SoulMate: l'Anima Gemella che (non) cercavo

di Zomi
(/viewuser.php?uid=126102)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soulmate #1 ***
Capitolo 2: *** Soulmate #2 ***
Capitolo 3: *** Soulmate #3 ***



Capitolo 1
*** Soulmate #1 ***


Image and video hosting by TinyPic

Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game! Puzzle Time!” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 3637
Prompt/Traccia: 9. Dormire davanti al caminetto


 
 


 
SOULMATE: L’ANIMA GEMELLA CHE NON CERCAVO


 



 
Image and video hosting by TinyPic
 
 
Madre Natura ci marchia a fuoco fin dalla nascita.
E con noi stigmatizza la nostra anima gemella predestinata,
il cui marchio completerà quello che Madre Natura ci ha donato.

(Precetto basilare del SoulMate! Tattoo)
 
 












 
 
Zoro si massaggiò il collo dolorante, imprecando a denti stretti per non svegliare nessuno.
Lo scoppiettio del caminetto riusciva a tratti a smorzare il borbottio continuo e morboso di Rufy nella sua versione addormentata, innervosendolo maggiormente e sovrastando il russare spezzettato degli altri bell’addormentati nel salotto.
Perché si era lasciato convincere?
O meglio, perché si era lasciato convincere di nuovo?
Gli era già impossibile capire come si fosse ritrovato nella baita della famiglia Monkey con così tanta facilità, nonostante si fosse imposto assolutamente contrario a quella vacanza natalizia forzata.
Il suo migliore amico lo aveva implorato per giorni di unirsi a lui e al resto della combriccola, ma lui aveva sempre reclinato l’offerta con educati ringhi e urli diplomatici.
Eppure eccolo lì, incapace di cadere in un dormiveglia decente perché costretto a dormire per terra nel salotto della baita, davanti ad un caminetto scoppiettante, in attesa che il desiderio di Rufy si avverasse.
Oh perché non era bastato al demonico moro costringerlo a fare conoscenza con i suoi fratelli e cugini vari, no.
Gli aveva anche imposto di partecipare all’annuale notte di caccia a Babbo Natale che si teneva la notte della vigilia, e che consisteva nel passare la nottata tutti accampati davanti al caminetto in attesa che il vecchio pancione cadesse nella trappola di biscotti e latte caldo che Rufy e il cuginetto Chopper lasciavano in bella vista sul tavolino davanti al divano, pronti a scattare sull’attenti e all’attacco non appena il caro Santa Claus si fosse calato dal caminetto, mettendo piede nella stanza e ridacchiando nella sua caratteristica risata gioviale e bonaria, che lo avrebbe tradito svegliando tutti i presenti.
Un piano perfetto.
Così perfetto che sembrava strano che non fosse riuscito in tutti gli anni che la coppia di cugini, alternandosi ad altri parenti e fratelli, mettevano in pratica con assiduità ogni 24 Dicembre.
Che fosse la presenza del caminetto acceso a rendere quel piano, si perfetto, ma inadatto al successo?
-Non dire sciocchezze- aveva sbuffato Rufy ruotando gli occhi al cielo alla sua osservazione.
-Babbo Natale è magico: non sarà il caminetto a fermarlo. Ogni anno lo accendiamo eppure i regali arrivano comunque- era arrivato a dargli man forte Chopper.
La logica era materia di studio in quella famiglia.
Nemmeno i parenti più sani di mente erano mai riusciti a fermare Rufy.
Nessuno c’era riuscito, nemmeno suo fratello maggiore Sabo, il loro amico in comune Law o quella vipera velenosa e dai capelli rossi come le fiamme dell’inferno di Nami, cugina si sana di mente del moro ma decisamente con un caratterino altamente infiammabile.
Scosse il capo Zoro, notando solo in quel momento l’assenza della ragazza con cui subito aveva avuto degli attriti da quando aveva messo piede nella baita facendone la sua cara conoscenza.
Forse aveva aspettato che tutti dormissero per poter svicolare e tornare alla comodità del suo letto, svignandosela come un gatto.
Non poteva darle torto: dormire sul tappeto del salotto, con la schiena addossata al divano occupato da Margaret, non era affatto un giaciglio comodo.
Si ritrovò a massaggiarsi gli occhi succube della stanchezza, cercando una posizione comoda contro il divano, cercando di coprirsi al meglio con la coperta che era riuscito a guadagnarsi nel guazzabuglio che i fratelli Monkey avevano fatto esplodere a inizio serata per la disposizione nel salotto.
Perché non se ne andava anche lui al caldo del suo letto?
Che gliene importava se nessun ciccione vestito di rosso si sarebbe fatto acchiappare da quel demente del suo amico?
Era adulto ormai, perché non si arrendeva all’evidenza che era un piano folle il suo?
Perché non si arrendeva all’evidenza che Babbo Natale non esisteva soprattutto?
E perché quella dannatissima coperta era così piccola?!?!
-Tieni-
Voltò il capo di scatto a quel sussurrò, fissando la coperta stropicciata che una mano candida gli offriva.
Piegò all’indietro il volto scorgendo la massa di ricci ramati che lo studiava.
-Allora?- gliel’agitò contro Nami –Temporeggia ancora e ti farò pagare il nolo del mio tempo!-
-Strega!- sbuffò il verde afferrando la coperta e stringendosela al corpo.
Non l’aveva notata tornare, carica di coperte e piumini, che ora disseminava sopra a cugini e amici che dormicchiavano qua e là nel salotto.
-… devo sempre badare a loro!- la sentì sbuffare mentre tentava di soffocare con una coperta un inanime Sanji, trattenendo l’istinto omicida verso il biondo solo per la presenza della sua fidanzata, Viola, stretta al suo petto.
Inarcò un sopracciglio ascoltandola nel lamentarsi.
-Se prendono freddo poi chi li sente da ammalati?- la fissò coprire meglio la coppia e gettare una stola sopra a un Sabo compostamente addormentato contro il muro, avvicinandosi a grandi falcate a Rufy.
-Nami ho fame, Nami ho freddo, Nami mi fa male la testa!- gettò di peso un piumone sui corpi dei cugini, calciando lievemente la spalla di Rufy –Sono loro cugina: non un’infermiera!-
-Oh su questo non c’era dubbio- sghignazzò, strusciando le spalle contro la stoffa del cuscino che l’aiutava a mantenersi dritto con il dorso.
Nami lo fulminò con lo sguardo, gettandosi sulle spalle una coperta e andando a sedersi accanto a lui, stiracchiando le gambe verso il caminetto in cerca di calore.
-Sta un po’ zitto tu!- sbuffò, sfregando le mani tra loro –Senza la mia coperta ti saresti svegliato con i ghiaccioli al sedere domani mattina-
-E tu non mi avresti messo la boule dell’acqua calda sopra, infermiera mocciosa?- la canzonò, beccandosi una gomitata sul fianco sinistro.
-Attento: sono ancora in tempo a cacciarti fuori da qui,  e farti passare la notte all’agghiaccio. Hanno messo neve sai?-
-La neve non mi spaventa- abbassò la voce, notando Viola rigirarsi tra le braccia di Sanji.
-E gli orsi che popolano le foreste qua attorno?- lo punzecchiò.
-Dopo aver conosciuto un’arpia come te dubito ci sia bestia che possa ancora spaventr… ouch!-
Nami ritrasse il pugno ringhiando a denti stretti, portandosi le gambe al petto.
-Cavernicolo! Non mi stupisco tu sia single!- gli tirò una linguaccia.
-Disse la zitella- sghignazzò, beccandosi la seconda gomitata a cui rispose con un pizzicotto.
Dovettero fermarsi prima di prendersi a cuscinate in faccia, smorzando le loro piccole risate quando Chopper, stretto tra le braccia di Rufy mugugnò nel sonno.
Si voltarono a fissare la coppia di cugini, studiandoli con attenzione.
Rufy e Chopper dormivano beatamente accanto al caminetto, crogiolandosi nel tempore che emanava, abbracciandosi sotto la coperta che gli copriva e celando la terza figura che il moro si stringeva al petto.
Il capo corvino di Robin si alzava e abbassava a ritmo dello sterno di Rufy, quasi fosse una ninna nanna perfetta per lei, le cui mani erano scivolate ad accerchiare la vita del moro ed ad accarezzare lievemente il capo nocciola del piccolo Chopper, raggomitolato sul fianco del suo cugino adorato.
Un strano sorriso si aprì sulle labbra di Zoro.
Robin e Rufy erano una strana coppia.
Non sembravano avere nulla in comune, nulla che li unisse ma anzi, mille e differenti particolarità che li dividevano.
Eppure, il tatuaggio che Rufy portava sul petto e che prendeva la forma di un’enorme X, si completava perfettamente se Robin posava la mano sullo spazio vuoto posto al centro della croce, posando il polso ornato di un’arabesca croce a riunire le due metà che rappresentavano e ultimando perfettamente il disegno.
Questo era il regalo di Madre Natura a loro esseri umani.
Una mappa, una guida, un disegno che se completato regalava ai possessori l’anima gemella.
La parte mancante del loro puzzle.
E così, Robin e Rufy, mantenevano le loro innumerevoli diversità pronte a tutto per dividerli, ma mostravano anche migliaia di piccoli, pesanti, rilevanti dettagli che univano in un intreccio metallico le loro esistenze.
Robin amava leggere, Rufy giocare ai videogiochi, ma non appena la vedeva afferrare un libro, spegneva la console per catapultarsi da lei e posare il capo sulle sue ginocchia, in ascolto della sua voce in lettura.
Rufy amava mangiare, Robin prendersi cura del giardino ed era così che era nato un piccolo orto nella terrazza del loro appartamento.
Erano piccoli, microscopici dettagli che univano come anelli d’acciaio la coppia, rendendola perfetta con le loro diversità.
Improvvisamente si portò una mano al petto vestito dalla camicia di flanella, tracciando la linea discontinua che lo segnava da spalla a fianco.
Il tribale che Madre Natura gli aveva donato si interrompeva ad altezza del cuore, lasciando che le linee si spezzassero violentemente nel loro gioco di onde, saltando una dozzina di punti prima di riniziare e dirigersi sicuri verso il fianco destro del ragazzo, immergendosi sulla curva del bacino.
Il suo marchio.
Il suo marchio ancora incompleto, ancora privo di quel microscopico pezzetto di onde irregolari.
Si chiese quando avrebbe incontrato la sua anima gemella, ma soprattutto si chiese come avrebbero capito di appartenersi.
Non poteva di certo andarsene in giro per il mondo a dorso nudo, sperando che la sua controparte capisse al volo che lo spazio vuoto che lui possedeva doveva essere riempito dal marchio che possedeva.
Non era facile.
Era contorto e sadico, era un orribile modo di giocare con l’esistenza di qualcuno, la sua per la precisione.
Era…
-… carini no?-
Distolse gli occhi, guardando Nami, il cui sguardo era fisso su Robin e Rufy.
La vide stingersi le mani sulle spalle in cerca di calore, premendo le dita sulle scapole lasciando che la coperta scivolasse lungo le braccia.
-Si- sussurrò monocorde, ascoltando il russare degli amici mischiarsi allo scoppiettio della legna che ardeva.
-Sai dei loro marchio?- domandò la rossa, continuando a bisbigliare quando lo vide annuire –E di Sanji e Viola?-
-Sanji ha un sopracciglio tatuato- cercò di ricordare il brutto muso dell’amico –E se Viola posa il suo indice e pollice, uniti in un semi cerchio, su di esso formano un cuore: il sopracciglio di quel demente forma gli archi e le dita di Viola i due lati che si ricongiungono a punta-
Fu il turno di Nami di annuire.
-Anche Sabo c’è l’ha sul viso- raccontò del cugino –Koala invece, la sua ragazza, sulla schiena-
Zoro si voltò a guardarla confuso, corrucciando lo sguardo e facendola ridacchiare.
-Lo so, lo so: è difficile da credere, ma se Sabo posa il capo sulla schiena di Koala vedrai che il marchio prende forma. Io l’ho visto quando siamo stati al mare assieme e lui le spalmava la crema solare sulla schiena- si passò con forza la mano sulla spalla sinistra –È molto bello: ha la forma di un sole-
-Sempre meglio di quella di Usopp- soffiò sentendo la temperatura aumentare sotto i due strati di coperta.
-Chi?- posò il capo sulle ginocchia la rossa.
-Un amico- minimizzò ghignando –Ha un naso lunghissimo ed è orrendo con il marchio che lo accerchia in una specie di spirale. Da piccoli lo prendevamo sempre in giro: era ridicolo- la fece ridacchiare –Ma se Kaya, la sua ragazza, posa le sue labbra sulla punta, appare una rosa, che come stelo ha il marchio di Usopp e come petali le labbra di Kaya… e non è più tanto male-
Nami lo studiò con attenzione prima di sorridere intenerita, posando il capo sulle braccia incrociate sulle ginocchia e permettere ai ricci ramati di scivolare sulla coperta stretta sulle gambe.
-Non guardarmi a quel modo ora- sbuffò Zoro, distogliendo lo sguardo dalle iridi nocciola della ragazza puntate su di lui.
-E perché? Ti imbarazza svelare il tuo lato dolce Roronoa?- lo punzecchiò.
-Non ho idea di ciò di cui stai parlando- strinse i denti.
-Già, tutti duri voi uomini vero?- rise –Come quel vostro amico… Law giusto?- additò l’interessato con un cenno del capo, l’unico che la luce del caminetto non riusciva a sfiorare.
-Margaret mi ha raccontato che il suo marchiò è formato dalla parola “Death” scritta lettera per lettera sulle nocche di entrambe le mani- abbassò la voce, avvicinandosi a Zoro –Per sfida verso quel marchio, si è tatuato sul petto e sulla schiena vari altri disegni, cercando di ingannare la sua controparte con altri marchi-
Sghignazzò, tornando a guardare il verde in volto e immergendosi nelle pozze nere delle sue iridi.
-Quando ha incontrato Margaret e ha scoperto che lei, sulle sue nocche, aveva scritto la parola “Life”, ha pianto: è la verità, non fare quella faccia!-
Zoro piegò le labbra in un sorriso debole e dolce, guardando di sfuggita Law, il cui capo era abbandonato contro la spalliera del divano, a sfiorare i ciuffi biondi della sua amata che dormiva composta sul sofà ben coperta e al caldo.
Era vero.
Spesso li vedeva prendersi per mano e mischiare le lettere dei loro marchi a formare parole senza senso compiuto, ma con un ben più profondo significato che legava entrambi al compagno: morte e vita, vita e morte.
-È difficile credere che ognuno di noi abbia realmente una controparte che ci completi, vero?- continuò Nami, lasciando che le loro spalle si sfiorassero.
Il ragazzo annuì, stranamente sollevato dal fatto che qualcuno la pensasse come lui.
-Eppure è così- borbottò ancora la rossa, persa nei suoi pensieri, ammutolendosi nell’ascoltare lo scoppiettio del caminetto.
Sapere che qualcuno, nella vastità del mondo, era in eterna ricerca della propria metà come lei, come tutti i presenti in quel salotto, le faceva attorcigliare lo stomaco.
Quante volte aveva scorto la sua anima gemella e non l’aveva riconosciuta?
Quante volte aveva svoltato un angolo evitandola per pochi metri di strada?
Quante volte aveva sperato di averlo trovato per poi scoprire che era un altro buco nell’acqua?
Quante altre volte ancora doveva cercare prima di trovare quell’unico tassello mancante della sua vita?
Forse non era ancora giunto il suo momento, il giorno giusto in cui incontrarla.
Forse doveva solo pazientare ancora un po’, e lui si sarebbe presentato nel momento giusto, nel modo giusto e…
-Dove hai il tuo marchio?-
… e di sicuro non con una frase così impudente come quella appena pronunciata da Zoro!
-Ti sembrano domande da fare!?!- si staccò da lui colpendolo con un calcio allo stinco –Sono cose intime!-
Come gli saltava in mente di chiedere a una sconosciuta dove avesse il suo marchio?
Era come chiedere alla prima persona che gli arrivava a tiro di che colore avesse le mutandine che indossava?
Era un depravato o cosa?!?
-Non mi pare tu ti sia fermata davanti a nessuna privacy dei tuoi cugini o amici nel chiedere dei loro marchi- la rimbeccò osservandola.
-È diverso!- sbuffò –Sono stati loro a raccontarmi le loro storie, non sono andata di certo io a interrogarli!-
-Si, ovvio…- si trattene dal ridere facendola gonfiare le guance.
-E tu?- lo fulminò con lo sguardo –Tu dove hai il tuo marchio?- cercò di metterlo in altrettanto imbarazzo.
Il ragazzo la guardò per un lungo istante prima di sfilarsi dalle spalle le coperte e iniziare a sbottonarsi la camicia che indossava, aprendola sul petto sotto lo sguardo bordò di Nami, incapace di distogliere gli occhi dal torace di Zoro che a poco a poco si denudava, mettendosi a nudo dinanzi a lei.
-E-esibizionista!- cercò di distogliere gli occhi, non riuscendoci e spalancando la bocca nel scorgere l’intricato e scuro arabesque che occupava una grande porzione del petto del verde.
Faceva capolino da fianco destro, ascendendo il petto e attraversandolo per intero, fermandosi all’altezza del cuore e lasciando incompiute alcune linee ondeggianti e bluastre, che riprendevano il loro silente cammino sopra la clavicola sinistra, andando a nascondersi sotto la spallina della camicia.
Sembrava che qualcuno avesse squarciato il petto di Zoro con una lama, saltando alcuni punti sul pettorale sinistro, andando a rovinare la bellezza dell’enorme ferita mortale, che sembrava più letale su quei pochi punti mancanti che non sulla sua intera estensione.
Ma nonostante ciò, la bellezza del marchio non né era intaccata.
Nami era affascinata dal continuo susseguirsi di onde e linee morbide che costituiva il marchio di Zoro, e sentì le dita della mano scottarsi quando inconsciamente lo sfiorò.
Non si era nemmeno resa conto di aver osato tanto, di aver sollevato la mano a toccare la più intima parte del ragazzo.
Ritrasse in fretta la mano, premendo i polpastrelli ustionati nel palmo.
-È molto bello- sussurrò, sollevando il capo a sorridergli, strappandogli un lieve rossore sulle guance.
-È solo uno stupido disegno incompleto- bofonchiò accavallando le gambe e sistemando le coperte su di esse, non accennando a richiudersi la camicia e abbandonando lo sguardo al caminetto acceso.
-Sarà…- sospirò Nami, abbassando una spallina della sua maglia -… ma non lo sono forse tutti?-
La studiò voltare le spalle verso il caminetto, gettando la sua esile ombra su di lui mentre portava davanti al suo sguardo la spalla sinistra.
Lì, sulla pelle chiara e bianca come la neve, si diramava un tribale bluastro che accerchiava la spalla, coprendola sul dorso e sul lato, allunandosi con pochi ricci sull’avambraccio e disegnando una curvilinea girandola intrecciata a un frutto –un mandarino forse- i cui rami venivano però brutalmente tranciati dalla pelle della rossa, non lasciando traccia o indizio del disegno maggiore che comprendeva il marchio di Nami.
-Sono tutti stupidi disegni incompleti- parlò piano passandosi la mano tra i capelli e sorridendo debole alle leggere dita di Zoro che percorrevano attente le linee tracciate a formare il suo marchio –Ma non appena trovano il giusto posto dove incastrarsi, acquisiscono finalmente significato- sollevò lo sguardo ad incrociare quello del ragazzo, sorridendogli debolmente –E allora appaiono meno stupido, vero Zoro?-
Il verde ghignò appena, e accadde tutto in un attimo.
I loro volti che si avvicinavano, le labbra arrivano a sfiorarsi in un bacio desiderato dalla prima litigata, gli occhi si socchiusero appena, le mani di Nami si posarono sul petto di Zoro, le mani del ragazzo si fermarono forti e decise sui fianchi di lei, un orologio impostato con la sveglia a mezzanotte e mezza suonò improvvisamente, Nami urlacchiò per lo spavento preso e calciò, maldestramente, il basso tavolino da thè che reggeva in pompa magna lo spuntino dedicato a Babbo Natale da Rufy e Chopper che, urlanti e del tutto svegli, iniziarono a berciare nel salotto svegliando tutti i presenti.
-È qui! Rufy è qui!-
-Babbo Natale è arrivato, Babbo Natale è arrivato! Chopper corri a prendere la rete: stanotte lo cattureremo!-
Il salto che aveva spiccato il moro per atterrare sulla schiena di Nami, atterrandola contro Zoro facendoli sbattere violentemente sul pavimento, aveva risvegliato anche i pochi che avevano provato ad ignorare gli schiamazzi dei due cugini, costringendoli ad accendere il lampadario e a fissare lo strano quadretto che si metteva in bella mostra dinanzi a loro.
A terra, tra briciole di biscotti e un bicchiere di latte versato sul pavimento, Zoro imprecava a denti stretti stringendosi con un braccio Nami al petto, la quale, spalla ancora nuda e ora a contatto con il torace semi svestito del verde, sbraitava minacce contro Rufy che le sedeva sui reni e Chopper, confuso, che le attanagliava un piede con tutta la forza che possedeva.
-Imbecilli!- ringhiava la rossa dimenandosi e puntando una mano a terra e l’altra sul petto di Zoro –Che diamine avete nella testa? Segatura?!?-
-Non capisco dove abbiamo sbagliato- bofonchiò Rufy, mettendosi a pensare sopra la schiena della cugina, sempre più nervosa –Eppure avevamo pensato a tutto-
-Rufy levati! Insieme a questa strega non siete affatto leggeri1-
-Strega?!? Strega io?!? Ma se stavi per baciarmi fino a cinque secondi fa!!!-
-Sigh!- singhiozzò Chopper, stringendo il polpaccio della rossa e sfregando il nasino sul pantalone di Zoro –Ci tenevo tanto a catturare Babbo Natale.. sigh!-
-Smettila di urlarmi contro  arpia o… Chopper no! Non piangere!-
La scena era alquanto bizzarra, ed era difficile trattenersi dal ridere o dal ringhiare.
Rufy per smorzare la tristezza del cuginetto lo aveva preso in braccio, iniziando a dondolare su Nami e Zoro quasi fossero un cavallo a dondolo, o un drago infuocato date le imprecazioni che gli rivolgevano entrambi.
-Dannato Marimo…- morse la sigaretta Sanj distogliendo gli occhi da Zoro ancora intento a premersi la rossa sul petto, allungando però una mano a stringendosi Viola al fianco cercando lo zippo nei pantaloni -… sapevo che non dovevamo invitarlo-
-Sanji non essere cattivo- lo pizzicò la mora –Non vedi come si divertono?-
-Chopper ha smesso di piangere- sorrise Robin, fissando il suo compagno venir colpito dal gancio di Zoro, la cui mano opposta ancorava ancora Nami su di lui, a incastrare perfettamente la sua chiara spalla al suo petto seminudo.
-Mi domando come siano arrivati a mostrarsi i rispettivi marchi- incrociò le braccia al petto Law, guardando con occhio tenero Margaret avvicinarsi a lui e sorridere gioiosa.
-Io mi chiedo piuttosto che sarebbero arrivati a fare se Rufy e Chopper non si fossero svegliati- rise agganciando una mano a quella del compagno.
-Non farmici pensare!- si scompigliò i capelli Sanji, incapace di alternare felicità per ciò che vedeva a disperazione con una giusta causa, lasciandosi cullare dalle braccia della sua ragazza -La dolce Nami swan, e quell’odiosa alga… perché?-
-Non c’è mai un perchè- si armò di cellulare Sabo, scattando una foto ai quattro e aggiudicandosi uno sguardo inceneritore dalla cugina, intenta a scalciare supina contro il moro –Ma so per certo che questa renderà felice Koala!- sghignazzò fissando la foto appena scattata riempire lo schermo del suo cellulare.
Tutti distolsero lo sguardo per un momento dalle mani di Zoro e Nami unite a strangolare Rufy facendo ridere un divertito Chopper, deviando la loro attenzione a ciò che l’iphone aveva immortalato davanti al caminetto acceso.
Lì, riprodotto su una miriade di pixel e colori, si vedeva distintamente il marchio di Nami completare quello sul petto di Zoro, formando un unico arabesque blu e armonioso che aveva finalmente ritrovato le onde mancanti e ora si mostrava nella sua più totale bellezza.
Madre Natura aveva completato un altro marchio.

 







ANGOLO DELL'AUTORE:
Un eneorme grazie a Fanwriter.it per aver organizzato un così bel Game, ma soprattutto grazie a
Vegethia per aver realizzato la bellissima pallina natalizia ZoNami che accompagna il capitolo: non la ringrazierò mai abbastanza! Grazie mille!
Ringrazio anche voi lettori che siete arrivati fin qui, e chi vorrà commentare (positivamente o negativamete) questo primo capitolo. Grazie.
Zomi

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Soulmate #2 ***


Numero Parole: 2269
Prompt/Traccia:  1. Caramelle











La prima frase del SoulMate rimarrà impressa nella vostra mente per sempre.
Sul vostro corpo fin dal primo giorno di vita.
(SoulMate phrase)






 






Le porte dell’ascensore si chiusero e Nami poté tirare un sospiro di sollievo nell’addossare le spalle alla parete metallica della cabina.
Era stata una giornata infernale in ospedale.
Con l’inizio delle vacanze natalizie sembrava che ogni genere di frattura e malattia rimandata a data da destinarsi, avesse deciso di manifestarsi sugli abitanti di Raftel in quei primi giorni di ferie, dando il peggio di sè.
Aveva visto nonnini con anche fratturate, bambini influenzati, adolescenti con gambe rotte e madri isteriche preoccupate per tossi e presunte bronchiti invernali.
E tutto in una sola giornata!
Troppo, troppo per fino per lei che era una semplice fisioterapista.
Aveva dovuto assistere a decine di consulti, segnato i calendari delle riabilitazioni da quel nevoso 23 dicembre fino alla primavera inoltrata, sgridando quel brontolone di Garp che non voleva saperne di riabilitazione e fisioterapia per il suo femore rotto, regalo di Natale anticipato ottenuto correndo dietro ai nipoti, più che maggiorenni, finendo col scivolare sul marciapiede ghiacciato.
-Stupida neve- bofonchiò gonfiando le guance la dottoressa Cocoyashi, grata alle pareti di acciaio di nasconderle alla vista la nevicata che aveva ricoperto la città e che le aveva regalato così tanto lavoro.
Avrebbero dovuto pagarle gli straordinari a peso d’oro per la pazienza portata solo in quel giorno!
Il carico di lavoro l’aveva costretta a prolungare il suo orario lavorativo, rinchiudendola nelle sanitarie e plumbee mura ospedaliere fino a tarda sera, ad osservare tra un paziente e l’altro candidi fiocchi di neve scivolare sui tetti delle case della città, ricoprendo tutto con un fine strato di zucchero a velo ghiacciato.
Il campanello dell’ascensore suonò fermandosi su un piano, aprendo le porte scorrevoli e permettendo a dottori e pazienti di entrare nella cassa di ferro, costringendo Nami a premersi contro un angolo dell’abitacolo, stringendosi nelle spalle e perdendosi nei suoi pensieri.
Se fosse stato solo per il carico di lavoro eccessivo non sarebbe stata così nervosa e agitata.
Finito il turno avrebbe potuto lasciare ogni paziente alle cure di colleghi per rifugiarsi nel suo appartamento, e annegare ogni sintomo di stress e stanchezza nella sua calda e schiumosa vasca da bagno, cancellando così ogni traccia di fatica accumulata in quella lunga giornata di lavoro.
Se solo il lavoro e la neve fossero stati l’unica causa del suo malumore.
Storse le labbra, facendosi largo tra i presenti nell’ascensore quando giunse al suo piano, sospirando quando mise piede sulle mattonelle chiare del corridoio deserto.
Se solo fosse stato lavoro, ne sarebbe stata felice.
Se solo fosse stato il lavoro e la nevicata che incombeva sulla città, pure.
Ma non era solamente il carico di lavoro, non era nemmeno la neve candida che ricopriva ogni cosa democraticamente a renderla così nervosa.
Era anche la fine frase scritta in corsivo che le occupava il palmo destro, pizzicando la pelle da ormai ore, marchiandosi sempre più sulla cute e denudandosi delle lievi ombreggiature che l’avevano sempre contraddistinta fin dalla nascita di Nami sulla sua mano destra, accennando appena a qualche schizzetto illeggibile di lettera e nulla più.
Ma da quella mattina, i rivoletti di pelle seganti avevano assunto linee più marcate e scure, più sicure nel formare lettere e parole, delineando verbi, aggettivi, complementi e anche qualche accenno di punteggiatura.
La frase del suo SoulMate aveva iniziato a mostrarsi a lei, e Nami aveva dovuto aggiungere al caos di quella giornata anche l’ansia di scoprire quando e dove avrebbe finalmente conosciuto la sua anima gemella.
Gettò una rapida occhiata al palmo, curiosa di decifrare finalmente e per la prima volta la prima frase che la sua anima gemella le avrebbe rivolto, sbuffando quando riuscì a leggerla per intero e non trovandola affatto adatta.
Si fermò a pochi metri dalla sua destinazione, fissando rabbiosa il suo palmo e picchiettando un piede a terra.
Era uno scherzo?
L’ennesima presa in giro della giornata?
Perché se quella era davvero la prima frase che il destino aveva scelto per lei, bhè il su detto fato avrebbe dovuto contarsi le ossa, perché lei gliene avrebbe spezzato di sicura qualcuna.
-“Rossa hai due centesimi?”- lesse con voce acuta, facendo vibrare le corde vocali sulle note della sua isteria –Il padre dei miei figli mi chiederà dei soldi come prima cosa quindi?!?- digrignò i denti -È uno scherzo spero! Perché mai dovrei innamorarmi di uno squattrinato? Ohhh al diavolo! Spero ci sia un ufficio reclami, perché non accetto di certo che mi si venga rifilata una fregatura del genere!- riprese a camminare, pestando ogni singolo passo con furia.
Lei prestare dei soldi?
Al primo bell’imbusto che le si presentava poi?
Nemmeno  morta!
I suoi adorati spiccioli le servivano per qualcosa di molto più importante che incontrare la sua anima gemella.
Si massaggiò il palmo destro, cercando di trovare sollievo dal continuo pizzicore che l’attanagliava, avvicinandosi spedita alle macchinette delle caramelle.
Era scesa fino al terzo piano solo per loro, speranzosa che qualche bonbon riuscisse per lo meno a rabbonirla e calmarla, frenando il nervosismo crescente che le scorreva in corpo.
Altro che donare i suoi adorati soldi al suo SoulMate: lei doveva comprarsi le caramelle!
Avrebbe potuto prendere qualche dolcetto al miele, per rendersi più dolce e pronta ad affrontare nuovi pazienti lamentoni.
Oppure qualche caramellina alla menta e latte, per smorzare il lieve bruciore che le solleticava in gola, malessere guadagnato dalla nevicata.
E perché non le rotelle alla liquirizia?
Adorava addentarne un capo per poi srotolarle pian pianino e assaporarne il gusto forte e denso.
Si fermò a studiare il contenuto delle macchinette con occhi speranzosi, grata che il corridoio fosse deserto e che nessuno notasse la sua aria infantile nell’adorare il luccichio zuccheroso dei vari dolciumi messi in bella mostra dietro al vetro del distributore.
Era indecisa, ma aveva tutto il tempo per prendere la sua decisione.
Si frugò nelle tasche del camice bianco in cerca delle sue preziose monetine, ignorando bellamente la presenza di due centesimi tra i tintinnanti spiccioli che ora le occupavano il palmo destro, nascondendo la frase del suo SoulMate.
Rimase ferma a fissare i suoi contanti, cercando di non pensare alla frase che le avrebbe rivolto la sua anima gemella, e concentrandosi sulla scelta delle caramelle che tanto agognava.
Un ascensore trillò annunciando la sua fermata la piano, e dei passi pesanti e strascicati risuonarono nel corridoio.
Li ignorò.
Aveva altro a cui pensare.
Secondo i suoi calcoli poteva permettersi una confezione di gommosa alla frutta, oppure una barretta di cioccolato e delle caramelline ripiene di anice.
O ancora, avanzando quei fastidiosi due centesimi, avrebbe potuto optare per le rotelle alla liquirizia.
Un tossicchiare alle sue spalle giunse lieve come un brusio al flusso dei pensieri.
Le caramelle gommose di sicuro avrebbero aiutato il suo pessimo umore, ma poi le sarebbe rimasto in bocca il chimico sapore del glucosio e una vaga assenza di qualcosa di realmente consistente nella pancia.
D’altra parte, cioccolata e anice non era un accostamento perfetto, e di avanzare quei dannati centesimi per assecondare la sua voglia di rotelle alla liquirizia non se ne parlava proprio!
Un nuovo colpo di tosse riecheggiò nell’aria, urtando i pensieri della dottoressa questa volta.
Piegò appena il capo all’indietro, scorgendo tra le ciocche rosse un ragazzo più alto di lei e dalle braccia conserte che batteva un piede a terra, fulminandola con gli occhi mentre aspettava il suo turno di servirsi dalle macchinette.
Nami tornò a fissare le sue adorate caramelle.
Non gliene fregava un bel niente se anche lui voleva prendere qualcosa: lei aveva avuto una giornata pessima, che non si annunciava ancora finita ma anzi, prometteva nuove scariche di nervosismo e alternanza dell’umore con il continuo pizzicore sul suo palmo destro.
Ergo, se voleva delle caramelle anche lui, doveva aspettare il suo turno!
Tornò a riflettere su come spendere il meno possibile e ottenere il più alto quantitativo di glucosio possibile, ma fu nuovamente interrotta da un ringhio basso e gutturale, di sicuro proveniente dalla gola del ragazzo.
Schioccò la lingua sul palato, sollevando gli occhi dal suo palmo occupato dalle monete al suo riflesso sul vetro del distributore.
Poteva permettersi di picchiare un uomo in ospedale?
Avrebbe potuto sostenere che era stato lui a iniziare, o che il calo degli zuccheri l’aveva resa violenta, lo stress dal carico di lavoro le aveva azionato un muscolo a caso del braccio, o ancor meglio che glielo aveva suggerito una rotella alla liquirizia di farlo!
Storse le labbra, ponderando ogni opzione, accigliandosi però quando non avvertì nessuna esclamazione di nervosismo o irritazione da parte del bell’imbusto.
Che se ne fosse andato spazientito? Oh accidenti, proprio ora che aveva scelto che attenuante attribuirsi al suo pestaggio!
Voltò cautamente il capo dietro di sé, accertandosi che il ragazzo se ne fosse andato realmente, ma trovandoselo invece ancora lì, dietro le sue spalle, mani in tasca e corpo impalato sulle mattonelle del corridoio, ghigno in viso e occhi puntati a… al suo sedere?
Percepì una vena pulsarle sulla fronte, mentre la calma ritrovata nella serenità delle caramelle (ancora da scegliere tra l’altro!) scivolava via.
-Faccia pure sa: come se il culo fosse il suo!- sbottò acida voltandosi totalmente verso di lui e puntando le mani ai fianchi, accentuando il camice su di essi.
Il ragazzo sollevò rapido il capo, sgranando gli occhi ed esibendo una perfetta faccia stupita.
Oh che faccia da schiaffi: faceva il finto tonto ora?
-Non fare quella faccia!- gli puntò un dito contro il petto coperto da una felpa bianca –Ti ho visto che mi fissavi il sedere!- ritrasse la braccia a incrociarle sotto il seno.
Il ragazzo non aprì bocca per parlare, ma semplicemente aumentò la grandezza del suo ghigno, accennando a una risatina sarcastica.
Aveva già detto che aveva una faccia da schiaffi?
Bene, perché ce l’aveva davvero!
E anche un bel sorriso se era per quello, e il taglio degli occhi così netto e regolare, le basette ben curate e una zazzera verde ancora bagnata dalla neve.
Scosse il capo, sbuffando.
Si, brava Nami, trova dei dettagli sexy di questo depravato, così andrai ancora più nel pallone!
Pestò un piede a terra tornando a puntare il suo sguardo sul distributore di caramelle, ignorando i movimenti del ragazzo e concentrandosi sulla scelta delle caramelle e imprecando contro di lui non proprio sottovoce.
Non doveva pensare ai suoi begli occhi neri.
Non doveva pensare alla sua zazzera verde, di sicuro morbida al tatto.
Non doveva concentrarsi sulle sue spalle poderose o sul ghigno seducente.
Non doveva dar peso alla bruciante sensazione di dolore che le attanagliava il palmo destro.
Non doveva lasciarsi innervosire dallo sghignazzare del ragazzo, che aveva smesso di frugarsi nelle tasche e ora fissava, lo poteva notare dal riflesso sulla macchinetta, ciò che aveva trovato e che reggeva in mano.
No, non doveva, non doveva, non dovev…
-Rossa hai due centesimi?-
Le caddero di mano, così, senza un perché e senza che lei lo avesse nemmeno pensato.
La monetina di rame roterò in un semi cerchio perfetto attorno alle sue gambe, zigzagando tra le fenditure delle mattonelle e fermandosi, con un lieve inchino, davanti alla punta di una scarpa del ragazzo.
Nami boccheggiava, premendosi la mano destra al petto.
Lui… cosa… cosa aveva appena detto?
-Si- si alzò da terra, dove si era inginocchiato a raccogliere la monetina, avvicinandosi di un passo a lei –Fa uno strano effetto quando la si sente dal vivo-
Non riuscì a spicciare parola, semplicemente lo fissava non capacitandosi di ciò che era appena avvenuto.
Davvero era lui il suo SoulMate?
Davvero si erano incontrati davanti al distributore di caramelle’
E davvero lui avrebbe avuto tatuato sulla mano per il resto dei suoi giorni la sua frase così acida e scurrile?
-Io…- sentì le guance avvampare -… non…-
Come le era venuto in mente di dire una frase simile?
Faccia pure sa: come se il culo fosse il suo!
Glielo diceva sempre sua madre che quella linguaccia lunga, alla lungo andare, le avrebbe causato dei guai!
-La tua frase… la mia frase!- lo fissò in viso –Ogni volta che stringerai la mano a qualcuno penseranno che sei un pervertito…-
Ghignò ancora, oh già amava quelle labbra poste in obliquo con strafottenza e una piccola vena di dolcezza, avvicinandosi maggiormente e scrollando le spalle.
-Stavo contando fino a dieci prima di mandarti a quel paese- ghignò, prendendole la mano destra e, apertogliela, vi posò sopra alla sua frase la piccola monetina di rame –Ma sarà comunque una storia divertente da raccontare-
-Zoro- si presentò, non lasciandole la mano.
-Nami- sorrise stringendo nel pugno la moneta.
La sua mano era calda, calda e ruvida.
Le trasmetteva una confortevole sensazione di protezione che, unita la suo sguardo profondo, la faceva rilassare e pensare che, dopotutto, non era stata poi una così bruta giornata.
Sorrise ancora, non riuscendo a smettere, abbandonando la mano destra su quella di Zoro, il cui pollice aveva iniziato ad accarezzarla con delicatezza, non smettendo per un solo attimo di sorriderle con le labbra sghembe.
Sbatté le palpebre, quasi a risvegliarsi da un sogno, roteando la mano e stringendo a quella di lui, abbassandole al loro fianco.
-Posso offrirti qualcosa? Non so- si guardò le poche monete che possedeva Zoro, ridendo –Una rotella alla liquirizia?-
Gli occhi di Nami si illuminarono, e il sorriso le nacque sulle labbra con maggior forza.
-Le rotelle vanno benissimo- annuì, spostandosi di lato e permettendogli di inserire le monete nel distributore, accettando lusingata le occhiate attente e seduttrici che le lanciava.
–Amo le caramelle- si lasciò guardare, percependo il pizzicore alla mano attenuarsi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Soulmate #3 ***


Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game! Puzzle Time!” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 6511
Prompt/Traccia: 11. Natale in un futuro distopico


 
Un grazie speciale alla mia Bambolina e a Piper_Parker per gli infarti e l'appoggio: vi voglio bene. Davvero.

















 
 
Art. 10 comma 7 del Codice [Blood Reader]: ogni Blood Reader scoperto a svolgere illegalmente la lettura del sangue con fine il ritrovamento della controparte, verrà condotto ai Centri di Lettura.
Art. 10 comma 12 del Codice [ Blood Reader]: la popolazione è tenuta a indicare alle forze vigenti  sospetti Blood Reader non inseriti nei Centri di Lettura.
Art. 10 comma 22 del Codice [ Blood Reader]: i Blood reader sono riconosciuti come persone aventi diritti personali e doveri presso la Repubblica e al Primo Ministro in carica.
Art. 11 comma 1 del Codice [Doveri dei Blood Reader]:i Blood Reader hanno il dovere di mettere a servizio della comunità la loro abilità di lettori di sangue, nella ricerca umana della propria anima gemella.

Art. 11 comma 2 del Codice [Diritti dei Blood Reader]: i Blood Reader hanno diritto di vita
Art. 11 comma 3 del Codice [Diritti dei Blood Reader]:omissis
Art. 11 comma 10 del Codice [Diritti dei Blood Reader]:omissis
Art. 11 comma 20 del Codice [Diritti dei Blood Reader]:omissis
 (Codice in vigore nella Repubblica, regolante la razza dei Blood Reader )





 




Scese dal tram mettendo piede in Piazza Choccolate, cercando di ignorare con tutte le sue forze le ridondanti canzoni natalizie che risuonavano nell’aria provenienti dagli altoparlanti posti agli angoli dei negozi, o dall’immenso albero di Natale che occupava e illuminava la piazza in quel freddo pomeriggio.
Inutilmente purtroppo.
 
Jingle bells, jingle bells, jingle all the way.
O, what fun it is to ride in a one-horse open sleigh.
Jingle bells, jingle bells, jingle all the way.
O, what fun it is to ride in a one-horse open sleigh.
 
Si notava senza problemi che la Vigilia di Natale era alle porte, e se non bastavano la promessa di una vicina nevicata proclamata dal meteo cittadino, il continuo ripetersi delle canzoni o i Babbo Natali sparsi per il centro commerciale, si erano aggiunte anche le pubblicità progresso ministeriale dei Centri di Lettura.
 
A man under cover but you tore me apart
Now I've found a real love you'll never fool me again
Last Christmas
I gave you my heart
But the very next day you gave it away
A face on a lover with a fire in his heart
 
“Trascorri il Natale perfetto con la Tua Anima Gemella: corri a scoprire la sua identità nei Centri di Lettura dello Stato” recitava una locandina colorata contro cui ringhiò, svoltando l’angolo della piazza.
Si, un Natale perfetto.
Per chi?
Per i politicanti che si dividevano il tiket governativo, pagato per conoscere il nome della propria anima gemella o per i proprietari dei Centri di Lettura, immersi nella loro falsa e altruistica voglia di donare l’amore alla gente e di ospitare nei loro Centri i Lettori?
Magari era per quest’ultimi il Natale perfetto: rinchiusi in edifici senza luce naturale e costretti a dissanguarsi per dovere verso la Repubblica, regalando a chiunque la gioia di un compagno per la vita.
Zoro si sollevò il bavero della giacca, infossando il viso nel giaccone per ripararsi da una sferzata di vento, guardandosi attorno circospetto.
Era nel centro del paese, a poca distanza dal palazzo del Governo e dal principale Centro di Lettura della capitale.
Un posto molto pericoloso per uno come lui.
Il Primo Ministro Charlotte Linlin nell’ultimo decennio del suo mandato aveva eretto decine di Case di Lettura, invitandovi Blood Reader da ogni parte del paese e aprendole come vere  e proprie case accoglienti e dedicate ai lettori del destino.
In molto vi avevano creduto, fidandosi di lei, tra elettori e Reader.
In pochi avevano avvertito l’inganno, tra gente razionale e Lettori.
In molti meno erano riusciti a scappare dai rastrellamenti e ad evitare di essere rinchiusi nei Centri di Lettura, venendo usati fino al dissanguamento.
Storse il anso attraversando in fretta la piazza, ringhiando alle ragazze immagine che distribuivano i volantini dei Centri di Lettura Statali osannandone i prezzi stracciati per la felicità della popolazione sotto le feste.
Guardò l’orologio stretto al polso, accertandosi di essere in orario, ringraziandosi di aver scelto di prendere il tram, evitando così di perdersi e arrivando in orario al suo appuntamento.
Strinse gli occhi marciando sotto gli altoparlanti che stridevano tra note e parole cantate, ignorando il freddo che gli pungeva la pelle sotto il giaccone color kaki.
Era il quinto appuntamento a cui andava, e sentiva che poteva essere quello giusto.
Si, lo sapeva, avrebbe incontrato la Gatta.
Gettò un’occhiata all’edificio sede del governo, chiedendosi se la senatrice Nefertari fosse al suo interno.
Vivi era l’unico membro della Repubblica che tentava di portare alla luce la schiavitù dei Blood Reader.
Più volte aveva chiesto al Primo Ministro di visitare con la stampa i Centri di Lettura per scoprire la reale qualità di vita dei suoi particolari ospiti, ma nessun segno di abuso o violenza su nessun lettore era mai emerso.
Perché allora ogni mese venivano ritrovati, in una differente parte dello stato, i copri mutilati da taglie e profondi prelievi di decine di Lettori?
Davvero la causa erano i Centri Abusivi di Lettura? Davvero i Reader clandestini, coloro che non volevano essere identificati e accolti nei Centri, si riducevano a dissanguarsi da soli per vivere?
E perché morivano con la cadenza della luna piena?
Solo gli stupidi potevano credere davvero che non ci fosse qualche sporco gioco politico dietro, e credere ai Centri Abusivi di Lettura era come credere che le immagini che spesso la Repubblica mostrava per Tv e telegiornali, dove Reader sorridenti e pieni di riconoscenza verso il Primo Ministro Charlotte, assicuravano senza ombra di lucidità mentale che nei Centri si sentivano a casa e in totale sicurezza, fossero sincere e per nulla recitate.
Stronzate!
Tutti sapevano, ma nessuno voleva vedere oltre il ricamato e delizioso velo di bugie che il Ministro gettava loro in faccia.
Solo la senatrice Nefertari aveva voluto vedere cosa ci fosse dietro quel pregiato tessuto, scoprendo, o almeno intravedendo, la verità rimanendone disgustata.
Si mormorava che la madre della stessa senatrice fosse una Reader, una delle prime ad essere condotta nel primo Centro di Lettura.
Una delle prime a non uscirne più.
Ma era una frottola, una leggenda metropolitana.
Per natura i Blood Reader non avevano un’anima gemella con cui avere un futuro, con cui vivere e aver figli.
I Lettori nascevano soli, venivano usati e morivano da soli.
Nessun compagno, nessun figlio, nessuna vita.
La vera spinta politica della senatrice era il suo desiderio per la verità, per tutti e a tutti i costi.
Ma non sempre con le parole e seguendo le regole si riesce ad ottenere ciò che ci vuole, men che meno la tanto agognata verità.
Era così che era nato il movimento dei Rivoluzionari.
Persone come lui che non si lasciavano ingannare dalle bugie e pretendevano la verità, ma che non avevano la pazienza dei tempi politici e burocratici che invece rispettava e chiedeva la senatrice Nefertari.
Ribelli che rubavano, estorcevano, minacciavano gli adetti ai Centri pur di avere informazioni e prove sulla reale condizione di vita dei Reader, ma che spesso ottenevano solo di essere imprigionati o di non essere creduti dati i loro discutibili modi di operare per il bene dell’umanità.
Non era una missione facile.
Non era una missione che accettava sconfitte.
Considerati alla pari di criminali dal governo, ostacoli per i politici che la pensavano come loro per i metodi poco ortodossi, pericolosi cacciatori per i Reader in fuga, mine vaganti per il resto della popolazione.
Ma come ottenere le prove di una schiavitù sui Lettori, se quasi tutti erano imprigionati nei Centri, e quei pochi liberi se ne stavano alla larga dal governo e da gente che voleva mettergli alla luce del sole, esposti ad una cattura?
Era come lottare contro i mulini a vento in groppa da un asino impaurito dal moto delle pale mosse dal sferzante soffio della corrente, che seppur debole, terrorizzava chiunque.
Zoro scosse il capo cercando di non perdersi tra i suoi pensieri, riportando la concentrazione al suo obiettivo.
Si fermò, mani infossate nel giaccone e la condensa del suo respiro che si trasformava in piccole nuvolette candide che salivano al cielo.
Davanti a lui la colorata a animata pasticceria “Whole Cake” dava sfoggio dei suoi colori e del via vai incalzante della sua clientela.
Inclinò il capo, chiedendosi se non fosse l’ennesimo buco nell’acqua.
Era il quinto appuntamento che aveva fissato con la Gatta, la Blood Reader che vendeva letture di contrabbando e su cui la Repubblica non riusciva mai a mettere le mani.
Si diceva che non avesse volto, che anche chi riusciva a consultare non riuscisse a descriverla con esattezza, e che ogni tentata cattura fosse stata vana: sembrava sapesse tutto, e che riuscisse ad essere un passo sempre più avanti.
Sapeva chi la cercava, per lavoro o per profitto, e sapeva come scappare senza lasciare traccia.
Era stata una fortuna per lui riuscire ad intercettarla, nonostante le difficoltà nell’avere una sua lettura, e non aveva avuto dubbi su quanta importanza avesse la sua missione per i Rivoluzionari: se fosse riuscito a portare dalla sua una Reader come la Gatta, anche altri lettori si sarebbero uniti a dimostrare la caccia spietata che la Repubblica eseguiva nei loro confronti, e con dei testimoni così vali più nessuno avrebbe potuto chiudere gli occhi davanti alle loro richieste di verità.
Ma, se era stato difficile chiederle una lettura, unico aggancio possibile, non era stato meno facile poterla incontrare.
Nei precedenti quattro incontri la Reader non si era nemmeno presentata ai luoghi da lei stessa indicati, e Zoro si era visto costretto a tornare a mani vuote dai compagni rivoltosi.
Possibile che spesse chi fosse?
Che sapesse il suo vero obiettivo?
Mille domande avevano iniziato a circolare per la base dei Rivoluzionari, sia sulla buona riuscita della missione che sulle sue abilità, ma all’arrivo del quinto invito per un ennesimo incontro, il mormorio si era zittito, lasciando in mano a Zoro la sorte di quell’importante missione.
Spostò il peso da un piede all’altro, guarda dosi intorno con nonchalance e fingendo di ascoltare con attenzione gli auguri di Natale del Primo Ministro urlati da ogni altoparlante nella piazza.
La calca non sembrava volersi attenuare lungo il viale commerciale, e il via vai di persone prestava attenzione solo ai loro acquisiti e non a ciò che li circondava.
Non vi era traccia di agenti in borghese o in divisa, intenti a perlustrare le strade colme di cittadini, né che qualcuno si fosse accorto di lu.
Sembrava un semplice ragazzo in attesa di qualcuno, o indeciso sul regalo da fare alla propria fidanzata.
Si passò una mano tra i capelli a spazzola ed entrò nella pasticceria.
La missione aveva inizio, e lui non poteva fallire.
 

 
-Benvenuto al Whole Cake, la pasticceria prediletta dalla nostra Prima Ministra Charlotte Linlin: si accomodi pure!-
Zoro non accennò nemmeno a rispondere alla cameriera della pasticceria, che sorridente e con i codini castani serviva i clienti affollati lungo il bancone.
Si sedette a uno dei tavolini lungo la vetrata che dava sulla piazza, dando la schiena all’esterno ed esaminando l’interno della pasticceria.
Si trovò a ghignare afferrando il menù a forma di bignè posto al centro del tavolino, premendo le spalle sullo schienale del lungo sedile imbottito che correva lungo la vetrata unendo tutti i tavolini.
Incontrare una Blood Reader per una lettura clandestina a pochi passi dalla sede della Repubblica e altrettanti dal più grosso Centro di Lettura dello Stato, e per di più nella pasticceria preferita dal Primo Ministro?
Ne aveva di fegato la Gatta, una beffa maggiore non poteva inventarsi contro chi la cercava e agognava da tanto tempo.
Si passò la lingua sulle labbra leggermente screpolate per il freddo, battendo a tempo soprapensiero le note della canzoncina natalizia di sottofondo nel locale, studiando i clienti presenti e cercando di ricordarsi i pochi elementi di cui era a conoscenza riguardanti la Gatta.
Si rivide davanti agli occhi il dossier che Sabo, un suo amico nei Rivoluzionari, gli aveva passato quando era riuscito a mettersi in contatto per la prima volta con la Reader.
 
Dossier riguardante Blood Reader “ la Gatta”:
Nome e Cognome: ---
Età: ---
Sesso: F
Residenza: ---
Contatti. ---
Ultimo avvistamento: ---
Segni particolari: ---
 
Scarno era una descrizione lusinghiera per il dossier.
Si passò una mano sulla nuca, massaggiandosela e guardando di striscio una cliente che gli passò davanti la visuale, intenta a parlare la telefono e imbacuccata per il freddo pungente dell’inverno, iniziando a contare le donne presenti nel locale.
Contando anche le cameriere e la titolare che disseminava sorrisi e sguardi languidi ad ogni cliente, ve n’erano undici.
Un numero ristretto ma che con le informazioni di cui disponeva era fin troppo elevato.
Voltò una pagina del menù, cercando di soppesare la situazione.
Non sapeva né come la Gatta lo avrebbe riconosciuto, né come avrebbero eseguito la Lettura: il locale era troppo affollato perché passasse inosservata.
Era l’ennesimo incontro fasullo?
Corrugò la fronte.
Se così fosse stato, perché organizzarlo?
Dopo quattro incontri a cui non si era presentata, perché organizzarne un quinto e ripetere il suo copione?
Era chiaro che non voleva rischiare, altrimenti non sarebbe stato così difficile e criptico contattarla, ma perché accettare una Lettura per poi rifiutarla in quel modo così ambiguo e snervante?
Ricordò all’improvviso la pubblicità statale dei Centri di Lettura, dove un Blood Reader sorrideva a una donna che aveva dinanzi, divisi solamente da un foglio di carta su cui cadeva all’improvviso una goccia rossa che come per magia si ramificava in mille rami, che fiorivano in parola rivelando alla smagliante signora, a cui si illuminavano gli occhi, alcuni dettagli del suo compagno di vita, inducendola alla fine ad un pianto di gioia nel vedersi davanti agli occhi finalmente il suo nome.
La scena sfumava e delle due figure rimaneva solamente la donna.
Il Blood Reader scompariva in una nebbia e la voce in sottofondo quasi sibilava tentatrice di recarsi nei Centri di Lettura per vivere l’emozione ancora palpabile sul viso della donna, assicurando che i Lettori provavano la medesima felicità nel donare loro il nome delle anime gemelle.
Si chiese se anche la Gatta avesse la consistenza del Blood Reader della pubblicità.
Nebbia pura.
Inafferrabile, presente e assente, priva di una reale forma.
Accavallò le gambe, portando la caviglia sopra la ginocchio, picchiettando il piede a terra.
Era giusto costringere qualcuno ad esporsi, seppur per una giusta causa, quando questa aveva lottato tutta la vita per essere nebbia, per essere invisibile e scaltra come un gatto, solamente per ottenere non la verità o un mondo più libero, ma semplicemente il diritto a una vita vera priva di paure?
Era davvero un fine nobile quello della sua missione, o egoistico?
-Ordina qualcosa-
Ruotò le iridi carbone alla sua destra, lanciando un’occhiata a una donna che sedeva la tavolino accanto al suo, intenta a inviare messaggi con il suo cellulare.
-Parla con me?- chiuse il menù.
-Inizierai ad essere sospetto se non ordini nulla- mosse le labbra in un leggero soffio quasi impercettibile, portandosi poi il telefonino all’orecchio e alzare la voce –Ciao amore! No, arrivo tardi, aspetto Carina per un piccolo aperitivo…-
Zoro la studiò.
Indossava un giaccone violastro che le arrivava alle ginocchia, un cappello di lana giallo le copriva tutto il capo e la fronte, e solo alcune ciocche lilla del caschetto le oscillavano a lato del viso, accerchiandole l’ovale chiaro e le iridi azzurre, fisse su di lui a incenerirlo.
Sussultò e sollevò un braccio per richiamare l’attenzione di una cameriera.
-Posso portarle qualcosa?- sorrise quella arrivando con il vassoio colmo di tazze sporche e tovaglioli da gettare.
-Una cioccolata calda, amara, niente panna- ordinò rapido non lasciandosi perdere nemmeno una parola della conversazione della ragazza che gli era accanto.
-… si in pasticceria! Oh lo sia quanto è golosa, da quando Gild l’ha lasciata poi… stai in linea un attimo!- la vide sporgersi sul tavolo, richiamando l’attenzione della cameriera –Posso approfittarne?- sbatté le lunghe ciglia –Mi può portare una cioccolata calda? Con panna per favore. Grazie mille! Si eccomi tesoro! Dicevo? Ah si, Gild e Carina…-
La cameriera annuì rapida, zigzagando tra la clientela e dirigendosi rapida verso il bancone.
Zoro la seguì con attenzione, accertandosi che nessuno badasse a lui prima di spingersi sul divanetto più vicino alla ragazza dal caschetto lilla.
-Sei…
-Fai scivolare i soldi nella borsa-
Il verde strinse lo sguardo, lasciando cadere la pupilla ai suoi piedi dove, sul pavimento del locale a metà tra lui e il tavolino della ragazza, una borsa giaceva con normalità.
Era di cuoio nera, non molto vistosa e posta non troppo vicina a lui.
La zip era aperta e non si notava alcun oggetto al suo interno.
Soppesò la situazione, posando le spalle alla vetrina costeggiata dal divanetto.
Dall’esterno sembravano solamente due sconosciuti che condividevano lo stesso mobilio di arredamento della pasticceria, ignorandosi tra di loro e concentrandosi, lei sul suo cellulare, lui sul suo profilo, incuriosito dalla sua siluette ma non pericoloso.
Non sembravano affatto un rivoluzionario e una lettrice nel bel mezzo di un incontro clandestino.
-Devo parlarti- affermò lapidario, estraendo dalla sua tasca il cellulare e controllando i messaggi, non accennando a mostrarle alcuna banconota.
Cosa che la Gatta notò subito.
La vide sorridere felina, piegandosi appena con il busto verso la borsa.
-È stato un piacere- si sporse ad afferrare la tracolla pronta ad andarsene.
Zoro sgranò gli occhi e ringhiò proprio mentre la Tv accesa del locale interrompeva il vocio delle canzoni natalizie per la pubblicità.
La Gatta tornò composta sul divanetto, portandosi un fazzoletto al viso e fingendo di soffiarci il naso, seguendo divertita la mano di Zoro scivolare dalla sua tasca al menù casualmente cauto a terra, soffermandosi appena sopra la borsa e facendovi scivolare dentro la mazzetta di banconote che Sabo gli aveva dato per la missione.
Sperava di spenderli in birra, non in una Lettura!
Storse le labbra incrociando le braccia al petto, scontroso fissando vagamente la pubblicità che illuminava il locale.
-Bene- la sentì parlare –Ora ascoltami…-
La vide strofinarsi il naso con il fazzoletto, piegandosi sulla borsa e raccogliendola, posandola sul divanetto e estraendone un pacchetto di fazzoletti di carta.
Ne estrasse due, lanciando occhiate al cellulare e sorridendo quasi che qualcuno le avesse inviato qualche messaggino divertente.
La studiò soffiarsi il naso e infilarsi, nella manica del giaccone, gli altri due.
-Fa cadere una salvietta- sussurrò, osservando con attenzione Zoro giocherellare con il porta salviette del suo tavolo e, accidentalmente, farne cadere una verso di lei.
Si inchinarono nello stesso momento e quando le loro mani si sfiorarono, il ragazzo percepì un lieve pizzicotto sul polpastrello del pollice.
Lo guardò di striscio notandone una piccola, insignificante goccia di sangue scivolarne sul profilo esterno.
-Tenga- gli sorrise la Gatta, porgendogli la salvietta e sfiorandogli il pollice sanguinante, asciugandolo con il fazzoletto che teneva nella manica del giaccone e dove un piccolo ago scintillò.
Zoro tornò ad addossare la schiena al divano, osservandola accavallare le gambe e nascondere, tra la piega dei jeans, il fazzoletto macchiato.
Con una mano digitò qualcosa sul cellulare ancora fermo sul tavolino, mentre con la gemella estraeva dalla manica una piccola boccetta. Con lentezza, per non essere scoperta o per non rovinare nulla, riportò le mani tra le gambe afferrando la boccetta con le dita.
Il verde capì che stava per avvenire la lettura, il miracolo, la magia della decifrazione, l’interpretazione del segreto che racchiudeva il suo sangue: il nome della sua anima gemella.
Percepì la gola arsa bruciargli mentre fissava le mani della Gatta muoversi attorno alla boccetta, facendola rotolare sulle dita scaldandola.
Avrebbe scoperto il nome della sua compagna di vita e alcuni sue caratteriste, come trovarla, dove, cosa le piaceva e  cosa no.
Scosse il capo, maledicendosi.
Doveva rimanere lucido!
La missione era più importante del suo futuro amoroso.
-Io devo parlarti- mormorò, assicurandosi che nessuno badasse a loro –Mi chiamo Zoro- gli diede l’informazione per guadagnarsi la sua fiducia ma non notando sul suo viso, o nelle sue iridi azzurre, alcun cambiamento continuò –Sono un…-
-Rivoluzionario- rise lei, premendo la boccetta tra le gambe e portandosi una mano a portarsi una ciocca lilla dietro un orecchio.
La mascella di Zoro si indurì.
Lei sapeva.
Una Reader clandestina sapeva che lui faceva parte dei Rivoluzionari.
Una persona che nemmeno avrebbe dovuto esistere, che viveva nell’ombra e che scappava a ogni soffio di vento, era a conoscenza del suo più oscuro segreto.
Quanto ci avrebbe impiegato il governo a prendere parte a quel suo intimo particolare di vita?
A perquisire la sua casa, arrestarlo nel cuore della notte e interrogarlo con i più sottili, quasi come coltelli, metodi interrogatori della Polizia della Repubblica?
-Tranquillo- sussurrò la Gatta, voltandosi a fissare la Tv –Mi informo sempre riguardo i miei clienti, ma con te è stato difficile capirlo. Ma se dopo quattro incontri andati a vuoto insisti, o sei disperato.. o nascondi qualcosa-
-E cosa ti ha fatto capire che non ero disperato?- ghignò, sentendo i muscoli rilassarsi dopo la scarica di adrenalina che li aveva attraversati.
La sentì ridere divertita e un piccolo spazio si aprì nel mezzo del suo petto, donandogli una piacevole sensazione.
Ammorbidì il ghigno e prese un respiro profondo.
Il caos della pasticceria fremeva attorno a loro, tra bignè, cioccolate calde e risate interrotte solamente dalla pubblicità o da qualche canzone natalizia.
Doveva approfittarne per parlarle.
-Tu…-
-Zitto!- sibilò premendo le gambe e giocherellando con una ciocca.
-No, noi...!-
-Ecco le vostre cioccolate!-
Ringhiò contro la cameriera che, sorridente ed ignara di tutto, posava sul suo tavolino la sua ordinazione, guardandosi attorno nella calca dei clienti.
-Scusate l’attesa, ma oggi c’è un po’ di ressa- si spostò verso il tavolino della Gatta, distraendola da un messaggino e posando la tazza di cioccolata –Ecco la ricevuta per il pagamento: buona pausa!-
La Gatta annuì, Zoro rivolse un cenno alla cameriera e il silenzio tornò tra loro nel chiacchiericcio del locale.
-Abbiamo bisogno di te- si portò alle labbra la tazza di cioccolata amara.
-No, voi avete bisogno di un buon avvocato- tornò con le mani sulla boccetta, stringendo le dita sul tappo di gomma –Tu specialmente, che sperperi i soldi dediti alla tua nobile causa per scoprire il nome della tua anima gemella-
-Se la pensi così, perché hai deciso comunque di incontrami?- la fissò svitare il tappo di gomma ed estrarre il contagocce, rivelandolo pieno di un denso liquido rosso cremisi.
-Perché tutti dovrebbero almeno una volta nella vita assistere al manifestarsi della maledizione di un Blood Reader- aspirò, premendo il cappuccio di gomma, dell’altro liquido, riempiendo totalmente la cannuccia e portandola sopra al fazzoletto macchiato del sangue di Zoro –E perché ognuno di noi ha diritto all’amore, e non sarò io a negarlo a te-
Fece forza sulla capsula di gomma riversando il liquido rosso sulla macchietta di sangue.
Ripeté il versamento altre cinque volte, alternando occhiate al cellulare, sorseggi alla tazza di cioccolata e risatine false.
Il fazzoletto grondava del liquido cremisi, amalgamandosi alla macchia di sangue di Zoro ormai invisibile come il bianco del fazzoletto.
Il verde studiava attento ogni gesto della Gatta, fissando le sue dita richiudere e riporre la boccetta nella manica, mantenendo il fazzoletto ben nascosto tra le gambe accavallate e osservandolo con occhio annoiato.
-Sai cosa sta succedendo Rivoluzionario?- lo interpellò a bassa voce, mantenendo gli occhi fissi sul fazzoletto ormai rosso.
Zoro si portò la tazza di cioccolata alle labbra, mantenendo lo sguardo su di lei.
-Il tuo sangue si sta dichiarando al mio- sorrise allo sguardo confuso del verde –Sì, è il mio sangue questo- accarezzò il fazzoletto cremisi –Venti centilitri del mio sangue per decifrare il nome racchiuso in una tua unica goccia-
Sentì  brivido attraversarlo da capo a piedi.
-Il tuo sangue è il codice- continuò perdendo lo sguardo ceruleo sul fazzoletto –Il mio la chiave di lettura. Per questo i Reader non hanno compagno: la chiave di lettura non porta nessun messaggio con sé, nessun nome, nessun indizio- strinse lo sguardo, mordendosi un labbro -Il sangue di un Lettore contiene solamente una maledizione!-
Il sangue colorò ogni singolo centimetro di cellulosa del fazzoletto, conquistandolo e facendolo suo con ferocia, chetandosi nel suo correre solamente quando raggiunse i bordi.
E poi accadde.
Il sangue della Gatta vibrò impercettibilmente sulla carta scarlatta iniziando a muoversi all’indietro e ridisegnare il suo corso, non più in una vasta macchia ma in linee, rami, fiori che si univano, sgusciavano, scappavano in ogni dove spazio libero, formando lettere e parole.
Zoro deglutì, ammutolito.
Era conscio di come avvenisse la lettura ma…
-Centri di Lettura- ridacchiò la Gatta, piegando il capo alla televisione, che proprio in quel momento trasmetteva la pubblicità dei Centri statali, con una simpatica ragazza che ne mostrava i luminosi interni, gli spazi arborei dedicati ai Lettori, le stanze adibite a locali personali di quegli ospiti speciali, agli uffici dove, con un semplice stick chiunque poteva venir aiutato dai Blood Reader a conoscere il nome della loro anima gemella.
-… quando ero bambina non erano così luminosi, ma dubito lo siano davvero ancora oggi-
-Cosa..?- si voltò repentino a fissarla esterrefatto.
Che intendeva dire?
Che diamine stava dicendo?
-Ti spremono fino alla morte- piegò il fazzoletto a metà –Ti dissanguano, usano ogni fibra del tuo corpo e poi…- spiegazzò il fazzoletto, gettandolo a terra, vicino ai piedi di Zoro -… ti gettano via, in qualche fogna dove i topi non aspettano altro che saziarti di ciò che resta di te- piegò le labbra amaramente, in un sorriso per nulla addolcito dalla cioccolata e panna che lo bagnava –Si vede che gli sono rimasta indigesta-
Zoro fece cadere un’altra salvietta e raccolse il fazzoletto intriso di sangue, che gocciolò sui suoi pantaloni.
-Scusa, ma dev’essere caldo affinché funzioni- fissò con occhi limpidi e azzurri la macchia del suo sangue che segnava i jeans del rivoluzionario -Sembra un bel tipo comunque…-
Il verde gettò un’occhiata al fazzoletto osservando le prime parole prendere forma.
Ramata.
Strinse lo sguardo, respirando piano prima di parlare.
-Possiamo proteggerti- affermò sicuro non sollevando il capo.
-So difendermi da sola- finì di bere la cioccolata.
Orgogliosa.
-Con te possiamo salvare altri Lettori-
-Gli altri che dici tu devono ancora nascere- ripiegò ogni singola salvietta toccata nella borsa –Altri Lettori liberi non ve ne sono-
Cocciuta.
-Racconta a tutti la verità, e i Centri chiuderanno-
-I Centri non chiuderanno mai, e io non ci torno dentro- una coppia di fidanzati passò davanti al suo tavolo ridacchiando e lei ne approfittò per infilare nella borsa anche la tazza sporca –Rimetterò piede dentro a un Centro di Lettura solo da morta-
Amante dei mandarini.
-Non tornerai mai in un Centro, te lo prometto!-
La vide soppesare le sue parole e fissare, con lo sguardo ceruleo e vago la televisione.
-Non urlare: ti scopriranno-
 Bisognosa d’amore.
-Con te potremmo mettere fine a tutto questo-
-È un futuro dispotico Zoro: non si può mettere fine al futuro-
Occhi marroni.
Furba.
Tatuaggio.
Impaurita.
Dolore.
Prese la sua borsa è uscì dalla pasticceria, non pagando la cioccolata e oscillando il caschetto lilla con naturalezza mentre riprendeva a parlare al telefono.
Zoro non si mosse, fissò il fazzoletto impregnato di sangue della Gatta giacere tra le sue mani.
Non la rincorse, non tentò di fermarla.
Rimase fermo lì, a fissare le ultime parole formarsi, le più importanti, che prendevano forma dal sangue della Reader dai capelli lilla seguendo il codice racchiuso nella sua unica goccia.
 
Nami Cocoyashi.
Via Midori Mimoza 33C, Coconat Village.
 
La Lettura si era conclusa.
 
 


 
***


 
-… e l’hai lasciata scappare- cercò di riassumere quanto gli era stato raccontato Sabo, fermando l’auto.
Zoro si massaggio le tempie con una mano sospirando.
-Tu che avresti fatto?- gettò un’occhiata fuori dal finestrino fissando la neve cadere.
Il biondo tamburellò le dita sul volante puntando gli occhi sul parabrezza ma perdendo lo sguardo in altri pensieri.
-Credo…- aprì bocca, per poi fermarsi e boccheggiare.
Piegò il capo verso l’amico e gli sorrise, con quel suo fare spontaneo e rassicurante.
-Credo che l’avrei lasciata andare non osando rintracciarla mai più- ammise, dandogli una pacca sulla spalla.
Zoro non si mosse, perdendo lo sguardo alla palazzina davanti cui avevano parcheggiato.
La missione per i Rivoluzionari era fallita su tutta la linea.
Cinque appuntamenti a vuoto, non era riuscito a portare dalla loro parte la Reader conosciuta come la Gatta, aveva sperperato i pochi fondi della loro organizzazione e non aveva ottenuto informazioni importanti o altro dalla Reader.
Almeno questa era stata la conclusione tratta dalle alte sfere dell’organizzazione, ma che Zoro non condivideva affatto.
Sospirò, sfilandosi la giacca con lo stemma da pompiere, gettandola sul sedile posteriore assieme a quella di Sabo.
Erano partiti non appena finito il turno, e durante il tragitto Zoro aveva raccontato al biondo cosa era successo il giorno precedente e durante la notte, non tralasciando le parole di Shanks riguardo l’esito del suo operato. Non aveva espresso la sua irritazione verso la decisione dei loro superiori, ma Sabo l’aveva colta nella palpabile espressione con cui il verde gliela aveva riportata.
Un fallimento, era un fallimento essere riuscito a parlare, a pochi passi dal palazzo del Governo e dal principale Centro di Lettura, con la Lettrice numero Uno ricercata da tutta la Repubblica.
Un grugnito gli sfuggì, facendogli increspare le labbra e corrugare la fronte.
Lo sguardo sempre puntato alla palazzina dinanzi a lui.
Anche il semplice incontrarla e condividere con lei una tazza di cioccolata, seppur su due tavole differenti e senza mai scambiarsi uno sguardo, gli aveva fornito molte informazioni sulla Reader.
Ora sapeva che era riuscita a scappare da un Centro di Lettura, in un modo che non osava nemmeno immaginare basandosi sui particolari che la Gatta si era lasciata sfuggire, che era impaurita a morte da ciò che facevano all’interno dei Centri, che si fidava almeno in parte dei Rivoluzionari, o non lo avrebbe mai davvero incontrato, che nonostante ciò che aveva passato nella sua vita credeva che la sua abilità, la maledizione –così l’aveva chiamata- che possedeva fin dalla nascita fosse importante, e che non avrebbe mai negato a nessuno la possibilità di amare ed essere amato.
Erano davvero così di poco valore quelle informazioni?
Per la sua causa forse sì, ma per lui no.
Lei gli aveva fornito il nome della sua compagna di vita e, si certo si era fatta pagare e anche profumatamente!, ma lo aveva fatto soprattutto perché si sentiva in dovere di farlo.
 
Perché ognuno di noi ha diritto all’amore, e non sarò io a negarlo a te.
 
Le sue parole ancora gli rimbombavano nel sottofondo dei pensieri.
Sospirò nuovamente, slacciandosi la cintura e aprendo la portiera.
-Quel che è fatto, è fatto- affermò lapidario verso Sabo, smontando dall’auto.
-E non si può più tornare indietro- ridacchiò rispondendogli con quel tono serio e grave che non gli apparteneva.
Sollevò lo sguardo a fissare l’amico in piedi sotto la neve, studiandolo.
-Sicuro di volerlo fare?- inarcò un sopracciglio.
Zoro spostò il peso da una gamba all’altra, osservando la palazzina che torreggiava davanti a lui.
Erano in via Midori Mimoza 33C, nel quartiere di Coconat Village, appena fuori il centro città.
Si era fatto accompagnare più per far tacere quel demente di Sanji, che continuava a deriderlo per il suo scarso senso dell’orientamento, che non per ricevere supporto morale da Sabo per quanto aveva deciso.
Aveva il suo nome, il suo indirizzo, alcuni dettagli fisici e altri caratteriali.
Aveva l’occasione di incontrare la sua anima gemella.
Aveva deciso di incontrarla.
-Si- chiuse la portiera, dando le spalle al biondo e incamminandosi alla prima palazzina, aggirandola e proseguendo nel piccolo porticato raggiungendo i citofoni.
Guardò di striscio la numerazione degli appartamenti ed entrò nel condominio, salendo fino al terzo piano e fermandosi davanti al 33C.
Nami Cocoyashi era in casa, s’intravedeva una luce oltre la porta e qualche nota musicale provenire dall’appartamento.
Doveva essere appena tornata a casa dal lavoro, quale che fosse ancora non lo sapeva, e dal tono di voce con cui intonava le parole della canzone che stava origliando, quello doveva essere il suo primo pomeriggio di vacanza per l’avvicinarsi del Natale.
Si leccò le labbra con la punta della lingua, passandosi una mano tra i capelli e sollevando la mano opposta a premere il campanello rapido.
Aspettò in silenzio, ascoltando i rapidi passi che echeggiavano oltre l’uscio.
Sentì la porta scattare, e una flebile vibrazione gli attraversò lo stomaco quando apparve una ragazza ad aprirgli.
-Si…?- gli sorrise, sgranando gli occhi quando li posò su di lui.
Zoro ghignò.
Ramata, occhi marroni.
No, sbagliato.
Non era ramata, aveva il fuoco in testa, dei capelli così rossi che avrebbero potuto incendiare l’intero paese e sciogliere la neve che si accumulava in strada.
E gli occhi? Marroni? Scherzava?
Erano color del miele, qualche sfumatura ramata ad illuminarne le emozioni che li attraversavano ma anche nocciola e d’oro, densi come cioccolata, espressivi come parole.
Si diede del mentecatto ad ammirarla in quel modo, e non la biasimò quando la vide sbiancare fissandolo, ancora ferma sull’uscio della porta, il busto metà dentro e metà fuori l’appartamento.
-Ciao- parlò, stupendosi della calma nella sua voce –Sono Zoro e…-
Lo strattonò dentro casa con forza, richiudendo la porta con un tonfo e addossandosi ad essa con tutto il suo esile peso.
-A che gioco stai giocando?- gli urlò contro, afferrando un tagliacarte da una pila di buste e puntandoglielo contro.
-Ehi calma ragazzina- sollevò le mani allarmandosi.
Che diamine le prendeva?
Ok che su di lei sapeva che era “impaurita”, e lui era un estraneo in casa sua ma era una reazione esagerata.
-Voglio solo parlare- provò a fare un passo verso di lei, indietreggiando quando Nami gli puntò il taglierino alla gola.
-Non prendermi per il culo- sibilò, infossando lo sguardo su di lui –Come mi hai trovata?-
-Non riesci a immaginarlo?- tentò con fare suadente, sperando capisse che era stata una Lettura a portarlo lì, ma la rossa corrugò maggiormente la fronte iniziando ad ansare.
-No- ringhiò –Non ho commesso nessuna imprudenza-
Sembrava più una rassicurazione a se stessa che una risposta per Zoro.
-Sei da solo? Hai portato qualcuno? Quanti siete? Parla!- lo strattonò per la giacca color kaki, tremando con la mano armata.
Zoro storse le labbra, abbassando una mano ad afferrarle il polso tremante.
-Vuoi forse farmi una tracheotomia?- ringhiò –Non so che diavolo stai pensando, ma non sono qui per farti del male ma solo per parlare!-
-Oh certo!- rise ironica con le lacrime agli occhi –Dove l’ho già sentita questa? Ah si! Ieri, giusto rivoluzionario?!?-
Fu il turno del verde di infossare lo sguardo sulla ragazza, studiandola con attenzione.
Si conoscevano?
Come sapeva che faceva parte dei Rivoluzionari?
Percepì un lieve formicolio alla nuca, cercando di associare il bel viso pallido e circondato dai ricci rossi di Nami a un evento, una riunione dell’organizzazione, un qualsiasi momento in cui si erano incontrati e conosciuti.
-Chi sei?- la squadrò, osservandola fremere per il suo tono secco e lapidario.
Taglierino ancora puntato alla gola la vide pensare rapidamente, stringendo gli occhi e mordendosi il labbro inferiore.
-Non prendermi in giro- sussurrò stoica ostentando una sicurezza che Zoro vedeva sgretolarsi pian piano nel suo sguardo –Sai bene chi sono…-
-Si certo- ringhiò –Ma la lama del tuo taglierino alla gola mi ha causato un attacco di Alzheimer-
-Smettila!- gridò serrando gli occhi.
La mano di Zoro si mosse da sola, piegandole il braccio e portandolo dietro alla schiena della rossa che era riuscito a far voltare.
Il taglia carte tintinnò contro il pavimento.
-Ora ti calmi…- le fermò anche l’altro braccio immobilizzandola contro il suo petto, lasciandola dimenarsi -… e parliamo!-
-Bastardo!- gli pestò un piede con quanta forza possedeva, ma riuscì a malapena a strappargli un ringhio di fastidio.
-Calmati!- sbottò Zoro, stringendo maggiormente la presa sui polsi della rossa sulla sua schiena –Vuoi che qualcuno ci senta? Non ti voglio far del male!-
-E allora lasciami!- strillò piegando il capo e incenerendolo con gli occhi –O urlerò così forte che accoreranno anche quelli dell’ultimo piano!-
La mascella del verde s’irrigidì, mentre le mani allentavano lievemente la presa.
-Ok- parlò calmo –Ma ti ripeto che non sono qui per farti del male- mollò la presa sollevando le mani in aria non appena Nami svicolò da lui, voltandosi a fissarlo e premendosi spalle al muro.
-Voglio solo parlare…- portò una mano dentro la giacca lentamente.
Fissò Nami scattare al pavimento e recuperare il tagliacarte, puntandoglielo di nuovo contro e fissandolo muoversi, mentre liberava un respiro profondo ricambiando lo sguardo indagatore.
Con mano lenta estraesse la Lettura del giorno recedente, agitandola con un movimento secco del polso per aprirla e porgergliela, mostrandole le fini e scarlatte lettere che parlavano di lei.
La vide sgranare gli occhi color del miele, lasciando cadere a terra il taglierino e aggrappandosi al muro con mani tremanti, le gambe che lentamente l’accompagnavano al pavimento mentre Zoro le si avvicinava porgendole la Lettura.
-Sei la mia anima gemella- tentò di non sembrare ironico o spavaldo, ma gli sfuggì comunque un ghigno –E sono qui solo per… conoscerti-
Nami si raggomitolò contro il muro scuotendo il capo, sconvolta.
-Non è… possibile- sussurrava con un filo di voce non togliendo gli occhi dal suo nome impresso col sangue di una Reader su quel misero foglio di carta.
-Perché non dovrebbe esserlo?- si inginocchiò davanti a lei –Tutti hanno la loro anima gemella e tu sei la mia… io la tua- borbottò, tossicchiando per nascondere quella lieve vena romantica che gli colorava la voce.
-No!- urlò lei –Non sono la tua anima gemella! Questo è un errore!- tentò di strappargli di mano il foglio, ma Zoro lo allontanò in fretta, grugnendo.
-Ho portato fin troppa pazienza con te, sappilo- strinse i denti.
-Io non posso essere la tua anima gemella!- strillò, sull’orlo della disperazione.
Non poteva essere vero.
Non poteva realmente essere successo.
Era contro ogni regola, contro natura.
Contro la sua Natura!
-Perché?- ringhiò, alzandosi e guardandola dall’alto in basso –Parla! Perché?-
-Perché una chiave di lettura non porta un messaggio con sé!- strillò Nami, alzandosi a sua volta e fronteggiandolo con occhi lucidi –Perché una Reader non può avere un compagno di vita: è una legge che nessuno può cambiare, nemmeno tu Rivoluzionario!-
Zoro la fissava stringendo gli occhi, riuscendo finalmente a intravedere la verità.
Capendo la sua paura, il timore che le si poteva leggere negli occhi a ogni singolo battito di ciglia, e l’incredulità delle sue parole nel dirle che era la sua anima gemella.
Sgranò gli occhi confuso e sorpreso.
Lei, una Blood Reader, era la sua anima gemella.
Non… non era possibile!
Non era mai successo, non si era mai sentito di Reader che avessero avuto un compagno, una vita di coppia, dei figli, non…
-Tu sei una Blood Reader- parlò secco, fissandola inarcare le labbra in un sorriso isterico alle sue parole.
-No- gli rispose, sollevando il capo e fronteggiandolo con gli occhi fiammeggianti –Io solo la Reader- si sporse col viso fissandolo dritto negli occhi –Io sono la Gatta, e sì- lo strattonò per la maglia portandoselo vicino al viso, sfoggiando un’capricciosa sfrontatezza –Dobbiamo parlare-

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3604563