quattro stelle – “Fermiamo Oozaru. Lo fermiamo tutti insieme”.

Continua…


Eccomi qui!
In perfetto orario! Ho smesso di studiare solo per voi! E ora devo riprendere, purtroppo.
Che ne pensate del capitolo? Di Vickas? Degli dei? Della connessione Chichi/Vegeta?
SINCERE/I!
Spero non faccia troppo schifo. XD
Che altro posso dirvi? Non molto, purtroppo. Devo per forza tornare sui libri e augurarvi buon fine settimana (e mi raccomando, copritevi!), ma non prima di avervi ringraziato per la pazienza e per le splendide parole che dedicate a questo mio scritto.
Vi adoro!
A presto!
Un bacino
Cleo
*”Goku è un imbecille”. Cit.: Vegeta.

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Capitolo 53
*** Oozaru ***


 
CAPITOLO 53

Oozaru


 
La battaglia infuriava senza sosta. I guerrieri avevano continuato a scontrarsi con un desiderio di vittoria addosso che poche volte era stato palesato con tanta insistenza.
Indifferentemente a quale fazione appartenessero, i combattenti volevano ottenere disperatamente la coppa della vittoria, innalzarla sul proprio capo e dire così al mondo che ce l’avevano fatta, che si erano disfatti del nemico, seppur esso avesse le sembianze di chi avevano chiamato per tanto tempo in modo del tutto opposto.
Solo Junior, dopo essersi accorto del ferimento di Gohan, aveva provato a soccorrerlo, ma inutilmente. Il suo avversario gli aveva impedito di mettere in atto quel nobile proposito, ricordandogli quale fosse la sua priorità.
La notte stava calando sempre più in fretta. Il nemico sarebbe diventato sempre più potente e loro… Loro avrebbero rischiato di essere sconfitti senza neanche aver provato ad aiutare Vegeta, senza neanche aver potuto pensare di fermare Oozaru. Per questo, aveva lasciato che fosse Goten a occuparsi del suo protetto. Per una volta, avrebbe dovuto lasciare che i saiyan se la sbrigassero da soli.
“SCONFIGGIAMO QUESTI MOSTRI!” – aveva urlato, incitando i suoi amici, i suoi veri amici, a battersi con tutto l’ardore di cui disponevano.
Non avrebbe permesso che la luna, piena e grande più che mai, facesse risplendere d’argento il sangue di poveri innocenti. Non avrebbe permesso che Oozaru vincesse quella guerra.

 
*
 
Vegeta lo aveva attaccato senza pensarci due volte.
Aveva raccolto le poche energie rimaste a sua disposizione e aveva caricato contro il nemico come una furia, sperando che il suo piano riuscisse.
Era stanco. Stanco e provato. Eppure, ancora una volta, aveva trovato la forza di reagire, facendo leva sul suo immenso orgoglio saiyan e sul desiderio di fare giustizia. Lontani, lontanissimi erano i tempi in cui quel principe di bassa statura e dai capelli striati di rosso andava in giro per la galassia seminando panico e terrore, distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino pur di ottenere vendetta. Vendetta per essere stato venduto da suo padre a quel verme che rispondeva al nome di Lord Freezer. Vendetta per non essere stato in grado di ribellarsi. Vendetta per non essere stato qualcosa di più se non un infante tra le mani di adulti che lo avevano ridotto a merce di scambio, facendolo sentire una nullità.
Quel principe-bambino non esisteva più. Al suo posto vi era un uomo, un padre, un marito e, suo malgrado, un re. Un re che aveva deciso di sconfiggere il nemico a costo della sua stessa vita.
“Gohan… Goten… Non siete rimasti che voi”.
I pensieri di Vegeta erano più lucidi che mai mentre montava alla carica del nemico.
“Toccherà a voi portare avanti la nostra stirpe. Toccherà a voi proteggere chi amiamo. Io vi guarderò e impedirò a ogni costo che lui possa tornare. Veglierò sempre su di voi e su vostra madre. Farò quello che non sono stato in grado di fare per la mia famiglia. Lo giuro sul mio onore”.
Era come se tutto fosse diventato improvvisamente chiaro, di facile lettura, di possibile risoluzione. Gohan, il figlio maggiore del suo eterno rivale, di quello zuccone che rispondeva al nome di Kaharot, gli aveva mostrato ogni cosa. Vickas non era stato del tutto inutile, alla fine dei conti. Quel gran farabutto aveva pensato a ogni cosa. E Vegeta non aveva potuto fare a meno di sorridere, pensando a ciò. Vegeta non aveva potuto fare a meno di sorridere nonostante stesse andando incontro al suo destino, nonostante stesse sfidando la morte in persona.
“È la tua fine, Vickas… La tua fine”.
Si era trasformato in super saiyan, stringendo con più forza quello che nascondeva in mano, quasi volesse trarvi coraggio. E presto, avrebbe dovuto farlo per davvero, per quanto tutto quello fosse a dir poco incredibile.
“Bulma, Trunks: scusate se non potrò tornare da voi”.

 
*

La decisione era stata presa. Gli dei avevano deciso di fare la loro mossa. Alla fine, dopo tutto quel tempo, avevano trovato il coraggio che pensavano di non avere. Alla fine, avevano deciso di immolarsi per la salvezza dell’intero universo.
E, ancora una volta, era stato un saiyan a farglielo capire. Un vile, rozzo essere votato alla guerra, un essere appartenente a una razza maledetta dalle bramosie di un dio, aveva fatto capire alle massime autorità celesti che la vita non ha alcun valore se non si è disposti a sacrificarla per un bene superiore, se non si è disposti a cederla per chi si è giurato di proteggere.
Vegeta aveva avuto ragione. Il re dei saiyan non aveva peli sulla lingua: aveva detto loro senza mezzi termini tutto quello che pensava e aveva dimostrato con le più sconsiderate azioni quanto potesse essere grande il desiderio di un uomo di proteggere coloro che ama.
Quel piccolo essere dai capelli a fiamma, quell’individuo che tutti consideravano di pietra aveva sciolto con il suo coraggio e con il suo amore i cuori di ghiaccio degli stessi dei, spingendoli a compiere il gesto più estremo.
Sì: era giunto il momento di fermare Oozaru.
Per troppo tempo lo avevano temuto. Impaurite, decimate dopo averlo imprigionato, le divinità superstiti avevano fatto di tutto per poter dimenticare quella triste parentesi della loro millenaria storia. Col tempo, divinità nuove avevano sostituito le precedenti, ma la ferita non si era mai del tutto rimarginata.
Come avesse fatto a diventare così forte, così pericoloso, non erano mai riusciti a comprenderlo pienamente. Non poteva essere dovuto solo ai sacrifici che venivano fatti in suo onore. Non era solo per quello che faceva egli stesso e per quello che i suoi accoliti facevano per lui. Motivo per cui, per tanto, tantissimo tempo, alcuni Kaioshin avevano creduto che, in verità, dietro la maschera di Oozaru si celasse quella di un dio diverso dai soliti con cui si aveva a che fare, un dio di cui, in parte per rispetto, maggiormente per timore, non si osava neanche pronunciare il rango.
Kaioshin il Sommo pensava proprio a questo mentre, dall’alto del suo scranno, osservava con occhi incuriositi Goku e quella sorta di alter-ego di suo figlio, quel saiyan millenario chiamato Vickas. Se Oozaru fosse stato davvero chi temeva che fosse, imprigionarlo sarebbe servito a ben poco. Prima o poi, qualcuno avrebbe rotto nuovamente il sigillo e forse, a quel punto, gli dei sarebbero stati in numero ancora più esiguo per poterlo rinchiudere di nuovo. E poi, Vickas poteva aver ragione su tante cose, ma ne aveva dimenticata una di fondamentale importanza. C’erano la vittima sacrificale, il veggente e gli dei, c’era il re e presto ci sarebbe stato il varco aperto. Ma chi avrebbe dovuto portare sulle proprie spalle il peso di dover vegliare sulla dimora di Oozaru? Chi sarebbe stato il guardiano? Chi, tra i presenti, avrebbe accettato di sacrificare la sua stessa esistenza per impedire che un mostro del genere venisse nuovamente liberato?
Non era semplice giocare il ruolo del guardiano. Vickas ne era stato la prova più evidente. Aveva visto morire tutte le persone a cui si era affezionato. Era stato costretto a fuggire di pianeta in pianeta. Aveva visto il suo corpo cambiare sino a non riconoscere più la propria immagine riflessa nello specchio. E, alla fine, aveva ceduto. Alla fine, Vickas aveva permesso a Oozaru di liberarsi. La prigionia sarebbe stata la pena che avrebbero dovuto scontare sia il condannato che il carceriere. E Kaioshin il Sommo temeva di conoscere quale sarebbe stato l’epilogo di quella nuova carcerazione, ammesso di aver trovato chi fosse disposto a rivestire il ruolo di guardiano.
Aveva serrato le palpebre con veemenza, cercando di indirizzare i pensieri verso mete più positive. Cielo, lui sapeva benissimo che la risposta era dietro l’angolo, ma si rifiutava di accettarla! Questo perché non credeva che Vegeta potesse veramente farcela a battere Oozaru. La sua mancanza di fiducia nei confronti del re dei saiyan era dovuta a un solo fattore che, seppur apparentemente sciocco, era determinante. Vegeta era sfinito. Tutti loro avevano percepito le sue reali condizioni. Come avrebbe potuto avere abbastanza forza per sconfiggere quel mostro? O meglio, come avrebbe potuto avere abbastanza energia per poter attendere che il sacrificio rituale fosse giunto a termine? Erano troppe le mosse da mettere in atto: Chichi doveva essere contattata e messa al corrente della situazione, avrebbe dovuto trovare il portale, attendere l’arrivo degli dei e dei contendenti… No… Vegeta non avrebbe mai resistito. Ma era lui la chiave, dannazione! Cosa avrebbero potuto fare per aiutarlo a guadagnare tempo? COSA?
Era così perso nel suo ragionamento da non essersi accorto che i penetranti occhi scuri di Vickas lo stessero scrutando sin dentro l’animo.
“Abbiate fede, oh Sommo Kaioshin…” – gli aveva detto, sorridendo – “C’è pur sempre la mia mano, dietro a tutto questo”.
“GUARDATE!” – aveva esclamato improvvisamente re Kaioh dell’Est, invitando i presenti a concentrarsi sull’enorme sfera che mostrava loro la battaglia in corso sulla Terra.
Bulma, Trunks e Goku erano in prima fila, col cuore in gola e un grido di terrore morto sulle loro labbra.
“Oh… Amore mio…” – il cuore della turchina stava andando in frantumi. Non avrebbe resistito un secondo di più nel vedere suo marito immolarsi senza possibilità di andare in suo soccorso.
“È ora, mia dolce Bulma…” – Vickas le si era avvicinata e le aveva teso la mano, invitandola a sfiorarla.
La donna aveva esitato, guardando prima l’immagine di suo marito e poi il viso del giovane con cui aveva vissuto mille avventure, e aveva capito. Era sempre stata perspicace, la bella scienziata dai capelli turchini. Ora, però, non ci sarebbero state le sue attrezzature tecnologiche a giungere in soccorso dei suoi cari. Ora, ci sarebbero state solo le sue parole, le sue preghiere che, con un aiuto un po’ speciale e decisamente inaspettato, sarebbero giunte sin dentro al cuore dell’unica che avrebbe potuto aiutare il suo amato a sistemare le cose, anche se questo avrebbe significato non rivederlo mai più.
Così, con il cuore in subbuglio e le lacrime agli occhi, Bulma aveva afferrato la mano di Vickas, ingoiando rumorosamente il nodo che le si era formato in gola.
“Mamma…” – Trunks, seppur così piccolo, seppur così innocente, aveva capito ogni cosa senza porre alcuna domanda – “Non voglio rinunciare a lui”.
“Lo so, tesoro mio… Non lo vorrei neanche io ma…” – le lacrime avevano iniziato a scendere copiose su quel volto stremato eppure così bello – “È giusto che papà faccia ciò che deve”.
Ma Bulma aveva mentito. No. Non era giusto. L’errore era stato suo, suo e di Vickas. Avrebbero dovuto pagare loro due le conseguenze di quelle sciagurate azioni. Loro e solo loro. Non Trunks, non Goku, non Chichi, non il suo Vegeta. Non un uomo buono che aveva chiamato mostro, che aveva accusato ingiustamente di averla privata di suo figlio e della sua felicità. Vegeta non avrebbe dovuto sacrificare la sua vita per loro. Non di nuovo.
Goku aveva stretto talmente forte i pugni da ferirsi entrambi i palmi delle mani. Era impotente di fronte alla crudeltà del nemico. Era impotente di fronte alla stanchezza di Vegeta, di fronte alla sofferenza dei suoi figli e alla disperazione dei suoi amici che, nobili e fieri, si stavano battendo a costo delle loro stesse vite. Il destino aveva voluto che lui fosse messo in un angolo, quella volta. Si era beffato di lui, rendendolo spettatore di un massacro, di un sacrificio che sarebbe stato inutile se gli dei non si fossero sbrigati a svelare il proprio potere.
Si sentiva tradito. Da re Kaioh, dai Kaioshin, da tutti. Paradossalmente, sino a quel momento, l’unico che era stato del tutto sincero con loro era stato proprio lui, Vickas, che ora stringeva la mano della povera Bulma. Vickas… Così simile a Gohan, così nobile da aver guadagnato un posto in Paradiso, così potente da poter entrare in contatto con uno spirito… Perché, se così non fosse stato, come avrebbe fatto a sfiorare la mano di Bulma? Certo, anche lui l’aveva fatto, ma era fatto a sua volta di spirito, anche se… Sì, anche se.
“Urca! Ma io sono caduto addosso a re Kaioh quando sono piombato qui!”.
“Mmm?” – era stato proprio il re chiamato in causa a mugugnare nella sua direzione, rivolgendogli uno sguardo di totale disappunto – “Figliolo, ma ti sembra questo il momento adatto per…”.
“NO, RE KAIOH, LEI NON CAPISCE! IO POSSO TOCCARE CHI HO DI FRONTE ANCHE SE SONO FATTO DI SOLO SPIRITO! Devo dire che non ho capito come faccio ma… MA POSSO FARLO!”.
“Goku… Io non ti seguo” – Bulma era molto confusa.
“Tu no. Ma lui sì. Non è vero, Vickas?”.
Dal canto suo, il saiyan identico a suo figlio aveva risposto con un’alzata di spalle.
“Mi chiedevo quanto tempo ci avresti impiegato a capirlo”.
Si erano guardati in silenzio per un periodo che era parso lunghissimo. Iridi nere che si specchiavano in altre iridi nere, labbra serrate a cui corrispondevano altre piegate in un enigmatico sorriso.
“Il tuo momento non è ancora arrivato, Goku. Ora, se vuoi scusarmi, devo aiutare questa deliziosa fanciulla a mettersi in contatto con tua moglie. Miei dei, tenetevi pronti. Che lo spettacolo abbia inizio”.

 
*

Era avvenuto tutto in sequenza, come se ci fosse stato un copione da seguire, un percorso prestabilito da cui nessuno avrebbe mai avuto scampo.
Vegeta aveva attaccato Oozaru. Quest’ultimo aveva sorriso, beffardo, e poi aveva osservato il cielo illuminato dalla più splendente luna piena, per poi tornare a fissare gli occhi di Vegeta. Occhi che, nel mentre, avevano cominciato a mutare. Perché il re dei saiyan, approfittando dell’attimo di distrazione di Oozaru, aveva ingerito un dono fattogli da Gohan, atterrando poco dopo sul nemico furente.
E, sotto gli occhi sbalorditi dei presenti, la loro forma era mutata mentre i loro corpi rotolavano sul terreno in parte innevato, in parte brullo, in parte fangoso.
“Ma non è… Dio mio, non è possibile!” – aveva esclamato Crilin.
“PADRONE! MOSTRA LA TUA POTENZA!” – aveva detto Rif.
“VEGETA! MIO DIO! NO!”.
Ma l’invocazione di Yamcha non era servita a niente. Perché Vegeta non era più lì, e non vi era neanche il suo nemico.
Al loro posto, furenti, letali, carichi di rabbia, vi erano due enormi, minacciosi scimmioni.

 
*

“Ve-Vegeta…” – Goten, che stringeva ancora tra le braccia suo fratello, non riusciva a credere ai suoi occhi. Così era quello lo scimmione che tutti chiavano Oozaru, la forma bestiale in cui si trasformavano i sayan muniti di coda durante le notti di luna piena. Ma come poteva essere? O meglio, era facile immaginare come ciò fosse stato possibile per Oozaru, ma per Vegeta? Lui non aveva la coda… Come aveva fatto ad assumere quella forma spaventosa?
La terra attorno a loro stava tremando.
Le bestie che avevano di fronte non avevano più niente di umano. Avevano perduto completamente la ragione, rilasciando solo una potenza inaudita.
Era incredibile come fosse facile distinguere i contendenti nonostante il loro aspetto fosse così diverso. Oozaru era immenso, enorme, aveva il ventre prominente, una lunga coda possente, zanne affilate color dell’avorio, occhi rosso sangue e un pelo nero come una notte senza luna. Di rimando, Vegeta era molto più piccolo, più muscoloso, dal pelo dorato tendente al fulvo e dagli occhi di un colore meno acceso. Eppure, sembrava perfettamente in grado di fronteggiare il nemico. Che fosse quello il modo più adatto per sconfiggerlo?
Ricordava perfettamente le parole di Vickas, ovunque egli fosse.
“Perché so che loro” – e aveva indicato Goku, Vegeta e Trunks – “sono gli unici in grado di sconfiggerlo per sempre”.
Trunks non c’era più. Suo padre non c’era più. Era rimasto solo Vegeta. E lui doveva, DOVEVA batterlo a ogni costo.
“Go-Goten…”.
“FRATELLONE!”.
“Dobbiamo… Dobbiamo andare via”.
Stava bene? Gohan stava bene. Goten avrebbe pianto se la situazione non fosse stata così disperata.
“Certo! Troviamo un riparo e…”.
“Dove credete di andare?” – lei. Ancora una volta, Bulma aveva provato a ostacolarli – “Questo scherzo è opera tua, non è vero? Gli hai dato un frammento di luna, non è così? Come te lo sei procurato? Maledetto…”.
Aveva provato ad attaccarli di nuovo, ma stavolta non c’era riuscita. Stavolta, Gohan aveva alzato un braccio dritto davanti a sé e aveva stretto forte il pugno, costringendola a fermarsi e a urlare dal dolore.
“Fra-fratellone…”.
“Adesso basta. Adesso mi hai stancato! MI AVETE STANCATO TUTTI!”.
Ferito, sanguinante, ma più fiero e più testardo come mai, Gohan si era messo in piedi, compiendo lo stesso identico gesto anche con l’altro braccio. Un lampo improvviso aveva squarciato il cielo, i suoi occhi erano diventati bianchi e la sua aura era aumentata a dismisura mentre, uno a uno, i nemici cadevano al suolo, sconfitti.
“NON SIETE ALTRO CHE MANICHINI” – aveva urlato – “BAMBOLE! ESSERI MALVAGI E SENZA CUORE CHE SEGUONO IL PEGGIORE DEI MOSTRI!”.
“Gohan… SMETTILA!” – Goten era terrorizzato. Non aveva mai visto suo fratello in quello stato prima di allora. Era spaventoso. I nemici, tutti i nemici, si contorcevano al suolo, premendosi con forza il petto con le mani e cercando di resistere al dolore che li stava dilaniando.
“Figliolo…” – Junior, stravolto, si era bloccato a mezz’aria, osservandolo. Sapeva che sarebbe accaduto, sapeva che anche quello era un tassello di quel complicato puzzle, ma non pensava che vederlo con i propri occhi sarebbe stato così sconvolgente. Quello non era più il suo ragazzo. Non era più Gohan. Era molto, molto di più, e sapere che avrebbe potuto perdere la ragione lo aveva fatto tremare, bloccandolo in un’immobilità che non era solita appartenergli.
Crilin, Yamcha, C18 e Muten si erano radunati attorno a lui, sbalorditi a loro volta dallo spettacolo messo in atto dai saiyan più anziani. Il mondo era scosso dalla loro potenza, dai loro ruggiti, dal loro furore. Se avessero continuato così, presto la Terra non sarebbe più stata in grado di sostenere quella furia e sarebbe nuovamente esplosa.
“Dovete raggiungere il castello”.
Junior era trasalito Era la voce di Gohan. Ne era certo, era la voce di Gohan! L’avrebbe riconosciuta tra mille.
“Cosa-cosa hai detto?” – aveva chiesto, provocando negli altri reazioni differenti.
“Raggiungete mia madre al castello. E portate Goten con voi. SUBITO”.
“Junior, ma che ti…”.
“Crilin… Noi… GOTEN!! VIENI QUI!”.
“Ma… Ma io…”.
“Dobbiamo andare al castello. ADESSO”.
Non sapeva come fosse stato possibile, ma il piccolo Son lo aveva sentito nonostante il frastuono assordante e aveva obbedito, guardando per l’ultima volta suo fratello e piangendo in silenzio per essere stato scacciato.
“Non stai fuggendo” – gli aveva detto Gohan, serio – “Tu non fuggirai mai. Ora vai e dimostra a tutti quanto è coraggioso e fiero il più piccolo dei saiyan”.

 
*

L’aveva udita. L’aveva udita con una tale chiarezza da averne avuto timore. Eppure, era lei, non c’erano dubbi. Era Bulma che le stava parlando, che si era rivolta a lei pregandola, supplicandola di aiutare il suo Vegeta.
Ormai non era più solo una sensazione. Era una certezza. Dovevano raggiungere il castello. Dovevano entrare e trovare una porta. Come avrebbero dovuto farlo, lo avrebbero capito strada facendo.
“Dobbiamo trovare una porta” – aveva detto ai suoi straniti compagni di viaggio – “Bulma ha detto che dobbiamo trovare una dannata porta e sarà tutto finito. Troviamola e fermeremo Oozaru” – lo aveva detto dopo essere caduta in una sorta di momentanea trance in cui non aveva percepito nulla all’infuori della presenza dell’amica. Aveva il cuore in gola e le mani sudate ma era certa di quello che aveva udito. La porta era la chiave di tutto e il castello era vicinissimo. L’avrebbe trovata a ogni costo, persino se ciò avesse significato perdere la vita.
“Chichi, è una follia! Non ti riconosco più! Torna in te! TI PREGO!” – Mr. Satan era esasperato. Non credeva a una sola parola pronunciata da quella donna. Per quanto ne sapeva, poteva essere impazzita! O peggio! Poteva essere finita sotto il controllo di Oozaru! Non potevano andare al castello. Non dovevano! Era un errore! Ne era sicuro!
“Papà smettila!”.
“Videl, ma l’hai sentita? Bulma le avrebbe detto di andare al castello! BULMA è morta! E presto lo saremo tutti!”.
“Chichi non racconta bugie! Se dice ciò è perché è la verità! Perché non vuoi crederle?”.
“Perché è una follia, e…”.
“Le porte magiche sono sempre nel luogo segreto” – era stata la vocina della piccola Marron a interrompere quell’inopportuno battibecco – “La mamma mi leggeva sempre una storia su di una principessa che per essere salvata doveva passare dalla porta magica che si trova in un luogo segreto nel castello. Solo che stavolta credo che dovremmo salvare il mio principe. Non è così, zia Chichi?”.
La mora aveva le lacrime agli occhi dalla commozione.
“Oh, tesoro…”.
“Lui è il mio principe. Mi ha salvata. Ha salvato tutti. La trovo io la porta se il papà di Videl non vuole. Non voglio che lui muoia. Non voglio che muoia perché non abbiamo trovato la porta della mia storia”.
L’aveva abbracciata forte, sciogliendosi in un pianto liberatorio.
“Io non voglio che lui muoia…”.
“Nessuno lo vuole, tesoro… Neanche quest’orco di mio padre…” – l’aveva rincuorata Videl, facendo arrossire violentemente Satan.
“E VA BENE! CERCHIAMO QUESTA PORTA! E non sono un orco, io!”.
“Ah no? E cosa sei?”.
“Non si vede, piccola? Indosso anche il mantello! Sono un prode e coraggioso cavaliere!”.
“E dov’è il tuo cavallo?”.
L’innocenza della bimba aveva causato un momento di ilarità in quel turbinio di dolore e di angoscia quando, all’improvviso, un tremore aveva scosso ogni cosa, riecheggiando dal punto più profondo della Terra.
“Che cosa è stato? Ho paura!”.
“No tesoro! Ci siamo noi. Videl, Satan, non c’è più tempo! Vado al castello!”.
“Andremo tutti. Perbacco, non sarò stato in grado di sferrare neanche un pugno, ma non mi si dica che non sono in grado di trovare neanche una porta”.

Continua…


Ciao a tutti!!
Eccomi qui. Con qualche giorno di ritardo, ne sono consapevole, ma ho avuto una brutta febbre mista a raffreddore e tosse che mi ha impedito di pensare lucidamente, e devo dire che questo capitolo è stato piuttosto impegnativo.
Che dire, ragazze mie! Pare che il mistero si infittisca, invece di svelarsi!
Vickas sa molte più cose di quanto vuole farci credere, mi sembra evidente…
E i dubbi di Kaioshin? Cosa pensa realmente di Oozaru? Cosa pensa che sia?
Devo dire che la mossa di Vegeta è stata un’idea che non vedevo l’ora di mettere in atto. Adoro la forma Oozaru. *Tiè, brutto scimmione! Ti facciamo vedere noi saiyan cosa siamo in grado di fare grazie alla tua maledizione!!*
Bene, ciò detto, torno a guardare Versailles… Maledetto Netflix!!
A presto!
Grazie per le recensioni e per essere rimaste ancora qui con me!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 54
*** Il coraggio di un uomo ***


 CAPITOLO 54

Il coraggio di un uomo

 
Si stava battendo con una ferocia mai vista prima di allora, e lo stava facendo davanti a un pubblico ormai decimato, ridotto a pochi uomini stremati da un dolore che non avrebbero mai pensato di poter provare, considerata la totale, cieca fiducia che avevano riposto nella divinità che rispondeva al nome di Oozaru. Avevano giurato di amarlo, lodarlo e servirlo senza alcuna remora, e così avevano fatto. Sarebbero stati pronti a morire per lui, perché egli aveva dato loro una seconda possibilità, perché gli aveva offerto di tornare in una forma forse meno completa, ma decisamente più forte e fiera.
Eppure, il padrone che avevano giurato di servire e che aveva offerto loro la luna stessa, aveva voltato loro le spalle.
Quel saiyan, quel Gohan, aveva fatto loro qualcosa, permettendo così a Junior e a quelle nullità che lo seguivano di scappare come conigli impauriti. Non erano che vili roditori, dei topi di fogna! I terrestri non erano altro che quello. Lo sapeva bene Tenshing, così come lo sapevano Rif e Majin Bu. Ma, adesso i topi di fogna non erano che loro. Ed erano topi di fogna messi in trappola da un padrone di casa – mai lo avrebbero definito cacciatore – dotato di una forza di volontà e di poteri che non avevano mai visto in vita loro.
Quello non era il figlio di Goku. Proprio perché lo conoscevano, perché lo avevano visto crescere, sapevano che poteva davvero trattarsi di lui. Ma se quello non era Gohan, se quella potenza immane non gli apparteneva, chi mai poteva essere quella creatura che aveva le sue sembianze?
Erano questi i quesiti che gli accoliti di Oozaru si stavano ponendo nonostante le sofferenze, nonostante il dolore.
E Tenshing stava pensando anche a un’altra cosa, mentre le sue carni emanavano scosse elettriche e gli occhi sembravano schizzargli via dalle orbite. Trnshing stava pensando a una cosa che lo stava facendo soffrire forse più dello stesso dolore fisico.
Il singolare essere umano munito di tre organi della vista, aveva forse intuito la cosa più atroce di tutte, mentre guardava con occhi ormai vitrei l’infuriare di uno scontro che si preannunciava memorabile: che avevano riposto fiducia nel dio sbagliato. Il loro signore e padrone non avrebbe pensato a nessun’altro all’infuori di se stesso.

 
*
 
Gohan si sentiva invincibile. Mai nella sua vita aveva sentito un simile potere crescere così repentinamente dentro di lui, così come mai avrebbe creduto di poterlo controllare. Adesso capiva, finalmente, cosa volesse Vickas da lui. Adesso capiva come voleva che si comportasse, come voleva che agisse. Ora capiva qual era il suo ruolo in quella vicenda, in che modo avrebbe contribuito a fare la storia.
Avrebbe eliminato i nemici. A qualsiasi costo, avrebbe fatto in modo di porre fine a quelle miserabili, inutili esistenze. Lui era il prescelto, un predestinato, un tassello fondamentale di un puzzle che stava per essere portato a compimento. Quegli esseri che si contorcevano per suo volere non meritavano pietà alcuna. Quelle creature non erano i loro amici. Quelle creature non erano neanche umane. A cominciare da quella femmina che si spacciava per Bulma. No, lei non era chi diceva di essere. Nessuno di loro lo era. Per questo, dovevano sparire.
Non avrebbe avuto ripensamenti, né timori, né remore: lui era Gohan, figlio di Son Goku, il primo super saiyan del loro tempo, ed era erede del potere di Vickas, sacerdote e guardiano del dio Oozaru, nonché umile servo e suddito di un uomo che avrebbe venduto la sua stessa anima pur di sconfiggere il nemico.
“Vegeta… Mio re… Non devi temere. Non sei solo. Io sono qui per servirti. E lo farò a costo della mia stessa vita”.
E lo avrebbe fatto, Gohan: sarebbe morto, se fosse stato necessario. Solo, non lo avrebbe fatto in quel momento. Solo, non lo avrebbe fatto prima di finire ciò che aveva cominciato.
Il cielo si era oscurato per via di fitte nubi cariche di pioggia. Lampi lucenti lo rischiaravano a intervalli regolari e sempre più brevi. E lì, nell’immensità dipinta di oscuro, troneggiava un saiyan mezzosangue ammantato di luce, un saiyan che con un solo, deciso gesto delle mani aveva posto fine alle inutili esistenze di coloro che avevano scelto di servire il male.
“L’HO FATTO PER TE!” – aveva urlato, senza avere ormai più fiato – “ORA, DIMMI COS’ALTRO DEVO FARE”.

 
*
 
“Presto! Dobbiamo fare presto!”.
Chichi non aveva quasi più fiato, ma non avrebbe smesso di incitare i suoi amici neppure se fosse stata in punto di morte.
Dovevano trovare il portale. Dovevano trovarlo, aspettare il segnale e permettere così a Goku e a Vegeta di porre fine a quella vicenda protrattasi sin troppo a lungo.
La mora si odiava per non aver mai voluto apprendere la tecnica del volo. Se lo avesse fatto, avrebbe raggiunto la dimora di quel mostro nella metà del tempo, evitando così i pericoli del bosco e delle guardie. Perché, dal confuso racconto di Goku e degli altri in merito a quel postaccio, le guardie c’erano e svolgevano diligentemente il proprio compito. Come avrebbero fatto ad aggirarle, ancora non lo sapeva. Certo, avrebbero potuto trovare un diversivo, ma quale? Cosa poteva distrarre un esercito pronto a rischiare la vita per difendere la dimora di Oozaru? Aveva visto la ferocia con cui Tenshing e gli altri avevano dichiarato battaglia a suo figlio e al resto della loro squadra… Se avessero dovuto affrontare nemici ben più forti di loro, come avrebbero potuto cavarsela?
Certo, se avesse continuato a pensare a tutte quelle cose, non avrebbe compiuto un altro passo. No. Il suo coraggio e la sua determinazione non potevano venire meno proprio in quel momento. Doveva andare avanti e compiere la missione che le avevano affidato dal cielo. Doveva farlo per sé, per i suoi figli e per le persone che amava.
“Non ti abbandonerò” – aveva pensato, accelerando la sua andatura al punto di aver quasi iniziato a correre – “Conta pure su di me, Vegeta”.

 
*

Goku aveva trattenuto il fiato sino a sentire dolore al petto. Non avrebbe dovuto farlo, ma leggere tra i pensieri di Chichi era la cosa che gli riusciva meglio, in quel frangente, nonostante la distanza, nonostante la sua attuale – seppur non nuova – condizione di defunto. E si era scoperto nuovamente geloso, Goku. Geloso delle attenzioni e dell’affetto che sua moglie nutriva verso il re dei saiyan. Sì, sapeva benissimo che era a dir poco assurdo lasciarsi avvelenare da simili sentimenti in un momento del genere, ma non poteva farci proprio niente. Vickas aveva detto una cosa ben precisa, e le azioni di sua moglie continuavano a far maturare in lui sentimenti avversi.
Il fatto, poi, di non poter scendere direttamente sul campo di battaglia lo stava facendo impazzire di invidia.
Si rendeva conto alla perfezione della pericolosità della situazione. Quello intrapreso da Vegeta era un autentico scontro per la salvezza dell’universo, e il sacrificio che presto avrebbero dovuto compiere gli dei avrebbe dovuto farlo riflettere, ma lui sembrava sostare su un altro livello. Goku, seppur cresciuto, continuava a vivere in funzione della lotta e dell’accrescimento delle proprie capacità. Beninteso, non era così imbecille da non rendersi conto che gli abitanti dell’intera galassia potevano morire per mano di Oozaru, ma il fatto di non potersi misurare con lui, di non potersi battere contro un dio sceso letteralmente in terra, lo stava facendo impazzire. L’animo di colui che chiamavano eroe era attraversato da sentimenti avversi, profondamente contrastanti tra loro, sentimenti di cui si vergognava ma che non riusciva a reprimere.
Non ce l’aveva con qualcuno in particolare. Avrebbe dovuto avercela con Vegeta, forse? O con sua moglie? O con quella specie di clone malvagio di Bulma? No… La sua era una rabbia diversa, un sentimento dettato dall’incapacità di entrare in azione e di sentirsi in qualche maniera utile, determinante, di mostrare quali fossero le sue reali capacità e quanto poteva spingersi oltre nel testarle e potersi così migliorare.
Si sentiva meglio quando faceva da batteria di riserva a Vegeta, se doveva essere sincero. Almeno, era più utile. Almeno, la sua forza serviva a qualcosa.
Ma adesso?
Adesso era lì, nel regno dell’Aldilà, ed era incapace di capire quale fosse il suo ruolo. I palmi delle mani non smettevano di prudere… Se avesse continuato a grattarli, presto avrebbero iniziato a sanguinare.
Odiava sentirsi in quel modo e odiava quei pensieri. Lui voleva solo che sua moglie lo vedesse per quello che era, voleva che il mondo lo vedesse per quello che era: un guerriero. Un lottatore pronto alla battaglia e al sacrificio.
Invece, non gli restava altro da fare se non stare lì e attendere, limitandosi a osservare nel chiarore di quella enorme sfera lo scontro spropositato di due scimmioni dediti ormai alla più sanguinosa delle battaglie.
Se fosse stato lì? Goku non aveva potuto non domandarselo. Se fosse rimasto sulla Terra, adesso Oozaru sarebbe già stato sconfitto? Già… Sconfitto. La cosa che gli quadrava di meno era proprio quella. Vickas aveva detto loro, prima di passare a miglior vita, che avevano le carte in regola per poter battere definitivamente Oozaru, ma ora tutti parlavano di imprigionarlo. Che cosa aveva fatto sì che quello stolto tornasse sui suoi passi? Non credeva più nelle loro capacità? O meglio, in quelle di Vegeta? Non riusciva proprio a smettere di tormentarsi, Goku… E temeva che i suoi quesiti sarebbero rimasti insoluti in eterno.
“Ti vedo inquieto, Son Goku…” – la voce stranamente calma e pacata di Vickas lo aveva fatto trasalire.
Odiava quel suo modo di fare. Così subdolo e tranquillo. Sembrava che lo prendesse costantemente in giro. Che c’era? Pensava che lui fosse troppo idiota per non accorgersi neanche di quello? – “Oh, Son Goku… Non ho mai fatto simili pensieri!”.
“Ma la vuoi smettere di leggermi nel pensiero? Sei scorretto e snervante!” – aveva tuonato.
Dal canto suo, Vickas aveva sorriso, alzando le mani in segno di resa.
“E pensare che si diceva che Vegeta avesse un pessimo carattere”.
“Umpf…” – aveva sbuffato sonoramente il Son, incrociando le braccia al petto. Forse, a furia di frequentare il re dei saiyan, aveva davvero iniziato a somigliargli, dopotutto.
“So che ti fa soffrire stare qui, in disparte” – gli aveva detto, sincero – “Tu sei un guerriero, un soldato, e come tale, hai bisogno di entrare in azione”.
“Urca, che scoperta!” – aveva provato a essere sarcastico, ma non era decisamente il suo forte – “Senti, Vickas, io non ce l’ho con te. O forse sì, un po’ ce l’ho, ma non penso che tu possa biasimarmi!”.
E no, non poteva biasimarlo affatto.
“Vorrei solo capire qual è il mio ruolo in tutta questa faccenda. Perché mi trovo qui? E non rispondermi che sono qui perché sono morto. Non sono così imbecille come pensate tutti” – lo aveva guardato profondamente imbronciato – “Vorrei solo capire qual è il mio posto. E vorrei capire che cosa sai, tu, veramente”.
“Io?”.
“Sì, Vickas, tu. Perché se pensi che io mi beva la storia della porta ti sbagli di grosso”.
Una lunga pausa aveva seguito la pesante affermazione di Goku. Dunque, il saiyan dai capelli palmati non si fidava delle parole del millenario sacerdote. Singolare. Davvero singolare.
“Sei una banderuola, Son Goku. Cambi idea così come cambia il vento”.
“Cosa? Urca, hai davvero il coraggio di dire a me una cosa simile?”.
Gli animi si stavano scaldando oltre ogni immaginazione. Goku era furioso, tratteneva a stento la propria aura. Per la prima volta in vita sua, cominciava a capire cosa volesse dire Vegeta quando affermava di essere assalito dall’istinto omicida.
“Sei stato tu a dire che avremmo potuto sconfiggerlo definitivamente, sacerdote dei miei stivali! Ora ci dici che dobbiamo imprigionarlo e accusi me di essere una banderuola? Ma dico, sei serio?”.
Se avessero continuato così, Goku avrebbe raggiunto livelli di rabbia paragonabili a quelli da lui raggiunti sul pianeta Namecc per colpa di Freezer. E tutti sapevano cos’era successo su Namecc per colpa di Freezer. Esisteva un livello di super saiyan superiore al terzo? Benissimo! Così facendo lo avrebbero scoperto prestissimo!
Vickas aveva assunto un’espressione neutra. Non vi era più alcuna traccia di sorriso sul viso identico a quello del suo Gohan. Cielo, gli faceva così tanta rabbia l’idea che avessero lo stesso, identico aspetto… Perché mai una cosa del genere doveva capitare proprio a lui?
“Ascolta, Son Goku, questo non è il modo giusto di procedere”.
“Come?”.
“Mi hai sentito.
Bene. Faremo come tu desideri. Credo che ora sia arrivato il momento di smettere di giocare e di fare le persone serie. Non trovi?”.
“Maledetto…” – si era messo in posizione di attacco. Stavolta non avrebbe commesso errori. Spirito o no, si sarebbe concentrato, avrebbe preso le giuste distanze e avrebbe dato un gancio destro micidiale in faccia quel, a quel…
Ma le cose non sarebbero andate come Goku aveva creduto. Improvvisamente, il paesaggio attorno a lui aveva iniziato cambiare. Gli dei, i namecciani e i suoi amici erano scomparsi, così come il cielo, gli spalti e la terra sotto i loro piedi. In men che non si dica, Vickas e Goku si erano trovati nel più totale, buio, denso nulla.
“URCA! Ma cosa… CHE COSA HAI FATTO, VICKAS?” – il suo cuore batteva all’impazzata. Si sentiva soffocare. Dove lo aveva portato? Cosa significava tutto quello?
“Questa, Son Goku, è una proiezione del mondo in cui gli dei intrappoleranno per sempre Oozaru. Questa è la sua prigione. Il luogo da raggiungere. Eppure, io vorrei che questa diventasse la sua tomba”.
Goku era confuso. Che cosa voleva dire che voleva che quella diventasse la sua tomba? Era un altro stupido indovinello o peggio ancora, uno stupido scherzo?
“No, senti, non so con chi pensi di avere a che fare, ma…”.
“Vegeta lo sconfiggerà” – aveva decretato, serio – “Vegeta lo sconfiggerà e lo priverà del suo corpo mortale. Dopodiché, questa sarà la dimora della sua essenza. Volevi misurare la tua forza… Qui potrai farlo”.
“Ma che cosa stai dicendo? Io non capisco…”.
“Non c’è niente da capire, soldato Kaharot. Il tuo re sta per battere Oozaru. Tua moglie sta per trovare il portale. Ora, sta a te scegliere. Vuoi lasciare a Vegeta il compito di custodire per sempre questo luogo, o vuoi arrivare fin qui, e rimanerci fino a quando servirà, e provare a sconfiggere Oozaru definitivamente? Tocca a te decidere, Goku. Così, avrai modo di testare le tue reali abilità. La lotta è il tuo scopo, non è vero? Che importa se perderai Chichi, o i tuoi figli… Vegeta baderà a loro, no? Non è questo quello che vuoi, Goku?”.
“Tu sei… Tu sei il demonio in persona!” – aveva urlato Goku, incapace di celare la sua rabbia – “IL DEMONIO!”.
“Io sono solo quello che ti sta offrendo un’opportunità. Sono quello che ti sta dando quello che cerchi. O forse, non sei più così sicuro di quello che desideri, Kaharot?”.
“Non chiamarmi in quel modo…”.
“Come? Kaharot?”.
“Non farlo?”.
“Perché non vuoi, Kaharot?”.
“MALEDIZIONE: TI HO DETTO DI SMETTERLAAAAA!”.
Ma l’esplosione di energia proveniente dal corpo di Goku era stata interrotta da un singolo, precisissimo colpo che Vickas aveva dato al Son dietro il collo.
Stordito, esterrefatto, Goku si era accasciato sulle ginocchia, facendo di tutto pur di non perdere i sensi.
Come aveva fatto? Come aveva potuto permettere a Vickas di coglierlo di sorpresa in quel modo?
“C-che… c-cosa… Che vuoi da me?” – aveva biasciato, cercando di non pensare al dolore e allo stordimento che stava sopraggiungendo.
“Voglio che ti vergogni, Son Goku. Voglio che tu rifletta e che ti vergogni per i tuoi pensieri, per le tue azioni.
Vegeta, il tuo, il nostro re, non sta lottando per misurare la sua forza. Ti ha mostrato la sua anima. Ti ha lasciato vedere dentro di sé, fidandosi  ciecamente, lasciandosi cullare, e questo è il tuo modo di ripagare quella fiducia? Facendoti turbare da una gelosia immotivata? Tua moglie non lo ama, se è questo quello che pensi. Tua moglie, stranamente, ti è fedele e ti ama incondizionatamente. Così come i tuoi figli, quegli stessi figli che hai abbandonato con la sciocca scusa tenerli al sicuro grazie alla tua assenza. Davvero ti chiedi perché lo stimino? Davvero ti chiedi perché si siano affezionati a Vegeta? Perché gli vogliano bene? Guarda in quella sfera, Goku…” – e aveva fatto in modo che una sfera apparisse davanti a lui – “Guarda e dimmi se quello ti sembra uno scontro equo. Tu che hai visto nel suo cuore, tu che hai abbracciato la sua anima dilaniata, dimmi se Vegeta sta provando piacere nel battersi contro un mostro che ha sterminato la sua famiglia e ha preso possesso del corpo di suo figlio”.
E Goku aveva obbedito. Per la prima volta da quando quello scontro era iniziato, Goku aveva guardato veramente nella sfera, notando una cosa che gli era sfuggita: le lacrime che inzuppavano il pelo dello scimmione più piccolo.
“Ve-Vegeta…” – ora, finalmente, il Son aveva capito. Finalmente, il Son aveva potuto vedere e si era reso conto di quanto i suoi sentimenti fossero sciocchi e vili, di quanto fosse stato infantile e crudele verso un uomo che stava morendo di dolore. E, finalmente, Goku aveva ricordato il momento più volte menzionatogli da Vickas. Goku aveva ricordato come si era sentito quando aveva stretto tra le braccia quell’anima tormentata, quell’anima ferita, distrutta e spaventata, e aveva capito perché Chichi provasse quello che provava – “Ti prego, perdonami…”.
Piangeva, Goku. Piangeva per il suo egoismo, per la sua invidia, per la sua stupidità. Non vi era onore in lui. Non vi era niente.
“Mi dispiace… Mi dispiace da morire”.
E Vickas gli si era avvicinato, tendendogli la mano. Il giovane Son aveva tirato su col naso, asciugandosi gli occhi con i polsi e fissando il volto di chi gli si ergeva davanti.
“Son Goku… Kaharot… Vuoi aiutare il tuo re e salvare il mondo?”.
“Ora e sempre”.
“Allora, ti prego, stavolta, fidati veramente di me”.

Continua…


Ciao a tutti!!
Eccomi qui! =)
Sono abbastanza puntuale, stranamente. XD
Mi rendo conto che questo sia un capitolo un po’ strano. Comincio immediatamente col dire che non era assolutamente previsto. Non strutturato in questo modo, almeno. Ho iniziato a scrivere e… BOOM! Si è spento il cervello e le mani hanno iniziato a battere sulla tastiera in completa autonomia. Ecco, credo che questo capitolo venga direttamente dal mio cuore. Tutti sanno che non amo particolarmente Goku. Tutti sono consapevoli di quanto la sua figura sia per me sopravvalutata, e il mio cuore ha deciso di spiegarvi il perché e di fare in modo che Goku potesse redimersi.
Cielo, non so bene se funzioni o meno, ma mi auguro di avervi fatto capire quello che ho dentro. Questa non è una lotta per il potere. Quella affrontata da Vegeta non è una battaglia per stabilire chi tra lui e Oozaru sia il più forte. Vegeta vuole salvare le persone che ama. Vuole proteggere chi gli ha voluto bene, e vuole farlo a qualsiasi costo. Ci aveva mostrato questo suo lato durante la saga di Majin-Bu. Ora, durante Super, non ha fatto altro che confermare questa sua umanità, quella che è la sua vera forza. Poco importa che stia combattendo nelle vesti di un animale. Le sue lacrime sono lacrime umane.
Sono molto provata, credetemi. Non è facile affrontare temi simili… Crescendo, divento sempre più consapevole di quanto vivere sia difficile, di quanto proteggere chi si ama sia spesso impossibile. E, sempre più spesso, mi trovo a sentirmi simile a lui, a questo principe che per tutta la vita si è sentito solo e ha lottato con le unghie e con i denti pur avendo la consapevolezza di essere l’eterno secondo.
Ciò detto (mio Dio quanto ho scritto), vi saluto.
Spero davvero di non avervi annoiato!
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 55
*** La porta ***


CAPITOLO 55

La porta

 
Avevano raggiunto l’ingresso della fortezza di Oozaru più rapidamente di quanto avrebbero osato sperare. Tra i discorsi motivazionali di Chichi e la voglia di rendersi utili per andare in soccorso del tanto amato principe di Marron, erano finalmente arrivati a destinazione, scoprendo, loro malgrado, quanto inquietante e tetro fosse quel posto visto da vicino.
Chichi apriva il gruppo, guardandosi attorno con fare circospetto. A volte, erano in tanti a dimenticare che anche lei aveva avuto un’educazione da guerriera, e la prima cosa che le era stata insegnata era quella di fare attenzione a ciò che la circondava. Quel passaggio era fondamentale per far sì che potesse rendersi conto della presenza o meno di nemici in agguato, e qualcosa le suggeriva che lì attorno ce ne fosse più di uno.
Videl teneva stretta tra le braccia la piccola dai capelli color dell’oro. Non voleva che una creaturina così innocente assistesse a scene per lei poco raccomandabili, e dal canto suo, la piccola Marron stava collaborando egregiamente. La mora sentiva quel piccolo cuoricino battere all’impazzata contro il suo petto, eppure, non sembravano esserci tracce di paura sul suo visino angelico. Quella piccolina stava dimostrando di avere un coraggio ben superiore a una bimba della sua età, e qualcosa le suggeriva che fosse per via dei geni di entrambi i suoi genitori. Quel pensiero non aveva potuto fare a meno di portare la sua mente a svariati chilometri dal posto in cui si trovavano, esattamente là dove aveva lasciato C 18, Crilin e il suo Gohan a battersi contro coloro che avrebbero dovuto schierarsi al loro fianco per porre fine a quella sciagurata vicenda. Nonostante le sue doti non fossero paragonabili a quelle del gruppo di guerrieri che aveva iniziato a frequentare, aveva chiaramente sentito delle aure aumentare in un’esplosione di pura potenza, e non era stata difficile per lei capire che una fosse quella di Vegeta – ed era straordinario pensare che un uomo ridotto in quello stato potesse sprigionare tutta quell’energia – una appartenesse a quel mostro di Oozaru e una, l’ultima, fosse quella del ragazzo di cui si era innamorata. Il suo saiyan, il suo Gohan, aveva liberato tutta la sua potenza, e lei non sapeva perché. Non avrebbe mai voluto lasciarlo, ma comprendeva pienamente le ragioni che lo avevano portato a chiederle di seguire quello sfortunato gruppo di esseri umani. Gohan le aveva chiesto esplicitamente di vegliare su di loro, di tenerli al sicuro, e di stare lontana da qualsiasi tipo di pericolo. Ormai aveva capito che il destino era solito giocare strani scherzi, anche se mai avrebbe creduto avesse riservato per loro quella nuova avventura, che gli avesse fornito l’opportunità non solo di mettersi in salvo, ma addirittura di essere determinanti al fine di ottenere la vittoria.
Chichi aveva detto che Bulma aveva parlato di un portale e loro erano lì, pronti a sfidare il tutto per tutto pur di trovarlo e, potendo, di aprirlo. La madre del suo Gohan non era stata particolarmente chiara. Tutta la sua storia era confusa e piena di lacune, ma il suo entusiasmo e la sua convinzione in merito a quanto appreso erano di conforto e davano loro un motivo in più non solo di crederle, ma di agire, e di farlo anche in fretta.
Attorno alla fortezza potevano esserci delle guardie. Anzi, vi erano sicuramente delle guardie, e Videl non poteva mettere a repentaglio la vita della piccola che stringeva tra le braccia e quella del suo coraggioso papà.
Mr. Satan aveva il cuore in gola. Per quanto il mondo intero fosse convinto del contrario, non era un uomo d’azione, e quella situazione lo faceva sentire profondamente a disagio. Se avessero incontrato uomini armati, come avrebbero fatto a metterli al tappeto? Nessuno tra i presenti era in grado di produrre onde di energia o altre diavolerie che Goku e gli altri avevano più volte usato durante le loro mirabolanti battaglie, e questo li rendeva vulnerabili e tremendamente umani. Si sentiva inutile, Satan, inetto per quel compito così spaventoso. Ma non avrebbe mostrato le sue paure alle donne che si trovavano con lui. Mai avrebbe voluto vedere la delusione dipinta sul viso di sua figlia, MAI. Non avrebbe di certo cominciato in quell’occasione. Ma come avrebbero potuto fare in modo di scoprire dove si nascondevano gli scagnozzi di Oozaru?
Un boato in lontananza li aveva fatti sobbalzare.
La battaglia stava infuriando, non ne conoscevano i risvolti e non avevano ancora portato a termine la missione indicata loro dalla povera Bulma. No. Non potevano assolutamente sprecare altro tempo. Se Vegeta… Se quel poveraccio non fosse stato più in grado di battersi, Oozaru avrebbe fatto di loro il suo spuntino, e non poteva permettere che un mostro impossessatosi del corpo di un bambino decidesse il bello e il cattivo tempo. Mai.
Ma, come sottolineato in precedenza, Satan non era un uomo d’azione. Eppure, era un uomo estremamente, sfacciatamente fortunato.
“Ma tu… Tu sei il campione mondiale di Wrestling! Tu sei Mr. Satan!”.
Una voce. E non una qualunque, ma una voce che apparteneva chiaramente a un bambino piccolo li aveva raggiunti alle spalle, facendoli raggelare. Dopo quello che aveva fatto Oozaru a Trunks, era più che logico che la presenza di un bambino estraneo li sconvolgesse. Nonostante il panico crescente si erano fatti coraggio e si erano girati all’unisono, trovandosi davanti un bimbo piccolo, sporco e vestito di stracci.
“Sei tu! Sei proprio tu! Sei venuto a salvarci, non è vero? Mr. Satan, ti prego, salvaci!”.
Il piccolo lo aveva raggiunto di corsa, aggrappandosi con forza alla muscolosa gamba di colui che aveva definito il campione mondiale di Wrestling. Gli sguardi tra i membri di quel piccolo gruppo di superstiti erano stati più che mai eloquenti. Quel bambino non era una minaccia, ma poteva essere un pericolo. La sua reazione, i suoi singhiozzi – perché sì: il piccolo aveva iniziato a piangere – avrebbero potuto attirare l’attenzione, ed era stato allora che Satan aveva deciso di mostrarsi come il suo beniamino voleva, tirando fuori tutta la sua grinta e arroganza.
“Sì, figliolo, sono proprio io. L’unico e solo Mr. Satan”.
“Sei qui per salvarci, non è vero? Se qui per liberarci da quel mostro cattivo e per far tornare indietro il mio e tutti gli altri papà, no? NO?”.
“Emm… Ecco, io… Oh mamma!”.
Quella situazione inaspettata lo aveva distratto, e solo dopo diversi minuti si era reso conto che una piccola folla si stava radunando lì attorno. Nonne, mamme, zie, figli e figlie erano usciti dalle loro case timidamente, come topolini dopo un temporale, e si erano raggruppati lì, davanti a loro, nei pressi del cancello della fortezza, lasciandoli senza fiato.
La povertà sembrava la loro unica religione. Il dolore la loro fede. Eppure, Satan e le altre avevano visto qualcosa in quegli occhi fino a pochi istanti prima spenti e rassegnati: avevano visto brillare la speranza.
Satan era senza parole. Non si aspettava un risvolto simile e non sapeva come reagire. Quelle persone non erano cattive, ne era certo, ma potevano incorrere in qualche tremendo pericolo. Avrebbero potuto perdere addirittura la vita, se non fossero tornate immediatamente nelle loro abitazioni, e potevano far sì che le guardie li scoprissero prima ancora di avvicinarsi realmente ai cancelli.
“Mr. Satan” – era stata una giovane donna bionda con in braccio un bimbo appena nato che aveva parlato, con la voce rotta dal pianto e dall’emozione – “Mr. Satan… Lei ci salverà, non è vero? Lei ci libererà da questo fardello, non è così?”.
“Io… Io…” – si era girato in direzione della figlia, cercando aiuto con lo sguardo. Ma Videl non avrebbe potuto fare niente. Era scossa e confusa almeno quanto lui, e lo stesso valeva per Chichi.
“Noi dobbiamo aiutare il mio principe” – era toccato nuovamente alla piccola Marron togliere tutti dall’imbarazzo – “Dobbiamo aiutarlo a vincere contro quel brutto mostro cattivo”.
“Un principe?” – aveva chiesto la donna – “Quale principe?”.
“La bambina ha ragione” – era intervenuta Chichi – “Dobbiamo aiutare il principe a vincere. Non è vero, Mr. Satan?” – e gli aveva fatto l’occhiolino, sperando avesse colto l’allusione. Ovviamente, Satan era troppo furbo per lasciarsi scappare una simile occasione, e sfruttando l’assist di Chichi, aveva volto la situazione a suo favore.
“Vedete” – aveva iniziato, serio, prendendo in braccio il piccolo ancora in lacrime – “Noi abbiamo un’importantissima missione da compiere. Lì, nel castello, c’è un posto che dobbiamo raggiungere. Ma le guardie potrebbero essere nascoste ovunque, e nonostante io sia l’uomo più forte del mondo, il numero uno, potrei non riuscire a fermarle tutte”.
Se avesse potuto, Videl lo avrebbe ucciso seduta stante. Odiava suo padre quando si pavoneggiava. Era necessario mettere su tutta quella montatura?
Quello che sarebbe accaduto poco dopo le avrebbe dimostrato che sì, era necessario, perché il mondo intero si fidava del suo campione. E il campione non avrebbe mai tradito la fiducia del mondo.
“Come possiamo aiutarvi?” – stavolta, era stata una giovane dai capelli rosso fuoco a parlare. A giudicare dal suo aspetto, dalla sua fierezza e dalla determinazione che emanava, doveva essere una lottatrice. E, infatti, lo era.
“Aiutarci? Voi vorreste aiutarci?”.
“Mr. Satan, Videl, signora, è da quando tutto questo ha avuto inizio che io e le mie sorelle aspettiamo il momento adatto per agire. Per troppo tempo abbiamo sopportato i soprusi di questo maledetto mostro, chiunque egli sia, limitandoci ad abbassare la testa e a perire sotto il suo dominio. Adesso basta. Preferiamo morire che vivere in questo modo. E, se proprio dobbiamo morire, vogliamo farlo aiutando l’uomo che ci ha salvati da Cell”.
Videl aveva cercato di mascherare lo stupore, ma le era stato praticamente impossibile. Adesso cominciava a capire le parole di Goku. Adesso, cominciava a capire perché suo padre fosse considerato l’uomo più forte del mondo.

 
*

Il piano era semplice: quella ragazza e le sue dieci sorelle, tutte esperte di arti marziali, si erano offerte di aiutare Satan a mettere fuori gioco le guardie, e lo stesso avevano fatto centinaia di altre donne, mostrando carattere e forza di volontà. Le più deboli erano state invitate a tornare a casa, e nonostante le sue proteste iniziali, la piccola Marron era stata affidata a una di loro, e non a una qualsiasi, ma alla madre di una delle più care amiche di Videl. Purtroppo, la ragazza in questione era venuta a mancare qualche tempo prima per colpa di un morbo che l’aveva infettata, e la donna si era trovata da sola. La notizia della morte della sua amica era stata un duro colpo per Videl, ma questo l’aveva spronata a portare a compimento la missione, facendole promettere che una volta sconfitto il nemico avrebbe cercato le sfere del drago per riportare in vita lei e tutti coloro che erano stati vittime di quel mostro schifoso. In pochissimo tempo, il piccolo esercito di donne si era formato, lasciando a bocca aperta Satan, Chichi e Videl. Quanta voglia di giustizia c’era nei loro cuori? Quanta voglia di libertà, di vita? Proprio ciò sarebbe stata la molla che le avrebbe fatte scattare. Ciò, unito a un pizzico di crudele, ma necessaria, vendetta.
La prima a scavalcare il cancello era stata proprio Videl, seguita da un’agilissima Chichi e da un po’ più goffo Mr. Satan. Le altre, silenziose come gatte, erano piombate giù dalle alte mura, e non solo loro: i soldati di ronda erano venuti giù come mosche morte, e i loro corpi erano stati prontamente nascosti nell’ombra, lì dove non potevano essere visti. Questa precisione aveva messo un po’ in ansia il campione di Wrestling. Possibile che nel mondo vi fossero delle donne in grado di abbattere con un solo colpo uomini altamente addestrati? Di certo, non avrebbe chiesto a nessuna di loro di uscire a cena con lui quando quella storia sarebbe finita.
Doveva ammettere, poi, che neanche Chichi fosse da sottovalutare. La sua futura consuocera era un vero portento della lotta, così come sua figlia. Cielo, che figura avrebbe fatto, lui, se non fosse stato in grado di mettere al tappeto neanche una delle guardie di Oozaru? Era proprio mentre stava formulando quel pensiero che un soldato stava per attaccarlo alle spalle, ma il destino aveva voluto che proprio in quel momento Satan si accorgesse di avere una scarpa sciolta e si abbassasse per allacciarla, facendo sì che lo sfortunato soldato cadesse in avanti e sbattesse la testa contro il muro, perdendo i sensi.
“Fantastico Mr. Satan!” – lo aveva elogiato la ragazza dai capelli rossi – “Siete davvero il numero uno”.
Mentre lo diceva, il portale si stava aprendo, rivelando due delle sorelle della coraggiosa giovane che aveva smosso gli animi femminili.
“Dentro non c’è più pericolo” – avevano detto all’unisono – “Entriamo e cerchiamo quello che serve per porre fine a tutto questo”.

 
*

La dimora di Oozaru era spaventosamente grande, seppur dall’esterno non avesse dato loro questa impressione. Era pur vero che si trattava di un luogo sconosciuto e che non avevano la più pallida idea di dove potesse essere nascosta una porta, un portale o come diamine volevano chiamarlo, e questo di certo non andava a loro favore.
Per questa ragione, Satan, Videl e Chichi avevano deciso di formare tre gruppi. Ognuno di loro avrebbe guidato le giovani lottatrici alla ricerca del fantomatico passaggio, sperando di non incontrare ulteriori ostacoli.
Certo, credere che ogni singola guardia fosse stata abbattuta era un pensiero sciocco e infantile, e di certo non si confaceva a donne – e un uomo – del loro calibro. Per questo avevano deciso di avanzare velocemente ma con cautela.
Videl era esterrefatta dalle abilità mostrate dal padre. La dea Bendata aveva deciso di benedirlo dopo la morte di sua madre, rendendolo più che mai determinante in situazioni grottesche e paradossali. Quelle donne si fidavano di lui, e non solo. Il mondo intero si fidava del suo salvatore, e Videl sapeva che suo padre non avrebbe deluso le aspettative che tutti avevano nei suoi riguardi. Stando a quanto avvenuto, la ragazza credeva che sarebbe stato proprio suo padre colui che avrebbe trovato la porta. Sperava solo che fosse in grado di sopportare ciò che questa scoperta comportava. Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma temeva che altri guai avrebbero seguito l’apertura di quel varco. Intuizione? Sesto senso? Può darsi. Ma sperava ardentemente di sbagliarsi.

 
*

Chichi si sentiva profondamente disorientata. Non era facile muoversi attraverso quei corridoi tutti uguali, e cominciava a sentire su di sé la stanchezza e il peso della responsabilità che quella ricerca comportava. Le ragazze che la stavano seguendo erano per lei un grande conforto, ma se le avesse deluse, cosa avrebbero fatto? Se avesse fallito, che cosa ne sarebbe stato di Goku, dei loro figli e del povero Vegeta? Sì, Vegeta. I suoi pensieri continuavano a galoppare verso di lui. Non riusciva in nessuna maniera a evitarlo. Pensava costantemente a come il re dei saiyan si sentisse nel dover affrontare suo figlio, a come dovesse essere difficile sentirsi soli e stanchi in un momento delicato come quello che stava affrontando. Avrebbe tanto voluto fargli sapere che non era solo, che lei stava facendo di tutto per aiutarlo e che Bulma, la sua Bulma, vegliava su di lui e lo proteggeva anche dall’Aldilà. Ma lei non si trovava vicino a lui. Lei si trovava lì e doveva fare di tutto per trovare il portale, a costo di rivoltare quel posto come faceva con i calzini prima di fare il bucato.
“Cosa stiamo cercando, esattamente?” – le aveva chiesto una delle ragazze che la seguivano. Non poteva avere più di quindici anni, a giudicare dal suo aspetto fisico, ma quei giorni di sofferenza l’avevano temprata, proprio come era successo a tutti. Oozaru aveva cambiato ognuno di loro e non si poteva più tornare indietro. Nel bene o nel male, erano persone diverse, più dure e più forti e presto avrebbero mostrato a quel mostro che la Terra era casa loro e che nessuno avrebbe potuto portargliela via.
“Non lo so con esattezza” – aveva risposto lei, sincera – “La mia amica non è stata in grado di dirmi di più. Ma so che dobbiamo cercare qui. Questa cosa, questa porta, impedirà a Oozaru di vivere ancora nel nostro mondo. Solo trovandola potremo porre fine al suo dominio”.
“E una volta trovata, come faremo a condurre qui Oozaru? E come faremo ad aprirla?”.
“Abbiate fede” – aveva risposto lei, mostrandosi sicura – “Bulma sa quello che dice. Mi fido ciecamente di lei, e vorrei che lo faceste anche voi”.
Mai una frase più sincera era stata pronunciata prima di allora. Era vero: Chichi aveva riposto in Bulma tutta la sua fiducia, e la turchina aveva fatto lo stesso. Le aveva affidato suo marito, il suo Vegeta, e con esso, la salvezza del mondo intero. Doveva solo stringere i denti, non pensare a quanto fosse sfinita e andare avanti, perché la porta era vicina. La piccola Marron era stata chiara: le cose preziose si trovano sempre in un posto speciale. Quale poteva essere un posto speciale per un demone-scimmia?

 
*

Senza saperlo, Mr. Satan aveva condotto le sue giovani guerriere presso un punto molto particolare di quella strana fortezza. Non era rimasto indifferente alle parole della figlioletta di Crilin e C 18, e aveva deciso di seguire la sua intuizione. Così, quando aveva visto quella galleria decorata da una grande vetrata istoriata che affacciava su quello che aveva l’aria di essere un giardino, non aveva proprio resistito. Col cuore in gola e con una fifa addosso che non riusciva quasi più a nascondere, si era accostato presso la vetrata, cominciando a studiarne i complicati disegni. Centinaia e centinaia di figurine si assiepavano in quel caotico alternarsi di piante e frutti. Era difficile cercare di capire se fossero i contorni di esseri umani o meno, così come era impossibile cercare di capire cosa facessero. Di una cosa era piuttosto sicuro: che tutta quella scena fosse ambientata in una sorta di selvaggia foresta e che l’enorme figura che campeggiava su tutte fosse quella di uno scimmione. La cosa non aveva minimamente contribuito a farlo calmare, ma non poteva dare nell’occhio: quelle donne contavano su di lui.
“Mr. Satan… Signore… Come procediamo?”.
Kaori – era questo il nome della donna che aveva smosso le coscienze di quelle ragazze – si era rivolta a lui per ricevere istruzioni. Non sapeva che il povero Satan non avesse la più pallida idea di cosa dovesse fare, purtroppo.
“Cosa? Ah già! Sì… Bene, ragazze, è arrivato il momento tanto atteso. Ebbene, dovete sapere che siamo qui perché… Ecco sì… Perché dobbiamo cercare una porta. E qualcosa mi dice che la porta che cerchiamo sia proprio in questo giardino”.
“Cosa glielo fa pensare?”.
“Intuito, ragazza mia. Sono o non sono il grande Mr. Satan? Il numero uno al mondo?”.
“Sì, certo!”.
“Allora seguitemi!”.
Trovare l’ingresso per quello strano giardino era stato un gioco da ragazzi. Sembrava che fosse bastato desiderarlo per far sì che una porta apparisse magicamente. Senza fare troppi complimenti, Satan era stato il primo a entrare, seguito poco dopo dal suo piccolo esercito femminile.
Quel giardino era straordinario. Sembrava impossibile che un simile posto potesse trovarsi all’interno di un edificio. Si estendeva a perdita d’occhio. Liane, alberi altissimi, piante di ogni tipo e una forte umidità lo caratterizzavano, rendendolo a dir poco unico. Laddove ci fosse stato il cielo, un sole o qualsiasi tipo di corpo celeste non avrebbe avuto importanza: le fronde degli alberi erano così alte e fitte da impedire a qualsiasi luce naturale di filtrare. Effettivamente, quel posto emanava una strana luminescenza, come se le stesse piante e il terreno brillassero di luce propria, seppur tenue, seppur soffusa.
“Che razza di posto è questo?” – aveva chiesto la sorella più piccola di Kaori, la più abile nella lotta subito dopo di lei.
“Non lo so, sorella mia… Ma non mi piace”.
Quel posto non piaceva proprio a nessuno, ma la fiducia che riponevano in Mr. Satan era cieca, e lo avrebbero seguito ovunque. Così, malgrado le incertezze, avevano fatto gruppo e avevano iniziato a farsi strada in quell’intricato puzzle floreale, facendo attenzione a dove mettevano i piedi. Era assurdo pensare a dove si trovassero e a come stessero andando le cose. E poi, la calma che regnava in quel posto aveva qualcosa di surreale. Di surreale e forse un po’ inquietante.
“Non mi piace…” – aveva detto un’altra delle ragazze – “Non mi piace per niente”.
“Neanche a me…” – aveva asserito Kaori – “Ma se Mr. Satan dice di andare…” – non aveva terminato la frase. Era evidente che cominciasse a nutrire qualche dubbio, ma non voleva darlo a vedere.
Un improvviso rumore di foglie aveva raggelato la piccola folla.
“Che cosa è stato?”.
“Nie-niente!” – aveva asserito Satan – “Proseguiamo”.
Ma lo avevano avvertito nuovamente, stavolta più forte e più vicino.
“Non è niente! State all’erta!”.
E avevano fatto bene a stare in guardia, perché qualcuno, o meglio qualcosa aveva attaccato una delle ragazze, facendola cadere violentemente al suolo.
“Naomi!”.
“Kaori! AIUTAMI!”.
Ma non avevano potuto aiutarla, perché altri di quegli esseri avevano cominciato a scagliarsi contro di loro, impegnandoli in una lotta inaspettata e apparentemente impari.
“Ma sono… SONO SCIMMIE!”.
Sì, erano scimmie. Un branco di scimmie dagli occhi iniettati di sangue che non avevano esitato a colpire . Solo Satan, data la sua proverbiale fortuna, aveva evitato quell’assalto, nascondendosi dietro un enorme albero.
Stava tremando come una foglia. Perché le cose non andavano mai nel verso giusto? Che diamine erano quelle bestiacce? Da dove erano sbucate?
Le urla delle ragazze gli avevano fatto raggelare il sangue. Lui voleva aiutarle, voleva davvero salvarle, ma era bloccato lì dalla paura. Si era rannicchiato più che poteva contro la corteccia, coprendosi le orecchie con le mani. Cosa poteva fare, lui? Così inutile, così spaventato, così umano?
Improvvisamente, aveva sentito un dolore fortissimo alla schiena, come se qualcosa gli avesse strappato la carne dalle ossa. Così era stato: una di quelle scimmie demoniache lo aveva ferito con i suoi artigli, preparandosi per la prossima mossa. Nonostante il dolore, Satan si era rimesso in piedi, deciso più che mai a morire a testa alta. Il momento di nascondersi era ormai finito. E sarebbe morto se non si fosse accorto di una cosa che inizialmente non aveva notato, una cosa che si trovava in lontananza e che spiccava in tutta quella vegetazione. Si trattava di una macchia. Una macchia rossa nascosta dalle foglie.
Senza sapere come, aveva raccolto le energie, ricordando a se stesso e non agli altri chi era e che cosa era in grado di fare.
Con un pugno ben assestato aveva steso la scimmia ripartita alla carica, incitando le ragazze a fare lo stesso.
“FORZA! SIETE DELLE GUERRIERE!” – aveva urlato – “DISTRUGGETE QUESTE BESTIACCE”.
Ma la situazione era diventata più difficile da gestire di quanto potesse sembrare all’inizio. Le scimmie continuavano ad aumentare di numero e a diventare sempre più aggressive, più forti, più resistenti. E la macchia rossa era così lontana.
Non potevano arrendersi. Non lo accettava. Erano lì per un motivo, non potevano fallire!
Ma poi, quando cinque bestiacce lo avevano accerchiato, quando la maggior parte delle sue guerriere erano state sconfitte e tutto sembrava perduto, qualcosa di straordinario era accaduto. Qualcuno di straordinario era arrivato, qualcun che sperava di vedere con tutto il cuore.
“Junior…” – aveva chiamato, con voce flebile – “Sei tu!”.
E non c’era solo lui. C’erano tutti, tranne Vegeta, Goku e Gohan, e si stavano battendo al fianco delle guerriere superstiti, cercando di fermare quell’orda indemoniata apparentemente inarrestabile.
“Satan, corri!” – gli aveva intimato Junior, aiutandolo ad alzarsi – “L’hai trovata, non è così? L’hai trovata!”.
“Sì…” – aveva risposto lui, aggrappandosi al namecciano – “Sì, ma…”.
“Nessun ma! Devi correre, Satan, corri e aspetta lì vicino. Presto saprai cosa fare”.
Con uno scatto, si era messo in piedi, raccogliendo tutto il coraggio che era a sua disposizione. Inizialmente non se n’era accorto, ma ora che poteva guadarsi attorno, si era reso conto che insieme a Junior, Goten e gli altri ci fossero anche Chichi, Videl e il resto delle ragazze e che tutti loro si stavano battendo per sconfiggere quelle strane creature. E a lui, proprio a lui, era stato affidato il compito più importante. Correndo a perdifiato, saltando ogni ostacolo, era giunto finalmente davanti alla macchia rossa. Senza pensarci due volte, aveva cominciato a strappare foglie e radici, lasciando scoperta la rossa superficie di pietra che si ergeva al suo cospetto.
“L’ho trovata” – aveva sussurrato – “L’HO TROVATA PER DAVVERO! L’HO TROVATA! L’HO…” – e si era bloccato all’improvviso. I suoi occhi erano sbarrati, e la bocca spalancata in un muto urlo.
Il muto urlo della morte.

Continua…


Ciao famiglia!
Scusate per i giorni di ritardo: domenica la mia unica nonnina ha compiuto 78 anni, l’abbiamo festeggiata e non ho proprio potuto aggiornare! Spero di essermi fatta perdonare!
Capitolo dedicato al gruppetto di superstiti.
Bene… Satan non ha proprio fatto una bella fine (sarà davvero morto?) ma almeno ha trovato la porta!
Ora, non resta di vedere come agiranno Vegeta, Gohan e i nostri amici dall’Aldilà!
Dei: siamo con voi!
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 56
*** Sino all'ultimo respiro ***


CAPITOLO 56

Sino all’ultimo respiro

 
Ruggiva, il re dei saiyan.
Ruggiva spietato mentre si avventava famelico contro colui che aveva osato mostrarsi con le sembianze di suo figlio.
Il tempo delle esitazioni era terminato, e questo lo aveva dimostrato nello stesso istante in cui aveva deciso di attaccare, facendosi guardare le spalle da Gohan, intimando a Goten di andare via, decidendo di immolarsi per salvare chi aveva creduto in lui e anche chi non lo aveva fatto.
Si muoveva più rapidamente di quanto potesse sembrare. La sua mole, seppur enorme, seppur non perfettamente proporzionata, non era un ostacolo, ma un vantaggio.
I suoi pugni erano centinaia di volte più potenti di quelli che avrebbe potuto scagliare nella sua forma umana, così come lo erano i suoi calci. Persino la coda gli era d’aiuto, come gli aguzzi canini che più e più volte aveva affondato nel folto pelo di chi aveva di fronte, nel pelo di quel nemico che non avrebbe mai voluto veramente affrontare.
Quante volte aveva sognato di battersi col guerriero più potente mai nato? Quante volte aveva desiderato di poter misurare la sua forza, dimostrare di essere l’unico, il solo, il miglior guerriero che la gloriosa stirpe saiyan potesse partorire? Tante. Troppe. Suo padre aveva nutrito nei suoi confronti le più grandi aspettative, aveva riposto in lui, in quel bimbo così piccolo e così duro, tutti i suoi sogni di grandezza.
E lui era davvero diventato grande, uno dei più grandi.
Ma non era per la gloria che stava rischiando la sua stessa vita. Non era per ricevere onori che aveva deciso di salutare quel mondo, non per essere inneggiato.
Vegeta si stava battendo per amore. Per amore verso coloro che gli avevano mostrato affetto, verso chi si era preso cura di lui, verso quel pianeta che lo aveva accolto, verso quelle persone che lo avevano amato, verso la vita, che in ogni sua forma doveva essere protetta, amata e rispettata.
Tutto ciò che aveva fatto stava scorrendo davanti ai suoi occhi come un film proiettato al triplo della velocità normale. Il ricordo di ogni suo gesto, dal più vile al più nobile, era riaffiorato senza che lo volesse. Il primo omicidio; il primo pianeta conquistato; la prima vittoria in battaglia; la prima sconfitta; la prima umiliazione; le sue morti; le sue resurrezioni; il primo bacio con Bulma; la nascita di Trunks; la prima volta che lo aveva preso in braccio; la prima volta che lo aveva allenato; la prima volta che li aveva perduti; la prima volta che si era reso conto di amarli più di ogni altra cosa.
Ogni momento di calore, di sconforto, di gloria, di sconfitta, di vita da soldato, di vita da marito, di vita da padre. Tutte queste cose lo avevano attraversato, trafiggendolo come una lama rovente in pieno petto e che si era piantata  lì, dove ancora pulsava il suo cuore ferito, dove albergavano i ricordi di chi lo aveva amato e di chi amava a sua volta, lì dove nessuno avrebbe mai potuto toccarli, né a gesti, né a parole.
Avrebbe lottato, Vegeta, e lo avrebbe fatto sino all’ultimo respiro. Perché questo era quello che voleva fare, era quello che doveva fare. Perché Oozaru non poteva più esistere, né in quel corpo né in quello di qualsiasi altro essere vivente.
Dal suo canto, il demone-scimmia era estremamente divertito. Il suo avversario era lucido, estremamente, straordinariamente lucido. Era strano, considerando il lasso di tempo che era trascorso dall’ultima volta in cui si era trasformato, ma forse avrebbe dovuto aspettarselo da uno come Vegeta.
Si era scatenato, ma non così tanto da distruggere senza remore tutto ciò che malauguratamente si trovava nel loro raggio d’azione. Quel minuscolo essere umano, quell’esserino aveva una tempra non indifferente, e la cosa lo divertiva enormemente. Era da tutta la vita che cercava un avversario degno di questo nome, e scontrarsi con uno del calibro di Vegeta non era certamente un’esperienza che avrebbe potuto dimenticare.
Ma Oozaru era certo che il destino di quello scontro avrebbe segnato la vittoria a suo favore. Per quanto il re fosse forte ed esperto, era pur sempre un suo surrogato. La maledizione gettata sui saiyan poteva anche renderli fisicamente simili alla sua forma perfetta, poteva anche portare il suo nome, ma non li avrebbe certamente resi come lui. Di demone-scimmia ne esisteva uno solo, ed era lui. Quella era una lotta tra un lupo e una pecorella che aveva indossato la sua stessa pelle. Il destino di Vegeta era segnato. Il destino di tutti era segnato. E nessuno meglio di lui avrebbe goduto di quella vittoria. Distruggere chi aveva osato sfidarlo, chi aveva anche solo pensato di poterlo fermare, sarebbe stato motivo di grande soddisfazione. Il mondo era suo. Presto, si sarebbe completamente piegato al suo volere.

 
*

“L’hanno trovata!” – aveva urlato Goku, incredulo e festante – “L’hanno trovata per davvero!”.
E l’avevano trovata sì, la porta. In un primo istante, avevano creduto che si trattasse di un termine fittizio e che quello che dovevano aprire fosse un qualcosa di ben diverso. Invece, si trattava davvero di una porta, di una enorme porta rossa nascosta dalla fitta vegetazione di quel posto dalla selvaggia bellezza mozzafiato.
Era diventato complicato per loro, dall’Aldilà, seguire tutti i passaggi degli eventi che si stavano svolgendo sulla Terra. Da un lato, vi era lo scontro epocale tra due titani, dall’altro, un gruppo di coraggiosi esseri umani stava portando a termine una missione di importanza epocale.
La gioia di Goku si era triplicata nel vedere Junior e gli altri giungere in soccorso di quelle coraggiose donne e di mr. Satan, per poi precipitare sotto i piedi nel vedere quest’ultimo cadere al suolo sotto i colpi mortali di quegli inusuali nemici.
Bulma si era coperta in viso con le mani, cercando di non guardare. Trunks aveva urlato il suo nome, e Dende e gli dei erano rimasti in silenzio, consapevoli che il grande sacrificio di quell’uomo sarebbe stato solo l’inizio di qualcosa che avrebbe segnato le esistenze di tutti.
“Sa-Satan…” – aveva balbettato Goku, stringendo forte i pugni.
Non c’era più.
L’uomo più coraggioso e allo stesso tempo più pavido che avesse mai incontrato, il padre della ragazza amata da suo figlio non c’era più. Era morto per aiutarli, per trovare quella dannata, stupidissima porta, e solo gli dei sapevano quanto tutto quello lo facesse sentire inutile, impotente e maledettamente triste.
Stava vedendo morire tutti coloro a cui si era legato, tutte le persone che avevano caratterizzato la sua vita.
Aveva visto Junior disfarsi di quelle maledette scimmie, urlare e raggiungere il corpo esanime del povero Satan prima che quelle bestiacce lo dilaniassero. Aveva visto Videl, la povera, piccola Videl, scoppiare il lacrime e dimenarsi come un’ossessa dalla stretta di Crilin, nel vano tentativo di raggiungere quel padre di cui era così fiera e che amava più di ogni altro al mondo.
Troppi morti. C’erano stati davvero troppi morti. E se Bulma e Trunks erano stati così fortunati da trovarsi insieme a lui, cosa ne era stato di tutti gli altri? Gohan aveva fatto piazza pulita di tutti coloro che si erano schierati dalla parte di Oozaru, mentre quest’ultimo aveva decimato la popolazione mondiale maschile, eppure non c’era alcuna traccia degli spiriti di tutte queste persone passate a miglior vita. Neanche dopo la morte avevano potuto trovare pace. E lui non aveva potuto aiutarli in nessun modo.
“Figliolo… Il momento è arrivato” – re Kaioh gli si era avvicinato, mesto, con uno sguardo che non gli aveva mai visto in viso, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Dovete… Voi dovete…” – Goku non aveva il coraggio di pronunciare quella frase. Era molto più difficile dire ciò che avrebbero dovuto fare ora che dovevano farlo. Non era una decisione facile da prendere, ancor meno da mettere in pratica. Eppure, gli era bastato dare un’occhiata a tutte quelle divinità lì schierate per capire che nessuna di loro sarebbe tornata indietro. Questo cosa poteva voler dire? Che non avrebbe mai più viste né Re Kaioh, né Kaioshin il Sommo né il Superiore? Altri morti. Ci sarebbero stati altri morti per colpa di Oozaru.
Aveva sentito una stretta fortissima allo stomaco, Goku. Non voleva che morissero. Non voleva che si sacrificassero. Possibile che non vi fosse soluzione?
La situazione era peggiorata nell’istante in cui aveva visto il giovane Dende farsi avanti.
“NON PUOI FARLO ANCHE TU!” – aveva tuonato, perentorio. No, Dende non poteva morire. Non poteva farlo e basta! Era ancora giovane, era un namecciano e non meritava di morire!
“Sta' tranquillo, Goku. Le sfere di Neo-Namecc sono qui e sono più potenti di quelle terrestri. Potrete usare quelle una volta che tutto questo sarà finito”.
Le sfere del drago. Aveva nominato le sfere del drago. Ma davvero credeva che non volesse lasciarlo libero di scegliere la via del sacrificio per preservare le sfere del drago?
“Va bene così, Goku, davvero. È giusto che io faccia la mia parte”.
“Ti sbagli, piccolo Supremo” – lo aveva redarguito Vickas – “A te non è richiesto questo genere di sacrificio. Non adesso, almeno”.
“Ma… Io…”.
“Ognuno qui ha un compito. Ormai, dovresti saperlo. Il tuo, mio giovane amico, è quello di rimanere qui e di osservare. L’umanità ha bisogno che qualcuno impari, che apprenda e che tramandi. Questo è quello che dovrai fare tu. Al momento giusto, le tue sfere dovranno essere usate per ridare la vita a chi l’ha persa. Tu non devi morire per donare la vita a chi ne ha bisogno, ma vivere”.
Se non fosse stato sconveniente, Goku avrebbe di certo abbracciato quella copia saputella di suo figlio per ringraziarlo. Mai avrebbe potuto trovare parole più adatte per convincere Dende a preservare la sua esistenza.
La sua attenzione era tornata tutta sul buffo omino che aveva davanti.
“Re Kaioh… Quindi questo… Questo è un addio?” – aveva chiesto al suo maestro e amico, cercando di celare l’emozione che faceva tremare la sua voce.
“Temo di sì, figliolo” – il simpatico sovrano gli aveva teso la mano. Ogni traccia di timore sembrava essere improvvisamente scomparsa dal suo viso. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Re Kaioh non aveva paura di morire – seppur questo significava sparire per sempre da qualsiasi luogo o dimensione – perché sapeva di aver operato bene, durante la sua lunga esistenza. Aveva vissuto intensamente, aveva contribuito a forgiare un guerriero del calibro di Son Goku, cosa poteva desiderare di più?
“Impeditegli di vincere” – aveva detto, serio – “Impeditegli di vincere e di uscire da lì. Fallo anche per me, figliolo. Fallo per tutti noi. E ti prego: ogni tanto, vai a dare un’occhiata alla mia casa… Non voglio che Bubbles e Gregory si sentano abbandonati”.
Tremando, Goku aveva stretto più forte la sua mano. Era arrivato per loro il momento di partire.
“Divinità… L’ora è giunta” – aveva detto Vickas – “Vi ringrazio sin da ora per il vostro sacrificio. Noi saiyan e il nostro re faremo in modo che non sia vano. Grazie ancora. Di tutto”.
Così, dopo aver silenziosamente ringraziato Vickas per l’ennesima volta, Goku aveva lasciato la mano di re Kaioh, offrendogli la silenziosa promessa di fare tutto ciò che gli era stato chiesto.
Emozionato, aveva raggiunto Bulma, Trunks, Dende e tutti gli altri namecciani, attendendo disposizioni da parte di Vickas. Non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi ai due Kaioshin. Sarebbe stato troppo doloroso anche per lui.
Gli dei si erano schierati l’uno accanto all’altro, sereni. Quelle creature celesti, quegli esseri che erano inizialmente venuti meno al loro dovere, erano finalmente sereni di andare incontro al loro destino.
“Grazie, Goku. Grazie di tutto”.
Le ultime parole di re Kaioh avevano lasciato spazio al silenzio che aveva preceduto la fine. Avevano immaginato scoppi di luce, aure che liberavano tutta la loro essenza, urla di dolore. Invece, non era avvenuto niente di tutto ciò.
Uno a uno, gli dei erano caduti. Lievi come piume, i loro corpi avevano toccato il suolo per poi sparire come avrebbe fatto la neve al sole.
“Addio. E grazie, re Kaioh. Grazie, Kaioshin. Grazie a tutti voi”.
 “Guardate!” – aveva detto Dende indicando la sfera – “La porta… Si sta aprendo!”.
“Sì! Ce l’hanno fatta!” – aveva esclamato un giovane namecciano – “Ce l’hanno fatta per davvero! Allora il loro sacrificio non è stato vano! Grazie, grazie, GRAZIE!”.
“Ci siamo” – Vickas, con la sua solita voce ferma e tranquilla, aveva richiamato su di sé l’attenzione – “Adesso, Goku, Trunks, Bulma, e voialtri: dipende tutto da noi”.
“Parla, ti prego” – aveva detto la turchina, col cuore in gola e la voce in tumulto – “Dicci cosa dobbiamo fare”.
“Quello che hai fatto sino a ora, Bulma. Prega. E tutto andrà come deve”.

 
*

Gohan lo aveva sentito chiaramente, quel brivido che aveva scosso ogni singola fibra del suo essere, lo aveva sentito chiaramente. Aveva avvertito in lui la certezza di quello che era avvenuto, perché aveva percepito la portata di quel sacrificio, perché il potere sprigionato era stato immenso, seppur silenzioso, perché Vickas, con la sua voce serena e decisa, gli aveva detto cosa avrebbe dovuto fare.
“VEGETA!” – avrebbe raggiunto il suo re in ogni modo, a costo di perdere la vita a causa dei contraccolpi di quello scontro brutale – “VEGETA: ADESSO!”.
E Vegeta aveva capito, non sapeva neanche lui come, però lo aveva fatto. Vegeta aveva morso con tutta la forza di cui disponevano le sue fauci il collo poderoso di quell’essere malvagio e aveva iniziato a spingere, costringendolo ad arretrare. E Gohan, nel mentre che il suo re donava ogni briciolo della sua forza, aveva ricominciato a concentrarsi, sprigionando ancora più energia, fino a rimanere senza fiato.
Quel suo ultimo, violento gesto, aveva concesso a entrambi i contendenti di sparire nel nulla.

Continua…


Eccomi qui!
=)
Scusate per l’attesa! =) Questi ultimi capitoli sono densi e difficili da scrivere. Come sempre, ho troppe cose da dirvi e non voglio assolutamente deludervi. <3
Alla fine mr. Satan è morto per davvero, poverello.
Che dire? Gli dei non ci sono più, e Gohan ha giocato il suo ruolo.
Vegeta e Oozaru sono spariti nel nulla, proprio come le divinità. Cosa ne sarà stato di loro, adesso?
Vi lascio con questo quesito, augurandovi buona Pasqua sin da ora.
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 57
*** Dietro la porta rossa ***


CAPITOLO 57

Dietro la porta rossa

 
Videl era inconsolabile. A fatica, Junior e Crilin erano riusciti a trattenerla, a evitare che si facesse uccidere, a evitare che anche lei si unisse al numero crescente di vittime che Oozaru e i suoi scagnozzi stavano causando.
Satan era morto davanti ai loro occhi, assalito dalla furia distruttiva di quelle bestie dagli occhi iniettati di sangue, travolto dalla loro crudeltà, ma nella consapevolezza di aver avuto un ruolo determinante nella risoluzione di quel conflitto durato sin troppo a lungo.
Il suo corpo dilaniato e senza vita era stato protetto da alcune delle coraggiose guerriere che si erano unite a quello strampalato gruppo di sfollati. Anche se a fatica, le donne erano riuscite a evitare che quei mostri dotati di coda si accanissero su di lui, e solo dopo aver trascinato quelle spoglie in un luogo più riparato e averle consegnate alla povera Videl avevano potuto accorgersi di una cosa che mai avrebbero pensato: Satan era morto col sorriso sulle labbra.
La piccola Videl lo aveva stretto forte tra le braccia, piangendo in silenzio. Lo aveva chiamato più volte, ringraziandolo e maledicendolo allo stesso tempo per il coraggio dimostrato, baciandogli la fronte e pulendogli il sangue che colava denso da ferite che non avrebbero più avuto modo di richiudersi.
Satan era morto da eroe. Satan aveva contribuito a salvarli tutti. Peccato solo che non fosse stato in grado di salvare se stesso.
Chichi aveva raggiunto Videl in pochi balzi, lasciandosi alle spalle i cadaveri di quelle scimmie possedute dal demonio. Aveva gli abiti strappati e diverse ferite, ma il fuoco che ardeva nelle sue iridi nere lo rendeva simile a una dea, a una dea crudele e amorevole allo stesso tempo, a una dea che aveva accolto tra le proprie braccia una bimba smarrita, consolandola e piangendo insieme a lei.
“Su, piccola… Non fare così…” – le aveva detto, grattandole la schiena con dolcezza – “Tuo padre non vorrebbe vederti in questo stato…”.
“Lui è… È…” – aveva singhiozzato lei, incapace di proseguire.
Sì, Satan era morto. Satan non era più con loro, ma quel suo gesto aveva dato il via a qualcosa di buono, a qualcosa che avrebbe cambiato per sempre il loro destino.
La porta era lì, davanti a loro, e si ergeva in tutto il suo maestoso splendore. E proprio quando tutti si erano riuniti, proprio quando il gruppo era di nuovo compatto, quando anche il suo piccolo, adorato Goten, l’aveva raggiunta, stringendosi a lei, guardandola negli occhi con sicurezza e fierezza, era successo: coloro che stavano aspettando erano finalmente arrivati.
*
Era caduto al suolo.
Aveva provato a resistere, a stringere i denti, ma non ce l’aveva fatta. Era esausto, sfinito. Quel suo ultimo gesto lo aveva prosciugato, e nonostante gli sforzi, alla fine si era abbandonato alla stanchezza, lasciando che la forza di gravità avesse la meglio su di lui.
Se fosse stato un normale essere umano, se fosse stato un semplice terrestre, quella caduta gli sarebbe stata fatale. Ma lui non era un comune essere umano, non era un semplice terrestre. Lui era Son Gohan, figlio di Son Goku e di Chichi, erede del potere di Vickas e suddito del saiyan più leale e coraggioso mai nato, e non sarebbe morto di certo per una banale caduta.
L’aria sembrava quasi averlo cullato. Era calda, rovente, ma qualche lieve spiraglio di frescura lo aveva convinto che l’esito di quella battaglia sarebbe stato positivo. Vickas aveva ragione, l’aveva avuta sin dal primo istante. Per questo, quando era atterrato e si era trovato a rigirarsi su un fianco, aveva sorriso, per nulla impressionato di vedere davanti a sé la figura evanescente a cui aveva rivolto il suo ultimo pensiero, quel saiyan millenario che aveva il suo stesso aspetto, quel Vickas di cui era l’erede e che non avrebbe mai smesso di ringraziare per aver sacrificato la sua vita pur di permettere quel passaggio di testimone.
“Sei tu…” – aveva pensato, sorridendo – “Visto? Ce l’ho fatta…”.
“Sì… E sono molto fiero di te. Ma non è questo il momento di riposare”.
“Ma io… Sono così stanco…”.
“Ti chiedo solo un ultimo sforzo. Gohan, ti prego, non lasciarlo solo proprio adesso”.
A fatica, aveva aperto gli occhi, osservandolo meglio. Era impressionante la loro somiglianza. Sarebbe stato come guardare il proprio riflesso in uno specchio, se i loro abiti fossero stati gli stessi, se fossero stati nella stessa posizione, se avessero riportato le stesse, identiche ferite. No, quello non era uno specchio. Era come vedere la propria anima, la propria coscienza, il proprio io. E quell’io gli stava dicendo di non mollare.
Così, dopo aver preso un bel respiro, Gohan aveva fatto leva sui suoi stanchi polsi, trattenendo un conato dovuto a un improvviso capogiro, e si era rimesso in piedi, anche se tremante, anche se a fatica.
“Sei contento?” – lo aveva provocato, sarcastico.
E Vickas aveva sorriso, fiero di lui.
“Vai, ora. Ti sta aspettando”.
E aveva annuito, raccogliendo le forze e partendo a gran velocità verso il maniero.
Gohan non poteva saperlo, ma Vickas era rimasto lì, osservandolo da lontano, fiero, con una punta di dispiacere visibile su quel suo viso apparentemente imperturbabile.
“Perdonami, ragazzo, per averti chiesto di portare la mia croce”.

 
*
 
Capire cosa fosse accaduto non gli era stato possibile inizialmente, ma non gli importava. Gohan si era fidato ciecamente di lui, e avrebbe fatto lo stesso, perché doveva, perché voleva, perché sapeva di non essere solo.
Non sapeva neanche da dove stesse traendo le energie necessarie ad affrontare la belva che aveva davanti. Oozaru era mostruoso, forte, feroce, e Vegeta temeva che non si stesse impegnando realmente in quello scontro, ma che si stesse divertendo a giocare con lui.
Quasi non sperava più in un aiuto esterno.
Certo, sapeva che Gohan non lo avrebbe mai lasciato, ma il timore di credere fermamente in qualcosa che non sarebbe mai accaduto non era poi così infondato. Per fortuna, alla fine, le cose erano andare come aveva sperato e Gohan, in quell’ultimo atto di forza e generosità, lo aveva aiutato a raggiungere la meta, accorciando le distanze fra loro e il luogo che avrebbe imprigionato per sempre quell’abominio, permettendogli così di mettere in scena a qualsiasi prezzo l’atto finale.
La terra gli era mancata da sotto i piedi prima di quanto pensasse, e con altrettanta rapidità era tornata, ma la sensazione di nausea dovuta da quella sorta di teletrasporto era rimasta più a lungo, impedendogli di pensare con lucidità. Di questa sua debolezza, però, Oozaru non era stato in grado di approfittare: troppo grande era stato l’orrore da parte sua nel rendersi conto di dove fosse, nel vedere con quanta maestria avessero agito sotto il suo naso, portandolo proprio nell’ultimo posto in cui sarebbe dovuto essere, portandolo lì dove tutto avrebbe rischiato di finire per sempre.
Con un ruggito, Oozaru aveva puntato le forti zampe su quel suolo che aveva sempre avuto timore di calcare, imprimendovi il proprio passaggio, la propria imponenza, e facendo leva su di esse per sollevare lo scimmione di dimensioni più piccole che lo stava fronteggiando con un coraggio da leone. Con uno scatto, Vegeta era stato atterrato. Oozaru gravava di lui con tutto il suo non indifferente peso. Gli aveva bloccato gli arti superiori con le zampe, e il bacino poggiava su quello più piccolo e fragile del re dei saiyan, impedendogli qualsiasi tipo di movimento. La bocca, quella tremenda bocca, produceva una densa schiuma che colava sul suo muso contratto. Se lo avesse morso ora che era così, inerme, sottomesso, non avrebbe avuto scampo. Se lo avesse attaccato, sarebbe morto ancor prima che potesse rendersene conto.
Il panico lo aveva assalito. Temeva di aver preteso troppo da se stesso, di aver giocato le carte sbagliate e di non essere più in grado di reagire. E, in quel momento, Vegeta si era ritrovato a pensare a lui, a Goku, a quanto sarebbe stato utile un suo aiuto. Lo zuccone aveva deciso di abbandonarlo proprio ora che c’era più bisogno, di lasciarlo solo in quel momento così difficile e delicato, e lui era stanco, anche se sapeva di non poter mollare. Era stanco e aveva paura.
L’assordante, ennesimo ringhio di Oozaru lo aveva raggiunto, costringendolo a chiudere gli occhi. Stava per perdere. Dio mio, stava per perdere e Oozaru avrebbe fatto il bello e il cattivo tempo. Stava per morderlo e… E…
L’esplosione di un’aura lo aveva costretto ad aprire gli occhi.
Qualcuno aveva colpito Oozau all’occhio destro, ora coperto dalla sua zampa, ma niente avrebbe potuto contenere il fiotto copioso di sangue denso e caldo che colava senza sosta. Vegeta si era accorto di avere finalmente un arto libero, e aveva aperto gli occhi, incontrando senza volerlo gli sguardi terrorizzati delle persone che aveva imparato a chiamare amici. Chichi era lì, davanti a lui, e stringeva tra le braccia Videl La moglie di Goku era lì e lo guardava, spaventata a morte, incapace persino di deglutire o respirare. Poi, dopo essersi girato, aveva potuto vedere la sagoma dalla strana capigliatura palmata di chi era intervenuto in suo soccorso.
“Kaharot…?”.
Poteva essere lui? Poteva essere che quell’idiota fosse tornato indietro ad aiutarlo? Ma poi aveva guardato meglio: aveva guardato e aveva capito.
“GOTEN!”.
Purtroppo per lui, non era riuscito ad evitare che Oozaru colpisse il piccolo super saiyan con una violenta zampata. Il figlio minore del decerebrato si era distratto per sincerarsi delle sue condizioni e si era lasciato colpire, sbattendo violentemente contro una parete rocciosa per poi perdere i sensi, senza un lamento, senza neanche essersene reso veramente conto.
Chichi lo aveva chiamato a gran voce, urlando disperata tutto il dolore che aveva nell’anima, ed era stato lì che Vegeta si era scosso. Non poteva permettere che anche lei vivesse il suo stesso incubo. Non poteva permettere che Oozaru li privasse di un’altra così giovane vita.
Aveva reagito, Vegeta, senza esitazioni. Aveva reagito con forza, con rabbia, con violenza, stimolato dal dolore di una madre e dall’agonia di un bambino che aveva solo voluto aiutarlo. Si era messo in piedi, afferrando Oozaru per le spalle e ricominciando a spingere. Era stato a quel punto che la porta, la pesante porta rossa dietro di loro si era aperta, e Vegeta aveva ruggito ancora e aveva spinto più forte che mai. Le vene delle sue braccia e del suo collo pulsavano impazzite. Era l’ultimo sforzo, quello. Era l’ultima tappa da compiere prima di poter finalmente riposare. Vegeta doveva fare solo una cosa, ora che Oozaru era stordito dal colpo ricevuto: doveva continuare a spingere.
La porta sembrava aprirsi verso il nulla. Era spaventoso guardarvi attraverso, e Vegeta aveva faticato a mantenere lo sguardo concentrato su Oozaru. Quello sarebbe stato il suo destino. Quello sarebbe stato il suo per sempre. Aveva paura? No, non quanta avrebbe creduto. Provava rabbia per il destino che gli era toccato? Forse sì, ma non si sarebbe mai tirato indietro. Lo doveva a Trunks, per non essere stato in grado di proteggerlo. Lo doveva a Bulma, per non essere stato capace di starle accanto. Lo doveva a Chichi, a Goten e a Gohan, per il bene che gli avevano dimostrato. Lo doveva alla piccola Marron, che continuava a pensare a lui come al suo principe azzurro. Lo doveva a tutti coloro che si trovavano lì. E lo doveva a lui: a quello zuccone che aveva sacrificato di nuovo la sua vita per lui.
E spingeva, spingeva e spingeva, cercando di smuovere il mostro che aveva davanti. Spingeva, spingeva e spingeva perché non gli era rimasto nient’altro da fare.
Ma forse non era abbastanza forte, Vegeta. Forse, non era abbastanza potente per vincere quello scontro brutale, perché Oozaru era lì, fermo, dopo essersi spostato di pochissimi metri, e ringhiava feroce, crudele, arrabbiato per l’offesa subita. Ora, era Vegeta a vacillare. Ma non poteva perdere.
“Gambe, non cedete adesso… No… No… NO!”.
Energia. Lampi di energia sfrecciavano accanto al suo corpo. Precisi, potenti colpi lo avvolgevano, oltrepassandolo, puntando dritti e inesorabili su Oozaru.
“Ma questi sono… Sono…”.
Erano i guerrieri schieratisi al suo fianco. Erano Junior, C 18, Crilin, Maestro Muten, Yamcha e lui, Gohan, il saiyan mezzosangue che aveva distrutto Cell. Ed erano lì, per aiutare lui.
“NON MOLLARE VEGETA! NON MOLLARE!”.
E non lo avrebbe fatto. Non ora che aveva l’appoggio di tutti.
“ADESSO!”.
E all’urlo di Gohan, tutti i guerrieri avevano aumentato la potenza dei propri colpi, brillando di una luce mai vista prima. All’urlo di Gohan, Vegeta aveva ricominciato a spingere, capendo ormai di esserci riuscito: aveva vinto.
In pochi passi, avevano attraversato quello spaventoso varco, lasciando che la porta si richiudesse dietro le spalle di un re dei saiyan trionfante nella sconfitta.
La Terra era finalmente salva, e l’urlo straziante delle scimmie demoniache ne era stata la prova più lampante. Private del loro padrone, private della loro fonte di potere, si erano pietrificate e dissolte come cenere al vento.
Dopo, il silenzio.
Così come tutto era iniziato, aveva avuto fine. Con desolazione e morte. Con confusione e rabbia. Con tristezza e dolore.
E il vento, un vento diverso, un vento fresco, ristoratore, era stata l’unica cosa che avrebbe potuto portare sollievo a quel cuore che piangeva la perdita di un amico. Il vento, sarebbe stato l’unico che avrebbe potuto consolare la donna a cui era morto a fior di labbra il nome di un re: Vegeta.

Continua…


Ciao a tutti!!
Perdonate il ritardo e il capitolo un po’ frettoloso: tra dieci giorni si laurea il mio fidanzato e qui siamo tutti in preda all’euforia più totale!! XD
Fra bomboniere, segnaposto, abiti, scarpe, trucco e parrucco stiamo letteralmente impazzendo.
Ma torniamo a noi.
Cavolo, sono finiti dietro la porta.
Mamma mia, ancora non mi sembra vero. È finita. Oozaru è stato intrappolato. E Vegeta è rimasto lì dentro con lui.
Cielo, cosa pensate che accadrà, adesso? Ditemelo voi! Per ora vi lascio, sperando di avervi almeno un po’ incuriosito.
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 58
*** Quello che le leggende non dicono ***


CAPITOLO 58

Quello che le leggende non dicono

 
Ce l’aveva fatta.
C’era riuscito per davvero. Grazie allo sforzo compiuto all’unisono da coloro che avevano creduto di contare meno di zero, Vegeta era riuscito a spingere Oozaru al di là di quella spaventosa porta rossa, ponendo fine alle angherie di quel mostro dall’aria così familiare eppure così tremendamente spaventosa.
E di lui, non vi era più traccia. Non vi era più traccia del re dei saiyan, del guerriero che aveva sacrificato ogni cosa per il bene del mondo, dell’uomo che aveva perso tutto prima di perdere anche se stesso.
Vegeta era sparito insieme al nemico, insieme a quel mostro che aveva preso possesso del corpo del figlio, e di lui non si avvertiva più la presenza.
Prigioniero di un luogo senza spazio e senza tempo, era pianto da chi era rimasto indietro, da chi soffriva e gioiva insieme, da chi non sopportava l’idea di aver assistito inerme al suo sacrificio ma che ne comprendeva pienamente le ragioni.
Eppure, per quanto quel gesto fosse stato nobile, per quanto fosse stato necessario, non avrebbero mai potuto accettarlo pienamente. Anche perché qualcuno, tra loro, era divorato un tarlo insistente e irrefrenabile. Qualcuno, tra loro, credeva che forse le cose non erano esattamente come sembravano.

 
*
 
“Ci è riuscito” – aveva commentato Dende, incredulo – “Ci è riuscito per davvero. Non riesco a crederci… Mi viene da piangere dalla gioia”.
Aveva davvero gli occhi lucidi, il piccolo Supremo. Era come se si fosse appena svegliato da un incubo spaventoso. Era scosso, stravolto, ma felice di sapere che le cose non erano come aveva creduto. Oozaru era stato intrappolato. Vegeta, grazie al suo sacrificio, era riuscito a sconfiggerlo e a porre fine all’inizio del suo dominio incontrastato. Stava forse sognando? Sì, stava sicuramente sognando, non poteva essere altrimenti. L’incubo doveva essersi trasformato in un sogno, non vedeva altre alternative. Per questa ragione aveva iniziato a darsi del piccoli pizzicotti sulle guance e sul dorso della mano destra. Il dolore era reale. Il rossore (per quanto potesse notarsi sulla sua pelle verde) pure. E se tutto quello era vero, se tutto quello era reale, lo era anche un’altra cosa: la certezza che non avrebbero mai più rivisto il saiyan che portava il nome di un pianeta ormai distrutto da tempo. Non avrebbero ma più rivisto Vegeta.
Senza quasi rendersene conto, si era girato verso Bulma e il piccolo Trunks. I defunti membri della sua famiglia erano uno di fronte all’altra, immobili. Il loro composto dolore era tradito dagli occhi lucidi di entrambi e dalle spalle tremanti della donna dai capelli turchini. Il suo bambino, il frutto dell’amore che provava verso quel burbero re, guardava dritto nell’enorme sfera di cristallo, ma Dende era certo che ormai la sua vista fosse troppo offuscata per poter distinguere ciò che vi era mostrato. Non avrebbe mai più rivisto il suo papà. Aveva perso ogni cosa: la sua vita, la possibilità di crescere, e l’affetto di un uomo dai modi barbari che lo amava più di ogni altra cosa al mondo. Sì, aveva ancora la sua mamma, ma quella non era davvero Bulma. Quella donna era solo parte della giovane mamma, moglie e scienziata che tutti avevano avuto modo di conoscere. E Dende era certo che se le avessero concesso di tornare in vita grazie alle sfere del drago avrebbe rifiutato senza esitazioni. Non avrebbe mai accettato di vivere la sua vita senza il marito e senza il figlio. Dalla dimensione che si trovava dietro la porta rossa non si poteva tornare indietro. Non si poteva e basta. E la sua sarebbe stata un’esistenza vissuta a metà.
“Papà…” – aveva sussurrato il piccolo dai capelli color lillà, poggiando entrambe la mani callose sulla liscia e fredda superficie della sfera. La porta rossa, chiusa, sbarrata per sempre, troneggiava imperiosa in quello che era stato il palazzo di Oozaru, sormontando le piccole figure dei superstiti. Essa simboleggiava l’inizio e la fine: la fine della guerra e l’inizio di un infinito tormento. Il suo papà era un eroe. Re Vegeta, il re del saiyan, era un eroe, ma lui non lo avrebbe visto mai più.
Goku era rimasto in silenzio, leggermente in disparte, rigido, contratto, accanto a un Vickas che aveva serrato le palpebre e se ne stava in silenzio a sua volta, perso in un mondo che solo a lui poteva essere noto.
Vegeta non c’era più. Il suo storico rivale, il suo antagonista, colui che considerava quasi un fratello, non c’era più e lui si sentiva… Vuoto. Goku sentiva un vuoto nel petto che difficilmente avrebbe potuto colmare. La perdita di Vegeta era stata un colpo impossibile da incassare, un colpo che lo aveva messo completamente KO. Avvertiva una spiacevolissima sensazione di torsione all’altezza dello stomaco, peggiorata dopo che i suoi occhi si erano posati sulla sua migliore amica e su suo figlio. Avevano dovuto assistere alla scomparsa dell’uomo che amavano e che li amava con tutta l’anima. Le azioni di Vegeta, seppur estremamente nobili, seppur messe in atto per la salvezza dell’universo, avevano riversato il loro peso sulle spalle di quelle due creature così innocenti e così indifese. Perché sì, per quanto Trunks fosse un coraggioso guerriero, in quel momento non era altro se non un bambino indifeso che aveva appena perso per sempre il suo adorato papà.
E si era sentito tremendamente in colpa, Goku. Si era sentito in colpa per non essere stato in grado di aiutare il suo amico e per aver abbandonato Goten quando Chichi lo portava in grembo. Il dolore provato da sua moglie e dal loro secondogenito doveva essere lo stesso che stavano provando Bulma e Trunks, ma lui aveva fatto finta che non ci fosse, che loro potessero stare bene anche in sua assenza, preoccupandosi solo della sua crescita personale e dei suoi allenamenti. E si sentiva un verme, Goku. Per aver messo se stesso al primo posto, per non essere intervenuto quando serviva, per essere rimasto in disparte.
Tremava.
Tremava di rabbia e di vergogna.
Di Oozaru non vi era più neanche l’ombra, la pace era stata ristabilita, ma Vegeta… Vegeta non era più lì. Un uomo aveva sacrificato la propria libertà e forse la sua stessa vita per un bene superiore. Un uomo aveva pagato il prezzo della salvezza dell’umanità mentre lui era rimasto indietro a guardare.
“Il tuo tormento è condivisibile solo in parte” – Vickas non aveva parlato. Al millenario saiyan bastava usare i poteri psichici di cui disponeva per esprimere i suoi pensieri. Goku odiava quella sua capacità, nonostante ne disponesse a sua volta, e la odiava perché lo faceva sentire vulnerabile e violato. Eppure, in quella circostanza, non avrebbe potuto non ringraziarlo per aver deciso di non rendere pubblico quello che ci sarebbe stato tra loro. Non avrebbe sopportato di vedere su di sé gli sguardi di Bulma e di Trunks. Sarebbe stato troppo anche per uno come lui.
“Vickas… Non è il momento di…”.
“Sì, Goku. Invece lo è”.
Vickas aveva preso un profondo respiro e aveva chinato leggermente il capo, continuando a tenere gli occhi chiusi. Era come se si stesse concentrando, come se avesse difficoltà a mantenere il contatto con chissà chi o chissà cosa. Lo invidiava, Goku. Invidiava le sue abilità, invidiava la sua calma, invidiava… Non sapeva neanche lui cos’altro invidiava. Ma non si sentiva a suo agio. E questo Vickas lo sapeva perfettamente.
“Vegeta è vivo” – aveva detto, serio – “Lo sento e lo vedo, Goku. È lì dentro… Con lui… E temo il momento in cui entrambi riapriranno gli occhi”.
“Vickas… Perché mi dici queste cose? Perché?”.
Già, perché? Perché diamine continuava a tormentarlo? Perché era così criptico? Perché custodiva gelosamente tutti quei segreti? Gli costava così tanto parlare con chiarezza?
“Mantieni la calma, Son Goku”.
“La calma? LA CALMA?”.
Stava per esplodere. Adesso capiva perfettamente come si sentiva Vegeta quando era colto da un impeto di rabbia. Perché si divertiva a provocarlo? Perché lo tormentava?
“Per una volta, parla chiaro! Che cosa vuoi da me?”.
“Che tu veda”.
Lo aveva appena sfiorato con la punta delle dita. Era stato un attimo, ma era bastato affinché potesse vedere ciò che lui vedeva, percepiva, e per cui soffriva. Con quel semplice tocco, Goku aveva visto i suoi tormenti e quelli del re dei saiyan. Aveva percepito il dolore, il senso di vuoto, di immensa solitudine che regnava in quel luogo che non poteva neanche definirsi tale. Ed era caduto in ginocchio, Goku, causando panico tra i presenti. Dende era stato il primo a soccorrerlo, chiedendogli preoccupato cosa gli fosse capitato, ma era stato impossibile per il saiyan spiegare il perché dell’improvvisa vertigine che lo aveva costretto a chinarsi, a respingere il conato che per poco non lo aveva fatto soffocare.
Lo aveva visto. Aveva visto il suo corpo ferito e nudo fluttuare nel nulla, aveva visto le sue lacrime e aveva percepito tutta la paura che albergava nel suo animo, in quell’animo che aveva stretto tra le braccia non troppo tempo prima.
“Goku… Goku… Tirati su… Avanti… Tirati su” – Dende era preoccupato, ma non aveva osato toccarlo. La sua mano avrebbe attraversato la sua sagoma senza che potesse realmente aiutarlo. Ma, ora che ci pensava, se Goku era fatto di solo spirito, come poteva soffrire fisicamente?
“Devi… Devi portarmi lì…” – aveva detto, cercando di tornare a respirare regolarmente – “Devi portarmi lì subito”.
“Goku, ma con chi stai…?” – ma poi, Dende aveva capito, e aveva portato entrambe le mani alla bocca, per soffocare l’orrore che stava per venire fuori – “No! Non puoi farlo! È impossibile! Non puoi farcela!”.
“Io non lo lascio lì!” – aveva urlato, cercando di trattenersi – “Non se lo merita! Non lo merita… Io non lo posso lasciare lì”.
Bulma e Trunks si erano avvicinati al Son, con la loro dignità e il loro dolore, e gli avevano sorriso, seppur con una punta di amarezza. Quello era il Goku che conoscevano. Quello era l’amico che li aveva sempre protetti e sorretti nei momenti più difficili, un uomo deciso e certo di ciò che avrebbe dovuto fare, nonostante le difficoltà, nonostante fosse una cosa impossibile. Ma erano certi che lui non avrebbe potuto fare niente per l’uomo che amavano.
“Questo era il tuo piano sin dall’inizio” – aveva affermato, mettendosi in piedi – “Tu volevi che ci trovassimo lì, insieme. Tu volevi che lo fermassimo per sempre”.
Vickas non aveva risposto, limitandosi a guardarlo con quei suoi grandi occhi scuri. Goku aveva ragione. Era quello il suo piano. Glielo aveva accennato appena quando stava per passare a miglior vita, aveva cercato di ripeterglielo più volte prima che Vegeta si sacrificasse e ora glielo stava confermando con quel silenzio pesante come un macigno.
“Portami lì, Vickas. Portami lì subito. Per favore… Ti prego. Portami da lui”.
E in uno schiocco di dita, Goku era scomparso sotto lo sguardo attonito dei presenti.
“GOKU!” – lo aveva chiamato Trunks, cercando di raggiungerlo ovunque egli fosse – “GOKU!”.
Ma non lo avrebbe mai potuto sentire. Goku era lontano, in un posto che non aveva niente a che fare col loro tempo e il loro spazio.
“Vickas…” – Dende gli si era avvicinato, cercando dentro di sé un coraggio che pensava di non avere – “Tu sai quello che fai, non è vero?”.
Il saiyan millenario lo aveva guardato a lungo, in silenzio. Forse, per la prima volta da quando tutta quella storia era iniziata, anche lui cominciava a temere che qualcosa non sarebbe andato come doveva.

 
*
 
La porta si era richiusa un attimo dopo che Vegeta e Oozaru erano spariti dietro i suoi battenti, ma nessuno conosceva il segreto che si nascondeva dietro essa, neppure gli dei. Per quanto fossero creature esperte e millenarie, peccavano di presunzione, e non conoscevano tutti i segreti che si celavano nelle pieghe del tempo. Vickas era l’esatto opposto. L’ambizione, la sete di conoscenza e di potere avevano aperto la sua mente, permettendogli di scoprire ogni singolo, piccolo segreto di quel mondo e non solo. Gli dei avrebbero dovuto sapere che dal momento in cui si apriva quella porta, altrettanti piccoli squarci si aprivano in diversi punti dell’universo. Era un rischio. Quello che era lì dentro avrebbe potuto approfittarne per poi uscire, ma altro sarebbe potuto entrare. E questo aveva fatto Vickas con Goku: aveva approfittato di uno di quegli squarci per consentire al Son di entrare e di compiere la sua missione. Aveva calcolato tutto, il saiyan millenario, tutto. Non avrebbe mai permesso a Oozaru di rimanere ancora in vita. Ma adesso, cominciava a temere di non poter concedere molto tempo ai due saiyan per sconfiggere il nemico e tornare indietro. Non lo aveva dato a vedere, ma i suoi poteri si stavano prosciugando. Il suo compito stava per concludersi, ma doveva resistere. Doveva resistere…
“Fate presto… Non voglio lasciarvi lì”.
E non avrebbe voluto davvero per nessuna ragione al mondo. Per questo, doveva provare a resistere solo un altro po’.

Continua…


Vi chiedo umilmente scusa per il ritardo con cui ho aggiornato questo mio scritto ormai giunto al termine.
Martedì si è laureato il mio fidanzato e ho curato la parte relativa alle bomboniere e alle decorazioni della sala in cui si è svolta la festa e anche le decorazioni della sua casa (per chi non lo sapesse, mi diletto in decorazioni e affini) e non ho avuto tempo neanche per morire. Stanotte parto per Roma! Vado a sfilare con il gruppo di rievocazione storica del mio paese per i Natali! =) Sarò una delle Vestali. Sono stressata, stanca ma felice.
Ma torniamo a noi.
Bene. Ci siamo quasi. Goku ha supplicato Vickas di aiutarlo a raggiungere Vegeta. Non avrebbe mai potuto lasciarlo lì, non trovate? Non sarebbe stato da lui.
Devo dire che Vickas mi fa quasi tenerezza (quasi). Spero davvero che riesca a resistere fino alla fine. Pensate che dramma sarebbe se dovessero rimanere imprigionati entrambi i saiyan in quel luogo tremendo.
Bene, ciò detto, vi saluto, promettendovi maggiore puntualità.
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 59
*** Una cosa sola ***


CAPITOLO 59

UNA SOLA COSA

 
Gli era mancato il fiato. Era abituato alla rapidità del teletrasporto e a tutto quello che comportava, ma quella era stata un’esperienza del tutto diversa. Dolorosa, quasi. Si sentiva spossato, sfinito, e l’essere circondato dal nulla non lo aiutava a riprendere padronanza di sé.
Era una delle situazioni più assurde che avesse mai vissuto. E dire che non era esattamente nuovo a esse. Eppure, Goku non era mai stato così vicino a qualcosa e allo stesso tempo ne era stato così lontano.
Ne sentiva la presenza. Era lontana, ma era chiara. Loro erano lì, da qualche parte, e doveva sfruttare tutto il tempo che aveva a disposizione per trovarli.
Suo malgrado, il Son aveva scoperto che muoversi in quel posto non era affatto semplice. Era come avanzare nella gelatina, e non avere un punto di riferimento era tremendamente avvilente. Si meravigliava di come fosse in grado di vedere le sue stesse membra, considerando che stava avanzando in un qualcosa di indefinito, denso e più nero della notte. Sentiva quella sostanza insinuarsi ovunque: nelle narici, nelle orecchie, e questo era stranissimo considerando che era fatto solo di spirito e non di materia.
Era uno sciocco a meravigliarsi. Dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare, dopo tutto quello che aveva appreso, era assurdo continuare a esprimere stupore. Un saiyan millenario vittima di una maledizione aveva fatto sì che lui e Vegeta spezzassero l’incantesimo che teneva prigioniero un mostro spaventoso che aveva prima distrutto il mondo plasmandolo a suo piacimento, trucidato tutti gli esseri umani di sesso maschile, incoronato Vegeta re dei saiyan, ucciso Trunks per poi prendere possesso del suo corpo e tornare sulla Terra in carne e ossa. Poi aveva invitato i suoi amici a tornare indietro dal mondo dei morti accondiscendendo a ogni suo più assurdo desiderio, aveva fatto sì che Bulma lo uccidesse, si era scontrato con Vegeta ed era finito in quel posto dimenticato dagli dei insieme a lui, causando l’ennesimo scompiglio nelle loro vite sufficientemente movimentate.
No, non avrebbe più dovuto meravigliarsi di nulla, Goku.
Avrebbe dovuto solo stare attento e cercare di risolvere il tutto in tempi più che mai rapidi. Vickas non lo aveva detto con chiarezza, ma lui lo aveva intuito ugualmente: il tempo che aveva a disposizione era oltremodo limitato. Sforare di pochi secondi poteva significare rimanere intrappolati lì dentro per sempre, e per quanto potesse incuriosirlo l’idea di quello che poteva celare quello strano posto, lui voleva a tutti i costi tornare indietro e portare con sé quell’uomo che aveva imparato ad amare e rispettare come un fratello.
“Dove sei, Vegeta? Aiutami a trovarti… Aiutami”.
Avrebbe voluto urlarlo, ma si era trattenuto. Non sapeva bene cosa si nascondesse in quel posto, e non voleva avere ulteriori sorprese. Sperava che Vegeta, ovunque si trovasse, si fosse accorto della sua presenza e si palesasse. Lo aveva visto, grazie a Vickas. Era vulnerabile, stanco, ma purtroppo non era solo. Oozaru era momentaneamente fuori gioco, con grandi probabilità, ma non con certezza, e questo era un problema. Era un autentico problema.
“Ti prego amico mio. Ti prego. Non abbiamo molto tempo… Dimmi, dove sei? Dimmelo, Vegeta. Dimmelo!”.
“Kaharot!”.
Era arrivato da lontano, da così lontano da essere quasi impercettibile. Goku aveva alzato gli occhi al cielo, sbuffando. Doveva essere una cosa di famiglia, a quanto sembrava! Per questo motivo, aveva preso un respiro profondo e lo aveva chiamato nuovamente, concentrandosi sulla sua aura e su quello che stava cercando di dirgli. Ma era così difficile… Quella stupida cosa molliccia lo rendeva intontito, incapace di controllare al meglio le sue abilità, lo faceva sentire impotente, quasi. Eppure, Vegeta era lì, ed era estremamente vicino.
“Vegeta, devi sforzarti un po’ di più se vuoi che ti aiuti Ti prego… Solo un pochino in più!”.
Ma non era arrivato nessun tipo di risposta, nessun tipo di segnale da quello zuccone di un re! Va bene, era stanco. Ok, era provato, ma…
“Insomma! Mi vuoi dire o no dove sei! Dobbiamo andar…!” – ma l’aver urlato a pieni polmoni la sua frustrazione aveva fatto sì che quella gelatina si infilasse a gran velocità nella gola, soffocandolo. Se Vegeta avesse potuto, se fosse stato lì, davanti a lui, gli avrebbe detto che era un idiota. E Goku si sentiva realmente tale. Con difficoltà, aveva ingoiato quella cosa orribile, cercando di non pensare al bruciore che sentiva in gola e all’orrido sapore rimasto nella sua bocca. Forse, se fosse stato lì con il suo corpo, quella cosa lo avrebbe ucciso. Ma lui non era fatto di corpo: lui era spirito. Puro, impalpabile spirito, e doveva assolutamente sfruttare quell’inaspettato vantaggio a suo favore.
Per questa ragione, aveva preso qualche secondo per calmarsi e aveva ricominciato a camminare, veloce, sempre più veloce, fino a trovarselo davanti, in tutta la sua fragilità, esattamente come glielo aveva mostrato Vickas.
Gli si era avvicinato rapidamente, esitando solo un istante prima di allungare il braccio e provare a sfiorargli la pelle. Era stato l’ennesimo colpo al cuore vederlo in quelle condizioni. Non aveva sofferto abbastanza? La trasformazione in Oozaru aveva ridotto in brandelli i suoi abiti da civile, e Vegeta se ne stava lì, nudo e fluttuante a mezz’aria, pieno di lividi e ferite, con le vaste ustioni in bella mostra e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Sembrava che giacesse lì da secoli, in attesa che qualcuno lo risvegliasse da quel sonno mortale. Ma non era quello il momento di giocare al bell’addormentato. Vegeta doveva aprire gli occhi e doveva farlo subito se voleva salvarsi. Non poteva essere lui il guardiano di quel posto. Non poteva essere il carceriere di quel mostro. Assolutamente era fuori discussione.
E stava per dirglielo, Goku. Stava per scuoterlo, per dirgli di alzarsi e seguirlo quando una voce era giunta alle sue spalle e un dolore lancinante gli aveva mozzato il respiro.
“MUORI!”.
La voce era arrivata chiara, limpida alle sue orecchie, come se il figuro che lo aveva attaccato l’avesse urlato a squarciagola. Questo, però, non era avvenuto. Oozaru non aveva aperto bocca se non per mostrare i denti piccoli e candidi, se non per lasciare che un rivolo di sangue gli colasse lungo il mento, mostrando al mondo, a quello strano, imperscrutabile mondo, quali fossero le sue reali condizioni e quale fosse, nonostante tutto, la forza di cui ancora disponeva.
La mente di Goku era stata letteralmente invasa, ma il dolore fisico era stato insopportabile, e lo era stato al punto da annebbiargli la vista. L’immagine di Vegeta era sparita per un istante, e al suo posto c’era stato il buio, lo stesso buio che li circondava senza possibilità di appello.
“Non avreste dovuto farlo! NON AVRESTE DOVUTO METTERVI CONTRO DI ME! NON AVRESTE DOVUTO PORTARMI QUI DENTRO!”.
Goku aveva tentato di urlare dopo essere stato colpito una seconda volta, ma era stato nuovamente vittima della sostanza che lo circondava. Il panico lo aveva assalito. Lui era stato inviato lì per aiutare Vegeta, per riportarlo indietro, e invece stava per diventare l’ennesimo giocattolo di quella belva inferocita.
“Ve-Vegeta… S-svegliati” – lo aveva supplicato, cercando di non sembrare fin troppo disperato, fin troppo bisognoso della sua presenza. Non avrebbe mai smesso di prenderlo in giro, se mai fossero riusciti a uscire da quel maledetto posto dimenticato da tutti. E Goku si era meravigliato per l’ennesima volta, perché lui non era il tipo che pensava in negativo. Lui era ottimista, sempre. Perché cominciava a credere che non avrebbero avuto alcuna speranza?
“Vege-ta!”.
Un altro colpo, un altro e poi un altro ancora. Ormai, Goku era sdraiato a terra a pancia in giù, in preda al dolore e all’angoscia. Era come bloccato, pietrificato, non era più lui, e non riusciva a capire il perché.
Con grande fatica, aveva girato il capo quanto bastava per poter incontrare gli occhi di Oozaru e inorridire alla vista del corpo del piccolo Trunks orrendamente sfigurato. Era quasi impossibile pensare che stesse ancora in piedi. Gli mancava completamente il braccio destro sino all’altezza della spalla, non aveva più un occhio, era nudo, esattamente come Vegeta, e ricoperto da innumerevoli ustioni e ferite grondanti sangue. Eppure, il ghigno sul suo viso era spaventoso, famelico, desideroso di ottenere vendetta verso chi aveva osato imprigionarlo.
“Devo… Devo alzarmi… Dobbiamo farlo insieme… Dobbiamo farlo insieme, Vegeta!”.
E Goku ci aveva provato realmente, ma si era sentito morire non appena aveva provato ad alzarsi. E forse stava succedendo. Forse stava accadendo realmente, perché un malessere sconosciuto lo aveva pervaso e aveva cominciato a notare un fatto inspiegabile: stava lentamente diventando trasparente.
“DEVI SPARIRE! TU E QUEST’ALTRA NULLITA’ DOVETE SPARIRE! VOI SIETE CIO’ CHE SIETE ANCHE GRAZIE A ME E AVETE OSATO RIBELLARVI! DOVETE SPARIRE!”.
Lo aveva visto chiaramente: Goku aveva visto una sfera di energia violacea concentrarsi nella mano superstite di quel maledetto parassita. Tutto aveva cominciato a tremare. Se fosse stato investito da quel colpo non sarebbe sopravvissuto, Goku lo sapeva perfettamente. Ma sapeva anche che Oozaru non avrebbe più avuto energie a sufficienza per fare altro, dopo. Forse, era quello che avrebbero dovuto realmente fare? Avrebbero dovuto farsi uccidere e far sì che Oozaru scaricasse completamente le pile? Era questo che voleva da loro, Vickas?
Aveva deciso. Non sarebbe intervenuto. Avrebbe lasciato che Oozaru li uccidesse. Sì, era quella la strada giusta. Era ormai pronto a sparire per sempre da qualsiasi mondo o realtà conosciuti, anche se con qualche piccolo rimorso. Non avrebbe potuto tenere fede alla promessa che aveva fatto. Non avrebbe potuto riunire la sua famiglia e quella di Vegeta. Non avrebbe potuto permettere a Bulma e a Trunks di tornare a sorridere. Non avrebbe potuto permettere a Chichi di invecchiare al suo fianco e ai suoi figli di renderlo un nonno fiero e amorevole dei suoi nipotini. Ma era giusto così. Era giusto scrivere la parola fine e sacrificarsi per un bene superiore. Era giusto farlo accanto a Vegeta, che aveva dato così tanto per quella causa. Era giusto farlo e basta.
Per questo, Goku aveva sorriso e aveva chiuso gli occhi, attendendo l’arrivo della fine. Per questo, avrebbe rinunciato a tutto.
E l’esplosione di energia c’era stata, ma niente di quello che Goku aveva previsto era accaduto. Questo perché qualcuno l’aveva protetto, facendogli da scudo. Questo perché l’uomo che era venuto a salvare aveva appena salvato lui.

 
*
 
Era finita. Era davvero finita.
In silenzio, chi era rimasto in quella maledetta dimora aveva raccolto le spoglie dei propri cari o aiutato i feriti a rimettersi in piedi, per poi lasciarsi alle spalle quel luogo simbolo di sofferenza e morte, per lasciarsi dietro il giardino e la porta rossa che li aveva separati per sempre dal male ma anche dall’uomo che aveva ridato loro la libertà.
Chichi aveva preso tra le braccia Goten, lasciando l’onere a un Gohan ancora molto frastornato di portare con sé il corpo senza vita di un altro eroe che li aveva sorpresi con il suo zelo e il suo coraggio
Le donne, quelle valorose, impavide donne, avevano raccolto le sorelle cadute e avevano seguito senza esitazioni quel gruppo così eterogeneo eppure così compatto, quel gruppo che le aveva sconvolte con le sue abilità e il suo affiatamento, quel gruppo che aveva aiutato quell’enorme scimmione a sconfiggere l’altro mostro, quello ancora più grande e spaventoso, quello che tutti insieme avevano spinto dietro quell’enorme porta rossa.
Era finita. Era davvero finita, eppure non c’era gioia tra i presenti. Chi apparteneva al gruppo di amici che gravitavano attorno a Goku sapeva cosa e quanto avevano perso. Gli altri no. Eppure, nell’aria c’era una forte sensazione di sconforto, un forte senso di angoscia. Niente, dopo quei tragici eventi, sarebbe tornato più come prima. Niente avrebbe potuto far sì che si potesse dimenticare quello che avevano visto e vissuto. La stanchezza era tanta, la pena era ancora di più. Il loro avanzare era senza meta. Come degli automi, avevano messo un piede davanti all’altro ed erano usciti, cercando in ogni dove un segno, un segnale, un indizio. Cercando una ragione per non desiderare di morire, per non desiderare di sparire come avevano fatto Vegeta e Oozaru.
Chichi era stanca. Non credeva che le cose sarebbero andate in quel modo. Non credeva che avrebbero potuto perdere un altro membro del gruppo, uno così importante, poi. La perdita di Vegeta era stata troppo dolorosa. Ora, della famiglia Brief non c’era più nessun membro vivente. Non c’erano più i vecchi coniugi Brief, non c’era più Bulma, non c’era più Vegeta, non c’era più il piccolo Trunks. Un’intera famiglia era stata trucidata dalla follia di un pazzo criminale assassino con manie megalomani. E chissà quante altre avevano vissuto lo stesso dramma. Chissà quante vite innocenti erano state spezzate a causa sua.
Piangeva in silenzio, Chichi. Le lacrime le impedivano di vedere con chiarezza il visino del suo piccolo Goten, di quel piccolo eroe che aveva aiutato Vegeta a sconfiggere il nemico. Piangeva per il dispiacere di aver perso degli amici sinceri, e non solo. Piangeva perché, al contrario di quello che credeva il suo primogenito, era impossibile prenderla in giro. Piangeva perché le era stato impossibile non notare il grande assente. Piangeva perché sentiva di aver perso per sempre l’altra metà del suo cuore.
“Mamma…” – la voce di Gohan l’aveva raggiunta come un’eco lontana, distogliendola dai suoi pensieri. Era vedova, e lo era di nuovo, ma sarebbe stata comunque una mamma, e una madre non poteva permettersi di prendersi pause dai suoi figli. No: Goku non c’era più, Vegeta e i suoi cari neppure, ma lì c’erano i suoi figli. C’erano Gohan e Goten e c’era lei, la piccola, distrutta Videl, rimasta orfana dopo la morte di suo padre. Avrebbe dovuto essere forte e prendersi cura di loro come avrebbe fatto una leonessa con i suoi cuccioli, perché questo era agli occhi di tutti: una feroce e ruggente leonessa.
“Sì, Gohan?” – aveva risposto lei, tirando su col naso.
“Io… Ecco…” – era molto difficile. Era difficile aprirsi, essere sinceri, raccontarle quanto realmente era accaduto e quello che ancora doveva avvenire. Avere delle abilità straordinarie come quelle che aveva ereditato da Vickas comportava responsabilità immani. Sperava solo di avere spalle abbastanza larghe per poter sopportare quell’incombenza.
“Tesoro, non c’è bisogno che tu dica qualcosa”.
“Ma… Mamma… Io…” – possibile che sapesse già ogni cosa?
Certo che lo sapeva. Era stato un idiota a credere il contrario. Magari non era in possesso di abilità psichiche, ma sua madre non era una donna qualunque. Sua madre era Chichi, una guerriera e una donna fuori dal comune, e niente avrebbe mai potuto farla crollare.
“Ora, tesoro, dobbiamo ripartire dalle macerie lasciate da quel mostro e aiutare tutti a trovare un nuovo cammino. Se riuscissimo a trovare le sfere del drago potremmo facilitare le cose, ma se così non dovesse essere, dovremmo fare in modo di far andare lo stesso bene ogni cosa con i mezzi che abbiamo, per quanto siano esigui. Dobbiamo solo stare insieme e sforzarci di pensare che tutto andrà meglio. Non rendiamo il loro sacrificio vano… Non lasciamo che siano morti per nulla”.
Tutti si erano fermati per ascoltare le sue sagge parole. Era incredibile quanto fosse cresciuta quella donna in così poco tempo. Quella traumatica esperienza l’aveva profondamente cambiata, rendendola più matura e più forte di quanto non fosse mai stata. Eccola lì. Chichi. Con le sue fragilità e la sua tenacia. Eccola che avanzava verso un mondo che avrebbe aiutato a ricostruire.

 
*
 
Gli aveva fatto scudo col suo corpo. Era assurdo che ciò fosse capitato sul serio, eppure le cose erano andate proprio in quel modo. Vegeta si era svegliato e lo aveva protetto, impedendo al colpo di Oozaru di andare a segno. Goku, che credeva di essere ormai prossimo a sparire per sempre, aveva aperto gli occhi e se l’era trovato davanti, altezzoso, fiero, seppur ferito e stanco.
“Tsk! Si può sapere che ti è preso, razza di idiota?”.
Glielo aveva detto con il suo solito tono sprezzante, continuando a dargli le spalle. Era guardingo, ma era impensabile comprendere come facesse a stare ancora in piedi. Le sue ferite erano spaventose, proprio come quelle di Oozaru. Eppure, quelle due rocce erano lì. O meglio, Vegeta era lì, mentre Oozaru era crollato sulle ginocchia e aveva il capo chino, in una inquietante posizione che ricordava quella di un condannato a morte per decapitazione.
A fatica, Goku si era rimesso in piedi. Aveva dolori in tutto il corpo, e aveva notato di aver quasi perso la consistenza di un braccio.
“Non abbiamo molto tempo, prima che si riprenda… Quello è fatto di acciaio. Maledetto…”.
Vegeta non si era mosso di un centimetro. Continuava a stare lì, a proteggerlo, a vegliare su di lui. Ma questo non poteva durare in eterno. Goku doveva darsi una mossa, o lo squarcio si sarebbe richiuso e loro non sarebbero mai più potuti andare via da lì.
“Vegeta…”.
“Tsk! Lo so, razza di imbecille. Dimmi solo quando sei pronto a farlo”.
Si era girato leggermente e aveva sorriso, mostrando la sua stanchezza ma anche la sua tenacia. Eccolo, il Vegeta che aveva conosciuto. Ecco il re dei saiyan.
“Quando vuoi, mio re”.
“Che fai? Mi prendi in giro?”.
“Non lo farei per nessuna ragione al mondo”.
“Pensi che faccia male?”.
“Non lo so… Forse, può dare una strana sensazione… Ma non lo sapremo fino a quando non lo faremo”.
“Tsk! Temo che tu abbia ragione, anche se mi infastidisce ammetterlo”.
“Sei sempre lo stesso…”.
“Tsk! Se non lo fossi, non ci sarebbe più gusto”.
Ed era vero. Se Vegeta non fosse stato così pungente non ci sarebbe stato più gusto.
Oozaru aveva alzato di scatto il capo, mostrando due occhi rossi come il fuoco. Era irriducibile, ma Vegeta e Goku sapevano che insieme sarebbe stata un’altra cosa. Perché loro erano gli ultimi saiyan di razza pura. Perché loro erano il re e il suo più fidato guerriero.
Così, senza che nessuno dicesse loro niente, senza che nessuno fornisse loro delle istruzioni, lo avevano fatto. Era stata la cosa più naturale e istintiva del mondo. Ed era stato più di una fusione, più di un’unione tra corpi. All’anima di Goku, a quello spirito evanescente e stanco, era stato concesso un posto accanto all’anima di Vegeta. Due spiriti in un solo corpo. Due essenze con le stesse membra, con lo stesso cuore, con lo stesso desiderio di distruggere definitivamente chi aveva osato sfidarli.
Non era più una questione di profezie, o di risvegli, o di destino. Erano stati loro a dirigere i giochi, a scrivere a piacimento le pagine ancora in bianco delle loro vite. Il futuro era nelle loro mani. E loro lo avrebbero plasmato a piacimento.
Noi” – stavolta lo avevano detto a voce piena, mentre si alzavano in piedi in un turbinio di auree e scariche elettriche – “Noi, che siamo uno e due insieme, ti bandiamo da questo mondo e da altri mondi esistenti”.
“Sciocchi! Pensate davvero di potermi battere?”.
Noi abbiamo decretato la tua condanna a morte” – e quel nuovo essere i cui occhi si erano illuminati di rosso aveva alzato un braccio, aprendo il palmo davanti a sé.
STOLTI!”.
Elettricità si era addensata in quel palmo, elettricità che stava prendendo forma.
Noi siamo il boia che porrà fine alla tua vita”.

Continua…


Eccomi qui, anche se con un pochino di ritardo (come al solito).
La mia vita è parecchio avventurosa, negli ultimi tempi. Martedì ho soccorso il trovatello che abita sotto casa mia da quasi un anno, Nerino. Era stato azzannato da grossi cani e l’ho trovato in condizioni pietose. Fortuna vuole che il mio veterinario sia bravissimo e che lui abbia una tempra bella forte, altrimenti non sarei qui a dirvi che “siamo” in via di guarigione. =)
Ora cerca una mamma e un papà. Spero di poterli trovare al più presto. <3
Ma torniamo a noi. Dunque. Penultimo capitolo. Stavolta per davvero.
Sono emozionata e tesa allo stesso tempo. Spero tanto che vi sia piaciuto e che sia quello che aspettavate. Sono così in ansia!
Poi, voglio ringraziarvi per tutto il tempo che mi avete dedicato. Mi sembra il minimo. E vorrei scusarmi per i ritardi, gli errori/orrori e per tutto quello che avete fatto per me in questo lungo periodo trascorso insieme.
Bene, ora la smetto o inizio a piangere.
Al prossimo capitolo ne riparleremo!
A presto!
Un bacino
Cleo

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Capitolo 60
*** Un degno finale ***


CAPITOLO 60

Un degno finale

 
La terra aveva tremato. Era stata una scossa forte, fortissima e improvvisa. Chichi si era buttata addosso alla piccola e fragile Videl, cercando di non mostrare il terrore che stava provando. Lo stesso avevano fatto gli altri, chi con maggiore prontezza, chi con qualche esitazione, ma sempre nella speranza di riuscire a proteggere le persone amate. Gohan e Junior avevano creato delle barriere energetiche attorno al gruppo dei superstiti. Non avrebbero potuto impedire loro di avvertire gli scossoni, ma almeno sarebbero stati al riparo dalle macerie.
“Mio Dio! Ma che cosa sta succedendo? Gohan, diccelo!”.
Crilin aveva pensato immediatamente che il giovane saiyan erede del potere di Vickas sapesse cosa aveva provocato quell’improvviso terremoto e, in effetti, Gohan sarebbe stato in grado di sapere, se non fosse stato così tanto distratto. Il dolore della povera Videl e la perdita di conoscenza dell’adorato fratellino avevano interrotto il labile seppur presente contatto con l’uomo che gli aveva permesso di ottenere abilità straordinarie. Gohan lo sentiva, sapeva che era lì, ma non era abbastanza concentrato da porre le giuste domande, dal chiedere cosa stava accadendo, dal sapere senza troppi giri di parole, senza troppe esitazioni, chi o cosa stesse facendo tremare il loro mondo.
“Figliolo…” – la voce calda di Junior lo aveva distolto dai suoi pensieri negativi. Il namecciano sapeva sempre come calmarlo, come aiutarlo, e lo stesso aveva fatto anche quella volta solo chiamandolo come neanche suo padre era solito fare.
“Junior… Non riesco a capire…”.
“Ma puoi farlo… Devi solo stare calmo… Devi stare calmo e concentrarti”.
“Ma è così difficile…”.
Junior sembrava impassibile. Era come se le scosse non lo riguardassero, come se non le avvertisse neppure. Era lì, in mezzo a quel gruppo di donne coraggiose, con le mani levate in aria e l’espressione seria mentre impediva ai detriti di cadere rovinosamente su chi aveva dimostrato di tenere alla vita più di ogni altra cosa al mondo.
Come si poteva non ammirarlo? Come si poteva non trarre forza da lui? Junior non era stato un semplice maestro, per Gohan. Era stato molto, molto di più, e continuava a esserlo ogni giorno, con la sua semplice presenza.
“Non devi più avere paura”.
E Gohan aveva annuito, chiudendo gli occhi e concentrandosi. No: lui non aveva più alcuna paura.

 
*

Paura.
Era quello il sentimento che per la prima volta in tutta la sua vita, la divinità che rispondeva al nome Oozaru stava provando. E non riusciva a credere che fosse a causa di un essere così insignificante se stava tremando. Quella nullità, quel saiyan così vile e piccolo lo aveva messo all’angolo, riducendo non solo il suo tramite, ma anche la sua reale essenza a un ammasso informe di sangue e materia ancestrale. Come aveva fatto? E come poteva aver resistito alla sua potenza. Era un uomo! Solo un maledettissimo uomo! Le abilità che aveva erano un suo dono, la capacità di tramutarsi in oozaru era solo una pallida ombra di quello che egli era in grado di fare! Eppure, quel misero omuncolo insieme a quel branco di invertebrati che abitavano sul pianeta Terra, erano stati in grado di respingerlo sino a farlo entrare con l’inganno in quel posto dimenticato dagli dei, in quel luogo da cui niente veniva e niente tornava indietro, se non a costo di un sacrificio immane.
Gli dei non avevano esitato, stavolta. Solo grazie a loro era stato possibile aprire la porta rossa. Quel branco di decerebrati che lo aveva condannato all’esilio eoni addietro non era formato da divinità poi così codarde come credeva! Avevano sacrificato le loro stesse esistenze pur di fermarlo.
Era certo che gli eredi di coloro che lo avevano imprigionato la prima volta non sarebbero intervenuti. Del resto, lo avevano lasciato giocare con i terrestri senza muovere un dito, gli avevano permesso di prendere il corpo di Trunks, di tornare a camminare sulla Terra in maniera concreta e tangibile, nel pieno delle sue forze e del suo vigore, mettendo tutto nelle mani di Vegeta e di Goku. Eppure, si era sbagliato.
Che avessero fatto bene, alla fine dei conti?
Quel Goku, poi… Kaharot, come lo chiamava Vegeta… Lo aveva fatto uccidere… Avrebbe dovuto vagare nel limbo al confine tra i due mondi, invece eccolo lì, dietro la porta rossa, insieme a lui e al re dei saiyan. Non poteva essere un caso. Dietro tutto ciò doveva esserci lo zampino di qualcuno, e cominciava a pensare di aver capito chi fosse la causa dei suoi continui fallimenti.
“Vickas…” – lo aveva sussurrato appena, noncurante dell’orrida sostanza che lo circondava. Sì, doveva essere colpa sua… Quel verme schifoso aveva architettato tutto a sua insaputa. Dopo tutto quel tempo, dopo che aveva creduto di averlo in pugno, di averlo ai suoi piedi, era stato tradito.
Gli aveva dato tutto. Potere, abilità straordinarie, ma lo aveva tradito ugualmente. Di nuovo, per giunta. Vickas, la sua creatura prediletta, quella che aveva plasmato a suo piacimento, era sfuggito al suo controllo. E lui, così impegnato a trovare il modo di sfuggire alla prigionia cui era stato costretto, così desideroso di ottenere il potere che aveva sempre agognato, non si era accorto di aver cresciuto una serpe in seno.
Sì… Doveva essere tutta opera sua. Era tutto frutto delle sue macchinazioni.
Ogni istante che trascorreva, il dubbio diventava certezza.
La volontà e la costanza nel volerlo liberare si era manifestata solo perché potessero giungere a quel momento. Quel lurido verme non voleva solo imprigionarlo e far sì che il peso della sua guardia ricadesse su un altro. Quel maledetto voleva ucciderlo! Ma nessuno avrebbe potuto sconfiggere un dio, nessuno! Neppure quello strano essere formato dalla singolare unione di due spiriti e un solo corpo. Nessuno avrebbe mai potuto fermarlo.
Goku e Vegeta avanzavano. Non vi era nessuna particolare espressione su quel volto conosciuto eppure così nuovo. Non era Goku. Non era Vegeta. In alcuni istanti sembrava che fosse l’uno, in altri che fosse l’altro, in altri ancora, che fosse una creatura completamente diversa e nuova.
Come aveva potuto, Vickas, giungere a maturare un simile piano? Quando aveva avuto il tempo di calcolare ogni cosa? Come aveva fatto, poi?
Non capiva cosa fosse in realtà quell’essere, né quale fosse la sua reale potenza. Sapeva solo di avere paura, Oozaru.
Ma sapeva anche che non poteva permettere che finisse in quel modo.
La creatura nuova e vecchia ormai lo aveva quasi raggiunto. Il piede destro avanti, poi il sinistro, poi di nuovo il destro e così via, con una lentezza snervante, con una calma addosso che non sembrava neppure reale.
“Noi siamo il boia” – aveva ripetuto – “E tu stai per essere condannato a morte”.
Gli occhi brillavano come rubini posti dinnanzi a un focolare acceso. Quei tizzoni ardenti avevano catalizzato l’attenzione di Oozaru molto più dell’energia accumulata davanti al palmo sospeso a mezz’aria. Volevano spazzarlo via. Volevano ucciderlo e lui non credeva di avere le forze necessarie a respingere un simile attacco. Era ferito, stravolto, in fin di vita, ma ancora deciso a far tremare chi aveva di fronte.
“Pensi che io abbia paura? Eh? Pensi che io possa tremare dinnanzi a te, nullità? Io non sono un comune mortale! IO SONO UN DIO!”.
Aveva allargato il braccio superstite, tirando la testa indietro. Degli splendidi capelli lilla di Trunks non era rimasto quasi niente. Delle morbide guance da bambino, neppure. Era un mostro quello che si ergeva davanti a loro, un mostro che stava mutando faticosamente, prendendo nuovamente la forma di oozaru. Perché lui era quello, lui era il feroce e potente dio Oozaru, la divinità davanti a cui gli uomini tremavano e a cui si rivolgevano per ottenere vendetta, l’essere che aveva preso e mai dato, colui che sarebbe diventato il padrone incontrastato dell’universo intero!
Con un ruggito, aveva raggiunto la sua forma finale. Se possibile, era diventato ancora più grande e imponente di prima, ancora più spaventoso per via delle mutilazioni che lo sfiguravano. Aveva ringhiato, Oozaru, ruggendo minaccioso verso il nulla che lo circondava, cercando di intimorire il piccolo, per lui insignificante essere che aveva davanti.
Non si era neanche trasformato. Davvero credeva di poterlo battere in quello stato così primordiale e debole? Non c’erano riusciti i saiyan di allora, e non ci sarebbero riusciti neanche loro!
E poi, aveva notato una cosa: Goku era arrivato lì in un secondo momento, giusto? Ciò voleva dire che esisteva un modo per uscire fuori da quella prigione, che poteva fuggire! Sì… Certo che sì.
Avrebbe solo dovuto disintegrare quella nullità e trovare la via d’uscita. Dopo, chi avrebbe potuto contrastarlo? Le divinità non c’erano più, sacrificatesi per permettere alla porta rossa di aprirsi. Vickas era morto. I terrestri erano deboli e inutili, ed eliminati quei due, nessun guerriero sarebbe stato alla sua altezza, neppure i figli di Goku. Doveva chiedere solo un ultimo sforzo a se stesso. Un ultimo, seppur incredibile, sforzo.
Aveva gettato nuovamente l’enorme testa pelosa indietro, ruggendo con ferocia. Da quella posizione innaturale e sbilenca, aveva spalancato le fauci, accumulando energia nel fondo della gola.
Conoscevano bene quella tecnica. Chiunque aveva avuto a che fare con un oozaru la conosceva, e chiunque avrebbe iniziato a tremare. Ma non loro. Non il boia. Con una calma innaturale, si era librato a mezz’aria. Ormai, l’energia elettrica si era propagata dal palmo della mano sino ad avvolgerlo completamente.
Energia. Era pura, splendente energia.
E quando Oozaru aveva provato a scagliare il suo attacco, quel nuovo essere aveva fatto lo stesso.
Poco prima di lanciare l’immenso lampo di energia proveniente dalle sue fauci, stranamente, Oozaru aveva incrociato gli occhi ardenti del suo nemico e si era bloccato. I peli si erano rizzati sulla nuca e alcuni, improvvisamente, avevano perso colore, diventando bianchi come la neve. Schiavo di quei tizzoni ardenti, contrastato da quella creatura nata per fare giustizia, si era paralizzato e nell’istante prima della fine, tutto gli era stato chiaro.
Nel buio di quella prigione, improvvisamente dissipato dalla luce prodotta dall’aura immacolata di chi si ergeva davanti a lui, li aveva visti: uno era lì, alla sua destra, l’altro era a sinistra, e l’ultimo, il più piccolo ma il più forte e coraggioso tra tutti, torreggiava lì, in alto, serio e fiero nonostante tutto. Ecco lì, il re, il suo suddito e il principe. Il primo, l’ultimo e l’erede, coloro che avrebbero dovuto rappresentare il presente e chi avrebbe dovuto rappresentare il futuro. Eccoli lì, i saiyan. Gli uomini che c’erano stati prima e dopo la venuta di Oozaru. Ed eccoli lì, tutti insieme, pronti a distruggere l’essere che aveva causato così tanto male nel mondo. Eccoli lì, pronti a dare tutto quello che avevano.
Era successo tutto in un lasso di tempo brevissimo.
In un’esplosione di energia che non si era vista neppure durante lo scontro finale contro Majin-Bu, Oozaru era svanito, sotto gli occhi terrorizzati e tremanti di chi, come lui, era stato condannato alla prigionia eterna.
Sotto lo sguardo ardente della creatura e dei suoi antenati, Oozaru era sparito per sempre.

 
*

“Siamo salvi?” – Crilin aveva avuto paura di chiedere, all’inizio, ma erano trascorsi diversi secondi dall’ultima scossa, i calcinacci avevano smesso di cadere e sembrava, finalmente, che la terra avesse smesso di tremare.
Senza esitare, le donne si erano rimesse in piedi, occupandosi dei superstiti e cercando repentinamente una via di fuga sicura. Quel posto, stranamente, stava cadendo a pezzi, e loro non volevano essere vittime di ciò che restava del simbolo del potere di Oozaru.
“Ce ne andiamo” – aveva detto colei che le capeggiava – “Non è sicuro stare qui”.
Con celerità, ignorando ferite e fatica, si erano dirette verso l’uscita, mostrando la ferrea volontà di lasciarsi alle spalle tutto quello che il breve dominio di un mostro aveva causato.
E lo stesso avevano fatto i nostri amici, seppur con qualche esitazione, seppure con un dubbio non svelato ma segretamente condiviso.
“Qualcosa non va… Ma non capisco di cosa si tratti” – Yamcha non si era preoccupato di sussurrarlo. Aveva lo sguardo fisso dietro di sé, proprio in direzione della porta rossa, e sembrava in allarme. Lo stesso valeva per C 18, per Crilin, e Chichi non aveva potuto non notarlo.
“Che cosa sta succedendo, ragazzi?”.
“Non lo sappiamo… Non riusciamo a capire… Ma… JUNIOR! GOHAN! CHE COSA STATE FACENDO?”.
Crilin non riusciva a credere che lo stessero facendo realmente: invece di raggiungere insieme a loro l’uscita, allievo e maestro avevano imboccato il percorso a ritroso, dirigendosi proprio davanti alla porta rossa, davanti alla maledetta porta rossa che li separava dal demonio in persona.
“GOHAN! TI PREGO, FIGLIOLO! TORNA INDIETRO!”.
Ma nessuna supplica sarebbe stata in grado di raggiungerlo e di impietosirlo.
“Junior… Lo hai sentito?” – era in trepidazione. Non poteva essersi sbagliato. Era impossibile. Quello era lui. Anzi, erano loro. Non poteva assolutamente essersi sbagliato.
Junior aveva esitato, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Era stato un attimo, ma lo aveva percepito con chiarezza. Era Goku. E non era solo lui quello che aveva percepito. Aveva percepito anche Vegeta. Eppure, non erano realmente loro. Non avrebbe saputo come spiegarlo, né a se stesso, né a Gohan, né a chiunque altro.
“Figliolo…”.
“Perché papà si trova lì? Perché? PAPA’!! PAPAAAAAA’!!!” – lo aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, prendendo la pugni la liscia superficie scarlatta.
“Papà…” – sarebbe stato sciocco credere che avrebbe potuto ricevere una qualche risposta, ma ci aveva provato ugualmente. Suo padre non poteva trovarsi là dietro, non aveva senso. Non si trovava lì con loro quando, insieme a Vegeta, avevano spinto Oozaru oltre la soglia della loro dimensione. Che cosa era potuto accadere?
Aveva preso un profondo respiro, estraniandosi da tutto ciò che lo circondava. Tutto, pian piano, aveva cominciato a perdere consistenza. Neanche la voce di Junior era stata capace di deconcentrarlo. Ed ecco che i suoi occhi si erano aperti nel buio, in un luogo oltre lo spazio e il tempo, oltre ogni dimensione possibile, e avevano visto. Avevano visto Vegeta, quello che era diventato, avevano visto elettricità nell’aria e le figure che gravitavano lì attorno, fiere e impassibili, per poi capire, finalmente, che le cose sarebbero state finalmente come dovevano essere, per poi capire che, finalmente, di Oozaru non vi era più traccia.
“FIGLIOLO!”.
Si era accordo di essere estremamente sudato, una volta ritornato in sé. Junior lo aveva aiutato per un brevissimo istante a rimanere sospeso, giusto il tempo che gli era servito per riprendere padronanza di se stesso. Avrebbe voluto spiegare quello che aveva visto, ma gli erano mancate le parole. Troppo grandi erano stati gioia e sgomento nell’apprendere la verità. Vegeta aveva battuto Oozaru. Vegeta, insieme al supporto di qualcuno che conosceva come le sue tasche.
Tremante, si era girato verso il suo mentore, abbracciandolo con tutta la forza di cui disponeva. Aveva gli occhi bagnati dalle lacrime, Gohan.
“Ragazzo… Che cosa…” – Junior aveva poggiato entrambe le mani sulle spalle del suo protetto, sorridendo. E sorrideva, Junior, perché aveva capito. Vickas ci aveva visto giusto, alla fine. Da abile giocatore di scacchi qual era, aveva previsto ogni cosa, facendo sì che la conclusione di quella spiacevole vicenda fosse esattamente quella che aveva preventivato.
“Ce l’hanno fatta… Ci sono riusciti… Ce l’hanno fatta, Junior!”.
Chichi e gli altri, che nel frattempo li avevano raggiunti, li stavano guardando, immobili. Avrebbero tanto voluto sapere cosa fosse accaduto, come mai Gohan fosse così scosso, ma non avevano osato muovere un ulteriore passo. C’era tensione fra loro, voglia di sapere cosa avesse turbato tanto l’erede dei poteri di Vickas, ma rovinare quel momento sarebbe stato come distruggere un fiore delicato. Di una cosa, però, erano certi: che quelle del giovane Son non fossero lacrime di dolore, ma di pura, irrefrenabile gioia.
“Alla fine, Vickas aveva ragione… Avevamo le carte giuste per batterlo… Sembra incredibile, ma è così”.
Il namecciano aveva atteso che Gohan si scostasse da lui prima di parlare, ma non aveva osato mollare la presa sulle sue spalle. Voleva che il suo allievo, che quel ragazzino che aveva cresciuto, si sentisse al sicuro accanto a lui. Lo amava come un figlio, forse anche di più, e non poteva sopportare di vederlo soffrire.
“Sì… È incredibile, ma è proprio così… Hanno sconfitto un dio… Ci pensi, Junior? Oozaru non esiste più! E tu sapevi che le cose sarebbero andate esattamente in questo modo… Ho ragione?”.
Non aveva risposto. Negare sarebbe stato vile, ma ammetterlo lo sarebbe stato in egual modo. Si sentiva strano, Junior, colpevole e innocente allo stesso tempo. Quando re Kaioh e le altre divinità dell’Aldilà lo avevano portato nel loro mondo, costringendolo a fuggire come un codardo, credeva che fossero del tutto usciti fuori di senno. Sparire proprio ora che c’era così bisogno di loro? Perché mai abbandonare tutti in un momento così delicato? C’erano nemici da battere, come potevano rimanere nascosti e non fare niente?
Re Kaioh gli aveva chiesto di placare il suo animo tormentato, supplicandolo, quasi, di ascoltare ciò che avevano da dire, e Junior aveva dovuto ingoiare il rospo, acconsentendo alla richiesta del simpatico e buffo sovrano, anche se gli era costato molto, molto più di quanto avrebbe mai immaginato.
Junior avrebbe voluto dire tante cose, a Gohan, ma non era quello il momento. E sì, sapeva che le cose sarebbero andate per il meglio, che Oozaru sarebbe stato sconfitto. Lo sapeva perché era a conoscenza del costo che aveva il sacrificio fatto dagli dei , lo sapeva perché… Perché lo sentiva nel profondo del cuore.
E avrebbe dovuto sentirlo anche Gohan, a quel punto. Per via del suo legame con Vickas, per via della sua nuova natura, così grande eppure così difficile da gestire.
“È finita. Solo questo conta”.
Ed era vero. Solo quello contava. Se non fosse stato solo per un piccolo particolare di cui nessuno si era accorto prima che una vocina non lo facesse notare loro.
“Mamma… Mammina…”.
“Goten? GOTEN!” – Chichi aveva gli occhi colmi di lacrime di gioia. Il suo piccolo si era svegliato! Goten si era svegliato e stava bene.
“Mammina… La porta… La porta!”.
Lo avevano sentito tutti, chiaramente, e si erano girati proprio nel punto indicato dal bambino con estrema sicurezza, reagendo nei modi più diversi.
“Sta svanendo” – aveva constatato C 18 – “La porta sta svanendo!”.
“Ha ragione! Guardate! Sta sparendo per davvero!”.
La leggerezza di quel momento aveva impedito loro di vedere quale fosse l’espressione dipintasi sul volto di Gohan.
“No…” – aveva sussurrato appena, protraendosi in avanti – “No… No… NO! NOOO!”.
Panico. Era stato assalito dal panico. Se la porta stava svanendo, perché in qualche modo legata alla presenza – materiale e non – di Oozaru sulla Terra, ciò poteva voler dire solo una cosa, una maledettissima, spaventosissima cosa.
“VEGETA! PAPA’! NO!”.
Aveva provato a fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non c’era stato modo di rendere le cose reversibili. Man mano che i secondi passavano, la superficie rossa diventava sempre più evanescente, e di lì a poco non sarebbe stata che un lontano, spaventoso ricordo.
Non poteva permettere che ciò accadesse. Non poteva perdere suo padre e Vegeta. Non poteva e basta!
“Per favore, no… Papà… Vegeta… No… NO!”.
Aveva ricacciato indietro le lacrime, creando una bolla attorno a sé nella speranza di riuscire a concentrarsi, nella speranza di ripetere quello che aveva fatto poc’anzi e di fare anche di più. Voleva mettersi in contatto con loro, Gohan. Voleva raggiungere Vegeta e chiamarlo a squarciagola, dirgli di non perdere la speranza, di non mollare perché non li avrebbe abbandonati per nessuna ragione al mondo, nessuna. A costo di perdere la vita.
Ma era difficile. Troppo, forse. E sarebbe stato impossibile se una voce familiare, ma stanca, tremendamente stanca, non lo avesse raggiunto, facendolo sussultare.
“Vickas?”.
“Mi hai sentito, finalmente…”.
“Sì. Sì, ti sento! Dove sei, Vickas? Ho bisogno di te! Papà e Vegeta sono lì dentro, loro…”.
“Ascolta, ragazzo… Non c’è molto tempo, ormai… Comincio a non farcela più”.
“Che vuoi dire?”.
“Ho bisogno di te, Gohan… Subito. Aiutami, e li tireremo fuori”.
“Dimmi cosa devo fare. Sono qui, Vickas. Per loro e per te”.

 
*

Non si erano resti conto di cosa fossero stati realmente in grado di fare fino a quando non lo avevano fatto. Era stato strano… Strano e diverso.
Non avrebbero saputo spiegarlo, ma era come se loro non fossero mai stati fisicamente protagonisti e risolutori di quello scontro. Era stato, più che altro, come se lo avessero visto al di fuori, alla stregua di spettatori di un film o di un’opera teatrale. Avevano visto tutto. Così come non solo avevano visto, ma avevano percepito la presenza dei saiyan di un tempo. Perché si trovassero lì non lo avevano capito. Quella non poteva essere la loro dimora eterna, non poteva essere il loro posto, eppure erano lì. Re, principe e suddito, uniti insieme a loro nella sconfitta di quel mostro spaventoso che li aveva maledetti.
Non si erano mai sentiti così forti e potenti e allo stesso tempo così calmi e pacati. Sapevano di potercela fare. Sapevano di aver raggiunto uno stadio superiore a quanto avrebbero mai potuto ottenere. Sapevano di essere diventati qualcosa che andava al di là del super che avevano ottenuto con sudore e lacrime.
Quando erano tornati a essere due individui separati, entrambi i saiyan avevano provato una sensazione di spiacevole mancanza, ma nessuno dei due aveva osato dire qualcosa a riguardo. Sarebbe stato fuori luogo e imbarazzante, soprattutto in un momento come quello.
“Stai bene?” – si era limitato a chiedere Goku, stanco e provato.
“Tsk! Mai stato meglio” – ma la voce di Vegeta tradiva stanchezza ed emozione, e non era difficile comprenderne le ragioni. Avevano sconfitto Oozaru. La sua aura non era più percepibile in alcun modo, ma quello aveva comportato una conseguenza probabilmente irrimediabile. La potenza della loro azione combinata aveva completamente distrutto l’essenza di quel mostro, ma anche il suo tramite, e questo poteva voler dire solo una cosa.
“Vegeta…”.
“Ti prego, Kaharot… Non dire niente…” – lo aveva interrotto bruscamente, mentre abbandonava il capo indietro, cercando di darsi dignità – “Sono qui, con te, nudo… Vorrei evitare di rendermi ancora più vulnerabile” – e ci stava provando davvero, Vegeta, ma nascondere le lacrime stava diventando difficile. Non era una reale vittoria, la loro. Soprattutto, non lo era per lui. Non gli importava di rimanere lì, in eterno. Lui voleva solo che suo figlio tornasse in vita, che avesse una seconda possibilità, che potesse tornare a correre e giocare come tutti gli altri bambini della sua età, che facesse arrabbiare la madre e inorgoglire i nonni con i suoi piccoli successi quotidiani. Voleva che la sua famiglia tornasse a essere esattamente come l’aveva lasciata, anche se lui non ci sarebbe stato. Voleva solo che tutto, per loro, tornasse come prima dell’arrivo di Vickas e di Oozaru. Ma sapeva benissimo che quel suo desiderio non sarebbe mai diventato realtà.
“Mmm…” – un capogiro. Vegeta aveva avuto un capogiro così forte da farlo crollare in ginocchio. Goku, prontamente, era giunto in suo soccorso, ma non potendo toccarlo non si era rivelato di grande aiuto. Per di più, il saiyan si era accorto di essere diventato ancora più evanescente. Che fosse stata la fine, per lui?
“Coraggio, Vegeta, tirati su!”.
“Tsk! Come se fosse… Come se fosse facile…”.
“Lo so che non lo è, ma devi almeno provarci”.
E ci aveva provato, Vegeta, ma era stanco e voleva dormire. Voleva solo dormire.
“Urca! Vegeta, non starai per svenire? Non farmi scherzi… Non farmi… Ma che succede?”.
Stava sprofondando. Il re dei saiyan stava sprofondando nel buio come se si fosse trattato di sabbie mobili.
“NO! NO E NO! MI RIFIUTO! VEGETA, ALZATI IMMEDIATAMENTE O GIURO CHE TI UCCIDO CON LE MIE MANI! ALZATI!” – ed era stato allora che lo aveva fatto: senza rendersi conto di come, Goku gli aveva cinto la vita con entrambe le braccia e lo aveva tirato su, ricacciando indietro i tentacoli di oscurità che avevano provato ad inghiottirlo.
Ma cosa doveva fare, adesso? Da che parte doveva andare?
“Vickas… Vickas… Mi senti? Dove devo andare? Dove?”.

 
*

Avrebbe tanto voluto dirglielo, il saiyan millenario, ma non ne aveva più le forze. Lì, nell’Aldilà, era in ginocchio, sudato e tremante per lo sforzo di mantenere aperto il passaggio, ormai ridotto a poco più di un fessura dorata. Non appena si era reso conto che la porta rossa stava svanendo, aveva recitato una formula segreta e aveva imposto le mani davanti sé, facendo sì che il passaggio verso quel mondo sconosciuto diventasse visibile.
Trunks e Bulma erano lì, accanto a lui, trepidanti. Non avevano potuto assistere alla scena, ma avevano capito che ormai la partita era stata vinta. Ma perché Goku e Vegeta non tornavano indietro?
“Vickas…”.
“Non ora, piccolo… Non ora…” – lo aveva appena sussurrato, ingoiando rumorosamente. Non avrebbe resistito ancora a lungo e se così fosse stato avrebbero perso tutto. Goku, suo padre, tutto. Tutto. E Trunks, piccolo e saggio, lo aveva capito perfettamente.
Per questo motivo, aveva preso un profondo respiro e si era girato verso sua madre, chiedendole perdono. Per questo motivo, si era trasformato in super saiyan senza alcuna esitazione. Per questo motivo, aveva attraversato, nonostante le urla, nonostante le proteste, quella sottile fessura dorata: perché voleva salvare le persone che amava.

 
*

“Coraggio, Vegeta! Coraggio!” – sotto gli sguardi dei saiyan di un tempo, i due giovani guerrieri stavano avanzando nel buio, questo nel tentativo di trovare l’uscita. Ma camminare stava diventando ogni istante sempre più difficile, soprattutto ora che Vegeta non riusciva più a collaborare. Poteva capirlo perfettamente, Goku. Il suo amico era sfinito, ma doveva resistere. Dovevano uscire da lì. Non poteva permettere che le cose finissero in quel modo!
“Urca! Vegeta, dai… Non vorrai che ti prenda in braccio proprio ora che sei con il sedere al vento! Sii reattivo!”.
Non credeva che avrebbe funzionato, invece era accaduto l’esatto contrario, perché il principe aveva riacquistato conoscenza, seppur a fatica, arrossendo, persino.
“Tsk! Vuoi… Vuoi piantarla?”.
“Allora non stai così male, alla fine!”.
Si era beccato una gomitata, e non poteva esserne più felice. Solo che, purtroppo, le cose erano più complicate di quello che potevano sembrare e l’ironia sarebbe servita a ben poco. Il buio avanzava, e lo faceva a una velocità tale da impedire loro di muoversi. La sostanza gelatinosa diventava sempre più densa.
Goku si era accorto di come la pelle di Vegeta avesse cominciato a scottare, sintomo che la febbre che lo aveva perseguitato era tornata, più aggressiva e debilitante che mai. E lui, poi… La gamba sinistra diventava sempre più evanescente. Stava per sparire. E se ciò fosse avvenuto, Vegeta sarebbe rimasto completamente solo.
“Urca! No, no, no! E voi, lassù! Non potete darci una mano, vero?”.
Si era rivolto agli spiriti dei tre saiyan che aleggiavano su di loro. Possibile che se ne stessero lì, immobili, a non fare niente? Cosa pensavano? Che stessero giocando? D’accordo, li avevano aiutati a sconfiggere Oozaru, ma quello era un momento altrettanto critico!
“Ho bisogno di voi!”.
Ma proprio mentre lo stava dicendo, Vegeta era caduto di nuovo, e stavolta non per colpa sua, ma perché il suo braccio, quello che lo reggeva, aveva perso consistenza, lasciandolo cadere rovinosamente al suolo. Il buio aveva ricominciato ad inghiottirlo.
“VEGETA!”.
Si era chinato su di lui, cercando di aiutarlo, di proteggerlo, senza riuscirci: ormai, quello che restava di lui gli passava attraverso.
“NO! No… No… VICKAAAAAS!!!! VICKAAAAAAS!!!”.
Aveva urlato il suo nome con tutto il fiato di cui disponeva. Lo aveva urlato fino a sentire il sapore del sangue in gola. Ma non c’era stata alcuna risposta da parte sua. Niente, neppure un segno. E loro, che avevano vegliato su entrambi fino a quel momento, erano svaniti nel nulla.
Erano soli. Goku e Vegeta. Soli e persi nel buio di un luogo da cui non sarebbero mai usciti. Soli e persi nell’oscurità di un mondo a cui non avrebbero dovuto mai essere destinati.
Ma ecco che, proprio lì, davanti a Goku, il saiyan che aveva giocato il suo stesso ruolo secoli addietro era apparso e, accanto a lui, era apparso poco dopo il suo re. E una luce, una luce dorata, in lontananza, stava avanzando veloce come una cometa. “Ma cosa… Cosa… Trunks? Non può essere… URCA! SEI TU! TRUNKS!”.
Era lui. Era veramente lui.
“Goku, prendi papà! Dobbiamo andare, adesso! PRENDILO!”.
Aveva chiuso gli occhi per un istante, Goku. Aveva chiuso gli occhi e aveva raccolto tutte le energie che gli erano rimaste, facendo ciò che gli era stato chiesto. E, finalmente, aveva capito perché Trunks si era trasformato e perché non si era avvicinato. Perché, per tornare indietro, avrebbero dovuto seguire la sua scia.

 
*

Era al limite. Non avrebbe retto un secondo di più. Ormai, le sue energie si erano completamente prosciugate. Se stava resistendo, era perché aveva fatto una promessa, perché una donna stava piangendo un marito, un figlio e un amico, perché l’universo intero aveva riposto le sue aspettative in lui.
Era difficile. Era così difficile. Le membra tremavano e ormai non riusciva neanche più a tenere gli occhi aperti. Stava morendo. E lo stava facendo nello spirito, più che nel corpo. Proprio come Goku nella dimensione oscura, Vickas stava diventando evanescente. Eppure, doveva resistere. Ora che anche il piccolo Trunks si era lanciato lì, attraverso quel portale che non avrebbe neanche dovuto essere visibile, doveva per forza resistere.
Aveva tossito, spuntando sangue. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ma non doveva cedere.
“Coraggio, Vickas!” – lo stava esortando Dende – “Coraggio”!”.
Ed ecco che, quando il portale stava per chiudersi, aveva sentito una nuova energia invaderlo e il peso del mondo sembrava essere diventato più lieve, più sopportabile. La sua presenza era forte, vigile. Era lì, Gohan, dall’altra parte del mondo, ma c’era. E stava facendo qualsiasi cosa pur di aiutarlo.
“Ragazzo…”.
“Te lo devo, Vickas… Lo devo a tutti voi”.
L’aiuto di Gohan era arrivato come una manna dal cielo.
Si era sentito meno stanco, ma se Trunks non li avesse trovati, non avrebbero potuto mantenere il portale aperto in eterno. Qualcosa sarebbe potuto uscire. E, proprio come temeva, ciò stava accadendo. Purtroppo, densi e vischiosi tentacoli di oscurità avevano abbandonato quel luogo di disperazione per tentare di insinuarsi nell’Aldilà. Uno di loro aveva raggiunto Vickas, troppo stanco per potersi scansare, facendogli perdere per un attimo la concentrazione. Il portale si era stretto ancora.
“Vickas! Che cosa succede?”.
“Gohan… Non ce la faccio più… Gohan!”.
“Vickas, ti prego!” – Bulma si era gettata ai suoi piedi, avvinghiando uno di quei tentacoli con entrambe le braccia e tirandolo indietro per liberare colui che tanto li aveva aiutati – “NON MOLLARE!”.
E i namecciani, persino loro si erano precipitati in suo soccorso. Tutti volevano contribuire, tutti volevano salvare Goku, Vegeta e Trunks.
Con uno sforzo immane, supportato da quelle persone così coraggiose, Vickas si era rimesso in piedi, chiudendo gli occhi e concentrandosi per connettersi meglio con Gohan e ampliare le dimensioni del portale.
Ancora qualche istante.
Ancora insidiosa oscurità.
“Non ce la faccio più. Non ce… La faccio… Più…”.
E mentre Vickas stava svenendo, mentre le ultime energie lo stavano  abbandonando, il miracolo era avvenuto: accompagnati da un soffio di vento, guidati dal chiarore dorato di Trunks, gli eroi erano affiorati dal buio come bambini appena usciti dal ventre materno.
“TRUNKS! VEGETA!” – aveva urlato Bulma, in lacrime – “GOKU!”.
Seguita dai namecciani e da coloro che erano rimasti, la turchina aveva abbracciato due di quei tre folli saiyan, piangendo e ridendo allo stesso tempo. Avrebbe voluto fare lo stesso con suo marito, ma la forma in cui si trovava non glielo avrebbe consentito.
“Siete tornati! Oh, dei, vi ringrazio! Siete veramente tornati!”.
Troppo grande era stata l’emozione, grande a tal punto da non permetterle di rendersi conto che Vegeta, il suo Vegeta, non aveva ricambiato l’affetto che aveva cercato di dimostrargli.
“Amore… Amore mio… Vegeta… Apri gli occhi… Guardami…”.
Si era chinata su di lui, cercando di coprirlo col suo corpo come meglio poteva. Sapeva che suo marito non amava mostrarsi a occhi indiscreti. La pudicizia di Vegeta era quasi comica, oltre che tenera e da rispettare, e non voleva che si sentisse a disagio, una volta riaperti gli occhi. Perché suo marito avrebbe riaperto gli occhi al più presto, ne era certa.
“Forza, Vegeta… Su!”.
Era così presa da non essersi resa conto che, poco lontano, Vickas era caduto rovinosamente a terra, scosso da un tremore incontrollabile. Era spaventosa, quella scena: i suoi occhi erano completamente bianchi e una densa schiuma gli si era raccolta all’angolo della bocca.
Pochi istanti dopo, lo stesso era capitato a Vegeta, e il panico aveva assalito i presenti con la sua stretta soffocante.
“Papà! Papà! Ma che cosa stava succedendo? Che cos’hai? PAPA’!”.
Trunks era disperato. Non poteva perderlo. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per riportarlo indietro. Non poteva perderlo e basta!
“Ti prego, apri gli occhi! Papà! Papà!”.
Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, stringerlo, scuoterlo, fargli sentire che era lì e che non lo avrebbe abbandonato. Avrebbe preso anche la sua mamma e l’avrebbe costretta a stringersi a loro, se necessario, dimostrandogli così di essere una famiglia vera, unita e indivisibile. Ma non poteva. Quel piccolo saiyan così coraggioso eppure così spaventato, non poteva fare niente per far sentire il suo calore a quel padre che amava più di ogni altra cosa al mondo.
“Papà… Ti prego… Papà… No…” – non avrebbe voluto piangere, ma non era proprio riuscito a trattenersi. Era troppo grande il dolore che stava provando.
I namecciani erano come impietriti. Che altra reazione avrebbero potuto avere davanti a una scena del genere? Davanti a un simile strazio? Una famiglia non aveva neanche avuto il tempo di riunirsi che già stava per perdersi per sempre. Per quale motivo il destino aveva scelto di essere così crudele verso quell’uomo e i suoi cari? Non aveva espiato abbastanza? Vegeta non era più l’essere crudele di un tempo. Non era più il mostro senza cuore che aveva sterminato intere popolazioni e distrutto pianeti. Era un uomo diverso, un uomo buono che aveva sacrificato ogni cosa per un bene superiore. Perché doveva soffrire ancora?
“Mmm… Mmmm…” – Vickas aveva provato a mormorare qualcosa, ma era stato impossibile capire se fosse solo un rantolo di dolore o qualcosa di diverso. Dende gli si era accostato e gli aveva delicatamente sollevato busto, mettendolo poi su un fianco per evitare che ingoiasse la sua stessa lingua. Non poteva fare altro per lui, in quel momento. Persino i suoi poteri erano inutili.
Dovevano solo cercare di stare calmi e aspettare. Nel bene o nel male, quella crisi sarebbe dovuta finire, prima o poi.
Ma Dende non sapeva che se fosse riuscito a concentrarsi avrebbe visto ciò che stava vedendo Vickas. Il saiyan millenario era in contatto con Gohan, lì, a metà tra questo mondo etereo e quello terreno, deciso più che mai a non far sì che quel giovane si perdesse proprio come era capitato a lui.
Per fortuna, Gohan non aveva sortito alcun effetto dallo sforzo effettuato per mantenere aperto il portale. Il fisico forte e l’aver avuto la possibilità di rimanere sulla Terra erano stati un vantaggio non indifferente. Ma nonostante questo, Gohan non era in grado di aiutarlo. Nessuno avrebbe potuto farlo, era questa la verità. Vickas doveva pagare. Esattamente come Vegeta, doveva espiare le colpe commesse in passato, e questo lo aveva appreso sin da subito, sin da quando aveva scoperto l’esistenza di quei saiyan, gli ultimi, e che essi erano in qualche modo gli eredi di coloro che centinaia di anni addietro avevano interrotto l’egemonia di Oozaru ancora prima che iniziasse.
Quello era stato l’inizio della fine. Dopo un’infinita attesa, avrebbe potuto liberare se stesso e l’universo intero da quel fardello che lo aveva consumato sia nel corpo che nello spirito.
Il piano che aveva deciso di attuare non era facile, ma neanche impossibile, e quello che era successo lo aveva dimostrato. Certo, erano stati necessari enormi sacrifici, ma alla fine erano arrivati esattamente dove aveva voluto che arrivassero. Oozaru era stato sconfitto. Non imprigionato, ma sconfitto, distrutto, eliminato. E lui lo aveva visto. Non sapeva se Oozaru se ne fosse accorto o meno, ma lui era stato lì per tutto il tempo, a gustarsi la scena, a sorridere e a maledire quella bestia che aveva causato dolore e trambusto alla sua famiglia, ai saiyan e all’universo intero. Avrebbe voluto aiutare Goku e Vegeta a sferrare il colpo di grazia, ma non era stato necessario. I due guerrieri, quelle due persone così simili eppure così diverse, avevano trovato in piena autonomia la chiave di volta per vincere quello scontro.
Nessun suggerimento era uscito dalle sue labbra. Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, ma l’esito finale non sarebbe stato lo stesso. Goku e Vegeta avrebbero dovuto far fruttare autonomamente gli spunti e i suggerimenti che aveva distribuito lungo tutto il loro percorso. Lui avrebbe solo dovuto dargli la spinta necessaria per non mollare, e così aveva fatto.
I due uomini non sarebbero più stati quelli di un tempo, dopo quella esperienza, ma questo poteva solo essere un bene. Di certo, sarebbero stati molto più uniti, molto più vicini. Sempre se Vegeta avesse avuto la forza di reagire. Quella era l’unica cosa che non aveva previsto. Eppure era successa: in qualche modo, il re dei saiyan era entrato in simbiosi con lui, patendo le sue stesse sofferenze, i suoi stessi tormenti.
“Vickas… Vickas…”.
“Ragazzo…”.
“Ce l’abbiamo fatta. Sono fuori… Tutti!”.
“Sì… Ce l’abbiamo fatta per davvero, alla fine”.
“Ma Vegeta… Perché tu e lui… Io… Non capisco”.
“Mi dispiace, ragazzo. Questa è una cosa che non so spiegare né a te né a me stesso…”.
“Però… Guardalo…” – e lo aveva indicato. Vegeta se ne stava lì, a pochi passi da loro, accovacciato, confuso, quasi spaventato.
“Lui non dovrebbe trovarsi qui. Nessuno di noi dovrebbe”.
“Sì, Gohan… Hai ragione”.
“Ascolta… So che non è il momento più adatto, ma io vorrei… Voglio cogliere questa occasione per ringraziarti, Vickas”.
“Come?” – questo proprio non se lo aspettava.
“Hai capito bene. Volevo ringraziarti. Penso che tutti noi dovremmo farlo. Noi saiyan, perché grazie a te, abbiamo scoperto la verità sulle nostre origini acquisendo abilità che non avremmo avuto, capendo realmente la differenza tra l’essere delle bestie mostruose e degli esseri umani. Grazie a te, alla tua perseveranza, il sacrificio ha assunto tutto un altro valore. Grazie a te, che hai creduto in noi, Oozaru, finalmente, non c’è più. Per questo, Vickas… Grazie. Comunque vadano le cose, grazie”.
Per la prima volta da quando si erano incontrati, Vickas non aveva saputo che cosa dire. Tante volte era rimasto in silenzio, trattenendo una battuta di troppo o un commento sarcastico, ma quella volta era diverso. Per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, un altro essere umano gli aveva mostrato riconoscenza. Forse, se avessero avuto un altro po’ di tempo da trascorrere insieme, quel ragazzo così simile a lui, quello specchio in cui si rifletteva, avrebbe persino potuto provare affetto nei suoi confronti. Vickas, però, sapeva bene che un simile lusso non gli sarebbe mai stato concesso e che il tempo a sua disposizione stava per esaurirsi.
Per questa ragione si era limitato a sorridere, sperando che ciò potesse essere abbastanza. La loro missione non era ancora terminata, del resto. C’era ancora una cosa che i saiyan dalle stesse abilità dovevano fare.
“Riportiamolo indietro” – aveva detto Vickas, serio e deciso – “Restituiamo quell’uomo alla sua famiglia”.
Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero visti, percepiti, parlati. A Gohan dispiaceva, e non poco. Sperava di poter apprendere di più da quell’uomo straordinario, ma sapeva bene quanto tiranno potesse essere il tempo, a volte, soprattutto quando si metteva d’accordo con ciò che gli umani chiamavano Fato. Vickas sarebbe stato una perdita non indifferente, ma perdere Vegeta sarebbe stato molto peggio. E né lui, né Vickas stesso avrebbero mai potuto permetterlo.
“Quando vuoi, maestro”.
“Dopo di te, ragazzo”.
La luce dei due saiyan aveva vinto il buio. Era bastato che entrambi chiudessero gli occhi e, per la prima volta da quando le loro menti erano entrate in contatto, non vi era stato niente di doloroso, di forzato. Tutto era stato naturale e semplicemente perfetto, proprio come doveva essere.
Gohan e Vickas si erano mossi all’unisono, proprio come se fossero stati una cosa sola. E, insieme, avevano raccolto Vegeta, o quello che ne restava, guidandolo dove avrebbe dovuto essere sin dall’inizio, aiutandolo a tornare a casa.

 
EPILOGO
 
Erano trascorsi tre giorni da quando ogni cosa era tornata esattamente come doveva essere.
Ancora una volta, le sfere del drago erano state fondamentali per ripristinare l’ordine. Quella volta, Dende le aveva evocate quando ancora si trovavano tutti nell’Aldilà, e lo aveva fatto non appena Vegeta aveva ripreso conoscenza.
Nessuno, tra loro, avrebbe mai potuto dimenticare quel momento. Erano stati testimoni di un evento a dir poco memorabile. Non erano stati in grado di vedere con esattezza chi o cosa fosse comparso: mentre la famiglia Brief piangeva Vegeta, una calda luce dorata era apparsa dal nulla, rischiarando la pelle ustionata e sudata del re dei saiyan. Anche se non li avevano visti, era chiaro che Gohan e Vickas fossero lì, proprio in quel chiarore, e nello stesso istante in cui la luce era scomparsa, Vegeta aveva smesso di tremare, aprendo gli occhi e scoprendosi completamente guarito. Non c’era più neanche una cicatrice sul suo corpo, non vi era nessuna traccia di ustione. Era lui, semplicemente lui, in salute e fiero di aver ritrovato le persone che amava. La commozione dei presenti era stata a dir poco contagiosa. Persino Vegeta aveva le lacrime agli occhi, ma non aveva pianto. Nonostante si trattasse di lacrime di gioia, aveva preferito tenerle al suo posto. Aveva altre cose a cui pensare, adesso. Aveva una vita da vivere, e voleva trascorrerla accanto a chi amava.
Per questo, il primo desiderio che aveva espresso al grande drago Shenron, era stato quello di riportare in vita tutte le persone vittime della crudeltà di Oozaru. Tutte, nessuna esclusa, persino coloro che non erano di animo gentile.
Bulma era stata la prima a tornare in vita, seguita da Goku. Poco dopo, le divinità sacrificatesi per un bene superiore erano riapparse tra lo sgomento e lo stupore di tutti. Sulla Terra era successo lo stesso: Tenshing, Rif e tutti i terrestri vittime del malefico piano di Oozaru erano tornati indietro, completi, felici, forse un po’ in colpa con se stessi per aver preso una decisione avventata e decisamente sbagliata. Di una cosa erano certi, però: avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per rimediare. Tutto il tempo del mondo.
Il secondo desiderio era servito per riportare il mondo alle sue condizioni originarie. Niente più macerie venute giù dal palazzo di Vickas, niente più terra brulla, niente più villaggi sporchi e poveri. Le valli e il boschi erano tornati più verdi e rigogliosi di prima, così come le città, le strade e le persone che, consapevoli di quanto era successo, avevano iniziato a comportarsi in modo diverso, forse più responsabile, forse più umano.
Chichi aveva riabbracciato i suoi figli, suo marito, Videl aveva fatto lo stesso con suo padre. E Vegeta… Vegeta aveva riabbracciato Bulma, quella vera, quella che gli aveva chiesto mille volte scusa per come si era comportata, per come lo aveva trattato.
Ma non aveva potuto fare lo stesso con un'altra persona. Nessuno dei due aveva potuto abbracciare il piccolo Trunks.
Purtroppo, il suo corpo era andato distrutto durante lo scontro finale contro Oozaru, e neppure Shenron era abbastanza potente da poterlo ricomporre e rianimare.
Quel piccolo, coraggioso saiyan avrebbe dovuto rinunciare a tornare in vita.
Quello sarebbe stato il triste epilogo di quella storia se solo non fosse accaduta un’ultima cosa apparentemente impossibile.
Stavano per lasciare il mondo degli dei. Tra l’ilarità comune, solo i due genitori affranti erano rimasti indietro, e non per puro caso.
La fessura tra il loro mondo e quel posto dimenticato da tutti si era ormai richiusa completamente, ma qualcosa aveva fato sì che da un piccolo, minuscolo spiraglio, qualcuno che avevano visto solo per un breve istante comparisse, mostrando se stesso e ciò che portava con sé solo a Bulma e a Vegeta.
“Ma tu… Tu sei…”.
La donna dai capelli turchini aveva portato entrambe le mani alla bocca, cercando di soffocare l’urlo di sgomento e gioia che stava per venire fuori. Quello che aveva davanti, seppur evanescente, seppur stanco, era la copia esatta di suo marito: quello era il re dei saiyan vissuto ai tempi di Vickas. E portava con sé un dono, quell’uomo così simile al suo Vegeta: portava con sé il corpicino intatto di Trunks.
Senza dire una parola, il sovrano di un tempo si era avvicinato a quello attuale e, guardandolo negli occhi, gli aveva sorriso, fiero, consegnandogli il più prezioso tra i tesori prima di congedarsi da lui per sempre.
Non avevano idea di come ciò fosse stato possibile, ma a quel punto, importava veramente? Trunks poteva tornare in vita. Il loro piccolo, adorato bambino, avrebbe ricominciato a ridere, a giocare e a combinare un guaio dietro l’altro. La loro famiglia sarebbe tornata insieme, più unita che mai, e niente al mondo avrebbe mai più potuto separarla.
Sgomento? Gioia? Incredulità? Erano questi i sentimenti apparsi sui visi di chi, improvvisamente, aveva visto comparire il corpo del saiyan dei capelli lilla in braccio al padre. Trunks era lì, con loro, chissà come, chissà perché. Adesso, esprimere l’ultimo desiderio avrebbe avuto senso. Adesso, ogni cosa sarebbe tornata veramente al proprio posto.
Il ritorno sulla Terra era stato la vera e propria ciliegina sulla torta. L’accoglienza riservata agli eroi trionfanti non aveva avuto pari, e Bulma e sua madre non avevano perso tempo, decidendo di mettere su un sontuosissimo banchetto seduta stante. Vi avevano partecipato tutti, ma proprio tutti, col loro entusiasmo contagioso e con una gioia di vivere addosso che mai prima di allora avevano palesato con tanto ardore.
E Vickas?
Il suo, era l’unico tassello che ancora non aveva trovato la giusta collocazione. Nessuno sapeva che fine avesse fatto. Era semplicemente sparito. Nel bel mezzo del trambusto creatosi dopo l’arrivo improvviso dei superstiti, si era letteralmente volatilizzato.
Che fosse morto? Che si fosse nascosto? L’unico che avrebbe potuto dire qualcosa a riguardo, forse, era Gohan, ma il giovane Son continuava a fare il vago, cambiando argomento o fingendo palesemente di non sapere nulla a riguardo ogni volta che gli veniva posta una domanda scomoda. Una cosa era certa: non era più lo stesso saiyan di prima. Ma chi poteva non essere cambiato, del resto, dopo aver vissuto un’esperienza così traumatica?
Oozaru, con la sua cattiveria, con la sua sete di potere, li aveva messi alla prova.
C’era da dire, però, che con due persone era stato particolarmente duro e intransigente. E quelle due persone, si trovavano sull’ampia terrazza di casa Brief, con le braccia a penzoloni sulla balaustra e lo sguardo fisso verso la luna, più piena e splendente che mai.
Inizialmente, aveva esitato. Non sapeva come avrebbe reagito nel vederla, nel sentire ciò che aveva da dirgli, così come non sapeva se avesse mai trovato il coraggio di parlargli. Era così… Così… Non avrebbe saputo definirlo. Era fiero? Certamente. Coraggioso? Senza dubbio. Era… Buono? Umano? Più di chiunque altro. Per questo, sorridendo per darsi coraggio, aveva preso un altro bicchiere di cocktail e si era incamminata a grandi passi verso di lui, porgendogli il liquido ambrato senza dire una sola parola.
Le tremavano le mani, ed era certa di aver iniziato a sudare. Si sentiva come una sciocca adolescente alle prime armi. Ma perché, poi?
Si era girato nella sua direzione con decisione, rivolgendole uno sguardo quanto più che mai neutro nel tentativo di mascherare l’imbarazzo che, ahimè, stava provando.
Era stato in fin di vita. Aveva sofferto immensamente, a volte era stato in una sorta di stato catatonico, ma non avrebbe mai potuto negare di essersi accorto di ciò che quella donna aveva fatto per lui.
Lei, che tanto lo aveva odiato, temuto, disprezzato, era stata l’unica a prendersi cura di lui. Lei, così severa, così intransigente, lo aveva coccolato come un bambino, soffrendo per lui e con lui, consolandolo e facendolo sentire protetto e amato.
Avrebbe dovuto ringraziarla, forse, farle un regalo. Ma lui non era capace di simili gesti, se non dettati dalla tragicità del momento.
Per questo, aveva appena accennato un sorriso, prendendo il bicchiere che gli veniva offerto e facendole spazio per lasciarla sistemare a pochi centimetri da lui.
“Che piacevole serata…” – aveva commentato lei, cercando di rompere il ghiaccio – “Da qui la vista è un vero spettacolo”.
Ancora silenzio. Lo aveva visto guardare fisso nel contenuto del bicchiere, come se dentro potesse esserci una risposta o anche solo un indizio. Poi, sempre in silenzio, lo aveva visto portarselo alle labbra e bere una lunga sorsata, a occhi chiusi. Non avrebbe potuto aspettarsi altro, del resto. Ma non si sarebbe fermata. Non quella volta. Non dopo la paura provata alla sola idea di poterlo perdere.
“Volevo ringraziarti”.
A quelle parole, si era irrigidito. Lei voleva ringraziare lui? C’era qualcosa che non andava. Forse, dopo tutto quel trambusto, aveva perso il senno!
“Volevo ringraziarti per non esserti arreso. Mai. Per aver continuato a lottare, per averci dimostrato che tutto può succedere. Per esserti mostrato per quello che sei… Per avermi… Sì, per avermi aperto il tuo cuore”.
Ero certo che un lieve rossore avesse imporporato le sue gote. Non amava quel genere di esternazioni. Poi, lui? Aprire il suo cuore a lei? Aveva detto o fatto qualcosa di cui non aveva memoria?
“Sei un vero re, Vegeta. Non importa che tu non abbia una corona sulla testa o un popolo su cui governare. Sei un re perché ci hai mostrato che dietro una bestia può nascondersi un uomo. Sei un re perché ci hai dimostrato di avere la cosa più importante…”.
Non sapeva perché lo avesse fatto, stava di fatto che, senza neanche rendersene conto, si era girato verso di lei, guardandola negli occhi.
“Perché hai dimostrato di avere cuore”.
D’istinto, senza pensare, Chichi aveva posato una mano proprio lì, al centro del suo petto, sorridendo per mascherare il pianto in procinto di affiorare.
“Chichi… Io…”.
“Il mio principe! Il mio principe! IL MIO PRINCIPE!”.
Quello strano, inaspettato momento era stato interrotto dall’improvviso arrivo della piccola Marron.
Agghindata come una vera principessa, con i capelli acconciati in tanti boccoli biondi e con addosso un abito azzurro degno di Cenerentola, era piombata addosso a Vegeta, stringendolo con tutto il calore e tutta la forza di cui disponeva una bimba della sua età.
“Tu sei il mio principe! Grazie per avermi salvata! Grazie per averci salvati! Grazie!”.
La piccola non si staccava dal suo collo, e Vegeta, imbarazzato e ormai al limite della vergogna, era rimasto impietrito per l’ennesima volta, incapace di capire cosa si dovesse fare o meno in un momento del genere.
Marron lo stava letteralmente mangiando di baci e, alla fine di quello slancio affettivo, quando ancora era in braccio a lui, gli aveva dato un disegno.
“Questo è per te!” – gli aveva detto, schioccandogli l’ennesimo bacio – “Ti voglio tanto bene, Vegeta”.
Così, tra l’imbarazzo e l’orgoglio, il re dei saiyan aveva preso il dono che gli era stato fatto, scoprendo finalmente come lo vedeva la figlia di Crilin e C 18: come un principe coraggioso e fiero, ma capace di sorridere come un essere umano.

 
Fine
 


E così, siamo veramente giunti all’ultimo capitolo.
Non mi sembra vero. Dopo più di un anno, questa storia è giunta alla sua conclusione, tra alti e bassi, tra ritardi e non, tra momenti di ilarità e altri di pura agonia.
Vickas e Oozaru ci hanno accompagnato in questo lungo viaggio fatto di misteri e tradimenti, Vegeta e Goku ci hanno dimostrato – ognuno a modo suo – cosa vuol dire amare, e qual è il reale significato della parola sacrificio. Bulma, Tenshing e gli altri malcapitati ci hanno insegnato che agli errori si può rimediare e Chichi… Chichi… Ditemi voi cosa pensate di lei, della bella mora che ha scoperto che dietro una bestia può nascondersi un uomo.
È doveroso, per me, ringraziarvi tutti.
Ringraziare chi è stato con me sin dal primo istante e chi lo ha fatto solo per poco. Chi ha pianto, riso, “sclerato” per ogni mia follia o qual si voglia cattiveria.
Grazie di vero cuore. Senza di voi che siete lì, pronti ad aspettare, il mio lavoro non avrebbe senso.
GRAZIE.
Per ora, non mi resta altro da fare se non salutarvi.
Ma questo non è un addio… È solo un arrivederci! A quando? Non lo so! Con che cosa? Non so dirvi neanche questo, ma tornerò… Starà a voi dire se questa è una promessa o una minaccia!
Buon proseguimento a tutti!
Vi voglio bene!
Sempre vostra
FairyCleo

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