io non sono un mostro

di Andrasil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli Occhi di un Mostro ***
Capitolo 2: *** 2.1 le emozioni di un mostro ***
Capitolo 3: *** 2.2 le emozioni di un mostro (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** 2.3 le emozioni di un mostro (terza parte) ***
Capitolo 5: *** 2.4 le emozioni di un mostro (quarta parte) ***
Capitolo 6: *** 3.1 i sogni di un mostro ***
Capitolo 7: *** 3.2 i sogni di un mostro (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Gli Occhi di un Mostro ***



Salve a tutti,
Questo è il primo racconto che ho deciso di scrivere su efp, quindi sappiate che ogni commento è benaccetto. Probabilmente ho scelto di scriverlo su Harry Potter perché è uno delle storie con più fanfiction che abbia mai visto in vita mia; di conseguenza la mia storia sarà solo una piccola goccia nell’oceano.
Tuttavia, proprio a causa dell’elevato numero di fanfiction che sono state scritte su questo argomento, mi sento in dovere di fare alcune precisazioni:

1) Io tengo conto dei libri e non dei film laddove ci siano discrepanze (per esempio, anche se non comparirà nella mia storia, la Bacchetta di Sambuco attualmente si trova di nuovo insieme al cadavere di Albus Silente ed è assolutamente integra).
2) Non è una fiction amorosa. O meglio: forse i personaggi si innamoreranno, ma non ho inventato l’ennesima storia tra Harry e Draco Malfoy o chissà cos’altro.
3) Scrivo questa storia grazie a un’idea che ho avuto leggendo Animali Fantastici e dove trovarli, ma se per caso avessi scritto qualcosa di già raccontato vi prego di dirmelo.
 
Detto questo, aggiungo solo che ho scelto volontariamente di scrivere la storia utilizzando frasi molto brevi per rendere meglio la vicinanza dei pensieri della protagonista all’istinto animale e che spero vi appassioniate alla vicenda.
Andrasil.




Parte Prima:
Gli occhi di un mostro.
 
Due solchi di lacrime attraversavano il viso di Freya.
Il dolore delle manette era lancinante e quello che provava dentro lo era ancora di più; ma in quel momento non le riusciva di concentrarsi su altro che su quelle lacrime.
Sapeva che gli uomini che l’avevano circondata la sottovalutavano. Sarebbe bastato un secondo, un minuscolo istante in cui avesse lasciato uscire…quella cosa, e sarebbe finita. Ma se lo avesse fatto sarebbe diventata davvero quello che le stavano urlando addosso le persone che fino a poco tempo prima chiamava genitori, sorella, cugini…: un “Abomino.”
Le lacrime cadevano ancora dai suoi occhi quando le venne somministrata una pozione che le annebbiò i sensi sufficientemente da impedirle di muoversi di sua spontanea volontà, ma non abbastanza potente per impedirle di pensare o di percepire ciò che la circondava.
I maghi che l’avevano catturata, senza distogliere neppure per un secondo i loro occhi dalla sua faccia e le loro bacchette dal suo cuore, ringraziarono i suoi parenti per averla consegnata e la portarono via senza darle la possibilità di parlare o fare niente.
La strapparono alla sua vita per condurla all’inferno.
Le fu tolta la bacchetta che aveva comprato 10 anni prima a Diagon Alley e venne sondata da quelle di estranei, senza che questi ultimi provassero il minimo riguardo o il minimo imbarazzo.
Per loro non era più una ragazza, ma un’aberrazione da studiare.
Freya sapeva cosa stavano cercando e fu quasi con una punta di orgoglio che li vide indietreggiare davanti ai suoi occhi, la cui cornea riluceva di un innaturale color ramato; probabilmente avevano anche saputo dai suoi genitori che, dalla sua trasformazione, non mangiava altro che carne.
Ai loro occhi era un mostro.
Non che lei avesse fatto nulla di male: quella era la sua natura e i maghi avevano semplicemente paura di quella.
Le lacrime avevano oramai smesso di scendere dal suo viso quando, dopo averla analizzata e schedata, la costrinsero a impugnare una Passaporta.
Dopo il familiare strappo all’altezza dell’ombelico e pochi secondi in cui ogni cosa le vorticò intorno, di fronte ai suoi occhi si dipinse un panorama inquietante.
Sapeva dell’esistenza di quel luogo, la Piana Nera, ed era anche a conoscenza della natura della valle che le si apriva davanti; ma vederlo con i suoi occhi era completamente diverso. Le avevano detto che la Piana era resa inaccessibile ai curiosi grazie a numerosi incantesimi, ma sembrava che i maghi oscuri che secoli prima avevano deciso di stabilirsi in quel luogo l’avessero resa irraggiungibile anche alla luce e al calore: ogni cosa era grigia e tetra, e persino gli edifici erano dello stesso colore spento; o forse avrebbe dovuto dire l’edificio.
Davanti a lei, oltre le teste della ventina di maghi in abito nero che le puntava le bacchette contro, vide un'unica costruzione, larga e bassa, dall’aspetto molto simile a una prigione. Troppo simile a una prigione.
Si sentiva svuotata di tutte le emozioni. Non era sicurase fosse a causa della consapevolezza che non sarebbe mai tornata alla sua vecchia vita o dell’aspetto e degli incantesimi della valle. Probabilmente entrambi.
Freya camminò insieme ai maghi in nero fino alla massiccia porta di metallo e, sebbene le sembrasse fin troppo simile alla marcia di un uomo verso il patibolo, un minuscolo particolare le si insinuò nella mente, come un’unica nota stonante in un perfetto requiem: anche con la mente annebbiata e senza bacchetta, i maghi intorno a lei la temevano. Fraya non sapeva se loro sguardi fossero spaventati o le loro mani tremassero, ma grazie ai suoi nuovi sensi era in grado di percepire il loro sapore sulla lingua. Ognuno di loro aveva il sapore del terrore. Erano intelligenti dopotutto.
Si girò un’ultima volta a guardare fuori, forse sperando di vedere qualcosa che la consolasse, ma il grigio paesaggio rispose al suo sguardo con indifferenza.
Freya allora chiuse gli occhi per assumere un aria impassibile che non tradisse il suo dolore, dopodiché entrò nella prigione e la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle.
 
 
 
I corridoi della struttura erano tutti uguali: lunghi e cilindrici tubi trasparenti sulle cui pareti si aprivano sempre due porte per lato, anch’esse trasparenti.
Sembrava un enorme acquario.
Mentre la conducevano dentro, Freya aveva provato a ricordare il percorso, ma presto le era stato chiaro che in quel labirinto era impossibile orientarsi in una sola volta.
E, dopotutto, la sua concentrazione era stata presto assorbita completamente da ciò che vide attraverso le pareti trasparenti.
La maggior parte delle stanze erano vuote e spoglie, provviste solo di un letto di metallo inutilizzato; ma, mentre si avvicinavano al centro della struttura e si allontanavano dall’uscita, in alcune celle Freya vide delle persone.
Per la prima volta in vita sua incontrò altri Abomini.
Ne contò quattro.
Il primo ad apparirle fu un vecchio assai malconcio sdraiato su un letto di metallo; si era alzato mentre la ragazza e i suoi carcerieri passavano lentamente davanti alla sua stanza e i suoi tristi occhi acquosi si erano fissati in quelli apatici di lei.
La ragazza era rimasta un po’ sorpresa da quello sguardo; ma nel corridoio successivo rischiò di dimenticarsi del vecchio grazie al secondo Abominio che vide.
Un ragazzo poco più grade di lei sedeva immobile a gambe incrociate al centro di una cella quasi completamente piena d’acqua che accentuava la somiglianza del posto con un acquario. Inizialmente Freya pensò che potesse respirare sott’acqua, ma dalla bocca del giovane non uscivano bolle d’aria; sembrava in tutto e per tutto morto finché, nel momento esatto in cui passavano davanti alla porta, aprì di scatto i grandi occhi di un blu profondissimo e si slanciò contro la parete trasparente battendo contro di essa un pungo.
La ragazza distolse lo sguardo. Temeva di non riuscire a mantenere la sua aria impassibile ancora per molto osservando l’espressione di odio profondo sulla faccia di quel ragazzo, ma per fortuna in poco tempo superarono la cella e si spostarono in un nuovo corridoio.
Gli ultimi due Abomini che le apparvero avevano le celle una di fronte all’altra ed erano talmente simili da essere certamente fratelli. Anche loro erano giovani.
A destra del corridoio vi era un ragazzo anche più piccolo di lei, la faccia era affilata e intelligente e i capelli biondi avevano strani riflessi violetti; il naso era stato rotto almeno una volta e aveva una forma un po’ contorta che stonava decisamente con l’eleganza di quella figura.
A sinistra invece, una ragazza ugualmente bionda e poco più grade dell’altro fissava i carcerieri con uno sguardo astuto e beffardo, ma le rivolse un cenno col capo quando i loro occhi si incrociarono. Sulle guance aveva degli strani nei, stretti e allungati.
Istintivamente Freya provò un senso di appartenenza nei confronti di quelle persone, qualcosa che non aveva mai provato prima nella sua vita; ma, appena si rese conto di cosa stava pensando, represse repentinamente l’emozione. Anche se gli altri la consideravano un Abominio, lei non avrebbe mai lasciato che gli istinti prevalessero in lei.
Superato il corridoio dei due fratelli, le guardie si fermarono davanti a una nuova stanza identica a tutte le altre, aprirono la porta trasparente e la fecero entrare, chiudendo poi la stanza con un incantesimo che Freya non udì a causa dell’insonorizzazione della cella.
Con uno sguardo triste, la ragazza contemplò la sua nuova casa. Decise che le piaceva: era completamente vuota, esattamente come lei in quel momento.
Esattamente come lei da quel momento.
 
 
 
Chiusa nella sua stanza, Freya guardava il soffitto con occhi distanti.
Sapeva di avere una predisposizione naturale ad essere un Animagus grazie ai suoi genitori.
Dopo che Harry Potter aveva deciso di raccontare la sua storia al mondo ed era stato pubblicato il libro “I Racconti dei Malandrini”, si era venuta a creare nel mondo magico una sorta di moda incentrata sugli Animagi: improvvisamente il Ministero della Magia aveva dovuto registrare una quantità spropositata di maghi e streghe che dicevano di sapersi trasformare in animali senza bisogno della bacchetta; il guaio era che molti ci riuscivano davvero.
Eppure, se per il Ministero quello era stato un problema, non era niente in confronto alla scoperta che da un genitore Animagus nasceva quasi sicuramente un figlio con la propensione alla trasformazione in un animale diverso. E quello era ancora un problema di poco conto se paragonato all’apparizione del fenomeno che aveva sconvolto il mondo della magia: avevano cominciato a nascere gli Abomini, ovvero maghi capaci di trasformarsi in creature magiche.
Freya sapeva che quando un mago si trasformava in un animale, alcune delle sue caratteristiche si potevano notare in esso e alcune di quelle dell’animale era come se rimanessero addosso al mago. Moltissime volte aveva notato che i capelli di sua madre avevano un colore simile a quello del pelo della volpe in cui si trasformava. Ovviamente la semi-trasformazione non era un problema finché comprendeva degli animali normali, ma le creature magiche erano tutto un altro paio di maniche.
Innanzitutto gli Abomini, questo era il nome ufficiale di questi particolari Animagi, spesso ricevevano dall’animale magico qualcosa di più che alcuni tratti fisici: potevano mutare fisicamente o cambiare abitudini, alcuni di essi diventavano molto aggressivi o violenti. Poi bisognava tenere conto che pian piano gli istinti animaleschi prendevano il sopravvento, rendendoli sempre più selvaggi e pericolosi. In aggiunta a tutto questo, spesso gli animali magici sono molto più pericolosi di quelli normali e uno di essi col cervello di un mago diventava terribilmente instabile.
Freya si ricordava la sua prima trasformazione: era stata la sensazione più strana che avesse mai provato, come se l’animale fosse il suo vero corpo e l’umano solo un involucro esterno; come se si fosse liberata di una vecchia pelle troppo stretta per lei e avesse finalmente riacquistato le sue vere sembianze. Aveva riso dentro di se, aveva spiegato le ali al sole e aveva volato come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Poi però aveva dovuto tornare umana, un passaggio insolitamente difficile che aveva richiesto un grande sforzo di volontà. Si sentiva libera nell’altro corpo, molto di più di quanto non si fosse mai sentita nella sua vita e rinunciarvi era stato per lei una grade privazione.
Ma non era stato quello l’unico motivo.
La verità era che per un momento aveva davvero voluto abbandonare la sua vita umana. Aveva percepito un istinto che la spingeva a volare ancora più in alto, talmente alta da lasciare alle spalle tutta la vita passata e iniziarne una nuova, limpida e selvaggia come il cielo sopra di lei.
La sola cosa che l’aveva trattenuta era stato il pensiero di tutti coloro ai quali voleva bene. Non poteva lasciare anche loro indietro; li amava troppo.
Questo pensiero, il più umano che aveva avuto dopo la trasformazione, l’aveva aiutata a riprendere il controllo; ma, una volta tornata in forma umana, aveva riflettuto su quello che le era successo.
Per la prima volta in vita sua aveva conosciuto la vera paura. Nello specifico, aveva avvertito quella gelida sensazione che nasce nel momento in cui ci si rende conto che qualcosa può sottrarre il proprio corpo al controllo della mente.
Ne era stata terrorizzata.
Ovviamente aveva giurato di non trasformarsi più, di fingere di non essere mai riuscita a diventare un Animagus, ma non era servito. I suoi gusti, il suo fisico, i suoi modi addirittura erano irreversibilmente cambiati e i suoi parenti lo avevano notato.
Ed era stato allora che Freya aveva commesso il più grave degli errori della sua vita. Si era affidata a loro.
 
 
 
Dopo una settimana passata in quella sorta di prigione-acquario, Freya si abituò completamente alla routine del luogo. L’illuminazione magica imitava il giorno e la notte, così le era possibile continuare a tenere il conto del tempo.
Due volte al giorno doveva appiattirsi contro la parete sul lato opposto della porta mentre i carcerieri le portavano i pasti e, come supponeva, non vide mai altro che non fosse carne. Ma questo non era una grande limitazione. Le venne portato ogni tipo di carne che lei conoscesse e anche molti che non conosceva, e le venne propinata ogni cottura possibile e immaginabile; probabilmente volevano vedere se aveva gusti particolari, ma lei mangiò sempre tutto.
Una sera le portarono della carne cruda.
Freya decise che non l’avrebbe mangiata, ma la mattina dopo i carcerieri la trovarono rannicchiata per terra con la bocca e le mani ancora sporche di sangue rappreso. Ovviamente chiunque dopo un po’ di tempo mangerebbe qualsiasi cosa, ma quella notte non era stata sufficiente a risvegliare nella ragazza un appetito tale da costringerla a farlo; piuttosto era stato una sorta di automatismo a muoverla. Un istinto.
Oltre alle volte che le portavano il cibo, ogni giorno entravano nella sua camera due maghi che non facevano altro che porle delle domande e puntarle contro le bacchette mormorando nelle pause strani incantesimi. Freya non rispose mai a quello che le chiedevano, ma questo non sembrò cambiare molto nei carcerieri, che smisero semplicemente di usare la bocca per dire altro che non fossero gli incantesimi.
Dopo un paio di giorni, Freya iniziò a cercare di capire la struttura della sua prigione, ma non era un’impresa facile. Sapeva che, quando l’avevano portata dentro la sua cella erano venuti dalla sua destra e che ogni volta che le persone arrivavano nella sua stanza, o ne uscivano, ritornavano in quella direzione. Freya suppose che lì ci fossero i loro alloggi.
Il corridoio sul quale si affacciava la sua cella era identico a tutti quelli che aveva visto quando era entrata; esattamente di fronte a lei si trovava una stanza identica alla sua, ma vuota. L’assenza di una parete opaca le faceva provare un senso di insicurezza terribile, ma probabilmente era così che doveva essere. Infondo quelle in cui si trovava erano più gabbie per animali che celle.
Dentro quella prigione, Freya non era altro che uno strano animale in uno zoo. Nessuno si curava di lei se non per ricerche scientifiche e la sua vita proseguiva monotonamente, lentamente, inesorabilmente.
Soltanto una cosa destava la sua attenzione: circa una volta ogni due giorni vedeva passare davanti alla sua cella, da destra verso sinistra, un gruppo di circa sette carcerieri e un Abominio. Quella era l’unica volta in cui qualcuno si muoveva verso la sinistra della cella di Freya e questo la incuriosiva, ma la interessava ancora di più il fatto che gli Abomini che passavano non fossero sempre gli stessi.
Freya vide molte volte la ragazza bionda con i nei allungati e molto meno quello che credeva fosse suo fratello. Raramente compariva anche il vecchio. Non vide mai il giovane nella cella piena d’acqua. Ogni volta gli Abomini avevano le mani legate a un carrello nero e le bacchette dell’intero gruppo puntate al cuore.
Una sera accadde un fatto insolito che radicò la curiosità nella ragazza: aveva appena finito di cenare quando vide il solito gruppo passare davanti alla sua cella; tuttavia non erano accompagnati da nessun Abominio e Freya comprese dalle loro espressioni che erano preoccupati.
Poco dopo capì in parte perché lo fossero. Erano passati non più di cinque minuti che due membri del gruppo passarono correndo davanti alla sua porta, seguiti da un terzo che si appoggiava a una sbarra di metallo a causa del moncherino sanguinante che aveva dove pochi minuti prima camminava una normalissima gamba destra. Nessun’altro del gruppo tornò indietro.

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Capitolo 2
*** 2.1 le emozioni di un mostro ***


Importante: Da questo momento in avanti pubblicherò la storia paragrafo per paragrafo perché mi sto rendendo conto di quanto sia difficile scrivere con continuità. Spero di creare in questo modo anche un clima più intringante;)

Parte Seconda:
Le emozioni di un mostro.
 
Due giorni dopo l’episodio della gamba, Freya scoprì a cosa era dovuto.
Quella mattina si era svegliata esattamente con il sorgere del sole, o almeno di quel sole che le luci magiche replicavano, e aveva aspettato pazientemente la colazione.
Oramai aveva compreso la verità di quella struttura: non serviva solo a trattenere o ad analizzare chi vi veniva richiuso, ma anche a spezzare la loro volontà.
Freya si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che iniziasse a impazzire; ma, prima di riuscire a dare una risposta alla prima domanda, le affiorò nella mente una seconda molto più pungente: sarebbe importato a qualcuno se avesse perso il senno?
Probabilmente no. Probabilmente i suoi carcerieri si sarebbero limitati a continuare le loro analisi e, al massimo, avrebbero spedito un gufo a dei genitori che non l’avrebbero pianta.
Nessun uomo dovrebbe mai provare una simile sensazione: l’annullamento completo della propria dignità umana.
Freya stava riflettendo sulla possibilità che, con l’annullamento della sua volontà, potessero venir meno anche i vincoli che si era imposta per non trasformarsi mai più; quando la porta della sua cella venne aperta ed entrarono non meno di dieci maghi in nero.
Sorpresa da quell’inaspettata folla, Freya si alzò in piedi, ma un incantesimo paralizzante la boccò a metà dell’atto in una posizione estremamente dolorosa.
“Numero 7” esclamò uno del gruppo e Freya ci mise un paio di secondi per capire che si riferiva a lei. “Vieni con noi.”
La circondarono, puntarono le bacchette contro il suo cuore, le misero un paio di manette incantate e solo allora sciolsero l’incantesimo paralizzante.
Fuori dalla porta la attendeva un grosso carrello nero, lo stesso che aveva visto tutte le altre volte che uno degli Abomini della struttura era passato davanti alla sua cella; fu legata a quel carrello e condotta verso la sinistra della sua cella.
Due corridoi dopo, la prigione cambiò radicalmente: la luce magica si ridusse a un monotono color bianco e, per contro, le pareti trasparenti delle celle vennero sostituite da lastre di metallo nero.
Il gruppo svoltò in un nuovo corridoio identico a quello che avevano appena finito di attraversare e si fermò davanti a una porta. Pungolandola con le bacchette, i maghi in nero spinsero Freya il più vicino possibile ad essa e si allontanarono quanto più fosse possibile nel corridoio. Soltanto il mago che l’aveva chiamata rimase accanto a lei e, con un movimento brusco, aprì la porta della cella facendo contemporaneamente un balzo indietro.
Fu veloce, ma non abbastanza.
Qualcosa di nero, lungo e affusolato, si era mosso di scatto appena la porta aveva iniziato ad aprirsi. Troppo veloce per essere visto bene si attaccò alle gambe dell’uomo e lo trascinò dento in un attimo. Risuonò un solo urlo, poi dal soffitto iniziò a piovere del sangue.
Senza perdere un istante, un altro dei maghi che l’avevano accompagnata spinse Freya oltre la porta e la richiuse alle sue spalle.
Animata da un qualcosa che era a metà tra la curiosità, la paura e (fu costretta ad ammetterlo a se stessa) l’emozione, Freya alzò gli occhi verso il soffitto.

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Capitolo 3
*** 2.2 le emozioni di un mostro (seconda parte) ***


Fin da quando era bambina, Freya aveva preso in giro gli aracnofobici. Dopo tutto, aveva sempre sostenuto, non vi è ragno abbastanza pericoloso da non morire se schiacciato da uno stivale.
Il ricordo di quella teoria rischiò di provocarle una crisi di risate incontrollate mentre, dal basso verso l’alto, contemplava il gigantesco ragno attaccato al soffitto della cella.
Sapeva di cosa si trattava: un’Acromantula.
Eppure, qualcosa di più della semplice deduzione la rendeva sicura che quello fosse un Abominio. Si sentiva come attratta da quell’immenso aracnide nonostante la repulsione fisica che provava nel vederlo; la pervadeva lo stesso senso di appartenenza che aveva provato verso gli altri prigionieri, solo infinitamente più forte.
“Il mio nome è Freya” disse, senza esitazione o tremori nella voce.
“E il mio è Darren” fu la cavernosa risposta mentre le tenaglie ai lati della bocca dell’Acromantula schioccavano “mi chiedevo quanti ne avrei dovuti uccidere prima che ti portassero da me”.
“Lascia il carrello ed esci subito da lì numero 7” gridò una delle guardie al di là della porta; poi, senza nemmeno darle il tempo di reagire, estrasse la sua bacchetta strillando “Accio”.
L’incantesimo di appello non aveva effetto su esseri viventi, ma lo stesso non si poteva dire delle sue manette. Freya sapeva cosa le stava per succedere, ma Darren fu più veloce. Rapido come il pensiero si frappose tra la porta e il corpo della ragazza, bloccando con la sua mole il passaggio. Al contatto il suo corpo non era ripugnante come Freya aveva immaginato e persino gli ispidi peli neri che lo ricoprivano erano quasi morbidi sotto le dita.
Nel giro di due secondi tutti i maghi in nero si erano dileguati. Uno di essi, nella fuga, aveva lanciato uno schiantesimo contro il grande corpo nero, ma la pelle dell’Acromantula lo aveva respinto con facilità contro una parete senza ricevere alcun danno.
Trascorsero circa dieci secondi prima che Freya osasse muoversi; ma, appena lo fece, fu solo per fissare gli otto lucidi occhi che si trovavano sopra di lei.
“È un piacere vederti” disse lentamente l’Abominio “Mi sono sempre ritenuto privilegiato dal fatto che l’Acromantula possa parlare e quindi io non debba assumere la ridicola forma umana per comunicare. Mi dispiace che tu non possa fare altrettanto.” Le parole sembravano sincere, ma c’era una lieve fierezza nella voce di Darren che non sfuggì a Freya, come se non gli dispiacesse davvero considerarsi migliore di lei.
“Come fai a sapere che non posso?” chiese la ragazza
“Sono anche io un Abominio” fu la risposta mentre le tenaglie continuavano a schioccare “Conosco la sofferenza che si prova a vivere in quella forma. Se potessi parlarmi anche se trasformata, l’avresti già fatto.”
Sofferenza. Aveva chiamato così quella sensazione. Senza dubbio calzava a pennello con il dolore che sentiva, con il pensiero di star solo indossando il proprio corpo come una veste scomoda. Però lui non poteva capire. Lei aveva paura di liberarsi.
“Cosa vuol dire che ti chiedevi quanti ne avresti dovuti uccidere?” chiese nuovamente, sperando che non avesse notato la sua espressione.
“Che loro sanno che non sono aggressivo nei confronti di quelli come noi, quindi incaricano sempre voi di portarmi il cibo” replicò Darren e, con un rapido movimento delle zampe, rovesciò il carrello. Da dentro proveniva un misto di odori, primo fra tutti quello del sangue vecchio. A conferma delle sue sensazioni, una delle lunghe zampe nere si introdusse nel contenitore incorporato all’oggetto e ne estrasse un pezzo di carde cruda ancora attaccato all’osso.
Il ricordo di quello che le era successo fece rabbrividire Freya, ma ancora di più lo fece l’appetito che le mise quella vista.
“Volevo semplicemente conoscerti. Mi hanno messo in isolamento per la mia violenza, ma ho trasformato questa condizione in una vita comoda e faccio in modo che siano i miei compagni a venire da me.”
Freya lo guardò quasi inespressivamente. Gli otto occhi che stava osservando non erano espressivi, ma a quanto pare erano capaci di leggere perfettamente la sua di espressione.
“Questo posto ha già cominciato a colpire anche te” le disse Darren. Non era una domanda. Freya non si prese il disturbo di negare una cosa così ovvia. A che sarebbe servito?
L’Acromantula inclinò la testa verso sinistra e annunciò con la massima tranquillità: “Stanno tornando.”
Freya annuì, anche lei lo aveva sentito.
“So che sono uno sconosciuto per te” continuò Darren “ma tu ed io siamo della stessa specie e dobbiamo difenderci a vicenda…prendi questo gesto come un segno di fiducia”.
La sua faccia ragnesca si contrasse mentre tutto il corpo si scuoteva come per un brivido e rimpiccioliva.
Fu uno spettacolo incredibile. Dove poco prima si ergeva, enorme e letale, un’Acromantula; ora vi era un uomo sulla trentina o anche più giovane, ben piazzato e con uno sguardo pericoloso negli ardenti occhi scuri. Freya si disse che era l’uomo più bello che avesse mai visto, ma cercò di contenersi perché non sapeva quanta di quell’attrazione derivasse dall’Abominio in lei.
“Non posso trattenerti per molto, avranno già preso le pozioni soporifere: è meglio che tu vada. Farò in modo che tu possa tornare presto.” concluse Darren.
Freya avrebbe voluto rispondere, ma all’improvviso la sua mente si annebbiò e le parve di precipitare dentro un pozzo di oscurità.

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Capitolo 4
*** 2.3 le emozioni di un mostro (terza parte) ***


Per la prima volta in vita sua, Freya venne sottoposta alla Maledizione Cruciatus. Appena aprì gli occhi nella sua cella/acquario trovò di fronte a lei un gruppo di maghi in nero con le bacchette puntate. Non ebbe il tempo nemmeno di prendere un respiro: Nel momento esatto in cui si mosse le loro braccia sferzarono l’aria e il suo mondo divenne dolore puro.
A Hogwarts le avevano insegnato che si trattava di un incantesimo proibito, ma non sembrava che quelle persone lo considerassero tale; le avevano anche detto che si trattava di una sadica maledizione utilizzata con l’unico scopo di torturare (per ottenere informazioni era sufficiente la maledizione Imperius o qualche pozione di verità), ma i maghi in nero non davano l’idea di divertirsi. La stavano semplicemente addestrando. Le stavano dicendo che si era comportata male e che quel dolore era solo colpa sua. Le stavano mostrando il prezzo della disobbedienza.
 
 
 
Quando Freya riprese i sensi si ritrovò sola. Le luci erano abbassate, quindi dovevano essere passate almeno due ore da quando l’avevano torturata.
Il suo corpo era scosso da tremiti. Non sentiva più dolore, ma qualcosa di quello che le era successo le si era aggrappato dentro con artigli gelidi. Non avrebbe potuto dimenticare. Mai.
Si rannicchiò nel suo angolo preferito, quello a destra sulla parete di fondo, e circondò le gambe con le braccia, appoggiando contemporaneamente la testa sulle ginocchia.
Fu allora che lo sentì per la prima volta.
Qualcuno stava urlando.
Per un momento Freya pensò che stessero torturando un altro Abominio, ma capì che era impossibile: innanzitutto la sua cella era completamente insonorizzata, e poi la voce non sembrava provenire da fuori della sua cella.
Era come se stesse immaginando una voce che gridasse, la sensazione era proprio la stessa di quando immaginiamo delle parole; solamente che, quella volta, non era frutto della sua immaginazione. Una voce maschile, troppo lontana per distinguere cosa stesse dicendo, urlava a squarciagola.
La ragazza si raddrizzò e provò ad ascoltare meglio, ma il suono si andava già indebolendo e in poco tempo svanì.
 
 
 
Passarono tre giorni prima che Freya entrasse nuovamente in contatto con quella voce notturna. Si era appena appisolata quando nella sua testa risuonarono nuovamente, stavolta molto più vicine, delle parole.
“No! Liberatemi! Vi massacrerò! Ucciderò tutti dal primo all’ultimo!”
Impressionata non tanto dal contenuto di quel discorso, ma dall’odio che trasudava da quella voce; Freya si tappò le orecchie. E all’improvviso il flusso di minacce si interruppe e la stessa voce, in tono cauto, chiese: “Chi sei?”
La paura paralizzò Freya. L’aveva sentita?
“Ti prego! So che sei qui, riesco a sentirti. Ti prego dimmi chi sei!”
Freya non rispose. Stava parlando con lei. Tolse le dita dalle orecchie, ma non servì a nulla.
“Ti scongiuro, ascoltami! Sono chiuso in questa cella da ormai non so più quanto tempo. Nessuno mi si avvicina e non sento più nessuna voce da allora. Non posso nemmeno uscire come fanno gli altri. Parlami ti prego!”
Le parole erano impregnate di un dolore sincero, talmente grande da minacciare di sommergerla. Con uno sforzo di volontà riuscì a non rispondere nulla.
“Sento che sei una femmina e sento che non sei una di loro, ma una di noi. Sei chiusa qui dentro come me, ma tu almeno hai ogni giorno un contatto umano, io invece devo rimanere nel nulla. Ho capito chi sei, ti ho vista arrivare. Ti ricordi di me?”
Nella sua mente balenò l’immagine del ragazzo immerso nell’acqua.
“Non so come sia possibile che io sia riuscito a mettermi in contatto con te nonostante gli incantesimi, ma so che lo siamo. Ti prego, non negarmi una risposta! Credo di star impazzendo!”
“Freya.”
“Cosa hai detto?”
“Il mio nome è Freya.”
Due lacrime le solcarono il volto mentre la voce si affievoliva continuando a ripetere “Grazie. Grazie. Grazie. Grazie…”

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Capitolo 5
*** 2.4 le emozioni di un mostro (quarta parte) ***


Eccomi qui.
Questo sarà l’ultimo capitolo che pubblicherò prima di Pasqua, quindi ho cercato di renderlo più interessante possibile (e di dire un po’ più di cose del solito.)
Innanzitutto ringrazio chi mi ha seguito fino a questo punto e in modo particolare la mia unica recensitrice (a quanto pare è questo il femminile di recensore). Colgo l’occasione per ricordare che qualunque commento e benaccetto, quindi vi invito caldamente a farmi sapere che ne pensate della storia, del modo di scrivere, in generale di tutto.
Con questo capitolo si chiude la seconda parte: le emozioni di un mostro, quindi lancio a tutti coloro che vorranno coglierla una piccola sfida: provate a indovinare gli animali in cui si trasformano i nostri Abomini. Darren lo sapete e non mi aspetto che indoviniate i fratelli e il vecchio, ma avete molti elementi almeno per Freya e Will. Se vi vengono idee, potete scriverle tra le recensioni o mandarmi un messaggio ;)
Concludo augurando buone vacanze.
Andrasil.
 
 
 
La notte successiva il ragazzo della cella piena d’acqua tornò a chiamarla.
“Come ti chiami” gli chiese Freya come prima cosa.
“William Begum” rispose il ragazzo con una nota di nostalgia nella voce.
“Come è possibile questo?”
“Intendi la nostra conversazione?”
“Si”
 “Io sono un Legilimens oltre che un Abominio. Avere una conversazione telepatica è una cosa abbastanza facile per noi, ma teoricamente le nostre celle dovrebbero essere schermate.”
“E allora come ci riesci?”
“Durante tutta la giornata di ieri ho provato a darmi una spiegazione e credo di essere giunto a una conclusione. Quando ti ho detto che non ho mai avuto un contatto umano da quando mi hanno chiuso qui dentro è vero e, fidati, è una tortura molto peggiore di quanto sembri; però purtroppo non è l’unica che devo subire. Io…l’altro può respirare sott’acqua, ma il massimo che posso fare io è trattenere il fiato per venti minuti. Capisci questo cosa significa?”
Certo che Freya lo capiva. William era costretto a trasformarsi ogni venti minuti per non morire. “Ho provato a non trasformarmi, ma anche gli esseri umani possiedono degli istinti e uno di questi è quello di sopravvivenza.”
“Perché non rimani sempre trasformato allora?” gli chiese, pur credendo di conoscere già la risposta.
“Perché non…perché ho paura di diventare in tutto e per tutto quella cosa. L’isolamento non aiuta. Ero sul punto di impazzire. Stavo per diventare un mostro dentro prima che fuori…ho cominciato a desiderare di uccidere tutti.”
Freya avrebbe voluto potergli stare vicino in quel momento e dirgli che capiva cosa provava; ma allo stesso tempo si rendeva conto che non era così. Non poteva capire perché lei non era mai stata costretta a trasformarsi. La sua sofferenza impallidiva a confronto con quella del ragazzo, costretto in uno stato di instabilità mentale oltre che fisica da quell’isolamento in condizioni estreme, instabilità destinata a peggiorare se lasciato a se.
Freya fu contenta di avergli risposto. Anche lei si rendeva conto dell’importanza di quel contatto, seppur minimo.
Cercando di farlo concentrare su altro gli disse: “Non mi hai ancora detto la soluzione alla quale sei giunto: come possiamo parlare nonostante la schermatura?”
“Perché questo incantesimo è stato progettato per bloccare i maghi! Quando ti ho sentita…e tu mi hai sentito…stavo respirando.”
“Vuoi dire che adesso sei…”
“Si”
Freya gridò e si ritrasse
“Vattene! Torna umano!”
“Freya ti prego”
“Esci dalla mia testa!”
“Non lasciarmi solo. Per favore. Non lasciarmi di nuovo solo!”
“Vattene!”
William si ritrasse dalla sua mente lasciandole al suo posto solo un grande senso di vuoto e vergogna.
 
 
 
Passarono due giorni. Poi, durante la terza notte, Freya sentì William che le toccava delicatamente i pensieri. Oramai aveva imparato a riconoscere la sensazione.
“Scusa” gli disse subito, accogliendolo nella sua mente come se lo abbracciasse
Lo capisco. Non devo dimenticare che anche tu sei come me.”
“E invece a volte penso che ci farebbe bene dimenticarlo.”
“Perché”
“Perché tu l’altra notte eri un Abominio solo nel corpo. Sono stata una sciocca a cacciarti perché avevo paura della tua natura. Ho sentito i tuoi pensieri prima e ti posso assicurare che erano diversi.”
“È merito tuo” Le rispose William e Freya ebbe la sensazione che, se fosse stato con lei, le avrebbe strizzato l’occhio “Prima d’ora non avevo mai avuto pensieri così umani durante la trasformazione.”
Passarono un paio di minuti, poi William le chiese:
“Perché pensi che siamo così? Perché gli Animagi non provano degli istinti come i nostri?”
“Magari li provano. Magari imparano a conviverci con il tempo se li si lascia imparare invece che chiuderli in delle celle per studiarli.”
“Forse.” Rispose il ragazzo “Ma per saperlo dovremmo uscire e, ora come ora, lo vedo impossibile.”
Freya non rispose subito. Era troppo occupata a immaginare di uscire da quel posto. Sentire il tocco del vento, il calore del sole e il profumo della vita.
“Che bei pensieri” le disse William mentre il suono della sua mente si faceva più profondo.
“Li hai visti?”
“Certo! Sono un Legilimens e le immagini sono molto più semplici sia da pensare che da recepire rispetto alle frasi.”
“Puoi tornare da me?”
“Anche ogni notte se vuoi”
“Si. Per favore.”
 
 
 
“Quando stavo a Hogwarts, la Preside mi ha insegnato a usare al meglio il mio potere di Legilimens.”
“Eri a Hogwarts anche tu? Quanti anni hai?”
“Ventisei.”
“Allora, mi avrai visto arrivare al tuo sesto anno. Io ne ho ventuno.”
“Ehm…no!” la mente di William emanò divertimento “Durante il viaggio in treno avevo colpito un ragazzo con un Rictusempra, quindi mi trovavo a pulire le targhe della Sala trofei durante il banchetto.”
Anche Freya rise. “Perché lo avevi fatto?” gli chiese.
“Perché mi aveva fatto uno sgambetto e si era messo a ridere. Rideva in un modo così oscenamente provocatorio nei miei e confronti che volevo farlo ridere fino allo svenimento. Sfortunatamente non è successo.”
“In che casa eri? Non puoi essere di Grifondoro, ti avrei visto almeno una volta”
“Infatti ero a Corvonero.”
“Quindi c’eri quella volta che hanno lanciato un intera cassa di Fuochi Forsennati dalla loro torre per festeggiare la vittoria della Coppa del Quidditch”
“Certo. Era il mio ultimo anno! Quanti ricordi…”
L’incontro con William cambiò completamente la sua vita in quella prigione. Le giornate non passavano più inerti, ma venivano vissute nell’attesa della sera e delle sue conversazioni. Anche la prigione stessa perse tutti i suoi effetti su di lei e, per la prima volta da quando era stata arrestata, Freya fu felice.
Era talmente assorta da quella nuova vita che, quando la routine del giorno venne interrotta una seconda volta, si chiese per quale motivo stesse succedendo.
 
 
 
“Quindi le cose stanno così!” Esclamò Darren camminando avanti e indietro per la cella sulle otto lunghe zampe.
Freya gli aveva raccontato di William, anche se aveva omesso il fatto che non amasse trasformarsi supponendo che Darren non avrebbe capito.
L’Abominio era furioso, un filo di ragnatela gli usciva dalle fauci e lo lavorava incessantemente grazie alle tenaglie ai lati della bocca con evidente nervosismo.
“Va bene” esclamò infine “Faremo in modo di uscire da questa topaia.”
Lo stupore della ragazza per la velocità con cui l’Acromantula le aveva esposto la cosa non fu sufficiente a ritardare il “SI” che le uscì dalle labbra a una più attenta riflessione.
Voleva la libertà. Non per tornare alla sua vecchia vita, sapeva che era impossibile, ma per poter viverne una nuova.
“Ascoltami!” le disse lui con un tono pericoloso nella voce “Non ho intenzione di creare una piccola comunità felice di Abomini. Usciti da qui saremo in guai grossi, quindi ognuno andrà per la sua strada.”
Freya annuì, le sembrava la cosa più giusta.
“Parla con questo William e digli di mettersi in contatto con gli altri per le informazioni. Organizzerò la cosa in modo rapido.”
Stava succedendo tutto troppo in fretta. Fino a una settimana prima era solo una bestia che doveva essere studiata e ora era tornata una persona che sognava la libertà.
“Vai!” le disse lui “ti farò giungere delle informazioni.”
Freya si girò per uscire, ma una zampa le si posò sulla spalla e la costrinse a voltarsi. Gli otto occhi di Darren erano a pochi centimetri dalla sua faccia e Freya dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non arretrare
“C’è la possibilità che ci costringano a uccidere o morire. Devo essere sicuro che sarai dei nostri fino alla fine se vogliamo fare questa cosa.”
Molto lentamente, Freya annuì.
 
 
 
“Darren dice che non possiamo contare sul vecchio. Gli ha portato ogni tanto il cibo ed è remissivo come un cagnolino. Lui è il Numero 1, il primo ad essere stato catturato. Probabilmente è qui da troppo tempo.”
“Quando mi hanno portata qui, ho contato solo lui, te, Darren e i due fratelli. In totale sei. Eppure mi chiamano numero 7, forse c’è qualcun altro.” Rispose Freya mentre Emily, così si chiamava l’altra ragazza, passava davanti alla sua cella tornando da quella di Darren. Era ammirevole come fosse riuscita a comunicare a Will quello che gli aveva detto Darren così rapidamente. Erano costretti a parlare così perché, quanto pareva, nemmeno la forma trasformata di William riusciva a penetrare gli incantesimi della cella dove si trovava l’Acromantula.
“Possiamo provare a cercare. Ora devo avvisare Philip.”
“Va bene, probabilmente è lui il prossimo, digli di prepararsi.”
“A stasera.”
“Ok”
 
 
 
“Cosa vorresti fare quando usciremo di qui?” chiese Freya quella sera. Non avevano mai smesso le loro conversazioni notturne. Nonostante Will riuscisse a parlare con tutti, agli altri diceva solo le cose essenziali; al contrario, con lei parlava spesso, a volte anche durante il giorno.
“Non posso tornare alla mia vita” rispose subito lui “Né vivere normalmente. Oramai è questo che sono, dovrò imparare a gestire questa cosa…tu?”
“Io penso che volerò più in alto di quanto chiunque possa immaginare e mi lascerò cadere giù. Quando starò per colpire il suolo interromperò la caduta e mi stabilirò il quel posto, a meno che non ci viva già qualcuno.”
“Mi hai appena detto che l’altra vola” rise Will. Faceva tutto parte di una sorta di patto non scritto. Nessuno dei due aveva mai chiesto quale fosse l’animale in cui si trasformavano, sia per delicatezza che per consapevolezza. Consapevolezza che nessuno dei due si trovava a proprio agio nel proprio corpo, ma anche che nessuno dei due si trovava a proprio agio con l’idea dell’Abominio.
“Infondo io so che l’altro puoi respirare sott’acqua, quindi siamo pari” Rispose Freya.
Passarono un paio di minuti senza che entrambi facessero altro che ascoltare la musica della mente dell’altro, poi Freya gli chiese:
“Pensi mai che ora come ora siamo unici?”
“Che vuoi dire?”
“Che è vero che siamo tutti Abomini, ma ognuno di noi è diverso. È come se appartenessimo a specie troppo diverse per unirci in un unico fronte.”
“Io non la penso così.” Ribatté Will. “Secondo me la nostra diversità può essere anche una forza. Ovviamente se tu intendi riguardo al vivere insieme o…innamorarci…sono d’accordo con te. Però nulla ci vieta di unirci dalla stessa parte anche se la tua altra fosse la naturale predatrice del mio. Finché penseremo come noi e non come loro, sarebbe possibile.”
“Tu per loro chi intendi, gli altri o i carcerieri?”
“Entrambi!” rispose Will. “Quando ti ho detto che dovevo gestire questa mia natura era proprio a questo che pensavo: Noi non siamo più normai esseri umani, ma non siamo nemmeno…gli altri. Siamo Abomini e dobbiamo imparare a definirci in base a questo. Senza perdere noi stessi nell’illusione di essere completamente uomini o completamente bestie.”
“Grazie Will. A domani.”
“A domani Freya.”
 
 
 
Io giorno dopo, mentre Philip passava di fronte alla sua cella, le rivolse il suo solito sorriso beffardo. Dopo aver capito di non essere raggiungibile da Will, Darren aveva fatto in modo di apparire ancora più violento del solito in modo da farsi portare il cibo una volta al giorno.
Freya aveva paura che decidessero di sopprimerlo; ma, come le aveva detto Emily tramite Will, stava sottovalutando la curiosità morbosa dell’uomo quando scopre qualcosa di sconosciuto. Ovviamente aveva ragione. La paura è il sentimento principale che l’essere umano prova nel momento del contatto con qualcosa di nuovo; ma, quando questa cosa è alla sua mercé, allora essa si muta in folle desiderio di conoscenza. Non avrebbero ucciso Darren finché avessero pensato di poter continuare a scoprire cose nuove su di lui.
“Darren ha chiesto esplicitamente di te” le disse poco dopo Will “Dice che abbiamo quasi finito e vuole che domani sia tu a portagli il cibo.”
“Non vedo l’ora” rispose scherzosamente Freya.
 
 
 
Il loro unico errore fu quello di non prestare particolare attenzione. Se si fossero chiesti perché il quella valle il clima, il tempo e le emozioni venissero così raffreddate, se avessero notato come i loro comportamenti, che in qualsiasi altro momento sarebbero sembrati normali, stonassero con tutto quello che li circondava o anche se solo avessero pensato che, sebbene fossero oramai considerati delle bestie, forse i loro carcerieri sapevano che erano bestie intelligenti.
Ma non fecero nulla di queste cose. Soprattutto Freya, l’ultima arrivata. Il suo desiderio di liberà e il sentirsi vicina al suo obiettivo le impedirono di notare quanto fosse palese il cambiamento nel suo sguardo e nelle sue espressioni.
E le impedirono di notare che, quando vennero a prenderla, non avevano nessun carrello con loro.
 
 
 
“Freya!”
Nella voce di Will c’era un senso di fretta mentre la chiamava
“Freya, cosa è successo? Ti ho persa per più di un’ora.”
Freya provò a tornare indietro con la mente, ma ogni volta che ci provava le sembrava di cercare di afferrare l’aria. Come se stesse cercando di ricordare un sogno oramai sbiadito.
“Non mi ricordo…”
“Scusa, permetti che ci provi io?”
“Cosa?”
“Me la cavo bene ad estrarre ricordi, anche se sono modificati.”
“Va bene” rispose Freya con un senso di oppressione alla bocca dello stomaco “Provaci.”
 
 
 
Una stanza bianca. I maghi in nero intorno a lei. Le bacchette puntate al suo cuore. Un uomo vestito di bianco le fa bere una pozione completamente trasparente e insapore.
Poi le fanno delle domande. Cosa sta succedendo? Lei sa qualcosa che loro non sanno?

Freya non riesce a non rispondere. Rivela tutto.
Loro vogliono i particolari. Lei risponde in modo preciso.
Vogliono sapere come riescano a comunicare. Lei tradisce William.
Le chiedono se era tutto lì. Lei risponde sì.
Le puntano la bacchetta al cuore, ma l’uomo in bianco dice di aspettare e informare prima il Ministero.
La bacchetta sale verso gli occhi ed emette un lampo di luce.
 
 
 
“Will. Scappa! Annuncialo a tutti! Dobbiamo andarcene ora! Subito!”
“Freya cosa... no! Perché sono qui? Cosa vogliono?”
E, per una manciata di secondi, Freya si ritrovò dentro il corpo di Will. Vide i maghi in nero davanti alla sua cella con le bacchette puntate e vide l’acqua cominciare a schiumare mentre diventava sempre più bollente.
“No! No! Basta! Brucia! Aaaaaaaaaaagh”
Il dolore fu talmente forte da sbalzarla indietro nel suo corpo, ma le ci vollero comunque dei secondi prima di riprendere il controllo di se e ricordare che non c’era nessuna acqua bruciante intorno a lei. Sentiva il suo corpo come trafitto da un’infinità di spilli gelidi.
William…
Si alzò per correre alla parete trasparente che dava sul corridoio, ma fu costretta a fermarsi. Anche davanti alla sua cella vi era un gruppo di maghi in nero con le bacchette puntate contro di lei.
“Maledetti!” fu il suo ultimo pensiero razionale.

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Capitolo 6
*** 3.1 i sogni di un mostro ***


Eccomi tornato. Mi scuso per il ritardo e per la brevità del capitolo, ma sto avendo problemi a conciliare la scrittura con tutti gli altri impegni.
 
 
 
“Sono io! Maledizione Freya, sono Philip!”
Freya abbassò lentamente la bacchetta dalla gola del ragazzo. Era…al centro della Piana Nera.
Le cedettero le ginocchia.
“Freya, che cos’hai? Sei ferita?”
Guardò la bacchetta che stringeva nella mano: non era la sua.
“Will! Mi serve una mano! Credo che l’abbiano confusa o chissà cos’altro.”
“No” riuscì a dire con voce roca “Sto bene.”
“Cosa è successo?” chiese una seconda voce, più profonda e vibrante.
Freya alzò gli occhi. C’era un altro ragazzo davanti a lei, un ragazzo dai profondissimi occhi blu. William.
 
 
 
Quando i maghi in nero le avevano puntato contro le bacchette, Freya aveva completamente smesso di pensare. Di fronte a lei vi erano dei nemici che con ogni probabilità stavano per ucciderla.
Anche un non Abominio avrebbe sentito il morso del più grande istinto di ogni specie: quello di sopravvivenza.
Freya non aveva pensato. La sua mente si era come paralizzata.
E l’altra aveva preso il sopravvento.
Era bastato un secondo. Freya si era vista lanciarsi contro la parete trasparente facendola a pezzi, aveva visto il sangue…e poi più niente.
Non sapeva come, ma era riuscita a non perdere completamente il controllo. Quando aveva aperto gli occhi, era solo una ragazza rannicchiata in un corridoio macchiato di sangue e circondata da cadaveri. Era ancora lei.
Almeno nel corpo.
Poco lontano dai suoi piedi vi era una bacchetta. L’aveva presa e aveva corso verso la cella di Will. Non stava pensando di salvarlo. O forse sì? Non lo sapeva. Non vi era nessun pensiero lucido che la guidasse.
Aveva schiantato i primi maghi che le si pararono davanti giocando sull’effetto sorpresa. Si trovavano davanti alle celle dei fratelli; ma se Philip o Emily avevano provato a farle dei cenni, Freya non lo aveva notato.
Quando era arrivata davanti alla cella di Will, aveva visto un gruppo di almeno dieci dei loro torturatori davanti alla parete trasparente. Sapeva che era questione di attimi prima che la notassero, ma neppure in quel momento aveva pensato. No. Aveva agito con sicurezza, come se avesse progettato la cosa da tempo e, mentre sentiva i maghi urlare una formula disarmante e una incatenante nella sua direzione, aveva pronunciato per la prima volta in vita sua le due parole maledette:
Avada Kedavra”.
Perché una maledizione senza perdono andasse a segno, doveva essere scagliata con un forte intento omicida; ecco perché Freya non aveva fallito. In quel momento l’unica traccia di umanità nella sua mente risiedeva nei sentimenti; pertanto, per quello che provava, nell’odio. Un odio troppo forte per impedirle di portare a termine l’anatema, anche se aveva diretto la bacchetta da un’altra parte.
Il fascio di luce verde aveva fatto a pezzi la parete trasparente come se gli incantesimi che la proteggevano non esistessero; un attimo dopo dalla lastra infranta erano fuoriuscite acqua e morte.
Nuotando nell’acqua con una naturalezza incredibile, davanti a Freya era comparso uno splendido cavallo bianco. La ragazza aveva avuto solo un momento per ammirare li occhi della creatura, di un blu liquido e profondo quanto gli abissi dell’oceano, prima che essa aprisse la bocca rivelando delle zanne impressionanti al posto dei denti e facesse a pezzi il mago che gli si trovava più vicino.
Non ci era voluto molto e Freya non aveva dovuto nemmeno alzare la bacchetta: il Kelpie aveva massacrato l’intero gruppo con la semplicità e l’eleganza di un predatore esperto, spezzando le ossa con gli zoccoli e affondando le zanne nella carne tenera dei colli e dei ventri; poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, aveva estratto con precisione chirurgica le viscere ai cadaveri e le aveva lanciate in fondo alla sua cella.
Freya si era ritrovata in ginocchio, le mani affondate in quel poco di acqua che era rimasta sul pavimento senza defluire.
E neppure allora aveva pensato.

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Capitolo 7
*** 3.2 i sogni di un mostro (seconda parte) ***


I suoni avevano raggiunto le sue orecchie prima che i suoi occhi potessero vedere da cosa erano causati.
Dopo aver liberato il Kelpie…o William? …, Freya si era diretta verso l’uscita e solo un paio di corridoi dopo aveva notato che l’animale marino non era con lei. Probabilmente doveva aver preso la direzione opposta ed essere andato ad aiutare i fratelli.
Freya aveva desiderato seguirlo; poi, però, aveva sentito il rumore di voci umane e si era affrettata nell’altra direzione.
“Che cosa hai detto?!” Gridava una voce.
“No…no…” biascicava una seconda.
“Eppure ero sicuro che oramai avessi capito Numero 1, che avessi compreso chi sono i tuoi padroni.”
Freya azzardò un’occhiata dietro l’angolo. Tre carcerieri puntavano le loro bacchette contro il vecchio Abominio chiamato Numero 1 accasciato al suolo e con le mani incartapecorite debolmente sollevate a proteggersi la faccia.
“Se ti dico di leccare il fango dalle nostre scarpe, tu lo fai!”
“Si…si…”
“E se ti dico di non emettere neppure un suono mentre ti cruciamo, tu lo fai!”
“Io…si…”
“E se ti andare dai tuoi simili e ucciderli, TU LO FAI!”
“Io…io…”
Non vi era nulla che il vecchio potesse fare per difendersi. Era solo una figura accartocciata su se stessa per l’età e le torture, due fardelli troppo difficili da portare insieme.
Era stato troppo, sia per Freya che per l’altra. Con un urlo si era scagliata contro i maghi e il vecchio.
Aveva sentito i maghi in nero gridare degli incantesimi, ma nessuno di loro l’aveva raggiunta.
La ragazza era piombata sui due come un uragano e, benché le sue forme fossero ancora quelle di un essere umano, aveva cominciato a colpirli come un animale ignorando la bacchetta che aveva in mano.
Alla fine erano riusciti a immobilizzarla. Gli avambracci e le facce dei maghi erano coperti di piccole ferite provocate dalle unghie e dai denti di Freya. Non era riuscita a fare altro in quella forma, ma stranamente non riusciva a trasformarsi. Dentro di lei non sentiva più nessuna bestia: la sua mente era stata colmata dall’altra: ora era lei il mostro.
Un pugno in faccia la fece cadere in ginocchio mentre sentiva il naso rompersi e lasciar andare un fiotto di sangue misto a muco.
“Brutta ba…”
Il nulla colpi il mago in nero con così tanta forza da fantumarne con uno schiocco le ossa quando urtò contro una parete. Il secondo mago puntò la bacchetta contro Freya, ma venne anche lui scagliato a diversi metri di distanza da una forza invisibile.
“Fermo Numero 1!” gridò l’ultimo carceriere, strillando subito dopo: “crucio
Da un punto imprecisato davanti a Freya risuonò un lamento, un attimo dopo tra lei e il mago apparve un enorme facocero grigio: un Tebo.
L’incantesimo gli stava provocando certamente un dolore immenso, ma l’animale continuava a trascinarsi avanti verso il mago arrancando sulle zampe scosse da singulti per la sofferenza.
Nonostante la sua mente annebbiata, Freya realizzò che doveva essere stato torturato così tante volte con quell’incantesimo da essersi “abituato” ad esso, per quanto possibile. Probabilmente neppure da lucida sarebbe riuscita a concepire un tale pensiero. Probabilmente non avrebbe pensato che la violenza potesse raggiungere un tale limite. Ma non esiste limite alla violenza. O forse esisteva prima che il più feroce dei mostri: l’uomo, lo sradicasse.
Il mago in nero non osava sciogliere l’incantesimo perché era l’unica cosa che gli impediva di essere caricato, ma allo stesso tempo cercava di indietreggiare lentamente per sfuggire alle zanne che Numero 1 faceva schioccare sempre più vicine al suo corpo.
Era successo tutto fin troppo in fretta.
“Hey” Aveva gridato una voce da dietro le spalle di Freya. Il mago si era distratto per un momento alzando lo sguardo. Numero 1 aveva chiuso le sue zanne sulla pancia dell’uomo tagliandolo praticamente a metà. La stessa voce dietro di Freya, che non aveva fatto in tempo a girarsi, aveva detto quasi con dolcezza “Avada Kedavra” e un fascio di luce verde si era abbattuto sul Tebo che era stramazzato al suolo.
Freya si era girata con un secondo di ritardo e l’unica cosa che ricordava era di aver incrociato per un secondo il viso dell’uomo vestito di bianco che l’aveva drogata poco prima.
Poi solo un lampo bianco.

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