La libreria dei sogni

di Dark Lady 88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


La libreria è nascosta tra le vie della città. Già riuscire a trovarla è un’impresa, figuriamoci quanti saranno i clienti davvero interessati a comprare qualcosa, penso osservando il portone. Un’insegna sbiadita porta la scritta La Libreria dei Sogni. La via è stretta ed umida; i sanpietrini che conducono fino all’entrata del negozio sono bagnati, anche se non mi risulta che abbia piovuto. Colpa della nebbia che ha pervaso l’intera città, la notte scorsa.
Scaccio un brivido. La libreria è chiusa, non mi resta che aspettare che arrivi qualcuno. Sempre che arrivi.
Mi siedo sullo scalino di un’abitazione che si affaccia dal lato opposto al negozio, stando attenta a non urtare il vaso contenente una piantina che sembra aver conosciuto giorni migliori. Spero che gli abitanti di questa casetta del centro storico non decidano di uscire proprio adesso, perché sarei costretta ad alzarmi con un sorriso imbarazzato, chiedendo scusa per aver usufruito di un ingresso privato solo perché gli strambi proprietari della libreria sono in ritardo ed io non avevo voglia di aspettarli in piedi. In fondo ho solo ventisette anni, dovrei essere ancora piena di energie. Eppure mi sento così svuotata, così lontana dal trovare un senso a tutto questo.
Mi chiamo Alice, e sono approdata in questa città sconosciuta ai turisti d’inverno, ma che si riempie di vita in estate. O almeno, così mi hanno detto. Sono letteralmente scappata dal mio matrimonio, lasciando praticamente all’altare un ragazzo fantastico, il principe azzurro, l’uomo dei sogni. Mister Right, come lo chiamerebbe Cosmopolitan. Mi sono lasciata alle spalle una famiglia che mi amava, un futuro meravigliosamente opprimente, la mia bellissima gabbia dorata. Per ritrovarmi qui. Ad aspettare l’apertura della libreria dei sogni.
“E’ un posto speciale”, mi aveva detto mio zio Luigi, “Una piccola libreria indipendente. Non può certo fare concorrenza al grande Book Store vicino alla zona centrale della città. Eppure attira sempre i suoi clienti. Riesce in qualche modo a trovarli, quel tanto che basta per reggersi a galla e sopportare un altro inverno”.
“Non sembra abbiano bisogno di personale..”, mi ero lamentata.
“Forse la libreria non ha bisogno di te.. ma tu hai bisogno di lei. E la libreria dei sogni non ha mai negato il suo aiuto a chi lo ha cercato”.
Con quella strana premessa, avevo deciso di fidarmi di mio zio e di dirigermi alla libreria. Non tanto per cercare lavoro, ma almeno per dare un’occhiata. Magari avrei lasciato il mio curriculum. Magari, una volta arrivata la bella stagione, la piccola libreria indipendente avrebbe avuto un maggiore flusso di clienti e forse avrebbe avuto bisogno di una mano. Certo, nel frattempo avrei dovuto cercare qualcos’altro. I miei zii erano persone molto disponibili. Non avevano avuto figli ed io ero sempre stata la loro nipote preferita. La delusione per il matrimonio mancato tra me e Matteo, la consapevolezza che non mi avrebbero visto ancora per molti anni in abito bianco, o forse che non mi ci avrebbero visto mai, era stata in parte mitigata dall’annuncio che avrei passato le vacanze di Natale con loro.
Con un bel sorrisone a trentadue denti, zia Mirna mi aveva preparato la stanza degli ospiti. Adesso che Natale era passato, scongiurata l’eventualità di una nevicata, il tempo si era leggermente scaldato. Non avrebbe nevicato quell’inverno. Le giornate erano diventate uggiose. Nel giorno dell’Epifania mi ero promessa che avrei sinceramente cercato lavoro. Stavo bene dai miei zii, ma non potevo continuare a fare la mantenuta per il resto della mia vita. La vacanza natalizia era finita, il sorriso di zia Mirna si era leggermente afflosciato. Lo vedevo nei suoi occhi, il dubbio amletico che non aveva il coraggio di esprimere a voce alta: “Ma questa, per quanto tempo ancora vivrà sulle nostre spalle?”.
Così, tra i buoni propositi per l’anno nuovo, avevo annunciato che avrei cercato lavoro, così mi sarei potuta permettere quel delizioso appartamento vicino al mare. E’ piccolo, un monolocale di 50 metri quadri, con una bella vista e tutto ciò che mi occorre per la mia nuova vita lontano da Matteo, dai miei genitori, suoceri, prete incazzato per il mancato pagamento della cerimonia sfumata. Sì, arrivando qui avevo pensato che mi sarei rifatta una nuova vita. E sarei finalmente riuscita ad andare avanti, capire chi ero davvero oltre alla brava fidanzata, futura moglie e madre. Per la prima volta nella mia vita avrei lavorato, mi sarei presa cura di me stessa. Era elettrizzante. Peccato che non avevo fatto i conti con la crisi, che era arrivata anche sull’isola. L’isola che vive di turismo, si accende con l’arrivo della primavera, con i vip che vengono a sposarsi nelle cappelle romantiche con tanto di paparazzi al seguito. Si accende con i suoi hotel esclusivi, i balconi fioriti delle case, le spiagge affollate, le vie strette dove la circolazione procedeva lenta, perché i suv faticano a passare senza strusciare le fiancate.
Molti girano in motorino d’estate. E la città si trasforma in una cartolina degli anni ’60, con gente semplice, abbronzata, sorridente. Le coppie che camminano abbracciate e felici. Anche io e Matteo eravamo stati una di quelle coppie, in vacanza in uno di quegli hotel esclusivi – soluzione bed and breakfast per non spendere una fortuna – a pranzo con un panino in spiaggia e a cena ospiti degli zii. Sembra passata una vita.
Mentre tento di scacciare i ricordi di quell’estate lontana, finalmente arriva il proprietario della libreria dei sogni. E’ un ometto basso e paffuto, con candidi baffi bianchi. Le guance leggermente arrossate dal freddo ed un paio di occhiali tondi, dietro le cui lenti, gli occhi azzurri mi squadrano per un lungo secondo. È difficile da spiegare, ma sembrano scrutarmi dentro, come se solo con uno sguardo sia in grado di carpire quello che sto pensando.
“Stavi aspettando me, signorina?”
Decido che già lo adoro. Dai venticinque anni in poi, è stato facile distinguere le persone simpatiche da quelle antipatiche: quelle antipatiche le riconosco subito, basta che mi chiamino “signora”. Insomma, mi fanno sentire vecchia prima del tempo. Dovrebbero vergognarsi.
“Sono qui per visitare la libreria.. mi è stato parlato bene di questo posto da mio zio Luigi..”, mormoro, improvvisamente insicura.
Mi alzo in piedi, cercando di darmi un tono. Forse, farmi trovare appoggiata allo scalino di una casa come una barbona non è il massimo della professionalità.
L’ometto sorride: “Smeraldo Nicosi”, si presenta, “Vieni a dare un’occhiata”.

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Non ci ho messo molto ad ottenere il lavoro. Il signor Nicosi non mi ha fatto neanche lasciare il curriculum: come un veggente, ha capito al volo cosa ero venuta a cercare.
“Sembri una che è scampata da una calamità naturale”, mi dice senza guardarmi.
Mi dà le spalle, cercando tra i registri sotto una piccola scrivania di legno. Si muove con sicurezza, facendo quello che immagino faccia tutti i giorni, i suoi gesti di routine con i quali inizia la giornata: accende la macchina del caffè, versa la bustina di zucchero dentro la tazzina ancora vuota; immette la cialda, aspetta che la macchinetta sia pronta, preme il bottone e l’aria si riempie di profumo. Prende un panno bianco sporco e comincia a passarlo tra gli scaffali affollati di libri: questo posto me lo immaginavo più sporco e strambo, invece è solo una libreria dall’apparenza come tante altre. Solo se ci si avvicina ai libri si nota qualcosa di strano: i titoli sembrano tutti scritti a mano.
“Prova a prenderne uno”, mi dice Nicosi.
Titubante, scelgo un titolo: sembra una scrittura femminile. Infatti, leggo sulla copertina in cuoio del libro, l’autrice è una certa Roberta Rocchi. Il titolo: “Il volo del gabbiano”, sottotitolo in corsivo stretto: “Storia del cuore che ha imparato a volare”. Mi sembra tutto alquanto melenso, ma apro una pagina a caso e comincio a leggere. Stupita, vedo che anche all’interno è tutto scritto a mano. Scorro le pagine a tratti macchiate d’inchiostro, studio la grafia leggera ed incerta della donna, farsi mano a mano più sicura. Anche il modo in cui si esprime l’autrice cambia: le frasi lunghe ed articolate – cosparse di virgolette, trattini, parentesi – si trasformano in periodi brevi ed incisivi.
“Avevo paura di quella paura che mi tarpava le ali”, scrive la donna nell’ultima pagina, “Ma ho imparato a lasciarmi andare.. come quei gabbiani che dal molo si alzano in volo, verso orizzonti sconosciuti. A noi di loro, non rimane altro che la visione di piccoli puntini neri che si stagliano contro il sole. Così il mio cuore, privo delle proprie catene, ha imparato a volare”.
Davvero struggente, penso.
“Quindi questi cosa sono.. diari? Della gente che viene qui?”.
Nicosi mi osserva divertito.
“Prendi”, mi dice porgendomi un libro, “Questo è per te”.
Questo libro non è come gli altri: non appena lo prendo in mano assume subito un’aria familiare. Non c’è scritta nessuna indicazione, né il nome dell’autore né il titolo. Apro le pagine: non c’è niente dentro. Solo bianco immacolato che si sussegue fino alla fine. Un niente che fa male agli occhi, dà una strana sensazione di vertigine. Un niente che spaventa. Questo libro è vuoto come me.
So cosa Nicosi vuole che io faccia.
“Io non sono una scrittrice”.
“Non importa, Alice. Questo è il prezzo: se vuoi lavorare qui, devi scrivere il tuo libro”.
“Ma non ho niente da dire.. davvero. Di cosa potrei parlare?”
“Adesso la tua anima è vuota come la pagine del tuo libro. Devi cominciare a scrivere. Imbratta le pagine con i tuoi pensieri, anche i più disparati. Vedrai che presto la tua storia prenderà vita.. e all’ultima pagina, ti riscoprirai cambiata. D'altronde chi viene sull’isola in questo periodo dell’anno deve avere per forza una storia da raccontare. O ne ha passata una, o ne sta cercando una nuova”.
Incerta, rigiro le pagine bianche del libro tra le mani. Richiudo la copertina grigia su quel bianco accecante, lo stomaco all’improvviso stretto in una morsa. Non voglio più sentirmi così vuota. Prendo un bel respiro: è strano ma.. sì, ho davvero voglia di scrivere qualcosa.

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