Tomorrow (I'm With You)

di Placebogirl_Black Stones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Bugie bianche ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Faccia a faccia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Cuori Infranti ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Punti di vista ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Sorprese inaspettate ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Bandiera bianca ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Sospetti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Un segreto svelato ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Una serata movimentata ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Un dolce, diabolico piano ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Amare verità ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Amicizie che vanno, amicizie che vengono ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Quando il passato torna a galla ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Confessioni ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Legami ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: Andare avanti ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: La festa ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: Goodbye, Japan ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: Il Processo - prima parte - ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20: Il Processo - seconda parte - ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21: La prova ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: Un prodigio in aula ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23: Felicità fugace ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24: Verdetto finale ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25: Un nuovo inizio ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26: Aria di cambiamento ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27: Appuntamento a tre ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28: Una scelta difficile ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29: La fine di un sogno ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30: Desideri esauditi ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31: Cena romantica ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32: Una serata a Brooklyn ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33: Imprevisti al parco ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34: Voci di corridoio ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35: Parole non dette ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36: In cerca di risposte ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37: Conversazioni scomode ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38: Le conseguenze di una decisione ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39: L’ultimo atto ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40: Mossa vincente ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41: Un assaggio di paradiso e un biglietto per l’inferno ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42: Ribellione pacifica ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43: Case Closed ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44: Per sempre mio padre ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45: Tutto è bene, quel che finisce bene ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46: Riunione di famiglia ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47: Le nozze del Taiko Meijin ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48: Uno sguardo al futuro ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49: Avvicinamenti inaspettati ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Bugie bianche ***


TOMORROW
(I’M WITH YOU)
 

Capitolo 1: Bugie bianche
 

Erano trascorse due settimane da quando quell’incubo durato più di un anno era ufficialmente arrivato ad una conclusione. Niente più Organizzazione, niente più uomini neri come corvi dagli alcolici nomi in codice, niente più paura di essere scoperti e finire i propri giorni per mano di criminali dall’identità ignota. I tanto temuti “Silver Bullet” avevano raggiunto il cuore dei lupi cattivi, guadagnandosi l’agognata vittoria. Era l’inizio di una nuova vita per tutti, così come la fine di una tragica storia durata anche troppo. Potevano tornare alle loro vite, consapevoli che non sarebbero più stati gli stessi ma che all’orizzonte li aspettava un futuro migliore. Nulla sarebbe più andato storto. Tuttavia, restavano ancora molte questioni da risolvere prima che l’Organizzazione  e tutto ciò che questa aveva comportato fossero chiuse definitivamente in una scatola che nessuno avrebbe più voluto riaprire: una di queste avrebbe previsto un confronto difficile da sostenere.
 
 
Prese un ultimo, lungo respiro, prima di premere l’indice sul campanello di casa del Dottor Agasa. Aveva bisogno di scacciare la tensione, perché davanti a lei doveva sembrare il più sicuro e convincente possibile. Ogni minima esitazione avrebbe fatto insospettire la sua amica, che per certe cose aveva un fiuto infallibile.
Dopo pochi secondi la porta si aprì, mostrando la figura dello scienziato sulla soglia.
 
- Buongiorno Dottor Agasa- lo salutò con un sorriso.
- Salve figliuolo! Prego, entra pure. Avevi bisogno di qualcosa?-
- Ai…cioè volevo dire Shiho è in casa?- chiese, correggendosi nel pronunciare quello che per lungo tempo era stato il falso nome della ragazza.
 
Aveva ancora difficoltà nel chiamarla con il suo nome di battesimo, perché in fondo per lui sarebbe sempre rimasta Ai Haibara, la “bambina” che aveva condiviso con lui quell’orribile esperienza più di chiunque altro.
 
- Certo, stiamo preparando il curry! Ti fermi a mangiare con noi?-
- No grazie, ho già un impegno!- si affrettò a rispondere, assumendo però un’aria poco convincente.
- Vai a pranzo con la signorina dell’Agenzia Investigativa?- domandò una voce dal tono familiare.
 
Non solo il suo corpo era cambiato, ma anche quella voce che prima sapeva di bambina (per quanto Ai avesse sempre mantenuto un tono da adulta) ora era diventata a tutti gli effetti quella di una donna. Ed eccola lì quella donna, di fronte a loro, con il suo sorrisetto sadico e canzonatorio, le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata contro una parete.
Una cosa che non era cambiata affatto? Il suo umorismo da brivido.
 
- No, e comunque non sono affari tuoi!- storse le labbra imbronciandosi.
- Ti ha dato buca? Non è un buon segno…- continuò a prenderlo in giro, compiacendosi dell’effetto ottenuto.
- Vedo che ti senti bene…- ironizzò.
 
Se aveva tutta questa voglia di scherzare doveva di certo essere di buon umore e questo rendeva il suo compito ancora più difficile di quanto non lo fosse già. Non voleva essere lui a rovinarle una giornata cominciata bene. Doveva indorarle la pillola senza che se ne accorgesse, sperando che la buona sorte fosse dalla sua.
 
- Benissimo!- rispose lei - Ѐ bello riavere indietro il proprio corpo-
- A chi lo dici!- annuì.
- Bando alle ciance: perché sei venuto?-
 
Eccola, la fatidica domanda. Era arrivata secca e pungente, come un pugno in pieno viso. Forse non era stato abbastanza accorto, forse Shiho aveva già notato il suo nervosismo.
 
- Beh, ecco…il fatto è che…- cominciò a farfugliare, non riconoscendosi in quell’atteggiamento insicuro.
- Parla, se nascondi qualcosa sputa il rospo-
- Certo che tu aiuti proprio le persone a mettersi a proprio agio, eh?!- la rimbeccò.
- Non amo perdere tempo, i giri di parole mi innervosiscono. Arriva dritto al punto, Shinichi- lo fissò con quello sguardo cupo e indagatore, che solo lei sapeva fare.
 
Deglutì rumorosamente: quella ragazza lo inquietava. Non si era mai impressionato troppo davanti a un cadavere o a una pozza di sangue, ma davanti a lei si sentiva come un condannato sul patibolo che attende di vedere la sua testa ruzzolare via dal corpo. Non per niente era cresciuta all’interno di un’organizzazione criminale.
Dopo un lungo sospiro, si decise a vuotare il sacco. Aveva ragione lei, era inutile girarci intorno.
 
- Potresti venire a casa mia dopo pranzo? C’è una persona che vorrebbe parlarti-
- Una persona?- aggrottò la fronte - E chi sarebbe?-
- Vieni e lo scoprirai- sorrise: adesso era il suo turno di fare il misterioso.
- Non mi fido di te, hai una faccia strana oggi- gli fece notare - Allora, chi è questa persona?-
- Mi spiace, non posso dirtelo- scosse la testa.
- Per quale motivo? Vuoi forse mettermi nei guai?-
 
Percepì dal suo tono di voce che si stava alterando. Non amava i misteri, specie se la riguardavano in prima persona.
 
- Certo che no!- la rassicurò - Però non posso dirti chi è-
- Vorrà dire che non verrò!- gli diede le spalle con aria altezzosa.
- Adesso non fare la bambina viziata!- la rimproverò - Non ti succederà nulla, lo sai che puoi fidarti di me-
- Dici?- girò di poco la testa per fissarlo, assottigliando lo sguardo - Come faccio a fidarmi di uno che ha tutti questi segreti?-
 
Sospirò: era una partita dura da vincere. Se lui era testardo e caparbio, lei lo era almeno dieci volte di più. L’unico modo per chiuderla in breve tempo era scendere a compromessi.
 
- E va bene, ti do un indizio: è una persona che conosci e che ci ha aiutato molto durante la lotta contro l’Organizzazione-
 
La vide assumere quella tipica espressione che faceva ogni volta che stava pensando e rimuginando su qualcosa: forse la sua tattica aveva funzionato.
Dopo qualche secondo di riflessione, un lieve sorriso comparve sulle sue labbra.
 
- Se tua madre voleva vedermi potevi dirmelo subito!- incrociò le braccia al petto.
- Eeeh?!- esclamò sbigottito - Cosa c’entra mia madre?!-
- Hai detto che la persona che vuole parlarmi ci ha aiutato molto nella lotta con l’Organizzazione e che la conosco, giusto? Tua madre corrisponde perfettamente alla descrizione- spiegò, convinta della sua deduzione.
- A-ah…Ma sì, certo! Hai proprio indovinato, eheheh!- ridacchiò grattandosi la nuca, cercando di apparire il meno teso possibile.
 
Forse era meglio così: farle credere che fosse sua madre la persona in questione l’avrebbe convinta con maggiore facilità. Si sentiva in colpa per quella bugia e sapeva che quando avrebbe scoperto la verità si sarebbe infuriata, ma continuava a ripetere a se stesso che ciò che stava facendo era a fin di bene. Dopo una vita di bugie, inganni e tradimenti, la sua amica doveva sapere la verità, per quanto triste fosse.
 
- Allora ci vediamo dopo!- si affrettò a salutarla, non vedendo l’ora di andarsene e mettere fine a quel teatrino.
- Aspetta Shinichi- lo fermò.
- C-che c’è?- si allarmò, temendo che avesse smascherato la sua recita.
- Ricordati che me lo hai promesso-
 
Il suo sguardo si era fatto serio, come poche volte lo aveva visto, capace di penetrarti nell’animo e arrivare al cuore come la lama affilata di un pugnale. Lo faceva ogni volta che cercava di dire “ho paura”, ma non aveva il coraggio di esprimerlo a parole.
Trovò strano vederlo in quell’occasione così fuori luogo.
 
- Che cosa?- chiese, non capendo.
- Che mi avresti protetta-
 
Si sorprese nel sentire quelle parole, pronunciate tanto tempo fa quando le cose erano iniziate da poco. Il fatto che le ricordasse ancora significava che aveva riposto tutta la sua fiducia in lui, considerandolo il suo eroe. E ora lui la stava in qualche modo tradendo. Nella vita aveva imparato che a volte per fare qualcosa di giusto devi prima necessariamente fare qualcosa di sbagliato. Le due facce della medaglia erano inscindibili, nonostante fossero l’una l’opposto dell’altra.
Fece un lungo respiro, cercando le forze per mentire un’ultima volta.
 
- Non preoccuparti, non farei mai nulla che potesse metterti in una brutta situazione-
- Lo spero- concluse freddamente, dandogli le spalle - Ci vediamo dopo-
 
Senza aggiungere altro, salutò il Dottor Agasa e uscì dalla porta, portandosi dietro il suo senso di colpa. Sapeva benissimo che Shiho aveva capito tutto. Aveva solo finto di fargli credere che pensasse a sua madre, ma probabilmente si era già fatta un’idea di chi potesse essere la persona misteriosa. Quelli che li avevano aiutati “molto” contro l’Organizzazione si potevano contare sulle dita di una mano, e ancora meno erano quelli che potevano avere un valido motivo per voler parlare con lei in privato. Il cerchio si restringeva drasticamente, senza lasciare troppi dubbi. La sua amica era tutt’altro che stupida, non ci aveva messo molto a fare due più due.
Sperò che si presentasse sul serio all’appuntamento, ora che sapeva. Con questo pensiero in mente, si chiuse il cancello alle spalle, diretto verso casa sua, dove la persona in questione attendeva notizie.
Alle sue spalle, in quella casa dalle fattezze stravaganti, i suoi dubbi si stavano confermando.
 
 
………………………
 
 
- Potevi essere più gentile con lui, non c’era bisogno di trattarlo in quel modo- le fece presente lo scienziato, continuando a mescolare il curry.
- E lui poteva evitare di raccontare un mare di bugie- replicò, sedendosi su uno sgabello e posando la testa sul dorso della mano.
- Bugie? Che bugie ti avrebbe raccontato?-
- Non mi dirà che ha creduto sul serio che sia la signora Yukiko la persona che vuole parlarmi- lo guardò storto.
- Perché no? In fondo è vero che vi ha aiutati, forse vuole solo assicurarsi che tu stia bene ora. Si è affezionata a te, sai?- sorrise.
- Se vuole solo assicurarsi che io stia bene può benissimo venire qui a verificarlo di persona, senza invitarmi in gran segreto a casa Kudo per una “riunione di famiglia”- sottolineò in modo sarcastico quelle ultime parole.
- Non essere così acida, sono sicuro che non è nulla di cui preoccuparsi! Shinichi non ti esporrebbe mai a pericoli troppo grandi-
- Dipende…se la persona che gli ha chiesto questo incontro è qualcuno di cui si fida ciecamente, potrebbe farlo senza rendersene conto-
- Mi stai dicendo che hai capito chi è in realtà questa persona?- si stupì.
- Certo che l’ho capito. C’è una sola persona che potrebbe fare una richiesta del genere e che corrisponde alla descrizione che ha fatto Shinichi…- chiuse gli occhi, restando vaga.
- E chi sarebbe?- continuò il Dottore, curioso più che mai.
- FBI- si limitò a dire, alzandosi in piedi - Prendo i piatti, il curry è pronto-
 
 
…………………….
 
 
Appena varcata la soglia di casa, un profumino appetitoso gli solleticò le narici. Sorrise: non si sarebbe mai aspettato che il suo “partner” numero uno in quell’avventura trovasse piacevole esercitare le sue doti culinarie. Aveva detto che era stata sua madre ad insegnarglielo, ma in realtà era qualcosa che sapeva già fare da un pezzo.
Si diresse dritto in cucina, curioso di sapere cosa l’amico avesse preparato per pranzo. Lo trovò ai fornelli, mentre mescolava qualcosa che sembrava essere uno stufato dentro una pentola.
 
- Sei già rientrato?- gli chiese, non appena percepì la sua presenza alle spalle - Com’è andata?-
- Non saprei- ammise - Ci è voluto un po’ per convincerla, è sempre così sospettosa…-
- Verrà oggi?-
- Credo di sì, alla fine le ho fatto credere che la persona che la voleva incontrare fosse mia madre, ma dubito che se la sia bevuta. La conosco, non si fa ingannare facilmente- scosse la testa.
- Mi spiace averti messo in questa posizione scomoda- accennò un lieve sorriso - Ora dovrò fare del mio meglio per tirartene fuori-
- Credo che sarà lei quello a doversene tirare fuori- ricambiò il sorriso.
- Mi sa che hai ragione- ammise.
 
Ci fu un attimo di silenzio, nel quale nessuno dei due osò pronunciare parola. Erano tante le cose da dire, forse troppe.
 
- Io credo che la perdonerà, signor Akai- disse infine - Forse le ci vorrà del tempo, ma quando capirà che anche lei ha pagato il prezzo delle sue azioni allora la sua rabbia si placherà-
- Spero sia come dici tu, ma non ne sono molto convinto- confessò, senza mostrare segno di dispiacere in questo.
- Coraggio, abbiamo sconfitto un’Organizzazione criminale, cosa vuole che sia una ragazzina dall’aria truce?- cercò di sdrammatizzare, per alleviare quella tensione che tutti stavano accumulando.
 
In tutta risposta, l’agente dell’FBI sorrise, nascondendo ciò che realmente sentiva in un angolo sconosciuto del cuore, che aveva reso impenetrabile a chiunque. La vita e il lavoro che aveva scelto gli avevano imposto di essere stoico in qualsiasi momento, ma restava pur sempre un essere umano dopotutto. E come tutti non poteva cancellare gli errori commessi, poteva solo sperare di non commetterli più.
 
- Vedo che ha preparato il pranzo, non doveva disturbarsi- cercò di cambiare discorso.
- Figurati, sono ospite in casa tua da parecchio ormai, mi sembra il minimo- replicò.
- Ѐ stato un piacere poterla aiutare e collaborare con lei-
- Stavo pensando la stessa cosa, giovane Sherlock Holmes- smise di mescolare, girandosi verso di lui e mettendosi le mani in tasca, com’era consueto fare - James e Jodie ti vorrebbero nell’FBI-
- Ѐ una proposta allettante, ma credo che resterò a fare il detective a Tokyo-
- Peccato, sarebbe piaciuto anche a me continuare a collaborare con te- ammise.
- Sono sicuro che ci saranno altre occasioni- sorrise - Due appassionati di Holmes non si annoiano mai!-
- Oh, questo è sicuro!- annuì.
 
Ci fu un altro breve momento di silenzio, nel quale l’agente si voltò nuovamente verso i fornelli e assaggiò lo stufato che bolliva in pentola.
 
- Direi che è pronto- sentenziò.
- Allora preparo i piatti- si diresse verso la credenza - Prima mangiamo e meglio è. Shiho potrebbe arrivare da un momento all’altro-
 
Non ricevette risposta a quella frase, sentì solo nel silenzio di sottofondo il bollore della pentola che andava affievolendosi, segno che era stata tolta dal gas. Senza più toccare l’argomento, apparecchiò la tavola e pranzò insieme all’amico, gustandosi quel meraviglioso stufato prima della tempesta.



ANGOLO AUTORE

Salve a tutti! Comincio doverosamente col ringraziare tutti quelli che sono arrivati alla fine del capitolo senza lanciare pomodori allo schermo! Questa è la seconda storia che scrivo su questo fandom, ad alcuni di voi che ho avuto il piacere di conoscere l'avevo anche già annunciata e ringrazio queste persone per avermi incoraggiata da subito nello scriverla! Ci tengo particolarmente perchè purtroppo non ci sono molte storie sulla coppia Shuichi/Jodie, e così incoraggiata da altre fan ho deciso di provare a scriverci qualcosa. Spero che questa storia vi piaccia e che alla fine vi lasci almeno un qualcosina, ne sarei già felice! Per me è molto importante riuscire a scriverla e portarla a termine, per motivi personali legati alla scrittura che vanno al di là del fatto che la storia sia basata sulla mia OTP. Perciò ringrazio di cuore da subito chi deciderà di seguirla, recensirla o anche solo leggerla in silenzio! 
Non so con che frequenza riuscirò a postare i capitoli (che comunque non saranno molti), perciò mi scuso in anticipo se ci vorrà un po'.
Concludo con una cosa che avevo scritto anche nella precedente fiction: se qualcuno di voi che è sul fandom da più tempo di me dovesse notare delle somiglianze con altre storie vi prego di comunicarmelo in modo tale che possa modificare il testo, perchè ci tengo a non fare plagi nemmeno involontari.
Grazie di nuovo!
Baci
Place

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Faccia a faccia ***


Capitolo 2: Faccia a faccia
 
 
Seduto sul divano di quello che per mesi era stato il suo nascondiglio, con braccia e gambe incrociate, attendeva che il suono del campanello rompesse il silenzio. Non c’era segno di nervosismo nel suo sguardo, né nel suo corpo immobile; tuttavia dentro di sé, come poche volte gli era successo nella vita, avvertiva un senso di timore, quasi simile alla paura. Paura che lei non potesse capire, paura che la sua mano tesa verso di lei venisse respinta. Paura che la promessa che aveva fatto svanisse come il fumo della sigaretta che stava consumando nell’attesa. La settima, per la precisione.
Nella sua mente riaffiorò il ricordo del giorno in cui aveva lasciato per sempre i panni di Subaru Okiya, tornando ad essere semplicemente Shuichi Akai, pronto all’atto finale contro gli Uomini in Nero: lo stesso giorno in cui aveva mostrato il suo vero volto anche a lei, confermandole ciò che sospettava da parecchio. Scoprire che dietro il suo vicino di casa, che aveva sempre guardato con disapprovazione, si nascondeva il traditore dell’Organizzazione nonché ex fidanzato di sua sorella, non era stato piacevole. Ma la cosa peggiore, probabilmente, era stata scoprire che Dai Moroboshi non era mai esistito, che anche quella era una bugia da sommarsi alle altre. Dai Moroboshi era Shuichi Akai, un agente dell’FBI che aveva usato sua sorella, l’unica parente rimastale, per infiltrarsi nell’Organizzazione. Doveva essere questo ciò che aveva pensato in quel momento.
Nonostante ciò, non c’era stato tempo per un vero e proprio chiarimento: l’urgenza di mettere a punto le mosse finali in quella battaglia durata anche troppo aveva la priorità su tutto. Così erano rimasti fino alla fine due perfetti sconosciuti che in realtà sapevano benissimo chi era l’uno e chi l’altra. Ora non c’erano più scuse: nessuna Organizzazione da battere, nessuna corsa contro il tempo. Era arrivato il momento della resa dei conti.
Spense la sigaretta nel posacenere, guardando verso l’orologio appeso nel muro del salotto: le tre e un quarto.
 
- Che sta facendo, un pranzo di Natale?- sbuffò all’improvviso il giovane detective, seduto di fronte a lui, che doveva aver notato il suo gesto.
- Forse ha cambiato idea-
 
Non era un ipotesi da escludere: anche lei, come lui, aveva timore di quell’incontro. Non che pensasse che volesse farle del male, questo no, ma l’idea di ascoltare parole che non voleva sentire dalla bocca di qualcuno verso cui provava rancore non doveva essere facile per lei. Forse aveva atteso troppo, forse il momento della verità era già scivolato via come un treno in corsa. Dentro di sé sperò che non fosse così. Non amava lasciare le cose irrisolte, specie quelle che gli stavano a cuore.
 
- Ma no, se lo avesse fatto mi avrebbe di sicuro telefonato!- cercò di rassicurare l’amico - Immagino che stia solo prendendo tempo per prepararsi alla cosa-
 
Non fece in tempo a rispondere che quel campanello che aveva sperato di sentire da ormai due ore, finalmente suonò. Un suono breve, segno che il dito che lo aveva premuto non era deciso a compiere quel gesto.
 
- Eccola! Vado ad aprire e poi mi ritiro nella stanza adiacente e vi lascio parlare- lo avvisò, dirigendosi verso la porta.
- D’accordo, grazie ancora ragazzo- rispose semplicemente, abbozzando un sorriso.
 
Restò solo in attesa di vedere la figura della ragazza comparire sulla soglia del salotto. Prese un lungo respiro, pensando e ripensando alle parole giuste con cui avrebbe dovuto iniziare quella conversazione.
Le voci dei due ragazzi si facevano sempre più vicine, ora poteva persino distinguere chiaramente cosa si stavano dicendo.
 
- Ti ho già detto di stare tranquilla, non corri nessun pericolo qui!-
- E invece non mi fido, lo so che mi stai mentendo!-
- Perché dovrei mentirti? Hai già capito chi è la persona in questione, no?-
 
Percepiva dal tono di voce insicuro dell’amico che stava facendo uno sforzo enorme per non crollare sotto il peso di quella rete di bugie nella quale lui stesso lo aveva trascinato.
 
- Proprio perché ho capito ti sto chiedendo se sei sicuro che non ci saranno conseguenze!-
 
Lei, al contrario, era come sempre irremovibile nella sua diffidenza, che la spingeva a non credere mai in niente e nessuno. Da quando l’aveva conosciuta non era cambiata di una virgola in questo.
 
- Se hai capito non dovresti nemmeno chiedermelo, no?-
- Senti…tu non sai chi è quel tipo in realtà, non lo conosci! Per te è solo un agente dell’FBI che ci ha aiutati, ma la verità è che c’è dell’altro dietro a questo!-
- Sono cose che riguardano te e nelle quali non voglio entrare. Se hai tanta paura allora scappa, ma non è così che metterai fine a questa storia! Secondo me dovresti affrontare la questione una volta per tutte e chiudere anche questo capitolo. Io sarò qui, non ti lascio sola!-
 
Sorrise nel sentire la fermezza di quelle parole, parole che esprimevano tutto il suo desiderio di lasciarsi alle spalle una storia durata anche troppo. In quel momento i suoi diciassette, quasi diciotto anni dovevano pesare come quaranta. Eppure, invece che liberarsi delle proprie catene, si preoccupava di sciogliere quelle dell’amica, che in quel momento aveva più bisogno di lui di essere liberata.
Non poté fare a meno di pensare che negli anni a venire sarebbe diventato un grande uomo, uno dei migliori che avesse mai conosciuto.
 
- Me lo prometti?-
 
Il tono della ragazza si era fatto più pacato, segno che stava cedendo alla debolezza delle sue paure. Lo aveva visto poche volte il suo lato umano, quello che le consentiva di mostrarsi fragile e bisognosa di protezione: quello che lo aveva spinto a promettere ad Akemi che l’avrebbe protetta da coloro che cercavano di trascinarla nelle tenebre.
 
- Se può farti sentire più tranquilla mi nasconderò nelle vicinanze, così se dovessi aver bisogno correrò in tuoi aiuto, d’accordo?-
 
Sorrise nuovamente: e così ora giocava dalla parte dell’”avversario”, il piccolo detective. Non poteva dargli tutti i torti, dal momento che lui era la causa della discussione che stava avendo con l’amica.
Forse era meglio così, lei aveva più bisogno di una spalla di quanto ne avesse lui in quel momento.
 
- Va bene…-
- Coraggio, ora va’ in salotto e ascolta quello che ha da dirti-
 
La conversazione terminò e l’eco delle parole nel corridoio si sostituì a quello dei passi di una sola persona. Passi lenti, esitanti, appartenenti a un paio di gambe che si stavano muovendo più per inerzia che per volontà propria.
Tenne gli occhi fissi sul vano della porta, fino a quando l’esile figura della ragazza non comparve. Era visibilmente cresciuta da quando l’aveva vista l’ultima volta prima di essere cacciato dall’Organizzazione. Si era fatta più donna, più bella. L’unica cosa che restava invariata era quell’espressione seria sul volto, un misto fra impassibilità e rabbia, con una nota impercettibile di malinconia. E ovviamente i suoi occhi, così simili a quelli di sua sorella, ma privi della stessa luce per ovvi motivi. Probabilmente non si rendeva conto del suo potenziale, o forse aveva solo paura di esporsi dopo anni di prigionia.
Restarono a fissarsi a vicenda per un lasso di tempo indecifrabile, ma all’apparenza infinito. Era chiaro che nessuno dei due riusciva a trovare le parole giuste per iniziare la conversazione, ma dal momento che era stato lui a volerla vedere e a pianificare quella messa in scena, a lui spettava il compito di parlare per primo.
 
- Sei venuta alla fine- si decise ad aprire bocca, abbozzando un sorriso.
 
Non ricevette risposta, la ragazza si limitava a fissarlo con uno sguardo quasi truce. Il risentimento che provava nei suoi confronti era palpabile più che mai.
 
- Resti lì oppure ti siedi?- la invitò a mettersi comoda sul divanetto opposto al suo, nel tentativo di farla sentire maggiormente a suo agio.
 
Di nuovo Shiho non disse nulla. La vide stringersi nelle spalle, forse senza nemmeno rendersene conto, come per proteggersi da quello che considerava un suo nemico più che una vecchia e sgradita conoscenza.
Lentamente, mosse prima un piede e poi l’altro, raggiungendo passo dopo passo il divano, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Si sentiva la sua preda, aspettava ansiosa che lui l’attaccasse. Anche se in passato era stata anche lei uno dei lupi e lui “l’agnello” che si era immolato per combatterli, improvvisamente si era ritrovato ad essere lui il lupo e lei l’agnello che cercava di sfuggirgli. I paradossi della vita.
La sentì deglutire rumorosamente, mentre si sedeva con la stessa lentezza con cui l’aveva raggiunto.
 
- Immagino sapessi già che ero io la persona misteriosa- ricominciò a parlare, stavolta intenzionato a fare un discorso più lungo.
- Cosa vuoi da me?!- lo interruppe brutalmente, quasi aggredendolo.
 
Finalmente si era decisa a parlare, anche se non nel più amichevole dei modi.
 
- Calma, non ho alcuna intenzione di farti del male se è questo che pensi- la rassicurò.
- E come faccio a crederti?! Ti sei finto per mesi il vicino di casa cordiale che portava stufati e zuppe, quando in realtà avevi piazzato delle telecamere nascoste e ti divertivi a spiare ogni minimo movimento, come un burattinaio che muove i suoi pupazzetti! Ti sei preso gioco di me! Non ti bastava averlo fatto con mia sorella?!-
 
Quell’ultima frase arrivò come una doccia gelata, accompagnata da un pugno nello stomaco. Si sentiva ancora colpevole, perché colpevole lo era davvero. Immaginava che anche lei la vedesse in questo modo, l’unico modo in cui si poteva vedere quella triste storia. Lui aveva usato Akemi, e lui era responsabile per la sua morte. Anche togliendo l’errore di Camel e il fatto che gli uomini dell’Organizzazione fossero crudeli e spietati di fronte a tutto e tutti, il comune denominatore restava sempre e solo lui. Se lui per primo non riusciva a perdonarselo, come poteva pretendere che lo facesse colei che aveva sofferto più di tutti per quella perdita?
 
- Non posso darti torto- riuscì solo a dire, chiudendo gli occhi.
- Allora cosa vuoi ancora da me?!- continuò ad attaccarlo, senza placare la sua ira.
- Semplicemente darti le spiegazioni che meriti. Ti sei già fatta un quadro della storia, ma ci sono cose che non sai e che è giusto che tu sappia. Non voglio giustificarmi, né tentare di farti cambiare idea sul mio conto: voglio solo dirti come stanno le cose, senza più bugie-
- E perché dovrei crederti?!-
- Perché per la prima volta ti sto mostrando il mio vero volto, non quello di Subaru e nemmeno quello di Dai Moroboshi. Sono Shuichi Akai, un agente dell’FBI- riaprì gli occhi, fissandola.
 
Attese qualche istante, osservando la sua reazione. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quel salotto, la vide distendere leggermente i muscoli: un buon segno che denotava la sua predisposizione ad ascoltarlo. Se fosse rimasta anche solo un minuto in più seduta su quel divano, per lui sarebbe stato un traguardo.
 
- Parla!- intimò, quasi ordinandoglielo - Ma vedi di fare presto, non mi va di passare tutto il pomeriggio in tua compagnia!-
- Come desidera, principessa- ironizzò, lasciandosi sfuggire un sorriso.
 
Al contrario di sua sorella, aveva un caratterino poco gestibile. Se fosse vissuta nell’epoca Edo, probabilmente sarebbe stata un valoroso generale, capace di comandare un intero esercito piegandolo al proprio volere.
 
- C’è qualcosa che vorresti chiedermi, prima che parli?- la invitò a soddisfare le proprie curiosità, sempre che ne avesse.
- Sei tu quello che ha voluto vedermi per parlare, perciò non sono io a dover fare domande- sottolineò in tono acido.
- Giusto. Allora posso cominciare-
 
Con un ultimo, lungo respiro, cercò silenziosamente dentro di sé le parole giuste e la forza per pronunciarle.
 
- Parliamo di tua sorella. O meglio, parliamo di come mi sono avvicinato a lei. L’FBI stava facendo ricerche sull’Organizzazione, che in quegli anni era stata attiva anche in America. Durante le ricerche, è emerso che fra di loro c’era una scienziata in gamba e molto stimata, una sorta di tesoro per gli uomini in nero, qualcosa da tenere sotto chiave perché troppo importante per essere lasciato libero. Inutile dire che quella scienziata eri proprio tu-
 
Fece una piccola pausa, guardandola di nuovo negli occhi: la sua espressione era cambiata radicalmente. La rabbia di prima sembrava essersi sciolta come neve al sole, lasciando spazio al desiderio di sapere. Era riuscito a catturare la sua attenzione.
Ormai certo che non se ne sarebbe andata prima di aver saputo anche il resto, riprese a parlare.
 
- Riuscire ad arrivare a te era un traguardo ambito, tu potevi rivelarci i segreti intimi dell’Organizzazione; tuttavia avvicinarsi era quasi impossibile, perché come dicevo prima ti nascondevano come se fossi il loro tesoro. C’era un solo modo per avere contatti diretti con te: tua sorella-
 
La osservò stringere i pugni, mentre deglutiva rumorosamente: ormai doveva essere chiaro anche a lei dove voleva arrivare con quel discorso.
 
- Così mi sono avvicinato a lei con una scusa, sperando che il piano andasse a buon fine. Sono riuscito a guadagnarmi la simpatia di Akemi e di conseguenza anche il privilegio di conoscere te, la famosa scienziata: a quel punto ottenere informazioni segrete era un obiettivo quasi raggiunto. Era come se fossi entrato nel cuore dell’Organizzazione, un punto perfetto dove iniziare a colpirli. Ma qualcosa è andato storto nel piano che avevo pensato nei minimi dettagli…-
- Basta così- lo interruppe, pronunciando quelle due semplici parole quasi sussurrandole.
- Vuoi fare una pausa? Immagino che sia difficile ascoltare e reggere tutte queste cose in un colpo solo, perciò se vuoi possiamo…-
- Ho detto basta così!- lo interruppe di nuovo, stavolta alzando il tono di voce - Non voglio più sentire una sola parola!!!-
 
Parlava a denti stretti, con i pugni serrati così forte da far ingiallire le nocche. Aveva smesso di guardarlo in faccia e dell’interesse che aveva mostrato all’inizio del suo racconto non restava nemmeno l’ombra. La rabbia era tornata, più forte di prima. Non poteva biasimarla, le stava dicendo senza giri di parole che aveva usato lei e sua sorella per i suoi piani, per quanto questi fossero a fin di bene. Tuttavia non poteva permettere che non sentisse il resto di ciò che aveva da dirle, qualcosa di molto più importante di tutto quello che aveva detto fino a quel momento. Era la parte che desiderava sentisse più di ogni altra. Anche se sapeva di non poter ottenere il suo perdono, voleva almeno provare a farle vedere il suo lato buono, quello del quale lei dubitava.
 
- Sei venuta fin qui pur sapendo che non sarebbe stata una chiacchierata piacevole: vuoi davvero andartene adesso? Abbiamo ancora molte cose di cui parlare…- provò a convincerla a restare, senza però farle troppe pressioni.
- TI HO DETTO CHE NON VOGLIO PIÚ STARTI A SENTIRE!!!- urlò, alzando la testa di scatto e fissandolo come si guarda il proprio nemico giurato, quello che si desidera far fuori ad ogni costo.
 
Sgranò gli occhi, sbalordito da tanta veemenza. Sapeva che fosse una ragazza tosta, una che non si lasciava mettere i piedi in testa tanto facilmente, ma non l’aveva mai vista in quello stato. Tremava, forse senza nemmeno rendersene conto, gli occhi arrossati per lo sforzo di contenere la rabbia e probabilmente anche qualche lacrima che non voleva mostrare a lui.
In quel momento realizzò che non c’era più nulla che potesse fare per fermarla, che qualunque cosa avesse detto sarebbe risultata l’ennesima bugia. Ai suoi occhi doveva apparire come il colpevole che cercava di lavarsi la coscienza.
 
- NON MI INTERESSA SE SEI DELL’FBI E SE USI QUESTA SCUSA PER GIUSTIFICARE TUTTO QUELLO CHE FAI, MA QUELLO CHE HAI FATTO A MIA SORELLA NON HA GIUSTIFICAZIONI!!!- si alzò in piedi, continuando ad urlargli in faccia con tutto il fiato che aveva in corpo - MI HAI PRIVATA DELL’UNICO FAMIGLIARE CHE MI RESTAVA E ORA CERCHI DI ABBINDOLARMI CON LE TUE PATETICHE SCUSE?!?!  SAPPI CHE SE VUOI IL MIO PERDONO NON LO AVRAI MAI, CAPITO?! MAI!!!-
 
Si allontanò velocemente verso la porta che conduceva fuori dal salotto, come se volesse scappare il più lontano possibile da lui. Il suo compito era proteggerla, ma in quel momento non si sentiva diverso da quelli che per anni le avevano fatto del male.
Non si mosse dal divano, consapevole che inseguirla non sarebbe servito a nulla, se non a farsi odiare ancora di più, per quanto fosse possibile. Non poteva e non voleva obbligarla a restare se non se la sentiva, anche se questo comportava il lasciarla con un’idea sbagliata di lui.
 
- Non ho mai preteso il tuo perdono, volevo solo chiarire alcune cose- disse semplicemente, senza però avere il coraggio di guardarla negli occhi.
- Sei stato fin troppo chiaro- rispose in modo sprezzante, calmando i toni ma mantenendo una freddezza glaciale nel parlare - Vuoi sapere una cosa? Secondo me hai sbagliato a diventare un agente dell’FBI, dovevi entrare fin da subito a far parte dell’Organizzazione: saresti stato un criminale perfetto-
 
Quelle parole, sparate come un proiettile dalla canna di un fucile, lo colpirono dritto al cuore. Lui, il “Silver Bullet”, era stato centrato in pieno. Senza dire nulla né reagire, incassò anche quell’ennesimo colpo che la vita gli aveva riservato, evitando di mostrare il dolore. Davanti a lei non poteva cadere, doveva mostrarsi forte e determinato, come avrebbe fatto un fratello maggiore con la propria sorellina che stava imparando quanto fosse ingiusta e meschina la vita. Tuttavia, non poteva fermare quel dolore che aveva assalito il suo petto nel sentirsi dire che per lei equivaleva a un criminale. Come poteva proteggerla se pensava questo di lui? Come poteva mantenere la promessa fatta ad Akemi?
Il suono dei suoi passi veloci che si allontanavano così come si erano avvicinati lo riportò alla realtà: se ne stava andando. Inutile correrle dietro e convincerla a restare, inutile volerle far credere di essere buono: in quel momento non era disposta ad ascoltarlo, e forse non lo sarebbe mai stata.
 
- Aspetta Ai!- sentì la voce del giovane detective, rimasto per tutto il tempo lì vicino, seguita dal tonfo dei suoi passi mentre cercava di raggiungerla correndo.
 
Doveva aver sentito tutto e come ogni volta la sua indole lo aveva spinto a cercare un rimedio. A differenza sui, lui non si voleva arrendere al primo ostacolo, forse perché in quella storia ne era uscito come uno dei buoni.
Si alzò dal divano, camminando lentamente verso la porta e uscendo in corridoio, deciso a raggiungerli. Anche se non poteva fare nulla, voleva sperare che Kudo riuscisse a salvare la situazione. Invece quello che sentì fu solo la conferma del fallimento del suo piano.
 
- Non puoi andartene così, dagli la possibilità di finire di spiegarti!- cercò di convincerla a restare.
 
La giovane scienziata non lo degnò nemmeno di uno sguardo, rimase immobile davanti alla porta d’entrata dandogli le spalle. Poteva immaginare che faccia avesse in quel momento, la stessa che aveva usato con lui poco prima.
 
- Tu…-
 
Una sillaba pronunciata piano, ma carica di rabbia, disprezzo e delusione.
 
- Me lo avevi promesso…-
- Eh? Ma di cosa parli?- chiese il ragazzo, non capendo.
- Mi avevi promesso che mi avresti protetta…-
- Guarda che sono rimasto per tutto il tempo in corridoio vicino al salone, proprio come ti avevo promesso!- si giustificò.
- SMETTILA DI FARE IL FINTO TONTO!!!- urlò, finalmente girandosi a guardarlo.
 
Aveva gli occhi pieni di lacrime, alcune delle quali erano già cadute lungo le guance. Davanti a quel ragazzo del quale fino a quel momento si era fidata ciecamente, poteva permettersi di piangere, cosa che non aveva fatto quando erano soli in salotto. Lui era un estraneo, un nemico che non meritava di vedere il suo lato più intimo.
 
- Ai…- riuscì solo a dire il giovane detective.
- SAPEVI TUTTO FIN DALL’INIZIO, SAPEVI CHI ERA QUELL’UOMO E COSA AVEVA FATTO A MIA SORELLA, MA NONOSTANTE CIÒ SEI DIVENTATO IL SUO INSEPARABILE COMPAGNO DI GIOCHI E INSIEME AVETE TRAMATO ALLE MIE SPALLE!!! LO HAI ADDIRITTURA OSPITATO IN CASA TUA, A DUE PASSI DA DOVE VIVO!!! QUESTO SECONDO TE SIGNIFICA PROTEGGERE QUALCUNO?!?! - continuò ad inveirgli contro, incapace di trattenersi.
- Non è come credi…dovresti stare a sentire quello che Akai-san ha da dirti. Non è il mostro che credi tu-
- CERTO, ADESSO PRENDI LE SUE DIFESE!!! LUI Ѐ QUELLO BUONO E IO LA PRINCIPESSA VIZIATA!!! TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE HA FATTO?!?! Ѐ COLPA SUA SE MIA SORELLA NON C’Ѐ PIÚ!!!-
- Posso capire come ti senti, ma se ha deciso di parlarti a quattr’occhi vuol dire che è sinceramente pentito e che forse c’è dell’altro dietro l’apparenza…-
- TU CAPISCI COME MI SENTO?!?!- strinse i pugni con forza - HAI PER CASO PERSO L’UNICO MEMBRO DELLA FAMIGLIA CHE TI RESTAVA?!?! SEI SOLO UN RAGAZZINO PRESUNTUOSO CHE GIOCA AL DETECTIVE, TOTALMENTE PRIVO DI TATTO!!! CALPESTI I SENTIMENTI DELLE PERSONE CHE TI SONO VICINE PUR DI ARRIVARE ALLA VERITÀ! SEI UN TRADITORE, PROPRIO COME IL TUO AMICO CHE DIFENDI TANTO!!!-
- Questo non è vero!!!- alzò anche lui il tono della voce, ferito da quell’affermazione.
- Basta, non voglio restare un minuto di più in questa casa!-
 
Si asciugò le lacrime con un gesto di stizza, afferrando la maniglia della porta e spalancandola, pronta a fuggire da quella che era diventata una prigione più che la casa del suo vicino.
 
- Non puoi andartene così, Ai!- la fermò, afferrandola per un braccio.
- LASCIAMI!!!- si divincolò, respingendo con brutale forza la sua mano - E SMETTILA DI CHIAMARMI AI! IL MIO NOME Ѐ SHIHO, CAPITO?!?!-
- Perdonami, è l’abitudine- sospirò - E poi per me sarai sempre Ai- cercò di abbozzare un sorriso, nel tentativo di calmare i toni della conversazione.
- Da questo momento in poi per te non sono più nulla. Non ti azzardare a venire a cercarmi, perché giuro che te la faccio pagare cara!-
 
Prima era toccato a lui, e ora al povero Shinichi. La seconda pallottola era partita dal fucile, l’altro Silver Bullet era stato colpito. Avevano perso la battaglia, su tutti i fronti.
 
- Ma…Ai…- pronunciò quelle sillabe a fatica, incapace di formare una frase si senso compiuto.
 
Non ci fu risposta stavolta, solo il suono della porta che sbatteva chiudendosi, lasciando dietro di sé un campo di battaglia sul quale giacevano due cadaveri.
Accendendosi una sigaretta per scacciare la tensione, raggiunse l’amico, rimasto immobile a fissare la porta. Gli posò una mano sulla spalla: l’unico gesto che poteva fare in quel momento per confortarlo. Aveva appena perso un’amica e la colpa era sua. Per un attimo pensò di avere il potere non solo di allontanare da lui le persone che gli erano care, ma di farle allontanare anche da chi gli stava intorno. Forse aveva ragione lei, non era nato per essere “uno dei buoni”.
 
- Mi spiace, ti ho messo in questa posizione scomoda e ora stai pagando un prezzo alto per aver preso le mie parti. Dovevi negare di sapere, così avrebbe perdonato almeno te-
- Non potevo fingere ancora, non dopo averla attirata qui con l’inganno…-
 
Il suo tono di voce era più basso del solito, privo di quell’entusiasmo che aveva solitamente. Comprendeva come si sentisse, un traditore della peggior specie. Adesso avevano un’altra cosa che li accomunava, anche se non era da ritenersi delle migliori.
 
- Lo capisco, hai fatto anche troppo. Ma almeno tu puoi ancora sperare di ottenere il suo perdono. Vedrai che quando avrà sbollito la rabbia accetterà di chiarirsi con te, sei molto importante per lei- cercò di fargli vedere il bicchiere mezzo pieno.
- Se la conosco bene non mi perdonerà tanto facilmente. Ho tradito la sua fiducia, non ho rispettato la promessa che le avevo fatto- scosse la testa.
- Sì che l’hai rispettata. L’hai sempre protetta, persino oggi. Le avevi promesso che saresti rimasto vicino mentre parlavamo e lo hai fatto, e quando lei è fuggita l’hai inseguita invece che venire da me: questo dimostra che più che me stavi aiutando lei- accennò a un lieve sorriso.
- Il problema è che lei non ha visto questo: il fatto che l’abbia attirata qui con una bugia e che per tutto questo tempo non le abbia mai detto che sapevo cosa era successo con sua sorella, ma nonostante tutto abbia deciso di allearmi con lei, Akai-san, l’ha portata a pensare che stessi difendendo l’assassino dell’unico membro della sua famiglia che le restava. Se solo non fosse così testarda e ascoltasse quello che le persone hanno da dirle…!- si portò una mano alla fronte, continuando a scuotere la testa.
- Non ha tutti i torti in fondo- ammise.
- Eh?!- si girò a guardarlo, incredulo - Che intende dire? Sappiamo bene che lei è sempre stato dalla nostra, e quello che è successo ad Akemi è stata colpa di quella banda di criminali!-
- Loro hanno premuto il grilletto…ma la pistola l’ho caricata io-
 
Il silenzio calò in quella stanza diventata gelida, nonostante la primavera fosse già arrivata. Era difficile trovare ancora parole da dire, entrambi si comprendevano l’un l’altro ma nessuno dei due poteva fare niente per alleviare le pene dell’amico. Consapevoli dei propri errori, l’unica cosa che potevano fare era accettarne le conseguenze.
 
- Domani parlerò con il Dottor Agasa, forse lui riuscirà a farla ragionare- disse infine Shinichi, per dare un ultimo barlume di speranza ad entrambi.
- Pensi che funzionerà?- chiese l’agente dell’FBI, un po’ scettico.
- Non posso garantirglielo, ma è l’unica cosa che possiamo fare adesso. Fare un tentativo non renderà la situazione peggiore di quanto non lo sia già-
- Hai ragione. Spero che almeno per uno dei due le cose si sistemino- sorrise, ricambiato dal giovane investigatore.
 
Non se la sentiva di contraddirlo, perché voleva che Shiho riavesse accanto a sé la persona di cui si fidava più di ogni altra, quella che le aveva fatto ritrovare la voglia di sorridere alla vita. E ovviamente voleva che anche l’amico smettesse di pagare per qualcosa che non aveva fatto. Sapeva benissimo che per lui non c’erano speranze, ma non voleva privare quel giovane che vedeva sempre tutto con ottimismo di tentare il tutto e per tutto. Si meritava il meglio, lui che era il vero Silver Bullet della storia.
 
 
 
………………………….
 
 
 
Aprì la porta di casa con la furia di un ciclone, correndo dentro come se quello fosse l’unico posto in cui poteva trovare rifugio da un mondo che continuava a darle la caccia e voltarle le spalle. Inciampò nel tappeto, cadendo a terra sulle ginocchia. Rimase in quella posizione, ormai a corto di fiato e di forze, con la testa bassa e i pugni stretti. Piangeva, piangeva per liberarsi da quel dolore che le stava facendo esplodere il petto. Il suo corpo scosso dai singulti sembrava quello di un pulcino bagnato che tremava per il freddo.
Si sentiva persa, abbandonata, tradita. Nella sua mente continuava a proiettarsi l’immagine sorridente di sua sorella, che chiamava tante volte il suo nome.
 
- Che cosa succede Ai?!- le corse incontro il Dottor Agasa, preoccupato nel vederla in quello stato.
 
Anche lui non riusciva a chiamarla con il suo vero nome, la forza dell’abitudine lo spingeva a chiamarla con lo pseudonimo che lui stesso le aveva dato. Nonostante ciò, non le aveva mai dato fastidio, perché quel bizzarro scienziato ormai lontano dal fiore degli anni era diventato per lei la cosa più simile a una famiglia. La famiglia che non aveva potuto avere.
Non riuscì a rispondere alla sua domanda, era troppo il dolore per poterlo esprimere a parole. Tutto ciò che riuscì a fare fu aggrapparsi a lui, come se fosse la sua unica ancora di salvezza, sfogando il pianto sul suo petto.
 
- Su, adesso calmati bambina mia- le accarezzò la schiena, nel tentativo di farla smettere.
 
Quelle parole giunsero alle sue orecchie come la più dolce delle melodie. Non aveva mai avuto il privilegio di sentirle dalla bocca del suo vero padre, né da quella di nessun altro. In quel momento pensò che se anche non avesse mai più avuto un amico, non le sarebbe importato poi più di tanto. Le bastava poter restare in quella casa, con l’unica persona che non l’avrebbe mai ingannata. Il resto non contava più.
Restò fra le sue braccia per un tempo indefinito, fino a quando ormai priva di forze e lacrime si lasciò andare ad un sonno profondo.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
So che è passato un secolo dal precedente capitolo, ma non sono riuscita ad aggiornare prima. Questo capitolo poi è stato più difficile del previsto, in quanto sia Shiho che Shuichi sono personaggi parecchio difficili da mantenere IC! Non volendo farli sembrare quello che non sono, mi sono presa il tempo necessario per scriverci in modo decente, spero di esserci riuscita! ^^
Siete rimasti soddisfatti del dialogo fra i due? Mi avete dimostrato molta aspettativa nel precedente capitolo, perciò spero di non avervi deluso! E per chi se lo stesse chiedendo, Jodie farà la sua comparsa nel prossimo capitolo! ;)
Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e recensire questa storia!
Bacioni
Place
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Cuori Infranti ***


Capitolo 3: Cuori infranti


L’immagine che lo specchio rifletteva non era delle migliori: capelli arruffati, viso pallido ed evidenti occhiaie nere. Non c’era da meravigliarsi troppo, dopo la notte insonne che aveva trascorso. Si era girato e rigirato nel letto come un’anima tormentata, mentre nella sua testa risuonava l’eco di quelle parole che lo avevano trafitto come la lama di una katana.

“Da questo momento in poi per te non sono più nulla. Non ti azzardare a venire a cercarmi, perché giuro che te la faccio pagare cara!”

Anche se l’aveva sempre criticata e se a volte non gli andava proprio giù il suo caratteraccio, Ai era diventata a tutti gli effetti la sua migliore amica, la sola persona che potesse comprendere quello che aveva passato ritrovandosi da un giorno all’altro in un corpo che non gli apparteneva. Il legame che si era creato fra loro era anche più forte di quello che aveva con Heiji o con qualsiasi altro amico avesse mai avuto: per questo non sopportava l’idea di averla persa.
Fissando la sua immagine riflessa, gli venne da chiedersi se per la prima volta in vita sua non fosse stato dalla parte sbagliata. Tuttavia, non riusciva ad incolpare Akai, che in quel momento doveva sentirsi forse anche peggio di lui.
Sospirando, si lavò la faccia, nella speranza di cancellare via i segni dell’insonnia. Si vestì e scese in cucina, trovandola deserta. Akai doveva essere ancora a letto, forse anche lui non aveva dormito e voleva recuperare almeno un paio d’ore di sonno. Così, in punta di piedi senza far rumore, uscì di casa diretto dal Dottor Agasa.

Si accorse che gli tremavano le mani mentre apriva il cancello di casa dello scienziato. Un tremore flebile, ma evidente ad un occhio attento come il suo. Era difficile ammetterlo, ma aveva paura, paura di vedere di nuovo quel volto dall’espressione carica di odio.
Suonò il campanello una volta sola: non voleva risultare insistente. Dopo qualche minuto la porta si aprì ed uscì la figura rotondeggiante del Dottore.

- Immaginavo fossi tu, Shinichi-

Pronunciò quelle parole a voce bassa, come se non volesse farsi sentire da Shiho, che probabilmente doveva essere in cucina a pochi metri da loro. La conferma di ciò arrivò quando socchiuse la porta dietro le sue spalle larghe.

- Come sta?- riuscì solo a chiedergli, sicuro che l’amico avesse capito il motivo per cui era venuto lì di primo mattino.
- Rispetto a quando è rincasata ieri si è calmata, ma se devo essere sincero questa calma apparente mi fa più paura del crollo che ha avuto lo scorso pomeriggio…- confessò, abbassando lo sguardo e mostrando tutto il dispiacere che provava nel vedere quella ragazzina, alla quale si era affezionato più del dovuto, soffrire così tanto.
- Pensa che stia solo fingendo di stare meglio?-
- Lo sappiamo bene come è fatta, non vuole mostrarsi debole ma tenendosi tutto dentro arriva al punto di scoppiare. E quando scoppia è difficile controllarla-
- Dov’è adesso?-
- Sta facendo colazione in cucina, a meno che non sia venuta alla finestra a spiare. Quando ha sentito il campanello ha pensato subito che poteste essere tu o Akai-san e mi ha detto di non farvi entrare per nessuna ragione- scosse la testa.
- Ma io devo parlare con lei!- strinse i pugni, tirando fuori quella grinta che sembrava aver dimenticato a casa fino a poco prima.
- Cerca di capire figliuolo, in questo momento dobbiamo lasciarle sbollire la rabbia senza farle pressioni: quando si sarà calmata vedrai che sarà lei a venire da te- cercò di farlo ragionare lo scienziato.
- No, non verrà mai! Ieri mi ha detto che non ne voleva più sapere di me…- abbassò lo sguardo.
- Lo ha detto perché era furiosa, è comprensibile che abbia reagito così. Eri pronto anche tu all’evenienza, sapevamo che non sarebbe stato facile per lei avere quel confronto-
- Non ha nemmeno lasciato che Akai-san le dicesse tutto quello che doveva…-
- Dici sul serio? Quindi non si sono chiariti fino in fondo?- si stupì.
- Purtroppo no, è scappata via prima che potesse dirle la cosa più importante. Non le ha detto nulla?-
- Quando è tornata era troppo sconvolta per parlare, ha pianto fino ad addormentarsi- scosse la testa - Poi si è svegliata per cena ma non ha quasi toccato cibo, e io non me la sono sentita di toccare l’argomento vedendo come stava. Stamattina ho provato a farle qualche domanda, ma è rimasta vaga e mi ha risposto che non aveva voglia di parlarne, così non ho insistito-
- La prego Dottore, cerchi di convincerla a parlare con me, anche solo per pochi minuti!- lo supplicò - Deve sapere che non ho mai tradito la sua fiducia!-

Non era da lui abbassarsi alle suppliche, ma era disposto a tutto pur di convincere l’amica che qualsiasi cosa avesse fatto, nel bene e nel male, non l’aveva fatta per ferirla. Non era, come lo aveva definito lei, un “ragazzino che non si curava dei sentimenti degli altri perché troppo preso ad elaborare i suoi piani”.

- Posso provare a chiederle se le va di uscire un momento o di farti entrare, ma non ti garantisco nulla- sospirò, chiudendo gli occhi - Non voglio obbligarla a fare qualcosa che non le va-
- La ringrazio- accennò a un lieve sorriso.

Lo osservò tornare in casa, cercando di contenere il nervosismo dell’attesa che si sommava a quello già presente per la situazione. Il Dottor Agasa era la sua ultima speranza, l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi per non affondare, l’unica persona che poteva convincere Ai a ragionare. Si maledisse mentalmente per continuare a chiamarla con il suo pseudonimo, ripromettendosi di sforzarsi di usare il suo vero nome se avesse accettato di parlare con lui. Almeno questo glielo doveva.
Non vedendo il Professore tornare e impaziente di sapere, mosse qualche passo verso la porta, nella speranza di riuscire a sentire le voci all’interno della casa. Con sua grande fortuna, il Dottor Agasa aveva lasciato la porta socchiusa.

- Le ho detto che non voglio vederlo e non voglio parlarci!!!- udì distintamente la voce arrabbiata di Shiho.
- Coraggio Ai, cerca di fare uno sforzo…Almeno ascolta quello che ha da dirti, è davvero dispiaciuto per quello che è successo- cercò di convincerla lo scienziato.
- Non mi importa se è dispiaciuto, poteva pensarci prima!!! Per me può anche andarsene a casa, ma non voglio che entri e non voglio essere io ad uscire per vedere la sua brutta faccia mentre pronuncia qualche patetica scusa per giustificare il fatto che ha nascosto un assassino dentro casa sua e hanno complottato alle mie spalle!!!-

Sentì un tonfo, simile a qualcosa che batteva forte contro un tavolo. immaginò che Shiho avesse scaricato la sua rabbia sbattendo una tazza o qualunque cosa ci fosse sul tavolo per la colazione. Se si innervosiva così non era un buon segno. Ormai gli era sempre più chiaro che la sua visita mattutina non avrebbe portato a nulla, che sarebbe tornato a casa con la coda fra le gambe esattamente come era arrivato lì. La speranza si stava sgretolando davanti ai suoi occhi.

- Un assassino?!- restò scioccato da quell’appellativo -Adesso esageri, Akai-san non è affatto un assassino! Forse non è stato onesto a travestirsi da Subaru, ma lo ha fatto perché voleva proteggerti-
- Proteggermi?!- sottolineò duramente quella parola - Come può la persona che ha causato la morte di mia sorella venire a dirmi che voleva proteggermi!!! L’unica cosa che voleva proteggere è la sua coscienza sporca!!!-
- Akai- san è la causa della morte di tua sorella?!- ripeté il Dottore, sempre più incredulo a tutto ciò.

Il Dottor Agasa conosceva alcuni dettagli, come il fatto che Subaru fosse in realtà l’agente Akai e che vivesse in casa Kudo per poter sorvegliare da vicino Ai, ma non sapeva tutto. Alcune cose aveva omesso di dirgliele, sia per rispetto nei confronti delle faccende personali di Akai, sia perché temeva che il legame stretto che aveva con Ai lo portasse a non riuscire a mantenere certi segreti.

- Vedo con piacere che hanno tenuto all’oscuro di tutto anche lei, Professore!- ironizzò freddamente - Si guardi le spalle dalle persone di cui si fida tanto, potrebbero pugnalarla alle spalle quando meno se lo aspetta- si alzò dalla sedia, avviandosi verso la sua stanza.
- Aspetta Ai!- cercò di fermarla - Non vuoi almeno ascoltare Shinichi? Se è venuto fin qui di primo mattino pregandomi di convincerti a parlare con lui, è perché ci tiene davvero alla vostra amicizia-
- Doveva pensarci prima- fu la sua unica risposta, prima di chiudersi la porta della stanza da letto alle spalle.

Era finita. Non c’era più nulla che potesse fare, se non accettare il prezzo di ciò che aveva fatto.
Senza nemmeno attendere che il Dottore tornasse per comunicargli che non ci sarebbe stato nessun chiarimento fra loro, girò le spalle alla porta e si avviò verso il cancello per uscire.

- Shinichi! Dove vai? Aspetta figliuolo!- sentì l’amico chiamarlo.

Non si voltò, né proferì parola. Si limitò ad alzare una mano come per dirgli “Non si preoccupi, ho capito”, mentre si chiudeva il cancello alle spalle, diretto verso casa.



…………………………



Frugò con la mano nella tasca interna della giacca, alla ricerca del suo portamonete. Dopo ore passate a controllare ed archiviare scartoffie e documenti vari in preparazione al rientro in America, le ci voleva una pausa. E cosa c’era di meglio di un bel tè fresco per rilassarsi e scaricare la tensione accumulata durante quella lunga caccia all’Organizzazione?
Si avviò lungo il corridoio della “sede” che l’FBI aveva tenuto nascosta alle autorità giapponesi, diretta alla macchinetta delle bibite in lattina. James le aveva appena comunicato che, con tutte le probabilità, avrebbe dovuto prendere parte anche lei al processo che si sarebbe svolto contro Sharon Vineyard, in quanto testimone e vittima di uno dei suoi misfatti: questo aveva fatto sì che il nervosismo già presente in lei aumentasse. Aveva cercato per anni la resa dei conti, ma ora che era arrivata si sentiva tesa, forse per timore che quella criminale che le aveva portato via tutto potesse ancora una volta farla franca. Desiderava solo avere giustizia, per lei e per suo padre.
Si aggiustò gli occhiali che le erano scivolati fin quasi sulla punta del naso, mettendo a fuoco le immagini dietro le lenti: fu allora che lo vide distintamente. In piedi davanti alla macchinetta, a pochi passi da lei, c’era Shuichi. Non sapeva spiegarsi come fosse possibile che, dopo tutti quegli anni trascorsi dalla loro rottura, il cuore le battesse forte ogni volta che lo vedeva, proprio come una ragazzina alla sua prima cotta. Eppure la risposta era molto semplice: non aveva mai smesso di amarlo. Segretamente, silenziosamente, senza chiedere nulla in cambio, continuava ad amare quell’uomo che si era guadagnato un posto speciale nel suo cuore. Aveva cercato più volte di negarlo, di cancellare quei sentimenti inopportuni, di odiarlo per il modo in cui l’aveva scaricata, ma ogni sforzo era stato vano. Non poteva provare rancore per qualcuno che amava così tanto. Così si era dovuta accontentare di essere solo una collega, o al massimo una vecchia amica. Tuttavia, non mancava di preoccuparsi in modo evidente ogni volta che lo vedeva cacciarsi in una brutta situazione o quando lo trovava visibilmente stanco per il troppo carico di lavoro che si assumeva sulle spalle. Era più forte di lei, il suo modo per fargli capire “Sono qui, Shu, sono qui per te”.
Lo affiancò alla macchinetta, osservando la lattina appena presa che stringeva nella mano sinistra.

- Caffè nero come sempre- gli sorrise, cercando di sembrare anche un po’ ironica in quell’accenno alle sue vecchie abitudini.
- Ah, sei tu- rispose distrattamente, girandosi a guardarla.

Aggrottò le sopracciglia, stranita dal suo comportamento. Shuichi era sempre stato vigile in ogni momento, specie sul lavoro; invece in quel momento sembrava così distratto da non essersi nemmeno accorto che si era fermata a pochissimi centimetri da lui. Inoltre, nella sua espressione c’era qualcosa di strano, di diverso dal solito: lei lo conosceva bene, si accorgeva subito dei suoi cambiamenti di umore o dei suoi sguardi. Forse anche lui era provato da tutta quella situazione, il fatto che fossero arrivati alla fine non implicava che tutto venisse automaticamente cancellato con un colpo di spugna.

- Va tutto bene Shu?- gli chiese, cercando di scoprire cosa non andasse.
- Sì, tranquilla- rispose nuovamente in modo distratto e vago.

A volte non sapeva come comportarsi con lui, non sapeva come farlo sbloccare. Aveva la cattiva abitudine di tenersi sempre tutto dentro, di volersi mostrare al mondo come un eroe invincibile la cui corazza non poteva essere scalfita da niente e da nessuno; così finiva col risultare freddo e insensibile, quando in realtà dentro di sé nascondeva molte più emozioni di quante non volesse provare. Più di una volta le era capitato di pensare che se Shuichi avesse avuto l’opportunità di diventare una macchina programmata per non sentire nulla, di sicuro avrebbe accettato. Questo la rattristava molto, perché desiderava con tutta se stessa che lui si lasciasse andare e mostrasse più spesso ciò che sentiva. E voleva che lo facesse con lei, che si fidasse di lei.
Rimase in silenzio, sapendo che era inutile insistere: se non aveva voglia di parlare non gli avrebbe cavato fuori una parola di bocca. Sospirando, aprì il portamonete e vi cercò all’interno alcuni spiccioli per il suo tè freddo. Non appena li trovò, si avvicinò alla macchinetta e li inserì, digitando il numero corrispondete alla sua scelta. Il tonfo metallico della lattina che cadeva nel vano, seguito da quello della lattina di caffè che Shuichi aveva aperto, ruppero quel triste silenzio che si era creato fra loro. Lo osservò con la coda dell’occhio sorseggiare la bevanda, con lo sguardo fisso su un punto indefinito. La voglia di sapere cosa lo affliggeva era tanta, quasi incontenibile: non perché fosse curiosa, anche se in effetti lo era di natura, ma perché soffriva nel vederlo tormentarsi interiormente senza poter fare nulla per aiutarlo.

- Sei sicuro di stare bene Shu? Sembri sovrappensiero e hai l’aria stanca…- non riuscì a trattenersi.
- Non ho dormito molto-

Di nuovo una risposta fugace, come se gli desse fastidio avere una conversazione. Un senso di rabbia l’assalì improvvisamente: possibile che fosse così egoista da non rendersi conto che con quel suo atteggiamento faceva soffrire le persone che tenevano a lui?! Perché non si sforzava almeno di fingere di apprezzare le premure che gli venivano rivolte?!
Aprì la lattina di tè, bevendo una lunga sorsata nel tentativo di calmarsi. Sapeva benissimo che era fatto così, arrabbiarsi era inutile.

- C’è qualcosa che ti preoccupa?- provò di nuovo a farlo parlare, quando il liquido ambrato appena deglutito le rinfrescò la gola e placò quell’improvvisa arrabbiatura.

Rimase in silenzio per qualche secondo, nel quale bevve ancora un sorso di caffè nero. Come facesse a bere quella cosa così amara restava un mistero, e di certo l’assenza totale di zuccheri non lo aiutava ad addolcirsi.

- Mi sono messo a leggere e ho perso la cognizione del tempo-

Una bugia, una malcelata bugia inventata sul momento. Se era arrivato a tanto, significava che non c’era speranza di sapere cosa gli stesse passando per la testa, perché non voleva in nessun modo rivelarlo. Doveva essere qualcosa di strettamente personale per farlo reagire in quel modo, e dentro di lei immaginava cosa fosse.
Non era arrivata nemmeno a metà della lattina di tè, ma il nodo allo stomaco che le si era formato a quel pensiero le impediva di buttare giù qualsiasi cosa. Anche deglutire era diventato doloroso. Eppure stava lì, con gli occhi bassi e lo sguardo triste, senza muoversi di un passo, perché l’amore che provava per quell’uomo era più forte del dolore che le causava.

- Capisco…- si limitò a rispondere, rinunciando a proseguire nei suoi tentativi di dialogo.
- Torno al lavoro- la salutò, gettando la lattina di caffè ormai vuota nel cestino accanto alla macchinetta.

Senza aggiungere altro, si avviò lungo il corridoio a passi lenti e con le mani in tasca, nella sua consueta e stoica posizione, lasciandola lì da sola in quell’angolo deserto. Irremovibile come una montagna, questo era Shuichi Akai. Le venne spontaneo chiedersi cosa l’avesse fatta innamorare a tal punto di lui, e l’unica risposta che riuscì a darsi fu che nei suoi giorni migliori era piacevole stare in sua compagnia, oltre al fatto che fosse un uomo coraggioso e con dei valori. Forse c’era anche dell’altro, qualcosa che andava al di là della razionalità. Al cuor non si comanda, come diceva il famoso proverbio, e le ragioni del cuore non possono essere analizzate con la mente. A lui poteva perdonare tutto, anche l’essere scaricata senza troppi giri di parole e nessun preavviso. Anche se continuava a ripetersi che le andava bene così, che lavorare ogni giorno al suo fianco era sufficiente a renderla felice, in realtà c’erano giorni in cui il desiderio di abbracciarlo, baciarlo o anche solo uscire a bere qualcosa con lui era più forte della sua convinzione, specie quando passeggiando per i marciapiedi all’uscita del cinema dove le piaceva tanto andare s’imbatteva in coppiette felici che si tenevano per mano. La consapevolezza di non poter lottare per riprenderselo era pesante da mandare giù. Lei aveva fatto di tutto per fargli capire che i suoi sentimenti non erano cambiati, a volte esponendosi anche più del dovuto: adesso stava a lui lottare per lei, se voleva riaverla. E forse la risposta era anche troppo ovvia. C’era ancora quell’ombra in mezzo a loro e a un possibile riavvicinamento, l’ombra di quel fantasma che occupava i pensieri di Shuichi.
Deglutì faticosamente, cercando di sciogliere quel nodo che le si era formato in gola. Era probabile che fosse quello il motivo per cui era così pensieroso e taciturno, come lo era stato tante altre volte. Forse, nonostante fosse riuscito ad ottenere finalmente quella vendetta che tanto aveva agognato e il suo nemico storico fosse stato eliminato, per lui non era ancora abbastanza. A volte la vendetta non arreca soddisfazione. Anche togliendo di mezzo l’Organizzazione, Akemi non sarebbe mai più tornata indietro, come non sarebbe tornato nemmeno suo padre, e non c’era nulla di cui gioire in questo.
Si tolse gli occhiali non appena sentì che i suoi occhi si erano fatti umidi, infilandoli con cura nella tasca della giacca. Estrasse un fazzoletto finemente ricamato in un angolo e si asciugò velocemente gli occhi, prima che qualcuno passasse per il corridoio e la vedesse. Non poteva mostrarsi fragile, non sul posto di lavoro, altrimenti avrebbe dovuto dare spiegazioni e chiaramente non poteva dire che “soffriva per amore”. Non aveva quindici anni, ne aveva ventotto, quasi ventinove: era una donna matura che doveva essere in grado di gestire le sue emozioni.
Ripose il fazzoletto in tasca, rimettendosi gli occhiali e cercando di affievolire tutti sentimenti che stava provando, per poter tornare a lavorare con la testa sgombra. Si accorse di non aver ancora finito quella lattina di tè, ormai diventato tiepido nella sua mano calda. Ne aveva davvero voglia quando lo aveva preso, ma adesso non si sentiva di mandar giù nulla.

- Jodie, sei qui- sentì la voce di James alle sue spalle.
- Oh, James, sei tu- si girò di scatto, colta alla sprovvista, cercando di apparire il più normale possibile.
- Non tornavi più e così sono venuto a vedere dove ti eri cacciata. Le tue pause sono sempre troppo lunghe…- la rimproverò, anche se senza cattiveria.

James era molto più di un capo per lei, era una sorta di secondo padre che il destino le aveva dato quando Vermouth l’aveva privata del suo. Si era preso cura di lei in tutti quegli anni, tanto da arrivare a conoscerla meglio di chiunque altro. Sapeva esattamente cosa stava provando solo guardandola negli occhi, ed era questo il motivo per cui all’epoca era stato il primo a sapere della sua storia con Shuichi. Sapeva che James aveva capito che il suo amore non se n’era mai andato, ma nonostante tutto non le aveva mai fatto domande, un po’ per non sembrare una sorta di padre impiccione, un po’ perché sapeva che lei stessa non voleva parlarne troppo. Aveva sempre apprezzato questo suo modo di comportarsi con lei.

- Mi dispiace- si scusò - Avevo bisogno di un momento per me-
- Sei preoccupata per il processo?-

Come non detto: aveva notato che qualcosa non andava.

- Diciamo che sono un po’ nervosa- lo assecondò.

Se James pensava che la sua preoccupazione fosse Vermouth meglio così, glielo avrebbe fatto credere. Era la scusa perfetta per nascondere il vero motivo per cui la sua faccia in quel momento non era delle migliori.

- Cerca di restare serena, non c’è ragione per cui Vermouth possa essere scagionata dalle accuse. Dopo tutto quello che ha fatto, nemmeno un miracolo potrebbe salvarla dalla galera- cercò di rassicurarla.
- Lo spero- annuì.
- Forza, adesso andiamo a finire. C’è ancora parecchio lavoro da fare prima del rientro negli Stati Uniti- le fece cenno di seguirlo nel suo ufficio, mentre aveva già mosso alcuni passi per andarsene.
- D’accordo-

Sospirò, sollevata di aver scampato domande inopportune. Si apprestò a seguirlo, quando si accorse di avere ancora in mano quella famosa lattina piena per metà. La voglia di finirla non le era tornata, così come non era andato via quel senso di tristezza che probabilmente l’avrebbe accompagnata per il resto della giornata. Senza troppi ripensamenti, la gettò nel cestino dei rifiuti, a far compagnia a quella di Shuichi.



……………………………..



Passeggiava lungo il viale tinto di arancione dai colori caldi del tramonto, reso ancora più suggestivo dai ciliegi nel pieno della loro fioritura, che liberavano nell’aria danzanti petali rosa, simili alle ali di tante delicate farfalle. Uno scenario romantico che scaldava il cuore, decisamente poco intonato al suo umore. Non era ancora riuscita a togliersi di dosso quella sgradevole sensazione che le era nata dentro quando aveva notato il malessere di Shuichi ed era stata incapace di aiutarlo, finendo lei stessa per soffrire; per questo motivo aveva declinato l’invito di James di riaccompagnarla al suo appartamento in macchina, preferendo una bella passeggiata nella speranza che quest’ultima le avrebbe giovato. Aveva già percorso parecchi metri, ma ancora non sembrava funzionare: più si immergeva in quello scenario poetico e più la malinconia accresceva.
Una giovane coppia, all’incirca dell’età degli studenti liceali a cui per qualche tempo aveva insegnato inglese sotto copertura, le passò a fianco mano nella mano, sorridente e spensierata. Finse indifferenza, come se non li avesse visti, ma in realtà provò un senso di invidia per quella loro felicità pura e ignara di quanto fosse difficile l’amore una volta diventati adulti. Per un attimo desiderò anche lei poter passeggiare sotto i ciliegi in fiore mano nella mano con Shuichi, mentre si confidavano l’uno con l’altro, consapevoli di potersi fidare. Voleva disperatamente che lui capisse che poteva fidarsi di lei, che qualunque cosa gli andasse di raccontarle, anche la più piccola sciocchezza, lei lo avrebbe ascoltato.
Sospirò, respirando la dolce aroma dei fiori di ciliegio. Le sarebbe mancato il Giappone, così diverso dagli Stati Uniti ma al tempo stesso affascinante in ogni sua particolarità.
Immersa nel suo flusso di pensieri, si accorse della figura seduta su una delle panchine poste ai lati del viale solo quando si trovò a pochi metri da essa. Le sembrava familiare a primo impatto, quindi cercò di metterla a fuoco dietro le lenti degli occhiali: capelli ramati lunghi fino a metà del collo, fisico longilineo ed espressione seria sul volto. C’era una sola persona che corrispondeva a quelle caratteristiche, fra tutte quelle che aveva conosciuto in Giappone: l’ex scienziata dell’Organizzazione diventata poi un’alleata da proteggere, Shiho Miyano. Come tutti anche lei faticava ad abituarsi a quel aspetto fisico fino ad ora sconosciuto, tendendo sempre a guardarla e riguardarla cercando le tracce di quella bambina che si faceva chiamare Ai Haibara. Osservandola attentamente non era poi così difficile ritrovare quei tratti tipici che la caratterizzavano, come il naturale colore di capelli insolito per un giapponese, oppure quegli occhi pungenti che ti scrutavano da cima a fondo nel tentativo di comprendere se doveva considerarti un nemico oppure no.
Non poté fare a meno di notare che la ragazza aveva un’aria piuttosto affranta, mista a qualche altro sentimento che a giudicare dal modo in cui stringeva i pugni doveva essere rabbia. Cosa ci faceva tutta sola su una panchina al calar della sera e per di più triste e arrabbiata? Possibile che quel giorno nessuno di quelli che conosceva (e lei compresa) fosse felice?! Che diavolo stava succedendo?! Dovevano festeggiare, tirare finalmente un sospiro di sollievo: l’Organizzazione era stata distrutta, lei e Shinichi avevano riavuto indietro le loro vere identità e tutti avrebbero potuto ricominciare a vivere senza la paura di diventare vittime di quei criminali. Invece se ne stavano lì, con quelle facce tristi, assorti in pensieri tutt’altro che sereni. La loro vittoria aveva un sapore amaro, non c’era nemmeno soddisfazione nel gustarsela. A cosa serviva vincere se poi ci si sentiva esattamente come si sentono i perdenti?
Le fece tenerezza vederla così, fragile e indifesa. Quella ragazza le ricordava tanto lei quando era più giovane: sicura di sé all’apparenza, ma con un cuore fragile tipico di ogni donna. Questo pensiero la fece sentire meno sola, come se la sofferenza che stava provando potesse essere condivisa. Quando siamo tristi pensiamo che nessuno possa capirci o sentirsi come noi, invece basta girare l’angolo per trovare qualcuno che si trovi esattamente nella stessa situazione. Allora, egoisticamente, ci sentiamo sollevati nel non essere i soli a soffrire. Lei però non era egoista per natura, al contrario era una donna molto altruista e se vedeva qualcuno a cui teneva in difficoltà non esitava a correre in suo aiuto, mettendo da parte i suoi stessi problemi. D’altra parte era logico, con il lavoro che faceva.
Così, archiviando nei cassetti del cuore il suo amore non corrisposto, si diresse verso quella panchina.



ANGOLO DELL’AUTORE

Ed ecco che è arrivata anche Jodie! Cosa succederà adesso? In realtà all’inizio avevo programmato di mettere in questo capitolo il dialogo fra Jodie e Shiho, ma poi la parte iniziale con Shinichi si è dilungata più del dovuto e non ho voluto fare un mega capitolo, perciò nel prossimo ci sarà appunto questo confronto fra le due donne. Cosa pensate che si diranno?
Per i fan della coppia come me, c’è stata anche quella piccola parte fra Jodie e Shu. Ok, ora direte “ma non è andata affatto bene!”, e avete ragione, ma è una cosa voluta proprio per aumentare la suspence del momento in cui invece le cose si aggiusteranno! ;) Ovviamente per rispettare la veridicità dei fatti e dei tempi, Jodie e Shuichi non possono saltarsi addosso subito, prima si devono sciogliere diversi nodi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è meno avvincente degli scorsi ma proprio perché è una scena transitoria che porterà al dialogo del prossimo capitolo.
Grazie come sempre a chi legge, segue e recensisce! I vostri incoraggiamenti sono preziosi! ;)
Per chi volesse discutere su Detective Conan o altro ancora, vi invito a visitare il mio portfolio: troverete tutte le mie fanfiction e le mie passioni! Se vi va potete fermarvi e scambiare due chiacchiere con me!
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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Punti di vista ***


Capitolo 4: Punti di vista
 
 
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando si era seduta su quella panchina, forse due o tre ore. Aveva detto al Professor Agasa che sarebbe uscita per prendere una boccata d’aria, ma non lo aveva avvertito che avrebbe fatto così tardi. Sospirò, pentita del fatto che probabilmente lo stava facendo preoccupare: sapeva bene quanto fosse in pensiero per la sua instabilità, dopo il crollo emotivo e l’accaduto del pomeriggio precedente. Tuttavia sentiva il bisogno di restare sola, di allontanarsi da quella casa accanto alla sua, diventata per lei un covo di serpi. Più ci pensava e più si sentiva arrabbiata, confusa e triste. Non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile giocare così coi sentimenti delle persone, di come si potesse essere senza scrupoli di fronte alle tragedie altrui. Eppure aveva vissuto per anni in mezzo a un’intera organizzazione criminale formata da persone di quello stesso stampo. La parte difficile era accettare che anche quelli a cui voleva bene e si fidava potessero agire in quel modo.
Strinse i pugni, abbassando la testa e cercando di trattenere quelle poche lacrime che le erano rimaste da versare. Non voleva più piangere per chi non lo meritava.
Assorta nella sua rabbia e nei suoi pensieri, non sentì i passi che si stavano avvicinando sempre più a lei.
 
- Hello!- sentì una voce dall’inconfondibile accento americano, che aveva imparato a riconoscere dopo anni trascorsi negli Stati Uniti a studiare, diverso da quello britannico di sua madre.
 
Alzò di scatto la testa, più spaventata che sorpresa, guardando alla sua sinistra: era l’agente Jodie. La stava  salutando nella sua lingua madre, regalandole un sorriso radioso, con la testa piegata da un lato. Non aveva avuto molte occasioni di passare del tempo con quella donna o di parlarle, però le aveva sempre fatto una buona impressione, sin da quando le aveva proposto di entrare nel Programma di Protezione Testimoni per sfuggire agli Uomini in Nero. Jodie era simpatica, disponibile ad aiutare il prossimo e anche molto dolce quando voleva. Le piaceva, sentiva di potersi fidare di lei, anche se in quel momento non sarebbe riuscita a fidarsi nemmeno della sua stessa ombra.
Si sforzò di ricambiare il suo sorriso, ma tutto quello che le uscì fu una sorta di smorfia. Sperò di non averle dato l’impressione di essere una maleducata, o peggio ancora di odiarla.
 
- Agente Jodie…- riuscì solo a dirle.
- Che cosa fai qui tutta sola a quest’ora? Non dovresti essere a casa per la cena?- le chiese dolcemente l’ex professoressa.
- Preferisco stare qui- abbassò lo sguardo, incapace di nascondere ciò che stava provando e fingersi spensierata di fronte a lei.
 
Con la testa bassa e lo sguardo puntato sui suoi stessi piedi, non si accorse che l’espressione di Jodie era mutata da dolce e sorridente a corrucciata e pensierosa.
 
- Per caso c’è qualcosa che non va?- le chiese.
 
Attese qualche istante prima di rispondere, incerta se confidarle l’accaduto o no. Alla fine Jodie per lei era quasi un’estranea, come poteva sapere se fidarsi? Inoltre, non le andava di parlare di ciò che era successo, riportare alla mente i ricordi non faceva bene al suo umore già guasto. E poi figuriamoci se un agente dell’FBI aveva tempo da perdere ad ascoltare le tristi vicende della sua vita!
Sgranò gli occhi, facendo un piccolo ma rapido scatto con la testa, sollevandola. Un agente dell’FBI…Jodie era partner di lavoro di Akai, e sicuramente doveva conoscerlo molto bene. Le tornò in mente quando una volta le era capitato di sentire Amuro, all’epoca ancora infiltrato con il nome in codice di Bourbon, dire che i “cani” dell’FBI erano tutti uguali, tutti fatti della stessa pasta. Fino a quel momento aveva sempre interpretato quella frase come puro e semplice odio che l’uomo nutriva per l’ente investigativo federale americano, dettato da ragioni personali, ma adesso iniziava a pensare che forse non avesse tutti i torti nel descriverli in quel modo. Un dubbio atroce l’assalì: e se Jodie fosse stata mandata dallo stesso Akai e da Shinichi? In fondo era amica e collega del primo, e nutriva una stima e una simpatia profonde per il secondo, tanto da definirlo “il suo detective preferito”.
Il respiro le si fece pesante, i battiti del cuore aumentarono. Non voleva cadere nella loro trappola, non voleva che vincessero la guerra che loro stessi avevano iniziato.
 
- Ѐ venuta anche lei per convincermi a parlare con l’agente Akai?! Se è così si risparmi la recita!!!- le rispose infine, bruscamente, fissandola con rabbia.
- Cosa?! Perché dovrei convincerti a parlare con Shu?!- la fissò scioccata la bionda, sgranando gli occhi azzurro ghiaccio dietro le lenti di quei vecchi occhiali che era solita indossare.
 
Dalla sua espressione sembrava davvero stranita dall’accusa che le aveva appena lanciato, ma non c’era da dimenticarsi che per qualche tempo aveva finto di essere un’insegnante di inglese al Liceo Teitan, e la sua messa in scena era andata a buon fine. Se anche Jodie, proprio come Akai e Shinichi, era brava a mentire, non doveva abbassare la guardia e credere ai suoi trucchetti.
 
- Vuole forse farmi credere che non sa nulla di ciò che è successo ieri?! Ѐ qui perché l’ha mandata quel detective impiccione, non è così?!- continuò a risponderle in malo modo.
- Detective impiccione?! Non so davvero di cosa tu stia parlando!- scosse la testa la donna, sempre più incredula e disorientata da quel discorso.
 
Forse era il caso di fermarsi e riflettere. Gli ultimi avvenimenti l’avevano resa sospettosa e dubbiosa verso tutto e tutti, ma più guardava la faccia di Jodie e più le sembrava che davvero non sapesse nulla. D’altra parte, riflettendoci bene, non aveva detto a nessuno dove andava di preciso quando era uscita, nemmeno al Dottor Agasa, perciò se anche Shinichi e Akai l’avessero “ingaggiata” per tentare di attirarla a loro c’erano pochissime possibilità che fosse venuta a conoscenza del punto preciso dove si trovava. A meno che non fosse stata pedinata dall’inizio.
Sospirò, non sapendo più nemmeno lei a cosa credere. Alla fine Jodie non le aveva fatto nulla di male, era ingiusto trattarla così prima di sapere le sue reali intenzioni. Poteva anche darsi che lei stesse fosse stata ingannata da quei due, che le avessero fatto credere di essere due innocenti che volevano solo avere un dialogo civile. L’unico modo per saperlo era parlare con lei.
 
- Mi dispiace, non volevo essere sgarbata con lei, agente Jodie…- si scusò, chinando la testa in segno di pentimento.
 
La sentì muovere qualche passo, per poi prendere posto accanto a lei su quella panchina.
 
- Ti va di raccontarmi cosa è successo ieri con Shu? Perché sei così arrabbiata con lui?- le chiese, raddolcendo i toni.
 
Convinta che non ci fosse altra soluzione, annuì, cominciando a riassumere l’incontro che aveva avuto il giorno precedente con il suo collega di lavoro, quello che le aveva detto e le bugie che ne erano emerse. Il tutto contornato dal fatto che quello che considerava il suo migliore amico era in realtà un traditore della peggior specie. Più parlava e più vedeva l’espressione di Jodie farsi incredula e scioccata.
Quand’ebbe finito, si sentì improvvisamente più leggera. Non sapeva ancora se aveva fatto bene a fidarsi di Jodie oppure no, ma di certo parlare con lei era stato liberatorio. In cuor suo sperava che la donna potesse comprenderla.
Ci fu un minuto di silenzio prima che l’agente dell’FBI parlasse. L’aveva lasciata letteralmente senza parole.
 
- Ora capisco perché Shu era così strano oggi…E così te lo ha detto…-
 
L’espressione della donna si fece improvvisamente triste, come se qualche fantasma del passato fosse tornato a tormentarla. Ma non fu tanto questo a colpirla, quanto il fatto che le sue parole confermavano il fatto che anche lei fosse a conoscenza di quello che Akai doveva dirle. Tutti sembravano sapere tranne lei. Il dubbio che Jodie fosse una spia mandata da loro si insinuò nuovamente nella sua testa.
 
- Lo sapeva anche lei, dunque?! A quanto pare avete giocato tutti a tenermi nascosta la verità!- si alterò nuovamente, sentendosi presa in giro.
- Sapevo di ciò che era successo tre anni fa, del fatto che nel momento in cui la copertura di Shu saltò tua sorella rimase coinvolta nella faccenda, ma non pensavo che dietro quella che l’Organizzazione definiva una scienziata dal nome in codice Sherry, si nascondesse una bambina. Noi dell’FBI lo sospettavamo e per questo avevamo iniziato a tenerti d’occhio, ma non avrei mai immaginato che fosse vero-
 
Rimase stupita dalla naturalezza con cui aveva confessato tutto, un modo di atteggiarsi esattamente opposto a quello di Shinichi e Akai. Se avesse voluto fare il loro gioco, di certo non si sarebbe esposta così. Forse Jodie era davvero l’unica persona oltre a lei che non aveva più voglia di tenere dei segreti.
La ascoltò, mentre continuava in tono pacato il suo racconto, facendo però trasparire le sue emozioni con gli occhi e con l’espressione del volto.
 
- Non riesco ancora a credere a tutta questa storia, mi sembra assurdo poter regredire con una pillola. Quando ho saputo con certezza che Ai Haibara era in realtà Shiho Miyano, non avrei comunque potuto dirti nulla sul fatto che Shuichi fosse in realtà il tuo vicino di casa Subaru Okiya, perché non spettava a me farlo. Shu cercava il momento giusto per poterti parlare, per chiarire con te alcune cose; non era mio diritto togliergli questo compito e la stessa cosa vale per Shinichi. Doveva essere Shu a dirtelo, era giusto così-
 
Quelle parole, che racchiudevano in sé tutta la logica e la razionalità di questo mondo, la fecero riflettere per la prima volta dopo un’intera giornata trascorsa ad ascoltare solo la sua rabbia. Non riusciva a vedere le cose con chiarezza, accecata dal risentimento. Jodie aveva perfettamente ragione: se Akai aveva qualcosa da dirle doveva essere lui e solo lui ad aprir bocca, nessun altro aveva il dovere o il diritto di mettere becco in questioni personali.
Vedere le cose da un’altra prospettiva le fece rendere conto degli errori che lei stessa aveva commesso, rifiutandosi di ascoltare tutto e tutti. Nonostante ciò, non riusciva a perdonare Shinichi per la confidenza che aveva dato all’ex fidanzato di sua sorella, causa della morte di quest’ultima. Come si poteva aver fiducia in qualcuno che calpestava i sentimenti degli altri facendo pagare loro il prezzo delle sue stesse bugie?! Non riusciva a capirlo, per quanto si sforzasse.
 
- Questo non giustifica il fatto che quella specie di detective da strapazzo abbia giocato a fare la sua spalla per tutto questo tempo! È l’uomo che ha causato la morte di mia sorella!- precisò, cercando di far capire a Jodie che anche lei aveva i suoi buoni motivi per star male.
 
La vide abbassare lo sguardo, facendosi di nuovo triste. Sentiva che c’era qualcosa, qualcosa di cui Jodie era a conoscenza ma che per qualche sconosciuta ragione si stava tenendo dentro. L’espressione sul suo volto era sufficiente per capirlo.
 
- Posso comprendere il tuo punto di vista, dev’essere dura per te accettare questa storia- le rivolse un piccolo sorriso, spento e quasi forzato rispetto a quelli che le aveva rivolto al suo arrivo - Ma ci sono cose di cui non sei a conoscenza che potrebbero farti cambiare idea se avessi l’occasione di ascoltarle…-
- Ѐ la stessa cosa che mi ha detto Shinichi- incrociò le braccia al petto - Solo che nessuno si decide a dirmele!-
- Il fatto è che l’argomento è delicato e nessuno vuole farti soffrire-
- Lo state facendo però- la fissò dritta negli occhi.
 
Jodie sospirò, chiudendo gli occhi un istante per poi riaprirli. Doveva sentirsi ai ferri corti, combattuta tra il rispettare le vicende personali del collega e il confessarle tutto ciò che c’era da sapere per mettere fine alle sue sofferenze. Era in una posizione spiacevole, e in parte era anche a causa sua.
 
- Mi spiace, non avrei dovuto coinvolgerla in cose che non la riguardano, agente Jodie- si scusò.
- No, al contrario: mi fa piacere che tu ti sia confidata con me- le sorrise dolcemente - Per questo ti dirò la verità-
- Ѐ sicura di volerlo fare?- le chiese, notando l’espressione seria sul suo volto.
- Meriti di sapere- annuì - Se fossi nei tuoi panni anche io vorrei conoscere la verità-
- Parli, la ascolto-
- Sai già che Shu aveva usato tua sorella per infiltrarsi nell’Organizzazione, giusto? All’inizio era così, Akemi -san era uno strumento nelle mani dell’FBI che serviva per arrivare a te, Shiho, la famosa scienziata; ciò che non sai è che col tempo le cose sono cambiate. Shuichi si era innamorato davvero di tua sorella, anche se non poteva esporsi troppo perché rischiava di mandare all’aria tutto il lavoro fatto. Quando ha saputo della sua morte, nonostante la sua apparenza gelida, ha sofferto molto, più di quanto tu possa immaginare. Sono certa che non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, che se solo avesse saputo sarebbe corso ad aiutarla e avrebbe dato la sua vita per lei. Forse si aspettava addirittura di poter avere un futuro con tua sorella, una volta che fosse riuscita a liberarsi dall’Organizzazione. Non era riuscito a dimenticarla, nonostante tutto…- fece una pausa per deglutire, cercando di sciogliere quel nodo che le se era formato alla gola - Purtroppo quando si svolge un certo tipo di lavoro e ci si ritrova in determinate situazioni, si è consapevoli che le cose non possono andare sempre come vogliamo noi-
 
Mentre pronunciava quelle parole la sua espressione si era fatta sempre più triste, gli occhi visibilmente arrossati e lucidi dietro le lenti degli occhiali. Le sembrò di vedere addirittura un paio di piccole lacrime agli angoli esterni degli occhi, trattenute prima che cadessero lungo le guance. Guardandola si poteva pensare che la sua fosse una reazione normale, che si fosse commossa nel racconto straziante di quell’amore finito male, ma per una come lei abituata a scavare nell’animo delle persone non passò inosservato quel dolore che la bionda cercava di nascondere. Questo le diede finalmente la conferma che Jodie non stava mentendo, che non era una spia e che voleva solo cercare di aggiustare le cose. Doveva ammettere che le sue parole l’avevano colpita, ancora non riusciva a credere che quell’uomo che aveva chiamato più volte “assassino” in realtà si portasse dentro un tale rimorso, un dolore forse simile al suo.
Non riuscì a dire nulla, si limitò a fissare Jodie in attesa che dicesse altro.
 
- Shu è una persona fantastica- riprese il suo discorso, sforzandosi di sorridere dietro la tristezza che l’aveva colta - Darebbe la vita per le persone a cui tiene e lo ha dimostrato nell’atto finale contro l’Organizzazione: per questo credo che dovresti concedergli un’altra possibilità di spiegarti di persona tutto ciò. Stallo a sentire, in fondo un pochino se lo merita, no?- le fece l’occhiolino.
 
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto dirle ancora una volta che Akai era una persona senza scrupoli morali, ma non ci riuscì. Jodie l’aveva spiazzata, e soprattutto l’aveva fatta ragionare. L’apparenza inganna, e quello era decisamente il caso. Forse la meritava davvero una seconda occasione, nel bene e nel male. Nessuno poi le avrebbe chiesto di andare a pranzo con lui o di diventare la sua migliore amica, era solo questione di ascoltare ciò che aveva da dirle; poi avrebbe tratto le sue conclusioni.
 
- Non immaginavo che le cose stessero così…- rispose infine - Ha ragione agente Jodie: domani parlerò con lui-
- Bene!- fece un cenno di assenso con la testa, mostrandosi felice per quella decisione - Vedrai che cambierai idea su di lui-
- Questo è da vedere…- fece la sostenuta.
- Oh, andiamo, ma sei sempre così seria?- scherzò, picchiettandole una mano sulla spalla in modo giocoso.
 
Rispose con un sorriso a quel gesto, sentendosi più serena ora che tutto era alla luce del sole. Di questo doveva ringraziare Jodie. Se prima le sembrava una bella persona, ora che aveva avuto occasione di conversare con lei poteva affermare che le piaceva molto. Era una donna in gamba, simpatica e altruista: un modello da seguire.
 
- Che ne dici se ti accompagno a casa adesso?- le propose - Si è fatto tardi, il Dottor Agasa sarà in pensiero per te-
- Non serve che si disturbi, posso tornare da sola. Se non sbaglio il suo appartamento è qui nelle vicinanze, sarebbe inutile fare della strada in più per poi tornare indietro solo per accompagnarmi- declinò con gentilezza l’invito.
- Non importa, posso chiamare un taxi- alzò il pollice.
- Guardi che adesso non ho più bisogno della scorta, gli Uomini in Nero non mi daranno più la caccia- sorrise.
- Una signorina non deve mai girare da sola di sera, potrebbe sempre incontrare qualche malintenzionato!- scosse la testa.
- Questo discorso vale anche per lei-
- Io sono un’agente dell’FBI!- sottolineò con orgoglio.
- Giusto, lo avevo scordato, agente Jodie- sottolineò con ironia quelle ultime parole.
- Non chiamarmi “agente”, chiamami solo Jodie, ok? E dammi del tu, che mi fai sentire vecchia!- le fece l’occhiolino.
- Come vuoi, Jodie- annuì sorridendo.
- Forza, andiamo a casa- si alzò dalla panchina, facendole cenno di seguirla.
 
Nella penombra della sera che non avrebbe tardato ad arrivare, si avviarono verso l’abitazione del Dottore nel quartiere di Beika, continuando a chiacchierare del più e del meno come se fossero amiche da sempre.
 
 
…………………….
 
 
Quando giunsero davanti al cancello di casa del Professor Agasa era ormai sera inoltrata, tanto che in cielo era possibile distinguere ogni singola stella. Si accorsero entrambe che anche le luci di villa Kudo erano accese, segno che Shinichi era in casa, con ogni probabilità in compagnia di Shuichi. Le venne spontaneo chiedersi se anche in quel momento la stessero spiando, controllando ogni suo movimento.
 
- Credo che dovresti perdonare anche Cool Guy- le disse Jodie, interrompendo i suoi pensieri - Ѐ un bravo ragazzo e ti vuole molto bene-
-Non lo ha dimostrato però…- chiuse gli occhi.
- Facciamo tutti degli errori, ma non per questo dobbiamo essere per forza persone cattive o indegne di ricevere perdono. Sai meglio di me che le persone cattive sono altre, e sono capaci di fare cose molto peggiori di quello che ha fatto Shinichi. Una bugia a fin di bene non è peggio di un omicidio, giusto?- si sforzò di sorridere, anche se quel discorso che probabilmente le aveva riportato alla mente tristi ricordi fece sì che i suoi occhi si velassero di tristezza.
 
Ancora una volta in quelle poche ore che aveva conversato con lei, Jodie aveva ragione. Di fronte a lei si sentiva come una ragazzina impulsiva incapace di ragionare, nonostante avesse sempre ritenuto di essere molto più matura della sua età. Forse era quella che chiamavano “saggezza dell’età”, nonostante Jodie fosse ancora giovane, o forse era il lavoro che svolgeva da anni.
 
- D’accordo, parlerò anche con lui- annuì, cercando di mostrarle la sua gratitudine con un sorriso.
- Very good!- alzò il pollice facendole l’occhiolino - Ora è meglio che vada a casa anch’io, altrimenti dovrò cenare a mezzanotte!-
- Le va di restare? Sono certa che al Professore non dispiacerà aggiungere un posto a tavola, senza contare che quando cucina esagera sempre con la quantità perché è un ingordo!- scosse la testa in segno di disapprovazione.
- Sei gentile, ma purtroppo devo tornare al mio appartamento perché ho il cellulare scarico e non ho il caricabatteria con me. Però se ti va una di queste sere possiamo andare a mangiare in qualche posto carino!- le sorrise - Pensavo che fossi una ragazza troppo seria, invece è piacevole conversare con te!-
- Pensavo la stessa cosa di te-
- Allora ci conto!- le fece nuovamente l’occhiolino, per poi salutarla con un cenno della mano e avviarsi verso il suo appartamento - Ci vediamo presto! Ah, una cosa: quando domani parlerai con Shu potresti fingere di non sapere nulla? Immagino che ci tenesse a dirti quelle cose per primo, non vorrei che pensasse che mi sono impicciata in affari che non mi riguardano-
- Non si preoccupi, non farò il suo nome- la rassicurò.
- Bye bye!- la salutò nuovamente.
- Jodie- la richiamò.
- Sì?- si girò verso di lei la bionda.
 
Non seppe spiegarsi di preciso cosa la spinse a fare quel gesto, o meglio da cosa derivasse la curiosità di avere una risposta alla domanda che stava per farle. Forse voleva semplicemente aiutarla, anche se non sapeva bene come, ricambiando così quello che aveva fatto per lei quel pomeriggio.
 
- Per caso c’è dell’altro dietro a tutte le belle parole che hai detto sull’agente Akai? Ho avuto come l’impressione che non stessi solo elogiando le buone qualità di un collega di lavoro…-
 
Vedendo l’espressione stupita di Jodie, mista a quella che si è soliti fare quando qualcuno scopre un nostro segreto intimo, si chiese se non fosse stata troppo indiscreta nel rivolgere quella domanda così personale. In fondo non erano affari suoi se fra loro c’era del tenero, e Akai non era più il fidanzato di sua sorella da tempo, perciò non avrebbe tradito nessuno se anche avesse instaurato un rapporto amoroso con Jodie.
 
- C-cosa dovrebbe esserci?- dissimulò indifferenza, nonostante fosse chiaro che aveva capito perfettamente cosa volesse intendere con quella domanda.
- Ti sto chiedendo se sei innamorata di lui- le disse senza troppi giri di parole.
 
Adesso sì che poteva dire di essere stata indiscreta. Forse Jodie le avrebbe risposto in malo modo, ma ormai non poteva tornare indietro.
Osservò la donna sgranare gli occhi, per poi distogliere velocemente lo sguardo, come se non volesse mostrare i suoi sentimenti nemmeno al buio della sera. Era chiaro che voleva nascondere quell’amore, non perché se ne vergognasse, ma perché voleva proteggerlo e in qualche modo proteggersi. Sentiva che c’erano molte cose dietro, cose che non riusciva a comprendere e che d’altra parte non erano nemmeno affari suoi.
 
- Non ha importanza- le rispose infine, senza aggiungere altro - Buona fortuna per domani-
 
Il sorriso forzato che le rivolse prima di allontanarsi le fece capire che aveva toccato un tasto dolente, che aveva oltrepassato un limite oltre il quale non le era concesso andare. Non c’era stato bisogno di una risposta dettagliata, la reazione di Jodie era stata più che chiara.
D’un tratto le tornò alla mente ciò che le aveva raccontato, l’amore che l’agente Akai aveva nutrito per sua sorella. Che fosse quello il motivo per cui Jodie aveva liquidato la sua domanda? Un amore non corrisposto?
Si sentì un’ incosciente che aveva girato il dito nella piaga. Avrebbe fatto meglio a scusarsi con Jodie quando si sarebbero riviste.
Sospirando, si apprestò ad entrare in casa, sicura che avrebbe ricevuto un rimprovero dal Dottore per il ritardo, anche se a ben pensarci quello era l’ultimo dei suoi problemi. L’indomani avrebbe rivisto quell’uomo vero il quale continuava a provare del risentimento, nonostante le parole convincenti di Jodie. Non sapeva come avrebbe reagito, né se davvero sarebbe stata in grado di perdonarlo, così come non sapeva se avrebbe perdonato Shinichi. Solo il tempo poteva dirlo.
 
- Sono a casa, mi scusi per il ritardo Professore!- fece riecheggiare la sua voce non appena varcata la soglia.
- Finalmente, ma dove sei stata?! Ero in pensiero, ho persino pensato di chiamare Shinichi!- allargò le braccia allarmato lo scienziato.
- Non lo avrà chiamato sul serio, spero- lo guardò storto.
- Come avrei potuto, sapendo che sei così arrabbiata con lui!- scosse la testa.
- Meglio così. Ad ogni modo ho incontrato un’amica e ci siamo messe a chiacchierare perdendo la cognizione del tempo-
- Ma tu non hai amiche!- replicò l’uomo - Beh in effetti c’è Ayumi, ma non sa che in realtà sei Ai-
- E lei che ne sa se io ho delle amiche o no?- fece la sostenuta - Magari ne ho tante!-
- Allora perché non le inviti qui?-la sfidò.
- Semplicemente perché non mi va- sorrise beffarda - Ma forse questa amica che ho incontrato oggi verrà a trovarmi presto- fece la misteriosa.
- Potevi invitarla a cena, credo di aver esagerato col cibo…- si grattò la nuca sorridendo imbarazzato per la sua ingordigia.
- Sai che novità!- lo rimproverò - Forza, mangiamo. Ovviamente non tutto!- ci tenne a precisare.
 
Ormai quella era diventata la sua vita, non riusciva ad immaginarsi un modo diverso per trascorrere le sue giornate. La casa del Dottore era diventata in qualche modo anche casa sua, non si sentiva più una semplice ospite. Ora che poteva finalmente vivere libera, magari si sarebbe cercata anche un bel lavoro (sempre che il Professore non volesse coinvolgerla nei suoi strambi progetti). Se fosse riuscita a sistemare le cose con quei due, avrebbe potuto dire che per la prima volta nella sua vita tutto stava andando nel verso giusto. Era persino riuscita a farsi un’amica, la sua prima amica dopo Ayumi, con la quale ora che era tornata adulta non poteva più condividere le stesse cose.
Questi pensieri le sollevarono il morale, dandole la forza necessaria per affrontare ciò che l’aspettava il giorno seguente.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Scusate il ritardo, finalmente sono riuscita a finire questo capitolo! Vi è piaciuto? Spero che l’incontro Jodie/Shiho che molti di voi aspettavano con ansia non vi abbia deluso, così come il resto del capitolo! Nel prossimo vedremo un altro confronto Shiho/Shu (sperando che stavolta sia quella buona ;) ) e anche quello con Shinichi. Chissà, magari potremmo anche rivedere Jodie, ora che è diventata amica della nostra Shiho! ;)
Grazie come sempre a tutti quelli che mi supportano leggendo, lasciando un commento e aspettando pazientemente i miei aggiornamenti!
Un bacione
Place

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Sorprese inaspettate ***


Capitolo 5: Sorprese inaspettate
 
 
Abbottonò la giacca di quella divisa che per certi versi gli era mancata, insieme alla quotidianità della vita scolastica, con le sue verifiche, le battute con gli amici e le passeggiate insieme a Ran e Sonoko per andare e tornare. Si era sempre lamentato di quanto fosse noioso, mentre adesso era entusiasta di potersi godere il suo ultimo anno (o quello che restava) da liceale. Poteva tornare alla sua vita, smettere di mentire ed essere semplicemente Shinichi Kudo.
Si guardò soddisfatto allo specchio, sistemandosi la cravatta verde: voleva farsi trovare al meglio, specialmente da una certa ragazza, una brunetta che ormai era diventata la sua fidanzata a tutti gli effetti.
Gettò un’occhiata all’orologio, controllando l’ora: era in ritardo come al solito. Si sentiva un nuovo Shinichi, ma certe cose si sa, non cambiano mai. Afferrò la valigetta con dentro i libri di testo e si affrettò ad uscire, chiudendo a chiave la porta.
Stava per varcare il cancello quando, spinto da una forza incontrollabile, alzò la testa in direzione della finestra della camera di Shiho, sperando di vedere la sua immagine dietro i vetri. Non aveva più messo piede a casa del Dottor Agasa, insistere era inutile. La conosceva bene, sapeva che gli avrebbe rivolto la parola solo se e quando lo avrebbe ritenuto opportuno. Era bastato un attimo per trasformare quella mattinata iniziata bene in una giornataccia come la precedente, per mutare il suo entusiasmo in senso di colpa e depressione. Si rese conto che la sua vanità di voler apparire bello e in forma non era altro che una maschera che stava indossando per nascondere il disagio interiore. Non lo faceva per Ran o per i suoi compagni, lo faceva perché fingere di stare bene era più facile che accettare la realtà.
Sospirò, distogliendo lo sguardo e uscendo finalmente dalla sua abitazione, diretto verso il liceo Teitan. Doveva affrettare il passo, sicuramente Ran e Sonoko erano già partite da un pezzo e se non si sbrigava non sarebbe mai riuscito a raggiungerle, senza contare che sarebbe arrivato tardi in classe; eppure non riusciva a muoversi più veloce di così, passi lenti e pesanti, come se le gambe pesassero tonnellate.
La suoneria del cellulare lo distrasse dai suoi pensieri. Come non detto, quando parli del diavolo…dovevano essere sicuramente Ran e Sonoko che volevano fargli la ramanzina. Senza nemmeno controllare il nome sul display, accettò la chiamata e si portò il telefono all’orecchio:
 
- Pronto?- rispose svogliatamente, sicuro di sentire la voce stridula di Sonoko dall’altro lato.
- Ti disturbo? Sei già a scuola?-
 
Spalancò gli occhi, sussultando e nel contempo fermandosi immobile sul posto. La voce non era quella di Sonoko, e di certo era l’ultima che si aspettava di sentire. Per qualche istante non seppe né cosa fare né cosa dire, gli sembrava di essere dentro uno di quei film di fantascienza dove il tempo era in grado di fermarsi e immobilizzare tutto.
 
- Pronto? Shinichi?- chiese conferma della sua presenza la voce dall’altra parte.
- S-sì…sì, ci sono- riuscì infine a dire, prendendo un lungo respiro.
- Allora perché non rispondi?- si alterò lievemente.
- Scusa, è che sono rimasto sorpreso. Non mi aspettavo di sentirti…- ammise.
- Vorrei parlarti. Anzi, a dire il vero vorrei parlare anche con Akai-san se è possibile. Posso venire a casa tua questo pomeriggio?- arrivò dritta al punto, senza giri di parole.
 
Che lo avesse chiamato era già una sorpresa, ma che volesse addirittura parlare con Akai…Cos’era successo in quei giorni in cui non si erano rivolti la parola? Che cosa era cambiato? Possibile che il Dottor Agasa fosse riuscito a convincerla? Tante domande gli assillavano la mente, ma nessuna trovava una risposta. Shiho era così misteriosa che tutto quello che la riguardava assumeva lo stesso alone di mistero.
 
- Ecco…Akai-san sarà al lavoro fino a stasera. Che ne dici di venire a cena?- le propose, non senza il timore di un secco rifiuto.
- Preferisco di no. Posso venire dopo cena?-
- Certo, come preferisci-
 
Doveva aspettarselo, cenare tutti insieme come se fossero amici inseparabili non corrispondeva alla realtà dei fatti, e per lei sarebbe stato troppo difficile da gestire. Gli bastava sapere che voleva per lo meno rivolgere la parola ad entrambi, non importava quando, come e dove.
 
- D’accordo, allora ci vediamo da te per le dieci-
- Ti aspetto-
 
Non fece in tempo ad aggiungere altro perché Shiho interruppe la chiamata così come l’aveva cominciata. Non poteva pretendere di avere una conversazione più lunga di quella con lei, aveva già fatto un grosso passo mettendo da parte la rabbia e l’orgoglio e chiedendogli di vedersi.
Si accorse che la sorpresa era stata tale da non avergli lasciato il tempo di essere felice. Sì, poteva dirlo: adesso era felice. Quella pesantezza di poco prima sembrava essersi dissolta al suono della voce dell’amica, se così poteva chiamarla, dal momento che ancora non si erano chiariti.
Un sorriso sincero e radioso comparve sulle sue labbra, cancellando l’espressione triste e incupita che aveva avuto fino a poco prima. Voleva condividere con il mondo la sua felicità. Ma prima ancora che con il mondo, era meglio se la condivideva con l’altra persona che forse era ancora più coinvolta di lui in quella faccenda.
Frugò nella tasca dei pantaloni, estraendone il cellulare. Cercò fra i numeri utili che aveva salvato in una lista a parte quello dell’agente Akai e lo chiamò.
 
- Ci sono problemi?- rispose la voce dall’altro capo dopo alcuni secondi.
- No, anzi, ho buone notizie- non si preoccupò di mascherare il suo entusiasmo, sperando che anche l’amico ne venisse contagiato.
- Ah sì? Riguardo a cosa?-
- Mi ha appena telefonato Shiho, vorrebbe parlarci questa sera dopo cena-
 
Ci furono alcuni istanti di silenzio, dove attese pazientemente che l’agente dell’ FBI assimilasse la notizia e riprendesse come lui a sperare in un lieto fine. Doveva essere sorpreso molto più di quanto non lo fosse lui, dal momento che era stato il primo a smettere di credere nella possibilità di una riappacificazione.
 
- Le hai detto di venire?- chiese infine.
- Certo! Sarà da noi per le dieci-
- Come sei riuscito a farle cambiare idea?-
 
Percepì dal suo tono di voce che si era finalmente rilassato, e immaginò che in quel momento stesse sorridendo mentre gli faceva quella domanda.
 
- A dire il vero penso che sia stato merito del Dottor Agasa, io non ho più parlato con lei da ieri mattina. A meno che non abbia cambiato idea da sola, ma conoscendola mi sembra troppo strano…- scosse la testa.
- Allora dovremmo ringraziare il Professore- suggerì.
- Lo penso anch’io-
- Adesso devo tornare al lavoro, ci vediamo stasera allora- lo salutò.
- D’accordo. Spero che stavolta vada tutto bene- sospirò.
- Peggio dell’altra volta non può di certo andare-
- In effetti…-
- A più tardi allora- interruppe la chiamata, tornando al suo lavoro.
 
Sollevato di aver dato la notizia anche all’amico, ripose il cellulare in tasca, non prima di averlo messo in modalità silenzioso. Senza nemmeno accorgersene, infatti, aveva ormai raggiunto l’ingresso del Liceo Teitan, stranamente con un ritardo di solo qualche minuto.
 
- Finalmente!- udì la voce di Sonoko in mezzo alla folla di studenti che si apprestavano ad entrare nell’istituto - Si può sapere perché sei così in ritardo?!-
- Mi spiace, ho avuto un contrattempo!- si giustificò.
- Eri forse con un’altra?! Ma non ci pensi alla povera Ran che ti aspettava impaziente per fare la strada insieme?!- lo accusò, com’era solita fare, puntando il dito dietro di sé dove poco più avanti c’era la sua ragazza che stava guardando attonita la scena insieme a Masumi.
- Ma che sciocchezze stai dicendo?! Ho solo ricevuto una telefonata e ho fatto tardi!-
- Una telefonata della tua amante?- lo fissò con fare sospettoso.
- No, di mia madre!-
 
In quei giorni le bugie che aveva detto gli si erano ritorte contro e per questo aveva deciso di non dirne più; tuttavia non poteva certo dire a Sonoko che la telefonata che aveva ricevuto fosse da parte di Shiho, poiché sapeva che l’ereditiera della famiglia Suzuki aveva avuto dei sospetti sulla natura del loro rapporto sin da quando era emersa la verità. Anche quando erano semplicemente Conan e Ai, due bambini delle elementari, aveva sempre detto che fra di loro c’era del feeling. Dopo la sconfitta dell’Organizzazione e il loro ritorno all’età adulta, non era stato facile ottenere il perdono di Ran e dover spiegare tutto. Forse Ran non aveva ancora inghiottito completamente il boccone amaro, ma fra di loro le cose sembravano andare per il meglio. Non poteva dire altrettanto di Sonoko, che invece non perdeva occasione di rinfacciargli ogni minima cosa. Sapeva che non lo faceva per odio nei suoi confronti, ma per proteggere la sua migliore amica. Una delle cose su cui ancora insisteva e che purtroppo condizionavano anche i pensieri di Ran era proprio questa: il suo rapporto con Shiho. Aveva spiegato più volte che era solo un’amica, la sua migliore amica, una persona con cui aveva condiviso un’esperienza orribile e che per lungo tempo era stata la sola a comprendere cosa stesse passando.
Considerando tutto ciò, si convinse che mentire era la cosa migliore.
 
- Dai Sonoko, adesso basta- intervenne Ran, che nel frattempo si era avvicinata a loro - Se è in ritardo avrà le sue buone ragioni-
- Non prendere le difese di questo mascalzone!- la rimbeccò - Dovresti dirgliene quattro!-
- Secondo me stai esagerando- intervenne Masumi, come sempre sorridente - Il nostro super detective è ancora impegnato con la polizia e l’FBI nelle ultime questioni riguardanti quel brutto caso!-
- E tu come fai a saperlo?- le chiese scettica Sonoko.
 
In realtà anche lui si stava facendo la stessa domanda. A volte Masumi sembrava sapere davvero tutto di tutti, tanto da suscitare il sospetto che pedinasse la gente e la spiasse.
 
- Perché me lo ha detto mio fratello!-
 
Certo, come aveva fatto a non pensarci prima? Masumi era la sorella di Akai, era normale che si parlassero e che quindi fosse a conoscenza di certi particolari.
 
- Giusto, tuo fratello è quell’agente dell’FBI che vive a casa di Shinichi- intervenne Ran.
- E che ha fatto finta di essere Subaru!- sottolineò Sonoko, che a quanto pare aveva da ridire anche su quello.
- Ma era per lavoro!- prese le sue difese Masumi, scuotendo le mani.
 
Continuarono a discutere animatamente fino a quando non raggiunsero la loro classe e presero posto ai rispettivi banchi. Doveva ammettere che anche quell’aspetto del liceo e dell’essere un adolescente gli era mancato, nonostante tutto.
Si risvegliò dai suoi pensieri quando si accorse che Ran lo stava guardando sorridendogli dolcemente. Arrossì, il cuore che gli batteva a mille. Dopo tutti quegli anni Ran gli faceva ancora lo stesso effetto di quel giorno, quando si erano conosciuti all’asilo ed erano solo due bambini.
 
- Va tutto bene? Sembri pensieroso…- gli fece notare.
- È tutto a posto, stavo solo pensando che oggi è una bella giornata- ricambiò il sorriso.
 
Non sapeva spiegarsi perché, ma nonostante la tensione per quel secondo confronto che avrebbe avuto con Shiho quella sera, sentiva che tutto sarebbe andato per il verso giusto. L’intuito di un detective non sbaglia mai.
 
 
 
…………………………………
 
 
 
Era sicura che gli spiacesse aver interrotto così la chiamata dell’amico, ma come lei sapeva esattamente che sul posto di lavoro e in servizio le uniche telefonate sulle quali era permesso dilungarsi erano quelle riguardanti il lavoro stesso. Tuttavia non era un problema, avrebbe avuto modo di parargli faccia a faccia quella stessa sera. Non era una che origliava o si faceva gli affari degli altri, semplicemente stavano lavorando insieme e quando lo aveva sentito parlare al telefono aveva capito subito chi fosse dall’altro lato e quale argomento stessero trattando.
Non poté fare a meno di sorridere, felice che quella chiamata fosse merito suo. Anche se sarebbe rimasto un segreto fra lei e Shiho e Shuichi non sarebbe mai venuto a conoscenza del gesto che aveva fatto per lui, le bastava sapere di averlo reso felice, perché per lei quella era la cosa più importante. Gli dimostrava il suo amore così, con gesti disinteressati, senza pretendere riconoscimenti. In cuor suo si augurò che quella sera andasse tutto per il verso giusto.
 
- Tutto ok?- gli chiese quando tornò a sedersi al tavolo con lei, fingendo di non sapere.
- Sì, era solo il tuo detective preferito che mi avvisava di un omaggio che ci ha fatto il Dottor Agasa-
 
Cercò di trattenere un sorrisetto, onde evitare di smascherarsi e dovergli dire che sapeva perfettamente che non gli aveva detto quello. Non le stava mentendo perché non si fidasse di lei, ma semplicemente perché riteneva quella questione una cosa molto personale e lui non amava far sapere gli affari suoi agli altri, nemmeno agli amici più cari.
 
- Un omaggio? Di che tipo?- stette al gioco.
- Una torta che fanno solo in una pasticceria specifica. L’ha ordinata apposta per noi-
- Che pensiero gentile! Adesso che ci penso è tanto che non mangio una bella fetta di torta…- arricciò le labbra, guardando in alto.
- Devi stare attenta alla linea?- ironizzò.
- No, solo non ne ho avuta l’occasione!- finse di imbronciarsi.
- Se ti va puoi passare ad assaggiarla domani-
- Domani? Ma non ve l’ha regalata oggi?- continuò a punzecchiarlo, divertita dal fatto che fosse ignaro di tutto.
- No, l’ha solo prenotata. Domani il corriere la consegnerà-
- Oh, capisco…Beh, se non è un problema passo volentieri!- accettò felice l’invito, anche se si chiedeva come avrebbe risolto la faccenda della torta.
- Credo che al ragazzino non dispiacerà visto che lo aduli sempre- fece un sorrisetto.
- Se non ti conoscessi penserei che sei geloso…- lo fissò furbetta.
- Magari lo sono-
 
Non riuscì a replicare a quella battuta, colta alla sprovvista. Tutto si sarebbe immaginata, meno che le rivolgesse anche solo per scherzo quelle parole. Shuichi non era uno che si sbilanciava in confessioni tra le righe e non aveva motivi validi per essere geloso dei complimenti che faceva a Cool Guy. Sicuramente la sua era l’ennesima battuta di quel dialogo che stavano avendo, eppure per un attimo le era sembrato che il suo tono di voce non fosse poi tanto ironico. Doveva esserselo immaginato, a volte quando si desidera tanto qualcosa ci sembra di vederlo anche quando non c’è.
Restò per un attimo con gli occhi sbarrati, mentre le guance le si tingevano di un rosa acceso. Quando si rese conto che probabilmente sembrava una delle ragazzine a cui aveva fatto da insegnante al liceo, cercò di ricomporsi, scuotendo la testa e tornando a concentrarsi sulle carte che aveva davanti.
 
- Meglio finire adesso, altrimenti James ci farà la paternale- spostò il discorso sul piano lavorativo.
- Eh già- si limitò a rispondere lui, già tornato al lavoro prima di lei.
 
Nonostante la montagna di lavoro da terminare, quella mattinata si ritrovò più volte a pensare alle ultime parole che Shuichi le aveva rivolto, chiedendosi se davvero fosse stato tutto frutto della sua fantasia o se dietro le apparenze si nascondesse ancora una piccola fiammella di quell’amore che un tempo li aveva riscaldati. Qualunque fosse stata la risposta, però, in quel momento sarebbe dovuta passare in secondo piano: adesso Shuichi doveva concentrarsi sul risolvere la situazione con Shiho e mettere fine a quel capitolo, non poteva preoccuparsi anche di fare chiarezza sui sentimenti che provava per lei. Lei era l’ultimo vagone di quel treno dove lui faceva da locomotiva. Una posizione scomoda, ma l’unica che in quel momento poteva avere. Si disse che non era un problema, per una come lei che aveva trascorso la vita ad aspettare pazientemente per ogni  cosa, quella non era che l’ennesima attesa. Sperò che almeno stavolta, però, le portasse qualcosa di buono. Anche lei si meritava di essere felice, in fondo.
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE
 
Finalmente sono riuscita a scrivere questo capitolo! Tra il computer rotto e in riparazione all’inizio del mese, e la Detective Conan Week 2016 su Tumblr finita domenica scorsa, non sono riuscita ad aggiornare prima! Però il fatto che ho scritto questo capitolo in tre/quattro giorni non è male per un bradipo come me! XD
So che avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stato il secondo confronto Shiho/Shuichi/Shinichi, ma alla fine per non togliere spazio a nessuno dei personaggi (voglio trattarli allo stesso modo senza fare differenze) e non velocizzare le scene rendendole noiose e incomprensibili, mi sono dilungata sia sui sentimenti di Shinichi nella prima parte, sia su quelli di Jodie nell’altra (Shuichi l’ho tralasciato perché nel prossimo capitolo, dove davvero ci sarà il confronto, avrà il suo spazio personale molto più ampio). Avevo già raggiunto le cinque pagine di Word, e non volevo aggiungerne altre sette o otto includendo la parte del confronto, perché oltre a risultare un mega capitolo incasinato alla fine il confronto stesso non avrebbe avuto lo spazio che merita, quindi ho pensato di dividere la due parti. Inoltre, visto che la fanfiction ha come pairing principale la ShuJodie, mi sembra giusto aggiungere qualche scena su di loro, visto che dall’inizio ne abbiamo avuta solo una! ;)
Spero che comunque questo capitolo “di passaggio” vi sia piaciuto, e nel prossimo ci sarà davvero il confronto!
Grazie a tutti quelli che mi stanno incoraggiando con le loro recensioni a continuare questa storia, e anche a tutti i lettori silenziosi!
Bacioni
Place

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Bandiera bianca ***


Capitolo 6: Bandiera bianca
 
 
- E così Vermouth verrà processata in America?- chiese conferma di ciò che gli aveva appena riferito.
- Esatto. Essendo americana di nazionalità e avendo compiuto crimini anche nella sua terra natale, al contrario degli altri membri dell’Organizzazione che sono di nazionalità giapponese lei verrà processata negli Stati Uniti, ovviamente tenendo conto anche di ciò che ha fatto qui in Giappone- spiegò, facendo cadere la cenere in eccesso della sigaretta che stava fumando nel posacenere sul tavolino del salotto.
- Capisco…E Jodie lo sa già?-
- Immagino di sì, James glielo avrà riferito ancora prima che a tutti considerando che lei è coinvolta direttamente e che sarà chiamata a testimoniare per l’omicidio di suo padre-
- Non sarà facile per lei…- chiuse gli occhi, il pensiero rivolto a quella donna che come lui era diventata un’amica oltre che un’alleata.
- Non preoccuparti, Jodie è in gamba, se la saprà cavare. Inoltre ci sarà James al suo fianco, in quanto suo tutore durante l’infanzia- lo tranquillizzò.
- E lei?- azzardò.
- Se lo vorrà ci sarò- rispose semplicemente, abbozzando un sorrisetto.
 
Non gli era ben chiaro se con quella domanda il suo giovane amico detective volesse cercare di indagare sul suo rapporto “non professionale” con Jodie, ma dal tono e dallo sguardo ne aveva tutta l’apparenza. In ogni caso, non gli avrebbe confessato nulla di troppo personale.
Seduti in salotto avevano iniziato quella conversazione per evitare di restare entrambi in silenzio tombale a guardare l’orologio, in attesa che l’ospite che stavano attendendo arrivasse. Se non avessero trovato un qualunque diversivo per distrarsi, il nervosismo che tentavano di placare avrebbe preso il sopravvento. Il timore che Shiho cambiasse di nuovo idea era forte, ma non più forte della speranza che la chiamata di quella mattina aveva riacceso in loro.
Non fece in tempo a riprendere il discorso che il campanello di villa Kudo suonò: finalmente era arrivata.
 
- Vado ad aprire!- scattò come una lepre il ragazzino, più ansioso di lui che quel momento arrivasse.
 
Spense la sigaretta ormai finita, lasciandola abbandonata nel posacenere. L’ultima sigaretta prima del faccia a faccia, forse quella che avrebbe segnato la fine di una storia e l’inizio di un’altra.
Si alzò dalla poltrona, mettendosi le mani in tasca e camminando lentamente fino all’entrata del salotto, dove si appoggiò con la schiena allo stipite in attesa di veder arrivare i due ragazzi. Voleva accoglierla e farle capire che non ce l’aveva con lei per il modo in cui lo aveva trattato.
Quando li vide arrivare dal corridoio, notò subito che l’atmosfera era tesa. Nonostante fosse stata lei a cercarli, si vedeva chiaramente dall’espressione del suo volto che non aveva perdonato nessuno dei due e che covava del risentimento verso di loro. Shinichi, dal canto suo, camminava di fianco a lei a testa bassa, forse deluso dal fatto che la sua accoglienza amichevole non fosse stata ricambiata. Tuttavia non potevano biasimarla, era giusto che si prendesse i suoi tempi per smaltire la rabbia.
Non appena i loro sguardi si incrociarono, la vide immobilizzarsi sul posto, irrigidendosi e deglutendo a fatica. Non capiva se la paura che aveva di lui fosse perché un tempo aveva fatto parte dell’Organizzazione o per le parole che le aveva detto la volta scorsa. Ai suoi occhi lui era un criminale, uno senza scrupoli e sentimenti.
 
- Ti sei fatta attendere, principessa…- cercò di sdrammatizzare, chiamandola con lo stesso appellativo con cui già una volta si era rivolto a lei ancora nelle sembianze della piccola Ai, precisamente la prima volta in cui erano rimasti soli e avevano avuto modo di conversare.
 
Non ricevette risposta, la giovane e testarda scienziata si limitò ad avvicinarsi lentamente a lui, oltrepassando la porta del salotto e prendendo posto sul divano, il tutto nel silenzio più assoluto. Solo quando si accorse che nessuna la raggiungeva, si decise a pronunciare le prime parole.
 
- Allora? Volete accomodarvi anche voi o aspettiamo l’alba?-
 
Di certo non era un tono amichevole o proprio per iniziare una bella conversazione, poteva anche dare sui nervi in un certo senso. Ma ormai la conosceva, sapeva che la sua era una maschera per proteggersi da quello che secondo lei poteva ferirla.
 
- Penso sia meglio se parlate prima voi due- intervenne Shinichi, guardandoli entrambi per poi soffermare lo sguardo su di lei - Noi possiamo parlare dopo-
- Come preferisci- rispose semplicemente la ragazza, anche se si vedeva che l’idea di restare sola con lui non la entusiasmava.
 
Per quanto ce l’avesse anche con Shinichi, averlo al suo fianco era per lei una certezza, la certezza che nessuno avrebbe potuto farle del male. Si fidava ancora di lui, nonostante tutto, nel profondo. Chissà se avrebbe mai avuto l’onore di guadagnarsi anche lui quella fiducia.
Il giovane detective si congedò da loro, fingendo di sparire nel corridoio, anche se in realtà si sarebbe nascosto di nuovo nelle vicinanze per origliare la loro conversazione, ne era certo. Cercando di assumere un’aria più gentile possibile, si avvicinò a lei e tornò a sedersi sulla poltrona. Le sembrò di vederla tremare e questo lo convinse ad iniziare per primo la conversazione, nel tentativo di farle capire che non doveva aver paura di lui.
 
- Cosa ti ha spinta a cambiare idea? È evidente che mi detesti, quindi perché sei venuta nella tana del lupo cattivo?-
 
La vide alzare finalmente la testa e fissarlo con lo sguardo assottigliato, cupa come una regina malvagia delle fiabe per bambini. Lui era abituato a ben peggio con il lavoro che faceva e con tutto quello che aveva vissuto, ma era certo che per chi non fosse abituato quello sguardo poteva mettere i brividi.
 
- Ho promesso ad una brava persona che ti avrei ascoltato, anche se non penso che cambierà molto- sentenziò acida, sottolineando con la voce i termini “brava persona”.
- Capisco- sorrise - E chi sarebbe questa persona così brava? Vorrei ringraziarla di persona dal momento che ti ha convinta a tornare qui quando non volevi assolutamente avere più nulla a che fare con me e con il tuo amico detective-
- Questo non è rilevante- tagliò corto, non volendo rivelare per qualche strana ragione quel nome.
- Vorrà dire che domani mi sdebiterò con il Dottor Agasa- azzardò, convinto che fosse lo scienziato la persona misteriosa.
- Non ne vedo il motivo ma se ci tieni fallo pure. Ad ogni modo non sono venuta qui per parlare di cose futili-
 
Voleva giocare a fare la misteriosa e la sostenuta, e la cosa lo divertiva. Gli piaceva la verve di quella ragazzina, così diversa in quel particolare dalla sorella maggiore, più docile e dolce. Poteva andare avanti e stuzzicarla per farsi dare quel nome, ma concordava con lei sul fatto che in quel momento era un argomento che doveva passare in secondo piano: c’erano questioni più importanti da risolvere.
 
- Allora, c’è qualche cosa in particolare ce vorresti sapere? Vuoi farmi domande su ciò che ti ho detto la scorsa volta?- le chiese, incrociando le braccia al petto.
- Puoi continuare da dove ti ho interrotto-
 
Annuì, prendendo un lungo respiro: ora doveva dire la verità, quella che per molto tempo era rimasta nascosta nel suo cuore e che forse per quella ragazzina sarebbe stata difficile da credere.
 
- Vedo che stasera non hai molta voglia di fare conversazione, perciò arriverò dritto al punto: Akemi non è stata solo uno strumento per me. All’inizio lo era, ma poi col tempo le cose sono cambiate, anche se non avrei voluto. Mi sono ritrovato a provare dei sentimenti reali per lei, a considerarla sul serio la mia ragazza. Ci tenevo davvero a lei, più di quanto tu possa immaginare, e avrei voluto evitare in tutti i modi possibili la sua morte: per questo mi sono ripromesso di non concedermi pace fino a quando non fossi riuscito a vendicarla. Ho fatto del mio meglio per tenere fede alla promessa che le avevo fatto, almeno questo glielo dovevo dopo tutto-
 
Si prese una pausa, cercando di definire le emozioni che stava provando. In quel momento, egoisticamente, non riuscì a preoccuparsi prima per la ragazza che stava di fronte a lui e che aveva appena saputo la verità, perché il vortice di sensazioni nel suo petto lo costrinse a chiedersi cosa fossero quelle emozioni così forti che da tempo non era più riuscito a provare. Libertà, sollievo, tristezza, felicità, malinconia, speranza: tutto si mescolava. Era finalmente libero di quel senso di colpa, libero dalle bugie. Forse per lui quello era un nuovo inizio: stava lasciando andare qualcosa per sempre e si accingeva a riaprire le porte di quel cuore che per troppo tempo era rimasto chiuso.
La voce della giovane scienziata, diventata improvvisamente più calma, lo fece tornare alla realtà.
 
- Quale promessa?-
 
Era logico che non lo sapesse, molto probabilmente Akemi non le aveva detto nulla per non farla preoccupare o semplicemente non ne aveva avuto il tempo. Il contenuto di quel messaggio che ancora custodiva nel suo cellulare era rimasto segreto: un segreto che adesso doveva rivelare.
 
- La notte prima della sua uccisione, Akemi mi aveva inviato un messaggio per comunicarmi che avrebbe tentato di uscire dall’Organizzazione, liberando anche te. Oltre a questo, mi aveva chiesto di occuparmi di te e di proteggerti nel caso le fosse accaduto qualcosa. Immagino sapesse ciò a cui stava andando incontro, l’eventualità di pagare con la vita, eppure ha voluto lo stesso fare un tentativo, ma non prima di sapere che la sua adorata sorellina sarebbe stata al sicuro anche dopo la sua morte-
 
Tralasciò il fatto che Akemi gli avesse chiesto di frequentarsi come una vera coppia: quelli erano affari suoi e in ogni caso non avevano più importanza. Gli bastava averle fatto sapere che non era un mostro, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei e per mantenere quella promessa.
 
- Per questo motivo, dopo aver finto la mia morte con l’aiuto di Conan, mi sono travestito da Subaru Okiya, lo studente di ingegneria che approfittava della gentilezza della famiglia Kudo: era l’unico modo che avevo per continuare a starti vicino senza che l’Organizzazione mi scoprisse e senza che tu mi scoprissi- continuò -Se mi fossi presentato a te con il mio vero volto, mi avresti riconosciuto subito e di certo non avresti accettato di allearti con il traditore dell’Organizzazione che aveva preso in giro tua sorella. La mia mano tesa sarebbe stata respinta, perciò mi sono nascosto in questa casa e da qui controllavo la situazione-
- Sai, devo ammetterlo: ho sempre avuto il sospetto che ti nascondessi tu dietro Subaru- ammise - Il tuo comportamento era sospetto e all’inizio pensavo fossi uno degli uomini dell’Organizzazione, ma poi un giorno hai detto una frase che mi ha ricordato le stesse parole che avevi detto una volta a mia sorella: da lì ho iniziato a sospettare sempre di più della tua vera identità-
- Forse mi sono esposto troppo, ma non volevo che continuassi ad essere spaventata da me- sorrise.
 
Per la prima volta stavano avendo un dialogo civile, lei si stava aprendo con lui e l’odio di poco prima sembrava dissolversi parola dopo parola. Se quello poteva considerarsi un punto di svolta non lo sapeva ancora, tuttavia era felice di aver portato a termine quel dialogo interrotto in malo modo il giorno prima. Ora che tutte le carte erano state messe in tavola e che lui aveva fatto la sua ultima mossa, l’esito della partita dipendeva solo dalla sua “avversaria”. La guardò, notando che i suoi occhi si erano fatti lucidi, il volto disteso ma che al tempo stesso tradiva il dolore provato. Non doveva essere facile per lei ricordare che l’unico membro della famiglia che le era rimasto aveva lasciato, come gli altri, questo mondo. Si sentì meno solo in quella sofferenza, qualcuno condivideva ciò che per lungo tempo anche lui aveva provato. Sapeva che stava cercando di trattenersi, che ancora non si fidava di lui a tal punto da mostrargli le sue emozioni più profonde, e lui avrebbe rispettato anche questa sua scelta. Alla fine, però, qualche capricciosa lacrima sfuggì al suo controllo, bagnandole le guance nivee. Lei ne cancellò le tracce con un gesto veloce dell’avambraccio. In quel momento avrebbe voluto prenderle la mano, oppure abbracciarla per farle capire che non sarebbe mai stata sola, ma la sua indole introversa e fredda gli impedì di lasciarsi andare ad un gesto simile. Fece dunque l’unica cosa che poteva fare per non sembrare un pezzo di ghiaccio.
 
- Mi dispiace davvero, per tutto quanto. Non ho mai avuto intenzione di farti del male o di farne a tua sorella, volevo solo mantenere la promessa che le avevo fatto, in un certo senso anche per sentirmi meno colpevole. Perciò se in futuro, in qualsiasi momento, dovessi aver bisogno di me, sappi che ci sarò e che potrai chiamarmi quando vorrai. Sempre che tu voglia perdonarmi, s’intende-
 
Shiho si morse le labbra, cominciando a piangere copiosamente. Si chiese se non fosse stato meglio mettere da parte l’orgoglio e prenderle la mano piuttosto che dirle quella parole, visto l’effetto suscitato. Di certo non voleva farla piangere in quel modo, non ora che stava finalmente per sventolare la bandiera bianca dopo una guerra all’ultimo sangue. Oltre a questo, temeva anche per la risposta che avrebbe ricevuto a quella domanda appena fatta, la quale però non tardò ad arrivare: la ragazza annuì tra le lacrime.
 
- Grazie- sussurrò, la voce rotta dal pianto.
 
Le sorrise, anche se in quel momento probabilmente non avrebbe potuto vederlo con quella coltre di lacrime ad offuscarle la vista. Era come se il macigno che da anni portava sulle spalle si fosse disintegrato sotto i colpi di un piccone. Ottenere il perdono di quella ragazzina così testarda, forte e ostinata era come aver vinto un miliardo di yen alla lotteria. Doveva ammettere che il ragazzino aveva avuto ragione anche quella volta a continuare a sperare fino alla fine.
Parlando del diavolo, udì dei passi alle sue spalle, e in pochi secondi si ritrovò al suo fianco proprio Shinichi che gli rivolgeva un sorriso sincero, lo stesso del suo alter ego Conan Edogawa. Come sospettava si era di nuovo nascosto dietro la porta. Poteva definirla una “deformazione professionale da detective”. Sapeva il motivo per cui era sbucato fuori in quel preciso momento: aveva compreso che la loro conversazione era giunta al termine e che ora sarebbe stato il suo turno di chiarirsi con l’amica. Era così impaziente da non poter aspettare oltre.
Si alzò dal divano, avvicinandosi a Shiho e offrendole galantemente un fazzoletto pulito per asciugarsi le lacrime.
 
- Bene, ora c’è qualcun altro che vorrebbe parlare con te- fece segno all’amico di sedersi al suo posto - Io vi lascio soli-
 
Con quelle ultime parole e un umore decisamente sereno, si congedò dal salone, fingendo di andarsene in un’altra stanza: in realtà avrebbe reso pan per focaccia a quel piccolo detective ficcanaso. Sorridendo, si nascose dietro la porta, esattamente dove si era messo lui prima: era il suo turno di ascoltare.
 
 
 
……………………………..
 
 
 
Si passò delicatamente il fazzoletto appena donatole da Akai sugli occhi, già troppo rossi e gonfi per essere ulteriormente sfregati. Voleva cancellare ogni traccia di quelle lacrime che non sarebbero dovute uscire, non di fronte a lui. Aveva ancora il suo orgoglio, dopotutto. Tuttavia non era riuscita ad evitarlo, il pensiero che sua sorella si fosse preoccupata più per lei che per se stessa fino alla fine, l’aveva lasciata con un senso di impotenza tale da non lasciare spazio ad altro che un pianto disperato.
Quando si accorse che Shinichi la stava guardando un po’ preoccupato, cercò di calmarsi.
 
- È tutto a posto adesso? Ti senti più tranquilla?- le chiese con voce più dolce del solito, mostrando anche una nota di speranza in quella domanda.
 
Annuì, concedendosi finalmente un piccolo sorriso.
 
- Sapevi tutto, vero? È per questo che lo hai aiutato-
- - confermò - Da quando l’ho conosciuto ho capito subito di potermi fidare di lui, che sarebbe stato un nostro grande alleato. Ti chiedo scusa per aver nascosto la faccenda di tua sorella, non volevo in alcun modo ferirti o tramare alle tue spalle- abbassò lo sguardo, mostrando una sincera espressione di pentimento sul volto - Volevo solo rispettare le faccende personali di Akai-san. Era giusto che fosse lui a parlartene, quando lo avrebbe ritenuto opportuno-
 
D’un tratto le tornarono alle mente le parole che Jodie le aveva rivolto il giorno precedente: “Shu cercava il momento giusto per poterti parlare, per chiarire con te alcune cose; non era mio diritto togliergli questo compito e la stessa cosa vale per Shinichi. Doveva essere Shu a dirtelo, era giusto così.” . Le stesse identiche parole che Shinichi le stava rivolgendo in quel momento. A ben pensarci, Jodie non si era sbagliata su nulla di tutto ciò che le aveva detto: Akai era davvero una persona diversa da quella che credeva, non era un assassino e non voleva fare del male a sua sorella, e Shinichi non avrebbe mai tradito la fiducia che riponeva in lui. Si sentì stupida per il modo in cui si era comportata, una bambina capricciosa e testarda. Se non fosse stato per Jodie non si sarebbe trovata su quel divano ad ascoltare una verità che aveva tutto il diritto di sapere. Silenziosamente, ringraziò di nuovo la donna nella sua testa.
 
- Lo capisco- annuì - Volevi rispettarci entrambi e ti sei trovato in mezzo a due fuochi-
- Allora siamo ancora amici?- le chiese speranzoso, sorridendole con gli occhi che brillavano.
 
Trattenne una risatina, che in quel momento sarebbe risultata poco opportuna. Le sembrava un bambino ansioso di sapere se mamma e papà gli avevano comprato quel giocattolo che tanto desiderava, ma ciò che a lei faceva ridere era invece per lui una cosa molto seria. Fino a quel momento non si era mai davvero resa conto di quanto Kudo tenesse alla loro amicizia, nata per caso e consolidata col tempo, e doveva ammettere che la cosa la lusingava. Non aveva mai avuto un amico, un vero amico, mentre ora ne aveva uno che si preoccupava così tanto per lei da farle venire voglia di sorridere.
 
- Lo so che senza di me ti senti perso, perciò ti farò dono della mia amicizia. Sei fortunato, quindi vedi di non mentirmi mai più!- decise infine di rispondergli nell’unica maniera che conosceva, ironica e sostenuta, tradendosi però con un sorrisetto malizioso.
- Sempre la solita, eh?- scosse la testa lui, stando al gioco.
- Adesso devo tornare a casa, si è fatto tardi e sono stanca- si alzò dal divano, non prima di aver dato un’occhiata all’orologio.
- Sicura che non vuoi restare ancora un po’? Ci siamo chiariti finalmente, non c’è motivo per cui tu debba scappare via così presto. E poi sei abituata a stare sveglia tutta la notte, lo hai sempre fatto quando lavoravi per trovare un antidoto contro l’APTX- cercò di convincerla a rimanere.
- Sono davvero stanca, questi giorni sono stati stressanti per me e non ho riposato a sufficienza- declinò l’invito, muovendo i primi passi per uscire dal salone - Inoltre preferisco fare un passo alla volta, non mi sento ancora totalmente a mio agio a restare sola con Akai o a parlare con lui normalmente. Anche se non lo considero più “l’uomo che ha ucciso mia sorella”, preferisco comunque non dargli troppa fiducia subito- ammise.
 
Poteva sembrare un discorso contorto, ma sapeva che l’amico l’avrebbe compreso. La conosceva, sapeva bene che le ci voleva parecchio tempo per potersi fidare completamente di una persona, e che prima di farlo l’avrebbe messa alla prova in tutti i modi possibili per testarne l’effettiva lealtà. Dopo un passato trascorso in una rete di bugie, ora che aveva il pieno controllo della sua vita voleva poter decidere chi farvi entrare e chi lasciare fuori. Per i traditori non c’era spazio.
 
- Capisco…Sappi che quando vorrai potrai venire qui, Akai-san resterà in Giappone ancora per un po’, perciò avrai modo di parlarci ancora se lo riterrai opportuno. Sono sicuro che a lui farebbe piacere- le sorrise, mostrandole la sua comprensione senza forzarla.
 
Di nuovo, per la seconda volta quella sera, il suo pensiero si rivolse su Jodie, precisamente sul punto della loro conversazione dove aveva compreso del suo amore per Akai e dove si erano ripromesse di uscire insieme qualche volta. Fu lì che le venne l’idea per ricambiare il gesto che la sua nuova amica aveva fatto per lei. Glielo doveva.
 
- Quando verrò potrò portare un’amica, qualche volta?- chiese senza troppi giri di parole, sorridendo nell’immaginarsi la faccia di Jodie quando l’avrebbe portata lì a trascorrere del tempo con Akai al di fuori del lavoro.
- Un’amica?- le chiese perplesso Shinichi, sgranando gli occhi - E chi sarebbe? Tu non hai amiche a parte Ayumi, che però non avrebbe motivo di venire qui. Ci sono Masumi, Ran e Sonoko, ma le hai appena conosciute e con Sonoko mi sembra che tu non vada molto d’accordo…- fece il punto della situazione, sottolineando quanto per lei fosse difficile ambientarsi in quel gruppo di amiche già formato, specie per l’ostilità dell’ereditiera Suzuki.
- Per caso ti sei messo d’accordo con il Dottor Agasa nel farmi presente che non ho amiche?- chiese acidamente, ricordandosi della parole che lo scienziato le aveva rivolto la sera prima.
- Che c’entra adesso il Dottore?- non comprese il giovane detective, ignaro di tutto.
- Lasciamo perdere!- scosse la testa -Ad ogni modo non si tratta di Ayumi, ma di un’altra persona che anche tu conosci- incrociò le braccia al petto, facendo la misteriosa.
- La conosco? Ma chi può essere…?- assunse un’aria pensierosa.
- Lo scoprirai solo se potrò portarla qui- sorrise con fare saccente.
- D’accordo- acconsentì, più per soddisfare la sua curiosità che per fare un favore a lei - Anche se non capisco tutto questo mistero-
- Bene, allora io vado- lo salutò nuovamente, stavolta uscendo dal salone e dirigendosi verso la porta d’uscita della villa.
- Ti accompagno- la seguì l’amico.
 
Percorsero insieme il corridoio senza più aggiungere nulla. In realtà, anche se Shinichi avesse parlato, probabilmente non lo avrebbe sentito, perché era troppo occupata a guardarsi intorno con fare sospetto. Lo cercava, cercava quell’uomo con cui aveva parlato poco prima e dal quale si sentiva costantemente osservata ogni volta che metteva piede lì dentro. Sapeva che si trovava da qualche parte non lontano da loro, magari nascosto ad origliare la loro conversazione. Nonostante gli avesse appena dato prova di non volerle fare del male, la sua presenza le dava ancora una strana sensazione, forse un antico riflesso del suo passato nell’Organizzazione. Lei più di chiunque altro sapeva che una volta entrati in quel buco nero, anche uscendone ci si sarebbe portati dietro lo spettro di ciò che si era vissuto. Erano fantasmi che si trascinavano dietro catene imposte da altri. In quello poteva dire che si somigliavano.
 
- Ci vediamo allora- la salutò Shinichi non appena giunsero davanti alla porta.
 
In tutta risposta, annuì sorridendogli. Stava già per girare la maniglia e aprire la porta quando un rumore di passi provenienti dalla cucina, che si facevano sempre più vicini, attirò l’attenzione di entrambi. Non era difficile immaginare chi fosse, ed infatti poco dopo comparve Akai che reggeva in mano un bicchiere contenente del liquido ambrato e del ghiaccio. Un liquore molto probabilmente.
Le venne istintivo stringersi nelle spalle quando la fissò con quei suoi occhi verdi e profondi, uno sguardo che incuteva ancora più timore del suo.
 
- Vai già via?- le chiese, la voce ferma e calma come sempre.
- Sì, sono molto stanca. Ma una di queste sere tornerò, così potremo parlare ancora e avere modo di conoscerci meglio senza più nomi in codice e false identità- puntualizzò, anche se il suo tono di voce era molto basso e mostrava il timore che ancora aveva nel parlare con lui.
- Penso che sia un’ottima idea- le sorrise.
 
Per la prima volta quella sera (e da che ricordasse dal momento in cui si erano conosciuti) gli rivolse un sorriso sincero, non troppo radioso ma comunque spontaneo. Era già un grosso passo avanti. Doveva sforzarsi di dargli fiducia: se una come Jodie si era innamorata di lui allora non doveva essere una persona cattiva.
 
- Buonanotte- li salutò entrambi infine, uscendo dalla porta e dirigendosi a casa.
 
Si sentiva finalmente il cuore più leggerlo e il volto sorridente di sua sorella si fece spazio nella sua mente. Di certo quella sera aveva reso felice anche lei, in qualche modo. Sperò che la stesse guardando in quel momento, ovunque si trovasse: doveva vedere la sua serenità, quella per cui aveva lottato e perso la vita. Non doveva nemmeno dimenticarsi di Jodie però: era tutto merito suo se le cose si erano sistemate. La ringraziò in silenzio, immaginandosi il sorriso che avrebbe fatto quando le avrebbe detto l’esito di quella conversazione.
 
 
 
………………………………..
 
 
 
L’aria pesante che aleggiava in quella villa fino a poche ore prima sembrava essersi dissolta, come la nebbia che diradandosi lascia spazio a un bellissimo panorama. Anche il suo cuore era finalmente sereno, così come quello del suo amico. L’etichetta di “traditori” che gli era stata cucita addosso si era finalmente staccata, rivelando ciò che davvero erano: due brave persone, tutto sommato. Lui aveva riavuto la sua migliore amica, Akai aveva avuto il perdono e l’assoluzione dalle sue colpe e dagli errori commessi: un finale felice che si meritavano entrambi.
 
- Sembra che stavolta sia andato tutto per il verso giusto, vero?- gli disse l’agente, non appena furono rimasti soli.
- Sono contento che le cose siano tornate a posto- annuì sorridendo - Finalmente quella testona ha accetto la sua amicizia, Akai-san-
- Mi chiedo ancora come sia possibile. Non mi aspettavo che sarebbe filato tutto liscio, c’è qualcosa che non mi torna…- si fece pensieroso, assottigliando lo sguardo.
- Lei dice?- fu sorpreso da quell’affermazione - E cosa di preciso?-
- Questo cambiamento di idee così repentino mi sembra strano. Sembrava davvero non voler più avere niente a che fare con noi, poi da un giorno all’altro si è convinta a tornare qui e ad ascoltarci-
- In effetti è un po’ strano, ma immagino che sia merito del Dottor Agasa: di sicuro avrà messo una buona parola per noi. O forse ci ha solo riflettuto sopra e si è convinta da sola dopo aver sbollito la rabbia- cercò di trovare una soluzione semplice e logica al cambio di vedute dell’amica.
- Sarà…- rispose semplicemente l’agente, non troppo convinto - Ad ogni modo sono contento che abbia detto che tornerà. Inoltre sono curioso di sapere chi è questa amica che ha tanto insistito per portare…- bevve un sorso dal bicchiere che stringeva ancora in mano.
 
Gli venne spontaneo sorridere, chiudendo gli occhi. A quanto pare il suo amico/alleato aveva un’altra cosa in comune con lui oltre alle tante già emerse: origliare dietro alle porte le conversazioni degli altri, quando queste ultime potevano fornire dettagli utili anche a loro. Poteva sembrare semplice curiosità o brutta abitudine di ficcanasare nei fatti altrui, ma in realtà oltre a una deformazione professionale propria di tutti i detective c’era dell’altro. Alla fine quella faccenda riguardava entrambi, si poteva dire che fossero sulla stessa barca, perciò potevano fare insieme anche quell’ultima cosa. Di certo nessuno dei due sarebbe andato in giro a raccontare i fatti dell’altro, si rispettavano a vicenda e sapevano di potersi fidare.
 
- Allora, come pensavo, è rimasto dietro la porta ad ascoltare la conversazione- lo guardò con aria furbetta.
- Mi sembra che anche tu abbia fatto lo stesso, no?- ricambiò il suo sorrisetto.
- Possiamo dire di essere pari!- scherzò.
- Vai a letto anche tu?- gli chiese, immaginando che anche lui risentisse dello stress dei giorni precedenti proprio come Shiho.
 
In realtà era esattamente il contrario: aver fatto pace con l’amica gli aveva regalato un leggero senso di euforia, che ora non gli faceva sentire il sonno e la stanchezza nonostante l’ora tarda. Se anche si fosse coricato, di certo non sarebbe riuscito a prendere sonno.
 
- A dire il vero non ho molto sonno, stavo pensando di leggere un libro oppure di guardare un film-
- Se non disturbo ti faccio compagnia per il film. Avevi in mente qualcosa in particolare?-
- Che ne dice di un poliziesco? Oppure qualcosa a tema investigazioni- propose, consapevole che entrambi amavano quel genere.
- Sherlock Holmes?- suggerì Akai, sapendo di aver azzeccato al primo colpo.
- Ottima idea!- accettò entusiasta.
 
Mentre sceglievano quale caso di Holmes guardare, si diressero nuovamente verso il salone dove si trovava la televisione con un grande schermo e tutta la collezione di DVD e VHS. Avrebbero trascorso una bella serata in compagnia del loro detective preferito e di quel senso di felicità che aveva pervaso entrambi e che si percepiva dai loro sorrisi. Non sapeva se poteva dire lo stesso per  Akai, ma sentiva che ora che anche quell’ultimo nodo rimasto di quell’intricata storia si era sciolto, tutto sarebbe andato per il verso giusto da quel momento in poi. Non era rimasto più nulla a turbare i loro animi e le loro vite. O almeno era questo che si augurava.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
“Sembrava impossibile recuperare quell’antico vaso, ma ce l’hanno fatta!” (cit.). Questo capitolo è stato un parto difficile, sia nella stesura sia per il fatto che sembrava non voler più finire (povera me che dovrò tradurlo in inglese!). Alla fine, però, sono arrivata alla conclusione e finalmente questo tanto agognato chiarimento è arrivato! Data la lunghezza del capitolo non penso di dover aggiungere altro, se non che spero vi sia piaciuto e non abbia deluso le vostre aspettative (molti di voi tenevano a questo capitolo in particolar modo). Se volete chiarimenti, avete delle domande o per qualsiasi altra cosa sono a vostra disposizione! ^^ Non vi svelo il contenuto del prossimo capitolo, lo lascio alla vostra immaginazione! ;)
Grazie a tutti come sempre!
Bacioni
Place
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Sospetti ***


Capitolo 7: Sospetti
 
 
Sfogliava e risfogliava quei fascicoli e documenti ormai da un paio d’ore, cercando di imprimerli nella sua mente e di ricordare ogni singolo dettaglio che sarebbe potuto tornarle utile quando si sarebbe svolto il processo. Più leggeva e più si rendeva conto di quanto male avesse fatto quella donna, non solo a lei ma a tante altre persone. Come si poteva distruggere le vite degli altri e non provare rimorso o disgusto nel farlo? Come riusciva Chris Vineyard a guardarsi allo specchio ogni mattina senza essere disgustata da se stessa? A volte essere belli fuori non implica esserlo anche dentro, l’esteriorità è solo una facciata che nasconde ciò che davvero siamo. E vermouth era un mostro.
Alzò gli occhi dal foglio che stringeva fra le mani, guardando fuori dalla finestra nella speranza di distrarsi per qualche minuto da un lavoro che cominciava a diventare troppo pesante. Ma invece degli alberi e del cielo sereno di quella giornata, vide solo fiamme che inghiottivano senza pietà una grande casa trasformata in un cumulo di cenere e detriti. In mezzo a quella cenere, anche quella del corpo di suo padre, dispersa per sempre senza poter avere una degna sepoltura. Ancora oggi, dopo tanti anni, faceva male come quel giorno. Non aveva sentito le fiamme bruciare il suo corpo come Vermouth avrebbe voluto, ma quel bruciore le aveva avvolto il cuore come una morsa per i successivi vent’anni. Quello non aveva mai smesso di bruciare, a differenza della sua casa.
Assorta in quegli amari ricordi, non si accorse della persona che era appena entrata nella stanza e che stava osservando alle sue spalle le carte abbandonate sulla scrivania.
 
- Ho saputo del processo…Tutto a posto?-
 
Fece un balzo sulla sedia, colta alla sprovvista da quella voce profonda ma al tempo stesso familiare. Si girò di scatto, tornando al mondo reale.
 
- Shu, sei tu…Non ti avevo sentito entrare- ammise, togliendosi gli occhiali e stringendosi il setto nasale chiudendo gli occhi, nel tentativo sia di riposare la vista sia di cancellare i brutti pensieri - Te lo ha detto James? Del processo intendo-
- Sì, me lo ha detto ieri, ma in realtà ha solo confermato un sospetto che avevo da qualche giorno- si appoggiò alla scrivania di spalle, incrociando le braccia.
- Un sospetto?-
- Ho notato che eri un po’ preoccupata negli ultimi giorni e non era difficile intuire dalla tua espressione che qualcosa non andava- spiegò con naturalezza.
 
Rimase sorpresa da quella confessione, considerando che in quei giorni era stato lui fra i due quello più preoccupato e assorto nei suoi pensieri. Non si aspettava affatto che fosse riuscito a notare il suo malessere così assorto com’era nelle sue questioni personali. Si era sempre chiesta come riuscisse a non restare mai completamente distaccato dalla realtà che lo circondava, anche quando le sue preoccupazioni lo assalivano. Lei non si era nemmeno accorta che fosse entrato prima, mentre lui aveva addirittura notato il suo cambio di umore, benché avesse cercato di mascherarlo. Tuttavia decise di non specificare che la sua preoccupazione era rivolta più a lui che al processo, poiché questo significava esporsi troppo e non era né il momento né il luogo adatto per farlo. Uscirsene con una frase del tipo “ero preoccupata per te, ti ho visto pensieroso e volevo tanto stare al tuo fianco per sostenerti” equivaleva a beccarsi l’ennesimo pugno nello stomaco quando avrebbe sentito la risposta che ne sarebbe derivata.
 
- Grazie di esserti preoccupato- rispose semplicemente, con le gote arrossate.
 
In risposta, l’uomo dagli occhi verdi le rivolse un sorriso abbozzato ma sincero.
 
- Tranquilla, andrà tutto bene. Le cose si stanno sistemando e anche questa andrà come deve andare-
- E tu da quando sei così ottimista e di buon umore?- scherzò, apprezzando però le parole del compagno.
- Hai ragione, forse dovrei smetterla di lavorare con te, mi stai contagiando- mosse alcuni passi verso l’uscita - Vado a prendermi un caffè, vieni anche tu?-
- Mi piacerebbe, ne avrei proprio bisogno, ma devo finire di visionare questi file. Voglio essere sicura di non perdermi nulla-fissò sconfortata i numerosi fogli sulla scrivania davanti a lei.
- Credo che dovresti fare una pausa, ti farà bene. Ti aiuto io a finire dopo, sempre che tu non abbia obiezioni- si offrì.
- Davvero?- chiese speranzosa, sia per l’aiuto sia per il fatto che avrebbe passato del tempo con lui.
- Forza, andiamo- la esortò a uscire, uscendo dall’ufficio.
 
Senza farselo ripetere due volte, con un enorme sorriso stampato sulla faccia, lo seguì quasi rincorrendolo, sino a quando non lo affiancò. Percorsero così tutto il corridoio, senza proferire parola. Trovava che anche i momenti di silenzio fra loro fossero da vivere, a volte non c’era bisogno di parole. In quel momento stava bene anche così, camminando al suo fianco incurante dei commenti che i colleghi più impiccioni avrebbero fatto per l’ennesima volta. Non le importava essere etichettata come “quella che corre dietro ad uno che non la considera minimamente”, quelli erano solo commenti inutili e superficiali fatti da persone che non sapevano nulla. Era un prezzo che poteva pagare se confrontato all’idea di poter trascorrere semplici momenti come quello con lui. Le davano gioia, la facevano sentire bene. Era come se quel cavaliere nero che avrebbe dovuto incuterle timore, l’attirasse invece a sé con una forza magnetica, diventando ai suoi occhi un principe capace di donarle serenità. Ironico ma vero.
Quando giunsero alla macchinetta, Shuichi estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo qualche spicciolo da inserire. Stava per fare lo stesso anche lei quando si sentì afferrare il braccio, con delicatezza.
 
- Lascia, offro io- le sorrise.
- Oh, grazie!- accettò entusiasta, piacevolmente sorpresa da quella galanteria.
 
Era così anche quando stavano insieme: Shuichi insisteva sempre nel volerle offrire un pranzo, una cena, un gelato o qualsiasi cosa, e quando lei si rifiutava per non passare per una spilorcia o per quel genere di donna che se ne approfitta, era dura farlo desistere. Nonostante tutto, sapeva essere molto galante, e lei avrebbe pagato con tutto ciò che aveva pur di rivivere anche solo per cinque minuti uno di quei momenti passati insieme come una coppia e non come due semplici colleghi.
 
- Quale preferisci?- la riportò alla realtà, indicandole i vari tipi di caffè in lattina nella macchinetta.
- Quello aromatizzato alla nocciola- lo indicò col dito.
- Troppo dolciastro- commentò lui, inserendo le monete e premendo il pulsante corrispondente.
- E quello che bevi tu è cianuro che finge di essere caffè!- replicò lei, riferendosi al suo amato caffè nero.
- Ha le papille gustative delicate, sua altezza- la prese in giro, porgendole la lattina appena prelevata e apprestandosi a prendere la sua.
- No, è proprio il tuo caffè preferito che fa schifo!-
 
Shuichi sorrise, aprendo la sua lattina e bevendo il primo sorso. Anche lei fece lo stesso, allietata dal sapore di quella bevanda. Ne aveva davvero bisogno in quel momento.
Dopo qualche minuto di silenzio dedicato a sorseggiare il caffè, si sentì abbastanza rilassata per porgergli finalmente quella domanda che voleva fargli da un pezzo. Forse lui pensava che non se ne fosse accorta, ma era impossibile non accorgersi di quando era di buon umore, e decisamente con tutti quei sorrisi che le aveva rivolto da quando era entrato nell’ufficio poteva dire che era assolutamente di buon umore. Poteva anche intuirne il motivo, o almeno si augurava di cuore che fosse quello.
 
- Ti vedo di buon umore oggi, mi fa piacere!- interruppe il silenzio - Negli ultimi giorni mi eri sembrato un po’ giù…-
- Tu dici?- rispose semplicemente, facendo il vago.
 
Si morse le labbra, non sapendo come fare per farsi dire qualcosa in più senza però esporsi troppo. Non poteva certo dirgli della sua conversazione con Shiho, ma avrebbe tanto voluto sapere se alla fine fosse avvenuta o no e se tutto si fosse sistemato. Di certo doveva essere andata così, altrimenti non si sarebbe spiegata questo improvviso cambio di umore; però le serviva una conferma perché le sue teorie non restassero appunto semplici teorie.
Improvvisamente, si ricordò della conversazione che aveva avuto con lui il giorno prima. Poteva usare quella come scusa.
 
- È poi arrivata quella torta speciale che il Dottor Agasa ha ordinato per voi?- se ne uscì.
- Mmmh?- assunse un’espressione stranita.
- Dai, quella torta di cui mi parlavi ieri- gli rinfrescò la memoria - Hai detto che doveva arrivare oggi, giusto? Posso passare ad assaggiarla?-
 
Provava un certo gusto nel metterlo in difficoltà, far vacillare l’uomo-roccia era un privilegio. Chissà se sarebbe riuscito a cavarsela e venire fuori da quella bugia che lui stesso si era inventato. Era evidente che lo aveva colto alla sprovvista.
 
- Ah, quella torta- annuì lui, cercando di mascherare la dimenticanza di poco prima - Non so se l’abbiano già consegnata. Io sono qui e il ragazzino è a scuola, perciò se il corriere dovesse arrivare l’unico che potrebbe ritirarla è il Dottor Agasa. Dovrei telefonargli e chiederglielo per assicurarmi che sia già arrivata, ma non mi sembra il caso di fare telefonate del genere sul lavoro-  concluse.
 
Accidenti, era maledettamente bravo ad inventarsi scuse sul momento! Non sarebbe stato facile metterlo alle strette, ma voleva provarci. In ogni caso, se anche non ci fosse riuscita, almeno si sarebbe divertita un po’ e avrebbe potuto godere della sua compagnia.
 
- Allora quando torni a casa fammi sapere se ve l’hanno consegnata, non vedo l’ora di assaggiarla!- cercò di sembrare il più entusiasta possibile.
- Guarda che se vuoi venire non c’è bisogno di aspettare la torta, puoi passare e basta. Ora non c’è più il problema di nascondersi o di temere di essere spiati, perciò non farti problemi-
 
Restò sorpresa da quell’invito così aperto: lo sapeva perfettamente che ormai non avevano più motivo di nascondersi, ma si faceva comunque degli scrupoli nel piombare a casa Kudo così, senza motivo. Non voleva dargli l’impressione di stargli troppo addosso, tanto da seguirlo anche dopo il lavoro. L’ultima cosa che voleva era fargli delle pressioni o passare per una di quelle donne innamorate che diventano della sanguisughe e pedinano l’uomo che amano in capo al mondo. Lei desiderava solo lasciarlo libero di esprimersi come voleva, di decidere quando era il momento di lasciarsi andare e quando invece preferiva restare solo con i suoi pensieri. Le persone non si appartengono, non ci sono anelli o promesse che possano sancire un legame inscindibile, e lei lo sapeva bene. Costringere una persona a vivere al guinzaglio non è sufficiente per assicurarsi che stia sempre al nostro fianco nel modo in cui vogliamo. Anche in amore serve la propria libertà.
 
- Ma scusa, parli come se fosse casa tua!- lo rimproverò - Non posso certo piombare a casa di Cool Guy senza motivo!-
- Non credo che a lui dispiaccia, in fondo lo adori e non glielo hai mai nascosto, perciò gli farà sicuramente piacere ricevere le tue visite- si discolpò.
- Se è così allora vengo a trovarlo molto volentieri!- accettò infine, consapevole che ciò che aveva detto corrispondeva alla realtà.
 
Stava per continuare il discorso quando sentì il suo cellulare squillare nella tasca della giacca. Chi poteva essere, dato che i suoi colleghi erano tutti lì alla sede? Lo estrasse, leggendo il nome sul display: Shiho. Non riuscì a contenere un’espressione a metà fra il sorpreso e lo stranito, cosa che non sfuggì all’occhio attento del suo compagno.
 
- Qualcosa non va?- le chiese, fissando il cellulare che continuava a suonare.
- N-no, no no!- si affrettò a rispondergli, cercando di tenere lo schermo verso di sé in modo che non potesse leggere il nome - Scusami un momento, devo rispondere!-
 
Si allontanò quasi correndo da lui, cosa che probabilmente gli avrebbe destato ancora più sospetti dell’espressione che aveva fatto prima. D’altra parte non poteva certo rispondere di fronte a lui, o il segreto che aveva cercato di nascondere per due giorni sarebbe crollato come un castello di sabbia.
Quando si fu assicurata di essere abbastanza distante da lui perché non potesse sentire, rispose finalmente alla chiamata.
 
- Hello!- la salutò allegramente.
- Mi sembri di buon umore oggi- replicò la voce dall’altro capo del telefono - Disturbo per caso?-
- No, stavo facendo una pausa prima di tornare al lavoro-
- Ho chiamato per sapere se questa sera hai impegni. Se ti va possiamo uscire a cena come avevamo detto- le propose.
- Oh, ma certo!- accettò di buon grado - Ma prima c’è una cosa che devo assolutamente chiederti!-
 
Finalmente, dopo essersi trattenuta con Shuichi, aveva l’occasione di sapere finalmente la verità. Non riusciva a contenere l’entusiasmo, certa che la risposta alla sua domande sarebbe stata positiva.
 
- Che cosa?-
- Hai parlato con Shu? Com’è andata?- disse tutto d’un fiato, mordendosi il labbro inferiore in attesa della risposta.
- Volevo parlarti proprio di questo stasera a cena- confessò, anche se dal tono di voce tutto lasciava presagire per il meglio.
 
Cercò di trattenersi dall’urlale un “sì” che sarebbe inevitabilmente riecheggiato per tutto il corridoio, attirando l’attenzione di tutti. Non aveva ancora avuto una conferma a parole, ma se metteva insieme il buon umore di Shuichi e il tono appena usato da Shiho non poteva che arrivare ad un’unica conclusione. Pazienza, avrebbe atteso ancora qualche ora per gioire senza essere scoperta.
 
- Allora non vedo l’ora che arrivi stasera!- ammise.
- Dove preferisci andare? Il Dottor Agasa mi ha consigliato qualche buon posto, ma non so che genere di cibo preferisci-
- Oh, non sono una schizzinosa a tavola!- confessò - Mangio quello che c’è, ma ammetto che è da un po’ che non mangio del buon sushi. A te piace?-
- Sì, conosco anche il posto che fa al caso nostro allora. Ci siamo andati con il Dottore e la Squadra dei Giovani Detective, quando ero ancora Ai intendo-
- Ottimo! A che ora passo a prenderti?-
- Facciamo per le otto? Sei tu quella che lavora fino a tardi, perciò dimmi tu-
- Le otto vanno benissimo! Allora ci vediamo più tardi!- le venne spontaneo fare un occhiolino, pur sapendo che al telefono Shiho non lo avrebbe di certo visto.
- A più tardi!-
 
Riattaccò, girandosi nuovamente verso la macchinetta dove aveva lasciato Shuichi. Pensava che se fosse tornato in ufficio, dato che la chiamata si era prolungata per circa cinque minuti: invece con sua grande sorpresa lo ritrovò esattamente nel punto in cui era prima, immobile e con le mani in tasca, che la fissava. In cuor suo sperò di non aver alzato troppo la voce mentre parlava al telefono, altrimenti non sarebbe riuscita a mentirgli quando le avrebbe fatto delle domande su ciò che aveva sentito.
 
- Mi hai aspettato…- espresse a voce i suoi pensieri.
- Non aveva senso tornassi da solo, devi spiegarmi alcuni dettagli se vuoi che ti aiuti. È tutto a posto?- le chiese a bruciapelo, riferendosi alla telefonata.
 
Ecco, come pensava: si era accorto di qualcosa. Sentì il battito del cuore accelerare, come succede ai colpevoli quando sanno che stanno per essere smascherati. Tuttavia doveva cercare di non perdere la lucidità se voleva avere qualche speranza di cavarsela. Doveva riuscire a inventarsi scuse plausibili su due piedi proprio come faceva lui. Il problema era che lei non si chiamava Akai Shuichi.
 
- A-ah, sì sì!- si affrettò a mostrare un sorriso forzato - Era Natsuko, voleva che uscissimo insieme un’ultima volta prima che io torni in America- mentì, cercando di sembrare convincente.
- Capisco- rispose semplicemente lui, senza aggiungere altro - Forza, ora torniamo al lavoro- le fece cenno di seguirlo, tornando verso l’ufficio.
 
Davvero era riuscita a convincerlo? Non ci credeva nemmeno lei, eppure sembrava che Shuichi si fosse bevuto quella scusa. Forse a furia di frequentarlo anche lei era diventata brava nell’inventarsi bugie all’evenienza, o forse quello era solo il frutto di tutte quelle che aveva raccontato da quando era in Giappone per mascherare il reale motivo per cui si trovava lì. In ogni caso non importava: era riuscita a convincerlo e questo bastava.
Sollevata per averla fatta franca, lo seguì di buona lena, con la prospettiva di finire il lavoro e perché no, di trascorrere quelle ore di lavoro in piacevole compagnia.
 
 
…………………
 
 
Da quando la conosceva sapeva bene che Jodie, nella sua esuberanza, poteva risultare un po’ strana alle volte, ma con gli anni ci aveva fatto l’abitudine e doveva ammettere che gli piaceva anche questo lato del suo carattere. Per uno come lui, abituato alla solitudine e al silenzio, avere intorno una persona vivace e allegra era una ventata di aria fresca che lo rigenerava dalle tenebre. Forse era per questo che trovava piacevole stare con lei: gli purificava lo spirito, detto in termini filosofici. A volte diventava un po’ noiosa, ma era quel genere di persona a cui è impossibile tenere il broncio o dire “vattene, mi stai dando fastidio”. Con la stessa facilità, però, riusciva a capire quando stava mentendo, e decisamente in quel momento gli stava nascondendo qualcosa. Jodie era un libro aperto per lui. La scusa dell’amica poteva essere plausibile, ma in quel momento i suoi occhi l’avevano tradita. Si era accorto subito della strana luce che avevano, quella luce che assumevano ogni volta che mentiva sorridendo e cercando di far credere che tutto andasse bene. Inoltre, c’era un certo nervosismo nel modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore e gesticolava frettolosamente, senza contare che non c’era alcun bisogno di allontanarsi in tutta fretta se a chiamarti era una semplice amica. Non gli erano sfuggite nemmeno le occhiate che gli lanciava per controllarlo di tanto in tanto mentre parlava al telefono, così come i tentativi di abbassare la voce il più possibile per non farsi sentire. Era chiaro che stava nascondendo qualcosa, anche se non aveva capito esattamente cosa. Poteva pensare che il suo nervosismo fosse dovuto ai ricordi che le tornavano alla mente ora che stava lavorando al caso di Vermouth, ma questo non c’entrava nulla con la telefonata che aveva ricevuto.
Smise per un attimo di pensare, chiedendosi se fosse giusto analizzare così il suo comportamento. In fondo Jodie non era più la sua ragazza e questo lo aveva deciso lui. Il legame fra loro non era più così forte da potersi permettere di mettere il naso nei suoi affari. Jodie aveva la sua vita ed era libera di fare ciò che voleva. Si convinse che la sua fosse una semplice “deformazione professionale” tipica di ogni persona che di mestiere faceva il detective, l’agente di polizia, dell’FBI o di qualsiasi altro annesso, o meglio ancora una premura che dimostrava nei confronti di tutte le persone a cui teneva particolarmente. Era più facile metterla su quel piano che affrontare il fatto che dentro di sé provava un senso di gelosia al pensiero che all’altro capo del telefono potesse esserci un altro uomo. Lui l’aveva piantata in asso e ora non aveva il diritto di essere geloso se qualcun altro se l’era presa. Eppure non gli andava giù l’idea di aver perso, per l’ennesima volta nella sua vita, qualcosa a cui teneva. Accettare una sconfitta non era facile per un tipo orgoglioso come lui.
Scacciò quei pensieri dalla sua mente: non era né il momento né il luogo per distrarsi con quelle sciocchezze, senza contare che non aveva prove concrete per dimostrare quella teoria. L’unica cosa che sapeva per certo era che il comportamento di Jodie era sospetto, perciò non potevano esserci dubbi sul fatto che stesse nascondendo qualcosa. Tuttavia non le avrebbe fatto domande esplicite, poiché lui stesso era il primo a non amare l’idea che gli altri si impicciassero dei suoi affari; avrebbe semplicemente aspettato e osservato. Magari qualcosa sarebbe venuto fuori, magari la stessa Jodie gli avrebbe parlato di sua spontanea volontà. In ogni caso, non doveva tormentarsi troppo, come aveva già detto a se stesso Jodie non era più legata a lui.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Altro capitolo dedicato alla coppia principale di questa storia! Mi serviva fare questo piccolo capitolo di passaggio per poi arrivare al prossimo dove ci sarà materiale più consistente! Vediamo come Shuichi abbia capito che Jodie sta nascondendo qualcosa e vediamo anche che qualcosa si sta smuovendo dentro di lui…Forse sta negando a se stesso che prova ancora qualcosa per lei?
Spero che non vi abbia annoiato, come sempre se avete teorie, dubbi o domande sono a vostra disposizione! ;) Nel prossimo capitolo vedremo…no, non ve lo dico! Lo scoprirete da soli! ;)
Grazie come sempre a tutti quelli che stanno supportando questa storia!
Bacioni
Place

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Un segreto svelato ***


Capitolo 8: Un segreto svelato
 
 
Si passò un velo di lucidalabbra rosato per completare quel trucco semplice ma che le donava moltissimo. Era da tempo che non vedeva del make up sulla sua faccia, che non si vedeva così. Una donna, una vera donna. Sorrise alla sua immagine riflessa nello specchio: era bello essere se stessi.
Ripose il lucidalabbra nella borsetta, con l’intenzione di ritoccarsi il trucco dopo aver terminato la cena. Voleva mostrarsi al meglio, specie accanto a una donna come Jodie che di certo non faticava ad essere bella ed elegante. Si sistemò un’ultima volta i capelli prima di uscire dalla sua stanza e recarsi in cucina, dove il Dottor Agasa stava preparando la cena solo per lui.
 
- Caspita, come sei elegante stasera! Sicura che non stai uscendo con qualche ragazzo?- scherzò lo scienziato, sorridendo alla sua stessa battuta.
- Questo vestito è troppo bello per essere sprecato per un ragazzo!- rispose a tono, ma senza essere acida - Piuttosto, è sicuro che non le dispiace restare solo stasera?-
 
Le sembrava una domanda un po’ stupida, dal momento che prima del suo arrivo il Dottore aveva vissuto da solo in quella casa per anni, ma dopo più di un anno in cui avevano trascorso ogni giorno insieme le veniva naturale credere che, se se ne fosse andata, avrebbe sentito la sua mancanza. O per lo meno questo era ciò che sperava, perché a lei quel buffo scienziato pasticcione sarebbe mancato da morire.
 
- Tranquilla, vai pure a divertirti con la Professoressa Jodie!- la rassicurò.
- Se vuole compagnia può sempre andare da Shinichi con una scusa-
- Non serve, ne approfitterò per lavorare ad una mia nuova invenzione!- alzò l’indice soddisfatto.
 
Storse la bocca, assottigliando lo sguardo: avrebbe tanto voluto credergli, ma il sospetto che quella fosse solo una scusa era più forte di lei. Sapeva benissimo che, in sua assenza, il Professore ne approfittava sempre per mangiare cose poco salutari, quelle che lei gli proibiva per tenerlo a dieta. Se n’era accorta quando un giorno, nel portare fuori la spazzatura, dalla sporta bucata era uscito un involucro di una nota marca di dolciumi. Tuttavia non disse nulla: non le andava di rovinarsi l’umore per fargli una paternale. Domani gli avrebbe fatto fare una dieta ancora più drastica del solito.
Si rimirò nuovamente nel riflesso dei vetri delle finestre, compiacendosi di quell’abito nuovo che aveva comprato per farsi un regalo. Si trovava bella, una bella ragazza che nessuno poteva più considerare un mostro che aveva creato un veleno e fatto parte di una banda di criminali. Era da tanto che non si sentiva così. Pensò che quella era la prima volta che usciva con un’amica, cosa piuttosto strana per una ragazza della sua età. A diciotto anni si dovrebbe uscire spesso, avere una compagnia di amici, fare cose folli e divertirsi: lei non aveva mai fatto nulla di tutto ciò. Le uniche uscite che ricordava erano quelle con sua sorella, rare e fugaci, poiché non le era permesso prendersi troppe libertà. Poteva solo sognarsela una vita normale, una vita in cui non era una schiava. Ed ora eccola lì, raggiante e serena, consapevole di poter uscire senza più timore di avere gli occhi puntati addosso. Era diventata una ragazza qualunque.
Stava frugando nella borsetta, per controllare di aver preso con sé tutto, quando il campanello suonò. Jodie era arrivata. Andò ad aprire la porta, trovandovi Jodie con il suo solito sorriso contagioso.
 
- Hello!- la salutò calorosamente.
- Vieni, entra un momento- la invitò ad accomodarsi, ricambiando il sorriso.
- Ma come sei bella stasera! Mi piace molto il tuo vestito!- si complimentò, osservandola da capo a piedi.
- Grazie, anche tu sei bellissima-
 
Poteva sembrare una frase fatta, ma in realtà era ciò che pensava: Jodie era ancora più bella in abiti meno formali di quelli che usava per il lavoro. Una scollatura un po’ più pronunciata, un tacco un po’ più alto, una collana fine e non troppo vistosa, ed ecco che una donna già bellissima diventava stupenda, persino con quei grossi occhiali dal gusto un po’ retrò. Le venne spontaneo pensare che se Akai l’avesse vista non sarebbe di certo rimasto indifferente, pur non essendo uno che si esprimeva granché né a parole né a gesti.
 
- Salve Professor Agasa!- salutò lo scienziato che le osservava sorridendo.
- Buonasera Professoressa Jodie! Grazie di averla convinta ad uscire, sa com’è, se ne sta sempre in casa…-
- Non è vero…- brontolò lei, anche se in effetti non aveva tutti i torti.
- Non si preoccupi, non la ripoterò a casa tardi!- fece l’occhiolino.
- Guarda che non sono una bambina, poso  stare fuori la sera anche oltre la mezzanotte- si lamentò, sentendosi considerata più piccola di ciò che in realtà era.
- No no, non sei ancora maggiorenne!- scherzò Jodie, facendo sorridere anche il Dottore - Forza, andiamo!-
- Passate una bella serata!- le salutò il Dottore, osservandole mentre si avviavano verso la porta.
- Anche lei Professore!- ricambiò la bionda.
- E non mangi schifezze!- si raccomandò lei, con espressione corrucciata.
 
Non fece in tempo a vedere l’espressione sul suo volto ma immaginò che avesse assunto quella faccia scoraggiata da cane bastonato che faceva ogni volta che gli proibiva di mangiare dolci o cose grasse. Ben gli stava, così imparava a farla passare per una mocciosa.
 
- Dovresti essere un po’ più gentile con il Professore!- le fece notare Jodie, ma senza cattiveria o rimprovero nei toni.
- Sono anche troppo gentile con lui- replicò, sedendosi in macchina.
 
Era la prima volta che metteva piede in quella costosissima Mercedes, al contrario di Shinichi che invece aveva avuto l’onore di viaggiarci parecchie volte. Non c’era nulla da ridire: quei soldi li valeva tutti. Sedili in pelle, tettuccio retrattile, comfort di ogni genere. Dovevano guadagnare parecchio quelli dell’FBI per potersi permettere un’auto del genere. Si chiese se anche lei un giorno avrebbe potuto guidare una macchina così.
 
- Ti piace?- le chiese Jodie, notando come stava osservando ogni particolare da cima a fondo.
- A chi non piace quest’auto?- sorrise.
- James ha sempre avuto buon gusto in fatto di automobili- si mise la cintura, mettendo in moto la macchina - Allora, dove siamo dirette?-
- In un locale dove servono il sushi sul rullo. Non è molto lontano, il Dottore ci ha portati lì a pranzo una volta, insieme alla Squadra dei Giovani Detective. Intendo quando io e Shinichi eravamo ancora due bambini- precisò - Va bene anche a te oppure preferisci un ristorante?-
 
Doveva ammettere che aveva avuto una certa titubanza nel proporre quel posto, poiché non sapeva a che tenore di vita era abituata Jodie. Una donna che viaggiava su una macchina di lusso, sempre vestita in modo elegante e magari con abiti di marca, forse non gradiva cenare in un locale ordinario come quello. D’altra parte però lei non poteva permettersi di cenare in ristoranti troppo costosi: non aveva un lavoro e ciò che otteneva era solo grazie al Dottore in quel momento, che si offriva di darle qualcosa in cambio del suo aiuto nella riparazione o costruzione di invenzioni.
 
- No no, è perfetto! Mi piacciono quei posti dove ti passano i piatti davanti e tu puoi prendere tutto quello che vuoi!- acconsentì entusiasta, quasi eccitata come una bambina che sta per andare in un posto magico.
 
Più la conosceva e più restava stupita dalla sua personalità: Jodie era la persona più briosa che avesse mai conosciuto. Poteva fare la snob, facendo pesare agli altri il fatto che avesse parecchi soldi, oppure poteva comportarsi sempre in maniera formale e non scomporsi mai, dimostrando di essere un’agente di quell’ente investigativo che l’America definiva “il proprio orgoglio”; invece non faceva nulla di tutto questo. Semplicemente si divertiva quando poteva, come una normale donna ancora giovane, talvolta dimostrando la stessa felicità e spensieratezza di una bambina. Non sapeva se questo suo modo di fare fosse da considerarsi più una sbadataggine, che certo non giovava al suo lavoro, o se invece fosse segno di una grande forza interiore e capacità di affrontare la vita con il sorriso anche dopo tante tragedie. In tal caso avrebbe dovuto prendere esempio da lei.
 
- Bene, ti indico la strada- sorrise, contenta di non aver deluso la sua nuova amica-
- Ok!- alzò il pollice la bionda.
 
 
……………………..
 
 
Dopo circa una quindicina di minuti raggiunsero il locale. Non era nemmeno troppo affollato, quindi avrebbero potuto conversare senza un fastidioso brusio di sottofondo. Presero posto al bancone, mentre un gruppo di ragazzi poco lontano da loro le osservava facendo apprezzamenti sottovoce. Li ignorò, così come fece Jodie, troppo occupata a fissare i piatti che le passavano davanti agli occhi sul rullo trasportatore.
 
- Wow, sembra tutto squisito!- le si illuminarono gli occhi.
- Non mi dire che non sei mai stata in un locale così- le chiese, non capendo come fosse possibile tanta gioia per del pesce e del riso trasportati da un rullo.
- Beh, non molte volte a dire il vero- ammise - Sai, quando sono con i miei colleghi andiamo in ristoranti oppure in locali meno tradizionali. Raramente mi capita di mangiare sola quando sono fuori, così mi adeguo. Sono andata in un posto simile a questo solo un paio di volte, insieme ad un’amica-
- Capisco, ecco perché sei così contenta-
- Non vedo l’ora di assaggiare questi manicaretti! Anzi, cominciamo subito!- la invitò a prendere dal rullo i primi piatti della serata.
 
Scosse la testa sorridendo: si prospettava una serata divertente. Le piaceva come Jodie sapesse avere un comportamento dignitoso sul lavoro ma al contempo uno spirito vivace e pazzerello nella vita privata.
Entrambe si portarono alla bocca il primo boccone di quella cena a base di riso e pesce. Era buono come lo ricordava, o forse anche di più.
 
- Mamma mia che bontà!- sentì la voce di Jodie di fianco a lei.
- Ti piace?- sorrise.
- Altroché!- annuì la bionda, sgranando i suoi occhioni colore del cielo.
- Mi fa piacere!-
- Però stiamo un po’ tergiversando…- tornò improvvisamente seria, fissandola dritta negli occhi - Dovevamo vederci per parlare di una questione in particolare, giusto?-
- Ti riferisci alla mia conversazione con Akai-san?- sorrise maliziosamente, sapendo quanto l’amica fosse impaziente di sapere.
- Ovvio!- si preparò all’ascolto.
- Devo dire che è andata meglio di quanto mi aspettassi, ed è tutto merito tuo. Se non fosse stato per te non avrei mai saputo la verità-
- Lo sapevo!- fece quasi un balzo sulla sedia per la contentezza - Ecco perché Shu oggi non era più cupo come i giorni scorsi! Sono proprio contenta!- batté le mani un paio di volte, come se volesse farsi un applauso da sola per quanto era stata brava a risolvere la situazione.
 
Se lo meritava eccome quell’applauso, aveva fatto anche troppo per una questione in cui lei non c’entrava nemmeno. Avrebbe potuto fregarsene, invece aveva aiutato due persone in una sola volta. Ancora non le era ben chiaro se l’avesse fatto più per Akai che per lei, ma in ogni caso l’aveva trattata come pochi avevano fatto fino a quel momento, perciò non poteva contestarle nulla. Jodie era l’eroina della sua storia.
Questo però non le proibiva di stuzzicarla un po’. In fondo lei era sempre una dei cattivi diventata buona, e si sa che i cattivi mantengono sempre un pizzico di sfacciataggine.
 
- Mi sembri più contenta per lui che per me- le sorrise nuovamente in modo malizioso, con l’intento di sottolineare il suo evidente interesse per il collega.
- C-cosa?! Ma no, no no!- scosse le mani in segno di negazione, cercando di dissimulare l’imbarazzo con scarsi risultati - Sono contenta per tutti e due, ovvio! - aggiunse.
- Ne sei sicura?- insisté.
- S-sì!- sorrise, ma in modo forzato e non più spontaneo come prima.
 
Sperava di riuscire ad ottenere una risposta alla domanda che le aveva fatto qualche sera prima, ovvero se provava qualcosa per Akai, ma anche stavolta aveva negato, pur continuando a tradirsi con la voce e con lo sguardo. Anche un cieco avrebbe capito che stava mentendo, ma per qualche strana ragione lei preferiva continuare quella recita pur sapendo di non essere credibile. Possibile che non si fidasse di lei? Ok, erano amiche da meno di una settimana e fra loro c’era una notevole differenza di età, ma in fondo cosa le costava confessare? Di certo lei non sarebbe andata a fare la spia ad Akai, non aveva certo la confidenza necessaria per fare un simile gesto, senza contare che teneva più alla loro nuova amicizia che a instaurare un rapporto confidenziale con l’ex di sua sorella.
 
- A proposito, hai fatto pace anche con Cool Guy, vero?- le chiese, cercando di sviare il discorso.
- Sì, tutto a posto anche con lui- annuì.
- Bene, sono contenta! E…hai cambiato idea sul conto di Shu adesso?- chiese titubante, probabilmente temendo di darle di nuovo motivo di pensare che fosse innamorata di lui - Insomma, non lo consideri più un mostro, vero?-
- No- le sorrise, cercando di rassicurarla - Non mi fido ancora del tutto di lui, ci vorrà del tempo per questo, ma non penso più sia un mostro-
- Mi fa piacere- le sorrise di rimando, stavolta in modo sincero - Come si è comportato durante la conversazione? Shu è un tipo molto chiuso e raramente fa discorsi personali, quindi mi chiedevo se ti avesse parlato in modo chiaro e diretto o se avesse avuto difficoltà. A volte quando non vuole confessare troppo è capace di liquidarti con frasi strane!-
 
Più parlava di lui e più le si illuminavano gli occhi, per non parlare di quel sorriso che si allargava sempre più a ogni parola. Descriveva quell’uomo come se fosse un unicorno, un essere raro che non si vedeva tutti i giorni. Fin da quando lo aveva conosciuto sotto le mentite spoglie di Dai Moroboshi, ai suoi occhi Akai era sempre stato uno come tanti, un uomo piuttosto chiuso e incapace di mostrare i suoi reali sentimenti, sicuro di sé tanto da sembrare uno spaccone alle volte. Si era sempre chiesta cosa ci trovasse sua sorella in lui, cosa avesse di così speciale da renderla così felice, e ora si stava facendo la stessa domanda con Jodie. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando Akemi le parlava di lui. Forse era anche per questo che apprezzava così tanto la compagnia di Jodie: aveva l’impressione che il destino le avesse dato l’opportunità di avere qualcosa di simile a quella sorella tanto amata che aveva perduto.
 
- Ha mantenuto la sua impassibilità anche mentre mi raccontava tutto ciò che mi avevi già detto il giorno prima, ovvero che amava davvero mia sorella. Ma questo è tipico di lui, non credo sia uno che versa molte lacrime, non è così?-
- Da quando lo conosco non l’ho mai visto piangere, almeno non in presenza di altre persone- annuì.
- Nonostante ciò devo ammettere che alla fine mi ha detto delle parole davvero molto belle e ho capito che dietro a quel suo modo di fare freddo in realtà c’è più gentilezza e altruismo di quanto non voglia far vedere. Ti confesso che in questo siamo simili-
- Ci vuole pazienza, Shu è fatto così!- sorrise alzando le spalle - Ma almeno non si è comportato come un orco, avevo paura che rovinasse lo sforzo che avevo fatto nel convincerti a tornare da lui!- ironizzò.
- Non vuoi sapere che cosa mi ha detto di preciso?- tentò di nuovo di stuzzicarla, ma stando attenta a non essere troppo esplicita come prima.
- Non vorrei essere troppo invadente, in fondo sono cose personali, però confesso che sono curiosa!- assunse un’espressione da ragazzina imbarazzata.
- Lo immaginavo- sorrise - Comunque mi ha detto che prima di morire mia sorella gli aveva inviato un messaggio chiedendogli di proteggermi nel caso la sua missione non fosse andata a buon fine. Lui ha mantenuto la parola data e ha detto che posso chiamarlo quando voglio e che posso fare affidamento su di lui per qualsiasi cosa-
 
Le faceva ancora effetto sentire quelle parole, l’emozione che le avevano dato era forte. Pur non considerandolo ancora un “amico”, le aveva fatto piacere sapere che c’era qualcuno che teneva a lei così tanto. Si chiese se davvero avrebbe mai fatto affidamento su di lui, ma solo il tempo le avrebbe dato una risposta. Forse era proprio questo lato di lui che aveva fatto innamorare sia sua sorella che Jodie.
Osservò la faccia di Jodie, che sembrava sinceramente stupita. Evidentemente nemmeno lei si sarebbe aspettata una simile dichiarazione, pur conoscendo Akai meglio di lei.
 
- Mi sembri sorpresa- le fece notare - Non avevi detto che Akai in fondo non è quello che sembra?-
- Sì…sì è solo che…Sapevo del messaggio che Akemi gli aveva mandato, ma conoscevo solo una parte del suo contenuto a quanto pare…- si fece pensierosa.
- Sapevi del messaggio?- ora era lei quella stupita.
- Shu ce lo disse perché era comunque una pista che ci portava alle mosse dell’Organizzazione, ma ha omesso la parte in cui Akemi gli aveva parlato di te. Immagino lo abbia fatto perché era una questione personale che riguardava solo voi- abbassò lo sguardo, rattristandosi, cosa che non sfuggì al suo occhio attento.
- Capisco- rispose semplicemente, temendo che se avesse aggiunto altro avrebbe peggiorato la situazione.
 
Forse Jodie non era a suo agio a sentir parlare di sua sorella, d’altra parte non è facile affrontare la donna che è stata la fidanzata dell’uomo che ami. Aveva parlato liberamente, certa che Jodie l’avrebbe ascoltata, ma non aveva pensato che alcuni argomenti avrebbero potuto causarle dolore. Doveva stare più attenta se non voleva che la sua amica si trasformasse in una nemica.
 
- Lo farai?- le chiese a bruciapelo.
- Cosa?-
- Lo chiamerai se avrai bisogno?-
- Forse, quando mi fiderò un po’ più di lui- ammise.
 
Si era appena ripromessa di non esagerare con Jodie, ma non riusciva a trattenere la sua curiosità di sapere. Forse trascorrere tutto quel tempo con Shinichi aveva contagiato anche lei. D’altra parte lei stava confessando un sacco di cose personali, quindi perché Jodie non doveva fare altrettanto? Non le stava chiedendo nulla di così segreto, solo una conferma dei suoi sentimenti per Akai. Doveva farle capire che poteva fidarsi di lei, ma non sapeva come. Non aveva mai avuto un’amica, non sapeva che atteggiamento assumere in quella situazione.
 
- Ci tieni molto a sapere di Akai e a parlare di lui, vero?- tentò nuovamente di spronarla.
 
Si aspettava che Jodie divagasse e cambiasse discorso come prima, invece si limitò a fissare il sushi che aveva nel piatto davanti a lei, forse senza nemmeno vederlo, come se non la stesse sentendo. Sembrava immersa in un universo parallelo, sul suo volto un’espressione malinconia e sofferente. Ecco, come non detto: aveva tirato troppo la corda e adesso si era spezzata. Mai come in quel momento capì cosa doveva aver provato Shinichi quando lei gli aveva detto che la loro amicizia era finita. Non si sarebbe mai perdonata se Jodie non le avesse più rivolto la parola a causa di quella stupida voglia di sapere.
 
- Mi dispiace, non sono affari miei. Non volevo importunarti, è solo che…beh, non so bene come ci si comporta fra amiche- ammise, abbassando lo sguardo anche lei.
- Come dici scusa?- le chiese di rimando Jodie, scuotendo leggermente la testa come per scacciare un pensiero diventato assillante e guardandola - Perdonami, mi sono distratta un attimo-
- Va tutto bene? Per caso ho detto qualcosa che ti ha turbata o infastidita?-
- No no, al contrario, mi piace molto chiacchierare con te!- le sorrise.
 
Un sorriso forzato, ben diverso da quelli calorosi e spontanei che le aveva fatto quando era andata a prenderla a casa del Dottore. Poteva mentire a se stessa, ma non a lei. Era stanca di bugie, non aveva più voglia di sentirne, nemmeno di piccole o innocenti come quella. Lei era stata onesta, perciò anche Jodie adesso doveva esserlo. A quel punto valeva la pena giocarsi il tutto per tutto: se davvero aveva rovinato la serata e anche la loro amicizia, allora ciò che le stava per dire non avrebbe cambiato nulla.
 
- Credo che dovresti aprirti e dire quello che stai pensando- le disse senza giri di parole - Io con te l’ho fatto. Mi sono confidata e ti ho detto delle cose personali, perché sento che di te posso fidarmi. Forse tu non ti fidi abbastanza di me o mi ritieni una ragazzina che non può capire certe cose, ma ti assicuro che non è così. Ho capito benissimo che sei innamorata di Akai, la domanda che ti ho fatto l’altra sera era retorica. Anche i muri di questo locale lo hanno capito, a dire il vero. Però per qualche motivo sconosciuto neghi l’evidenza e sembri addirittura turbata dal provare questo sentimento. Sento che c’è dell’altro dietro ed è proprio questo che non vuoi dire- concluse.
 
Quel che era stato fatto era stato fatto. Dalla risposta di Jodie sarebbe dipeso il finale della serata e soprattutto della loro amicizia. In cuor suo sperò in un esito positivo, ma la sua testa abituata a pensare sempre al peggio aveva già dato il verdetto. In fondo la vita non le aveva mai dato nulla di buono, quindi perché illudersi?
 
 
………………………….
 
 
Già da quando l’aveva conosciuta ed era ancora una bambina, vittima di quella strana droga progettata da lei stessa quando era ancora all’interno dell’Organizzazione, si era accorta subito del suo caratterino, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi davanti una ragazza così determinata. Nonostante avesse solo pochi anni in più rispetto alle ragazze liceali a cui aveva insegnato alla Teitan, Shiho dimostrava di essere una donna matura invece che una ragazzina adolescente. D’altra parte la vita che aveva fatto non le aveva certo permesso di essere una comune adolescente. La sua determinazione incredibile era invidiabile, le ricordava un po’ lei da bambina quando si ribellava a James e voleva fare la donna vissuta. Ormai aveva capito di essere stata smascherata, e di certo tutte quelle domande su Shuichi che le aveva rivolto non avevano fatto altro che alimentare e confermare i suoi sospetti. Non poteva farci nulla, non era in grado di nascondere quell’amore che non era mai svanito.
Si sentì una stupida nel farsi fare la ramanzina da una ragazza che aveva dieci anni in meno di lei. Doveva essere lei fra le due quella più responsabile, quella che poteva fare da “sorella maggiore” all’altra; invece si era ritrovata a fare la ragazzina innamorata a cui brillano gli occhi quando parla del ragazzo che le piace. Era patetica e si vergognava di se stessa. Forse il fatto di non avere mai avuto qualcuno a cui confidare i suoi sentimenti per Shuichi, sia prima sia dopo la loro rottura, l’aveva portata a non riuscire più a tenersi tutto dentro e a non sapere come comportarsi quando si toccava l’argomento. Anche lei non aveva avuto una vita facile, a ben pensarci.
Su una cosa in particolare, più di tutto il resto, aveva ragione: lei gli aveva confidato molte cose personali, aveva risposto a tutte le sue domande, si era fidata di lei; adesso era il suo turno. Forse ciò che Shiho cercava non era tanto una risposta alle sue curiosità, quanto una conferma del fatto che si fidasse di lei. Fino a quel momento non aveva realizzato quanto ci tenesse a quella loro nuova amicizia e saperlo la rendeva felice, perché anche per lei era lo stesso. Anche se il loro legame era nato per caso, le piaceva stare con quella ragazza che le somigliava in tante cose.
Prese un lungo respiro, pronta a far uscire quel “segreto” che si era tenuta dentro per tutti quegli anni.
 
- Avevi ragione- disse infine.
- Eh?- riuscì solo a dire Shiho, stupita da quelle parole che probabilmente non si aspettava.
- Quando l’altra sera mi hai chiesto se ero innamorata di Akai…avevi ragione-
 
Doveva ammettere che si sentiva più sollevata ora che aveva pronunciato quelle parole ad alta voce, ma al tempo stesso aveva paura che ora che aveva “lasciato andare” quel segreto non sarebbe più riuscita a recuperarlo nel caso si sarebbe rivelato un errore. Non voleva che arrivasse fino al diretto interessato. Non voleva prendersi un altro schiaffo in faccia da lui, esattamente come sei anni prima.
 
- Questo lo avevo già capito- sorrise la ragazza - Quello che non capisco è perché quando parli di ciò che provi per lui diventi improvvisamente triste. Una donna che parla di quanto è innamorata dovrebbe essere sempre felice, no?-
- Non se il suo amore è a senso unico…-
 
Abbassò nuovamente la testa, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di dissolvere quel nodo alla gola che quelle parole le avevano causato. Lo sapeva dentro di sé, ma dirlo apertamente faceva ancora più male. Era come ammettere la propria sconfitta.
 
- Non puoi saperlo fin che continui a nasconderlo ad Akai! Magari lui prova lo stesso per te ma non ti manda dei segnali perché è troppo orgoglioso e chiuso in se stesso. Lo hai detto anche tu. E poi si sa che la maggior parte degli uomini sono tutti così…- storse la bocca.
- Perché, tu sei un’esperta di comportamenti maschili?- cercò di fare una battuta per allentare la tensione - Comunque vorrei averla io la tua convinzione…- sorrise, anche se la tristezza nei suoi occhi tradiva il suo reale stato d’animo.
- Fai un tentativo, stare in silenzio a struggerti è peggio- insisté.
- Credimi, è meglio di no- scosse la testa - Ma ti ringrazio per il supporto-
- Ma perché?!-
 
Sgranò gli occhi davanti a quell’irruenza, che fece girare tutti i presenti nel locale verso di loro, generando non poco imbarazzo. Certo che si era davvero presa a cuore la questione! La vide tentare di ritirarsi come fanno le tartarughe nel proprio guscio: probabilmente si era resa conto di aver un po’ esagerato. Questo la fece sorridere, nonostante in quel momento non si sentisse per nulla felice. Allora ce l’aveva un lato da adolescente.
Tornò subito seria, consapevole che forse le stava per svelare l’ennesima verità nascosta di quella lunga storia, a meno che non lo avesse già fatto Shuichi.
 
- Perché il messaggio di cui parlavi prima, quello che tua sorella ha mandato a Shu prima di morire…Lui lo conserva ancora sul suo cellulare-
 
Dall’espressione stupefatta che Shiho fece a quella rivelazione, era evidente che Shuichi avesse omesso questo particolare. D’altronde era una cosa molto privata, perciò era da lui comportarsi in quel modo. Probabilmente aveva ritenuto superfluo dirglielo, confessarle di aver amato sinceramente Akemi era già abbastanza. Lei stessa non era certo a conoscenza di quel particolare perché fosse stato lui a dirglielo. Lo aveva scoperto per caso, un giorno come tanti. Si ricordava ancora la sensazione che aveva provato nel leggere sullo schermo il nome del mittente: una freccia avvelenata che mirava dritta al cuore. Poteva giurare di aver addirittura sentito il rumore delle crepe che si espandevano, mandando nuovamente in pezzi quel cuore che aveva passato la vita a ricostruire pazientemente. Quando rompi qualcosa puoi aggiustarlo e se si rompe nuovamente poi tentare di ripararlo ancora una volta, ma quando lo danneggi troppo non c’è più niente che si possa fare. Lei sapeva bene che non avrebbe retto a un’altra delusione, che non avrebbe avuto la forza di raccogliere i cocci. Voleva evitare di soffrire più di quanto non stesse già facendo, poter stare vicino a lui anche solo come amica era più facile che non riuscire più a guardarlo in faccia, o peggio ancora allontanarlo da lei. Shuichi non doveva sapere.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Un capitolo lunghetto stavolta! ^-^ Ebbene chi aspettava questa uscita fra Jodie e Shiho è stato accontentato (o almeno spero XD)! Che ne pensate? Vi aspettavate questa confessione da parte di Jodie? C’è qualcosa in particolare che vi ha colpito o il capitolo è stato una noia mortale? Spero di no! XD Come sempre fatemi sapere se volete le vostre impressioni, le vostre teorie, quello che pensate succederà nel prossimo capitolo. Sono curiosa di vedere se qualcuno indovina! ;) E se avete domande o non vi è chiaro qualcosa, come sempre sono a vostra disposizione!
Spero abbiate gradito questa prima parte della cena Shiho/Jodie!
Bacioni
Place 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Una serata movimentata ***


Capitolo 9: Una serata movimentata
 
 
Perché il messaggio di cui parlavi prima, quello che tua sorella ha mandato a Shu prima di morire…Lui lo conserva ancora sul suo cellulare-
 
Dopo quella rivelazione persino Shiho, che fino a quel momento aveva prevalso negli interventi della loro conversazione, era rimasta per qualche secondo in silenzio. Sentirsi dire da lui che sua sorella era stata davvero importante era un conto, parole come altre che non sapeva fino a che punto prendere sul serio, ma avere una prova così schiacciante era una conferma inaspettata. Anche lei in un certo senso avrebbe preferito sorprendersi di tutto ciò, perché la consapevolezza di sapere a volte la uccideva.
 
- Come lo sai?- le chiese infine la ragazza.
- Qualche tempo fa avevo chiesto in prestito il cellulare a Shu per inviare un messaggio a James, poiché il mio si era scaricato. Era un modello diverso dal mio quindi non sapevo usarlo alla perfezione e per sbaglio sono finita nella cartella dei messaggi archiviati e l’ho trovato- confessò - Non mi sono permessa di aprirlo e di leggerlo ma prendendo il considerazione la data e il mittente ho capito subito che si trattava di quello-
 
Abbassò nuovamente lo sguardo, cercando di combattere contro quel dolore che il ricordo le aveva provocato. Non aveva mai detto a Shuichi di aver trovato quel tesoro che lui nascondeva e conservava gelosamente, così come non gli aveva mai detto come la facesse sentire e cosa provasse ancora per lui dopo tutto quel tempo. Si arrabbiava terribilmente ogni volta che Shuichi le mentiva, ma a ben pensarci lei non era poi molto diversa. Aveva sempre pensato che fra loro fosse rimasta una certa complicità nonostante tutto, ma la verità era che a prevalere erano le bugie, i segreti e i silenzi pieni di verità non dette. Di certo non una base ottimale per un rapporto.
Dopo l’ennesimo silenzio in cui nessuna delle due sapeva cosa dire, Shiho riprese la conversazione.
 
- Magari lo ha conservato semplicemente come ricordo. Se davvero mia sorella è stata importante per lui come dice, sarebbe plausibile. Questo però non significa che non possa essere interessato a te o vederti come qualcosa di più di una semplice collega-
 
Questo era ciò che lei aveva sempre sperato, una vana illusione che per un attimo le dava gioia. Una gioia destinata a svanire, non appena la realtà prendeva nuovamente il sopravvento. La verità era che lei era Jodie la collega, non Jodie la donna da invitare ad uscire o Jodie la donna da amare. Non era più nemmeno Jodie la ex, perché Shuichi non le aveva mai davvero chiesto scusa per averla sacrificata e non le aveva mai chiesto come si fosse sentita o se avesse superato la cosa. Lo aveva dato per scontato, semplicemente. Come lui si era innamorato di un’altra donna, anche lei doveva aver superato la loro rottura, a rigor di logica. Forse era questo più di tutto a farle male, il fatto che Shuichi avesse dato così poca importanza alla loro storia e a tutto ciò che ne derivava, sentimenti compresi.
 
- Il motivo per cui lo conserva è che non ha mai smesso di amare tua sorella, anche dopo aver troncato i rapporti con lei- scosse la testa.
- E se quello che tu pensi sia amore fosse in realtà semplicemente senso di colpa? Akai-san non è riuscito a proteggere mia sorella e non può negare che se non si fosse avvicinato a lei forse adesso sarebbe ancora viva- la fissò negli occhi, prendendosi però una piccola pausa per metabolizzare il dolore che il ricordo della morte della sorella ancora le causava - Anche tu ti sentiresti in colpa se non riuscissi ad evitare la morte di una persona cara, giusto? A maggior ragione se fossi consapevole di esserne la causa. Quel messaggio potrebbe anche essere un promemoria, un memento che lui ha tenuto perché ogni giorno gli ricordasse che aveva fallito una volta e che non doveva farlo più, ma che doveva fare del suo meglio per rimediare e per vendicare e tener fede alla promessa fatta a chi non c’era più- concluse.
 
Per l’ennesima volta si stupì del fervore e della convinzione con quella ragazzina era in grado di esprimere le proprie convinzioni. Non sapeva se stava solo cercando di convincerla, di convincere se stessa o se davvero credeva in ciò che stava dicendo; in ogni caso era sorprendente la forza d’animo che sapeva tirare fuori. Aveva grinta da vendere e fiducia in se stessa, due qualità che non tutte le donne potevano vantare. Ma lei sapeva che a volte la convinzione non basta per far sì che qualcosa sia come vogliamo o crediamo noi. Gli esseri umani non hanno il potere di plasmare fino in fondo il proprio destino. Se avesse creduto alle sue parole sarebbe stata l’ennesima occasione per rifugiarsi in quel piccolo mondo di bugie che si era costruita, dove tornava di tanto intanto per illudersi. Anche sforzandosi, non riusciva a pensare a un altro motivo per cui Shuichi conservasse quel messaggio in particolare sul suo telefono, se non che non l’avesse mai dimenticata e che tutt’ora non volesse dimenticarla. Forse anche lui si era creato un piccolo mondo di bugie, solo che a quanto pare non voleva uscirne. Restare lì era più facile che andare avanti, e lei lo sapeva bene. Conosceva esattamente le fasi di un lutto, le aveva vissute in prima persona.
 
- Io credo che dovresti parlare con Akai-san ed essere sincera con lui, perché nascondersi non porta da nessuna parte e questo l’ho imparato sulla mia pelle- affermò convinta.
- Le cose sono più complicate di quello che sembrano…- sospirò, abbassando la testa.
 
Come poteva dirle che era stata la ragazza di Shuichi prima che lo diventasse sua sorella? Come poteva dirle che Shuichi l’aveva piantata in asso per iniziare quella apparentemente falsa relazione con Akemi? Aveva capito quanto fosse difficile per lei affrontare un discorso sulla sorella, non voleva certo far passare quest’ultima per una ruba-fidanzati o altro, né voleva la sua compassione per essere “la donna abbandonata”. Se glielo avesse detto, sicuramente Shiho si sarebbe sentita in colpa per averle fatto tutte quelle domande insistenti. Lei stessa si sentiva in imbarazzo perché stava avendo una conversazione simile con la sorella minore della donna che le aveva “rubato” il cuore di Shuichi dalle mani. L’unica cosa che poteva fare era tenersi quell’ultimo segreto per sé. Aveva rivelato anche troppo.
 
- C’è qualcos’altro che non mi hai detto, per caso?-
 
Alzò di scatto la testa, fissandola negli occhi con la paura di chi sa di essere stato scoperto. Come aveva fatto a capirlo?! Era davvero così facile leggere nei suoi occhi ciò che provava? Di certo non aveva fatto molto per mascherarsi, ma la inquietava il fatto che quella ragazzina potesse capire le più leggere sfumature dei suoi pensieri.
 
- Possiamo cambiare argomento, per favore?-
 
La sua era sembrata più una supplica che una cordiale richiesta, ma davvero non sarebbe riuscita a sostenere oltre quella conversazione. Le faceva male, troppo. Non era pronta per affrontarla e forse non lo sarebbe mai stata.
Shiho doveva averlo capito, poiché abbassò la testa dispiaciuta.
 
- Mi dispiace, ho esagerato. Mi sono intromessa nelle tue faccende personali e sono andata oltre senza rendermene conto. Volevo solo aiutarti come tu hai fatto con me-
- Lo so e ti ringrazio per questo- le sorrise sinceramente, posando una mano sulla sua - Non ce l’ho con te, davvero-
 
Nonostante il loro scambio di sorrisi e la consapevolezza che nessuna delle due aveva preso in antipatia l’altra, il resto della cena non proseguì esattamente come se lo erano immaginato. Si scambiarono poche, fugaci parole, giusto per rendere meno imbarazzante quel silenzio fatto di pensieri, e quando la sua espressione si faceva triste nel ripensare a tutto ciò che era stato detto, anche quella di Shiho lo diventava a sua volta. L’ultima cosa che voleva era farla sentire in colpa perché aveva cercato di aiutarla; al contrario apprezzava che si fosse presa così a cuore la situazione.
Nonostante il sushi fosse delizioso, faticò a mandar giù pochi bocconi, compreso quel dolce mochi di cui aveva tanto bisogno in quel momento. Ormai entrambe evidentemente sazie, di comune accordo decisero di pagare il conto e andare via.
Estrasse il portafoglio dalla borsetta, ma non fece in tempo ad aprirlo che la mano di Shiho bloccò la sua.
 
- Visto che ho rovinato la serata penso che offrirti la cena sia il minimo per rimediare- abbozzò un sorriso, nonostante sul volto avesse l’espressione di chi è pentito per aver appena commesso uno sbaglio.
- Oh, no, non posso accettare!- declinò l’offerta, stando attenta a farlo nel modo più cordiale possibile per non darle modo di pensare che fosse arrabbiata con lei.
- Allora permettimi di fare qualcosa per farmi perdonare. Magari potremmo andare da qualche altra parte, in un posto che ti piace. È ancora presto per tornare subito a casa- constatò dopo aver gettato una rapida occhiata all’orologio del locale.
 
Le venne da sorridere per quanto trovava dolce quell’atteggiamento: fino a quel momento Shiho si era presentata come una ragazza determinata e a volte troppo dura con se stessa e con gli altri, ma ora le stava mostrando un nuovo lato di sé, quello più sentimentale e probabilmente anche più nascosto. Forse era privilegiata a poterlo vedere: per questo motivo doveva assolutamente farle capire che non aveva nulla di cui essere dispiaciuta e che il loro rapporto non era stato minato da ciò che aveva detto.
 
- E se invece facessimo qualcosa che piace ad entrambe?- le fece l’occhiolino, riprendendo quel brio che da qualche ora sembrava essersi eclissato nel nulla.
- Ora che ci penso abbiamo sempre parlato degli altri ma mai di noi, quindi non sappiamo cosa piaccia all’una e cosa all’altra. So che sei un’agente dell’FBI ma non so chi sia Jodie quando non fa il suo lavoro. E tu sai chi è Ai ma non sai chi è Shiho- le fece notare.
 
A ben pensarci non aveva tutti i torti. A furia di parlare di Shuichi non si erano mai veramente dette chi fossero Jodie e Shiho, a prescindere dai drammi amorosi, familiari o altro. Tutte quelle chiacchiere e risultavano ancora due estranee.
 
- Allora presentiamoci adesso, che ne dici?- le propose.
- Potrebbe andare- accettò.
- Ok! Comincio io: adoro i videogiochi, sono molto competitiva a tal proposito! Da brava americana mi piacciono i “movies”, quindi andare al cinema. Preferisco l’azione alle storie mielose, ma in genere guardo un po’ di tutto. Mi piace passeggiare la sera lungo le strade illuminate e piene di vita di New York, e da quando sono qui mi piace passeggiare nei posti dove si può vedere il mare. Infine mi piacciono i giochi di società anche se forse sono un po’ troppo cresciuta per quelli!- sorrise entusiasta.
 
Lei non avrebbe mai potuto vedersi, ma quando parlava di ciò che le piaceva le si illuminavano gli occhi. Era una donna con molti interessi, eppure tutti semplici e quotidiani. Sembravano più gli interessi di una ragazzina che di una donna adulta, ma lei era fatta così ed era fiera di esserlo.
 
- Davvero ti piacciono i videogiochi?- le chiese incredula Shiho, forse con una punta di rimprovero come a dire “ma non sono cose da bambini?”.
- Che c’è di male?- strinse le spalle lei.
- Nulla, è solo che sono molto sorpresa. Insomma, chi si aspetterebbe che un’agente dell’FBI nel tempo libero giocasse ai videogiochi?- sorrise.
- Guarda che noi dell’FBI siamo persone normali come tutti gli altri!- le fece l’occhiolino - Ora tocca a te! Cosa ti piace?-
- Vediamo… Mi piacciono gli animali, la scienza, la moda e andare in moto- elencò in poche parole, com’era da lei.
- Andare in moto?- allargò gli occhi.
- Perché? Pensi che non sappia guidarla?- la guardò con aria di sfida.
- No no, è solo che non riesco a immaginarti su una moto a fare la biker spericolata!- scosse le mani, facendo dell’ironia - Sei sempre così tranquilla e taciturna-
- Allora immaginami con una borsa di pelle firmata- ci scherzò su anche lei.
- La moda, eh? Ti piace fare shopping?-
- Diciamo che non sono una spendacciona, mi accontento di un abito o di una borsa, purché siano di tendenza-
- Anche io ogni tanto mi concedo il lusso di qualche bel vestito!- confessò.
- Purtroppo i negozi sono chiusi a quest’ora, quindi temo che dovremmo rimandare lo shopping a un’altra volta-
- Anche i negozi e i parchi con animali sono chiusi. Facciamo una passeggiata?-
- A dire il vero non amo particolarmente aggirarmi per i viali di notte, anche se ci sono molte persone. Anzi, la troppa confusione mi infastidisce e le coppiette che passano per mano ancora di più- storse il naso.
- Sembra proprio che non abbiamo molto in comune- rifletté.
- Non importa se non mi piace qualcosa- la fissò seria - Se a te va facciamolo. Voglio che sia tu a scegliere, così potrò farmi perdonare per essere stata invadente. Lo so che non ce l’hai con me ma mi sento comunque in colpa- confessò.
 
Non c’era nulla da fare: se non le avesse dato modo di rimediare si sarebbe sentita in colpa per il resto dei suoi giorni. Era testarda anche in quello.
 
- D’accordo!- accettò infine - Ma a una condizione: la prossima volta che ci vedremo faremo qualcosa che piace a te, così saremo pari! Ok?-
- Va bene!- annuì, soddisfatta di aver ottenuto ciò che voleva.
- Allora andiamo in sala giochi!- batté le mani contenta - È un po’ che non gioco ai videogame-
- Io ci ho giocato qualche volta con i bambini, quando il Dottore ne inventava uno nuovo, ma non sono mai stata in una sala giochi- ammise.
- Vedrai che ci divertiremo un mondo, è wonderful!- si lasciò andare a un inglesismo, com’era solita fare quando era molto eccitata per qualcosa.
 
Entrambe d’accordo sulla destinazione e sull’aver finalmente risolto la questione “sensi di colpa”, pagarono il conto e salutando uscirono dal locale.
 
 
…………………….
 
 
- Arrivate!- disse Jodie, fermando la macchina poco distante dall’entrata della sala giochi.
 
Durante il tragitto avevano ripreso a chiacchierare con disinvoltura, come se l’inopportuna conversazione avuta poco prima fosse stata soltanto una parentesi imbarazzante fra amiche. Meglio così, non voleva davvero perdere quella complicità inaspettata che aveva instaurato con Jodie. Da ora in poi sarebbe stata più attenta riguardo all’argomento Akai, perché sapeva che c’era ancora qualcosa che Jodie stava nascondendo e che forse non le avrebbe mai detto. Non perché non si fidasse di lei come pensava, ma perché parlarne le arrecava, per qualche motivo sconosciuto, troppo dolore. Anche lei aveva cose di cui non voleva parlare con nessuno, quindi si ripromise di rispettare la scelta di Jodie.
Scesero dalla macchina, dirigendosi verso la porta. Si fermò un attimo a guardare la gigantesca insegna luminosa posta sopra di essa, che si espandeva lungo tutta la vetrata della sala, riportando la scritta “Game on Game”. Di giorno la si poteva anche notare poco nonostante la grandezza, ma di notte quando era tutta illuminata da quel gioco di luci che si rincorrevano non sembrava nemmeno la stessa.
 
- Sei pronta?- la richiamò Jodie, aprendo la porta e facendole l’occhiolino.
 
Annuì, sorridendo ed entrando in quel posto nuovo per lei. A primo impatto non era proprio il paradiso dei suoi sogni: tantissimi di ragazzi di ogni età (e anche persone adulte) si stavano dilettando nei giochi più disparati, qualcuno persino alzando la voce infervorato. Gli sembravano un gruppo di nerd assatanati che vivevano di quello. Tutta quella gente accanita e confusionaria non lo rendeva di certo il posto ideale per lei, abituata al silenzio e alla solitudine. Tuttavia non disse nulla, doveva farlo per Jodie. Per un’ora poteva anche portare pazienza.
 
- C’è qualcosa in particolare a cui ti piacerebbe giocare?- le chiese la bionda, invitandola a guardarsi intorno per individuare un gioco che avrebbe potuto interessarle.
- Scegli pure tu, per me va bene tutto- abbozzò un sorriso.
- Allora cominciamo con uno dei miei giochi preferiti!- la afferrò per un braccio, trascinandola in mezzo agli altri giocatori fino a uno di quegli sparatutto con la light gun.
 
Colta alla sprovvista, fissò per un attimo lo schermo del videogioco come se fosse intontita, per poi spostare lo sguardo sulla finta pistola e infine su Jodie.
 
- Ma non è un po’ troppo “da FBI”?- le chiese senza peli sulla lingua.
- Che vuol dire “da FBI”?- rispose la bionda non capendo.
- Voglio dire che il tuo lavoro comprende anche sparare ai criminali, quindi mi aspettavo che venendo in sala giochi per distrarti facessi qualcosa di diverso dallo sparare a qualcuno- incrociò le braccia al petto.
- Ma rincorrere e sparare ai criminali per lavoro è molto diverso!- si giustificò - I giochi lo fanno sembrare più divertente. E poi è un buon esercizio per prendere la mira!- affermò soddisfatta.
- Se lo dici tu…-
- Coraggio, provalo!- prese la light gun mettendola nelle sue mani.
- No, fallo tu- declinò l’invito, porgendogliela.
- Non ti piace?- la fissò con quell’aria dispiaciuta che solo i bambini avevano, ma che lei imitava alla perfezione.
 
Come si poteva dire di no a due occhioni azzurri che ti invitavano in quel modo? Jodie aveva la capacità di sembrare un cucciolo quando voleva, un’arma che sicuramente sapeva di avere e che usava nei momenti giusti per ottenere ciò che voleva. Era anche vero che lei era una tosta da convincere, ma dal momento che erano lì perché doveva farsi perdonare non le sembrò troppo carino fare la sostenuta.
 
- E va bene, lo proverò- accettò, sospirando - Ma solo perché me lo chiedi tu-
- Sììììì!- gingillò tutta contenta, inserendo una moneta per far partire il gioco.
 
Fissò lo schermo che le presentava un mondo immaginario popolato da mostri, gli stessi a cui lei avrebbe dovuto sparare. In effetti non aveva nulla a che vedere con la realtà, a ben pensarci. Quando dal gioco partì il fatidico countdown si posizionò con la pistola puntata, pronta a sparare. Di fianco a lei Jodie cominciò a darle consigli su come prendere la mira e sparare correttamente, ma dopo un po’ si rese conto che non era poi una pivellina, anche se non raggiungeva il suo livello.
 
- Però, sei brava!- si complimentò a fine gioco, vedendo il risultato davvero soddisfacente per una principiante.
- Non per nulla ho fatto parte di un’Organizzazione criminale- la guardò con una punta di malizia.
- Già, a volte lo dimentico…- ammise.
- Ora fammi vedere tu cosa sai fare, agente dell’FBI- la sfidò.
- Attenta ragazzina- l’avvertì, anche se si vedeva che stava scherzando.
 
Quando la vide in azione, oltre che a capire quanto Jodie fosse esperta di videogiochi (una vera fanatica a dirla tutta), si rese conto che forse aveva osato un po’ troppo nello sfidarla: stava dimostrando di aver ricevuto l’addestramento dell’FBI e soprattutto di aver imparato ciò che le era stato insegnato in modo eccellente.
 
- Complimenti, una vera campionessa!- si congratulò quando a fine gioco comparve la scritta “Perfetto!” sullo schermo.
- Sono brava, eh?- si vantò alzando il pollice, pur non mostrando alcun segno di malizia o presunzione - Che gioco facciamo adesso?-
- Non saprei…- si guardò intorno, continuando a vedere solo migliaia di nerd accaniti.
- Giusto!- s’illuminò improvvisamente la bionda, come colta da un lampo di genio, battendo una mano chiusa a pugno sul palmo dell’altra - Hai detto che ti piace guidare la moto, no?-
- E questo che c’entra?- chiese perplessa.
- Lo vedrai!- le fece l’occhiolino, afferrandola di nuovo per un braccio e trascinandola in giro per la sala.
 
Quando ancora si trovava nei panni di Ai, a volte trovava stancante dover stare dietro a quei bambini così vivaci che volevano coinvolgere lei e Shinichi nei loro giochi infantili. Aveva passato parecchio tempo con Ayumi in particolar modo, che la trascinava sempre con la sua euforia di bambina di sette anni. Ecco, quella sera le sembrava di essere tornata di nuovo a quando Ayumi le chiedeva di giocare con lei. Jodie era una delle persone più adulte in quella sala, eppure sembrava appartenere alla categoria degli adolescenti. La vecchia Shiho si sarebbe irritata nel dover aver a che fare con una persona simile, ma la nuova lei, migliore in qualche modo, stava apprezzando questa ventata d’aria fresca. Era come se, stando con Jodie, fosse contagiata dalla sua vivacità. Aveva voglia di divertirsi, di fare anche qualcosa di stupido: aveva voglia di vivere.
Si fermarono di fronte a quei racing game posti in fila uno accanto all’altro. Per lo più erano videogiochi che simulavano una corsa con automobili, ma Jodie l’aveva portata di fronte alle uniche quattro postazioni dove invece c’erano quelle finte moto abbozzate, che si potevano piegare a destra e a sinistra proprio come le moto vere. Di certo non era come salire in sella ad una Harley Davidson, ma era stato un gesto carino da parte sua.
 
- Che ne dici? Ti va se facciamo una gara?- le propose.
- Perché no!- accettò, stavolta senza farsi pregare.
 
Doveva ammettere che stava iniziando a divertirsi. Non era stata poi una cattiva idea andare lì.
Estrasse il portafoglio dalla borsetta, prendendo alcune monete e porgendone un paio a Jodie.
 
- Stavolta offro io-
- Ok!-
 
Si posizionarono sulle finte moto, stando attente a non dare spettacolo considerando i vestiti che stavano indossando, non proprio adatti a giocare alle biker spericolate. Mani salde sui manubri, concentrazione al massimo.
 
- Pronta?- le chiese Jodie.
- Sì!- annuì.
- Via!-
 
Inserirono velocemente e contemporaneamente le monete, in modo da far partire il gioco. Selezionarono la modalità “sfida” e si scambiarono un’ultima occhiata d’intesa, prima di cominciare a giocare seriamente.
In poco tempo una folla di ragazzi si radunò intorno a loro, anche se non capiva il reale motivo per cui fossero venuti, se perché attirati dalla loro bravura oppure dal fatto che due giovani donne su una moto erano pane per i loro ormoni. In ogni caso nessuna delle due vi prestò troppa attenzione, prese com’erano da quella gara. Si stavano divertendo come matte, ridevano e si punzecchiavano a vicenda, in una sana competizione fra amiche.
Quando la sfida terminò si goderono gli applausi degli spettatori, uniti a commenti come “bravissime!” o “siete stupende!”.
 
- Complimenti, hai vinto di nuovo!- porse la mano alla bionda.
- Non c’era poi tanta differenza nel punteggio, sei stata bravissima!- ricambiò.
- Sono fuori allenamento, non guido da tanto tempo-
- Beh ora potrai ricominciare, magari facendoti prestare la macchina dal Dottore!-
- E se invece mi prestassi tu la bella Mercedes dell’FBI?- la guardò furbetta.
- Purtroppo non è mia, devi chiedere a James- strinse le spalle - Intanto però puoi sempre esercitarti su quelle!- indicò le finte macchine di fianco alle moto con cui avevano appena giocato.
- Facciamo un’altra partita su quelle?- propose.
- Ah, vedo che ti stanno iniziando a piacere i videogames!- le picchiettò su una spalla con la mano.
- In effetti devo ammettere che non sono male-
- Bene, allora andiamo!-
 
Continuarono a giocare per due ore di fila senza nemmeno rendersene conto, passando da un videogioco all’altro. Sembrava fossero entrate da dieci minuti, ma quando Jodie controllò l’ora sul cellulare si accorsero che non era così.
 
- Accidenti com’è tardi!- sgranò gli occhi - È meglio se torniamo a casa, non voglio che il Dottore si preoccupi-
- Te l’ho già detto, ho diciotto anni, posso stare fuori anche fin dopo la mezzanotte- si lamentò.
- Però io ho promesso al Dottor Agasa che non avremmo fatto tardi, quindi devo fare l’adulta responsabile- si posò le mani sui fianchi, in una posa quasi statuaria.
- Ma se fino a due minuti fa sembravi una bambina al parco divertimenti!- le fece notare.
- Essere un adulto responsabile non significa non potersi divertire, ma semplicemente non esagerare nel farlo. Possiamo tornare qui un altro giorno se ti sei appassionata!- le fece l’occhiolino.
 
Le piaceva un po’ meno quando entrava in modalità “mamma prudente”, ma come sempre aveva ragione su tutto. D’altra parte non aveva quasi trent’anni per nulla.
 
- E va bene- storse il naso.
 
 
……………………..
 
 
Fermò l’auto davanti al cancello dell’abitazione del Dottore e scese anche lei dalla macchina, per assicurarsi che Shiho entrasse in casa sana e salva. Anche se non c’era più nulla da temere, dopo tutto ciò che avevano passato con l’Organizzazione era lecito che ci volesse tempo prima di fidarsi nel condurre una vita del tutto normale. Varcarono il cancello e si diressero fino alla porta, parlando sottovoce per non svegliare nessuno.
 
- Ti sei divertita?- le chiese.
- Molto!- ammise contenta.
- Mi fa piacere!-
- Anche se mi dispiace per quella conversazione al ristorante, ti chiedo nuovamente scusa se ti sono sembrata inopportuna- sospirò.
- Ora basta scusarti, non è necessario- la tranquillizzò - Ho capito che volevi aiutarmi e ti ringrazio, solo che…- chiuse gli occhi, senza terminare la frase.
- Non ti senti pronta- concluse al posto suo.
- Già…-
- Se un giorno dovessi esserlo, puoi contare su di me- le disse seria.
- Grazie- le sorrise.
 
Apprezzava molto il supporto che le stava dando, l’aveva appena conosciuta eppure si stava comportando come se fossero amiche da anni. Poche persone le avevano dimostrato ciò che le aveva dimostrato lei. Non sapeva se si sarebbe mai sentita abbastanza pronta per confessarle che sua sorella era la donna per cui il suo ex ragazzo l’aveva lasciata, ma di sicuro avrebbe tenuto conto del suo sostegno, che sarebbe stato assolutamente ricambiato.
 
- Allora, usciremo ancora insieme prima che tu torni in America?- interruppe il silenzio.
- Ma certamente! Però la prossima volta scegli tu cosa fare! Abbiamo fatto un patto, ricordi?- le chiese, riferendosi a ciò che si erano promesse al ristorante di sushi.
- Certo- annuì sorridendo - Allora buonanotte e grazie di tutto-
- Ma figurati!- le sfregò amorevolmente una mano su una spalla - Buonanotte anche a te-
 
Ritornò alla macchina, ma prima di aprire lo sportello e sedersi gettò un’ultima occhiata alla porta, per assicurarsi che Shiho entrasse e si chiudesse dentro. Non che pensasse che sarebbe fuggita a far baldoria in qualche locale non appena lei se ne fosse andata, aveva capito che era una ragazza saggia e con la testa sulle spalle; voleva solo accertarsi che non ci fossero malintenzionati nascosti nei paraggi, pronti ad emergere dal buio. La vide aprire la porta e girarsi per vedere se fosse ancora lì, probabilmente non avendo sentito il motore della macchina accendersi. Si salutarono con un gesto della mano e poi Shiho chiuse la porta. Soddisfatta e tranquilla, anche lei entrò in macchina e la mise in moto, pronta a tornare a casa. Nel passare davanti a casa Kudo, non mancò di gettare un’occhiata all’interno, ripensando inevitabilmente alla conversazione che aveva avuto con Shiho poche ore prima. Le luci erano tutte spente, segno che Shuichi e Shinichi erano già andati a dormire.
Mentre si allontanava sempre più lungo la strada, si chiese con nostalgia se un giorno anche lei avrebbe avuto l’occasione di poter vivere sotto lo stesso tetto con Shuichi o se quello sarebbe rimasto solo un sogno come tanti. Presa com’era nei suoi pensieri e soprattutto troppo lontana dalla finestra della villa, non si accorse di quegli occhi che, nascosti dietro la tenda nell’oscurità, avevano assistito a tutta la scena.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Ed eccoci alla fine del nono capitolo, che si è concluso (spero) con suspense! Chi sarà che ha visto Jodie riaccompagnare a casa Shiho? Shinichi o Shuichi?
Faccio alcune precisazioni in merito al capitolo:
- Parlando delle passioni di Jodie, di confermato c’è solo il fatto che le piacciono i film (ricordate la famosa frase “like in movies”?) e i videogiochi. Il resto me lo sono inventata pensando a cosa poteva piacerle.
- Parlando delle passioni di Shiho, l’unica che potrebbe non essere considerata canon è il fatto di andare in moto: infatti questo particolare l’ho preso dal movie Lupin vs Detective Conan dove lei dice di essere in grado di guidare una Harley poiché in passato ne aveva una.
- Non sono una appassionata di videogiochi e non ho mai giocato a nessun videogioco, quindi se troverete qualche stupidaggine nella descrizione della sala giochi perdonatemi! La mia conoscenza si ferma alle piccole sale giochi ambulanti delle fiere e a ciò che si è visto nell’episodio 245 dove Jodie compare per la prima volta! XD
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e che questa storia continui ad appassionarvi! Grazie a tutti quelli che mi seguono, da chi legge in silenzio a chi lascia un commento! ♥
Baci
Place

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Un dolce, diabolico piano ***


Capitolo 10: Un dolce, diabolico piano
 
 
Versò le uova sbattute nella padella scaldata in precedenza, osservandole sfrigolare e assumere la classica colorazione gialla della cottura. Accertatosi che il lato sottostante fosse cotto, sollevò con una paletta metà dell’omelette e la piegò sull’altra metà, spegnendo il fornello. La fece poi scivolare in un piatto, che poggiò sul bancone della cucina vicino a un vasetto di marmellata e un tubetto di glassa di cioccolato. Sarebbe stato il destinatario di quella colazione a decidere con cosa farcirla. Nell’attesa che arrivasse, si preparò un buon caffè, com’era solito fare ogni mattina.
Il giovanotto nella sua divisa scolastica non tardò ad arrivare, entrando in cucina mentre si stava ancora allacciando la giacca e sistemando la cravatta.
 
- Buongiorno- lo salutò.
- Che profumino!- esclamò il ragazzo in tutta risposta, avvicinandosi al bancone e osservando stupito l’omelette nel piatto.
- Sono contento che ti piaccia, visto che è per te- sorrise, versandosi il caffè ormai pronto in una tazzina.
- L’ha preparata per me?- si indicò con l’indice - Non c’era bisogno, si crea sempre troppo disturbo Akai-san-
- Nessun disturbo, ti ripeto che sono un ospite in questa casa- bevve il primo sorso dalla tazzina.
- Lei non mangia mai nulla?- si sedette al bancone, prendendo la glassa al cioccolato e versandone un po’ sopra all’omelette.
- Di solito no, mi basta una buona tazza di caffè. Qualche volta faccio un eccezione ma il più delle volte mangio qualcosa in tarda mattinata-
- Capisco- annuì, tagliando un pezzo di quell’appetitosa colazione e portandoselo alla bocca.
 
Lo osservò masticare con gusto, assaporando il cibo. Si compiacque di vederlo così, significava che ciò che gli aveva preparato era stato gradito.
 
- È squisito!- disse infine, quando ebbe deglutito.
- Bene, sono contento- gli sorrise - A proposito di dolci, vorrei chiederti una cosa- posò la tazzina ormai vuota nel lavello, facendovi scorrere un po’ di acqua dentro.
- Mi dica- lo ascoltò con attenzione.
- Ti spiace se invito qui Jodie per mangiare una fetta di torta?- arrivò dritto al punto, com’era solito fare.
 
Lo vide assumere un’aria a metà fra il sorpreso e lo stranito, come se non si aspettasse quella richiesta. Non poteva biasimarlo, in effetti agli occhi di chi non sapeva poteva sembrare una domanda strana.
 
- No, certo che no- rispose infine - Ma perché una torta?-
- Il fatto è che qualche giorno prima le ho parlato di una pasticceria molto bella qui nel quartiere, nella quale sono andato e devo dire fanno dolci molto buoni. Jodie è un po’ golosa e le è venuta voglia di torta, così le ho promesso che avrei preso una delle loro torte per fargliela assaggiare. Inoltre mi ha confessato che ha voglia di vedere il suo detective preferito, quindi ho pensato di invitarla direttamente qui-
 
Aveva modificato un po’ la realtà, non poteva dire come stavano esattamente le cose, altrimenti avrebbe dovuto dare ulteriori spiegazioni. Erano piccole bugie innocenti dopotutto, non avrebbero fatto male a nessuno. Inoltre sapeva come colpirlo nell’orgoglio, sentirsi dire di essere il detective preferito di un agente dell’FBI doveva essere un vanto per lui; d’altra parte Jodie non gli aveva mai nascosto la simpatia che nutriva nei suoi confronti. Non c’era motivo per cui non dovesse credere alle sue parole.
Come si aspettava, lo vide arrossire leggermente, abbozzando un sorriso: aveva abboccato.
 
- D’accordo, per me non c’è problema. Che ne dice di invitare anche Shiho? Così potrete parlare di nuovo- suggerì.
- Mi sembra un’ottima idea- accettò.
- Allora le telefono lungo la strada- si alzò dalla sedia portando il piatto ormai vuoto nel lavello insieme alla tazzina, pronto per andare a scuola.
- Se non ti spiace stavolta vorrei andare io a chiederglielo di persona, altrimenti potrebbe pensare che continuo a nascondermi dietro di te-
 
Il giovane detective annuì, lanciando una rapida occhiata all’orologio e di conseguenza precipitandosi a prendere la sua cartella. Non poté fare a meno di sorridere: come al solito era in ritardo.
 
- Io devo scappare, ci vediamo stasera!- lo salutò, correndo fuori dalla porta.
 
Rimasto solo, si accese una sigaretta e indossò la sua giacca di pelle, pronto anche lui per uscire e cominciare una nuova giornata di lavoro.
Uscì anche lui dalla villa, chiudendo la porta a chiave ed entrando in macchina. Prima di allontanarsi lungo la via, lanciò un’occhiata in direzione della casa del Dottore, lasciandosi andare ad un sorrisetto che lasciava trasparire la soddisfazione nell’aver progettato un piano perfetto.
 
 
 
Qualche minuto dopo raggiunse la sede dell’FBI. Parcheggiò la macchina e si apprestò a salire sull’ascensore, diretto all’ufficio dove Jodie stava lavorando il giorno prima, convinto di trovarla ancora lì alle prese con il caso di Vermouth. Arrivato lì, però, trovò la scrivania vuota. Pensò che potesse essersi assentata, ma avvicinandosi si accorse che su di essa non c’erano fascicoli o carte, segno che nessuno stava lavorando in quella postazione. Uscì com’era entrato, pensando a dove potesse essere.
Mentre camminava lungo il corridoio, incontrò Camel che usciva da un altro ufficio. Forse lui sapeva dov’era, in fondo aveva lavorato spesso con Jodie dopo il suo arrivo in Giappone.
 
- Buongiorno Akai-san- lo salutò amichevolmente.
- Buongiorno. Hai visto Jodie per caso?-
- Sì, l’ho vista entrare nell’ufficio di James circa un’ora fa, credo che stia lavorando con lui per il processo di Vermouth. C’è forse qualche problema?- chiese, forse accortosi della fretta con cui gli aveva chiesto dove fosse la bionda collega.
- No, nessun problema- rispose semplicemente, salutandolo con un cenno della mano e piantandolo lì nel corridoio, diretto all’ufficio di James.
 
Un altro se la sarebbe sicuramente presa, ma ormai era certo che Camel si fosse abituato al suo modo di fare e fosse consapevole che non vi era cattiveria o spavalderia in esso. Semplicemente era fatto così.
Raggiunto l’ufficio di James bussò alla porta, attendendo il permesso per poter entrare.
 
- Avanti- udì la voce roca e consunta dagli anni di James dall’altra parte.
 
Aprì lentamente la porta, restando però fermo sul vano. Osservò all’interno della stanza, trovandovi James a sedere alla scrivania e Jodie seduta di fronte a lui dal lato opposto. Sul tavolo c’erano le carte che cercava prima, segno che Camel aveva ragione sul fatto che stessero lavorando sul caso di Vermouth.
 
- Buongiorno Akai- lo salutò James - C’è forse qualcosa che non va?-
 
Si chiese con autoironia come mai ogni volta che chiedeva di qualcuno o entrava in una stanza, chiunque fosse la persona di fronte a lui pensava che ci fosse un problema. Non poteva di certo definirsi un bravo ragazzo che si teneva lontano dai guai, però non pensava di avere una così cattiva reputazione. Un altro al posto suo se la sarebbe presa, ma lui lo trovava persino buffo. In un certo senso ora comprendeva perché sua madre lo riprendeva sempre quando era più giovane, doveva averle dato del filo da torcere col carattere che si ritrovava.
 
- No, in realtà cercavo Jodie- spostò lo sguardo su di lei, che lo fissava in attesa di sapere cosa volesse - Più tardi hai un minuto? Vorrei parlarti di una cosa-
- Perché, è successo qualcosa?- chiese lei, cercando di non agitarsi prima di aver saputo la risposta.
 
Non c’è due senza tre, dopo Camel e James anche lei doveva fargli la stessa domanda. Cercò di trattenere un sorrisetto ironico, in modo tale da non dover dare spiegazioni.
 
- Tranquilla, tutto a posto- la rassicurò.
- D’accordo, finisco una cosa e poi ti raggiungo nell’ufficio dove abbiamo lavorato ieri-
- Bene- annuì - Scusate il disturbo-
 
Richiuse la porta, congedandosi dal capo e dalla collega. Ripercorse il corridoio tornando nell’ufficio nel quale era entrato poco prima, appoggiandosi alla scrivania con le mani nelle tasche. Lì attese pazientemente che la bionda lo raggiungesse, ripetendosi mentalmente tutto ciò che doveva dirle per far sembrare la sua messa in scena il più reale possibile.
 
 
 
Mezz’ora dopo Jodie entrò, reggendo fra le mani il fascicolo al quale lavorava da giorni.
 
- Scusa se ti ho fatto aspettare Shu. Di cosa volevi parlarmi?- chiese, appoggiando la cartella sulla scrivania e rivolgendogli i suoi occhi azzurri come il cielo limpido.
 
Ci si poteva perdere in quegli occhi, se solo non fosse stato una persona così fredda. Freddo non era nemmeno l’aggettivo giusto, forse era meglio dire stoico.
 
- La torta che tanto desideravi arriverà questo pomeriggio, perciò se vuoi puoi venire a casa Kudo stasera. Ho già chiesto a Shinichi e lui ha detto che non c’è problema, anzi, gli fa piacere ricevere una tua visita- sorrise, ripensando a come lo aveva elogiato da parte della donna quella mattina.
 
Osservò la sua faccia sorpresa a quella notizia, molto probabilmente non si aspettava che avrebbe risolto in così poco tempo la questione torta. D’altra parte non poteva dargli torto: fino al giorno prima sembrava essersi completamente dimenticato di quella faccenda.
 
- Perfetto, allora stasera vengo!- sorrise contenta, mascherando l’incredulità di poco prima.
- Ti aspetto per le nove- rispose, avviandosi verso l’uscita.
- Ok-
 
Senza aggiungere altro lasciò l’ufficio e la collega. Girato di spalle, non fu in grado di vedere l’espressione malinconica di Jodie, la quale si stava chiedendo come mai a differenza del giorno prima sembrava che volesse fuggire da lei invece che passare del tempo insieme. Ignaro di ciò, si lasciò andare ad un sorrisetto di compiacimento, consapevole di aver appena ottenuto quello che voleva.
 
 
 
…………………………..
 
 
 
Erano ormai le tre del pomeriggio quando controllò l’ora sul cellulare, dopo aver passato le precedenti ore ad aiutare i colleghi con gli ultimi preparativi prima del ritorno negli Stati Uniti. Ormai non c’era più molto lavoro da fare, almeno non per lui. Il suo scopo l’aveva ottenuto, il suo peggior nemico stava marcendo sottoterra, la sua vendetta per le persone a lui care si era compiuta. Il resto era solo una proforma.
Tornò nell’ufficio di James, sapendo che lo avrebbe trovato ancora lì.
 
- Sei di nuovo tu Akai- gli fece notare, ma senza rimprovero o segno di fastidio.
- Oggi ho deciso di fare la parte dello scocciatore- ironizzò.
- Non riesci proprio a stare con le mani in mano, eh?- sorrise l’anziano, che dopo tanti anni aveva imparato a conoscerlo fin troppo bene - Purtroppo per te non c’è molto lavoro-
- Va bene così, la prendo come una piccola vacanza. A tal proposito volevo chiederti se potevo uscire prima, avrei una commissione da sbrigare- rimase vago.
- Direi che non c’è nulla di urgente di cui tu debba occuparti, perciò vai pure-
- Ti ringrazio James, a buon rendere- lo salutò.
 
Apprezzò che l’uomo non gli avesse fatto domande riguardo alla commissione, ma probabilmente non lo aveva fatto perché conoscendolo sapeva che non avrebbe ricevuto risposta, o per lo meno una soddisfacente. James aveva sempre rispettato il suo non voler parlare dei proprio affari personali, aspettava sempre che fosse lui a dire qualcosa come e quando lo voleva. Si poteva dire che fossero l’esperienza e la saggezza dell’età a renderlo così comprensivo.
Prese l’ascensore e tornò al piano terra, dove uscì dall’edificio e salì in macchina, diretto alla pasticceria. I preparativi avevano inizio.
 
 
 
Venti minuti dopo fermò la macchina a pochi metri dalla vetrina della pasticceria che aveva scelto come complice del suo piano. Ne aveva scelta una molto carina e con dolci appetitosi, proprio perché ciò che aveva raccontato a Jodie sulla torta speciale potesse essere credibile. In fondo non gli risultava che Jodie avesse frequentato molte pasticcerie da quando era in Giappone, perciò non sarebbe mai arrivata a capire da una sola occhiata la provenienza del dolce che le avrebbe servito.
Entrò nel negozio e attese il suo turno, approfittandone per far scorrere lo sguardo sulle torte esposte e scegliere così quella che avrebbe acquistato. Ne trovò una perfetta, una cheesecake con la base di biscotti finemente decorata nella parte superiore da un cerchio colmo di mirtilli con sopra appoggiata una targhetta a forma di fiore fatta di cioccolato al latte, il tutto completato da fragole disposte a raggiera. Non esitò ad acquistarla quando la commessa sorridendo gli chiese cosa desiderasse e con la stessa velocità la portò nel frigorifero di casa Kudo prima che potesse sciogliersi o andare a male. Ora gli restava solo un’ultima cosa da fare per completare il tutto, ma prima si concesse il lusso di una sigaretta per rilassarsi. Non che si fosse stressato molto nello scegliere la torta e portarla a casa; la verità era che rincontrarla di nuovo faccia a faccia lo rendeva ancora un po’ nervoso. Sapeva che quel chiarimento non era sufficiente a far sì che potessero avere un rapporto normale e civile come due amici di vecchia data, si aspettava comunque ostilità da parte sua.
Spense il mozzicone nel posacenere sul tavolo e uscì nuovamente di casa, dirigendosi dal Dottor Agasa. Suonò il campanello e attese con le mani in tasca che la porta si aprisse. Si chiedeva se sarebbe venuta lei ad accoglierlo, ma invece si ritrovò davanti il Dottore.
 
- Salve Dottore- lo salutò cordialmente.
- Oh, buon pomeriggio Akai-san. Ma non dovrebbe essere al lavoro a quest’ora?- gli chiese lo scienziato, sorpreso di vederlo lì a metà pomeriggio.
- Non c’è rimasto molto da fare e così ho chiesto un permesso per poter sbrigare alcune commissioni personali. Posso entrare? Scusi se mi presento a mani vuote-
- Ci mancherebbe, venga pure!- lo invitò sorridendo ad entrare in quella stravagante casa.
- Grazie. Spero di non disturbarla-
- Stavo lavorando insieme a Shiho ad una nuova invenzione, una piccola pausa farà bene ad entrambi!- spiegò mentre lo scortava all’interno del salone.
 
Giunto lì trovò Shiho intenta a studiare formule chimiche che molto probabilmente servivano a quell’invenzione di cui parlava il Dottore. La vide alzare gli occhi non appena sentì i loro passi avvicinarsi e quando incrociò lo sguardo con il suo un’espressione stranamente decifrabile comparve sul suo volto. Poteva definirla un misto fra sorpresa, contrarietà e fastidio. Forse anche un po’ di timore, ma non più come prima. Probabilmente le dava ancora noia vederselo piombare in casa dal nulla, era comprensibile, ma almeno non lo fissava più con tutto quell’odio negli occhi, perciò poteva ritenersi fortunato. Ora stava a lui continuare a comportarsi bene con lei.
 
- Ciao principessa, sei al lavoro?- le sorrise, sforzandosi di non farlo sembrare un sorriso da bastardo come era suo solito.
- Non si può dire lo stesso di te- gli fece notare, con una nota di sarcasmo pungente.
- Diciamo che mi sono preso un giorno di ferie- continuò a sorridere all’irriverenza della giovane donna, che in quanto a brutto carattere era una sua degna avversaria.
- Che cosa ci fai qui?- arrivò dritta al punto.
- Su, cerca di essere un po’ più gentile!- la rimbeccò Agasa.
- Non si preoccupi Dottore- lo tranquillizzò - In fondo ha ragione, sono venuto qui in pieno pomeriggio e senza dare spiegazioni. Ad essere sincero cercavo proprio te, signorina-
- A che pro?- continuò a fissarlo con sguardo indagatore.
- Ti piacciono i dolci?-
- Eh?- lo fissò incredula, aspettandosi di tutto meno che una domanda del genere.
- Ho comprato una torta deliziosa e mi chiedevo se ti andasse di venire ad assaggiarla questa sera. Ovviamente l’invito è anche da parte del tuo amico detective, attualmente padrone di casa- precisò, pensando che l’avrebbe resa più tranquilla sapere che non sarebbero stati soli.
 
La sua espressione mutò dall’incredulità alla titubanza, mostrando quanto le fosse difficile ancora accettare un semplice invito come quello se era lui a rivolgerglielo. Poteva anche ricevere un no come risposta, ma in cuor suo sperò che fossero già andati oltre la fase del rifiuto. Aveva pianto davanti a lui, quindi poteva anche accettarlo un invito per una torta.
 
- Va bene- disse alla fine, quasi sospirando, anche se non era proprio convinta del tutto.
- Perfetto, allora ti aspettiamo per le nove- le diede lo stesso orario che aveva confermato a Jodie, per essere sicuro che fossero tutti lì nello stesso momento.
- A quanto pare starai fuori casa anche stasera- commentò lo scienziato, che fino a quel punto era rimasto in disparte nella conversazione - Dovrò farci l’abitudine a rimanere da solo-
 
In tutta risposta, la giovane scienziata lo fulminò con lo sguardo, facendolo rabbrividire: probabilmente aveva parlato troppo. C’era una parola in più in quella frase, una parola che poteva aprire una porta blindata chiusa a chiave. Ovviamente a un tipo come lui non era sfuggita e lei lo sapeva, altrimenti non avrebbe mai rimproverato Agasa in quel modo. Sorrise impercettibilmente, soddisfatto.
 
- Oh, quindi sei uscita ieri sera- la anticipò, prima che potesse dire qualsiasi cosa al povero Dottore.
- Non sono affari tuoi!- rispose secca lei, mettendosi sulla difensiva - Il fatto che abbia accettato di avere un rapporto civile con te e di provare ad andare d’accordo non implica che io debba raccontarti tutto quello che faccio!-
- Insomma Ai! Non c’è bisogno di essere così scontrosa!- la riprese nuovamente lo scienziato, senza rendersi conto di averla chiamata, nell’impeto, con lo pseudonimo che lui stesso le aveva dato.
- No, ha ragione- lo fermò, tranquillizzandolo - Sono stato scortese a impicciarmi degli affari suoi. Ti prego di scusarmi- chinò leggermente il capo.
 
Poteva anche abbassarsi a chiedere scusa per la sua invadenza: aveva già ottenuto quello che voleva. Shiho cercava di nascondere qualcosa o per meglio dire qualcuno. Era abbastanza abile da farla uscire allo scoperto anche senza fare domande dirette, che sarebbero risultate troppo sconvenienti. Non voleva allontanarla di nuovo, voleva solo soddisfare la sua curiosità. Gli restava un’ultima carta da giocare.
 
- Sarà meglio che vada adesso. Allora ti aspetto stasera per le nove- le ricordò l’appuntamento, sperando che nel frattempo non avesse cambiato idea - Ah, se vuoi puoi portare con te anche quella famosa amica di cui hai parlato l’altra sera. A più tardi-
 
Si lasciò scortare alla porta dal Dottore, salutandolo un’ultima volta prima di uscire definitivamente. Ormai lontano dal salone, non poté vedere l’espressione scioccata sul volto di Shiho, anche se in un certo senso l’aveva immaginata. Di certo non si aspettava che avesse origliato la conversazione avuta con Shinichi, così come non si aspettava che avesse preso a cuore quella faccenda dell’amica. Sapeva che con quell’invito aveva insinuato in lei dei dubbi, in fondo la conosceva meglio di quanto credesse e non era difficile prevedere le sue mosse. Il colpevole che teme di essere scoperto finisce sempre con lo smascherarsi da solo e un detective che si rispetti conosce ogni trucco per costringere il colpevole a mascherarsi il prima possibile.
Mentre camminava diretto nuovamente a casa Kudo, si concesse nuovamente il lusso di un sorriso di compiacimento, proprio come quello che aveva fatto dopo l’invito a Jodie. Il suo piano era stato portato a termine con successo.
 
 
……………………………
 
 
Quando il Dottor Agasa tornò nel salone era ancora lì con la faccia stranita a chiedersi cosa c’era dietro quelle parole. Possibile che in qualche modo avesse scoperto che l’amica di cui parlava era Jodie? Non era da escludere, Akai aveva dimostrato già all’epoca in cui era infiltrato nell’Organizzazione di essere uno che non fatica a trovare prove quando vuole scoprire qualcosa. Magari era stata la stessa Jodie, incapace di mascherarsi di fronte a lui, a fornirgliele senza volere. Ma se sapeva, perché non dirglielo e basta? Non le aveva forse promesso di smetterla di tramare alle sue spalle? Le venne nuovamente il dubbio di non potersi fidare al cento per cento di lui, d’altra parte sapeva bene che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
 
- Mi spieghi perché ti sei comportata così male con il signor Akai?- interruppe i suoi pensieri il Dottore, facendole la ramanzina - Mi sembrava che aveste fatto pace!-
- Non mi piace che continui a spiarmi- incrociò le braccia al petto.
- Non è venuto per spiarti, voleva solo invitarti a mangiare una fetta di torta- lo difese.
- Non mi riferivo a questo ma al fatto che sa che volevo portare un’amica con me quando sarei tornata lì. Era un particolare che avevo detto solo a Shinichi mentre parlavamo in privato, perciò se lo sa è perché ci stava spiando!-
- Calma, non giungere a conclusioni affrettate- cercò di farla ragionare - Magari era in una stanza vicina alla vostra e ha sentito inavvertitamente la vostra conversazione. O forse è stato Shinichi stesso a dirglielo-
 
Non rispose, non aveva tempo di analizzare le teorie del Dottore o di indagare su come ne fosse venuto a conoscenza: doveva correre ai ripari prima che fosse troppo tardi. Afferrò il cellulare e cercò il numero di Jodie nelle ultime chiamate, incurante dei richiami dello scienziato che le chiedeva di prestarli attenzione. Attese in linea fino a quando non sentì la voce della bionda dall’altro lato.
 
- Hello! Senti già la mancanza dei videogiochi?- scherzò, com’era nella sua indole.
 
Non sembrava minimamente tesa o preoccupata e questo alimentò ancora di più i suoi dubbi. Si stava facendo paranoie inutili? Forse Akai era solo curioso di sapere chi fosse quell’amica ma non sospettava minimamente di Jodie.
 
- Akai-san è appena stato qui- arrivò dritta al punto, senza nemmeno un “ciao”.
- Eh?!- sembrò sorpresa lei - Ma scusa, non dovrebbe essere qui? Io non l’ho più visto da stamattina perché mi sono occupata di una cosa, ma non sapevo che se ne fosse andato prima…-
- Ha detto che aveva delle commissioni da sbrigare e che comunque non c’era più nulla da fare per lui. In ogni caso mi ha invitata a mangiare una torta a casa di Shinichi questa sera alle nove-
- Dici sul serio?! Ha fatto lo stesso invito anche a me stamattina!- esclamò.
 
Sgranò gli occhi a quelle parole, mentre in battito del cuore accelerava. Come non detto: sospettava eccome di Jodie. Anzi, probabilmente sapeva esattamente che l’amica era Jodie, altrimenti perché invitarla alla stessa ora, nello stesso posto, con la stessa scusa? Se era una coincidenza aveva dell’assurdo, tanto da mettere i brividi.
 
- Credi che sospetti qualcosa?- le chiese.
- Non saprei…insomma, non ne avrebbe motivo. La storia della torta è tutta una messa in scena che ha creato perché quando Shinichi lo ha chiamato dopo aver parlato con te per informarlo che saresti andata a chiarire le cose con loro, non volendo dirmi cosa si erano detti, si è inventato la scusa che il Dottor Agasa aveva ordinato per loro una torta particolare che facevano solo in una pasticceria specifica. Io l’ho punzecchiato un po’ per vedere fino a che punto era bravo a mascherare la cosa e lui mi ha invitata ad andare ad assaggiarla quando sarebbe arrivata. Visto che ho continuato a chiedergli se era arrivata oppure no credo si sia visto costretto a farlo per non rimangiarsi la parola e far sì che mi insospettissi. Probabilmente ha invitato anche te perché pensa che sia una buona occasione per stare insieme e per conoscervi meglio ora che avete chiarito- concluse - Non vedo perché dovrebbe avere dei sospetti su di noi-
- Perché prima di andarsene ha detto una frase che solo io e Shinichi potevamo sapere. L’altra sera ho parlato da sola con Shinichi sulla porta di casa e gli ho chiesto se quando sarei tornata avrei potuto portare con me anche un’amica. Ovviamente non ho fatto nomi, quindi nemmeno Shinichi sa che parlavo di te. Credevo che Akai fosse in un’altra stanza o per lo meno lontano da noi, ma evidentemente si trovava a pochi metri e ha sentito tutto. Oggi se n’è andato dicendomi “se vuoi puoi portare con te anche quella famosa amica di cui hai parlato l’altra sera”- imitò in malo modo la sua voce- Ecco perché sospetto che sappia. Magari si è messo di nuovo a spiarmi e ha sentito mentre ti telefonavo oppure ha visto che siamo uscite-
- Accidenti…se così fosse sarebbe un disastro! Come potremmo spiegare di aver fatto amicizia omettendo il fatto che ti ho raccontato delle cose sue personali?- sospirò, ora chiaramente preoccupata - Perché hai chiesto se potevo venire anche io?-
- Perché volevo sdebitarmi con te e l’unico modo che mi è venuto in mente è stato invitarti a passare del tempo con Akai-san fuori dall’orario di lavoro, visto che mi ero accorta che provavi qualcosa per lui anche prima che te lo chiedessi apertamente- ammise.
 
Ci fu una breve pausa di silenzio, dove entrambe meditarono sull’intera faccenda per trovare una soluzione. Ma senza prove concrete in mano, che soluzione si poteva prendere? Era come navigare in un canale senz’acqua.
 
- Che facciamo adesso?- le chiese Jodie, sospirando.
- È una situazione complicata dal momento che non sappiamo con certezza se Akai-san sa qualcosa e cosa sa. Credo che ci sia una sola che cosa possiamo fare: fingere di non esserci mai viste. Quando stasera ci troveremo a casa di Shinichi fingeremo di essere sorprese e se mi chiederanno dell’amica dirò che non aveva tempo di venire. Che te ne pare, è un buon piano?- chiese conferma.
- In effetti potrebbe funzionare, ma resta il fatto che se continuerai a non presentare mai questa tua fantomatica amica, prima o poi i sospetti cresceranno e diventeranno una certezza-
 
Non poteva certo darle torto, ora che aveva giocato la carta dell’amica non poteva rimangiarsela. Lei era una scienziata, non una maga, non sapeva come fare per far sparire il coniglio una volta estratto dal cilindro. Se non avesse presentato nessuno sicuramente Akai avrebbe continuato le sue ricerche, perché la curiosità di sapere era più forte del provare a non impicciarsi degli affari suoi.
 
- Che cosa intendi fare allora?- le chiese, sperando che l’amica avesse un piano di riserva o semplicemente un’idea migliore.
- Personalmente credo che sia meglio dire semplicemente la verità, che l’amica di cui parlavi sono io, ma omettendo la parte in cui ti ho detto la verità prima che lo facesse Shu. In questo modo eviteremo di alimentare sospetti e il nostro segreto sarà al sicuro-
- Non pensi che sia una mossa rischiosa? Sai anche tu quanto sono bravi nelle investigazioni quei due-
- Lo è, ma arrivati a questo punto qualsiasi mossa faremo sarà rischiosa. Se davvero Shu ha dei sospetti su di noi l’unica cosa che possiamo fare e cercare di appianarli, non di depistarlo. Se scappiamo lui ci rincorrerà. Alimentare bugie con altre bugie non gioverà a nulla, inoltre di bugie ne abbiamo già avute abbastanza e personalmente sono stanca- ammise.
- Tenergli nascosto che mi hai confessato tutto è una bugia- le fece notare.
- Appunto, basta e avanza quella-
- D’accordo, se pensi che possa funzionare mi fido di te. Stasera diremo che sei tu l’amica di cui parlavo ma staremo attente a non dire altro- accettò.
- Speriamo che vada tutto bene!- sospirò sonoramente.
- Già. Allora ci vediamo più tardi- la salutò - Una cosa positiva c’è: potremo passare di nuovo una serata insieme!- cercò di risollevare il morale dell’amica, che in quel momento ne aveva più bisogno di lei.
- Avrei preferito andare di nuovo in sala giochi!- ammise, facendola sorridere - A più tardi!-
 
Quando riattaccò la preoccupazione che l’aveva pervasa era ancora lì, forse anche più forte di prima. Sicuramente era lo stesso per Jodie, che fra le due era quella che rischiava grosso. Bastava una parola sbagliata e avrebbero fornito ad Akai le prove che cercava su un piatto d’argento. A lei non sarebbe successo nulla, ma forse per Jodie ci sarebbero state delle conseguenze per essersi immischiata in una faccenda che non la riguardava. Doveva fare del suo meglio per difendere quell’amica che le aveva mostrato le cose da una diversa prospettiva: anche quello era un modo per sdebitarsi.
 
- Secondo me dovreste comportarvi normalmente e dire la verità, perché nascondere il fatto che Jodie ti ha convinta a parlare con loro? In fondo non ha fatto nulla di male, al contrario- chiese il Dottor Agasa, che per tutto il tempo aveva ascoltato la conversazione.
- Perché il signor “Mi faccio gli affari degli altri” non gradisce che qualcuno si impicci nei suoi: se venisse a sapere che Jodie lo ha fatto, anche se per una buona causa, se la prenderebbe con lei!- spiegò.
- Ma no, non credo che Akai-san se la prenderebbe con Jodie perché ti ha convinta a parlare di nuovo con lui- scosse la testa lo scienziato - Credo che invece le sarebbe molto riconoscente-
- Lei ha parecchia fantasia e troppa fiducia nelle persone, Dottore- sospirò, tornando alle formule chimiche che aveva abbandonato - Forza, ora riprendiamo il nostro lavoro-
 
Senza più tornare sull’argomento si rimisero all’opera. Sperava che il lavoro l’avrebbe distratta nelle ore successive, impedendole di pensare all’incontro di quella sera; tuttavia l’apprensione che l’aveva colta dopo le parole di Akai non svanì.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Sono in un ritardo abbastanza vergognoso e me ne rendo conto, ma dopo il ritorno dal Lucca Comics ho dovuto recuperare tutto quello che avevo lasciato indietro per quei cinque giorni, specie nella vita reale (considerate che sono tornata esausta il pomeriggio del 2 e il giorno dopo sono andata a fare ripetizioni, tanto per dirne una). Il capitolo come vedete è anche abbastanza lungo quindi ha richiesto tempo. Spero che la vostra attesa sia valsa la pena! Secondo voi Akai sa o non sa? Cosa pensate che accadrà nel prossimo capitolo? Come sempre fatemi sapere le vostre opinioni se volete e se avete domande, curiosità o dubbi chiedetemi pure! ;)
Grazie a tutti per l’attesa paziente di questo nuovo capitolo!
Bacioni
Place

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Amare verità ***


Capitolo 11: Amare verità
 
 
Fermò l’auto davanti a casa Kudo, pochi metri prima del cancello ed estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare. Scrisse velocemente le parole “Sono arrivata” e inviò quell’e mail a Shiho. Controllò un’ultima volta di essere in ordine e poi fece un lungo respiro, cercando in sé tutta la calma possibile per affrontare quella situazione. Non poteva negare di essere tremendamente nervosa e questo andava a discapito del suo intento di apparire il più normale possibile. Il timore non è mai un buon consigliere e spesso porta a commettere errori.
Scese dalla macchina nel preciso istante in cui il cancello della casa del Dottore si aprì, facendo uscire la figura di Shiho. Si salutarono con un cenno silenzioso del capo, nonostante i pochi metri che le dividevano e che diventavano sempre meno man mano che Shiho si avvicinava. Si rivolsero la parola solo quando furono l’una di fronte all’altra, talmente vicine da poter leggere la tensione l’una sul volto dell’altra. Anche la sua giovane amica condivideva le sue paure, nonostante la sua posizione fosse meno a rischio.
 
- Pronta?- le disse semplicemente.
- E tu?- rispose la ragazza.
 
Annuirono entrambe, decise a portare a termine quel piano che avevano elaborato poche ore prima. Suonò il campanello, attenendo con l’amica al suo fianco.
 
- Chi è?- udirono la voce di Shinichi, resa metallica dal citofono.
- Sono Jodie!- disse con il suo solito entusiasmo.
 
Sentirono il cancello scattare e aprirsi, permettendo loro di entrare e camminare dirette alla porta d’ingresso, dalla quale sbucò fuori il giovane padrone di casa. Si aspettavano che si stupisse nel vederle insieme, invece le accolse con molta naturalezza, come se da anni lo andassero a trovare in coppia. Probabilmente Shuichi lo aveva avvertito che ci sarebbero state entrambe.
 
- Venite, vi stavamo aspettando- fece loro segno di entrare.
- Ciao Cool Guy!- gli gettò le braccia al collo in un impeto che lasciò sbigottiti sia lui che Shiho.
 
Non stava fingendo, era davvero contenta di rivedere quel ragazzino che, bambino o no, si era aggiudicato il titolo di suo detective preferito. Anche con dieci anni in più restava sempre sorprendente tutto ciò che aveva fatto nella lotta contro l’Organizzazione, così come sorprendente era il suo intuito. Prima di conoscerlo aveva sempre pensato che Shuichi fosse una specie di genio, ma ora doveva ammettere che quel ragazzino non aveva nulla da invidiargli.
Lo strinse a sé come si fa con un peluche, ignara del fatto che il giovane detective fosse rosso in volto e parecchio imbarazzato nel ritrovarsi con il corpo aderente al suo. Era pur sempre un adolescente, sentire le morbide curve di una donna provocava il lui reazioni comprensibili.
 
- Ma tu guarda, la signorina dell’agenzia investigativa sarebbe molto gelosa se sapesse che ti fai coccolare dalle donne mature!- intervenne Shiho, che fino a quel momento era rimasta a guardare la scena piuttosto divertita con aria sorniona.
- Ma cosa dici, sono troppo vecchia per lui!- lo allontanò finalmente da sé.
- E questo che c’entra? Sei una bella donna con dell’esperienza, il sogno di ogni adolescente-
- Ma la vuoi smettere?!- si lamentò lui, sempre più imbarazzato.
 
Continuarono quel siparietto comico tra frecciatine e risate, fino a quando furono interrotti dall’arrivo di Shuichi, attirato da quegli schiamazzi. In quell’istante il gelo calò nell’entrata di quella grande casa, come se il freddo inverno fosse arrivato all’improvviso, senza risparmiarsi. La tensione che sembrava essersi dissolta grazie a quel ragazzino speciale ricomparve, più forte di prima.
 
- Akai-san, le nostre ospiti sono qui- ruppe il silenzio Shinichi, sorridendo all’amico.
- Lo vedo- rispose semplicemente lui, tentando di ricambiare il sorriso con scarsi risultati.
 
Mentre il sorriso di Shinichi appariva naturale e spontaneo, quello di Shuichi sembrava quasi una smorfia, come se dietro di esso ci fosse sempre una certa malizia, un qualcosa di nascosto che non prometteva nulla di buono. Amava quell’uomo, ma doveva ammettere che per certi versi era inquietante alla volte.
 
- Benvenute- le salutò, cercando di fare gli onori di casa anche se quella non era casa sua - La tua amica non c’è?- chiese immediatamente, rivolto a Shiho.
 
Rivolse un’occhiata veloce all’amica, che ricambiò: entrambe sapevano che il loro piano era iniziato in quel preciso momento. Non potevano permettersi di sbagliare, non importava quanto Shuichi potesse metterle in soggezione.
 
- Ecco… a dire il vero è lei l’amica di cui parlavo- rispose, non con poca fatica o esitazione.
- Cosa?!- esclamò sorpreso Shinichi, sgranando gli occhi - E voi due da quando siete amiche?-
- Beh… non da tanto!- tagliò corto lei, cercando il più possibile di evitare particolari.
- Adesso capisco perché dicevi che la conoscevo anche io- si rivolse a Shiho.
- Eh già!- rispose lei, sforzandosi di sorridere.
 
Era un dialogo tutto fuorché spontaneo e naturale, di certo non erano partite con il piede giusto. L’unica cosa che avevano ottenuto era sapere che Shinichi non sospettava di nulla, almeno lui. Al contrario, Shuichi rimase impassibile come sempre, con quel sorrisetto stampato sulle labbra. Non sembrava minimamente sorpreso dalla notizia, era come se gli avessero detto che avevano visto un bel paio di scarpe col tacco nella vetrina di un negozio e questo, di certo, non era un buon segno. Di solito si resta impassibili di fronte a qualcosa di cui si è già a conoscenza. O forse non gliene importava nulla del fatto che fossero amiche oppure no? Più cercavano di risolvere i dubbi e più altri dubbi si aggiungevano a quelli già presenti.
 
- Se avessi saputo che era Jodie non ti avrei nemmeno detto di invitarla, dal momento che lo avevo già fatto io- disse infine - Però adesso sono molto curioso di sapere come siete diventate amiche-
 
Sentì il sangue gelare nelle vene a quella domanda, l’unica per la quale lei e l’amica non avevano programmato una risposta. Come avevano fatto a non pensarci?! Era ovvio che se si presentavano come amiche qualcuno avrebbe domandato loro in che circostanze lo erano diventate, ma al telefono erano state entrambe troppo occupate a concentrarsi su cosa non dire piuttosto che su cosa dire. Lanciò un’occhiata furtiva a Shiho, sperando che avesse una risposta pronta: in realtà la ritrovò con la sua stessa espressione sul volto. Si rifiutava di credere che il loro piano fosse andato in fumo ancora prima di partire, così fece quello che sapeva meglio fare nelle situazioni difficili: improvvisare. Se era riuscita a far credere all’ispettore Megure che Camel fosse il suo fidanzato poteva anche inventarsi un incontro.
 
- Ecco… ci siamo incontrate per caso! Stavo passeggiando e l’ho vista seduta su una panchina, così ci siamo messe a chiacchierare di questo e quello e ci siamo trovate molto bene!- sorrise forzatamente, sperando di aver recuperato quel momento di confusione iniziale.
 
Pregò che Shuichi se la fosse bevuta, non era certa di quanto le sue bugie fossero efficaci su uno come lui, abituato a sentire la puzza di marcio lontano un miglio.
 
- Chi l’avrebbe mai detto, non pensavo proprio sareste andate così d’accordo, siete completamente diverse caratterialmente parlando!- intervenne Shinichi, sempre più sorpreso da quella notizia.
- Cosa vorresti dire con questo?- assottigliò lo sguardo Shiho, prendendo le parole dell’amico come un ammonimento al suo carattere poco gioviale ed espansivo.
- Niente, solo che sono molto stupito!- si giustificò lui.
 
Si aspettava una risposta da colui che aveva posto la domanda, ma non arrivò. Shuichi sembrava soddisfatto di quella spiegazione, almeno così sembrava dire l’espressione sul suo volto. Tuttavia non doveva abbassare la guardia: anche lui era bravo a fingere, molto più di lei. Aveva inscenato la sua morte, roba di alto livello rispetto a un collega-fidanzato.
 
- Bene, allora direi che possiamo accomodarci nel salone e mangiare la nostra torta, che ne dite?- propose, fissando prima lei e poi Shiho.
- Ok!- fece l’occhiolino tutta contenta.
 
Mentre camminavano verso la sala, lasciò che Shinichi e Shuichi le scortassero, distanziandole di poco più di un metro. Aveva bisogno di un consulto veloce con l’amica, per sapere cosa ne pensasse del comportamento del collega.
 
- Secondo te ha creduto a quello che ho raccontato?- bisbigliò.
- Non lo so, ha una faccia strana che non mi convince per niente. Meglio non abbassare la guardia e tenerci pronti ad ogni genere di domanda- le consigliò la ramata.
 
Non fece in tempo a replicare, poiché la sua attenzione venne catturata dalla meravigliosa torta che troneggiava sul tavolino al centro della sala. Era davvero stupenda, si chiedeva come avesse fatto Shuichi a trovare una torta del genere in così poco tempo, solo per tenere fede a quella piccola messa in scena. Se da un lato c’era da leccarsi i baffi, dall’altro era un motivo in più per temere “l’avversario”. Anche nelle piccole cose lui riusciva a trovare una soluzione più che convincente, al contrario suo che annaspava per restare a galla nell’innocente bugia che aveva creato.
 
- Wow, that’s wonderful!- si lasciò sfuggire un’esclamazione della sua lingua madre, accomodandosi sul divano seguita da Shiho - È un peccato tagliarla-
- Ma se non la tagli non puoi assaggiarla- commentò la ragazza, la quale però era più occupata a tenere d’occhio Shuichi che a osservare la torta.
- Sono curioso anche io di assaggiarla- confessò Shinichi mentre distribuiva i piattini per tutti.
 
Il suo sguardo passo dalla torta al compagno, il quale stava cominciando a tagliarla in fette della stessa dimensione e a riporre ciascuna di queste all’interno di uno dei piattini. Sembrava tranquillo, forse anche troppo.
Quando tutti si furono seduti ed ebbero la propria fetta cominciarono ad assaggiare quel capolavoro.
 
- È davvero deliziosa!- esclamò il giovane detective, rivolgendo poi un sorriso all’amico seduto accanto a lui dal lato opposto al loro - Ottima scelta Akai-san!-
- Ti ringrazio, sono contento che ti piaccia- ricambiò l’amico - E voi che ne dite?- si rivolse a loro.
- Sono d’accordo con Cool Guy, è fantastica!- annuì.
- Sto ingrassando solo a guardarla- fu il commento freddo e svogliato di Shiho, che però continuava a portarsi alla bocca una forchettata dietro l’altra, suscitando l’ilarità di tutti.
- Perché, sei forse una che ha problemi di peso tu?- la guardò dubbiosa ma al tempo stesso facendole capire che stava al gioco.
- No, proprio perché di solito non mangio torte-
- Invece dovresti, alla tua età si smaltisce più velocemente-
 
Avrebbero continuato con quel teatrino comico se gli sguardi puntati addosso dei due uomini all’altro lato del tavolino non le avessero messe in soggezione. Si erano lasciate andare troppo, non erano abituati a vederle conversare come se fossero amiche da una vita. La differenza nei loro sguardi, però, era sostanziale: mentre quello di Shinichi mostrava un sincero stupore, quello di Shuichi era più indagatore, velato da una nota di malizia. Aveva come la sensazione che presto sarebbe arrivata un’altra domanda: il problema era che non sapeva quale e questo non le permetteva di preparare in anticipo una risposta.
 
- Visto che siete diventate così amiche, deduco che abbiate già fatto qualche uscita fra amiche. Non è forse così?-
 
Eccola, la fatidica domanda, forse anche peggiore della precedente. Perché chiedere una cosa del genere? Non era difficile intuirlo, c’era una sola ragione per cui Shuichi poteva farlo: il loro appuntamento la sera precedente. Il dubbio che potesse sapere si stava trasformando sempre più in una certezza. Ora era lei ad avere una domanda: come diavolo aveva fatto a scoprirlo in meno di ventiquattr’ore? Si voltò a guardare Shiho, la quale si era irrigidita e la stava guardando a sua volta. Nemmeno lei sapeva cosa rispondere. Non restava che una sola opzione: dire la verità.
 
- A dire il vero ci siamo viste solo una volta- ammise, sperando che fosse la mossa migliore.
- Per caso è stato ieri sera?-
 
Sgranò gli occhi, sobbalzando leggermente seguita a ruota dall’amica. Non potevano esserci dubbi ormai, era chiaro che sapesse. Quelle domande erano troppo specifiche per essere fatte a caso, per pura curiosità. Non potevano scappare, erano cadute nella sua trappola. Improvvisamente quella dolce torta era diventata un boccone amaro da mandare giù, come se contenesse veleno.
 
- C-come lo sai…?- gli chiese, deglutendo a fatica.
- Quando sono andato a casa del Dottor Agasa per invitare Shiho, lui si è lascito sfuggire un piccolo dettaglio, ovvero che la nostra signorina era uscita anche ieri sera. Perciò, collegando le due cose, ho dedotto che fosse uscita con te- spiegò con naturalezza e un pizzico si soddisfazione.
 
Avrebbero potuto ribattere, Shiho avrebbe potuto dire che non era poi scontato che fosse uscita proprio con Jodie; invece non riuscirono a dire nulla, rimasero in silenzio a fissare la torta che rimaneva nei loro piattini. Qualunque cosa avessero detto o fatto in quel momento sarebbe sembrata solo una patetica scusa per nascondere la realtà dei fatti. Fra i giocatori seduti a quel tavolo Shuichi era senz’ombra di dubbio il migliore e, come tale, approfittò del loro silenzio per fare la sua mossa successiva, ormai certo che si sarebbe aggiudicato la vittoria.
 
- Dunque, che avete fatto di bello? Di sicuro non sarete andate a bere qualcosa, visto che principessa qui presente non ha ancora l’età per farlo. Inoltre, come diceva il nostro giovane detective, non avete molte passioni in comune-
- E tu che ne sai?!- sbottò all’improvviso Shiho, che fino a quel momento aveva lasciato che fosse solo lei a parlare.
 
Doveva sentirsi anche lei sotto pressione, costretta a tenere quel segreto di cui solo lei era la vera colpevole. Le dispiacque averla messa in quella situazione, non voleva che finisse così.
 
- Mi sbaglio forse?- chiese in tutta tranquillità Shuichi, fissandola dritta negli occhi, forse nel tentativo di incuterle timore.
- Non sono affari tuoi cosa facciamo io e Jodie quando ci vediamo, dovresti smetterla di impicciarti sempre degli affari miei!- continuò lei con quel tono duro.
- Su, ora calmati- intervenne, posandole una mano sulla spalla - Shu era solo curioso di sapere, non voleva importunare nessuno. Siamo andate a mangiare in un ristorante con il sushi sul rullo molto bello che mi ha consigliato proprio lei, poi l’ho trascinata in sala giochi con la promessa che alla prossima uscita avremmo fatto qualcosa che invece piaceva a lei- spiegò infine rivolta a lui.
- Quindi l’hai trascinata nel tuo mondo di pistole laser e joystick?- ironizzò lui, consapevole della sua passione per i videogiochi.
- Eh sì!- sorrise, nonostante non fosse serena.
 
Tolse la mano dalla spalla dell’amica quando sentì che i suoi muscoli tesi si erano nuovamente sciolti, anche se non completamente. Quest’ultima la ringraziò con un lieve cenno del capo. Se non altro poteva dire di averla fatta una cosa giusta quella sera.
 
- Ma se hai sempre fatto storie quando i bambini ti chiedevano di giocare con loro ai videogiochi progettati dal Dottore!- intervenne Shinichi, che in quella storia era l’unico, paradossalmente, a non capirci nulla.
- Sì, ma quelli a cui ho giocato con Jodie non hanno nulla a che vedere con quelli del Dottore, sono molto più appassionanti!- rispose con aria snob, riprendendo a mangiare la torta.
 
La faccia scioccata del giovane detective era talmente buffa che le venne da sorridere attirando l’attenzione di tutti. Era comico vedere il detective dei detective davanti all’unico caso che non riusciva a risolvere.
 
- Che cosa avete fatto in sala giochi?- riprese con le domande Shuichi.
- Oh, cose molto emozionanti! Abbiamo fatto una gara di rally e poi abbiamo sparato agli alieni nello spazio!- annuì convinta, sentendosi più a suo agio con quelle domande meno mirate delle precedenti.
- E così sai guidare, signorina?- si rivolse a Shiho.
- Se sapessi farlo sarebbe un problema?- replicò freddamente, anche se il tono non era acceso come quello di prima.
- Certo che no. E dimmi, sei riuscita a battere Jodie? Dovrebbe essere facile, visto che non è proprio un asso al volante-
- Non è vero!- brontolò lei, mettendo il broncio e facendo sorridere tutti.
- Invece Jodie è molto brava, non ce l’ho fatta a batterla- confessò, sorridendole.
 
Tra una chiacchiera e l’altra tutti avevano ormai finito la loro fetta di torta. Buona senza dubbio, anche se gustata non proprio nel migliore dei modi. Quel dialogo iniziato male, però, sembrava essersi trasformato in una piacevole conversazione. Forse il peggio era passato, forse Shuichi voleva solo una conferma del fatto che si frequentassero e nulla più. D’altra parte non poteva davvero sospettare di ciò che si erano dette. Dire la verità fino a quel punto non era stata poi una cattiva idea, almeno ora si erano tolti tutti un sassolino dalla scarpa.
 
- Qualcuno vuole un’altra fetta di torta?- chiese Shinichi.
- Ti confesso che la tentazione è tanta ma non posso permettermi di ingrassare con il lavoro che faccio- confessò lei a malincuore.
- Io passo, mi sento già come Genta e il Dottore- sottolineò in modo poco carino ma ironico Shiho.
- Beh, visto che le nostre ospiti sono così attente alla linea è meglio se riporto il resto della torta in frigo prima che vada a male. Nel caso vi venisse voglia di un’altra fetta potete tornare domani, sempre che il nostro padrone di casa sia d’accordo- rivolse lo sguardo a Shinichi.
- Certo, non c’è nessun problema!- confermò.
 
Quando vide Shuichi alzarsi e richiudere la scatola della torta, si alzò anche lei e cominciò a raccogliere i piattini e le posate.
 
- Ti aiuto a portare le cose in cucina- si giustificò.
 
Non che ci tenesse a fare bella figura come ospite, semplicemente voleva stare un po’ sola con lui. Non si aspettava la conversazione del secolo ma voleva sapere meglio cosa ne pensava di tutta quella storia. La verità era che temeva che l’amico ce l’avesse con lei, per qualche motivo. Lei era riuscita ad instaurare con Shiho quel rapporto che a lui non riusciva, forse questo gli faceva male anche se non voleva darlo a vedere.
Quando raggiunsero la cucina posò i piatti nel lavello e o riempì con l’acqua e il detersivo, mentre Shuichi rimetteva in frigo la torta. Non aveva più proferito parola, perciò se voleva avere una conversazione con lui doveva essere lei ad iniziarla.
 
- Spero che non te la sia presa troppo se Shiho ti ha risposto in modo un po’ sgarbato, è un po’ impulsiva e non ama sentirsi il fiato sul collo ma non ti odia, altrimenti non avrebbe accettato il tuo invito- cercò di rassicurarlo, credendo che fosse un po’ giù per la reazione dell’amica.
- Sembri conoscerla bene nonostante vi frequentiate da poco tempo- replicò lui, restando girato di spalle.
- Abbiamo legato da subito anche se sembra incredibile- sorrise - E anche se non si direbbe per certi versi siamo simili-
- Strano, perché da quanto ho capito non le piacciono le persone che si intromettono negli affari degli altri, specie nei suoi-
 
Come l’abile cecchino che era, aveva preso la mira e sparato dritto al suo cuore, trapassandolo con un unico, letale proiettile. Restò immobile come una statua, fissandolo con gli occhi sbarrati e il sangue che sgorgava copiosamente dentro di lei da quella ferita appena inflitta. Non riusciva a comprendere il perché le stesse dicendo quelle cose. O meglio, lo sapeva, ma non voleva ammetterlo a se stessa, perché farlo significava aver perso la partita su tutti i fronti.
Finalmente si girò verso di lei, fissandola con lo sguardo serio. Non c’era segno di ira nei suoi occhi, solo quello scintillio che aveva ogni volta che qualcosa non andava. Si teneva dentro tutto, ciò che usciva erano solo le gocce di una tempesta invisibile.
 
- La sera del chiarimento Shiho mi disse che aveva promesso ad una “brava persona” che mi avrebbe ascoltato. Io diedi per scontato che questa persona fosse il Dottor Agasa, visto che lei non aveva amici adulti all’infuori di Shinichi, con cui però aveva litigato. Ora però non ci sono più dubbi che sia tu la persona di cui parlava. E se lei l’hai convinta a tornare, significa che e devi averle parlato prima di me di ciò che avevo intenzione di dirle. Era l’unico modo per convincerla. Ciò significa che ti sei intromessa in affari che non ti riguardano- concluse.
 
Non le staccava gli occhi di dosso, sembrava volersi accertare che il colpo che le aveva sferrato fosse andato a buon fine. Aspettava solo di vederla crollare.
Si morse il labbro, colta da una sensazione di soggezione mista a dolore. Era consapevole fin dall’inizio di essersi impicciata in una questione che non la riguardava in nessun modo, sapeva anche che ci sarebbero state delle conseguenze se si fosse venuto a sapere. Immaginava che Shuichi non l’avrebbe presa bene, ma non avrebbe mai immaginato di essere trattata con tanta freddezza. D’altra parte se Shiho era lì lo doveva a lei, perciò un minimo di gratitudine poteva mostrarlo dopotutto. Negli anni aveva capito che quell’uomo sapeva farsi amare ma al tempo stesso anche odiare con la stessa facilità.
 
- Io… volevo solo…- sbiascicò a testa bassa, incapace di dire qualunque cosa.
- Farla tornare?- completò la frase al posto suo - Perché ti interessava tanto che si chiarisse con me? Tu sei un’estranea in tutta questa faccenda, cosa ne avresti ricavato?-
 
In un istante il dolore si trasformò in rabbia. Quindi nella sua ottica personale una persona doveva per forza fare qualcosa solo per avere un tornaconto? Certo, come lui aveva fatto con lei, piantandola in asso perché la sua relazione con lei avrebbe minacciato quella con Akemi, impedendogli così di raggiungere il suo obiettivo. Nel vocabolario di Shuichi Akai non esisteva la parola “altruismo”.
 
- Devo fare qualcosa solo per avere un tornaconto? Non posso semplicemente voler aiutare qualcuno a cui tengo?- lo guardò storto, sempre più ferita dalle sue parole.
- Non la conoscevi nemmeno fino a due giorni fa, quindi perché ti premeva tanto aiutarla?-
- Non stavo parlando di lei, infatti!- trattene a stento le lacrime, anche se i suoi occhi erano ormai lucidi.
 
Ci fu un attimo di silenzio, nel quale nessuno dei due guardò in faccia l’altro. Stavano entrambi metabolizzando a modo loro quello che non gli andava giù.
 
- Lo sai che non mi piace che gli altri ficchino il naso nei miei affari- sottolineò lui.
- Peccato che tu lo faccia sempre con gli altri!- si lasciò sfuggire, stringendo i pugni per contenere la rabbia che cresceva dentro di lei, senza nemmeno guardarlo in faccia.
- Quand’è che mi sarei fatto gli affari tuoi?-
 
Una parte di sé, quella che aveva messo a tacere per convincersi che le andava bene essere stata scaricata per una giusta causa, avrebbe voluto rispondergli con un sonoro “mai”, facendolo sentire in colpa per non averle mai chiesto come stava dopo la loro rottura. Non una telefonata, non un messaggio. Lei gli aveva detto che andava bene, ma era chiaro che non era così e aveva sperato fino alla fine che se ne accorgesse. Invece lui, freddo come sempre, aveva ignorato tutto. Bastava una sola, semplice parola per farlo sentire come lui aveva fatto sentire lei. Una parola che non riuscì a dire, come non era riuscita a dirgli tante cose.
 
- Mi dispiace se mi sono fatta gli affari tuoi, non succederà più- si scusò, più per porre fine a quella conversazione diventata troppo pensante da sopportare che per sincero pentimento.
- Posso sapere cosa le hai detto per convincerla?- chiese lui, con un tono meno accusatorio di prima.
- Semplicemente la verità, che in realtà tenevi davvero ad Akemi e che hai fatto di tutto per vendicarla. Non avrei potuto dire altro, visto che non so niente più di questo. Volevo solo farle capire che non eri un assassino senza cuore come pensava, tutto qui-
 
Ci fu nuovamente un momento di silenzio, nel quale l’unico rumore che si sentì fu quello dei passi di Shuichi, il quale aveva iniziato a dirigersi nuovamente verso la sala, segno che per lui la questione finiva lì. Al contrario, lei restò immobile con la testa bassa, paralizzata da quella rabbia e quel dolore che la stavano distruggendo lentamente.
 
- Grazie-
 
Il suono di quella parola così gentile arrivò alle sue orecchie come un rumore assordante. La rabbia che le offuscava la mente le impedì di cogliere la sincerità che vi era dietro: in quel momento anche lei vedeva solo ciò che voleva vedere. Le sembrava che quel ringraziamento fosse solo l’ennesimo modo per prendersi gioco di lei, per umiliarla. Prima l’attaccava e poi la ringraziava?! Se voleva infliggerle il colpo di grazia, congratulazioni: ci era riuscito in pieno.
 
- Non c’è di ché- rispose sprezzante, con una freddezza forse anche peggiore di quella che aveva usato lui con lei, se possibile.
 
Con passo veloce lo superò senza nemmeno guardarlo in faccia, uscendo dalla cucina diretta verso la sala. Non poteva restare un singolo momento in più in quel posto con lui, non dopo il modo in cui l’aveva trattata.
Trovò Shinichi e Shiho che stavano chiacchierando ignari di tutto, i quali si girarono a guardala non appena la videro entrare con la furia di un tifone estivo.
 
- Grazie per l’ospitalità, mi ha fatto molto piacere rivederti Cool Guy- lo salutò frettolosamente, ma stando attenta a non sembrare scortese, dal momento che lui non aveva nessuna colpa.
- Ma come, se ne va di già Jodie-sensei?-
- Sì, purtroppo ho del lavoro da finire per domani e non posso proprio trattenermi oltre, si è già fatto tardi!- mentì, sorridendo forzatamente.
 
Non era brava a mentire, non in situazioni come quelle dove le sue emozioni trasparivano da ogni parte del suo corpo. Sicuramente a un tipo sveglio come Shinichi non sarebbe sfuggito quel particolare, ma in cuor suo sperò che non facesse domande. Non le andava di giustificarsi, soprattutto non di fronte a Shiho, che continuava a guardarla stranita e sospettosa.
 
- D’accordo… la accompagno alla porta, allora- si offrì.
- Oh, non serve, devi restare con l’altra tua ospite!- si sforzò nuovamente di sorridere e sembrare la solita Jodie.
- Ti accompagno io- disse Shiho,  alzandosi in piedi e raggiungendola.
 
Era chiaro che anche lei avesse capito che qualcosa non andava e questo non era un bene. Come poteva dirle che Shuichi l’aveva trattata male sapendo che ancora non simpatizzava troppo per lui? Avrebbe rischiato di distruggere quella riappacificazione che le era costata tanto, troppo forse. Poteva farlo, poteva allontanarla da Shuichi solo per il gusto di vederlo soffrire come stava soffrendo lei, ma non era quel genere di persona, esserlo le avrebbe fatto odiare se stessa. Ma Shiho non era stupida, di certo aveva già intuito il perché il suo umore fosse cambiato. Era la stessa paura che avevano condiviso dal momento in cui avevano messo piede in quella casa.
Accettò l’offerta dell’amica, salutando nuovamente Shinichi con un gesto della mano. Non cercò nemmeno di vedere se Shuichi era tornato, in quel momento non voleva vedere la sua faccia.
Camminarono fino alla porta d’ingresso e solo quando si furono accertate di essere realmente sole, Shiho le fece la fatidica domanda.
 
- È successo qualcosa?-
- Tranquilla, va tutto bene- continuò a mentire, pensando fosse la cosa più giusta da fare - Adesso torna da loro, sicuramente l’invito di stasera era più rivolto a te che a me, quindi non farli aspettare-
- Si vede che qualcosa non va, in questi giorni ho imparato a capire i tuoi sguardi- la fissò seria.
- Non è niente, tranquilla-
 
Avrebbe tanto voluto un’amica con cui sfogarsi in quel momento, ma quell’amica non poteva essere lei. Preferiva distruggere se stessa piuttosto che allontanarla di nuovo da Shuichi. Non per lui, che non meritava nulla, ma per lei, che aveva bisogno di una persona in più (oltre al Dottor Agasa e Shinichi) in cui credere e che la proteggesse. Per questo doveva continuare a mentire e andarsene via, prima che gli occhi lucidi la tradissero.
Aprì la porta ed uscì, ma Shiho la seguì e socchiuse la porta per non far arrivare le voci all’interno della casa. Era chiaro che non si accontentava di quella spiegazione, quando s’intestardiva in qualcosa non c’era verso di farla desistere.
 
- È successo qualcosa con Akai-san per caso?- le chiese, andando dritta al punto.
 
Non rispose alla domanda, si limitò ad abbassare lo sguardo: un gesto sufficiente a confermare che aveva colto nel segno. Si era tradita da sola, come aveva fatto prima con Shuichi. Era solo una stupida.
 
- Che cosa ti ha fatto?- insisté, scaldando i toni.
- Ha capito che la persona che ti ha convinta a tornare da lui sono io- confessò, senza più vie di fuga - Così alla fine non ho potuto nascondergli il fatto di averti detto la verità prima che lo facesse lui, impicciandomi in affari che non mi riguardavano-
- Se non lo avessi fatto a quest’ora non sarei di certo venuta qui a mangiare una fetta di torta in sua compagnia!- dichiarò con fermezza.
- Lo so- annuì - Ma sapevo anche che se lo avesse scoperto avrebbe reagito in questo modo, perché anche se per una giusta causa, lui non ama che gli altri si intromettano nelle sue questioni personali-
- Ma davvero?- alzò un sopracciglio, inasprendo i toni - Strano, visto che lui invece ama farsi gli affari degli altri, dal momento che mi ha spiata per mesi! Quindi non è affatto giusto che ora ti tratti così solo perché volevi aiutarlo! Adesso torniamo dentro e gliene dico quattro!- l’afferrò per una manica, trascinandola verso la porta.
- No, ti prego!- la supplicò, opponendo resistenza - Non voglio che il tuo rapporto con lui s’incrini di nuovo a causa mia. E poi… non mi va di vederlo adesso- ammise.
 
La stretta intorno al suo braccio si allentò, lasciandola libera. Sentì l’amica sospirare, non convinta. Rispettava la sua decisione di non fronteggiarlo, ma si vedeva che non le sarebbe importato niente di rovinare tutto pur di difenderla. Paradossalmente si era affezionata più a lei che all’uomo che l’aveva protetta per mesi.
 
- Non devi preoccuparti, domani mi sarà passato tutto- cercò di rassicurarla - Adesso però devi tornare dentro e passare una bella serata con Shu e con il nostro giovane detective straordinario, ok?-
- Sarà difficile che ci riesca, se penso al modo in cui ti ha trattata- storse la bocca.
- Cerca di fare uno sforzo, fallo per me- abbozzò un sorriso.
- E va bene- sospirò.
- Grazie tesoro. Ci sentiamo presto- la salutò dolcemente, avviandosi verso il cancello e oltrepassandolo, salendo poi in macchina.
 
Si accorse guardando dal finestrino che Shiho non era ancora tornata in casa; al contrario era rimasta ferma a guardarla, probabilmente un po’ preoccupata per lei. La rincuorò sapere che aveva trovato qualcuno che si preoccupava così per lei, nella sua vita non aveva avuto la fortuna di conoscere molte persone così. Era stata lei a dover crescere in fretta per occuparsi di se stessa.
Allacciata la cintura, accese il motore e partì, sperando che l’amica tornasse dentro e che invece non pensasse di tornarsene a casa senza dire una parola, piantando in asso i due uomini in casa.
Quando fu abbastanza lontana da quella villa da essere certa che nessuno potesse vederla, svoltò in una stradina laterale e accostò, fermando la macchina. Non poteva guidare in quelle condizioni, con le mani che tremavano e la vista che si annebbiava sempre più, offuscata da quelle lacrime che aveva represso per troppo tempo. Si lasciò andare ad un pianto che scosse il suo corpo per lungo tempo, lacrime antiche e nuove si mescolavano rigando il suo volto. Veniamo al mondo piangendo, nudi e soli ed è così che si sentiva lei in quel momento: denudata da quelle maschere che aveva voluto indossare per proteggersi, senza una spalla su cui piangere. Lei, che per anni aveva vissuto contro la sua volontà sotto mentite spoglie, quando finalmente aveva ottenuto il permesso di riappropriarsi della sua identità si era accorta di non poterla usare, costretta dal lavoro che faceva e dalla vita a fingersi sempre qualcuno che non era. Un’insegnante d’inglese americana in vacanza in Giappone, un’agente dell’FBI in vacanza in Giappone, un’ochetta bionda, una semplice collega molto premurosa, un’amica che si accontentava di essere solo quello, un’ex fidanzata a cui andava bene essere stata scaricata senza giri di parole su un’auto in corsa. Jodie Starling non era niente di tutto questo. Le faceva male essere stata trattata così, le faceva male quando ogni volta che cercava di aiutarlo lui non perdeva occasione per farle notare che aveva sbagliato qualcosa. sì, perché agli occhi di Shuichi Akai, Jodie sbagliava sempre qualcosa. un’inetta, una povera incapace. Poteva anche esserlo alla fine dei giochi, ma di certo non era un’impicciona o una che faceva qualcosa solo per ottenere in cambio qualcos’altro. Ciò che la feriva ancora di più, però, era il reale motivo per cui aveva reagito così. Sapeva che se Shuichi se l’era presa così tanto non era perché si era fatta gli affari suoi, ma perché non voleva che nessun altro toccasse l’argomento Akemi. Quello era il suo argomento, il suo ricordo ancora vivido, nessuno poteva mettere bocca su ciò che lei aveva significato e significava per lui. Al contrario di lei, che probabilmente non era mai significata niente e che era stata cancellata con la stessa velocità con cui si cancella un disegno mal riuscito su un foglio bianco. Quella sera aveva avuto la conferma che non esisteva speranza per lei, che sarebbe stato solo uno sforzo inutile confessargli ciò che provava come le aveva consigliato Shiho. Lei sarebbe stata sempre e solo la collega che non ne combina una giusta.
Restò lì a piangere in quella strada buia, illuminata solo da un lampione parecchio distante dalla sua auto, fino a quando non ebbe più lacrime da versare né la forza di trovarne altre. Esausta, si cancellò le ultime tracce rimaste sul volto e rimise in moto l’auto, diretta verso il suo appartamento.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Finalmente ho finito questo infinito capitolo che tutti aspettavate! Spero non vi abbia deluso, molti di voi avevano già intuito cosa ci sarebbe stato, quale sarebbe stata le reazione di Shuichi e tutto il resto, ma io sono molto prevedibile quando scrivo perché sono una scrittrice da quattro soldi! XD Cosa pensate che succederà adesso? Come sempre sono curiosa di sapere le vostre idee!
Dubito che il prossimo capitolo arriverà prima di Natale, considerando che ora dovrò tradurre questo, perciò ne approfitto per farvi TANTI AUGURI DI BUONE FESTE (compresi quelli del buon anno se non aggiorno prima del 2017!XD)! Grazie di essere stati con me e la mia storia in questo 2016, mi avete resa orgogliosa di scrivere su questa coppia dimenticata da Dio e anche da quel vecchio marpione di Gosho! Siete un fandom bellissimo! ♥
Bacioni
Place 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Amicizie che vanno, amicizie che vengono ***


Capitolo 12: Amicizie che vanno, amicizie che vengono
 
 
Rimase a fissare l’auto dell’amica fino a quando non sparì completamente dal suo campo visivo. Non le andava giù che se ne fosse andata così, con l’amaro in bocca, quando quella doveva essere una serata piacevole in compagnia. Era preoccupata e al tempo stesso arrabbiata, aveva voglia di tornarsene anche lei a casa senza nemmeno avvisare, ma aveva promesso a Jodie che sarebbe tornata dentro per non rovinare quello che lei era riuscita ad ottenere a costo di un grosso sacrificio. Fece un lungo respiro, ordinando alle sue gambe di muoversi in direzione della porta e tornò nella sala, dove Shinichi la stava aspettando ancora seduto sul divano. Al suo fianco, come se niente fosse, l’uomo che era la causa della sua rabbia e del dolore di Jodie stava fumando una sigaretta, senza mostrare il minimo segno di pentimento. Questo fece accrescere ancor di più la sua rabbia, spingendola ad assumere quell’espressione corrucciata che faceva ogni volta che era nervosa per qualcosa. Un gesto che non sfuggì all’amico detective.
 
- Qualcosa non va? Non avrai litigato con Jodie…- le chiese.
- Non dovresti farla a me questa domanda!- rispose secca, sedendosi con poca grazia sul divano e fissando minacciosamente Akai.
 
L’agente dell’FBI colse la frecciata, ma invece di rispondere si limitò come suo solito ad uno di quei sorrisetti maliziosi e ironici, che avevano in sé qualcosa di strafottente.
Continuarono a fissarsi in quel modo, con Shinichi che spostava lo sguardo dall’uno all’altra in cerca di una spiegazione, fino a quando il cecchino non si decise a parlare.
 
- Sembra che la nostra principessa ce l’abbia di nuovo con me. Non ne faccio una giusta- spense il mozzicone nel posacenere.
 
Strinse i pugni, contraendo i nervi: aveva anche il coraggio di fare del sarcasmo dopo il modo in cui si era comportato?! Si chiese per l’ennesima volta cosa ci trovassero in lui sua sorella e Jodie, lei un tizio del genere l’avrebbe evitato come la morte.
 
- Dopotutto in questa storia io sono il cattivo, mentre lei è la “brava persona”- sottolineò quelle ultime parole, le stesse che lei aveva usato per definire Jodie quando gli aveva parlato della persona che l’aveva convinta a tornare da lui.
 
Aveva promesso a Jodie che non avrebbe litigato nuovamente con lui, rompendo quel rapporto che era ancora in fase di costruzione, ma in quel momento non poteva non difenderla, non dopo il suo sacrificio.
 
- Sì, è così! Per quanto tu voglia farla passare per una spiona, Jodie è una brava persona e non sarei qui se non fosse stato per lei, tienilo a mente! E poi senti da che pulpito, proprio tu vai a dire agli altri che si devono impicciare degli affari loro?! Tu, che per mesi hai controllato ogni mia mossa?! Almeno Jodie è stata onesta quando nessuno voleva esserlo, quindi non c’è niente che tu debba rimproverarle! Dovresti baciare dove cammina per il solo fatto che io ti stia rivolgendo la parola! Pensaci bene prima di trattarla di nuovo così e abbi rispetto per i suoi sentimenti!-
 
Si bloccò quando si rese conto di aver oltrepassato il limite. Non con le parole usate, non con i toni, ma con i contenuti. Le sarebbe bastato aggiungere poco altro e avrebbe confessato lei quello che Jodie provava nei suoi confronti al posto suo. Questo non poteva farlo, benché in più di un’occasione avesse incoraggiato l’amica a esprimere ciò che provava. Era una cosa che solo Jodie poteva fare, quando e come lo avrebbe ritenuto opportuno. Sperò che Akai non avesse afferrato il vero senso di quelle parole, in mezzo a tutto il discorso, ma considerando che in un giorno le aveva smascherate non c’era da stupirsi se avesse compreso anche quello.
Per un attimo notò che sul volto del giovane agente era comparsa un’espressione di stupore, segno che le sue parole dovevano averlo colpito. Come per ogni altra emozione, però, cercò di cancellarla il prima possibile, ritornando alla sua solita impassibilità di sempre.
 
- Ho capito, vorrà dire che mi scuserò con lei domani al lavoro- rispose semplicemente, chiudendo gli occhi.
 
Ora era lei ad essere stupita per la facilità con cui era riuscita a convincerlo a ritornare sui suoi passi e ammettere i proprio errori. Era un osso duro, uno che probabilmente pensava sempre di essere migliore degli altri: il fatto che le parole di una ragazzina di diciotto anni dette in un momento di rabbia lo avessero convinto addirittura a chiedere scusa, era un evento più unico che raro. Si era davvero ricreduto o lo stava facendo solo per farle un favore ed evitare di guastare i loro rapporti già non troppo floridi? Non poteva saperlo, ma in ogni caso era contenta se aveva fatto qualcosa di buono per aiutare Jodie, era il suo modo di ricambiarla.
 
- Ora è meglio se torno a casa- si alzò, consapevole che non avrebbe potuto trattenersi oltre dato il clima che si era creato, avrebbe finito con lo sputare veleno ad ogni parola proferita da Akai finchè la rabbia non sarebbe sbollita del tutto.
- Ma è ancora presto, perché non rimani un altro po’?- intervenne Shinichi, che fino a quel momento non aveva fatto altro che ascoltare la conversazione cercando di capirci qualcosa.
 
Sapeva che quella richiesta era un favore che cercava di fare all’amico, ma non le andava proprio di rimanere. Anche Shuichi doveva averlo capito, poiché non cercò in alcun modo di fermarla.
 
- È meglio che torni quando ci sarà meno tensione, davvero-
 
Compreso che era meglio non insistere, il giovane detective si limitò a sospirare, alzandosi anche lui per accompagnarla fino alla porta. Di sicuro voleva delle spiegazioni, perciò doveva tenersi pronta alla valanga di domande che sarebbe arrivata.
Come previsto, non appena furono soli davanti alla porta di casa, lontani dalla sala doveva avevano lasciato Shuichi da solo, Shinichi cominciò con l’interrogatorio.
 
- Mi vuoi spiegare cosa accidenti è successo?- allargò le braccia.
- Il tuo amico ha trattato male Jodie solo perché lei mi ha raccontato delle cose personali sul suo conto al solo scopo di farmi tornare qui a chiarire la faccenda con lui!- spiegò - Non lo meritava! È solo grazie a lei se sono qui!-
- Capisco, ma questa è una questione fra loro due e tu non dovresti prendertela così tanto. Sono due adulti, possono risolverla da soli- sentenziò.
- Invece sono anche affari miei dal momento che Jodie si è presa la colpa per aver detto una verità che mi riguardava!- ribatté.
- Siete proprio amiche, eh? Chi l’avrebbe mai detto!- le sorrise.
- Mi piace molto stare con lei, è sempre così allegra e scherzosa. Mi risolleva lo spirito, in qualche modo- ammise - E inoltre è la mia unica amica da quando sono tornata ad essere adulta, se si esclude Ayumi che però è una bambina-
- Perché allora non esci con Ran, Sonoko e Masumi qualche volta? Così potresti farti delle nuove amiche della tua età. In fondo è come se le conoscessi già, devi solo fare in modo che loro conoscano Shiho invece di Ai- le suggerì.
- Lo sai benissimo che Sonoko non mi vede di buon occhio perché pensa che fra noi due ci sia qualcosa, non voglio alimentare le dicerie e creare problemi fra te e Ran- spiegò.
- Non ti devi preoccupare di quello che dice Sonoko, sono tutte sciocchezze e Ran lo sa. Perché non vieni con noi al cinema domani? Sarebbe una buona occasione per fare amicizia!-
- Ti farò sapere- fece la sostenuta - Adesso devo andare-
- Guarda che ci conto, brontolona!- la salutò scherzosamente.
- Come hai detto scusa, Sherlock Holmes dei poveri?- ricambiò con il suo fare acido.
- Ehi, questo è un colpo basso!- si lamentò lui, suscitandole una risata.
 
Forse la sua proposta non era così malvagia, in fondo Jodie non sarebbe rimasta in Giappone per sempre e quando avrebbe ritorno negli Sati Uniti lei si sarebbe ritrovata di nuovo sola. La verità era che non sapeva da dove cominciare per stringere amicizia e questo la spaventava. Aveva sempre il timore che la gente la giudicasse male, che non si meritasse l’amicizia di nessuno. Forse era giunto il momento di superare quella paura, anche questo faceva parte della sua nuova vita.
 
 
 
…………………….
 
 
 
- Sei sicuro che non succederà uno scandalo?- gli chiese nuovamente, poco convinta.
- Ma di quale scandalo stai parlando?! Ora esageri!- la riprese - Ti ho già detto che ho avvisato Ran della tua presenza e lei mi è sembrata contenta, quindi non ci sono problemi-
 
Alla fine si era decisa e aveva accettato l’invito, in parte anche spinta dal Dottore che l’aveva incoraggiata a entrare in quel gruppo già formato di amici. Shinichi ne era stato felice e questo la rasserenava: era bello sapere che nonostante avesse riacquistato il suo corpo e la sua vecchia vita non si fosse dimenticato di lei. Ma il timore di affrontare Ran e Sonoko restava. Lei era la causa per cui Shinichi era diventato Conan, una reietta che aveva creato una droga capace di uccidere o, nel migliore dei casi, di far regredire l’età delle persone. Chi avrebbe voluto fare amicizia con una che lavorava per un’Organizzazione criminale? Si chiedeva cosa avrebbe potuto dire loro per presentarsi.
Mentre si poneva domande su domande, arrivarono sotto le finestre dell’agenzia Mouri, dove Ran li stava aspettando insieme a Sonoko e a Masumi. Sgranò gli occhi alla vista di quest’ultima, così fisicamente simile al fratello.
 
- Non mi avevi detto che c’era anche lei!- bisbigliò quasi infastidita all’amico.
- Perché, è forse un problema? Conosci anche lei, no?-
- È la sorella di Akai-san!-
- E allora? Non dirmi che hai qualcosa contro tutta la famiglia adesso!-
 
Era inutile parlare con lui, non poteva capire certe cose. Erano sensazioni che solo lei provava e che non riusciva a spiegare.
 
- Eccolo qui il nostro ritardatario perenne!- fu il saluto poco amichevole dell’ereditiera Suzuki.
- Non sono affatto in ritardo!- ribatté l’amico.
 
Pensava che la scaramuccia sarebbe proseguita ancora per un po’, invece tutti si voltarono a guardarla come se fosse apparsa un’entità evanescente di natura non definita. Di certo la stavano studiando, anche lei lo faceva quando incontrava qualcuno per la prima volta. Inoltre doveva tener conto del fatto che solo Ran era stata avvertita della sua presenza da Shinichi, quindi le altre due avevano tutte le ragioni di essere sorprese. Di certo però quegli occhi puntati addosso non la aiutavano a sbloccarsi.
 
- Ciao Shiho, sono molto contenta che tu abbia deciso di unirti a noi!- la salutò cordialmente Ran, regalandole uno di quegli angelici sorrisi che tanto le ricordavano la sorella defunta.
 
Bene, almeno aveva la conferma che non la odiava e che ciò che le aveva raccontato Shinichi non erano solo fandonie per convincerla. Una su tre era dalla sua parte.
 
- Grazie- ricambiò con un timido sorriso appena abbozzato.
 
Avrebbe potuto sforzarsi di più, ma già quello per lei era un traguardo. Purtroppo però qualcuno non gradì le sue fatiche, forse non comprendendole. Chi era? Niente di meno che la persona da cui si aspettava di essere giudicata più di ogni altra in quel gruppo: Sonoko. Quest’ultima si limitò a fare una smorfia di disapprovazione, facendole capire che al contrario di Ran non era felice di averla con loro.
 
- Ciao, ti ricordi di me?- intervenne Masumi, avvicinandosi a lei e indicandosi.
 
Come poteva non ricordarsi? Quegli occhi erano gli stessi che la sera precedente l’avevano fatta tanto arrabbiare. Non voleva giudicarla dall’apparenza, ma era davvero troppo simile a suo fratello maggiore per non associarla immediatamente a lui. Questo forse era anche peggio della freddezza di Sonoko.
La studiò con una rapida occhiata, notando che come sempre si era vestita tutto fuorché da donna. Non le rendeva le cose più facili vedere che oltre ad avere la stessa faccia si vestiva anche come lui. Si erano già conosciute prima della battaglia finale contro L’organizzazione, ma non era stata una vera conversazione tale da poter instaurare un rapporto di amicizia. In seguito non avevano più avuto modo di parlare. Masumi aveva mostrato fin da subito un certo interesse nei suoi confronti e questo le ricordava, in modo negativo, il fratello. Al contrario di quest’ultimo, però, lei era molto più esuberante, non si nascondeva nel nulla per spiarla ma tentava l’approccio diretto.
 
- Sei la sorella di Akai-san, giusto?- rispose infine.
- Conosci mio fratello maggiore, vero?- le chiese sorridendo.
 
Cosa poteva rispondere? “Sì, tuo fratello è l’ex fidanzato di mia sorella maggiore defunta che l’ha usata per infiltrarsi nell’Organizzazione criminale di ci facevo parte. Ah sì, dimenticavo: ha finto per mesi di essere un’altra persona e si divertiva a spiarmi”. No, decisamente non poteva uscirsene con una tale spiegazione; così fece quello che aveva fatto per la maggior parte del tempo da quando era arrivata: restò in silenzio.
 
- Guarda un po’ Miss “Vi Snobbo Tutti”, pensa di essere bella solo lei?- bisbigliò Sonoko all’orecchio di Ran, nemmeno troppo piano da non farsi sentire.
 
Questa volta non riuscì a trattenersi e ricambiò quella frecciatina con un’occhiataccia glaciale, che fece rabbrividire anche Shinichi. Magari non era l’anima della festa o la numero uno al mondo a relazionarsi con gli altri, ma non avrebbe permesso a nessuno di darle nomignoli e criticarla in quel modo, specie da una ragazzina viziata che aveva avuto tutto dalla vita. Cominciava a pensare che accettare quell’invito fosse stato un errore colossale.
 
- Credo che sia solo un po’ timida, perciò cerchiamo di metterla a suo agio!- intervenne in sua difesa Masumi, lasciando tutti sorpresi, lei compresa.
 
La fissò con gli occhi spalancati, chiedendosi perché lo avesse fatto. Si erano parlate una sola volta, forse due, quindi perché difenderla invece che appoggiare le sue amiche di vecchia data? In quel momento le sembrò profondamente diversa dal fratello, anche se a ben pensarci anche lui l’aveva difesa a modo suo.
 
- Ti prego di perdonarla, nessuno vuole essere sgarbato qui- si scusò sinceramente Ran.
- Tranquilla, è anche colpa mia, non mi sono presentata con le dovute maniere- accettò le scuse, ripromettendosi di essere meno rigida.
- Allora, cosa facciamo?- chiese Masumi, che in quanto a iperattività era imbattibile.
- Perché non facciamo scegliere a Shiho? Così la aiutiamo a mettersi a suo agio- propose Ran.
- A me va bene qualunque cosa, purchè non abbia a che fare con omicidi e casi da risolvere- guardò storto Shinichi, il quale rispose arricciando il naso.
- Perché? Non ti piace risolvere misteri?- chiese Masumi quasi allibita, come se per lei chiunque dovesse essere appassionato di cadaveri e killer.
- Ne ho avuto abbastanza e vorrei una pausa- disse semplicemente, senza alludere troppo alla sua vecchia vita.
- Che cosa ti piace fare?- domandò Ran.
- Vediamo…mi piacciono gli animali, la scienza, la moda e guidare la moto- rispose esattamente come aveva fatto con Jodie.
- Io ho una moto!- s’illuminò Masumi, come se la avessero detto che aveva vinto alla lotteria.
- A-ah sì?- finse di non saperlo lei, non sapendo come approcciarsi.
- E così ti piace la moda…- intervenne Sonoko, che fino a quel momento era rimasta zitta dopo la figuraccia di poco prima.
- È un problema?- chiese lei, con un tono non troppo amichevole dato il trattamento ricevuto.
- Niente affatto, anzi, abbiamo qualcosa in comune a quanto pare!- rispose l’ereditiera scuotendo le mani e sorridendo.
- Perché non andiamo a fare un po’ di shopping allora?- propose Ran - O semplicemente in giro per negozi a vedere le novità-
- Vi prego no…- si lamentò Shinichi, unico uomo del gruppo.
- Noi possiamo guardare nel reparto uomini!- cercò di fargli coraggio Masumi, come se fosse normale.
- Che cosa ne dite del cinema, invece?- intervenne, ricordandosi di come Jodie le era parsa entusiasta quando le aveva detto delle sue serate dedicate ai movie - Magari troviamo un film che accontenti tutti-
- Mi sembra un’ottima idea!- accettò di buona lena Ran.
- Sì, per me va bene- la seguì a ruota Sonoko.
- Ci sto!- annuì Masumi - E tu?- chiese rivolta a Shinichi.
- D’accordo, se non c’è niente di meglio- rispose svogliato.
- Allora andiamo- li invitò a seguirla.
 
Mentre camminavano diretti al cinema, pensò che l’incontro con quelle persone che già conosceva ma che non conoscevano lei non era partito nel migliore dei modi, ma alla fine era addirittura riuscita a mettere d’accordo tutti su cosa fare. Aveva persino qualcosa in comune con Sonoko, quella che sembrava detestarla più di tutti. Se si fosse comportata con loro come si comportava con Jodie, in modo naturale e tirando fuori la parte migliore di sé, non doveva temere un giudizio negativo. Anche lei poteva farsi degli amici, se solo lo voleva.
Arrivati al cinema multisala più vicino, si avvicinarono alle locandine esposte per consultare i vari film in programmazione. C’era davvero l’imbarazzo della scelta, dal film romantico a quello horror passando per il drammatico, il comico e il poliziesco. Purtroppo insieme alla varietà di generi c’era anche la loro varietà di gusti personali e fu così che si accese il dibattito su cosa guardare.
 
- Andiamo a vedere questo bellissimo film d’amore, è così romantico!- si elettrizzò Sonoko.
- Sembra una storia molto dolce- l’appoggiò Ran, guardando poi Shinichi e arrossendo, probabilmente immaginandosi di stringergli la mano durante tutto il film.
- Io preferirei vedere questo- indicò la locandina con il poliziesco Masumi.
- Non mi sembra una storia delle più avvincenti ma effettivamente sembra essere la miglior scelta fra tutti- commentò Shinichi, dando man forte alla sua amica detective.
- Ma voi due non avete altro in testa?- li riprese, esasperata da quella continua ricerca di immergersi in quel mondo fatto di investigazioni.
- Ha ragione!- l’appoggiarono in coro Ran e Sonoko.
- Non dirmi che anche tu vuoi vedere quel polpettone rosa!- incrociò le braccia al petto l’amico.
- No, a dire il vero pensavo a qualcosa di divertente, magari un film comico- lo contraddisse, provando gusto ne farlo.
- Certo, perché tu sei Miss Divertimento!- la canzonò, facendo allusione al suo carattere cupo.
 
Inaspettatamente, Masumi interruppe il loro teatrino mettendole un braccio intorno al collo in segno amichevole, per poi avvicinare il volto al suo e farle l’occhiolino.
 
- La pausa dai misteri potresti prenderla un altro giorno, sono sicura che anche tu preferisci vedere il film poliziesco!-
 
Avrebbe tanto voluto reagire e rifiutare, ma tutto quello che le riuscì di fare fu deglutire sonoramente e fissarla impietrita. Era più forte di lei, ogni volta che la guardava la sua faccia si sostituiva con quella di Akai. Un’immagine piuttosto inquietante che la metteva in soggezione.
 
- Ehi, non cercare di corromperla!- la ammonì Sonoko, puntando il dito contro la detective, ma ottenendo in cambio solo un sorriso innocente.
- Visto che il film romantico resterà in proiezione per tutta la settimana, possiamo venire a vederlo un altro giorno, così accontentiamo tutti- propose lei, cercando di riprendersi dalla paralisi.
- Mi sembra un’ottima soluzione!- l’appoggiò Masumi, che non sembrava volerne sapere di togliere quel braccio dal suo collo.
 
Di nuovo, con non poca sorpresa, riuscì a mettere d’accordo tutti. Si recarono dunque alla biglietteria per prelevare il ticket con il numero dei propri posti, trovando un po’ di coda. Approfittando di un momento di distrazione delle altre tre ragazze, Shinichi le si avvicinò con fare indagatore.
 
- Dì un po’, come mai hai ceduto così in fretta alla richiesta di Sera-chan?- bisbigliò per non farsi sentire.
- Ma l’hai vista? È identica ad Akai-san! Non ce la faccio ad avere una conversazione normale con lei!- ammise.
- Sei ancora arrabbiata con lui a tal punto da avercela anche con sua sorella solo perché si somigliano?- sorrise.
- Sì finchè non chiederà scusa a Jodie!-
 
Si aspettava una risposta alla sua testardaggine, ma qualcosa di più importante catturò l’attenzione dell’amico: la sua fidanzata che si accingeva a pagare il biglietto. Non voleva guardare i film romantici però non si faceva mancare qualche gesto galante; così la fermò in tempo e si offrì di pagare al posto suo, facendola arrossire.
 
- Che scena commovente, mancano solo i petali di ciliegio che volano leggiadri nell’aria!- commentò Sonoko, come se stesse recitando in un dramma teatrale - Non sarà che dietro tutta questa galanteria si nasconde un secondo fine? Dì la verità, non vedi l’ora di entrare nella sala in penombra per potertela sbaciucchiare!- guardò storto Shinichi.
- Ma che stai dicendo, smettila subito Sonoko!- la rimproverò Ran, sempre più rossa in volto.
- Non ti stanchi mai di dire scemenze?!- le diede man forte lui, forse anche più rosso di lei.
 
Non poté trattenere una risatina, seguita a ruota da Masumi. Si girò a guardarla stupita, come se fino a quel momento l’avesse considerata incapace di ridere solo perché suo fratello non rideva mai. Quando si accorse di avere i suoi occhi puntati addosso, la ragazza le sorrise e le fece nuovamente l’occhiolino, costringendola a deglutire rumorosamente una seconda volta. Doveva smetterla di associarla al fratello, altrimenti non sarebbe mai riuscita a stringere amicizia con lei. In fondo anche lei e Akemi erano profondamente diverse, i legami di sangue non determinavano per forza un’uguaglianza caratteriale. Così si sforzò di ricambiare il sorriso.
Quando tutti ebbero avuto il loro biglietto, si apprestarono a prendere posto in sala. Mentre si sedeva tra Shinichi e Masumi, pensò che tutto sommato quella stramba compagnia non era male, poteva persino farci l’abitudine a uscire con loro.
 
 
 
……………………..
 
 
 
Per l’ennesima volta si tolse gli occhiali e si passò una mano sugli occhi, incapace di proseguire nella lettura. L’aver passato la notte quasi insonne non la aiutava certo a dare il meglio di sé, pur essendo consapevole che il lavoro che stava svolgendo era di vitale importanza per il suo futuro. Aveva trascorso un’intera vita aspettando il momento in cui avrebbe vendicato suo padre e sbattuto Vermouth in prigione, ma se avesse presentato al processo quello che aveva combinato in quella giornata, di sicuro sarebbe stata lei a finire al fresco. Si sentiva le palpebre pesanti e gli occhi gonfi, per non parlare della sonnolenza: doveva avere un aspetto orribile. Persino James lo aveva notato, invitandola a pranzo per approfondire la questione. Le aveva chiesto se si sentiva bene senza troppi giri di parole e lei aveva risposto dicendo che si era svegliata con una forte emicrania. Sapeva che il suo capo non se la sarebbe bevuta e infatti notò subito la sua espressione poco convinta; tuttavia non aveva insistito né fatto ulteriori domande: probabilmente aveva capito che il motivo del suo malessere era legato a Shuichi, ormai dopo tuti quegli anni trascorsi insieme aveva imparato a distinguere la sua “faccia da Akai”. Conosceva perfettamente le sue brusche reazioni quando la si costringeva a parlare di lui in momenti delicati, se avesse indagato ulteriormente avrebbe solo scatenato le sue ire. Tuttavia aveva continuato a ronzarle intorno per tutta la giornata, chiamandola con una patetica scusa a lavorare nel suo ufficio piuttosto che stare sola: era il suo modo per dimostrale che lui era lì, che non l’avrebbe abbandonata. Apprezzava questo lato paterno di James, era come poter avere un altro papà, quella figura di supporto che serve a tutti nonostante l’età.
 
- Ehi, Jodie? Ma mi stai ascoltando?- la richiamò all’attenzione, notando che si era nuovamente distratta.
- Perdonami James, non ci sono con la testa oggi- ammise - Potresti ripetere?-
- Lasciamo stare- sospirò l’uomo, chiudendo gli occhi - Perché non esci a prendere una boccata d’aria? Non è il caso che continuiamo su un punto importante se non sei concentrata al massimo-
- No, ora mi rimetto in sesto e proseguiamo, dobbiamo finire questo lavoro il prima possibile!- cercò di essere il più convincete possibile, nonostante la stanchezza.
- Oggi non è giornata, ormai l’ho capito- la fece desistere - Va’ pure a fare un giro per schiarirti le idee-
 
Pur sentendosi in colpa decise di accettare il consiglio di James, che non aveva tutti i torti. Restare lì solo fisicamente e andare a farsi un giro era la stessa cosa.
Uscì dall’ufficio diretta alla macchinetta del caffè, pensando che quella bevanda stimolante l’avrebbe aiutata a risollevarsi un po’. Camminava con la testa bassa, afflitta  per quello che era successo la notte scorsa e anche per quella debolezza che non riusciva a vincere. Quando fu a meno di quattro metri di distanza dalla macchinetta, alzò gli occhi e vi trovò proprio l’ultima persona che avrebbe voluto vedere: Shuichi. D’altra parte doveva immaginarselo che fosse lì, dove c’era del caffè c’era anche lui. Stupida a non averci pensato prima! Restò ferma sul posto, indecisa su cosa fare: andare a prendersi quel caffè equivaleva a fronteggiarlo, mentre andarsene via per non vederlo significava rinunciare al caffè. Non aveva nessuna voglia di fronteggiarlo, non si sentiva ancora pronta per un faccia a faccia; così scelse di tornare nell’ufficio insieme a James senza aver preso nulla. Appena mosse i primi passi nella direzione opposta, sentì la voce di Shuichi alle sue spalle.
 
- Jodie?-
 
Deglutì a fatica, mentre il respiro le si faceva pesante. Pensava di potersene andare senza che lui si accorgesse di lei, invece l’aveva colta sul fatto come un ladro che scappa nella notte. Cosa doveva fare adesso? Ignorarlo oppure rispondere? Se avesse fatto finta di nulla sicuramente Shuichi l’avrebbe seguita, non era uno che si arrendeva facilmente, perciò si fece coraggio e si voltò a guardarlo, senza però dire nulla.
 
- Hai un minuto? Vorrei parlarti- le chiese.
 
Il suo tono sembrava calmo, non c’era più traccia del veleno che le aveva sputato addosso la sera prima. Peccato che lei ne sentisse ancora l’odore pungente addosso, come se il suo corpo ne fosse stato impregnato.
 
- Mi spiace, non ho tempo, devo tornare subito al lavoro- si affrettò a liquidarlo con una scusa.
- Ti ruberò solo pochi minuti- insisté lui.
- Adesso non è il momento- scosse la testa, tornando ad avviarsi lungo il corridoio e piantandolo lì da solo.
 
Non aveva idea di cosa dovesse dirle, pensava che fosse stato già fin troppo chiaro la sera scorsa. Forse voleva farle delle scuse? Non era da lui, Shuichi l’uomo perfetto non si abbassava a chiedere scusa per i proprio errori. Inoltre, non le sarebbe andato giù un altro “grazie” come quello che ancora le risuonava fastidiosamente nella testa. Era ancora troppo arrabbiata per sostenere una conversazione civile con lui, quindi per il momento era meglio evitare.
 
- Stai scappando, Jodie?- lo sentì provocarla, la voce che si faceva sempre più lontana.
 
Strinse i pugni, cercando di contenere quella rabbia che poteva esplodere da un momento all’altro. Aveva i nervi a fior di pelle ed essere provocata non la aiutava certo a calmarsi.
 
- Non sono io quella che scappa- rispose freddamente e in modo allusivo, sperando che l’uomo ne cogliesse il vero significato.
 
Non ricevette risposta, nemmeno si voltò per vedere se la freccia che aveva scoccato aveva centrato il bersaglio. Non le importava, volevo solo andare via e allontanarsi da lui.
Prima di tornare nell’ufficio di James fece una sosta in bagno: non era riuscita a prendersi un caffè ma almeno una rinfrescata al volto poteva darsela. Si tolse gli occhiali e se li mise in tasca, poi aprì il rubinetto e con una mani prese un po’ d’acqua tamponandosela sul volto. Quando alzò lo sguardo e vide la sua immagine riflessa nello specchio storse il naso: aveva davvero un aspetto orribile. Se avesse fatto una gara di occhiaie con Shuichi di sicuro l’avrebbe battuto. Le venne da chiedersi se anche il suo rapporto con lui si fosse definitivamente sciupato come il suo volto. Aveva superato una rottura, tre anni di lontananza, una finta morte; eppure non riusciva a superare un battibecco che all’apparenza sembrava molto meno grave di tutto il resto. Già, all’apparenza… perché per lei quelle parole avevano un peso molto più grande di un “per questo dobbiamo lasciarci” o di un “se vuoi ingannare i tuoi nemici devi ingannare i tuoi amici”. Era riuscita a rimanere sua amica nonostante il sentimento che provava ancora per lui, ma ora non sapeva più se sarebbe riuscita ad approcciarsi nuovamente a lui come tale. L’aveva rifiutata come fidanzata e ora, in un certo senso, lo aveva fatto anche come amica. Forse sarebbe stato meglio essere semplicemente due colleghi che lavorano insieme, ma in cuor suo sapeva che questo le sarebbe stato difficile da realizzare. I sentimenti non si cancellano solo con la volontà. Cosa ne sarebbe stato di loro, dunque?
Consapevole di non poter controllare le proprie emozioni e di non poter prevedere il futuro che l’attendeva, restò a fissare tristemente i propri occhi riflessi nello specchio, in attesa di una risposta che non arrivò.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Sempre più allegra questa storia! XD Presumo che tutti voi aveste già immaginato che questo capitolo non sarebbe stato proprio un tripudio di gioia, ma spero che non vi abbia depresso troppo, specie nella seconda parte! Arrivati a questo punto cosa ne pensate? Si chiariranno oppure no? Se volete fatemi sapere anche cosa ne pensate di questa nuova amicizia che Shiho ha stretto con i suoi coetanei, come sempre ascolto volentieri le vostre impressioni! ^-^
Grazie come sempre a tutti quelli che seguono questa storia! ♥
Bacioni
Place

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: Quando il passato torna a galla ***


Capitolo 13: Quando il passato torna a galla
 
 
Affondò nuovamente il cucchiaio nel barattolo di gelato alla fragola dove cercava conforto dopo quella dura giornata, mentre con l’altra mano continuava a cambiare canale nella speranza di trovare un programma abbastanza interessante da distrarla dai suoi pensieri. Quel senso di depressione non voleva saperne di lasciare il suo corpo e la sua testa, il ricordo delle parole dette e di quelle non dette la tormentava. Sentiva di aver perso qualcosa di importante, ma al tempo stesso aveva l’amara consapevolezza di non averlo mai posseduto. Non puoi perdere qualcosa che non ti appartiene.
Lasciò scivolare il telecomando sul divano accanto alle sue gambe rannicchiate, rinunciando a cercare qualcosa di interessante: quella sera nemmeno il palinsesto era dalla sua parte. Stava guardando di malavoglia quel film da quattro soldi per il quale aveva optato quando sentì suonare il campanello. Si girò verso la porta, stranita: chi poteva essere a quell’ora? Il primo pensiero ricadde su James, che per tutto il giorno si era preoccupato di lei; tuttavia le sembrava strano che fosse addirittura andato a casa sua, dopotutto non stava morendo, aveva solo avuto una giornata no.
Si alzò di malavoglia dal divano, posando il barattolo di gelato con dentro il cucchiaio sul tavolino e andò alla porta premendo il pulsante sul citofono e facendo la consueta domanda.
 
- Chi è?-
- Sono io- rispose semplicemente la voce all’altro capo.
 
Trasalì, riconoscendo il tono del suo interlocutore: l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare davanti alla porta, ma la prima che occupava i suoi pensieri dalla notte scorsa. Il cuore iniziò a martellarle il petto, si sentiva come colta da un attacco di panico. Cosa doveva fare? Non poteva fingere di non essere in casa, ormai aveva risposto, però non se la sentiva di affrontarlo. Dopo un attimo di titubanza, decise di fare quello che era più civile fare: aprì la porta. Se lo ritrovò davanti con un bellissimo mazzo di fiori fra le mani, anemoni colorati e qualche calendula in mezzo. C’erano solo due motivi per cui un uomo poteva presentarsi a casa di una donna con dei fiori: dirle che l’amava o chiederle scusa. Considerando la natura del loro rapporto in quel momento, era molto più probabile che Shuichi fosse lì per la seconda opzione. Fu comunque sorpresa per quel gesto inaspettato, di certo non era da lui abbassarsi a tanto.
 
- Posso entrare? Vorrei parlare- le disse per rompere il silenzio.
 
Avrebbe voluto rispondergli come gli aveva risposto qualche ora prima al lavoro, ma ormai era in trappola, non poteva dire di essere occupata alle dieci e mezza di sera. Così sospirò e gli fece segno di entrare, gesto che il collega non si fece ripetere due volte.
 
- Che ci fai qui a quest’ora?- gli chiese, pur sapendo già la risposta.
- Mi sembra ovvio, no? Sono venuto a deporre l’ascia di guerra e a farti le mie scuse- le allungò con gentilezza il mazzo di fiori, che lei prese con piacere.
- Grazie, sono bellissimi- abbozzò un sorriso, ammirandoli e inspirandone il profumo.
 
Si guardò intorno, cercando qualcosa dove poterli mettere: lo sguardo le cadde su un vaso di ceramica vuoto posato in un angolo a terra vicino a un mobile. Lo prese e lo riempì d’acqua fresca, togliendo poi la carta e il fiocco dai fiori e posizionando questi ultimi al suo interno. Infine lo sistemò sopra al mobile stesso, il tutto sotto lo sguardo attento di Shuichi che non la mollava un secondo. Probabilmente si aspettava che dalla sua bocca uscisse qualche parola, considerando che fra due era lei quella chiacchierona ed espansiva, ma dopo essersi reso conto che non avrebbe ottenuto nulla cominciò a farle domande quasi sciocche, giusto per intavolare un discorso.
 
- Ti ho disturbato mentre mangiavi il dessert?- accennò con la testa al barattolo di gelato che aveva lasciato sul tavolino.
- Avevo semplicemente voglia di qualcosa di dolce- si limitò a dire, chiudendo il barattolo e riportandolo nel frigorifero prima che il gelato si sciogliesse completamente.
 
Gli stava sfuggendo e di sicuro lui l’aveva capito. Sarebbe stata un’ipocrita a dire che quel gesto carino non l’aveva colpita o che non aveva gradito quegli splendidi fiori; tuttavia la rabbia ancora viva e la consapevolezza che i suoi sentimenti non fossero ricambiati le impedivano di approfittare della situazione. Non era il momento giusto per avere una conversazione e doveva metterlo in chiaro.
 
- Senti Shu…- cominciò, non sapendo che parole usare - Sei stato davvero gentile a venire qui per scusarti e portarmi i fiori, lo apprezzo molto, davvero. Però ora non me la sento di affrontare la cosa, non sono dell’umore adatto. Non voglio peggiorare la situazione, perciò preferisco parlare in un altro momento, perdonami- concluse, facendo un lungo respiro.
- Jodie non sei più una bambina, sei una donna adulta, dovresti imparare ad affrontare certe situazioni. Vuoi davvero tenermi il broncio e rovinare i rapporti per un diverbio che ormai è stato chiarito?- la fissò con sguardo austero, com’era solito fare quando voleva atteggiarsi da uomo maturo e superiore.
 
Fu quella la goccia che fece traboccare il vaso, quelle parole forse anche peggiori di quelle della sera precedente. Una bambina lei?! Non aveva potuto esserlo nemmeno quando l’età anagrafica glielo avrebbe concesso, figuriamoci adesso! Non era lei che stava rovinando i rapporti, era lui con la sua mancanza di tatto e di sentimenti. Nella crescente ira che le offuscava la mente, si chiese per la prima volta come aveva potuto innamorarsi così di una persona del genere, un uomo che non si rendeva nemmeno conto di quanto le sue parole potessero ferire più delle pallottole che sparava con i suoi amati fucili. Non era perfetta, ma si meritava di meglio. Stava sprecando il suo tempo dietro a qualcuno che non si rendeva nemmeno conto di quanto amore gli avesse donato senza chiedere nulla in cambio. Era arrivato il momento che lo sapesse. Shuichi Akai doveva rendersi conto di non essere così perfetto come voleva far credere.
 
- Se fossi stata una bambina non avrei sopportato tutto questo, al contrario ti avrei già mandato al diavolo da un pezzo!!! Non avrei continuato a preoccuparmi per te come fa una mogliettina fedele dopo che sei anni fa mi hai dato il benservito con una scusa assurda!!! Sei tu quello che ha rovinato tutto e lo hai fatto nel momento in cui non ti sei mai preoccupato di farmi una sola, maledetta telefonata per sapere come stessi dopo che mi avevi piantata in asso!!! E non dire che non potevi perché altrimenti ti avrebbero scoperto, il tempo di telefonare a James per parlargli di come procedeva la tua missione ce lo avevi eccome! Avrei voluto sentirmi dire che anche io ti mancavo da morire come tu mancavi a me, anche se fosse stata soltanto una bugia per farmi felice ti avrei creduto lo stesso! Ma la verità è che tu non mi hai lasciata perché temevi di poterti tradire da solo durante la tua missione… la verità è che tu ti eri già innamorato di Akemi. Dopo la sua morte ti sei chiuso in te stesso e nonostante sia ormai passato un anno sembri non avere nessuna intenzione di riaprirti. Sembra quasi che provi una sorta di piacere oscuro nel continuare a crogiolarti nel tuo mondo fatto di dolore e sensi di colpa. Io ci ho provato, ci ho provato con tutte le mie forse a riportati a galla dall’abisso nel quale sei sprofondato, ma tu ti ostini a rifiutare la mia mano! Io… mi sono stancata di bussare a una porta che non apre-
 
Era passata dal gridargli in faccia con tutto il fiato che aveva nei polmoni al versare lacrime mentre pronunciava quelle ultime parole con voce debole, il tutto senza nemmeno rendersene conto. Non aveva quasi preso fiato tra una frase e l’altra, le parole scorrevano senza sosta come un fiume in piena. Parole che per troppo tempo si era tenuta dentro, parole che non aveva mai trovato il coraggio di dire. Sapeva che adesso tutto sarebbe cambiato, che non poteva più rimangiarsi nulla, così come sapeva di aver confessato in modo indiretto ciò che ancora sentiva per lui. Non era certo così che si era immaginata il momento in cui gli avrebbe detto che lo amava ancora. Confusa e incapace di gestire tutti quei sentimenti che stava provando in un solo momento, continuava a piangere e guardarlo dritto negli occhi, in attesa di una sua replica. Per tutto il tempo in cui gli aveva inveito contro, era rimasto a guardarla con una faccia stranita, incredulo che tutto ciò stesse accadendo davvero. Non l’aveva mai vista così infuriata ed esasperata, forse non aveva nemmeno mai pensato che potesse arrivare a tanto. Ora, invece, se ne stava in silenzio con gli occhi chiusi, probabilmente elaborando ogni singola parola e traendo le sue conclusioni. Avrebbe tanto voluto sentirsi dire qualcosa, qualsiasi cosa, anche negativa, purché parlasse. La totale indifferenza le avrebbe fatto molto più male di una riposta glaciale. Ma il cecchino continuava a stare nel silenzio più assoluto.
Ormai incapace di sopportare altro, si diresse a passo veloce verso la porta, spalancandola bruscamente .
 
- Vattene!- ordinò, un’insolita scintilla di ferocia negli occhi.
 
Senza opporre la minima resistenza e controbattere, Shuichi camminò lentamente verso la porta con gli occhi chiusi, impassibile come sempre. Non si aspettava di certo una risposta prima che lasciasse il suo appartamento, ormai non si aspettava più nulla da lui. Non lo guardò nemmeno mentre varcava la soglia e si avviava lungo il corridoio per tornare da dove era venuto, non voleva vedere quell’indifferenza che la logorava dentro. Richiuse la porta e si appoggiò contro di essa con la schiena, lasciandosi scivolare a terra come sangue che scorre da una ferita, scoppiando in un pianto disperato. Da domani niente sarebbe più stato lo stesso. Aveva perso una spalla, un amico, l’amore di una vita.
 
 
 
Quando riaprì gli occhi il sole era già sorto da un pezzo, poteva intravederlo da dietro le leggiadre tende che coprivano la portafinestra. Nonostante la sonnolenza le indicasse che aveva dormito, si sentiva stanca come se avesse lavorato tutta la notte. Si rigirò sulla schiena, smuovendo le coperte: solo allora si rese conto di trovarsi nel suo letto. Non ci sarebbe stato nulla di strano, è lì che si va per dormire, il problema era che lei non ricordava quando e come ci era arrivata. L’ultima immagine proiettata nella sua mente era quella di Shuichi che se ne andava via dopo che lei lo aveva cacciato: tutto il resto era un enorme buco nero. Si passò le mani sulla faccia e sulla testa, per poi allungare una mano e prendere il cellulare sul comodino per controllare l’ora. Notò che, oltre a cinque chiamate perse di James, aveva anche due chiamate perse a nome Shiho, risalenti alla sera precedente. Era talmente assente che non si era nemmeno accorta del cellulare che suonava, o forse lo aveva sentito ma era stata incapace di rispondere e ora non se lo ricordava, come tutto il resto. Immaginò che le avesse telefonato per sapere come stava dopo la discussione con Shuichi a casa Kudo, ma in quel momento non aveva nessuna voglia di parlare di lui o di loro, perciò decise che l’avrebbe richiamata quando si sarebbe sentita in grado di affrontare l’argomento. Non era nemmeno sicura di essere in grado di andare al lavoro, non aveva la testa per stare concentrata su qualcosa che avrebbe deciso le sorti dell’assassina di suo padre, senza contare che sarebbe entrata in ufficio con più di due ore di ritardo. Così telefonò a James, per dargli almeno una spiegazione.
 
- Jodie, ma dove sei finita?! Sono due ore che ti chiamo!- la rimproverò subito non appena rispose alla chiamata, senza nemmeno augurarle buongiorno.
- Perdonami James, mi sono svegliata solo pochi minuti fa. Non mi sento per niente bene, non credo di riuscire a venire oggi. Sto anche peggio di ieri- si giustificò, sperando di cavarsela.
- Che cos’hai?- le chiese James, un po’ preoccupato.
- Niente di grave, credo sia solo un po’ di influenza- mentì, nonostante sapesse che James le avrebbe difficilmente creduto.
- Jodie, non puoi mollare proprio adesso, dobbiamo prepararci bene per il processo se vogliamo vincerlo- le ricordò, come se non lo sapesse.
- Lo so e domani farò il possibile per esserci, te lo giuro, ma oggi proprio non ce la faccio-
- Per caso il motivo per cui non riesci a venire al lavoro oggi è lo stesso per il quale stamattina Akai è più cupo e associale del solito, cosa che negli ultimi tempi non era più come lo era mesi prima?- le chiese diretto senza giri di parole.
 
Rimase spiazzata da quella domanda e da come, nonostante fosse consapevole della perspicacia dell’uomo che l’aveva cresciuta durante tutti quegli anni, riuscisse ogni volta a capire e collegare tutto. “La saggezza che viene con l’età”, le diceva sempre, ma lei aveva sempre pensato che fosse una dote più che un’abilità acquista negli anni.
Ripresasi dallo stupore, sentì la rabbia crescerle dentro. Se stava male doveva per forza essere a causa di Shuichi?! Si maledisse nuovamente per come si era eclissata dietro alla figura di quell’uomo, tanto da renderlo visibile agli occhi di tutti. Magari non era solo James, magari i suoi colleghi sparlavano di questo dietro alle sue spalle. Si immaginava i loro commenti, del genere “Hai visto come gli scodinzola dietro?” o cose di basso livello come quella. Inoltre, non era certo un suo problema se Shuichi era scorbutico: così era nato e così sarebbe morto.
 
- Possibile che tutto quello che mi riguarda debba per forza girare intorno a lui?! Non è il centro del mondo!!! Ora non posso nemmeno più ammalarmi?!- urlò, per poi riattaccargli il telefono in faccia.
 
Se ne pentì subito dopo, rendendosi conto che alla fine James non aveva nessuna colpa, si stava solo preoccupando per lei.
Spossata da tutta quella situazione, tornò a rigirarsi su un fianco e si coprì completamente, infastidita anche dalla luce del sole che filtrava. Non aveva nessuna voglia di alzarsi da lì né di fare nulla.
 
 
 
………………….
 
 
 
Restò per un attimo a fissare il display del telefono dove la chiamata era appena stata interrotta, colpito dalla veemenza con cui la sua interlocutrice gli aveva risposto. Quando reagiva in quel modo la situazione era più seria di quello che sembrava, ormai la conosceva bene.
Sospirò, chiudendo gli occhi e riflettendo su da farsi. Poi uscì dal suo ufficio e andò a cercare Shuichi, che non gli aveva comunicato cosa avrebbe fatto quel giorno. Lo trovò in un ufficio isolato dagli altri, che avevano adibito ad archivio, seduto alla scrivania a leggere dei file contenuti in vecchi fascicoli. Vedendolo entrare, alzò gli occhi dalla lettura.
 
- È successo qualcosa?- gli chiese subito, pensando che se il capo andava da lui era per un emergenza.
- No, volevo solo chiederti se potevi tenere tutto sotto controllo per qualche ora, io devo assentarmi. Sei il mio uomo migliore, non saprei a chi altro chiedere- ammise, rinnovando la grande stima che provava nei suoi confronti.
- Va tutto bene?- chiese nuovamente, come se percepisse che gli stava nascondendo qualcosa.
- Sì, devo solo occuparmi di una cosa prima che sia troppo tardi. Allora, puoi sostituirmi?- rispose semplicemente, non volendo rivelargli cosa dovesse fare.
- Certo, ci penso io- acconsentì.
 
Senza aggiungere altro uscì dalla stanza, prese l’ascensore e raggiunse il parcheggio fuori dall’edificio, salendo sulla sua auto diretto a casa di Jodie.
 
Una ventina di minuti dopo era già davanti alla porta del suo appartamento. Suonò il campanello e attese fino a quando non sentì la voce al citofono.
 
- Chi è?-
- Sono io-
 
La serratura scattò e la porta si aprì, mostrando la giovane donna non proprio nella sua forma migliore. Aveva gli occhi arrossati e gonfi, segno che aveva pianto parecchio, i capelli arruffati e indossava ancora la camicia da notte che aveva coperto per pudore gettandosi un panno sulle spalle e avvolgendoselo addosso. Di certo la sua non era stata una scusa per non andare al lavoro e bighellonare in giro per la città.
 
- James, che ci fai qui? Non dovresti essere al lavoro?- gli chiese stupita.
- Oggi ho qualcosa di più importante di cui occuparmi del lavoro-
 
Sapeva che quella che col tempo era arrivata a considerare come una figlia avrebbe capito che la cosa importante a cui si stava riferendo era proprio lei; infatti Jodie si gettò fra le sue braccia e ricominciò a piangere, sicura che lui non l’avrebbe giudicata troppo immatura o debole. Probabilmente quelle erano le parole che avrebbe voluto sentirsi dire da un’altra persona, la stessa per la quale stava versando lacrime. Lui era l’unico a sapere della loro storia, l’unico che sapeva di quanto avesse sofferto in quegli ultimi anni.
La abbracciò forte e lentamente la fece camminare fino al divano, dove si sedettero e lei continuò a sfogarsi piangendo contro il suo petto per parecchi minuti, mentre lui cercava di confortarla accarezzandole la testa. Restarono così fino a quando Jodie non si calmò, pur continuando a restare abbracciata a lui.
 
- Mi dispiace, mi sto comportando da stupida- gli disse asciugandosi gli occhi.
- Sei solo un po’ giù di morale, capita a tutti- la tranquillizzò - Che ne dici se ti porto fuori a pranzo a mangiare qualcosa di buono? Però devi darti una sistemata-
- Grazie, ma non ho fame- scosse la testa.
- Coraggio, devi mangiare qualcosa. Se non ti va di uscire ti preparo qualcosa io, però devi vestirti- si raccomandò, come avrebbe fatto un padre.
- E va bene vecchio brontolone!- sorrise lei, arrendendosi e dandogli un pizzicotto sulla spalla, per poi alzarsi dal divano e dirigersi nella sua stanza.
- Sul brontolone posso anche chiudere un occhio, ma sul vecchio no! Attenta a come mi parli signorina!- finse di essere serio, anche se si capiva che stava scherzando per tirarle su il morale.
 
Si alzò anche lui dal divano e cominciò a cercare nella dispensa qualcosa da preparare. Alla fine decise di fare del riso con carne e verdure, un piatto semplice ma nutriente, senza contare che non era rimasto molto in casa, dal momento che spesso a tutti loro agenti capitava di mangiare fuori.
Mise l’acqua a bollire in pentola e si apprestò a tagliare le verdure. Dopo poco Jodie lo raggiunse, con un aspetto decisamente più fresco: si era sciacquata le lacrime dal volto, i capelli erano pettinati e in ordine e indossava una camicetta e un paio di jeans, decisamente più appropriati di quella sottoveste succinta. Apparentemente sembrava che stesse meglio, ma sapeva bene che dentro di lei il fuoco bruciava ancora. Probabilmente non voleva affrontare l’argomento, ma doveva chiederglielo comunque.
 
- Allora, vuoi spiegarmi cos’è successo con Akai?-
- Ti prego, possiamo cambiare argomento? Altrimenti non riuscirò ad inghiottire nemmeno un boccone di quello che stai preparando- si sedette a tavola, sospirando.
- Mi dispiace insistere, lo so cosa provi e non voglio immischiarmi nei tuoi affari sentimentali, però io sono anche il tuo capo Jodie e vorrei assicurarmi che non ci saranno dissapori sul lavoro fra i miei sottoposti. Siete due agenti validi e io ho bisogno di entrambi. Dovete lavorare insieme ancora per molto tempo e non voglio che la vostra professionalità venga a meno per questioni personali- spiegò serio.
- Non succederà- disse convinta - Ho solo bisogno di qualche giorno da sola per smaltire il tutto. A questo proposito, non è che io e te potremmo lavorare da soli fuori dalla sede? Mi sentirei meno nervosa e riuscirei a concentrarmi meglio. Possiamo lavorare qui oppure da te- propose.
- Jodie, devi venire al lavoro, non sei più una bambina testarda con la quale devo scendere a compromessi- ribadì.
- Hai ragione, vedrò di rimettermi in sesto il più in fretta possibile. Però questo discorso dovresti farlo anche a Shu, perché non sono sicura che anche lui voglia lavorare ancora con me-
- La faccenda è davvero così grave?- chiese, sempre più confuso.
- Abbastanza- rispose semplicemente.
 
Continuando così non sarebbe arrivato a niente. Lui le faceva domande e lei rispondeva vagamente, tutta la questione era avvolta dal mistero più totale. Ma non era andato lì per giocare al detective, era andato lì per risolvere il problema e se per farlo doveva essere insistente allora lo sarebbe stato. Iniziò a scrutarla e fissarla, cercando di metterla in soggezione a tal punto da farle vuotare il sacco. Di solito era una mossa che funzionava. Come previsto, la vide ruotare gli occhi per l’esasperazione.
 
- Abbiamo avuto una discussione pesante, lui ha detto cose, io ho detto cose e poi l’ho cacciato da qui- riassunse brevemente.
- Lo hai cacciato?- si stupì.
- - annuì - Era venuto per chiedermi scusa dopo che l’altra sera a casa di Shinichi Kudo non si era comportato benissimo nei miei confronti- accennò con la testa al vaso di fiori sopra al mobile - Però io non avevo voglia di parlargli perché volevo sbollire la rabbia. Lui ha insistito, mi ha provocata e io… - fece una pausa, intristendosi - Ho fatto un casino-
- Di che genere?-
- Del genere rinfacciargli delle cose che mi sono tenuta dentro per anni… - scosse la testa.
 
Ci fu un attimo di silenzio, del quale approfittò per buttare il riso nell’acqua ormai bollente e mescolarlo. Rielaborò tutto ciò che Jodie gli aveva appena detto, immaginandosi quali potessero essere queste cose che si era tenuta dentro. Una volta gliene aveva confessata qualcuna senza volere, una sera in cui aveva esagerato col vino, ma lui non se l’era più sentita di toccare l’argomento. Forse lei non lo ricordava nemmeno.
 
- Forse non è un male che tu ti sia sfogata, fingere che tutto andasse bene non era una soluzione- disse infine - In questi anni ti ho sempre sentita dire “va tutto bene” ogni volta che ti chiedevo se qualcosa non andava con lui, ma era ovvio che non andasse bene. Non c’è nulla di male se provavi rabbia nei suoi confronti, l’importante era che questa rabbia non si trasformasse in odio e perché ciò non avvenisse dovevi trasformarla in parole e liberartene. Ora che l’hai fatto puoi andare avanti-
- Il problema è che l’ho trasformata in parole acide che non posso rimangiarmi… - abbassò lo sguardo.
- Posso fare qualcosa per aiutarti?-
- Non sono più una bambina, l’hai detto anche tu. Se mi caccio nei guai devo uscirne con le mie forze- cercò di sorridere.
 
Aveva ragione, c’erano cose in cui non poteva aiutarla. Poteva preoccuparsi per lei, poteva prepararle il pranzo, ma non poteva intromettersi nelle sue questioni sentimentali. Tutto ciò che gli restava da fare era incoraggiarla a fare del suo meglio. Ricambiò quel sorriso, continuando a cucinare per lei come faceva ai vecchi tempi.
 
 
 
…………………..
 
 
 
Chiuse anche quel fascicolo, mettendolo nella fila di quelli già letti. Ormai era passata anche l’ora di pranzo e nessuno era andato da lui, perciò tutto doveva essere sotto controllo. Si chiese se James fosse già tornato e soprattutto cosa fosse uscito a fare. Sembrava preoccupato, ma di certo se ci fosse stato un problema che riguardava l’FBI glielo avrebbe detto. Prese un altro fascicolo dalla fila dei non letti e lo aprì, cominciando a visionare i file al suo interno: erano tutti appunti che aveva raccolto durante i suoi anni da infiltrato nell’Organizzazione. Si sarebbe potuto definire un tuffo nel passato, ma di certo non con ricordi piacevoli. Ogni pagina che sfogliava era una ferita che si riapriva. Una vendetta che gli era costata cara, la sua. Nella sua mente si accavallavano diversi pensieri, da suo padre ad Akemi. Persone che amava e che gli erano state portate via. D’un tratto, però, il ricordo della sua rottura con Jodie riaffiorò nitido come se fosse accaduto il giorno prima. Si ricordò di ogni singola parola che si erano detti in quella macchina che ormai non esisteva più, come la loro storia. Benché avesse cercato di non darvi troppo peso, come faceva con le cose che gli risultavano troppo scomode da accettare, sapeva di averle spezzato il cuore, ma non avrebbe mai pensato che Jodie covasse rancore nei suoi confronti per questo. Lei, che gli aveva sempre perdonato tutto, anche gli errori che lui stesso non si era mai perdonato. Dal canto suo, anche per quel lui quel giorno non era stato facile. Non l’aveva di certo lasciata a cuor leggero come pensava lei, non aveva provato gioia nel sacrificare la donna che amava per uno sporco lavoro. I suoi sentimenti erano veri, ma ora stava pagando il prezzo per non averglielo mai detto o per lo meno fatto capire. Sapeva che lei provava ancora dei sentimenti molto forti per lui, lo aveva capito da tempo, ma aveva preferito fare il finto tonto per non illuderla di voler ricominciare un rapporto con lei. Non aveva il cuore in pace per ricominciare una relazione, né con lei né con nessun’ altra donna, ma aveva sempre cercato di non farla soffrire.
A quel pensiero gli tornarono in mente le parole che Shiho gli aveva detto la sera prima: “abbi rispetto per i suoi sentimenti”. Doveva essersi accorta anche lei di ciò che provava Jodie. Fu in quel momento che si rese conto che in realtà non aveva certo fatto del suo meglio per avere rispetto dei suoi sentimenti, poiché non si era mai curato di nascondere i suoi sentimenti per Akemi anche quando lei gli stava vicino e poteva percepirli senza che lui parlasse apertamente. Preso com’era nel suo stoico dolore, non si era accorto che anche lei stava soffrendo nel vederlo in quello stato e nel sapere che non era lei la donna oggetto dei suoi pensieri. Quella donna che aveva dovuto sacrificare per la sua missione, quella donna che per prima gli aveva fatto provare dei sentimenti forti dopo che aveva deciso di chiudersi in se stesso a causa della scomparsa del padre, era sempre stata lì per lui e lui l’aveva fatta sentire come se ci fosse sempre qualcosa di più importante di lei. Jodie era una donna fantastica, che non avrebbe di certo avuto problemi a trovarsi mille uomini pronti a farla sentire una regina; ciò nonostante aveva scelto lui, che per quanto galante ed educato non era certo il principe delle favole. E lui aveva sprecato quell’opportunità, troppo concentrato su stesso e sui suoi obiettivi. Era stato cieco davanti a tutto, e anche quando aveva visto, aveva preferito fingere di non averlo fatto, perché così era tutto più facile. Mettere a tacere i sentimenti era la cosa migliore da fare, perché affrontarli l’avrebbe reso vulnerabile e non poteva permetterselo.
Rimise i file nella cartella e la chiuse, lasciandola appoggiata sulla scrivania. Aveva troppi pensieri per la testa, era inutile cercare di concentrarsi. Incrociò le mani dietro la nuca e rimase lì, in quell’ufficio isolato e poco illuminato, a riflettere sui suoi errori.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
So che non è il capitolo giusto da postare a San Valentino ma non è colpa mia se l’ho finito esattamente oggi! XD Quanti si aspettavano questo risvolto nella storia? Tutti perché sono troppo prevedibile! XD Lascio a voi commenti ed impressioni, facendo solo un piccolo appunto sui fiori che Shuichi porta a Jodie. Gli appassionati di cultura giapponese sapranno che in Giappone è molto diffuso l’Hanakotoba, ovvero il linguaggio dei fiori (ricordate quell’episodio del Clash of Red and Black dove i MIB mandano una pianta di aquilegia a James e Conan ne spiega il significato?). ho deciso di usarlo anche io in questo capitolo e vi riporto cosa significano i fiori che Shu regala a Jodie (anche se penso sia abbastanza chiaro!):
 
 Anche un mazzo di Anemoni colorati (tutti i colori tranne il bianco) è un chiaro simbolo di riconciliazione […] le Calendule che nel linguaggio dei fiori indicano “dolore e dispiacere“, quindi evidenziano il pentimento.”
 
Fonte: http://www.edendeifiori.it/il-linguaggio-dei-fiori
 
Come sempre fatemi sapere le vostre impressione se volete! ;) E grazie a tutti quelli che leggono!
Bacioni
Place
 
PS: Pubblicità progresso! Se avete voglia di chiacchierare con me su Detective Conan, Nana, One Piece, ma anche musica e altro venite a trovarmi nel mio piccolo portfolio! ;)
 
 «Place's 707 Room»

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Confessioni ***


Capitolo 14: Confessioni
 
 
- Io non ci capisco più niente con tutti questi paroloni e passaggi!- si lamentò l’ereditiera, mettendosi le mani nei capelli - Ma a cosa diamine servono poi?!-
- Immagino per gli esperimenti in laboratorio, giusto?- ipotizzò Masumi, girandosi a guardarla per chiedere una conferma.
- Se vogliamo dirla in modo generico sì, in realtà servono per tante cose- precisò, sentendosi fiera di ciò che sapeva in quel campo - Cos’è che non ti è chiaro di preciso?-
- Parecchie cose, per esempio questa reazione a catena della polimerasi- indicò il paragrafo sul suo libro di testo - È spiegato in modo troppo difficile!-
- La reazione a catena della polimerasi è una tecnica di biologia molecolare che consente di poter copiare frammenti di DNA di cui si conosco la sequenza nucleotidica iniziale e quella finale. Come saprai il DNA ha una struttura a doppia elica quando è completo. In questo caso noi abbiamo un solo filamento, ovvero un frammento di tutto il DNA, di cui conosciamo la sequenza nucleotidica iniziale e quella finale: tramite la reazione a catena della polimerasi possiamo ricostruire l’altra elica, ovvero l’altro frammento che ci serve per dare vita a un DNA completo. È più chiaro adesso?- la guardò, senza nascondere un pizzico di aria saccente per la spiegazione appena data.
- Ma certo!- esclamò Masumi, entusiasta.
- Sei davvero bravissima in questo campo Shiho-chan!- si complimentò Ran, che aveva iniziato a chiamarla amichevolmente con quel suffisso finale, copiato poi anche dagli altri.
- Sì, ora è un po’ più chiaro, grazie Shiho-chan!- le sorrise Sonoko.
 
Era ormai pomeriggio tardi e fuori c’era ancora un clima piacevole, ideale per un’uscita, ma loro avevano deciso di riunirsi a casa di Shinichi per prepararsi in vista di un imminente esame di biologia. Shinichi escluso, le altre tre ragazze (in particolare Sonoko) erano parecchio dubbiose su alcuni punti e così lei si era offerta di aiutarle a ripassare, visto la sua competenza in materia. Si sentiva fiera di ciò che stava facendo, amava il suo lavoro ancora di più ora che poteva usarlo per scopi giusti e benefici. Era gratificante vedere come quei ragazzi che avevano appena due anni in meno di lei la guardassero ammaliati dalla sua sapienza, molto più avanzata di quella di una normale ragazza di diciotto anni. L’avevano ringraziata molte volte e riempita di complimenti, facendola sentire importante. Non si era mai sentita così, nemmeno quando lavorava a quel progetto che i suoi genitori le avevano lasciato in eredità e che alla fine le si era ritorto contro.
Stavano finendo di ripassare gli ultimi punti quando la loro attenzione fu catturata dal rumore della porta di casa che si chiudeva, segno che qualcuno era entrato. Poteva essere una sola persona, ma nonostante ciò tutti restarono a fissare in silenzio tombale la porta del salone, in attesa che la figura in questione comparisse. Pochi secondi dopo Akai si affacciò, come previsto.
 
- Buonasera ragazzi- disse semplicemente, in un modo piuttosto distaccato e decisamente meno espansivo di come faceva quando vestiva i panni di Subaru Okiya, senza nemmeno fare troppo caso al fatto che sia sua sorella che Shiho fossero all’interno di quel gruppo di studio.
- Bentornato!- lo salutarono quasi in coro.
- Shu-nii!- esclamò Masumi, alzandosi in piedi di scatto e correndo verso di lui per poi abbracciarlo, felice di poter vedere quel fratello maggiore che adorava ma con cui non aveva spesso occasione di trascorrere del tempo.
- Certo che il fratello maggiore di Sera-chan è proprio bello! Quasi quasi mi faccio dare il suo numero di telefono!- commentò sorniona Sonoko, facendo cader loro le braccia.
- Guarda che lo dico a Kyogoku-san!- l’ammonì Ran.
 
Disinteressata all’argomento, si girò a guardare i fratelli Akai, curiosa di sapere come due persone tanto diverse potevano rapportarsi fra loro. Da quando aveva conosciuto Masumi si era sempre chiesta se con lei Akai-san fosse diverso, magari più espansivo e meno burbero. La risposta non tardò ad arrivare, quando lo vide sciogliersi dall’abbraccio e intimare alla sorella di tornare ai suoi studi, per poi dirigersi verso la cucina senza dire una parola. Le dispiacque per quella ragazza, che non cercava altro che l’affetto di suo fratello e al contempo s’indignò per il comportamento di Akai: se lei avesse avuto la possibilità di poter riabbracciare anche solo per un attimo sua sorella, avrebbe fatto di tutto.
 
- Certo che però è poco affabile- si lasciò sfuggire Ran, rendendo parole i pensieri di tutti i presenti.
 
Masumi tornò a sedere con un’espressione mogia sul volto, com’era comprensibile. Cercarono di fare del loro meglio per risollevarla, arrivando addirittura a dirle che magari aveva avuto una giornata stressante al lavoro ma che di certo non ce l’aveva con lei e le voleva bene. Ma non erano loro a doverle dire che le voleva bene, era lui che doveva farglielo capire.
Indignata e curiosa di sapere al tempo stesso, smise per un momento di ascoltarli e continuò a fissare la porta, come se cercasse di guardare attraverso i muri per vedere cosa l’uomo stesse facendo in cucina.
 
- Qualcosa non va?- le chiese Shinichi, che da abile detective doveva essersi accorto della sua distrazione.
- Vorrei chiedere una cosa ad Akai-san ma non so se sia il momento opportuno, sembra che oggi abbia la luna storta più del solito-
- Secondo me dovresti andare, lo sai che lui non aspetta altro che tu vada a parlargli se hai dei problemi. Magari vedere che provi ad avvicinarti a lui gli risolleva il morale!- la incoraggiò.
 
Prese un lungo respiro per farsi coraggio, non era ancora facile per lei affrontarlo o stare da sola con lui nella stessa stanza. Quando si sentì davvero pronta, si scusò con gli altri e disse che si assentava per un attimo, alzandosi e dirigendosi verso la porta. Prima di essere troppo lontana per udire qualsiasi parola, riuscì a sentire la domanda inopportuna di Sonoko.
 
- Per caso a Shiho-chan piace il fratello di Masumi?-
- Ma no, è solo che Shiho è molto amica di Jodie-sensei e vorrebbe chiedere una cosa ad Akai-san visto che lavorano insieme e che lei non è riuscita a vederla di recente- negò Shinichi, intervenuto in suo aiuto.
 
Lo ringraziò mentalmente per aver bloccato sul nascere quel sospetto infondato e insensato, ci mancava solo che si spargesse la voce che aveva una cotta per quello scorbutico che fra parentesi era l’ex di sua sorella.
Quando arrivò in cucina lo trovò mentre si stava gustando sorso dopo sorso un bicchiere di Bourbon. Di certo non era l’orario giusto per un goccetto, ma d’altra parte era un adulto vaccinato e pertanto libero di fare ciò che voleva. Non appena la vide, smise di bere e la fissò stupito, probabilmente incredulo della facilità e velocità con cui si era avvicinata a lui. non poteva biasimarlo, fino al giorno prima si era sempre comportata come se preferisse evitarlo piuttosto che diventargli amica. Di certo non voleva mettersi proprio adesso a chiacchierare con lui, perciò arrivò dritta al punto.
 
- Hai visto Jodie stamattina?- gli chiese.
- Vuoi sapere se le ho chiesto scusa?- replicò lui, immaginando dove volesse arrivare con quella domanda.
- Sono preoccupata perché ieri sera l’ho chiamata più di una volta ma non ha mai risposto. Ho pensato che fosse andata a dormire e che mi avrebbe richiamata stamattina, ma non l’ho sentita per tutto il giorno- spiegò.
 
Si aspettava una risposta, anche sarcastica come era solito fare, invece l’uomo restò in silenzio e riprese a sorseggiare il suo Bourbon, distogliendo addirittura lo sguardo. Gesto che, inutile dirlo, la fece imbestialire.
 
- Allora, l’hai vista sì o no?!- alzò il tono della voce, scocciata per la sua indifferenza.
- Non è venuta al lavoro, probabilmente non si sentiva bene- rispose infine, continuando però a non guardarla in faccia.
- E se si fosse sentita male a casa e non fosse riuscita a chiamare i soccorsi?- si allarmò subito lei, pensando ad alta voce.
- Tranquilla, sono sicuro che James sia andato a farle visita, se ci fossero stati problemi lo avrebbe detto- la rassicurò lui.
- Allora dev’essere arrabbiata con me… - abbassò lo sguardo - Non avrebbe tutti i torti, è colpa mia se avete litigato-
- No, ti sbagli. È con me che è arrabbiata, la colpa è mia- ammise.
 
Fu il suo turno di fissarlo sorpresa: davvero stata ammettendo di avere torto? Possibile che avesse davvero compreso i suoi errori e fosse sinceramente pentito? Se così fosse stato, avrebbe guadagnato qualche punto ai suoi occhi. Era curiosa di vedere se davvero in lui c’era quel buono che Jodie tanto decantava.
 
- Le hai chiesto scusa?-
- Ci ho provato, ma lei non ha gradito particolarmente- rispose, posando il bicchiere ormai vuoto nel lavandino.
- Che significa?- aggrottò la fronte, non capendo.
- Quello che ho detto. In ogni caso non preoccuparti troppo, vedrai che domani ti chiamerà. Ora torna dai tuoi amici o penseranno che preferisci stare con me piuttosto che con loro- chiuse la conversazione, facendole capire che non intendeva rispondere in modo chiaro alle sue domande.
 
Di certo non poteva ritenersi soddisfatta di quella spiegazione, senza contare che poteva rimangiarsi quello che aveva pensato prima: non riusciva a vederci nulla di buono in lui. Sembrava che non gli importasse di nulla se non del suo ego smisurato. Avrebbe tanto voluto che qualcuno gli facesse capire che doveva scendere dal piedistallo.
Mosse i primi passi per uscire dalla cucina, poi si fermò sulla porta e girò di poco il capo per potergli lanciare una delle sue occhiatacce gelide.
 
- Non so quali siano i tuoi sentimenti ma Jodie ci tiene molto a te, vedi di non farla soffrire altrimenti te la vedrai con me- lo avvertì -Ti ricordo che ero una di loro, perciò non sottovalutarmi- aggiunse, facendo riferimento all’Organizzazione - E tratta meglio tua sorella o anche lei finirà con il non rivolgerti più la parola- concluse.
 
Sapeva che non si sarebbe fatto intimorire da una ragazzina, non poteva essere lei la persona che lo avrebbe messo al suo posto; tuttavia voleva fargli capire che se ci teneva ad avere un rapporto con lei doveva cambiare atteggiamento. Forse quello lo avrebbe fatto desistere dal comportarsi come un’idiota.
 
- Cos’è, una minaccia, signorina?- ironizzò lui, non sembrando prendere sul serio le sue parole.
 
Stavolta fu lei a non rispondere: voleva giocare al suo stesso gioco. Senza dire una parola tornò dagli altri ragazzi che la stavano aspettando per finire di studiare.
 
 
 
………………….
 
 
 
Camminava al suo fianco lungo il corridoio, continuando a guardarsi intorno preoccupata, come una spia che teme di essere scoperta. Si stringeva al petto i fascicoli, forse senza nemmeno rendersene conto, mentre si assicurava di restare il più vicina possibile a James. Si sentiva come una bambina che temeva di perdersi in un grande supermercato e per questa ragione non lasciava mai la mano del papà. Un atteggiamento stupido se si pensava che lei ormai era tutto fuorché una bambina. Ma non poteva farne a meno, la paura di incrociare il suo sguardo era più forte di tutto. Pregò con tutta se stessa di non incontrarlo, non avrebbe saputo come comportarsi né cosa dire. Si era esposta troppo e non poteva rimangiarsi ciò che aveva detto.
 
- Stai cercando Akai?- le chiese James, accortosi da un pezzo del suo strano modo di comportarsi.
- Eh?! N-no, no, figurati se lo cerco, non mi sembra il caso!- cercò di negare l’evidenza, colta alla sprovvista.
- Se vuoi andare a parargli prima di cominciare a lavorare vai pure, mi sentirei più tranquillo anche io sapendo che non ci sono attriti fra i miei uomini- la incoraggiò.
- No, davvero, ora non è il momento. Se ci sarà l’occasione parleremo- continuò a restare ferma sulla propria posizione.
 
Entrarono nell’ufficio di James e chiusero la porta, mettendosi subito a lavorare di buona lena: avevano tante cose da recuperare.
Lavorarono senza sosta fino all’ora di pranzo, quando finalmente James concesse ad entrambi una meritata pausa.
 
- Che ne dici di uscire a mangiare un boccone in qualche ristorante carino?- le propose, togliendosi gli occhiali e premendosi gli occhi con l’indice e il pollice della mano destra.
- Potremmo andare in un piccolo locale con il sushi sul rullo che mi ha consigliato un’amica, si mangia davvero bene!- suggerì.
 
Fu allora che le venne in mente che non aveva ancora richiamato Shiho dopo aver trovato le sue chiamate perse sul cellulare. Tra una cosa e l’altra le era completamente passato di mente.
 
- Mi sembra un’ottima idea- acconsentì James.
- Perfetto, allora andiamo!-
 
Scesero fino al parcheggio, salirono in macchina e si avviarono lungo la strada. Dopo aver dato a James qualche indicazione, estrasse il telefono e cercò in rubrica il numero di Shiho. Poteva approfittare del viaggio in macchina per fare la telefonata.
 
- Pronto Jodie, va tutto bene?- rispose immediatamente la voce all’altro capo del telefono, con un tono visibilmente preoccupato - Ho provato a chiamarti più volte ma il cellulare squillava a vuoto…-
- Hello! Perdonami, non sono stata molto bene e alla fine tra il lavoro da recuperare e altro mi sono scordata di richiamarti- ammise.
- Stai bene adesso?-
- Sì, va meglio, grazie-
- Ne sono felice. Senti… posso chiederti come vanno le cose con Akai? Si è scusato con te alla fine?-
 
Tacque per alcuni secondi, intristendosi. Cosa poteva dirle? Se le avesse raccontato ciò che era successo avrebbe finito col peggiorare la situazione non proprio rosea che già esisteva fra la ragazza e Akai.
 
- Scusami, sono sempre troppo diretta- disse Shiho non ricevendo risposta - Immagino che il motivo per cui ti sei sentita male sia proprio la discussione che avete avuto, non volevo farti stare peggio-
- No, tranquilla- la rassicurò - In ogni caso le cose non vanno molto bene-
- Ti ha detto delle altre cose spiacevoli? Ieri quando è tornato dal lavoro aveva una faccia strana e sembrava più scontroso del solito-
- E tu come lo sai?- si sorprese.
- Perché mi trovavo a casa di Shinichi e ho parlato con lui-
 
Di nuovo non seppe cosa rispondere, non si aspettava di sentirsi dire quelle cose. Credeva di essere solo lei quella a soffrire, perché fra i due era l’unica a provare dei sentimenti forti: invece si era appena resa conto di aver a sua volta ferito Shuichi. Forse erano due ferite diverse, forse Shuichi era stato semplicemente punto nell’orgoglio, ma in ogni caso restava il fatto che si erano fatti del male a vicenda.
Si accorse che James la stava guardando con la coda dell’occhio, probabilmente avendo notato la sua espressione affranta. Non era il caso di riprendere il discorso, voleva cercare di dimostrargli che poteva essere forte.
 
- Cosa ne dici se ci vediamo e ne parliamo di persona? Così ti spiego bene- le disse infine.
- D’accordo, dimmi quando sei libera- accettò.
- Se per te va bene possiamo vederci anche stasera-
- Perfetto, ti aspetto per le nove allora-
- Ok, bye bye!- la salutò, cercando di sembrare allegra per non farla preoccupare ulteriormente.
 
Interruppe la chiamata e ripose il cellulare nella tasca della giacca, dando poi un’occhiata alla strada per assicurarsi che James stesse andando nella direzione giusta.
 
- Con chi parlavi?- le chiese, non volendo chiederle di cosa stava parlando.
- Con Shiho- rispose semplicemente, dal momento che gli aveva già raccontato il giorno prima del legame che si era creato fra loro - È lei che mi ha consigliato il posto dove stiamo andando adesso-
- Che piatti fanno in questo locale?-
 
Cominciò a elencargli tutti i piatti che aveva assaggiato quella sera, cercando di risollevarsi il morale e di non ricadere in quella spirale di depressione che l’aveva inghiottita i giorni precedenti. Ringraziò silenziosamente James per non averle chiesto nulla riguardo al contenuto della telefonata, nonostante avesse capito che l’argomento era come sempre Shuichi.
Continuando a chiacchierare, guidarono fino al locale di sushi, dove si concessero il meritato pranzo.
 
 
 
…………………….
 
 
 
Si sedette sul divano di fronte all’amica, osservando il Dottore che portava loro un vassoio con due tazzine, una zuccheriera e una teiera fumante. Lo ringraziò con un sorriso prima che si congedasse da loro per lasciarle sole a chiacchierare su questioni personali. Prese la teiera e versò il tè nelle due tazzine, per poi aggiungere dello zucchero nella sua e mescolare affinché si sciogliesse nel liquido ambrato. Aveva scambiato poche parole con Shiho da quando era arrivata, più che altro classiche domande di circostanza del tipo “come stai?” o “cosa hai fatto oggi?”: sapeva che c’era solo un argomento di cui la ragazza voleva parlare, nonostante si stesse trattenendo per non risultare insensibile.
Bevve una prima sorsata, constatando che il tè era ancora troppo caldo. Fu allora che l’amica, che non le aveva mai tolto gli occhi di dosso un momento, si decise a farle la fatidica domanda.
 
- Allora, cos’è successo ieri con Akai-san?-
 
Prese un lungo respiro, cercando dentro di sé sia la forza per riaffrontare l’argomento per l’ennesima volta, sia le parole giuste con cui farlo.
 
- Ieri sera si è presentato al mio appartamento con dei fiori chiedendomi di parlare, probabilmente voleva scusarsi- cominciò a raccontare - Ma io mi sono opposta, non avevo voglia di parlare in quel momento perché mi sentivo ancora ferita dalle parole che mi aveva detto la sera prima. Lui ha insistito, mi ha provocata e alla fine la rabbia mi ha offuscato la mente e gli ho detto delle cose poco carine con dei toni piuttosto amari. Alla fine l’ho cacciato di casa- concluse, chiudendo gli occhi.
- Lo hai cacciato?! Ora capisco perché aveva quella faccia, essere cacciato non ha fatto di certo bene al suo orgoglio smisurato- constatò la ragazza, scioccata da quel racconto.
 
Di certo nei suoi pensieri si doveva già essersi fatta un’idea nella quale Akai era quello che si era comportato male e lei la vittima; difficile credere che invece stavolta era lei quella ad essersi comportata in modo spiacevole.
 
- Posso sapere cosa gli hai detto di preciso da averlo reso più cupo e scontroso del normale?-
 
Non poté di dire di essere stata colta alla sprovvista, si aspettava che quella domanda prima o poi sarebbe arrivata. Non poteva cavarsela semplicemente con un “gli ho detto delle cose poco carine”, Shiho non era James, la sua curiosità di giovane adolescente vinceva sul giudizio di un adulto forgiato dagli anni e dalle esperienze. James non aveva chiesto i particolari, lei non aspettava altro che saperli.
Si trovò in difficoltà, non avendo una bugia con cui rispondere alla sua domanda e non potendo dirle la verità, perché farlo avrebbe significato confessarle che stava con Akai prima che lui la lasciasse per Akemi. Non voleva ricordarle quella sorella che non c’era più, facendole rivivere un dolore che lei stessa conosceva bene, così come non voleva apparire ai suoi occhi come l’ex fidanzata scaricata e abbandonata. Il suo prolungato silenzio, però, non fece altro che confermare a Shiho che le stava nascondendo qualcosa di grosso. Sentiva i suoi occhi puntati addosso, impazienti di sapere.
 
- Cose personali fra me e lui, diciamo così- rispose infine, pur sapendo che per lei non sarebbe stato abbastanza.
- Non so perché ma ho la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa e questo mi dispiace, ma capisco che ci siano cose troppo personali che preferisci non dirmi. Questo non significa che non ti fidi di me, giusto?- chiese conferma, forse timorosa del fatto che l’aver fatto parte dell’Organizzazione la portasse ad essere vista agli occhi degli altri come una persona di cui non avere fiducia.
- Mi dispiace, non è che voglia nasconderti le cose, è solo che… -s’interruppe, non sapendo come dirle quella verità.
- Che cosa?-
 
Abbassò lo sguardo, combattuta sul confessare la verità o continuare a tenere per sé quel segreto. Una parte di lei, quella che aveva sempre detto di essere stanca delle bugie che avevano fatto da cornice a tutta quella vicenda, voleva confessare anche quell’ultima verità nascosta, ma l’altra parte le diceva che a volte ci sono cose che è meglio non dire, bugie bianche per non peggiorare la situazione.
 
- Lo sai che a me puoi dire tutto- le ricordò l’amica, più preoccupata di ottenere la sua completa fiducia che di farle sputare il rospo.
 
Forse furono quelle parole a darle il coraggio necessario, forse il bisogno di togliersi anche quel peso dal cuore per poter finalmente essere libera. Basta segreti, basta rimpianti, basta rimorsi. Voleva avere la coscienza pulita, qualunque fosse stato il prezzo da pagare. La fissò intensamente per un istante e poi, finalmente, confessò.
 
- Io e Shu stavamo insieme prima che lui si infiltrasse nell’Organizzazione-
 
Nella sala calò nuovamente il silenzio, Shiho la fissava con gli occhi sbarrati quasi come se le avesse detto che aveva visto Cool Guy andarsene dalla scena del crimine senza prima aver risolto il caso. Una situazione impossibile, quasi irreale.
 
- Stai dicendo che eravate fidanzati?- chiese conferma, per essere sicura di aver capito bene.
- Esatto-
 
La vide assumere un’espressione strana, probabilmente stava cominciando a realizzare dove volesse andare a parare quel discorso. Era questa la cosa che temeva di più: la sua reazione.
 
- Quindi vi siete lasciati perché… - non terminò la frase, ma si capiva volesse intendere.
- Perché lui doveva infiltrarsi nell’Organizzazione stringendo rapporti con tua sorella e la sua missione era più importante di tutto-
- Ti ha lasciata lui?-
 
Annuì tristemente, cercando però di non sembrare una vittima: non voleva la pietà di nessuno, c’erano cose peggiori nella vita che essere scaricate dal fidanzato.
 
- Perché non me lo hai mai detto prima? Ho sempre pensato che fossi innamorata di lui da tempo ma che non glielo avessi mai confessato. Questo però cambia tutto… - rifletté.
- Non volevo che pensassi che potessi nutrire rancore nei confronti di tua sorella per questo- ammise.
- Capisco… ma non dovevi farti problemi, lo so che non sei il genere di persona che odia un’altra per qualcosa di cui non ha colpa- la rassicurò.
- Grazie- le sorrise, felice di non averle fatto una brutta impressione.
- Però c’è una cosa che non mi è chiara… cosa c’entra questo con ciò che hai detto ad Akai-san?-
- Gli ho rinfacciato di avermi lasciata con una patetica scusa e che in realtà si era già innamorato di Akemi. Gli ho detto anche che si è chiuso in se stesso e che si rifiuta di aprirsi nonostante io abbia provato in tutti i modi a fargli capire che sono sempre stata lì per lui. In poche parole gli ho confessato in modo indiretto che provo ancora qualcosa per lui- sospirò.
- Speravo che gli confessassi i tuoi sentimenti, ma di certo non in quel modo- ammise.
- Non so nemmeno se potremo essere ancora amici o addirittura lavorare insieme e questo mi addolora, perché era l’unico modo che avevo per stargli vicino anche senza essere la sua donna- abbassò lo sguardo.
- C’è qualcosa che posso fare per aiutarti? Magari se gli parlo io mi darà ascolto, in fondo sta cercando in tutti i modi di avere un rapporto con me-
- Ti ringrazio, ma stavolta devo cavarmela da sola, non voglio coinvolgerti in questa storia perché se lo facessi finirei per allontanarti da Shu ed è l’ultima cosa che voglio. Ho pagato un prezzo alto per il vostro avvicinamento e inoltre credo di averlo ferito già abbastanza-
- Se vuoi posso semplicemente mettere una buona parola nei tuoi confronti con lui-
- È molto carino da parte tua ma non ce n’è bisogno- le sorrise - Ma ora cambiamo argomento, raccontami come stai tu-
 
Forse non era carino troncare la discussione in quel modo, ma il suo stato d’animo stava tornando ad essere depresso e afflitto, perciò la cosa migliore da fare era smettere di parlare di ciò che la faceva soffrire. Sapeva che Shiho lo avrebbe capito e inoltre era felice di come aveva reagito alla sua confessione, la faceva sentire più sollevata.
 
- Beh, ho una novità- annunciò, lasciando trasparire la contentezza nel raccontarglielo.
- Oh, dimmi tutto!- batté le mani curiosa ed eccitata.
- Ho fatto amicizia con la signorina dell’agenzia investigativa, con la ricca ereditiera e con la sorella minore di Akai-san, anche se quest’ultima cosa sembra quasi assurda- ironizzò.
- Dici sul serio?- si stupì - Ne sono felice, Ran e Sonoko sono due brave ragazze! Quanto alla sorellina di Shu, non la conosco bene ma se sei riuscita a stringere amicizia con lei significa che deve essere molto diversa da suo fratello maggiore!-
- All’inizio facevo fatica anche a rivolgerle la parola perché fisicamente si assomigliano tantissimo, poi mi sono accorta che caratterialmente sono come il giorno e la notte-
- Mi fa davvero piacere che tu abbia legato con dei ragazzi della tua età, almeno avrai qualcuno con cui andare in sala giochi quando sarò tornata in America!- sorrise.
- E questo lo devo solo a te. Non pensavo che sarei mai riuscita a stringere amicizia con qualcuno, credevo che mi avrebbero odiata perché un tempo ero una criminale e per aver costretto Shinichi a vivere una vita che non era la sua. Perciò ti ringrazio, perché è solo grazie a te se ho trovato il coraggio di buttarmi. Tu mi hai spinta a non aver paura di ricominciare da zero- ricambiò il suo sorriso, apparendo dolce come non mai.
- Io non c’entro niente, la verità è che sei una ragazza fantastica e anche senza il mio aiuto non avresti avuto problemi a farti ben volere dagli altri!- le fece l’occhiolino - Quindi ora pensi di iscriverti all’Università insieme a loro?-
- Non lo so ancora- sospirò - Certo sarebbe un’occasione per vivere finalmente una vita normale come qualsiasi ragazza di diciotto anni, però negli anni in cui ho vissuto in America ho fatto studi molto approfonditi, più di quelli che dovrebbe fare una normale liceale, perciò andare all’Università mi sembra una perdita di tempo, senza contare che non voglio chiedere denaro al Dottore per pagarmi gli studi. Non sarebbe giusto, in fondo io non sono niente per lui anche se vivo in casa sua- spiegò.
- Questo non è vero, credo che il Dottore ti consideri come una sorta di nipote se non di figlia mai avuta, quindi sarebbe molto felice di aiutarti negli studi-
- Lo so, ma non mi va che usi il suo denaro per me senza che io possa dargli nulla in cambio. Preferirei trovarmi un lavoro in modo da poter contribuire-
- Vorresti continuare a fare la scienziata?- chiese.
- Mi piacerebbe, anche se per scopi più nobili ovviamente- precisò.
- Allora perché non vieni a lavorare nel laboratorio di analisi dell’FBI?- le suggerì illuminandosi - Potresti fare una bella esperienza e poi lavoreremmo insieme!-
- Sarebbe un’opportunità da cogliere al volo, ma per ora non me la sento di lasciare il Giappone. Anche se non si sembra, ci sono tante cose a cui tengo qui- ammise.
- Lo capisco, sai anche a me manca l’America pur amando questo paese. Potresti fare domanda alla scientifica della Polizia di Tokyo allora-
- Non è una cattiva idea- apprezzò il consiglio - Anche se non so quanto prenderebbero sul serio una ragazza adolescente- storse in naso.
- Hai tutto il tempo per pensarci!- le sorrise.
- E poi vorrei anche prendere un animale, ma il Dottor Agasa non è molto d’accordo- sospirò.
 
Estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare, cercando qualcosa nella galleria delle immagini, per poi andarsi a sedere di fianco a lei e mostrarle le foto di alcuni deliziosi cuccioli di Akita Inu che aveva visto in un negozio di animali del quartiere.
 
- Oh my God, ma sono adorabili! So cute!- esclamò lei, intrecciando le mani e portandosele vicino a una guancia, facendo gli occhi dolci - Devi assolutamente corrompere il Dottore per fartene comprare uno!-
- Ci ho già provato, ma questa è pur sempre casa sua e io non posso insistere più di tanto- scosse la testa - Comunque, cambiando argomento: sei libera giovedì della settimana prossima?- le chiese.
- Direi di sì, perché?-
- Perché è il mio compleanno e mi farebbe molto piacere trascorrerlo con te-
- Davvero?- si entusiasmò come una ragazzina - Oh, ma allora dobbiamo festeggiare senz’altro! Che cosa ne dici di fare una piccola festa invitando anche i tuoi nuovi amici, invece di uscire solo noi due? Sarebbe molto più divertente!- le fece l’occhiolino.
- Non lo so, non sono il tipo da feste, penso si sia capito- storse le labbra.
- Ma non dobbiamo fare un ricevimento come quelli dell’Upper East Side, giusto qualche ora passata in compagnia anche qui a casa se il Dottore ti dà il permesso-
- Sì, forse hai ragione, detta così sembra una buona idea- annuì - Però alla festa dovrò invitare anche Akai-san, perché se invito Shinichi e non lui lo verrà a sapere e penserà che lo odio. È un problema per te?- chiese, fissandola seria.
 
Restò in silenzio per un attimo, anche se la risposta era piuttosto ovvia. Con l’atmosfera che c’era fra loro in quel momento, trovarsi nella stessa stanza alla stessa festa non avrebbe di certo portato allegria e risate; tuttavia non era giusto escluderlo dalla vita di Shiho ora che avevano fatto pace, per questioni personali in cui Shiho non c’entrava nulla. Era la sua festa di compleanno ed era giusto che invitasse le persone a lei vicine, indipendentemente dai rapporti che vi erano fra queste. Inoltre, poteva essere un’occasione per riallacciare i rapporti, sempre che ciò fosse ancora possibile.
 
- Assolutamente no, è giusto che inviti anche lui- annuì.
- Sei sicura?-
- - le sorrise - E ora non ci resta che chiedere il permesso al grande capo! Dottor Agasa?- lo chiamò a voce alta, con tono giocherellone.
 
Dopo qualche istante la grassoccia figura dello scienziato comparve nella sala. La sua espressione era n po’ stranita, probabilmente non capiva perché era stato chiamato in quel modo.
 
- C’è qualche problema?- chiese.
- No al contrario, vorremmo chiederle il permesso di fare una cosa!- alzò l’indice, facendo l’occhiolino.
- Di cosa si tratta?-
- Shiho vorrebbe dare una piccola festicciola per il suo compleanno, con non troppe persone ovviamente. Per lei sarebbe un problema farla qui in casa sua?-
- Davvero vuoi fare una festa?- chiese stranito rivolgendosi alla ragazza, incredulo a quelle parole.
- Perché, cosa c’è di male?- replicò lei, incrociando le braccia al petto e assumendo un’espressione corrucciata.
-Oh, niente, niente!- agitò le mani l’uomo - Sono solo sorpreso, tutto qui-
- Allora, possiamo fare la festa?- chiese nuovamente lei, cercando di assumere un’espressione da cucciola per convincerlo.
- Ma certamente, se è solo per poche persone non c’è problema!- accettò con piacere il Dottore.
- Thank you!- lo ringraziò felice, come se la festa fosse la sua - Che ne dici se cominciamo a organizzarla ora? - si rivolse all’amica - Così vediamo cosa serve e soprattutto chi invitare!-
- Mi sembra un’ottima idea!- accettò di buon grado, sorridendo.
 
Trascorsero il resto della serata parlando di bevande, torte e tutto ciò che concerneva una festa di compleanno. Non toccarono più l’argomento Akai, nemmeno quando Jodie scrisse il suo nome sulla lista degli invitati e Shiho osservò l’espressione della sua faccia per captarne anche solo la più piccola emozione. Non c’era altro da aggiungere, ora toccava solo a lei e allo stesso Shuichi rimettere le cose a posto.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Ed eccoci alla fine di questo quattordicesimo capitolo, che sicuramente non era ricco di contenuti come il precedente ma piuttosto di dialoghi e chiarimenti. Ovviamente lo scopo principale di questo capitolo, come avrete intuito dal titolo, era confessare anche l’ultimo segreto rimasto, ovvero che Jodie e Shuichi erano fidanzati e che lui la lasciò per infiltrarsi nell’Organizzazione e avvicinarsi ad Akemi. Ci sono poi tante cose che sembreranno superflue o chiacchiere inutili, ma vedrete che nei prossimi capitoli (già dal prossimo) tutto avrà un senso logico! ;) Spero che il capitolo non vi abbia annoiato troppo! Grazie come sempre a tutti quelli che leggeranno!
Bacioni
Place
 
PS: se c’è qualcuno che studia chimica/biologia o scienze in generale, chiedo umilmente scusa per la parte in cui Shiho spiega! XD Purtroppo io ho fatto poche cose in quel campo avendo fatto il liceo linguistico e poi con gli anni ho finito col dimenticarle, quindi mi sono affidata all’aiuto di Wikipedia e altri siti! XD
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Legami ***


Capitolo 15: Legami
 
 
- Non avrai esagerato?- si lamentò lo scienziato, reggendo a malapena fra le mani tutte quelle buste della spesa.
- Ho comprato solo quello che c’era sulla lista, niente dì più e niente di meno- replicò lei, che di buste ne stava reggendo soltanto una.
 
Mancavano pochi giorni alla sua festa e aveva deciso di cominciare ad acquistare tutto ciò che serviva per non ritrovarsi oberata di cose da fare all’ultimo minuto. Ovviamente aveva chiesto aiuto al Dottore, il quale si era poi pentito di aver accettato. D’altra parte un po’ di sforzo non gli avrebbe fatto male, anche quello poteva ritenersi attività fisica. Gli stava facendo un favore, dal suo punto di vista.
L’ultima cosa che le restava da fare era consegnare gli inviti di persona a quei pochi conoscenti che aveva deciso di chiamare. Quasi come se il fato avesse letto i suoi pensieri, vide in lontananza quattro figure a lei note che si avvicinavano nelle loro divise scolastiche. Quando furono abbastanza vicini da riconoscersi, Masumi cominciò a salutarla agitando le braccia, come se non si vedessero da secoli.
 
- Ciao Shiho-chan, stai facendo un po’ di shopping?- le chiese Sonoko, notando il Dottore e tutte quelle buste.
- In effetti sì- si limitò a rispondere, non volendo rivelare nulla della festa prima della consegna ufficiale degli inviti - E voi? Com’è andato alla fine quel compito in classe di scienze?- chiese per cambiare argomento ed evitare che chiedessero cosa aveva acquistato.
- Non ce l’hanno ancora consegnato ma a me sembra che sia andato bene dopo la giornata di studi che abbiamo fatto insieme- annuì Ran sorridendo.
- Se passiamo l’esame dovremo fare qualcosa di carino per ringraziarla, che ne dite?- suggerì Masumi.
- Sono d’accordo!- acconsentì Sonoko.
- A tal proposito avrei una cosa da chiedervi- colse l’occasione - Potreste venire a casa del Dottore? Vorrei darvi una cosa-
- Che cosa?- chiese Shinichi, dando voce al pensiero di tutti loro.
 
Erano tutti molto curiosi di sapere, poteva leggerlo nei loro sguardi e nell’espressione dei loro volti: la fissavano con gli occhi sbarrati in attesa di una risposta.
 
- Venite e lo scoprirete- sorrise, facendo segno con la mano di seguirla.
 
Fu così che percorsero insieme la strada di ritorno, chiacchierando del più e del meno sotto lo sguardo felice del Dottor Agasa, il quale non poteva desiderare altro per lei che la compagnia di quei ragazzi.
Quando giunsero a casa li fece accomodare il soggiorno, mentre lei e lo scienziato andarono a posare le buste in un’altra stanza. Poco dopo tornarono l’uno con un vassoio e dei bicchieri di succo di frutta, l’altra con quelli che sembravano bigliettini fatti a mano, decorati in modo elegante. I liceali li fissarono, probabilmente chiedendosi cosa fossero. Ne distribuì uno a ciascuno, dando loro il tempo di leggerli.
 
- Mi farebbe molto piacere se veniste alla mia festa di compleanno- disse infine.
- Verremo con piacere, Shiho-chan!- accettò volentieri Ran, mentre Masumi e Sonoko annuirono alle sue parole.
- Ma tu guarda, non mi aspettavo che avresti dato una festa!- intervenne Shinichi, guardandola con fare sornione - Pensavo che avresti festeggiato da sola sul divano leggendo una di quelle noiosissime riviste di moda- ironizzò.
- Tu invece il tuo compleanno lo festeggerai fra i cadaveri e nessuno vorrà venire!- replicò acida alla battuta, guardandolo male.
 
Scoppiarono tutti a ridere, tutti tranne il giovane detective ovviamente, che mise il broncio come se nessuno capisse la sua passione per i casi di omicidio. Si fermarono soltanto quando il suono del campanello arrivò alle loro orecchie. Istintivamente, guardarono tutti in direzione della porta.
 
- Vado io, voi continuate pure- disse Agasa.
 
Poco dopo udirono tre voci familiari: quelle dei Detective Boys. Schiamazzavano come tutti i bambini di quell’età, chiedendo al Dottore di aiutarli a risolvere un caso. Facevano tenerezza, ora che il loro amico Conan non c’era più continuavano a darsi da fare per tenere alto il nome della Squadra dei Giovani Detective, chiedendo però aiuto all’unico complice che era rimasto: quello scienziato dal cuore d’oro.
Quando la combriccola giunse in salotto si guardarono gli uni con gli altri: probabilmente i bambini erano sorpresi di vederli tutti lì così come lo erano loro nel vederseli piombare dentro all’improvviso.
 
- Ciao ragazzi, come va?- si lasciò sfuggire Shinichi, che ancora non riusciva a fingere del tutto davanti a quelli che per lui, nonostante la differenza di età, erano diventati dei veri amici a cui era molto affezionato.
- Tu sei il fidanzato di Ran-chan, vero?- chiese Ayumi sorridendo.
- Già, è quel detective liceale di cui parlano tutti. Pare che sia bravissimo- precisò Mitsuhiko.
- Non prendetelo come esempio!- li dissuase Sonoko - Piuttosto, che ci fate voi mocciosi qui?-
- Sei sempre antipatica con noi!- si lamentò Genta.
- Su su, non c’è bisogno di litigare- sorrise, cercando di porre fine a quell’infantile battibecco - Perché non vi sedete anche voi?- li invitò ad accomodarsi.
 
Voleva un bene immenso a quei bambini, li avrebbe difesi e protetti fino alla morte. Con la purezza che solo i piccoli sanno avere, le avevano regalato gioia, amicizia, affetto e tante altre cose, senza mai chiedere nulla in cambio se non la sua presenza. Con loro era riuscita a vedere la magia del mondo che si nasconde dietro il male e il marcio.  
 
- Vado a prendere dei bicchieri anche per voi, così potrete bere il succo!- disse lo scienziato, allontanandosi verso la cucina.
- Ci porti anche qualcosa da mangiare!- fu la richiesta di Genta, il quale non perdeva mai l’appetito.
- Com’è carino, posso vederlo Ran-chan?- chiese improvvisamente Ayumi, fissando ammirata il bigliettino che la ragazza teneva in mano.
- Ma certo Ayumi-chan!- glielo porse sorridendo.
- Che cos’è?- chiesero in coro Genta e Mitsuhiko, avvicinandosi per guardare meglio.
- È l’invito al compleanno di Shiho-chan-
- Oh, quand’è?- chiese Ayumi, girandosi a guardarla.
- Fra quattro giorni- le rispose - A proposito, aspettatami qui-
 
Si allontanò dalla sala per un attimo sotto lo sguardo incuriosito di tutti, per poi tornare dopo pochi minuti con in mano dei bigliettini uguali a quelli che aveva appena distribuito ai suoi nuovi amici.
 
- Questi sono per voi- ne consegnò uno a ciascuno dei bambini, i quali sorrisero felici come se avesse regalato loro dei giocattoli bellissimi.
- Grazie signorina Shiho!- disse Ayumi.
- Chiamami solo Shiho, d’accordo?-
 
Da quando era tornata nel suo vecchio corpo, aveva avuto occasione di vedere i Detective Boys diverse volte, poiché si recavano spesso a casa del Dottore; tuttavia continuavano ad appellarsi a lei come “Signorina Shiho”. Non che per lei fosse una mancanza di rispetto, al contrario, solo che essere chiamata così le faceva sentire ancora di più la distanza che si era creata fra loro. Non era più la loro amica Ai e per tanto non poteva comportarsi come tale. In cuor suo, però, sperava di poter costruire un nuovo rapporto con loro nei panni che vestiva ora, quelli della vera Shiho Miyano.
Immaginò che per Shinichi fosse lo stesso, lo vedeva dalla nostalgia che velava i suoi occhi mentre li guardava. Quegli ingenui bambini non sapevano che i loro amici erano ancora lì, davanti a loro: avevano preferito nascondergli quell’amara verità che forse non sarebbero stati in grado di comprendere. Di comune accordo, avevano chiesto al Dottor Agasa di raccontare loro una bugia, dicendo che Conan e Ai si erano dovuti trasferire in tutta fretta e non avevano avuto il tempo di salutarli di persona, ma avevano lasciato loro delle lettere. Inutile dire che si erano prima arrabbiati molto, poi erano scoppiati in un pianto disperato, facendoli sentire colpevoli. Tuttavia, per il loro bene, quella era l’unica menzogna di quella storia che doveva rimanere tale.
 
- Perché hai invitato anche questi mocciosi alla festa?- si lamentò Sonoko - Finiranno col rovinarla. Non possono partecipare a una festa di adulti!- incrociò le braccia al petto, assumendo un’aria snob.
- Sono molto affezionata a questi bambini, non posso non invitarli- rispose semplicemente.
- Hai ragione, ti capisco- la appoggiò Shinichi sorridendo.
- Se è così hai fatto bene ad invitarli- annuì Ran, che forse era l’unica che aveva compreso le ragioni sue e di Shinichi.
- Hai invitato anche Jodie?- le chiese l’amico.
- Ovvio!-
- Parli della professoressa Jodie?- chiese Sonoko, visibilmente sorpresa.
- La conosci bene Shiho-chan?- si aggiunse Ran, anch’essa stupita.
- Diciamo che siamo diventate molto amiche negli ultimi tempi. È stata lei ad avere l’idea di fare una festa-
- Scusate… Jodie è quella donna bionda con gli occhiali che lavora all’FBI insieme a mio fratello maggiore?- intervenne Masumi.
 
Era chiaro che non la conoscesse bene come loro, quando Jodie aveva lavorato da infiltrata al Liceo Teitan come insegnante di inglese, Masumi non era ancora tornata in Giappone. Proprio come lei aveva avuto modo di conoscerla vagamente solo quando la lotta contro l’Organizzazione li aveva portati ad unire le forze.
 
- Sì esatto- confermò.
 
Nominare Jodie le fece tornare alla mente la conversazione che aveva avuto con quest’ultima la sera prima. Anche se la bionda le aveva detto di non preoccuparsi, non poteva fare a meno di pensare a come riuscire a farla riconciliare con Akai. Qualcuno poteva pensare che avrebbe dovuto vedere Jodie come una rivale, dal momento che era l’altra donna nel cuore di Akai quando aveva iniziato a frequentare sua sorella, ma ormai Akemi non c’era più ed era giusto che Akai si rifacesse una vita, magari con Jodie al suo fianco.
 
- Miyano?- la richiamò alla realtà Shinichi, che spesso si rivolgeva a lei con il suo cognome.
- Eh?- si fece cogliere alla sprovvista.
- Tutto bene, Shiho-chan?- si preoccupò Ran.
- Sì, mi sono solo distratta un attimo! Stavo pensando a cosa manca per la festa- mentì.
 
Continuarono a chiacchierare per un’ora buona, fino a quando il colore aranciato del sole che tramontava filtrò dai vetri delle finestre, dando loro il segnale che era ora di tornare alle proprie case per la cena.
 
 
 
 
Due ore dopo si trovava davanti alla porta di casa Kudo. Suonò il campanello, aspettando. Durante l’attesa, pensò che se stava per fare quel gesto era più per Jodie che per se stessa, anche se il risultato finale lo avrebbero deciso solo loro. C’erano due possibilità: o si sarebbero riconciliati, o si sarebbero cavati gli occhi a vicenda rovinandole la festa. Confidò nella prima opzione.
Finalmente la porta si aprì, svelando la figura di Shinichi.
 
- Che ci fai qui?- le chiese sorpreso, dal momento che si erano visti poco prima.
- Devo invitare anche un’altra persona alla festa- disse semplicemente, certa che avrebbe capito a chi si stava riferendo.
 
L’amico le sorrise, facendole segno con la mano di entrare.
 
- Questa non me l’aspettavo- ammise.
- Guarda che lo faccio solo per Jodie- precisò.
 
La scortò fino al salone, dove trovarono Akai seduto all’altro lato del tavolino davanti a una scacchiera. Dalla posizione delle pedine era chiaro che stessero giocando a shogi. L’agente dell’FBI si voltò a guardarla stupito di vederla lì, dal momento che l’ultima volta che si erano parlati non era stato un dialogo propriamente amichevole.
 
- Ma guarda- sorrise infine - A cosa dobbiamo la visita della nostra principessa a quest’ora?-
 
Probabilmente pensava che fosse lì per parlargli nuovamente di Jodie, ormai doveva essersi arreso al fatto che le loro conversazioni erano incentrate su quell’argomento.
 
- Sono venuta per invitarti alla mia festa di compleanno giovedì- andò dritta al punto.
 
Non aveva preparato un bigliettino per lui, così come non lo aveva fatto per Jodie: aveva pensato che, in quanto adulti, ai loro occhi sarebbe risultato ridicolo e infantile un foglietto di carta decorato a mano. Un invito di persona si addiceva di più.
 
- Perché mi stai invitando?- gli venne spontaneo chiedere, sempre più sorpreso da quell’invito.
- Sei stato tu a dirmi che potevo chiamarti quando volevo, giusto?- replicò, citando le sue parole.
- Se le cose stanno così allora verrò- sorrise.
 
Non poteva certo dirgli che lo voleva alla sua festa perché sperava che lui e Jodie si parlassero, così aveva giocato la carta delle belle parole che lui stesso le aveva rivolto la sera del chiarimento. Non aveva importanza il mezzo usato: ciò che contava era che avesse accettato.
 
- Potresti dirmi dove hai comprato la torta che abbiamo mangiato l’altra sera?- gli chiese - Vorrei comprarne una uguale per la festa-
- Non preoccuparti, andrò io stesso a prenderne una e la porterò a casa del Dottore il giorno della festa- si offrì.
- Ti ringrazio. Beh, allora io vado- fece per salutarli.
- Aspetta!- la fermò Shinichi- Perché non resti un po’ qui?-
 
Le venne quasi da sorridere per quella buffa coincidenza: Shinichi stava cercando in tutti i modi di fare per Akai quello che lei stava facendo per Jodie. Entrambi avevano trovato qualcuno di straordinario che valeva la pena di aiutare, il problema era che fra di loro c’era sempre qualcuno in conflitto con qualcun altro.
Titubò per qualche istante prima di dare una risposta.
 
- Solo mezz’ora, poi devo tornare perché ho promesso al Dottore che lo avrei aiutato a finire una cosa- acconsentì.
 
Era solo una bugia, in realtà il Dottore non aveva nulla da fare: semplicemente si sentiva ancora troppo a disagio per restare lì fino a tardi. Anche se apprezzava il fatto che Akai fosse andato a chiedere scusa a Jodie con dei fiori, non lo aveva ancora del tutto perdonato per il suo comportamento. Inoltre, dopo quello che le aveva detto Jodie sulla loro relazione e su Akemi, non era confortevole per lei trovarsi nel mezzo. Avrebbe voluto fare delle domande anche a lui, sapere le cose dal suo punto di vista; tuttavia sapeva di non poterlo fare, doveva rispettare la volontà di Jodie, senza contare che era presente anche Shinichi in quel momento e di certo non voleva spiattellare ai quattro venti le questioni personali dell’amica.
 
- Vuoi giocare al mio posto?- le chiese il giovane detective, indicandole la scacchiera.
- No, grazie, non sono molto brava a questo gioco. Preferisco guardare- si sedette fra di loro.
 
Guardando la scacchiera, per quello che poteva capire, le sembrava che la partita per il momento fosse in parità.
 
- Siete tutti bravi in famiglia nello shogi?- le venne spontaneo chiedere ad Akai, senza nemmeno rendersene conto - Tuo fratello è il Taiko Meijin-
- Se vuoi scoprirlo vorrà dire che un giorno ti inviterò a una riunione di famiglia- le rispose con quel sorrisetto beffardo che faceva ogni volta.
- Puoi sempre giocare con Masumi ora che siete diventate amiche, così risolverai il tuo dubbio- intervenne Shinichi, dopo aver fatto la sua mossa sulla scacchiera.
- Sono contento che tu sia diventata amica della mia sorellina- disse l’agente dell’FBI, tornando poi a concentrarsi sul gioco.
 
Continuò ad osservarli e a scambiare fra una mossa e l’altra qualche battuta con loro, meravigliandosi di come l’atmosfera si era fatta incredibilmente meno tesa. Riusciva a parlare con Akai quasi come se fossero amici. Non c’era rancore, nessun pregiudizio. Se si fosse comportato sempre in quel modo, non sarebbe stato male conversare con lui, doveva ammetterlo.
 
 
 
……………………
 
 
 
Sfogliò velocemente i vari fascicoli per la seconda volta, ma di nuovo non trovò quello che stava cercando. Ormai c’erano talmente tanti fogli e cartelle che non sapeva più cosa fosse realmente utile e cosa no: ogni piccolo dettaglio le sembrava importante, ma più ne aggiungeva e più le sembrava di perdere il filo.
 
- Te l’ho detto Jodie, la cartella col documento che cerchiamo è rimasta nell’archivio- le ripeté James.
- Allora vado a prenderla e torno subito- si alzò dalla sedia, sospirando.
 
Non era difficile notare la sua stanchezza, di certo non era sfuggita a James; tuttavia non poteva permettersi di cedere proprio adesso. Per questo non si lamentava né chiedeva di fare pause, aspettava che fosse James a proporle qualche minuto di riposo di tanto in tanto.
Uscì dall’ufficio dove stavano lavorando e si diresse a passo svelto nell’archivio. Quando aprì la porta di quest’ultimo, vi trovò all’interno la persona con cui meno di tutte avrebbe voluto trovarsi in un faccia a faccia: Shuichi. Seduto alla scrivania, era intento a leggere dei documenti che aveva estratto da una cartella. In quegli ultimi giorni pareva che avesse passato molto tempo lì, o almeno questo era quello che James le aveva riferito. Nessuno sapeva per quale motivo ci andasse e cosa leggesse di preciso, come al solito tutto ciò che lo riguardava era avvolto da un alone di mistero.
Restò ferma sul vano della porta a fissarlo, non sapendo cosa dire. Era dal giorno in cui l’aveva cacciato di casa che non si rivolgevano la parola, nemmeno un saluto. Si erano intravisti qualche volta lungo i corridoi, ma entrambi avevano preferito ignorarsi e fingere di non aver visto l’altro. Era evidente che nessuno dei due, chi per orgoglio e chi per imbarazzo, voleva fare il primo passo.
Si fissarono per pochi istanti, che a lei sembrarono anni; poi Shuichi, senza dire una parola, chiuse il fascicolo che aveva fra le mani e alzandosi si apprestò ad uscire dalla stanza portandolo con sé. Lei, afferrato il messaggio, entrò a testa bassa andando dritta verso lo scaffale dove erano raccolte tutte le cartelle. Poteva scegliere di continuare a umiliarsi da sola e stare zitta, oppure reagire e dimostrare che anche lei sapeva avere fegato. Più che una dimostrazione di coraggio, però, a muoverla fu il dolore che stava provando per non averlo più al suo fianco. Le mancava anche solo prendere un caffè con lui durante la pausa o i momenti in cui si trovavano insieme a Camel a parlare di lavoro e altre cose. Aveva bisogno della sua presenza più di quanto volesse ammetterlo a se stessa.
 
- Shu- lo chiamò, girandosi verso di lui.
 
In tutta risposta, il collega si fermò sulla porta, girando la testa per guardarla.
 
- Come stai?- le venne spontaneo chiedere - Non abbiamo più parlato da quella sera…- abbassò lo sguardo.
- E tu invece?- eluse la domanda, rivolgendogliela contro.
- Ho avuto giornate migliori- ammise.
 
Nuovamente calò il silenzio fra loro, era difficile avere una conversazione normale se lei non trovava le parole e lui non si sprecava nemmeno a cercarle.
 
- Senti… Mi dispiace davvero tanto per come mi sono comportata, ti chiedo scusa- fece il primo passo - Non pensavo davvero tutte le cose che ti ho detto-
 
Forse raccontare una piccola bugia poteva agevolarla in quel tentativo di scuse: in realtà tutto ciò che era uscito dalla sua bocca lo pensava eccome, ma mentire per riavvicinarlo e averlo nella sua vita anche solo come collega era meno estenuante che non rivolgergli mai più la parola come se fosse un perfetto estraneo. A volte per ottenere qualcosa bisogna perderne un’altra e lei in quel momento aveva scelto di perdere la sua onestà per riavere qualcuno di molto più importante.
 
- Non devi giustificarti o rimangiarti ciò che pensi, nella vita bisogna sempre essere consapevoli delle proprie azioni e coerenti coi proprio pensieri- fu la sua risposta, diretta e in un certo senso tagliente.
 
Non era il fatto che le stesse facendo la morale come a una ragazzina che non ha ancora imparato come va il mondo a rattristarla, ma la consapevolezza che Shuichi avesse capito che la sua giustificazione non rispecchiava il vero. Si era convinto del fatto che lei avesse abbandonato ogni speranza di stargli accanto, perché allontanarsi da uno come lui era più facile che investire energie per stargli accanto senza ricevere gratificazione. Inoltre, si era permessa di toccare nuovamente l’argomento Akemi, che per lui era una sorta di sacro tabù del quale solo lui poteva parlare quando e come volesse. Questi due elementi bastavano per non volerla più nemmeno in qualità di amica.
Sentì il rumore dei suoi passi e alzò lo sguardo sperando che stesse tornando indietro: in realtà se ne stava andando.
 
- Aspetta Shu!- lo fermò, quasi rincorrendolo - Verrai alla festa di Shiho?-
 
Non sapeva perché le fosse uscita proprio quella domanda in un momento come quello, ma forse l’unica spiegazione era che voleva salvare almeno il rapporto che era riuscita a fargli costruire con quella ragazzina che per lui rappresentava l’ultima cosa che gli restava di Akemi oltre ai ricordi.
 
- Ci sto pensando, non vorrei rovinarle la giornata visto che non riesco proprio a farmi piacere da lei-
- Devi andarci, anche se a volte è un po’ dura non ti odia, è solo diffidente- cercò di convincerlo - Guarda che se il motivo per cui non vuoi andare è perché ci sarò anche io, rinuncio a venire. Preferisco che sia tu a passare gli ultimi giorni in Giappone con lei- lo fissò seria.
- Siamo due adulti, possiamo stare nella stessa stanza alla stessa festa anche se ci sono stati dei dissapori fra noi. Lo stiamo facendo anche adesso, in un certo senso- le fece notare - Inoltre Shiho apprezzerebbe molto di più la tua presenza della mia. E poi non so nemmeno cosa regalarle, dal momento che conoscendola solo per quello che ho potuto vedere quando entrambi eravamo nell’Organizzazione, non ho idea di cosa le piaccia in particolare-
- Questo non è un problema- abbozzò un sorriso - Pochi giorni fa mi ha confessato che vorrebbe tanto un cucciolo, ma il Dottor Agasa non le dà il consenso. Potresti provare a parlare con lui per convincerlo, ovviamente quando lei non sarà presente. Se ci riuscirai ti darò l’indirizzo del negozio di animali dove ha visto i cuccioli che le sono piaciuti tanto, così andrai a colpo sicuro-
- Il problema è che non ho visto la foto, quindi non saprei riconoscerli. Ovviamente non posso chiederle di vederla, altrimenti capirebbe-
- Se vuoi posso accompagnarti quando andrai, io li ricordo bene- si offrì, non con poca speranza.
- Vedrò cosa posso fare, nel frattempo ti ringrazio per il suggerimento- concluse, per poi andarsene senza aggiungere altro.
 
Questa volta non lo fermò, benché volesse chiedergli se fra loro era tutto a posto. Le mancava il coraggio oltre al fatto che conosceva da sé la risposta a quella domanda. Era chiaro dal modo scostante con cui le aveva parlato che non era affatto a posto, non bastavano certo un paio di scuse per colmare la distanza che si era creata fra loro e che mai come in quel momento le sembrava troppo grande per essere superata.
Si asciugò velocemente quelle due, piccole lacrime che le avevano rigato le guance e tornò allo scaffale dell’archivio alla ricerca di quella cartella per la quale era andata lì.
 
 
 
……………………..
 
 
 
- Questo stufato è ottimo, migliori sempre di più in cucina Akai-san!- si complimentò con lui lo scienziato, quand’ebbe finito anche l’ultimo boccone.
- Sono contento che le piaccia, Dottore- sorrise.
 
Appena tornato dal lavoro aveva chiesto a Shinichi di portare fuori di casa Shiho con una scusa, spiegandogli cosa doveva fare. Sapeva di poter contare sull’amico, che in fretta e furia aveva contattato tutto il gruppo proponendo di andare al cinema a vedere un film che a quanto pare non erano riusciti a vedere qualche giorno prima. Fortunatamente, anche Shiho aveva accettato, lasciando il Dottore a casa da solo. Non appena si era accertato che i ragazzi fossero andati, si era recato a casa dello scienziato con una pentola di stufato, proponendogli di cenare insieme e dicendogli che voleva parlargli di una cosa. Aveva deciso di seguire il consiglio di Jodie, nonostante tutto. Glielo aveva dato in modo sincero, lo aveva percepito, quindi non vedeva nessun motivo per non cogliere l’occasione. Quanto a tutto il resto, aveva preferito non pensarci troppo: si sarebbe solo tormentato ulteriormente. Stava ancora metabolizzando e riflettendo sull’intera questione, non sapeva in che modo comportarsi con lei al momento. Solo il tempo gli avrebbe dato una risposta.
 
- Allora, di cosa volevi parlarmi?- gli chiese curioso il Dottore.
- Ho saputo che Shiho vorrebbe tanto un cucciolo e stavo pensando di regalarglielo per il suo compleanno, però so anche che lei non è dello stesso parere, giusto?- arrivò dritto al punto.
- Come lo hai saputo?- si sorprese.
- Questo non ha importanza- sorrise.
- Mi dispiace, so che Shiho ci tiene molto ma un cagnolino è un grosso impegno. Inoltre, non voglio trovarmi la casa devastata da un piccolo combinaguai!-
- È vero che è un impegno, ma Shiho è una ragazza responsabile e saprà educarlo e prendersene cura al meglio. Inoltre un cucciolo la farebbe sentire meno sola, anche se ora ha degli amici per lei è ancora difficile approcciarsi alle persone. O forse solo a me- ironizzò.
- Ancora non andate d’accordo?-
- Non proprio, ecco perché regalarle un bel cagnolino farebbe guadagnare punti anche a me- precisò.
 
Osservò lo scienziato riflettere, corrugando la fronte e chiudendo gli occhi. Sperò che le sue argomentazioni fossero state abbastanza valide da convincerlo.
 
- E va bene- cedette alle fine - Ma solo perché ci tengo che andiate d’accordo!- puntualizzò.
- La ringrazio Dottore- sorrise, felice di aver ottenuto ciò che voleva.
- Piuttosto, te la senti davvero di farle un regalo così costoso?- si preoccupò.
- Non c’è problema, inoltre come le dicevo mi serve un pretesto per farmi odiare meno- lo tranquillizzò.
 
Finirono la cena fra una chiacchiera e l’altra, fino a quando non decise che era il momento di tornare a villa Kudo prima che rincasasse Shiho.
 
 
 
Seduto alla scrivania della biblioteca, in compagnia di un bicchiere di Bourbon e di una sigaretta, si stava rilassando leggendo un libro. In verità, più che leggere con attenzione ripensava di tanto in tanto a tutto ciò che era successo durante la giornata, in particolare alla sua conversazione con Jodie. Nonostante si fosse ripromesso di non darvi troppo peso, quando si trovava da solo non poteva fare a meno di pensarvi. L’immagine di Jodie furibonda che gli vomitava addosso tutte quelle parole era ancora vivida nella sua mente. Ogni volta che rifletteva su quanto l’avesse ferita senza rendersene conto, si dava dell’idiota da solo, aggiungendo ogni mancanza verso di lei alla collezione degli sbagli commessi. Una collezione talmente grande da fare di lui una pessima persona, sentimentalmente parlando.
Si chiese se fosse il caso di chiamarla oppure no dopo la sua conversazione con Agasa. Sapeva di aver bisogno del suo aiuto, ma voleva evitare di stare a stretto contatto con lei data la tensione presente: l’ultima cosa che voleva era peggiorare la situazione, se questo fosse stato possibile. Ripensandoci, però, lui stesso le aveva detto che in quanto adulti avrebbero dovuto comportarsi come tali. Se non riusciva nemmeno a parlarle al telefono, figuriamoci come si sarebbe comportato quando si sarebbero trovati insieme alla festa.
Deciso a fare quel passo, prese il cellulare e cercò il numero di Jodie. Attese in linea fino a quando la voce della bionda rispose all’altro lato.
 
- Shu, sei tu?- chiese stupita, probabilmente avendo letto il nome sul display.
- Ti disturbo?-
- No, dimmi pure-
- Ho parlato con il Dottor Agasa e ha acconsentito a prendere un cucciolo a Shiho-
- Davvero? Sono contenta!-
- Adesso però ho bisogno del tuo aiuto. È ancora valida la tua proposta di venire con me al negozio per riconoscere i cagnolini?- chiese.
- Sì, certamente!- accettò senza farselo ripetere due volte, lasciando trasparire tutta la sua felicità per quell’invito.
- Allora ti faccio sapere quando ci andremo. Ti ringrazio per l’aiuto Jodie, buonanotte- le augurò.
- Buonanotte Shu- rispose lei in un tono così dolce da non sembrare nemmeno la stessa persona che si era adirata in quel modo pochi giorni prima.
 
Non appena riattaccò si accorse di sentirsi più sollevato nell’aver fatto quella telefonata. Quando andavano d’accordo, parlare con lei era piacevole: fino a quel momento Jodie non lo aveva mai giudicato, lo stava ad ascoltare anche quando non aveva niente da dire e si rivolgeva a lui con quella voce dolce che gli regalava quiete e serenità. Chiunque si sarebbe tenuta stretta una donna così, lui invece aveva dato tutto per scontato e non era mai riuscito a dimostrare di apprezzare fino in fondo quello che lei gli dava incondizionatamente. Bastava un semplice “grazie” o “buonanotte” da parte sua per renderla felice come una bambina.
Il nodo allo stomaco che aveva avuto in quei giorni si allentò improvvisamente, lasciando spazio alla contentezza di averle regalato un sorriso.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Salve a tutti! Stavolta il capitolo contiene due blocchi importanti: quello dove Shiho riflette sul suo legame con i Detective Boys e quello dove si prosegue con la vicenda di Jodie e Shuichi. Il titolo del capitolo è volto appunto a sottolineare i legami che si stanno creando o evolvendo fra i vari personaggi, sottolineando quelli più importanti. Direi che non ci sia nulla da precisare ma come sempre se avete domande o non vi è chiaro qualcosa chiedete pure! ^-^
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci stiamo avvicinando alla festa e ancora ci sono tensioni che sembrano non risolversi! ;)
Grazie a tutti quelli che leggeranno!
Bacioni
Place

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Capitolo 16
*** Capitolo 16: Andare avanti ***


Capitolo 16: Andare avanti
 
 
Bussò alla porta dell’ufficio, attendendo una risposta dall’altra parte. Quando la ricevette, aprì la porta ed entrò, constatando che l’uomo era solo alla scrivania. D’altra parte era abbastanza presto, molti dei suoi colleghi (o per lo meno quelli che non erano già tornati negli Stati Uniti) dovevano ancora arrivare, compresa lei. Forse era meglio così, avrebbe facilitato la sua richiesta.
 
- Sei mattiniero come sempre, eh Akai?- gli fece presente James, non prima di aver dato una rapida occhiata all’orologio che aveva intorno al polso.
- Non ho nulla di meglio da fare a casa, finirei con l’annoiarmi- sorrise, senza nascondere quanto fosse stacanovista.
- Per te il riposo e le ferie sono solo una perdita di tempo- scherzò il suo capo.
- Già- rispose semplicemente - Ma ti sorprenderà sapere che sono venuto per chiederti se domani posso avere una mezza giornata di permesso dal lavoro. Avrei una faccenda da sbrigare- arrivò al punto senza giri di parole.
- Beh, non c’è molto lavoro per te in ogni caso, quindi vai pure- acconsentì - Posso sapere di cosa si tratta?-
- Devo comprare un regalo di compleanno-
- Un compleanno? E di chi?- chiese, cercando di fare mente locale e ricordarsi se per caso fosse qualcuno dei suoi sottoposti più vicini.
- Shiho Miyano- rispose, certo che James avrebbe capito.
- Ma davvero? Non lo sapevo, sui file raccolti su di lei non veniva riportata tale informazione. Ad ogni modo, falle gli auguri anche da parte mia, non abbiamo avuto molte occasioni di vederci o conversare, però si dovrebbe ricordare di me- sorrise.
- Non mancherò-
 
Sapeva che James aveva compreso quanto ci tenesse ad allacciare un rapporto con quella ragazzina, un rapporto vero e non basato su false identità: per questo motivo accontentava ogni sua richiesta che avesse a che fare con lei. Al solo pronunciare il cognome “Miyano”, il suo volto si faceva più gentile, come se si sentisse in dovere di assecondarlo. Si era chiesto più volte se James si sentisse, come lui, in qualche modo colpevole per quello che era successo ad Akemi, ma forse la verità era che i sensi di colpa ce li aveva verso di lui, per averlo mandato ad affrontare una missione cosi grande e delicata che aveva pagato a caro prezzo. Avrebbe voluto dirgli che la colpa non era sua, che il loro lavoro prevedeva anche questo, ma sicuramente James lo sapeva meglio di lui.
 
- A proposito: Jodie potrebbe avere lo stesso permesso? Capisco che in questo momento sia quella che ha più lavoro di tutti con la preparazione al processo di Vermouth-
 
Vide l’espressione del suo capo cambiare radicalmente, assumendo un’aria sorpresa e incredula. Di sicuro James era a conoscenza dei suoi rapporti non proprio rosei con la collega in quel momento, Jodie era come una figlia per lui e quando doveva sfogarsi sapeva a chi rivolgersi.
 
- Shiho vorrebbe un cagnolino e ha mostrato a Jodie la foto, perciò mi serve il suo aiuto per riconoscerlo- spiegò.
- D’accordo, se è solo per mezza giornata va bene- acconsentì, pur mostrandosi chiaramente titubante all’idea.
- Se è un problema e siete indietro con il lavoro posso trovare un’altra soluzione-
- No, come dicevo si tratta solo di mezza giornata. Il problema è un altro- si lasciò sfuggire.
- E sarebbe?- chiese, nonostante lo avesse intuito da sé.
- Ho notato la tensione che c’è fra voi ultimamente e so come si sente Jodie in questo momento. Sai che ti stimo molto per quello che fai, sei il mio uomo migliore, ma umanamente parlando non sei proprio il genere di ragazzo che un padre vorrebbe accanto alla propria figlia. Non voglio che Jodie si illuda per queste tue piccole attenzioni o che tu possa farle, anche se involontariamente, qualcos’altro che la faccia star male. Ricordo ancora come restò amareggiata e afflitta quando la lasciasti per infiltrati nell’Organizzazione, ho dovuto aiutarla a raccogliere i pezzi. Jodie può apparire come una donna forte e sicuramente a suo modo lo è, ma non è di ferro e che il fatto che sia innamorata di te la spinge a non riuscire mai a dirti di no o a ribellarsi, quindi non voglio che approfitti della sua gentilezza nei tuoi confronti. So che non vuoi farle del male o ferirla, sono consapevole che tu le voglia bene; tuttavia temo che lei potrebbe fraintendere questo tuo affetto. Cerca di capirmi- chiuse gli occhi.
 
Lo capiva, eccome se lo capiva. Non c’era una sola cosa che non fosse vera nelle sue parole. James considerava Jodie come una figlia più che una subordinata, era logico che cercasse di proteggerla da ciò che poteva nuocerle, anche da quello che considerava il suo “uomo migliore”. Lo stimava sul piano lavorativo, ma non era certo un suo fan quando si trattava di carattere e atteggiamento, questo non glielo aveva mai nascosto. D’altra parte le persone che avevano imparato a tollerare il suo modo di fare si potevano contare sulla dita di una mano e fra queste la prima era proprio Jodie.
 
- Ho capito, sta tranquillo- gli rispose semplicemente, avviandosi verso la porta e salutandolo con un cenno della mano.
 
Non appena uscì dall’ufficio si trovò davanti proprio la persona di cui stava parlando poco prima col suo capo. Incrociò lo sguardo col suo, fissandola in quegli occhi che sembravano lune di ghiaccio. Nonostante fra loro ci fosse ancora un’evidente tensione, Jodie abbozzò un sorriso, probabilmente memore della telefonata della sera precedente. Ricambiò, contagiato dall’ingenuità che le dipingeva le gote di rosso ogni volta che lui la fissava.
 
- Ho ottenuto da James il permesso di assentarmi mezza giornata dal lavoro per andare a prendere il regalo per Shiho- le disse.
- Bene, allora adesso chiedo anche io, sperando che James non dica che c’è tanto lavoro da fare-
- Non serve, il permesso è per entrambi, gli ho detto che saresti venuta con me-
- Sul serio?- si stupì - Quando andremo allora?-
- Domani, visto che il compleanno è dopodomani. Non posso tenere più di tanto il cucciolo a casa Kudo, non sarebbe corretto nei confronti dei padroni-
- Giusto- annuì - Allora a domani- lo salutò, sorridendogli nuovamente prima di aprire la porta.
- A domani. E buon lavoro-  le augurò.
 
 
 
…………………
 
 
 
Aprì lo sportello della macchina e si sedette, allacciando la cintura, mentre dal lato del guidatore Shuichi sistemava gli specchietti. Il negozio dove dovevano andare non era particolarmente lontano da lì eppure aveva l’impressione che quel viaggio sarebbe durato più del previsto. L’idea di restare chiusa in una spazio così piccolo come un’auto con lui la rendeva nervosa. Non sapeva come comportarsi, temeva che qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca potesse essere fraintesa. Era felice dell’invito che le aveva rivolto, ma al tempo stesso era consapevole che non bastava a sanare quella crepa che si era creata fra loro. Le ritornarono alla mente le parole che James le aveva rivolto il giorno prima, non appena era entrata in ufficio dopo che Shuichi se n’era andato. Le aveva detto di non costruirsi di nuovo castelli in aria e di andarci con i piedi di piombo, onde evitare di raccogliere nuovamente i pezzi di quella complicata relazione. Avrebbe potuto dirgli di farsi gli affari suoi, che ormai era una donna adulta e pertanto libera di fare ciò che voleva, ma sapeva perfettamente che in fondo aveva ragione. Ripensò anche a quando, pochi minuti prima, lui era andato a prenderla in ufficio: per un attimo, in una delle sue fantasie adolescenziali, le era sembrato uno di quei momenti in cui il ragazzo va a prendere la ragazza per il loro primo appuntamento. Ma la realtà dei fatti era ben diversa, loro erano un uomo e una donna adulti che stavano fingendo che nulla fosse successo, rimandando un discorso che prima o poi andava affrontato. Stavano semplicemente nascondendo un foglio di carta sotto la cenere, bastava una piccola fiamma per ravvivare il fuoco e bruciarlo.
Akai mise in moto la macchina, uscendo dal parcheggio della sede dell’FBI. Nella macchina aleggiava un silenzio che rendeva il tutto ancora più imbarazzante di quanto non fosse. Non riusciva ad alzare la parola nonostante lo volesse, si limitava a guardare in basso pensando e ripensando a cosa potesse dire che non sembrasse un patetico tentativo di attaccare bottone.
 
- Dove siamo diretti?- chiese infine lui, non sapendo ancora l’indirizzo esatto.
- Nel quartiere di Haido, al 77- rispose prontamente.
 
Tuttavia, dopo quelle brevi battute, calò nuovamente il silenzio. Qualunque cosa avesse detto le sarebbe sembrata  un modo per far finta di nulla ed evitare di parlare del fatto che gli aveva detto cose poco carine e che gli aveva confessato in modo indiretto che lo amava ancora.
Fu di nuovo lui a rompere il silenzio.
 
- Come stanno andando i preparativi per il processo?-
- Stiamo facendo del nostro meglio per portare in tribunale tutte le prove possibili, ma a me non sembrano mai abbastanza. Temo che nessuno crederà al fatto che una famosa attrice possa aver commesso simili crimini- chiuse gli occhi.
- Vedrai che andrà tutto bene, avete delle prove concrete in mano- cercò di rassicurarla.
 
Avrebbe voluto continuare a parlare così con lui, ma non voleva annoiarlo con le sue questioni personali. Eppure in quel momento sembrava l’unico argomento che non suonasse come una scusa.
Fu salvata dal fatto che erano ormai giunti a destinazione. Shuichi parcheggiò la macchina fuori dal negozio ed entrambi scesero. Non appena misero piede nel negozio furono accolti dai suoni più disparati: miagolii, abbaii, cinguettii, squittii. Si guardarono intorno, notando una vasta scelta di animali ciascuno nella propria spaziosa gabbia.
 
- Benvenuti, posso aiutarvi?- li salutò cordialmente il proprietario del negozio, un uomo alto sulla quarantina che indossava un grembiule per non sporcarsi i vestiti con i peli e il cibo.
- Salve, di recente un’amica ha visto in questo negozio dei cuccioli di Akita Inu. Per caso li avete già venduti tutti o ne resta qualcuno?- chiese lei.
- Ho capito a che cucciolata si riferisce- le sorrise - Ne sono rimasti ancora quattro-
- Oh, molto bene!- esclamò entusiasta - Possiamo vederli?-
- Certo, seguitemi!-
 
Li scortò all’interno del negozio nell’area che aveva riservato a loro. Per non separarli bruscamente aveva costruito un piccolo recinto dove potevano stare tutti insieme. Non appena li vide fu colta da un senso di tenerezza infinita, da quello che si può definire un amore a prima vista. Con quei musetti e quel pelo arruffato erano ancora più adorabili che nelle foto.
 
- Ma sono bellissimi!- si lasciò sfuggire, senza preoccuparsi troppo dei modi e dei toni, chinandosi per coccolarli tutti quanti non appena si avvicinarono a lei scodinzolando.
 
Girata di spalle, non si accorse del modo in cui Akai la stava guardando, sorridendo serenamente.
 
- Shu vieni qui, a te quale piace di più? Io non riesco proprio a scegliere!- lo invitò, senza nemmeno rendersi conto di aver messo improvvisamente da parte tutta la tensione di poco prima.
- Non saprei, parlando di aspetto fisico mi sembrano tutti più o meno simili- osservò.
 
Uno dei cuccioli rinunciò alle coccole di Jodie per spostarsi verso di lui, sedendosi di fronte e piegando la testa da un lato. Lo osservava come se lo stesse studiando, come se si stesse chiedendo perché quell’uomo tanto cupo non gli faceva le coccole a differenza della bella donna accanto a lui. Ora non potevano più esserci dubbi.
 
- Credo che quello sia il cucciolo giusto per Shiho- sorrise, fissando la scena intenerita - Ti sta guardando in modo un po’ stranito che mi ricorda tanto lei quando non si fida troppo di te- ammise.
- Forse hai ragione- confermò, abbozzando un sorriso per l’ironica osservazione della collega.
- Allora volete questo?- chiese conferma il proprietario.
- - annuì lei, rialzandosi in piedi seguita da Shuichi.
 
L’uomo sollevò delicatamente il cucciolo, prendendolo in braccio. Subito i fratellini si alzarono sulle zampine posteriori cercando di arrampicarsi con scarso successo sulla rete del recinto, forse desiderosi anche loro di coccole o forse non ancora pronti a separarsi dal loro fratellino. Era una scena dolce ma anche un po’ triste.
 
- Awww, ne voglio uno anch’io! Anzi, li voglio tutti!- si morse il labbro inferiore, pronunciando quelle parole con una vocina poco consona a una donna della sua età.
- E dove pensi di metterli? Se non ricordo male l’appartamento del palazzo in cui vivi non ha un giardino e nemmeno un ampio spazio per un animale- le fece presente Shuichi, riferendosi al suo appartamento di New York.
- Lo so, inoltre resterebbe da solo tutto il giorno visto che sono spesso fuori casa per il lavoro- sospirò.
- Perché non prende un animale che richieda meno cure?- le suggerì il proprietario - Per esempio un pesce oppure un canarino-
- Ma non sono carini come questi cuccioli!- obiettò con un’espressione che fece sorridere Akai.
 
Tornati alla prima parte del negozio dov’erano entrati, il proprietario preparò un cartone con un caldo panno sul fondo, per far stare comodo il cucciolo fino a quando non sarebbe stato liberato nella sua nuova casa; poi ve lo ripose dentro.
 
- Vi servono anche degli accessori?- chiese loro.
- Dal momento che questo cagnolino non è per noi ma è un regalo per una ragazzina che compie gli anni, credo sia meglio se venga lei a scegliere quelli che preferisce- spiegò Akai.
- Invece a me interessa vederli, penso che glieli regalerò io- intervenne Jodie.
- Non le hai già preso un regalo?- chiese stupito lui.
- Avevo pensato di prenderle un bel vestito alla moda che avevo visto, però a questo punto penso sia meglio se le regalo qualche accessorio, così avrà tutto pronto-
 
Nei successivi quindici minuti l’uomo le mostrò tutto ciò che sarebbe potuto servire nell’immediato per accudire il cucciolo, lasciando il resto alla libera scelta della proprietaria. Alla fine optò per un morbido lettino circolare decorato con un fiocco, una lettiera, due ciotole semplici per acqua e cibo, una spazzola, un collare di cuoio semplice ma elegante con appesa una medaglietta personalizzabile (visto che a Shiho piaceva la moda anche il suo cane doveva essere chic) e un guinzaglio.
 
- Non è un po’ troppo?- le chiese Akai.
- No, se lo merita in fondo- fu la sua semplice ma decisa risposta.
- Vi serve altro?- chiese il proprietario.
- Potrebbe darmi un sacco di croccantini e qualche scatoletta per farlo mangiare fino a domani?- domandò Akai - Poi la ragazza verrà a prendere il cibo che preferisce insieme a tutto il resto-
 
Dopo aver finalmente trovato tutto ciò che cercavano, pagarono ciascuno il proprio conto ed uscirono dal negozio reggendo un cartone ciascuno: lei quello con il cucciolo, decisamente più leggero, e Shuichi quello con gli accessori e il cibo. Li caricarono entrambi sui sedili posteriori, non se la sentivano di rinchiude il piccolino nel baule; poi salirono anche loro sulla vettura.
 
- Senti Shu, non pensi che sarebbe il caso di rendere un po’ più carini quei cartoni ricoprendoli con della carta colorata e un fiocco? In fondo dovrebbero essere dei pacchi regalo per un compleanno- fece notare al compagno mentre si allacciava la cintura.
- A casa Kudo non ci sono né carta né fiocchi- rispose lui, mettendo in moto.
- Possiamo fare una piccola sosta al minimarket che c’è qui vicino- suggerì.
- Buona idea, così ne approfitto per prendere anche un paio di contenitori di plastica da usare per dare da mangiare e da bere al nostro nuovo amico-
 
Durante tutto il tragitto fino al minimarket, girò la testa ogni due minuti per controllare il cagnolino, nonostante Shuichi le ripetesse di non preoccuparsi e che non si sarebbe rovesciato.
Quando finalmente arrivarono si attaccò al vetro della macchina guardandovi dentro preoccupata come una mamma che non vuole lasciare il proprio bambino al primo giorno d’asilo.
 
- Sono preoccupata, pensi che sia giusto lasciarlo qui da solo?- si girò verso di lui con un’aria più smarrita di quella del cucciolo.
- Dobbiamo solo comprare un paio di cose, non ci metteremo più di dieci minuti- la rassicurò lui.
 
Annuì anche se si vedeva che non era molto convinta, entrando nel negozio insieme a lui. Mentre giravano per le corsie alla ricerca dell’occorrente, per un attimo riuscì a non preoccuparsi per il cagnolino e si rese finalmente conto di come, dal momento in cui erano entrati in quel negozio di animali, le cose fra lei e Shuichi sembrassero tornate inspiegabilmente alla normalità, come se nulla fosse successo. Anche ora stavano camminando fianco a fianco come una coppia di fidanzati che vanno a fare la spesa insieme per la loro nuova casa. Si chiese se anche lui avesse avuto la stessa sensazione o se stesse solo fingendo di comportarsi in modo naturale con lei, in attesa di riprendere a comportarsi da perfetti sconosciuti non appena quel pomeriggio di shopping fosse giunto al termine. Il solo pensiero la rattristò non poco.
 
- Ho trovato i contenitori- la riportò alla realtà la voce di lui.
 
Si voltò a guardarlo, trovandolo con in mano due semplici contenitori in plastica rotondi.
 
- Ma dove sarà il materiale per le confezioni da regalo?- si guardò intorno, cosa che non aveva fatto fino a quel momento.
 
Trovò tutto quando raggiunse la zona dedicata al fai da te. Prese dei fiocchi, della carta colorata e del nastro adesivo. Stavano per andare alla cassa quando le cadde l’occhio su dei biglietti di auguri molto carini, decorati con motivi floreali eleganti.
 
- Ne prendiamo due? Un regalo va sempre accompagnato da un biglietto- propose.
- Giusto- annuì lui.
 
Il tragitto fino alla cassa lo fecero nel più completo silenzio, così come quello dalla cassa alla macchina fuori dal negozio. Sembrava davvero che il clima caloroso di poco prima fosse evaporato nel nulla in pochi secondi. Forse c’era una sorta di magia in quel negozio pieno di suoni e piccoli amici pennuti o a quattro zampe.
Posò anche gli ultimi acquisti sul sedile posteriore e ne approfittò per dare un’occhiata al piccolino, il quale si era coricato ma era ancora sveglio e attento e si alzò scodinzolando non appena la vide. C’era già una certa simpatia fra loro.
 
- Eccoci qui piccolino!- gli sorrise, facendogli un po’ di coccole.
- Sembra quasi che quel cucciolo sia per te- osservò Shuichi.
- Se fosse per me andrei a prendermene uno subito, ma un’agente dell’FBI può permettersi solo animali di peluche!- storse le labbra.
- Una vita frenetica è il prezzo da pagare per assicurare la giustizia al proprio paese- se ne uscì lui in tono quasi patriottico.
 
Lo fissò come se avesse detto una scemenza degna dei peggiori programmi di cabaret. Non capiva proprio come gli uscissero certe cose dalla bocca a volte. In tutta risposta lui sorrise divertito dalla sua espressione. Era bello quando lo faceva, anche se si stava beffando di lei. Imbarazzata per quel pensiero, distolse lo sguardo arrossendo: era più forte di lei. Per l’ennesima volta calò il silenzio all’interno di quell’auto che sembrava una carrozza di sola andata per l’inferno.
 
- Ascolta Jodie… Penso sia il caso di parlare- se ne uscì improvvisamente Akai, prendendo l’iniziativa e dando il via a quello che temeva sarebbe successo fin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella vettura.
 
Si irrigidì come una statua di marmo stringendo i pugni, non sentendosi per nulla pronta ad affrontare l’argomento. Non voleva ricevere di nuovo uno schiaffo in faccia.
 
- Non ce l’ho con te se è questo che ti preoccupa. Vorrei solo chiarire alcune cose per evitare di continuare con questa situazione- specificò.
- Possiamo parlarne quando saremo arrivati?- chiese lei, quasi come una supplica più che una domanda.
- E che differenza fa farlo adesso o dopo? Dovremo comunque farlo- insistette lui.
- Preferisco evitare certe discussioni in macchina, non è un luogo che mi porta molta fortuna nelle conversazioni- replicò, facendo un chiaro riferimento al momento della loro rottura.
 
Le era uscito di getto, senza pensare alle conseguenze. Solo quando se ne rese conto appoggiò la testa al finestrino coprendosi gli occhi con una mano, certa che Shuichi si sarebbe legata al dito anche quella. Di certo non era quello l’atteggiamento che doveva assumere se voleva sistemare le cose fra loro.
 
- Mi dispiace, non volevo essere acida. Davvero, possiamo parlarne a casa?-
 
Aveva detto “casa”, come se davvero fossero una coppia di fidanzatini che viveva insieme e che aveva semplicemente avuto un litigio come tanti, ma la verità era che non c’era nessuna casa (o per lo meno non una casa che fosse loro) e soprattutto non c’era nessuna relazione. Shuichi non rispose e questo le fece temere che ora ce l’avesse sul serio con lei. Non avrebbe nemmeno avuto tutti i torti, dal momento che era l’unico che aveva provato a mettere le cose a posto mentre lei non faceva che peggiorarle.
Giunti a villa Kudo, scaricarono i cartoni dall’auto stando attenti a non farsi vedere troppo, Shiho poteva essere benissimo alla finestra ad osservare. Durante questa operazione non si rivolsero mai la parola, tutto ciò che fecero fu scambiarsi delle occhiate che non promettevano né sorrisi né tantomeno belle parole.
La casa era deserta, Shinichi doveva ancora rientrare: erano soli con i loro problemi da affrontare. Akai portò il cartone con il cucciolo nella sala e lei lo seguì a testa bassa con l’altro. Poi il cecchino estrasse dalla sporta del minimarket la carta, i fiocchi, i biglietti e il nastro adesivo, posandoli sul tavolino. Estrasse una scatoletta di cibo dal cartone con gli accessori e, presi i due contenitori appena acquistati, si recò in cucina lasciandola lì da sola. Tornò pochi minuti dopo con i contenitori pieni: uno con dell’acqua fresca e l’altro con il cibo della scatoletta. Li posò a terra e poi tirò fuori il cucciolo dal cartone posizionandovelo davanti. Senza farselo ripetere due volte, il piccolo cominciò a mangiare sotto lo sguardo intenerito di lei. Shuichi ne approfittò per prendere anche il sacco di croccantini e le altre scatolette, in modo da lasciare nel cartone solo ciò che lei aveva comprato per Shiho. Si mise dunque a sistemarle per bene, cercando di distarsi da tutta quella tensione. Quand’ebbe finito chiuse il cartone con una lunga striscia di nastro adesivo. Prese poi la carta colorata e cominciò a srotolarla e stenderla per poterlo incartare. Durante tutto quel tempo Shuichi era rimasto in disparte a guardarla, mentre fumava una sigaretta. Probabilmente anche lui era parecchio nervoso.
 
- Vuoi che incarti anche il tuo?- ruppe lei il silenzio stavolta.
 
Akai non rispose, si avvicinò a lei e si sedette sulla poltrona poco distante dal punto in cui si era seduta a terra.
 
- Puoi farlo dopo. Ora mi sembra davvero il caso di avere una conversazione fra adulti-
 
Il tono di voce era scocciato, chiunque lo avrebbe percepito. Era chiaro che volesse parlare a tutti i costi, che si fosse stufato di tutta quella storia. Così posò la carta e le forbici e restò ad ascoltare ciò che aveva da dirle.
 
- Cosa pensi di fare?- le chiese.
- In che senso?- replicò confusa, non capendo a cosa si stesse riferendo di preciso.
- Dopo avermi fatto capire che non hai gradito la mia decisione di sei anni fa, cosa di cui non posso biasimarti, hai detto che ti sei stancata di starmi appresso. Dunque, è la tua decisione definitiva?-
 
Non riusciva davvero a capire dove volesse arrivare e perché le stesse facendo proprio quelle domande quando ne aveva altre mille da fare prima.
 
- Cosa ti aspetti che faccia Shu? Che passi il resto della mia vita a correre dietro a un uomo che non si accorge nemmeno se mi sono dipinta i capelli di rosa perché non ha alcun interesse per me? Forse se avessi diciassette anni e fossi una ragazzina, ma ho quasi trent’anni e mi sto rendendo conto di non aver combinato niente- abbassò lo sguardo.
- Volevi diventare un’agente dell’FBI e lo hai fatto, avevi un obiettivo e lo hai portato a termine, tra poco metterai dietro le sbarre la tua peggior nemica. Questo per te è non aver combinato niente?-
- Non mi riferivo alla mia carriera ma alla mia vita sentimentale. Non esiste solo il lavoro Shu- gli fece notare.
- Forse non hai ancora incontrato la persona giusta. Hai ancora tempo, ventott’ anni non sono poi così tanti-
- O forse l’ho incontrata ma non me ne sono accorta perché ero troppo concentrata su quella sbagliata- lo fissò - E comunque sono quasi ventinove-
- Allora dovresti cercare di concentrati su quello che ti rende soddisfatta invece che su quello che continua a deluderti- le fece notare, come se volesse farle capire di lasciarlo perdere.
- Hai ragione, credo che sia arrivato il momento di farlo-
 
A parole era facile, ma chiunque l’avesse guardata in quel momento avrebbe capito dalla sua espressione che non era  minimamente convinta di ciò che aveva appena detto. Quella frase serviva più a convincere se stessa che gli altri. Non ce la faceva davvero più, era stanca e senza forze.
 
- Non voglio rinunciare alla tua presenza nella mia vita anche solo come amico o collega, Shu. Anche se questo dovesse comportare il non trovare un altro uomo per il resto della mia vita- ammise, mentre grosse lacrime avevano preso a rigarle le guance.
 
La verità era che non voleva perderlo anche se sapeva che sarebbe stato la causa di tutte le sue sofferenze.
 
- Questo equivarrebbe a tenerti imprigionata in un castello senza vie di fuga. Non sarebbe giusto e non sono il tipo che ama privare gli altri della propria libertà- chiuse gli occhi, forse per non mostrare che anche lui in quel momento stava provando dispiacere nel sapere di essere il suo carnefice.
- Non me lo stai imponendo tu, sono io che voglio farlo- precisò lei.
- Però vivrei con il pensiero di saperti legata a qualcosa dal quale solo io posso scioglierti. Se non lo facessi, sarebbe come tenerti prigioniera, no?-
- Allora sono io che chiedo a te cosa intendi fare. Se non vuoi salvare nemmeno la nostra amicizia dillo chiaramente-
 
Non riusciva a smettere di piangere, non in quel momento che sarebbe stato decisivo per il loro futuro. Alla fine di quella conversazione avrebbe saputo che rapporto ci sarebbe stato d’ora in avanti con lui e nulla avrebbe più potuto modificarlo. Temeva che l’avrebbe perso anche come amico e questo peso era troppo grande da sopportare.
 
- Voglio solo accertarmi che non sprecherai più la tua vita a correre dietro a un tizio che probabilmente non merita la tua dedizione- le sorrise sinceramente.
- Se anche dovessi farlo sarebbe una mia scelta. Non sei tenuto ad assumertene la responsabilità. In ogni caso, più passa il tempo e più mi rendo conto da sola che merito di meglio- lo fissò seria.
- Se è così allora mi va bene restare amici-
- D’accordo- annuì.
 
Si asciugò velocemente le lacrime, per poi riprendere ad incartare il suo pacco nel tentativo di distarsi. Di certo non era il finale felice di una bella fiaba, non era come nei suoi sogni quando lui le diceva che voleva di nuovo che fosse la sua donna; tuttavia era sempre meglio averlo come amico che come perfetto estraneo. Nella vita a volte ci si deve accontentare. Sapeva che quella conversazione che sembrava ormai finita una volta per tutte, sembrava piuttosto lasciata a metà per l’ennesima volta. Non bastava dire “restiamo amici” perché il loro rapporto tornasse com’era prima di quella maledetta sera. Shuichi era consapevole che lei non lo riteneva un semplice amico e per questo si sarebbe comportato in maniera distaccata per non ferirla, mentre lei si sarebbe allontanata per non soffrirne. Sembrava che qualunque fosse la decisione che avrebbero preso, il risultato sarebbe stato sempre quello di allontanarsi l’uno dall’altra. Era ora di accettare la realtà dei fatti: qualcosa era inevitabilmente cambiato, quel rapporto che aveva cercato di mantenere in un qualche modo saldo dopo la rottura si era incrinato se non spezzato.
In silenzio Akai si alzò dalla poltrona e andò a recuperare il cagnolino, che nel frattempo aveva finito di mangiare e si era messo a gironzolare per la stanza annusando qua e là. Lei rimase seduta a terra a incartare con cura sia il suo cartone che quello del cucciolo. Erano nella stessa stanza, a pochi metri l’uno dall’altra, eppure sembrava che fossero distanti anni luce e che parlassero due lingue diverse, rendendo impossibile la comunicazione. Era la sensazione peggiore.
Non appena finì raccolse velocemente le sue cose ed estrasse il cellulare, pronta a chiamare James perché venisse a prenderla. Non se la sentiva di restare lì un minuto di più e aveva davvero bisogno di quel papà surrogato che le offriva una spalla su cui piangere ogni volta che combinava un casino. Stava cercando il numero in rubrica quando la mani di Akai la fermò, stringendole delicatamente il polso.
 
- Non serve disturbare James, ti accompagno io-
 
In un primo momento non seppe cosa rispondere, non le sembrava la migliore delle idee chiudersi di nuovo insieme in una macchina. Alla fine accettò per non rimangiarsi la promessa di essere amici.
 
- D’accordo. Però come farai con il piccolo? Non possiamo lasciarlo qui da solo-
 
Stava per risponderle quando il suono della porta d’entrata che si apriva interruppe la loro conversazione, spingendoli a girare la testa in quella direzione. Pochi minuti dopo apparve Shinichi con la divisa scolastica e la sua valigetta in mano. Si stupì notevolmente di trovarli lì insieme, si intuiva dall’espressione del suo viso.
 
- Professoressa Jodie, c’è anche lei- osservò.
- Hello Cool Guy, scusa se abbiamo fatto un po’ di confusione in casa tua!- lo salutò calorosamente come sempre.
 
Il giovane detective si guardò intorno e subito il suo sguardo cadde sui cartoni addobbati e su quella piccola palla di pelo che stava scodinzolando anche a lui. restò a fissarlo attonito, cercando nella sua testa una spiegazione plausibile a tutto ciò.
 
- È il mio regalo per Shiho, spero non sia un problema tenerlo qui fino a domani- chiese Akai - Ovviamente me ne occuperò io-
- No, nessun problema- sorrise Shinichi, avvicinandosi e prendendolo in braccio - Credo che Shiho apprezzerà moltissimo questo regalo-
- Lo spero. Potresti controllarlo per un po’ mentre accompagno Jodie a casa? Ci metto solo qualche minuto-
- Tranquilli, andate pure. Ci penso io- accettò con piacere.
 
Uscirono dalla villa e come avevano fatto in precedenza caricarono il pacco di Jodie sulla macchina cercando di non farsi notare troppo. Durante il tragitto non si scambiarono molte parole, come d’altra parte era prevedibile.
 
- Potresti dire a James che domattina farò un po’ tardi perché devo andare a ritirare la torta che ho prenotato per Shiho?- se ne uscì all’improvviso lui.
- Non glielo hai già detto?-
- Me ne sono scordato fra una cosa e l’altra- ammise.
 
Quando arrivarono davanti al palazzo dove si trovava il suo appartamento, scese dalla macchina e prese il suo cartone dal sedile posteriore. Anche Shuichi scese e l’affiancò, posando una mano sotto il cartone.
 
- Vuoi che ti aiuti? È abbastanza pesante- chiese.
- Grazie ma non serve, appena arrivo dentro prendo l’ascensore- abbozzò un sorriso di ringraziamento.
- Beh, grazie per l’aiuto allora- disse, pronto a congedarsi da lei.
- Di nulla, ci vediamo domani alla festa-
 
Gli diede le spalle e s’incamminò vero l’entrata del palazzo. Aveva quasi raggiunto la porta quando sentì la sua voce che la richiamava.
 
- Jodie-
- Sì?- girò il capo per guardarlo.
- Quel giorno non avevo nessuna intenzione di ferirti, né tantomeno la voglia di fare ciò che ho fatto. Rinunciare a qualcosa a cui tieni non è mai facile per nessuno. Se non ti ho telefonato non è perché non lo volessi, ma perché farlo avrebbe solo complicato le cose. Non credevo che ti avrebbe ferita a tal punto, mi dispiace-
 
Spalancò gli occhi a quelle parole, incredula per ciò che aveva appena sentito. Erano scuse quelle? Shuichi Akai, la roccia impassibile, si stava abbassando a scusarsi per una cosa successa sei anni prima. Se le sue mani non fossero state impegnate a reggere il cartone, probabilmente si sarebbe data dei pizzicotti per accertarsi di essere sveglia e di non stare sognando. Era distante da lui e non riusciva a vedere bene i suoi occhi, ma dall’espressione del volto e dal tono che aveva usato le sembrava sincero e davvero pentito. Per la prima volta ebbe l’impressione di essersi sempre sbagliata, di non aver mai capito fino in fondo i suoi sentimenti. Presa com’era nel suo dolore, non aveva visto che anche Shuichi aveva sofferto per quella storia troncata così, per quel sentimento che aveva dovuto spegnersi contro il volere di entrambi. Non sapeva perché ma si sentiva più serena nel saperlo, nel sapere che per lui era stata importante. Forse, se le avesse detto quelle parole anni prima, non sarebbero arrivati al punto in cui si trovavano ora. Ma d’altronde lo sapeva, Shuichi non era un asso quando si parlava di tempistica in campo di sentimenti.
Si chiese se alla fine dei giochi anche lei non avesse delle colpe. Se era bastato così poco a farlo innamorare di un’altra, forse allora anche lei non era stata perfetta. Ma ormai importava poco, non poteva più cambiare ciò che era stato. Ammettere le proprie colpe li avrebbe aiutati ad andare avanti ma non a tornare indietro.
 
- Non devi darmi nessuna spiegazione, qualunque siano state le tue motivazioni. Se lei ti ha conquistato a tal punto allora forse sono io che ho mancato in qualcosa. La colpa è sempre metà e metà, giusto?- sorrise citando le sue parole, nonostante i suoi occhi fossero diventati lucidi tradendo le emozioni che stava provando - Accetto le tue scuse, ad ogni modo. Ci vediamo domani alla festa-
 
Lo salutò un’ultima volta per quella sera, entrando nell’edificio senza più voltarsi indietro.
 
 
 
…………………………
 
 
 
Restò lì, fermo immobile a guardare la sua figura perfetta che si allontanava sempre più da lui, come nelle scene di quei patetici film d’amore che piacevano tanto alle donne. Ripensò a tutto ciò che si erano detti e anche a ciò che restava ancora da dire. Non sopportava di vederla piangere e ancor meno sopportava di sapere che la causa del suo dolore era proprio lui. Nella vita aveva fatto esperienze e imparato tante cose, forse anche più di quelle che un giovane uomo della sua età dovrebbe conoscere, eppure non aveva mai imparato ad essere più umano nei rapporti con le persone. Forse era per questo che continuava a perdere le persone a lui care una dopo l’altra. Più rifletteva sulle parole che le aveva detto nel salotto di casa Kudo e più gli sembrava di averla allontanata di proposito. Se sua madre fosse stata lì non si sarebbe certo risparmiata di dirgli che era un cretino. “Forse sono io che ho mancato in qualcosa”, gli aveva detto Jodie. Avrebbe dovuto dirle che non aveva nessuna colpa e che era stata una fidanzata perfetta: il problema era lui. Sapeva che lei lo amava ancora e nel tentativo di essere distaccato per non crearle false speranze e illuderla aveva finito col ferirla di nuovo, col riaprire quella cicatrice nel suo cuore che probabilmente non si era mai rimarginata. Se ne rendeva conto solo adesso. Le aveva promesso di proteggerla a costo della vita e invece la stava uccidendo con le sue stesse mani. Lui, il Silver Bullet, l’unico in grado di eliminare i cattivi, non era altro che uno di loro. Sorrise amaramente a quel pensiero.
Mentre si accendeva una sigaretta, si chiese se le cose sarebbero mai tornate a posto, se quell’amica, compagna, collega che fino a quel momento lo aveva sostenuto sarebbe stata ancora lì per lui. Si accorgeva di quanto fosse importante la sua presenza solo adesso che forse l’aveva persa. Come per suo padre e per Akemi, ebbe nuovamente la sensazione di aver perso qualcosa a lui caro, con la sola differenza che Jodie era viva. E forse il lato peggiore era proprio questo: saperla ancora lì accanto a lui ma avere la sensazione che fosse lontana come l’anima di un defunto.
Con l’amara consapevolezza di aver aggiunto un’altra vittima alla sua collezione, mise in moto la macchina e tornò a casa, avvolto dal buio della sera che era ormai calato sulla città.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Direi che questo è il capitolo più lungo mai fatto fin’ora e infatti è anche quello che ha segnato un punto di svolta decisivo (forse) per il rapporto Jodie/Shuichi. Molti di vuoi si aspettavano che questo confronto avvenisse durante la festa, ma io vi ho preceduti perché per la festa avevo altro in mente fin dall’inizio (dite la verità, vi ho un po’ trollati come Gosho eh? XD). So che alcuni di voi penseranno “ma fai una storia Shuichi x Jodie e poi li fai accordare sul fatto di restare solo amici?!” e in effetti potrebbe sembrare così, ma mancano dei pezzi e l’happy ending che tutti vi aspettate (e che vi ho promesso ci sarà) sarà veramente solo nei capitoli finali e conclusivi, non prima. Prima voglio preparare le basi perché questo avvengo, devo far crescere i personaggi psicologicamente. Farlo su due piedi mi sembrerebbe affrettato e non realistico. La verità è che nonostante in questa storia si sia vista più Jodie di lui, chi deve dare la spinta al motore perché parta è Shuichi. Fin che lui non si metterà in pace con se stesso, la svolta non potrà avvenire.
Ma bando alle ciance, vi sto annoiando! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo se vi va! E non perdete il prossimo che sarà quello con la festa di Shiho! ;)
Grazie come sempre a tutti quelli che dedicano il proprio tempo a questa storia!
Bacioni
Place
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: La festa ***


Capitolo 17: La festa
 
 
Erano tutti riuniti nella stessa stanza come una numerosa famiglia il giorno di Natale, nonostante fossero divisi in gruppi impegnati in differenti attività. Da un lato Shinichi e Ran, che in quel momento sembravano amorevoli genitori, cercavano di aiutare i Detective Boys a con un indovinello architettato dal Dottore per tenerli impegnati, in modo che non si annoiassero troppo dal momento che vi erano solo persone adulte. Con loro c’era anche Masumi, che come Shinichi veniva costantemente attirata dal profumo degli enigmi. Dall’altro lato invece, sedute sul divano, lei e Sonoko stavano sfogliando una rivista di moda commentando le ultime tendenze. Mancavano solo due persone all’appello.
Si sistemò lo scollo del bellissimo kimono colorato che le aveva regalato il Dottor Agasa. In Giappone era tradizione che la festeggiata ne indossasse uno. Sul tavolo dove gli altri stavano risolvendo l’indovinello c’erano una serie di scatole di giochi di società portati per la maggiore da Shinichi e Sonoko, che però non erano ancora stati provati nell’attesa che anche gli ultimi due invitati rimasti si unissero a loro.
 
- Ah, ho capito!- riecheggiò la voce entusiasta della piccola Ayumi.
 
Lei e Sonoko interruppero la lettura e si girarono a guardare, trovando tutti quanti sorridenti: di certo erano riusciti a risolvere l’indovinello.
 
- Visto che abbiamo risolto il mistero possiamo avere la torta come premio?- chiese subito Genta, che non vedeva l’ora che arrivasse quel momento da quando aveva messo piede in casa.
- Su, cerca di pazientare Genta, più tardi la mangeremo tutti insieme-
 
Controllò l’ora sull’orologio appeso alla parete, sperando che Akai non si fosse dimenticato. In fondo la torta doveva portarla lui. Non fece in tempo a finire di pensarlo che il campanello della porta suonò, segno che almeno uno dei due era arrivato. Andò ad aprire com’era giusto che fosse, dato che festa era la sua, trovandoseli davanti entrambi, uno di fianco all’altro.
 
- Benvenuti- li salutò con un sorriso.
- Happy Birthday!- gongolò Jodie, ricambiando il sorriso con uno ancora più radioso, mentre reggeva fra le braccia un grosso pacco.
- Auguri- fu la risposta più semplice di Akai, il quale le mostrò la scatola con la torta.
- Grazie mille, accomodatevi- li fece entrare.
 
Non appena misero piede in casa, tutti si girarono a salutarli, alcuni stupiti di vedere due agenti dell’FBI adulti ad una festa di ragazzini. La reazione più evidente fu quella di Masumi, che dopo aver esclamato “Shu-nii!” corse incontro al fratello e lo abbracciò. Questa volta, invece di rimproverarla, Akai le sorrise scompigliandole i capelli, lasciando basite le persone che lo conoscevano bene. Ma lei era concentrata su un altro fatto che l’aveva colpita molto più dello slancio affettivo e fraterno di quell’uomo apparentemente privo di emozioni, ovvero che lui e Jodie fossero arrivati insieme. Così si avvicinò all’amica bionda con un pretesto.
 
- Grazie per questo regalo, non dovevi disturbarti. È enorme!-
- Te lo meriti!- le fece l’occhiolino, posando il pacco insieme agli altri.
- Piuttosto… com’è che tu e Akai-san siete arrivati insieme? Mi sembrava che ci fossero delle tensioni fra voi fino a pochi giorni fa- arrivò al punto.
- Bhe, è vero, ma ieri abbiamo avuto occasione di parlare finalmente e diciamo che siamo giunti a una sorta di armistizio- spiegò, anche se la sua espressione nel raccontare era cambiata con la stessa velocità di una folata di vento.
- Ti va di parlarne?-
- A tempo debito lo farò- si riprese - Oggi dobbiamo solo pensare a divertirci perché è il tuo compleanno!- la prese per le spalle e la scosse leggermente, trasmettendole tutta la sua vivacità.
 
Sorridendo, andò a posare la giacca, sotto lo sguardo poco convinto di lei. Ormai era diventata un libro aperto, si capiva subito quando era davvero spensierata e quando dietro ai sorrisi si nascondeva un pianto silenzioso. Tuttavia aveva ragione, non era il caso di tirare fuori certi argomenti in quella circostanza.
La sua attenzione si spostò nuovamente su Masumi, che nel frattempo aveva abbandonato gli altri per cercare quasi disperatamente le attenzioni del fratello maggiore, il quale stava mettendo la torta nel frigo in compagnia del Dottore e di Genta che si era fiondato a vedere nel tentativo di convincerli a mangiarla subito. Notò che lo scienziato e l’agente stavano parlando fitto fitto tra loro e le sembrò strana una tale confidenza, troppa se si considerava che per Akai il Dottore era solo l’uomo che gli aveva fornito delle strumentazioni per il suo travestimento. Cercò di leggere il labiale, inutilmente. Infine li seguì con lo sguardo mentre si allontanavano dal salone per spostarsi in un’altra stanza. Stava per seguirli quando Masumi la precedette, ma venne subito fermata dal fratello che con sguardo serio le disse qualcosa che non riuscì a comprendere, mascherata dalla confusione che stavano facendo i bambini. Pensò che Akai non avesse imparato la lezione e che avrebbe di nuovo visto lo sguardo deluso e triste di Masumi, proprio come quel pomeriggio a casa di Shinichi; invece con sua grande sorpresa la vide sorridergli e annuire, per poi tornare tutta pimpante dagli altri come se nulla fosse. Ok, aveva sempre pensato che fossero una famiglia strana, ma ora ne aveva la certezza assoluta.
 
- Chissà dove stanno andando quei due- si lasciò sfuggire.
- Forse vogliono solo parlare di cose da uomini che a noi non interessano, quindi andiamo a far festa!- rispose prontamente Jodie, arrivata alle sue spalle come un fantasma.
 
La spinse senza forzarla troppo vicino al tavolino insieme a tutti gli altri, per poi salutare tutti con la stessa energia di ogni volta.
 
- Hello guys!- sorrise radiosa.
- Professoressa Jodie, c’è anche lei!- esclamò Ayumi.
- Ma non si annoia a una festa di ragazzi con per di più dei mocciosi?- le chiese Sonoko alzando un sopracciglio.
- Certo che no!- rispose lei.
 
L’unica che non aveva detto nulla era stata Masumi, la quale fissava Jodie come se cercasse di studiarla in ogni minimo particolare. D’altra parte era quella che la conosceva meno di tutti fra i presenti. Anche Jodie doveva essersene accorta, poiché la guardò a sua volta, sicuramente notandone la somiglianza con quell’uomo che tanto amava.
 
- Sei la sorella di Shu, vero?- le chiese per rompere il ghiaccio.
- Esatto. Tu invece lavori con mio fratello all’FBI. Lo conosci bene?-
 
Era una bella domanda, una domanda a cui non era sicura che Jodie avesse una risposta certa. Lei stessa aveva scoperto lati di Akai che in passato non aveva mai visto, quindi tutte le sue certezze sulla sua persona erano crollate. Anche per Jodie doveva essere lo stesso.
 
- Beh… diciamo di sì, lavoriamo insieme da tanti anni ormai- riuscì a cavarsela, anche se quella era la risposta più ovvia.
- Non pensa anche lei che il fratello di Sera-chan sia bellissimo? Dica la verità, c’è qualcosa fra voi? Siete arrivati insieme!- intervenne Sonoko, fuori luogo come sempre.
 
Una domanda ancora più difficile della precedente, che non ricevette una risposta veloce. Jodie arrossì visibilmente, non sapendo cosa dire. Non poteva certo dire la verità, in ogni caso non di fronte alla sorella di Shuichi.
 
- Ma insomma Sonoko, che domande fai?! Non vedi che stai mettendo a disagio la professoressa Jodie?- intervenne in suo aiuto Ran, che era molto più giudiziosa dell’amica.
- Già e poi la professoressa è fidanzata con l’agente Camel!- intervenne Mitsuhiko, evidentemente memore di quella balla colossale che si era inventata per salvare Camel dall’accusa di omicidio in quell’hotel.
- Cosa?! Sul serio?!- esclamarono Ran e Sonoko all’unisono.
- No, aspettate, c’è un malinteso!- scosse le mani la bionda, colta alla sprovvista.
- Intende dire che non sta più con l’agente Camel?- chiese Ayumi.
- Non mi dica che l’ha tradita!- saltò subito alle conclusioni Sonoko.
- No no, in verità non sono mai stata fidanzata con Camel!- confessò infine, sorridendo imbarazzata.
- Quindi ha detto una bugia?- storse il naso Genta.
- Mi serviva un modo per tirarlo fuori dai guai!-
- Non si fa!- la riprese Mitsuhiko.
 
In tutta risposta, l’ex insegnante abbassò lo sguardo, mortificata nel sentirsi fare la predica da dei bambini delle elementari.
 
- Allora ti piace mio fratello?- chiese nuovamente Masumi, curiosa di sapere se il suo adorato fratello aveva fatto colpo.
- Eh?! Beh…- avvampò Jodie, non riuscendo ad articolare una frase di senso compiuto.
- Ma guarda com’è diventata rossa!- la canzonò Sonoko, sorridendo sorniona.
- Se vuoi posso chiedergli se gli piaci anche tu!- si offrì Masumi, come se fosse la cosa meno imbarazzante e più naturale del mondo.
- No! Non è necessario!- si affrettò a rispondere la bionda - Siamo solo amici e colleghi, niente più!-
- Adesso basta tormentare Jodie, perché non giochiamo tutti insieme a qualcuno di questi giochi?- intervenne lei, nel tentativo di tirare fuori l’amica da quella situazione imbarazzante.
 
La proposte venne accolta di buon grado e così si misero a guardarli tutti, cercando di sceglierne uno che potesse essere adatto anche per i più piccoli. La scelta finale, inutile dirlo, ricadde sul Cluedo che aveva portato Shinichi, il quale l’aveva ricevuto in dono dai suoi direttamente dall’America. Posizionarono il tabellone di gioco sul tavolo e si sedettero in cerchio intorno ad esso, mentre Sonoko leggeva le regole a tutti e Ran e Shinichi posizionavano le pedine.
Mentre erano intenti ad ascoltare, riapparvero così com’erano scomparsi il Dottor Agasa e Akai. Li osservò per un po’, cercando di capire dall’espressione sui loro volti se qualcosa non andava, ma non le sembrò di notare nulla di strano. Sembravano entrambi stranamente sereni e sorridenti. Eppure sentiva che le stavano nascondendo qualcosa.
 
- Dove siete stati?- chiese, interrompendo bruscamente la lettura di Sonoko.
- Da nessuna parte, il Dottore voleva mostrarmi una delle sue nuove invenzioni e sapere cosa ne penso- spiegò in tutta tranquillità Akai.
 
Quella risposta non la convinse per niente, anche perché quando il Dottore lavorava a qualcosa di nuovo la coinvolgeva sempre e negli ultimi tempi a parte fare riparazioni non aveva ideato nulla. Tuttavia preferì non fare altre domande davanti agli altri.
 
- Vuoi giocare anche tu con noi, Shu-nii?- chiese Masumi sorridendo.
- Ma figuriamoci, un uomo adulto non vorrà certo mettersi a giocare con dei ragazzini!- commentò Sonoko, più per farsi grande ai suoi occhi che per evitare di farlo sedere al tavolo con loro.
- Guarda che anche la Professoressa Jodie è un’adulta, però ha accettato di giocare con noi!- le fece presente Genta.
- Mi unisco a voi volentieri, sarà divertente giocare contro un ottimo detective- accettò di buon grado Shuichi, sorprendendo tutti e fissando il diretto interessato, Shinichi.
 
Il giovane erede di Holmes ricambiò il sorriso, cosa che però non fecero gli altri dal momento che quel gioco collettivo sarebbe certamente diventato uno scontro faccia a faccia fra titani dell’investigazione.
 
- Però come faremo a giocare?- intervenne Ayumi, fissando il tabellone - Il gioco è per un massimo di sei persone e noi siamo in dieci-
- Già, hai ragione- l’appoggiò Mitsuhiko.
- Perché non giochiamo a coppie?- propose Jodie.
- Mi sembra un’ottima idea!- approvò Ran.
- Per me va bene, purché Kudo e Akai-san non facciano coppia, altrimenti vinceranno ancor prima di cominciare- precisò lei, incrociando le braccia al petto.
- Giusto, poi farebbero i primi della classe!- annuì Jodie, storcendo il naso.
 
Ci furono diverse lamentele su chi doveva o non doveva stare con chi prima di giungere a delle coppie che potessero andare bene a tutti. Jodie e Akai non potevano stare insieme perché entrambi agenti dell’FBI, Akai e Shinichi perché due abili detective, stessa cosa per Akai e Masumi e per Masumi e Shinichi. Alla fine concordarono tutti per le seguenti coppie: Shiho e Ayumi, Shinichi e Ran, Sonoko e Masumi, Akai e Genta, Jodie e Mitsuhiko. Giocarono per un’ora buona, ridendo, scherzando e mangiando stuzzichini. Sembravano una grande famiglia dove la differenza di età non contava nulla, perché c’era affetto da parte di tutti. Anche se la sua famiglia biologica non poteva essere lì a festeggiare con lei, si sentiva comunque felice e poteva affermare con certezza che quello era il compleanno più bello che avesse mai avuto occasione di festeggiare.
Alla fine vinse, come previsto, Shinichi, anche se Akai era arrivato alla stessa soluzione ma era stato preceduto. Sbuffarono tutti, nonostante si fossero comunque divertiti.
 
- Non c’è gusto a giocare con te!- lamentò all’amico, facendolo sorridere.
- Facciamo un’altra partita!- propose Ayumi, che era rimasta molto entusiasta di quel nuovo gioco.
- Perché invece non venite a mangiare la torta e a scartare i regali?- propose Agasa.
- Sììììì!- esclamarono in coro, correndo via come fulmini.
- Vado a tagliarla allora- si alzò Akai, dirigendosi verso il frigo.
- Ti do una mano- si offrì Jodie, seguendolo.
 
Si spostarono tutti intorno al bancone che fungeva da angolo cottura, dove poco distante si trovava anche il frigo. Shuichi estrasse la scatola con la torta, l’aprì e cominciò a dividerla in fette della stessa dimensione, mentre Jodie le riponeva nei piattini da dessert. Li osservò attentamente mentre si scambiavano qualche sguardo furtivo e le sembrò di scorgere meno imbarazzo fra loro di quanto non ne avesse mai notato fino a quel momento, seppur fossero lontani dalla scioltezza che avevano prima di tutta quella storia. Era chiaro che le cose non fossero propriamente tornate alla normalità, ma almeno non c’era più tensione. Anche gli altri ragazzi li guardavano nel tentativo di capire se ci fosse qualcosa fra loro, tranne i bambini che erano troppo piccoli per interessarsi a cose del genere e soprattutto troppo occupati ad osservare la torta.
 
- A me sembra che alla Professoressa Jodie piaccia molto il fratello di Sera-chan!- bisbigliò Sonoko.
- Ancora con questa storia, Sonoko?- la rimproverò Ran.
- E se anche fosse? Sono affari loro, sono due adulti e se la sbrigheranno da soli- mise a tacere il tutto Shinichi.
 
Terminati i pettegolezzi, si avvicinarono maggiormente al tavolo e presero un piattino ciascuno, cominciando ad assaporare la loro fetta di torta, non prima di averle cantato tutti in coro la tipica canzone di auguri. Era deliziosa come la ricordava e anche gli altri sembrarono gradire molto, complimentandosi per la scelta. Il più felice di tutti era certamente il Dottore, che finalmente dopo tanto tempo poteva gustarsi un dolce e porre fine a quello stretto regime dietetico a cui lo sottoponeva costantemente.
Finito di mangiare la torta, arrivò il momento di scartare i regali. Sebbene avesse detto a tutti di non volere nulla, ciascuno di loro le aveva fatto un pensiero. Cominciò da Sonoko, la quale le aveva regalato un bellissimo vestito di marca all’ultima moda (cosa che ci si doveva aspettare da una ricca ereditiera), poi passò a Ran, che invece aveva optato per una bellissima collana con un ciondolo a forma di piuma, simboleggiante la libertà. Un regalo sensibile da parte di una persona che lo era fin troppo. Ringraziò entrambe di cuore per quei pensieri così azzeccati che avevano avuto. Arrivò il turno di Shinichi, il quale aveva portato solo una busta. All’inizio pensò che l’avesse presa in parola sulla storia del non farle regali e che dunque le avesse scritto solamente un biglietto di auguri, ma poi all’interno vi trovò dei biglietti per degli ottimi posti alla prossima partita dei Big Osaka, che lasciarono perplessi quelli che non la conoscevano.
 
- Ma come, sei di Tokyo e tifi per i Big Osaka?- chiese Sonoko.
- Sì, ma solo perché ha una cotta per Ryusuke Higo- confessò Shinichi, prima che lei potesse rispondere.
 
Bell’amico, davvero. Doveva lasciarlo nei panni di un moccioso, era questo che meritava. S’imbronciò, guardandolo storto e arrossendo per l’imbarazzo.
 
- Chi è questo Ryusuke Higo?- chiese Jodie curiosa.
- Un giocatore di calcio della squadra dei Big Osaka- spiegò Shinichi.
- Oh, ma si sa che quelli non sono seri! Cambiano la ragazza tutte le settimane! Preferisco i giocatori di basket, alti e con le spalle larghe- scosse una mano l’agente.
 
Perfetto, ora ci si metteva anche la sua amica a dare man forte a quel detective da quattro soldi! Lanciò un’occhiataccia anche a lei, mentre tutti gli altri se la ridevano allegramente per le sue parole.
 
- Non ha mica detto che ci si deve sposare, è solo un’infatuazione da idolo. Più o meno come quella che tu hai per il nostro giovane detective- intervenne Akai in sua difesa, lasciandola non poco sorpresa del fatto che avesse preso le sue parti canzonando la collega.
 
Dopo vari bronci e imbarazzi, venne il turno di scartare il regalo di Masumi: un libro di chimica e una cornice con una foto che si erano fatti tutti insieme durante una delle loro uscite. Apprezzò in particolare quest’ultima, prendendola come una conferma del fatto che al di là dell’aspetto fisico Masumi era molto più sensibile di suo fratello maggiore. Ringraziò anche lei con un sorriso, rendendola felice.
Era rimasto solo il regalo di Jodie da scartare, quello più grande di tutti, ma prima che potesse prenderlo Akai la fermò.
 
- Potresti aspettare un momento prima di aprire il regalo di Jodie? C’è ne prima un altro- disse, con quel suo sorriso enigmatico.
 
Per un attimo non seppe cosa rispondere né cosa aspettarsi, le sembrava quasi impensabile che quell’uomo potesse averle fatto un regalo. Cercò Jodie con lo sguardo come a volerle chiedere una conferma; l’amica le sorrise e annuì, facendole capire che sapeva e che non c’era nulla di cui dovesse preoccuparsi. Akai si allontanò nella stessa direzione che aveva preso qualche ora prima con il Dottore, sparendo in un altro lato della casa e lasciando tutti con la curiosità di sapere, in un vociferare generale. Rifletté meglio su qualcosa che era sempre stato davanti ai suoi occhi ma al quale aveva dato poca importanza: solo in quel momento realizzò che mentre tutti erano intenti a giocare, Agasa si era allontanato spesso in quella direzione, tornando poco dopo. Non sapeva di cosa si trattasse nello specifico ma almeno aveva avuto la conferma che quella dell’invenzione era solo una scusa.
Il cupo agente dell’FBI tornò pochi minuti dopo reggendo un pacco delle stesse dimensioni di quello di Jodie. Probabilmente avevano comprato i rispettivi regali nello stesso luogo, magari insieme. Una bella notizia. Posò il cartone di fronte a lei e le augurò buon compleanno sorridendo in modo enigmatico. Aveva un po’ di paura nell’aprirlo, vista l’espressione sul volto di lui. Fissò meglio il pacco e si accorse che era già stato tagliato e aperto nella parte superiore, ma il tutto era mascherato dal fatto che fosse stato rivestito con della carta da regalo colorata. Aggrottò la fronte, trovandolo strano e di poco gusto: nessuno avrebbe voluto ricevere per il proprio compleanno un regalo che era già stato aperto. Decisa a scoprire cosa contenesse, aprì entrambe le alette guardando dentro: subito sbucò fuori una tenera testolina ricoperta di pelo, accompagnata da un paio di zampine che si reggevano al bordo del cartone e una coda che aveva preso a muoversi velocemente non appena il suo sguardo si era posato su di lui. Lui, un bellissimo cucciolo di qualche mese. Sgranò gli occhi e aprì la bocca, senza però riuscire a dire nulla. Non respirava nemmeno tanto era rapita e sorpresa. Tutto si sarebbe aspettata meno che di ricevere quello che da tanto desiderava e per di più dalla persona che meno le andava a genio fra tutti i presenti.
 
- Che carino! È un bellissimo regalo!- esclamò Ayumi, avvicinandosi per vederlo meglio.
 
Tutti sorridevano inteneriti e cercavano di guardare da vicino quel piccolo batuffolo che aveva gioia in abbondanza da regalare a chiunque.
Alzò lo sguardo incrociandolo con quello di Akai e per la prima volta non vi erano riflessi né timore né rabbia, solo gratitudine, felicità e tanto stupore.
 
- Grazie!- gli disse semplicemente, ma con sincerità e un dolce sorriso sulle labbra.
 
Non se ne accorse presa com’era dal momento, ma poco lontano da loro Jodie guardava la scena e provava forse anche più felicità di quanta non ne stesse provando lei.
Prese finalmente in braccio il suo nuovo amico a quattro zampe, riempiendolo di coccole. I bambini, più curiosi ed eccitati di tutti, si avvicinarono a lei chiedendole di poterlo accarezzare. Glielo concesse, ricordandosi di quando anche lei era una bambina insieme a loro e amava coccolare gli animali. Le sembrava di essere tornata indietro a qualche mese prima. Anche Shinichi, Ran, Masumi e Sonoko si avvicinarono curiosi.
Si girò per ringraziare anche il Dottor Agasa, poiché sapeva che se Akai le aveva fatto quel regalo era stato solo perché lo scienziato aveva dato il suo consenso a tenere in casa un animale. Fu allora che quest’ultimo li riportò all’attenzione.
 
- So che siete tutti presi da questo piccolino, ma resta ancora un regalo da aprire. Non sarebbe carino ignorare la gentilezza della professoressa Jodie-
- Non si preoccupi Dottore, avrà tempo di aprirlo anche più tardi!- replicò la bionda scuotendo una mano.
- No, il Dottore ha ragione. Possiamo continuare a coccolarlo dopo- intervenne lei, che non voleva di certo sembrare scortese nei confronti dell’amica.
 
Chiese ad Ayumi di tenere il cucciolo mentre lei apriva l’ultimo regalo e la bambina accettò con gioia. Quando vide che all’interno del pacco di Jodie vi erano tutti quegli accessori per la cura del cagnolino ebbe la conferma che lei e Akai erano d’accordo e era stata proprio lei a riferire ad Akai del suo desiderio di avere un cucciolo. Comprese anche il motivo per cui lo aveva fatto e le fu grata per l’ennesima volta. Invece che cercare di sistemare il suo di rapporti con lui, si preoccupava di lei. Le sorrise e la ringraziò, venendo ricambiata.
 
- Ho pensato che ti servissero almeno le cose essenziali, il resto puoi andare a sceglierlo tu!- le fece l’occhiolino.
- È tutto perfetto!-
 
Mise subito il collare al cucciolo, che non si tirò indietro ma al contrario sembrò felice di indossare quel nuovo accessorio.
 
- Che ne dite di andare in giardino a giocare un po’ con lui?- propose, in particolar modo ai più piccoli.
- Sììì!!!- accettarono con gioia, correndo verso l’uscita.
 
Nel giro di pochi secondi la sala si vuotò e rimasero solo il Dottor Agasa, Jodie e Shuichi, che ormai ritenevano di aver perso l’età per giocare insieme a dei ragazzini.
 
 
 
……………………..
 
 
 
Sorrise mentre guardava la sua giovane amica allontanarsi felice con in braccio quel regalo che tanto aveva desiderato. Pensò tra sé e sé che in fondo un po’ era anche merito suo, così come lo era l’averla finalmente (forse) avvicinata a Shuichi un po’ di più. I suoi sacrifici erano valsi a qualcosa.
 
- Beh, direi che è andato tutto per il meglio, no?- disse, rivolgendosi agli altri due.
- Speriamo bene, sono un po’ preoccupato- ammise il Dottore, togliendosi gli occhiali e pulendo le lenti con un fazzolettino.
- Non deve, come vede Shiho si sta già prendendo cura del piccolo. È una ragazza responsabile- lo rassicurò Akai, mentre si apprestava a rimettere nel frigo la poca torta avanzata.
 
Lei lo aiutò, raccogliendo tutti i piatti e le posate per poi caricarli nella lavastoviglie. Non aveva più parlato con lui dalla sera scorsa, al lavoro si erano visti a malapena. Nonostante ciò non provava rancore né dolore nei suoi confronti, si sentiva stranamente più serena nonostante tutto. Forse avevano davvero bisogno di un chiarimento, fingere che le cose andassero bene era stato uno sbaglio fin dall’inizio. Sperò che anche lui la pensasse così.
 
- Non andate fuori anche voi? Ci penso io a riordinare- li interruppe lo scienziato.
- Lasciamo che i ragazzi si divertano un po’ da soli, noi siamo un po’ vecchi! E poi lei è già stato così gentile a mettere a disposizione la casa, non mi sembra giusto farle pulire tutto da solo!- gli sorrise.
- Eh va bene, la ringrazio professoressa Jodie. Allora vado a controllare che non distruggano il giardino!- si congedò da loro, lasciandoli soli.
 
Finalmente avrebbero avuto di nuovo occasione di rivolgersi la parola e stabilire così se fosse davvero possibile ricucire un rapporto fra loro, senza più vecchi rancori o parole non dette.
 
- Sei felice?- gli chiese all’improvviso.
- Eh? A cosa ti riferisci?- replicò lui, colto alla sprovvista.
- Beh, mi sembra che Shiho abbia apprezzato il tuo regalo più di tutti gli altri. Ho visto come ti ha sorriso e non mi sembra che lo abbia mai fatto fino ad ora. Credo che tu abbia guadagnato parecchi punti- spiegò.
- Lo spero, ma credo che la strada sia ancora lunga. Appena farò qualcosa che non le andrà a genio mi odierà di nuovo- sorrise lui, consapevole che probabilmente non era così facile conquistarla, se non ci era ancora riuscito dopo tutto quel tempo.
- E tu non comportarti male!- ribatté lei.
- Difficile, dal momento che ciò che la rende più suscettibile è il rapporto che ho con te-
 
Rimase in silenzio, non sapendo cosa dire. Aveva ragione, se non le avesse detto quello che provava per lui forse Shiho si sarebbe sentita meno coinvolta e non avrebbe cercato di prendere le sue parti andando ogni volta contro di lui. Tuttavia non lo aveva fatto con malizia, non voleva certo essere lei l’angelo salvatore e far passare lui per il diavolo. Questo ormai doveva averlo capito anche lui, dal momento che non vi era rimprovero né fastidio nel suo tono, ma il tutto era una semplice constatazione.
 
- Mi spiace che lei se la prenda con te a causa mia, le ho detto più di una volta che non deve prendersela per le cose che riguardano me ma non mi dà retta- disse infine, facendo partire la lavastoviglie.
- Non è colpa tua, sei riuscita a farti ben volere più di quanto non abbia fatto io. Ma alla fine è comprensibile, chiunque preferirebbe la tua compagnia alla mia- ammise.
- Questo non è vero. Insomma, non sei proprio l’anima delle feste e lo abbiamo appurato però… quando non sei in una delle tue giornate no è piacevole passare del tempo con te- si morse il labbro nel pronunciare quelle ultime parole, timorosa di aver detto qualcosa di sconveniente.
- Certo che hai dei gusti strani- fu la risposta ironica di lui - Ad ogni modo grazie per avermi consigliato di prenderle un cagnolino, ti devo un favore-
- Non mi devi nulla, avevo combinato un casino e ho voluto rimediare. Siamo pari adesso-
- In realtà ho combinato molti più casini io, ho parecchie cose da farmi perdonare-
 
Comprese immediatamente che si stava riferendo al fatto di averla lasciata così su due piedi e a tutto quello che si erano detti. Lo sentiva sinceramente pentito, poteva leggerne il senso di colpa negli occhi. Aveva sbagliato a pensare che non gliene fosse mai importato nulla di lei e di ciò che provava, lo capiva solo adesso.
 
- Non c’è nulla che ti debba perdonare. Va bene così, davvero- gli sorrise sinceramente, andando a portare il resto degli avanzi in frigo.
 
 
 
…………………….
 
 
 
Non c’era nulla che doveva farsi perdonare, gli aveva detto lei. Eppure lui sapeva, sapeva che vi erano cose sulle quali in realtà non lo aveva mai davvero perdonato del tutto. Si chiese se un giorno avrebbe potuto rimediare ai suoi errori, per vedere di nuovo Jodie sorridergli spensieratamente  come aveva fatto Shiho poco prima. Ripensò proprio a quest’ultima, a come l’aveva resa felice e dopo tanto tempo si sentì un po’ felice anche lui. Era quello che aveva sempre voluto da quando aveva fatto quella promessa ad Akemi. Si chiese se davvero fosse riuscito a mantenervi fede al meglio, se avesse fatto tutto il possibile per prendersi cura di lei.
Venne distratto dai suoi pensieri quando udì le voci dei ragazzi e dei bambini che erano rientrati. Shiho lasciò libero il cucciolo, che subito cominciò a gironzolare e annusare per conoscere la sua nuova casa. Jodie però, che ancora non aveva avuto occasione di strapazzarlo, lo prese nuovamente in braccio e cominciò a coccolarlo e a fargli un sacco di complimenti.
 
- Non so se piaccia più a te o alla destinataria- si avvicinò a lei sorridendo.
- Solo a un pazzo non piacerebbe, guarda che musetto!- replicò, avvicinando il cagnolino a pochi centimetri dal suo volto.
 
Il piccolo lo guardò nello stesso modo curioso in cui lo aveva fatto al negozio la prima volta, scodinzolando. E lui, proprio come allora, restò a fissarlo senza muovere un dito.
 
- Su, fagli una carezza! Non vedi come ti guarda?- lo esortò Jodie.
- Fuori abbiamo fatto delle foto tutti insieme con il cucciolo, mancate solo voi- li interruppe Shiho, che probabilmente aveva colto l’occasione data l’atmosfera che si era creata.
 
Gli venne da sorridere per quanto potesse essere quasi subdola alle volte. Cercava in tutti i modi possibili di avvicinare lui e Jodie, di spingerlo a fare la corte alla sua collega. Più che infastidirlo, doveva ammettere che questa cosa lo divertiva.
 
- Beh, allora venite qui e facciamone una tutti insieme- propose Jodie
- Vi spiace se prima ve ne faccio una da soli?- chiese, facendo sorridere lui e imbarazzare l’amica.
 
Notò che il suo amico detective stava scuotendo la testa, mentre la sua sorellina e Sonoko ridacchiavano sotto i baffi. Evidentemente non era il solo a trovare buffa quella situazione.
Senza dire nulla, di avvicinò di più a Jodie, come per dare un tacito consenso a scattare quella foto ricordo. La bionda, colta alla sprovvista, si voltò a guardarlo con quegli occhi azzurri pieni di quell’amore che lui, stupidamente, si ostinava a non voler ricambiare.
 
- Jodie… per fare la foto devi guardare me, non lui- la richiamò Shiho.
 
La collega arrossì visibilmente, colta sul fatto, per poi cercare di fingere indifferenza sorridendo e piegando la testa da un lato, stringendo a sé il cucciolo. Finalmente Shiho scattò quella tanto desiderata foto.
 
- Anche io voglio una foto col fratello di Sera-chan!- si fece avanti Sonoko, che aveva evidentemente un debole per lui.
- Ma insomma Sonoko!- la riprese Ran, incrociando le braccia al petto.
- Non mi capiterà mai più di fare una foto con un vero agente dell’FBI!- si difese lei, anche se la scusa non reggeva.
- Anche la professoressa Jodie è un agente dell’FBI, quindi la foto la puoi fare anche con lei- sottolineò la mora.
- Non c’è nessun problema se vuol fare una foto- intervenne lui, divertito.
- Grazie!- scattò entusiasta la giovane ereditiera, posizionandosi al suo fianco.
 
Dopo quella anche Masumi chiese di poter avere una foto con lui, così l’avrebbe mostrata alla madre.
 
- Perché non ne fai una coi primi della classe?- esordì Jodie, riferendosi a lui e Shinichi.
 
Fecero dunque anche quella e molte altre a seguire, compresa una tutti insieme con anche il Dottor Agasa. Smisero solo quando il cucciolo, visibilmente stanco, si addormentò in braccio a Jodie e Shiho lo adagiò nella cuccia che la bionda le aveva appena regalato.
In seguito si divisero in tre diversi gruppi, ciascuno dei quali si dedicava ad un’attività: Shiho, Sonoko e Jodie si misero a guardare vestiti su un catalogo, poiché la festeggiata desiderava sapere il parere di Jodie su alcuni abiti; Ran teneva impegnati i più piccoli giocando con loro ad un gioco di società, mentre lui, Masumi e Shinichi si erano messi in disparte a parlare con il Dottor Agasa.
 
- Shu-nii, a te piace Jodie? È molto bella e anche simpatica- se ne uscì all’improvviso la sua sorellina.
- E tu sei molto curiosa- le rispose semplicemente.
- Tu a lei piaci molto, si vede!- insistette, come se fosse d’accordo con Shiho.
- Non sarebbe ora di smetterla?- la interruppe Shinichi, qusi scocciato - È tutto il pomeriggio che li istigate, se anche ci fosse qualcosa sarebbero affari loro. Se qualcuno di nostra conoscenza la smettesse di giocare a Cupido… - lanciò una rapida occhiata a Shiho, storcendo la bocca.
- Tranquillo, non lo fa con cattive intenzioni- prese le parti della ragazza.
- Lo so, però non lo trova seccante?-
- Sarebbe seccante se volesse affibbiarmi una donna sgradevole sia nell’aspetto che nel carattere, ma Jodie è molto bella e anche simpatica- ripeté le parole della sorella, guardandola mentre lo faceva.
- Allora ti piace!- sorrise entusiasta lei, prendendolo come una conferma.
 
Nuovamente non le rispose, si limitò a darle le spalle per non farle vedere il sorrisetto che si era dipinto sulle sue labbra. Forse quei giovani detective erano più in gamba di lui.
 
 
 
Un’ora dopo la festa era giunta ormai al termine, lentamente tutti ritornarono a casa dopo aver ringraziato e fatto di nuovo gli auguri alla festeggiata. Mancavano solo lui e Jodie, che avevano finito di riordinare le restanti cose che avevano tralasciato prima.
 
- Bene, allora andiamo anche noi- disse Jodie, prendendo la sua giacca dall’attaccapanni nell’ingresso.
- Grazie di essere venuti- sorrise loro Shiho, in particolar modo a lui, proprio come aveva fatto non appena scartato il suo regalo.
 
Non disse nulla, si limitò a ricambiare nonostante avrebbe voluto essere in grado di dire tante cose. Uscirono dalla casa del Dottore camminando fianco a fianco, diretti alla macchina. Fu allora che Jodie gli ripeté la stessa domanda di poco prima.
 
- Sei felice, non è vero?-
 
Certamente doveva aver notato anche lei il sorriso di Shiho e soprattutto doveva avergli letto dentro come sapeva fare solo lei, comprendendo quali fossero le parole che non era riuscito a dire.
 
- Non sono sicuro di come ci si senta ad essere felici, però posso affermare con certezza di sentirmi bene come non mi sentivo da un po’- ammise.
 
A volte sentiva che a quella donna poteva confessare tutto, perché lei non avrebbe mai usato le sue debolezze per ferirlo. Lei voleva proteggere quel cuore che altri avevano spezzato.
 
- Bene, è un segnale che le cose stanno andando per il verso giusto, no?- gli sorrise.
- Forse hai ragione tu-
 
 
 
…………………………
 
 
 
Sorrise, riponendo anche quel biglietto di auguri nella sua busta e lo appoggiò insieme agli altri sul comodino nella fila di quelli già letti. Di fianco a lei il Dottore dormiva già, così come il cucciolo la cui cuccia era stata messa di fianco a lei, perché potesse assisterlo nel caso avesse avuto bisogno di uscire durante la notte. Lei aveva deciso di leggere i biglietti che accompagnavano i regali e che non aveva avuto tempo di leggere durante la festa (o meglio, aveva scelto di non farlo perché preferiva essere la sola a leggere ciascuna di quelle dediche personali).
Prese uno degli ultimi due biglietti che le erano rimasti e lo riconobbe subito: era quello di Akai. Si stupì che uno di poche parole come lui fosse riuscito addirittura a scriverle un biglietto di auguri, probabilmente si era limitato a riempire lo spazio con un “Buon Compleanno”. Invece, con sua grande sorpresa, vi trovò scritte poche parole in lingua inglese, ma dall’intenso significato.
 
“I hope you live a life you’re proud of. If you find you’re not, I hope you have the strength to start all over again”
- Francis Scott Fitzgerald-
 
Solo qualcuno che poteva comprendere quale fosse stata la sua situazione fino a quel momento avrebbe potuto dedicarle tali parole. Doveva ammettere che rivalutare il suo pensiero su Akai non era stata una cattiva idea, forse era davvero l’uomo che Jodie le aveva sempre descritto. Sorrise, accettando il fatto che quell’uomo le voleva davvero bene, non solo perché glielo aveva chiesto sua sorella.
Senza pensarci due volte, prese il cellulare e cercò il numero di Akai in rubrica, inviandogli un breve messaggio di risposta. Scrisse semplicemente “You too”, allegandovi la foto scattata poche ore prima che ritraeva lui e Jodie col cucciolo. Era certa che avrebbe capito.
 
 
 
…………………….
 
 
 
Si era appena coricato, pronto per leggere qualche pagina di un libro prima di dormire, quando il cellulare squillò sul comodino. A quell’ora le uniche persone che potevano contattarlo erano i suoi colleghi dell’FBI, perciò sperò che non fosse successo nulla. Con sua grande sorpresa, invece, trovò un messaggio di Shiho. Sorrise, immaginando che volesse ringraziarlo di nuovo, ma capì che non era così quando vide che il titolo della mail era “Fitzgerald”. Di certo si stava riferendo a quello che le aveva scritto nel biglietto, anche se non riusciva a immaginare cosa volesse. Forse non le era piaciuto e voleva rimproverarlo per non avergli scritto un normale biglietto di auguri. Divertito dall’idea, aprì il messaggio e vi trovò scritte solo due parole: “You too”, accompagnate dalla foto che aveva fatto con Jodie alla festa. Non vi fu bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni, tutto era limpido e cristallino. Le aveva dato quel consiglio, ma in realtà doveva essere lui il primo a riuscire ad applicarlo. Più che scriverlo a lei era come se l’avesse indirizzato a se stesso.
Osservò per qualche istante quella foto, concentrandosi su come entrambi sorridevano e per un attimo gli sembrò che fosse stata scattata sei anni fa. Doveva averne una simile nel suo appartamento a New York, dentro qualche scatola che aveva rinchiuso in qualche cassetto insieme a tutto ciò che riguardava il suo passato e che non voleva riportare a galla. Doveva avercela messa quando si era infiltrato, per cercare di dimenticare quello che non poteva più essere, ma alla fine l’aveva dimenticata sul serio. Si ripromise di trovarla, non appena sarebbe tornato. I meandri di un cassetto non erano il posto adatto per lei.
Sorridendo, salvò anche quella nuova foto, ritratto di un futuro che era appena cominciato.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
E anche questo capitolo si è concluso! È venuto più lungo di quello che mi aspettassi e ho anche dovuto alternare spesso i punti di vista, dal momento che c’erano ben tre persone che contemporaneamente stavano avendo dei pensieri su un’unica situazione. Spero di non aver creato troppa confusione in questo e si capisca chi pensa e dice cosa! In tutta onestà non sono soddisfatta di questo capitolo ma ammetto di averlo scritto con la testa un po’ fra le nuvole perché in queste settimane ho la testa altrove, quindi chiedo venia se ho deluso le vostre aspettative. Non credo servano particolari spiegazioni ma nel caso qualcosa non fosse chiaro, come sempre sono a vostra disposizione per domande e chiarimenti!
Un bacione a tutti
Place
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18: Goodbye, Japan ***


Capitolo 18: Goodbye, Japan
 
 
Si soffermò anche su quell’ultima foto, che li ritraeva tutti insieme sorridenti e spensierati, come avrebbero dovuto vivere da ora in avanti; poi richiuse l’album, passando delicatamente un dito sopra la copertina. Lo aveva fatto fare appositamente, per custodire per sempre il ricordo di quel compleanno speciale. Era ormai trascorsa più di una settimana dalla festa, eppure erano cambiate così tante cose che sembrava fossero passati anni. Ormai gli screzi con Akai sembravano solo un’eco lontano, non c’erano più stati litigi né frecciatine, tanto che si era recata con più frequenza a casa Kudo, portando con sé anche il suo nuovo amico che aveva chiamato Mendel, in onore del padre della genetica (nome che aveva lasciato perplessi tutti). Tuttavia non le era ancora chiaro cose fosse successo di preciso fra lui e Jodie, poiché l’amica aveva continuato ad eludere le sue domande. Si chiese se Akai avesse veramente capito il senso del messaggio che gli aveva inviato la sera del compleanno o se semplicemente lo avesse ignorato.
Le tornò in mente una conversazione che aveva avuto proprio con Jodie qualche giorno prima, nella quale l’amica le aveva comunicato che ormai tutto era pronto e l’FBI avrebbe lasciato il Giappone fra quattro giorni. Non l’aveva presa bene, anche se adesso aveva dei nuovi amici non si sentiva pronta a separarsi da quella che era diventata la migliore di tutti. Jodie a volte la faceva sentire come se fosse tornata indietro a quando Akemi le dava consigli da sorella maggiore: rinunciare a quella sensazione ritrovata era un boccone troppo grosso da mandare giù in una volta sola.
Mentre era assorta in questi pensieri, le venne un’idea improvvisa. Istintivamente, prese il cellulare e cercò fra le ultime chiamate il numero di Akai.
 
- Ma che sorpresa, a cosa devo questa telefonata?- rispose dopo pochi secondi la voce dell’uomo all’altro capo.
- Volevo sapere se hai impegni per l’ultima sera che l’FBI passerà qui in Giappone. Pensavo di uscire noi quattro, io te Shinichi e Jodie, visto che poi non ci vedremo per parecchio tempo- spiegò.
- Beh, l’ultima sera immagino che avremmo parecchie cose da impacchettare e le valigie da finire. Forse sarebbe meglio farlo dopodomani, sempre che non sia un problema-
- No, affatto, ho preferito chiedere proprio per questo. Avverti tu Jodie?-
- Pensavo che l’avessi chiamata prima di telefonare a me- rispose sorpreso.
 
In effetti non aveva tutti i torti, fino a quel momento lei si era sempre rivolta prima a Jodie che a lui, per qualsiasi cosa. Invece adesso si era ritrovata a telefonargli senza quasi rendersene conto, lasciando l’amica al secondo posto.
 
- Non avrebbe avuto senso, visto che lavorate insieme potete passarvi la parola- trovò una scusa plausibile.
- E perché non hai chiamato lei in modo che poi lo dicesse a me?- rigirò la domanda, trovando quasi piacere nel metterla in difficoltà con quell’interrogatorio.
- Ti scoccia così tanto se ti faccio una telefonata?!- tagliò corto, non sapendo più cosa dire, con un tono di voce quasi irritato.
- No, al contrario. È solo che sono sorpreso, tutto qui- ammise.
- Bene, allora diglielo tu. Dille che andremo a cena nel posto dove siamo andate io e le la prima volta che siamo uscite, poi ci penserà lei a spiegarti bene dove si trova-
- D’accordo principessa, come vuole lei- ironizzò, divertito dal suo modo autoritario di dare ordini anche a chi era più in alto di lei.
- Bene, allora ci sentiamo presto- riattaccò.
 
Soddisfatta e un po’ meno triste all’idea di quella serata che avrebbero trascorso insieme, tornò a sfogliare l’album fotografico dall’inizio, pregustando altri momenti come quelli immortalati.
 
 
 
…………………………
 
 
 
- Mi mancherà questo posto, è piccolo ma accogliente, ci si pranza volentieri- commentò la sua collega.
- Ci sei venuta spesso?-
- Beh, essendo così poco lontano dalla sede dell’FBI era comodo venire qui per la pausa pranzo- spiegò.
 
Aveva deciso di invitare Jodie fuori a pranzo, per parlare della telefonata ricevuta da Shiho poche ore prima. Tuttavia non le aveva accennato nulla, si era limitato a dirle semplicemente “Dovrei parlarti di una cosa”, pur sapendo che questo suo essere vago avrebbe portato l’amica ad essere molto nervosa, specie e considerata la situazione attuale fra loro. Infatti, come previsto, Jodie appariva visibilmente agitata, continuava a tormentarsi le mani nell’attesa che il cameriere portasse loro ciò che avevano ordinato e se ne usciva con commenti come quello appena fatto (su argomenti come l’ambiente o il clima) nel tentativo di instaurare una conversazione che spazzasse via l’imbarazzo e la tensione. Forse temeva che sarebbero tornati sull’argomento della loro ultima discussione, perciò era meglio non farla penare più di quanto non avesse già fatto.
 
- Shiho mi ha chiamato poche ore fa chiedendo se siamo liberi dopodomani. Vorrebbe uscire a cena con noi due e il giovane detective per l’ultima volta prima della nostra partenza- le disse finalmente.
- Davvero Shiho ti ha telefonato per chiederti questo?- sembrò sorpresa lei, forse anche più di quanto non lo fosse stato lui al momento.
- Perché, sei gelosa?- la stuzzicò - Non hai più il primato di migliore amica?-
- Ma che dici, non sono affatto gelosa!- scosse la testa - Al contrario, mi fa davvero piacere. Le cose fra voi sono migliorate davvero così tanto dopo la festa?-
- Sì e di questo devo ringraziarti, se non fosse stato per il tuo aiuto e l’idea del cucciolo, a quest’ora saremmo ancora al punto di partenza- ammise.
- Ti ho già detto che non mi devi ringraziare, l’ho fatto con piacere perché sapevo quanto ci tenessi- gli sorrise sinceramente.
 
Fu proprio quel sorriso che gli riportò alla mente il messaggio inviatogli da Shiho, che poi non era altro che una risposta al suo biglietto di auguri. Aveva capito perfettamente cosa intendesse dirgli la ragazza con quel “You too”: ricomincia tutto da capo con Jodie. Sembrava facile a parole, ma la realtà era molto diversa. Una parte di lui avrebbe voluto legarla a sé prima che qualcun altro potesse portargliela via, ma l’altra, quella più oscura, lo spingeva a continuare il suo viaggio solitario nei tristi ricordi e nei sensi di colpa. A volte si sentiva come se non meritasse di avere una seconda possibilità, tantomeno con una donna come Jodie. Era come inserire una perla rara in una collana fatta di corda lesa dall’usura. La perla si meritava di meglio. La testa lo spingeva a lei, il cuore lo allontanava. Non sapeva ancora chi avrebbe vinto quella battaglia, ma di certo sapeva che in quel momento non si sentiva pronto a mettere fine allo scontro.
 
 
………………………
 
 
Uscì dal cancello della casa del Dottore e si diresse vero quella di Shinichi, trovando l’amico e Akai fuori dal cancello ad attendere lei e Jodie. Erano uomini, quindi impazienti per natura.
Si era messa per l’occasione il vestito che Sonoko le aveva regalato, un abito nero con l’allacciatura dietro il collo che ricadeva morbido sui fianchi e arrivava sopra il ginocchio. Le piaceva molto e, modestie a parte, trovava che le stesse molto bene. Aveva completato l’outfit con un velo di trucco non troppo pesante e scarpe con il tacco.
 
- Guarda come si è fatta bella la nostra principessa- commentò Akai sorridendo quando la vide arrivare.
 
Sorrise anche lei, capendo che il suo voleva essere un complimento ma che come ogni parola carina che usciva dalla sua bocca sembrava più una presa in giro.
 
- Grazie- rispose semplicemente lei, facendogli capire di aver compreso il suo intento.
- E il piccolo dov’è?- le chiese, riferendosi al cucciolo.
- Mendel è rimasto in casa con il Dottore, purtroppo nel locale dove andremo non è permesso far entrare animali-
- Ma come si fa a chiamare un cane Mendel?!- scosse la testa Shinichi, che ogni volta che sentiva quel nome non poteva fare a meno di commentare.
- Guarda che è il nome di una persona importante per la storia della scienza!- sottolineò.
 
Avrebbero potuto continuare quel divertente battibecco ancora per un po’, ma l’arrivo di una scintillante Mustang rossa li interruppe. Parcheggiò proprio davanti al cancello di casa Kudo, anche se in ogni caso avrebbe dovuto sostare lì per poco. Udirono il suono della portiera del lato passeggeri che si apriva, ma videro soltanto una testa di capelli biondi sbucare da sopra il tettuccio, che tuttavia sapevano perfettamente a chi appartenesse. Pochi secondi dopo Jodie si mostrò in tutta la sua bellezza: indossava un tubino rosso con un vistoso scollo sul retro che metteva in mostra gran parte della schiena. Portava quell’abito alla perfezione, anche grazie al suo fisico invidiabile. Ora non le sembrava più che l’abito di Sonoko le stesse poi così bene. La bellissima agente li salutò con uno dei suoi splendidi sorrisi, passando lo sguardo su ognuno di loro, i quali erano rimasti a fissarla.
 
- Ecco, ora sembrerò una stracciona a confronto!- commentò lei, storcendo la bocca.
- Ma cosa dici, sei bellissima invece!- replicò l’amica, ammirando il suo vestito e passandole una mano sul braccio in un gesto amichevole e confortante.
- Certo, lo ero prima che arrivassi tu con le tue gambe lunghe e le tue curve!- le fece notare.
- Ma dobbiamo andare a cena in un ristorante esclusivo? In tal caso credo che sia io che il nostro abile detective abbiamo sbagliato a vestirci- le interruppe Akai, guardando prima se stesso e poi l’amico al suo fianco, vestiti con abiti casual.
 
Probabilmente attendeva che anche il giovane detective esprimesse il suo parere appoggiandolo, ma la cosa non avvenne: Shinichi infatti era ancora intento a fissare Jodie tutto rosso in volto, sembrava un po’ un ebete a guardarlo bene.
 
- Mi sa che hai fatto colpo Jodie. Di’ la verità: l’hai fatto di proposito per incantare il nostro Sherlock Holmes?- sorrise Akai, divertito.
- Ma cosa dici?! Non sono attratta dai ragazzini, senza offesa Cool Guy!-
- S-si figuri!- riuscì a balbettare lui.
- Ma non è ora di smetterla di darmi del lei?- lo rimbeccò senza cattiveria, dandogli un buffetto sul naso con l’indice.
- Tu piuttosto, non le dici nulla? È bellissima, dovresti farle i complimenti- intervenne lei, rivolta ad Akai, che non aveva espresso nessun parere in merito.
- Oh, ma non serve, davvero!- scosse le mani Jodie, imbarazzata.
- Mi sembra che lo abbia capito anche da sola visto tutti gli elogi- fu la sua risposta.
 
Gli lanciò un’occhiataccia, alla quale rispose con un sorrisetto ironico: era testardo come un mulo e non c’era verso di fargli fare una cosa se non voleva. Certo che però poteva anche sprecarle due parole carine nei confronti di quella donna che forse voleva riceverle più che da due ragazzini adolescenti.
 
- Insomma, vogliamo passare tutta la sera a parlare di me oppure andiamo a cena? Io ho fame!- cercò di uscire da quella situazione la bionda.
- Sì, direi che possiamo andare- la appoggiò, salendo sul sedile posteriore della vettura insieme a Shinichi.
 
Doveva ammettere che quell’auto era anche più bella della Mercedes di James. Di certo l’FBI si trattava bene in fatto di automobili.
Jodie fece il giro per tornare al posto di guida, ma venne prontamente affiancata da Akai che la precedette, aprendo la portiera.
 
- Guido io- disse senza troppi complimenti.
- Perché? Pensi ancora che non sappia guidare?- chiese lei scocciata, storcendo il naso e aggrottando la fronte.
- A parte quello, ho voglia di fare un giro su questa macchina- le sorrise.
 
Sbuffando e brontolando a bassa voce, Jodie tornò al lato passeggeri e salì allacciandosi la cintura. Akai mise in moto e partì, seguendo le indicazioni stradali che la collega gli forniva passo a passo.
Nel contempo, sul sedile posteriore, lei e Shinichi avevano iniziato a confabulare sottovoce, in modo che la voce di Jodie coprisse le loro parole.
 
- Stai ancora cercando di fare da cupido fra loro?- le chiese contrariato l’amico.
- È forse un problema? Non dirmi che hai perso la testa per Jodie e sei geloso! Ran lo sa?- fece dell’ironia.
- Non dire scemenze, è solo che non dovresti intrometterti!-
- Nemmeno tu!-
 
Dovevano aver alzato un po’ troppo i toni, poiché la bionda si girò a guardarli e anche Akai sbirciò dallo specchietto retrovisore.
 
- È tutto ok lì dietro? Di cosa spettegolate?- chiese loro curiosa.
- Niente!- risposero prontamente in coro, gesto che lasciò Jodie ancora più perplessa.
 
Tuttavia non fecero altre domande e loro terminarono lì quella discussione, non era il caso di farla dentro una macchina chiusa con i diretti interessati.
Una ventina di minuti dopo giunsero al piccolo ristorante, che Shinichi riconobbe subito. Entrarono e presero posto al bancone con il rullo.
 
- Era da un po’ che non andavo a mangiare in un posto come questo- commentò Akai, guardandosi intorno.
- Perché eri troppo occupato a preparare stufati crudi e a portarli a casa del Dottore?- chiese sarcastica lei, anche se a differenza delle precedenti volte non vi era troppa cattiveria nel suo tono.
 
Jodie e Shinichi ridacchiarono a quella battuta e persino Akai sembrò prenderla bene, replicando con un “Sono davvero così cattivi i miei stufati?”.
Non appena il rullo fu ben fornito con diversi piatti appena preparati, cominciarono a prendere quelli che più li aggradavano.
 
- Vuoi delle uova di salmone?- fece nuovamente dell’ironia, sventolando un piatto sotto il naso del suo amico, sapendo quanto fosse riluttante a quel particolare cibo.
- Ma che spiritosa, sei diventata simpatica all’improvviso?- replicò lui, respingendo il piatto e storcendo la bocca.
- Perché? Non ti piacciono le uova di salmone?- chiese Jodie, alla quale il giovane detective rispose scuotendo il capo.
 
La cena proseguì nella più assoluta armonia, senza nessun battibecco: mangiarono e scherzarono come se fossero amici da una vita, come se tutte le tensioni fossero sparite di colpo. Era come se tutti gli avvenimenti accaduti nei giorni precedenti fossero stati cancellati dalla storia. Forse avevano raggiunto un equilibrio, tutti avevano ottenuto quello che volevano (o quasi).
Terminata la cena, pagarono dividendo il conto e uscirono dal ristorante con la pancia piena.
 
- Devo ammettere che era tutto molto buono, un’ottima scelta- si complimentò con lei Akai.
- Merito del Dottor Agasa che ci ha fatto conoscere questo posto-
- Avete voglia di fare altro adesso?- chiese Jodie, che come sempre era tutta pimpante e sembrava instancabile.
- Perché non andiamo in sala giochi? Così vediamo se questi due fenomeni sono alla nostra altezza- propose lei in tono di sfida, indicando Shinichi e Akai.
- Non sono un appassionato di videogiochi, mi spiace- declinò l’invito il detective.
- Nemmeno io, preferisco sparare con un fucile vero piuttosto che con armi di plastica- lo appoggiò Akai.
- Sempre a fare i primi della classe!- sbuffò la bionda.
- Infatti, potete anche abbassarvi al livello dei comuni mortali ogni tanto!- incrociò le bracci al petto.
- Allora che ne dite del cinema? O è troppo banale anche quello?- cercò un’alternativa l’amica.
- Sì, il cinema va meglio della sala giochi- annuì Shinichi - Lei che ne dice Akai-san?-
- Se va bene a voi- rispose senza entusiasmo l’uomo, che in quanto a divertimenti non era certo da interpellare.
 
Giunti ad un accordo comune, s’incamminarono verso il cinema, dal momento che ce n’era uno proprio lì vicino e non avrebbe avuto senso mettere in moto la macchina per percorrere così poca strada. Si era ritrovata a camminare fianco a fianco con Akai, mentre Jodie e Shinichi li precedevano. La donna aveva messo un braccio intorno al collo al giovane (in segno amichevole) e aveva cominciato a fare domande sul perché non gli piacevano i videogiochi e se non gli sarebbe piaciuto provare una pistola, anche se finta. Dal canto suo Shinichi non sapeva come comportarsi e cosa rispondere, perciò si limitava a ridacchiare imbarazzato grattandosi la nuca. Dietro, lei e Akai si gustavano la scena ridendo silenziosamente. Ad un tratto l’agente la guardò, forse stupito di vederla sorridere e lei fece lo stesso, probabilmente per lo stesso motivo. Più lo conosceva e più si rendeva conto di quante cose avessero in comune.
 
- Sembra che le cose fra voi vadano bene- disse riferendosi a Jodie, certa che lui avrebbe compreso senza bisogno di spiegazioni.
- Perché, non dovrebbero?- replicò lui con molta naturalezza.
- Non sono scema, mi sono accorta che negli ultimi tempi c’era parecchia tensione fra voi-
- Non preoccuparti, non smetteremo di parlarci se è questo che temi. D’altra parte lavoriamo insieme, sarebbe impossibile-
- Non provi davvero nulla per lei? Insomma guardala, è perfetta e per qualche strana ragione ti adora e farebbe di tutto per te. Senza offesa ma dubito che tu possa trovare un’altra donna disposta a darti quello che ti sta offrendo lei- gli fece presente senza troppi complimenti.
- Certo che hai una bella considerazione di me- sorrise lui, per nulla offeso - In ogni caso questi sono affari miei, non credi?-
- È la risposta che dai sempre quando non sai come uscire da una situazione scomoda?- cercò di metterlo alle strette, stanca di questo suo non voler rispondere.
- È la risposta che do a chi vuole farsi gli affari miei- rispose, senza cattiveria nel tono tuttavia.
- Hai ricevuto il mio messaggio la sera del compleanno?- chiese, per assicurarsi che avesse davvero capito a cosa si riferiva.
- Sì, messaggio recepito-
- Non direi-
 
Smisero di parlare solo quando si accorsero che Jodie e Shinichi avevano smesso di parlare fra loro e camminavano con la testa leggermente girata all’indietro nel tentativo di ascoltare la loro conversazione.
 
- C’è forse qualche problema?- chiese Shinichi.
- No, no, tutto a posto!- rispose lei, che non voleva certo tirare fuori la questione così apertamente, sia per rispetto nei confronti di Jodie sia perché sapeva che l’amico non avrebbe approvato.
 
Arrivati al cinema, guardarono la programmazione nella locandina, cercando di scegliere qualcosa che potesse soddisfare i gusti di tutti. Sarebbe anche stata disposta a sopportare un film d’amore se questo avesse permesso di creare un’atmosfera intima fra Jodie e Akai, ma la sua amica sembrava essere interessata ai film d’azione proprio come gli altri due. Sospirò: fare da cupido era più difficile di quanto pensasse.
 
- Non c’è nessun movie con l’FBI!- si lamentò la bionda.
- Ti ricordo che siamo in Giappone, qui non ci dedicano i film- le fece presente Akai.
 
Dopo un’attenta analisi, optarono per un vecchio film che stavano ritrasmettendo, Sakebi, la cui trama intrecciava il genere poliziesco a quello horror. Inutile dire che a lei quella scelta non piaceva per niente, dal momento che detestava i film horror.
 
- Non possiamo guardare qualcosa di meno pauroso?- si lamentò.
- Hai paura dei fantasmi, Principessa?- la prese in giro Akai.
- Shu, non è carino deriderla!- la difese Jodie - Preferisci che guardiamo qualcos’altro?-
- No, va bene questo- si arrese, non volendo fare la figura della pappamolle, ma non mancando di lanciare un’occhiataccia ad Akai.
 
Entrarono nella hall, comprarono i biglietti e andarono a prendere posto in sala: Shinichi si sedette di fianco ad Akai, probabilmente desideroso di commentare il caso insieme a lui, mentre lei si sedette nel posto dopo quello di Akai, saltandone uno.
 
- Hai paura a starmi vicino?- le chiese lui.
- Affatto, ho solo tenuto il posto per Jodie- disse lei, come se fosse ovvio, facendolo sorridere per quanto il suo reale intento fosse esplicito.
 
La diretta interessata tornò pochi minuti dopo con un bicchiere di Coca Cola in mano. Quando vide che il suo posto era a fianco di quello del collega, lo guardò per un attimo e poi si sedette senza dire nulla, bevendo un sorso della sua bibita con la cannuccia.
Passarono circa dieci minuti prima che le luci si spegnessero e il film cominciasse. Fin da subito, la sua attenzione non si concentrò sullo schermo ma bensì su ciò che accadeva di fianco a lei: sbirciava insistentemente con la coda dell’occhio cosa facessero Jodie e Akai, nella speranza di vedere le loro mani intrecciarsi o la testa di lei posarsi sulla spalla di lui. Inutile dire che nulla di tutto ciò avvenne, con suo sommo rammarico. Al contrario, quando il film giunse nella sua parte più terrificante fu lei ad aggrapparsi al braccio di Jodie, la quale cercò di tranquillizzarla mentre gli altri due ridevano di lei.
 
- Vuoi scambiarti di posto con me? Magari stare vicino a due uomini ti fa sentire più sicura- le propose.
- No- scosse la testa decisa, non volendo mandare in fumo il suo piano solo per una stupida paura.
 
Arrivò finalmente la pausa del primo tempo e Jodie ne approfittò per andare in bagno, dandole così modo di poter parlare apertamente con Akai.
 
- Allora, pensi di darti una mossa a fare qualcosa con lei oppure no?- lo rimproverò a bassa voce, in modo che Shinichi non potesse sentire.
- Cosa ti aspetti che faccia?- replicò lui.
- Quello che fanno tutti gli uomini con le proprie donne al cinema: prendile la mano oppure mettile un braccio intorno al collo! Non devo certo dirtelo io cosa devi fare, sei tu l’uomo!-
- Ti ho già detto che questi non sono affari tuoi, signorina- le rispose sorridendo.
 
Storse il naso irritata: c’erano momenti in cui davvero non lo sopportava e si pentiva di aver accettato di essere sua amica. Non fece in tempo a ribattere, poiché Jodie era tornata dal bagno; così si misero a parlare tutti insieme del film, cercando di nascondere la conversazione di poco prima.
Anche durante tutta la seconda parte del film non accadde nulla, Akai era irremovibile sulle sue posizioni. Non riusciva a credere che Jodie non gli interessasse nemmeno un po’, doveva essere pazzo sul serio. Era come se qualcuno continuasse ad offrirgli un milione di yen ma lui costantemente li rifiutasse. Di certo c’era qualcosa sotto, qualcosa che lui non voleva dire.
Terminato il film uscirono dal cinema e tornarono alla macchina, dirigendosi poi verso casa. Durante tutto il tragitto non ci furono grosse conversazioni, l’atmosfera di gioia sembrava essersi spenta. Questa volta, però, la causa non era un litigio o un’incomprensione, ma la consapevolezza che quello sarebbe stato forse l’ultimo momento in cui avrebbero avuto occasione di stare tutti insieme prima della partenza dell’FBI. Non ci sarebbero più state serate in compagnia. Si erano conosciuti per caso, tutti coinvolti in una terribile vicenda che li aveva segnati ma anche aiutati a crescere, ma ora non riuscivano a immaginare di non aversi l’uno con l’altro nelle proprie vite. Avevano creato un legame vero, forte, che andava al di là della collaborazione per la sconfitta di un nemico comune. Erano diventati una famiglia. La distanza, però, avrebbe reso difficile quel legame. Si chiedeva se con il tempo Jodie non si sarebbe dimenticata di lei: in fondo era solo una ragazzina e di certo aveva amiche più grandi a New York. E Akai? Avrebbe davvero potuto fare affidamento su di lui se ne avesse avuto bisogno? Come poteva aiutarla se c’era un oceano a separarli? Immaginò che anche per Shinichi fosse dura dire addio a quell’amico con il quale aveva vissuto, collaborato e pianificato finte morti e nuove identità per un anno intero.
Giunsero davanti al cancello della casa del Dottore, dove fermarono la macchina e scesero. Si salutarono cercando di sorridere e di non pensare al poco tempo che restava, dandosi appuntamento all’aeroporto per il giorno seguente, dove si sarebbero nuovamente salutati ma davvero per l’ultima volta. Jodie l’abbracciò forte, un abbraccio che le trasmise tutto l’affetto che la donna aveva per lei. Ricambiò, mentre gli occhi le si facevano lucidi. Rimasero così per un po’, fino a quando Jodie non si staccò per andare a salutare Shinichi allo stesso modo, il quale fece lo stesso stavolta senza imbarazzo ma con il solo dispiacere di non avere più intorno quella simpatica agente dell’FBI.
 
- Bene, adesso devo andare. Si è fatto tardi e domani devo lavorare- li salutò tutti.
- E Akai-san non lo saluti?- intervenne lei, sottolineando il fatto che era l’unico che non aveva abbracciato.
- Tanto lo vedrò domattina al lavoro, sono stanca della sua faccia!- rispose ironicamente lei, scuotendo una mano e facendo ridere tutti.
 
Salì a bordo della Mustang e mise in moto, non prima di aver salutato ancora una volta con un cenno della mano. Poi partì scomparendo alla fine della strada.
 
- Anche io devo andare, domani ho scuola- disse Shinichi, salutandoli con la mano e avviandosi verso casa sua.
 
Sapeva che l’amico non aveva particolari problemi a fare le ore piccole e che quella era solo una scusa per lasciarla sola con Akai. Forse voleva che si salutassero senza nessuno intorno, in modo tale che se avessero toccato argomenti delicati non ci fossero state orecchie indiscrete ad ascoltare.
Così rimasero solo loro due, in piedi l’uno di fronte all’altra, guardandosi a vicenda. Nessuno dei due era bravo con le parole o un chiacchierone, nemmeno in una situazione come quella. Fu lei a prendere l’iniziativa.
 
- Sono contenta di aver conosciuto il vero Akai e non Dai Moroboshi. Non sei male in fondo-
- Ti ringrazio-
- Voglio che tu sappia che ti ho perdonato per la storia di Akemi, ho capito che l’amavi davvero nonostante tutto- ammise - Credo che seguirò il tuo consiglio e ti chiamerò qualche volta se avrò bisogno-
 
L’uomo non rispose, si limitò a sorriderle ma in modo diverso da quello beffardo che usava di solito. Capì che era il suo modo di dirle “ne sono felice”, solo che come sempre non riusciva a farlo con le parole.
 
- Però ti devi dare una mossa con Jodie, altrimenti la perderai- gli ricordò ancora, come del resto aveva fatto per tutta la sera.
- Non mi sento ancora pronto per iniziare una relazione. Il ricordo di Akemi è ancora qui e inoltre, prima di stare con un’altra donna, devo lavorare su me stesso per non commettere gli stessi errori- confessò.
 
Finalmente gli aveva dato quella risposta che tanto voleva, chiarendo ogni suo dubbio. Si stava ancora tormentando per sua sorella maggiore, quindi non poteva essere felice con Jodie. Questo le dispiaceva, sia per l’amica sia per lui.
 
- Capisco il tuo punto di vista, ma ormai Akemi non c’è più e tu non dovresti fossilizzarti su questo, perché anche lei vorrebbe vederti felice e sono sicura che approverebbe Jodie. Lei può renderti davvero felice-
- Ti prometto che ci lavorerò su, Principessa- promise.
- Guarda che ci conto-
 
Ormai era arrivato anche per loro il momento di salutarsi, tutto ciò che restava da dirsi era stato detto in quel preciso istante. Avrebbero potuto abbracciarsi come aveva fatto Jodie con lei e Shinichi, ma loro due non erano i tipi, perciò optarono per una solida stretta di mano, che suggellava la loro nuova amicizia. Fu lei a tendergli la mano per prima e lui ricambiò sorridendole. Si salutarono così, in silenzio, guardandosi negli occhi; poi lei rientrò in casa e lui si avviò verso villa Kudo.
 
 
 
………………………….
 
 
 
L’aeroporto di Narita pullulava di gente che andava e veniva, tutta con le proprie valigie alla mano. Persone che si salutavano tra lacrime e abbracci, altre che si riunivano dopo tanto tempo con il sorriso sulle labbra. E poi c’erano loro, seduti su una delle tante file di sedie ad attendere di imbarcarsi per il proprio volo. La maggior parte degli agenti dell’FBI erano già partiti con i voli precedenti, compreso James che era salito sull’aereo speciale incaricato di trasportare Vermouth fino alla prigione americana. Anche lei avrebbe voluto salirci, ma alla fine aveva preferito restare per salutare ancora un’ultima volta quei due ragazzini che tanto le piacevano. Per Vermouth ci sarebbe stato tempo e con James e altri dieci uomini non c’era pericolo che fuggisse. Gli ultimi rimasti erano lei, Shuichi e Camel, i soli ad avere qualcuno da salutare. La famiglia di Akai era venuta pochi minuti prima, così aveva avuto modo di vedere anche sua madre e suo fratello, la prima una bellissima donna anche se parecchio austera (ora capiva da chi avesse preso Shuichi) e il secondo un bel ragazzo ma dall’aria un po’ trasandata, completamente diverso dal fratello maggiore. Erano rimasti per un po’, poi se n’erano andati con Masumi che era sul punto di piangere. Restavano solo due persone all’appello, le quali non tardarono ad arrivare. Non appena li scorse tra la folla, si alzò subito in piedi e andò loro incontro, seguita dagli altri due agenti. Shiho stringeva fra le braccia il piccolo Mendel.
 
- Scusate, c’era traffico e abbiamo fatto tardi- disse la giovane scienziata.
 
Nessuno di loro rispose, semplicemente rimasero così, in piedi gli uni di fronte agli altri, sorridendosi senza però dire nulla. Sorrisi tristi, intrisi della consapevolezza che quella era davvero l’ultima volta. Avrebbero voluto dire tante cose, troppe per quei pochi minuti, ma non riuscirono a dirne nemmeno una. Eppure andava bene così, il loro silenzio era pieno di parole.
Nel tentativo di rompere il ghiaccio, si avvicinò maggiormente a Shiho e cominciò a fare le coccole al cucciolo, il quale si dimostrò molto felice di rivederla.
 
- Hai portato anche lui?- chiese Akai, rompendo il silenzio.
- Gli ho fatto fare un giretto-rispose lei.
 
Non aggiunsero altro, poiché la voce metallica proveniente dagli altoparlanti richiamò i passeggeri all’imbarco.
 
“I passeggeri del volo 707 per New York sono pregati di recarsi al gate per l’imbarco.”
 
707, il loro volo. Non c’era più tempo, dovevano andare e tornare così come erano arrivati. Prima di partire per quell’avventura non avrebbe mai immaginato che il Giappone le sarebbe piaciuto a tal punto, tanto da non voler più andare via. Lei, da americana doc qual era, aveva sempre pensato che nulla potesse piacerle tanto quanto le piaceva la sua terra e le sue tradizioni: solo ora si rendeva conto di quanto sbagliasse. Ma forse non era il Giappone a piacerle, con la sua cultura così diversa o i ciliegi in fiore, bensì le persone che aveva conosciuto e che si erano guadagnate un posto speciale nel suo cuore. Il giovane detective geniale, il suo preferito e quell’incredibile scienziata che in fondo era una ragazzina come le altre. Non li avrebbe mai dimenticati, anche se non avesse più avuto occasione di rivederli. Le avevano dato ed insegnato tanto e in cuor suo sperò che anche lei avesse dato e insegnato loro qualcosa. aveva voluto fare qualcosa per Shiho ma alla fine, forse, era stata Shiho a fare qualcosa per lei.
 
- Io vado, vi aspetto al gate- disse Camel, che probabilmente aveva capito essere l’unico di troppo, allontanandosi dal gruppo - È stato un piacere!- salutò con un cenno della mano sia Shinichi che Shiho, i quali ricambiarono.
 
Si accorse che Shiho, da quando era arrivata, non aveva fatto altro che guardare in basso con un’espressione malinconica sul volto; decise così di lasciar perdere il cucciolo per un momento e la abbracciò senza preavviso, stringendola forte. La ragazza ricambiò, per poi asciugarsi con un gesto di stizza una lacrima che non voleva far vedere agli altri due, orgogliosa fino alla fine.
 
- Oh, no, non piangere! Possiamo vederci con la webcam e puoi telefonarmi quando vuoi, ok?- le accarezzò il volto con dolcezza.
- Non è la stessa cosa- rispose lei con gli occhi lucidi.
- Allora appena mi danno un po’ di ferie vengo a trovarti!- le fece l’occhiolino, al quale la giovane annuì, anche se non sembrava troppo convinta.
 
Era difficile per tutti staccarsi, ma per chi come Shiho non aveva mai avuto amici lo era ancor di più. Andò a salutare anche il suo detective preferito, che sembrava accettare meglio il distacco.
 
- Mi mancherai un sacco Cool Guy, ricordati che se vuoi entrare nell’FBI noi siamo felici di averti in squadra!- disse abbracciandolo, facendo sorridere tutti.
- Per ora preferisco fare il detective qui in Giappone!- replicò lui.
 
Si fece da parte quando fu il turno del collega. Sebbene Shuichi non fosse un chiacchierone, sicuramente anche lui aveva qualcosa da dire. In fondo, aveva legato con quelle persone anche più di lei.
 
- Sta lontana dai guai principessa, e chiama se hai bisogno- disse avvicinandosi a Shiho.
- E tu datti una mossa- rispose la ragazza, lasciando perplessi lei e Shinichi che non compresero il senso di quelle parole.
 
Akai rispose con un sorriso, probabilmente per farle capire che aveva recepito il messaggio. Poi si girò verso quel ragazzo con cui aveva vissuto fino a poche ore prima e al fianco del quale aveva raggiunto il suo obiettivo di distruggere l’Organizzazione.
 
- È stato un piacere lavorare con lei- gli disse il detective liceale.
- Vale lo stesso per me. Chissà che non ricapiti in futuro, giovane Sherlock Holmes- gli tese la mano, che il ragazzo strinse.
 
“I passeggeri del volo 707 per New York sono pregati di recarsi al gate per l’imbarco.”
 
La voce metallica risuonò nuovamente, avvertendoli che il tempo era davvero giunto al termine.
 
- Mi sa che dobbiamo proprio andare adesso- disse lei, rivolta a Shuichi.
- Già- rispose semplicemente lui.
- Fate buon viaggio allora e tornate a trovarci!- si raccomandò Shinichi.
- That’s sure!- rispose lei nella sua lingua madre.
- Jodie?- la richiamò Shiho.
- Dimmi tesoro-
- Grazie di tutto-
- Grazie a te- rispose sorridendo e abbracciandola di nuovo.
 
Capì che altre parole sarebbero state inutili, quei grazie valevano più di tutto. Si erano aiutati a vicenda, tutti erano debitori di tutti.
Salutarono un’ultima volta con un cenno della mano e poi voltarono le spalle ai due ragazzi e si avviarono velocemente verso il gate per raggiungere Camel e imbarcarsi. La loro avventura terminava lì.
 
 
…………………….
 
 
Rimase a guardare le due figure dei suoi nuovi amici allontanarsi mescolandosi tra la folla, fino a quando non scomparvero del tutto. Fu allora che sfogò tutto quello che aveva represso fino a quel momento, scoppiando a piangere in silenzio. Mendel tentava di asciugare le lacrime che cadevano leccandole il volto, senza nemmeno rendersi conto del perché la sua padrona stesse piangendo. Non era un addio, sapeva che prima o poi sarebbero tornati in Giappone anche se solo per qualche giorno di vacanza, eppure l’idea di non poterli più vedere ogni giorno le faceva male. Aveva perso una famiglia già una volta, non voleva perdere anche quella seconda che si era creata. Nonostante avesse conosciuto ragazze della sua età e le restassero ancora Shinichi, il Dottore e i bambini, Jodie per lei avrebbe sempre avuto un posto speciale, un’amica che nessuna poteva eguagliare, una sorella acquisita. Si sorprese nel pensare che in fondo le sarebbe mancato anche Akai, che l’idea di avere qualcuno che la proteggesse sempre non le dispiaceva quando ancora la paura che l’Organizzazione potesse tornare si faceva vivida nella sua mente. Entrambi avevano lasciato un vuoto che non poteva essere colmato.
In quel momento si sentì sola, nonostante l’aeroporto fosse affollato di gente: fu allora che sentì la mano di Shinichi posarsi sulla sua spalla. Si voltò a guardarlo con il viso rigato dalle lacrime e lo vide sorridere, come se avesse voluto ricordarle che non era sola, che lui era ancora lì e che ci sarebbe sempre stato, perché se l’ascesa dell’Organizzazione li aveva uniti, la sua disfatta non li avrebbe separati: ormai erano legati da molto più di un destino comune. Con quella consapevolezza, si asciugò le lacrime e accarezzò il cucciolo per ringraziarlo del suo supporto; poi si avviò all’uscita dell’aeroporto insieme all’amico detective, che le cingeva le spalle con un braccio. Da quel momento in poi sarebbe iniziata la sua nuova vita.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Scusate il ritardo, in questo periodo ho avuto sia mancanza di voglia sia di tempo per scrivere (devo ancora tradurre il precedente capitolo in inglese T^T). Come avrete capito questo capitolo è quello che chiude l’arco ambientato in Giappone, dal prossimo in poi ci sposteremo in America con protagonisti solo l’FBI e Vermouth. Torneremo in Giappone solo alla fine della storia, quindi mi spiace per voi fan di Shiho e del popolo nipponico di Detective Conan, ma da adesso in poi questi personaggi compariranno solo in telefonate o videochiamate con webcam. Anticipo anche che il ritmo con cui aggiorno potrebbe variare, nel senso che potrei impiegarci più tempo da adesso in poi perché questa parte del processo non sarà facile, siccome in America hanno leggi e procedure diverse che in Italia e io per rendere tutto realistico mi sto documentando e facendo spiegare da un’amica americana, ma è davvero difficile, vi assicuro!
Spero che il capitolo non vi abbia delusi e che continuerete a seguire la storia anche se ci sarà questo cambio narrativo. Aggiungo per concludere una piccola curiosità sul film: Sakebi è uscito in Italia il 20 luglio 2007 sotto il nome di “Castigo”.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno avuto la costanza di seguire la storia fino a questo punto! Ci vediamo in America! ;)
Bacioni
Place

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Capitolo 19
*** Capitolo 19: Il Processo - prima parte - ***


Capitolo 19: Il processo  -parte 1-
 
 
Erano ormai trascorsi più di tre mesi da quando l’FBI aveva fatto rientro negli Stati Uniti, tre mesi in cui avevano dovuto fare i conti con il fuso orario e in generale con il riadattarsi alla vita di sempre. Vivere per un anno interno in un altro stato aveva fatto perdere, almeno a lei, tante abitudini che prima erano normalissime, come la pizza tutti i venerdì sera o uscire per le vie di New York e sentire voci parlare in inglese piuttosto che quei suoni melodici tipici della lingua nipponica. Una cosa, tuttavia, era rimasta immutata: l’ombra dell’Organizzazione che ancora cadeva su di loro come un mantello oscuro che sembravano non riuscire a togliersi. Restava una sola di loro da abbattere per poter finalmente concludere quel caso durato anche troppo, la sua nemica storica.
Il processo a Vermouth era iniziato da qualche settimana, l’FBI aveva presentato al pubblico ministero tutte le prove raccolte per incastrarla e stessa cosa aveva fatto la CIA: era infatti venuta a sapere che anche Hidemi Hondou avrebbe presenziato al processo in qualità di testimone diretta dei fatti. Quando avevano presentato le prove, inizialmente il pubblico ministero aveva stentato a crederci (come del resto si aspettavano già), sia perché l’accusata era una famosa attrice, sia perché la storia di una pillola che faceva regredire all’età infantile o di un farmaco in grado di bloccare per sempre l’avanzare dell’età era davvero degna di un film di fantascienza. Tuttavia, non era nemmeno possibile che sia l’FBI che la CIA avessero tempo da perdere nell’inventarsi simili sciocchezze e mettere addirittura in atto un processo; perciò alla fine avevano comunicato a Vermouth, chiusa sotto stretta sorveglianza nella prigione federale, che era stata accusata di omicidio (tra l’altro verso un federale), di far parte di un’organizzazione criminale operante in tutto il mondo e di tutte le altre cose che aveva commesso in quegli anni. Chris Vineyard aveva dunque scelto di farsi rappresentare da un avvocato assegnatole dal Governo, cosa che aveva stupito tutti dal momento che credevano che un’attrice famosa avesse almeno un avvocato valido alle spalle e forse lo aveva anche, ma per qualche strana ragione aveva preferito non usarlo, come se si fosse rassegnata al suo destino ancora prima di partire. Le era sembrato strano, non era da Vermouth arrendersi senza lottare, ma se aveva preferito non usare le sue armi migliori era un punto a suo favore e non poteva lamentarsi per questo.
 Il pubblico ministero aveva poi convocato una grande giuria composta da una ventina di membri, come voleva la prassi, tutti selezionati da un gruppo di normalissimi cittadini estranei alla vicenda e quindi imparziali. Come nel caso del pubblico ministero, però, anche i cittadini avevano stentato a credere che una così bella e brava attrice, la quale non era mai stata oggetto di scandali o pettegolezzi, potesse aver commesso simili atrocità. Le faceva rabbia che il ruolo che ricopriva Chris Vineyard la portasse ad essere vista a prescindere come una persona degna di rispetto. La bella facciata esteriore che si era costruita era un punto a suo favore che le giovava non poco; per questo motivo quando era stata chiamata a testimoniare l’omicidio del padre, aveva cercato di essere il più convincente possibile: se la facciata esteriore contava tanto, allora anche lei in quanto agente dell’FBI doveva ricevere un minimo di rispetto. Era stata dura mettersi a nudo davanti a tutti quegli estranei, ricordare quella notte dove il fuoco le aveva portato via tutto. Raccontare la vicenda nei minimi dettagli l’aveva fatta sentire come se avesse rivissuto tutto da capo e la ferita nel cuore che non si era mai rimarginata si era riaperta. Insieme a lei aveva testimoniato anche Hidemi Hondo: aveva immaginato che anche per lei non fosse stato facile raccontare di come era morto suo padre. James insieme ad altri agenti dell’FBI avevano dato man forte, portando infine la grande giuria durante il voto segreto a stabilire di comune accordo che esistevano prove sufficienti per incriminare Vermouth e iniziare così il processo penale. Anche se alcune prove come l’aptx potevano risultare assurde e poco credibili agli occhi di chi non aveva vissuto l’intera vicenda, altre prove erano troppo schiaccianti per non essere considerate attendibili.
Il giorno dopo Vermouth  era stata convocata davanti a un giudice magistrale per una prima udienza, nella quale le erano stati illustrati con maggiore chiarezza i suoi diritti e i motivi per cui era stata accusata. Il giudice aveva infine deciso di tenerla in prigione fino alla data del processo, in quanto considerata troppo pericolosa per rilasciarla. Anche qui come nel caso dell’avvocato, Vermouth non aveva obiettato; tuttavia quando il giudice le aveva chiesto se si dichiarava colpevole oppure no, lei aveva sorriso maliziosamente e aveva risposto con un provocatorio “me lo dica lei”. A seguito era iniziata la vera e propria preparazione al processo, dove entrambe la parti si erano organizzate al meglio. Il pubblico ministero aveva poi riletto nuovamente tutti i fascicoli forniti da FBI e CIA, parlato nuovamente con i testimoni ed elaborato la strategia migliore. Quanto a Vermouth, probabilmente cercava con il suo avvocato di trovare un appiglio per discolparsi, non si aspettava di certo che le andasse bene l’idea di trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre.
Due settimane dopo si era tenuta l’udienza preliminare, una sorta di mini-processo che precedeva il processo vero e proprio: lì il pubblico ministero aveva invitato i testimoni come lei a presentare tutte le prove che incriminavano l’accusata, mentre dall’altro lato la difesa li aveva interrogati cercando di metterli in difficoltà e di trovare anche solo un errore nelle loro testimonianze che potesse mettere in dubbio la loro veridicità. Tentativo inutile, dal momento che alla fine il giudice aveva dichiarato nuovamente colpevole Chris e stabilito così la data definitiva del processo e il luogo dove si sarebbe tenuto: il 10 ottobre al tribunale distrettuale federale a sud di New York.
Quelle quattro settimane prima del processo le erano sembrate anni, le aveva trascorse con l’ansia di essere sul punto di fare giustizia alla morte di suo padre ma al tempo stesso con la paura di non riuscire ad ottenere nulla. Continuava a chiedersi se ci sarebbe stata, in ogni caso, una giusta punizione per Vermouth. Nulla le avrebbe ridato indietro suo padre, la sua casa o gli anni in cui si era dovuta nascondere fingendo di essere un’altra persona. Anche in quel momento, seduta fuori dalla porta in attesa di entrare in aula e cominciare, stava pensando la stessa cosa. Il gran giorno era finalmente arrivato e lei era molto nervosa. Alcune persone erano già entrate, in particolar modo coloro che intendevano assistere come spettatori al processo; lei invece stava aspettando fuori insieme a James.
 
- Ti sei calmata?- le chiese quest’ultimo, che non aveva smesso per un attimo di far scorrere gli occhi dal suo volto alle sue mani tremanti.
 
Annuì, consapevole di mentire: non sarebbe mai riuscita a calmarsi, c’erano in gioco troppe cose per poterla prendere anche solo per un secondo alla leggera.
 
- Allora forza, è il momento di entrare- la esortò ad alzarsi e seguirlo.
 
Aprirono la porta dell’aula ed entrarono camminando fianco. Mentre procedeva verso i primi posti, si guardò intorno e si accorse della presenza di alcuni volti noti, tra cui Yukiko Kudo(probabilmente venuta per assistere al processo della sua ex collega e rivale) e Shuichi, il quale era seduto negli ultimi posti come se non volesse essere troppo coinvolto. Si sorprese di trovarlo lì, chiedendosi se fosse venuto per lei o solo per assicurarsi che anche l’ultimo membro di quell’Organizzazione da lui tanto odiata avesse avuto ciò che si meritava. Le lanciò un’occhiata non appena la vide entrare, facendole poi un cenno e abbozzando un sorriso, come a volerla tranquillizzare. Senza dire nulla, lei ricambiò.
Prese posto al fianco a Hidemi, la quale la salutò con un cenno e la guardò come se volesse chiederle se si sentiva pronta a tutto ciò, forse perché anche lei era visibilmente nervosa. Dal lato opposto, Vermouth che era già presente in aula con il suo avvocato, la guardò e sorrise maliziosamente, facendole stringere i pugni per la rabbia. Continuava a prendersi gioco di lei nonostante tutto, non si rendeva conto della situazione e soprattutto non mostrava nessun segno di pentimento per tutto quello che aveva fatto. La tuta arancione che stava indossando non era una minaccia abbastanza forte, l’idea di indossarla per il resto dei suoi giorni non sembrava minimamente toccarla. Per non innervosirsi ancora di più, si girò dal lato opposto, dove si trovava la giuria di dodici persone che il pubblico ministero e l’avvocato difensore avevano scelto fra tanti nella lista dei potenziali giurati di quel distretto federale. Confidò nel loro buon senso e pregò perché prendessero la giusta decisione. In quel momento entrò il giudice, il quale prese posto e diede finalmente inizio al processo con il rituale colpo di martello. Invitò poi il pubblico ministero e l’avvocato difensore a presentare brevemente i fatti accaduti. Fatto ciò, il pubblico ministero poté esaminare il suo primo testimone: James in qualità di capo della squadra dell’FBI che aveva svolto l’indagine sull’Organizzazione. James prese posto al banco dei testimoni e l’avvocato del pubblico ministero cominciò a interrogarlo.
Trascorse un’ora buona dove l’uomo illustrò tutti i dati che avevano raccolto sull’Organizzazione e in particolare sul ruolo di Chris al suo interno. Terminata la testimonianza di James, venne chiamato il secondo testimone: nell’aula risuonarono il suo nome e cognome. Prese un lungo respiro, cercando di combattere contro quei battiti accelerati del cuore che rischiavano di farle mandare in fumo quel momento a cui aveva lavorato tanto, si alzò e andò a sedersi al banco dei testimoni di fianco al giudice.
 
- Giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- le chiese quest’ultimo, nella rituale formula di giuramento.
- Lo giuro- annuì con un cenno del capo.
 
L’avvocato del pubblico ministero cominciò dunque a farle tutte le varie domande che si erano preparati in precedenza:
 
- Signorina Starling, lei è stata testimone diretta dell’omicidio di suo padre, come lei agente dell’FBI, avvenuto per mano della qui presente Sharon Vineyard più di vent’anni fa, giusto?-
- Sì, è così-
- Potrebbe raccontarci come è andata di preciso?-
 
Ancora una volta quella domanda a cui agli occhi degli altri sarebbe stato semplice rispondere, ma che per lei equivaleva ancora una volta a ricordare ciò che in fondo avrebbe preferito dimenticare. Si fece coraggio e cominciò ad esporre i fatti.
 
- Mio padre si trovava nel suo studio per controllare alcuni fascicoli contenenti informazioni su Sharon Vinyeard, all’epoca stava indagando su di lei e sull’Organizzazione di cui faceva parte. Mia madre era malata e non poteva muoversi dal letto. Io attendevo nella mia stanza che mio padre venisse a leggermi la favola della buonanotte come ogni sera, ma siccome tardava ad arrivare mi sono alzata dal letto e sono andata nello studio a chiamarlo: lì ho trovato Sharon-
- Quindi la Signora Vineyard si era introdotta in casa sua per rubare i fascicoli contenenti materiale incriminante su di lei?-
- Non so se il suo scopo fosse semplicemente quello di rubare i fascicoli o se avesse già premeditato di uccidere mio padre, alla fine anche liberandosi delle prove contenute nei fascicoli mio padre era già perfettamente a conoscenza del loro contenuto e avrebbe potuto semplicemente riscriverli. Eliminarlo era l’unico modo per far sì che portasse i suoi segreti nella tomba. Fra l’altro non ricordo di aver sentito il campanello suonare, perciò si è introdotta furtivamente nell’abitazione-
- Obiezione: la signorina ammette di non essere sicura del vero scopo per cui la madre della mia assistita si trovasse a casa sua, senza contare che sta solamente facendo supposizioni basate su nessuna prova concreta- la interruppe l’avvocato difensore di Vermouth.
- Obiezione respinta- lo fermò il giudice -Prego, continui pure-
- Ricordo ancora com’era vestita: indossava una tuta nera e un berretto dello stesso colore che le teneva raccolti tutti i capelli, probabilmente per non lasciare prove di DNA sulla scena del crimine. Le chiesi chi fosse e lei mi rispose che non poteva dirmelo perché era un grande segreto. Poi aggiunse una frase che non scorderò mai, una frase che ho continuato a ripetere per anni per non scordarmi le parole e la voce dell’assassina di mio padre: “A secret makes a woman woman”. Mi accorsi che teneva in mano gli occhiali di mio padre e così lei me li ridiede. Erano tutti storti, come se avessero subito un urto-
- Obiezione: gli occhiali potevano essere in cattive condizioni anche da prima di quella notte- la interruppe nuovamente l’avvocato difensore.
- Obiezione accolta-
- No, li ricordo bene ed erano in perfetto stato. Ad ogni modo non mi preoccupai troppo degli occhiali quando vidi il corpo di mio padre steso a terra, con la schiena appoggiata ad una parete. Ingenuamente, pensai che so fosse addormentato dimenticandosi di venire a leggermi una storia. Sharon mi chiese di restare lì con lui fino a quando non si fosse svegliato e io accettai. Poi se ne andò, ma non prima di aver appiccato il fuoco in casa-
- Suo padre era già morto quando la casa è crollata tra le fiamme?-
- Sì, era già morto sin da quando avevo messo piede nello studio. Sharon gli aveva sparato al petto e poi aveva modificato la scena del crimine in modo tale da far passare il tutto come un suicidio. Una mossa stupida, dal momento che un agente dell’FBI con una bella famiglia e una figlia che adorava non avrebbe avuto nessun motivo per compiere un gesto simile- lanciò un’occhiata di disprezzo a Vermouth, forse senza nemmeno accorgersene tanto era presa dalle sue stesse parole.
- Obiezione: il commento della testimone non è di nessuna rilevanza per il caso-
- Obiezione accolta-
 
Strinse i pugni, cercando di calmarsi e di non uscire troppo dalle righe con altri commenti simili, nonostante quell’avvocato da quattro soldi stesse facendo di tutto per provocarla e farla uscire di senno. Se credeva di cavarsela con quelle obiezioni insensate si sbagliava di grosso, così come sbagliava il giudice ad appoggiarle.
 
- Come si è salvata dall’incendio?- riprese l’avvocato del pubblico ministero.
- Ero uscita per comprare il succo d’arancia che mio padre era solito bere non appena si svegliava. Quando sono tornata ho trovato l’intera casa in fiamme-
- Dopo questo episodio ha incontrato di nuovo la signora Vineyard?-
- No, ma non avrei potuto nemmeno volendolo dal momento che i colleghi di mio padre mi avevo posto nel Programma di Protezione Testimoni, modificando completamente la mia identità e il mio indirizzo. Sono stata cresciuta da James Black, un caro amico e collega di mio padre- cercò con lo sguardo James e abbozzò un sorriso, che venne ricambiato dall’uomo.
- Però afferma che la signora Vineyard l’ha cercata per eliminarla non appena saputo che nei resti dell’edificio in fiamme erano stati ritrovati solo due corpi invece di tre-
- Sì, me lo ha confessato lei stessa quando ci siamo trovate faccia a faccia un anno fa in Giappone-
- Obiezione: non ci sono prove che tale conversazione sia avvenuta- provò ancora una volta a farla franca quell’imbecille.
- Obiezione respinta. Proceda pure-
- Grazie, Signor Giudice. Signorina Starling, lei sostiene inoltre che la qui presente Chris Vineyard, figlia di Sharon Vineyard, in realtà sia la stessa Sharon. Due nomi per un’unica identità in poche parole. Può spiegarci perché afferma ciò?-
- La prima volta che vidi Chris Vineyard fu al funerale della sua presunta madre Sharon. Davanti alla tomba la sentii pronunciare le stesse parole che Sharon disse a me la notte dell’omicidio di mio padre: “A secret makes a woman woman”. Così cominciai subito a fare delle ricerche nella speranza di trovare delle risposte. La notte dell’omicidio avevo portato gli occhiali di mio padre con me, per questo sono scampati all’incendio: sopra di essi vi erano rimaste le impronte digitali di Sharon, raccolte in seguito dall’FBI. Le confrontai con quelle di Chris e sorprendentemente scoprii che erano esattamente le stesse. Come tutti sanno, anche se fra due persone c’è uno stretto legame di parentela, è geneticamente e scientificamente impossibile che due individui abbiano le stesse identiche impronte digitali. Così non restava che un’unica soluzione: Sharon e Chris erano in realtà la stessa persona- spiegò con chiarezza.
- Tutti noi però abbiamo visto Sharon Vineyard con un volto diverso da quello della qui presente Chris. Lei come ricorda Sharon?-
- Con lo stesso volto di adesso, motivo per cui quando scoprii che le impronte combaciavano non fui in grado di capacitarmi di come fosse possibile che dopo vent’anni Sharon non fosse invecchiata nemmeno di una virgola- ammise.
- Finché durante le ricerche dell’FBI in Giappone non ha incontrato una giovane scienziata che in passato aveva fatto parte della stessa Organizzazione in cui era coinvolta la signorina Vineyard, giusto?-
- Esatto. L’Organizzazione aveva diversi traffici loschi e fra questi vi era la creazione di un farmaco dalle proprietà incredibili, il Silver Bullet. Le ricerche e le varie prove scientifiche erano iniziate già da parecchi anni e portate avanti da un team di scienziati scelti, fra i quali spiccavano i genitori di questa ragazza. Ma l’Organizzazione li eliminò per qualche ragione ancora sconosciuta, prima che potessero ultimare il progetto, il quale passò poi nelle mani della figlia minore, diventata una scienziata come loro-
- Lei ci ha fornito alcune pillole di questo farmaco che la stessa ragazza le ha dato di persona-
 
L’avvocato prese la busta trasparente contente le pillole bianche e rosse e la portò al cospetto del giudice, il quale le osservò attentamente.
 
- Quelle pillole purtroppo non sono quelle del Silver Bullet, bensì quelle dell’APTX 4869 ideato dalla ragazza dopo la morte dei genitori. Purtroppo tutti gli appunti per la creazione del Silver Bullet originale sono andati perduti nell’incendio dove hanno perso la vita i due scienziati- specificò.
- Ci parli di questo APTX 4869-
- É un farmaco che l’Organizzazione aveva creato per uccidere le proprie vittime senza lasciare tracce, gli facevano inghiottire una pillola e in pochi istanti avveniva il decesso. Tuttavia durante gli studi la giovane scienziata si accorse che una delle cavie da laboratorio che aveva usato per testare il farmaco, invece di morire era ringiovanita, come se il tempo fosse tornato indietro. Non svelò questo particolare ai vertici dell’Organizzazione, per questo quando usarono il farmaco su alcune persone ottenne lo stesso effetto. Anche la stessa ragazza lo prese e anche su di lei l’effetto fu quello di farla ringiovanire di dieci anni-
- Obiezione: tutto questo non ha senso, è un puro racconto di fantasia!-
 
Forse questo era l’unico intervento sensato che quello stupido avvocato aveva fatto da quando era iniziato il suo interrogatorio. Effettivamente, per chi non aveva seguito tutta la storia, era normale credere che quelle fossero tutte bugie o per lo meno invenzioni degne dell’immaginazione di un regista di Hollywood, avevano messo in preventivo questo genere di reazione fin dall’inizio. Ciò che la sorprese fu la risposta del giudice.
- Obiezione respinta. Prego, continui-
- Abbiamo delle prove su quanto sostenuto dalla signorina Starling- la sostenne il pubblico ministero -Abbiamo ritenuto opportuno ripetere l’esperimento con le cavie, filmando e monitorando tutto in modo da provare che le cavie all’interno delle gabbie non sono state sostituite-
 
L’avvocato accese lo schermo di una televisione che era stata fatta portare in aula e inserì la videocassetta premendo il tasto “play”: le prime immagini che si materializzarono mostrarono le diverse gabbie con le diverse cavie che erano state sottoposte alla somministrazione dell’APTX. Durante tutto l’arco del video si vide chiaramente che le gabbie non vennero mai aperte e che quindi nessuno avrebbe avuto modo di sostituire le cavie. L’ultima parte del video mostrò la maggior parte delle cavie morte e due che invece sembravano più piccole rispetto all’inizio. Vennero dunque fatte entrare le due gabbie con le cavie in questione, più una gabbia con una cavia allo stato originale, com’erano anche quelle prima dell’esperimento. Il giudice le esaminò con la massima attenzione, ancor più di quanto non avesse fatto prima con le pillole di APTX e come tutti i presenti in sala (esclusi quelli che sapevano già) restò visibilmente sorpreso del fatto che si potesse chiaramente notare la regressione di taglia e di aspetto delle due cavie sottoposte all’esperimento rispetto a quella originaria. Si sentì un brusio generale di commenti che la spinse a guardarsi intorno, notando tutti che bisbigliavano alle orecchie di tutti. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quell’aula si sentì più sollevata: forse avevano fatto centro.
 
- Questo spiegherebbe il mistero, tuttavia lei sostiene che già vent’anni fa il volto di Sharon Vineyard fosse quello attuale, perciò quando in seguito è comparsa ai media con il volto di una donna di mezza età era solo frutto di un travestimento?- riprese con le domande il pubblico ministero, riportando tutti all’attenzione.
- Sì, Sharon è famosa per essere una maga nei travestimenti. Tuttavia vorrei precisare che il farmaco assunto da Sharon non è l’APTX, creato solo in seguito, ma bensì l’originario Silver Bullet. Credo che quel prototipo avesse effetti diversi rispetto all’APTX, perciò se quest’ultimo è in grado di far ringiovanire, probabilmente il primo era persino in grado di bloccare per sempre la crescita fisica di una persona-
- Come può essere certa che la signorina Vineyard abbia assunto proprio quel farmaco?-
- Perché mentre cercava di ucciderla ha confessato alla figlia dei due scienziati che doveva incolpare solo i suoi genitori, i quali l’avevano costretta a vivere in quelle condizioni-
 
Nei successivi minuti le vennero poi fatte domande sugli scontri avuti con Vermouth in Giappone, in particolar modo quello avvenuto durante l’Halloween Party. Non sapeva quantificare di preciso quanto tempo era passato da quando si era seduta al banco dei testimoni, ma le sembravano passati giorni invece che ore. Era provata da tutto ciò, le faceva male ricordare il padre e la sua infanzia rovinata e Vermouth e il suo avvocato non facevano altro che innervosirla ulteriormente, la prima con i suoi continui sorrisetti maliziosi e il secondo con il suo “obiezione” .
Quando l’avvocato del pubblico ministero terminò con le domande, si rese conto che in realtà la parte più dura da affrontare stava arrivando proprio in quel momento: il controinterrogatorio. L’avvocato di Vermouth si alzò e andò davanti a lei iniziando da subito a farle domande per metterla in difficoltà e far perdere di credibilità a tutto ciò che aveva appena detto. Lo aveva fatto anche prima con James, ma lui si era dimostrato molto bravo a rispondere, come del resto ci si aspettava da un capo dell’FBI. Si chiese se anche lei sarebbe riuscita a mantenere la calma ed essere altrettanto brava.
 
- Signorina Starling, lei afferma che all’epoca in cui è avvenuto l’omicidio di suo padre aveva otto anni, giusto? Come faceva a sapere che i fascicoli che suo padre stava visionando erano esattamente sulla mia assistita, che lei sostiene essere Sharon Vineyard? Non credo che suo padre le permettesse di leggere i suoi appunti di lavoro, né tantomeno che la tenesse al corrente di cosa faceva al lavoro, senza contare che dubito lei possa ricordare dei particolari così precisi considerando la giovane età che aveva-
- Non ho mai letto quel fascicolo né tanto mento sentito mio padre parlarne: quello che ho saputo mi è stato riferito in seguito dai suoi colleghi fra cui in primis il signor James Black. Dubito che degli agenti dell’FBI avrebbero mentito su una questione del genere, lei non crede?- rispose sprezzante, trovando insensata quella domanda.
- Sono io che faccio le domande qui, se permette.  Lei sostiene anche che Sharon Vineyard abbia sparato a suo padre per poi modificare la scena del crimine facendo passare il gesto come un suicidio, però non ha assistito direttamente alla scena, quindi non può considerarsi una vera testimone oculare-
- Non c’era nessun altro in casa a parte me, i miei genitori e la signorina Vineyard, quindi chi altri potrebbe essere stato? Inoltre, se mio padre si fosse suicidato davanti a lei, perché Sharon non avrebbe cercato di fermarlo o per lo meno chiamato i soccorsi invece di preoccuparsi di raddrizzare gli occhiali di mio padre che si erano stortati?-
- Le ripeto che le domande le faccio io. Ha affermato con certezza che dopo aver ucciso suo padre Sharon Vineyard ha appiccato il fuoco alla sua casa, ma anche in questo caso non ha visto nulla, poiché lei stessa ci ha detto poco fa di essere uscita a comprare del succo d’arancia per suo padre e di aver trovato la casa avvolta dalle fiamme solo dopo il suo ritorno-
- Se mio padre era morto e mia madre a letto malata, chi altri avrebbe potuto appiccare l’incendio se non l’unica persona che quella sera non avrebbe dovuto trovarsi in quella casa?!- alzò i toni, stanca di quelle insinuazioni volte ad infangare le sue verità.
- Signorina Starling, moderi i toni e la prego di rispondere alle mie domande con risposte chiare e non con altre domande- la riprese l’avvocato, cercando con lo sguardo la complicità del giudice.
 
Fece un respiro e cercò di calmarsi, scusandosi poi per i toni usati. Doveva mantenere un certo contegno se voleva che i presenti in aula credessero a lei e non a quella criminale.
 
- Veniamo al punto più importante: lei accusa la mia assistita Chris Vineyard di essere la stessa Sharon, che fino ad oggi era conosciuta da tutti come la madre- riprese l’avvocato difensore -Ha affermato di essere stata al funerale di Sharon, dunque chi si trova nella tomba adesso? Ha inoltre detto di aver sentito Chris Vineyard pronunciare le stesse parole che la madre Sharon disse la notte dell’omicidio di suo padre e da questo ha subito dedotto che fossero la stessa persona? Erano madre e figlia, supponendo che Sharon abbia davvero ucciso suo padre quella notte, la figlia Chris avrebbe potuto sentirla dire dalla madre in un’altra occasione. Quanto alle impronte digitali uguali, potrebbe essere benissimo una contraffazione, esattamente come l’esperimento con quelle strane pasticche che lei sostiene abbiano un effetto miracoloso quanto disastroso. Si rende conto che questo genere di cose si vede solo nei film di fantascienza, vero? Lei è un agente dell’FBI, l’orgoglio dello stato americano, dovrebbe essere abbastanza intelligente da capire che non può illudere le persone che hanno fede nelle istituzioni con favoline da quattro soldi, non gioverebbe alla vostra reputazione-
- Obiezione: l’avvocato sta solo provocando la mia assistita senza porle domande precise di alcun tipo e senza permetterle di rispondere- intervenne in sua difesa il pubblico ministero.
- Obiezione accolta. Avvocato, si limiti a fare domande alla testimone- lo ammonì il giudice, evitandole così di fare un’altra sfuriata per difendere l’onore dell’FBI.
- Mi perdoni signor giudice. Dunque, lei sostiene che due scienziati di questa Organizzazione abbiano creato un farmaco chiamato Silver Bullet, assunto poi dalla mia assistita, che ha il potere di bloccare per sempre il processo di invecchiamento di un essere umano. Tuttavia ha affermato che i due scienziati sono deceduti e che insieme a loro sono scomparsi anche tutti i progetti dietro a questo farmaco. In poche parole non ci sono prove concrete della sua esistenza, giusto?-
- Le prove stanno nel fatto che la figlia dei due scienziati è riuscita a ricreare un nuovo farmaco sulla base di quello vecchio-
- Però lei stessa ci ha detto che è un altro farmaco, non quello assunto dalla signora Vineyard-
 
Si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo: a quella domanda, purtroppo, non sapeva come rispondere. Era la pura verità, non c’era modo di uscirne. Nemmeno Shiho era stata in grado di spiegarle a suo tempo come fossero andate realmente le cose: le uniche due persone che sapevano si erano trascinate il segreto nella tomba.
 
- Ammesso che, ipoteticamente, la mia assistita possa aver assunto questo nuovo farmaco invece del vecchio prototipo, dagli esperimenti da voi condotti risulta che il corpo di alcuni individui può ringiovanire di diversi anni, ma poi il processo di crescita riprenderebbe a scorrere normalmente. Dunque, se la persona che lei ha visto la notte dell’omicidio aveva la stessa età e lo stesso volto della qui presente signorina Chris Vineyard, oggi seduta a quel banco dovrebbe esserci una donna con almeno vent’anni di più o sbaglio?-
 
Di nuovo non riuscì a trovare una risposta logica a quella domanda. Si limitò a fissare con odio quell’avvocato che sembrava essere riuscito a metterla all’angolo del ring: purtroppo ciò che stava dicendo era la pura verità ed era questo, più di ogni altra cosa, a infastidirla. La verità fa sempre male, specie quando ti si ritorce contro.
 
- Chris è la figlia di Sharon, quindi è logico che possa assomigliarle anche molto fisicamente. Non sarebbe il primo caso in cui la figlia somiglia perfettamente alla madre da giovane. Dunque esiste la possibilità che la donna che lei ha visto quella notte fosse Sharon da giovane, mentre la donna che ora si trova in aula sia la figlia Chris, giusto?-
- Due persone non possono essere identiche!- rispose, mostrando una sicurezza che alla fine non aveva.
- Ha inoltre affermato che Sharon era considerata una maga dei travestimenti oltre che un’eccellente attrice: cosa le fa pensare che quella che lei ha visto non fosse la madre della mia assistita con indosso una maschera che celasse il suo reale volto?-
- Mi spieghi com’è possibile che potesse sapere esattamente quale volto avrebbe avuto la figlia vent’anni dopo per poi riprodurlo in una maschera teatrale usata per commettere un omicidio?! Quale donna incolperebbe la figlia di un crimine?!- alzò nuovamente il tono di voce, ormai giunta all’esasperazione.
- Mi risulta che i rapporti fra la mia assistita e la madre non fossero rosei. Ad ogni modo, credo che lei abbia scambiato la mia assistita Chris Vineyard per la madre Sharon, incolpandola di un delitto che non ha commesso. Ho concluso-
 
Senza nemmeno aspettare una sua ipotetica risposta, l’avvocato di Vermouth tornò a sedersi a fianco della sua assistita, sul suo volto vi era dipinta un’espressione soddisfatta. Quanto a lei, restò seduta al banco dei testimoni, poiché come voleva la prassi doveva essere nuovamente interrogata dal pubblico ministero per chiarire eventuali dubbi alla giuria. Tuttavia, nonostante rispondesse in modo chiaro alle domande, il suo tono risultava spento, come se si fosse rassegnata al fatto che qualunque risposta o spiegazione avrebbe dato non sarebbe mai stata sufficiente a convincere la giuria.
Alla fine anche lei ritornò a posto, piena di rabbia e frustrazione per come erano andate le cose. Quell’avvocato che all’inizio le era sembrato un incapace, in realtà si era rivelato più bravo di quanto avesse immaginato a rigirare il coltello. Ormai aveva capito il suo intento, probabilmente tutti in quell’aula lo avevano capito: anche se non poteva discolpare Vermouth dai crimini che aveva commesso all’interno dell’Organizzazione, voleva evitare che pagasse anche per l’omicidio di suo padre. Si chiese se questa strategia fosse stata elaborata dalla stessa Chris, che voleva prendersi gioco di lei fino alla fine: il solo pensiero le fece ribollire il sangue nelle vene. Cento anni di carcere non le sarebbero bastati per provare anche solo il minimo pentimento per ciò che aveva fatto.
Sperò che quella situazione si risolvesse al più presto, confidava nella testimonianza successiva che sarebbe stata quella di Hidemi, ma ormai erano trascorse diverse ore da quando avevano iniziato e tutti erano stanchi e provati. Si sapeva sin dall’inizio che sarebbe stato un processo lungo e faticoso. La voce del giudice riecheggiò nell’aula, ponendo fine a quella prima parte di processo.
 
-La corte si aggiorna domani-  
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Rieccomi finalmente con la prima parte del processo a Vermouth che molti di voi hanno atteso! Ho deciso di dividere il processo in “prima parte” e “seconda parte” primo perché non volevo fare un capitolo stralungo di venti pagine di Word, che sarebbe secondo me risultato pesante anche da leggere; secondo perché volevo creare un po’ di suspence nell’attesa del verdetto finale. Ovviamente la bozza della seconda parte è già pronta, non dovrei poi metterci molto a scriverla in bella e pubblicarla! ;) Spero davvero di non avervi deluso, ho dato del mio meglio per questo processo e fatto ricerche a non finire per farlo sembrare il più realistico possibile. Non vi nascondo che è stata una fatica e un ringraziamento speciale va alla mia amica americana Shannon (la trovate su Tumblr con il nickname “luxheorica”) che mi ha aiutata tantissimo spiegandomi come funzionano i processi da loro e fornendomi ottimi siti da consultare. Come avrete visto ho velocizzato la parte che precede il processo vero e proprio, poiché non volevo dilungarmi troppo in cose tipo la scelta della giuria o altro, che potevano sembrare noiose e togliere spazio alla parte importante. Ho voluto più che altro mettere in evidenza la testimonianza di Jodie e le sue emozioni. Spero di aver fatto per lo meno un discreto lavoro se non buono!
Ne approfitto per dirvi che a breve inizierò un tirocinio e quindi il mio tempo a disposizione per stare online e anche per scrivere (non potrò più fare l’una di notte XD) si ridurrà notevolmente: vi chiedo quindi di pazientare se i miei aggiornamenti diventeranno più lenti di quanto non lo siano già ora, però la vita reale viene prima ovviamente. Non ho intenzione di lasciare incompiuta questa storia, quindi non preoccupatevi! ;)
Grazie a tutti quelli che mi stanno sostenendo! ♥
Bacioni
Place

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Capitolo 20
*** Capitolo 20: Il Processo - seconda parte - ***


Capitolo 20: Il processo -parte2-
 
 
La seconda parte dell’udienza che avvenne l’indomani si concentrò tutta sulle testimonianze della CIA (in particolar modo su quella di Hidemi, testimone chiave in quanto infiltrata), così com’era avvenuto il giorno prima per l’FBI. Alla fine non era rimasto più nessun testimone da interrogare, nessuno aveva accettato di testimoniare a favore di Vermouth. Tutti i membri dell’Organizzazione erano stati messi fuori gioco e chi dei buoni la conosceva non avrebbe mai speso parole magnanime nei suoi confronti, non dopo tutto ciò che aveva fatto. Le poche azioni giuste che aveva compiuto non erano sufficienti a cancellare anni di crimini.
Finalmente il pubblico ministero e l’avvocato difensore erano pronti a fare ciascuno la propria arringa, rivolgendosi alla giuria un’ultima volta e cercando di convincerla della veridicità delle loro tesi. 
Iniziò per primo il pubblico ministero, il quale forse, paradossalmente, aveva il compito più duro fra i due. Convincere la gente comune che una semplice pasticca poteva far ringiovanire era un’ardua impresa.
 
- Come potete vedere signori della giuria, in quest’aula si sono riuniti ben due enti di sicurezza nazionali, entrambi portando prove concrete della colpevolezza della signorina Chris Vineyard o meglio ancora Sharon Vineyard, comunque vogliate chiamarla. Non credo che due enti del calibro dell’FBI e della CIA abbiano tempo da perdere portando prove contraffatte in tribunale con il solo scopo di mandare dietro le sbarre un’attrice famosa. Avete visto voi stessi i risultati delle prove scientifiche riguardanti quel farmaco, per quanto possa sembrare fantascientifico non lo è affatto, così come non sono solo avventure immaginarie quelle che ci ha raccontato la signorina Hidemi Hondou descrivendo la sua esperienza di infiltrata nell’Organizzazione criminale di cui l’accusata Chris Vineyard era parte integrante. Quanto alla signorina Starling, non avrebbe alcun tipo di interesse nel venire qui a ricordare dolorosamente la morte del padre scomparso se davvero l’artefice di quell’omicidio non fosse la qui presente accusata. Vi siete chiesti come mai, nonostante sia un’attrice famosa, nessuno sia venuto a testimoniare a suo favore? Vi chiedo dunque di fare uno sforzo e aprire i vostri orizzonti, cominciando a credere nel progresso e in quello che la scienza è arrivata a poter fare nel corso degli anni. Se è possibile creare un farmaco in grado di cambiare l’età fisica di un individuo, allora è altrettanto credibile a maggior ragione che dietro a un volto noto a tutti gli Stati Uniti possa celarsi l’identità di un’assassina e di una criminale. Chris Vineyard si è macchiata di diversi crimini ed è da considerarsi un pericolo per la nostra nazione e anche per altre, dal momento che ha agito anche sul territorio giapponese. Ho concluso-
 
Un discorso breve ma che concentrava in sé l’essenza di tutte le parole che erano state spese. Un discorso che lasciava accesa quell’ultima, debole speranza di ottenere la tanto agognata giustizia che bramavano. Lo voleva lei, lo voleva James, lo voleva Hidemi, lo volevano tutti coloro che negli anni avevano sacrificato tante cose per quel caso che si stava finalmente concludendo.
Il pubblico ministero tornò al suo posto lasciando spazio all’avvocato difensore.
 
- Membri della giuria, vi chiedo di essere obiettivi per un momento: quanti di voi credono realmente nell’esistenza di un farmaco con simili capacità? Immagino nessuno ed è comprensibile: non si può credere a simili fantasie. Se davvero esistesse un farmaco del genere, perché l’Organizzazione lo avrebbe tenuto nascosto invece di approfittarne per guadagnarci? Non è possibile fermare il tempo, un essere umano non può smettere di invecchiare. Chris Vineyard è pronta a scontare la sua pena per essere entrata in quella banda di criminali, ma non è lei l’assassina del padre dell’agente Starling. A commettere quell’omicidio è stata sua madre, Sharon Vineyard, ormai deceduta: una persona completamente diversa. Capisco il desiderio della signorina Starling di fare giustizia alla morte di suo padre, ma la vera colpevole ha ormai pagato con la vita e non è più possibile fare nulla. Chris Vineyard e Sharon Vineyard sono due persone distinte, non è giusto che l’errore commesso vent’anni fa da una madre ricada sulla figlia. Vi chiedo dunque di essere il più obiettivi possibile nel vostro giudizio. Grazie, ho concluso-
 
Strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia. Aveva cercato di prepararsi anche a questo, ma solo allora si rese conto che forse non sarebbe mai stata pronta. Sapeva sin da subito che pur di non uscirne da perfetto perdente, l’avvocato avrebbe cercato di aggrapparsi anche al più piccolo appiglio per ridurre le colpe e dunque la pena della sua assistita: l’unica cosa su cui poteva attaccarsi era proprio il fatto che Chris non potesse essere Sharon. Se la giuria avesse creduto alle sue parole, per suo padre non sarebbe stata fatta giustizia. Alla fine lei sarebbe stata l’unica ad uscire da quell’aula a mani vuote, derisa dalla sua nemica storica che continuava a sorridere nella sua tuta arancione come se la vicenda non la riguardasse affatto.
Terminate le due arringhe, il giudice informò la giuria sulle leggi più appropriate al caso in questione e su cosa avrebbero dovuto fare per raggiungere un verdetto. Sapevano tutti che la decisione sarebbe stata difficile e che l’esito sarebbe potuto non piacere a qualcuno: nei processi federali, infatti, la giuria deve essere d’accordo all’unanimità perché il giudizio possa risultare valido; un solo parere discordante e tutto il processo sarebbe dovuto riprendere da capo con una nuova giuria. Era l’opzione che tutti temevano di più, considerando quanto fossero provati da quella situazione. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era di entrare in un circolo vizioso senza uscita.
Ormai in possesso di tutte le informazioni necessarie, la giuria si ritirò per deliberare, spostandosi sotto gli occhi ansiosi di tutti in una stanza adiacente al tribunale. Cominciò dunque una snervante attesa che durò ore, fino a quando uno dei membri della giuria ricomparve nell’aula del tribunale, ma solo per comunicare al giudice che per quel giorno non avevano raggiunto un accordo. Quest’ultimo si vide dunque costretto a rimandare nuovamente il verdetto finale al giorno successivo. Per la seconda volta in quell’aula risuonarono  le parole “la corte si aggiorna domani”, esasperando gran parte dei presenti, i quali tuttavia si chiusero in un mesto silenzio.
 
 
Il giorno successivo non fu diverso dal precedente: entrarono in aula, si sedettero e aspettarono in silenzio, pregando che quella tortura finisse al più presto. Attesero per ore, ore e ore, fino a quando vinti dallo sconforto si prepararono ad udire quella maledetta frase uscire dalla bocca del giudice per la terza volta. Fu allora che la giuria, con grande sorpresa di tutti, comunicò di essere pronta ad emettere un giudizio. Si alzarono tutti in piedi, trattenendo il fiato con gli occhi fissi su quel gruppo di persone da cui dipendeva l’esito di una lunga battaglia. Uno dei membri consegnò il foglio piegato con su scritto il verdetto al giudice, il quale lo aprì e lo lesse lentamente ad alta voce:
 
- La giuria concorda nel ritenere la signorina Chris Vineyard colpevole di aver fatto parte di una pericolosa organizzazione criminale e di aver commesso dei crimini durante quel periodo; tuttavia, nonostante un’attenta riflessione, non è riuscita a raggiungere un verdetto unanime sull’omicidio dell’agente dell’FBI Ryan Starling e sulla questione del farmaco ringiovanente. Per questi motivi la giuria ritiene necessario punire la signorina Chris Vineyard solo per i crimini commessi relativi all’Organizzazione-
 
Quella sentenza fu come un pugno nello stomaco per lei, un colpo ben assestato e devastante. Sentì di aver fallito e di aver deluso se stessa, James e suo padre in primis. Vermouth non poteva farla franca, non poteva non pagare per averle portato via la sua famiglia e la sua infanzia. Non poteva davvero finire così, non era giusto che fosse l’unica a non aver ottenuto niente.
Il giudice continuò, emettendo la sentenza finale:
 
- Ringrazio la giuria per il loro lavoro. La corte si aggiorna: tenendo conto della volontà della giuria e delle prove riportate, dichiaro la signorina Chris Vineyard colpevole dei reati commessi in quanto membro dell’Organizzazione. Tuttavia, non avendo raggiunto un accordo unanime sull’omicidio dell’agente federale Ryan Starling, come previsto dalla legge verrà effettuato un nuovo processo con una nuova giuria. Pertanto, fino a data da stabilirsi, l’imputata Chris Vineyard resterà nella prigione federale di New York. Il caso è chiuso-
 
Abbassò la testa come se fosse lei quella ad essere appena stata giudicata, come un colpevole al patibolo che concede il suo capo all’ascia del boia. James e Hidemi, rispettivamente seduti alla sua destra e alla sua sinistra, si voltarono a guardarla con profondo rammarico. Non fu in grado di vedere questo sentimento dipinto sui loro volti (e in ogni caso non avrebbe comunque voluto vederlo, non aveva certo bisogno della pietà della gente in quel momento), così come non vide il sorriso malizioso che si era dipinto sulla faccia trionfante di Vermouth.
 
- Coraggio figliuola, usciamo dall’aula- la invitò a lasciare quella grande stanza diventata improvvisamente troppo piccola James, passandole delicatamente una mano sulla schiena in un gesto paterno.
 
Si alzò con un gesto quasi meccanico, come se il corpo e la mente non fossero più coordinati fra loro, incamminandosi verso l’uscita come un fantasma che trascina le proprie catene. Sentiva le forze venire meno, traballava ad ogni passo e per questo accettò il braccio di James che delicatamente la sorreggeva. Forse lui era l’unico a poter capire quello che stava provando, anche lui non era riuscito ad ottenere giustizia per il suo vecchio amico. Teneva la testa basta per non vedere tutti quegli occhi che sentiva puntati su di lei, quelle espressioni di rammarico che in quel momento le avrebbero solo dato sui nervi. Non si voltò nemmeno per guardare Vermouth che, ammanettata, veniva portata via dalle guardie: ormai non le importava più.
Varcò la porta dell’aula e uscì, continuando a camminare lungo il corridoio per allontanarsi sempre di più da quel posto. Dietro di lei James e Shuichi, che li aveva raggiunti, la seguivano ad ogni passo come due angeli custodi che però non avevano il potere di fare nulla.
Si fermò all’improvviso, non sapeva nemmeno più dove stesse andando e da cosa stava fuggendo: tutto nella sua testa era annebbiato. James si mise di fronte a lei e le poggiò delicatamente le mani sulle spalle.
 
- Fatti forza Jodie, non è ancora finita. Non abbiamo perso, dobbiamo solo avere pazienza e aspettare ancora un po’ per avere la nostra vittoria. Faremo altre ricerche, troveremo nuove prove e riusciremo a incastrare Vermouth!- le disse, cercando di mostrarsi più convincente possibile.
 
Non sapeva se credesse veramente a quello che stava dicendo o se fosse solo un modo per farla sentire meglio; di certo però quelle erano le ultime parole che voleva sentirsi dire. Non in quel momento, no. Non avevano senso, erano vuote come la coscienza di chi aveva creduto all’innocenza di quell’assassina.
 
- Certo, troveremo anche una pillola che fa invecchiare precocemente, così manderemo tutti quelli della giuria all’ospizio dove dovrebbero stare!!!- urlò, alzando finalmente il volto e fissandolo con una cattiveria che non aveva mai osato mostrare fino a quel momento e che non le apparteneva - Guardiamo in faccia alla realtà James, nessuno crederà mai che una persona possa smettere di invecchiare grazie ad una pillola, specie considerato che non troveremo un solo resto di quel farmaco creato dai coniugi Miyano! Come possiamo dimostrare l’esistenza di qualcosa che non esiste?!-
 
James e Shuichi restarono a fissarla senza parole: di certo quello sfogo era la conseguenza del suo stato d’animo che aveva superato il livello di disperazione consentito; tuttavia per loro doveva essere come trovarsi di fronte a una Jodie che non aveva niente della persona che conoscevano. Ma a lei non importava nemmeno di quello, se volevano considerarla un mostro erano liberi di farlo.
 
- Non dire così Jodie- cercò di rassicurarla James - Magari la prossima giuria sarà più propensa a credere a quella storia, visto che anche in questa c’è comunque qualcuno che ci ha creduto. Se fosse così assurda come dici, nemmeno una persona su dodici si sarebbe fatta convincere-
 
Scosse il capo, guardandolo negli occhi seria ma al tempo stesso demotivata, come il suo animo fosse stato prosciugato di tutte le emozioni.
 
- Sai James, ho scelto di fare questo lavoro perché avevo abbastanza fiducia nella giustizia da pensare che un giorno o l’altro l’assassina di mio padre avrebbe pagato le sue colpe. Ma oggi non so se ci credo ancora-
 
Pronunciò queste ultime parole, parole che avevano determinato la sua sentenza. Adesso era James la vittima e lei il giudice che gli aveva detto l’unica cosa che non avrebbe voluto sentire.
Senza aggiungere altro, s’incamminò fino all’uscita e lo lasciò lì con gli occhi sgranati ad accusare il colpo.
 
- Aspetta Jodie!- cercò di fermarla quando si riprese, ma lei non lo sentì, era ormai troppo lontana.
- Lasciala andare, James- lo bloccò Shuichi, rimasto in silenzio fino a quel momento - Adesso non è il caso che vi mettiate a discutere, è troppo delusa e non è disposta ad ascoltarti. Ci penserò io ad assicurarmi che stia bene, non preoccuparti- abbozzò un sorriso.
- D’accordo- annuì arrendendosi - Grazie Akai-
 
Salutato il suo capo, Shuichi la raggiunse fuori dal tribunale, trovandola nel parcheggio seduta in macchina a piangere. Gli venne da sorridere se pensava alla cattiveria di poco prima, paragonata a quelle lacrime che la rendevano vulnerabile come il cucciolo che avevano comprato a Shiho. Si avvicinò cercando di non farsi notare, per poi entrare in macchina e sedersi a fianco a lei. Colta di sorpresa, si asciugò velocemente le lacrime: non le era mai piaciuto mostrarsi debole ai suoi occhi. Voleva che la considerasse una donna forte.
 
- Cosa vuoi?- gli chiese, quasi scocciata e con la voce ancora rotta dal pianto.
- Ti va di parlare?-
- Non adesso- lo liquidò.
- Se ti arrendi prima che la battaglia sia finita hai perso in partenza- sentenziò, con il suo solito fare da glorioso generale che guida il suo esercito.
- La battaglia è finita-
- A me sembra che il giudice abbia detto che è solo rimandata-
- E che differenza fa? Sarà sempre la stessa storia-
- No, se perfezioni gli errori che hai commesso-
- Oh, ci mancava la lezione di vita del grande agente dell’FBI che non ne sbaglia mai una! È facile parlare quando si sta seduti in fondo all’aula con la bocca chiusa! Tu hai ottenuto quello che volevi, il tuo nemico è sottoterra e hai avuto giustizia per i tuoi cari, perciò non puoi capire!- tuonò.
 
Sembrava un serpente pronto a sputare veleno in faccia a chiunque le si fosse avvicinato. Se si fosse guardata allo specchio in quel momento, non si sarebbe riconosciuta.
 
- Pensi che sia stato facile per me ottenere quello che volevo?- la fissò serio e forse anche un po’ ferito.
- Non ho detto questo, ma di certo non ti sei trovato ad affrontare un processo-
 
Ci fu un attimo di silenzio nel quale nessuno dei due osò aprire bocca, probabilmente entrambi sapevano che avrebbero finito per litigare bruscamente se quella conversazione si fosse prolungata più del dovuto.
 
- Forza, vieni che ti accompagno a casa- le disse infine il collega.
- Non serve, aspetto James e torno con lui- declinò l’invito.
- Credo che ne avrà ancora per un po’, visto che sei stanca è meglio se vai a riposare. Gli ho già detto che ti avrei riaccompagnata io- mentì.
 
Sospirò, priva delle forze necessarie per opporre resistenza a quel pezzo di ghiaccio dalle sembianze umane. Così si arrese, scendendo dalla macchina di James e chiudendola a chiave con la copia che lo stesso James aveva fatto per lei. Non era ancora riuscita a ricomprarsi un’auto nuova da quando era tornata negli Stati Uniti.
Seguì Shuichi fino alla sua auto e salì, senza mai aprire bocca. Stessa cosa fece il suo compagno, il quale mise in moto l’auto e si allontanò da quel posto che, quel giorno, le aveva portato via tutto ciò in cui credeva.
 
 
 
Solo dopo diversi chilometri si accorse che Shuichi non la stava portando al suo appartamento. La strada le era familiare, ma non era quella che portava a casa sua.
 
- Shu, guarda che per di qua non si arriva al mio appartamento- ruppe finalmente il silenzio.
- Lo so, infatti stiamo andando al mio- rispose con naturalezza.
- Perché?- alzò un sopracciglio - Non so che intenzioni hai ma io sono stanca e ho bisogno di riposare-
- Tranquilla, voglio solo offrirti un goccetto. Credo che tu ne abbia bisogno-
 
Non replicò, effettivamente forse un po’ di alcol l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
Arrivati a destinazione, Shuichi parcheggiò la macchina mentre lei si guardava intorno. Presero l’ascensore e salirono al quarto piano. Entrati nell’appartamento, Shuichi la invitò ad accomodarsi sul divano mentre lui preparava due bicchieri di Bourbon con ghiaccio. La raggiunse poco dopo, sedendosi a fianco a lei e porgendole un bicchiere.
 
- Vuoi che ti prepari qualcosa o preferisci ordinare da asporto?- le chiese.
 
Era così persa nei suoi pensieri che non aveva nemmeno notato fosse già ora di cena.
 
- Non ho fame- rispose, bevendo un lungo sorso di liquore.
- Coraggio, devi mangiare qualcosa- insistette.
- No Shu, davvero, non mi va- storse la bocca.
- Ho capito, ci penso io-
 
Si alzò dal divano e tornò in cucina, lasciandola lì a roteare gli occhi: lo amava ma quando faceva così lo trovava insopportabile.
Ritornò dopo una decina di minuti con due piatti contenenti ciascuno un tramezzino semplice con la lattuga e qualche fetta di prosciutto cotto al forno. Sembravano appetitosi, anche se il suo stomaco non era dell’idea di introdurre cibo.
 
- Tu non capisci la parola NO, vero Shuichi Akai?- lo rimbeccò.
 
In tutta risposta, l’uomo le sorrise e si sedette nuovamente accanto a lei. Diede un morso al tramezzino e lo scoprì delizioso nella sua semplicità. Cominciarono dunque a mangiare, guardando un film da quattro soldi alla TV.
Finita la cena, Shuichi si allontanò per prendere il suo PC portatile, che posizionò sul tavolino di fronte al divano.
 
- Cosa devi fare?- gli chiese, preoccupata che volesse parlare di lavoro.
- Devo guardare la diretta di una partita di shoji che si sta tenendo in Giappone- spiegò mentre cercava il sito - Gioca una persona che conosco bene-
- E chi?-
- Mio fratello minore-
- Tu hai un fratello?!- strabuzzò gli occhi - Non me lo avevi mai detto! -
 
Shuichi non rispose, era troppo occupato a sintonizzarsi sulla diretta. Quando ci riuscì la partita stava per cominciare, quindi non ci fu tempo di parlare di questo misterioso fratello. Si misero entrambi a guardare con attenzione quel match, ciascuno per i propri motivi. Per lei non fu difficile individuare chi dei due fosse il fratello minore di Shuichi, dato che l’altro giocatore era chiaramente più vecchio. Quando lo inquadrarono in primo piano, avvicinò talmente tanto la faccia allo schermo che sembrava quasi volesse entrarci dentro. Lo fissò a lungo, fino a quando l’inquadratura cambiò.
 
- Che c’è?- le chiese Shuichi.
- Non vi somigliate molto- scosse la testa.
- Mio fratello somiglia di più a nostro padre, io invece a nostra madre- spiegò.
 
Dopo quella breve conversazione tornarono in silenzio a guardare la partita, fino a quando il sonno non venne a farle visita e la sua testa si posò delicatamente sulla spalla del collega. Non si accorse nemmeno quando Shuichi le mise un braccio intorno alle spalle per farla stare più comoda.
 
 
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Quando sentì la testa di Jodie posarsi contro la sua spalla, si girò a guardarla: nonostante fosse rilassata, l’espressione sul suo volto era stanca e triste. In quel momento gli sembrò una bambina indifesa che aveva solo bisogno di credere ancora nella magia del mondo. Forse non era lui la persona più adatta a ridarle la positività, ma voleva comunque aiutarla a suo modo. Sorrise, passandole delicatamente un braccio dietro alle spalle e stando attendo a non svegliarla. La lasciò dormire rannicchiata al suo petto per tutto il tempo della partita, sperando che al suo risveglio si fosse sentita meglio.
Anche quando la partita terminò con la vittoria del fratello, non vi prestò particolare attenzione: era troppo concentrato a trovare la maniera migliore di mettere in atto quel piano che aveva progettato fin dall’inizio, in previsione dell’esito sfavorevole del processo. Perché sì, in cuor suo sapeva già che Jodie non avrebbe ottenuto quello che desiderava al primo tentativo: la strada per chiudere i conti con il passato era ancora lunga.
 
 
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Quando riaprì gli occhi si rese conto che era già mattina. Non aveva nemmeno realizzato di essersi addormentata durante la partita di shoji. Si strofinò gli occhi e cercò vicino al letto, tastando con la mano, il comodino dove dovevano esserci i suoi occhiali. Li mise indosso e cominciò ad osservarsi intorno: fu lì che realizzò di trovarsi nel letto di Shuichi. Trasalì, pensando subito al peggio: forse il Bourbon e la disperazione le avevano dato alla testa e aveva finito col commettere un errore madornale. Alzò le lenzuola per controllare la situazione e realizzò di essere vestita; questo la confortò non poco, smontando la sua tesi di poco prima. Inoltre, Shuichi non si trovava lì accanto a lei.
Si alzò dal letto e si diresse lentamente in cucina, dove lo trovò seduto al tavolo a bere caffè e leggere il giornale. Più che un giovane nei suoi primi trent’anni, le sembrava un uomo alle soglie dell’anzianità coetaneo di James.
 
- Buongiorno- la salutò lui, accortosi della sua presenza - Hai dormito bene?-
- Come mai mi trovo ancora a casa tua e per di più nel tuo letto?- rispose alla sua domanda con un’altra domanda.
- Ieri sera ti sei addormentata di colpo, si vedeva che eri molto stanca e così ti ho lasciata dormire. Mi spiaceva svegliarti- spiegò.
- Ma se io ho dormito nel tuo letto, tu dove hai dormito?- chiese, non ancora del tutto convinta del fatto che non fosse successo niente.
- Ovvio, nel mio letto- replicò senza il minimo imbarazzo.
 
Si sentì avvampare, doveva aver assunto un colore purpureo sul volto. Davvero aveva condiviso lo stesso letto con Shuichi e non se lo ricordava? In ogni caso, poteva (forse) stare tranquilla: Shu non era certo il tipo che avrebbe approfittato di lei in un momento come quello, lo confermava il fatto che si stava divertendo a guardare la sua faccia imbarazzata.
Si avvicinò e si sedette al tavolo, osservando ogni suo movimento mentre le versava una tazza di caffè appena preparato.
 
- Vuoi che prepari qualcosa o preferisci fare colazione in un bar?- le chiese, porgendole la zuccheriera.
- Il caffè è sufficiente, grazie- sorrise in risposta.
 
Aveva ancora lo stomaco chiuso, una notte di sonno non era sufficiente per mandare giù l’amaro sapore della sconfitta. In tutta onestà, non sapeva se sarebbe mai riuscita a mandare giù quel boccone. Forse era questo che aveva provato Shuichi alla morte di Akemi, solo ora riusciva a capirlo con esattezza.
 
- Allora ti riaccompagno a casa, così puoi cambiarti e prepararti per andare al lavoro- interruppe i suoi pensieri il compagno.
- Non credo ci andrò- scosse la testa - Non ne ho la minima voglia-
- Sicuramente si parlerà del processo, James vorrà preparare una nuova strategia- cercò di farle capire che la sua presenza era indispensabile e che non era la sola a desiderare ardentemente la vittoria contro il nemico.
 
In tutta risposta, si limitò a stringere le spalle, come se la cosa non la riguardasse. Sapeva benissimo che anche James desiderava fare giustizia e che di certo non si sarebbe dato per vinto, ma in quel momento James aveva una cosa che lei, invece, aveva perso lungo il cammino: la forza di rialzarsi e combattere.
 
- D’accordo, allora ti riaccompagnerò a casa e resterai lì a riposarti per oggi. Però dovrai telefonare a James per spiegargli come mai oggi sarai assente al lavoro. Ricordati che è il tuo capo oltre che essere preoccupato per te a livello personale- concluse, alzandosi dal tavolo e portando le tazze nel lavello.
- Lo farò- annuì.                                                                          
 
Si alzò anche lei e andò fino al bagno, dove si sciacquò il viso. Restò per qualche istante a fissare la sua immagine riflessa nella specchiera: la totale assenza di trucco, le occhiaie abbozzate e quell’espressione da cane bastonato la rendevano piuttosto sciatta, alla pari di quelle ragazze con cui nessuno vorrebbe uscire. Si era lasciata andare e non riusciva a trovare la motivazione per fare anche solo il minimo sforzo e reagire. Non era certo un atteggiamento da agente dell’FBI, ma quel giorno lei aveva deciso di non essere un agente dell’FBI.
 
- Sei pronta?- sentì la voce di Shuichi fuori dalla porta del bagno.
- Sì, arrivo-
 
Fu così che lasciarono l’appartamento di Akai, dirigendosi verso il suo che si trovava nemmeno troppo distante.
Quando furono arrivati, scese dalla macchina e si girò un’ultima volta verso quello che da sempre considerava il suo angelo custode.
 
- Grazie di tutto Shu. E scusami se sono stata sgradevole ieri fuori dal tribunale- abbassò lo sguardo.
- Non ti abbattere, Jodie. Se persino un agente dell’FBI perde fiducia nella giustizia, il mondo è destinato a crollare-
 
Il vecchio e saggio Akai… aveva sempre la frase giusta al momento giusto. Come ci riuscisse era ancora un mistero, anche dopo tutti quegli anni trascorsi insieme. Si sorrisero a vicenda, senza aggiungere altro. Poi Suichi la salutò con un cennò del capo, alzò il finestrino e partì diretto alla sede dell’FBI.
 
 
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Parcheggiò la macchina, entrò e si diresse con passo tranquillo ma non troppo lento verso l’ufficio di James. Lo trovò, come previsto, alla sua scrivania, intento a leggere fascicoli e scartoffie molto probabilmente legate a Vermouth.
 
- Posso entrare?-
- Oh, Akai, buongiorno. Vieni pure-
- Volevo solo comunicarti che Jodie non verrà al lavoro oggi. Ha detto che ti avrebbe chiamato lei, ma mi riservo il dubbio che possa non farlo-
- Lo immaginavo- rispose semplicemente il suo superiore, togliendosi gli occhiali e stringendosi gli occhi rispettivamente con il pollice e l’indice - Come sta?-
- Ha visto giorni migliori. Il suo umore potrebbe fare concorrenza persino al mio- cercò di sdrammatizzare.
- Non so come comportarmi con lei- ammise James.
- Che ne dici di concedere a Jodie un po’ di ferie? Visto tutto il duro lavoro degli ultimi mesi e lo stress accumulato, forse staccare la spina le farebbe bene- suggerì.
- Potrebbe essere una buona idea- accettò - Vedrò di comunicarglielo stasera o al più tardi domani. Tuttavia non credo che qualche settimana di vacanza basterà a rimettere a posto le cose-
- Ti riferisci a quello che ha detto ieri in tribunale?-
- Non avrei mai creduto di sentirla parlare così… Proprio lei, che voleva essere un agente dell’FBI fin da bambina-
- Non dare troppo peso alle sue parole, in questo momento non è lucida. Dalle tempo e tornerà- lo rassicurò.
- Spero sia come dici tu-
 
Si congedò con un cenno del capo, chiudendosi la porta alle spalle. Fino a quel momento il suo ruolo era stato abbastanza marginale nella preparazione del processo contro Vermouth, il suo compito era stato semplicemente quello di fornire informazioni raccolte durante i suoi anni come infiltrato. D’altra parte non era mai stata Vermouth il suo principale obiettivo, perciò aveva preferito lasciare tutto in mano a Jodie e James. Ora che però il filo che li legava sembrava essersi in qualche modo spezzato, era arrivato il suo turno di entrare in scena. Anche se quella donna non era il suo obiettivo, era pur sempre l’ultimo tassello che restava di quell’Organizzazione che gli aveva portato via un padre e che aveva costretto la sua famiglia a nascondersi. Era arrivata l’ora di chiudere i conti una volta per tutte.
Ignorando anche il povero Camel che lo chiamava dal corridoio per salutarlo, si diresse nell’archivio, l’unico posto dove era possibile fare una telefonata senza che troppe orecchie sentissero. Cercò il numero in rubrica, premette il tasto verde e attese in linea.
 
- Pronto?- rispose infine la voce dall’altro capo.
- So che ti sembrerà strano, ma avrei bisogno del tuo aiuto. O meglio è Jodie quella che ne ha bisogno. Te la senti di darmi una mano?-
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Ciao a tutti! Spero vi ricordiate ancora di me, è passato quasi un anno dall’ultima volta che ho postato un capitolo di questa storia (e che ho pubblicato storie in generale)! Mi scuso per l’enorme ritardo e per essere sparita, ma purtroppo tra lavoro, fidanzato, mancanza di voglia e ispirazione e tante altre cose, non ho avuto modo di pubblicare prima. Non so se riuscirò a postare un altro capitolo in tempi più brevi, non mi sento di promettere nulla, ma spero che ci sia ancora qualcuno che si ricorderà e leggerà la mia storia.
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va!
Grazie a tutti! ♥
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Capitolo 21
*** Capitolo 21: La prova ***


Capitolo 21: La prova
 
 
Quelle tre settimane di vacanza non erano di certo servite a farle accettare ciò che era successo. Le aveva trascorse restando per lo più in casa, concedendosi solo qualche uscita al cinema di tanto in tanto ma trovando tutti i film di qualità scadente (o forse era il suo umore ad averglieli fatti sembrare così). Non c’era nulla che le andasse realmente di fare, si sentiva demotivata e incapace di rialzarsi. Quel processo era stata quella che si poteva definire la più grande delusione della sua esistenza.
Nonostante i pochi amici che aveva le avessero chiesto di uscire o cercato in tutti i modi di tirarle su il morale, lei aveva sempre declinato gli inviti. L’unica compagnia che si era concessa era stata quella di Shuichi. Nonostante avesse continuato a ripetergli di non preoccuparsi, lui era andato a trovarla imperterrito quasi ogni sera dopo il lavoro, trattenendosi a casa sua per ore. Non riusciva a capire il motivo di tanto interesse, Shuichi era uno che senza dubbio si preoccupava per gli altri, ma non in modo così esplicito. La stupiva vederlo così vicino, specie dopo i discorsi che avevano affrontato mesi prima in Giappone e sui quali poi non erano più tornati. Fra loro la situazione era rimasta invariata, erano sempre due ex fidanzati, due presunti amici e due colleghi di lavoro. Anche quella sera, come le precedenti, era andato da lei.
Erano erano seduti sul divano e stavano bevendo un bicchiere di Sherry, quando la sua domanda improvvisa le rese finalmente chiaro il motivo per cui in quelle settimane le era stato così tanto addosso.
 
- Credi ancora nella giustizia?-
 
Quella domanda era chiaramente riferita a ciò che aveva detto in tribunale dopo la sentenza. Dunque era preoccupato che lei potesse veramente non credere più a quei principi che sono fondamentali per un agente dell’FBI.
 
- Solo il tempo potrà dirlo. In questo momento non saprei rispondere alla tua domanda- gli rispose in tutta sincerità.
 
Furono interrotti dal cellulare di Shuichi, che prese a suonare all’improvviso. Le sembrò di vedere un’espressione strana sul suo volto quando lesse il nome sul display, ma non seppe dire con certezza se era stato solo il frutto della sua immaginazione.
 
- Scusa, devo rispondere- si alzò dal divano, dirigendosi verso il bagno e chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Anche quel gesto le sembrò strano, doveva essere una conversazione davvero privata se non voleva nemmeno che la sentisse. Ma si disse che in fondo lui era fatto così, si impicciava degli affari altrui ma non voleva che nessuno sapesse nulla di lui.
Rimase seduta sul divano a sorseggiare il suo Sherry, fino a quando pochi minuti dopo Shuichi riapparve nel salotto con un lieve sorriso sulle labbra, particolare che non le sfuggì.
 
- È successo qualcosa?- gli chiese.
- Sì, ho ricevuto una bella notizia che stavo aspettando da un po’- si sedette nuovamente sul divano.
- Davvero? E quale?- si incuriosì.
- Riguarda la mia famiglia- rispose vago.
 
Come solito, impossibile cavargli una parola di più dalla bocca. Appoggiò la schiena contro il divano, riflettendo sul fatto che anche quando stavano insieme Shuichi non le aveva mai parlato più di tanto della sua famiglia. Sapeva che aveva un fratello minore e una sorellina, che avevano origini britanniche ma nulla più di questo. Le sarebbe piaciuto molto conoscere tutti quanti, capire da chi avesse preso quel caratteraccio e soprattutto godersi per un attimo la fugace felicità di ritrovarsi in quella famiglia numerosa che lei aveva sempre desiderato ma che purtroppo non aveva mai potuto avere.
La voce di Shuichi la riportò alla realtà.
 
- Ti senti pronta a tornare al lavoro domani?-
- Sinceramente? No, non credo di farcela ad affrontare di nuovo tutto da capo. Ma devo tornare, che mi piaccia o no- chiuse gli occhi.
- Vedrai che questa volta andrà meglio- cercò di rassicurarla - Cercherò di dare anche io il mio contributo-
 
Doveva ammettere di essere un po’ scettica su questa sua ultima affermazione: cosa poteva sapere Shuichi di più di quello che non sapevano già tutti su Vermouth? Anche se era stato un infiltrato nell’Organizzazione, non aveva mai scoperto nulla che potesse realmente incastrare Vermouth. Tuttavia era dolce che si stesse impegnando per aiutarla, apprezzava il suo sforzo.
 
- Grazie- gli sorrise.
- Adesso devo andare- si alzò dal divano, posando il suo bicchiere vuoto sul tavolino - Ci vediamo domani al lavoro-
- D’accordo- annuì.
 
Lo accompagnò fino alla porta e rimase sullo stipite ad osservarlo fino a quando non lo vide sparire dentro l’ascensore. Poi tornò in casa e andò subito a coricarsi, nella speranza di riuscire a dormire sufficientemente bene per affrontare il suo ritorno a quel lavoro per cui, al momento, nutriva sentimenti contrastanti.
 
 
…………………
 
 
Quando la porta dell’ascensore si chiuse e fu certo di essere lontano dagli occhi e dalle orecchie di Jodie,
prese il telefono dalla tasca della giacca, controllò velocemente l’ora e poi cercò il numero nella rubrica. Pochi minuti dopo sentì la voce dall’altro capo.
 
- Pronto, Akai-san? Tutto bene?-
- Ciao giovane Holmes, scusami se ti disturbo mentre sei a scuola ma mi ha chiamato Shiho poco fa. Ha detto che ha funzionato-
- Dice sul serio? Così in fretta?!- si stupì il ragazzo.
- Sono sorpreso anche io, ma a quanto pare aveva ancora fresca in memoria la formula per ricreare il farmaco-
- Se ci avesse messo lo stesso tempo per ricordarsi anche quella per l’antidoto definitivo mi sarei risparmiato un sacco di rogne!- si lamentò.
- Ma forse non saresti qui a raccontarle- sorrise - Ad ogni modo ora abbiamo la prova che serviva, ma oltre a quella è bene avere più testimonianze possibili, perciò tieniti pronto a volare a New York. Ti terrò informato sulla data del processo-
- D’accordo, aspetto sue notizie allora-
- Molto bene, a presto ragazzino- si preparò a chiudere quella telefonata.
- Aspetti…- lo fermò - La professoressa Jodie come sta?- chiese, facendosi serio.
- Credo starà bene solo quando avrà ottenuto la giustizia che desidera- disse, senza aggiungere altro, certo che il ragazzino avrebbe capito.
- Mi spiace- sospirò.
- Non preoccuparti, vedrai che riusciremo a farla stare meglio-
- Lo spero-
 
Quando chiuse la telefonata con il suo amico detective era ormai arrivato alla macchina, salì a bordo e si allacciò la cintura. Prima di mettere in moto, però, cercò un altro numero nella rubrica e si preparò a fare un’altra chiamata.
 
- A cosa devo l’onore di questa telefonata?- rispose piccata la voce femminile dall’altro lato.
- Pensavo fossi felice di sentire tuo figlio- replicò.
- Sarei felice se si facesse sentire più spesso!- lo rimproverò, come se fosse ancora un ragazzino delle medie.
- Lo sai che sono sempre molto occupato- si giustificò - E a proposito di questo, avrei bisogno del tuo aiuto-
- Mi telefoni solo per chiedermi favori?-
- È importante-
- Di che si tratta?-
- Avrei bisogno che testimoniassi a un processo. Riguarda l’Organizzazione… -
- Spiegati meglio- si fece seria.
- Il processo che è stato fatto a Vermouth un mese fa non è andato come sperato. La giuria non ha creduto del tutto alla storia del farmaco che fa regredire l’età fisica di una persona. D’altra parte, non posso biasimarli. Il risultato è che Vermouth è ancora dietro alle sbarre ma senza una vera e propria sentenza, quindi dovremo prendere parte ad un nuovo processo. Una mia collega non l’ha presa bene, dal momento che Vermouth è da anni la sua nemica giurata, quindi sto cercando di raccogliere più prove e informazioni di quelle che avevamo nel primo processo. Stavolta non possiamo permetterci di sbagliare. Dal momento che anche tu hai un conto in sospeso con Vermouth, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere contribuire alle testimonianze- concluse.
- “Piacere” è un termine che non si addice al mio pensiero su quell’Organizzazione… Cosa dovrei fare?- chiese.
- Semplicemente raccontare la verità, cioè che Vermouth ti ha costretta a ingerire un farmaco che ti aveva fatta ritornare all’età di una ragazzina delle medie. Se riuscissi a procurarti anche qualche foto recente di quando eri ancora nel corpo di una teenager sarebbe meglio, possibilmente con la data dello scatto per evitare che si possa pensare a una foto vecchia di quando eri davvero una studentessa delle medie-
- Perché dovrei farlo, Shuichi? Perchè dovrei mettere di nuovo in pericolo la nostra famiglia esponendomi in questo modo? Chi mi garantisce che là fuori non ci sia ancora qualcuno di loro a piede libero pronto a ridarci la caccia? Proprio ora che abbiamo ritrovato tuo padre, che Masumi può avere un padre!- il tono della sua voce si alterò, segno che la richiesta non le era andata a genio.
 
Era comprensibile che dopo tutto quello che avevano passato sua madre desiderasse solo godersi la loro famiglia finalmente riunita. Anche lei, come tutti loro, era stanca di essere coinvolta in quelle vicende e di vivere nascondendosi con la paura di essere ritrovata. Ma questo non era il momento di avere paura, questo era il momento di giocarsi il tutto per tutto. Dovevano vincere quella partita, a tutti i costi.
 
- Vorresti dirmi che un agente dell’MI6 ha paura di esporsi per assicurare un criminale alla giustizia?- la provocò.
- Questo non ha nulla a che vedere con il mio lavoro!-
- E invece ha a che vedere eccome. Anche tu eri sulle loro tracce, anche tu hai vissuto sulla tua pelle la loro crudeltà e hai desiderato metterli dietro alle sbarre per vendicare papà quando credevamo che fosse morto-
 
Stava cercando in tutti i modi di far leva sui suoi punti deboli, di rigirare il coltello nelle ferite per costringerla a reagire. Voleva indurla a fare esattamente ciò che lui voleva. Probabilmente lo aveva capito anche lei, d’altra parte si somigliavano fin troppo. Sapeva che davanti all’argomento Tsutomu, sua madre indeboliva la corazza. Amava troppo suo marito per restare indifferente.
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte del telefono, nessuna replica. Forse aveva fatto centro.
 
- Ti sto solo chiedendo di fare la cosa giusta, anche se il prezzo da pagare ti sembra alto. In questo momento una donna sta provando ciò che hai provato tu: vorrebbe giustizia per la morte di una persona che amava ma non riesce ad ottenerla perché non ha delle prove abbastanza convincenti per far giustiziare chi l’ha privata della sua felicità. Solo che tu hai riavuto indietro tuo marito, lei non potrà in alcun modo riavere il padre che Vermouth le ha portato via. Tutto ciò che le resta è la speranza di fare giustizia, ma la sta perdendo- fece una pausa - Inoltre, direi che me lo devi, dopotutto-
- Ho capito, basta così- lo interruppe- Farò quello che mi hai chiesto, ma se dovesse succedere qualcosa sappi che sarai ritenuto responsabile. E piantala di avercela con me per quella storia!-
- Mi assumerò le mie responsabilità- sorrise, orgoglioso di aver ottenuto (come sempre) ciò che voleva.
- Ti sta così a cuore questa donna? È la tua fidanzata?-
- Questo non c’entra con il processo- la liquidò.
- Ma tu guarda che figlio ingrato, mi chiede favori e poi non risponde nemmeno alle mie domande!- si lamentò.
- Adesso devo andare, ti farò sapere la data del processo in modo che tu possa organizzarti per venire in America. A presto mamma- chiuse la telefonata.
 
 
…………………
 
 
Camminava lungo il corridoio sorseggiando una lattina di caffè nero che aveva appena preso al distributore e ricambiando il saluto di alcuni colleghi, diretto verso l’ufficio del suo capo. James era l’ultima persona rimasta a cui dare la buona notizia, dopo tutte le telefonate della sera prima.
Bussò alla porta e attese che lo invitasse a entrare.
 
- Akai, entra pure-
- Buongiorno James, ti porto buone notizie- arrivò dritto al punto.
- Ah sì? A proposito di cosa?-
- Del processo a Vermouth-
- Quali notizie?- allargò di poco gli occhi, sorpreso da quella rivelazione.
- Ho raccolto delle prove inconfutabili, stavolta quell’avvocato da quattro soldi non la farà franca- sorrise beffardo - Quindi puoi procedere a fissare la data del processo-
 
James rimase a fissarlo per qualche secondo a bocca aperta, non sapendo cosa dire. Era ovvio che fra tutte le notizie che avrebbe potuto dargli, quella sarebbe stata l’ultima che avesse potuto immaginare. In fondo si era mosso nell’ombra, come faceva sempre, senza mettere al corrente nessuno delle su ricerche. Sapeva che questo suo lato da lupo solitario a volte infastidiva James, ma sapeva anche che l’uomo riponeva in lui la sua più totale fiducia.
 
- Non immaginavo che stessi raccogliendo anche tu delle prove- ammise - Puoi mostrarmele?-
- Mi piacerebbe, ma purtroppo al momento non le ho ancora fra le mani. Le porteranno direttamente le persone a cui le ho chieste quando verranno in America per il processo- concluse.
- Perdonami Akai, ma come posso fissare un processo senza prima aver visto le prove di cui parli?- chiese dubbioso.
- Le fonti sono attendibili, ci possiamo fidare al cento per cento- lo rassicurò.
- E posso sapere chi sarebbero queste persone?-
- Le conosci molto bene anche tu: il nostro giovane detective, la ragazzina scienziata e mia madre-
- Beh, un cast notevole… ma sei davvero sicuro che funzionerà? Ti ricordo che non possiamo permetterci di sbagliare di nuovo-
 
Sorrise, comprendendo che la sua preoccupazione non era tanto per la reputazione dell’FBI se fosse uscita sconfitta da due processi consecutivi, quanto per Jodie, che per lui era come una figlia. In quelle settimane aveva sofferto con lei, anche se erano stati lontani. Sapeva che le aveva telefonato spesso e qualche volta era anche andato a trovarla, nella speranza di vederla stare meglio.
 
- Hai la mia parola che questa volta non falliremo- lo fissò dritto negli occhi.
 
La loro conversazione fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta dell’ufficio. Dalla porta semiaperta fece capolino la testa di Jodie.
 
- Disturbo?- chiese.
- Certo che no, bentornata!- l’accolse calorosamente James, sorridendole e alzandosi in piedi.
 
In tutta risposta Jodie si sforzò di sorridere, ma il suo disagio era evidente. Probabilmente avrebbe voluto essere in qualsiasi posto tranne che in quello. Tutto intorno a lei doveva ricordarle quel fallimento.
 
- Arrivi proprio al momento giusto, abbiamo ottime notizie!- cercò di risollevarla, utilizzando la carta che lui aveva appena messo sul tavolo.
- Cioè?- si limitò a rispondere lei, aggrottando la fronte.
- Akai ha trovato delle prove aggiuntive per sostenere la teoria della pillola che ringiovanisce-
 
La vide spostare lo sguardo su di lui, fissandolo dubbiosa. In condizioni normali si sarebbe fidata ciecamente di lui, ma in quel momento Jodie non riusciva ad avere fiducia nemmeno in se stessa.
 
- Quanto è passato dal processo? Un mese? Poco più? Come pensate che delle prove trovate in così poco tempo possano essere la chiave per la vittoria?- chiese scettica, incrociando le braccia al petto - Specie se consideriamo che le prove di cui disponevamo ci avevamo impiegato anni a raccoglierle. Siamo onesti, probabilmente non abbiamo alcuna possibilità di vincere. Se non avessi vissuto questa storia in prima persona, probabilmente nemmeno io credei alla storiella della pillola miracolosa-
 
Bastarono quelle parole a spegnere l’entusiasmo di James, che abbassò il capo come un cane bastonato. Provò pena per lui, perché si stava sforzando più che poteva di far felice quella bambina capricciosa che aveva cresciuto al posto del suo amico defunto. Anche lui voleva giustizia per il padre di Jodie, ma non sapeva come fare. E ora doveva anche occuparsi di recuperare Jodie da quel baratro in cui era caduta.
 
- Abbi fiducia Jodie, i miei piani funzionano sempre e lo sai- intervenne in aiuto del suo capo - Non dovresti avere quell’atteggiamento negativo, altrimenti sarai la prima a far fallire la nostra seconda occasione-
 
Non aveva moderato troppo le parole, ma d’altra parte non era solito farlo. Lui diceva quello che pensava, quello che riteneva giusto. Poteva comprendere il dolore di Jodie, ma non giustificava il suo atteggiamento. Presa com’era a piangersi addosso, non si rendeva nemmeno conto di quanto stesse soffrendo James.
Vide l’espressione sul suo volto cambiare, lo scetticismo aveva lasciato spazio alla rabbia. Probabilmente si sentiva come se nessuno la capisse davvero. Ma a lui non importava, voleva solo farle capire che stava sbagliando.
 
- Che atteggiamento dovrei avere?!- si alterò, alzando i toni.
- Quello di una che ha fiducia nei suoi colleghi-
- Oh, ma io mi fido di voi: è la giuria che pensa che siamo tutti dei visionari che credono che la gente rimpicciolisca con una pillola! Perché non vai a dirlo a loro di avere fiducia nelle tue prove?!-
- Su su, adesso calmatevi tutti e due- cercò di riappacificare gli animi James.
- Vado alla mia scrivania- concluse stizzita.
 
Voltò loro le spalle e uscì a grandi passi dall’ufficio, ignorando completamente il povero Camel che cercava di salutarla.
 
 
……………………
 
 
Si erano riuniti tutti nel suo appartamento, che forse era un po’ troppo piccolo per ospitare così tanta gente. Stavano seduti in cerchio intorno a un tavolino, dove avevano posizionato tutto il materiale da visionare. Erano trascorse tre settimane da quando li aveva chiamati e ora, finalmente, poteva stringere le prove fra le sue mani. Il processo era stato fissato per la settimana successiva, quindi il tempo a loro disposizione era poco.
Sua madre stava mostrando delle foto scattate quando ancora, sotto l’effetto del farmaco, aveva l’aspetto di una ragazzina delle medie. Sulle foto apparivano data e ora, come le aveva chiesto. Si augurò che il fatto di essere un agente dell’MI6 giovasse a suo favore, aiutandola a sembrare più credibile.
Fu poi il turno di Shinichi e Shiho, anche loro con delle foto di quando erano Conan e Ai. Ma in realtà era proprio Shiho ad avere la prova più schiacciante di tutte, racchiusa in quella piccola chiavetta USB al centro del tavolo. La inserì nel PC e aprì il file video contenuto al suo interno, mentre gli occhi di tutti erano fissati sullo schermo, impazienti di sapere.
Il video era stato girato con una telecamera che riportava data e ora fisse e ritraeva in primo piano sette topi, tutti delle stesse dimensioni, chiusi in una gabbia. Diversi secondi  dopo si vedeva Shiho somministrare loro qualcosa, una pillola metà rossa e metà bianca. Nel giro di pochi minuti, sei dei sette topi a cui era stata data la pillola erano visibilmente morti, stesi con le zampine rannicchiate e senza più dar segni di vita. Il settimo, invece, era ancora vivo e vegeto e si muoveva tra i corpi senza vita dei suoi simili. Ma la cosa più sorprendente era che le dimensioni di quest’ultimo erano notevolmente diminuite. Se non fosse stato per la data, l’ora e il timer con il tempo che scorreva, si sarebbe potuto pensare che qualcuno avesse sostituito il topo con uno più piccolo. Sorrise soddisfatto, interrompendo il filmato, mentre gli altri non sembravano nemmeno più tanto stupiti dalla cosa. Era comprensibile, d’altra parte tre di loro avevano vissuto quella metamorfosi in prima persona.
 
- Ottimo, direi che questa è la prova decisiva-
- Come fai a essere sicuro che funzioni?- chiese Shiho - Voglio dire, pensi che la gente crederà e basta a questo video oppure che cercherà di trovare una spiegazione più facile, come per esempio accusarci di aver falsificato data e ora del filmato e di aver sostituito il topo nella gabbia con uno più piccolo?-
- Certo che tu e Jodie siete proprio due gocce d’acqua- si lasciò sfuggire a bassa voce, ma non così bassa da impedire a tutti di sentire - In quel caso tieniti pronta a sostenere la tua tesi con tutti i mezzi possibili-
- La fai facile tu, ma la mia posizione non è delle migliori. Ti ricordo che durante il processo verrà fuori che sono stata anche io un membro dell’Organizzazione e per di più l’ideatrice di quel farmaco. Pensi che la gente avrà così tanta fiducia in me dopo questo?-
- Sì, però è anche vero che alla fine hai voltato le spalle all’Organizzazione e ti sei alleata dalla parte giusta- intervenne Shinichi - Forse sottolineare la tua “redenzione” potrebbe aiutare a non metterti in cattiva luce per via del tuo passato-
- Se è per questo allora anche mia sorella, tua madre, è stata un membro dell’Organizzazione prima di te, quindi anche io sono un’agente dell MI6 con una sorella coinvolta- prese la parola Mary, che fino a quel momento era rimasta in silenzio - Penso che nessuna delle nostre posizioni sia facile-
 
Shiho la fissò, stringendosi nelle spalle: probabilmente non si era ancora abituata a quella nuova zia acquisita. Molte cose erano cambiate durante i sei mesi trascorsi da quando l’FBI aveva lasciato il Giappone. Mary aveva voluto incontrarla e lei ne aveva avuto timore. Più che comprensibile, dal momento che l’aura che emanava sua madre era ancor più spaventosa di quella che emanava lui. non era certo il ritratto vivente della dolce mammina pronta a farti le coccole. Era più probabile ricevere pugni e parole dure.
Non aveva capito perché volesse vederla, ormai la storia dell’Organizzazione era morta e sepolta. Alla fine aveva accettato, venendo così a conoscenza del fatto che Mary era la sorella di sua madre, nonché sua zia. Questo significava che aveva una parentela diretta con la loro famiglia e che, di conseguenza, lui era suo cugino. La cosa l’aveva sconvolta a tal punto da fuggire nel bel mezzo della conversazione e rifugiarsi a casa del giovane detective.
Per giorni era stata preda di sentimenti contrastanti, da un lato la rabbia e dall’altro la curiosità di conoscere le uniche persone al mondo ancora vive che facevano effettivamente parte del suo albero genealogico. Ormai si era abituata a considerare il Dottor Agasa come la sua famiglia, anche se fra loro non c’erano legami di sangue. Però doveva ammettere che quella zia sbucata fuori dal nulla le aveva fatto venire la curiosità di conoscere più cose su quella madre che non era riuscita ad avere. Così, spinta anche da Shinichi, aveva messo da parte la rabbia e aveva ricontattato Mary, stavolta fermandosi a parlare con lei senza fuggire. Di certo non era la zia premurosa e dolce che tutti vorrebbero, era una donna fredda degna del figlio maggiore che aveva partorito, tuttavia non poteva dire che le sembrasse una cattiva persona. Forse per certi versi le somigliava anche.
Aveva poi telefonato a lui, per sapere cosa ne pensasse di tutta quella storia. Lui non aveva potuto far altro che esprimere il suo disappunto, non tanto per il fatto che la madre gli avesse tenuto nascosto una sorella e delle cugine per tutti questi anni, quanto perché non riusciva proprio ad accettare l’idea che la donna per cui stava ancora consumando il suo lutto fosse in realtà sua cugina. In Giappone non ci sarebbe stato nulla di male in questo, ma l’essere cresciuto in Inghilterra aveva fatto sì che la sua mentalità fosse quella di un occidentale.
Si era arrabbiato talmente tanto da non aver più chiamato sua madre per un interno mese. Poi, poco a poco, gli animi si erano calmati e adesso tutti stavano facendo del loro meglio per riunire quella famiglia separata da troppo tempo.
Tsutomu si era dimostrato quello più affettuoso di tutti con Shiho e felice di aver acquisito una nipote, se si escludeva Masumi che la abbracciava in continuazione come faceva con qualsiasi altro essere vivente.


- Piuttosto, perché Jodie non c’è? Questo processo riguarda lei più di tutti noi- chiese Shiho, cercando di cambiare discorso.
- Credo sia meglio non sovraccaricarla troppo e lasciarla tranquilla il più possibile. Jodie non si è ancora ripresa dal precedente processo, è molto suscettibile e si innervosisce facilmente se si tocca l’argomento. Vorrei non dirle nulla di voi e di queste prove fino al giorno del processo- spiegò.
- La vuoi tenere all’oscuro?!- disapprovò.
- Pensa a come sarà sorpresa e felice di vedere che tu e il giovane detective siete venuti ad aiutarla-
- Ti ricordo che non è la festa per il suo compleanno, è un processo in cui verrà giudicata l’assassina di suo padre-
- Lo so bene, per questo conto sulla collaborazione di tutti voi-

Discussero sulla strategia da adottare per i successivi venti minuti, poi gli ospiti si congedarono. Li accompagnò alla porta e ricordò loro la data e l’ora in cui si sarebbero dovuti presentare in tribunale.
Quando gli altri si allontanarono verso l’ascensore, Shiho rimase lì sulla porta a fissarlo.
 
- Ancora nessun progresso con Jodie a quanto vedo. Stai aspettando la vecchiaia?-
 
Sorrise, aspettandosi la solita predica che aveva continuato a fargli anche al telefono.
 
- Direi che questo non è il momento per parlare di relazioni e questi ultimi mesi  ci hanno visti occupati a concentrarci su altro- si giustificò.
- Se vuoi raccontarti queste balle fa’ pure, ma con me non attacca. Tua sorella continua a dire ai tuoi che Jodie è la tua ragazza, quindi faresti meglio a prepararti perché quando la incontreranno potrebbe essere un tantino imbarazzante…- lo mise in guardia, per poi muovere qualche passo e allontanarsi per raggiungere gli altri che la stavano aspettando.
- Sopravviverò- rispose semplicemente.
- Sul serio, piantala di temporeggiare. Guarda che presto arriverà qualcuno a soffiartela-
 
Chiuse gli occhi per qualche secondo, riflettendo su quelle ultime parole. Poi li riaprì e chiuse la porta, rientrando nel suo appartamento. Quella ragazzina saccente aveva ragione, Jodie non lo avrebbe aspettato in eterno, non era giusto. Ma non era nemmeno giusto che lui si sforzasse di cominciare una nuova relazione quando era ancora attanagliato dai fantasmi di quella vecchia. E poi c’era il processo, il cui risultato avrebbe segnato per sempre, nel bene o nel male, il destino di Jodie.
Adesso non era tempo di essere il suo uomo. Adesso doveva essere il suo eroe. Questo almeno poteva farlo e sapeva di poterlo fare meglio di chiunque altro.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questa storia procede a rilento e forse chi di voi la leggeva se ne sarà anche dimenticato! Io però vorrei davvero finirla, anche se il blocco dello scrittore non vuole lasciarmi!
Dal momento che è passato tanto tempo da quando ho iniziato questa storia e nel frattempo il manga è andato avanti e ha svelato cose nuove, ho dovuto fare degli adattamenti che inizialmente non erano previsti, come la conferma che Mary è sorella di Elena. Ecco il motivo per cui non ho sviluppato questa cosa nei precedenti capitoli. Ho cercato di inserirla in questo con un effetto “sorpresa”, spero che non sia uscita una schifezza.
Nel prossimo capitolo avrà inizio il secondo processo a Vermouth, che però sarà ovviamente diverso dal primo.
Come sempre fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate!
Baci
Place
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22: Un prodigio in aula ***


Capitolo 22: Un prodigio in aula
 
 
 
Alle otto in punto si trovavano già in tribunale, pronti per entrare in aula. Lei, James, Shuichi e Camel erano seduti appena fuori dalla porta, chiusi in un silenzio quasi religioso. Si rese conto che stava agitando nervosamente una gamba, forse più del dovuto: era visibilmente in ansia e sentire gli sguardi dei suoi colleghi puntati addosso non la aiutava di certo. Probabilmente dovevano essersene accorti anche loro. Tutto intorno a lei la rendeva terribilmente inquieta, quasi infastidita.
Come per il precedente processo, Vermouth aveva scelto di farsi difendere dallo stesso, presuntuoso avvocato: comprensibile, dal momento che le aveva permesso di temporeggiare la sua condanna ufficiale. Forse questa volta sperava addirittura di farla franca e forse ci sarebbe anche riuscita. Questa era la sua più grande paura. Se si fosse avverata, non avrebbe avuto davvero più nulla in cui credere.
Il pubblico ministero aveva convocato una nuova giuria, come da prassi: non era infatti possibile riavere la stessa giuria del precedente processo, ma forse questo era un bene. Si augurava che queste persone fossero più propense delle precedenti a credere alla storia del farmaco dalle proprietà ringiovanenti.
Il suo flusso di pensieri fu distratto dall’arrivo di Hidemi, che li salutò e si sedette di fianco a loro, restando poi in silenzio. L’atmosfera era pesante, si leggeva la preoccupazione sulle facce di tutti: fu in quel momento che realizzò di non essere la sola ad avere paura o ad essere rimasta delusa dallo scorso processo. Tutti loro volevano la stessa cosa.
Mentre rimuginava su tutto ciò, dalla porta di ingresso entrò un gruppo di persone. Quando furono abbastanza vicine da riconoscerne i volti, restò senza parole. Nessuno disse nulla, due di loro si limitarono a sorriderle.
 
- Cool Guy…Shiho…- riuscì solo a dire in tono flebile, colta dall’emozione.
- Da quanto tempo , Jodie-sensei -  la salutò Shinichi.
- Non potevamo mancare- aggiunse Shiho.
 
Dietro di loro il resto del gruppo attendeva il proprio turno dei saluti, non volendo risultare troppo invadenti. I coniugi Kudo, i genitori di Shuichi e la sua sorellina. Pensò che non aveva avuto occasione di conoscere bene questi ultimi, anche se le sarebbe piaciuto conoscere a fondo le origini dell’uomo che amava.
Si alzò dalla sedia, animata da una sconosciuta forza interiore che si svegliava in lei ogni volta che vedeva quei due ragazzi.
 
- Come state?- li abbracciò entrambi, prima l’una e poi l’altro.
- Non c’è male e Lei?- rispose il giovane detective.
- Ancora con questo “Lei”?- lo rimproverò.
- Perdonalo, è un vecchio noioso e abitudinario nel corpo di un diciassettenne- non mancò di ironizzare Shiho.
- Senti chi parla!- replicò lui, borbottando e storcendo le labbra.
- Ma siete davvero venuti fino a qui solo per assistere al processo?- chiese incredula.
- Ti sbagli- sentì la voce di Akai dietro le sue spalle - Loro sono gli ospiti d’onore del processo-
 
Non ci fu il tempo di ulteriori spiegazioni e presentazioni, la porta dell’aula si aprì e vennero chiamati ad entrare. Mentre percorreva quei pochi metri per andare a sedersi al suo posto, fece scorrere lo sguardo sui volti di tutti e dodici i nuovi giurati, come se solo guardandoli negli occhi potesse capire se avrebbero creduto alla loro versione o a quella di Vermouth.
Sharon era seduta allo stesso posto della scorsa volta, dal lato opposto al suo. Era come se fossero tornati indietro a quel giorno di due mesi prima, come se il tempo fosse andato a ritroso per darle una seconda e ultima opportunità di realizzare l’obiettivo per cui aveva lavorato una vita. La consapevolezza di poter ottenere da un lato tutto ciò che aveva sempre voluto, ma dall’altro di poter perdere tutto con la stessa facilità non fece che accrescere quella morsa nello stomaco che dal giorno della sentenza non l’aveva mai abbandonata.
Si sedette nei posti in prima fila, insieme a James, Kir e stavolta anche Akai, che si mise accanto a lei. Con suo grande stupore, Shiho, Shinichi e la madre di Shuichi si misero subito dietro di loro in seconda fila. Di solito le prime file erano destinate ai testimoni. Guardò Akai in cerca di spiegazioni, ma tutto quello che ottenne, come la volta precedente, fu un mezzo sorrisetto di incoraggiamento. Sembrava calmo, come se nulla lo toccasse in quel momento, come se avesse la certezza assoluta di avere già la vittoria in pugno.
Si accorse che Vermouth li stava guardando uno ad uno sorridendo, divertita. Digrignò i denti, trattenendosi dall’alzarsi in piedi e andare a sferrarle un pugno in piena faccia. Si ricompose quando vide il giudice entrare, prendere posto e sancire l’inizio del processo con il colpo di martello.
Tutto si svolse come nel processo precedente: lei, James e Hidemi furono chiamati uno dopo l’altro a testimoniare, ripetendo niente di meno di quanto non avevano già detto in precedenza. Questa volta cercò di non innervosirsi troppo davanti alle domande trabocchetto di quell’azzeccagarbugli da quattro soldi che cercava di difendere l’indifendibile attrice corrotta. L’unica carta in più che l’FBI aveva messo sul tavolo in questo secondo round era la testimonianza di Shuichi. Quando il giudice chiamò il suo nome, si alzò e andò a sedersi al banco dei testimoni, il tutto con una tranquillità invidiabile.
 
- Giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- fece la domanda di rito il giudice.
- Lo giuro- rispose.
L’avvocato del pubblico ministero cominciò ad interrogarlo, tenendo in mano il fascicolo con le sue informazioni.
- Signor Akai, qui c’è scritto che Lei è stato per ben tre anni un infiltrato nell’Organizzazione di cui la Signorina Vineyard faceva parte, sotto il nome in codice di Rye e l’alias Dai Moroboshi, è corretto? -
- Confermo-
- Immagino che questo le abbia dato la possibilità di vedere da vicino l’operato della Signorina Vineyard. Può raccontarcelo?-
- Non collaboravo strettamente con Vermouth, diciamo che a lei è sempre piaciuto muoversi da sola. Sapeva di poterlo fare, visto che era la favorita del Boss, ma gli altri membri dell’Organizzazione non la vedevano di buon occhio per questo motivo. Posso solo dire che sia una donna tanto affascinante quanto spietata, una autentica mela marcia-
 
L’avvocato difensore tentò subito di mettere i bastoni tra le ruote, come del resto tutti si aspettavano.
 
- Obiezione: il testimone sta usando nomignoli diffamanti nei confronti della mia assistita-
- Obiezione respinta- disse il giudice -Prego, proceda-
- Nei suoi anni da infiltrato nell’Organizzazione, ha mai visto coi suoi occhi il processo di realizzazione di questo farmaco che avrebbe proprietà ringiovanenti? Ha mai visto qualcuno assumerlo e rimpicciolire davanti ai suoi occhi?-
- Purtroppo no, ho scoperto di questo farmaco solo due anni dopo aver lasciato l’Organizzazione - ammise - Ma nell’ultimo anno ho incontrato diverse persone che sono state vittime di quel farmaco-
- Come può essere certo che queste persone avessero realmente ingerito il farmaco?-
- Perché erano tutte persone che avevo già incontrato in passato, solo con un’età biologica differente. Se dieci anni fa avessi incontrato un bambino di sei, sette anni, oggi quel bambino dovrebbe  essere un ragazzo di circa diciassette anni. Invece un anno fa ho incontrato di nuovo lo stesso bambino e sono rimasto alquanto sorpreso di vedere che aveva ancora sette anni. Peter Pan esiste solo nelle favole, giusto?-
 
Si udirono distintamente dei mormorii di stupore tra i giurati e anche fra chi stava assistendo al processo. Akai era uno che sapeva parlare oltre che agire, in certi casi sarebbe persino riuscito a vendere ghiaccioli al Polo Nord. Il che era un bene in una situazione come quella.
 
- Ha la certezza assoluta che il bambino sia davvero lo stesso e non un altro che gli somigliava?-
- Beh, un conto è assomigliare e un conto è essere due gocce d’acqua. Senza contare che quel bambino, oggi, è qui seduto ad assistere al processo- dichiarò, rivolgendo lo sguardo al suo giovane amico seduto nei banchi poco lontano da lui.
 
Automaticamente, tutti iniziarono a guardarsi intorno alla ricerca del fantomatico bambino, compreso l’avvocato del pubblico ministero, ma alla fine si sentirono più confusi di prima non trovando nessuna traccia di quello che stavano cercando. Solo coloro che sapevano si guardarono gli uni con gli altri sorridendo. Akai era come sempre una carta vincente sul tavolo. Adesso cominciava a capire perché il ragazzino sveglio e Shiho fossero volati fin lì da Tokyo. Akai li stava usando come prove viventi a sostegno delle sue teorie.
- Mi perdoni ma non c’è nessun bambino in aula oggi- lo guardò confuso il giudice.
- Appunto, quindi un fondo di verità in questa storia del farmaco ci sarà pure- affermò convinto, quasi beffardo.
- Continuo a non seguirla, potrebbe essere più esplicito per favore?-
- Per ogni veleno esiste un antidoto che ne annulla gli effetti. Se il farmaco APTX4869 fa ringiovanire chi lo ingerisce, l’antidoto contro questo farmaco fa sì che la persona ritorni alla sua età originaria-
- Obiezione: perché questo antidoto non è stato menzionato nel precedente processo? Se non è frutto di una pura invenzione allora avreste dovuto dirlo subito- intervenne nuovamente l’avvocato difensore, impaziente di obiettare ogni parola che usciva dalle loro bocche.
- Obiezione respinta. Non c’è nessun divieto di trovare altre prove a sostegno della propria tesi tra un processo e l’altro. Ha portato delle prove di questo antidoto, Signor Akai?-
 
L’avvocato del pubblico ministero si avvicinò al giudice, porgendogli una busta contenente delle pillole in formato capsula bicolore. Il giudice si prese qualche secondo per esaminarle, senza però estrarle dalla busta sigillata.
 
- Questo sarebbe dunque l’antidoto al farmaco?- chiese infine, rivolgendo nuovamente lo sguardo ad Akai.
- Confermo-
- Obiezione- intervenne l’avvocato di Vermouth - Come possiamo essere certi che non siano delle normali pillole placebo senza alcun effetto?-
- Obiezione accolta. Ce lo spieghi Lei, Signor Akai-
- Semplice: li vede quei due ragazzi e quella donna seduti in seconda fila?- sorrise, indicando Shinichi, Shiho e sua madre - Diversi mesi fa erano rispettivamente due bambini delle elementari e una ragazzina quasi adolescente, può vederlo anche Lei dalle foto che l’FBI ha fornito-
 
Il giudice osservò con attenzione le foto con data e ora impresse sopra. Anche se cercò di non tradire alcuna emozione, l’espressione dei suoi occhi fece capire ai più perspicaci che era rimasto visibilmente sorpreso. Consegnò poi le foto al pubblico ministero, il quale le mostrò ai giurati: proprio come il giudice, anche loro rimasero increduli nel constatare l’effettiva somiglianza tra i bambini nelle foto e quei tre adulti seduti nel secondo banco. I loro sguardi si spostavano dalle foto a loro con un movimento quasi regolare, come se fossero stati dei robot programmati per compiere sempre lo stesso gesto all’infinito.
 
- Erano stati costretti ad ingerire l’APTX4869- riprese a parlare Shuichi - Li ho visti coi miei occhi prendere quell’antidoto e ritornare in pochi secondi alla loro reale età. La donna è mia madre, quindi sono certo che il suo aspetto debba essere quello che vedete adesso e non quello di una ragazzina delle scuole medie. Senza contare che quell’antidoto è stato creato proprio dalla ragazzina coi capelli ramati, che Vermouth riconoscerà sicuramente: si tratta di Shiho Miyano, nome in codice Sherry. Lei era un membro molto prezioso per l’Organizzazione, nonché l’ideatrice dell’APTX-
Ci fu un mormorio generale in aula, tutti avevano gli occhi puntati su Shiho, che non appena se ne accorse abbassò la testa e si strinse nelle spalle. Non era facile per lei sopportare tutto ciò, era come trovarsi in una sorta di purgatorio dove tanti, troppi giudici la stavano condannando per le sue colpe del passato.
- Silenzio in aula- li richiamò all’ordine il giudice - Credo che a questo punto sia necessario far sedere al banco i testimoni appena chiamati in causa-
- Avrei un’ultima domanda per il Signor Akai prima che torni al suo posto- si alzò in piedi l’azzeccagarbugli maledetto.
- Prego avvocato-
- Lei ha appena detto che quella ragazzina faceva parte dell’Organizzazione ed era anche un personaggio in vista date le sue capacità- camminò con fare sicuro verso Akai -Perché avete preso come testimone un membro dell’Organizzazione? Come potete essere sicuri che vi stia dicendo il vero?-
- Perché una persona che fugge dalla prigionia e rischia la propria vita per essere libera non deve essere poi così cattiva, non è d’accordo anche Lei? A differenza della sua assistita, che ha preferito restare fino alla fine in quella gabbia dorata che le permetteva di compiere i peggiori crimini senza mai espiare le sue colpe-
- Obiezione: queste sono solo sue supposizioni-
- Dimentica che anche io ho fatto parte di quell’Organizzazione, ne conosco il modus operandi alla perfezione. Mi creda, è meglio che non sappia di cosa potrebbe essere capace la donna seduta al suo fianco-
- Può bastare così, vada a sedersi- intervenne il giudice, ponendo fine a quel dialogo destinato ad arrivare soltanto ad un punto morto.
 
Shuichi  si alzò e tornò a sedere in silenzio a fianco a lei. Non era certa del risultato che avesse ottenuto con la sua confessione, ma il suo volto gli sembrava rilassato e compiaciuto, come quando sapeva di aver fatto la mossa giusta. Lo fissò per qualche secondo, come se volesse chiedergli senza dirlo a voce se era certo di quello che stava facendo. La risposta che ottenne fu l’ennesimo sorriso enigmatico. Più quel processo avanzava e più aveva l’impressione di essere l’unica in quell’aula a non sapere cosa diavolo avevano architettato i suoi colleghi: questa consapevolezza non faceva che accrescere il suo stato di nervosismo.
 
- A questo punto direi che è il caso di ascoltare la scienziata in questione- riprese a parlare il giudice - Signorina Miyano, venga a sedersi al banco dei testimoni-
 
Si voltò a guardarla e Shuichi fece lo stesso. La videro prendere un lungo respiro, che però non servì a cancellare l’espressione preoccupata e quasi impaurita sul suo volto. Le sorrise, cercando di trasmetterle con lo sguardo tutto il supporto e la gratitudine possibili. Shinichi le mise una mano sulla spalla per incoraggiarla, Mary si limitò a guardarla senza dire nulla.
Alla fine si alzò e si diresse lentamente verso il banco dei testimoni, che in quel momento doveva sembrarle più simile a un patibolo.
 
- Signorina Miyano, giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- il giudice le fece la stessa domanda che poco prima aveva fatto ad Akai.
- Lo giuro- rispose, la voce bassa.
- Lei è stata un membro dell’Organizzazione, corretto?-
- Confermo-
- E qual era il suo ruolo?-
- Ero una scienziata, come prima di me lo erano stati i miei genitori-
- Quindi tutta la sua famiglia è coinvolta nell’Organizzazione?-
- Lo era, io sono l’unica sopravvissuta- chiuse gli occhi.
- Intende dire che l’Organizzazione ha ucciso i suoi famigliari?-
- Proprio così-
- Perché hanno risparmiato Lei?-
- Perché ero troppo preziosa per loro, ero l’unica in grado di completare il lavoro che avevano iniziato i miei genitori. Ero troppo importante per loro-
- Ma perché hanno ucciso i suoi genitori se stavano lavorando a un progetto così importante?-
- Perché volevano tirarsene fuori e l’Organizzazione non perdonava chi gli voltava le spalle. Hanno pagato il desiderio di libertà a caro prezzo- chiuse gli occhi, cercando di nascondere il dolore dentro un angolo remoto del suo cuore.
 
L’intervento dell’avvocato di Vermouth però riuscì a cancellarlo molto meglio di quanto lei stessa sarebbe stata capace di fare, sostituendolo con un senso di rabbia e orgoglio ferito. Fu quello ad accendere la miccia che avrebbe bruciato fino alla fine della sua confessione.
 
- Obiezione: nel fascicolo c’è scritto che alla morte dei suoi genitori lei era solo una bambina. Perché mai l’Organizzazione avrebbe dovuto investire tanto su qualcuno che all’epoca non aveva nessuna base per portare avanti il progetto di questo farmaco dalle proprietà miracolose?-
 
Come si permetteva quel avvocatuccio da quattro soldi, la cui unica parola che conosceva era “obiezione”, di mettere in dubbio le sue capacità di scienziata?! C’erano poche persone in quella stanza con un cervello superiore alla media e di certo lei ne faceva parte. Forse sarebbe anche potuta essere la più geniale fra loro, considerando il farmaco che era stata in grado di creare. Era un genio e questo nessuno doveva metterlo in dubbio. Moralmente parlando non era fiera di quello a cui aveva dato vita, ma da scienziata era orgogliosa delle sue enormi potenzialità.
 
- Forse perché quando Lei stava ancora cercando di laurearsi ad Harvard io avevo già creato un farmaco capace di modificare il DNA di alcuni esseri viventi e di uccidere all’istante i restanti? O forse Harvard è troppo per Lei?- replicò acida, assottigliando lo sguardo.
- Signorina Miyano, la prego di portare rispetto e moderare i toni!- la riprese il giudice, alzando la voce.
- Chiedo scusa- si finse pentita, ma non mancò di lanciare un’occhiataccia all’avvocato.
 
Non si accorse che i suoi amici, compreso lo stoico Shuichi, stavano cerando di trattenere una risata.
 
- Quando ha creato quel farmaco sapeva cosa stava facendo?- chiese il giudice.
- Sì, lo sapevo perfettamente. E se si sta chiedendo perché lo abbia fatto pur sapendolo, la risposta è che non volevo fare la fine dei miei genitori e soprattutto non volevo che la facesse mia sorella maggiore. Se ubbidivo ai loro ordini come un cane ammaestrato, non ci avrebbero toccate-
- Però alla fine Lei è fuggita-
- Dopo che avevano ucciso mia sorella, venendo meno alla parola data. Ero rimasta sola al mondo, ormai non mi importava più nemmeno di morire-
- Com’è riuscita a fuggire senza farsi uccidere?-
- Ho ingerito il farmaco che io stessa avevo creato, nella speranza che mi uccidesse prima che lo facessero loro. Ma a quanto pare sono stata una dei pochi “fortunati” che invece di morire ci hanno guadagnato qualche anno in meno-
- Quindi conferma di essere Lei la bambina nelle foto?- gliene mostrò una a caso presa da quelle che aveva sul tavolo.
- Sì, quello è stato il mio aspetto fino a circa sei mesi fa-
- Obiezione- ci riprovò l’avvocato - La foto potrebbe essere di anni fa, quando la testimone era effettivamente una bambina-
- C’è la data nella foto!- replicò, alzando il tono della voce.
- Al giorno d’oggi esistono programmi per modificare le foto, una in gamba come Lei che sostiene di aver creato un farmaco miracoloso non avrà avuto difficoltà a modificare data e ora su una foto- la provocò l’avvocato, forse nel tentativo di vendicarsi della frecciatina che gli aveva lanciato poco prima.
 
Strinse i pugni per scaricare la rabbia che stava accumulando sempre più velocemente, prima di esserne sopraffatta. Chiunque l’avesse guardata avrebbe potuto facilmente intuire il suo stato d’animo in quel momento. Si chiese se era così che si era sentita Jodie al precedente processo e si augurò che non lo provasse mai più. Non era facile far credere al mondo qualcosa che agli occhi di chiunque sarebbe apparsa solamente come una fandonia. Eppure sentiva che doveva farcela, doveva dimostrare a tutti la verità, a costo di passare per la reietta della storia. Doveva fare del suo meglio per indossare ancora una volta la maschera della donna indistruttibile che aveva indossato per anni.
 
- Signor giudice, c’è un’altra foto nel fascicolo- riprese a parlare, dopo aver ritrovato una calma solo apparente - Ci sono io insieme a dei bambini. Può mostrarla all’avvocato e ai giurati?-
 
Il giudice acconsentì alla sua richiesta e fece girare la foto in aula, in modo che tutti gli interessati potessero vederla. Nessuno sembrò capire l’intenzione dietro a quella richiesta, ma in fondo era una reazione legittima.
 
- E con questo, cosa vorrebbe dimostrare?- chiese l’avvocato, quasi beffeggiandola.
- Se la data su questa foto fosse stata truccata e in realtà l’immagine fosse stata immortalata anni fa, allora anche gli altri bambini ad oggi dovrebbero avere all’incirca la mia stessa età, giusto? - chiese rivolgendosi al giudice.
- Dove vuole arrivare?-
- Posso avere un telefono cellulare?-
- Per fare cosa?-
- Vorrei fare una telefonata per dimostrare che la data nelle foto non è stata modificata-
- Una telefonata?- sorrise l’avvocato, felice di potersi prendere gioco di lei ogni volta che apriva bocca - Davvero pensa che una telefonata possa essere una prova?-
- Obiezione respinta- lo fermò il giudice - Se ha un telefono può fare questa chiamata-
- Posso anche collegare il telefono al monitor?- indicò lo schermo già presente in aula, di cui ci si serviva per le testimonianze video - Vorrei mostrare a tutti le immagini della videochiamata-
 
Ottenuto il consenso del giudice, si alzò dal banco e prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni, collegandolo al monitor e accedendo quest’ultimo. Sentiva gli sguardi di tutti puntati addosso, ma ormai era riuscita ad andare oltre e non prestarci più attenzione. Anzi, forse era meglio così: tutti dovevano vedere, tutti dovevano sapere.
Cercò nella rubrica il numero del Dottor Agasa e fece partire la videochiamata. Poco dopo apparve sul monitor la faccia del Dottore.
 
- Pronto? Shiho? Ma avete già finito il processo?- chiese incredulo.
- No, in realtà è collegato in diretta con l’aula del tribunale-
- Cosa?!- si allarmò.
- Mi ascolti bene Dottore, è importante: i bambini sono lì con lei?-
- Beh sì, però stanno dormendo. Non dimenticarti che qui in Giappone sono le undici di sera-
- Mi spiace, ma deve svegliarli-
- Ma Shiho, cerca di capire…-
- Niente ma, mi serve che riprenda i bambini con la fotocamera!- alzò il tono di voce.
- Non posso semplicemente riprenderli senza svegliarli?-
- D’accordo- sospirò - Ma si sbrighi-
 
Restò in silenzio a guardare il Dottore che si spostava in un’altra stanza, dove probabilmente aveva messo i bambini a dormire. Nell’attesa ne approfittò per guardarsi intorno con la coda dell’occhio, ma vide solo facce confuse intorno a sè. Il fatto che stesse parlando in giapponese non li aiutava a capire il contenuto della telefonata.
Finalmente Agasa mostrò i bambini che stavano dormendo sui futon. Perfetti, proprio come le serviva che fossero. Sorrise soddisfatta: tutto era andato secondo i piani. Lei stessa aveva chiesto al Dottore che quella notte li facesse dormire da lui, in quanto aveva previsto di doversi “servire” di loro per dimostrare che anche lei, fino a pochi mesi prima, aveva avuto il loro stesso aspetto. Non lo aveva detto a nessuno, nemmeno a Shinichi; voleva che la reazione di stupore di tutti fosse il più credibile possibile. E così fu: quando i giurati e tutti i presenti videro che i bambini ripresi dalla videocamera del cellulare e quelli sulle foto erano identici, il loro vociferare divenne un brusio che accresceva sempre più, mentre sui loro volti si dipingevano espressioni incredule. Si girò a guardare l’avvocato di Vermouth e lo vide deglutire a fatica, mentre nella sua testa cercava disperatamente una spiegazione plausibile. Sorrise compiaciuta: adesso capiva come si sentiva Shinichi ogni volta che una delle sue deduzioni si rivelava corretta. Solo una persona sorrideva insieme a lei: Vermouth. Non l’aveva mai capita, non aveva mai capito se amasse o odiasse quell’Organizzazione e ora, dopo anni, continuava a non capire. Ma in fondo andava bene così, non le importava. Se era felice di trascorrere il resto dei suoi giorni dietro le sbarre, buon per lei.
 
- Silenzio in aula- invitò tutti all’ordine il giudice.
 
Ormai soddisfatta di aver raggiunto il suo scopo, ringraziò il Dottore e chiuse la telefonata, scollegando il cellulare dal monitor e tornando a sedersi al banco dei testimoni.
 
- Bene Signorina Miyano, dopo questa dimostrazione ha altro da dirci?- le chiese il giudice.
- Non so se qualcuno se n’è accorto, ma nella foto c’è un altro bambino che mancava all’appello. Lo vede quello con il papillon rosso? Ebbene, quel bambino è seduto tra i testimoni di oggi. Sto parlando di Shinichi Kudo- si girò a guardarlo, facendogli spalancare gli occhi.
- Il Signor Kudo potrebbe alzarsi in piedi?- lo invitò il giudice.
 
Cercando di apparire come sempre spavaldo e sicuro di sé, Shinichi obbedì all’ordine e si alzò in piedi, tra gli sguardi ancora esterrefatti della gente. Gli si leggeva un velo di imbarazzo in faccia, nonostante fosse abituato a stare al centro dell’attenzione. D’altra parte quella era pur sempre l’aula di un tribunale americano e lui era stata colto alla sprovvista.
 
- Signor Kudo, Lei conferma quanto appena detto dalla Signorina Miyano?-
- Posso confermare che è tutto vero Signor giudice. Anche io sono stato costretto ad assumere il farmaco creato dalla Signorina Miyano ed è così che il mio aspetto è diventato quello del bambino della foto-
- La ringrazio, può accomodarsi- lo fece risedere, in attesa di poterlo interrogare meglio dopo - Quanto a Lei Signorina Miyano, ci parli di come avrebbe creato questo farmaco-
- I miei genitori avevano lavorato per anni ad un altro farmaco, chiamato Silver Bullet. La formula per crearlo è andata persa nell’incendio che l’Organizzazione appiccò al laboratorio per eliminare le prove insieme ai miei genitori. Prima di morire, mia madre mi lasciò una registrazione in cui diceva di essersi pentita di aver lavorato a quel farmaco, perché era davvero terribile. Non ne ho mai conosciuto gli effetti e da quanto so Vermouth è l’unica ad averlo assunto, quindi posso dedurre che uno di questi sia il bloccare definitivamente il processo naturale di invecchiamento di una persona-
- Quindi anche Lei sostiene che Sharon e Chris Vineyard siano la stessa persona?-
- Questo è un fatto certo, le prove che l’agente Starling ha portato al precedente processo sono sufficienti a confermarlo. Le impronte digitali non mentono. Inoltre, Vermouth mi ha sempre odiata per quello che i miei le avevano fatto, non lo ha mai nascosto-
 
L’avvocato si risvegliò improvvisamente dallo stato di tranche in cui era caduto, nel tentativo di recuperare i punti persi.
 
- Obiezione: non ci è dato sapere se i motivi dell’odio siano proprio quelli appena indicati dalla testimone-
- Obiezione accolta: è certa che l’imputata la odiasse a causa dei suoi genitori?-
- Le sue testuali parole sono state “Non odiarmi Sherry, odia i tuoi genitori per quello che hanno fatto”. Lei come interpreterebbe questa frase?-
- Le ricordo che le domande sono io a farle, Lei si limiti a rispondere. Proceda con la sua esposizione dei fatti-
- Dopo che i miei furono eliminati, l’Organizzazione mi mandò in America a studiare fino a quando non compii diciotto anni. Quando fui abbastanza preparata per continuare quello che i miei avevano lasciato indietro, mi riportarono in Giappone a completare l’opera. Ma io non avevo nessuna idea di cosa avessero progettato i miei genitori e nel tentativo di emularli ho dato vita all’APTX 4869, il farmaco che poi ho assunto io stessa e che anche Shinichi Kudo e Mary Akai sono stati costretti ad ingerire. Il resto lo conoscete già- concluse.
- Può fornirci delle prove concrete a dimostrazione del fatto che il farmaco da Lei creato può davvero far ringiovanire una persona?-
- La prova è dentro quella chiavetta USB- indicò con un cennò del capo la piccola chiavetta contenuta nel fascicolo recante il suo nome - Può mostrane a tutti il contenuto-
 
Il giudice diede la chiavetta al pubblico ministero perché la collegasse al monitor che avevano utilizzato poco prima per la videochiamata. Una volta fatto, premette il tasto play dal telecomando.
Gli occhi di tutti erano puntati sull’immagine della gabbia con i sette topi, data e ora fisse a lato dell’inquadratura. Quando il video raggiunse la scena principale, le bocche degli spettatori si spalancarono, come se le loro mascelle volessero toccare terra per effetto della forza di gravità. Chi sapeva si limitò a sorridere, pregustando una vittoria che si stava facendo attendere fin troppo.
 
- Obiezione- ruppe il silenzio di sgomento la solita voce irritante dell’avvocato, che a ben guardarlo sembrava al limite della disperazione - La data e l’ora del filmato potrebbero essere state falsate, così come il contenuto! La testimone avrebbe avuto tutto il tempo di sostituire il topo nella gabbia!-
 
Era ovvio che avrebbe cercato di attaccarsi a quello, tutti i dubbi che aveva espresso la sera prima a casa di Shuichi si stavano rivelando fondati. Al contrario, pregò che la sua paura di non vincere il processo si rivelasse infondata: Jodie non lo avrebbe sopportato di nuovo.
 
- Obiezione respinta- disse il giudice, senza riuscire a togliere lo sguardo dal monitor che ormai mostrava solo un velo nero, segno che il video era giunto al termine - Se anche la data e l’ora fossero state modificate, non c’è alcun presupposto per pensare che il filmato lo sia. Non ci sono tagli nel video, la scena procede in modo lineare-
- Ma Signor giudice, si rende conto che siamo di fronte a un fenomeno scientificamente inspiegabile e impossibile?!- lamentò l’avvocato.
- Silenzio!- lo zittì -Penso sia sufficiente così. Può andare a sedersi Signorina Miyano- la congedò il giudice, guardandola come se stesse cercando di capirne la reale natura.
 
Probabilmente da quel momento in poi e fino alla fine del processo, molte persone in quell’aula l’avrebbero vista come il diavolo in persona, altre come una sorta di dio capace di dare vita a qualcosa che i comuni mortali non potevano nemmeno comprendere. Qualunque fosse stato l’esito del processo, nel bene e nel male, probabilmente nei giorni successivi tutti i giornali avrebbero parlato di lei e di quel farmaco. O forse avrebbero insabbiato tutto, poiché divulgare una scoperta simile significava presentare agli occhi del mondo una sorta di arma letale.
 Camminò fino al suo posto sostenendo gli sguardi di tutti, a testa alta. Non si chiese nemmeno cosa stessero pensando, non le importava. Una parte di lei, in un angolo remoto del suo essere, si stava pentendo di quello che aveva fatto, consapevole che per il resto della sua vita avrebbe dovuto convivere con l’etichetta che le era appena stata assegnata. L’altra parte, invece, quella che stava mostrando a tutto il mondo, era fiera di essere l’ideatrice del farmaco che aveva sconvolto le frontiere della scienza. Se essere la reietta del mondo scientifico era il prezzo da pagare per aiutare Jodie a riscattarsi sulla donna che le aveva rovinato la vita, allora poteva pagare il conto dieci, venti, cinquanta volte. Era come far nascere il bene dal male, trasformare un errore in qualcosa di giusto.
La voce del giudice interruppe i suoi pensieri.
 
- Per oggi può bastare così, la corte si aggiorna domani-
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Come sempre in ritardo mostruoso con gli aggiornamenti ma vabbè!
Questo capitolo da inizio al secondo processo, che sarà anche l’ultimo perché un terzo… anche no! XD la prima parte è narrata dal punto di vista di Jodie, poi a circa metà capitolo il punto di vista diventa quello di Shiho, che è il personaggio fulcro di tutto.
Spero non vi abbia annoiato e grazie a tutti quelli che leggeranno e vorranno lasciare un comento!
Al prossimo capitolo!
Baci
Place

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Capitolo 23
*** Capitolo 23: Felicità fugace ***


Capitolo 23: Felicità fugace
 
 
Quella sera, dopo la prima parte del processo, si erano riuniti tutti nel suo appartamento, malgrado lo spazio non fosse progettato per contenere tutte quelle persone. Utilizzando le tecniche culinarie apprese da Yukiko, aveva preparato una cena apparentemente semplice ma che aveva lasciato tutti sorpresi. Terminata la cena, si erano riuniti in salotto, disposti in cerchio, per discutere del processo. Avevano toccato anche altri argomenti, ma era difficile conversare delle proprie vite come se nulla fosse quando le loro menti erano proiettate su un unico obiettivo.
 
- Sei stata grandiosa oggi, ormai abbiamo la vittoria in pugno!- Masumi si complimentò con Shiho.
- Sono d’accordo, con le testimonianze del giovane detective e quelle della Signora Akai non possiamo non vincere- la appoggiò Camel.
 
La giovane scienziata però non disse nulla, il suo volto era teso e l’espressione seria: c’era sicuramente qualcosa che la preoccupava, forse anche più di una. Stava rischiando grosso con quella confessione e più di ogni altra cosa aveva paura. Glielo poteva leggere in faccia: Shiho aveva paura. Già, ma di cosa? Di solito interpretare le persone solo guardandole gli riusciva bene, ma quella ragazzina era sempre stata un enigma, proprio come lui appariva agli occhi degli altri. Forse doveva essere una caratteristica di famiglia.
 
- Cosa c’è che non va Shiho? Sei forse preoccupata perché ora che hai rivelato di essere l’ideatrice del farmaco temi che la gente ti guarderà come se fossi un diavolo?- le chiese Shinichi, che come lui doveva essersi accorto del suo malumore.
- Ti sbagli, non mi importa nulla di cosa penserà la gente. Finito il processo me ne tornerò in Giappone e non rivedrò mai più le facce di nessuno dei giurati, perciò possono pensare quello che vogliono. Quello che mi preoccupa è Jodie- rispose, accennando alla portafinestra che dava sul piccolo balcone dove al momento si trovava la bionda agente dell’FBI.
 
Jodie era uscita qualche minuto prima, dicendo che voleva prendere una boccata d’aria. Probabilmente il fatto che continuassero a parlare del processo non la aiutava a rilassarsi un attimo, avevano esagerato e non avevano tenuto conto della sua suscettibilità.
Si girarono tutti a guardarla, ma di lei vedevano solo la schiena. Gli stava dando le spalle, appoggiata con i gomiti sulla ringhiera del balcone.
 
- Vado a fumare una sigaretta- disse, anche se era chiaro a tutti il reale motivo per cui stava uscendo in balcone.
 
Aprì l’anta della portafinestra e la richiuse subito dopo alle sue spalle, non volendo rendere partecipi gli altri della sua conversazione con Jodie. Questo fece sì che anche lui non potesse sentire i commenti che ne conseguirono.
 
…………………………
 
- Secondo voi Jodie ha paura di perdere il processo?- chiese Masumi.
- Ovvio- le rispose Shiho.
- Ma perché? Le prove che abbiamo portato sono schiaccianti-
- Anche con delle prove valide è comunque difficile convincere la gente che una storia incredibile come la nostra possa essere vera. Per chi non ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza, la storia del farmaco che ringiovanisce può sembrare solo la trama di un romanzo di fantascienza- spiegò Yusaku, la cui perspicacia andava sempre oltre quella di tutti.
- Se sarà necessario sono disposta anche a ripetere l’esperimento davanti a tutti finché non ci crederanno- affermò convinta la scienziata.
- Ti vedo piuttosto agguerrita- le sorrise Shinichi.
- Jodie ha troppo da perdere, quindi sono disposta a giocare tutte le carte che ho in mano-
 
Guardarono tutti in direzione del balcone, dove adesso oltre alla schiena di Jodie vedevano anche quella di Shuichi al suo fianco.
 
- Pensate che sia il caso di andare tutti quanti a dire una parola di conforto all’agente Jodie?- ruppe il silenzio Yukiko.
- Che nessuno si muova- la fermò all’istante Shiho, con tono quasi minatorio.
 
Si girarono tutti a guardarla increduli: nessuno si sarebbe mai aspettato una simile reazione a una domanda piena di buon cuore come quella di Yukiko.
 
- Lasciateli soli, guai a voi se li interrompete- aggiunse.
- Ancora con questa storia?!- si ribellò Shinichi, l’unico che aveva compreso la motivazione di tanto impeto - Ma la smetti di voler combinare matrimoni?!-
- Zitto tu- lo mise a tacere, guardandolo minacciosa e facendogli gelare il sangue nelle vene.
- Non sapevo ci fosse del tenero fra l’agente Akai e l’agente Jodie- si sorprese Yukiko, i cui occhi dicevano chiaramente che voleva saperne di più sull’argomento.
- Jodie è la ragazza di Shu-nii- affermò con certezza Masumi, la cui convinzione andava oltre ogni limite.
- Ma tu guarda che figlio che mi ritrovo, ha una ragazza e non la presenta nemmeno alla sua famiglia. E dire che di momenti opportuni per farlo ne ha avuti…- si lamentò Mary a braccia conserte.
- Non le ha detto nulla perché non sono fidanzati- precisò Shinichi.
- Non ancora, ma presto succederà qualcosa fra loro quindi nessuno deve intromettersi- ribadì Shiho.
 
………………………….
 
Quando uscì sul balcone la trovò che fissava dritto davanti a sé, ma non riuscì a capire se stesse ammirando lo scorcio della New York notturna con le sue luci e i suoi grattacieli illuminati o se fosse sovrappensiero e non vedesse nulla di tutto ciò. Trovò una risposta al suo dubbio quando l’affiancò e la vide sussultare leggermente, colta alla sprovvista. Non si era accorta che fosse uscito anche lui, segno che la sua testa era altrove.
Si accese una sigaretta e appoggiò anche lui i gomiti alla ringhiera, fissando il panorama.
 
- Perché te ne stai qui fuori tutta sola? Quelle persone sono venute per te, sarebbe carino che le degnassi della tua presenza- espirò il fumo, che si dissolse nell’aria umida della notte.
- Avevo bisogno di prendere aria…perdonami- abbassò la testa, dispiaciuta.
- Jodie?- la chiamò, continuando però a non guardarla in faccia.
- Sì?-
- Stai tranquilla, andrà tutto bene. Vermouth pagherà per ciò che ha fatto-
- Hai organizzato tutto questo per me?-gli sorrise - Hai chiamato tutte queste persone dal Giappone solo per aiutare me?-
- Ho promesso a me stesso di mandare all’inferno tutti quelli dell’Organizzazione, quindi lo faccio anche per me stesso e per la mia famiglia-
 
Si voltò finalmente a guardarla e la vide annuire e sorridere. Era bella, terribilmente bella illuminata solo dalle luci artificiali della Grande Mela, con le guance rese più colorite dal fresco clima notturno. Si meritava di sorridere sempre così, di essere felice. Meritava il meglio dalla vita, perché nella vita aveva sempre dato il meglio di se stessa agli altri.
 
- A proposito della tua famiglia- lo riportò alla realtà - Ho avuto l’impressione che tua madre mi guardasse insistentemente per tutto il tempo, forse anche un po’ male devo dire. Magari è stato solo il frutto della mia immaginazione, però mi è sembrato di non piacerle molto- storse le labbra in segno di dispiacere.
- Non preoccuparti, non sei tu. Mia madre guarda male tutti, a volte ho l’impressione che non le piacciano le persone in generale- spense la sigaretta, ormai ridotta a un mozzicone.
- Oh, adesso per qualche motivo ho molte meno domande sul tuo atteggiamento- ironizzò, punzecchiandogli la spalla con l’indice e ottenendo in cambio uno di quei suoi sorrisi che somigliavano a smorfie - Comunque avete gli stessi occhi, vi somigliate molto. Devo dire che anche Shiho le somiglia a guardarle bene-
 
Probabilmente Jodie si aspettava una sua risposta a quell’affermazione, che però non arrivò. Restò in silenzio, guardando dritto davanti a sé, fino a quando non si accorse con la coda dell’occhio che il sorriso era scomparso dalle labbra di Jodie e che aveva chinato il capo come fanno i cani quando il padrone li sgrida per aver fatto qualcosa che non dovevano. Si rese conto di aver sbagliato a non replicare.
 
- Scusami Shu, ho parlato senza pensare…-si scusò lei al posto suo, anche se non ne aveva alcun motivo - Non sei ancora riuscito a superare del tutto questa faccenda, non è così?-
- Ci sto provando, ma è dura- ammise.
- Non potevi saperlo Shu, non avevi alcun indizio per poter anche solo supporre che foste cugini. Non essere così duro con te stesso- lo fissò seria, anche se i suoi occhi tradivano il dispiacere per la sua situazione e forse anche il dolore di dover affrontare con lui il discorso Akemi.
- Mi sentivo già abbastanza in colpa prima, ora che so che era mia cugina mi sento anche peggio-
 
Non sapeva perché si stava esponendo così tanto, non era da lui. Avrebbe dovuto tenersi dentro i suoi sentimenti, come faceva sempre, specie considerando che stava parlando della sua ex (che ancora occupava uno spazio nel suo cuore) con la donna che aveva lasciato per mettersi con lei. Eppure sentiva che Jodie era l’unica persona con cui poteva parlare apertamente di quella cosa, l’unica che lo avrebbe supportato e capito. Forse era l’atmosfera romantica data dalle luci della città, o forse era solo il fatto che lui quella biondina tutto pepe non l’aveva mai davvero dimenticata. Tuttavia non era giusto parlarle di Akemi come se nulla fosse, non dopo averla scaricata per lei.
 
- Devi smetterla di incolparti Shu- continuò lei, come se volesse affrontare in tutti i modi quel discorso - Anche Shiho ti ha perdonato, perciò ora devi essere tu a perdonare te stesso-
 
Gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a guardarla negli occhi, cosa che aveva cercato di non fare troppo fino a quel momento.
 
- Sei fortunato, hai una bellissima famiglia- gli sorrise - Dovresti godertela-
 
Nonostante quel tentativo di sorridere, i suoi occhi tradivano la tristezza con cui aveva pronunciato quelle parole. In quel momento capì quanto Jodie lo invidiasse: lui aveva riottenuto un padre che lei invece non avrebbe riavuto indietro nemmeno se avessero vinto quel processo. Forse era questo a farle male più di ogni altra cosa, la consapevolezza che anche facendo giustizia non avrebbe riavuto ciò che le mancava di più al mondo. Era quello che aveva provato lui quando aveva ucciso Gin. La vendetta non aveva cancellato il dolore per la perdita di Akemi, né tantomeno i suoi sensi di colpa. L’unico modo che avevano per accettare ciò che non potevano cambiare era imparare a conviverci.
Istintivamente, le posò una mano sulla schiena e la fece scorrere su e giù accarezzandola delicatamente. Jodie non disse nulla, lo fissò sorpresa con quei suoi occhioni colore del cielo, arrossì e si portò una mano semichiusa sul petto, come se stesse cercando di frenare i battiti improvvisamente accelerati del suo cuore.
 
- Forza, adesso rientriamo che fa freddo. Ti faccio conoscere meglio la mia famiglia, così capirai che mia madre odia tutti- cercò di farla tornare di buon umore.
- Grazie Shu- gli regalò l’ennesimo sorriso - Ti posso chiedere un favore?-
- Certo-
- Domani mattina, prima di andare in tribunale, mi passeresti a prendere tu? Vorrei che mi accompagnassi in un posto-
- D’accordo- accettò, senza chiedere ulteriori dettagli nonostante la curiosità che si era accesa in lui.
 
Rientrarono entrambi in salotto e trovarono gli altri in un goffo tentativo di instaurare una conversazione che non stavano certamente facendo fino a poco prima. Probabilmente avevano passato tutto il tempo a spiarli, ma non gli importava. Era felice di quel breve momento passato da solo con lei, non doveva dare spiegazioni a nessuno.
Vide Jodie prendere posto di fianco a Shiho e sorriderle: voleva davvero molto bene a quella ragazzina. Era questo che faceva di Jodie una donna straordinaria, il fatto di riuscire ad amare anche la sorella di quella che avrebbe avuto tutto il diritto di considerare la sua rivale in amore. Ma Jodie non conosceva l’odio, tranne che quello per Vermouth.
Si sedette anche lui di fianco a loro, giusto in tempo per sentire la breve conversazione.
 
- Va tutto bene?- le chiese la ragazza.
- Certo, sono felice che tu sia qui-
 
 
………………………….
 
 
Il giorno seguente, come le aveva promesso, passò a prenderla sotto casa alle sette e mezza. Il processo sarebbe iniziato alle nove, dovunque Jodie volesse andare avrebbero fatto in tempo.
La trovò già fuori dal portone del palazzo, in piedi, con in mano un mazzo di gigli bianchi. Non gli fu chiaro sin da subito cosa ci facesse con dei fiori, finché un sospetto non si insinuò nella sua mente.
 
- Buongiorno Shu- lo salutò, mentre saliva in macchina e si allacciava la cintura, con il mazzo di gigli posato sulle gambe.
- Buongiorno. Allora, dove siamo diretti?- le chiese, ormai impaziente di sapere.
- Al cimitero di Green-Wood-
 
Quella risposta fu sufficiente per confermare la sua teoria: ormai era chiaro cosa intendesse fare.
 
 
Circa una ventina di minuti dopo arrivarono al cimitero. Parcheggiarono la macchina e poi si incamminarono a piedi in mezzo al manto erboso sul quale spiccavano come fiori gelidi le lapidi di pietra grigia. Non gli erano mai piaciuti i cimiteri, camminare in mezzo a migliaia di vite stroncate lo faceva sentire a disagio. Non era mai bello quando una vita cessava e lui lo sapeva bene, ne aveva viste fin troppe di morti negli ultimi anni.
 
- Se volevi un appuntamento con me senza dare nell’occhio potevi almeno scegliere un luogo più carino- cercò di sdrammatizzare.
- Pensavo ti piacesse il gusto del brivido- lo prese in giro.
 
Camminarono ancora per qualche secondo in silenzio fino a quando Jodie, che era sempre stata accanto a lui, non allungò il passo passandogli davanti e si fermò di fronte ad una lapide all’apparenza semplice ma di dimensioni più grandi rispetto a quelle standard. Rimase qualche passo dietro a lei e lesse l’incisione:
 
Ryan Lewis Starling
1957 - 1995
Beloved father and husband
FBI Special Agent

 
Sul lato sinistro nell’angolo in alto notò lo stemma che contraddistingueva l’FBI.
Jodie si inginocchiò e posò il mazzo di gigli ai piedi della lapide, sistemandolo con cura. Poi accarezzò la lapide sfiorandola con i polpastrelli e rimase così per un po’, in silenzio a fissare quella pietra fredda, come se stesse facendo una preghiera segreta nella speranza che la persona  a cui era destinata potesse sentirla.
Chiuse gli occhi e la attese per tutto il tempo necessario, rispettando quel momento tanto intimo quanto, in un certo senso, straziante. Dopo qualche minuto, non seppe decifrare quanti, la vide alzarsi e girare la testa indietro per guardarlo.
 
- Era da un po’ che non venivo, non ho avuto il coraggio di farlo dopo la sentenza del primo processo- ammise.
- Sai Jodie, una volta qualcuno mi ha detto “devi smetterla di incolparti”- sogghignò, facendo sorridere anche lei - Forse dovresti seguire anche tu questo consiglio-
- Forse hai ragione. Ma perché te ne stai lì? Vieni, avvicinati- gli fece segno con la mano di affiancarla - Ti ho chiesto di accompagnarmi qui perché ieri mi hai fatto conoscere la tua famiglia e volevo che anche tu conoscessi la mia-
 
Le vide fissare la lapide con una sorta di orgoglio negli occhi, per poi indirizzarsi direttamente alla persona che in quel momento si trovava sottoterra, a pochi centimetri dai loro piedi.
 
- Hai visto chi ho portato papà? È uno in gamba quasi quanto te- si girò per un attimo verso di lui, sorridendogli e facendo l’occhiolino, per poi tornare a fissare la tomba davanti a lei- È grazie a lui se oggi vinceremo il processo-
 
Si girò nuovamente verso di lui, guardandolo negli occhi, e questa volta rimase così a fissarlo, cercando nei suoi occhi o nelle sue parole la conferma di ciò che aveva appena detto. In quel momento stava riponendo tutte le sue speranze in lui, un fardello piuttosto grande che lui però aveva scelto di portare sulle spalle e ora non poteva e soprattutto non voleva tirarsi indietro. Aveva promesso di essere il suo eroe e lo sarebbe stato. Avrebbe onorato l’uomo che ora giaceva senza vita davanti, perché lo meritava e perché lo meritava anche Jodie.
Le sorrise e annuì, ma sentì che non era abbastanza: così allungò un braccio e le cinse le spalle, attirandola verso di sé senza dire nulla. Non c’era bisogno di parole, era certo che per Jodie quel gesto sarebbe valso più di qualsiasi frase ad effetto. Si stava prendendo un impegno con quella sorta di abbraccio, un impegno che andava oltre la promessa di vincere il processo.
La sentì appoggiare delicatamente la testa sulla sua spalla, ma non riuscì a vedere il rossore che era comparso sul suo volto. Restarono così per diversi minuti, istanti che parvero infiniti, mentre le foglie rosse dell’acero che si trovava poco distante da loro si librarono nell’aria, danzando leggiadre spinte da una folata di vento che era arrivata e se n’era andata subito dopo. Si godettero entrambi quel momento di felicità fugace, consapevoli che non sarebbe durato per sempre. Non era tempo di riposare, loro non erano morti. Erano vivi e dovevano vivere. E adesso era tempo di lottare per vivere.
A malincuore sciolse quell’abbraccio, augurandosi in cuor suo che in futuro potessero essercene altri. Almeno quelli, forse, se li era meritati nonostante i suoi errori.
 
-  Dobbiamo andare, è arrivato il momento- le disse, guardandola negli occhi.
 
Lei non disse nulla, annuì con espressione seria e si girò a salutare un’ultima volta suo padre.
Poi entrambi si incamminarono nuovamente verso la macchina, diretti al tribunale.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questo capitolo è più breve rispetto ai soliti ma è ovviamente un capitolo di passaggio prima del capitolo dove avremo finalmente il processo e la sentenza finale. Ho voluto usare questo capitolo per far progredire un po’ il rapporto di Jodie e Shuichi, visto che sono pur sempre la coppia principale di questa storia.
Alcune precisazioni sul capitolo:
 
- il cimitero di Green Wood esiste davvero, non è di mia invenzione. Se volete maggiori informazioni vi lascio il link di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_di_Green-Wood
- le date di nascita e morte del padre di Jodie le ho scelte ipotizzando che il padre di Jodie sia morto a 38 anni, che  Jodie sia nata nel 1987 e che la storia attuale sia ambientata nel 2015/2016. In ogni caso è tutto frutto della mia invenzione, in quanto nel manga non ci sono date precise a riguardo.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate, sto lavorando parecchio per questa storia tra ricerche varie e tentativi di rendere tutti i personaggi IC e mi piacerebbe sapere la vostra opinione.
Ne approfitto per augurare a tutti un felice anno nuovo e speriamo che lo sia davvero!
Baci ♥

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Capitolo 24
*** Capitolo 24: Verdetto finale ***


Capitolo 24: Verdetto finale
 
 
Quando arrivarono davanti al tribunale e parcheggiarono la macchina, gli altri erano ormai entrati tutti. Li trovarono a pochi metri dalla porta d’ingresso dell’aula, in attesa di essere chiamati all’interno per dare inizio al processo. Qualcuno era seduto sulle file di sedie disposte ai lati, qualcun altro era rimasto in piedi a passeggiare avanti e indietro, nel vano tentativo di scacciare la tensione.
Il rumore dei loro passi che si avvicinavano riecheggiò nel corridoio e tutti si girarono a guardarli.
 
- Eccovi finalmente, mi chiedevo dove foste finiti- gli andò incontro James.
- Scusaci James, dovevo andare in un posto prima di venire qui e ho chiesto a Shuichi di accompagnarmi-
 
Mentre pronunciava quelle parole, vide Shiho dirigersi a grandi passi verso colui che aveva appena nominato, per poi afferrarlo per un braccio e trascinarlo lontano da loro. Probabilmente doveva dirgli qualcosa che non voleva che gli altri sentissero, ma la foga con cui aveva agito aveva lasciato spiazzati tutti. Le balenò per la mente l’idea che fosse proprio lei l’oggetto della discussione: vedendoli arrivare insieme, forse Shiho voleva accertarsi se ci fossero stati progressi nella loro relazione. Il pensiero la imbarazzò non poco, specie considerando che la famiglia di Shuichi era lì presente.
Purtroppo il tono di voce della ragazza era troppo basso ed erano troppo distanti per sentire cosa si stessero dicendo; così rimase lì a fissarli come tutti gli altri, anche se la curiosità di sapere bruciava dentro di lei.
 
.....................
 
Quando li aveva visti entrare insieme, qualcosa dentro di lei era scattato come una molla. Doveva sapere, voleva sapere. E soprattutto sperava che la risposta alla sua domanda fosse quella che si aspettava.
Adesso era lì, sola con lui in un angolo, pronta a fargli quella domanda.
 
- Che succede?- le chiese lui, piuttosto basito dall’essere stato trascinato via dal gruppo.
- Allora, ti sei deciso finalmente?-
- A cosa ti riferisci?-
- Non fare il finto tonto, tu e Jodie siete arrivati con mezz’ora di ritardo e insieme. Dove siete stati?-
 
Lo vide sogghignare come suo solito, segno che aveva finalmente capito il motivo per cui si trovavano in disparte lontano dalle orecchie indiscrete dei loro amici e parenti.
 
- Non sono affari tuoi dove andiamo io e Jodie e in ogni caso non sono questi il luogo e il momento opportuni per parlare di certe cose- la liquidò.
- Ho visto la scena ieri sera a casa tua- insistette lei, per niente soddisfatta della sua risposta - A dire il vero l’abbiamo vista tutti. Il modo in cui le accarezzavi la schiena…ma dove siamo, al liceo?! Puoi fare di meglio! Siete due adulti, perciò fai l’adulto e dille cosa provi!-
- Chi ti dice che anche comportarsi come un liceale non possa essere una strategia vincente per conquistarla?- la prese in giro - Ad ogni modo ti ho già detto che questi non sono né il luogo né il momento opportuni. Adesso abbiamo altro di cui occuparci-
 
Non riuscì a ribattere perché la porta dell’aula si aprì e furono chiamati ad entrare. Ma di certo quella conversazione non sarebbe finita così.
 
…………………………..
 
Quando le porte dell’aula si aprirono, il suo cuore perse un battito. Era finalmente arrivato il momento, la resa dei conti che avrebbe cambiato per sempre le loro vite, qualunque fosse stato l’esito. Si erano messi in gioco, tutti quanti, e tutti quanti speravano di uscire da quell’aula vittoriosi.
Entrarono tutti insieme, come un plotone di soldati pronto alla guerra, e si sedettero negli stessi posti del giorno precedente. Il giudice chiamò il primo testimone di quel giorno: Shinichi Kudo. Si girò verso di lui, che era seduto nella fila dietro, gli sorrise e fece un cenno con la testa come per dirgli “Coraggio Cool Guy, dai il meglio di te come sempre”. Era certa che avrebbe compreso e infatti il ragazzo le rispose con un veloce occhiolino, prima di alzarsi in piedi e andarsi a sedere al banco dei testimoni.
 
- Signor Kudo, giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- chiese il giudice.
- Lo giuro-
 
L’avvocato del pubblico ministero prese il fascicolo col nome del ragazzo e cominciò ad interrogarlo.
 
- Signor Kudo, qui c’è scritto che Lei ha ingerito il farmaco APTX4869 creato dalla Signorina Miyano. Come è avvenuto il fatto?-
- Ero al parco divertimenti Tropical Land a Tokyo insieme ad un’amica e ho visto due tipi sospetti vestiti di nero.  Li ho seguiti e ho scoperto i loro traffici loschi. Poi loro si sono accorti di me e mi hanno preso alle spalle, colpendomi in testa e facendomi perdere i sensi. Mentre ero quasi completamente svenuto mi hanno fatto ingerire una pillola bianca e rossa e poi se ne sono andati. Ho avvertito un dolore lancinante, come se il mio intero corpo si stesse disintegrando e poi sono svenuto completamente. Quando ho riaperto gli occhi ho scoperto di essere tornato a quando avevo 7 anni- spiegò, con una sicurezza nel tono della voce da far invidia a tutti loro che si erano trovati prima di lui seduti a quel banco.
 
Ovviamente, dopo una risposta così certa e dettagliata, non tardò ad arrivare la replica dell’avvocato del diavolo. Il solo suono della sua voce le dava sui nervi come nient’altro, se qualcuno avesse premuto un gesso su una lavagna facendolo stridere non le avrebbe dato così fastidio come sentire quell’idiota esclamare “obiezione”.
 
- Obiezione: come può essere sicuro della veridicità del suo racconto se era quasi svenuto?- lo fissò con aria convinta, come se avesse fatto la domanda più intelligente del mondo.
- Obiezione accolta-
- Perché ricordo distintamente i due uomini, la pillola e lo shock di essermi risvegliato con dieci anni di meno- rispose semplicemente, ma senza tralasciare nulla.
 
Se ci fosse stato un tabellone punti, Cool Guy sarebbe andato a dieci in un colpo solo, mentre l’avvocato di Vermouth sarebbe rimasto a zero. Quel ragazzo era anche meglio di Shuichi seduto in quel banco.
L’avvocato del pubblico ministero continuò con le domande.
 
- Signor Kudo, Lei si è poi alleato con l’FBI per distruggere l’Organizzazione di cui la Signorina Vineyard faceva parte. Ha avuto altri contatti ravvicinati con lei? Ha cercato di farle del male?-
- Sì, ho avuto diversi incontri diretti con Vermouth ma non ha mai cercato di farmi del male. Al contrario, ha fatto di tutto perché mi salvassi la vita in ogni occasione. Ero il suo preferito, lei mi considerava l’unico in grado di sconfiggere l’Organizzazione. Mi chiama “Silver Bullet”: la leggenda vuole che i lupi mannari si sconfiggano solo con una pallottola d’argento nel cuore. Ma ad essere onesto non ho mai capito perché Vermouth ci tenesse così tanto che io distruggessi quell’Organizzazione di cui lei stessa faceva parte-
- Obiezione: se è vero che Lei era regredito all’infanzia dopo aver assunto quel farmaco, ci può spiegare perché la Signorina Vineyard avrebbe dovuto fare affidamento su un bambino di sette anni per sconfiggere un’Organizzazione criminale?- udirono per la seconda volta la voce di quel maledetto avvocato, che stavolta però aveva fatto una domanda logica e sensata.
- Obiezione accolta-
- Perché lei sapeva che la mia reale età non era quella e che la mia mente era rimasta quella di un diciassettenne, lo stesso detective diciassettenne che lei aveva già conosciuto in passato. Mi aveva soprannominato “Cool Guy”, ma una persona che non fosse stata a conoscenza della mia reale età mi avrebbe chiamato “Cool Kid” dal momento che all’apparenza avevo 7 anni. Per il resto, lo chieda direttamente alla sua assistita-
 
Cool Guy venti, avvocato uno. Stava andando alla grande, riusciva a tenergli testa senza difficoltà, come se si fosse allenato per anni a trovare le risposte giuste a quelle domande. Non per niente era diventato il suo detective preferito non appena lo aveva conosciuto. Era l’unico punto che aveva in comune con Vermouth: l’ammirazione per quel ragazzo e la fiducia nelle sue infinte capacità. Anche lei si era appoggiata a quel bambino di sette anni, nella convinzione che potesse essere un asso nella manica per l’FBI. E così era stato. Persino Shuichi, che non si fidava mai di nessuno, aveva stretto con quel bambino un’alleanza segreta da far rabbrividire i peggiori criminali del mondo.
Si girò per un attimo a guardare Vermouth, curiosa della sua reazione: stava sorridendo mentre fissava Shinichi che a sua volta la guardava.
 
- Lei ha assunto la finta identità di Conan Edogawa dopo essere tornato a quando aveva sette anni. Perché non ha mantenuto il suo vero nome?- chiese il pubblico ministero.
- Perché era troppo rischioso, l’Organizzazione mi aveva fatto assumere il farmaco con lo scopo di uccidermi e quindi ai loro occhi e agli occhi di tutti Shinichi Kudo doveva essere morto. Se avessero scoperto il doppio effetto del farmaco, credo ci sarebbero state spiacevoli conseguenze- spiegò.
- Obiezione: può provare che in realtà Conan Edogawa non sia un bambino di sette anni realmente esistente ,che semplicemente le somiglia? Magari lo ha usato per mettere in piedi questa storia e accusare la mia assistita- provò a metterlo in cattiva luce l’avvocato.
- Obiezione respinta-
- Signor giudice, vorrei rispondere comunque alla domanda dell’avvocato se posso-
- Prego-
- Può cercare anche subito tutte le prove che vuole in Giappone: non troverà nessuna traccia di Conan Edogawa, perché Conan non è mai esistito. Nonostante abbia preso parte a numerosi casi quando mi trovavo nei panni di Conan, ho sempre fatto di tutto perché la polizia non prendesse le mie impronte digitali: se lo avessero fatto avrebbero scoperto che corrispondevano a quelle di Shinichi Kudo. Le impronte digitali non mentono, per questo siamo tutti convinti che Chris e Sharon Vineyard siano la stessa persona-
 
Cool Guy cento, avvocato sottoterra. Sorrise, girandosi a guardare Shuichi che a sua volta le sorrise annuendo: sapeva di aver giocato la carta vincente. Era un match senza senso: il giovane detective sarebbe stato sempre avanti anni luce rispetto a quello pseudo-avvocato che avrebbe fatto meglio a cambiare mestiere.
Per la prima volta dopo più di un mese si sentì nuovamente pervadere da quei sentimenti che il precedente processo le aveva fatto chiudere a chiave in un cassetto: speranza, fiducia, voglia di credere. Sentiva che quel ragazzo avrebbe potuto dare a suo padre la giustizia che meritava.
 
- Obiezione: chi può garantirci che il motivo per cui Conan Edogawa non ha permesso alla polizia di prendere le sue impronte digitali non fosse perché così facendo la polizia avrebbe scoperto che si trattava di una persona diversa da Shinichi Kudo?-
 
Strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia: se non avesse ricoperto un ruolo rispettabile come quello di un’agente dell’FBI si sarebbe alzata e sarebbe andata a prendere a pugni in faccia quell’avvocato deficiente. Non si rendeva conto delle assurde domande che faceva?!
Qualcuno dalla seconda fila la pensò come lei, dal momento che sentì distintamente Masumi sussurrare “Ma che razza di domanda è?!” e Shiho risponderle, sempre mantenendo un tono quasi inaudibile, “Quella di uno che ha fatto finta di laurearsi ad Harvard”. Cercò di sopprimere una risatina mentre Shuichi , che doveva aver sentito anche lui quello scambio di battute, si voltò e cercò di fulminarle con lo sguardo per far capire loro che era meglio trattenere qualunque commento per dopo.
Senza nemmeno attendere la risposta del giudice, Shinichi espresse quello che era il pensiero di tutti loro.
 
- E perché mai avremmo dovuto temere una cosa simile? Credo sia più preoccupante se la polizia scopre che le impronte digitali di un bambino di sette anni corrispondono a quelle di un liceale di diciassette, piuttosto che scoprire che il bambino non ha alcuna correlazione con il ragazzo, non le pare?-
- Ma se avessero scoperto che non c’era correlazione il vostro piano sarebbe finito in fumo ancora prima di iniziare-
- Piano? Lei è ancora convinto che abbiamo pianificato tutto dall’inizio?- chiese, sorridendo beffardo - Si guardi bene intorno, avvocato. Guardi alla sua destra: ci sono seduti degli agenti dell’FBI, un’agente della CIA, due agenti dell’MI6 e una ragazza che potrebbe rivoluzionare il mondo della scienza con le sue capacità. Crede davvero che queste autorità e questa ragazza prodigio abbiano del tempo da perdere ad inscenare un piano per vendicarsi di un’attrice ormai sparita dalla scene da tempo, di cui nessuno si ricorda quasi più il nome? Chi è il visionario adesso, Lei o noi che sosteniamo l’esistenza di una pillola che fa ringiovanire?-
 
Ormai aveva perso il conteggio dei punti, il giovane detective aveva schiacciato il suo avversario con quella risposta. Shiho non era l’unico prodigio all’interno di quell’aula.
 
- E bravo il nostro apprendista di Holmes- sentì Shuichi sussurrare accanto a lei.
- Sta andando alla grande, vero Shu?- gli chiese sorridendo felice.
- Direi che è perfetto-
 
Il loro breve dialogo fu interrotto dalla voce dell’avvocato.
 
- Obiezione: il testimone mi accusa di non sostenere il vero!-
- Lei sta facendo esattamente la stessa cosa!- lamentò il ragazzo.
- Silenzio!- li richiamò entrambi all’ordine il giudice - Signor Kudo, si rivolga con più rispetto all’avvocato Williams-
- Mi dispiace Signor giudice ma non penso di aver detto nulla che non sia vero- affermò convinto e senza paura, per poi girarsi a guardare Vermouth con fare intimidatorio - Avanti Vermouth, confessa. Ormai sei in trappola, non c’è niente che possa scagionarti-
- Obiezione: il testimone si rivolge irrispettosamente verso la mia assistita!-
- Stia zitto-
 
Furono tutti sorpresi di sentire la sua voce risuonare nell’aula per la prima volta dopo ben due processi. Forse Vermouth riteneva che nessuno di loro fosse degno delle sue attenzioni, a parte colui che riteneva il migliore. Ma più di ogni altra cosa fu sorprendente come aveva fatto loro un favore mettendo a tacere il suo stesso avvocato, un gesto che poteva costarle caro. In tutta risposta, l’avvocato la fissò allibito restando a bocca aperta, incredulo.
 
- Sto aspettando il colpo di scena- continuò a parlare la sua nemica storica - È tutto qui quello che sai fare? Mi deludi un po’. Coraggio, fammi vedere cosa sa fare davvero il mio detective preferito. Show me your magic, Cool Guy- gli sorrise, guardandolo con fare provocatorio e beffardo.
 
Cosa stava cercando di fare? Cosa sperava di ottenere provocandolo in quel modo e zittendo il suo avvocato? A che gioco stava giocando? Quella donna era sempre stata un mistero per lei, solo domande e nessuna risposta. L’unica cosa di cui poteva essere certa era che Vermouth non era in grado di pentirsi per i crimini commessi, perché non li vedeva come tali. Per lei uccidere era come mangiare, bere o dormire: un gesto giustificato.
La voce di Shinichi riportò la sua attenzione a ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
 
- Se credi di poterti redimere, sappi che non ci riuscirai. Lei non c’è, Vermouth. Non è venuta e non verrà. Angel non verrà a salvarti. Lei ti odia per quello che hai fatto-
 
Quella risposta strana e incomprensibile face sgranare gli occhi a Vermouth, lasciandola per qualche secondo come paralizzata. Non aveva capito cosa intendesse dire Shinichi, forse nessuno di loro l’aveva capito dal momento che continuavano a guardarsi l’uno con l’altro nella speranza che qualcuno riuscisse a dare una spiegazione logica, ma una cosa era certa: aveva colpito nel segno.
Quando l’attimo di stupore terminò, sul volto di Vermouth apparve un’espressione malinconica, nonostante stesse sorridendo. Chinò di poco la testa, come se si fosse rassegnata. Cool Guy le aveva mostrato la sua magia, ma a lei per qualche motivo non era piaciuta.
 
 
- Basta così- interruppe quel dialogo il giudice - Vada a sedersi Signor Kudo. Signora Mary Akai, la prego di prendere posto al banco degli imputati-
- Non serve Signor giudice- intervenne nuovamente Vermouth - Ormai avete prove sufficienti per incriminarmi-
- Cosa intende Signorina Vineyard?-
- Quello che dice Shinichi Kudo è vero. È tutto vero, compresa la storia del farmaco che ringiovanisce. Io sono Sharon Vineyard e sono anche Chris Vineyard. E ho ucciso io il padre dell’agente Jodie Starling-
 
Si udì un notevole brusio in aula, i giurati e coloro che erano venuti ad assistere per curiosità al processo iniziarono a mormorare l’uno con l’altro. Loro, invece, non riuscirono a dire nulla: guardavano Vermouth sconvolti, increduli, incapaci di comprendere quell’improvvisa confessione. Se l’avesse fatta mesi fa si sarebbero risparmiati tutta quella fatica e quei pensieri. Ma perché lo aveva fatto? Perché si era arresa in quel modo? Era solo parte del suo gioco o si era davvero stancata di lottare? Non aveva senso, più ci pensava e più si convinceva che non poteva essere possibile. Per anni aveva cercato di insabbiare i suoi crimini, di negare le sue malefatte, ed ora erano bastate le parole indecifrabili di un ragazzino per farle ammettere davanti a un giudice in un’aula di tribunale che non era altro che un’imbrogliona assassina.
 
- Ma si è davvero arresa così?- chiese Hidemi.
- Ci ha risparmiato il lavoro, però è strano…- le rispose Camel, grattandosi la nuca.
- Credo che il ragazzino abbia detto qualcosa che l’ha fatta crollare- intervenne Shuichi, girandosi poi verso il giovane detective seduto dietro di lui - Chi è Angel?-
- Il punto debole di Vermouth- rispose sorridendo, senza aggiungere altro.
 
Angel…Il punto debole di Vermouth…Ma cosa voleva dire? Storse il naso: a volte quel ragazzino le sembrava la fotocopia di Shuichi. Forse era per questo che le piaceva così tanto?
La loro conversazione e il brusio in aula vennero interrotti dalla voce dell’avvocato che stava cercando disperatamente di non colare a picco insieme alla sua assistita.
 
- Ma Signor giudice, si rende conto che hanno spinto la mia cliente a confessare qualcosa che non ha fatto?!-
- Non mi hanno spinta a fare proprio niente, mi sono semplicemente stancata di giocare. Sono pronta a ricevere la mia punizione, Signor giudice- continuò lei, non lasciandogli via d’uscita.
 
L’avvocato si mise le mani nei capelli e si lasciò cadere esausto sulla sedia: nemmeno il suo adorato “obiezione” poteva salvarlo dal baratro in cui era caduto. Non era mai stata una persona sadica, non faceva parte della sua natura, ma doveva ammettere che vederlo in quello stato le dava una soddisfazione immensa. La cosa incredibile era che questo lo doveva solo a Vermouth.
 
- Signorina Vineyard, Lei confessa quindi di aver assunto due diverse identità, di aver fatto parte dell’Organizzazione criminale in questione, di aver assunto un farmaco che ha bloccato il progredire della sua età per sempre e di aver ucciso l’agente dell’FBI Ryan Starling?- le chiese conferma il giudice.
- Lo confesso- ammise nuovamente.
- A fronte di questa confessione, la giuria verrà da me informata sulle leggi più appropriate al caso in questione e si ritirerà per raggiungere un verdetto-
 
Pronunciate quelle parole, il giudice si alzò dalla sedia ed uscì dall’aula seguito dai membri della giuria. Sapeva dove stavano andando: in quella stessa stanza dove, un mese prima, alcuni di loro avevano deciso di non credere che quella donna fosse l’assassina di suo padre. Chissà se questa volta invece avrebbero creduto alla confessione spontanea di Vermouth… Insomma, chi avrebbe voluto credere alle parole di una che si era appena professata una criminale della peggior specie? Ma allora a cosa credevano quei giurati? Se non credevano a lei e non credevano nemmeno a Vermouth, in cosa credevano?
Strinse forte i pugni quando si accorse che i dubbi che l’avevano attanagliata in una morsa letale per tutto quel tempo e che sembravano essersene andati quando Shinichi aveva brillantemente superato il suo interrogatorio, erano tornati più forti di prima. Sentì una mano posarsi sulla sua: era quella di Shuichi. Doveva essersi accorto del suo nervosismo, d’altra parte lui si accorgeva di tutto. Non disse nulla, non lo guardò, si limitò soltanto a posare l’altra mano su quella di lui e rimasero così, in attesa di sapere cosa ne sarebbe stato di Vermouth e delle loro vite.
 
 
Dopo solo mezz’ora, che però a tutti loro sembrò un’eternità, sentirono la porta aprirsi e videro rientrare la giuria e il giudice, il quale annunciò loro che avevano raggiunto un accordo unanime. Quella era senz’altro una buona notizia, significava che non avrebbero più dovuto affrontare altri processi, ma l’accordo raggiunto era davvero quello che speravano? Dovevano essere preparati al fatto che la risposta a quella domanda potesse non piacergli.
Lasciò andare la mano di Shuichi e prese un lungo respiro, mentre ascoltava le parole del giudice.
 
- Stando alle prove presentate dall’FBI, dalla CIA, dagli MI6 e da tutti gli altri testimoni coninvolti, e tenendo conto della confessione spontanea della Signorina Vineyard, la giuria ha raggiunto un verdetto unanime: la corte dichiara la Signorina Vineyard colpevole dei reati commessi in quanto membro dell’Organizzazione criminale degli uomini in nero e dell’omicidio dell’agente federale Ryan Starling, e la condanna all’ergastolo. Così è deciso, l’udienza è tolta-
 
Quelle parole furono come una benedizione, pioggia che cadeva dal cielo dopo anni di siccità. Ce l’avevano fatta. Era finita. Vermouth avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni chiusa in una cella, anche se forse non le sarebbero bastati per riflettere e pentirsi di ciò che aveva fatto. Ma andava bene così, le bastava sapere che non avrebbe più rivisto la luce del sole, come non avrebbe più potuto vederla suo padre.
Espirò l’aria che aveva trattenuto fino ad allora e chiuse gli occhi, ringraziando silenziosamente la sorte che aveva deciso di farle quel regalo tanto desiderato. Intorno a lei poteva sentire il brusio delle persone che parlavano e le esclamazioni di gioia dei suoi amici e colleghi, che come lei erano felici di aver vinto la battaglia. Li riaprì quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla: era James.
 
- Hai visto che ce l’abbiamo fatta? Sei contenta?- le chiese sorridendo.
- Grazie James e scusami se sono stata sgradevole. Ti voglio bene, lo sai vero?- rispose, mentre due grosse lacrime le caddero dagli occhi, costringendola a togliersi gli occhiali per asciugarle.
 
Non aveva mai avuto paura di piangere di fronte a James, che per lei rappresentava l’unica famiglia che aveva avuto da quando Vermouth le aveva portato via la sua. In quel momento comprese quanto era stata ingiusta ad escluderlo, chiudendosi nel suo dolore e facendogli capire che non aveva fiducia in lui e in ciò che stava facendo per lei. Sperò che potesse perdonarla, ma sapeva che lui lo aveva già fatto, i padri perdonano sempre i propri figli.
 
- Tuo padre sarebbe orgoglioso di te, hai tenuto duro fino alla fine- la abbracciò, facendola piangere ancora di più.
- Scusate…- furono interrotti dalla voce di Hidemi, che si sentiva un po’ imbarazzata ad intromettersi in quel momento così intimo.
 
Si asciugò gli occhi e si rimise quegli occhiali che tanto amava, sorridendo alla ragazza per farle capire che non doveva preoccuparsi.
 
- Volevo solo congratularmi con te per la vittoria Jodie- le strinse la mano.
- Grazie, è anche merito tuo e della CIA se siamo arrivati fino a qui-
 
Poco lontano da loro, Masumi stava dando il cinque a Shinichi. Provò poi a darlo anche a Shiho che in un primo momento rimase perplessa, poi le sorrise e accettò. Ormai aveva imparato a volere bene a quella cugina così esuberante e diversa da lei.
Il giovane detective si girò poi verso Shuichi, sorridendogli e tendendogli la mano. Il suo gesto venne ricambiato allo stesso modo.
 
- Sembra che ce l’abbiamo fatta ragazzino e come solito è merito tuo- si complimentò il suo collega.
- Io direi piuttosto che è stato un ottimo lavoro di squadra-
- Grazie Cool Guy- si fece avanti e lo ringraziò anche lei - E grazie anche a te tesoro- si rivolse poi a Shiho, sorridendole dolcemente.
- Avevo anche io un conto in sospeso con Vermouth, diciamo che ne ho approfittato per prendermi la mia rivincita- le rispose la ragazza, ricambiando il sorriso.
 
Infine si girò verso di lui, che per tutto il tempo era rimasto al suo fianco. Lo aveva tenuto per ultimo, forse perché a lui aveva destinato le parole più belle. Lo guardò intensamente, perdendosi in quegli occhi verdi che l’avevano catturata sin dal primo momento che i loro sguardi si erano incrociati. Chissà se anche per loro ci sarebbe stato un lieto fine, un giorno. Per il momento le bastava sapere che fosse lì, al suo fianco, a stringerle la mano come aveva fatto fino a pochi istanti prima.
 
- Sei contenta?- le chiese.
- Sai Shu, a volte penso che tu sia una specie di angelo custode che mi salva sempre, anche se la tua faccia non è proprio quella di un angelo- rise, certa che avrebbe colto l’ironia ma anche il ringraziamento che si celava dietro quelle parole.
- Allora diciamo che sono un eroe come quelli dei fumetti- si atteggiò a superuomo, ma questa volta solo per gioco in risposta alla sua battuta.
 
Avrebbe voluto dirglielo che, per lei, lui un eroe lo era davvero, ma preferì tenere quella confessione per sé. In fondo gli eroi sono creature irraggiungibili e in ogni caso lui probabilmente lo sapeva già. Non era mai stata brava a nascondergli quello che provava per lui.
In risposta alla sua affermazione, gli sorrise e poi si concesse quell’unica follia per festeggiare la vittoria: gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò forte, incurante degli sguardi della sua famiglia, dei loro amici e dei loro colleghi. Lo strinse forte, inspirando quel profumo di colonia maschile e tabacco che era per lei il profumo più buono del mondo. In un primo momento sentì i suoi muscoli irrigidirsi, probabilmente il suo abbraccio lo aveva colto alla sprovvista; poi si rilassò nuovamente e con sua grande sorpresa ricambiò quell’abbraccio cingendole la vita e stringendola di più a sé.
Presa com’era a godersi quel momento speciale, non vide l’espressione soddisfatta sul volto di Shiho, che li stava fissando dal banco dietro.
I loro festeggiamenti terminarono quando si accorsero che le guardie carcerarie stavano ammanettando Vermouth, pronti per condurla nella cella dove avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni. Dopo essersi assicurati che non potesse fare del male a nessuno, le due guardie si posizionarono una alla sua destra e una alla sua sinistra, iniziando a scortarla lungo il corridoio centrale dell’aula. Sarebbe stata la sua passerella verso l’inferno, tutti l’avrebbero guardata un’ultima volta prima di chiudere per sempre quel capitolo delle loro vite.
L’assassina si fermò davanti a loro, guardandoli tutti uno dopo l’altro, per poi concentrare la sua attenzione su Shinichi, il suo preferito.
 
- Dì ad Angel che mi dispiace. Speravo tanto che venisse, ma a me gli angeli non hanno mai sorriso nemmeno una volta…- sorrise tristemente.
 
Angel, ancora quel soprannome. Era più dispiaciuta per il fatto che quella misteriosa persona non fosse venuta che per tutti i crimini che aveva commesso. Si chiese cosa avesse di così speciale questo “Angel” da averla spinta a tanto. Forse il giovane detective le avrebbe chiarito le idee più tardi. Si girò a guardarlo, aspettando la sua risposta al commento di Vermouth, ma il ragazzo non disse nulla.
Fu allora che Vermouth si girò rivolgendosi direttamente a lei.
 
- Anche se marcirò in prigione, tu non riavrai tuo padre. Sei comunque soddisfatta?-
 
Strinse i pugni così forte che le unghie avrebbero potuto affondare nella carne: come osava quella sporca assassina rivolgersi così a lei, parlare di suo padre dopo quello che aveva fatto?! Aveva privato una bambina della sua infanzia, della sua famiglia e di una vita normale e non aveva mai provato il minimo rimorso per tutto ciò. Quella donna era un autentico mostro, un diavolo venuto sulla terra per seminare morte e disperazione.
 
- Spero che tu muoia divorata  dalle fiamme dell’inferno, Vermouth. Così proverai la stessa sensazione che ha provato lui quando lo hai lasciato lì a bruciare in quella casa- le rispose, con un odio nel tono della voce che nemmeno lei stessa avrebbe mai pensato di provare in tutta la sua vita.
- Non ha sentito niente, era già morto quando ho appiccato il fuoco- replicò la sua nemica, sorridendo beffarda come se volesse prendersi gioco di lei e del suo dolore.
 
Prima che la situazione degenerasse e che si ritrovasse a metterle le mani addosso, Shuichi la afferrò per un braccio trattenendola e Shiho intervenne in suo aiuto.
 
- Sei davvero una bastarda Vermouth!- le urlò in faccia la giovane scienziata.
- Lo sei anche tu, Sherry. Io verrò ricordata come una criminale, ma chiediti come si ricorderà tutta questa gente di te dopo aver saputo quello che sei in grado di fare- le indicò con un cenno del capo tutte le persone presenti in aula, che li stavano guardando - Sei figlia del diavolo Sherry, non dimenticarlo mai-
 
Prima che qualcun altro di loro potesse replicare, le guardie carcerarie posero fine a quella spiacevole conversazione trascinando via Vermouth e sparendo dietro la porta d’ingresso dell’aula. Potevano riprendere a gioire, oppure commentare quello che Vermouth aveva appena detto loro: invece rimasero lì, in silenzio a guardare quella porta chiusa, ciascuno di loro chiuso nei propri pensieri. Vermouth aveva tutti i difetti di questo mondo, ma le sue parole avevano colpito nel segno esattamente come quelle di Shinichi avevano colpito lei. Stavano festeggiando la fine di una lunga battaglia, erano convinti di aver chiuso il capitolo con l’ergastolo di Vermouth, ma potevano davvero affermare con certezza che fosse la fine? La realtà li colpì in pieno come un treno in corsa: non sarebbe mai davvero finita. Il dolore, i ricordi, i sensi di colpa, gli errori commessi…forse il tempo li avrebbe resi meno pesanti da sopportare, ma non li avrebbe mai cancellati completamente. Le cicatrici che si erano procurati in quella battaglia li avrebbero marchiati per il resto delle loro vite, avrebbero camminato fianco a fianco con loro come fantasmi silenziosi. Lei non poteva riavere indietro suo padre, il ricordo di quella casa che bruciava e di James che le diceva che suo padre non sarebbe tornato da lei non avrebbero fatto meno male quando ci avrebbe ripensato fra vent’anni. Shuichi non poteva cambiare il fatto di aver usato la donna che amava, che per di più era sua cugina, per raggiungere il suo scopo; il senso di colpa lo avrebbe stretto nella sua morsa ogni volta che avrebbe pensato a lei. Shinichi avrebbe guardato negli occhi quei bambini che erano stati i suoi compagni di avventure e per il resto dei suoi giorni avrebbe mentito loro dicendo che Conan sarebbe tornato a trovarli un giorno, con la consapevolezza che invece quel bambino con gli occhiali non sarebbe mai più tornato indietro perché non era mai esistito realmente. E infine Shiho, che avrebbe portato il peso più grande di tutti loro: la coscienza di aver creato quel farmaco che aveva stravolto la vita di tutti loro, chi direttamente e chi indirettamente. La verità era che quel giorno, in quell’aula, non c’era stato nessun vincitore. Avevano perso tutti quanti qualcosa.
 
- Forza, andiamo- ruppe il silenzio Shuichi, che li invitò ad uscire dall’aula per non farvi mai più ritorno.
 
“Si dice che l’inferno sia senza fine. Che sia il nostro peggio incubo, il volto dell’oscurità. Ma qualunque cosa sia e comunque sia, secondo me l’inferno è vuoto e i diavoli sono qui.”
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Finalmente siamo arrivati alla conclusione del processo, questo sarà l’ultimo capitolo che si svolge dentro un’aula di tribunale. Da questo momento la storia sarà incentrata solo sullo sviluppo dei personaggi, che dovranno superare le loro difficoltà (in modo particolare l’attenzione sarà focalizzata ovviamente su Shuichi e Jodie).
Spero davvero di aver descritto questo processo nel migliore dei modi, non ho nessuna conoscenza in materiale di questioni legali e tutto ciò che so mi è stato detto da una ragazza americana che non smetterò mai di ringraziare per le preziose informazioni.
Inizialmente la mia idea era di condannare Vermouth alla pena di morte, ma la ragazza americana mi ha detto che la pena di morte viene raramente applicata nei tribunali federali. In più il fatto che Vermouth sia donna, un’attrice e che abbia confessato i suoi crimini sono ulteriori punti a favore di un ergastolo (poiché ha comunque ucciso un agente federale) ma non di una pena di morte.
Ultima curiosità del capitolo: se vi è piaciuta la frase finale, mi spiace deludervi ma non è farina del mio sacco! XD La frase è presa dal mio telefilm preferito, One Tree Hill e la pronuncia il personaggio di Nathan Scott. Mi è sembrata appropriata al finale del capitolo e ho pensato di metterla.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fino alla fine di questo interminabile processo!

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Capitolo 25
*** Capitolo 25: Un nuovo inizio ***


Capitolo 25: Un nuovo inizio
 
 
Dopo essere usciti dal tribunale quella stessa mattina, si erano accordati per riunirsi di nuovo tutti insieme la sera, per festeggiare la vittoria. Anche se alcuni di loro, lei compresa, erano ancora scossi dalle parole che Vermouth aveva pronunciato prima di essere portata via dalle guardie, avevano cercato di non farsi scoraggiare e di prendersi quella rivincita che tanto avevano desiderati. Ed ecco che ora si trovavano tutti quanti nel suo appartamento, più grande di quello di Shuichi ma comunque troppo poco spazioso per tutta quella gente.
Mentre gli altri si erano suddivisi in piccoli gruppi di due, massimo tre persone e parlavano degli argomenti più disparati, lei era in cucina insieme a Shiho che si era offerta di aiutarla a tagliare e lavare la frutta per preparare un fresco e sano “dessert”, perfetto per il dopo cena.
 
- Va tutto bene?- le chiese all’improvviso la ragazza, smettendo per un attimo di tagliare la mela che stringeva fra le mani.
- Perché me lo chiedi?- la guardò stranita.
- Ho avuto l’impressione che quello che ti ha detto Vermouth riguardo a tuo padre ti avesse buttata un po’ giù di morale. Non doveva permettersi di dire quelle cose, è davvero una donna ignobile!- strinse con forza il manico del coltello che stava impugnando.
- Sei molto gentile a preoccuparti ma sapevo fin dall’inizio che Vermouth non si sarebbe pentita di ciò che ha fatto, così come sapevo che anche vincendo questo processo non avrei potuto riavere indietro mio padre. Però ho vendicato la sua morte come mi ero ripromessa di fare anni fa e spero che se esiste il paradiso mio padre mi stia guardando da lassù e sia orgoglioso di me- alzò gli occhi al cielo, come se sperasse di incrociare realmente il suo sguardo con quello di suo padre.
- Sono certa che lo sia- annuì l’amica - Mi chiedo se anche i miei genitori siano orgogliosi di me dopo quello che ho fatto- abbassò lo sguardo.
- Lo sono di sicuro, hanno una figlia fantastica che ha fatto la cosa giusta e ha riparato ai suoi errori. Sbagliamo tutti, l’importante è prenderne coscienza e farne tesoro per non ripeterli più- le mise una mano sulla spalla - Piuttosto, tu stai bene? Vermouth è stata più carina con me che con te, ti ha dato del diavolo…-
- So di esserlo, quindi non posso certo ritenermi offesa dalle sue parole- riprese a tagliare la mela in piccoli cubetti.
- Non sei affatto un diavolo, sei solo una ragazza molto più intelligente dei tuoi coetanei. Quindi non pensare che quello che ha detto quella strega sia vero-
 
Fra di loro cadde il silenzio, entrambe avevano molto su cui riflettere. Ripensò a come Vermouth avesse ceduto così facilmente dopo quella frase pronunciata da Shinichi, ancora non riusciva a capacitarsene e a comprendere cosa ci fosse in quelle parole da averla scossa a tal punto. “Angel non verrà a salvarti”, così aveva detto il giovane detective. Ma a chi si stava riferendo? Di certo “Angel” era un soprannome, un soprannome che lei aveva l’impressione di aver già sentito. Fu allora che nella sua mente presero vita delle immagini che si susseguivano una dopo l’altra in un veloce flashback: la scritta “Angel” sulla foto di Ran Mouri che aveva trovato durante le sue ricerche su Vermouth, lo scontro avvenuto durante il party di Halloween in cui la stessa Vermouth aveva chiamato Ran con quel soprannome. Adesso le era finalmente chiaro chi fosse l’angelo di cui parlava Shinichi. Ran Mouri, figlia del famoso detective Goro. Già, ma cosa c’entrava Ran con Vermouth? Perché per Vermouth era così importante che Ran fosse venuta al processo? Aveva finalmente il nome della persona misteriosa, ma continuava a non capire. L’unico che poteva darle una spiegazione era colui che aveva usato Ran come un’arma a doppio taglio.
Si girò per guardare dove fosse e lo trovò poco distante dall’angolo cucina dove si trovavano lei e Shiho, stava parlando con suo padre, Shuichi e il padre di Shuichi. Appoggiò il coltello sul tagliere, si pulì velocemente le mani con lo straccio da cucina e si avvicinò a loro, interrompendo la conversazione e ignorando Shiho che le chiedeva dove stesse andando. La guardarono tutti con fare indagatorio, probabilmente l’espressione sul suo volto tradiva l’emozione della scoperta appena fatta.
 
- Cool Guy, ti posso parlare un momento?-
- Certo, ma è successo qualcosa?- chiese il ragazzo, non capendo.
- Niente di grave, tranquillo. Vieni un attimo in cucina- lo invitò a seguirla.
 
Non voleva fare quella conversazione davanti a tutti, era una sua curiosità e inoltre mettersi a parlare di nuovo del processo avrebbe rovinato la bella atmosfera che si era creata fra i suoi ospiti.
Il detective la seguì fino in cucina, dove Shiho li guardò entrambi senza capire cosa stesse succedendo.
 
- Cosa c’è Jodie, perché vuoi parlarmi qui da soli?-
- Perché Ran è così cara a Vermouth?- gli chiese senza troppi giri di parole.
 
In tutta risposta, il ragazzo la fissò perplesso in attesa di ricevere una spiegazione per quella domanda così inaspettata.
 
- Vermouth ha ceduto quando le hai detto che Angel non sarebbe venuta a salvarla. Ho pensato tanto a quel nome, ero certa di averlo già sentito e adesso mi sono ricordata dove: sulla foto di Ran che ho trovato mentre indagavo su Vermouth c’era scritto “Angel” e l’ha chiamata con lo stesso nome anche quando ci siamo scontrate la notte di Halloween. Angel è Ran, non è vero?-
- Degno di un’agente dell’FBI- sorrise il detective - Ebbene sì, parlavo di Ran quando mi sono rivolto a Vermouth con quel soprannome-
- Ma cosa c’entra Ran con Vermouth? Quale legame hanno da aver fatto sì che confessasse tutti i suoi crimini solo sentendo quel soprannome?-
- Per qualche motivo Vermouth aveva un debole per me e per Ran. Io ero quello che avrebbe sconfitto l’Organizzazione e lei era l’angelo che le dava speranza. Il tutto è nato quando anni fa io e Ran venimmo qui a New York e mia madre ci portò a vedere lo spettacolo “The Golden Apple” a Broadway: per farla breve Ran salvò la vita a Vermouth e da allora lei ha iniziato a considerarla come il suo angelo, l’unico che le avesse mai sorriso. Lei ci considerava come le cose più care che aveva nella vita, credo che vedersi voltare le spalle da entrambi l’abbia fatta cedere. Non mi era chiaro perché Vermouth non avesse mai parlato durante il processo, né perché fosse così tranquilla a riguardo: poi ho capito che sperava di vederla, Ran intendo. Per lei vedere quell’angelo a cui teneva tanto significava avere ancora una speranza di riscattarsi. Vermouth cercava la redenzione, ma quando le ho aperto gli occhi dicendo che il suo angelo non sarebbe venuto a salvarla, l’ultima speranza che le restava è crollata e così ha accettato il suo destino- spiegò.
- Capisco…allora ringrazia Ran da parte mia. Alla fine è merito suo se abbiamo vinto-
- Non credo che Ran vorrà saperne molto, è già rimasta coinvolta abbastanza in questa storia e non vuole esserlo ulteriormente. Quando le ho chiesto se voleva venire anche lei al processo ha risposto “Non ci penso nemmeno!”. Ma le porterò comunque i tuoi ringraziamenti-
- Allora corri a telefonarle, altrimenti si sentirà trascurata e ti odierà ancora di più di quanto non abbia già fatto- intervenne Shiho, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad ascoltare la loro conversazione.
- E di chi è la colpa?- assottigliò lo sguardo il ragazzo.
- Dovresti ringraziarmi, ti ho dato l’occasione di rivivere una seconda volta la tua infanzia. Non sei contento? Un bambino spensierato è sempre meglio di un adolescente problematico- disse senza nemmeno guardarlo in faccia, impegnata a mettere la frutta appena tagliata nelle apposite coppette.
- Ringraziarti? Contento? Bambino spensierato?- ripeté quelle parole, con una vena che gli pulsava visibilmente in una tempia - Spero che ti ci affoghi con quella frutta!-
- Jodie chiama la polizia, presto ci sarà un cadavere qui. Dove c’è il tuo detective preferito si verifica sempre un omicidio e dal momento che mi ha appena minacciata, il mio destino è segnato- ironizzò senza troppa enfasi.
- Ma voi due la smettete di punzecchiarvi sempre? Sembrate una coppia di vecchi coniugi brontoloni- li riprese lei, che in realtà si stava divertendo ad ascoltare quel dialogo botta e risposta.
 
Alla fine il giovane detective si allontanò da loro borbottando, ritornando a parlare con i suoi precedenti  interlocutori.
 
- Hai ancora un debole per lui?- chiese a bruciapelo alla sua giovane amica.
 
Non sapeva nemmeno lei perché le avesse fatto quella domanda all’improvviso, le parole erano uscite spontaneamente senza preoccuparsi troppo. Si pentì subito dopo, sperando di non essere stata troppo inopportuna. Lei più di chiunque altro sapeva cosa significasse provare dei sentimenti per qualcuno che non li ricambiava ed era una sensazione che non avrebbe augurato a nessuno, tantomeno ad un’amica.
Shiho non si arrabbiò ne tanto mento si intristì: la guardò con l’espressione buffa di chi non aveva capito nulla.
 
- Quando eravate ancora Conan e Ai mi sono accorta che provavi qualcosa per lui. Lo consideravi speciale nonostante cercassi di mascherarlo- spiegò.
- Ti sbagli- fece la sostenuta - E poi lui ha la sua signorina dell’agenzia investigativa. Chi vorrebbe stare con un diavolo quando può stare con un angelo?- aggiunse.
- Ascoltami bene- la prese per le spalle, costringendola a guardarla in faccia - Un giorno troverai un ragazzo che ti amerà e ti accetterà anche se dovessi portarlo insieme a te a bruciare tra le fiamme dell’inferno, capito?-
 
Pronunciò quelle parole con tutta la serietà del mondo, convinta della sua affermazione. Era certa che un giorno anche quella ragazza così speciale avrebbe trovato un uomo altrettanto speciale degno di lei.
 
- Tu ne sai qualcosa di bruciare all’inferno insieme a qualcuno che ami- le rispose sorridendo - A proposito, ci sono novità con Shuichi? Ho visto come l’hai abbracciato al processo e stamattina siete arrivati in ritardo e insieme. Dove siete stati?- ammiccò, come se volesse insinuare che fosse successo qualcosa di piccante fra loro.
- Mi spiace deluderti ma non c’è nessuna novità, il nostro rapporto è rimasto lo stesso di sempre. Non so se fra noi tornerà mai ad esserci quella scintilla che si  era accesa sei anni fa, ma a me basta che sia presente nella mia vita, anche solo come amico o collega. Questa mattina mi ha accompagnata alla tomba di mio padre, volevo farglielo conoscere visto che lui ha portato qui tutta la sua famiglia per aiutarmi-
- Sei davvero contenta?- le chiese sorpresa - Masumi è un maschiaccio casinista, mia zia è il sergente di ghiaccio…l’unico che si salva è mio zio. E anche l’altro mio cugino, il Meijin, anche se a volte è talmente sbadato da sembrare tonto e ha una fidanzata che è un po’ pazza-
- Beh, non ti puoi certo annoiare con loro- rise di gusto - Comunque sono contenta che li chiami “zia”, “zio” e “cugini”, significa che hai accettato la cosa-
- Non posso fare altrimenti, sono l’unica famiglia che mi è rimasta. Geneticamente parlando, intento- si corresse, per far capire che anche il Dottor Agasa era diventato a tutti gli effetti parte della sua famiglia.
- Pensi che resterai a vivere dal Dottore o andrai con i tuoi zii?-
- Non lo so, loro vorrebbero che mi trasferissi a casa loro ma…quella è la mia casa ormai- disse, riferendosi alla casa dello scienziato e abbassando lo sguardo - Però non voglio continuare ad essere un peso per il Dottore-
- Ma tu non sei affatto un peso per lui, anzi- le accarezzò il viso - Credo che sia contento di avere la tua compagnia, si sentirebbe solo se non ci fossi-
- Vi serve una mano?- si avvicinò Shuichi, interrompendole.
 
Le colse di sorpresa, non l’avevano nemmeno sentito arrivare. D’altra parte era un vero mago in questo genere di cose, un lupo capace di avvicinarsi alla sua preda senza dare nessun indizio della sua presenza, per poi sbucare fuori dal nulla e attaccarla quando meno se lo aspettava. Si chiese se non avesse origliato indisturbato tutta la loro conversazione. Insieme a lui c’era anche Shinichi.
 
- No, abbiamo finito- si affrettò a rispondergli.
- E poi se a preparare la frutta ci metti lo stesso tempo che a chiedere a una ragazza di uscire a cena, mangeremo il dessert il giorno del mio quarantesimo compleanno- ironizzò Shiho, non mancando di lanciargli le solite frecciatine su quell’argomento.
- Non li avevi già compiuti?- intervenne Shinichi in favore dell’amico.
 
La scienziata gli lanciò un’occhiataccia che avrebbe fatto tremare di paura anche un guerriero valoroso e poi si allontanò facendo il giro degli ospiti con il vassoio in mano, perché ognuno potesse prendere una coppetta di frutta.
 
- Cool Guy non è affatto carino dire a una ragazza che è vecchia!- lo rimproverò, ma senza cattiveria.
- Jodie, guarda che mia madre ha più di cinquant’anni...se ti sente dire che una è vecchia a quarant’anni, vedrai come ti guarderà male sul serio- le rispose Shuichi, facendo riferimento a quanto gli aveva detto la sera precedente sul balcone a proposito dello sguardo di sua madre.
- Ops- si mise una mano sulla bocca, fingendosi dispiaciuta.
- Complimenti Jodie, questa frutta è deliziosa!- si avvicinò a loro anche Camel, probabilmente in cerca di compagnia.
- Grazie Camel, ma io l’ho solo lavata e tagliata- sorrise davanti a quel commento così ingenuo del collega.
 
Nel frattempo anche Shiho era tornata e aveva riposto sul tavolo il vassoio con le coppette avanzate. Poi, senza dire nulla, aprì un’anta del mobile da cucina ed estrasse una  busta di carta decorata, di quelle che solitamente si riempiono con dei regali. La fissarono tutti cercando di capire a chi fosse destinata: non le risultava che fosse il compleanno di nessuno dei presenti, almeno di quelli che conosceva bene. Non l’aveva nemmeno vista metterla all’interno del mobile, perciò si chiese quando avesse agito. Degna cugina di Shuichi.
 
-  E quella cos’è?- le chiese infine, desiderosa di togliersi la curiosità.
- Tieni, è un regalo per te- lo porse a Shuichi, ignorando la sua domanda.
- Per me? Perché?-
- L’ho visto e ho pensato fosse adatto a te-
 
Incuriositi, si avvicinarono tutti al tavolo in attesa che Shuichi aprisse la busta e ne rivelasse il contenuto. Anche Masumi li aveva raggiunti e il resto dei presenti aveva focalizzato l’attenzione su di loro. Shuichi la aprì senza fare ulteriori domande ed estrasse una confezione con dentro una piccola bambolina, una di quelle classiche con capelli biondi e lunghi, occhi azzurri e guance color pesca. Oltre alla bambolina, dentro la scatola c’erano anche i suoi relativi accessori: un pettine, un paio di scarpine e un vestitino di ricambio. Nella stanza calò un silenzio tombale, tutti fissavano quel regalo come un gruppo di ebeti che non sapevano nemmeno che giorno fosse e perché fossero lì. Erano spaesati, confusi, non capivano cosa stesse succedendo e cosa volesse dire quel regalo assurdo. Shiho era l’unica che sorrideva beffarda, godendosi il momento di confusione che aveva generato.
 
- Che significa?- chiese Shuichi guardandola.
- Ho pensato che siccome ti piace rimandare le questioni all’infinito, trascorrere il tuo tempo pettinando le bambole sarebbe un’attività perfetta per te-
 
Lo fissò con aria di sfida, come se quel regalo fosse una specie di vendetta per qualcosa che Shuichi aveva o non aveva fatto. Non sapeva cosa ci fosse dietro di preciso, ma aveva capito che per “rimandare le questioni” Shiho intendeva dire che Shuichi non stava facendo nessun passo verso di lei per trasformare la loro relazione in qualcosa di più di una semplice amicizia. Si era presa a cuore quella situazione più di ogni altra cosa al mondo e questo la rendeva immensamente felice e le faceva percepire tutto l’affetto che nutriva per lei. Non avrebbe mai potuto sostituire quella sorella maggiore che le mancava così tanto, ma avrebbe fatto di tutto per essere presente nella sua vita anche se un intero oceano le separava.
Intorno a loro si udirono delle risate trattenute a stento, anche lei si coprì la bocca con la mano e distolse lo sguardo, nel tentativo di non scoppiare a ridere senza ritegno. Shinichi era visibilmente imbarazzato, come se il regalo fosse stato fatto a lui. Il destinatario di quel regalo invece si limitò a sorridere ghignando com’era suo solito, segno che non se l’era affatto presa per quello scherzo. Sembrava divertito esattamente come tutti gli altri.
 
- Grazie, non dovevi disturbarti- le disse.
- Figurati-
 
Ormai nessuno di loro riusciva più a trattenersi, la stanza si riempì delle loro risate. Gli unici che si contennero furono Shinichi, il quale si mise una mano sul volto scuotendo la testa e Mary, che nonostante stesse sorridendo non si scompose. In quanto ad apatia sembrava anche peggio del figlio.
 
- Ti stai divertendo vedo- si girò verso di lei, che stava ridendo a crepapelle proprio di fianco a lui.
- Oh sì, è più divertente di quella volta in cui Camel si è tagliato i capelli!- ammise, continuando a ridere - Però è molto carina, sono un po’ gelosa. Me la presti ogni tanto?- lo prese in giro.
 
Shuichi scosse la testa e rimise la bambolina nella busta, guardando Shiho con l’aria di uno che voleva dire “d’accordo, hai vinto tu questa volta”. La scienziata riprese la busta e la rimise nel mobile, ponendo fine a quel momento di ilarità. Dopo pochi minuti tutti erano tornati a chiacchierare suddivisi in gruppi: il Signor Kudo con James e il padre di Shuichi, Yukiko con la madre di Shuichi e loro intorno al tavolo.
 
- Sei davvero una strega, che bisogno c’era di mettere in imbarazzo l’agente Akai davanti a tutti?- la rimproverò Shinichi.
- Se non gli piace il mio regalo posso riprendermelo indietro, ma ad una condizione- incrociò le braccia al petto.
- Sarebbe?- chiese Shuichi, che si dimostrò subito interessato.
- Presenta Jodie ai tuoi genitori-
- Eeeeh?!- esclamò lei colta alla sprovvista, alzando il tono della voce.
- Ma che razza di compromesso è?!- chiese il giovane detective.
- Siamo qui da giorni e a parte parlare del processo non ha fatto altro. Visto che sono venuti qui per aiutarla mi sembra il minimo presentargliela come si deve-
- Bella mossa!- le diede una pacca sulla spalla Masumi.
- E voi due da quando vi siete alleate?- Shinichi era sempre più stranito.
- Credo che questa conversazione stia diventando imbarazzante, quindi meglio se la chiudiamo qui- intervenne lei, che iniziava a sentirsi un po’ troppo chiamata in causa.
 
Shuichi ignorò completamente la sua disperata richiesta, concentrando tutta la sua attenzione su Shiho: ormai era diventata una sfida all’ultimo sangue fra i due, nessuno aveva intenzione di cedere ed entrambi volevano vincere quella partita a tutti i costi.
 
- Tu non credi che io abbia il fegato di farlo, non è così?- le chiese ghignando.
- Puoi biasimarmi?-
- No, ma posso sorprenderti-
 
Dopo aver pronunciato quella parole abbandonò il tavolo e si diresse verso suo padre, che stava ancora parlando con James e il Signor Kudo a pochi metri da loro. Gli disse qualcosa, ma la distanza e il tono di voce erano tali che nessuno di loro poté comprendere: l’unica cosa chiara era che stavano parlando di lei, poiché vide Shuichi fare un cenno con la testa verso il tavolo per poi guardarla dritta negli occhi. Anche suo padre si girò a guardarla e in quel momento desiderò solo sprofondare in una fossa e non fare mai più ritorno. La situazione peggiorò quando li vide avanzare verso di loro.
 
- Perché lo hai fatto?- sussurrò a Shiho, visibilmente agitata.
- Pensavo ti facesse piacere- rispose con innocenza.
- Non vuoi conoscere nostro padre?- chiese Masumi con gli occhi da cucciolo, come se fosse dispiaciuta del fatto che volesse evitare quell’incontro organizzato in modo così imbarazzante.
- Ma certo tesoro, è solo che mi sarebbe piaciuto conoscerlo in un modo un po’ meno forzato e imbarazzante- ammise, sforzandosi di sorridere quando in realtà era tesa come una corda di violino.
 
Ormai Shuichi e suo padre erano a pochissimi passi da lei, non poteva più fuggire da quell’incontro. Fece un lungo respiro, cercò di calmarsi per non dare l’impressione di essere una pazza isterica e regalò ai due uomini uno dei suoi migliori sorrisi. Mentre Shiho cercava di trascinare via Masumi e Shinichi per lasciarli soli, si chiese come avrebbe dovuto comportarsi e cosa avrebbe dovuto dire davanti al padre dell’uomo che amava: non voleva fare figuracce ma non sapeva nulla di quell’uomo. Le era sembrato gentile e Shiho lo aveva definito come l’unico “sano di mente” della famiglia, ma non era abbastanza per poter capire il suo carattere.
Si fermarono a pochi passi da lei, che continuò a nascondere il suo imbarazzo dietro a un sorriso.
 
- Jodie, questo è mio padre. Mi spiace non avervi presentati come si deve prima, purtroppo non ci sono state molte occasioni-
- Piacere di conoscerla Signor Akai- si chinò leggermente in avanti, facendo il tradizionale saluto giapponese nel rispetto della nazionalità del padre di Shuichi.
- Il piacere è mio, sono quasi imbarazzato nel presentarmi a una così bella ragazza. Chiamami pure Tsutomu-
 
Arrossì davanti a quel complimento fatto con tanta gentilezza ed eleganza: già a primo impatto quell’uomo sembrava molto diverso da suo figlio. Lo guardò per un po’, studiandone i lineamenti del viso. Le sembrava che somigliasse a qualcuno che aveva già visto, ma non riusciva a ricordare chi e dove.
Shuichi li abbandonò quasi subito, gettandola nel panico più totale: quale conversazione avrebbero mai potuto avere senza di lui? Non sapevano niente l’uno dell’altra, non era certa che avessero qualcosa in comune di cui parlare a parte lo stesso Shuichi. Provò ad accennare un dialogo, per non sembrare una scema che lo fissava e sorrideva senza proferire parola.
 
- La ringrazio molto di essere venuto fino a qui  per testimoniare al processo. Mi spiace che alla fine però non abbiate fatto praticamente nulla-
- Dammi del tu Jodie, altrimenti mi sento vecchio- le sorrise - E non preoccuparti, alla fine abbiamo ottenuto tutti quello che volevamo e questo è l’importante. Preferisco essere venuto ad assistere alla fine dell’ultimo membro rimasto di quella maledetta Organizzazione senza aver mosso un dito piuttosto che aver lottato come un leone per essermene andato a mani vuote-
 
Annuì e sorrise, era felice che anche lui la pensasse così. D’altra parte era stato costretto a stare lontano dalla sua famiglia per anni, senza poter vedere i suoi figli crescere. Anche lui aveva pagato un prezzo molto alto. Ma potevano davvero dire di aver ottenuto ciò che volevano? Era davvero solo questo ciò che desideravano, che Vermouth finisse in prigione? Chi avrebbe restituito loro tutte le cose avevano perso lungo la strada? Ricacciò immediatamente indietro quei brutti pensieri: non erano né il momento né il luogo per lasciarsi andare alla tristezza.
 
- Shuichi ci ha raccontato della tua famiglia…mi dispiace molto, non devi aver avuto una vita facile- continuò Tsutomu.
- No, per niente, ma anche per voi non deve essere stato facile vivere separati per anni. Però avete avuto una seconda occasione ed è una cosa che non capita tutti i giorni. Siete davvero una bellissima famiglia-
 
Il suo sguardo si fece triste mentre pronunciava quelle parole e anche Tsutomu se ne accorse, poiché la guardò dispiaciuto come se avesse capito di aver toccato un tasto dolente. Si maledisse da sola, non voleva certo fargli pena o sembrare depressa. Si chiese cosa pensasse adesso di lei, forse che era una ragazza infelice con cui era impossibile avere un dialogo spensierato.
Fortunatamente, Tsutomu cercò di metterla a suo agio rompendo quel silenzio che si era creato fra loro.
 
- Allora, com’è lavorare con mio figlio?- cambiò discorso.
- Difficile- ammise - É uno stacanovista, perfezionista e a volte ti fa davvero saltare i nervi- storse la bocca - Ma siamo fortunati ad averlo con noi, è un agente eccezionale e una risorsa insostituibile per l’FBI-
- Tutto sua madre- ironizzò - E tra di voi che rapporto c’è? Masumi continua a dire che siete fidanzati-
 
Quella domanda aumentò a dismisura l’imbarazzo che già provava, al punto tale da farla rimanere con la bocca aperta nel tentativo di pronunciare qualcosa che però non uscì. Boccheggiava come un pesce tolto dall’acqua, ma alla fine non rispose alla domanda di Tsutomu. Perspicace come lo era stato fino a quel momento, l’uomo rise e le picchiettò una mano sulla spalla, comprendendo la sua difficoltà.
 
- Scusami se sono stato indiscreto, ero solo curioso di sapere. Io e mia moglie ci siamo stupiti quando Shuichi ci ha chiamati e ha insistito così tanto perché venissimo a testimoniare al processo, dicendo che una sua collega aveva assolutamente bisogno di aiuto e che dovevate vincere a tutti i costi; così ho pensato che non fosse una semplice collega visto tutto il suo interessamento-
 
Quelle parole la resero inaspettatamente felice, ma al tempo stesso cercò di restare con i piedi per terra: Shuichi era il tipo di persona che si faceva in quattro per aiutare tutte le persone a cui teneva, ma questo non voleva certo dire che l’amasse. Non voleva farsi illusioni e soprattutto non voleva mentire alla sua famiglia. Non era giusto per nessuno.
 
- Siamo solo buoni amici e colleghi, tutto qui- ammise
- Lo diceva anche mia moglie, poi l’ho convinta a sposarmi-
 
Non riuscì a trattenere una risata, contagiando anche lo stesso Tsutomu. Quell’uomo era l’esatto opposto di suo figlio: empatico, dolce, dotato di senso dell’umorismo. Ora capiva perché Shiho lo apprezzasse più degli altri.
Smisero di ridere quando Shuichi si avvicinò nuovamente a loro, forse attirato da quell’ilarità improvvisa.
 
- Sai Shu, tuo padre è davvero simpatico, non ti somiglia per niente- lo punzecchiò.
- Te l’ho detto che somiglia a mio fratello-
 
Si fermò un attimo a riflettere su quelle parole e finalmente realizzò perché le sembrava di aver già visto Tsutomu: era davvero somigliante al fratello minore di Shuichi, quel ragazzo che aveva visto giocare a quello strano gioco simile agli scacchi la sera in cui Shuichi l’aveva portata a casa sua dopo il primo processo.
 
- Ecco perché mi sembrava che avesse un viso familiare- batté un pugno sul palmo della mano.
- Hai conosciuto il fratello di Shuichi?- si sorprese Tsutomu.
- No, abbiamo solo visto una partita di shogi trasmessa live sul web- chiarì l’equivoco Shuichi.
 
Mentre stavano avendo quel dialogo, si accorse che la madre di Shuichi aveva lasciato Yukiko e stava avanzando verso di loro. Si sentì ancora più nervosa di quando, pochi minuti prima, Tsutomu si era avvicinato a lei. Mary la inquietava con quel suo sguardo penetrante, molto più di quello del figlio. Non sapeva nulla nemmeno di lei ma poteva essere certa di una cosa: se avessero avuto una conversazione, di certo non l’avrebbe messa a suo agio come invece avete fatto suo marito. Doveva stare attenta a quello che sarebbe uscito dalla sua bocca.
 
- Volevo presentarti anche mia madre- le disse il collega, dopo che la donna li aveva ormai raggiunti.
 
Si fissarono per un momento, provò a sorridere alla donna ma tutto quello che le uscì fu un’espressione strana.
 
- Sono Mary, la madre di questo sciagurato. Piacere di conoscerti- si presentò tendendole la mano, poiché a differenza del marito aveva abitudini più occidentali che tradivano le sue origini.
 
Le tremarono le labbra nel goffo tentativo di trattenere una risata. Con Tsutomu poteva anche lasciarsi andare, ma con Mary non poteva permettersi di scoppiare a ridere davanti alla sua faccia dopo che era venuta a presentarsi. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, non riuscì a trattenersi di fronte a quell’affermazione. Non si sarebbe mai aspettata di vederla presentarsi in quel modo, era incredibile come riuscisse a risultare esilarante nonostante la sua freddezza glaciale.
Quando riuscì a contenere le risate, allungò la mano e strinse quella di Mary.
 
- Piacere di conoscerla-
- Devi avere una bella pazienza per sopportarlo, ti faccio i miei complimenti-
- Non sapevo che fosse la serata del “tutti contro di me”, se mi aveste avvertito mi sarei risparmiato il disturbo di venire- intervenne Shuichi, che nonostante tutto sembrava divertirsi davanti a quel teatrino.
- Se ti senti preso di mira puoi sempre metterti in un angolo a giocare con la tua nuova bambola- lo prese in giro.
- Invece di lamentarti perché non ci presenti la tua fidanzata come si deve? Anzi no, parla tu perché da lui non si riesce mai a sapere nulla- si rivolse direttamente a lei, affiancando suo marito e incrociando le braccia.
 
Per l’ennesima volta quella sera sentì le guance avvampare, l’imbarazzo era diventato il suo migliore amico. Stavolta c’era anche Shuichi lì, aveva sentito tutto quanto e questo le fece venir voglia di piangere dalla disperazione. Come diavolo ci era finita in quella situazione?! Si ripromise di farla pagare a Shiho in un modo o nell’altro: era solo colpa sua se adesso si trovava lì a dover dare spiegazioni e chiarire malintesi. In cuor suo sperò che quella serata terminasse il prima possibile, perché stava diventando più dura da sopportare del processo di Vermouth.
Ma ecco che il suo nuovo angelo custode intervenne ancora una volta in suo soccorso.
 
- Mary, c’è stato un malinteso…- cercò di spiegare Tsutomu.
- Di che genere?-
- Jodie non è la fidanzata di Shuichi, Masumi si è sbagliata-
- Bene, pensavo di avere solo un figlio sciagurato invece ne ho due. Meno male che Shuukichi si salva- scosse la testa la donna, in segno di disappunto.
- Fare preferenze tra i tuoi figli invece non è un comportamento da madre sciagurata?- si sentì chiamato in causa Shuichi
- Shu!- lo rimproverò - Non dovresti parlare così a tua madre!-
 
Non le piaceva che ci fossero screzi fra loro, specie se generati da un malinteso che la vedeva protagonista.
Avevano trascorso già troppo tempo lontani, ora dovevano recuperare i momenti persi piuttosto che insultarsi gli uni con gli altri per questioni futili come quella.
Shuichi ignorò le sue parole e preferì allontanarsi per mettere fine a quel battibecco, andando a parlare con Camel e James. Fu così che rimase sola con i coniugi Akai e con il compito di riportare la pace negli animi. Sospirò, pensando che a volte quell’uomo che amava tanto era capace di trasformarsi nel peggiore degli idioti.
 
- Mi dispiace tanto- si scusò con Mary - Non lo fa apposta, il fatto è che Shu è un po’…- non riuscì a trovare il termine giusto per non sembrare scortese.
- Tranquilla, lo so che mio figlio è un idiota-
 
Ottimo, ci aveva pensato Mary a dare vita ai suoi pensieri. Tanto di guadagnato.
 
- Su Mary, adesso calmati- cercò di farla ragionare il marito, posandole entrambe le mani sulle spalle.
- Sì, ha perfettamente ragione. È un vero idiota a volte- le diede man forte.
- Sei una brava ragazza, sei sprecata per uno come lui. Faresti meglio a togliertelo dalla testa-
 
Quelle parole le fecero male, stringendo il suo cuore in una morsa gelida. Era come se pronunciandole Mary non avesse dato la sua benedizione a una loro eventuale storia, non perché non accettasse lei ma perché pensava che Shuichi non meritasse qualcosa di bello nella sua vita. Era triste pensare che una madre avesse così poca considerazione di suo figlio. Lei avrebbe dato qualunque cosa per poter sentire ancora una volta la voce di suo padre che le diceva quanto era orgoglioso di lei. Era felice di aver fatto una buona impressione a quella donna, ma voleva sentirle dire che sarebbe stata una ragazza perfetta per suo figlio, non una ragazza sprecata. Anche se le costava ammetterlo, desiderava quel consenso fin dal primo momento in cui Shuichi glieli aveva presentati. Se fosse piaciuta a loro, allora forse avrebbe avuto una speranza…Ma non era più una bambina, sapeva che le storie che le raccontava suo padre erano solo favole. Se anche fosse piaciuta ai suoi genitori, non voleva certo dire che Shuichi l’avrebbe amata. Doveva restare con i piedi per terra.
 
-Ma Mary…- fu tutto quello che riuscì a dire suo marito.
- Gliel’ho detto, siamo solo amici e colleghi- replicò, abbassando lo sguardo.
- Puoi continuare a ripeterlo ma il modo in cui lo guardi e ti comporti tradisce fin troppo bene i tuoi sentimenti. Sei innamorata di Shuichi, non è così?- la mise alle strette senza troppi complimenti.
 
Tsutomu cercò di farla desistere dal continuare, quella donna non aveva chiaramente peli sulla lingua. Si sentiva in trappola, non sapeva cosa risponderle. Se avesse mentito, Mary se ne sarebbe certamente accorta e avrebbe contrattaccato; se avesse detto la verità avrebbe invece fatto la figura della disperata che correva dietro a un uomo a cui non importava nulla di lei, almeno non in quel senso. Avrebbe perso in ogni caso, quindi decise di uscire da quella situazione con classe. Da perdente, ma con classe.
 
- Mi perdoni ma non credo che questi siano affari che la riguardino. E in ogni caso Shuichi merita di essere felice come chiunque altro in questa stanza. Ha già sacrificato tante cose…-
- Jodie ha ragione- intervenne Tsutomu in sua difesa- Sai, un po’ mi dispiace che non ci sia nulla fra voi. Ci farebbe molto piacere averti in famiglia-
- Anche a me farebbe molto piacere, ma non sono io a dover decidere- gli sorrise -Con permesso-
 
Si congedò da loro senza dare a Mary il tempo di replicare, ammesso che avesse l’intenzione di farlo. Non intendeva continuare quella conversazione oltre. Lasciò il soggiorno e i suoi ospiti e si diresse verso il bagno, aveva bisogno di stare qualche minuto da sola dopo quella specie di “scontro” (se così poteva definirlo) con la madre di Shuichi. I suoi piani andarono a monte quando trovò proprio quest’ultimo davanti alla porta del bagno, con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte, in compagnia di Shinichi. Forse si erano appartati come solito per parlare di cose che non volevano che gli altri sentissero o forse, semplicemente, stavano facendo la fila per il bagno. La cosa la infastidì: c’era troppa gente in casa sua in quel momento, non poteva nemmeno starsene un po’ in pace da sola perché ogni angolo della casa era occupato da qualcuno. Cercò di calmarsi, non poteva essere scortese e non era colpa di nessuno, ma quel dialogo con Mary l’aveva resa nervosa.
 
- Voi che ci fate qui?- chiese loro.
- C’è la fila per il bagno, Shiho e Masumi sono dentro da secoli- le rispose Shinichi.
- Hai già finito di conversare con i miei?- le domandò Shuichi.
- Beh ecco…diciamo che l’atmosfera si era fatta un pochino pesante e potrei aver risposto in modo sgarbato a tua madre…- si morse il labbro inferiore, temendo che si arrabbiasse.
 
Da quanto aveva capito il rapporto fra Shuichi e sua madre non era proprio roseo, ma restava pur sempre sua madre e forse sapere che non si era comportata bene con lei avrebbe potuto deluderlo.
Al contrario, il collega sembrò prenderla piuttosto bene.
 
- Ma come? Non andavate d’accordo? La stavi anche difendendo quando me ne sono andato- la prese in giro.
- Sì, solo che poi ha cominciato ad andare troppo sul personale e ho reagito d’istinto…dopo andrò a scusarmi come si deve-
-Che ti ha chiesto?- la guardò serio.
- N-niente, una sciocchezza!- scosse le mani - Non avrei dovuto prendermela così-
 
Non poteva certo dirgli che i suoi genitori avevano capito tutto riguardo ai sentimenti che provava per lui e inoltre c’era anche Shinichi lì, non le sembrava proprio il caso di affrontare l’argomento.
 
- Vi lascio soli, mi sento di troppo- sembrò leggerle nella mente il giovane detective, che tornò a passi lenti verso il soggiorno con le mani incrociate dietro la nuca.
- Sicura che va tutto bene? Guarda che puoi dirmelo, so bene com’è fatta mia madre- le chiese nuovamente, senza mai toglierle gli occhi di dosso per cogliere ogni sua espressione.
- Tranquillo Shu è tutto a posto- lo rassicurò, anche se probabilmente la sua faccia diceva altro.
 
Non se la sentiva proprio di tirare ancora fuori quell’argomento, l’ultima volta che ne avevano discusso aveva rischiato di perderlo e non voleva più che succedesse. Aveva bisogno che Shuichi fosse nella sua vita, qualunque fosse stato il suo ruolo.
 
- Piuttosto, cosa stanno facendo quelle due in bagno? Sono preoccupata…- cercò di cambiare argomento.
- Tranquilla, stanno bene-
- E come lo sai?-
- Diciamo pure intuito- chiuse gli occhi.
 
Tra di loro cadde un silenzio imbarazzante, interrotto soltanto dalle voci degli altri che provenivano dal soggiorno. Nessuno dei due parlava e dal bagno non proveniva alcun rumore.
 
- Grazie Shu- parlò all’improvviso.
- Per cosa?-
- Per tutto quello che hai fatto per me. Chiamare qui tutte queste persone, cercare altre prove per vincere il processo, farmi conoscere la tua famiglia, accompagnarmi a trovare mio padre…Mi sei stato vicino più di chiunque altro e non eri nemmeno tenuto a farlo. Cool Guy è straordinario ma…nella mia storia sei tu l’eroe- ammise.
- Non mi sento molto un eroe ad essere sincero- rivolse lo sguardo al soffitto, con la testa poggiata contro il muro.
 
Le spezzava il cuore vederlo così, tormentato dai suoi sensi di colpa a tal punto da non riuscire a vedere quanto fossero importanti i gesti che aveva fatto per tanti di loro, inclusa lei. Aveva sacrificato così tante cose e le faceva rabbia non poter fare nulla per ridargliene almeno una. Sarebbe stata disposta persino a vendere l’anima al diavolo pur di ridargli qualcosa che lo rendesse davvero felice, anche se questo qualcosa fosse stato Akemi.
 
- Non ho detto che sei l’unico eroe di tutta questa storia: ho detto che sei l’eroe della mia storia- sottolineò la parola mia, per fargli capire ciò che intendeva.
 
Shuichi non disse nulla, si limitò a chiudere gli occhi e sorridere. Chissà se aveva capito davvero.
 
- D’accordo, visto che quelle due stanno facendo una festa o non so cosa nel mio bagno, ne approfitto per andare a scusarmi subito con tua madre-
 
Era meglio chiudere quel discorso lì, non poteva permettersi di aggiungere altro e a giudicare dal suo silenzio lui non aveva altro da dirle. Ma andava bene anche così, dopotutto.
Gli diede le spalle e fece per andarsene ma Shuichi la prese per il polso e la fermò.
 
-Jodie? -
 
Sorpresa da quel gesto, si girò nuovamente verso di lui e lo fissò con i suoi grandi occhi azzurri.
 
- Cosa c’è Shu?-
- Se un giorno sarò riuscito a mettere da parte i miei fantasmi e i miei sensi di colpa… se non avrai già trovato la persona che meriti, ti scoccia se ti invito a cena?-
 
Sgranò gli occhi e aprì la bocca ma non disse nulla. Da Shuichi si sarebbe aspettata di tutto tranne che quelle parole che le aveva appena rivolto. Le aveva attese per così tanto tempo, sei lunghissimi anni che le erano sembrati una vita intera, tanto da arrivare al punto di smettere di sperarci. Sentì gli occhi diventare lucidi, avrebbe tanto voluto piangere dalla gioia ma si trattenne, cercando di restare lucida. In fondo quella di Shuichi non era una promessa, non le stava dando nessuna garanzia di riuscire a sconfiggere i suoi fantasmi e tantomeno le stava chiedendo di aspettarlo, col rischio che la sua attesa fosse vana. Eppure lei, nel profondo del suo cuore, sperava che succedesse più di ogni altra cosa al mondo.
 
- Se non sarò già impegnata, accetto volentieri l’invito- sorrise.
 
Chissà, forse l’indomani avrebbe incontrato un altro uomo che le avrebbe fatto battere il cuore come batteva adesso per lui o anche di più: in quel caso non se lo sarebbe lasciato scappare per aspettare qualcuno che non aveva saputo cogliere il momento quando aveva avuto occasione di farlo. Non poteva continuare ad aspettarlo in eterno e questo lo sapeva bene anche lui. Ma per il momento entrambi avevano lasciato la porta aperta l’uno all’altra.
In quel momento si aprì finalmente la porta del bagno e Shiho e Masumi uscirono con un sorriso enorme sulla faccia e un’espressione soddisfatta.
 
- Ma si può sapere cosa stavate facendo in bagno?- allargò le braccia.
- La pipì- rispose Masumi, continuando a sorridere.
- Mezz’ora di pipì mi sembra un po’ tanta…-
- Attenzione, le spie non fanno mai una bella fine- sorrise beffardo Shuichi prima di entrare in bagno e chiudersi la porta alle spalle.
- Ci stavate spiando?!- le riprese, alzando la voce.
- Abbiamo sentito tutto, ogni singola parola- confermò Shiho soddisfatta, ignorando completamente il suo rimprovero.
- Allora, quando uscite insieme?- chiese Masumi, che a quanto pare non vedeva l’ora di averla come cognata.
 
Scosse la testa e storse la bocca: prese singolarmente quelle due erano fonte certa di guai, ma messe insieme erano una catastrofe assicurata. Non ci avrebbe scommesso un penny che sarebbero andate così tanto d’accordo.
 
- Andatevene subito in sala, brutte pettegole che non siete altro!- puntò il dito segnando in direzione del soggiorno.
 
Le due ragazze risero e se ne andarono, ormai soddisfatte di aver sentito quello che volevano sentire e consapevoli che lei non era davvero arrabbiata con loro. Sospirò e si godette ancora per qualche istante la felicità provata poco prima, prima di tornare anche lei dai suoi ospiti.
Non appena raggiunse il soggiorno cercò subito lo sguardo Mary, che in quel momento stava parlando con Yukiko e Tsutomu. Si fece coraggio e si avvicinò a loro.
 
- Scusate, posso rubarvela un momento?- appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Mary, quasi sfiorandola.
- Certo, nessun problema- le sorrise Tsutomu.
 
Si allontanarono di qualche metro, preferiva sostenere quella conversazione da sola con lei.
 
- Volevo scusarmi per prima, sono stata scortese con Lei-
- Non devi scusarti, hai avuto una reazione comprensibile. Ma non serve che nascondi quello che provi per mio figlio- si dimostrò meno dura di prima, forse dopo aver subito l’influenza del marito.
-Quello che provo io non ha importanza-
- Invece ne ha eccome. Cosa pensi di fare, aspettare tutta la vita che si decida a fare qualcosa? Sei una ragazza in gamba, sei giovane e sei bella: non rovinarti la vita per stare dietro a qualcuno che non ti apprezza, anche se quel qualcuno è mio figlio-
- Ma io non ho alcuna intenzione di vivere così. Se un giorno troverò un uomo che apprezzerà le mie qualità e io apprezzerò le sue, stia pur certa che non me lo lascerò sfuggire- affermò convinta, guardandola negli occhi.
- Quindi cos’hai intenzione di fare con Shuichi?- le chiese, probabilmente non convinta della sua risposta.
- Non farò proprio nulla: quello che dovevo dirgli gliel’ho detto e quello che dovevo fare l’ho fatto: adesso è tutto nelle sue mani. Se non farà nulla, non continuerò ad attenderlo invano-
- Era la risposta che volevo- abbozzò un sorriso.
- La ringrazio, Signora Akai-
- Chiamami Mary. Ti confesso che in fondo spero che Shuichi si faccia avanti, sarebbe un vero idiota a lasciarti andare- la salutò con un cenno della mano, tornando dal marito e da Yukiko.
 
Sorrise contenta mentre la guardava allontanarsi: le sue parole l’avevano resa felice. In fondo Mary non era così fredda e insensibile come voleva apparire e voleva bene a suo figlio nonostante tutto. Erano semplicemente troppo simili per poter andare d’amore e d’accordo sempre. Ma ora sapeva che anche Mary, come lei, voleva che Shuichi smettesse di rinchiudersi nel suo dolore e non darsi nessuna possibilità di essere di nuovo felice.
 
 
Un’ora dopo i suoi ospiti se n’erano andati tutti tranne Shiho, che era voluta restare da lei a dormire visto che due giorni dopo sarebbero ripartiti per il Giappone e non sapevano quando si sarebbero rivisti di nuovo. Si erano preparate per la notte e poi si erano infilate sotto le coperte a chiacchierare, nonostante la stanchezza avevano ancora tante cose da dirsi. Parlarono di nuovo del processo, di quello che avevano provato nell’affrontarlo, di lei e di Shuichi e di quello che si erano detti fuori dalla porta del bagno. Poco prima di addormentarsi, Shiho le mostrò delle foto del piccolo Mendel, che ormai non era più tanto piccolo. Le sarebbe mancata da morire quella ragazzina, la sorellina minore che non aveva mai avuto, la persona che più di tutte aveva sostenuto un suo riavvicinamento a Shuichi. Non sapeva se i suoi sforzi avrebbero mai portato a qualcosa, ma non importava: le sarebbe stata eternamente grata in ogni caso.
Si addormentò con la consapevolezza che il domani sarebbe stato solo l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita.
                                       
 
…………………
 
 
Si sedette sul letto e prese il cellulare da sopra il comodino dove stavano anche una lampada accesa, unica fonte di luce nella stanza in quel momento, un pacchetto di sigarette e dei fiammiferi. Vestito con la sua solita t-shirt bianca e i soliti pantaloni morbidi che utilizzava per andare a dormire, era pronto a lasciarsi alle spalle quella giornata. Controllò di non avere nuovi messaggi o email importanti, come faceva ogni notte prima di coricarsi. Poi, spinto da quella sensazione a cui non aveva mai saputo dare un nome ma che si era impadronita di lui più volte, cercò fra i messaggi memorizzati quello che gli aveva mandato Akemi poco prima di morire. Lo rilesse più e più volte, nonostante ne conoscesse ormai a memoria il contenuto. Chiuse gli occhi e ripensò al giorno in cui l’aveva lasciata dicendole che l’aveva soltanto usata, lo stesso giorno in cui aveva firmato la sua condanna a morte. Le immagini erano ancora nitide nella sua testa, come se fosse passata solo qualche ora da quel giorno invece che un anno intero. Poi il suo pensiero si spostò sul giorno in cui sua madre gli aveva rivelato che Shiho era sua cugina, rendendo di fatto tale anche Akemi. Era stato un colpo duro da incassare, sapere di aver amato qualcuno che era sangue del suo sangue ma nel modo sbagliato. Per lui che era cresciuto con la mentalità di un’occidentale, non c’era posto per una relazione fra cugini. Ma ormai lei era morta, non avrebbero potuto avere una relazione nemmeno volendolo. Adesso era la consapevolezza di  essere la causa della morte di un membro della sua famiglia a tormentarlo e faceva anche più male della consapevolezza di aver perso quella donna che aveva amato, nonostante le bugie.
La giostra della sua mente girava, girava e girava e infine si fermò su Scotch, sul giorno in cui si era sparato davanti ai suoi occhi. Aveva cercato di salvarlo ma non ci era riuscito: così per penitenza si era assunto la colpa della sua morte, fingendo per anni di essere il suo omicida e inimicandosi Bourbon. Aveva persino smesso di bere quel liquore che portava il suo stesso nome e che gli era sempre piaciuto: il suo sapore non gli sembrava più così piacevole.
Riaprì gli occhi e guardò la sua immagine riflessa nello specchio che stava sopra la cassettiera dinnanzi a lui: il suo volto tradiva le pene interiori che si portava dietro. Jodie, Shiho, sua madre…avevano tutti ragione, non poteva continuare a tormentarsi così, non poteva andare a letto ogni notte coi fantasmi, fare l’amore con loro e risvegliarsi il mattino dopo con il sapore dei rimpianti sulle labbra. Doveva andare avanti, doveva lasciarli andare via.
Cliccò sul tasto “Cancella” del display e il cellulare gli chiese per l’ultima volta se era certo di voler eliminare tutto ciò che gli restava di Akemi. Fece un lungo respiro, cercando dentro di sé la forza di portare a termine quel gesto, si soffermò a fissare quella scritta un’ultima volta e poi selezionò l’opzione “Sì”: sul display del telefono apparve la scritta “messaggio cancellato”. Non seppe definire la sensazione che provò in quel momento: era come se si fosse liberato da un peso ma al tempo stesso gli mancasse qualcosa che niente e nessuno avrebbe potuto ridargli.
La schermata del cellulare ritornò poi alla lista dei messaggi memorizzati e l’occhio gli cadde sul messaggio che Shiho gli aveva mandato il giorno del suo compleanno, in risposta al suo biglietto di auguri. Lo aprì e ritrovò quella foto che aveva scattato insieme a Jodie e al cagnolino quel giorno. Sorrise ricordandosi della promessa che si era fatto quella sera: ritrovare la vecchia foto simile a quella, scattata sei anni prima.
Si alzò dal letto e si diresse verso la cassettiera, si chinò e aprì l’ultimo cassetto, sollevò alcuni maglioni invernali e sul fondo, in un angolo, trovò una scatola. Era rossa, semplice, senza nessuna decorazione. La prese e tornò a sedersi sul letto posandola di fianco a lui, aprì il coperchio e rivelò il suo contenuto: diverse foto risalenti al periodo in cui lui e Jodie erano stati insieme, alcuni regali che lei gli aveva fatto tra cui un portachiavi con un ciondolo a forma di pistola, il sottobicchiere del locale dov’erano andati la prima volta che erano usciti insieme, un biglietto di compleanno che Jodie gli aveva scritto decorandolo come una liceale. Sorrise davanti a tutti quelle cose che aveva cercato di dimenticare, come se facessero parte di un passato che non sarebbe mai potuto ritornare. Li aveva nascosti lì dentro per paura che potessero farlo desistere dal suo obiettivo, ma alla fine se li era scordati per davvero. Aveva preferito ricordarsi di tutto ciò che lo aveva fatto soffrire piuttosto che di ciò che lo aveva reso felice. Erano giorni spensierati quelli, prima che tutto si complicasse. Sarebbe stato bello poterne rivivere anche solo uno.
Guardò le foto una dopo l’altra fino a quando non trovò quella che cercava: ritraeva lui e Jodie in una giornata autunnale, insieme ad un cagnolino. Gli ritornò in mente il momento in cui l’avevano scattata: stavano passeggiando in un parco tra le foglie secche cadute a terra e un cagnolino si era avvicinato a loro, cercando qualcuno che giocasse con lui. Jodie aveva iniziato a fargli coccole e complimenti e sembrava essersi completamente dimenticata di lui. Il padrone del cane si era avvicinato e Jodie, piena di entusiasmo come una bambina, gli aveva chiesto se poteva scattare loro una foto insieme al suo cagnolino. Contagiato dalla sua vivacità, quel signore di mezza età aveva acconsentito. Jodie aveva poi fatto stampare quella foto in duplice copia e gliene aveva data una, perché potesse ricordarsi di quel momento che per lei aveva un valore immenso. Era fatta così, si accontentava delle briciole e diceva che erano una torta intera. Si chiese se anche lei avesse conservato la sua copia della foto o se, in un gesto di rabbia, si fosse sbarazzata di tutti i loro ricordi insieme dopo che l’aveva scaricata senza troppi complimenti. Ne avrebbe avuto tutte le ragioni, ma conoscendola aveva sicuramente tenuto tutto, anche le più piccole sciocchezze. Non era mai riuscita a chiuderla definitivamente la loro storia.
Richiuse la scatola e la mise sotto al letto, con più tempo e calma avrebbe trovato un posto migliore per quelle cose che non meritavano di restare chiuse dentro un cassetto. Tenne fuori soltanto la foto in questione, appoggiandola sul comodino: per quella avrebbe dovuto trovare un posto speciale.
Si infilò sotto le coperte, guardò la foto un’ultima volta e sorridendo spense la luce.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questo capitolo è chilometrico, non finivo più di scriverlo! Spero che non vi abbia annoiato, ho voluto dipingere il dopo processo cercando di dare voce a diversi personaggi, ovviamente mantenendo la centralità su Jodie e Shuichi.
Per chi non se lo ricordasse, la storia della foto è ripresa dal capitolo 17.
Vi preannuncio che il prossimo capitolo si aprirà con un salto temporale e da quel momento in poi le scene saranno tutte ambientate in America, pertanto personaggi come Shiho e Shinichi saranno comunque presenti ma in minor modo rispetto a quanto lo sono stati fino ad ora e solo tramite telefonate, messaggi o videochiamate. Inizierà una sorta di “arc” dedicato principalmente all’evoluzione della relazione fra Shuichi e Jodie (non me ne voglia chi seguiva la storia per altri personaggi, ma questi due sono pur sempre i protagonisti e il pairing principale).
Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qui e mi hanno supportata!

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Capitolo 26
*** Capitolo 26: Aria di cambiamento ***


Capitolo 26: Aria di cambiamento
 
 
 
Erano ormai trascorsi sette mesi da quando Vermouth era stata condannata all’ergastolo e ognuno di loro era tornato alla propria vita di sempre, come se l’Organizzazione non fosse mai esistita. Il giovane detective stava affrontando il suo ultimo anno da liceale, esperienza che per un normale adolescente significava prepararsi ad entrare nel mondo degli adulti ma che per lui, che quel mondo lo aveva già conosciuto troppo presto, significava solo godersi del tempo con i propri amici. Shiho aiutava il Dottor Agasa nelle sue invenzioni, in attesa di decidere quale lavoro avrebbe voluto fare realmente. Era rimasta a vivere con lui, anche per via di Mendel che avrebbe così avuto un giardino dove poter stare, dal momento Mary e Tsutomu vivevano con Masumi in un appartamento al sesto piano di un palazzo, ma andava a trovarli tutti i week end e si tratteneva da loro. Avevano instaurato un bel rapporto e li aveva accettati come parte della sua famiglia. Quanto a lei e Shuichi, nulla era davvero cambiato rispetto a quando avevano lasciato il Giappone: il loro rapporto era sempre lo stesso, colleghi e amici. Non erano mai usciti da soli dopo il lavoro ma sempre insieme a Camel o a James.
Anche quella sera avevano organizzato un’uscita, Camel li aveva invitati in un nightclub di quelli per tutte le età che facevano anche musica dal vivo, un posto tranquillo senza il rischio di imbattersi in spaccio di droga o altre cose che non fossero costretti a vedere tutti i giorni al lavoro. James si era sentito comunque troppo vecchio per un posto del genere e aveva declinato l’invito, così sarebbero andati solo loro tre. Era comunque piacevole, potevano svagarsi, parlare di cose personali e avere un rapporto anche come amici e non solo come colleghi.    
Ormai si era quasi abituata all’idea che il loro rapporto sarebbe sempre stato così, nulla più di un’amicizia. Shuichi era gentile con lei, a volte la andava a prendere e la accompagnava a casa dopo il lavoro, la proteggeva, le faceva compagnia, pranzava con lei…le stava vicino in qualche modo, ma quell’invito ad uscire di cui avevano parlato la sera del processo a casa sua non era mai arrivato e alla fine si era convinta che la sua fosse semplice gentilezza nei suoi confronti. Teneva a lei, le voleva bene (in fondo avevano pur sempre avuto un passato insieme) ma non l’amava. Nonostante ciò si sentiva comunque serena: forse era davvero riuscita ad andare avanti.
Quella sera si era offerto di passare a prenderla alle nove, Camel invece sarebbe andato al locale da solo. Si trovarono tutti e tre davanti al locale e si misero in fila per entrare. Il posto sembrava effettivamente tranquillo, non troppo rumoroso come quelle discoteche dove era impossibile parlarsi perché la musica del dj avrebbe coperto anche gli spari di un fucile. Si chiamava “Pentagram”, nome piuttosto insolito per un night club, anche se era accessibile a tutte le età. Quando entrarono le fu subito chiaro il perché: dal lato opposto dell’entrata era situato un palco, non troppo grande ma delle giuste dimensioni per accogliere una band. Era chiaramente un posto che aveva fatto della musica il suo pezzo forte.
Lei e Shuichi si sedettero al primo tavolino che trovarono disponibile mentre Camel andò al bancone a ordinare da bere. Tornò da loro poco dopo con tre whiskey con giacchio.
 
- Mi sembra carino come posto, come lo hai trovato?- chiese a Camel.
- Me lo ha consigliato Roger, sai lui è appassionato di musica e quindi conosce bene tutti i locali dove fanno musica dal vivo- le rispose il collega.
- Ma ci sono delle band buone oppure dei ragazzini alle prime armi?-
- Beh, direi che non dovremo attendere molto per scoprirlo- intervenne Shuichi.
- E come lo sai?- gli chiese.
- Il palco è già stato preparato, le chitarre sono collegate agli amplificatori, quindi sicuramente ci sarà un’esibizione questa sera-
- Io credevo che fosse sempre disposto così, per fare scena- si stupì Camel.
- Non ti sfugge proprio niente, eh Shu?-
- Quando ero al college, per pagarmi gli studi, suonavo la fisarmonica in un locale come questo, forse dall’aria un po’ più retrò- confessò mentre sorseggiava un goccio del suo whiskey.
 
Lei e Camel lo fissarono sconvolti, ancor più di quella volta in cui aveva ammesso di saper cucinare. Non si sarebbero mai immaginati nemmeno nei loro sogni più strambi che avesse fatto quel tipo di lavoro e che suonasse uno strumento come la fisarmonica.
 
- Davvero suoni la fisarmonica?- chiese Camel, rubandole le parole di bocca.
- Perché, è strano?-
- No no, sono solo sorpreso- scosse le mani.
- Perché non chiediamo al barman se hanno una fisarmonica? Voglio sentirti suonare!- si entusiasmò lei, che ora voleva una dimostrazione.
- No grazie, fortunatamente non devo più mantenermi al college- rifiutò lui.
 
La loro conversazione venne interrotta da un ragazzo che salì sul palco e annunciò al microfono l’entrata in scena della band che si sarebbe esibita quella sera.
 
-Buonasera a tutti e grazie di essere qui stasera. Siete pronti per ascoltare buona musica?- chiese, attenendo il riscontro positivo del pubblico prima di continuare - Allora senza ulteriori indugi, date un caloroso benvenuto agli Endless Doom!-
 
Nel locale si sentì un applauso e qualche fischio da parte dei fan più stretti, ma lei non li aveva mai sentiti nominare. Non che fosse una massima esperta di musica, ma poteva dire di saperne abbastanza sull’argomento e quella band di certo non era fra le più famose o conosciute.
 
- Voi li conoscete?- chiese Camel, che evidentemente era ignaro come lei della loro esistenza.
- Mai sentiti, ma non sono un grande esperto di musica e non mi tengo particolarmente aggiornato a riguardo- ammise Shuichi.
- Io invece seguo qualche gruppo ma questi non li ho mai sentiti-
 
La band salì sul palco, rivelando uno stile decisamente gotico nell’abbigliamento. Il cantante, un tipo tatuato coi capelli neri e lunghi fino alle spalle, aveva gli occhi visibilmente truccati di nero. Salutò il pubblico presentando la sua band e poi iniziarono a suonare partendo da un assolo di chitarra. Lo stile di musica rispecchiava quello degli abiti che indossavano.
 
- Sono troppo rock per i miei gusti- storse la bocca Camel.
- Già, fanno un bel baccano- lo appoggiò Shuichi.
- Non ditemi che non vi piace la musica rock?- li guardò come se volesse rimproverarli e giudicarli.
- Mi piace, ma non così pesante…preferisco un rock più leggero- spiegò Camel.
 
Mentre la band suonava, il ragazzo che li aveva presentati si avvicinò al bancone poco lontano dal loro tavolino e si mise a parlare con il barman. Probabilmente anche lui faceva parte dello staff del locale, nonostante non indossasse la maglietta con il loro logo. Lo guardò per qualche secondo, le sembrava di averlo già visto da qualche parte ma non ricordava dove. Purtroppo riusciva a vederlo solo di spalle o di profilo e quando si trovava sul palco prima era troppo lontano per poterne vedere chiaramente i lineamenti.
 
- C’è qualcosa che non va Jodie?- le chiese Camel, notando la sua distrazione.
- Eh?- si girò verso il collega, temendo di essersi persa qualcosa.
 
Non si era nemmeno resa conto di essersi distratta e di aver continuato a fissare il tizio al bancone.
 
- Cosa stai guardando? C’è forse qualcuno che conosci?-
- Mi sembra di aver già visto il ragazzo che ha presentato la band e che ora è al bancone, ma forse mi sono sbagliata. Non si riesce a vedere molto bene nella penombra dei locali-
 
Shuichi fece roteare il ghiaccio rimasto dentro al bicchiere, ormai aveva finito il suo whiskey. Anche lei e Camel avevano ormai finito il loro.
 
- Che dite, facciamo un secondo giro?- Camel scosse il suo bicchiere, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio all’interno.
- Attento che poi devi guidare per tornare a casa- lo avvertì Shuichi.
- Due bicchierini di whiskey li reggo bene-
- Io non guido, ho l’autista- scherzò lei, indicando Shuichi.
- E se l’autista partecipasse al secondo giro?- la guardò con aria di sfida e con un sorrisetto beffardo sulle labbra.
- Vorrà dire che ci schianteremo da qualche parte- replicò facendo spallucce.
- Allora vado a ordinare altri tre bicchieri- si rallegrò Camel, alzandosi in piedi per recarsi al bancone.
- Aspetta Camel- lo fermò - Vado io, così magari riesco a vedere da vicino quel tizio e capire se lo conosco oppure no-
 
Si avvicinò al bancone, affiancando il ragazzo. Era alto, aveva più o meno la sua stessa età, capelli tra il biondo cenere e il castano chiaro, occhi azzurri e un corpo muscoloso ben visibile da sotto la camicia che indossava, la quale aderiva perfettamente al suo corpo. Stava sorridendo al barman mentre parlavano e trovò che avesse davvero un sorriso bellissimo, denti bianchi e perfetti. Obiettivamente era un bellissimo ragazzo che non sarebbe stato difficile notare. Ora che lo aveva visto più da vicino, la sensazione di averlo già conosciuto da qualche parte si fece ancora più forte.
Si accorse che lo stava fissando troppo quando il barman si girò verso di lei e le chiese cosa volesse ordinare. Chiese altri tre whiskey indicando il tavolo dove gli altri due la stavano aspettando. Camel stava guardando la band e Shuichi stava guardando lei, probabilmente in attesa di vederla tornare. Ordinò anche degli stuzzichini, per mettere qualcosa nello stomaco oltre all’alcol anche se avevano già cenato prima di arrivare al locale.
Si accorse che il ragazzo la stava fissando e si girò verso di lui lanciandogli un’occhiata veloce: lui le sorrise e lei ricambiò, per poi voltarsi di nuovo. Non se la sentiva di dargli troppa confidenza e si sentiva imbarazzata dal suo sorriso.
 
- Ma come, ci rivediamo dopo dieci anni e non mi saluti nemmeno?- lo sentì parlare accanto a lei.
- Dici a me?- si girò nuovamente verso di lui, puntando un indice verso se stessa.
- E a chi altri, Jodie Starling?-
 
Sgranò gli occhi, sorpresa: sapeva perfettamente il suo nome e cognome, quindi doveva per forza conoscerla bene. A differenza sua, chiunque lui fosse si ricordava benissimo di lei.
 
- Ci conosciamo?- gli chiese, temendo di ferire il suo entusiasmo nel rivelargli che non si ricordava di lui.
- Davvero non ti ricordi di me? Eppure andavamo allo stesso liceo, ci siamo andati per tre anni a dire il vero-
- Sul serio? In effetti ho avuto l’impressione di averti già visto da qualche parte, ma non riesco proprio a ricordare chi tu sia. Scusami…- fece un’espressione di sincero pentimento.
- Non devo averti lasciato un segno indelebile allora- rise, scuotendo la testa - Sono Clay Parker, eravamo allo stesso corso di letteratura-
- Clay Parker…- ripeté quel nome, scavando nei cassetti della sua memoria.
 
Finalmente, dopo un viaggio nei ricordi, riuscì a ricordarsi di lui e sgranò gli occhi, spalancando la bocca.
 
- Non dirmi che sei quel Clay Parker che girava sempre sullo skateboard con quelle felpe extralarge?!- lo guardò scioccata.
- Esatto, sono proprio io- si picchiettò una mano sul petto.
- Non ci posso credere, sei cambiato tantissimo!-
- In meglio spero-
- Beh direi di sì, quelle felpe erano davvero orrende!- ammise.
- Ehi, adoravo le mie felpe, le conservo ancora!- rise di gusto - Anche tu sei cambiata comunque, hai messo gli occhiali e ti sei accorciata i capelli- indicò il suo volto.
- Non devo essere cambiata così tanto se mi hai riconosciuta dopo una sola occhiata-
- Diciamo che già dieci anni fa ti avevo notata, anche se cercavi di non dare nell’occhio eri davvero bella, non passavi inosservata. A differenza mia a quanto vedo- si riferì al fatto che non lo aveva riconosciuto.
- Ma tu stavi con Abby Morgan, una delle ragazze più popolari della scuola. Non sono solita mettere gli occhi sugli uomini impegnati e in ogni caso cercavo di tenermi alla larga dal circolo dei famosi- si atteggiò a finta snob.
- Il “circolo dei famosi”- lo fece ridere nuovamente - Piuttosto, che fai nella vita? Ricordo che ridevano tutti quando dicevi che volevi diventare un’agente dell’FBI-
- Beh se vuoi ridi pure allora, perché faccio esattamente quello- storse il naso.
- Non ci credo, mi stai prendendo in giro!-
- Se vuoi puoi chiedere conferma ai miei colleghi con cui sono venuta qui stasera- si girò a guardare il tavolo, notando che Camel e Shuichi la stavano fissando - E forse è meglio che torni da loro, li ho lasciati là da soli ad attendere i loro drink-
- Quindi sei davvero un’agente dell’FBI?- chiese nuovamente, come se non ci credesse.
 
Sospirò aprendo la piccola borsa che si era portata appresso e cercando il suo badge, che portava sempre con sé anche quando non era al lavoro. Lo estrasse e glielo mostrò, stando però attenta a non dare nell’occhio.
 
- Wow, è davvero incredibile! Sei una grande!- gli si illuminarono gli occhi, come se avesse assistito a un miracolo.
- Lo so, grazie- finse di darsi delle arie.
- Cosa ci fa qui un’agente dell’FBI?-
- Si rilassa con dei colleghi dopo il lavoro. Guarda che siamo umani anche noi eh-
- Touchè-
- Tu invece che cosa fai? Lavori qui?-
- Sì, mi occupo di trovare le band per le serate di musica live. Dopo il liceo ho fatto uno stage in una casa discografica a Los Angeles, ho avuto modo di stringere contatti con gente dell’ambiente. Sono rimasto lì per sette anni, ma Los Angeles e la concezione di musica che avevano le major discografiche non facevano per me, così sono tornato a New York e ho continuato in qualche modo ad occuparmi di musica- spiegò.
- Non ci vai più sullo skateboard?-
- Qualche volta- sorrise.
- Senti io adesso devo tornare dai miei amici altrimenti penseranno che gli ho dato buca, però mi ha fatto davvero piacere rivederti. Magari qualche volta torno qui dopo il lavoro, ma mi aspetto che ci siano delle band ottime- gli puntò il dito contro.
- No dai, ci rivediamo dopo dieci anni e te ne vai così? Restiamo qui a parlare dei vecchi tempi, quand’eravamo giovani e pieni di speranze e sogni- scherzò.
- Mi piacerebbe, ma non è carino abbandonare così le persone con cui sono uscita. E poi tu non stai lavorando?-
- Sì, ma la band suonerà ancora qualche altro pezzo, perciò ho tempo-
- Perché non vieni a sederti con noi? Così te li presento-
- D’accordo, accetto volentieri l’invito-
 
Prese due dei bicchieri che il barman aveva lasciato sul bancone di fronte a lei, mentre Clay il terzo bicchiere e la ciotola di salatini. Si diressero verso il tavolo sotto lo sguardo indagatorio di Shuichi e quello perplesso di Camel. Raggiunti i suoi colleghi, posarono il tutto sul tavolo.
 
- Scusate l’attesa ma ho incontrato qualcuno che non vedevo da anni- indicò il suo vecchio compagno di scuola - Lui è Clay, andavamo al liceo insieme. Clay questi sono Shuichi e Andrè-
 
I due strinsero la mano al nuovo arrivato, ma mentre Camel gli sorrideva, Shuichi era rimasto serio e lo fissava con sguardo indagatore. D’altra parte mettere la gente a proprio agio non era mai stato il suo forte.
 
- Piacere di conoscervi, confesso che sono un po’ nervoso all’idea di sedermi a un tavolo con tre agenti dell’FBI- si grattò la nuca.
- Hai la coscienza sporca Parker?- lo prese in giro.
- Può darsi- scherzò, regalandole un altro bellissimo sorriso.
- Lavori qui al locale?- chiese Camel.
- Sì, mi occupo di ingaggiare le band e i solisti, sia quelle famosi sia i nuovi emergenti-
- Immagino che quelli di stasera non siano particolarmente conosciuti- intervenne Shuichi, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
- No, non ancora almeno. Forse non vinceranno mai un disco di platino, il loro è un genere di nicchia, ma credo che abbiano del potenziale. I loro testi sono ottimi se si pensa che hanno solo vent’anni-
- Te ne intendi parecchio di musica- si complimentò Camel.
- Ho sempre amato la musica, sono felice di essere riuscito a fare della mia passione il mio lavoro- annuì.
- Credevo che la tua passione fosse andare sullo skate. E anche cadere dallo skate- lo prese in giro mentre si rigirava fra le dita un paio di arachidi.
- Questo è un colpo basso, sarò caduto al massimo due o tre volte!- le fece notare, ma in realtà si vedeva che si stava divertendo più di lei.
- Una delle quali a pochi metri da me-
- Meno male che non ti ricordavi di me fino a dieci minuti fa!-
- Mi è tornata la memoria- sorseggiò il suo secondo whiskey fingendo indifferenza.
- Ti confesso un segreto: quella volta che sono caduto davanti a te è perché mi sono distratto. Ti stavo guardando e non ho saltato bene la panchina che faceva da ostacolo- rise.
- Tu mi guardavi?- si stupì - Ma se ci parlavamo a malapena! Ricordo di averti parlato per una ricerca che dovevamo fare insieme e poi per quella lezione speciale in cui il professore di letteratura ci aveva messo in coppia con delle persone che normalmente non frequentavamo per farci conoscere meglio. Credo che quello sia stato il giorno in cui ci siamo parlati di più che in tre interi anni di liceo!- alzò un sopracciglio.
- Beh è proprio da quel giorno che ho iniziato a guardarti. Ti ho rivalutata, prima eri solo la ragazza carina ma silenziosa che sembrava voler evitare tutti, ma dopo che ti ho conosciuta meglio sei diventata la ragazza carina che faticava a farsi degli amici anche se li voleva. Ma in quel periodo stavo già con Abby, anche se avevamo dei problemi. Però ricordo che mi sono detto “che peccato non averla conosciuta prima, forse adesso potrebbe esserci lei al posto di Abby”-
- No grazie, non voglio essere paragonata alla reginetta dei party che si sbronzava e combinava casini- storse le labbra in un’espressione di disapprovazione.
- Non intendevo in quel senso!-
 
Camel li ascoltava attentamente, ma dall’espressione sul suo volto era chiaro che non stava capendo nulla della loro conversazione. Ogni tanto lanciava delle occhiate a Shuichi che invece non sembrava minimamente interessato a partecipare a quel dialogo. Guardava la band sul palco mentre tracciava con il polpastrello dell’indice il bordo rotondo del bicchiere. Shuichi era sempre stato un tipo un po’ solitario, però da dopo la fine dell’avventura con l’Organizzazione le sembrava che fosse diventato meno asociale. Invece quella sera era tornato il vecchio Shuichi, quello che dopo la morte di Akemi si era chiuso in se stesso. Forse non gli piaceva il locale o forse non gli stava simpatico Clay, ma non era uno che giudicava all’apparenza quindi la seconda ipotesi le sembrò strana. Poteva anche solo essere assorto nei suoi pensieri, a rimuginare su qualcosa.
 
- Shu, va tutto bene?- gli chiese.
- Perché me lo chiedi?-
- Mi sembravi distratto…-
- Forse li stiamo annoiando con i nostri aneddoti sul liceo- intervenne Clay.
- No, al contrario, stavo ascoltando. Visto che la tenevi così tanto d’occhio speravo di sapere un po’ di più su com’era Jodie al liceo- si girò finalmente a guardarlo in faccia.
 
Le sembrò quasi di scorgere uno sguardo di sfida nei suoi occhi, come se stesse in qualche modo fronteggiando Clay. La domanda era perché. Forse anche quello era solo frutto della sua impressione, nella penombra dei locali era difficile leggere negli occhi delle persone.
 
- Diciamo che era una a cui non piaceva farsi notare. Pochi amici, sempre gli stessi, silenziosa. Un’ottima studentessa però. Se posso dirlo era anche molto bella e non era difficile notarla, ma si teneva un po’ alla larga da tutti quindi alla fine anche gli altri non si avvicinavano troppo, me compreso-
- E dopo che ti è successo? Come mai sei diventata una tale chiacchierona festaiola?- si girò verso di lei, con quel suo solito ghigno sulla faccia.
- Io non sono affatto una “festaiola”- mimò le virgolette con le dita per sottolineare la parola - Mi piace ogni tanto svagarmi dal lavoro. E per te sono tutti chiacchieroni, tu non parli mai!-
- Devo dire che però alle feste ogni tanto veniva, più che altro a quelle che organizzavamo nel piccolo locale gestito dal padre di un ragazzo che veniva al liceo con noi. Era un posto tranquillo, molto simile a questo, dove potevano andare anche ragazzini minorenni. Organizzavamo serate con musica dal vivo e ci sono stati dei musicisti conosciuti- continuò Clay.
- Sul serio? Non sapevo che fossi una groupie- continuò a prenderla in giro Shuichi.
- Io non sono affatto una groupie, mi piace ascoltare musica dal vivo che c’è di male?- lo guardò con un’espressione infastidita.
- Ma voi due siete sempre così?- rise Clay, divertito da quel teatrino.
- Solo quando Shuichi si atteggia da primo della classe- fu il suo turno di lanciare una frecciatina.
- Alzo le mani allora. Comunque se vi interessa questo venerdì suoneranno i Marjorie Fair, posso farvi avere dei pass speciali per entrare saltando la fila e risparmiando il costo del biglietto-
-Sei molto gentile, ma non so chi siano i…- provò a ringraziarlo Camel, ma venne interrotto dalla sua esclamazione.
- Stai scherzando?! I Marjorie Fair saranno qui?! Amo le loro canzoni, specialmente “Empty Room”-
- Meno male che non eri una groupie- ne approfittò Shuichi per battere il colpo.
 
Gli lanciò un’occhiataccia, fulminandolo con lo sguardo. L’atteggiamento che aveva iniziato ad avere da quando Clay era arrivato al loro tavolo le stava dando non poco sui nervi. Sembrava che volesse farsi grande agli occhi di tutti i presenti, anche se non ce n’era alcun motivo.
 
- Vedo che sei l’unica che sa di cosa sto parlando, quindi ti farò avere quel pass- le disse Clay, salvandola dal tirare un pugno a Shuichi.
 
Sorrise felice come una bambina a quelle parole, era da un pezzo che non assisteva al concerto di una band che le piaceva e l’idea la entusiasmava.
Dopo circa quattro, cinque canzoni, la band terminò la sua esibizione, salutò il pubblico e lasciò il palco tra gli applausi, che però non erano così fragorosi. Si capiva che era una band emergente e che non si erano ancora fatti un nome.
Anche Clay si alzò contemporaneamente, posando i palmi di entrambe le mani sul tavolo.
 
- Purtroppo devo lasciarvi, il lavoro mi chiama-
- Ma non devono più suonare- gli fece presente Camel.
- Sì ma parte del mio lavoro consiste anche nell’occuparmi delle band dietro le quinte. Controllare che non prendano droghe, non si ubriachino e non causino danni al locale. Bella la vita da rockstar- ironizzò sorridendo.
- Ah, certo, capisco-
- Beh, direi che possiamo andare anche noi, domani si lavora quindi dobbiamo essere riposati- disse Shuichi.
- Senti che stacanovista- lo punzecchiò.
- Andate già via? Peccato, speravo di ritrovarvi più tardi...- si dispiacque Clay.
- Torneremo a trovarti se ci proponi band che vale la pena di ascoltare- gli rispose.
 
Si alzarono tutti e tre dal tavolo e si avviarono verso la cassa per pagare le loro consumazioni. Stava per seguire Camel e Shuichi quando si sentì afferrare delicatamente il braccio: si girò a guardare e vide che Clay la stava trattenendo.
 
- Almeno lasciami il tuo numero, altrimenti passeranno altri dieci anni prima di vederci! E poi ti devo dare quel pass per venerdì sera-
- Questa mi puzza tanto di scusa…- storse il naso.
- È vero lo ammetto- rise - Ma vedila così: tu vedrai gratis i Marjorie Fair e io potrò invitarti a cena. Che ne dici?- le chiese, regalandogli un altro di quei bellissimi sorrisi che le aveva rivolto per tutta la serata.
- Mi stai chiedendo di uscire?- chiese stranita ma in un certo senso anche lusingata.
- Lo trovi strano?-
- Considerando che sono passati secoli dall’ultima volta che un uomo mi ha invitata a cena, direi proprio di sì-
- Non sei impegnata quindi?-
 
Ripensò alla conversazione avuta mesi prima con Shuichi e anche a quella con sua madre, al fatto che se fosse capitata l’occasione non lo avrebbe aspettato invano. In quel momento Clay rappresentava la sua occasione: era bello, molto bello, con un sorriso incantevole, simpatico, ci sapeva fare. Erano molto simili caratterialmente parlando, lo percepiva dal fatto che dopo dieci anni che non si vedevano era bastato parlarsi dieci minuti per instaurare una sintonia tale da far pensare che fossero amici da una vita. Si chiese se c’era forse qualcosa che doveva trattenerla dal non accettare quell’invito e il suo sguardo cadde inevitabilmente su Shuichi. Era al bancone di fronte alla cassa insieme a Camel, ma più che prestare attenzione al barman stavano entrambi osservando lei e Clay. Dovevano averlo capito anche loro che Clay ci aveva provato tutta la sera con lei, eppure Shuichi non aveva mosso un dito; al contrario si era dimostrato molto interessato alle sue vicende da liceale e l’aveva presa in giro. Per un attimo le era parso che fosse geloso, come se quelle domande che aveva rivolto a Clay fossero state fatte al solo scopo di sfidarlo e di dimostrargli che era migliore di lui, ma forse era stato tutto frutto della sua immaginazione. Doveva smetterla di costruirsi castelli in aria: era tempo di voltare pagina, di darsi un’altra possibilità. Se la meritava.
 
- No, accetto volentieri l’invito. Dammi il tuo cellulare-
 
Clay le allungò il suo smartphone e lei digitò il suo numero e lo salvò sotto il nome “Jodie del liceo”.
 
- Che razza di nome è?- rise lui.
- Così se conosci altre Jodie sai distinguermi- gli restituì il telefono.
- Mi ha fatto molto piacere rivederti- la fissò intensamente.
- Anche a me-
 
Lo salutò con un cenno della mano e raggiunse Camel e Shuichi, che li stavano ancora guardando.
 
- Scusate, vi ho lasciati andare da soli. Pago il mio conto e poi andiamo-
- Non serve, ci ho già pensato io- le disse Shuichi, in tono quasi scocciato.
- Ma perché? Non dovevi Shu…- si stupì di quel gesto.
 
Forse erano proprio i momenti come quello a renderle più difficile l’idea di lasciarlo andare: sapeva essere un gentiluomo d’altri tempi e farla sentire come se fossero ad un appuntamento insieme quando in realtà non lo erano affatto.
Non rispose alla sua domanda, si limitò a incamminarsi verso l’uscita del locale seguito da Camel. Sospirò e affrettò il passo per raggiungerli. Quando furono fuori dal locale si salutarono e andarono verso le rispettive macchine, che avevano parcheggiato in punti diversi.
Appena saliti in macchina, Shuichi mise in moto e partì. C’era silenzio dentro quell’auto, un silenzio pesante.
 
- Grazie per aver pagato anche il mio conto, non ti dovevi disturbare- cercò di avere una conversazione con lui.
- Tranquilla- rispose semplicemente.
 
Le sembrava che si stesse comportando in modo strano, come se stesse nascondendo qualcosa. Era diverso da com’era prima che arrivassero al locale, qualcosa in lui a un certo punto era cambiato e lo aveva reso più silenzioso e più scontroso. La domanda era cosa.
 
- C’è qualcosa che non va?- gli chiese.
- Me lo hai chiesto anche al locale, ti ho detto che va tutto bene-
- Mi sembri quasi scocciato…è colpa mia? Lo so che non vi ho prestato molta attenzione stasera ma non vedevo Clay da dieci anni e mi sembrava scortese piantare lì la conversazione e ignorarlo- abbassò lo sguardo.
- Non devi giustificarti, hai fatto la cosa giusta-
- Forse Clay non ti piace?- azzardò l’ipotesi.
- Non lo conosco per poterlo giudicare-
- Shu ti conosco, hai la faccia da “sto rimuginando su qualcosa”- cercò di metterlo con le spalle al muro per farlo parlare.
- Sono solo un po’ stanco, quella band non faceva per me-
 
Sapeva perfettamente che non era vero, ma era inutile insistere: non voleva confidarsi con lei, come sempre preferiva tenersi tutto dentro. Questa cosa la feriva profondamente e si chiese se avrebbe mai smesso di fare così male. Voleva essere il suo supporto anche solo come amica, ma lui preferiva mantenere le distanze. Era suo amico entro certi limiti, oltre i quali non si spingeva.
In poco tempo arrivarono davanti al palazzo dove abitava e Shuichi fermò la macchina, girandosi a guardarla per la prima volta da quando avevano lasciato il locale.
 
- Grazie del passaggio e grazie ancora per aver pagato il conto. Riposati, domani in ufficio non voglio vedere quel muso lungo- gli picchiettò l’indice sulla spalla, in un ultimo tentativo di sciogliere quella corazza di ghiaccio che aveva indossato per l’ennesima volta -Buonanotte Shu-
- Buonanotte Jodie- rispose semplicemente, ma guardandola negli occhi.
 
Scese dalla macchina ed entrò nel portone del palazzo, senza accorgersi che per tutto il tempo lui aveva seguito ogni suo singolo movimento.
 
 
………………………
 
 
Attese di vederla entrare nel portone del palazzo prima di rimettere in moto la macchina e andare anche lui a casa. Voleva assicurarsi che fosse al sicuro, come avrebbe fatto un bravo angelo custode. Quel “Buonanotte” che aveva pronunciato e che alle orecchie di lei doveva essere parso solo come un formale saluto, per lui aveva avuto il significato di un addio. Aveva visto fin troppo bene come quel Clay l’aveva guardata per tutta la serata, le parole che le aveva rivolto: l’aveva corteggiata senza farsi troppi problemi. Ma la cosa che gli aveva fatto più male era vedere come lei sembrasse felice di ricevere quelle attenzioni, il modo in cui lo ascoltava, in cui scherzava con lui, i sorrisi che gli rivolgeva. Quei sorrisi che, egoisticamente, avrebbe voluto che continuasse a riservare solo a lui. Ma Jodie non era sua, non lo era più da molto tempo e questo lo aveva scelto lui. Mesi prima le aveva chiesto se le avrebbe dato fastidio se l’avesse invitata a uscire, ma alla fine non lo aveva mai fatto. Anche dopo aver cancellato il messaggio di Akemi e aver ricominciato a bere Scotch, i fantasmi non erano spariti. Aveva imparato che non bastava eliminare la prova del delitto per pulirsi la coscienza, che la strada per la redenzione era lunga e non vi era certezza di raggiungere la meta. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato il vederla salvare il suo numero sul cellulare di Clay. Poteva significare solo una cosa: che si sarebbero rivisti, ma stavolta non in sua presenza. Clay era arrivato dove lui non aveva ancora avuto il coraggio di spingersi, forse per paura, forse perché qualcosa lo frenava. La verità era che stava pensando da diverso tempo di invitare Jodie ad uscire da soli, senza Camel o James o chiunque altro. Erano stati qualcosa volta soli a casa sua o a casa di lei oppure a pranzo, ma voleva che il loro fosse un appuntamento vero e proprio, voleva dare a Jodie quello che meritava. Il problema era che si era soffermato troppo sul perfezionare i dettagli e non aveva previsto l’arrivo di qualcuno che, in quell’ambito, era dieci passi avanti a lui. Non bastava certo pagarle da bere per convincerla a tornare insieme a lui. Se si fosse trattato di lavoro, avrebbe fatto di tutto per sconfiggere il suo avversario, ma la felicità di Jodie non era paragonabile a tutto ciò. Che diritto aveva di intromettersi se voleva rifarsi una vita? Se quell’uomo l’avesse resa felice, poteva davvero allontanarlo da lei sapendo che le avrebbe spezzato il cuore un’altra volta? No, non poteva. La felicità di Jodie veniva prima di tutto, prima dei suoi piani, dei suoi stessi sentimenti e dei suoi rimpianti. Tutto ciò che avrebbe potuto fare era stare a guardare cosa sarebbe successo, ma dentro di sé non sapeva cosa sperare: che Clay si rivelasse un fallimento e Jodie lo piantasse prima di subito o che le cose andassero bene e Jodie fosse felice. Se avesse sperato la prima, sarebbe stato un  egoista insensibile che voleva condannarla a restare sola in attesa che lui si decidesse a fare la prima mossa; se avesse sperato la seconda si sarebbe condannato all’ennesimo rimpianto e l’infelice sarebbe stato lui. Perdeva in ogni caso.
Si era esposto troppo, Jodie aveva notato subito il suo cambio di umore e di atteggiamento. Non doveva più farlo, l’aveva fatta preoccupare e non era giusto. Doveva tenersi dentro rabbia e rimpianti e apparire sempre come l’eroe che lei credeva che fosse. Anche questo doveva fare un eroe: fingere per il bene degli altri. Lui non era capace di far sorridere Jodie come aveva fatto Clay, lui aveva saputo solo farla piangere. L’indomani al lavoro sarebbe stato il solito Shuichi, avrebbero preso il caffè insieme e l’avrebbe guardata in quegli occhi azzurri maledicendosi per averla lasciata andare.
Parcheggiò l’auto ed entrò nel palazzo dove si trovava il suo appartamento. Voleva solo andarsene a dormire e mettere fine a quella serata, anche se non avrebbe di certo fatto sogni tranquilli: quella notte avrebbe avuto un nuovo fantasma a fargli compagnia.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Ed eccoci con il primo capitolo di questo arco narrativo dedicato allo sviluppo della relazione fra Jodie e Shuichi. Clay, personaggio da me inventato, ha fatto la sua entrata in scena e ci accompagnerà anche nei prossimi capitoli. Riuscirà a farsi strada nel cuore di Jodie?
So già che Clay sarà odiatissimo da chi segue questa storia per la coppia Shuichi/Jodie, ma spero almeno di averlo caratterizzato bene (è la prima volta che invento un personaggio e gli do così tanto spazio in una storia).
Per chi se lo stesse chiedendo (se qualcuno se lo è chiesto) la band che ha suonato è inventata da me.
Ringrazio come sempre tutti quelli che stanno supportando questa storia, in particolar modo chi mi scrive bellissime parole di incoraggiamento nelle recensioni! ♥
Ci vediamo al prossimo capitolo. 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27: Appuntamento a tre ***


Capitolo 27: Appuntamento a tre
 
 
 
Quando il mattino seguente Jodie arrivò in ufficio lui si trovava già lì, seduto alla scrivania con il suo caffè nero ormai non più caldo. Come previsto aveva dormito malissimo, quasi per nulla, rigirandosi nel letto e provando più volte a leggere qualcosa nel tentativo di trovare pace. Persino le sue occhiaie erano più accentuate del solito. Come previsto, Jodie se ne accorse subito e lo guardò aggrottando le sopracciglia e avvicinando di poco il volto al suo.
 
- Mamma mia Shu, che faccia! Ma sei peggio di come ti ho lasciato ieri sera!- esclamò.
- Grazie di avermelo fatto notare-
- Sul serio, sei sicuro di stare bene?-
- Sì, ho solo dormito male-
- Come mai?-
- Qualche pensiero di troppo- ammise, restando però vago nella sua spiegazione.
- Ne vuoi parlare?- insistette.
- Tranquilla, si risolverà-
 
Notò l’espressione delusa sul volto della compagna quando pronunciò di nuovo quelle parole: sapeva che Jodie avrebbe soltanto voluto che si confidasse con lei, ma non poteva farlo, in quel momento più che mai. Non poteva dirle la verità, doveva farla soffrire ancora una volta ma a fin di bene. Chissà poi se stava facendo davvero il suo bene.
 
- Hai già preso il caffè?- le chiese, nel tentativo di cambiare argomento.
- Sì, ho fatto colazione a casa-
- Allora cominciamo subito, ci hanno assegnato un nuovo caso-
 
Le allungò un dossier contenente dei documenti, tutti riguardanti le informazioni raccolte. C’era da dire che dopo la vicenda dell’Organizzazione qualunque altro caso appariva loro di una noia mortale. Si alzò dalla sedia della sua scrivania e si sedette sulla scrivania di Jodie, che si trovava accanto alla sua, prese il suo caffè e bevette un sorso mentre la osservava leggere i fogli del dossier.
 
- Tu li hai già letti tutti?- chiese, senza staccare gli occhi dai fogli.
- Ovvio-
- Domanda stupida- scosse la testa.
 
Attese che terminasse di leggere tutto e poi iniziarono a discutere del caso. Poco dopo li raggiunse anche Camel e gli fecero un riassunto della situazione.
Lavorarono per le successive quattro ore senza interruzioni, fino a quando non arrivò il momento della pausa.
 
- Io vado a pranzo con Dave e Joshua in un nuovo ristorante che ha aperto poco lontano da qui. È un posto tranquillo e senza troppe pretese ma pare che si mangi bene. Venite anche voi?- chiese loro Camel.
- Grazie ma per oggi passo- declinò l’offerta.
- Anch’io, sarà per la prossima volta- fece lo stesso Jodie.
 
Camel li salutò e si allontanò dalla postazione di lavoro, lasciandoli soli.
 
- Se volevi potevi andare- le disse.
- Lo so, ma non mi andava di abbandonarti da solo-
- Guarda che non ho bisogno della babysitter. Sto bene, davvero. E poi non ho nemmeno molta fame quindi penso che salterò il pranzo per oggi- si mise a leggere delle carte che aveva sparse sulla scrivania.
- Shu non va bene, devi mangiare qualcosa. Non puoi riempirti solo di caffè- lo rimproverò come nemmeno sua madre aveva mai fatto.
 
Anche se aveva sempre finto il contrario, la preoccupazione e i rimproveri di Jodie gli facevano piacere in fondo. Era bello avere qualcuno che tenesse a lui, era bello che lei gli rivolgesse tutte quelle attenzioni. Ma alla fine anche quello era più un male che un bene, perché così facendo sarebbe sempre rimasta attaccata a lui. Forse non avrebbe mai potuto restituirle quella parte di lei che era rimasta così attaccata a lui, era normale: in fondo erano stati insieme, si erano amati ed era rimasto dell’affetto fra loro anche dopo la rottura, Jodie non si sarebbe mai comportata come una perfetta estranea nei suoi confronti. Tuttavia temeva che questo potesse tenerla prigioniera in quella gabbia da cui invece Clay stava cercando di liberarla.
 
- Non sapevo che fossi diventata mia madre- ironizzò.
- Non fare del sarcasmo, se non mi preoccupo io tu finirai con rimetterci la salute! Forza, andiamo a pranzo. Offro io, per sdebitarmi del conto che hai pagato ieri sera- si piazzò di fronte a lui, senza alcuna intenzione di lasciar perdere.
- Non serve-
- Se non vieni mi offendo-
 
Sapeva di non poter vincere quell’incontro, Jodie era come un mastino: non avrebbe mollato la presa fino a quando non sarebbe stata certa di aver ottenuto quello che voleva. In fondo un pranzo non poteva far male a nessuno di loro, giusto?
 
- Se dico di sì la smetti?-
- Evvivaaaa!- batté le mani come una bambina emozionata.
 
Non sapeva come fosse possibile, ma riusciva ad essere bella anche quando si comportava come una ragazzina. Forse era proprio quella freschezza a renderla affascinante agli occhi di molti. Anche Clay doveva averla notata. Si strinse il setto nasale fra il pollice e l’indice, nell’angolo interno degli occhi, nel tentativo di scacciare il pensiero di Clay che se la portava via. Doveva convincersi che era giusto così e smetterla di desiderare di averla solo per sé. Lui non poteva darle ciò che meritava. Eppure, per qualche strano motivo che solo lei avrebbe potuto spiegare, gli stava sorridendo. Era come nella fiaba: la bella gradiva la compagnia della bestia, nonostante quest’ultima fosse solo un mostro. Alla fine della storia la bella ritornava dalla bestia in fin di vita e la salvava confessandogli il suo amore, ma lui non era così stupido da pensare che il finale di una favola potesse corrispondere alla realtà. Quando avrebbe visto quanto c’era di meglio fuori da quell’universo in cui esisteva solo la lunga attesa di un amore che non sembrava voler tornare da lei, Jodie non sarebbe tornata indietro. Lui era la bestia da cui la bella non sarebbe tornata.
Si alzò dalla sedia e la seguì, sforzandosi di ricambiare il suo sorriso e nascondendo quella faccia stanca che si ritrovava.
Venti minuti dopo erano seduti al tavolo di un piccolo ristorante, carino ma non troppo costoso, dove erano soliti andare spesso a pranzo. Facevano un ottimo roast beef, ma nulla di paragonabile alla carne di Kobe che avevano mangiato in Giappone.
Stavano mangiando e chiacchierando quando il cellulare di Jodie, appoggiato sul tavolo, suonò e vibrò: le era arrivato un messaggio. Guardò la sua espressione mentre lo leggeva, per capirne la natura: quando la vide sorridere comprese che non si trattava di James né di lavoro in generale. Restavano dunque due opzioni, Shiho oppure Clay. Rispose velocemente a quel messaggio e infine si rivolse nuovamente  a lui.
 
- Scusami, stavamo dicendo?- gli chiese, dopo essersi distratta dalla loro conversazione.
- Tutto a posto?-
- Sì, era solo un messaggio-
- Se è Shiho salutamela- cercò di ottenere quell’informazione che tanto bramava.
 
Non doveva intromettersi nei suoi affari, ma era più forte di lui. In quel momento sentiva il bisogno di sapere, non per il puro piacere di soddisfare la sua curiosità come il più delle volte accadeva, ma per tentare di placare quel subbuglio interiore che dalla sera precedente lo stava lentamente consumando dentro. La risposta che ricevette non gli piacque affatto.
 
- No, non era lei-
 
Era stata vaga, ma la fretta con cui aveva liquidato la domanda e il nervosismo che aveva letto nei suoi occhi erano una prova sufficiente a confermare il suo sospetto che il messaggio fosse di Clay. Probabilmente era già partito all’attacco e le aveva chiesto di uscire. La reazione di Jodie, però, ravvivò quella fiammella di speranza che si stava spegnendo: di certo lei non sospettava che i suoi sentimenti fossero cambiati in quei mesi, che sentisse sempre più il desiderio di averla al suo fianco e non solo al lavoro o come amica, quindi non avrebbe dovuto aver paura di ferirlo dicendogli che usciva con un uomo. Invece si era trattenuta, aveva avuto timore di dirgli la verità. Forse lo aveva fatto perché le sembrava una mancanza di rispetto nei suoi confronti, ma anche in quel caso non ne vedeva il senso: ai suoi occhi lui era solo il suo ex che non provava più nulla per lei.
 
- Prendiamo il caffè e torniamo al lavoro?- spostò la conversazione su un altro argomento, non volendo insistere
- Certo, prima però devo andare in bagno-
- Ti aspetto qui e intanto ordino-
- Per me un caffè macchiato, grazie- gli sorrise.
 
La osservò alzarsi dalla sedia e dirigersi verso il bagno. Inevitabilmente il suo occhio cadde sul cellulare che aveva lasciato sul tavolo. Non avrebbe dovuto farlo, ma si convinse che era la cosa giusta da fare. Mentì a se stesso dicendo che lo faceva per il bene di Jodie: in fondo non conosceva per niente questo Clay e voleva assicurarsi che fosse uno tipo a posto, uno di cui fidarsi, uno che meritava di stare con lei. Doveva essere certo che il suo sacrificio valesse la pena, Jodie doveva essere felice.
Allungò una mano e prese il cellulare, premendo il tasto di accensione: sullo schermo apparve la richiesta di immissione del codice per sbloccare lo schermo. Fortunatamente l’aveva vista più volte farlo, quindi ricordava a memoria la combinazione. Lo schermo si sbloccò e lui non perse tempo, aprì la casella dei messaggi e lesse la prima conversazione della lista.
 
“Ciao ragazza silenziosa! Ho avuto il pass che ti avevo promesso per venerdì sera, pronta a vedere i Marjorie Fair dal vivo? ;) Pensavo di dartelo domani sera a cena, che ne dici? Passo a prenderti alle otto? Non accetto un no come risposta! ;)
- Clay-”

 
Un messaggio piuttosto idiota dal suo punto di vista, pieno di faccine con l’occhiolino come se si volesse atteggiare allo splendido della situazione. Credeva davvero di conquistare Jodie con un pass per una band di fama mediocre? A lui era servito molto meno. Non guadagnava di certo punti con quella patetica richiesta di uscire a cena.
Gettò un’occhiata in direzione del bagno per accertarsi che Jodie non stesse tornando e poi lesse la sua risposta.
 
“Ciao ragazzo che cade dallo skateboard! Non vedo l’ora che arrivi venerdì, grazie ancora per il pass! :) Per la cena volevo dirti di no ma visto che non mi è permesso allora non mi resta che accettare. A domani!”
 
Gli fece male vedere che nonostante il messaggio idiota avesse comunque accettato, ma era comprensibile: doveva avere il suo pass in qualche modo. L’aveva vista contenta ma di certo non entusiasta, segno che Clay non aveva fatto breccia nel suo cuore più di tanto per il momento, nonostante l’evidente complicità che c’era fra loro. Poteva solo aspettare e vedere come si sarebbe evoluta quella situazione.
Uscì dalla casella messaggi e rimise cellulare dove lo aveva trovato, chiamando il cameriere per ordinare i caffè. Sapeva esattamente dove sarebbe dovuto essere l’indomani sera.
 
 
……………………….
 
 
Si guardò allo specchio, roteando lentamente su se stessa per avere una visione a trecentosessanta gradi. Si chiese se andasse bene vestita così, non ci aveva messo molto a trovare gli abiti da mettersi e le sembrava strano dal momento che quello era il suo primo appuntamento dopo sei anni trascorsi ad aspettare un uomo che non arrivava mai. Eppure, la prima volta che era uscita con Shuichi ci aveva messo due ore a trovare il vestito giusto. Clay era carino, le piaceva e aveva un sorriso meraviglioso, ma non voleva esporsi troppo subito. In fondo non si vedevano da dieci anni, non sapeva praticamente nulla di lui.
Sistemò il colletto della camicetta bianca di tessuto leggero e satinato che aveva indossato sopra a un paio di jeans classici, stretti, che fasciavano alla perfezione le sue gambe snelle. Ai piedi aveva optato per un paio di scarpe beige, decolleté con tacco alto.
Soddisfatta, prese un rossetto non troppo acceso dalla trousse e ne mise un velo sulle labbra. In quel momento suonò il cellulare. Si diresse a passo svelto verso il comodino dove lo aveva messo in carica e lesse il nome sul display: Shiho.
 
- Pronto?- rispose.
- Ciao Jodie, come stai?-
- Ciao tesoro, sto bene grazie. Tu che mi racconti? Come mai questa telefonata?-
- Nulla in particolare, aspettavo l’ora di cena e ho pensato di chiamarti. Ti disturbo?-
- No, è solo che tra poco uscirò a cena e mi spiace che non abbiamo molto tempo per parlare-
- Esci con Shuichi?- fu la prima cosa che chiese, con un impeto inaspettato.
- No, esco con un vecchio compagno dei tempi del liceo. L’ho incontrato per caso l’altra sera in un locale dove ero andata insieme a Shu e Camel e ci siamo messi a parlare dei vecchi tempi. Ci ha provato con me in modo molto evidente, anche davanti a loro, poi ieri mi ha mandato un messaggio per chiedermi di uscire a cena-
 
Dall’altro capo del telefono scese il silenzio, l’entusiasmo di poco prima si era eclissato. Sapeva di averla in qualche modo delusa, Shiho era la persona che più di tutti aveva desiderato un riavvicinamento fra lei e Shuichi e apprendere che lei stava per uscire con un altro vanificava tutti gli sforzi che aveva fatto. Anche se questo le dispiaceva non poco, era giusto così e anche Shiho doveva comprenderlo. Era la sua vita e non poteva trascorrerla aspettando qualcuno che sembrava non arrivare mai.
 
- Sei ancora lì?- le chiese.
- Sì- rispose semplicemente la giovane scienziata.
- Lo so che avresti voluto vedermi uscire con Shuichi, ma non posso aspettarlo in eterno. Lo capisci questo, vero? Non è giusto, io devo poter vivere la mia vita-
- Lo so Jodie, non ce l’ho con te- sospirò.
- Non devi avercela con nessuno, non è colpa di nessuno. Forse le cose dovevano semplicemente andare così. E poi non è detto che con Clay funzioni, per il momento è solo una cena fra vecchi compagni di liceo-
- Clay…- ripeté il nome, come se volesse memorizzarlo - Ma a te piace? È un bravo ragazzo almeno?-
- Beh, al liceo era un tipo tranquillo e aveva buoni voti, mi ha fatto una buona impressione anche quando l’ho rivisto l’altra sera. Ed è carino, molto carino. Un fisico atletico, alto, occhi azzurri e un sorriso bellissimo-
- Capisco…-
 
Cadde di nuovo il silenzio fra loro, interrotto solo dal sospiro che fece non sapendo cos’altro dire alla ragazza per farla tornare di buon umore.
 
- Scusami Jodie, sono una pessima amica- disse infine.
- Perché dici questo?-
- Dovrei incoraggiarti a buttarti a capofitto in questa cosa e appoggiare il tuo entusiasmo, dovrei essere felice che tu abbia trovato un uomo che ti piace…-
- Ma non è l’uomo che avresti voluto tu- completò la sua frase.
- No, non è l’uomo che tu volevi- evidenziò la parola “tu” con il tono della voce.
 
Quella frase la fece riflettere: era rimasta così piacevolmente colpita dalla corte che Clay le aveva fatto da aver cercato di mettere da parte il fatto che fino al giorno prima aveva continuato a sperare in un riavvicinamento con Shuichi. Aveva insabbiato i suoi sentimenti, ma Shiho aveva ragione: Shuichi era l’uomo che aveva sempre voluto e che quella parte di lei che aveva messo a tacere per uscire a cena con Clay voleva ancora. Stava cercando di convincere se stessa ad andare avanti, perché se non lo avesse fatto sarebbe rimasta per sempre intrappolata in quella lunga attesa che non avrebbe reso felice nessuno.
 
- Non possiamo avere tutto quello che vogliamo, a volte dobbiamo lasciare andare qualcosa per ottenere in cambio qualcos’altro- le rispose, ma era più un tentativo di convincere se stessa che l’amica.
- Spero che ti vada bene e che tu sia felice, non desidero altro-
- Grazie tesoro-
 
La loro conversazione venne interrotta dal citofono che suonava: Clay era arrivato.
 
- Devo salutarti, ci sentiamo presto-
- Buona serata Jodie-
 
Chiuse la chiamata e mise il telefono nella borsetta, fissò un’ultima volta la sua immagine riflessa nello specchio e prese un lungo respiro. Shuichi doveva restare fuori dalla sua vita, almeno per quella sera. Doveva provarci. Quando si sentì pronta, corse a rispondere al citofono e raggiunse Clay che l’aspettava davanti al portone.
 
 
…………………..
 
 
Non aveva smesso per un attimo di fissare il portone di ingresso, in attesa di vedere Clay arrivare e suonare il campanello. Nonostante la sua auto desse parecchio nell’occhio per via del colore e del modello, aveva cercato di mimetizzarla il meglio possibile in mezzo alle altre parcheggiate lì vicino, posizionandosi tuttavia in un punto strategico dove poteva tenere sotto controllo la situazione. D’altra parte per uno come lui un appostamento era una cosa da dilettanti. Appoggiata nel vano porta bevande accanto a lui c’era una lattina di caffè nero: sarebbe stata una lunga notte e ne avrebbe avuto bisogno considerando che aveva parecchie ore di sonno arretrate. Aveva già fumato una sigaretta ma sentiva il bisogno di fumarne una seconda. Essere nervoso non aiutava di certo il suo vizio.
Dopo circa una ventina di minuti, vide finalmente arrivare una macchina che si fermò accanto al portone d’ingresso. Riconobbe subito Clay quando lo vide uscire dalla portiera: camicia che metteva in risalto i pettorali allenati, capelli con il ciuffo un po’ a spazzola ma perfetti, jeans e anfibi. Lo osservò mentre suonava il campanello e attendeva una risposta da parte di Jodie.
In quel momento gli squillò il cellulare. Lesse velocemente il nome sullo schermo, per valutare se valesse davvero la pena di rispondere: quando vide che era Shiho premette il tasto per accettare la chiamata e inserì il vivavoce.
 
- A cosa devo l’onore di questa telefonata?-
- BRUTTO IDIOTA, PIANTALA DI FARE LO SPLENDIDO DELLA SITUAZIONE E FA QUALCOSA PRIMA CHE SIA TARDI!!!- la sentì urlare e inveire dall’altro capo del telefono.
- Buona serata anche a te principessa, è sempre un piacere parlare con te-
- PRINCIPESSA UN CORNO! RINGRAZIA IL TUO ANGELO CUSTODE CHE IN QUESTO MOMENTO IO MI TROVI A UN OCEANO DI DISTANZA DA TE, PERCHÉ ALTRIMENTI TI AVREI GIÁ FATTO PROVARE L’EMOZIONE DI INGOIARE L’ULTIMA PILLOLA RIMASTA DI APTX!- continuò a urlare, vomitando le parole una dietro l’altra.
- Frena le tue ire, si può sapere che ti prende?- chiese, un po’ scocciato da quegli insulti.
- Cosa mi prende?! Mi prende che se non ti dai una mossa e non fai qualcosa perderai Jodie per sempre!-
- Ma tu mi chiami solo per parlare di questo?-
- Qualcuno deve pur farlo visto che tu stai perdendo tempo a pettinare la bambola che ti ho regalato invece di riprenderti la tua donna! Lo sai che in questo momento sta andando a cena con un altro?! Ti senti soddisfatto?!-
- Per niente- ammise - Non lo sarò fino a quando non avrò capito se le intenzioni della nuova fiamma di Jodie siano buone-
- E ti preoccupi di questo?!?! Non devi capire se lui va bene per lei o no, devi mandarlo via e basta!!! Fagli capire che Jodie è tua!-
- Ma lei non è mia. Jodie non è un oggetto, non appartiene a nessuno. È libera di decidere cosa fare della sua vita-
- Forse non mi sono spiegata bene- cercò di calmarsi, ma le riuscì impossibile - Jodie esce con quel tipo solo perché lui le ha fatto due complimenti e lei ne è rimasta lusingata. È una donna, vuole solo sentirsi desiderata e bella agli occhi di un uomo. Siccome tu ti stai intrattenendo a fare le treccine alla bambolina, lei è caduta nella rete del primo che le ha fatto la corte, ma è te che vuole in realtà. È con te che vuole uscire a cena, è da te che vuole sentirsi dire che è bellissima e speciale! Se esce con quel Clay è solo perché sta cercando di convincere se stessa che deve andare oltre i suoi sentimenti non ricambiati per te. Possibile che non lo capisci?! Ma davvero non provi niente per lei?!-
 
Aveva pronunciato quelle parole quasi tutte d’un fiato, come se sentisse l’urgenza di farle uscire dallo stomaco. Era arrabbiata, forse anche più di quando aveva scoperto che lui era Dai Moroboshi. E aveva ragione. Lui stesso era già consapevole di tutto ciò  che Shiho gli aveva appena detto, ma come Jodie stava cercando di ignorarlo e andare oltre, convinto che così facendo avrebbe fatto la cosa migliore per lei.
 
- Non importa quello che provo io, importa cosa prova lei. Se vuole andare avanti è giusto che lo faccia, non posso impedirglielo- rispose.
- Ti prego finiscila con queste idiozie!!! Lei non vuole andare avanti, non vuole Clay e non vuole nessun altro che non sia tu! Fa’ qualcosa dannazione!!!-
- Lo sto già facendo in questo momento-
- E sarebbe a dire?- chiese scettica.
- Mi sto assicurando che sia un uomo adatto a lei. Se sarò tranquillo, allora non avrò rimpianti a lasciarla andare-
- Non ti seguo…cosa diavolo stai facendo?!-
- Sto andando a vedere dove la porta e soprattutto come si comporta-
- Oddio, ora ricomincia con lo spionaggio!-
 
Gli venne da ridere ripensando a quanto aveva odiato Subaru per questo. Non le era mai piaciuto essere tenuta d’occhio e detestava chi spiava gli altri.
 
- Però ammetti che è efficace-
- No, è una perdita di tempo. Ti basta andare da loro e dire qualcosa del tipo “Questa è la mia donna!”, poi prendere Jodie e portarla via. A lei piacerà sicuramente questo gesto eroico- tagliò corto, come se quella fosse la soluzione al problema.
- Se dovesse essere necessario lo farò-
- MA È NECESSARIO, COME TE LO DEVO DIRE?!?!- alzò nuovamente i toni, ormai spazientita.
 
Avrebbe voluto continuare quella conversazione, in fondo si stava divertendo ed era un modo per avere un po’ di compagnia durante quello spionaggio solitario, ma Clay e Jodie erano ormai arrivati al ristorante dove avrebbero cenato. Un posto non troppo lussuoso ma comunque elegante, una buona scelta.
 
- Scusa ma adesso ti devo lasciare. Ti tengo informata-
- No aspett…-
 
Terminò la chiamata senza nemmeno darle il tempo di rispondere e parcheggiò la macchina cercando di non farsi notare. Vide Clay scendere dall’auto e correre dal lato passeggeri per aprire la portiera a Jodie. Non stava sbagliando un colpo.
Una volta entrati nel ristorante furono troppo lontani dal suo raggio di controllo, sapeva che purtroppo si sarebbe perso la parte della cena. Non poteva entrare nel ristorante, non era vestito in modo adeguato e avrebbe rischiato di farsi scoprire, senza contare che non aveva nessuna voglia di mangiare. Inoltre, lo rincuorava il fatto che quella era solo la prima uscita, sicuramente non si sarebbero lasciati andare così tanto, specialmente Jodie. Così bevve un sorso di caffè dalla sua lattina e si apprestò a trascorrere le successive due ore in macchina, in attesa che uscissero dal ristorante e decidessero cosa fare per il resto della serata.
 
 
…………………………
 
 
- Però ammetti che sono stato bravo con lo sparatutto!- staccò per un secondo gli occhi dalla strada, giusto il tempo di girarsi a guardarla.
- Ma se sembravi Winnie The Pooh con una pistola in mano!-
 
Risero entrambi di gusto, mentre la macchina viaggiava in direzione di casa sua. Aveva trascorso una bellissima serata con Clay, non si era mai annoiata nemmeno per un attimo e aveva scoperto che avevano più cose in comune di quante credesse. Quel ragazzo si era rivelato una vera sorpresa. Dopo l’ottima cena in un locale grazioso aveva accettato con entusiasmo l’idea di andare in sala giochi, essendo anche lui appassionato di videogame. Erano rimasti lì per almeno un’ora, ridendo come matti e provando qualsiasi gioco gli capitasse a tiro. Era da parecchio tempo che non si divertiva così e soprattutto che non si sentiva corteggiata da un uomo. Clay era stato molto rispettoso, ma ogni tanto aveva lanciato delle battutine che le avevano fatto capire chiaramente le sue intenzioni. Di certo non sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe invitata a uscire, stava a lei decidere se continuare o se troncare la cosa.
Quando giunsero davanti al palazzo dove abitava, Clay fermò la macchina e scese insieme a lei, accompagnandola fin davanti al portone. Per la prima volta in tutta la serata provò imbarazzo, chiedendosi se fosse sceso solo per galanteria o con l’intenzione di baciarla. Un bacio alla prima uscita non era troppo presto per due che si erano appena conosciuti? Clay stava di fronte a lei e la fissava sorridendole. Si portò i capelli dietro a un orecchio e ricambiò il sorriso, pensando a cosa avrebbe dovuto dirgli per salutarlo.
 
- Grazie per la serata, sono stata molto bene. E grazie anche per il pass, non vedo l’ora che arrivi venerdì- disse infine.
- Anch’io spero che arrivi presto venerdì-
- Ma dai! Tu lavori nell’ambiente della musica, ormai avrai visto così tante band famose che non credo ti possa più emozionare un gruppo di nicchia come i Marjorie Fair-
- Infatti il motivo per cui sono impaziente che arrivi venerdì è un altro- ammise.
- Sarebbe?- chiese, anche se conosceva già la risposta.
- Perché avrò modo di rivederti-
- Oh- riuscì solo a dire, sorridendo e mordendosi il labbro inferiore mentre distoglieva lo sguardo.
- Non dirmi che ti imbarazzi per così poco- rise.
- Sono anni che non esco con un uomo, ok?- si giustificò.
- Non ci credo! Una bella donna come te avrà la fila dietro-
- Sono un’agente federale, chi vuoi che mi si avvicini?- scherzò.
- Ma non vai mica in giro con un cartello con scritto “sono dell’FBI”-
- Già, forse allora il motivo è un altro-
- Cioè?-
- E chi lo sa- mentì.
 
Non poteva certo raccontargli di Shuichi e degli ultimi sei anni trascorsi ad aspettarlo e a sperare in un appuntamento con lui come quello che aveva avuto quella sera.
Restarono in silenzio a fissarsi per qualche istante, poteva leggere negli occhi di Clay il desiderio di avere un bacio come saluto finale. Lei però non si sentiva ancora pronta per quel passo. Un conto era provare ad andare avanti a piccoli passi e un conto era buttarsi a capofitto senza nessuna garanzia di riuscita. Aveva già sofferto una volta, non voleva farlo una seconda: così pose fine a quell’imbarazzante silenzio avvicinandosi a Clay e abbracciandolo velocemente, ritraendosi prima che lui potesse stringerla troppo a sé.
 
- Buonanotte Clay, grazie ancora-
 
Fece per entrare ma lui la fermò prendendole la mano.
 
- Ma come, scappi via così?-
- È tardi e domattina ho la sveglia presto- cercò una scusa plausibile.
- Non voglio trattenerti oltre, ma quell’abbraccio era veramente…- si bloccò, non sapendo come descriverlo.
- Lo so, è solo che…- anche lei non riuscì a completare la frase.
- Non ti ho invitata a uscire solo per darti il pass, mi sembrava fosse chiaro-
- Lo è Clay, ma non me la sento di affrettare le cose. Sono stata bene con te stasera ma questo non vuol dire che debba baciarti o invitarti a entrare e se era questo che speravi allora mi spiace, non posso darti quello che stai cercando- chiarì la situazione, guardandolo con un’espressione seria.
- Scusami, non volevo darti l’impressione di voler andare subito al sodo- scosse la testa, prendendole anche l’altra mano e accarezzando il dorso di entrambe con i pollici -Solo mi aspettavo un saluto un po’ meno frettoloso, sembra quasi che tu voglia scappare da me-
- Non è così, credimi. Voglio solo prendermi il mio tempo e andarci piano, se dovrà accadere qualcosa accadrà da sé e con i dovuti modi-
- Sei un tipo all’antica- sorrise.
- Sono solo una donna seria e con dei principi-
- Che è stata ferita da un bastardo che non la meritava-
 
Sgranò gli occhi, non aspettandosi una simile perspicacia. Non era certo uno stupido, al contrario, ma si sorprese di come potesse aver letto così bene dietro alle righe. D’altra parte aveva sempre avuto la parola “Shuichi” stampata in faccia, chiunque la conoscesse sapeva qual era il suo punto debole.
 
- Come mai dici questo?- finse di non capire.
- Andiamo, prima mi dici che sono anni che non esci con un uomo, che non sei abituata a sentirti corteggiata e ora mi dici che ci vuoi andare piano. Atteggiamento tipico di chi è uscito ferito da una relazione e ora fatica a lasciarsi andare ancora per paura di essere ferito di nuovo- spiegò.
-Non ti sfugge nulla-
- Io non voglio ferirti Jodie. Tu mi piaci sul serio- la fissò con quei suoi occhi di un azzurro ancora più intenso del suo.
- Lo so- sorrise.
 
Prima che potesse accorgersene e fare qualcosa, Clay avvicinò il viso al suo e le diede un piccolo, delicato bacio sulla guancia, allontanandosi da lei subito dopo.
 
- Buonanotte Jodie- la salutò con un sorriso, dandole le spalle e dirigendosi verso la macchina.
 
Rimase lì, impalata, senza reagire. Si portò lentamente una mano sulla guancia, sfiorando il punto dove Clay l’aveva baciata. Quando finalmente realizzò cos’era accaduto, sorrise felice nell’aver constatato che era davvero un bravo ragazzo se aveva accettato di aspettarla e rispettarla. Forse le cose con lui avrebbero davvero potuto funzionare.
Quando Clay se ne fu andato, aprì il portone ed entrò, ignara della Mustang rossa che stava passando lentamente alle sue spalle sulla strada fuori dal palazzo e di quegli occhi verdi che l’avevano tenuta d’occhio per tutta la sera.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Non credo ci sia molto da dire in questo capitolo se non che a Shuichi piace fare lo stalker e che in questo momento stiamo tutti tifando per Shiho che da voce ai nostri pensieri! XD
Ci vediamo al prossimo capitolo, si accettano scommesse su cosa succederà! ;)

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Capitolo 28
*** Capitolo 28: Una scelta difficile ***


Capitolo 28: Una scelta difficile
 
 
 
Nei giorni successivi aveva continuato a tenere d’occhio Jodie, osservando il suo comportamento e seguendola ogni volta che usciva con Clay. Il giorno dopo il loro primo appuntamento era arrivata al lavoro con il sorriso sulle labbra, segno che aveva dormito sonni tranquilli e che aveva iniziato bene la giornata, al contrario di lui che invece continuava a perdere ore di sonno e a tormentarsi. Più la vedeva felice e più si rendeva conto di quanto si stesse allontanando da lui. La sera del primo appuntamento, quando Clay l’aveva abbracciata e baciata sulla guancia, era stato un boccone amaro da mandare giù e ne sentiva ancora il sapore in bocca. Il venerdì del concerto era tornato anche lui al locale, confondendosi in mezzo alla folla, senza mai perderli d’occhio: per tutta la sera aveva dovuto assistere agli abbracci che Clay le dava, guardare come la stringeva a sé e come lei, piano piano, si lasciava andare e ricambiava, sempre col sorriso sulle labbra. Aveva dovuto pagare il biglietto per ascoltare una band a suo parere mediocre e per vedere fra le braccia di un altro la donna che si era reso conto (troppo tardi) di volere.
Il suo umore peggiorava sempre più, di pari passo con le sue occhiaie e le ore di sonno arretrate. Lo aveva notato anche Camel e soprattutto lo aveva notato la stessa Jodie, che non smetteva di chiedergli se andasse tutto bene e di preoccuparsi per lui.
Dopo la sera del concerto, Jodie era uscita con Clay altre due volte e lui ovviamente li aveva seguiti entrambe. Era stato proprio durante l’ultima uscita, avvenuta la sera prima, che aveva visto qualcosa che, egoisticamente, aveva sperato di non dover mai vedere: si erano salutati davanti al portone del palazzo di Jodie con un bacio sulle labbra. Clay l’aveva stretta a sé con un braccio, mentre con la mano dell’altro braccio le aveva accarezzato dolcemente una guancia; lei aveva posato le mani sul suo petto e si era lasciata baciare. Certo era stato lui a prendere l’iniziativa, ma lei non lo aveva respinto. Era lì che aveva capito di doversi fare da parte una volta per tutte, che il treno era passato e lui era arrivato alla stazione troppo tardi. Ora non gli restava che continuare a convivere con i suoi rimpianti, consapevole di averne appena aggiunto un altro alla collezione.
Quella mattina in ufficio era stato più silenzioso del solito e aveva mantenuto la conversazione a un semplice livello lavorativo. A pranzo aveva rifiutato l’invito di Camel ed era riuscito a sfuggire anche a Jodie, che come sempre aveva insistito nel fargli mangiare qualcosa e nell’uscire da lì. Si era rinchiuso in archivio, l’unico posto dove poteva stare da solo. Era il suo rifugio, a volte andava lì e pensava mentre l’odore della carta dei vecchi dossier gli pungeva le narici.
Stava controllando le notizie sul cellulare, nella speranza di distrarsi, quando un articolo catturò la sua attenzione. Parlava di una “pioggia di comete”, definita in gergo scientifico “sciame meteorico”, che avrebbe avuto luogo fra due giorni. In realtà era da due settimane che ne sentiva parlare, anche alla radio e in televisione, ma non vi aveva mai prestato attenzione fino a quando il giorno prima, mentre parlavano del più e del meno durante la pausa pranzo, Jodie aveva espresso il desiderio di vederla. Gli sarebbe piaciuto invitarla a guardare tutte quelle meteore brillare nel cielo solo per vederla sorridere, ma ora che tra lei e Clay le cose sembravano farsi serie non poteva intromettersi minacciando la sua felicità.
Posò il telefono e chiuse gli occhi, portandosi le mani dietro la nuca e tirando su le gambe, appoggiando i piedi sulla scrivania che si trovava all’interno dell’archivio. Cercò di rilassarsi, ma la pace interiore sembrava lontana dall’arrivare. Fu costretto a riaprire gli occhi quando sentì il cellulare vibrare sopra la scrivania: di nuovo una chiamata di Shiho, l’ennesima di una lunga serie che si protraeva dal giorno in cui Jodie le aveva detto di aver iniziato a uscire con Clay. Non aveva voglia di toccare di nuovo l’argomento, specie dopo quello che aveva visto la sera prima, ma non voleva nemmeno ignorare la telefonata della ragazza. Le voleva bene e sentiva di dover sopportare tutte le ramanzine che avrebbe voluto fargli per ripagare il debito che aveva nei suoi confronti.
 
- Quali nuovi insulti hai riservato per me oggi?- le chiese, senza nemmeno dire “pronto?”.
- Credo che non esista ancora un insulto così grande e perfetto che ti si addica. Mi ha appena chiamata Jodie, ha detto che ieri sera si è baciata col biondino! Sei soddisfatto adesso?!-
- “Il biondino”- sorrise - Vedo che non ti sta simpatico nemmeno lui- si compiacque.
- Oh no, al contrario, mi piace molto. È un tipo sveglio, ha visto Jodie e se l’è presa mentre tu perdevi tempo-
 
Non disse nulla, strano a dirsi ma non sapeva cosa dire per controbattere. Non poteva negare la realtà dei fatti. Quella ragazza era l’unica che lo poteva battere a parole, era una campionessa nel tirare frecciate velenose alla gente.
 
- Non dici nulla? Sei davvero in pace con te stesso?- gli chiese, non sentendolo replicare.
- Per niente- ammise.
- Allora se la vuoi perché non te la vai a riprendere?-
- Perché è felice e io non ho nessun diritto di rovinare la sua felicità-
- Ma cosa diavolo dici?! Lei vuole essere felice con te!- alzò il tono della voce.
- Ha baciato un altro. Jodie non è una che bacia chiunque, se lo fa è perché quella persona le piace davvero-
- Veramente mi ha detto che è stato lui a baciarla-
- Ma lei non l’ha respinto-
- Non ha nemmeno realizzato cosa stava succedendo!-
- Ascolta, lo so che vorresti che facessi qualcosa e non ti nascondo che sto pensando da giorni di farlo- si fece serio - Ma che diritto ho di intromettermi? L’ho già privata una volta della sua felicità, se lo facessi di nuovo sarei davvero ingiusto. Non se lo merita, si merita di essere serena accanto a un uomo che la faccia ridere invece che spegnerla-
 
Sentì un lungo silenzio dall’altro capo del telefono: era riuscito per la prima volta a zittirla. Forse anche lei stava finalmente metabolizzando la realtà dei fatti.
 
- Lo dici sempre anche tu che sono un idiota e che riesco solo a farla soffrire. Cos’ho da offrirle che Clay non ha? Io non posso darle sorrisi e notti brave con band famose-
- Tu hai una cosa che lui non ha e che vale molto di più dei suoi sorrisi e del suo mondo fatato fatto di band famose- disse seria.
- E sarebbe?- chiese.
- Il suo cuore. Lei lo ha dato a te e non se lo è mai ripresa indietro. Se non la vuoi allora ridaglielo e fa in modo che lo dia ad un altro. Ma se la vuoi, allora usalo come arma vincente. È la tua unica chance-
 
Rimase sorpreso da quelle parole, come se gli avesse appena fatto una rivelazione scioccante, ma in realtà a quella conclusione ci sarebbe potuto benissimo arrivare da solo, aveva tutti gli elementi per farlo: semplicemente non era riuscito a vederli perché lui stesso si era imposto di non farlo. Nascondendo i suoi sentimenti credeva di fare un favore sia a Jodie che a se stesso, ma non stava facendo nessuna delle due cose. Jodie non aveva baciato Clay per prima perché una parte di lei era ancora legata in qualche modo a lui e quella parte era proprio il suo stesso cuore. Sorrise al pensiero che non aveva avuto paura a fronteggiare un’intera organizzazione criminale, ma ora l’aveva al pensiero di dover fronteggiare i suoi sentimenti. L’essere umano è complicato, siamo sempre pronti a fare la guerra agli altri ma quando ci troviamo di fronte al nostro peggior avversario, ovvero noi stessi, battiamo in ritirata. Si era sempre ripetuto che se voleva vincere una battaglia doveva essere disposto anche a morire sul campo, eppure con Jodie non stava mettendo in pratica il suo stesso motto. Doveva fare qualcosa e doveva farlo subito.
 
- Sei ancora lì?- chiese Shiho, non sentendolo controbattere.
- Sì, stavo solo pensando-
- Pensa un po’ meno e agisci di più-
- Pensavo a come agire-
- Non c’è niente da pensare, vai da lei e le dici “Voglio che stiamo insieme”. Basterà per farla cadere ai tuoi piedi-
- Tu fai sempre tutto facile-
- Sei tu che complichi anche le cose elementari-
- Allora seguirò il tuo consiglio-
- Bene, vai e torna vincitore- lo incoraggiò ma a suo modo.
- Era un in bocca al lupo?-
- No era un “datti una mossa”!-
 
Rise di gusto, quella ragazzina era davvero un osso duro, l’esatto opposto di sua sorella maggiore. Con quel caratterino poteva sbranarsi vivo un intero esercito.
 
- Ti farò sapere come va a finire-
- Spero per te bene, altrimenti prendo il primo volo per New York e ti faccio ingoiare l’ultima pillola di APTX che è rimasta. Male che ti vada tornerai ad avere dieci anni e ti divertirai a pettinare la tua bambola come stai facendo ora-
- Mi stai minacciando?- ghignò divertito.
- No, è solo un avvertimento- finse indifferenza.
- A presto allora-
 
Quando terminò quella chiamata il suo umore era decisamente migliorato rispetto a quando aveva messo piede nell’archivio. Ora aveva una speranza che prima non riusciva a vedere e aveva a disposizione un’intera giornata per trasformarla in una realtà.
Terminata la pausa pranzo si riunì nuovamente con Jodie e Camel e continuarono a lavorare al caso che gli era stato assegnato. Si comportò come se nulla fosse, non voleva che le sue questioni personali interferissero con il lavoro; così attese che la giornata finisse e che arrivasse il momento di andare a casa. Fu allora che iniziò a mettere in atto il suo piano.
 
- Ti vedo meglio rispetto a stamattina Shu- gli fece notare Jodie mentre prendevano insieme l’ascensore per arrivare al piano terra e raggiungere le rispettive auto nel parcheggio.
- Sì, sono riuscito a dormire un po’ durante la pausa pranzo, ne avevo bisogno-
- Soffri di insonnia?-
- Qualche volta-
- Lo sai che se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo-
- Sto bene, tranquilla. Piuttosto, ho notato che in questi giorni le notizie si stanno concentrando molto sulla pioggia di comete che ci sarà fra due giorni-
- Vero, ne parlano ovunque- annuì - Confesso che mi piacerebbe molto vederla- le si illuminarono gli occhi.
 
Ottimo, quella era esattamente la risposta che voleva sentire.
 
- Conosco un posto lontano dalle luci della città, dove si può vedere meglio il cielo stellato. Se ti va possiamo andarci, ammetto che anche io sono curioso di vedere questo fenomeno-
 
Si girò a guardarla per capire cosa pensasse di quella proposta e la trovò che lo stava fissando sorpresa, ma non sapeva se lo stesse facendo per via di ciò che le aveva appena proposto o perché era incredula riguardo al suo interesse per la cosa. Non ebbe il tempo di capirlo, poiché lo stupore sul suo volto lasciò presto spazio a un’espressione dispiaciuta, seguita da un sospiro. Qualcosa non andava.
 
- Mi piacerebbe tanto Shu ma…purtroppo ho già preso un altro impegno- abbassò lo sguardo, come se si vergognasse di quella confessione.
 
Cercò di incassare il colpo ricevuto, non poteva farsi mettere al tappeto al primo round. Se doveva morire sul campo di battaglia, doveva farlo in grande stile com’era nel suo DNA.
 
- Oh, vai già da qualche parte a vederla?- chiese, fingendo di non sapere.
- No- scosse la testa - Non vedrò la pioggia di comete, sarò al locale dove siamo andati l’altra sera insieme a Camel. Suona una band che mi piace molto e…-
- Clay ti ha procurato un pass gratis- terminò la frase, senza nemmeno preoccuparsi troppo di nascondere il suo fastidio.
- Come lo sai?- si allarmò lei, come se non volesse essere scoperta.
- Beh, non è difficile: te lo aveva proposto anche la sera in cui ce l’hai presentato, quindi immagino che ti tenga informata sulle band che suonano e ti faccia entrare gratis-
- Mi dispiace Shu, io non sapevo come dirtelo…- continuò a tenere la testa bassa, torturandosi le mani.
 
Si sentiva in colpa, come se gli stesse confessando di aver fatto qualcosa di grave quando in realtà non aveva fatto nulla se non andare avanti con la sua vita. Non l’avrebbe mai rimproverata per questo, eppure lei aveva una paura tremenda di toccare questo argomento con lui.
 
- Cosa? Che esci con Clay? Non eri tenuta a dirmelo, sei una donna indipendente e libera, puoi fare quello che vuoi. Non sono nessuno per mettere becco nei tuoi affari- si accese una sigaretta, dal momento che erano ormai usciti dall’edificio e nel parcheggio non c’era alcun divieto.
 
Si rese conto solo dopo averla detta che quella frase poteva essere un’arma a doppio taglio. Quel “puoi fare quello che vuoi” poteva essere interpretato come un “Non mi interessa con chi esci perché non mi interessi tu”. Sperò di non aver peggiorato la situazione, ma il silenzio di Jodie e l’espressione sul suo volto sembravano dirgli l’esatto contrario. Così non andava bene, doveva essere più diretto e apparire meno disinteressato.
 
- Che band andrai a vedere?- cercò di ravvivare la conversazione.
- The Perisher- rispose a bassa voce, senza guardarlo negli occhi.
- Non ti offendi se ti dico che non li ho mai sentiti nominare?-
 
Di nuovo Jodie non rispose, era come se non volesse avere alcuna conversazione con lui in quel momento e non era difficile comprenderne il motivo.
 
- È un vero peccato però, così ti perderai la pioggia di comete-
- Lo so…-
 
Niente, non c’era verso di farla parlare. Aveva evidentemente sbagliato qualcosa nel suo piano (e sapeva anche cosa) e ora doveva cambiare di nuovo le carte in tavola per vincere la partita. Forse aveva ragione Shiho, forse avrebbe dovuto semplicemente andare da lei e dirle “Senti tu, mi piaci e voglio uscire con te”, ma Jodie si meritava molto di più. Lo aveva atteso per più di sei anni, organizzare una confessione decente era il minimo che poteva fare per lei. Per ora poteva solo ritirarsi, sarebbe rientrato in scena l’indomani con la sorpresa che aveva progettato.
 
- Buona serata Jodie- la salutò, aprendo la portiera della sua Mustang rossa.
- A domani Shu- lo guardò finalmente negli occhi, mostrandogli tutta la sua tristezza e facendolo sentire uno schifo.
 
Il dubbio si insinuò come una vipera velenosa nella sua mente, mentre la osservava salire in macchina guardando nello specchietto retrovisore: poteva davvero vincere il confronto con Clay o, come pensava, l’avrebbe solo fatta soffrire per l’ennesima volta?
 
 
………………………..
 
 
Sospirò sonoramente e gettò sul letto anche quell’ennesimo vestito, che si posò insieme agli altri provati in precedenza sul mucchio che si era formato. Mancava un’ora al suo appuntamento con Clay al locale e non aveva ancora deciso cosa mettersi. Appena le sembrava di aver trovato il vestito perfetto, ecco che riusciva a vederci un difetto, poi un altro e un altro ancora. Probabilmente era il suo umore a non aiutarla nella scelta. Da quando aveva avuto quella conversazione con Shuichi il giorno prima, la tristezza che sembrava averla abbandonata era tornata a farle visita, persistente e indesiderata. Le cose con Clay stavano andando bene, gli aveva persino concesso un bacio e si sentiva serena quando stava con lui; aveva cercato di lasciarsi il passato alle spalle e di andare avanti senza quell’uomo che per anni era stato l’unico oggetto del suo desiderio, ma si rendeva conto solo in quel momento di quanto si sbagliasse. Non poteva chiudere il passato fuori dalla porta e pensare che se ne sarebbe andato semplicemente ignorandolo: avrebbe continuato a bussare per rientrare. Le era bastato parlare con Shuichi una sola, singola volta per rimettere in discussione ciò che stava costruendo con Clay. Quando l’aveva baciata la sera prima, non aveva saputo descrivere con certezza le sensazioni che aveva provato. Certo era stato molto piacevole, ma aveva avuto la sensazione che mancasse qualcosa per renderlo davvero perfetto. Invece, quando Shuichi le aveva chiesto di andare a vedere la pioggia di comete insieme, sapeva esattamente come si era sentita: il suo cuore si era riempito di gioia, ma come sempre l’aveva nascosta per non illudersi. Poi, dopo averla portata in paradiso, con una sola frase era riuscito a rigettarla all’inferno. “Sei una donna indipendente e libera, puoi fare quello che vuoi. Non sono nessuno per mettere becco nei tuoi affari”: così aveva detto, come se non gli importasse nulla del fatto che stesse uscendo con un altro uomo. Perché l’aveva invitata a guardare insieme la pioggia di comete se non aveva alcun interesse per lei? Perché ogni volta sembrava essere sul punto di fare un passo verso di lei e poi faceva marcia indietro? Questo atteggiamento la mandava in bestia tanto quanto la distruggeva. Non era giusto, non era giusto continuare a soffrire per qualcuno a cui non importava nulla di lei come donna quando dall’altra parte aveva un ragazzo meraviglioso che le stava facendo capire quanto fosse interessato a lei. Fino al giorno prima era stata così entusiasta all’idea di vedere i The Perisher dal vivo e aveva adorato Clay per quel regalo, nonostante significasse perdersi la pioggia di comete che avrebbe tanto voluto vedere; ora non sapeva nemmeno se voleva davvero uscire quella sera o se fosse stato meglio restare a casa a riempirsi di gelato nel tentativo di placare quel tormento interiore.
Alla fine, stanca anche di provarsi vestiti, ritornò all’outfit iniziale: leggins neri, scarpe nere con il tacco alto, un top rosso allacciato dietro la nuca e con un profondo scollo a V e un giubbino leggero di finta pelle. Voleva sentirsi sexy per una sera e voleva anche che Clay la guardasse, visto che qualcun altro non lo faceva. Doveva mettere la parola fine al dominio che Shuichi esercitava su di lei, doveva riprendere il controllo delle sue emozioni e doveva lasciarsi andare di più con Clay.
Mentre stendeva un velo di rossetto sulle labbra, sentì suonare il citofono. Si chiese chi fosse dal momento che non aspettava nessuno. Con Clay avevano deciso di incontrarsi direttamente al locale poiché lui doveva andare là prima per organizzare la serata. Si recò all’entrata e osservò l’inquadratura della telecamera sul monitor del citofono: sentì il cuore perdere qualche battito quando vide Shuichi che attendeva una sua risposta. Cos’era venuto a fare a casa sua? Proprio ieri gli aveva detto che sarebbe stata impegnata quella sera, ma lui sembrava essersene scordato o forse lo aveva semplicemente ignorato. Iniziò a guardarsi intorno, non sapendo cosa fare. Poteva aprire e togliersi il dubbio oppure poteva fingere di non essere in casa, così non avrebbe dovuto vederlo. Il citofono suonò un’altra volta, segno che Shuichi voleva davvero parlare con lei.
Alla fine rispose, convincendosi che era meglio così. Doveva togliersi ogni dubbio prima di andare da Clay, una volta per tutte.
 
- Sali Shu- gli disse semplicemente, aprendo la porta e riagganciando.
 
Dopo pochi minuti il campanello della sua porta suonò e lei aprì. Se lo trovò di fronte che la fissava, reggendo fra le mani un pacchetto decorato con un fiocco. Le domande che già si stavano arrovellando nella sua testa non fecero altro che aumentare: cosa ci faceva a casa sua con un regalo? Non era il suo compleanno e non c’era nulla da festeggiare.
 
- Cosa ci fai qui? Sto per uscire- tagliò corto.
- Mi fai entrare o devo parlare sulla porta?- chiese lui, forse un po’ offeso per quell’accoglienza non molto amichevole.
 
Sospirò, spostandosi e invitandolo ad entrare con un gesto della mano.
 
- Allora, cosa sei venuto a fare?- ripeté la domanda.
- Volevo darti questo- le allungò il pacchetto.
- Che cos’è?- chiese scettica, prendendo quel dono e rigirandoselo fra le mani, cercando di intuire cosa contenesse solo tastandolo.
- Aprilo-
 
Senza farselo dire due volte, scartò il pacchetto rivelandone il contenuto: un portafoto in argento di quelli doppi che si chiudevano come fossero un libro. L’argento era stato inciso con maestria dando vita a motivi floreali molto eleganti, che rendevano quell’oggetto davvero bellissimo. Ora sì che non aveva parole, ma in compenso aveva altre domande che si aggiungevano alla lista. Perché le aveva fatto un regalo del genere? Era stato un gesto totalmente disinteressato o voleva forse farsi perdonare qualcosa, come sempre?
 
- È stupendo Shu- disse, passando l’indice sulle incisioni senza riuscire a staccare gli occhi da quell’oggetto.
- Devi aprirlo però, non l’ho preso per la copertina- sorrise.
 
Girò il piccolo gancio che teneva chiuse le due metà e aprì il portafoto, rivelando le due immagini all’interno: la prima era una foto scattata anni prima, risalente al periodo in cui stavano insieme, durante uno dei loro appuntamenti in cui avevano incontrato un simpatico cagnolino mentre passeggiavano nel parco; la seconda era invece più recente e l’avevano scattata insieme a Mendel durante la festa di compleanno di Shiho. Sentiva le mani che tremavano mentre le lacrime premevano per uscire nonostante il suo sforzo di trattenerle. Maledette lacrime traditrici, rivelatrici dei sentimenti più intimi. Non seppe né cosa dire né cosa fare, riuscì solo a stringere forte quel portafoto e a fissare le due foto davanti a sé. Perché le stava facendo questo? Perché voleva vederla piangere e soffrire? Cosa aveva fatto per meritarlo?
 
- Non ti piace?- chiese lui, interrompendo i suoi silenziosi pensieri.
- Certo che mi piace- riuscì a rispondere, anche se la voce le tremava come le mani e dovette deglutire nel tentativo di sciogliere quel nodo che le si era formato nella gola.
- Non ero sicuro che avessi ancora la tua copia della prima foto, sono passati diversi anni, quindi ho pensato di rifarla nel dubbio-
- Ce l’ho- sussurrò, tenendo la testa bassa a tal punto che i capelli le ricadevano sulle guance coprendole il viso e non permettendo a Shuichi di vederla - Ho ancora tutto-
 
Ci furono alcuni secondi di silenzio, nessuno di loro disse nulla. Sentiva lo sguardo di Shuichi pesarle addosso, la fissava in attesa di una sua reazione che però non arrivava. Era come se non fosse più padrona di se stessa: il suo corpo era paralizzato e non riusciva a muoversi da quella posizione; la sua mente non riusciva a formulare pensieri che potesse trasformare in parole. L’unica cosa che ancora la rendeva consapevole di essere su questa terra era la morsa allo stomaco che quasi le impediva di respirare. Quelle foto le ricordavano solo quanto avesse amato quell’uomo e quanto ancora lo amasse, nonostante tutto. Le cicatrici del passato bruciavano e le vecchie ferite che credeva di aver addomesticato si riaprirono. Come poteva dubitare del fatto che avesse conservato le loro foto e tutti i loro ricordi? Forse lui poteva aver gettato tutto, sostituendolo con i ricordi di Akemi, ma lei non avrebbe mai potuto cancellare nulla del loro passato, nemmeno le cose materiali. Ci aveva provato, ma alla fine non ci era riuscita.
 
- Ok, ammetto che questa non è esattamente la reazione che mi aspettavo- disse lui, avanzando qualche passo verso di lei - Guarda che se non hai gradito puoi dirlo-
- Perché?!- trovò finalmente la forza di alzare lo sguardo verso di lui.
 
Aveva gli occhi pieni di lacrime che le annebbiavano la vista, ma cercò comunque di trasmettergli la rabbia e il dolore che stava provando.
 
- Perché mi fai questo Shu?- chiese nuovamente.
- Perché se stasera non verrai con me a vedere la pioggia di comete farai il più grosso errore della tua vita e la tua reazione ne è la prova- rispose in tono pacato, come se cercasse di calmare anche lei.
- Ma come puoi?- posò il portafoto sul tavolo, passandosi una mano dalla fronte fin sopra la testa, spettinandosi il corto ciuffo - Come puoi presentarti a casa mia con delle foto di noi due e dirmi che dovrei uscire con te quando sai benissimo che sto frequentando un’altra persona! Ti da così tanto fastidio vedermi felice?! È così importante per te dimostrare di essere il migliore, al punto di farmi soffrire solo per dimostrare a Clay che tu puoi avermi e lui no?!-
 
Pronunciò quelle parole una dietro l’altra, gesticolando e alzando il tono della voce. Sentiva di doversi liberare di quel peso, di avere il diritto ad una spiegazione.
 
- Credi davvero che lo stia facendo per Clay?- le chiese, fissandola con un’espressione corrucciata - Se è così allora ti sbagli di grosso, non me ne importa niente di lui-
- Allora perché?! Perché adesso?!-
- Sono consapevole di non aver scelto il momento migliore, ho tardato troppo, ma sappi che avevo intenzione di farti quel regalo e di invitarti ad uscire prima che iniziassi la tua frequentazione con Clay. Aspettavo solo il momento giusto, il momento in cui fossi stato davvero certo di poterti dare ciò che meritavi-
- E questo momento è arrivato proprio quando ho iniziato ad uscire con un altro?! Quando ho deciso di andare avanti con la mia vita e di smettere di aspettare quell’invito a uscire che non mi hai mai fatto?!- gli rinfacciò, quasi gridandoglielo in faccia.
- Non è stato programmato, ma l’idea di te al fianco di un altro mi ha fatto capire che dovevo fare qualcosa se non volevo perderti-
 
Tutte quelle parole che le stava dicendo, quelle parole che aveva atteso per anni, in quel momento le sembravano solo un modo per tenerla sotto il suo dominio. Non riusciva ad afferrarne la sincerità, vedeva solo quel lato di lui che voleva sempre avere tutto sotto controllo e che voleva essere il migliore.
 
- Ieri mi hai detto che non ero tenuta a dirti di Clay e che ero libera di fare ciò che volevo. È stato un modo molto signorile di dirmi che non te ne fregava nulla se uscivo con qualcuno perché tanto non provavi nulla più di un semplice affetto nei miei confronti- gli rinfacciò, asciugandosi le lacrime con un gesto veloce del dorso della mano - E ora ti aspetti che io creda che sei venuto qui a dirmi quanto sei geloso di Clay, quanto mi vuoi e che dovrei uscire con te e mandare al diavolo un ragazzo che nelle ultime settimane mi ha fatta sentire come si dovrebbe sentire una donna: desiderata dal proprio uomo. Ti rendi conto di quanto sia egoista da parte tua?! Sapevi fin dall’inizio come avrei reagito vedendo quelle foto, sai benissimo quello che provo per te eppure ti diverti a tormentarmi per il gusto di sentirti invincibile! Io non me lo merito…- non riuscì a terminare il discorso, si coprì la bocca con una mano e ricominciò a piangere.
- E tu non sei egoista nell’uscire con un uomo solo perché ti fa sentire desiderata, quando in realtà sei innamorata di un altro? Non sei meglio di me in questo momento-
- IO CI STO PROVANDO!- urlò fra le lacrime.
- A fare cosa?-
- Ad amare Clay-
 
Shuichi annuì, senza più proferire parola. Il loro era un dialogo che non li avrebbe portati da nessuna parte, si stavano rinfacciando a vicenda i propri errori ma nessuno dei due pensava ad abbracciare l’altro o a sorridere come avevano fatto in quelle foto. Poteva l’amore essere al tempo stesso un inferno pieno di dolore?
 
- Sono venuto qui a portarti quelle foto nella speranza che ne fossi felice e che accettassi di uscire con me. Volevo una seconda possibilità di stare con te, credevo che avrebbe reso felice entrambi. Ma forse avrei dovuto ascoltare quella voce nella mia testa che mi diceva di non farlo, perché ti avrei solo resa infelice un’altra volta-
 
Avrebbe tanto voluto rispondergli, ma le mancava la lucidità per farlo e i singhiozzi le avrebbero impedito di parlare.
Sentì il suono dei passi di Shuichi che si avvicinavano a lei, fino a quando non se lo trovò davanti. La fissava con l’espressione più dispiaciuta che gli aveva mai visto fare da quando lo conosceva e in quel momento capì di aver sbagliato a trattarlo in quel modo. Non era lì per il gusto di dimostrare il suo predominio, voleva davvero stare con lei. Era lei ad aver sbagliato stavolta.
Sentì la sua mano accarezzarle la guancia, con il pollice cercava di cancellare quelle lacrime che lui stesso aveva generato. Appoggiò la fronte contro la sua e gli sussurrò quelle ultime parole.
 
- Andrò al Forest Park, nel Queens, dove avevo programmato. Ti aspetterò lì, davanti alla tribuna coperta, per vedere insieme la pioggia di comete. Se entro la mezzanotte non ti vedrò arrivare, rinuncerò a te e ti lascerò libera di stare con Clay-
 
Quando riuscì a riaprire gli occhi, Shuichi si era di nuovo allontanato da lei. Gli mancò la sensazione della sua mano che le accarezzava la guancia e il calore del suo respiro così vicino alle sue labbra. Bastava che la sfiorasse per darle brividi in tutto il corpo.
Lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava alla porta e lasciava il suo appartamento così come vi era entrato. Una parte di lei avrebbe voluto inseguirlo, abbracciarlo e andare con lui al Forest Park; l’altra le diceva di andare da Clay. Il cuore e la testa si stavano sfidando in un duello senza esclusione di colpi e solo lei avrebbe potuto mettervi fine. Shuichi l’aveva lasciata libera di decidere cosa fare, perché era giusto così. Ma qual era la cosa giusta da fare?
Prese di nuovo fra le mani quella meravigliosa cornice e ripensò ad entrambe le giornate in cui erano state scattate. Erano stati entrambi giorni felici a loro modo e i sentimenti che aveva provato erano rimasti gli stessi. Era strano pensare che nell’arco temporale trascorso tra una foto e l’altra ci fossero stati di mezzo un’organizzazione criminale, omicidi, dolore, il risentimento che aveva provato per lui quando l’aveva piantata in asso e un’altra donna che li aveva tenuti separati fino a quel momento.
Si lasciò scivolare lentamente a terra, le gambe non la reggevano più. Strinse forte al petto quelle fotografie e si lasciò andare ad un pianto silenzioso ma disperato.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
In questo capitolo ho voluto di nuovo riprendere le fotografie che ci accompagnano dal compleanno di Shiho. I piani di Shuichi sono andati in fumo e Jodie deve rimettere in discussione ciò che ha fatto finora con Clay. Cosa deciderà di fare? La soluzione nel prossimo capitolo!
Una curiosità su questo capitolo: il Forest Park nel Queens esiste realmente, andate a vedere qualche immagine perché sembra davvero bello.
Preciso inoltre che per la “pioggia di comete” mi sono ispirata a un episodio in particolare di One Tree Hill (il mio telefilm preferito), ma in generale questi sciami meteorici non sono così rari da vedere nei cieli americani.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29: La fine di un sogno ***


Capitolo 29: La fine di un sogno
 
 
 
Parcheggiò la macchina nel primo posto che trovò disponibile, ormai era arrivata già parecchia gente e lo dimostrava la fila di persone che ancora doveva entrare. Guardò la sua immagine riflessa nello specchietto retrovisore: nonostante avesse rifatto il trucco e indossasse gli occhiali, si vedeva che aveva gli occhi gonfi, rossi e lucidi, tipici di una persona che aveva pianto molto. Era rimasta a versare lacrime accasciata sul pavimento per parecchio tempo, non avrebbe nemmeno saputo definire quanto, poi aveva raccolto le ultime forze rimaste e si era alzata e sistemata, pronta per andare al locale da Clay. Doveva vederlo per capire se poteva davvero essere lui l’uomo che l’avrebbe salvata da quel suo incessante desiderio di rincorrere Shuichi o se il suo destino era quello di restare legata al suo ex per il resto dei suoi giorni.
Inspirò profondamente ed espirò dalla bocca, cercando di rilassarsi. Uscì dall’auto e la chiuse a chiave, alzando gli occhi verso il cielo: sperava di vedere qualche meteora prima di entrare, ma in quella zona fatta di locali e circondata da palazzi era impossibile vedere il cielo in modo nitido a causa dell’inquinamento luminoso. Rinunciò così al suo desiderio e si apprestò ad entrare nel locale, ovviamente saltando la fila grazie al pass che Clay le aveva dato.
Dentro c’erano molte più persone di quante si aspettasse, faticò ad avanzare fino al bancone in un punto dove potesse avere una visuale più ampia del locale e individuare così dove si trovasse Clay. Mentre lo stava cercando allungando il collo, si sentì afferrare i fianchi da dietro e un paio di braccia muscolose l’attirarono a sé. Per un attimo trasalì, pronta a sferrare uno dei colpi che aveva imparato durante il suo addestramento per diventare un’agente dell’FBI, ma quando riconobbe la voce che le parlò vicino all’orecchio si rilassò.
 
- Sei arrivata finalmente. Pensavo che mi avessi dato buca-
 
Si girò verso Clay, che però non la lasciò andare nemmeno per un secondo, stringendola ancora di più a lui. Posò le mani sul suo petto e lo guardò negli occhi. Sorrideva come sempre, felice di averla lì con lui. Avrebbe voluto ricambiare a pieno quell’emozione, ma invece che perdersi in quel volto bellissimo la sua mente le restituì capricciosa i flashback delle foto che le aveva portato Shuichi quasi due ore prima.
 
- Scusami, ho fatto tardi al lavoro- mentì.
- L’importante è che tu sia qui- le sussurrò, avvicinando le labbra alle sue e baciandola.
 
Dapprima fu solo uno sfioramento di labbra, ma quando sentì la lingua di Clay premere per approfondire il bacio si tirò leggermente indietro. Non se la sentiva di baciarlo così, non in quel momento.
Lui la fissò corrugando la fronte e guardandola con fare indagatorio.
 
- Va tutto bene? Hai una faccia strana…- le fece notare.
 
Così non andava. Era venuta in quel locale per stare con lui e capire cosa provava nei suoi confronti, ma si stava comportando come se avesse già preso la sua decisione. Non ci stava neanche provando, la sua forza di volontà era pari a zero. Era come se la sua mente si fosse divisa dal suo corpo: fisicamente era lì con Clay, ma con il pensiero era da tutt’altra parte. Doveva sforzarsi di tornare in sé e dare una risposta alle sue domande. Doveva farlo per se stessa ma anche per rispetto di quel ragazzo che aveva di fronte, che non vedeva l’ora di darle ciò che desiderava.
 
- Sono solo un po’ stanca, oggi è stata una giornataccia al lavoro- mentì, sforzandosi di sorridere.
- Capisco…allora dobbiamo fare qualcosa per il tuo cattivo umore- l’abbracciò più forte - Che ne dici di venire con me nel backstage per conoscere di persona i The Perisher? Potrebbe aiutarti?- le sorrise, attendendo la sua risposta.
- Dici sul serio? Posso davvero?- chiese stupita.
- Ma certo, dai andiamo!-
 
La prese per mano e si face largo tra la folla che aspettava con lo sguardo rivolto al palco. La sua mano era calda, eccetto per alcuni anelli in metallo che indossava e che rendevano quei punti più freddi. Per un attimo pensò che anche la mano di Shuichi era calda, ma la sua stretta era più forte e decisa di quella di Clay. Cercò di scacciare quel pensiero, giusto in tempo per vedere la band seduta nello stanzino adiacente al palco che si preparava per entrare in scena.
 
- Come va ragazzi? Tutto bene?- chiese loro Clay, con una sicurezza da fare invidia.
- Non vediamo l’ora di salire sul palco- rispose Ola Klüft, cantante e chitarrista della band, dandogli il cinque.
 
Era sorprendente come quel ragazzo riusciva ad interagire con chiunque come se fossero stati amici di vecchia data, incluse delle rock star a cui le non si sarebbe mai nemmeno sognata di dire “ciao ragazzi”. Forse perché nel suo mondo così distante dal loro, lei li vedeva solo come degli idoli irraggiungibili, mentre Clay che ci lavorava a stretto contatto li vedeva per quello che erano in realtà: delle normalissime persone comuni che avevano scelto di sfruttare il proprio talento per far sognare gli altri.
 
- Non ci presenti la tua bellissima amica?- chiese Martin, il tastierista, guardandola e rivolgendole un sorriso che la mise in imbarazzo.
 
Fino a quel momento era rimasta sulla porta, timorosa se entrare nello stanzino oppure no, ma Clay la invitò ad entrare prendendola per mano e portandola fino a pochi passi dai quattro musicisti.
 
- Lei è Jodie, è una vostra fan ed è venuta qui per vedervi-
- Salve- riuscì solo a dire, salutando con un cenno della mano, stringendo la testa nelle spalle e sorridendo.
 
In quel momento le sembrò davvero di essere una groupie come Shuichi l’aveva definita, una stupida groupie che non riusciva nemmeno a formulare una frase di senso compiuto. Che diamine, quelle persone mangiavano e andavano al bagno esattamente come lei, che motivo aveva di imbarazzarsi?
 
- Adoro le vostre canzoni, i testi sono così profondi. Non è facile saper scrivere qualcosa che arrivi alla gente- disse loro, cercando di rimediare al pessimo saluto di prima.
- Ottima scelta Clay, la ragazza ha buon gusto- disse il batterista - Se hai una sorella gemella dille di venire da me- scherzò, rivolgendosi a lei e facendo ridere tutti quanti.
- Ok, allora io direi che potete iniziare il vostro show. Ora vado a presentarvi, voi preparatevi- disse loro Clay, puntandogli gli indici contro in segno di incoraggiamento - Tu vieni con me?- chiese poi a lei.
- Sì- annuì - In bocca al lupo!- si rivolse poi alla band.
- Non ti deluderemo Jodie- le fece l’occhiolino Ola.
 
Uscì dallo stanzino insieme a Clay, che la prese nuovamente per mano. Camminarono fino a pochi metri dal palco, fermandosi in un posto dove c’era un’ottima visuale senza il rischio di avere persone davanti.
 
- Vuoi venire sul palco con me a presentarli?- le chiese.
- Oh, no no, meglio di no- scosse le mani.
- Ti vergogni? Cerchi ancora di sfuggire al “circolo dei famosi”?- citò la battuta che lei stessa aveva fatto la sera in cui si erano incontrati.
- Beh, non è consigliabile per un agente dell’FBI dare troppo nell’occhio. Dobbiamo mantenere un profilo basso per evitare di essere riconosciuti quando agiamo come infiltrati o assumiamo altre identità per investigare senza destare sospetti- spiegò - Ti aspetto qui, tu vai pure-
- Vado a salvare il mondo e torno!- corse sul palco, lasciandola lì a ridacchiare di quella battuta.
 
Stava iniziando a rilassarsi e forse le cose stavano prendendo la giusta piega. Clay la faceva stare bene, le dava un sacco di attenzioni e la trascinava in quel suo mondo che lei non avrebbe nemmeno lontanamente immaginato di toccare. Eppure, una parte di lei pensava a Shuichi che in quel momento era seduto al Forest Park ad attenderla. Chissà se le comete si sarebbero viste davvero…
Alzò lo sguardo verso le finestre del locale, troppo alte per vedere l’esterno ma perfette per vedere il cielo: tutto ciò che vide fu il buio della notte e le luci artificiali della città che filtravano dai vetri.
La voce di Clay amplificata dal microfono la riportò alla realtà.
 
- Come va gente, siete pronti?-
- Sììììììììì- rispose la folla, accompagnando quell’esclamazione con qualche fischio.
- Allora date il vostro caloroso benvenuto ai The Perisher!-
 
Si unì anche lei all’applauso collettivo, mentre Clay la raggiungeva sorridendole. Senza che avesse il tempo di accorgersene, si mise dietro di lei e le cinse la vita con le braccia, stringendola a sé. Ricambiò quel gesto posando le mani sulle sue e intrecciando le loro dita, mentre la band saliva sul palco e iniziava a suonare quella canzone che era la sua preferita del loro repertorio.
 
- Non riusciamo a vedere dove sei ma questa la dedichiamo a te, Jodie- disse il cantante, per poi suonare i primi accordi con la chitarra.
 
Sorrise felice, mentre Clay l’abbracciava sempre più. Sembrava tutto perfetto, un sogno dal quale non svegliarsi mai, ma le parole di quella canzone che amava così tanto disintegrarono quella felicità.
 
“I talk to you as to a friend
I hope that's what you've
Come to be
It feels as though we've
Made amends
Like we found a way
Eventually”

 
Si ricordò il perché aveva iniziato ad amare quella canzone solo anni dopo averla sentita: perché ne aveva realmente compreso il testo solo quando lei stessa aveva vissuto sulla pelle quella sensazione. E ora, dopo quella discussione che avevano avuto in Giappone mesi prima, nella quale i loro sentimenti erano venuti a galla, poteva comprendere quelle parole ancora di più. Da quando Shuichi era tornato dalla missione e dopo aver rotto con Akemi, fra di loro c’era stata soltanto un’amicizia che lei l’aveva accettata per quello che era pur di non vederlo uscire dalla sua vita. Si era ripetuta che andava bene anche così, che averlo vicino ogni giorno al lavoro le bastava. Ma un bel giorno si era accorta che non poteva più tenersi dentro i suoi sentimenti e glieli aveva serviti su un piatto, pronti perché potesse divorarli. Lui però non lo aveva fatto, al contrario aveva confessato le sue colpe e i suoi errori e aveva scelto di conviverci e di essere infelice, perché credeva di non meritarsi niente di più. Alla fine avevano trovato comunque il loro equilibrio, la loro amicizia aveva funzionato bene fino a poche ore fa, quando si era presentato a casa sua mettendo in discussione tutto.
 
“It was you who picked
The pieces up
When I was a broken soul
And then glued me
Back together
Returned to me what
Others stole”

 
Shuichi le aveva ridato la gioia di vivere, nonostante il suo carattere. Da quando suo padre era morto e la sua vita era stata un lungo nascondersi dalla donna che la cercava per ucciderla, Shuichi era stata la cosa più bella che le potesse capitare. Aveva raccolto il suo cuore infranto e lo aveva aggiustato. Non avrebbe mai immaginato, però, che quel cuore che aveva ricostruito con tanta maestria lo avrebbe poi distrutto di nuovo con le sue stesse mani. Le aveva fatto male, male da morire. Le aveva dato tutto e poi glielo aveva tolto senza nemmeno chiederle se fosse d’accordo. Aveva deciso lui per entrambi e lei non aveva avuto la forza di opporsi. Aveva passato anni ad essere gelosa della donna che glielo aveva portato via e aveva continuato ad essere gelosa di lei anche da morta, nonostante si vergognasse per questo. Era gelosa del posto speciale che Akemi aveva conquistato nel suo cuore, dove lei sentiva di non avere più uno spazio. 
 
“I don't want to hurt you
I don't want to make you sway
Like I know I've done before
I will not do it anymore”

 
Si era convinta di non poterlo più avere e per questo motivo aveva deciso di dare una possibilità a Clay e di andare avanti con la sua vita. E quando le cose sembravano andare per il verso giusto, ecco che si era ripresentato alla sua porta dicendole quello che aveva atteso di sentirsi dire da una vita. Si rendeva conto solo in quel momento, ascoltando il ritornello di quella canzone, di quanto avesse agito in modo sbagliato trattandolo in quel modo e lasciandolo andare via da a guardare le comete da solo. Non era andato lì per ferirla, non voleva ferirla più. Stava solo cercando di rimediare agli errori commessi, ma lei lo aveva cacciato via per paura che quei sentimenti che aveva rinchiuso si liberassero più forti di prima. Shuichi era come una tempesta per lei, bastava che pronunciasse poche parole giuste o che la sfiorasse per farla vacillare e ondeggiare come una bandiera che garriva al vento.

“I've always been a dreamer
I've had my head among
The clouds
Now that I'm coming down
Won't you be my solid ground?”

 
Era nata donna e come a tutte le donne anche a lei piaceva fantasticare e immaginare tante cose, tra cui un amore folle e travolgente. L’aveva avuto alla fine, ma si era resa conto che gli amori di quel genere non erano come li rappresentavano nei film, erano una complessa unione fra desiderio e dolore, un legame che non poteva essere scisso. Non esiste amore che non porti in sé dolore, Shuichi le aveva insegnato anche questo. Il sogno che Clay le aveva regalato quella sera stava andando in mille pezzi e lei era la principessa della fiaba che cadeva dalla torre più alta del castello. Si era aggrappata fino alla fine alla mano del suo principe salvatore, ma alla fine non l’aveva stretta con abbastanza forza. La sua unica speranza di salvezza era che ad aspettarla sotto la torre ci fosse quel re solitario che l’aveva protetta così tante volte da averne perso il conto. Chissà se avrebbe ancora voluto farlo, dopo il modo in cui lo aveva trattato…

“I look at you and see a friend
I hope that's what you want to be
Are we back now where
It all began?
Have you finally forgiven me?”

 
Ci aveva provato ad odiarlo quando l’aveva lasciata per Akemi, ci aveva provato con tutta se stessa, ma l’amore che provava per lui era più forte del suo desiderio di cancellarlo dalla sua vita. In fondo non avrebbe potuto farlo, se lo sarebbe ritrovato davanti al lavoro ogni giorno. Si dice che il tempo curi le ferite e alla fine anche il suo risentimento si era assopito, forse aiutato dagli anni in cui avevano vissuto lontani in due diversi stati. Quando era tornato in America dopo che la sua copertura era saltata, aveva accettato l’idea di essergli soltanto amica e sperava che anche lui volesse essere lo stesso per lei, almeno quello. Lo aveva perdonato alla fine, ma non aveva mai dimenticato. Ed ora erano di nuovo lì, al punto di partenza, dove avevano cominciato sei anni prima: lui le aveva chiesto di uscire e si era dimostrato interessato a lei non come una semplice amica.


“I don't want to hurt you
I don't want to make you sway
Like I know I've done before
I will not do it anymore”

 
Senza accorgersene, strinse forte la mano di Clay al punto da spingerlo a pensare che fosse un gesto voluto per dimostrargli i propri sentimenti, quando in realtà i sentimenti li stava provando per un altro. Era stata un’egoista, Shuichi aveva ragione in questo. Non poteva più mentire a se stessa e non poteva mentire a Clay. Aveva conosciuto il dolore di essere ferita da qualcuno che amava e proprio per questo motivo non poteva dare lo stesso dolore a Clay. Doveva essere onesta con lui e con se stessa.
Non appena la band terminò quella canzone, approfittò dell’applauso del pubblico per sciogliere quell’abbraccio e girarsi verso di lui, guardandolo seriamente negli occhi.
 
- Clay ascolta…vorrei parlarti, possiamo andare in un posto un po’ meno rumoroso?-
- Ma…adesso? Stanno suonando i The Perisher, sei venuta apposta per vederli- si stupì.
- Lo so, però è importante- insistette.
- D’accordo- acconsentì - Ma non posso assentarmi per molto, devo comunque controllare che sia tutto ok-
 
La prese per mano e la condusse nello stanzino dove erano stati prima con la band. Ad ogni passo sentiva il nervosismo crescere, non voleva ferirlo ma sapeva di doverlo fare per il suo bene. Era sempre stata lei la vittima e Shuichi il carnefice, ma ora per uno strano scherzo del destino la carnefice era diventata lei e Clay era la sua vittima.
 
- Allora, cosa dovevi dirmi di così importante da non poter aspettare la fine del concerto? Non è che hai inventato una scusa per stare sola con me?- scherzò, cingendole nuovamente la vita con le braccia e cercando di baciarla.
- Aspetta Clay- lo fermò, posando le mani sul suo petto e facendo una leggera pressione per allontanarlo.
- Che ti prende? È tutta la sera che sei strana-
- Io…Io non posso più vederti- disse infine, chiudendo gli occhi e abbassando la testa.
- Cosa? Ma perché?- chiese lui, allargando le braccia e guardandola spaesato - Mi sembrava che le cose andassero bene-
- Sembrava anche a me e credimi, mi spezza il cuore doverti dire questo ma credo sia la cosa migliore-
- Se ho fatto qualcosa di male dimmelo-
- No, tu non hai fatto nulla. Anzi, sei davvero fantastico e solo una stupida si lascerebbe scappare un ragazzo come te-
- No, ti prego non usare la scusa del “non sei tu, sono io”. È la stessa che ha usato Abby quando mi ha scaricato-
 
Percepiva un cambiamento nel suo tono di voce, che si era fatto più alto e più duro. Aveva affondato il coltello nella sua carne e lui, giustamente, si stava ribellando. Il pensiero di doverlo rigirare nella ferita appena inferta le diede un senso di nausea.
 
- Lo penso sul serio, credimi. Tu sei perfetto, sei il ragazzo con cui ogni donna vorrebbe stare. Ma io sono così idiota da non riuscire a dimenticare un uomo che invece è il tuo esatto opposto- si portò una mano alla fronte, scuotendo la testa.
- Wow…Io non so che cosa dire- rispose lui, visibilmente deluso da quella confessione - Ora capisco perché non ti lasciavi mai andare completamente-
- Mi dispiace davvero Clay, avrei tanto voluto innamorarmi di te ma per qualche ragione a me sconosciuta continuo a sentirmi legata a quella persona. Non volevo prenderti in giro né ferirti, per questo ho preferito parlarti prima che fosse troppo tardi-
 
Seguirono alcuni secondi di silenzio, in cui Clay annuì alle sue parole ma senza riuscire a guardarla in faccia. Non seppe comprendere se era arrabbiato con lei, deluso, ferito o tutte e tre le cose insieme, ma di certo non era felice di quella rivelazione.
 
- So che in questo momento probabilmente mi odierai e non vorrai più sentir parlare di me, ma mi piacerebbe che un giorno potessimo essere amici. Mi dispiace non averti conosciuto al liceo- gli sorrise, ma con occhi tristi.
- Dispiace anche a me- disse semplicemente.
- Adesso è meglio che vada, tu devi tornare dalla band-
- Sì-
 
Abbassò lo sguardo sentendosi colpevole per aver spento il suo entusiasmo. Solo ora riusciva a comprendere cosa avesse provato Shuichi quel giorno. Aveva sempre pensato che fosse lei l’unica parte lesa, ma trovarsi dall’altro lato non era meglio. Era come una guerra dove alla fine nessuno sarebbe uscito vincitore.
Si avvicinò a Clay, gli prese una mano e la portò vicino alla sua bocca, dandogli un piccolo bacio sulle nocche.
 
- Ti auguro di trovare una donna che ti ami e ti apprezzi per la bellissima persona che sei- le sfuggì una lacrima.
 
Prima di ricominciare a piangere, gli diede le spalle e si allontanò da lui. Fece qualche passo ma si fermò nuovamente quando lo sentì pronunciare il suo nome.
 
- Jodie?-
- Sì- si voltò a guardarlo un’ultima volta.
- In bocca al lupo per il tuo amore non corrisposto. Se il tizio che ami non si accorge di te allora è un vero idiota-
- Grazie- gli sorrise, mentre un’altra lacrima le rigava una guancia.
 
Attraversò la sala gremita di gente quasi correndo, aveva fretta di uscire da quel locale il prima possibile. Mentre raggiungeva la sua macchina guardò l’ora sul cellulare: mancavano quaranta minuti alla mezzanotte, orario in cui era previsto che la pioggia di comete fosse più visibile. Forse se non ci fosse stato traffico ce l’avrebbe fatta a raggiungere il Forest Park in tempo per parlare con Shuichi e guardare quelle comete che aveva desiderato vedere per tutta la sera.
Salì in macchina e mise in moto, per poi partire alla massima velocità consentita dal motore dell’auto non ancora riscaldato a sufficienza. Era arrivato il momento di affrontare le sue paure.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
E così esce di scena il povero Clay che si è beccato un bel due di picche (com’ era prevedibile fin dall’inizio).
Curiosità sul capitolo:
- La band The Perisher esiste davvero, sono un gruppo svedese. In realtà si sono sciolti nel 2010 e la mia storia è ambientata nel 2015/2016 circa, ma il testo della loro canzone mi ha fatto pensare a Shuichi e Jodie quindi ho finto che suonassero ancora insieme.
- La canzone s’intitola “Sway” ed è appunto dei The Perisher. Ascoltatela tutta, è molto bella secondo me.
Ci vediamo al prossimo capitolo! 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30: Desideri esauditi ***


Capitolo 30: Desideri esauditi
 
 
 
Controllò l’ora sul cellulare per l’ennesima volta da quando era arrivato al Forest Park. Aveva deciso di andarci comunque, perché sperava che Jodie lo raggiungesse anche se la loro conversazione a casa di lei non era finita nel migliore dei modi. Nella sua mente aveva immaginato la gioia di Jodie nel ricevere quel regalo e nel sapere che desiderava avere una seconda occasione con lei, ma non aveva fatto i conti con la ferita che lui stesso gli aveva inflitto sei anni prima. In quel momento aveva capito che ogni volta che Jodie gli sorrideva, dentro iniziava a sanguinare. Sanguinava e sorrideva per nasconderlo. Quando aveva rotto con lei aveva dato per scontato che fosse forte al punto di piangerci sopra una notte e poi rialzarsi in piedi, per lui che aveva fatto della freddezza il suo marchio di fabbrica era difficile comprendere l’amore fino in fondo; poi negli anni a venire si era reso conto di quanto brava fosse come attrice. Era salita sul palcoscenico e aveva interpretato il ruolo della ex ragazza che aveva accettato di essere solo un’amica e una collega, in pace con se stessa mentre recitava quella parte. La commedia che gli spettatori vedevano da fuori, tuttavia, era per lei una tragedia.
Non appena arrivato lì aveva fatto una passeggiata nel parco per scacciare la tensione e perché in ogni caso era troppo presto per vedere la pioggia di comete prevista per la mezzanotte. Aveva ormai fumato diverse sigarette, perdendone il conto. Si era soffermato a guardare dei ragazzi giocare a basket nel campetto del parco, ma la partita non era così entusiasmante da riuscire a distoglierlo dai suoi pensieri. Alla fine, dopo aver girovagato all’interno del parco per un’ora buona, era andato a sedersi in una delle lunghe panche di legno davanti alla tribuna semisferica bianca dove in estate facevano spesso concerti dal vivo. Aveva notato con rammarico che c’era più gente di quella che aveva previsto nel parco, ma d’altra parte era comprensibile: a New York non c’erano molti posti dove poter vedere il cielo senza alterazioni date dall’inquinamento luminoso, persino lì era comunque visibile e presente. Per godere della vista di un cielo limpido era necessario farsi almeno tre, quattro ore di macchina guidando fuori città. Se non avessero dovuto lavorare il giorno dopo avrebbe anche potuto farlo.
Si era guardato intorno per vedere se fra la gente già seduta ci fosse anche lei, ma non aveva scorto la sua figura. Alla fine aveva scelto una panca dove non ci fosse nessun altro: non poteva evitare le altre persone sedute intorno ma almeno poteva ritagliarsi uno spazio per lui e per Jodie, sempre che si fosse fatta viva. Voleva un momento di intimità solo per loro.
Ormai erano trascorse tre ore da quando aveva messo piede nel parco, mancavano solo cinque minuti allo scoccare della mezzanotte e di lei nemmeno l’ombra. Dunque aveva fatto la sua scelta e aveva deciso di non venire, preferendo un concerto in un anonimo locale a quelle meteore che invece aveva detto di voler vedere. Aveva preferito Clay a lui. Non poteva biasimarla, in fondo era ciò che meritava per non averle mai mostrato niente più di un affetto per una persona cara; tuttavia si chiedeva come fosse arrivata a quella scelta dopo aver pianto disperatamente davanti a lui guardando le loro foto. Forse si era calata così tanto nel suo ruolo di attrice da non riuscire più ad uscirne o forse, semplicemente, la paura di essere ferita di nuovo era più forte dell’amore che provava per lui. Aveva attivato un meccanismo di autodifesa per impedirgli di penetrare ancora più a fondo nel suo animo, più di quanto non avesse già fatto. Clay era la via più semplice e meno dolorosa. Ci aveva provato a combattere, ma quella battaglia l’aveva persa ancora prima di cominciarla. Aveva dato ascolto a Shiho, ma forse avrebbe semplicemente dovuto restare fermo sulle sue posizioni.
Meno due minuti a mezzanotte. Alzò lo sguardo al cielo e vide la prima cometa della serata cadere e disperdersi chissà dove. Si chiese cosa ci facesse ancora seduto lì, a sperare fino all’ultimo di vedere Jodie arrivare. I sogni non si realizzano guardando il cielo e pregando silenziosamente, questo lo sapeva bene.
Fece per alzarsi quando sentì qualcuno correre alle sue spalle, avvicinandosi sempre di più. Il suono dei tacchi che battevano veloci sulla pavimentazione di pietra che formava una passatoia a metà fra le due file di panche  risuonò nell’aria. I passi rallentarono e si fermarono di fianco a lui. Girò il capo alla sua destra e la vide, leggermente piegata in avanti e con il respiro affannato per la corsa. Si fissarono per istanti che parvero anni e infine lui si spostò verso sinistra per farle spazio. Senza dire nulla, Jodie si sedette accanto a lui cercando di recuperare il fiato necessario ad affrontare un dialogo.
 
- Sei venuta alla fine- le disse, ancora incredulo di vederla lì accanto a lui.
- Scusa il ritardo ma c’era traffico- rispose, quando il respiro fu tornato alla normalità.
- Beh, dev’esserci un bel traffico se ci hai messo tre ore per arrivare qui-
- Sono andata al concerto- ammise - Ho ascoltato una canzone e poi me ne sono andata-
- La band faceva così schifo?- ironizzò.
- No, al contrario. È stato un bene esserci andata-
 
Non riuscì a comprendere il significato di quelle parole, non sapeva se interpretarle in senso positivo o negativo per quanto riguardava la loro situazione. Era stato un bene andarci perché l’aveva portata lì oppure perché aveva ufficializzato il suo rapporto con Clay ed era venuta solo a dirglielo?
I suoi dubbi e la loro conversazione vennero interrotti dal mormorio delle persone intorno a loro: era scoccata la mezzanotte e le meteore avevano iniziato il loro spettacolo. Alzò lo sguardo al cielo ma con la coda dell’occhio la vide togliersi gli occhiali, posarseli in grembo e guardare anche lei in alto. Non era abituato a vederla così, senza quelle lenti tanto preziose per lei.
Tenne a freno la sua curiosità di sapere cosa fosse venuta realmente a fare lì e le lasciò godere quello spettacolo che tanto desiderava.
 
 
………………………
 
 
Sentiva il cuore batterle forte nel petto, ma non sapeva se era ancora l’effetto della corsa di poco prima o l’emozione di essere lì con Shuichi a guardare le stelle come due adolescenti innamorati. Aveva volato sulla strada per poter arrivare in tempo lì, non voleva che se andasse e pensasse che non c’era più speranza fra loro. La fiamma era ancora lì, sotto la cenere, ma prima di ravvivarla doveva mettere in chiaro delle cose.
Le meteore che cadevano una dopo l’altra segnando il cielo notturno le ricordavano delle lacrime che scendevano lungo il viso. Era come se il cielo stesse piangendo, proprio come aveva fatto lei poche ore prima. Un pensiero triste, ma al tempo stesso lo spettacolo era affascinante.
Il culmine durò per circa una decina di minuti, poi piano piano l’intensità con cui le meteore cadevano diminuì e ritornò ad esserci qualche barlume isolato qua e là. Molte persone che erano sedute lì si alzarono e se ne andarono subito dopo, ormai la parte migliore era terminata. Anche lei doveva terminare la conversazione che aveva iniziato prima con Shuichi.
Spostò lo sguardo dal cielo verso di lui e si accorse che la stava fissando. Arrossì quando i suoi occhi incrociarono quelli verdi e penetranti di lui.
 
- Perché è stato un bene essere andata a quel concerto?- le chiese all’improvviso, lasciandola confusa.
 
Probabilmente aveva atteso impazientemente tutti quei minuti solo per lasciarle vedere la pioggia di comete, ma ora voleva riprendere la conversazione esattamente da dove l’avevano interrotta.
 
- Perché ho capito tante cose. Credo fossero cose che sapevo già ma ascoltare le parole di quella canzone me le ha fatte vedere da un altro punto di vista. Sono contenta di esserci andata- spiegò.
- Se eri così contenta come mai non sei rimasta là?-
- Ti è mai capitato di essere fisicamente in un posto ma con la testa da tutt’altra parte?- rispose alla sua domanda con un’altra domanda - Ero andata al club per stare con Clay ma da quando ho messo piede lì dentro non ho fatto altro che pensare “non è questo il posto dove dovresti essere”. La mia mente era qui in questo parco, ma io ho voluto negarlo fino alla fine- abbassò lo sguardo.
- In poche parole cercavi di fuggire da me- sorrise, chiudendo gli occhi.
- Cercavo di riprendermi quella parte di me che ti sei portato via quando mi hai lasciato sei anni fa, ma ho capito che non posso farlo. Più lotto per riaverla e più mi rendo conto di quanto quella parte voglia restare tua. È contraddittorio ma è ciò che sento. Per quanto mi sforzi non riuscirò mai ad amare un uomo più di quanto ami te, anche se il mio cuore si dovesse frantumare cento volte e non aggiustarsi più-
- Non voglio ferirti Jodie, non l’ho mai voluto-
 
Sentì la sua mano calda posarsi sul suo collo, con il pollice le accarezzava la guancia. Piegò la testa sul lato dove aveva messo la mano per godere meglio di quelle carezze tanto desiderate, per poi riportarla in posizione eretta subito dopo. Non poteva e non doveva lasciarsi andare così, ora era il momento di parlare e chiarire tutto ciò che era rimasto in sospeso per anni.
 
- Lo so Shu, però lo hai fatto- le vennero gli occhi lucidi.
- Non credere che per me sia stato facile-
- Non l’ho mai pensato- scosse la testa - Ma una spiegazione come si deve me la sarei meritata, non credi?-
- Non né ho avuto né il modo né il tempo-
- Sai che non è vero-
- Perché dici questo?-
- Sei stato nell’Organizzazione per tre anni dal giorno in cui mi hai lasciata, poi sei tornato in America e ci sei rimasto per altri due anni nei quali abbiamo ripreso a lavorare a stretto contatto come in passato. In due anni non hai avuto tempo di darmi una spiegazione o di chiedermi come mi sentissi a riguardo?- si mise una mano sul petto, per indicarsi - Poi siamo volati in Giappone e ci siamo rimasti per un anno: anche in questo caso non hai mai avuto modo di parlarmi e chiarire quello che era rimasto irrisolto? Hai sempre saputo cosa provavo per te, ma hai preferito fingere di non vederlo e l’ho accetto perché pensavo che fosse il tuo modo di dirmi che non volevi illudermi. Ho accettato di diventare lo zimbello dell’FBI, facendo finta di non sapere cosa dicevano i nostri colleghi…- si fermò un attimo, deglutendo per sciogliere quel nodo che si stava formando in gola.
- A cosa ti riferisci?- le chiese lui, non capendo.
- Anche se cercavamo di essere discreti sul lavoro, qualcuno aveva capito che fra noi c’era una relazione. Quando si è sparsa la voce che avevi iniziato a frequentare un’altra donna per entrare nell’Organizzazione, passavo per i corridoi e sentivo lo sguardo di tutti addosso. Ero diventata la poverina sedotta e abbandonata- sorrise, ma c’era amarezza nei suoi occhi - Lo sanno tutti quello che provo per te, non sono mai riuscita a nasconderlo bene. Qualche tempo dopo il tuo ritorno in America, un giorno ero chiusa in bagno e ho sentito Rachel e Tara che parlavano di me. “A volte mi fa pena, gli corre dietro ma lui non la degna nemmeno di uno sguardo”. “Forse sta ancora pensando alla ragazza che frequentava per finta”. Questo dicevano. Sono rimasta chiusa in quel bagno per mezz’ora a piangere, poi sono uscita e ho chiesto a James di andare a casa perché non mi sentivo bene. Quel giorno ho realizzato quanto fossi patetica agli occhi degli altri e forse anche ai miei. Eppure non sono riuscita a staccarmi da te nemmeno per un secondo-
 
Si fermò nuovamente, non riuscendo più a trattenere le lacrime. La vista le si era annebbiata al ricordo di quei giorni così difficili per lei. Giorni che nessuno avrebbe mai cancellato.
 
- Non avevo idea di tutto ciò, ti ho sempre vista andare d’accordo con Rachel e Tara- la fissò con un’evidente malinconia negli occhi.
- Ho finto di non averle mai sentite dire quelle cose, in fondo dovevo lavorarci insieme proprio come con te-
- Mi dispiace Jodie, per questo e per non aver cercato un confronto con te. Ho pensato che non ce ne fosse bisogno, che fosse ormai acqua passata e che andare a ripescare vecchi scheletri dall’armadio non avrebbe fatto bene a nessuno. Andavamo d’accordo e fra di noi non c’erano problemi, quindi mi sono detto che era meglio non riportare a galla vecchie ferite. Ho commesso un errore- ammise.
- Anche ne ho commesso uno continuando a tenermi dentro tutto e ripetendomi che in fondo andava bene così. Mi sono annullata, sono entrata così tanto nella parte che stavo recitando da dimenticarmi chi fossi e cosa desiderassi in realtà-
 
Seguirono minuti di silenzio in cui nessuno di loro parlò, era difficile riaprire un vaso di Pandora e guardare tutto ciò che ne usciva senza restarne in qualche modo colpiti. Non importava quanto facesse male, dovevano farlo e basta.
 
- Perché sei venuto a casa mia stasera? Perché mi hai portato quelle foto e mi hai detto quelle cose?- gli chiese.
- Perché le penso-
- Le pensi davvero Shu? Perché io invece credo che se Clay non fosse arrivato nella mia vita tu avresti continuato a fare solo l’amico e il collega e a rimpiangere quella ragazza che hai amato con tutto te stesso- le sfuggì un’altra lacrima - Ho paura che il tuo fosse solo un desiderio egoistico di tenermi legata a te per il gusto di sentirti il primo-
- Pensi davvero questo?-
 
In quel momento lesse delusione nei suoi occhi, la sua considerazione lo aveva evidentemente ferito.
 
- Io non so che cosa pensare Shu- scosse la testa - So soltanto che avevo trovato un ragazzo che mi avrebbe dato il mondo se glielo avessi chiesto, uno che mi avrebbe fatta sorridere ogni giorno. Eppure ti è bastato schioccare le dita per farmi tornare da te e sapevi che sarebbe finita così quando ti sei presentato a casa mia e mi hai chiesto di uscire. Hai programmato tutto nei minimi dettagli, ma ti sei chiesto come mi sarei sentita a dover rimettere tutto in discussione? Non mi hai dato nessuna spiegazione nemmeno adesso, come non me l’hai data anni fa. Cosa ti ha fatto cambiare idea, cosa è scattato in te da far nascere il desiderio di chiedermi di uscire e di ricominciare?-
- Non posso negare che Clay abbia giocato una parte importante in tutto questo, ma non l’ho fatto per i motivi che credi tu. Sai, inizialmente ero intenzionato a lasciarti andare se avessi visto che ti rendeva felice, non ti avrei mai privato della tua serenità , ma poi ho capito che non potevo lasciarti andare senza fare nemmeno un tentativo. Era da un po’ che volevo chiederti di uscire, ma aspettavo il momento opportuno. Almeno questo è quello che mi sono detto, ma forse la verità è che avevo timore di chiedertelo. Insomma, con che faccia vai dalla donna che hai lasciato sei anni prima per stare con un’altra e le dici che vorresti un’altra occasione? Se avessi saputo che farlo ti avrebbe fatta stare così non avrei mai aperto bocca, ti avrei lasciata stare con Clay-
- È proprio questo il punto Shu: tu non lotti per me. Se si trattasse di lavoro o di altro scaleresti una montagna per raggiungere il tuo obiettivo, ma quando si parla di me ti basta un ostacolo e subito ti tiri indietro. Tu non hai mai lottato per me mentre io l’ho sempre fatto per te. Anche quel giorno, quando ti ho detto che ero disposta a restare con te anche se frequentavi un’altra donna perché lo facevi solo per finta, stavo lottando per noi. Ma tu hai preferito chiudere per timore di tradirti senza nemmeno fare un tentativo. Se davvero non mi hai lasciata perché ti eri già innamorato di Akemi, un tentativo avresti potuto farlo. Tu mi hai sempre data per scontata, sapevi che ero lì per te e ci sarei stata qualunque cosa mi avessi fatto: per questo non hai mai mosso un dito verso di me. Quando ho saputo che saresti tornato dal Giappone perché la missione era fallita, mi sentivo scoppiare il cuore. Ho pensato per giorni a cosa avrei dovuto dirti, a come avrei dovuto comportarmi e ho sperato che potessimo ricominciare , ma la freddezza con cui mi hai tratta, la stessa con cui hai trattato tutti gli altri che per te non erano nulla se non semplici colleghi mi ha ferita. È stato lì che ho smesso di lottare e mi sono accontentata di ciò che potevo avere. Mi ha fatto male lasciarti andare Shuichi. Mi fa male ancora oggi…-
 
Si coprì la bocca con una mano nel tentativo di sopprimere quel pianto che ora scuoteva il suo corpo, mentre con l’altra mano strinse forte quegli occhiali che una volta erano appartenuti a suo padre, come se facendolo avesse potuto entrare in contatto con lui e ricevere il suo conforto. Si sorprese quando sentì le forti braccia di Shuichi avvolgersi intorno alle sue spalle e attirarla a lui in un silenzioso abbraccio che in quel momento valeva più di tutte le parole taciute per anni. Si ritrovò con la faccia premuta nell’incavo del suo collo, che odorava di quella colonia maschile che usava sempre e anche un po’ di tabacco. La sua mano destra saliva e scendeva lungo la sua schiena, accarezzandola nel tentativo di calmare il suo pianto, mentre sentì che poggiava il mento sulla sua testa. Incapace di sottrarsi a quella stretta, gli cinse la vita e ricambiò quell’abbraccio. Restarono così svariati minuti, fino a quando il suo pianto si calmò e lasciò spazio a un senso di pace. Le piacque pensare che quel gesto di Shuichi fosse stato davvero guidato da suo padre, venuto ad aiutarla.
 
 
…………………..
 
 
Non era così che si era immaginato quella serata, non aveva previsto di dover affrontare di nuovo argomenti che aveva sempre preferito chiudere in un cassetto e fingere che morissero lì, fra la polvere. Tuttavia era consapevole che prima o poi quel cassetto avrebbe dovuto riaprirlo, il passato e gli errori commessi dovevano uscire allo scoperto e lui avrebbe dovuto rimediare. Quello era l’ultimo “caso irrisolto” del suo passato rimasto e ora, forse, vi aveva messo la parola fine. Si sentiva colpevole di fronte a quella donna che piangeva fra le sue braccia, non aveva la minima idea di quello che aveva dovuto passare a causa sua. Sapeva di averla ferita, ma non fino a quel punto. Jodie aveva dovuto affrontare gli sguardi e le parole dette alle spalle dei loro colleghi e aveva dovuto farlo da sola, mentre lui frequentava un’altra donna che fingeva di non amare davvero per convincere se stesso. Aveva ragione, non aveva mai lottato abbastanza per lei, perché egoisticamente l’aveva sempre considerata un punto fisso: sapeva che lei era lì, che avrebbe sempre avuto qualcuno da cui tornare anche quando sentiva la solitudine divorarlo. Le aveva detto che non era il tipo da amare due donne contemporaneamente, ma si era reso conto di quanto fosse stato affrettato e contraddittorio nel dirla, perché alla fine le aveva amate entrambe. I suoi sentimenti per Jodie si erano assopiti ma non si erano mai cancellati del tutto. Anche per lui era stato difficile rinunciare a lei, ma aveva preferito darle l’impressione che non fosse così, perché se avesse mostrato segni di cedimento non sarebbe riuscito a sacrificarla per il suo scopo.
La strinse a sé per tutto il tempo necessario, inebriandosi del suo profumo: si era sempre lamentato che ne metteva troppo, ma in realtà gli piaceva farsi solleticare le narici da quella fragranza floreale. Non l’avrebbe mai più sacrificata, per nessuna ragione al mondo.
La liberò da quell’abbraccio solo quando la sentì sollevare la testa e tirarsi indietro. Il trucco le era colato sotto gli occhi e lungo le guance e aveva macchiato anche la maglietta bianca che stava indossando.
 
- Scusa Shu, ti ho sporcato la maglietta- gli disse, passando un dito sulla macchia nera di mascara - Se me la porti domani al lavoro te la lavo e poi te la restituisco-
- Tranquilla, avevo altri panni da lavare quindi la aggiungerò al mucchio- le sorrise - Piuttosto, meglio se ti sistemi la faccia-
 
La vide estrarre velocemente dalla borsetta uno specchietto e guardare la sua immagine riflessa, facendo una smorfia e scuotendo la testa.
 
- Che aspetto meraviglioso hai stasera Jodie- ironizzò, prendendo dalla borsa una piccola confezione di salviette umidificate ed estraendone una, passandosela sul volto per cancellare le tracce di nero.
- Ti inviterei a fare una passeggiata nel parco ma mi sa che si è fatto tardi-
- Già, meglio rimandare- rimise lo specchietto in borsa e cercò con lo sguardo un cestino dove gettare la salvietta usata.
 
Quando lo individuò si alzò dalla panchina e lo raggiunse, non prima di aver indossato nuovamente i suoi occhiali. La seguì anche lui, intenzionato a restare con lei ancora un po’.
 
- Vuoi che ti accompagni a casa?-
- No, sono venuta con la mia auto-
- Allora ti posso invitare a bere un bicchierino lungo la strada verso casa tua? Ci fermiamo nel bar più vicino-
- Stasera non mi va di toccare alcol, altrimenti potrei finire con il berne troppo- sorrise - Non ho bevuto nulla nemmeno al locale, penso che andrò a casa e mi farò una camomilla o una tisana, poi andrò a dormire-
- Vorrà dire che riserverò l’invito per un’altra sera, sempre che tu voglia-
 
Doveva ammettere che in tutte quelle parole e quelle lacrime non gli era ancora ben chiaro cosa avesse deciso di fare, se dargli una seconda occasione o se chiudere definitivamente con lui come aveva fatto con Clay. Meglio stare sola che con un uomo che non ami, ma anche meglio stare sola piuttosto che con un uomo che ti ha spezzato il cuore mille volte.
Le aveva fatto una domanda fra le righe, ma invece che rispondere Jodie aveva continuato a camminare di fianco a lui verso il parcheggio, tenendo lo sguardo basso. Era visibilmente pensierosa e non di ottimo umore, di certo quella non era stata la migliore serata della sua vita.
 
- Allora? Accetti di uscire con me?- le chiese nuovamente, desideroso di avere una risposta.
- Ascolta Shu- alzò lo sguardo e lo fissò - In questo momento sono confusa e non so cosa sia meglio fare. Non so se ascoltare il cuore che mi dice di accettare il tuo invito senza fare troppe storie o se dar ragione alla mia testa che dice che sei stato un vero idiota e non te la meriti una seconda occasione. Inoltre ho appena spezzato il cuore di un ragazzo eccezionale che probabilmente non mi rivolgerà mai più la parola in vita sua, quindi mi sento un vero schifo- sospirò.
- Benvenuta nel club- rispose, alludendo al momento in cui era toccato a lui lasciarla e spezzarle il cuore.
- Già, ora riesco a capire meglio come ti devi essere sentito. Non è mai facile lasciare qualcuno a cui tieni, anche se lo fai a fin di bene. Per molto tempo ho creduto che non ti fosse importato nulla ma ora capisco che non è stato così-
 
George Bernard Shaw aveva scritto “Esistono due tipi di tragedie nella vita: una è perdere ciò che più si desidera, l’altra è ottenerlo”: realizzare un desiderio aveva sempre un costo e Jodie quella sera aveva pagato il suo. Lei, che per anni aveva vissuto con il cuore spezzato, aveva dovuto spezzare a sua volta quello di qualcun altro per avere in cambio ciò che desiderava. Eppure, ora che lo aveva davanti a sé si rendeva conto di cosa le fosse costato e si chiedeva se fosse giusto.
 
- Mi hai aspettato per sei anni, credo di poter aspettare io adesso. Pensaci e poi quando avrai una risposta me la farai sapere- le sorrise.
 
Era giusto lasciarle il suo spazio per pensare, in fondo era ciò che lei stessa aveva fatto con lui.
La vide ricambiare il sorriso con le guance leggermente arrossate. Poteva leggerglielo negli occhi quanto desiderasse accettare quell’invito, ma non voleva forzarla a prendere quella decisione.
Ormai avevano raggiunto il parcheggio e la sua macchina si trovava poco distante, poteva vederla risplendere del suo rosso acceso in mezzo alle poche altre rimaste.
 
- Tu dove hai parcheggiato?- le chiese.
- Là, vicino a quella Mercedes bianca- indicò un punto circa tre file più distante della sua.
- Ti accompagno all’auto- si offrì.
- Dai Shu, non ce n’è bisogno. Non credo di correre rischi, ormai ci siamo rimasti solo noi e pochi altri- sorrise portandosi i capelli dietro all’orecchio, gesto che faceva quando era imbarazzata.
- D’accordo, ma almeno prima di andare toglimi un’ultima curiosità-
- Quale?- chiese curiosa.
- Hai detto che a portarti qui da me stasera sono state le parole della canzone che hai ascoltato al concerto. Me la faresti ascoltare?-
 
La vide fare un’espressione basita, sporgendo di poco il volto in avanti e fissandolo come se volesse la conferma che fosse serio. In effetti doveva essere l’ultima domanda che si aspettava, considerando che lui di musica non si era mai interessato più di tanto.
Aprì lo sportello della macchina e si sedette sul lato del guidatore ma lasciando una gamba fuori, sporgendosi con il busto verso il lato passeggeri e aprendo il vano portaoggetti, estraendone un paio di auricolari. Richiuse la macchina e si avvicinò a lei porgendoglieli: era il suo modo di dirle non stava scherzando.
Jodie scosse di poco la testa, come se volesse svegliarsi da quello stato di tranche, poi estrasse il cellulare dalla borsa e vi collegò gli auricolari, indossandone uno e porgendo l’altro a lui. Cercò la canzone online e una volta individuata fece partire la riproduzione. Ascoltò il testo con attenzione e non ebbe alcun bisogno di chiederle delle spiegazioni a riguardo: era più che chiaro il motivo per cui quelle parole le avevano fatto pensare a lui, a loro. La osservò mentre ascoltava quella canzone ad occhi chiusi molto vicina a lui dal momento che stavano condividendo lo stesso paio di auricolari. Le cinse le spalle con entrambe le braccia e l’attirò a sé, stringendola delicatamente. Dapprima la sentì sussultare, colta alla sprovvista, poi si rilassò e posò le mani e la testa sul suo petto. Per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, riscoprì il piacere di sentirci in pace e forse anche felice, malgrado nella vita non avesse provato spesso quel sentimento chiamato felicità e non fosse certo di che sapore avesse realmente. Sapeva solo che Jodie lo faceva stare bene e avrebbe voluto continuare a stringerla anche quando la canzone giunse al termine.
Lei si riprese da quello stato di rilassamento e si tolse l’auricolare, guardandolo negli occhi. Poteva leggere nei suoi dei sentimenti contrastanti: desiderio, paura, dolore, felicità, dubbio, amore. Aveva bisogno di certezze, di sapere che poteva fidarsi a dargli una seconda occasione.
Avvicinò la bocca al suo orecchio e gli sussurrò quello che probabilmente voleva sentirsi dire.
 
- Non voglio essere solo un amico per te. Voglio essere il tuo punto di riferimento, la persona di cui fidarti di più e che sarà sempre lì per te in ogni momento. Non voglio più ferirti Jodie, è una promessa-
 
Non appena terminò quella frase, Jodie gli si gettò al collo e lo strinse forte, infilando le dita in mezzo ai suoi capelli dietro la nuca.
 
- Shu…- riuscì solo a dire, in preda all’emozione e alle lacrime, ma che stavolta scendevano per un buon motivo.
 
La strinse a sua volta, inspirando il dolce profumo che emanavano i suoi capelli. Restarono così per un po’, fino a quando le voci di altre persone che erano arrivate al parcheggio a recuperare le proprie macchine non interruppero quel momento intimo. Si separarono a malincuore, guardandosi ancora una volta negli occhi. Jodie gli regalò un bellissimo sorriso.
 
- Meglio andare, è tardi- le disse.
- Già, domani dormiremo sulla scrivania- strinse le spalle.
- Grazie di essere venuta qui stasera-
- Grazie di avermi invitato. La pioggia di comete è stata bellissima- sorrise.
- Buonanotte Jodie-
- Buonanotte Shu-
 
Si salutarono così, senza bisogno di altre parole. Ormai ne avevano dette fin troppe, avevano messo un punto a tutto ciò che era rimasto in sospeso fra loro e avevano voltato pagina.
La osservò mentre raggiungeva la sua auto e vi entrava: alla fine non aveva risposto alla sua domanda e si era voluta prendere del tempo, ma quell’ultimo abbraccio gli diede la sicurezza che molto presto avrebbe accettato il suo invito a uscire. Attendeva solo quello e poi avrebbe potuto chiamare Shiho e dirle che il suo piano aveva funzionato.
Anche se non era un tipo superstizioso o uno che credeva troppo nelle dicerie di quel tipo, forse quella pioggia di comete gli aveva davvero portato fortuna, esaudendo il suo desiderio. Sentiva che quella notte avrebbe finalmente dormito sonni tranquilli dopo tanto tempo.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Finalmente abbiamo avuto il confronto finale tra Jodie e Shuichi, l’ultimo tassello che mancava per chiudere con il passato. Cosa succederà ora? Jodie accetterà l’invito a uscire di Shuichi?
Fatemi sapere come sempre cosa ne pensate! ;)
Baci

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Capitolo 31
*** Capitolo 31: Cena romantica ***


Capitolo 31: Cena romantica
 
 
 
Quando si svegliò il mattino dopo trovò accanto a lei sul lenzuolo il portafoto che le aveva regalato Shuichi.
La notte prima, dopo essere tornata a casa, si era preparata per andare a letto e appena entrata in camera l’occhio le era immediatamente caduto sul portafoto che aveva lasciato sul comodino prima di andare al club da Clay. Si era coricata a letto riguardando quelle foto e alla fine si era addormentata stringendolo a sé. Anche se le paure e i dubbi non erano svaniti nel nulla, era comunque felice di aver fatto finalmente un passo avanti con Shuichi.
Come ogni mattina, quando giunse in ufficio lo trovò già seduto alla sua scrivania. Quando i loro sguardi si incrociarono, entrambi sorrisero.
 
- Hai dormito bene?- le chiese, non appena si fu seduta alla scrivania.
- Sì, anche se non avrei disdegnato qualche ora di sonno in più-
 
Shuichi si alzò dalla sedia e si avvicinò maggiormente alla sua scrivania, ci si sedette sopra tirando su una gamba e lasciando l’altra ben salda a terra, poi le allungò dei fogli dicendo che erano altre informazioni importanti che aveva trovato sul caso che stavano seguendo. Lei si mise a leggerli, anche se la sua presenza a così pochi centimetri la metteva in imbarazzo dopo gli abbracci che si erano dati la sera prima. Non fece in tempo a terminare neppure le prima dieci righe, poiché lui le prese delicatamente la mano per farle capire che non voleva che li leggesse in quel momento. Si girò verso di lui con le guance rosse e lo guardò negli occhi: in tutta risposta Shuichi continuò a fissarla e a tenerle la mano. Non c’era nessuno nei paraggi, ecco perché si stava sbilanciando così tanto nonostante si trovassero sul posto di lavoro.
 
- Shu…- riuscì solo a dire.
- Ci hai pensato?-
- A cosa?-
- Al mio invito ad uscire-
 
Non ci aveva pensato a dire il vero, aveva solo dormito e basta. Tuttavia non aveva alcun bisogno di sprecare notti insonni a porsi la domanda: anche se una parte di lei avrebbe voluto dirgli di andarsene al diavolo, il suo cuore le diceva che doveva assolutamente accettare quell’invito che aveva desiderato per sei anni.
 
-È da un po’ che ho voglia di un gelato, stasera dopo cena volevo andare a prenderne uno. So che non sei amante del gelato ma se vuoi possiamo andarci insieme- distolse lo sguardo imbarazzata.
 
Lui ci pensò su per un po’, come se stesse rimuginando o pianificando qualcosa, poi le rispose.
 
- Ti spiace se ci andiamo nel week end? Vorrei portarti in una gelateria in particolare e dopo fare un’altra cosa, ma siccome potremmo fare tardi non voglio farlo nei giorni in cui dobbiamo lavorare il mattino dopo. Però se vuoi stasera possiamo fare altro-
- Per il gelato nel week end va bene ma stasera non mi va di fare tardi di nuovo, ho bisogno di dormire- si lamentò.
- Possiamo andare a cena e poi ti riaccompagno subito a casa- propose.
- E se cenassimo direttamente a casa?-
- Per me va bene. Da me o da te?-
- Possiamo fare da me ma non ho molto in casa, quindi ordiamo qualcosa da asporto-
- No, non serve. Faccio un po’ di spesa lungo la strada verso casa tua e cucino qualcosa-
- Ci hai preso gusto vedo-
- Si risparmia e almeno sai cosa mangi-
- Non lo so se mi posso fidare- ironizzò.
- Tranquilla, se volessi ucciderti ti inviterei di notte in un parco nel Queens a vedere uno sciame meteorico. Avvelenare il cibo è troppo banale- stette al gioco, alzandosi dalla scrivania e tornando a sedersi alla sua.
- Allora cosa mi prepari di buono?- chiese entusiasta.
- Deciderò più tardi-
- Cena a sorpresa- batté le mani - Speriamo bene-
 
La loro conversazione fu interrotta da Camel che entrò in ufficio e li salutò. Si misero subito al lavoro e sia lei che Shuichi cercarono di comportarsi come sempre, per non insospettire il collega. Per il momento era meglio lasciare la cosa fuori dall’ambiente di lavoro, visti i precedenti.
Lei e Camel lessero le nuove informazioni sul caso, che si stava facendo interessante: il tutto era cominciato da un omicidio verificatosi un mese prima, la vittima era un uomo facoltoso dell’Upper East Side. Sul luogo del delitto era stato trovato disegnato un simbolo misterioso che poteva però essere la chiave di tutto: un caduceo attorno a cui si avvolgevano, al posto dei consueti serpenti, due teste di cerbero dal collo allungato. La terza testa si trovava in cima al bastone, tra le due ali. Avevano cercato di interpretarne il significato, ma senza altri indizi poteva voler dire tutto e niente al tempo stesso. Negli ultimi documenti che avevano appena letto, correlati da foto, era però emerso un uomo sul cui avambraccio era tatuato lo stesso simbolo. Il suo nome era Viktor Krayevsky ed era stato identificato come membro di un clan mafioso russo.
 
- Brutta storia- disse Camel dopo aver finito di leggere.
- Già, ci mancava solo la mafia russa- sospirò lei.
- Forse dovremmo coinvolgere Yuriy, lui è di origini russe e i suoi parenti vivono ancora là- suggerì Camel.
- Mi sembra una buona idea, tu che ne pensi Shu?-
- Io proverei a chiedere prima a Tara- disse impassibile.
- Tara?- chiese perplessa.
- Beh, anche lei ha origini russe ma credo che di russo le sia rimasto solo il cognome. A differenza di Yuriy non ha più contatti con la sua terra di origine, ormai la sua famiglia è naturalizzata americana da diverse generazioni- spiegò Camel.
- Vedo che sei piuttosto informato André…- gli rivolse uno sguardo infastidito, non certo perché fosse gelosa quanto perché Tara non era propriamente una delle sue migliori amiche.
- In realtà queste cose me la ha dette le stesso Yuriy- si grattò la nuca imbarazzato il collega.
- In ogni caso, se Tara non ha contatti con la Russia è inutile chiedere a lei-
- Io farei comunque un tentativo- insistette Shuichi.
 
Sembrava stranamente sicuro nonostante quello che Camel aveva appena detto, aveva stampato in faccia quel sorrisetto che faceva ogni volta che stava tramando qualcosa o che sapeva già con certezza che le sue deduzioni si sarebbero rivelate esatte. Non riusciva tuttavia a capirne il motivo, dal momento che Tara sembrava essere l’ultima persona in grado di poterli aiutare a trovare informazioni sul caso.
 
- Vado a chiamarla allora- disse Camel, lasciando l’ufficio.
 
Una volta rimasti soli, ne approfittò per chiarire il suo dubbio.
 
- Perché vuoi chiedere a lei? Stando a quanto dice Yuriy non ci può essere di aiuto-
- Magari non ha detto proprio tutto a Yuriy, non mi piace troppo fidarmi delle parole di terzi, preferisco verificare di persona-
 
La sua risposta non la convinse, sentiva che c’era dell’altro sotto ma sapeva bene che era inutile insistere: se non voleva parlarne non lo avrebbe fatto nemmeno sotto minaccia.
Camel ritornò poco dopo con Tara, che salutò tutti entrando. Il suo aspetto ricordava effettivamente quello di una donna di origini russe: capelli rossi, occhi verdi, piccole lentiggini su naso e guance che cercava di coprire con un leggero strato di fondotinta e statura alta.
 
- Camel mi ha detto che mi avete chiamata per farmi domande sul caso che state seguendo. Purtroppo però non credo di potervi essere di molto aiuto, ormai tutta la mia famiglia si è americanizzata e non so più nulla di come sia la vita in Russia- ammise.
- Sei davvero sicura di non poterci aiutare?- le chiese Shuichi, che sembrava non essere convinto delle sue parole.
 
Si avvicinò a lei e gli allungò la fotografia di Viktor, fissandola per tutto il tempo. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, sembrava quasi volerla interrogare come se lei stessa fosse Viktor o avesse qualcosa a che fare con lui. Volveva chiaramente metterla con le spalle al muro, ma non riusciva a capire il perché. Come poteva Tara essere coinvolta in quel caso di mafia russa? Era un’agente dell’FBI…a meno che non si fosse infiltrata come Shuichi aveva fatto con l’Organizzazione in Giappone. Il pensiero di rivivere la stessa storia la rese irrequieta.
 
- Chi sarebbe?- chiese Tara guardando la foto.
- L’assassino del nostro ricco imprenditore, ma non è questo il punto. Guarda il tatuaggio che ha sull’avambraccio- le allungò un’altra foto con il disegno ingrandito - Ti dice niente?-
- É bello ma è anche parecchio macabro-
- Solo questo?-
- Non saprei. Cosa dovrebbe ricordarmi?-
- Beh, è un disegno molto particolare, la combinazione di due simboli in realtà: un cerbero e un caduceo, due cose che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Perché farsele tatuare insieme? C’è forse qualche particolare credenza russa dietro a questa improbabile unione? Qualche messaggio in codice?-
- Non lo so- scosse la testa - So che esiste la mafia russa e che spesso chi vi appartiene ha parecchi tatuaggi. So che i membri di uno stesso clan si fanno tatuare il simbolo stesso del loro clan di appartenenza, quindi immagino che sia lo stesso per questo tizio, però è difficile interpretarne i significati. Potrebbero voler dire qualunque cosa, bisognerebbe prima capire qualcosa di più sul clan-
- Tutto qui?- insistette Shuichi, non soddisfatto.
- Mi spiace, te l’ho detto che non posso esservi di aiuto- gli restituì le foto.
- Un vero peccato, perché considerando quanto ti piace fare pettegolezzi in bagno sulle questioni personali dei tuoi colleghi, speravo che fossi altrettanto informata anche sulle questioni del tuo paese di origine, soprattutto se possono essere importanti per il tuo lavoro. Pazienza, chiederemo a qualcun altro- si rivolse a Camel, come se nulla fosse - Va’ a chiamare Yuriy, avevi ragione tu sul fatto che potesse esserci più utile-
 
Diede le spalle a Tara e ritornò alla sua scrivania vicino a lei, che per tutto il tempo lo aveva fissato a bocca aperta come un’ebete, esterrefatta da quella frecciata velenosa. Solo in quel momento realizzò che Shuichi aveva organizzato tutto quel teatrino non per avere informazioni sul caso, sapeva perfettamente che non le avrebbe ottenute e che Camel aveva ragione sin dall’inizio, ma per farla pagare a Tara dopo quello che gli aveva raccontato la notte prima. Ora le era finalmente chiaro il perché avesse insistito così tanto nel fare il suo nome.
Tara in un primo momento rimase lì, in piedi, umiliata, imbarazzata e nervosa, poi quando si fu ripresa uscì in tutta fretta dal loro ufficio senza dire nulla. Guardò istintivamente Camel, che invece che andare a chiamare Yuriy era rimasto come lei a fissare la scena senza credere ai suoi occhi. Il collega rivolse poi lo sguardo a Shuichi, che si era seduto e stava guardando le foto come se nulla fosse accaduto, con aria soddisfatta: aveva raggiunto il suo scopo.
Si accorse che lo stavano fissando e fece scorrere lo sguardo su entrambi, prima lei e poi Camel.
 
- Non stavo scherzando, vai a chiamare Yuriy- ripeté al collega, ma senza cattiveria nel tono.
- S-sì, subito!- rispose lui ancora incredulo, affrettandosi ad uscire.
 
Rimasti di nuovo soli, si girò verso di lui e lo guardò in cerca di una risposta.
 
- Che c’è?- chiese lui, come se non avesse fatto nulla.
- Dimmelo tu cosa ti prende! Hai praticamente scavato una fossa, hai convinto Tara ad entrarci e poi hai iniziato a seppellirla viva!- riassunse l’accaduto con una metafora.
- E la cosa ti preoccupa?- ghignò, soddisfatto delle proprie azioni.
- Beh, francamente sì. Vorrei evitare altri pettegolezzi o attirare le antipatie dei colleghi, senza contare che se andrà a lamentarsi dai superiori per il modo in cui l’hai tratta sta sicuro che ti faranno una bella lavata di capo! James s’infurierà!-
- James lo sa che Tara spettegola nei bagni insieme alla sua amica Rachel invece che fare il suo lavoro? Qui non siamo al mercato, il nostro lavoro consiste nel proteggere le vite dei cittadini americani- la guardò serio.
- Shu non mentire, non lo hai fatto né per patriottismo né per senso del dovere o amore per il tuo lavoro. La tua è stata solo una piccola “vendetta” personale: volevi fargliela pagare per quello che hanno detto su di me sei anni fa. Lo so che ieri sera ti sei sentito responsabile dell’accaduto, ma non volevo che prendessi a cuore la cosa a tal punto. Sul serio Shu, è acqua passata ormai. Scusati con Tara e non parliamone più, ok?- posò una mano sulla sua gamba.
- Mi spiace ma non mi scuserò per aver detto la verità. E anche tu non dovresti stare ferma e subire un’ingiustizia senza lottare. Sai essere molto più forte di una che piange chiusa in un bagno per le male parole di due pettegole- posò la mano sulla sua e la fissò dritto negli occhi.
 
Quelle parole e quel gesto la fecero arrossire, avrebbe voluto avvicinarsi di più a lui ma sapeva che sul posto di lavoro non potevano mostrare apertamente atteggiamenti intimi.
Appena Camel rientrò insieme a Yuriy, le loro mani si separano a malincuore. Salutarono il collega russo e Shuichi gli mostrò subito le foto, senza i giri di parole che aveva usato con Tara. Dall’espressione di Yuriy intuirono che non si trattava di nulla di buono.
 
- Ne sai qualcosa?- gli chiese Shuichi, notando la preoccupazione sul suo volto.
- Sì e non è qualcosa di buono-
- Quanto poco buono è?-
- Tanto. Stiamo parlando di un clan russo parecchio temuto nonostante non sia uno dei più famigerati. Si stanno facendo un nome e molto in fretta, ma non godono certo di un’ottima reputazione-
- Cosa significa il tatuaggio?-
- I tatuaggi dei clan russi sono sempre molto emblematici, hanno significati profondi ma difficili da decifrare, anche se una cosa in comune ce l’hanno tutti: non esprimono mai qualcosa di positivo. Nel caso di questo, mi vengono in mente due cose: cerbero era un cane infernale della mitologia e si diceva avesse appunto tre teste, mentre il caduceo è il simbolo di Mercurio, che nella mitologia romana era il messaggero degli dei. Se unisci le due cose insieme, potrebbero essere interpretate come un messaggio di morte-
- Interessante, credo che tu abbia ragione. Si dice che se una persona guarda un cane infernale negli occhi per tre volte, allora morirà. Forse anche il numero tre, legato alle teste di cerbero, potrebbe avere un significato-
- Non possiamo escluderlo-
- Te la senti di darci una mano con questo caso?-
- Certo, è il mio lavoro in fondo-
- Allora benvenuto a bordo-
 
Si strinsero le mani per sancire quella collaborazione: fu così che Yuriy entrò ufficialmente a far parte della loro piccola squadra per quel caso. Da quel momento avrebbero avuto una persona in più in ufficio oltre a Camel a cui nascondere eventuali atteggiamenti intimi.
 
 
 
Più tardi a casa si fece una doccia e cercò qualcosa di semplice ma carino da mettersi. Dovevano cenare in casa, quindi non doveva certo indossare il suo vestito migliore, ma voleva comunque essere presentabile. Alla fine scelse una camicetta con le maniche corte e a sbuffo e una minigonna aderente sui fianchi. Si mise anche qualche goccia di profumo sul collo e sui polsi.
Apparecchiò il tavolo con i piatti e i bicchieri che riservava solitamente per le grandi occasioni e accese un paio di candele profumate nella sala dove avrebbero cenato, rendendo l’atmosfera più intima e sensuale. Subito dopo averlo fatto si chiese se non fosse troppo e le spense tutte, ma alla fine l’ambiente le sembrava troppo formale e così le riaccese nuovamente, nella speranza che non dessero l’impressione sbagliata. Era molto nervosa anche se si trattava solo di una cena, non voleva certo buttarsi fra sue braccia come se nulla fosse. Se voleva davvero stare di nuovo con lei allora se lo doveva guadagnare: doveva resistere alla voglia di stringerlo a sé tutto il tempo e di baciarlo. Arrossì ai suoi stessi pensieri.
Mentre controllava nuovamente che tutto fosse a posto suonò il citofono: Shuichi era arrivato. Corse ad aprire e attese che salisse e bussasse alla porta, mentre si sistemava i capelli e si aggiustava la gonna sui fianchi. Al primo colpo aprì subito.
 
- Ciao Shu- lo accolse con un sorriso.
 
Notò che reggeva in mano un paio di buste della spesa abbastanza piene, forse aveva comprato anche più del dovuto. Lui la osservò da capo a piedi, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo.
 
- Ma dobbiamo uscire?- le chiese infine.
- No, avevamo detto di stare in casa. Perché?-
- Sei vestita piuttosto bene per una che ha intenzione di passare la serata chiusa in casa-
 
Ecco, primo errore della serata. Eppure non le sembrava di aver esagerato, senza contare che invece che uscirsene con quel commento poteva anche dirle che era carina e che le stavano bene quei vestiti.
 
- Ho messo la prima cosa che ho trovato nell’armadio, è un problema?- rispose stizzita.
- No, anzi, è un bel modo di essere accolti-
 
Pronunciò quelle parole mentre faceva cadere l’occhio prima sulla scollatura della camicetta, da cui si intravedevano le curve dei suoi seni prosperosi e poi sulle sue gambe, che non avevano nulla da invidiare a nessuno. Ciò la mise in imbarazzo ma al tempo stesso le fece anche piacere: il fatto che Shuichi la guardasse così la faceva sentire desiderata.
 
- Vieni, entra- lo invitò appena si riprese dal momento di impaccio.
 
Mentre si dirigevano in cucina passarono per la sala da pranzo, dove lui si soffermò a guardare la tavola che aveva apparecchiato con cura e l’ambiente intimo che aveva ricreato con le candele. Lei si morse il labbro inferiore, chiedendosi a cosa stesse pensando. Alla fine non riuscì a trattenersi, dato il livello di nervosismo che aveva raggiunto.
 
- Se le candele ti danno fastidio posso spegnerle-
- Tranquilla, mi piacciono a dire il vero- sorrise e riprese a camminare verso la cucina.
 
Tirò un sospiro di sollievo e si ripeté fra sé e sé che doveva calmarsi. Lo seguì in cucina e lo guardò mentre appoggiava sul ripiano della cucina la busta della spesa e iniziava ad estrarne il contenuto: patate, carne di manzo all’apparenza di buona qualità, cipolle, carote, fagiolini verdi e un barattolo di salsa di soia. C’erano anche due bottiglie, una di vino rosso e una di Scotch.
 
- Il vino è per la cena, lo Scotch per il dopo cena- precisò.
- Vieni ad ubriacarti a casa mia?- ironizzò.
- In realtà l’idea era di far ubriacare te- stette al gioco.
 
Lo osservò mentre si guardava intorno, probabilmente cercando gli attrezzi per iniziare a cucinare. Si avvicinò a lui e gli fece vedere dove si trovavano le padelle e il resto degli utensili. Era passato parecchio tempo da quando era stato l’ultima volta da lei per una cenetta intima, era molto probabile che non ricordasse la posizione dei vari oggetti, senza contare che il più delle volte andavano fuori a cena.
 
- Cosa prepari di buono?-
- Nikujaga-
- E che cos’è?-
- Uno stufato di manzo con patate, saporito con altre verdure e salsa di soia-
- Posso aiutarti? Mi sento in colpa ad invitarti a cena e poi farti cucinare-
- Veramente mi sono offerto io di cucinare, quindi non c’è problema-
- Sì ma io non riesco a stare ferma a guardare, fammi fare qualcosa-
- D’accordo, se insisti- sorrise - Sbuccia le patate e taglia ciascuna in sei pezzi, poi immergile per dieci minuti in una ciotola con dell’acqua per fargli perdere l’amido-
- Come siamo professionali- lo prese in giro, eseguendo però i suoi ordini alla lettera.
 
Mentre sbucciava e tagliava, Shuichi si mise al suo fianco a tagliare la carne a pezzetti. Era felice di quel momento così semplice speso con lui, le dava l’impressione che fossero una di quelle coppie sposate dei film che dopo il lavoro cucinavano insieme. Le sembrava rilassato e contento, notò anche che cercava di starle vicino quando più possibile.
Quando arrivò il momento di tagliare la cipolla, provò a farla tagliare a lei che però si rifiutò prontamente. Estrasse da un mobile uno di quegli affettatutto con le griglie intercambiabili e glielo porse, così nessuno dei due avrebbe dovuto piangere a causa dell’odore pungente sprigionato ad ogni taglio.
Una volta preparato il tutto lo misero a bollire in una pentola a fuoco lento, aggiungendo la salsa di soia. Il profumo che si sprigionò nella cucina era davvero invitante.
 
- Sembra che stia venendo bene- gli sorrise felice, sbirciando dentro la pentola.
- Avevi dubbi?-
- Scusa Shu ma trovo ancora incredibile che tu abbia imparato ad essere una casalinga perfetta- alzò un sopracciglio.
 
Lui sorrise e prese un cucchiaio, lo immerse nella pentola ed estrasse un po’ del contenuto, ci soffiò sopra per farlo raffreddare e poi, tenendo una mano appena sotto il cucchiaio, lo allungò verso di lei.
 
- Assaggia-
 
Colta di sorpresa e timorosa si avvicinò lentamente e altrettanto lentamente aprì la bocca, imbarazzata dagli occhi penetranti di lui che la fissavano. Il sapore di quello stufato le fece sgranare gli occhi.
 
- Ma è ottimo!- esclamò.
- Sicura? Non è troppo salato? Verdure poco cotte?-
- Il sale è a posto e le verdure possono cuocere per altri cinque minuti poi è pronto-
 
Mentre lui continuava a mescolare lo stufato, lei aprì la bottiglia di vino e poi andò in sala pranzo e lo versò nei loro rispettivi bicchieri.
Quando finalmente lo stufato fu pronto, Shuichi la raggiunse e lo servì in tavola mettendolo nei piatti a raffreddarsi un po’.  Si sedettero l’uno di fronte all’altro e iniziarono a cenare, chiacchierando tranquillamente.
 
- Se ti fa piacere possiamo tornare al Forest Park- se ne uscì all’improvviso, cogliendola di sorpresa - Ieri sera siamo stati solo alla tribuna dei concerti, ma prima che arrivassi mi sono fatto un giro per tutto il parco e non è male. Ti andrebbe di vederlo?-
 
Arrossì sorridendo: doveva ancora riabituarsi a quegli inviti ad uscire che suonavano di appuntamenti non proprio di natura amichevole fra due colleghi. Non riusciva ancora a credere di essere lì a fare una cenetta a lume di candela con lui che le faceva la corte (a modo suo). Lo aveva desiderato per anni e ora il suo desiderio si era avverato. Si chiese se quella fosse davvero la realtà o se non stesse semplicemente facendo un lungo sogno che sarebbe stato seguito da un brusco risveglio. Aveva paura, ma anche tanta voglia di viversi quei momenti con l’uomo che amava con tutta se stessa.
 
- Mi piacerebbe- annuì.
- Ci andiamo domenica? Credo sia meglio vederlo di giorno piuttosto che di sera-
- Sono d’accordo, domenica è perfetto-
 
Terminarono la cena tra sguardi intensi, sorrisi, il suo imbarazzo e alcune chiacchiere. Si chiedeva cosa avrebbero fatto ora, se avrebbero guardato un film abbracciati sul divano o se avrebbero solo continuato a chiacchierare mantenendo le distanze. Sapeva bene cosa voleva, ma non le era del tutto chiaro cosa volesse Shuichi. Si era fatto avanti, ma forse non voleva affrettare troppo le cose e anche lei a pensarci bene non doveva concedersi con facilità: era giusto che Shuichi si meritasse quello che aveva da offrirgli.
 
- Grazie per la cena, era davvero ottimo- si alzò dal tavolo e iniziò a radunare i piatti.
- Sono contento che ti sia piaciuto- si alzò anche lui per darle una mano.
- No, lascia, faccio io. Tu hai cucinato, sparecchiare e fare la lavastoviglie mi sembra il minimo-
- Allora ti spiace se esco in balcone a fumare?-
- No, ma non ti fa bene- lo rimproverò.
 
Si diresse in cucina con piatti e bicchieri e portò lì anche il vino rimasto. Mise tutto ciò che avevano sporcato nella lavastoviglie e la azionò. Sul ripiano della cucina era rimasta quella bottiglia di Scotch che Shuichi aveva portato per il dopo cena. La prese e se la rigirò fra le mani, chiedendosi se era davvero il caso di bere: quando alzava un po’ il gomito perdeva la lucidità e la vicinanza di Shuichi le faceva perdere lucidità più dell’alcol. Non voleva venire meno al buon proposito di non concedersi troppo, ma se avesse rifiutato forse Shuichi ci sarebbe rimasto male, in fondo quella bottiglia l’aveva portata lui appositamente per la serata. Alla fine si arrese, sospirò e si mise alla ricerca dei bicchieri da liquore nella credenza. Una volta trovati li riempì con dei cubetti di ghiaccio che teneva sempre nel freezer, stappò la bottiglia e li riempì con quel liquido ambrato, per poi portarli sul tavolino basso che stava davanti al divano nel salotto. Gettò un’occhiata alla portafinestra del balcone e vide che Shuichi era ancora fuori a fumare, quindi tornò in cucina a recuperare la bottiglia e portò anche quella sul tavolino. Infine si sedette sul divano e attese, cercando di scacciare il nervosismo che aumentava minuto dopo minuto.
Shuichi rientrò poco dopo, sedendosi sul divano accanto a lei. Si era seduto parecchio vicino, cosa che solitamente non faceva e aveva allungato un braccio stendendolo lungo il bordo del divano, ma più che un gesto di rilassamento sembrava un modo per abbracciarla e averla più vicina a sé. Si accorse che la stava fissando e incapace di sostenere quello sguardo che la mandava in confusione si affrettò a prendere un bicchiere dal tavolino e glielo porse. Nel prenderlo, Shuichi le sfiorò la mano con i polpastrelli. Non sapeva se lo avesse fatto di proposito o se fosse stato accidentale, ma quel gesto le aveva provocato brividi lungo tutta la schiena. Si sentiva stupida, come una liceale al suo primo appuntamento. Stava per compiere ventinove anni e non riusciva a controllarsi davanti a un uomo. Afferrò il suo bicchiere e bevve un sorso, nella speranza che l’alcol l’aiutasse a rilassarsi un po’. Con la coda dell’occhio si accorse che Shuichi sorseggiava il suo Scotch senza toglierle gli occhi di dosso e questo la spinse a bere un altro sorso: forse nemmeno scolarsi da sola l’intera bottiglia sarebbe bastato per cancellare quell’uragano di emozioni che sentiva nel petto. Imbarazzo, amore, felicità, paura e desiderio.
 
- Come mai lo Scotch?- chiese, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
- Perché? Non ti piace?- replicò, stranito da quella domanda.
- No, è solo che non ti vedevo bere Scotch da un pezzo. Di solito prendevi Bourbon o altro-
- Capisco- sorrise - Ho solo pensato che era ora di riprendere con lo Scotch-
- Perché avevi smesso di berlo?-
 
Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui Shuichi fissò il bicchiere che stringeva in mano, facendo roteare il liquore e il ghiaccio al suo interno. Dall’espressione sul suo volto capì di aver toccato un tasto dolente e maledisse la sua curiosità, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. Non seppe spiegarsi il perché, dal momento che non aveva alcuna certezza, ma nella sua testa ritornò insistente il pensiero di Akemi, come se ci fosse anche lei seduta su quel divano insieme a loro. Istintivamente, strinse forte il bicchiere che reggeva con entrambe le mani.
Bastò che Shuichi le accarezzasse con i polpastrelli la nuca, facendoli passare fra i sui corti capelli, perché si rilassasse nuovamente.
 
- Mi dispiace, non volevo intromettermi nelle tue questioni personali- si scusò, guardandolo negli occhi.
- Ti ricordi di quel poliziotto amico di Amuro Tooru, il nostro amico Bourbon? Quello che si era infiltrato nell’Organizzazione quando ne facevo parte anche io?-
- Sì, ci avevi parlato di questa storia. Amuro ti incolpava della sua morte. Ma cosa c’entra?-
- Ti ricordi come si chiamava?-
 
Ci pensò un attimo e infine sgranò gli occhi quando finalmente ricordò.
 
- Scotch…- sussurrò.
- Esatto-
- Shuichi tu…- non riuscì a terminare la frase, non sapendo quali parole usare.
- Mi sentivo responsabile della sua morte in qualche modo, quindi ho smesso di bere quel liquore che portava il suo stesso nome per evitare di farmi divorare dai rimorsi-
 
Si sentì un’idiota quando le rivelò quella confessione così intima: si era costruita un intero film nella sua testa e aveva messo in mezzo la sua ex ragazza deceduta, quando in realtà non c’entrava nulla. Non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato che fra i tormenti interiori di Shuichi ci fosse spazio anche per altri defunti oltre ad Akemi. In quel momento capì quanto fosse grande il fardello che aveva dovuto portarsi dietro, quanto fosse alto il prezzo che aveva pagato per essersi infiltrato nell’Organizzazione.
Una parte di lei però era felice che si fosse aperto in quel modo, raccontandole qualcosa che si teneva nel cuore da tempo. Si era fidato di lei e questo era il regalo più bello che potesse farle. Spinta da quell’emozione così forte, staccò una mano dal bicchiere che stava ancora stringendo e la portò sul volto di Shuichi, accarezzandogli una guancia.
 
- Non è stata colpa tua Shu. Adesso smettila di tormentarti, non ne hai motivo- gli disse dolcemente, fissandolo negli occhi.
- È quello che ho intenzione di fare- intensificò le carezze che le stava ancora facendo dietro la nuca, spingendola delicatamente un po’ più vicina a lui - Da stasera si cambia-
 
Fece tintinnare il bicchiere contro il suo, come se volesse fare un piccolo brindisi in onore di quella svolta che aveva voluto finalmente dare alla sua vita. Anche lei faceva parte del suo cambiamento, anzi, forse era la parte più importante. Shuichi aveva detto addio ai suoi fantasmi e ora voleva solo ricominciare a vivere serenamente: era suo dovere fare il possibile per dargli ciò che non aveva più da tempo.
Staccò gli occhi da lei solo per posare il suo bicchiere sul tavolino; poi le prese il suo dalle mani e posò anche quello. Seguì ogni movimento con sguardo attento, chiedendosi perché lo stesse facendo, anche se poteva intuirlo da sola data l’atmosfera che si stava creando. Si era ripromessa di non lasciarsi andare troppo, non al primo appuntamento almeno, ma i suoi buoni propositi stavano andando in frantumi alla velocità della luce.
Shuichi fece scorrere delicatamente le dita della mano sulla sua coscia lasciata scoperta dalla corta gonna e con il braccio che fino a quel momento era rimasto posato sul bordo del divano le cinse le spalle, attirandola a sé. Si sentiva avvampare dentro, mentre il desiderio di essere amata da lui cresceva. Posò le mani sul suo petto e nascose il volto nell’incavo del suo collo, incapace di sostenere il suo sguardo. Se lo avesse fissato avrebbe perso quel briciolo di lucidità che ancora le restava. Shuichi le accarezzò la testa per un po’, ma poi la cosa non lo soddisfece più e le prese delicatamente il mento tra il pollice e l’indice, costringendola ad alzare la testa e a guardarlo negli occhi. Non sapeva descrivere quanto fossero belli quegli occhi, così verdi e intensi da scavarle nell’animo. Le tolse delicatamente gli occhiali, piegandoli con cura e appoggiandoli sul tavolino. Sapeva quanto ci tenesse e pertanto li aveva trattati con speciale riguardo: questo fece sì che lo amasse ancora di più. Tornò a fissarla e lei fece lo stesso, con gli occhi resi lucidi dal desiderio. Sentì la sua mano accarezzarle la guancia, mentre avvicinava il volto al suo. Iniziò a respirare profondamente e più velocemente, mentre i battiti del suo cuore acceleravano: ormai era chiaro quali fossero le sue intenzioni, in netto contrasto con quanto si era ripetuta dal momento in cui lo aveva fatto entrare. Se lo avesse baciato la prima sera, sarebbe stato come cancellare tutto ciò che era stato e in un certo senso non voleva che fosse così. Che diamine, l’aveva piantata in asso, ora doveva sudarsi anche un suo bacio! Ma mentre nella sua testa si ripeteva questo, il resto del suo corpo desiderava solo che le loro labbra si unissero (e probabilmente non solo quelle). L’amore è irrazionale e questa è la sua parte peggiore.
La fronte di Shuichi si posò contro la sua e sentì il suo respiro caldo sulla bocca. Se voleva fermarlo doveva farlo in quel preciso istante. Ma quando le abili dita di lui le sfiorarono il collo dietro e sotto l’orecchio, non potè fare altro che lasciarsi andare ad un sospiro ansimando e avvicinando ancora di più le labbra alle sue, questione di millimetri e si sarebbero toccate. Evidentemente ricordava ancora i punti del corpo che più le suscitavano piacere. Si rese conto di non poter resistere, di essere solo una preda nelle sue mani.
Stavano per baciarsi quando la suoneria di un cellulare interruppe quel momento. Si allontanarono e lei si guardò intorno alla ricerca del suo telefono, ricordandosi solo dopo di averlo lasciato in camera da letto a caricare. Inoltre quella non era la sua suoneria, pertanto doveva essere per forza quella di Shuichi. Lo vide estrarre il cellulare dalla tasca dei pantaloni e quando lesse il nome sul display non potè fare a meno di ghignare.
 
- Che tempismo- commentò.
- Chi è?- chiese lei, curiosa di sapere chi l’avesse salvata ma al tempo stesso disturbata.
- La tua amica-
 
Aggrottò le sopracciglia, cercando di dare un senso a quella risposta. Chi era la sua amica e perché se era sua amica chiamava Shuichi invece di chiamare direttamente lei? Rimase col dubbio fino a quando lui non rispose al telefono, azionando il vivavoce.
 
- Ero in pensiero, oggi non mi avevi ancora chiamato- esordì, lasciandola ancora più perplessa.
- Non fare lo spiritoso, sei sparito da ieri sera!-
 
Riconobbe immediatamente la voce dall’altro capo: era Shiho.
 
- Ho avuto da fare- si giustificò.
- Allora, com’è andata con Jodie?-
 
Si girò a guardarla, mentre lei arrossiva e moriva di imbarazzo: non aveva idea che Shiho fosse a conoscenza di quanto era accaduto la sera prima o meglio di quelle che erano le intenzioni di Shuichi. La stupì il fatto che si parlassero così apertamente, Shuichi di solito non lo faceva nemmeno con lei o con altri che conosceva da molto più tempo di Shiho. D’altra parte quella ragazza aveva un posto speciale nel suo cuore, oltre ad essere a tutti gli effetti parte della sua famiglia.
 
- Vuoi chiederlo direttamente a lei? È qui di fianco a me in questo momento-
 
Spalancò la bocca e lo fissò come se le avesse proposto qualcosa di indecente. Come gli veniva in mente di essere così diretto?! Ma soprattutto perché si stava divertendo a metterla in imbarazzo?!
Scosse la testa e anche le mani, per fargli capire che non voleva esporsi.
 
- Sei con lei? Allora è andato tutto bene? Passamela, voglio sentirlo da lei!-
 
Shuichi ignorò i suoi cenni di dissenso e le allungò il telefono. Sospirò, lanciandogli un’occhiataccia contrariata.
 
- Ciao tesoro- la salutò, cercando di sembrare la solita di sempre - Come stai?-
- Jodie!- rispose entusiasta- Ho provato a chiamarti più volte prima ma non hai risposto…-
- Scusami, ho lasciato il cellulare in camera da letto per ricaricare la batteria e me lo sono scordato là. Probabilmente non ho sentito la suoneria-
- Aspetta un momento- la interruppe - Sei a casa tua?-
- Sì, perché?-
- Con Shuichi?-
- Beh, sì…-
- Ti ha parlato ieri sera? Ti ha detto finalmente cosa prova?- sembrava un fiume in piena.
- Ti spiace se ne parliamo in privato più tardi? È un tantino imbarazzante…-
- Insomma, uno dei due mi può dire se vi siete messi insieme oppure no?-
- Ti possiamo dire che ci hai interrotti con la tua telefonata, non potevi aspettare?-
 
Quella frase suonò come un rimprovero ma senza cattiveria nel tono. Lei invece avrebbe voluto sotterrarsi e non riemergere mai più. Come gli era venuto in mente di rispondere in quel modo così ambiguo?!
 
- Shu ma che dici?!-
- Perché, non è forse vero?- disse con nonchalance.
- No, ma se dici così penserà che stessimo facendo chissà cosa!- avvampò.
- Siete già a quel punto?- chiese, con una vena di ironia nella voce - Prima ci mettete anni e poi in ventiquattr’ore arrivate al sodo. Scusate se vi ho disturbati, poi mi racconterai i dettagli Jodie-
 
Prima che potessero ribattere, Shiho aveva già interrotto la chiamata. Se l’atmosfera era già imbarazzante prima, dopo quella telefonata aveva raggiunto un livello imbattibile.
Shuichi sorrise beffardo e rimise il cellulare in tasca, voltandosi a guardarla. Non seppe come reagire, in quel momento voleva solo sprofondare sottoterra dalla vergogna.
 
- Immagino che ora spargerà la voce in famiglia- le disse infine, divertito da quella situazione al contrario di lei.
 
Sgranò gli occhi a quell’affermazione: non aveva minimamente pensato a Tsutomu, Mary e tutto il resto della famiglia Akai. Pregò con tutta se stessa che Shiho non raccontasse loro di quella conversazione, non voleva che mezzo Giappone fosse al corrente della sua vita sessuale, che fra l’altro in quel momento era inesistente.
 
- Ti spiace se esco in balcone?- chiese a Shuichi, che continuava a guardarla.
- Perché vuoi uscire? - chiese sorpreso.
- Vado a buttarmi giù e se per caso dovessi sopravvivere prendo l’ascensore e torno su- fece un sorriso forzatissimo che evidenziò appieno il suo imbarazzo.
 
Shuichi si lasciò andare ad una risata, cosa che non faceva quasi mai e pertanto era da ritenersi bella quanto rara. Adorava vederlo ridere e sapere di essere stata lei a farlo divertire la riempì di gioia, facendole dimenticare per un momento la vergogna provata fino a poco prima.
 
- Non c’è niente da ridere, si è fatta un’idea completamente sbagliata!- lo rimproverò ma stando attenta a non rovinare il suo divertimento.
- Tranquilla, poi avrai modo di chiacchierare con lei e spiegarle se vorrai-
 
Mentre pronunciava quelle parole si riavvicinò a lei, eliminando la distanza che si era creata e cingendole la vita con entrambe le braccia per attirarla a sé. Adesso si ritrovava premuta contro il suo torace muscoloso, messo in evidenza dalla t-shirt che stava indossando.
 
- Noi avevamo un discorso in sospeso o sbaglio?-chiese, con le labbra a pochi centimetri dalle sue.
 
Sentì nuovamente il desiderio crescere in lei e la sua forza di volontà l’abbandonava sempre più. Sapeva che se non lo avesse fermato in quel preciso istante non sarebbe più riuscita a farlo.
Fece scorrere le mani dal suo petto fino al suo collo, cingendogli le spalle con le braccia e iniziando a giocare con i capelli della nuca che uscivano dal berretto, mentre si perdeva nei suoi occhi.
 
- Shu…io non…- cercò di parlare.
- Non ti senti pronta?- le chiese, il tono della voce basso e profondo, mentre le accarezzava una guancia con il pollice.
- No, non è questo…-
- Guarda che non voglio fare quello che pensi-
- Non vuoi baciarmi?- chiese stupita.
- Certo che voglio farlo, ma non voglio spingermi oltre a quello. Un passo alla volta, giusto?-
- Oh- riuscì solo a dire, per poi abbassare lo sguardo.
- Per te va bene?- chiese, alzandole il volto delicatamente.
- Certo, mi sono solo lasciata suggestionare troppo dalla conversazione con Shiho- ammise - Sono d’accordo sull’andarci piano. In realtà non volevo nemmeno baciarti questa sera-
- Perché?-
- Beh, perché ho pensato che cedere al primo appuntamento non mi faceva onore, senza contare che dopo il modo in cui ti sei comportato con me negli ultimi anni se vuoi qualcosa te lo dovrai guadagnare sodo- gli picchiettò sul petto più volte con l’indice.
- Interessante. Quindi cosa dovrei fare per meritarmi un tuo bacio?- sembrò divertito da quella specie di sfida.
- Continua a fissarmi così e ad accarezzarmi e non dovrai fare proprio niente- scosse la testa, nascondendola nell’incavo del suo collo per la vergogna di non avere un briciolo di autocontrollo di fronte a lui.
 
Lo sentì ridacchiare silenziosamente, senza emettere suoni. Era ovvio che si stesse divertendo, sapeva che avrebbe ottenuto ciò che voleva e senza il minimo sforzo.
 
- Se vuoi posso andare via, non voglio spingerti a fare qualcosa che non vuoi- disse facendosi serio.
- No!- esclamò, guardandolo dritto negli occhi -Ti prego resta…-
 
Bastarono quelle parole per far sì che Shuichi annullasse completamente ogni  distanza rimasta fra loro catturando le sue labbra in un bacio delicato, come se volesse chiederle il permesso un’ultima volta. In risposta lei dischiuse la bocca, invitandolo ad approfondire quel bacio che aveva atteso per troppo tempo. Dopo pochi secondi le loro lingue si ritrovarono intrecciate l’una all’altra in una danza senza musica ma piena di ritmo. Esplorava lentamente la bocca di Shuichi, le papille stuzzicate dal mix di alcol e tabacco. Sentiva un vortice di emozioni nello stomaco, il cuore che le batteva forte: quel bacio non aveva nulla a che vedere con quello di Clay, non aveva provato nemmeno un quarto delle emozioni che stava provando in quel momento mentre lui le dimostrava concretamente il suo interesse.
Avrebbe potuto baciarlo fino all’alba senza mai stancarsi delle sue labbra o del loro sapore, ma Shuichi interruppe il bacio, forse per riprendere aria o forse per rispettare la promessa di andarci piano. Allontanò di poco il volto dal suo, per poterla guardare meglio.
 
- Allora, me lo sono meritato?- chiese, riferendosi a quel bacio e al discorso affrontato poco prima.
- Per niente, ma io sono molto buona e te l’ho dato lo stesso-
- Beh, in fondo ho cucinato per te-
- Se la metti così allora d’accordo, te lo sei meritato-
 
Sorrisero e si baciarono nuovamente, accarezzandosi a vicenda ma senza esagerare troppo. Shuichi si stava dimostrando molto rispettoso, ma che fosse un tipo serio ed elegante lo sapeva già da tempo.
 
- Dove hai messo il portafoto che ti ho dato ieri? Prima mi sono guardato un po’ intorno ma non l’ho visto- le chiese, quando interruppero il bacio.
- Sul comodino in camera da letto. Ieri sera quando sono tornata ho riguardato le foto e poi mi sono addormentata, quindi alla fine l’ho lasciato lì-
- Capisco, vorrà dire che vedrò come lo hai sistemato a tempo debito-
 
Abbassò lo sguardo sorridendo, consapevole che aveva appena fatto un’allusione al momento in cui sarebbero entrati in intimità a tal punto da necessitare di un letto. L’idea di fare l’amore con lui dopo così tanto tempo la spaventava e la emozionava contemporaneamente; tuttavia era ancora troppo presto per pensarci.
Restarono abbracciati ancora per un po’, parlando e baciandosi, fino a quando Shuichi non si accorse dell’ora tarda. A malincuore si alzarono dal divano e lo accompagnò fino alla porta.
 
- Vuoi portare a casa un po’ del cibo avanzato e la bottiglia di Scotch?-
- No, il nikujaga finiscilo tu domani, io ho altri avanzi a casa. E lo Scotch tienilo per la prossima volta- sorrise.
- Non lo so se ci sarà ancora la prossima volta, potrei bermelo tutta da sola-
- Vorrà dire che ne porterò un’altra bottiglia- le cinse la vita con le braccia e l’attirò a sé.
- Grazie per la cena, era deliziosa- soffiò sulle sue labbra.
 
Si scambiarono un ultimo, lungo bacio e si augurarono la buonanotte, poi Shuichi uscì dalla porta diretto a casa. Non appena rimase sola, si mise a sorridere e a saltellare per la stanza come una matta, incapace di contenere la felicità che stava provando. Le sembrava di aver appena vissuto un bellissimo sogno, l’uomo che amava l’aveva tenuta fra le sue braccia e l’aveva baciata. Voleva urlare la sua gioia a tutto il mondo, ma sapeva anche che doveva restare con i piedi a terra: non era ancora sicura dei sentimenti di Shuichi. Quello che provava per lei poteva già definirsi amore o non era ancora arrivato a quel punto? Doveva considerarsi la sua ragazza oppure soltanto la ragazza con cui si frequentava? Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo, in fondo quello era solo il primo appuntamento e fino a ventiquattrore gli aveva rinfacciato il passato. Dovevano ricostruire il loro rapporto a piccoli passi, in fondo non erano più gli stessi di sei anni prima e pertanto anche il loro rapporto non era qualcosa che si potesse recuperare da dove si era interrotto, ma qualcosa che andava ricostruito da capo su nuove basi, più solide.
Ripulì il tavolino del salotto, mettendo nel lavello i bicchieri e riponendo lo Scotch nel mobile della cucina dove teneva qualche altra bottiglia di vino per le occasioni; poi si preparò per la notte e andò a coricarsi. Prima di addormentarsi prese il telefono e chiamò Shiho.
 
- Pronto Jodie?- rispose la voce dall’altro capo.
- Ciao, scusami se non ho risposto alle tue chiamate ma come ti ho detto quando hai chiamato Shu avevo il telefono in carica in camera da letto e non ho sentito-
- Tranquilla, se avessi saputo che eri con lui non avrei disturbato-
- Non hai disturbato affatto-
- Shuichi ha detto che vi ho interrotti-
- Non stavamo facendo nulla di quello che pensi, non ci siamo arrivati fino a quel punto!- precisò.
- Certo che no, ci ha messo una vita a chiederti di uscire figuriamoci a portarti a letto-
- Ma chi te le insegna certe cose?!- si scandalizzò.
- Guarda che ho diciotto anni, quasi diciannove e sono una scienziata, lo so come nascono i bambini-
- Beh in ogni caso non è solo Shuichi, anche io voglio andarci piano. Insomma, se vuole dormire nel mio letto deve guadagnarselo!-
- Sono assolutamente d’accordo-
 
Non poté vedere l’espressione sul suo volto ma immaginò che stesse facendo uno di quegli sguardi diabolici che faceva sempre quando voleva farla pagare a qualcuno.
Le raccontò poi di ciò che era successo la sera prima, di quello che si erano detti e di ciò che era successo poche ore prima. Shiho stette in silenzio ad ascoltarla fino alla fine.
 
- Quindi è tutto chiarito? State insieme?-
- Non abbiamo ancora definito la natura del nostro rapporto, per ora ci frequentiamo e vediamo come va a finire-
- Tu sei felice?-
- Ovvio, come potrei non esserlo?-
- Se sei felice lo sono anche io, ma quell’inconcludente dovrebbe chiederti ufficialmente di essere la sua ragazza-
- Non è detto che non lo farà, in fondo quello di stasera era solo il primo appuntamento-
- Sì ma visti i suoi tempi se lasciamo fare a lui te lo chiederà al cinquecentesimo appuntamento-
 
Scoppiò a ridere a quella battuta, che in fondo nascondeva anche una verità.
 
- Sai, ti devo ringraziare- ammise - Se non fosse stato per te credo che Shuichi non si sarebbe convinto ad andare avanti-
- Tifavo per voi sin dall’inizio, ho solo fatto il mio dovere di fan-
 
Le venne nuovamente da ridere, quella ragazzina sapeva essere davvero divertente quando voleva.
 
- Adesso ti devo salutare, è tardissimo e domattina lavoro-
- Ok, tienimi aggiornata sugli sviluppi. Io continuo a lavorare dietro le quinte per te, voglio che alla prossima telefonata tu possa definirti la sua ragazza senza dubbi-
- Va bene, mi fido di te- stette al gioco.
 
Si salutarono e finalmente chiuse gli occhi, addormentandosi cullata dai sentimenti che aveva provato quella sera, ancora caldi nel suo petto.
 
 
………………………..
 
 
Coricato a letto con le braccia incrociate dietro la testa, fissava il soffitto e ripensava alla serata appena trascorsa. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta che si era sentito così, sereno e in pace con se stesso. La maglietta che indossava era ancora impregnata del profumo di Jodie, pertanto aveva deciso di usarla per dormire. Gli tornarono in mente i loro baci, le labbra così morbide di lei, le sue gambe lunghe e toniche. Aveva scordato quanto fosse bello il desiderio di avere una donna per sé, di stringerla e toccarla. I suoi occhi azzurri che lo fissavano, desiderosi di attenzioni ma al tempo stesso impauriti all’idea di poter soffrire ancora. Non aveva mai voluto ferirla, eppure era stato costretto a farlo e sapeva che Jodie ne avrebbe portato per sempre le cicatrici. Se n’era accorto più volte durante la serata, di come lei cercasse di trattenersi nonostante la voglia di lasciarsi andare completamente a lui. Doveva fare del suo meglio per non ferirla più, per riconquistare la fiducia che le aveva fatto perdere. Tutti coloro che avevano lottato contro l’Organizzazione avevano perso qualcosa, ma alla fine si erano anche riscattati ottenendo qualcos’altro da cui ripartire: Jodie era il suo lieto fine, il suo nuovo punto di partenza insieme alla sua famiglia riunita.
Girò la testa dal lato del comodino e guardò le due foto che li ritraevano insieme, racchiuse in un portafoto a libro con un elegante cornice d’argento decorata: ne aveva acquistata una identica anche per lui quando aveva preso quella per Jodie, perché potessero avere entrambi lo stesso ricordo comunque fosse finita la storia fra loro. A lei però non lo aveva detto, voleva che fosse una sorpresa. Gliel’avrebbe mostrata a tempo debito il giorno in cui sarebbe entrata nella sua camera da letto, proprio come lui avrebbe fatto con lei.
Mentre osservava il sorriso della donna che presto avrebbe definito come la sua donna, ringraziò mentalmente quella ragazzina dai capelli ramati che era stata la sua guida in quei mesi: senza di lei probabilmente non si sarebbe mai convinto a lasciarsi il passato alle spalle e a darsi una seconda occasione. Aveva promesso di proteggerla e starle vicino e aveva mantenuto la sua parola, ma alla fine della storia anche lei aveva salvato lui. Gli piacque pensare che Shiho fosse l’ultimo regalo di Akemi per lui, il suo modo di dirgli “continua a vivere e sii felice”.
Allietato da quei pensieri, chiuse gli occhi e si addormentò.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
E finalmente abbiamo il primo appuntamento fra Jodie e Shuichi (a cui prometto che ne seguiranno altri nei prossimi capitoli)! Spero vi sia piaciuto, non sono mai stata brava nel descrivere scene fluffy, romantiche ecc. (non ho uno spirito molto romantico di base, sono un po’ come Shuichi XD)
Per chi fosse interessato, il nikujaga esiste davvero, trovate facilmente la ricetta su diversi siti.
Per quanto riguarda invece la prima parte del capitolo, non è stata solo una descrizione casuale quella della faccenda della mafia russa, ma ho intenzione di svilupparla un pochino in futuro. Tutte le info sul caduceo, sul cerbero e le sue leggende e sul simbolismo dei tatuaggi nella mafia russa non sono frutto della mia invenzione ma tutte info che trovate sul web.
Spero che il capitolo non vi abbia annoiato nonostante l’eccessiva lunghezza rispetto a tutti i precedenti (non volevo dividere in due parti l’appuntamento, mi sembrava brutto).
Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qui!

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Capitolo 32
*** Capitolo 32: Una serata a Brooklyn ***


Capitolo 32: Una serata a Brooklyn
 
 
 
Era ormai trascorsa un’ora da quando aveva finito di fare la doccia ed era andata in camera a scegliere il vestito da mettersi. Continuava a chiedersi quale fosse l’outfit adatto ma nulla le sembrava perfetto per l’occasione: quella era la loro prima vera uscita “in pubblico”, dal momento che nei giorni precedenti avevano più che altro pranzato fuori da soli durante la pausa e lei era andata a casa di Shuichi il giorno prima dopo il lavoro. Voleva essere bellissima per lui, voleva che tutti coloro che li avrebbero visti insieme lo avessero invidiato per avere una donna così al suo fianco. Sapeva che stavano semplicemente andando a mangiare un gelato in un sabato sera come tanti, ma non le importava.
Dopo innumerevoli prove, scelse un abito bianco leggero con le spalline sottili, stretto in vita e più morbido sui fianchi, con un’ampia scollatura che metteva in evidenza il suo prosperoso decolleté. Ormai l’estate era ufficialmente arrivata, pertanto non correva rischio di sentire freddo. Indossò una collanina molto fine con un ciondolo a forma di cuore, che le aveva regalato proprio Shuichi anni fa e un paio di semplici orecchini punto luce; ai piedi optò per un paio di sandali color argento con il tacco alto. Solo per il make up scelse qualcosa di non troppo vistoso, non le era mai piaciuto truccarsi troppo: una sottile linea di matita nera e un po’ di mascara. Decise di non mettere il rossetto come era solita fare, dal momento che si sarebbero sicuramente baciati e non voleva che Shuichi sembrasse un clown dopo averlo fatto. Completò il tutto spruzzandosi il suo profumo preferito, giusto in tempo prima che il citofono suonasse.
 
 
…………………………..
 
 
Suonò il citofono e attese che la voce di Jodie uscisse dall’altoparlante, poi quando sentì lo scatto del portone che si apriva entrò e prese l’ascensore diretto al quarto piano. Si sentiva bene all’idea di uscire finalmente “all’aperto” con Jodie, nonostante il timore che avessero potuto incontrare qualche loro collega. Non che si vergognasse, ma per il momento preferiva non dare adito a voci e pettegolezzi sul luogo di lavoro, specie dopo essere venuto a conoscenza dalla stessa Jodie delle lingue lunghe e taglienti di alcuni di loro.
Quando giunse davanti alla porta dell’appartamento di Jodie suonò il campanello e attese qualche secondo. Sentì il rumore dei tacchi avvicinarsi e poi la porta si aprì, rivelando Jodie in tutta quella che era la sua bellezza. Le lunghe gambe lasciate scoperte dal corto vestito bianco e rese ancora più slanciate dai tacchi, il seno florido che si intravedeva dalla scollatura, quegli occhi azzurri resi ancora più intensi da quel sottile velo di trucco nero che li circondava. Sapeva come attirare l’attenzione su di sé, non c’era alcun dubbio, eppure la preferiva in abiti più semplici, che rispecchiavano il suo vero essere. Così era bellissima, ma gli sembrava uscita da una rivista di moda e soprattutto troppo scoperta. Doveva ammettere che non amava vedere gli sguardi lussuriosi che gli altri uomini le rivolgevano, non gli era mai piaciuto nemmeno all’epoca.
La guardò finalmente negli occhi e si accorse di quanto era raggiante.
 
- Ciao Shu- lo salutò sorridendo.
- Non sapevo che il gelato andassimo a prenderlo ad una festa mondana nell’Upper East Side- commentò il suo abbigliamento, senza curarsi troppo dei modi.
 
Si rese conto solo dopo che quella che per lui era una battuta detta senza cattiveria per lei invece risultava più come una critica. D’altra parte quel vestito non lo aveva indossato per attirare le attenzioni degli altri uomini, ma per piacere a lui.
 
- Grazie Shuichi, anche tu sei vestito molto bene!- cambiò subito il tono, visibilmente alterata - Ma è mai possibile che tu non riesca a fare un minuscolo complimento per una volta?! Lo sai quanto ci ho messo per trovare il vestito adatto?! Guarda che lo faccio per te!-
- Lo so, ma non hai bisogno di vestiti per attirare la mia attenzione. Se ti vesti in un certo modo attirerai anche l’attenzione di persone sbagliate, dovresti stare attenta-
- Non mi sembra di essere nuda!-
- No, ma si vede abbastanza da scatenare idee malintenzionate-
- D’accordo- alzò le mani e strinse le labbra - Vado a mettermi una bella felpa con il cappuccio e i pantaloni lunghi, contento?-
 
Gli diede le spalle e mosse i primi passi verso la sua camera da letto, pestando i piedi a terra e provocando un forte rumore coi tacchi che sicuramente non avrebbe fatto piacere agli inquilini del piano di sotto. Istintivamente le corse dietro e l’afferrò per un braccio, fermandola.
 
- Che vuoi?!- si girò di scatto, guardandolo con aria truce.
 
Invece di rispondere alla sua domanda le cinse la vita con l’altro braccio e l’attirò a sé, senza darle il tempo di reagire. Adesso i loro corpi erano premuti uno contro l’altro e poteva sentire la morbidezza del suo seno premuto contro il suo petto. Lasciò la presa sul suo polso e portò la mano dietro la sua testa, spingendola delicatamente in avanti fino ad avvicinarle il volto al suo, posando le labbra sulla sua fronte e dandole un casto bacio, cercando di calmare le sue ire. Aveva esagerato con le parole, a volte è meglio tenere i propri pensieri per sé. La sentì rilassarsi fra le sue braccia, anche se non sembrava voler alzare la testa per guardarlo negli occhi. Gliela sollevò lui, avvicinando le labbra alle sue ma senza baciarla.
 
- Mi stavo solo preoccupando per te- le disse con voce bassa.
- So badare a me stessa Shu- rispose lei, ma non più con la rabbia di prima.
- Lo so, ma mi preoccupo lo stesso-
- Ci sei tu a proteggermi-
 
Sorrise a quelle parole e annuì, catturando le sue labbra in un bacio dolce, quasi casto, che durò pochi secondi.
 
- Non serve che ti cambi- le disse.
- Ma non ti piaccio vestita così- abbassò nuovamente lo sguardo.
- Non ho mai detto questo. È ovvio che mi piaci, piaceresti a chiunque con questo vestito. Ma non voglio che pensi di potermi piacere solo per come ti vesti. Che sei una bella donna è evidente a tutto il mondo, sei bella qualunque cosa indossi Jodie, ma a me interessa la bellezza che hai qui- posò l’indice sul suo cuore.
 
Jodie alzò nuovamente il volto e lo fissò con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, incredula davanti a quello slancio di romanticismo che in effetti non era da lui. Non gli era facile essere così delicato, lui era più il tipo che diceva in faccia quello che pensava come aveva fatto poco prima, ma si era reso conto che con lei non poteva farlo in ogni occasione. Doveva sforzarsi ad essere migliore, perché Jodie lo meritava.
Sentì il suo corpo ancora più premuto conto il suo torace mentre allungava il busto e gli cingeva il collo con le braccia, premendo le labbra contro le sue. Questa volta approfondirono il bacio, facendo intrecciare le loro lingue.
 
- Andiamo?- le chiese quando si furono separati.
 
Jodie annuì e sorrise, arrossendo improvvisamente.
 
- Che c’è?-
- Sei molto bello stasera- disse a voce bassa, come se avesse timore di una sua reazione negativa.
- Perché di solito sono brutto?- ghignò.
- No!- scosse la testa lei, temendo di essere fraintesa - È solo che vestito così stai molto bene-
 
Osservò il sottile dito di lei scorrere lungo la parte del suo petto lasciata esposta dalla camicia che aveva lasciato sbottonata più del solito, sia per il caldo estivo sia perché anche lui ci teneva ad essere guardato  da lei.
Le diede un altro bacio sulla fronte e poi uscirono dall’appartamento di lei, diretti alla sua Mustang che li aspettava parcheggiata fuori.
 
 
Durante i primi due minuti di viaggio chiacchierarono e di tanto in tanto posava la mano sulla coscia di Jodie, senza però esagerare. Lei non sembrava affatto dispiaciuta di quel contatto fisico, al contrario lo ricambiava posando la mano sulla sua oppure accarezzandogli i capelli dietro la nuca.
Mentre erano fermi ad un semaforo si girò a guardarla e l’occhio gli cadde sulla collanina che indossava, a cui non aveva prestato molta attenzione prima. La riconobbe subito: era quella che le aveva regalato anni fa quando stavano insieme. Allungò una mano e prese il ciondolo a forma di cuore tra il pollice e l’indice, sorridendo.
 
- Non credevo che l’avessi ancora, non te l’ho più vista indosso-
- Non l’ho più messa da dopo che ci eravamo lasciati, tuttavia l’ho conservata. Non avrei mai potuto gettarla- ammise.
- Mi fa piacere che tu abbia deciso di indossarla questa sera- le sorrise.
 
Dopo poco si ritrovarono sul ponte di Brooklyn e Jodie gli chiese dove fossero diretti.
 
- Alla Ice Cream Factory- rispose.
- Andiamo fino a Brooklyn per prendere un gelato?- si stupì - C’erano almeno quattro gelaterie nel raggio di cinque kilometri dal mio appartamento-
- Già, ma dal tuo quartiere non si gode della vista di Manhattan illuminata dalle luci notturne-
 
Una volta arrivati a destinazione parcheggiarono l’auto e si incamminarono verso la Ice Cream Factory. Camminavano fianco a fianco, godendo già della vista di qualche scorcio della città brulicante di luci. Teneva le mani nelle tasche, ma segretamente guardava quelle di Jodie strette intorno alla piccola borsetta a tracolla che si era portata appresso. Mentre quest’ultima gli stava parlando, estrasse la mano sinistra dalla tasca e prese quella destra di Jodie, intrecciando le dita con le sue. Lei lo guardò dapprima stupita e poi regalandogli uno dei suoi meravigliosi sorrisi, facendogli capire quanto fosse felice di quel gesto.
Passeggiarono mano nella mano fino a quando non raggiunsero la fila che si era formata davanti alla porta d’entrata della gelateria. Avevano circa una decina di persone davanti, comprensibile dal momento che era estate e molta gente la sera usciva per concedersi il piacere di qualcosa di fresco come un buon gelato. Attesero pazientemente il proprio turno, nemmeno per troppo tempo, continuando a tenersi la mano.
Quando finalmente furono abbastanza vicini da poter leggere i gusti segnati sul cartello, Jodie iniziò a far scorrere lo sguardo sulla lista.
 
- Tu cosa prendi Shu?- si rivolse a lui.
- Credo che passerò, lo sai che non amo particolarmente i dolci-
- Ma dai, nemmeno un gelato?- fece sporgere il labbro inferiore, assumendo quell’aria da cucciolo appena sgridato che faceva ogni volta che voleva intenerire chi la guardava.
- Siamo venuti qui perché ne avevi voglia tu- sorrise.
- Sì ma pensavo che andasse anche a te…c’è il gusto caffè- ci riprovò di nuovo, sbattendo le ciglia.
 
Dannazione, ci sapeva fare la ragazza. Avrebbe potuto restare fermo sulle sue convinzioni, ma era troppo divertito dal suo atteggiamento infantile per farle un torto, così cedette.
 
- D’accordo, se insisti- rispose senza mostrare troppo entusiasmo.
- Evviva!- esclamò, posando la testa contro la sua spalla.
 
Arrivato il loro turno, entrarono e si diressero al bancone, dove Jodie face scorrere emozionata lo sguardo sulle vasche piene di gelato, mentre la gelataia in divisa la osservava sorridendo. A volte sembrava proprio una bambina che si eccitava per un nonnulla, forse perché durante quell’infanzia che Vermouth le aveva rubato non aveva potuto fare tutte quelle cose normali che fanno i bambini a quell’età.
 
- Una coppetta al caffè e una con vanilla chocolate chunk- ordinò per entrambi.
 
La gelataia preparò le due coppette e poi indicò loro la cassa dove pagare, che si trovava pochi metri più avanti prima dell’uscita.
 
- Puoi reggerli un attimo Shu?- gli allungò le coppette - Altrimenti non riesco a tirare fuori il portafoglio dalla borsetta-
- Tranquilla, offro io-
- Ma non devi Shu…-
- Lo so, lo faccio perché mi va non perché mi sento obbligato-
 
Pagò il conto di entrambi e prese il suo gelato dalle mani di Jodie, uscendo insieme a lei dalla Ice Cream Factory. All’esterno vi era una pavimentazione quadrata di legno, come quelle dei pontili, circondata da una balaustra in ferro che dava sul mare. Circondate da un recinto rosso c’erano delle panchine e dei tavoli in legno suoi quali i clienti potevano sedersi per gustare il gelato appena preso.
 
- Vuoi sederti?- le chiese, indicandogli un tavolo libero con un cenno del capo.
- No, preferisco restare in piedi e guardare la skyline. C’è una vista mozzafiato-
 
Si avvicinarono alla balaustra e vi si appoggiarono contro, cominciando a mangiare i propri gelati mentre il rumore dell’acqua e il vociferare delle persone faceva da sottofondo.
 
- Com’è il tuo?- gli chiese.
- Un normale gelato al caffè. Non troppo dolce almeno. Il tuo?-
- È delizioso, ho fatto male a prenderne solo una pallina-
- Guarda che se ingrassi non riuscirai più a muoverti e ti cacceranno dall’FBI- la provocò.
 
In tutta risposta Jodie si imbronciò e lo guardò in malo modo, prendendo una grossa cucchiaiata di gelato e mettendosela in bocca, facendolo sorridere.
Davanti a loro si stagliavano alti grattacieli dalle innumerevoli finestre illuminate, come piccoli occhi che silenziosi osservavano la vita notturna della “città che non dorme mai”, specchiandosi sull’acqua del molo. A rendere il tutto più suggestivo però era certamente l’imponenza del ponte di Brooklyin, che avevano attraversato poco prima in macchina e che ora potevano ammirare in tutta la sua lunghezza. In lontananza era possibile scorgere la Statua della Libertà. Non aveva scelto quella gelateria a caso, sapeva benissimo che il punto era strategico per creare l’atmosfera giusta per un appuntamento notturno. Brooklyn Heights era un quartiere storico che offriva non solo scorci del passato rivisitati in chiave moderna, ma anche un panorama degno di nota. Era lì che New York era nata anni prima e di quegli anni restavano ancora antichi edifici e vecchi magazzini che nel corso degli anni erano stati trasformati in appartamenti, negozi e ristoranti. La stessa Ice Cream Factory un tempo era un magazzino di barche.
 
- Certo che New York è davvero bella- disse Jodie, ammirando estasiata ogni singola luce.
- Già- rispose semplicemente.
- Sai, durante la nostra permanenza in Giappone mi sono innamorata del posto e vorrei tanto tornarci presto, ma devo ammettere che tutto questo mi è mancato. New York è la mia casa-
- Ti capisco, anche a me un giorno piacerebbe tornare a Londra-
- Per un attimo ho pensato che lo spirito di James ti avesse posseduto, non sai quante volte gli ho sentito dire quella frase!- lo guardò un po’ scandalizzata e un po’ disgustata all’idea di un appuntamento romantico con lo spirito del suo patrigno e capo.
 
Si lasciò andare ad una risata, divertito da quell’immagine appena descritta dalla compagna.
 
- Vorrà dire che a Londra ci andrò con James-
- Ma ti consideri ancora inglese?- gli chiese - Non vivi più lì da anni, ormai sei un cittadino americano a tutti gli effetti-
- Non cambia le mie origini- parlò con una nota di orgoglio nella voce - Se tu ti trasferissi in Giappone e ci restassi per dieci anni per esempio, smetteresti di considerarti americana? Lo hai detto anche tu, questa è la tua terra perché il luogo dove sei nata e cresciuta. Ho trascorso i miei primi quindici anni di vita a Londra e mi è spiaciuto dover fuggire come se fossi un criminale ricercato. Mi piace stare in America e anche io amo New York, ma resto pur sempre un inglese-
 
Jodie stette ad ascoltarlo, lo guardava come rapita dal modo in cui descriveva l’amore per la sue terra natale. Era sempre stata curiosa di conoscere le sue origini, di sapere tutto di lui, ma da inguaribile uomo chiuso in se stesso qual era le aveva sempre detto il minimo indispensabile, lasciandola con più domande che risposte. Si ripromise di sforzarsi ad aprire quel guscio che aveva creato e di soddisfare la curiosità di Jodie nei suoi confronti. Se voleva che fosse la sua donna era giusto metterla al corrente della sua vita passata e dei suoi segreti.
 
- Shu?-
- Mmh?-
- Sai, pensavo…- abbassò lo sguardo per un attimo, come se sapesse di stare affrontando un argomento delicato -Non prendermi per un’insensibile, mi dispiace davvero per tutto quello che la tua famiglia ha dovuto passare, però forse una cosa buona nell’essere dovuto andare via da Londra c’è- lo guardò negli occhi, mostrando tutto il timore che aveva nel pronunciare quelle parole.
- E quale sarebbe?- chiese, ma senza alcuna cattiveria.
- Se non fossi andato via e non avessi deciso di venire a vivere in America, non ci saremmo mai incontrati. Non riesco a immaginare come sarebbe stato non averti nella mia vita- arrossì.
 
Lo sorprendeva ogni volta come quella donna potesse racchiudere in sé così tante sfaccettature. Un momento prima si comportava come ragazzina e quello dopo era capace di pensieri profondi e maturi e di una sensibilità d’animo come pochi aveva conosciuto. Era una guerriera, una che sapeva essere più forte dei colpi che la vita le riservava e che sapeva come rialzarsi in piedi in un modo o nell’altro, ma al tempo stesso era anche una creatura fragile, come ogni donna, bastava poco per spezzarla. La dolcezza che aveva dimostrato in quel momento era disarmante anche per uno come lui, abituato a non smuoversi di un millimetro.
Sorridendo, la prese fra la sue braccia e la strinse a sé, inalando il suo profumo.
 
- Sei sicura che sia stato un bene per te incontrarmi?- le chiese, ripensando a tutto ciò che aveva dovuto passare per colpa sua.
- Ne sono certa- rispose senza esitazioni.
- Quindi non hai pensato male di me nemmeno una volta?- la provocò.
- Diciamo che il più delle volte ti trovo insopportabile, ma qualche volta mi vai a genio- scherzò, facendo un’espressione buffa.
 
Senza bisogno di ulteriori parole, catturò le sue labbra e si lasciarono andare ad un bacio appassionato, mescolando il retrogusto di caffè, vaniglia e cioccolato che era rimasto nelle loro bocche a causa del gelato appena mangiato. Era sempre stato un tipo riservato, ma in quel momento non gli importava se qualcun altro dei clienti della gelateria li stesse fissando: voleva solo baciare quella donna straordinaria che ancora pensava di non meritare. Le accarezzava la schiena lasciata scoperta nella parte alta dalla scollatura posteriore del vestito, sentiva la sua pelle morbida sotto i suoi polpastrelli.
 
- Ti va di fare una passeggiata lungo la Brooklyn Heights Promenade?- le chiese, con le labbra ancora vicinissime alle sue.
- Certo, in qualche modo lo dobbiamo pur smaltire il gelato che abbiamo appena mangiato- sorrise.
 
Mano nella mano si allontanarono dalla Ice Cream Factory, iniziando a costeggiare l’East River lungo la Promenade. Si ritrovarono immersi in un’atmosfera da favola con viali alberati, lampioni disposti in fila che illuminavano il cammino, aiuole fiorite e giardini. Da un lato potevano ammirare la New York moderna, fatta di grattacieli pieni di luci, del ponte e della statua; dall’altro quello che restava della New York di un tempo, ovvero antichi edifici costruiti con mattoncini rossi. Jodie commentava tutto estasiata, indicandogli ogni singola cosa che vedeva. Ormai aveva sentito così tante volte “Guarda Shu” da averne perso il conto.
 
- Andare in giro con te è come portare a spasso un cagnolino- le disse a un certo punto.
- In che senso?- lo aveva guardato storto.
- Nel senso che sei adorabile, ma fai una confusione tremenda-
 
Lei si imbronciò e aveva lasciò la sua mano, incrociando le braccia al petto e facendo la sostenuta.
 
- Tu invece non farai rumore ma non sei nemmeno carino!- aveva replicato.
 
La sua reazione lo divertiva, fingeva di essere arrabbiata ma sapeva che non poteva tenergli il broncio per più di cinque minuti. Gli sembrava di essere tornato indietro a sei anni prima, durante i loro ultimi appuntamenti, prima che tutto cambiasse. Non erano più gli stessi, ma in qualche modo la chimica che c’era sempre stata fra loro era rimasta immutata nel tempo.
Dopo aver percorso circa metà strada, si fermò davanti a una delle panchine che si trovavano lungo la via.
 
- Vuoi riposarti un po’?- le chiese.
- Perché? Manca ancora tanta strada-
- Sì, ma riesci a farla? Le scarpe che hai indosso non devono essere proprio comodissime per una passeggiata di cinquecentocinquantasette metri- guardò i suoi tacchi.
- Ti svelo un segreto- gli si avvicinò, afferrando i lati del colletto della sua camicia e portandolo più vicino a sé - I miei piedi imploreranno pietà molto presto, ma siccome sono una donna sorriderò elegantemente fino a quando non sarò tornata a casa-
- Vuoi davvero massacrarti i piedi?- ghignò.
- Questo e altro pur di apparire fantastica agli occhi del uomo su cui devo fare colpo- gli fece l’occhiolino.
 
Si diedero un bacio a stampo e ripresero a camminare, prendendosi di nuovo la mano. Pochi metri dopo incrociarono un gruppo di ragazzini che dovevano avere all’incirca dai diciotto ai vent’anni, con in mano delle bottiglie di birra, i quali parlavano ad alta voce disturbando le altre persone che come loro erano lì per godersi una passeggiata tranquilla. Barcollavano, segno che quelle birre non erano di certo le prime che bevevano. Quando si accorsero di Jodie iniziarono a fare una serie di versi e fischi di apprezzamento, uno di loro si leccò addirittura le labbra per evidenziare l’eccitazione che gli aveva causato.
 
- Ciao splendore, ti va di unirti a noi?- chiese uno di loro, allungando un braccio e mostrandole la bottiglia.
- Sì, dai, divertiamoci tutti insieme!- intervenne un altro.
- No, prima voglio giocare io da solo in mezzo alle sue cosce!- esordì il terzo, facendo ridere gli altri due.
 
Quando sentì che Jodie tirava la mano per separarla dalla sua si accorse che l’aveva stretta troppo forte e forse le aveva fatto male involontariamente. Gliela prese fra le sue e accarezzò le dita con i pollici, guardandola dispiaciuto: era il suo modo silenzioso per dirle che gli dispiaceva. Nel frattempo quei tre ragazzini idioti continuavano a fare apprezzamenti e allusioni poco carini nei confronti della sua compagna, mettendo a dura prova la sua pazienza e il suo autocontrollo. Le lasciò la mano e mosse qualche passo veloce verso di loro, ma si sentì afferrare da dietro: Jodie lo stava trattenendo scuotendo la testa.
 
- Lascia perdere Shu, sono ubriachi e non sanno quello che dicono, andiamo via-
- Qualcuno deve insegnargli un po’ di educazione, non ci si rivolge così a una donna-
- Lo so e ti adoro per questo ma ti prego, lascia perdere. Vuoi davvero azzuffarti con dei ragazzini ubriachi durante il nostro appuntamento? Tu sei meglio di così. Per favore Shu…- lo supplicò.
 
Sospirò profondamente e annuì, passandole un braccio intorno alle spalle e attirandola a sé. Anche lei gli cinse la vita con un braccio e appoggiò la testa sopra la sua spalla. Restando abbracciati così ripresero la loro passeggiata, lasciandosi indietro gli schiamazzi di quei poveracci.
 
- Grazie Shu-
- Per cosa?-
- Per avermi difesa e soprattutto per non averli presi a pugni-
- Ora capisci cosa intendevo quando ti dicevo che certi abiti possono attirare l’attenzione delle persone sbagliate? Pensa se fossi stata sola, di sicuro non avrebbero mantenuto le distanze. In giro c’è gente poco raccomandabile-
- Ma io ho la mia guardia del corpo personale, per questo mi vesto così solo in sua presenza-
 
Terminarono la loro passeggiata senza ulteriori imprevisti e ritornarono indietro sui loro passi, ormai pronti a tornare alla macchina. Era ormai notte inoltrata e il buio aveva reso le luci della città ancora più brillanti. Si fermò nel punto in cui l’atmosfera gli sembrava più suggestiva, a metà fra le aiuole fiorite e la visuale di Manhattan che si specchiava sull’acqua illuminata dalla luna. Era arrivato il momento che attendeva da tutta la serata.
 
- Perché ti sei fermato?- gli chiese Jodie.
- Non ti sembra che il panorama in questo punto sia perfetto?-
- Ad essere sincera non ho trovato un solo punto dove l’atmosfera non fosse bellissima, ma effettivamente qui è davvero perfetta-
 
Soddisfatto di quella risposta, si mise una mano nella tasca destra dei pantaloni e ne estrasse una piccola scatolina bianca con un fiocchetto nero sopra. Chiunque l’avesse vista avrebbe capito al primo sguardo che si trattava di una confezione proveniente da una gioielleria e infatti Jodie spalancò gli occhi e aprì la bocca incredula, fissando prima lui e poi la scatolina cercando di trovare parole che non venivano. Sorrise fiero e soddisfatto che tutto fosse andato come nei suoi piani.
 
- Tieni, questo è per te- le allungò la scatolina.
- Shu…io…- farfugliò, prendendo timorosamente il regalo con le mani quasi tremanti.
 
La osservò mentre sollevava il coperchio e rivelava il contenuto: un braccialetto con la catenella sottile e un ciondolo a forma di stella a otto punte, quattro delle quali erano leggermente più lunghe delle altre, composta da piccoli zirconi incastonati l’uno vicino all’altro. Jodie ci passò un dito sopra, come per accarezzarlo, guardandolo estasiata.
 
- È meraviglioso Shu, non dovevi…- lo guardò con gli occhi lucidi, come se stesse per piangere ma dalla gioia.
- L’ho visto quando sono andato a prendere il portafoto e mi ha ricordato te. Lì per lì non l’ho preso, non sapendo come sarebbe finita fra noi, ma poi viste le circostanze sono tornato e l’ho comprato. Ho pensato fosse simbolico, per via della pioggia di comete che abbiamo guardato insieme. Inoltre il tuo cognome mi ha sempre ricordato le stelle. Forse anche tu sei un po’ come Manhattan: riesci a risplendere anche nel buio e chiunque ti guardi non può non restarne affascinato-
- Shu…- riuscì solo a dire, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.
 
Stringendo forte la scatolina, gli si gettò con le braccia al collo e si mise a piangere silenziosamente, con la faccia nascosta nell’incavo del suo collo. Sentiva il suo seno prosperoso premuto contro il suo petto e la cosa sarebbe stata molto più piacevole se non avesse dovuto fare i conti con quel pianto. Di certo quella reazione non l’aveva prevista.
 
- Perché piangi adesso?-
- Scusami, è che sono così felice…- parlò fra le lacrime, soffocando le parole nel suo collo.
- Se sei felice allora sorridi, non pensi di averne versate anche troppe delle lacrime? Così mi fai sentire in colpa- le accarezzò dolcemente la testa.
- Hai ragione- annuì, sollevando la testa e cercando di cancellare con una mano le tracce di lacrime rimaste sul viso.
 
Le prese la scatolina dall’altra mano ed estrasse il braccialetto, sollevandole il polso e allacciandoglielo. Jodie lo guardò sorridendo, muovendolo per far brillare gli zirconi alle luci artificiali che li circondavano. Era consapevole che un braccialetto o un portafoto non potevano cancellare il male che le aveva fatto, ma vederla così felice lo faceva risentire riscattato dai suoi peccati in qualche modo.
 
- Grazie Shu, è un regalo stupendo e anche quello che hai detto su di me lo è- gli rivolse un meraviglioso sorriso.
 
Si avvicinarono contemporaneamente l’uno all’altra e si scambiarono l’ennesimo bacio appassionato di quella serata, ma che durò molto più a lungo degli altri. Rimasero a baciarsi stretti l’uno all’altra, avvolti dal luccichio della città e dal profumo quasi impercettibile dei fiori dormienti, fino a quando non recuperarono la cognizione del tempo.
Camminando abbracciati ritornarono fino alla macchina e la riaccompagnò a casa.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Non mi ritengo per niente brava a descrivere momenti romantici e dolci, quindi spero che questo capitolo non sia una schifezza come penso. Purtroppo mi riesce facile scrivere di drammi e psicanalizzare i personaggi ma fatico a tirare fuori il lato romantico (forse non ce l’ho nemmeno).
Spero che abbiate notato un parallelismo che ho voluto fare di proposito: sia in questo capitolo che in quello in cui Jodie è uscita la prima volta con Clay (il numero 27) ho descritto il momento in cui deve scegliere cosa mettersi per l’appuntamento, ma mentre in quello con Clay ha scelto velocemente i vestiti senza pensarci troppo, in questo ci ha messo secoli perché voleva che fosse tutto perfetto ;)
Qualche curiosità sul capitolo:
- La Ice Cream Factory esiste davvero, cercatela su Google. Anche i due gusti di gelato che ho descritto sono realmente venduti lì.
- Anche il quartiere di Brooklyn Heights esiste, così come la Brooklyn Heights Promenade. In generale tutto ciò che ho descritto nell’ambientazione esiste realmente, magari la mia descrizione non sarà precisissima perché purtroppo non sono mai stata di persona in questi luoghi, ma ho cercato di fare più ricerche possibili per scrivere questo capitolo.
- New York è chiamata anche “La città che non dorme mai”, ecco perché ho usato quella citazione.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33: Imprevisti al parco ***


Capitolo 33: Imprevisti al parco
 
 
Aprì lentamente gli occhi e cercò di abituarli alla luce del giorno. Quando vi fu riuscita, si accorse che il sole che filtrava da dietro le tende era ormai alto nel cielo, segno che probabilmente era già mattinata inoltrata. D’altra parte era andata a letto molto tardi la sera prima e quindi non c’era nulla di male nell’aver recuperato un po’ di sonno: era pure sempre domenica, non doveva lavorare e poteva godersi la giornata.
Cercò gli occhiali sul comodino, li indossò e poi prese il telefono per controllare i messaggi, sperando ovviamente di trovarne qualcuno da parte di Shuichi: il suo desiderio fu esaudito. Sulla strada di casa la sera prima si erano accordati per tornare al Forest Park l’indomani pomeriggio, Shuichi sarebbe passato a prenderla dopo pranzo. Probabilmente doveva aver cambiato idea, dal momento che nel messaggio che le aveva mandato circa una quarantina di minuti prima le chiedeva se le andava di uscire a pranzo prima di andare al parco.  Sorridendo felice, rispose subito al messaggio:
 
“Scusa se ti rispondo solo ora ma mi sono svegliata poco fa. Cosa ne dici di fermarci a prendere dei panini e poi mangiarli al Forest Park? È da un po’ che non faccio un picnic :)
XOXO”

 
La risposta di lui non tardò ad arrivare:
 
“Mi sembra una buona idea. Passo a prenderti alle 12:00”
 
Ripose nuovamente il cellulare sul comodino e l’occhio le cadde sulla scatolina con il braccialetto che Shuichi le aveva regalato. La prese e l’aprì, estraendo il braccialetto e rigirandoselo fra le mani come se fosse il migliore dei tesori. Il ciondolo a forma di stella brillò alla luce del giorno ancor più di come aveva fatto la scorsa notte con le luci artificiali della città. Le tornarono in mente le sue parole:
 
“Forse anche tu sei un po’ come Manhattan: riesci a risplendere anche nel buio e chiunque ti guardi non può non restarne affascinato”
 
Sorrise mordendosi il labbro inferiore e godendosi quel momento di pura felicità: era raro che Shuichi si lasciasse andare a commenti del genere, così distanti dalla sua persona stoica e apparentemente poco sensibile, priva di qualsiasi predisposizione al romanticismo. Forse, dopo tutto quello che aveva passato, anche lui era riuscito a cambiare e a limare un po’ quel lato così rigido del suo carattere. Dopo quel regalo e quella serata trascorso insieme si sentiva più sicura riguardo ai sentimenti che Shuichi provava per lei e alle sue intenzioni, nonostante ancora qualche dubbio non fosse del tutto scomparso. Quel “ti amo” che aspettava da anni non era ancora arrivato, così come la richiesta ufficiale di essere di nuovo la sua ragazza. Per un attimo, quando lo aveva visto estrarre la scatolina, nella sua testa si era immaginata una proposta di fidanzamento con tanto di anello come quelle che si vedono nei film, ma poi era riuscita a mantenere abbastanza lucidità mentale da capire che era troppo presto per una richiesta di quel genere.
Riprese il cellulare e scattò una foto al braccialetto inviandola a Shiho, che la visualizzò dopo qualche secondo. La giovane scienziata non rispose al messaggio ma preferì chiamarla.
 
- Hello?- la salutò allegramente.
- Te lo ha regalato lui?- chiese a bruciapelo, senza nemmeno salutarla.
- Buongiorno anche a te eh?- le fece notare la cosa.
- Scusami, ciao Jodie-
- Very good!- esclamò soddisfatta nella sua lingua madre - Allora, ti piace?-
- È molto bello, ma te lo ha dato Shuichi?- chiese nuovamente, in cerca di una conferma.
- Ovvio, chi altri dovrebbe avermelo dato?-
- Un ritorno di fiamma di Clay?- scherzò.
- Sei tremenda!-
- Te lo ha regalato per un motivo particolare?-
- Ha detto che lo aveva visto nella stessa gioielleria dove ha preso il portafoto che ti ho mostrato l’altro giorno e gli era piaciuto. Visto che le cose fra noi stanno andando bene è tornato e lo ha comprato-
- Ma quando te lo ha dato che ti ha detto?-
- Che il ciondolo a forma di stella gli ha ricordato la serata in cui abbiamo guardato la pioggia di comete e che il mio cognome gli ricorda le stelle. E poi ha detto che gli ricordo Manhattan e che risplendo nel buio affasciando tutti quelli che mi guardano- pronunciò quelle parole con un tono quasi infantile - È stato davvero dolce considerando che stiamo parlando di Shu-
- Ti ha paragonata a una città?- chiese scettica.
- Guarda che Manhattan è bellissima!- replicò orgogliosa.
- Sì, ma non ci trovo nulla di romantico nel paragonare la propria donna a una città. Di solito si fanno quei paragoni smielati del tipo “mi ricordi i ciliegi in fiore” o “mi ricordi le onde del mare”, ma non “mi ricordi Manhattan”-
- Stiamo parlando di Shu, cosa pretendi? Per me è anche troppo se si è sforzato di dire una cosa del genere-
- Sì, forse hai ragione. Apprezziamo il suo tentativo. Ti ha detto nient’altro?-
- Intendi quando mi ha dato il braccialetto? No, solo questo. Ma abbiamo trascorso una bellissima serata ieri-
- I dettagli intimi del tipo se avete dormito nel suo letto o nel tuo preferisco non saperli-
- Smettila subito!- si scandalizzò - Non abbiamo fatto nulla di quello che pensi!-
- Hai detto che avete trascorso una bellissima serata…dal tono pensavo a qualcosa di piccante-
 
Per i successivi minuti raccontò all’amica tutti i dettagli del loro appuntamento, dal primo all’ultimo, incluso l’incontro poco carino con i tre ragazzi ubriachi. Shiho stette ad ascoltarla in silenzio fino alla fine, per poi rivolgere un’unica domanda diretta.
 
- E in tutto questo alla fine non ti ha chiesto di essere la sua ragazza?-
 
Aprì la bocca per replicare ma non le uscì nessun suono. Shiho aveva appena dato voce a quello che fino a poco fa era stato uno dei suoi pensieri, ma non riuscì ad ammetterlo apertamente, forse perché farlo equivaleva ad ammettere che Shuichi non l’amava abbastanza per considerarla tale. Questa era la sua paura più grande.
 
- Te l’ho detto, è presto…questa era la nostra prima uscita in pubblico- si giustificò, cercando di convincere anche se stessa oltre che l’amica.
- Dunque, facciamo il punto della situazione: ti porta a prendere un gelato, cosa che solitamente fanno gli adolescenti; per tutta la sera ti rimprovera per il vestito che hai indossato invece che sentirsi onorato del fatto che gli stai semi-mostrando parti del tuo corpo a cui non ha ancora pieno accesso. Poi ti propone una passeggiata equivalente alla maratona di New York pur sapendo che stai indossando dei tacchi non proprio adatti. Infine ti regala un braccialetto dicendo che gli ricordi Manhattan: per carità, bellissima città, ma il caos e l’inquinamento luminoso rientrano nei lati positivi? E in tutto questo non ti ha chiesto l’unica cosa che doveva chiederti, ovvero di essere la sua ragazza! Ma la cosa più sorprendente è che tu sei entusiasta di tutto ciò. A questo punto onestamente non capisco più se è lui quello ad avere dei problemi o se sei tu. O forse li avete tutti e due-
 
Abbassò la testa e assunse l’espressione di una bambina che era appena stata rimproverata per aver fatto qualcosa che non doveva. Quando aveva deciso di condividere la sua gioia con Shiho non pensava che la conversazione le si sarebbe rivolta contro, spegnendo il suo entusiasmo. Forse un fondo di verità nelle sue parole c’era, ma lei che conosceva Shuichi da molto più tempo vedeva le cose da un’altra prospettiva.
Il suo prolungato silenzio fece capire all’amica che forse aveva un po’ esagerato con i giudizi affrettati.
 
- Mi dispiace Jodie, non volevo distruggere la tua felicità- sospirò - Non fraintendermi, sono contenta per te se sei così felice, ma vorrei che facesse di più per te. Che diavolo, te lo sei meritata un corteggiamento come si deve dopo sei anni che lo aspetti!-
- Lo sta già facendo, a modo suo- rispose in tono piatto - Shuichi è fatto così-
- Allora è fatto in modo sbagliato e lo deve capire. Se tu lo giustifichi sempre non cambierà mai il suo atteggiamento-
- Tu non lo conosci- sentenziò - Ok, in quest’ultimo anno trascorso avete legato molto però ci sono tante cose che non sai di lui-
- Veramente l’ho conosciuto quando era infiltrato nell’Organizzazione…-
- Hai conosciuto Dai Moroboshi, una persona che non esisteva. Non so quanto ci fosse di Shu nel ruolo che interpretava e onestamente non credo di volerlo sapere- fece un’allusione velata alla sua relazione con Akemi - Io ho conosciuto il vero Shuichi prima di tutto questo e ti posso assicurare che è ben distante dall’essere l’uomo romantico che ti fa dichiarazioni a cuore aperto o che ti vizia e ti coccola. A me non importa se andiamo a prendere un gelato invece che andare in un ristorante costoso, non mi importa se mi fa camminare un’ora sui tacchi per farmi vedere un paesaggio mozzafiato e se mi rimprovera per un vestito scollato è solo perché si preoccupa per me. Io so che è dispiaciuto per come si è comportato con me sei anni fa e so che sta facendo del suo meglio per rimediare e lo apprezzo tantissimo. Avevamo tante cose di cui parlare e tante cose da risolvere e anche se lo abbiamo fatto non vuol dire che quello che abbiamo passato sia stato cancellato via. Non basta buttarci l’uno fra le braccia dell’altro per rimarginare vecchie ferite: ecco perché posso comprendere il motivo per cui non mi abbia ancora chiesto di essere la sua ragazza. Questo però non significa che sto nascondendo la testa sotto la sabbia, la mia comprensione arriverà fino a un certo punto e allora dovrà dirmelo, altrimenti non ci sarà alcun futuro per noi-
 
Questa volta fu il turno di Shiho di restare in silenzio, non sapendo come replicare. Sperò di non essere stata troppo dura, sapeva che l’amica era dalla sua parte e voleva solo il meglio per lei, ma forse idealizzava un po’ troppo l’amore come avrebbe fatto qualsiasi ragazza della sua età.
 
- Io sono felice Shiho, davvero. Quello che ho avuto da Shu nell’ultima settimana è molto più di quanto mi aspettassi- ruppe il silenzio.
- Mi dispiace- riuscì solo a dire.
- Non devi dispiacerti, lo so che sei preoccupata per me e lo apprezzo, ma abbi un po’ più di fiducia in Shu e soprattutto rispetta i suoi tempi. È vero, sono tempi lunghi e snervanti, ma nessuno è perfetto, no?- scherzò.
- Lui no di certo- sospirò.
- Ora devo vestirmi, fra poco verrà a prendermi. Oggi torniamo nel Queens, al Forest Park- disse felice.
- Non ti ho mai sentita così entusiasta, sono davvero contenta per te Jodie-
- Lo so tesoro-
- A dire il vero qui sono tutti contenti che vi frequentiate-
- Tutti chi?- chiese, un po’ allarmata.
- I tuoi futuri suoceri, la tua futura cognata e anche il tuo futuro cognato che non vede l’ora di conoscerti di persona-
 
Restò paralizzata per qualche secondo, incapace di trovare una reazione adeguata all’idea che l’intera famiglia Akai fosse in trepidante attesa di aggiornamenti sul suo rapporto con Shuichi. La metteva un po’ in imbarazzo sapere che al loro prossimo incontro tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei.
 
- Che cosa gli hai detto di preciso?- chiese, timorosa della risposta.
- A Masumi ho detto che suo fratello maggiore si era svegliato dal letargo e ti aveva chiesto di uscire insieme, poi lei ha detto ai suoi che vi eravate fidanzati. Quando ha fatto il grande annuncio era presente anche Shuukichi, l’altro figlio, che ha iniziato a fare domande su di te; allora gli ho mostrato una tua foto e ha detto che sei molto bella e che vuole assolutamente conoscerti-
- Ti rendi conto che questa cosa è imbarazzante, vero?- sospirò.
- Perché? Se quello si da’ una mossa a chiederti di diventare la sua donna sarai a tutti gli effetti parte della famiglia, quindi mi sembra giusto che sappiano. E poi lo avevano capito tutti che c’era qualcosa fra voi, si aspettavano questa notizia da un pezzo-
- Lo so ma sarebbe stato meglio aspettare che glielo dicesse Shuichi-
- Mancano solo sei mesi a Natale e mia zia vorrebbe sapere se deve apparecchiare la tavola aggiungendo un posto in più- ironizzò, sottolineando come attendere Shuichi equivalesse a rimandare le cose in eterno.
- Salutami tutti quanti allora- si arrese.
- Se vuoi rientro un attimo in casa e attivo la videocamera, oggi è domenica quindi sono da loro-
- Mi piacerebbe ma devo proprio scappare, è tardissimo. Facciamo un’altra volta, ok?-
- Vai, fatti bella per il tuo appuntamento- la prese un po’ in giro.
- Contaci! A presto tesoro-
 
Chiuse la telefonata e corse in bagno a sciacquarsi il viso, per poi tornare in camera e sistemare il letto ancora sfatto. Infine cercò dei vestiti comodi per la giornata al parco, un top a spalla larga e un paio di pantaloncini corti che le lasciavano scoperte gran parte delle gambe, mentre ai piedi indossò delle semplici scarpe da ginnastica leggere dal momento che risentiva ancora della lunga passeggiata sui tacchi fatta la notte scorsa. Come ultima cosa decise di mettere al polso il braccialetto che le aveva regalato Shuichi.
Fece giusto in tempo a finire di prepararsi che il citofono suonò.
 
 
Shuichi parcheggiò la macchina vicino all’area del parco dove era possibile organizzare barbecue e pic nic, situata proprio dietro alla tribuna semisferica davanti alla quale avevano guardato la pioggia di comete. Era ormai ora di pranzo, pertanto avrebbero consumato subito ciò che avevano comprato poco prima al piccolo minimarket che restava aperto anche la domenica. Scesero dall’auto e s’incamminarono all’interno, dove altre persone erano sedute ai tavolini di legno oppure avevano steso un telo sul prato all’ombra delle querce che circondavano l’area ristoro. Nell’aria aleggiava il profumo della carne cotta sulle griglie dei barbecue.
 
- E se ci imbuchiamo e chiediamo a qualcuno di darci un po’ di carne?- suggerì, attirata da quell’odore più che dai panini che avevano acquistato.
- Con quale scusa, visto che abbiamo una borsa con del cibo?-
- Beh gli diciamo semplicemente la verità-
- E sarebbe?-
- Che la loro carne è più buona dei nostri panini- finse un’espressione innocente, che fece sorridere il compagno.
 
Si sedettero all’ombra di una delle querce, l’uno di fianco all’altra, estraendo dalla borsa che si era portata dietro appositamente il loro pranzo: un paio di sandwich a testa, bottigliette di acqua, l’immancabile caffè nero in lattina di Shuichi e qualche frutto. L’estate era arrivata e il caldo si faceva sentire, pertanto avevano scelto cibi freschi e nutrienti.
Diede un primo morso al proprio sandwich, guardando sconsolata un padre di famiglia che sollevava dalla griglia una bistecca ben cotta e la posava nel piatto usa e getta del figlio, il quale attendeva con impazienza. Continuò a dare morsi al panino e a fissare l’uomo intento a preparare altra carne, fino a quando non sentì lo sguardo di Shuichi pesare su di lei.
 
- Scusami, non volevo ignorarti- gli sorrise - Mi ero distratta-
- Un tuffo nel passato?- le chiese in modo indiretto ma riferendosi chiaramente a qualche ricordo di suo padre.
- No, nulla del genere. Avevamo il barbecue in giardino, ma papà non lo faceva spesso. Se devo essere sincera stavo fissando il loro pranzo, sono invidiosa- ammise.
- Tipico di te, quando sei affascinata da qualcosa ne diventi ossessionata- ghignò.
- Ti riferisci a te Mr. “penso di essere il migliore di tutti”?- lo canzonò.
- Anche-
 
Si scambiarono il secondo bacio della giornata, il primo se lo erano dati davanti alla sua macchina prima di salire e dirigersi al minimarket. Quando si separarono gli occhi verdi di Shuichi caddero sul suo polso, dove brillava timido il braccialetto che le aveva regalato. Sorrise e spostò lo sguardo sui suoi occhi, facendola arrossire.
 
- Lo hai indossato per venire a fare un picnic e una passeggiata nel parco?-
- Perché, cosa c’è di male? Non devo inseguire un criminale o fare attività fisica, è solo una tranquilla giornata al parco. E poi mi piace e avevo voglia di indossarlo, è un problema?- finse di imbronciarsi.
- No affatto, sono contento che ti piaccia- ammise apertamente.
 
Finirono di consumare il loro pasto scambiandosi qualche bacio di tanto in tanto, nulla di troppo passionale dal momento che erano circondati da altre persone inclusi bambini. Di tanto in tanto la mano di Shuichi toccava le sue cosce, quasi sfiorandole: anche se non glielo aveva mai confessato apertamente, aveva sempre avuto l’impressione che Shuichi apprezzasse molto le sue gambe. Sin da quando erano stati insieme sei anni prima, aveva notato la sua tendenza a toccarle le gambe quando poteva, ovviamente sempre in modo rispettoso e senza ricadere nel volgare. Questa cosa, inutile negarlo, la rendeva felice.
 
- Bene, da cosa cominciamo?- chiese, battendo le mani.
- Da quello che vuoi tu-
- Sì ma tu sei già stato qui, sai se c’è qualcosa di particolarmente interessante da vedere?-
- Vediamo…- ci pensò su - Alle nostre spalle c’è un campo da tennis e accanto uno spazio adibito ai cani. Andando avanti ci sono delle fontane, un piccolo spazio per i bambini e uno dove far volare modellini di aerei. In linea d’aria davanti a noi, al di là del campo da golf, ci sono un campetto da basket e uno da baseball. Immediatamente alla nostra destra invece, nell’area visitatori, ci sono la famosa giostra, uno skatepark, alcuni campi da baseball, uno da pallamano, uno da calcio e infine uno da football. Questa è la parte del parco dove siamo noi, poi c’è l’altra parte in cui ci sono più alberi, un sentiero da percorrere a cavallo e altri campi da basket, baseball e tutto ciò che c’è anche in questo lato escluso il campo da golf-
- Mi chiedo perché ho scaricato sul telefono una cartina del parco quando ho Shu il navigatore umano- scherzò, facendolo sorridere.
- Allora, cosa vuoi fare?-
- Direi di fare un giro intorno al campo da golf per vedere un po’ tutto, fino a quando non arriviamo alla giostra. Poi se abbiamo ancora tempo facciamo un giro nell’altra parte del parco. Che ne dici?-
- Sono d’accordo-
 
Iniziarono a camminare fianco a fianco lungo il sentiero, Shuichi teneva le mani nelle tasche e questo le fece sentire la mancanza della sua mano che aveva stretto per tutta la sera la notte scorsa. C’era da dire che il parco era davvero pieno di persone e lei sapeva che Shuichi non amava mostrarsi troppo sdolcinato in pubblico, specie se la folla intorno a loro era numerosa come in quel caso. Così decise di prendere lei l’iniziativa e lo prese sottobraccio, stringendosi di più a lui; Shuichi la lasciò fare senza controbattere.
Passarono oltre il laghetto dove qualcuno pescava e oltre il campo da tennis, dal momento che nessuno dei due era interessato, per poi fermarsi davanti allo spazio dedicato ai cani. Shuichi sarebbe anche passato oltre, ma lei aveva smesso di camminare costringendolo a restare lì. Le piaceva guardare quei piccoli amici a quattro zampe che scodinzolavano felici, la metteva di buon umore.
 
- Non dirmi che devo regalare un cucciolo anche a te per il compleanno- la prese in giro, riferendosi al cagnolino che avevano comprato insieme per Shiho.
- Magari potessi permettermi di tenerne uno, mi farebbe compagnia- fece sporgere in fuori il labbro inferiore, assumendo un’espressione dispiaciuta - Guarda che musetti che hanno-
 
Rimasero lì per qualche minuto, per poi dirigersi nell’area adibita al volo dei modellini aerei dove sostarono nuovamente, dal momento che Shuichi sembrava particolarmente interessato. Mentre seguiva coi suoi occhi verdi il volo di un modellino in particolare, le sembrò di scorgere un velo di malinconia nei suoi occhi, come se un ricordo invisibile e silenzioso stesse attraversando la sua mente.
 
- Ti piacciono?- gli chiese, desiderosa di sapere a cosa stesse pensando.
- Sì, è un po’ come fare un tuffo nel passato- ammise.
- Da piccolo ci giocavi anche tu?-
- Mio padre me ne aveva preso uno e il sabato pomeriggio andavamo ad Hyde Park per farlo volare. Quando mio fratello è diventato abbastanza grande ha iniziato a venire insieme a noi. Poi papà è sparito e ci siamo trasferiti in Giappone. Shuukichi voleva che continuassimo quella tradizione e mi ha chiesto più volte di portarlo al parco, ma non l’ho mai fatto. Senza nostro padre non aveva senso-
 
Istintivamente, gli prese il volto fra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi, per poi avvicinarsi e baciarlo senza curarsi delle persone che passavano o guardavano. In quel momento non le importava di nulla se non di cercare di cancellare il dolore di quei ricordi. Si era confidato con lei e per questo doveva fare del suo meglio per ringraziarlo.
Fu un semplice bacia a stampo, ma durò per qualche secondo. Quando si staccò da lui vide la sua espressione perplessa.
 
- Grazie Shu- sorrise.
- Per cosa?-
- Per avermi confidato questo tuo ricordo. Ti prometto che lo custodirò qui- si portò una mano al petto.
- È solo un ricordo come tanti-
- No, è un ricordo molto importante e sono felice che tu abbia scelto di condividerlo con me. Ma non devi più essere triste, ora tuo padre è tornato da voi-
- Già, ma nessuno ci ridarà indietro quei giorni da fuggitivi senza di lui-
 
Restò per qualche secondo in silenzio, rispettando il suo dolore. Lo poteva comprendere meglio di chiunque altro, anche a lei nessuno avrebbe restituito i giorni trascorsi senza suo padre. Shuichi però poteva ancora sperare di trascorrere nuovi giorni con suo padre.
 
- È vero, ma puoi sempre recuperare. La prossima volta che torni in Giappone, perché non vai con tuo padre e tuo fratello in un parco a far volare un modellino aereo?-
- Forse perché non ho più sette anni?- la guardò storto.
- E questo che vuol dire? Ci vuole forse una determinata età per fare quello che ci piace?-
- Dipende, se a sette anni vai con tuo padre e il tuo fratellino al parco a giocare con i modellini telecomandati nessuno si meraviglia della cosa, ma se ci vai a trentatré anni con tuo fratello di ventinove e tuo padre nel bel mezzo dei cinquanta allora potresti non essere preso sul serio-
- E a te che importa di cosa pensa la gente? Lasciali parlare, l’importante è che renda felice te. Sei fortunato a poter ancora fare qualunque cosa tu voglia con tuo padre- si sforzò di sorridergli, ma un velo di tristezza le annebbiò comunque gli occhi, cosa che non sfuggì a Shuichi.
- Allora quando torneremo in Giappone verrai al parco con noi. Se dobbiamo fare brutta figura almeno facciamola tutti insieme- le sorrise beffardo.
- Accetto volentieri!-
 
Sapeva che le aveva detto quella frase scherzosa per tirarla su di morale, ma dietro le righe c’era molto di più. Era come se le avesse detto che aveva tutta l’intenzione di portarla con sé a rivedere la sua famiglia, con la differenza che stavolta forse non l’avrebbe presentata come una collega o come un’amica ma come la sua ragazza. Anche lei sarebbe stata parte di quella famiglia e forse non si sarebbe più sentita così sola al mondo.
Ripresero la loro passeggiata fino a quando non arrivarono nell’area dove si trovavano il campetto da basket, quello da baseball e una piccola area giochi per i bambini. Senza esitare, lasciò la presa sul braccio di Shuichi e si avvicinò al campetto da basket, dove alcuni ragazzi stavano giocando una partita. Erano molto giovani, probabilmente liceali, ma le loro altezze non proprio comuni li facevano sembrare già degli adulti. Osservò affascinata come uno di loro, con un solo salto e un braccio allungato, toccò senza fatica il canestro mentre ci metteva dentro la palla. Avrebbe tanto voluto giocarci anche lei, ma si rendeva conto che l’altezza non le era di aiuto. Non che fosse bassa, ma i suoi centimetri non erano comunque abbastanza per quel gioco.
 
- Sei ancora una fanatica del basket?- le chiese Shuichi, che nel frattempo l’aveva raggiunta.
- Ovvio!-
- Perché non gli chiedi se ti fanno giocare?- la prese in giro.
- Ma che simpatico!- fece una smorfia.
 
Restarono in silenzio per un paio di minuti, osservando entrambi la partita, fino a quando Shuichi le rivolse una domanda.
 
- Posso chiederti cosa ci trovi in questo sport? Non fraintendermi, non che sia brutto, ma non ci ho mai trovato qualcosa di più interessante rispetto a tanti altri-
- I giocatori saltano talmente in alto che a volte ho l’impressione di vederli volare- spiegò - Ma non è solo questo, è qualcosa che non saprei spiegarti. Quando li vedo giocare mi emozionano-
- Sei mai stata a una partita dell’NBA?-
- Una volta con papà, poco prima che morisse. Una sera mi aveva visto incollata alla TV a guardare una partita di basket e poco tempo dopo ha comprato dei biglietti: New York Knicks contro Los Angeles Lakers. È stato uno dei giorni più bella di tutta la mia vita-
- Vorrà dire che a uno dei prossimi appuntamenti ti inviterò a vedere una partita di basket-
- Ma se hai detto che non ci trovi nulla di speciale!-
- Magari cambio idea-
 
Rimasero a guardare fino alla fine della partita e poi decisero di andare dritti allo skatepark dove si soffermarono ad osservare le acrobazie che giovani adolescenti stavano facendo sui loro skateboard colorati, mentre di tanto in tanto qualcuno di loro cadeva suscitando le risa degli altri. Al di là di esso potevano vedere la giostra illuminata, piena di bambini con i loro genitori.
 
- Allora, andiamo anche noi a fare un giro sulla giostra?- gli fece l’occhiolino.
- Se ci tieni tanto ti accompagno, d’altra parte i bambini devono essere accompagnati dagli adulti per salirci sopra- stette al gioco punzecchiandola.
- Se dico che sono la tua mamma non ci crederà nessuno-
- Vuoi che telefoni a James per chiedergli il permesso di farti salire sulla giostra pericolosa?-
- Meglio di no, papino non sa che sono uscita con un ragazzo-
 
Adorava quando si punzecchiavano in quel modo, veniva tutto naturale e spontaneo grazie alla chimica che c’era sempre stata fra loro. Aveva l’impressione che il tempo non fosse mai trascorso, che quegli ultimi sei anni trascorsi da semplici colleghi fossero stati solo un brutto incubo. Anche se era consapevole che la realtà fosse ben diversa, in cuor suo sperava in futuro di vivere solo giornate come quelle che avevano trascorso nell’ultima settimana.
Decisero infine di addentrarsi nella foresta seguendo uno dei tanti sentieri. Camminavano fianco a fianco ammirando la natura intorno a loro: laghetti e stagni, piccoli ponti da attraversare, fiori e arbusti, libellule e farfalle che svolazzavano intorno a loro, piccoli animali selvatici e uccelli di varie specie. Per gente come loro abituata a vivere nel caos di Manhattan, quel luogo sembrava un piccolo angolo di paradiso dove respirare aria fresca e rigenerarsi.
Dopo un’ora di camminata si fermarono in uno spazio appartato sulla riva di un laghetto e si sedettero su un grosso masso che stava proprio lì davanti. I suoi piedi avevano decisamente bisogno di riposare, nelle ultime dodici ore li aveva messi a dura prova. Intorno a loro regnava il silenzio, interrotto solo dal cinguettio degli uccellini. Shuichi si guardò intorno, come se volesse accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi la fissò con quello sguardo che faceva ogni volta che desiderava baciarla. Non avevano avuto modo di scambiarsi molte effusioni da quando erano arrivati, c’era sempre troppa gente (e soprattutto bambini) per amoreggiare senza ritegno come se nulla fosse. Così prese lei l’iniziativa e decise di accontentarlo, avvicinandosi a lui più che poteva e premendo le labbra contro le sue. In pochi secondi quel bacio si fece molto, molto passionale, a tal punto da farle emettere dei deboli mugolii di piacere. Sentiva il respiro accelerato per la mancanza di aria ma anche per l’eccitazione che cresceva sempre di più in lei, il suo petto si alzava e si abbassava strusciandosi contro quello di Shuichi, cosa che lui sembrava gradire. Sentì le sue abili dita farsi spazio sotto il top che stava indossando, accarezzandole il fianco e poi la parte bassa della schiena: a quel gesto il suo corpo rispose facendole percepire un formicolio al basso ventre, unito al desiderio di essere toccata sempre più da lui. Stava cercando con tutte le sue forze di trattenere quegli impulsi, ma ad ogni appuntamento sentiva sempre più il desiderio di fare l’amore con lui. Gli passò una mano sul petto e sentì i suoi muscoli sotto la maglietta a maniche corte che stava indossando, aderente al punto giusto. Avevano quasi raggiunto l’assenza di ritegno con quei baci e quelle carezze, anche se all’apparenza erano soli sarebbe comunque potuto passare qualcuno all’improvviso e non era il caso di farsi trovare un atteggiamenti così intimi, senza contare che se non avesse smesso subito probabilmente non sarebbe più riuscita a fermarsi e non voleva cedere alla debolezza di concedersi a lui, non fino a quando non lo avrebbe sentito pronunciare quelle parole che voleva sentire.
Fu Shuichi a interrompere le loro effusioni quando sentì delle voci e dei passi che si stavano avvicinando velocemente a loro: qualcuno stava correndo e presto li avrebbe raggiunti. Si sistemò il top che era rimasto un po’ sollevato e cercò di ricomporsi, mentre Shuichi continuava a tenere d’occhio la situazione. Quando le voci furono abbastanza vicine da sentire distintamente le parole, sgranò gli occhi e fissò allarmata il compagnò, che in tutta risposta la guardò a sua volta. Poteva leggere nei suoi occhi la stessa preoccupazione, nonostante cercasse di mascherarla mantenendo la calma. Sapevano bene a chi appartenessero quelle voci: Camel e Jonathan. Di tutte le persone che potevano incontrare in quel parco, il destino aveva voluto che fossero proprio due dei loro colleghi di lavoro, uno dei quali strettamente legato a loro. Non avevano un posto dove nascondersi e non potevano scappare, quindi dovevano trovare una scusa plausibile e dovevano farlo in meno di tre secondi. La loro unica speranza era di non essere visti.
 
- Akai, Jodie-
 
Lo scalpitio dei piedi che correvano si arrestò di colpo e la voce profonda di Camel pronunciò i loro nomi. La speranza di non essere visti era appena colata a picco. Pregò che Shuichi avesse una soluzione perché la sua mente non era abbastanza lucida in quel momento da fare ragionamenti troppo complessi.
Si girarono entrambi verso il collega e lei cercò di fare uno di quei fintissimi sorrisi che faceva ogni volta che doveva mettere in atto un teatrino e fingersi innocente.
 
- Camel, Jonathan, anche voi qui?- disse, fingendosi sorpresa.
- Già, abbiamo approfittato della bella giornata per fare un po’ allenamento in un posto meno caotico degli angoli di Manhattan dove andiamo di solito- rispose Jonathan, che come Camel era ossessionato dalla forma fisica - Voi due invece che ci fate lì seduti in disparte, lontani da tutto?-
 
Capì dall’espressione del suo volto che stava chiaramente alludendo al fatto che si fossero appartati di proposito e questo non era un buon segno. Se avesse sparso la voce al lavoro addio privacy e benvenuti commenti indesiderati gratuiti.
 
- Volevo vedere i cavalli- se ne uscì con la prima cosa che le veniva in mente.
 
Con la coda dell’occhio notò che Shuichi le aveva lanciato un’occhiataccia e aveva tutte le ragioni per farlo: quella scusa faceva acqua da tutte le parti.
 
- Ma il percorso da fare a cavallo è sul lato opposto…- le fece notare Camel, che in quel momento non era di aiuto.
- Infatti, ma Shu continuava a dire che era da questa parte e guarda dove siamo finiti!- incrociò le braccia al petto, fingendosi imbronciata - Ci siamo fermati per dare un’occhiata a una cartina online e per riposare i miei poveri piedi-
- Akai, non pensavo che avessi problemi di orientamento-
 
Maledetto Camel, perché non la smetteva di metterle i bastoni fra le ruote e non riprendeva il suo allenamento?!
 
- Mi sono solo confuso in mezzo a tutto questo verde, era da un po’ che non venivo qui- rispose Shuichi, con una calma invidiabile.
- Beh, meglio se torniamo al nostro allenamento prima che i muscoli si raffreddino, vero Camel?- salvò la situazione Jonathan - Lasciamo che questi due trovino la strada giusta per i cavalli-
 
Ebbe l’impressione che il collega avesse enfatizzato l’ultima parola con il tono della voce, come a voler insinuare che non aveva creduto a una sola parola di quello che avevano detto. Jonathan era più acuto di Camel, probabilmente non gli ci era voluto molto per capire la situazione.
 
- Allora ci vediamo domani al lavoro- li salutò con un cenno della mano Camel, seguito da Jonathan.
- Bye bye- fece nuovamente un finto sorriso a cui Shuichi rispose con un’altra occhiataccia.
 
Quando i due colleghi si furono nuovamente allontanati, si lasciò andare a un lungo sospiro. Si sentiva stanca come se avesse corso anche lei insieme a loro per chilometri. Mentire era difficile per una onesta e trasparente come lei.
 
- Pensi che se la siano bevuta?- chiese, girandosi a guardare il compagno.
- “Volevo vedere i cavalli”- citò le sue parole, con una nota di rimprovero - Davvero non hai trovato niente di meglio?-
- E secondo te cosa potevamo dirgli? Ci hanno beccati soli soletti in un angolo appartato del parco!-
- In realtà stavo per dirgli che stavamo passeggiando e che avevi avuto un capogiro per il troppo caldo, quindi ci eravamo fermati perché potessi riposare e bere. Poi tu te ne sei uscita con “volevo vedere i cavalli”-
- Scusa, ero sotto pressione- ammise, abbassando lo sguardo - Di tutte le persone che potevamo incontrare proprio Camel e Jonathan? Che cavolo!-
- Di Camel non mi preoccupo, ma Jonathan non lo conosco abbastanza da garantire che non spargerà voci infondate al lavoro-
- Già, e il problema è che mentre Camel non sembrava avere sospetti, Jonathan ci ha lanciato delle occhiatine per tutto il tempo-
 
Seguì qualche secondo di silenzio in cui probabilmente entrambi rifletterono sulla questione.
 
- Cosa facciamo adesso Shu? Non voglio che si parli di noi più di quanto non sia già stato fatto-
- Purtroppo temo che non possiamo farci nulla, prima o poi la cosa si verrà a sapere. Cerchiamo di limitare i danni al minimo-
- Che cosa intendi?-
- Forse per un po’ è meglio non frequentare posti troppo affollati dove abbiamo più probabilità di incontrare qualche collega. Non dico che dobbiamo chiuderci in casa, ma agiamo con la massima discrezione. Cerchiamo di trovare posti più tranquilli-
- Hai ragione- annuì - Scusami ancora per la storia dei cavalli-
- Non fa nulla, tanto si sarebbero insospettiti comunque- la tranquillizzò.
- Come fai a dirlo? Se ti avessi lasciato parlare sono certa che avresti trovato una scusa molto più credibile della mia-
- Questo è vero, ma anche raccontandogli la storia del calo di pressione ci sarebbe comunque stata un’altra domanda, primaria e fondamentale a cui dare risposta. E forse nemmeno io avrei saputo trovare una scusa davvero convincente-
- E quale sarebbe?-
- Perché siamo venuti qui insieme-
- Allora potevamo fare noi la stessa domanda a Camel e Jonathan- alzò le spalle - Loro possono e noi no?-
- Loro sono due uomini, due amici e colleghi che sono venuti ad allenarsi insieme al parco- 
- Esistono le coppie gay, Shu. Siamo nel ventunesimo secolo, è una cosa del tutto normale- gli fece notare.
- Allora domani in ufficio chiedi a Camel come bacia Jonathan. Sono curioso- ironizzò - È una situazione diversa, Jodie. Loro non hanno avuto una precedente relazione né hanno mai manifestato interesse l’uno verso l’altro. E soprattutto non si sono appartati in un angolo del parco-
 
Le costava ammetterlo ma Shuichi aveva ragione: i loro precedenti non aiutavano di certo a risolvere la situazione. Dovevano accettare la realtà dei fatti, ovvero che non potevano nascondere la loro frequentazione in eterno. L’idea di risentire di nuovo commenti poco opportuni le fece provare un senso di ansia, che si unì a quella data dal pensiero di cosa avrebbe detto James se lo avesse saputo. Non che in passato avesse messo loro i bastoni fra le ruote o si fosse opposto alla loro relazione, al contrario aveva chiuso un occhio con la sola condizione che l’amore non interferisse col lavoro. Stavolta però era diverso: di certo non sarebbe stato così permissivo dopo averla vista piangere e soffrire per tutto quel tempo.
 
- Tranquilla, non è successo nulla di grave- le prese il volto fra le mani, sorridendole per cercare di rassicurarla - Se questa cosa dovesse causare problemi, penseremo al momento a come risolverli. Magari a Jonathan non interessa nulla e terrà la cosa per sé-
- Speriamo sia così- cercò di ricambiare il sorriso, ma non ci riuscì fino in fondo.
- Allora, vuoi andare a vedere i cavalli?- ghignò.
- Smettila subito!- gli diede una piccola pacca sulla spalla.
- Pensavo volessi vederli sul serio-
- No, in realtà preferivo quello che stavamo facendo prima di essere interrotti- ammise senza nemmeno rendersene conto, per poi arrossire.
- Sono d’accordo, ma a quanto pare non è un posto abbastanza tranquillo per certe cose-
- Se vuoi possiamo tornare a Manhattan e andare a casa mia oppure da te, per stare più tranquilli-
 
Realizzò solo dopo averle pronunciate che quelle parole suonavano come un invito a spingersi oltre, cosa che non doveva assolutamente succedere nonostante il desiderio che li aveva colti poco prima. Arrossì e abbassò lo sguardo quando lo vide ghignare a quelle parole: si era appena fatta scacco matto da sola.
 
- Allora ti riaccompagno e mi fermo da te. Sempre che ti vada- accettò la proposta.
- Certo- annuì, incapace di ritirare quanto aveva appena detto.
 
Sentiva le guance in fiamme e non era di certo solo la calura pomeridiana a produrre quell’effetto sul suo viso. Si erano promessi di andarci piano, ma non avevano fatto i conti coi loro desideri irrazionali.
Shuichi le cinse le spalle con un braccio e lei allungò uno dei suoi dietro la sua schiena. Così abbracciati, ripercorsero i propri passi per tornare al parcheggio. Mentre camminavano cercò di mascherare l’imbarazzo trovando qualsiasi argomento, anche il più futile, pur di fare conversazione: se fosse caduto il silenzio fra loro non avrebbe saputo come uscirne. Nella sua testa continuava ad arrovellarsi il pensiero di cosa sarebbe accaduto di lì a poco, non appena avrebbero raggiunto il suo appartamento.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Che dire? Ho deciso di chiudere questo capitolo così, con un po’ di suspence, mentre il rapporto fra i nostri due idioti preferiti progredisce. Spero che questo appuntamento al parco vi sia piaciuto.
Anche in questo caso ciò che ho descritto nel parco è reale, magari la descrizione non sarà precisa al 100% perché non ci sono mai stata ma ho cercato di rispettare il più possibile quanto riportato nelle informazioni che ho raccolto. Vi lascio sotto il link al sito del Forest Park in cui c’è anche una cartina che rende più chiara la descrizione che ho fatto:
http://forestparktrust.org/parks/forest-park/forest-park-features/
Ringrazio come sempre tutti quelli che stanno sostenendo questa storia e anche i tanti lettori silenziosi.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34: Voci di corridoio ***


Capitolo 34: Voci di corridoio
 
 
 
Quando arrivò in ufficio trovò come sempre Shuichi già seduto alla sua scrivania, ma stavolta non da solo: di fianco a lui c’era Yuriy, con cui stava parlando mentre guardavano fogli e fotografie probabilmente inerenti al caso della mafia russa. Indugiò un attimo sulla porta, prendendo tempo prima di entrare. Doveva prepararsi psicologicamente a recitare la parte della semplice collega, come faceva ogni giorno, ma stava diventando sempre più difficile man mano che il suo rapporto con Shuichi progrediva. Ripensò alla sera prima, quando erano tornati a casa dopo essere stati al parco: avevano cenato con qualcosa di leggero e fresco, poi si erano seduti sul divano a parlare e si erano concessi un altro bicchiere dello Scotch avanzato dal loro primo appuntamento. Inutile dire che alla fine di tutto ciò avevano ripreso ciò che era stato interrotto al parco. Le sembrava di sentire ancora le mani di Shuichi sollevarle il top e accarezzarle la schiena nuda, la pelle che s’infiammava al contatto con le sue dita. Anche lei aveva osato infilargli una mano sotto la maglietta e accarezzare gli addominali proprio sopra alla cintura dei pantaloni, senza mai però oltrepassare quella linea. Avrebbero potuto seguire l’istinto e lasciare che la natura facesse il suo corso, ma alla fine si erano fermati prima di quel confine che per il momento si erano imposti di non varcare. Nonostante ciò non potevano cancellare quei baci appassionati e quelle carezze profonde e ora si chiedeva come avrebbe fatto a fingere che Shuichi fosse solo un collega.
 
- Guarda che puoi entrare, non mordiamo-
 
La voce di Yuriy la riportò alla realtà. Si accorse che Shuichi la fissava sorridendo e lei ricambiò, stando attenta a non farlo in un modo che potesse destare sospetti nel collega presente in quella stanza insieme a loro.
 
- Buongiorno a tutti- salutò, entrando e prendendo posto alla sua scrivania - Non sapevo che fossi mattiniero come Shu, Yuriy-
- In realtà non arrivo così presto tutte le mattine, diciamo che mi piace alternare giornate mattiniere e giornate in cui mi concedo un po’ più di sonno-
 
Prese posto anche lei alla sua scrivania e lanciò una veloce occhiata a Shuichi, che la guardò a sua volta sorridendole di nuovo. Probabilmente anche lui stava ripensando alla giornata di ieri e a quei baci e carezze bollenti come il sole d’agosto. Sentì lo stesso calore espandersi sulle sue guance e realizzò che stava arrossendo: si girò velocemente dalla parte opposta prima che Yuriy potesse notarlo e farle domande.
 
- Buongiorno- la salvò Camel, che entrò salutando.
 
Sgranò gli occhi al suono della sua voce, realizzando che non era di certo Yuriy quello di cui si doveva preoccupare: Camel li aveva visti al parco e non sapeva che idea si era fatto della cosa. Pregò con tutta se stessa che non tirasse fuori l’argomento, non avrebbe saputo come affrontarlo esattamente come non aveva saputo farlo il giorno prima.
 
- Qualche novità sul caso?-
 
Fece un sospiro di sollievo a quella domanda, forse poteva confidare nel fatto che Camel si fosse dimenticato di quell’incontro o meglio che non gli avesse dato troppo peso. Chissà se anche Jonathan, che temeva più dello stesso Camel, avesse rimosso quello che aveva visto.
 
- Sì, sono riuscito ad avere qualche informazione in più- parlò Yuriy - Ne ho appena parlato con Akai, aspettavamo che arrivaste anche voi per aggiornarci tutti insieme e decidere come procedere-
 
Si riunirono tutti vicini, per poter osservare foto e documenti nello stesso istante senza farli girare. Per qualche strano scherzo del destino Yuriy, che fino a quel momento era rimasto fra lei e Shuichi come una specie di divisoria umana, si spostò dal lato opposto, restando comunque al fianco del compagno. Camel invece si posizionò dietro di lei, dandole la sensazione di avere un gigante di pietra alle spalle. Perfetto, ora si trovava di fianco a Shuichi, con Camel da un lato e Yuriy dall’altro, come due avvoltoi pronti a divorare i resti di carcasse. Questa bizzarra disposizione le mise ancora più ansia di quanta non ne avesse già.
 
- Il nostro uomo d’affari che è stato assassinato si chiamava Russell Harrington, proprietario delle Harrington Wineries Inc. La sua società dispone di cantine sparse per tutto il mondo, di cui le più importanti in Francia e in Italia dove si producono i vini migliori. Non ci ha messo molto a farsi un nome nell’Upper East Side, tra feste mondane e cene di lavoro il consumo di vini pregiati è la normalità: questo gli ha permesso di aprire anche dei locali, raffinati wine bar dove assaggiare le sue produzioni a modiche cifre da far girare la testa. Una vita perfetta: soldi, successo, una bellissima moglie. Il nostro amico però aveva un piccolo vizio stando ai risultati dell’autopsia effettuata sul suo cadavere-
- Cioè?- chiese Camel, che sembrava piuttosto attento e interessato.
- Droga. Nel taschino interno della giacca che indossava quando è stato assassinato hanno trovato una bustina con dentro una sostanza bianca che si è poi rivelata essere cocaina; inoltre sono state trovate tracce della stessa sostanza anche nei capelli, nel sangue e nelle urine-
- Questo vuol dire che l’aveva assunta poco prima di morire- rifletté Camel ad alta voce.
- Non è detto- lo corresse - A seconda del consumo che si fa della sostanza, la cocaina può essere rilevata nelle urine fino a quattro giorni dopo l’assunzione. Se vogliamo essere precisi ciò che viene rilevato non è la cocaina in sé ma il suo sottoprodotto, la norcocaina: la maggior parte di essa viene espulsa con le urine, ma nei consumatori abituali rimangono in circolo dei metaboliti inattivi che sono rilevabili anche a distanza di alcune settimane. Per quanto riguarda invece il sangue, le tracce rimangono visibili fino a cinque giorni dopo l’assunzione, ma è necessario fare esami specifici per il rilevamento delle tracce di cocaina, in quanto non è possibile trovarle con delle semplici analisi del sangue di routine. Infine abbiamo i capelli, dove le tracce possono restare per mesi e quindi ci sono più possibilità di individuarle- concluse.
 
La fissarono tutti con grande stupore, come se avesse appena rivelato un segreto sconcertante. Probabilmente non si aspettavano una tale preparazione su un campo come quelle delle droghe o forse sottovalutavano le sue capacità. Si sentì fiera di averli lasciati senza parole: non aveva nulla di cui sentirsi inferiore a loro, anche lei si era preparata negli anni e sapeva fare bene il suo lavoro.
 
- Caspita Jodie, vedo che sei informata- si complimentò Yuriy- Hai un passato da narcotrafficante o fai uso di droghe?- la prese in giro subito dopo.
- Entrambe le cose- replicò storcendo il naso, un po’ risentita di non essere stata presa sul serio.
- Harrington è stato ucciso fuori da uno dei suoi wine bar: questo fa presumere che l’assassino sia qualcuno che lo conosceva e frequentava i suoi locali- li riportò a discorsi seri Shuichi.
- Ma se a ucciderlo sono stati quelli della mafia russa, come potevano frequentare locali tanto mondani per gente ricca e apparentemente per bene? Avrebbero di certo dato nell’occhio e la clientela non ne sarebbe stata entusiasta- rifletté.
- Mai sentito parlare di porte sul retro?- scherzò Yuriy – Sicuramente li faceva entrare nel locale da una porta di servizio, in modo che non potessero essere visti, e altrettanto sicuramente non li faceva accedere alla sala principale del locale-
- Intendi dire che ci sono sale nascoste alla clientela?-
- Beh, se volessi chiudere affari loschi in un luogo sicuro di mia proprietà mi accerterei di costruire assolutamente una sala privata non accessibile al pubblico-
- Pensi che la droga che Harrington acquistava e la mafia russa abbiano una correlazione fra loro?- chiese Camel.
- È molto probabile, la mafia russa si occupa di diverse cose e lo spaccio di droga è il traffico più comune. Come dicevo è un clan ancora piccolo anche se fa già parlare molto di sé, quindi è plausibile che in quanto emergenti abbiano iniziato dal traffico di droghe. Se continuano così non gli ci vorrà molto per passare ad altro- rispose Yuriy.
- Possiamo stare qui a ipotizzare qualunque cosa, ma credo che l’unico modo per scoprire la verità sia andare in quel locale e fare qualche domanda a chi ci lavora- concluse Shuichi.
- Ci sono un sacco di articoli su Internet che celebrano i suoi successi, non pensavo fosse così famoso- osservò lei, mentre cercava al computer qualche informazione sulla vittima - Qui dice che ha un fratello, Daniel Harrington, ed è in affari con lui-
- Pensate che centri qualcosa con la sua morte?- azzardò Camel.
- È un’ipotesi da non escludere- rispose Shuichi - Parleremo anche con lui-
 
Terminata quella conversazione, lasciarono l’ufficio diretti verso il wine bar. Per uno strano scherzo del destino, lungo il corridoio incrociarono Tara e Jonathan che stavano parlottando fitto tra loro. Quando gli passarono accanto si accorse delle occhiate che lanciarono prima a lei e poi a Shuichi, che non facevano presagire nulla di buono. Deglutì a fatica, fingendo indifferenza per quanto possibile ma cercando il compagno con lo sguardo. Shuichi guardava dritto davanti a sé, fiero come un leone, come se non si fosse accorto di nulla. Di certo era più bravo di lei a mascherare le emozioni, o forse era stata solo la suggestione a farle percepire quelle occhiate come qualcosa di negativo. Di una cosa poteva essere certa però: Tara era risentita per il modo in cui Shuichi l’aveva trattata e Jonathan doveva aver intuito qualcosa il giorno prima trovandoli insieme e da soli in un angolo di un parco. Quei due insieme potevano dare vita alla loro più grande minaccia.
Assorta in quei pensieri, non si accorse nemmeno che erano già arrivati al parcheggio. Concordarono che non era il caso di andare in quattro al locale, bastavano due per il momento; gli altri due sarebbero andati invece dal fratello di Russel. Shuichi fece in modo di restare con lei e di occuparsi del locale, incaricando Yuriy di andare con Camel da Daniel Harrington.
 
 
Una volta rimasti soli, in macchina verso il wine bar, sentì il bisogno di esporre la sua preoccupazione anche a lui. Necessitava di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.
 
- Senti Shu- spezzò improvvisamente il silenzio - Prima nel corridoio c’erano Tara e Jonathan e…-
- Lo so, ho visto- disse semplicemente, senza staccare gli occhi dalla strada.
- Cosa facciamo? Tara non aspettava altro che un’occasione per fartela pagare-
- Non credo ci sia nulla che possiamo fare, di certo metteranno in giro delle voci. Dobbiamo capire quali e poi smentirle in qualche modo-
- Ma come facciamo a giustificare il fatto che eravamo insieme appartati in un parco pubblico di domenica pomeriggio?- scosse la testa, portandosi una mano sulla fronte.
- Siamo andati ognuno per i fatti suoi e poi ci siamo casualmente incontrati lì. Mentre passeggiavamo ti sei sentita poco bene per il troppo caldo e quindi ci siamo fermati in un luogo fresco e non affollato. Devi imparare a mentire Jodie, a volte è necessario-
- Ti ricordo che ne ho raccontate un sacco di frottole quando eravamo sotto copertura in Giappone-
- Il problema non è trovare una scusa da raccontare, il problema è come la racconti e tu non sembri credibile quando menti. Devi mostrarti più sicura quando affermi qualcosa, altrimenti se non ci credi nemmeno tu come puoi pretendere che ci credano gli altri?-
- Grazie per le dritte, Professor “adoro ingannare i miei amici”- ironizzò, seccata dal suo atteggiamento troppo saccente - Tu invece ricordati di non far fare brutte figure ai tuoi colleghi, altrimenti questi cercheranno vendetta- fece una velata allusione a Tara.
- Ti stai preoccupando troppo Jodie- sorrise - Tranquilla, troveremo una soluzione-
 
Sospirò, consapevole del fatto che per Shuichi le cose erano sempre più semplici di quello che sembravano e che la sua capacità di trovare soluzioni istantanee era molto più grande della sua. Doveva fidarsi di lui e aiutarlo a reggere il gioco, qualunque cosa si sarebbe inventato.
Non ebbero modo di proseguire oltre quella conversazione: ormai erano arrivati davanti al wine bar di Harrington. Parcheggiarono l’auto e si diressero all’interno del locale.
 
 
…………………………..
 
 
Quando tornarono alla sede dell’FBI era trascorso da poco l’orario del pranzo. Avevano mangiato fuori ma senza riunirsi con Camel e Yuriy, in modo da poter stare un po’ da soli lontano da occhi indiscreti e scambiarsi qualche carezza e bacio. Quel pranzo insieme aveva risollevato il suo umore, ma purtroppo i loro colleghi contribuirono a rovinarlo nuovamente. Stavolta non erano solo gli occhi di Tara e Jonathan ad essere puntati su di loro, ma anche quelli di altri loro colleghi. In una sola mattinata quella vipera dai capelli rossi era riuscita a far circolare un pettegolezzo più veloce della luce. Quegli sguardi le pesavano addosso come fossero le luci dei riflettori su un palcoscenico dove era stata costretta a salire insieme a Shuichi: erano diventati gli attori di una commedia che nessuno dei due voleva recitare.
Cercò di ignorare i bisbigli, le occhiate e i sorrisetti stupidi, ma il fastidio cresceva dentro di lei. Al suo fianco Shuichi non si scomponeva di una virgola, sempre stoico e perfetto. Non sembrava minimamente turbato, era come se non gli importasse nulla di essere l’oggetto delle attenzioni dei loro colleghi.
Appena entrati in ufficio, il compagno chiuse la porta alle loro spalle e lei poté finalmente lasciarsi andare, dal momento che Camel e Yuriy non erano ancora tornati.
 
- Brutta bastarda!- disse a denti stretti, gettando la giacca sulla sedia in malo modo.
 
Shuichi la guardò sorpreso, probabilmente perché non era abituato a sentirla usare parole così grosse o a offendere pesantemente una collega. Di solito il suo linguaggio e i suoi modi erano eleganti ed educati, ma era troppo arrabbiata per curarsi di sembrare una principessina per bene.
 
- Ti rendi conto di quello che ha fatto?!- allargò le braccia, rivolgendosi a lui - Per non parlare di quell’idiota di Jonathan, peggio della comare del villaggio! Vorrei tanto avere un grosso ago per sgonfiare quei suoi inutili muscoli da lottatore di wrestling dei poveri! Forse potrei fare la punta a una matita e provare con quella…-
- Calmati- le rispose lui, avvicinandosi - Se ti arrabbi così fai solo il loro gioco-
- E cosa dovrei fare secondo te?! Stringergli la mano e dirgli “che bravi che siete stati a spargere un giro l’ennesimo pettegolezzo sulla mia vita amorosa, vi prego continuate pure!”- sbottò, agitando le braccia.
- Comportati come se non t’importasse nulla. L’indifferenza è la cosa che le persone come Tara e Jonathan temono di più. Se te la prendi loro si sentiranno superiori a te, se invece li ignori e gli fai capire che non ti interessano i loro pettegolezzi, si sentiranno dei falliti e la cosa morirà esattamente come è nata-
- Tu la fai troppo facile Shu, ma io non so se ce la faccio a fingere. Non so se ce la faccio a rivivere questa situazione da capo- abbassò la testa, alludendo a quanto gli aveva raccontato la sera della pioggia di comete.
- Non sei sola stavolta- la rassicurò, posandole una mano sulla spalla.
- Cosa facciamo adesso, Shu?- chiese per l’ennesima volta in quella giornata.
- Andiamo a prenderci un caffè, offro io- sorrise.
- Ma sei matto?! Vuoi uscire da questo ufficio e andare dritto nella bocca dei leoni?!- sgranò gli occhi.
- Voglio solo andare a prendere un caffè. Allora, vieni?- la invitò nuovamente, con la mano posata sulla maniglia e già pronta ad aprire la porta.
 
Sospirò, scuotendo la testa: si era innamorata di un idiota. Mentre lei era preoccupata di poter riconquistare agli occhi dei colleghi il suo titolo di regina dei drammi amorosi, lui sembrava persino divertito da quella situazione e non gliene importava assolutamente nulla, come se non fosse minimamente coinvolto. Una cosa però la rincuorò: il fatto che le avesse detto “non sei sola stavolta”. Lui era lì al suo fianco, era il suo uomo e non più il suo ex. Non sarebbe stata la poverina sedotta e abbandonata, ma la donna con cui lui aveva scelto di stare. Arrossì a quei pensieri, chiedendosi ancora una volta se Shuichi la considerasse davvero la sua donna o se fossero ancora fermi in quel limbo dove la loro relazione non aveva un’etichetta definita. Se fosse stata certa di questo non avrebbe avuto paura di andare da Tara e Jonathan a dire loro in faccia “ebbene sì, io e Shuichi stiamo insieme”, ma la paura che per lui non fosse lo stesso le rendeva difficile rivalersi sui colleghi impiccioni.
Si avvicinò a lui e insieme uscirono nuovamente in corridoio. La scena di poco prima si ripeté, come previsto. Strinse i pugni, le unghie quasi conficcate nei palmi, mentre intorno a loro la gente bisbigliava parole che non riusciva a comprendere ma di cui poteva immaginare il senso.
 
- Tutto bene?- le chiese lui, probabilmente accortosi del suo nervosismo.
- A meraviglia- mentì, guardandolo storto - Non è che per caso hai uno dei tuoi fucili a portata di mano, vero?-
 
Shuichi non riuscì a trattenere una risata, cosa che la sconcertò lasciandola a bocca aperta, mentre lo fissava inebetita. Come c’era da aspettarsi, i bisbigli si mutarono e tutti quelli nei paraggi si impietrirono, come se una folata di vento gelido li avesse ibernati. Shuichi Akai che rideva era un evento più unico che raro, ma il fatto che ridesse in sua compagnia dopo i pettegolezzi che erano circolati rendeva quella situazione ancora più stupefacente agli occhi di tutti.
 
- No dico, ma sei impazzito?!- sussurrò a denti stretti, guardandolo sconvolta mentre lui aveva ancora un ghigno beffardo stampato sul volto - Non ridi neanche se ti pagano per farlo e ti metti a ridere così adesso?! Se vuoi dare spettacolo possiamo baciarci davanti a tutti, così chiudiamo in bellezza!-
- Ammetto che questa situazione mi diverte, o forse è la tua eccessiva preoccupazione ad essere esilarante- rispose.
- Sono felice che le mie preoccupazioni ti divertano, il tuo livello di sadismo ha appena guadagnato dieci punti extra!-
 
Senza mai togliersi quel sorrisetto dalla faccia, il compagno si fermò davanti alla macchinetta ed estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo qualche spicciolo.
 
- Cosa vuoi?- le chiese.
- Andarmene a casa mia- rispose lei, incrociando le braccia al petto.
- Intendevo che bevanda vuoi-
- In questo momento vorrei solo una bella tisana rilassante. O forse sarebbe meglio bere direttamente del cianuro sciolto nell’acqua con un po’ di zucchero- storse le labbra.
- Ho capito, scelgo io- continuò a sorridere, inserendo le monete e selezionando il caffè alla nocciola.
 
Quando l’erogazione della bevanda fu terminata, Shuichi prese il bicchiere e glielo porse. Lo ringraziò con un sorriso abbozzato e nel prendere il bicchiere dalle sue mani, le loro dita si sfiorarono. Un “guarda, guarda” arrivò distintamente alle loro orecchie. Strinse la mano intorno al bicchiere mentre Shuichi, che fino a quel momento aveva ignorato qualunque cosa, si girò nella direzione da cui quella voce era arrivata e lanciò una delle sue peggiori occhiatacce, che avrebbero fatto tremare anche il diavolo. I pettegoli alle loro spalle si impietrirono senza più fiatare, qualcuno di loro probabilmente stava sudando freddo. Di lei e dei suoi occhioni azzurri non avevano di certo paura, ma Shuichi era decisamente temuto sia per il suo carattere poco amichevole sia per quella faccia alle volte inquietante che si ritrovava.
Soddisfatto del suo operato, rivolse nuovamente lo sguardo alla macchinetta e si prese, come sempre, un meritato caffè nero.
 
- Vieni da me stasera?- le chiese, prendendo un sorso dal bicchiere.
- Se ti fa piacere sì- rispose, sorridendo mentre si mordeva il labbro.
- Se non mi facesse piacere non te lo chiederei, no?-
- Allora d’accordo, vengo volentieri. Mi cucini qualcosa?-
- Cosa vorresti? Non sono così bravo da saper fare tutto- ammise.
- Ho tanta voglia di sushi- assunse quell’espressione supplicante che le piaceva fare quando cercava di ottenere qualcosa.
- Si può fare, ma mi servono gli ingredienti. Non li tengo in casa, preferisco comprarli freschi al momento-
- Possiamo andare al supermercato quando usciamo da qui, poi andiamo direttamente da te. Cosa ne dici?-
- Mi sembra una buona idea. Ora però torniamo al lavoro-
 
Finirono i rispettivi caffè e ripercorsero per la terza volta il corridoio, ma stavolta non sentirono volare una mosca e le persone intorno a loro finsero di non essere interessate, anche se notò che qualcuno guardava con la coda dell’occhio. La reazione di Shuichi li aveva messi a tacere, almeno per il momento, ma di certo non era bastata a cancellare quel pettegolezzo che rischiava di metterli in una posizione davvero scomoda. Le relazioni fra colleghi nel loro ambiente non erano ben viste: se a questo si univa il fatto che erano già stati insieme in passato e che lui l’aveva lasciata per frequentare “per finta” un’altra donna, di certo non ne usciva nulla di buono.
Quando tornarono in ufficio trovarono Camel e Yuriy già seduti alle scrivanie, probabilmente li stavano attendendo per scambiarsi le rispettive informazioni reperite nella mattinata.
 
- Dove eravate?- chiese Camel, che sembrava stranamente preoccupato.
- Stavamo prendendo il caffè in attesa che tornaste- rispose lei.
- Ah, capisco- rispose il collega.
 
Aggrottò le sopracciglia, stranita da quella reazione così sospetta: aveva la sensazione che Camel nascondesse qualcosa, ma non riuscì a capire cosa. Spostava lo sguardo prima su di lei e poi su Shuichi, le sue guance erano più colorite del solito. Imbarazzo. Camel era in evidente imbarazzo. Un dubbio atroce penetrò la sua mente come una freccia scoccata da un abile arciere: il pettegolezzo era arrivato anche alle sue orecchie. Proprio lui, che il giorno prima li aveva colti di sorpresa in un parco…Si girò allarmata verso Yuriy, per verificare se anche sul suo volto vi fosse la stessa espressione: lo trovò sorridente mentre si rigirava una penna fra le dita. Nulla di strano, se non fosse stato che quel sorriso in realtà somigliava più a uno di quei ghigni beffardi che faceva anche Shuichi. Si fissarono per qualche istante e le sembrò che lo sguardo volesse scavarle nella mente per scoprirne i più intimi segreti. Il dubbio si tramutò in certezza: entrambi i colleghi con cui avrebbero dovuto lavorare a stretto contatto avevano saputo la notizia e ora cercavano di dissimulare in malo modo il desiderio di sapere se quanto avevano appreso fosse vero.
Shuichi si avvicinò a loro in tutta calma, come se non si fosse accorto di nulla, sedendosi al suo posto.
 
- Allora, cosa avete scoperto? Il fratello della nostra vittima ha fornito informazioni interessanti?- chiese loro.
- Beh, ecco…- riuscì solo a dire Camel, che di nuovo la guardò mentre a testa bassa prendeva anche lei posto alla scrivania.
- Abbastanza, ma forse non così interessanti come le vostre- rispose Yuriy, continuando a giocherellare con la penna.
- Cosa ti fa pensare che al locale abbiamo trovato più informazioni di quelle che può avervi dato Daniel Harrington?- replicò Shuichi.
 
Fingeva di non capire, ma probabilmente si era accorto di tutto anche lui. Solo che, invece di preoccuparsi come faceva lei, si stava divertendo a giocare con chiunque gli capitasse a tiro, certo che avrebbe vinto anche quella partita. Lei invece era stanca, stanca di giocare e stanca di nascondersi.
 
- Non si riferiva al caso- trovò infine la forza di parlare, fissando Yuriy dritto negli occhi e cercando di imitare quegli sguardi intimidatori che solo a Shuichi riuscivano - Si stava riferendo all’argomento del giorno che sta girando per i corridoi, non è così?-
 
Spostò lo sguardo su Camel, che era più suscettibile di Yuriy e cercò di trasmettergli tutta la rabbia che stava provando: in qualche modo ci riuscì, ne ebbe la conferma quando vide sul suo volto la stessa paura che anche lei aveva provato poco prima. Non ebbe però il coraggio di guardare Shuichi, probabilmente la stava odiando per aver mandato a monte il piano di fingere indifferenza.
 
- In realtà io mi riferivo al caso invece: credo che sul luogo del delitto si possano trovare informazioni più importanti rispetto a quelle date da un fratello che forse preferisce nascondere quello che sa piuttosto che rivelarlo- spiegò il collega russo - L’argomento del giorno è interessante ma fino a un certo punto, non ci perderei un pomeriggio sopra francamente-
- Davvero? Allora come mai tu e quell’altro lì- puntò l’indice verso Camel - Avete messo in piedi questo patetico teatrino fatto di sorrisetti, sguardi e “facciamo finta di non sapere nulla che è meglio”? Se non vi importa allora comportatevi come avete fatto fino a stamattina!-
 
Non riusciva a fermarsi, le parole le uscivano acide e dirette verso quelli che erano diventati i suoi due capri espiatori. Shuichi restò in silenzio seduto a un metro da lei, con gli occhi chiusi e l’espressione accigliata.
 
- Cerca di capire, non sapevamo come comportarci…- si giustificò Camel, grattandosi la nuca.
- In modo normale André, vi potete comportare in modo normale-
- Mi dispiace, scommetto che è stato Jonathan- sospirò Camel - Ieri pomeriggio quando siamo andati via ha iniziato a fare delle insinuazioni; io ho cercato di dirgli che non era vero ma si era fissato con questa storia-
- Ma scusa, io non capisco quale sia il problema- intervenne Yuriy - Se quello che dice Jonathan è solo frutto della sua immaginazione, perché te la stai prendendo tanto?- chiese, guardandola con aria di sfida.
 
Yuriy era uno tosto, non si lasciava spaventare facilmente. Assomigliava a Shuichi per certi versi: era capace di penetrare dentro le persone senza chiedere il permesso. Forse era per questo che sembravano andare d’accordo.
 
- Se mettessero in giro voci false sul tuo conto tu ne saresti felice? Non credo proprio-
- Se fossero voci false non avrei problemi perché saprei esattamente come smentirle-
- E cosa ti fa pensare che io non lo sappia invece?-
- La tua reazione esagerata- ghignò - Oltre a tanti altri piccoli dettagli che non starò ad evidenziare perché come ho detto la cosa non mi interessa. Vi frequentate? Bene, buon per voi. Volete sposarvi? Ancora meglio, ricordatevi di invitarmi al matrimonio. Io credo che fuori di qua siamo liberi di fare ciò che vogliamo, senza oltrepassare i limiti e l’eticità s’intende: se vi amate e volete stare insieme non ci vedo nulla di scandaloso. Basta che lasciate i vostri problemi di coppia fuori dalla porta quando mettete piede qui dentro. Per il resto avete la mia benedizione, per quel che vale-
 
Restò a fissarlo incredula per qualche secondo, senza riuscire a metabolizzare bene quel discorso. Quando ci riuscì si rese conto che Yuriy aveva ragione su ogni cosa e che era riuscito a rendere semplice qualcosa che lei aveva complicato più del dovuto, forse per paura di dover rivivere il passato. Si sentiva piccola di fronte a quella reazione così pacata e matura di un collega che fino a quel momento non aveva mai conosciuto fino in fondo. All’apparenza le era sempre sembrato uno a cui piaceva scherzare e anche un po’ donnaiolo, ma non avrebbe mai immaginato che nascondesse una tale saggezza. Abbassò lo sguardo, imbarazzata e senza parole: non era possibile replicare a qualcosa che di fatto era già un discorso giusto e sensato.
 
- La penso come lui- intervenne Camel - Se anche i sospetti di Jonathan dovessero essere fondati, non cambierebbe quello che penso di voi come persone e colleghi. Ne abbiamo passate tante nell’ultimo anno, questo non è certo un argomento di cui preoccuparsi- sorrise.
- Esatto, la vostra vita amorosa e personale non cambia quello che siete o il lavoro che fate. Siete due ottimi agenti e lo siete sia da amici sia da amanti- concluse Yuriy.
 
Per la prima volta da quando aveva iniziato quello sfogo, trovò il coraggio di girarsi a guardare Shuichi: lo trovò ancora seduto nella stessa posizione, gambe accavallate e braccia conserte, ma il suo volto non era più severo come prima. Stava sorridendo, nonostante continuasse a tenere gli occhi chiusi. Lo considerò un buon segno: forse la reazione positiva di Camel e Yuriy le aveva evitato una ramanzina.
 
- D’accordo, ho capito- scosse le mani, sospirando - Chiudiamola qui. Scusate se ho reagito bruscamente-
- Scuse accettate, non riesco a fare il duro con una bella donna- scherzò il russo - E in fondo hai ragione, ammetto che probabilmente i miei sguardi e sorrisetti erano fatti di proposito perché volevo capire dalla tua espressione se quello che ci avevano detto in corridoio era vero o no- ammise.
- Ma hai appena detto che non ti interessa-
- Non mi interessa perderci troppo tempo, ma ero comunque curioso. Quelle curiosità che durano il tempo di bere un caffè e poi muoiono sul nascere-
- Bene, visto che abbiamo risolto questa futile questione possiamo riprendere il nostro lavoro?- parlò finalmente Shuichi, che da bravo stacanovista non vedeva l’ora di concentrarsi solo e unicamente sul caso.
- Assolutamente sì- lo appoggiò Yuriy - Cosa avete scoperto?-
- Probabilmente il luogo dove Harrington incontrava le persone poco raccomandabili con cui aveva a che fare, inclusi quelli del clan russo- sorrise soddisfatto Shuichi.
- Ma il luogo non era proprio il locale stesso?- chiese Camel.
- Intendo la stanza all’interno del locale- precisò - Quando siamo entrati c’erano il barista e il direttore del wine bar. Apparentemente sembrava un locale perfetto, ma quando gli abbiamo chiesto di mostrarci le sale private la loro espressione è cambiata. Alla fine ce le hanno mostrate tutte tranne una. La porta di quella stanza, a differenza delle altre, era chiusa a chiave. Abbiamo chiesto di vedere anche quella, ma il direttore ha risposto che era solo uno sgabuzzino in realtà e non c’era nulla di interessante- fece una pausa.
- Ma non era così, giusto?- azzardò Yuriy.
- Decisamente no. Alla fine l’ho messo alle strette e ha aperto quella porta-
- E cosa c’era?- chiese Camel, sempre più preso da quel racconto.
- Un privé, di quelli che danno l’idea dell’atmosfera a luci rosse per intenderci- intervenne lei - Divanetti rossi, un piccolo palco dove far esibire escort e spogliarelliste, un biliardo e dei tavolini rotondi con ancora le carte da gioco sopra. Una stanza chiaramente non dedicata ai clienti dell’alta società-
- Dentro vi è una porta che si affaccia direttamente sul retro del locale, quindi è da lì che Harrington faceva entrare quei clienti speciali- aggiunse Shuichi.
- Immagino che dalla reazione che hanno avuto, sia il direttore che il barista sapessero di questi incontri- intervenne Camel.
- Ovvio, ma probabilmente Russel li pagava profumatamente per il loro silenzio. Senza contare che ora che è morto, probabilmente ucciso da uno di quei clienti, loro potrebbero ricevere l’accusa di essere complici di traffici loschi e chissà cos’altro- disse lei.
- Quindi sappiamo con certezza che Russel Harrington era coinvolto in affari loschi che coinvolgevano in qualche modo anche un clan mafioso russo, che nel suo locale di classe nascondeva una sala privé dedita alla perdizione e che il personale che lavora per lui sembra sapere più di quanto vogliano dire- ragionò a voce alta Yuriy - Non male come primo giro di investigazioni-
- Voi siete riusciti ad ottenere qualcosa dal fratello di Russel?- gli chiese.
- Non molto purtroppo. È un osso duro oltre che presuntuoso e montato come ogni riccone di New York-
- Ma qualcosa ve lo avrà pur detto, no?-
- A quanto pare sapeva che Russel faceva uso di cocaina, ma a suo dire non era a conoscenza di chi gliela forniva. Sapeva anche del privé nel wine bar e del fatto che in quella stanza avvenissero cose non proprio legali, ma ha preferito tenersene alla larga e quindi non ha saputo dirci chi frequentava quel giro. Tra i due non scorreva buon sangue anche se erano soci in affari, quindi al di là di discutere di questioni lavorative non sapevano molto delle rispettive vite personali- spiegò Yuriy.
- Gli avete mostrato la foto di Viktor Krayevsky?- chiese Shuichi - Come ha reagito?-
- Ha riconosciuto che il tatuaggio sull’avambraccio era uguale al simbolo trovato sulla scena del crimine del fratello, ma non ha saputo riconoscere l’identità di Viktor. O almeno questo è quello che ha detto a parole, ma ho avuto l’impressione che la sua faccia stesse dicendo tutt’altro…Non so, c’è qualcosa che non mi ha convinto in Daniel Harrington- scosse la testa.
- Davvero?- si stupì Camel - A me non è sembrato di notare nulla di strano nel suo comportamento-
- Chissà, forse sono troppo sospettoso io-
- No, io non credo- ghignò Shuichi - Da quello che hai raccontato anche io ho l’impressione che Daniel sappia più di quanto vuole farci credere. Credo che dovremmo tornare a fargli visita e convincerlo a vuotare il sacco, con le buone o con le cattive-
- Ma se torniamo da lui subito rischiamo che si innervosisca e quindi di ottenere l’effetto contrario- rifletté lei.
- Infatti non ci andremo oggi. Lasciamo passare qualche giorno e facciamogli credere che ci siamo fidati delle sue parole e ci stiamo concentrando su altro. Poi torneremo da lui-
 
Dopo quell’approfondito confronto sulle rispettive informazioni trovate, dedicarono il resto del pomeriggio a mettere nero su bianco quanto avevano anticipato a voce. Purtroppo anche la noiosa compilazione di scartoffie e rapporti era parte del loro lavoro ed era quella parte che persone come Shuichi e Yuriy, desiderosi di azione, detestavano più degli altri.
Nessuno toccò più l’argomento relazione segreta fra lei e Shuichi, come se la conversazione di prima non fosse mai avvenuta. In un certo senso si sentiva sollevata che Camel e Yuriy fossero venuti a conoscenza della verità: almeno con loro non avrebbero più dovuto fingere da quel momento in poi. Era grata che avessero preso bene la notizia, ma d’altra parte Camel non avrebbe mai usato quell’informazione per arrecare danno né a lei né tantomeno a Shuichi, di cui aveva una immensa stima, e Yuriy sembrava essere molto diverso da persone come Tara e Jonathan. Ciò che continuava a spaventarla era che quella voce di corridoio arrivasse fino alle orecchie di James. Quell’uomo era stato il suo tutore legale per anni, era un vecchio amico di suo padre, le voleva bene come a una figlia ma era prima di tutto il suo capo e sapeva per certo che detestava i pettegolezzi sul lavoro. Se a questo si aggiungeva il fatto che sapeva quanto avesse sofferto per colpa di Shuichi…forse non sarebbe stato proprio così felice di vederli di nuovo insieme.
 
- Direi che per oggi può bastare- la voce di Yuriy la riportò alla realtà.
 
Il loro orario di lavoro era terminato, era libera di tornare a casa e dimenticare quella giornata pesante. Si ricordò però dell’appuntamento con Shuichi e del sushi che le avrebbe preparato. Chissà se ne aveva ancora voglia, non era certa di come si sentisse nei suoi riguardi dopo quella sfuriata che aveva fatto qualche ora prima. Sospirò, radunando le carte sulla sua scrivania a testa bassa.
 
- Andiamo subito a fare la spesa?-
 
La voce di Shuichi, così vicina a lei, la fece sobbalzare. Era così assorta nei suoi pensieri da non essersi nemmeno accorta che si era avvicinato a lei.
 
- Tutto ok?- le chiese, notando la sua reazione.
- Sì, scusami, ero sovrappensiero e la tua voce mi ha colta alla sprovvista- sorrise.
- Stai pensando a cosa ci sarà fuori da questo ufficio?-
- No, ad essere sincera mi stavo proprio chiedendo se volessi ancora cenare con me dopo il casino che ho combinato prima con Yuriy e Camel- ammise - Credevo fossi arrabbiato-
- In tutta onestà non ho gradito molto il modo ma alla fine è andato tutto bene-
- Ora però sanno la verità su di noi-
- Già, ma a differenza di altri non la useranno come argomento del giorno davanti alla macchinetta del caffè. Di loro mi fido- sorrise.
- Senti Shu…pensi che dovremmo invitare anche loro a cena? So che avevamo programmato una serata da soli, ma mi sento un po’ in colpa per come li ho attaccati prima…- abbassò la testa.
- Per me non è un problema, ma stasera avevo programmato di guardare la partita di shogi che disputerà mio fratello. È un problema se li invitiamo un’altra volta?-
- No, nessun problema, ma non sapevo di tuo fratello. Sei sicuro che vuoi che venga? Se preferisci guardare in pace la partita ci possiamo vedere domani sera-
- Perdonami, avevo scordato di dirtelo. L’idea era di mangiare qualcosa e poi guardare la diretta, ma se ti annoia troppo possiamo rimandare la nostra cena-
- Io voglio solo passare un po’ di tempo con te, non mi importa se lo facciamo passeggiando in un parco o guardando tuo fratello che fa una partita a un gioco di cui non credo di averci capito molto- sorrise imbarazzata.
 
La loro conversazione venne interrotta da Yuriy che si schiarì la gola, non tanto per necessità quanto per attirare l’attenzione.
 
- Bene, io me ne vado perché sinceramente con voi due che vi guardate così mi sento di troppo- scherzò, senza il minimo timore di metterli in imbarazzo.
- Vengo con te- disse Camel, che era probabilmente il più imbarazzato di tutti incapace com’era di gestire situazioni di quel tipo.
- Piantatela di fare gli idioti!- li riprese, le guance tinte di rosso - Ora usciamo anche noi-
- Sicura? Pronta all’apocalisse che ti aspetta appena varcherai questa porta?- le chiese Yuriy, che sembrava divertito dalla situazione.
- Ti giuro che se non la smetti l’apocalisse si abbatterà su di te!- afferrò la borsa e si diresse anche lei verso i due colleghi, seguita da Shuichi.
 
Yuriy alzò le braccia come in segno di resa, ma quel sorrisetto beffardo non scomparve dalla sua faccia. La guardò negli occhi un’ultima volta, come a volerle chiedere conferma se poteva aprire quella porta. Gli fece un cenno col capo e il silenzio che si era creato venne interrotto dal “click” della serratura che scattava. Uscirono uno dopo l’altro, trovando il corridoio quasi vuoto: probabilmente gran parte dei loro colleghi erano andati via oppure erano ancora chiusi nei rispettivi uffici.
 
- Ti è andata bene- ironizzò il russo.
- Magari se ne sono già dimenticati- provò a sminuire la situazione Camel, ma non ci credeva troppo nemmeno lui mentre lo diceva.
 
Sapeva bene che non sarebbe finita così presto, ma per il momento le bastava poter uscire di lì senza più sentire mormorii e senza sentirsi osservata come se fosse una criminale.
Il suo attimo di sollievo durò poco, infrangendosi al suolo quando vide che il loro cammino verso l’ascensore stava per incrociarsi con quello dell’ultima persona che avrebbe voluto incontrare quel giorno: Tara. Prese un lungo respiro e cercò invano di rilassare i nervi tesi. Accanto a lei, Shuichi se ne accorse e sorprendentemente le mise una mano sulla parte bassa della schiena, come a volerle dire di calmarsi.
Più si avvicinava a loro e più poteva scorgere il sorrisetto di vittoria sul suo viso: era soddisfatta della sua piccola vendetta.
Quando fu a un metro da loro si degnò finalmente di parlare, dopo averli fissati per tutto il tempo.
 
- Congratulazioni alla nuova coppia!- disse semplicemente, ma mettendo tutta l’acidità possibile in quelle parole.
 
Strinse i pugni e chiuse gli occhi, cercando di trattenersi dal fare la seconda sfuriata di quel giorno. Avrebbe tanto voluto dare un pugno in faccia a quella vipera, ma le ragioni per non farlo erano purtroppo più forti e valide di quelle per farlo.
 
- Grazie mille, ma non ti invitiamo lo stesso al matrimonio- intervenne Yuriy, sorprendendola - Le tue congratulazioni sono più false dei soldi del Monopoli, magari la prossima volta studiati meglio la battuta perché non sei credibile per niente-
 
Tara si fermò davanti a lui, guardandolo con aria di sfida. Non voleva che due estranei litigassero per una questione che riguardava lei, ma in cuor suo sperava silenziosamente che Yuriy la distruggesse.
 
- Tu che vuoi? Non parlavo con te- gli fece notare seccata.
- Ah no? Perdonami, allora ritiro l’invito al matrimonio-
- Quale matrimonio?- chiese, annoiata dai suoi discorsi apparentemente senza senso.
- Il mio ovviamente. Pensavo lo sapessi, sei sempre così informata su tutte le cose inutili e sulla vita privata dei tuoi colleghi-
 
Uno a zero per Yuriy. Se avesse avuto un’uniforme da cheerleader e un paio di pompon avrebbe iniziato a fare il tifo per lui.
 
- Tu ti sposi?- chiese sprezzante, come se fosse assurdo che proprio lui convolasse a nozze.
- C’è speranza per tutti- sorrise - Tranne che per te, forse-
- Ma che simpatico, fai le condoglianze alla poverina che dovrà sopportare le tue battute squallide-
 
Con grande sorpresa di tutti, Yuriy si girò verso Camel e gli prese le mani, stringendole fra le sue. Oltre alla situazione di per sé era esilarante il contrasto fra le mani quasi ossute del primo e quelle grandi e robuste del secondo.
 
- Perdona le mie battute squallide tesoro, sappi che qualunque stupidaggine dirò non sarà mai più grande dell’amore che provo per te- disse guardando seriamente il collega negli occhi.
 
La faccia di Tara assunse un’espressione indescrivibile, un misto fra incredulità e sconcerto, mentre Camel osservava inebetito il collega che si era appena dichiarato, sudando freddo. Non riuscì a trattenersi di fronte a quel teatrino e la sua risata echeggiò lungo il corridoio. Si mise una mano davanti alla bocca per attutire, ma non riuscì comunque a smettere. Yuriy si era girato a guardarla e sorrideva soddisfatto, mentre Shuichi nel suo stoicismo si era comunque concesso un sorrisetto beffardo, segno che la scenetta del collega lo aveva divertito. Gli unici a non partecipare all’ilarità di gruppo erano Camel (imbarazzato come mai lo era stato nella vita) e Tara, che stava odiando Yuriy più che mai per essersi preso gioco di lei.
 
- Molto divertente- storse la bocca, interrompendo il divertimento.
- Più dei pettegolezzi che mettete in giro tu e quell’altro- le rispose a tono il russo.
- Non sono affatto pettegolezzi, Jonathan ha le prove e a quanto so le ha anche André, che ora se ne sta zitto perché gli conviene- rivolse lo sguardo a Camel, con fare provocatorio.
- I-io non ho proprio niente- cercò di dissimulare in malo modo.
- Sai che cosa non hai tu invece, a differenza di Jodie?- se ne uscì Yuriy, facendole drizzare le orecchie quando pronunciò il suo nome.
- Sentiamo- incrociò le braccia al petto la rossa.
- Un uomo con cui andare a casa stasera e divertirsi un sacco-
- Yuriy!- lo rimbeccò, arrossendo per quell’affermazione così sfacciata detta davanti a tutti.
 
La differenza fondamentale fra lui e Shuichi era che Yuriy parlava anche troppo e non si vergognava di dire apertamente qualsiasi cosa che gli passasse per la testa. Non aveva segreti e soprattutto non aveva filtri: questo lo rendeva un soggetto “pericoloso” che era meglio avere come alleato che come nemico.
Tara inspirò sonoramente, segno che le parole di Yuriy l’avevano colpita nel vivo: evidentemente non avere un fidanzato o un uomo da frequentare era qualcosa che le pesava non poco e per qualche ragione lui ne era a conoscenza e lo aveva usato come arma contro di lei.
 
- Bene, ora ce ne possiamo andare a casa- concluse soddisfatto, muovendo qualche passo per allontanarsi.
 
Camel, che non vedeva l’ora di defilarsi da quella situazione, lo seguì prima che cambiasse idea o prima che Tara reagisse in qualche modo. Anche lei fece per raggiungerli, convinta di essere seguita da Shuichi, il quale invece restò immobile dando le spalle alla collega impicciona, come aveva fatto fino a quel momento.
 
- Tara?- la chiamò, senza però ricevere risposta.
 
Si fermarono nuovamente e si girarono a guardare la scena trattenendo il respiro. Yuriy era divertente, ma Shuichi invece faceva paura anche ai muri, specie quando diventava così serio e cupo.
La rossa lo guardò ma non proferì parola.
 
- Credevo di essere stato chiaro l’altro giorno sulla questione pettegolezzi. Devi prestare più attenzione, perché se tiri troppo la corda alla fine si spezza. Quello che dici e che fai ti si potrebbe ritorcere contro-
 
La tensione nell’aria era così percepibile che l’avvertiva come un peso sulle spalle. Sentì Camel deglutire rumorosamente, mentre Yuriy non si muoveva di un millimetro.
 
- Mi stai forse minacciando?- chiese Tara, per nulla soddisfatta di quell’intervento.
- Ti sto mettendo in guardia- rispose Shuichi, muovendo i primi passi per andarsene.
 
Senza più dire nulla li raggiunse e li superò, segno che non aveva intenzione di rimanere lì un secondo di più. Lo raggiunse e lo affiancò, girandosi per guardare l’espressione sul suo volto e capire cosa stesse provando: quando se ne accorse girò la testa e la guardò a sua volta, per poi farle un piccolo sorriso come a volerla tranquillizzare. Alle sue spalle sentiva i passi di Camel e Yuriy che li seguivano in silenzio. Pensò che fossero una bella squadra dopotutto e si sentì meno sola di sei anni prima, quando quei pettegolezzi che aveva dovuto affrontare senza nessuno al suo fianco avevano pesato su di lei come la falce del boia sul capo del condannato.
Presero l’ascensore tutti insieme e una volta arrivati al parcheggio si salutarono, senza aggiungere altro.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Mi è uscito un capitolo lunghissimo, non avevo pianificato che fosse così lungo, scusate!
Penso non ci sia molto da spiegare su quale fosse l’intento di questo capitolo, ovvero spargere la voce per i corridoi dell’FBI della frequentazione fra Jodie e Shuichi e rafforzare il loro legame di amici e colleghi con Camel e soprattutto con la new entry Yuriy (che sto adorando).
La parte in cui Jodie spiega tutte quelle cose sulla cocaina e derivati e sulle tracce che restano in circolo non è mia invenzione ma è realtà, ho fatto delle ricerche in merito.
È un capitolo abbastanza comico come avete visto, spero vi sia piaciuto anche se non ci sono state scene fluff su Jodie e Shuichi (ma non preoccupatevi, rimedierò…forse).
Grazie a tutti quelli che leggeranno!

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Capitolo 35
*** Capitolo 35: Parole non dette ***


Capitolo 35: Parole non dette
 
 
 
- Niente male, hai fatto un buon lavoro!- si complimentò con lui, dopo aver assaggiato il primo boccone del sushi che aveva preparato per cena.
- L’aspetto non è dei migliori- replicò lui, poco convinto del suo stesso operato.
- E allora? Non dobbiamo guardarlo, dobbiamo mangiarlo. Il sapore è buono, quindi va bene così- gli fece un sorriso, per poi prendere un altro pezzo dal vassoio che avevano posizionato al centro del tavolo.
 
Invece di cenare al tavolo della cucina avevano apparecchiato sul tavolino del salotto, sedendosi a terra sui cuscini come d’usanza in Giappone. Era un modo per rivivere per qualche ora l’atmosfera di quel paese in cui avevano lasciato un pezzo del loro cuore e anche per fare qualcosa di diverso dal solito.
Intinse un pezzo di uramaki nella salsa di soia e se lo portò alla bocca, per poi masticarlo sorridendo come una bambina felice. Solo dopo averne mangiati altri due pezzi si accorse che Shuichi, invece di fare lo stesso, si era fermato a fissarla.
 
- Che c’è? Sono sporca?- gli chiese, coprendosi istintivamente la bocca con una mano nel timore di avere delle tracce di cibo sulle labbra e agli angoli.
- No, sono solo sorpreso che sia bastato del sushi di scarsa qualità per farti tornare di buon umore- sorrise, prendendo finalmente anche lui un nigiri -Oggi sei stata nervosa per quasi tutto il giorno-
- Sai com’è, abbiamo colleghi molto simpatici che mettono in giro voci sul nostro conto- storse la bocca.
- Non riesci proprio a ignorarli e passarci sopra, eh?-
- Non riesco a sopportare che la gente si faccia gli affari miei- precisò.
- Ora che Yuriy e Camel sanno di noi sei più serena?- le chiese.
- Beh un po’ sì- ammise - Sono le due persone con le quali lavoriamo a stretto contatto più che con tutti gli altri in questo momento, perciò il fatto di non doverci più nascondere almeno davanti a loro mi rincuora-
- Il fatto che sappiano non significa che in ufficio possiamo fare quello che vogliamo- precisò.
- Questo lo so bene, non intendo certo baciarti appassionatamente sulla scrivania!- arrossì mentre pronunciava quella frase - Ma almeno se voglio guardarti o sorriderti posso farlo senza il timore continuo di essere scoperta-
- Invece che guardare me dovresti concentrarti sui fogli che hai sulla scrivania-
 
Lo fissò con la faccia di chi non aveva gradito, nonostante la consapevolezza che il suo non fosse un ammonimento ma più una battuta. La sua faccia non era per niente seria mentre glielo aveva detto, quindi forse il fatto di essere oggetto delle sue attenzioni gli faceva in qualche modo piacere.
 
- Ai suoi ordini stacanovista- replicò, addentando un nigiri uguale a quello che aveva preso lui poco prima.
 
Continuarono per un po’ a mangiare in silenzio, fino a quando lei non lo ruppe nuovamente.
 
- Come pensi che finirà questa storia del pettegolezzo?- gli chiese a bruciapelo, fissandolo seria.
- In che senso?- rispose, non capendo.
- Credi che verremo rimproverati? Se dovesse arrivare alle orecchie di James…sai, a lui non piacciono queste cose. Dobbiamo far parlare di noi per la nostra abilità come agenti e non per le nostre vicende amorose. In passato ha accettato la nostra relazione purché non implicasse problemi sul lavoro, ma ora…- non riuscì a terminare la frase.
- Ora?- la invitò a continuare.
- Dopo tutto quello che è successo sinceramente non penso che la sua reazione sarebbe come quella di Camel e Yuriy- sospirò - Io non credo che lui abbia del rancore o del risentimento nei tuoi confronti, anzi, ha molta stima di te e sa quanto vali sul lavoro: ti ha sempre definito il suo uomo migliore e anche quando fai di testa tua ti lascia fare perché sa che faresti mille volte meglio di lui. Però quando mi hai lasciata, lui mi ha vista soffrire da sola e in silenzio…-
 
Si fermò un attimo, deglutendo per mandare giù quel nodo che le si era formato nella gola mentre gli occhi iniziavano a inumidirsi.
 
- Veniva da me ogni sera per assicurarsi che stessi bene, mi ha aiutato a raccogliere i pezzi. So che mi considera come una figlia anche se cerca di dissimularlo quando siamo al lavoro, quindi vedermi soffrire ha spezzato il cuore anche a lui. Una volta mi ha detto di essersi pentito di aver acconsentito alla nostra relazione, se avesse saputo che sarebbe finita così non lo avrebbe fatto. Le sue parole mi hanno fatto male, Shu- abbassò la testa.
 
Nonostante la felicità di avere di nuovo l’uomo che amava per sé, le ferite del passato bruciavano ancora e probabilmente sarebbero bruciate per sempre. Certe cose non si possono cancellare, si può solo andare avanti.
 
- Hai paura che possa impedirci di frequentarci?- le chiese, con gli occhi chiusi e un’espressione rabbuiata sul volto.
- Ho paura che ci metta davanti a una scelta dove in realtà non c’è scelta, c’è una sola opzione-
- Cioè?-
- Se ti chiedessero “o la tua donna o il tuo lavoro”, la tua risposta quale sarebbe?- alzò la testa e gli sorrise, ma uno di quei sorrisi tristi e finti fatti davanti a una domanda di cui conosceva già la risposta.
 
Shuichi non disse nulla, rimase a riflettere ad occhi chiusi. Sapeva anche lui che non c’era scelta, essere agenti dell’FBI comportava delle rinunce e dei sacrifici e a volte dovevano mettere la loro felicità in un cassetto. Soldati che non dovevano perdere la loro compostezza, questo erano. Questo era Shuichi, più di tutti loro.
 
- Adesso mangiamo però, non voglio più parlare di questa storia- allungò una mano per accarezzargli dolcemente il braccio - Voglio solo passare una serata tranquilla con te a mangiare il sushi che mi hai preparato-
- Io non penso che James ci metterà mai di fronte a una scelta simile, anche se quel disgraziato del suo “uomo migliore” ha fatto piangere la sua bambina- replicò lui, senza cattiveria nel tono ma forse un po’ amareggiato da quel racconto - Inoltre, se lo facesse, rischierebbe di perdere uno dei due se non entrambi e non credo gli convenga in nessuno dei casi-
- Che intendi dire?- chiese, non capendo quell’ultima frase criptica.
- Niente di cui preoccuparsi. Ora mangiamo- le sorrise, come se nulla fosse successo.
 
A volte non riusciva proprio a capirlo quell’uomo. Aveva il potere di trasformarsi in una specie di Yakuza che lanciava velate minacce, per poi dissimulare e ritornare a parlare in modo cordiale. Poteva fare davvero paura se non lo si conosceva bene. Sapeva che dietro quelle parole aveva voluto nascondere un messaggio, ma non era riuscita a coglierlo, forse perché lui non voleva che lo cogliesse e questo la preoccupava. Si rese conto solo in quel momento che non era tanto il pensiero che i loro colleghi spargessero voci di corridoio a farle paura, ma la reazione di James quando lo avrebbe saputo. Se James avesse fatto sul serio, forse sarebbe persino stata costretta a mettere fine alla sua storia appena rinata con Shuichi e il solo pensiero le spaccava il cuore. Scacciò via quel brutto pensiero e cercò di godersi quella cena, sperando di poter trascorrere il resto della serata fra le sue braccia.
Dopo circa venti minuti avevano terminato tutto ciò che Shuichi aveva preparato.
 
- Grazie, era tutto buonissimo!- gli regalò un sorriso radioso, per poi baciarlo velocemente sulla guancia - Abbiamo anche un dessert?- chiese speranzosa.
- Non abbiamo comprato nulla di dolce, mi sembra-
- Ero concentrata sul sushi e mi sono scordata del dopo cena- assunse un’espressione infelice, come una bambina a cui era appena stato negato qualcosa.
- Purtroppo non ho nulla in casa a parte della marmellata che puoi spalmare sul pane-
- Ma che tristezza Shu!-
- Ti posso offrire da bere allora?-
- Che cos’hai di buono?-
- Bourbon e Scotch, il solito-
- Sei un vecchio abitudinario e noioso!- scosse la mano, snobbandolo.
 
Shuichi sorrise e si alzò in piedi, prendendo i piatti e portandoli con sé in cucina. Lo seguì con il vassoio e i bicchieri, caricarono la lavastoviglie e azionarono il lavaggio.
 
- Hai deciso cosa vuoi bere?- le chiese nuovamente.
- In realtà non ho molta voglia né dell’uno né dell’altro. A meno che tu non abbia qualcos’altro di alternativo e alcolico da propormi, credo che passerò-
- Purtroppo non ho nient’altro, Sua Maestà- la prese in giro.
- Che servitore inutile!- stette al gioco.
- Oggi dicevi di aver voglia di una tisana per rilassarti: purtroppo non ne ho perché non sono solito berle, ma se ti va posso fare del tè-
 
Ci pensò su un attimo per poi fare spallucce e accettare la proposta.
 
- D’accordo, ma mettilo in un bicchiere con del ghiaccio. D’estate non mi piace berlo caldo-
- Ci vuoi anche il latte?-
- Eh?!- lo guardò storto, facendo un’espressione quasi raccapricciata.
- Nel tè ci vuoi il latte?- ripeté la domanda.
- Tu metti il latte dentro il tè…? - chiese, sconvolta da quella rivelazione.
- In Inghilterra è normale-
- Già, dimenticavo le tue abitudini inglesi. Io però preferirei metterci il limone se non ti dispiace-
- Come vuoi, ma dovresti assaggiarlo con il latte-
- Se un giorno avrò abbastanza coraggio lo farò-
 
Shuichi prese due bicchieri, riempiendoli entrambi con dei cubetti di ghiaccio presi dal freezer. In uno dei due ci versò un goccio di Bourbon, nell’altro ci mise una bustina di tè e ci versò dentro dell’acqua, che fece sciogliere in parte il ghiaccio. Prese entrambi i bicchieri e la invitò a seguirlo nuovamente nel soggiorno, dove li posò sul tavolino che avevano utilizzato per cenare.
 
- Siediti pure, io vado a prendere il mio portatile e torno subito-
 
Annuì e si accomodò sul divano, accavallando le gambe e prendendo il suo bicchiere. Mosse la bustina del tè e l’acqua assunse un colore ancora più ambrato, mentre il ghiaccio continuava a sciogliersi. Ancora un paio di minuti e sarebbe stato pronto.
Shuichi ritornò poco dopo, sedendosi accanto a lei e posando sul tavolino il PC portatile, per poi cercare la diretta web sul sito di un’emittente televisiva giapponese. Quando tutto fu pronto, si concesse finalmente un goccio di Bourbon.
 
- Tra quanto inizia?- chiese, fissando lo schermo.
- Non dovrebbe mancare molto-
- Ci sono davvero tanti giornalisti- commentò.
- Lo shogi è molto popolare in Giappone, un po’ come il basket qui in America-
- Quindi tuo fratello è famoso?- si stupì.
- Diciamo di sì-
- Capisco- annuì - Mi piacerebbe molto conoscerlo-
 
Aveva conosciuto ormai tutta la sua famiglia, tranne suo fratello minore. Era curiosa di sapere se si somigliassero almeno nel carattere, voleva vederli interagire. Shuichi era molto distaccato persino con Masumi, che era la più piccola, perciò a maggior ragione avrebbe dovuto esserlo con quel fratello che era più vicino a lui come età e con cui aveva condiviso più momenti. Le tornò in mente ciò che le aveva raccontato al parco, i sabati trascorsi insieme al fratello e al padre. Se avesse potuto gli avrebbe ridato indietro anche solo un giorno come quelli, per vederlo sorridere.
 
- Un giorno te lo presenterò- le rispose, interrompendo i suoi pensieri.
 
Si guardarono per qualche secondo, sorridendosi a vicenda, poi entrambi sentirono il bisogno di fare molto di più che fissarsi e accorciarono le distanze, baciandosi dapprima delicatamente e poi in modo sempre più appassionato. Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a cingergli il collo con le braccia, passandogli le mani fra i capelli della nuca, mentre lui la accarezzava provocandole brividi in tutto il corpo.
La voce del telecronista che annunciava l’entrata dei giocatori interruppe quel momento.
 
- Forse è meglio se ci concentriamo su tuo fratello- si morse il labbro inferiore.
- Già- sorrise, spostando poi lo sguardo sullo schermo del PC - Questa partita è molto importante per lui-
- Ah sì? È una partita speciale?-
- Nello shogi ci sono sette titoli da conquistare: Meijin, Ryūō, Kisei, Ōi, Ōza, Kiō, e Ōshō. Ovviamente ogni giocatore aspira a conquistarli tutti e sette, perciò si sfidano l’uno con l’altro nella speranza di ottenerli. Shuukichi era riuscito ad averli tutti, ma purtroppo in una partita ha perso il titolo di Ōshō. Oggi gioca per riconquistarlo: se ce la farà, avrà ottenuto nuovamente tutti e sette i titoli- spiegò, con una scintilla di orgoglio negli occhi.
- Pensi che riuscirà a vincere?-
- Ne sono certo, lui è il migliore- dichiarò convinto - Senza contare che in ballo non c’è solo il titolo di Ōshō ma qualcosa a cui forse tiene ancora di più-
- E cosa?- chiese curiosa.
- Questo è un discorso personale, non voglio entrare nei dettagli delle questioni private di mio fratello-
- Dimenticavo che adori tenere i segreti- storse le labbra - Ma è bello come tu sia così orgoglioso di tuo fratello, non è da te sbilanciarti in questo modo. Sarebbe piaciuto tanto anche a me avere un fratello, oppure una sorella- ammise.
 
Appoggiò la testa contro la sua spalla mentre lui le cingeva le spalle con un braccio e restò così per quasi tutta la partita, inspirando il profumo della sua colonia maschile. Cercò di prestare attenzione al gioco, facendogli di tanto in tanto domande per cercare di capire meglio come funzionasse. Qualche volta, per non disturbarlo e permettergli di guardare in pace il fratello, cercò informazioni su Google con il cellulare, ignara che lui la stesse osservando con la coda dell’occhio e che si stesse anche divertendo nel vederla così intenta a comprendere quel gioco. Alla fine della partita continuò comunque ad avere comunque dei dubbi, ma non ebbe il coraggio di confessarlo apertamente. Si chiese se a Shuichi piacesse davvero lo shogi o se lo guardasse solo per sostenere il fratello.
Il match fu vinto da Shuukichi, proprio come aveva previsto lui. I giornalisti iniziarono a scattare foto a raffica, mentre il fratello sorrideva felice della sua vittoria. Sollevò la testa per guardare l’espressione di Shuichi: anche lui sorrideva, visibilmente fiero.
 
- È bello vederti così felice, sai Shu?- gli disse, distogliendo la sua attenzione dallo schermo.
- Sono contento che mio fratello abbia ottenuto ciò che voleva-
- Io sono tanto curiosa di sapere cosa voleva a parte riprendersi il titolo- provò a corromperlo facendogli gli occhioni dolci, anche se sapeva che al novantanove per cento dei casi non avrebbe funzionato.
- Lo scoprirai a tempo debito- ghignò.
- Ovvero?-
- Vuoi davvero giocare a storcermi informazioni? Perché se è così, hai perso ancora prima di cominciare-
- D’accordo, tieniti pure i tuoi segreti- incrociò le braccia al petto, fingendosi stizzita.
 
La sua recita durò meno del previsto, non riuscì a indossare oltre quella maschera quando Shuichi le sollevò la testa mettendole un dito sotto al mento e costringendola a guardarlo. Tutte le sue difese crollarono e sentì solo il desiderio di baciare ancora, ancora e ancora quell’uomo che aveva tutto quel potere su di lei e sul suo cuore.
Mentre i giornalisti continuavano a fare domande in sottofondo, si mise a cavalcioni sopra di lui e lo baciò stringendolo forte a sé. Gli tolse quel berretto che portava sempre e giocherellò con quei riccioli ribelli che tanto le piacevano, più di quei lunghi capelli che aveva quando si erano conosciuti. Non riusciva proprio ad andarci piano, nonostante se lo fosse ripetuta più volte. Sentì le mani di Shuichi posarsi dapprima sui suoi fianchi, per poi insinuarsi lentamente sotto la maglietta che stava indossando. Le accarezzava la schiena, proprio come aveva fatto al parco, ma senza osare troppo. Era come se volesse chiedere il suo consenso prima di andare oltre: la rispettava e non avrebbe mai fatto nulla che non andasse anche a lei. Faticava a tenere la mente lucida, voleva solo perdersi in quelle carezze.
Cominciò a sbottonargli la camicia a maniche corte, senza staccare le labbra dalle sue. Di riflesso, Shuichi le sollevò lentamente la maglietta fin sopra al reggiseno, nell’evidente tentativo di togliergliela. Interruppe il loro bacio solo per permettergli di farlo e ne approfittò per togliersi anche gli occhiali e posarli sul divano accanto a loro. Si concesse un attimo per guardarlo mentre faceva scorrere gli occhi sul suo busto mezzo nudo, soffermandosi sui seni prosperosi seminascosti da un fine reggiseno in pizzo: si compiacque di vedere desiderio nei suoi occhi verdi. La voleva, l’uomo che amava la voleva come lei voleva lui.
Catturò nuovamente le sue labbra, terminando di sbottonare la camicia e aprendola per osservare meglio il suo fisico atletico: era perfetto come un dio greco e lei non poteva desiderare di meglio. Accarezzò i suoi addominali mentre lui le abbassava le spalline del reggiseno e l’attirava delicatamente a sé. Cominciò a baciarle il collo, scendendo lungo lo sterno e arrivando infine ai seni. Sospirò sonoramente, chiamando il suo nome.
 
- Aspetta…- sussurrò, quasi senza fiato.
 
Senza farselo ripetere si fermò e la guardò negli occhi, cercando una motivazione a quel freno improvviso.
 
- Cosa stiamo facendo?- gli chiese, cercando una risposta nei suoi occhi - Avevamo detto di andarci piano…-
- Se vuoi aspettare ancora per me va bene, non voglio forzarti- rispose, accarezzandole le braccia.
- Tu lo vuoi?- gli chiese di rimando.
- Se me lo chiedi mentre stai seduta a cavalcioni sopra di me e senza maglietta, come pretendi che ti dica di no?- ghignò.
- Ma se fossi vestita lo vorresti lo stesso?- insistette.
- Mi sembra che lo fossi fino a pochi minuti fa-
 
Non le diede il tempo di rispondere, riprendendo a baciarle la pelle nuda delle spalle mentre faceva scorrere le mani dal ventre fino ai suoi seni, toccandoli senza però lasciarsi andare troppo. Quel poco di lucidità che aveva recuperato l’abbandonò nuovamente e si ritrovò ad ansimare con la testa piegata all’indietro. La ritrovò solo quando Shuichi smise di baciarla, per guardarla mentre si perdeva in lui. La ragione prese di nuovo il sopravvento.
 
- È tutto così sbagliato- sussurrò sulle sue labbra, mentre moriva dalla voglia di unirle con le sue - Eppure…-
- Eppure?- la invitò a continuare la frase.
- Eppure è tutto così giusto-
 
Lo strinse forte a sé in un abbraccio che non lasciava via di fuga e lo baciò appassionatamente. Le loro lingue danzavano come ballerini sulle note di un tango, intrecciandosi ed esplorandosi a vicenda, e i loro bacini spingevano sempre più l’uno verso l’altro.
 
- Aspetta- lo fermò nuovamente, ma stavolta sorridendo con le guance arrossate.
- Cosa c’è?-
- Forse è meglio se togli il cellulare dalla tasca dei pantaloni- indicò in basso con lo sguardo.
- Guarda che il cellulare è sul tavolo, è sempre stato lì- fece un cenno con la testa verso il tavolino.
 
Si girò e con sua grande sorpresa vide che effettivamente il cellulare di Shuichi era posato a fianco del PC, il quale stava ancora trasmettendo la conferenza stampa del dopo partita.
 
- Allora le sigarette?- azzardò.
- Anche quelle sono sul tavolo, dietro al PC insieme al posacenere-
- L’accendino? Insomma, sento che sono seduta su qualcosa di duro ed è imbarazzante- ammise, vergognandosi di ciò che aveva appena detto.
 
Shuichi chiuse gli occhi e sorrise beffardo, come faceva quando stava per prenderla in giro.
 
- L’accendino è insieme alle sigarette e forse, vista la situazione, la cosa dura su cui sei seduta potrebbe non trovarsi esattamente nelle mie tasche. Non pensavo di doverti spiegare certe cose alla tua età-
- Oh- riuscì solo a dire, stringendo il collo nelle spalle e facendosi piccola piccola mentre l’imbarazzo la consumava.
 
Nascose il volto nell’incavo del suo collo e pregò che quel momento passasse presto. Aveva fatto la figura della ragazzina liceale che non sapeva cosa succedeva a un uomo quando si eccitava. Ma lui, invece di fargli pesare la cosa, aveva iniziato ad accarezzarle dolcemente la schiena.
 
- Scusami, sono una stupida- disse, senza alzare la testa.
- Non sei stupida, però sei parecchio nervosa e questo non aiuta-
 
Aveva ragione, nonostante volesse davvero fare l’amore con lui una parte di lei era terribilmente nervosa all’idea, come se avesse paura. Fare quel passo avrebbe cambiato le dinamiche del loro rapporto, forse lo avrebbe rafforzato, ma la Jodie del passato ferita e abbandonata temeva ancora che lasciarsi andare completamente potesse rivelarsi uno sbaglio il quale non poteva essere corretto una volta fatto.
 
- Hai ragione e mi sento stupida anche per questo- confessò.
- Non preoccuparti, forse non è ancora arrivato il momento giusto- la tranquillizzò.
- Ma come è possibile che non sia arrivato?! Insomma, fino a poco fa ci stavamo spogliando e baciando!- lo guardò seria negli occhi, cercando da lui una risposta alle sue domande.
- Evidentemente sei pronta a fare questo ma non a fare l’ultimo passo. Non c’è nulla di sbagliato in questo, perciò non preoccuparti. Quando sarai davvero pronta succederà in modo naturale-
 
Era incredibile come quel pezzo di ghiaccio fosse in grado di dimostrare una tale sensibilità nel momento più opportuno. Come uno specchio che rifletteva la sua immagine, riusciva a dirle esattamente quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Lo amava per questo e avrebbe voluto confessarglielo, ma non era certa di come avrebbe preso un “ti amo” improvviso: per questo si limitò a prendergli il volto fra le mani e sorridergli dolcemente.
 
- Lo sai che se continui a dirmi parole come queste potrei essere pronta anche fra cinque secondi?-
 
Chinò il volto sul suo e lo baciò, ma senza troppa foga. Lui ricambiò, stringendola a sé. Il loro momento idilliaco venne però interrotto dalla suoneria del cellulare di Shuichi: qualcuno lo stava chiamando.
 
- Che tempismo!- si lasciò sfuggire lei, scendendo da sopra di lui e sedendosi sul divano, stando attenta a non rompere gli occhiali di suo padre.
 
Shuichi si piegò in avanti e prese il cellulare dal tavolo, leggendo il nome sul display. Buttò l’occhio anche lei e vide scritto “Shuukichi”. Istintivamente spostò lo sguardo sul PC ancora acceso e si accorse che ormai la conferenza era terminata e stavano mandando in onda un altro programma.
Shuichi iniziò a riallacciarsi i bottoni della camicia, mentre il telefono continuava a squillare.
 
- Non rispondi?- chiese perplessa.
- Prima è meglio se mi rivesto, è una videochiamata.
 
Spalancò gli occhi a quelle parole e si affrettò a sistemare il reggiseno e a indossare anche lei la sua maglietta, per poi pettinarsi alla bell’e meglio passandosi le dita fra i capelli. Forse gli avrebbe presentato il fratello e non voleva certo apparire in quello stato, mezza nuda e ancora estasiata dalle carezze dell’uomo con cui stava avendo un momento intimo.
 
- Pronto?-
 
Shuichi rispose alla chiamata parlando in giapponese, evidentemente quella era la lingua che usavano fra loro nonostante le origini britanniche. Forse suo fratello non era più abituato a parlare inglese, dopo anni vissuti lontano dalla loro città natale.
Allungò il collo per vedere anche lei lo schermo del telefono senza però essere inquadrata.
 
- Shuichi-niisan, ce l’ho fatta! Li ho conquistati tutti e sette!- si sentì una voce squillante dall’altro lato, completamente opposta a quella del compagno.
- Ho seguito la partita in diretta streaming. Congratulazioni Shuukichi- sorrise, ma senza esultare troppo.
 
Scosse la testa: non sarebbe mai cambiato. Nemmeno di fronte all’euforia del fratello riusciva a scomporsi o lasciarsi andare ai festeggiamenti.
 
- Ora potrò finalmente sposare Yumi-san!-
- Mamma e papà ne saranno felici- commentò, sempre senza troppo entusiasmo.
- Gliel’ho già presentata e a papà piace molto. Mamma non si è sbilanciata troppo ma credo sia contenta-
 
Le venne da ridacchiare: Mary e Shuichi erano due gocce d’acqua, eppure si scontravano come tori in un’arena. Shuichi si girò a guardarla, attratto dalla sua risatina. Si coprì la bocca con una mano ma continuò a sorridere e a fissarlo con occhi vispi, curiosa di ascoltare il resto della conversazione: a quanto pare Shuukichi doveva sposarsi e aveva aspettato quella vittoria prima di farlo. Questo particolare evidenziò ancora di più la profonda differenza tra i due fratelli: mentre uno urlava il proprio amore ai quattro venti ed era pronto al matrimonio, l’altro non si sprecava di certo in dichiarazioni e parole dolci. Aveva decisamente sbagliato fratello.
 
- Ma c’è qualcuno lì con te? Mi è sembrato di sentire una voce- chiese Shuukichi, che probabilmente aveva udito la sua risata.
- No, è che ho lasciato il PC acceso sul sito del canale televisivo che trasmetteva la diretta. Se senti delle voci provengono da lì-
 
Bastarono quelle parole a spegnere completamente il suo entusiasmo come acqua gettata sul fuoco. Aveva desiderato così tanto che Shuichi la presentasse al fratello minore di cui andava così fiero, perché farlo avrebbe significato introdurla definitivamente nella famiglia e quindi etichettarla come parte di essa. Sarebbe stata a tutti gli effetti la sua ragazza, la sua donna, la sua compagna. Invece lui non solo non l’aveva inquadrata con il cellulare, ma aveva persino mentito sulla sua presenza in quella stanza. Si chiese perché volesse tenerla segreta e l’unica risposta che riuscì a darsi non le piacque affatto. La dura realtà dei fatti la colpì come un proiettile nel petto: Shuichi non la amava. Era attratto fisicamente da lei e lo aveva dimostrato poco prima sul divano, le voleva molto bene e si sentiva sereno accanto a lei, però non la amava al punto tale da presentarla a suo fratello. A ben pensarci da dopo la fine del processo non le aveva più fatto avere alcun tipo di contatto con la sua famiglia, tutto ciò che sapeva era stata Shiho a dirglielo durante le loro telefonate. Ripensò a quest’ultima, che aveva già detto a tutti della loro relazione, e il cuore le si strinse. Forse le sue paure non erano così prive di fondamento, forse c’era un motivo se la sua testa continuava a dirle di andarci piano, nonostante tutto: quella telefonata ne era la prova. Aveva voglia di piangere, ma non voleva farlo e soprattutto non davanti a lui. Quell’uomo aveva avuto metà delle lacrime piante nella sua intera vita, non se ne meritava altre. Come aveva detto a Shiho, era disposta ad aspettarlo fino a un certo punto, oltre il quale avrebbe preteso delle dimostrazioni: quel limite era appena stato raggiunto. Da quel preciso istante non avrebbe più fatto niente per lui, non l’avrebbe rincorso e non l’avrebbe supplicato. L’amore non si implora, si da e basta: se Shuichi l’amava avrebbe dovuto dimostrarglielo andandosela a riprendere.
Si alzò dal divano e senza nemmeno salutarlo s’incamminò verso la porta, mentre lui si era spostato vicino alla portafinestra del balcone e stava continuando la conversazione con Shuukichi. I tacchi delle scarpe facevano troppo rumore perché potesse lasciare l’appartamento indisturbata e li maledisse in silenzio.
 
- Scusa, posso richiamarti?- sentì la voce di Shuichi alle sue spalle.
 
Probabilmente doveva essersi accorto che stava andando via e voleva mettere fine alla telefonata. Non poteva sfuggirgli ma al tempo stesso non voleva affrontarlo. Aveva una paura tremenda che una volta varcata quella porta la loro relazione sarebbe finita, per la seconda volta.
Sentì i suoi passi avvicinarsi e infine la sua mano sinistra le si posò su una spalla, costringendola a voltarsi e guardarlo.
 
- Dove vai? Perché sei scappata così?- le chiese, il volto a metà fra il serio e il perplesso.
- Era una conversazione privata e non volevo essere di troppo- mentì, ma il suo volto tradiva la delusione provata.
- Perdonami, mi sono dilungato. Mi sembrava scortese riattaccare ma quando Shuukichi si mette a parlare della sua fidanzata riesce ad andare avanti per ore-
- È una donna fortunata- pronunciò quelle parole con invidia, senza curarsi che lui potesse percepirla.
- Va tutto bene?-
 
Era ovvio che si fosse accorto che qualcosa non andava, non stava facendo nulla per mascherare il malumore che si era insinuato dentro di lei. Non sapeva se continuare a mentire o se confessargli quello che sentiva. Alla fine scelse di mentire.
 
- Sì, ma si è fatto tardi ed è meglio se vado-
- Sicura che è solo questo? Hai una faccia strana- le fece notare.
- Sono solo stanca-
- Guarda che se è per la storia di prima te l’ho detto, non c’è nessun problema-
- Ti ho detto che sono solo stanca- alzò il tono della voce, quasi esasperata.
 
Non era riuscita a controllarsi, le faceva troppa rabbia il fatto che non riuscisse nemmeno a rendersi conto di cosa l’aveva ferita. Si preoccupava di quello che era successo sul divano piuttosto che di averla tenuta nascosta a suo fratello…tutto ciò era assurdo.
 
- Jodie- la fissò serio - Te l’ho già detto: tu non sai mentire. È evidente che qualcosa non va, altrimenti non avresti quell’espressione sulla faccia e non te ne saresti andata senza dire nulla-
 
Abbassò la testa, consapevole di non poter vincere contro di lui: mentre lei non riusciva a interpretare i suoi sentimenti, lui sapeva leggerle dentro come nessun altro. Lei non aveva segreti per lui, lui era un segreto vivente per lei. Era destinata a perdere quella partita, qualunque mossa avrebbe fatto.
 
- D’accordo- si arrese, facendo un gesto stizzito con la mano - Perché mi hai tenuta nascosta da tuo fratello?-
- È per questo che sei arrabbiata?-
- Perché, non è un motivo sufficiente per esserlo?!-
 
Era incredibile come stesse sminuendo le motivazioni della sua delusione, la faceva sentire una stupida.
 
- Volevo solo presentarvi al momento opportuno e per telefono mi sembrava brutto- si giustificò.
- Al momento opportuno?- ripeté le sue parole - E quando verrà questo momento opportuno?!-
- Ho capito, volevo farti una sorpresa ma a questo punto sono costretto a rinunciare- chiuse gli occhi, appoggiandosi con la schiena alla parete e tenendo le braccia conserte - Volevo chiedere a Shuukichi se potevo portarti con me al suo matrimonio, così vi avrei presentati di persona come ho fatto con i miei. Non mi piace presentare le persone per telefono, ecco perché ho mentito dicendo che non c’era nessuno in casa a parte me- concluse.
 
La sua spiegazione non aveva un singolo difetto e si stupì di sapere che volesse addirittura portarla con sé al matrimonio del fratello. Ne era lusingata e avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e scusarsi, ma la voce della sua coscienza le intimò di non cedere di nuovo alle prime parole dolci che le rivolgeva. Doveva fare di più, doveva esprimerle i suoi sentimenti a parole.
 
- Se vuoi davvero fare tutto questo…allora perché non mi hai ancora chiesto di essere la tua fidanzata?-
 
Lo aveva fatto, aveva detto la verità. Non poteva più tornare indietro.
Shuichi restò visibilmente sorpreso da quelle parole, tanto da non riuscire a replicare subito.
 
- Non pensavo di dovertelo chiedere, mi sembrava ovvio- rispose infine.
- Ovvio?!- lo guardò esasperata - Shuichi, amare una persona non è una cosa “ovvia” e se frequenti una ragazza questo non fa di lei la tua fidanzata solo perché la baci su un divano! Noi ci stiamo nascondendo da tutti, da colleghi, amici e parenti! Sembriamo i colpevoli di un crimine che però non abbiamo commesso!-
- Mi sembrava che fossi d’accordo anche tu con l’idea di non esporci davanti ai colleghi, ti ricordo che oggi sei stata tu a servire la cosa su un piatto d’argento a Camel e Yuriy-
- Me lo stai rinfacciando?- chiese risentita.
- No, sto solo dicendo che eravamo entrambi d’accordo sulla cosa-
- Restare anonimi sul luogo di lavoro non significa chiudersi in casa per paura di incontrare qualcuno e soprattutto non significa nascondermi alla tua famiglia-
- Io non ti sto nascondendo, la mia famiglia sa perfettamente di noi due-
- Allora perché quando ti telefonano te ne vai in un angolo e ti assicuri che non percepiscano la mia presenza?-
- Ti ho già spiegato perché non ho voluto dire a Shuukichi che eri qui-
- Non mi riferisco solo a stasera, tu non mi hai mai proposto di fare insieme una telefonata ai tuoi genitori o di avere qualsiasi contatto con loro-
- E questo secondo te basta a stabilire che non provo nulla per te e ti sto solo usando? A che scopo, Jodie? Dove potrei mai arrivare usandoti?-
 
Sentiva che anche lui si stava alterando, nonostante mantenesse una calma apparente, e questa non era affatto una buona cosa. Due persone arrabbiate che litigano finiscono sempre col dire cose spiacevoli.
 
- Io non ho mai detto che mi stai usando, so che ci tieni a me ma forse non abbastanza da considerarmi come la tua fidanzata o da farmi avere contatti con la tua famiglia. Se mio padre fosse qui te lo avrei già fatto incontrare mille volte-
 
Si portò una mano alla bocca nel tentativo di frenare quel pianto che ormai voleva uscire insistentemente.
 
- Se non te lo chiedo come fanno i ragazzini del liceo allora significa che non ti considero la mia donna? Non abbiamo più diciassette anni, è scontato che se facciamo quello che abbiamo fatto nelle ultime settimane siamo a tutti gli effetti una coppia-
 
Scosse la testa, distogliendo lo sguardo: era arrivata al limite. Non capiva che cosa gli costasse fare una dichiarazione come si doveva e soprattutto non capiva perché continuasse a dare per scontato tutto ciò che la riguardava.
 
- Anche quando hai iniziato a frequentare lei hai dato per scontato che fosse la tua fidanzata oppure glielo hai chiesto per apparire come l’uomo perfetto?-
 
Chiuse gli occhi e li strinse forte quando realizzò cosa aveva appena detto. Non voleva ferirlo di proposito, eppure lo aveva colpito nell’unico punto debole che conosceva. Delusa dalla sua mancanza di sensibilità non si era nemmeno accorta di essersi appena comportata esattamente come lui.
Shuichi non disse nulla, si limitò a spostare lo sguardo su un punto fisso del pavimento. Avrebbe voluto dirgli qualcosa ma non sapeva cosa. Non sapeva se doversi scusare oppure se andarsene via e basta. Alla fine era lei quella ad essere stata ferita per prima, aveva solo contrattaccato per proteggersi. Il suo contrattacco però le sarebbe costato parecchio. Ormai era più che certa che una volta uscita dalla porta la loro relazione sarebbe finita, dopo quello che gli aveva appena detto non poteva sperare che la guardasse ancora in faccia.
Senza più controllare le lacrime che scorrevano sulle sue guance, gli diede le spalle e uscì quasi correndo dalla porta.
 
 
…………………………..
 
 
Avrebbe dovuto fermarla e chiarire quella questione una volta per tutte, ma le sue parole gli avevano fatto male. Doveva essere terribilmente arrabbiata e delusa per colpirlo così, forse sarebbe stato impossibile avere una conversazione con lei senza farla finire in tragedia com’era appena successo. Non aveva mai usato Akemi come arma contro di lui, ad essere onesti non la nominava quasi mai davanti a lui, perciò le sue parole velenose erano la prova schiacciante di quanto fosse amareggiata. Probabilmente la giornata difficile che aveva avuto al lavoro, con tutta quella storia del pettegolezzo, non aveva certo aiutato il suo umore. Si chiese perché desse così tanta importanza alle parole che non le diceva più che ai gesti che faceva per farle capire quanto tenesse a lei. Non era mai stato il numero uno quando si trattava di esprimere i propri sentimenti, eppure gli sembrava di essere stato anche più espansivo del solito negli ultimi tempi. Il suo impuntarsi sulla cosa lo aveva infastidito e non era riuscito a leggere fra le righe che quello che apparentemente sembrava solo un capriccio da bambina viziata e desiderosa di attenzioni era in realtà l’espressione di una paura e un’insicurezza che andavano oltre ciò che si sarebbe mai potuto immaginare. Si rivide per un attimo in lei: entrambi vittime dei fantasmi di un passato che ogni tanto tornava a tormentarli e che li aveva segnati in modo indelebile. Lui che più di tutti avrebbe dovuto capire, aveva dato di nuovo per scontato che a Jodie non servissero parole ma fatti; scontato però non era un termine che a Jodie piaceva. Gli ritornarono in mente le parole che gli aveva detto la notte della pioggia di comete, in quel parco dove era ricominciato tutto: “Tu mi hai sempre data per scontata, sapevi che ero lì per te e ci sarei stata qualunque cosa mi avessi fatto”. Chissà se sarebbe stata ancora lì per lui, dopo quello che si erano detti a vicenda. Non sapeva se sarebbe mai riuscito a far uscire dalla sua bocca parole come “ti amo” o “voglio che tu sia la mia fidanzata”, non perché non provasse quei sentimenti ma perché non era capace di esprimerli apertamente al cento per cento, specie con le parole. Lui non era come Shuukichi o come suo padre, piuttosto somigliava in tutto e per tutto a sua madre da quel punto di vista. Entrambi amavano la loro famiglia ma non si sprecavano in abbracci o parole dolci. Aveva più domande che risposte nella testa, ma di una cosa era certo: amava Jodie, l’amava in principio, l’aveva amata di nascosto negandolo a se stesso anche quando nel suo cuore c’era un’altra donna a dividere lo spazio con lei e l’avrebbe amata fin che il tempo glielo avrebbe concesso.
Prese il cellulare e chiamò nuovamente il fratello.
 
- Shuichi-niisan, va tutto bene? Hai riattaccato in tutta fretta- rispose la voce all’altro capo.
- Sì, solo un piccolo imprevisto. Vorrei chiederti una cosa, se non hai altre conferenze o impegni-
- No, dimmi pure-
- Hai già fissato la data del matrimonio?-
- Non ancora, ne parlerò con Yumi e decideremo, ma spero il prima possibile- disse entusiasta.
- Allora appena avrai la data fammi sapere. Devo prendermi le ferie con un po’ di anticipo-
- Ma certo!-
- Un’altra cosa: è un problema se porto con me un’altra persona al matrimonio? Immagino che la cerimonia non avrà troppi invitati, considerando la tua posizione. Se date nell’occhio avrai i giornalisti alle calcagna-
- Beh, dipende da Yumi-san. Non so se voglia invitare tutti i suoi colleghi, in quel caso sarà difficile fare una cosa con poche persone-
- Capisco-
- Ma non è affatto un problema se vuoi portare qualcuno, però vorrei sapere chi è-
- La mia fidanzata- disse sorridendo, anche se nessuno poteva vederlo.
- Dici sul serio?!- si entusiasmò Shuukichi, al quale bastava poco per elettrizzarsi - Mamma e papà ne parlavano la scorsa settimana e Shiho mi ha mostrato una foto di te con una bella ragazza bionda. Allora è vero!-
- Già-
- Congratulazioni Shuichi-niisan! Presto ti sposerai anche tu!-
 
Se avesse messo il vivavoce forse i vicini si sarebbero svegliati tanto era alto il tono che suo fratello stava usando. Per un attimo gli sembrò che fosse più esaltato all’idea di un suo possibile matrimonio con Jodie piuttosto che a quella del suo stesso matrimonio.
 
- È presto per parlarne, per ora vorrei solo farvela conoscere. In realtà mamma, papà e Masumi l’hanno già incontrata quando sono venuti qui mesi fa, ma lei vorrebbe tanto conoscere anche te-
- Davvero?- si rallegrò - Anche io voglio conoscerla! Allora organizzeremo il matrimonio il prima possibile!-
- Ti ringrazio-
 
Terminò quella telefonata con un pensiero in meno, ma con la consapevolezza che ciò che aveva appena fatto non bastava di certo a riparare l’errore commesso. Per portare Jodie al matrimonio di Shuukichi doveva prima convincerla dei sentimenti che provava per lei e a quanto pare l’unico modo che aveva era pronunciare quelle cinque lettere. Non aveva paura di sminuire la sua virilità facendolo, quelle erano tutte fandonie: la verità è che a lui le parole erano sempre importate meno dei fatti. In un’altra circostanza avrebbe lasciato perdere, ma dal momento che si trattava di Jodie doveva fare qualcosa e doveva farlo il prima possibile. Le aveva promesso di non farla più soffrire e ora non poteva venire meno alla parola data, non se lo sarebbe perdonato.
Si sedette sul divano che odorava ancora del profumo di Jodie e nel silenzio che era caduto in quella stanza si mise a riflettere sulla mossa da fare.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Vi mancavano i drammi? Bene, allora vi accontento! (Sono pessima lo so XD)
Penso che la dinamica del capitolo si spieghi da sé, quindi vi lascio con una piccola nota come solito:
 
- la frase pronunciata da Jodie “Soldati che non dovevano perdere la loro compostezza, questo erano” è un riferimento al brano di Eminem “Like Toy Soldiers” (I’m supposed to be the soldier who never blows his composure)
 
Grazie a tutti quelli che leggeranno e a chi vorrà lasciarmi un piccolo commento!

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Capitolo 36
*** Capitolo 36: In cerca di risposte ***


Quando aprì gli occhi il giorno successivo le sembrò di non aver dormito nemmeno un’ora e forse la sua percezione non era del tutto sbagliata. Non sapeva a che ora si fosse addormentata, sapeva solo di essersi rigirata nel letto per parecchio tempo e di aver pianto al punto tale da sentire gli occhi gonfi.
Si alzò svogliatamente dal letto e andò in bagno per sciacquarsi il viso, nella speranza di non sembrare un morto vivente, ma la sua immagine riflessa nello specchio le diede esattamente quell’impressione. Se fosse andata in ufficio con quell’aspetto, gli altri avrebbero capito subito che qualcosa non andava; tuttavia non poteva restare a casa perché se non fosse andata al lavoro dopo il pettegolezzo che era girato il giorno prima, tutti avrebbero pensato che si vergognasse. Non voleva far parlare ulteriormente di sé e di quella storia, tanto ormai qualunque cosa stesse nascendo con Shuichi l’aveva seppellita la sera prima quando aveva usato Akemi contro di lui. Si sentiva terribilmente in colpa, nonostante tutto. Era vero che Shuichi l’aveva delusa, ma per quanto il suo atteggiamento la ferisse sapeva che lui non lo faceva di proposito. Non si era nemmeno reso conto di averla ferita, fino a quando lei non aveva reagito bruscamente.
Si fissò nello specchio per parecchi secondi, cercando di trovare una risposta alle sue domande. Si chiese come avrebbe dovuto comportarsi con lui e cosa sarebbe successo.
 
 
Quando aprì la porta dell’ufficio li trovò tutti e tre lì. A quanto pare era lei la ritardataria di turno. Aveva perso qualche minuto a scegliere dei vestiti decenti, che compensassero il suo aspetto non proprio fresco: una camicetta bianca semplice ma elegante, un paio di pantaloni neri aderenti e scarpe con un tacco di media altezza. Si era truccata un po’ più del solito, abbondando con il correttore per nascondere le occhiaie, e aveva indossato una collana con un pendente a goccia dello stesso colore dei suoi occhi. Nel complesso il risultato era sempre meno peggio di quando si era svegliata.
Yuriy e Camel la salutarono e lei ricambiò ma senza prestarci troppa attenzione. I suoi occhi cercarono subito quelli di Shuichi, mentre l’ansia cresceva dentro di lei. Lui la fissò con il suo solito sguardo ma non disse nulla, nemmeno un “ciao”. Non riusciva a capire se fosse arrabbiato, deluso o semplicemente se la stesse ignorando. La sua indifferenza le avrebbe fatto molto più male della sua rabbia.
A testa bassa raggiunse la sua scrivania, senza più guardarlo. Averlo al suo fianco, a poco più di un metro di distanza, non la aiutava di certo a dimenticare o a mettersi a proprio agio.  Alzò lo sguardo davanti a sé e vide che Yuriy la stava fissando con un’espressione strana, come se qualcosa non lo convincesse. Era un tipo molto perspicace, probabilmente aveva notato il suo malumore anche dietro il trucco e i bei vestiti. “Tu non sai fingere” le ripeteva sempre Shuichi e anche se le costava ammetterlo, aveva ragione.
 
- Tutto bene Starling?- le chiese.
- Sì, ho solo un po’ di mal di testa- mentì, ma senza sforzarsi troppo nella recita.
- Vuoi un antidolorifico? Ne porto sempre qualche bustina dietro- si offrì.
- No, tranquillo, ho già preso una medicina a casa. Presto farà effetto, almeno spero- si sforzò di sorridere – Piuttosto, mi sono persa qualcosa?-
 
Aveva fretta di iniziare a lavorare, forse il lavoro l’avrebbe distolta dai suoi pensieri e forse era l’unico pretesto con cui Shuichi le avrebbe rivolto la parola quel giorno.
 
- Non molto in realtà, abbiamo riparlato delle indagini fatte ieri e concordiamo tutti che il fratello di Russel non ce l’abbia raccontata giusta. Avevamo detto di far passare qualche giorno prima di tornare da lui, ma ho paura che più temporeggiamo e più lui abbia il tempo di far sparire eventuali prove o di fare qualunque cosa che possa compromettere le indagini-
- Quindi volete tornarci adesso?-
- Direi di sì, ma siamo indecisi se tornarci io e Camel, due facce che lui ha già visto, oppure se mandarci Shuichi insieme a uno di noi. Non vogliamo escluderti, ma Daniel sembra uno tosto che non si lascia spaventare e una biondina con gli occhioni azzurri non fa proprio paura-
- Però se avesse un debole per le donne, lei potrebbe essere l’arma vincente- intervenne Shuichi, che stava riflettendo a occhi chiusi.
 
Il solo suono della sua voce la fece irrigidire. Deglutì, cercando di mantenere la calma. Non l’aveva guardata nemmeno per un attimo e invece che chiamarla nome aveva detto semplicemente “lei”, lo stesso pronome con cui la sera prima anche lei aveva definito Akemi. Si chiese se lo avesse fatto di proposito, se quella fosse una sottile vendetta che Shuichi aveva deciso di consumare davanti agli occhi dei loro colleghi. Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente, non ritenendolo così subdolo da fare una cosa del genere; tuttavia la sensazione sgradevole rimase.
 
- Fino ad ora ci siamo concentrati sul wine bar, su chi poteva potenzialmente frequentarlo e sul fratello di Russel- rifletté, cercando di concentrarsi sul caso e non su quello che aveva appena detto Shuichi - Però non abbiamo mai parlato con la moglie-
- Beh, non abbiamo nulla che possa farci sospettare di lei a differenza di Daniel- disse Yuriy.
- Il fatto che non sembri sospetta non significa che non lo sia. In fondo era sua moglie, possibile che non sapesse nulla dei traffici del marito o dei suoi problemi di droga?-
- Se avessi l’uno e l’altro, di certo cercherei di tenerli nascosti dalla mia bella e ignara consorte-
- Dico solo che forse lei potrebbe avere delle informazioni che ancora non abbiamo- concluse, stringendo le spalle.
- D’accordo, allora visto che sembri essere la candidata migliore andrai a far visita a…- si prese qualche secondo per leggere dal fascicolo il nome della moglie di Russel, che aveva dimenticato - Charlotte Harrington-
- Chi di noi andrà da Daniel invece?- chiese Camel.
- Possiamo andarci io e Akai e tu vai con Jodie dalla vedova?- suggerì.
- Forse è meglio se vado sola- intervenne lei - Immagino che si sentirà più a suo agio con una donna, temo che la presenza di Camel possa metterla in difficoltà. Vorrei vedere come si comporta in una chiacchierata fra donne a tu per tu-
- Allora non ci resta che andarci tutti e tre da Daniel, a meno che tu non voglia andare da solo a cercare Viktor- Yuriy si rivolse a Camel - Ma francamente non te lo consiglio, quando si parla di mafia russa è sempre meglio non muoversi da soli-
- Bene, allora possiamo andare- disse solamente Shuichi, per poi alzarsi dalla sedia pronto per andare.
 
Le passò dietro senza soffermarsi e continuando a non guardarla e non rivolgerle la parola. Non la salutò nemmeno, non le disse di stare attenta.
 
- A più tardi- la salutò invece Yuriy, guardandola nuovamente in modo strano.
 
Rispose con un cenno della mano, chiusa nel suo silenzioso dolore.
Quando tutti e tre ebbero lasciato l’ufficio, si prese qualche minuto per leccarsi le ferite e indossare nuovamente la maschera con cui si sarebbe presentata dalla vedova di Russel.
 
 
 
Charlotte Harrington era la classica moglie di un uomo d’affari dell’Upper East Side: capelli perfetti ed elegantemente acconciati, unghie fresche di manicure, abiti di alta moda e orecchini di diamante ai lobi. L’aveva accolta senza opporsi troppo, facendola accomodare nel soggiorno dell’enorme casa che aveva definito “vuota” dopo la morte del marito, nonostante spiccassero argenterie e oggetti di valore ovunque, inclusi i quadri alle pareti. Aveva poi dato ordine alla cameriera di servire loro del tè e qualche stuzzichino, il tutto disposto egregiamente su vassoi lustrati come specchi e dentro tazzine in porcellana finemente decorata. Anche lei proveniva da una famiglia ricca e i soldi non erano mai stati un problema, ma davanti a tanta ostentazione e lusso si sentiva come una barbona che di lì a poco sarebbe tornata a dormire stesa a terra sul suo cartone. Si sentiva a disagio a toccare qualunque cosa, persino a stare seduta sul divano.
 
- Immagino che sia qui per parlare di Russel- l’aveva preceduta, parlando con la cadenza tipica dei nobili o in generale delle persone del suo stesso ceto sociale.
- Vorrei farle qualche domanda, stiamo facendo il possibile per scoprire la verità dietro alla morte di suo marito-
- Che cosa vuole sapere?- chiese, prendendo in mano la sua tazzina di tè in modo elegante.
- In che rapporti eravate?-
 
La vedova si concesse un sorrisetto appena abbozzato che contrastò nettamente con l’espressione infelice assunta dal suo volto. Abbassò lo sguardo fissando il liquido ambrato che stringeva fra le mani, troppo caldo per quella giornata estiva. Dalla sua reazione comprese che, come nel famoso proverbio, non era tutto oro ciò che luccicava in quella casa.
 
- Se le dico che eravamo una coppia felicemente sposata e invidiata da tutti sarei fedele a ciò che dicono i giornali, se le dico la verità rischio di finire tra i sospettati dell’omicidio. Nel nostro mondo fatto di vanità e lusso, le apparenze sono tutto: una sola parola fuori posto e vieni tagliato fuori- spiegò, senza mai guardarla in faccia.
- Qui però parliamo di un uomo che è stato ucciso, di una vita stroncata: questo non è più il suo mondo, è il mio- cercò di apparire sicura di sé - Se nasconde qualcosa per salvare le apparenze, qualunque cosa sia, finirà comunque per essere sospettata, quindi le conviene dire ciò che sa. Alla polizia e a noi dell’FBI non interessano le apparenze, vogliamo i fatti-
 
Charlotte annuì, bevendo un piccolo sorso dalla tazzina prima di parlare.
 
- Davanti agli altri ci comportavamo come se fossimo una coppia felice, con un matrimonio solido alle spalle, ma dentro le mura di questa casa la verità era un’altra. Sapevo che Russel mi tradiva da anni. Gli piacevano le donne e se si presentava l’occasione la coglieva senza pensarci. Ragazze giovani ovviamente, una moglie che stava invecchiando ce l’aveva già- sorrise amaramente.
- Lei è una bellissima donna, per quanto può valere la mia opinione- disse sinceramente.
- Ma non bella è giovane come lei. Penso che a Russel sarebbe piaciuta-
- Come aveva scoperto che la tradiva?-
- Russel usava sempre e solo la stessa colonia maschile da anni, da quando ci siamo conosciuti fino alla sua morte non l’ho mai sentito indossare un profumo diverso. Poi una sera di sette anni fa tornò a casa dal lavoro e quando lo abbracciai mi accorsi che aveva addosso un profumo dolciastro, floreale, tipicamente femminile. In un primo momento finsi che non fosse ciò che pensavo, ma un giorno la nostra cameriera venne da me a dirmi che purtroppo non sapeva come togliere la macchia di rossetto dalla camicia di Russel. Un rossetto scarlatto, troppo acceso perché potesse essere mio. Da quel momento cominciai a prestare più attenzione al fatto che rientrasse a casa sempre più tardi, fin quando lo sentì parlare di nascosto al telefono con una delle sue amanti. Gli diceva che l’amava e che sarebbero stati insieme, ma anche lui conosceva bene le regole del gioco: non avrebbe mai lasciato una moglie di classe con cui poteva fare bella figura ai party mondani per una ragazzina volgare che ignorava cosa fosse l’alta società-
- Lei sapeva chi fosse?-
- Probabilmente una di quelle squallide ballerine mezze nude che teneva nel suo cosiddetto wine bar- parlò con disprezzo - Almeno questo dicevano le foto scattate dall’investigatore privato che avevo pagato per seguire Russel-
 
Si sorprese di quella confessione: non avrebbe mai immaginato che la donna fosse arrivata a tanto, ma la sua paura di perdere quel marito infedele che però le permetteva di sopravvivere nell’alta società era più forte di qualunque cosa.
 
- Posso vedere quelle foto? Le conserva ancora?-
- Certo, ho pensato che avrei potuto usarle come arma a mio favore se ne avessi avuto bisogno- ammise - Attenda qui-
 
Charlotte si alzò dal divano, sempre muovendosi in modo raffinato, e sparì dal soggiorno. Rimasta sola si accorse che la cameriera, la quale fino a poco prima si trovava in un’altra stanza, era entrata in salotto non appena la signora se n’era andata: molto probabilmente le aveva ordinato di tenerla sotto controllo fino al suo ritorno, mentre fingeva di spolverare e lucidare soprammobili. Probabilmente temeva che si mettesse a curiosare dove non doveva. I ricchi hanno sempre tanti, troppi segreti.
La vedova di Harrington tornò qualche minuto dopo con in mano una busta, che posò sul tavolino davanti a lei per poi risedersi al suo posto.
 
- Dentro ci sono le foto, le guardi pure-
 
Senza farselo ripetere aprì la busta ed estrasse le foto, osservandole attentamente una ad una: ritraevano Russel in compagnia di una giovane ragazza dal trucco molto marcato e dai capelli di un biondo quasi platino. Avrà avuto all’incirca venticinque anni, forse di meno, ma tutto quell’ombretto scuro e quel rossetto acceso sulle labbra carnose le conferivano anni in più. Appariscente ma bellissima, di certo un tipo che si faceva notare facilmente. I lineamenti e il colore dei capelli catturarono in particolar modo la sua attenzione: non sembrava la tipica bambolona bionda americana che usavano all’estero come stereotipo delle donne della loro nazione, assomigliava più a una donna proveniente da qualche paese dell’est dell’Europa…Sgranò gli occhi al suo stesso pensiero.
Russia.
Quella ragazza sembrava russa, o comunque di qualche paese vicino alla Russia.
 
- Sa anche il nome di questa ragazza?- chiese a Charlotte.
- Irina Volkova. Perché?-
- Dalle ultime informazioni che abbiamo raccolto, sembra che suo marito avesse in qualche modo dei legami con la mafia russa-
 
Charlotte ebbe un leggero sussulto, ma si ricompose in fretta come se la cosa non l’avesse toccata più di tanto. Si sarebbe aspettata una reazione diversa, in tutta onestà. Forse la vedova sapeva più di quanto non volesse ammettere.
 
- Non mi stupisce, quelle ragazze vengono portate qui dal loro paese natale per diventare prostitute. Qualcuna di loro è fortunata e riesce a farsi strada nell’alta società, trovando mariti infedeli come il mio che le mantengono; qualcun’altra invece resta in mezzo alla strada e rischia la vita. Immagino che Russel avesse promesso a questa Irina che mi avrebbe lasciata per stare con lei, ma questo matrimonio conveniva anche a lui perciò non lo avrebbe mai fatto. Probabilmente quando lo ha capito gliel’ha fatta pagare- concluse.
- Lei sapeva che suo marito faceva uso di cocaina?-
- Anche se rincasava tardi e mi tradiva era pur sempre mio marito da ventidue anni, viveva qui con me. Ovvio che sapevo del suo vizio-
- E sapeva anche che dentro il suo wine bar, davanti al quale è stato ucciso, aveva adibito un’intera sala come privé dove faceva accedere dal retro persone non proprio raccomandabili e organizzava bische clandestine rallegrate da spettacoli con spogliarelliste?-
 
La donna rimase con la bocca semi socchiusa, come se volesse dire qualcosa che però non uscì: stavolta l’aveva davvero colta di sorpresa.
Seguirono alcuni attimi di silenzio, in cui attese di ricevere una risposta alla sua domanda mentre Charlotte metabolizzava internamente quell’ennesimo losco segreto del marito. Non doveva essere facile per lei.
Non poté fare a meno di pensare a quando Shuichi l’aveva lasciata: avrebbe potuto fare il doppio gioco con lei e Akemi e nessuno se ne sarebbe accorto, invece aveva scelto di rispettare entrambe e anche se stesso prendendo la decisione più dolorosa ma anche più giusta. Era stata fortunata ad aver avuto un uomo come Shuichi invece che un tipo infedele come Russel.
 
- Questo devo essermelo persa, lo ammetto- rispose infine la vedova, riscuotendola dai suoi pensieri.
- Le viene in mente qualche altro particolare che ritiene che l’FBI debba sapere?-
- Niente che non le abbia già detto o che lei non sapesse meglio di me-
- Posso chiederle in che rapporti erano Russel e suo fratello Daniel?-
- Qualcosa mi dice che lei conosca già la risposta-
- Vorrei sentirlo da lei, se non le dispiace-
- Mio marito e Daniel sono cresciuti insieme, andavano d’accordo e avevano un rapporto invidiabile. Poi crescendo qualcosa si è spezzato. Ad essere sincera non ricordo con precisione quando è iniziato il tutto, so solo che Daniel ha iniziato a venire a trovarci sempre meno fino a quando non ha più messo piede in questa casa. Erano soci in affari e si incontravano per discutere di lavoro, ma sempre in ristoranti o luoghi neutri: Daniel non veniva qui e noi non andavamo a casa sua. Ho cercato più volte di convincere Russel a riappacificarsi con lui, ma non c’è stato nulla da fare. Non so dirle perché abbiano litigato-
- Capisco. Posso farle una domanda personale?-
- Se non è troppo personale- precisò.
- Lei amava molto suo marito, nonostante i continui tradimenti e tutti i segreti di cui la teneva all’oscuro, non è così?-
- E da cosa lo ha dedotto?-
- Lei mi sembra una donna con una forte personalità e una grande dignità: l’unico motivo che può averla spinta ad accettare i tradimenti di suo marito è che l’amore che provava per lui fosse più forte di tutto il resto. Non credo che sia solo una questione di apparenze e salvare la faccia come ha detto prima. Aveva raccolto delle prove sufficienti ad incastrarlo, avrebbe potuto ottenere una cospicua somma dal divorzio e ne sarebbe uscita vittoriosa su tutti i giornali. L’unico che rischiava di perdere la faccia era Russel. Invece ha scelto di nasconderle e restare al suo fianco, anche a costo della sua infelicità-
 
Si rese conto solo dopo aver pronunciato quelle parole che in realtà più che parlare a Charlotte stava parlando a se stessa. Anche lei aveva scelto di restare, in un modo o nell’altro, al fianco di un uomo che amava con tutto il cuore ma che tante volte l’aveva fatta soffrire. Aveva sperato di distrarsi andando ad interrogare quella donna, invece si era ritrovata ad affrontare di nuovo i suoi pensieri.
 
- È molto giovane, agente Starling. Ce l’ha un marito? Un compagno?-
 
La domanda della vedova la colse alla sprovvista e per un attimo non seppe cosa rispondere. Era lo stesso quesito che si stava ponendo anche lei da dopo che aveva lasciato l’appartamento di Shuichi la sera prima. Erano ancora una coppia? Lo erano mai stati?
 
- È complicato- rispose infine, l’unica risposta veritiera e certa che poteva dare in quel momento.
- È sempre complicato- le sorrise Charlotte - Con gli uomini è così. Non sanno esprimere i propri sentimenti come noi donne, il principe azzurro è solo una vecchia storia. Quando ho conosciuto Russel ero più giovane di lei. Eravamo innamoratissimi e mi sembrava di vivere in un sogno. Poi il sogno è finito, ma io ho continuato a sperare che quel giovane ragazzo che mi portava dei fiori ogni giorno ritornasse da me. Rivolevo indietro l’uomo che avevo sposato- abbassò lo sguardo, per non mostrare quel piccolo momento di debolezza - Se posso darle un consiglio, lasci perdere quell’uomo che le sta complicando le cose. Se le complica già adesso, figuriamoci quando arriverà alla mia età-
 
Annuì senza nemmeno rendersene conto, perché in fondo in quelle sagge parole da donna che aveva vissuto più esperienze di quante ne avesse vissute lei vi era la realtà che lei cercava di non guardare in faccia, perché farlo avrebbe significato dire addio per sempre all’uomo che amava. Era semplice, eppure al tempo stesso la cosa più difficile del mondo.
 
- Posso tenere queste foto? Vorrei fare qualche ricerca su Irina Volkova- cambiò argomento, indicando le fotografie ancora posate sul tavolo.
- Certo, tanto ormai credo che non mi servano più- acconsentì.
 
Raccolse le immagini del tradimento di Russel e le rimise nella busta che le custodiva, per poi congedarsi da Charlotte.
 
- La ringrazio per il suo tempo, Signora Harrington. E complimenti, ha una casa davvero splendida-
- Gli arredamenti li avevamo scelti insieme io e Russel. Ma io quadri li ho scelti io personalmente, Russel non era un patito d’arte-
- Le prometto che faremo il possibile per rendere giustizia alla morte di suo marito-
- Non ne dubito-
 
La salutò un’ultima volta, ma mentre stava per dirigersi verso l’uscita il suono del campanello riecheggiò fra le pareti dell’ingresso. Charlotte ordinò alla cameriera di andare ad aprire e poco dopo apparve l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere lì: Daniel Harrington. Lo riconobbe subito grazie alla foto identificativa che avevano insieme alle altre nel fascicolo sul caso. Notò immediatamente la sua espressione spavalda, che le confermò la cattiva impressione che aveva fatto anche a Yuriy e Camel il giorno prima. A quel pensiero ne subentrò subito un altro: se Daniel era lì allora voleva dire che gli altri avevano finito di interrogarlo e probabilmente erano rientrati in ufficio.
Il fratello di Russel la fissò per qualche secondo, per poi spostare lo sguardo su Charlotte come a volerle chiedere chi fosse quella donna sconosciuta.
 
- Ciao Daniel, che sorpresa vederti qui…-
 
Il tono di voce di Charlotte era cambiato, sembrava quasi che tremasse mentre pronunciava quelle parole. Si girò verso di lei per guardare l’espressione sul suo viso e notò che aveva un’aria preoccupata. Avvertì una strana sensazione, come se qualcosa non quadrasse, ma non seppe dare una spiegazione a quella percezione. In un lavoro come il suo non ci si poteva basare sulle sensazioni, servivano i fatti.
 
- Non sapevo che avessi ospiti. Disturbo?- parlò lui.
- No, la Signorina Starling è venuta a fare qualche domanda su Russel ma stava per andare-
- Non dovresti far entrare giornalisti impiccioni- la ammonì, lanciando un’occhiataccia a lei.
- Ha ragione, infatti io sono dell’FBI- intervenne, cercando di metterlo a tacere.
 
Non sopportava i tipi come lui, arroganti e maleducati, convinti di essere migliori degli altri perché viaggiavano su limousine e sperperavano denaro in cibi e abiti costosi.
 
- Ci state seguendo ovunque?! Cosa volete da noi?!- la aggredì alzando il tono della voce e incattivendosi.
- A cosa ti riferisci, Daniel?- intervenne Charlotte, cercando di calmarlo - La Signorina Starling non è mai venuta qui prima di oggi-
- Già, ma i suoi amichetti invece mi stanno perseguitando. Forse non hanno ben capito che fin che stanno dietro a noi non troveranno di certo il colpevole della morte di mio fratello!-
- Si calmi Signor Harrington, stiamo solo facendo il nostro lavoro- rispose a tono, tenendogli testa e mostrandogli che non aveva nessuna paura della sua arroganza - Interrogare i parenti della vittima è parte di esso e se davvero non ha niente da nascondere non dovrebbe preoccuparsi se i miei “amichetti” la stanno perseguitando. Arrivederci Signora Harrington, La ringrazio per la collaborazione e per l’accoglienza-
 
Senza nemmeno attendere che la vedova replicasse, girò i tacchi e si diresse verso la porta seguita dalla cameriera, la quale gliela aprì e salutò con un inchino. Non voleva restare un secondo di più in quella casa a sopportare l’insolenza di Daniel Harrington. Tuttavia, la sensazione di aver lasciato qualcosa di importante là dentro l’accompagnò anche una volta uscita.
 
Tornata in macchina si accorse che era ormai ora di pranzo e probabilmente anche gli altri stavano andando in pausa pranzo. Aveva due opzioni: tornare in ufficio e andare a pranzo con loro (sempre che non fossero già andati) oppure andare per i fatti suoi e tornare più tardi. In ogni caso non aveva molto appetito, i pensieri che si arrovellavano nella sua testa le avevano serrato lo stomaco. Si soffermò per un attimo a pensare a quello che voleva realmente fare in quel momento e le venne in mente una sola cosa.
 
 
Per sua fortuna il fiorista non aveva ancora chiuso il negozio per la pausa pranzo ed era stato molto disponibile nel comporle quel bellissimo bouquet al volo. Aveva scelto di combinare insieme due diversi tipi di fiori appartenenti alla stessa famiglia ma con colorazioni diverse: degli Agapanthus “Jodie”, detti anche gigli del Nilo, dal colore blu violaceo e dei gigli bianchi. Annusò il profumo dei fiori e ne accarezzò delicatamente i petali, posando poi il bouquet sul sedile passeggeri e rimettendosi alla guida. Sperava di fare in tempo a raggiungere la meta, considerando che a quell’ora il traffico era intenso e la strada da fare non era poca.
Dopo circa una trentina di minuti raggiunse finalmente il cimitero di Green-Wood, parcheggiò l’auto e s’incamminò a piedi fra le lapidi. Il sole era rovente, ma almeno la riscaldava dall’atmosfera fredda e lugubre che circondava luoghi come quello, dove il silenzio della morte avvolgeva tutto in un inverno perenne.
Si fermò davanti alla tomba di suo padre e vi posò davanti il bouquet, sistemandolo nel migliore dei modi. La sua lapide si trovava vicino a un albero la cui chioma faceva ombra, regalandole un po’ di fresco.
 
- Ciao papà, come stai?- chiese, sapendo che non avrebbe ricevuto una risposta.
 
Quando si ha bisogno di consigli, solitamente ci si rivolge a qualcuno di fiducia che possa indirizzarci sulla strada migliore, ma lei aveva scelto di andare dall’unica persona che non avrebbe potuto dare alcuna risposta alle domande e ai dubbi che l’affliggevano. Non sapeva spiegare il perché, ma il suo cuore l’aveva portata lì. Con James non poteva parlare, con Shiho nemmeno: sapeva già quali sarebbero state le loro risposte e forse non era abbastanza forte per starle a sentire.
 
- Ti chiederai perché sono qui a quest’ora invece di essere al lavoro. Vedi, stanno succedendo delle cose e io non so come comportarmi. Ho tanto bisogno di parlare con te, papà-
 
Abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente stupida a parlare con una lastra di marmo. Non credeva nei fantasmi, ma voleva credere che ovunque si trovasse, suo padre potesse sentirla.
 
- Ti ricordi di Shuichi, il ragazzo che avevo portato qui e che ci ha aiutati a vincere il processo? Credo che tu abbia capito che non è solo un amico o un collega per me. Io lo amo, ma non credo che lui ricambi il mio sentimento come vorrei. Non mi ha mai detto un ti amo, non mi ha ancora chiesto di essere la sua fidanzata nonostante le cose fra di noi stessero procedendo bene fino a ieri sera…-
 
Tacque per un attimo, cercando di trattenere le lacrime che volevano nuovamente uscire.
 
- Ho combinato un disastro e ora non so come uscirne. Che cosa faccio adesso, papà? Non voglio perderlo ma non voglio nemmeno stare con un uomo che non sa dirmi che ama-
 
Il suo intento fallì e le lacrime ripresero a sgorgare dai suoi occhi, mentre stringeva i pugni a terra afferrando i ciuffi di erba. Avrebbe tanto voluto che suo padre la abbracciasse, ma anche quella era una cosa che non poteva avere.
 
- Ti prego, aiutami- lo supplicò, quasi sussurrando quelle parole - So che non puoi parlare, ma se potessi darmi anche solo un segno per farmi capire che sei qui e mi senti…Cosa devo fare?- ripeté quella domanda per la seconda volta.
 
Di nuovo nessuna risposta arrivò, intorno a lei c’era solo silenzio. forse era proprio quello il segno: il silenzio di quel cimitero deserto era lo stesso silenzio che Shuichi le aveva riservato quella mattina, scegliendo di non rinvolgerle la parola. Era dunque quello il suo destino? Era così che sarebbero finite le cose? Si era recata lì per trovare una risposta ma ciò che aveva ottenuto era di andarsene via con le stesse domande con cui era arrivata. Probabilmente la risposta che cercava in realtà la conosceva già, non doveva cercarla nelle parole degli altri o nei loro segni premonitori come in quel caso.
Si tolse gli occhiali una volta appartenuti all’uomo che giaceva di fronte a lei e si asciugò le lacrime: sulle dite le rimasero delle tracce di trucco. Sbuffò, prendendo uno specchietto e un fazzoletto dalla piccola borsa che si era portata appresso e risistemandosi. Gli occhi si erano arrossati e gonfiati nuovamente e il trucco che aveva fatto con tanta cura si era per metà rovinato. Quando ebbe finito, accarezzò la lapide e si sforzò di sorridere.
 
- Grazie papà, ci vediamo presto-
 
Si alzò in piedi e si girò per tornare indietro, ormai il tempo a sua disposizione per quella chiacchierata padre e figlia era terminato.
Fu allora che lo vide.
Sobbalzò, colta alla sprovvista da quella figura alta e vestita di nero come un angelo della morte. Era l’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di vedere lì e proprio per questo motivo le venne spontaneo pensare che fosse quello il segno che suo padre le aveva mandato dall’aldilà.
L’uomo non disse nulla, restò in silenzio a guardarla con le mani in tasca e un’espressione seria sul volto.
 
- Shu…- sussurrò.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Spero che la prima parte del capitolo non vi abbia annoiato, sto cercando di inserire questo piccolo caso nella storia per preparare alcune scene che verranno dopo e saranno collegate al rapporto fra Jodie e Shuichi.
Come sempre vi lascio una piccola curiosità sul capitolo:
- i fiori blu violacei che Jodie porta a suo padre, gli Agapanthus “Jodie” (detti anche gigli del Nilo) esistono veramente. Li ho scelti appunto perché nel nome completo c’è anche “Jodie” e quindi erano particolarmente significativi. I gigli bianchi normali invece sono gli stessi che Jodie aveva portato nel capitolo in cui era andata a fare visita alla tomba di suo padre insieme a Shuichi.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37: Conversazioni scomode ***


Capitolo 37: Conversazioni scomode
 
 
Era rimasto a fissarla per tutto il tempo che aveva trascorso davanti alla lapide del padre, restando immobile e silenzioso proprio come quelle lastre di marmo e pietra. Aveva mantenuto una certa distanza, per rispettare quel momento di privacy in cui non voleva intromettersi troppo: per questo motivo non era riuscito a sentire cosa dicesse, ma il solo fatto che fosse rimasta a lungo con la schiena ricurva e le mani salde a terra era stato sufficiente a fargli capire la tristezza che stava provando. Non sapeva dire se fosse ciò che era successo fra loro la sera prima a farla stare così, il pensiero di quel padre che le era stato portato via troppo presto oppure entrambe le cose: l’unica cosa di cui poteva essere certo era che Jodie fosse profondamente infelice.
Quando fu abbastanza vicina a lui si accorse che i suoi occhi erano gonfi e arrossati, nemmeno tutto quel trucco che si era insolitamente data quel giorno serviva a mascherarlo. Lo aveva capito subito non appena aveva messo piede in ufficio: Jodie non era una che si truccava troppo, non le piaceva e non ne aveva bisogno: riusciva ad essere bellissima anche con un velo di rossetto e una sottile linea di matita nera sopra le ciglia; se quel giorno aveva esagerato con il correttore era per nascondere delle probabili occhiaie più accentuate delle sue. Lui stesso aveva dormito poco e male, pertanto poteva comprenderla bene.
Si rendeva perfettamente conto di averla quasi completamente ignorata, chiuso nel suo muto silenzio, così come sapeva che questo suo atteggiamento aveva contribuito a ferirla ancora di più. Ma lui non lo aveva fatto con l’intenzione di vendicarsi di quanto gli aveva detto la sera prima, non avrebbe mai fatto una cosa simile anche se quelle parole lo avevano amareggiato: voleva semplicemente evitare scontri e litigi al lavoro, davanti agli occhi dei colleghi che proprio il giorno prima avevano trasformato la loro relazione nell’argomento di tendenza. La verità era che sperava di poterle parlare il prima possibile per chiarire quel litigio che, se prolungato oltre il dovuto, avrebbe portato a conseguenze irreparabili. Per questo motivo, dopo aver fallito nel tentativo di ottenere informazioni da Daniel Harrington, si era separato con una scusa da Camel e Yuriy e si era diretto da lei. L’aveva seguita da quando era uscita dalla casa di Russel, passando per il fiorista e infine lì, in quel cimitero dove dormiva l’uomo più importante della sua vita.
Si concesse ancora qualche secondo prima di parlare, guardandola dritto in quegli occhi dello stesso colore del cielo limpido, occhi che lo fissavano pieni di sorpresa e forse anche un po’ di timore.
 
- Non tornavi più in ufficio e mi sono preoccupato- le disse infine.
- La mia chiacchierata con la vedova di Harrington è durata più del previsto e alla fine ho deciso di usare la pausa pranzo per venire da papà, non lo facevo da un po’- rispose lei.
 
Percepì la sua titubanza nel rispondere, come se non sapesse che linea tenere. In fondo si erano lasciati in malo modo durante l’ultima conversazione e quella mattina non si erano mai rivolti la parola.
 
- Non hai mangiato?- le chiese.
- Non avevo molta fame-
 
Faticava a guardarlo negli occhi, ma non sembrava che fosse a causa della rabbia. Piuttosto aveva l’impressione che volesse scappare da lì perché si vergognava, probabilmente delle sue stesse parole. Sapeva di averlo ferito e si vergognava di averlo fatto in quel modo.
 
- Se vuoi possiamo fermarci lungo la strada a prendere un boccone veloce. Non ho pranzato nemmeno io a dire il vero-
 
Jodie spalancò gli occhi e lo guardò incredula: non si aspettava quell’invito, doveva essersi convinta che non volesse più avere nulla a che fare con lei.
 
- Ma ormai la pausa è finita, dobbiamo tornare al lavoro…- replicò.
- Non ci metteremo molto, prendiamo qualcosa da asporto e ritorniamo in sede-
- Ti ringrazio ma non mi va proprio di mangiare nulla-
- Vorrei parlare un po’ con te da soli, me li concedi cinque minuti?- arrivò al punto, consapevole che la strategia di invitarla a pranzo non avrebbe portato a nessun risultato.
- È tardi Shu, forse è meglio se rimandiamo le questioni personali a un’altra volta- cercò nuovamente di dileguarsi.
- Stasera a casa mia? Recuperiamo il pranzo con una cena e parliamo con calma- propose.
 
Era difficile convincerla, più di quanto si aspettasse. Non gli era ancora chiaro il motivo preciso per cui fosse così sfuggente e in tutta sincerità il suo atteggiamento era un po’ deludente: sperava che anche lei volesse porre fine a quel litigio senza senso e ricominciare a comportarsi come una coppia, invece gli sembrava che Jodie cercasse di stargli il più lontano possibile. Vi erano parecchi metri a separarli, in senso figurato, e solo lei poteva accorciare la distanza perché lei l’aveva posta.
 
- Facciamo dopo cena, ho alcune faccende da sbrigare dopo il lavoro e probabilmente cenerò tardi con quello che trovo nel frigo- rispose infine.
- D’accordo, allora ti aspetto dopo cena da me- acconsentì, consapevole che quello era tutto ciò che sarebbe riuscito ad ottenere.
- Bene. Ora è meglio andare, ho scoperto alcune cose e vorrei parlarne con voi-
 
Concluse così quella breve e fredda conversazione, passandogli a fianco e superandolo senza più dire nulla, diretta verso l’uscita del cimitero. Chiuse gli occhi e sospirò, sperando che arrivasse presto la sera; poi s’incamminò dietro di lei.
 
 
Quando arrivarono alla sede dell’FBI parcheggiarono le rispettive auto e si diressero all’ingresso. Jodie sembrava non avere alcuna intenzione di aspettarlo per fare conversazione durante il tragitto verso l’ufficio, la sua fuga continuava. Anche quando presero l’ascensore e si ritrovarono chiusi da soli in uno spazio così piccolo, non cercò alcun contatto con lui e rimase in un angolo a fissare la punta delle proprie scarpe. Lui era un tipo che amava il silenzio, le troppe chiacchiere non facevano al caso suo, ma quel mutismo era troppo anche per i suoi gusti.
 
- Dunque hai trovato qualche indizio dalla moglie di Russel?- le chiese all’improvviso, pur di spezzare la tensione fra loro.
- Beh non so se è proprio in indizio ma è comunque una pista che fino ad ora non era mai uscita fuori- spiegò, guardandolo addirittura negli occhi.
- Interessante-
- Voi siete riusciti a parlare con Daniel?-
- Per parlare ci abbiamo parlato, ma dalla sua bocca non è uscito nulla. Il fatto che la nostra sola presenza lo innervosisca è abbastanza per sospettare che nasconda qualcosa di grosso, ma se non parla non abbiamo nessun elemento per accusarlo formalmente-
- Mentre ero da Charlotte è arrivato anche lui-
- Dici sul serio?-
 
Finse di sorprendersi davanti a quella rivelazione, ma in realtà sapeva già tutto. Quando era andato poco prima sotto casa di Russel Harrington per vedere se si trovasse ancora lì, aveva visto la limousine nera di Daniel parcheggiata proprio davanti all’edificio; tuttavia non poteva rivelarglielo perché se lo avesse fatto avrebbe dovuto darle una giustificazione al fatto che si trovasse lì e non poteva certo dirle che la stava seguendo.
In tutta risposta, Jodie annuì.
 
- Ma non aveva detto che non erano più in buoni rapporti?-
- Già, infatti mi ha sorpresa vederlo arrivare lì ed essere accolto da Charlotte come se nulla fosse-
 
La loro conversazione venne interrotta dall’ascensore che si era fermato, spalancando le sue porte. Uscirono e s’incamminarono lungo il corridoio, diretti all’ufficio dove li attendevano Camel e Yuriy. La scena del giorno prima si ripeté, come se avessero fatto un salto nel passato: i colleghi presenti li fissarono e si misero a parlottare, qualcuno di loro lanciò sorrisetti maliziosi. Se fino a ieri aveva fatto del suo meglio per ignorarli, gli costava ammettere che in quel momento li stava odiando a morte, perché quei bisbigli malcelati e quelle occhiate erano l’ultima cosa di cui Jodie aveva bisogno e di cui lui aveva bisogno, se voleva riuscire nel suo intento di parlare con lei. Guardandola con la coda dell’occhio, notò che i suoi muscoli si erano ulteriormente irrigiditi e che la rabbia stava prendendo il sopravvento su di lei.
 
- Ignorali, non hanno altro a cui pensare. Mi chiedo con che criterio li abbiano assunti- cercò di calmarla.
 
Lei però non rispose, continuò a camminare in silenzio probabilmente desiderosa di raggiungere quanto prima il loro ufficio.
Fu allora che l’imponente figura di James si stagliò di fronte a loro, apparendo quasi dal nulla. Si fermarono entrambi nello stesso istante, restando in piedi con la schiena dritta a guardare negli occhi quello che era il loro capo. James aveva un’aria severa per natura, ma in quel momento era accentuata più del solito e non era difficile capirne il motivo: probabilmente quel pettegolezzo era arrivato anche alle sue orecchie, forse era stata la stessa Tara a riferirglielo per vendicarsi di come l’avevano trattata. Di certo non poteva dirsi uno dei suoi giorni più fortunati e sperò che le cose non andassero a finire anche peggio di così.
James avanzò verso di loro, mentre un silenzio di tomba aveva preso il posto del chiacchiericcio di poco prima. Tutti si erano ritirati nei rispettivi uffici, per paura di essere ripresi. Si fermò a pochi metri da lui e gli disse poche ma semplici parole, andando dritto al punto.
 
- Posso parlarti, Akai?-
 
Dunque aveva scelto lui come prima vittima, perché sapeva che con Jodie il lavoro sarebbe stato più lungo e difficoltoso oltre al fatto che l’affetto che provava per lei era diverso dal rapporto che aveva con lui. Non si trovava di fronte a un capo che voleva riprenderlo per qualcosa di sbagliato ma di fronte a un padre che stava cercando di proteggere sua figlia.
 
- Certo- rispose.
 
Non aveva paura di affrontare il suo destino, aveva preso lui quella scelta e come ogni scelta che aveva fatto nella vita era disposto a pagarne le conseguenze. Sapeva cosa gli avrebbe detto James e sapeva anche le risposte che gli avrebbe dato. Voleva stare con Jodie e non vi avrebbe rinunciato, non questa volta.
 
- Andiamo nel mio ufficio- lo invitò a seguirlo, dandogli le spalle e incamminandosi lungo il corridoio.
 
Istintivamente portò una mano sulla spalla di Jodie, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio a guardarli con l’aria quasi terrorizzata.
 
- Tranquilla- le disse sorridendo.
 
Senza dire nulla, lo fissò con quei suoi grandi occhi. Sembrava volergli dire qualcosa, forse tante cose, ma lui non riuscì a cogliere quel messaggio. Era strana quel giorno, non riusciva a leggerle dentro.
 
- Ora va’ in ufficio dagli altri, io vi raggiungo fra poco-
 
Non aggiunse altro e si congedò da lei, diretto all’ufficio di James.
Quando vi entrò, il suo capo lo stava già aspettando seduto dietro alla scrivania su un’elegante poltrona in pelle nera. Chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò, prendendo posto sulla sedia di fronte a lui. James lo fissò per qualche secondo con aria seria, come se cercasse di intimidirlo, ma lui sostenne perfettamente il suo sguardo perché in fin dei conti quello con l’aria più truce fra i due era sempre stato lui.
 
- Credo tu sappia già il motivo per cui ti ho chiamato- iniziò finalmente a parlare.
- Lo posso immaginare, ma vorrei sentirlo da te se non ti dispiace-
- Sono vere le voci che si sentono nei corridoi da ieri?- chiese, andando dritto al punto.
- Dipende a quali voci ti riferisci. Ne ho sentite tante, ma non tutte erano esatte. Anzi, forse alla fine non lo era nessuna-
- Non giocare con me Akai, sono pur sempre il tuo capo- gli ricordò.
- Non sto giocando, ti sto dicendo la verità-
- Voglio sapere se c’è qualcosa fra te e Jodie-
- Stiamo insieme- rispose, diretto come lo era stato lui.
 
James assunse un’aria sorpresa, forse non si aspettava una confessione così diretta o forse in cuor suo aveva sperato fino all’ultimo che quei pettegolezzi su di loro non fossero veri.
 
- Non penso debba ricordarti come è finita l’ultima volta- si sistemò gli occhiali, non appena si fu ripreso.
- Me lo ricordo bene ed è proprio per questo che non intendo commettere gli stessi errori-
- Ne sei certo? Cosa ci sarebbe di diverso? Voglio essere onesto con te: tu sei uno senza paura e se domani dovessi proporti la più rischiosa delle missioni saresti disposto a sacrificare qualunque cosa pur di compierla. Ce l’hai nel sangue Akai, è più forte di te: il brivido del mistero, l’adrenalina, l’avida curiosità di sapere. È questo che ti fa sentire vivo-
 
Chiuse gli occhi e ghignò di fronte a quelle parole forse un po’ dure ma in fondo estremamente vere. James lo conosceva bene, gli anni e l’esperienza lo avevano reso un uomo perspicace e un grande osservatore a cui bastava poco per comprendere la natura delle persone. Ma c’era un dettaglio che gli sfuggiva, forse perché per lungo tempo era sfuggito anche a lui.
 
- Quello che dici è vero- ammise - Ma hai dimenticato un piccolo particolare. Un particolare fondamentale direi-
- E sarebbe?-
- Quando mi sono trasferito negli Stati Uniti con l’intenzione di entrare nell’FBI l’ho fatto perché volevo scoprire la verità sulla scomparsa di mio padre. Tutto ciò che ho fatto da quel momento è stato solo per la mia famiglia, ma ora mio padre è di nuovo con noi, la famiglia si è riunita. Ho pagato un prezzo molto alto per arrivare a questo, ho sacrificato tante cose. Però adesso che ho raggiunto il mio obiettivo non mi resta nient’altro da perdere, tranne Jodie. E io detesto perdere-
 
Seguirono alcuni minuti di silenzio in cui James rimase con gli occhi chiusi a riflettere su quelle parole, probabilmente senza sapere come replicare. Non si aspettava quell’affermazione così forte su Jodie e in effetti non era da lui esporsi così, ma se voleva vincere quella partita doveva mettere sul tavolo i suoi sentimenti. Poteva sembrare solo una frase ad effetto, ma non lo era: tutto ciò che aveva appena detto lo pensava davvero. Aveva rischiato di perdere Jodie già una volta e ora non voleva gettare al vento quella seconda occasione per nulla al mondo.
 
- Ne sei certo?- gli chiese infine James, non del tutto convinto - Jodie cerca di mostrarsi sempre radiosa davanti agli altri, ma basta poco per spezzarle il cuore e spegnerle il sorriso. Ti ho permesso di farlo una volta, non lo permetterò una seconda- lo avvertì.
 
Quelle parole suonavano quasi come una minaccia malcelata, ma invece di temerne le conseguenze decise di sfidare il suo capo fino alla fine.
 
- Quindi cosa intendi fare?-
- Io non farò nulla, sarai tu a dover fare qualcosa. Non sto dicendo che non potete essere amici o lavorare insieme, ma non voglio che ci sia nulla di più fra di voi. Mi dispiace ma non posso permetterlo, non dopo ciò che è successo in passato-
- Dunque mi stai chiedendo di scegliere fra il lavoro e Jodie?- incrociò le braccia al petto - E cosa succede se mi rifiuto di obbedire ai tuoi ordini?-
- Sarai anche l’agente migliore che io abbia mai avuto e ti ho permesso più di una volta di fare di testa tua, ma resto pur sempre il tuo capo: se non farai quello che ti dico prenderò dei provvedimenti seri. Non costringermi a farlo, te lo chiedo per favore-
- Veramente stai facendo tutto da solo. Mi chiedi di scegliere tra la mia vita privata e il lavoro e poi mi supplichi di non costringerti a prendere provvedimenti? Scusami James, ma non lo trovo giusto-
- Ti sto solo chiedendo di fare ciò che è meglio per Jodie. Pensaci-
- Jodie è un’adulta, sa badare a se stessa ed è libera di prendere le sue decisioni. Non è più la bambina che aveva bisogno di protezione vent’anni fa-
- Lo sai bene che quando si tratta di te non riesce a ragionare lucidamente-
- So bene che tieni a lei come a una figlia e che stai cercando di proteggerla, ma sei consapevole dei suoi sentimenti ti renderai conto da solo del fatto che allontanandomi da lei la farai soffrire-
- Se ti separi da lei ora che le cose sono appena iniziate, ne soffrirà meno rispetto all’essere lasciata dopo che le cose si saranno fatte serie. Io non voglio più vederla in quello stato-
- E io non voglio rinunciare a lei non un’altra volta. Dunque, cosa facciamo?-
 
Seguì un altro momento di silenzio in cui nessuna risposta arrivò. Era una conversazione difficile, perché si stimavano reciprocamente ma qualcosa si era rotto negli anni: uno dei tanti prezzi che aveva dovuto pagare per raggiungere il suo obiettivo. James faticava a mantenere distinti i suoi ruoli di capo e tutore, quando vi era in ballo Jodie anche lui non riusciva a ragionare lucidamente. Uno dei due doveva cedere o quel duello non avrebbe portato a nulla di buono.
 
- Se per provare che le mie intenzioni verso Jodie e i miei sentimenti per lei sono sinceri devo rinunciare a questo lavoro allora sono disposto a tornare nel mio ufficio e sgomberare la scrivania anche adesso. Posso farti avere una lettera di dimissioni fra dieci minuti, se è ciò che vuoi. Ma qualunque sia la mia scelta, non renderà felice nessuno. Se me ne vado tu perdi il tuo uomo migliore e Jodie ti odierà per avermi costretto a farlo, se la lascio lei soffrirà e tu ti sentirai in colpa per essere la causa della sua sofferenza. Quanto a me, sarò o disoccupato ma con una bellissima relazione oppure senza la donna che voglio al mio fianco ma con la magra consolazione di essere il migliore in ciò che faccio-
 
James non disse nulla, si limitò a togliersi gli occhiali e a stringersi gli occhi con il pollice e l’indice. Doveva essere molto combattuto e gli spiaceva vederlo così. Sapeva che non vi era alcuna cattiveria in ciò che stava facendo, ma solo la preoccupazione per una figlia acquisita a cui voleva bene come se fosse sua. Probabilmente sua madre avrebbe fatto lo stesso per lui, perché nonostante l’apparenza fredda forse anche più della sua, amava i suoi figli più di ogni altra cosa al mondo e nessuno poteva permettersi di toccarli.
 
- Ascolta James, comprendo il tuo punto di vista e mi spiace per aver fatto soffrire Jodie in passato. È l’ultima cosa che avrei voluto fare, credimi. Ma ora è diverso. Ci abbiamo riflettuto molto entrambi prima di decidere di rifrequentarci e siamo certi della nostra scelta. Non puoi decidere tu per noi-
- Ti ricordo che le relazioni fra colleghi non sono ben viste qui all’FBI-
- Ma non è questa la ragione per cui mi stai chiedendo di lasciare Jodie-
- Tu sei certo che la storia non si ripeterà? Puoi giurarlo?-
- Su ciò che ho di più caro-
 
Il vecchio agente sospirò, rimettendosi gli occhiali.
 
- Lasciami del tempo per pensare. Ti richiamerò quando avrò deciso- disse infine, consapevole di non riuscire a dare una risposta su due piedi.
- D’accordo, ma nella tua valutazione finale tieni presente che presto tornerò in Giappone perché mio fratello si sposa. Non so ancora la data precisa ma sicuramente sarà entro i prossimi due mesi-
- Non preoccuparti, non mi vorrà così tanto. Prima della partenza avrai il mio verdetto. Intanto ti faccio le mie congratulazioni per tuo fratello-
- Ti ringrazio, ma non è questo il punto-
- E allora quale sarebbe?-
- Che ho tutta l’intenzione di portare Jodie con me. Voglio farle conoscere meglio i miei genitori e voglio presentarla a mio fratello. Ne diverrà parte a tutti gli effetti, quindi mi sembra giusto così-
 
Si compiacque nel vedere l’espressione esterrefatta di James di fronte a quell’affermazione. Era l’ultima carta che gli restava da giocare e forse aveva fatto centro.
 
- Con il tuo permesso, ora devo tornare al lavoro. Abbiamo un caso da risolvere-
 
Pronunciate quelle ultime parole si congedò dal suo capo, uscendo dall’ufficio e lasciandolo lì a tormentarsi nei suoi dubbi.
 
 
………………………….
 
 
Quando James si era avvicinato a loro e aveva chiesto a Shuichi di parlare in privato le si era gelato il sangue nelle vene. Sapeva esattamente qual era l’argomento, il peggiore dei suoi incubi si era appena avverato davanti ai suoi occhi. Quel giorno si stava prospettando anche peggiore del precedente.
Per tutto il tempo Shuichi aveva cercato di tranquillizzarla e di avere un dialogo con lei, ma lei era stata sfuggente come mai. Non che non volesse parlare con lui, ma aveva paura di ciò che ne sarebbe uscito. Non aveva alcuna prova concreta, ma nella sua testa il motivo per cui Shuichi voleva tanto parlare con lei era solo uno: chiudere la loro storia. Insomma, dopo che la sera prima aveva sputato veleno tirando in ballo l’unica persona che non avrebbe dovuto nominare e ferendolo, quale altro motivo poteva esserci? Davvero non era arrabbiato con lei e si era già dimenticato tutto? No, non poteva essere, e anche se fosse stato così restava il fatto che non la amava, non come avrebbe dovuto. Eppure non riusciva a ignorare il fatto che di tutte le persone che avrebbe potuto incontrare in quel cimitero si era ritrovata davanti proprio Shuichi e per di più dopo aver chiesto a suo padre di mandarle un segnale che le facesse capire cosa doveva fare. Tuttavia non era certa di come avrebbe dovuto interpretarlo: significava che stava sbagliando e che Shuichi la amava anche se non era bravo con le parole, oppure suo padre l’aveva mandato lì perché ponesse fine alla loro relazione e lei stava solo cercando di temporeggiare una cosa ormai inevitabile? Non sapeva se voleva davvero conoscere la risposta a quel dubbio che l’assillava, tutto ciò di cui era certa era che non sarebbe riuscita a sopportare di nuovo che le parole “dobbiamo porre fine al nostro rapporto” uscissero dalla bocca di Shuichi come un silenzioso ma letale proiettile da una pistola.
Dopo diversi minuti in cui era rimasta assorta nei suoi pensieri, si era resa conto di trovarsi ancora lì, in piedi da sola in quel corridoio ormai deserto. Lui le aveva detto di andare in ufficio ma le sue gambe avevano rifiutato di obbedire. Chissà cosa si stavano dicendo in quel momento nell’ufficio di James, avrebbe tanto voluto raggiungerli ma sapeva che era meglio non interferire.
Alla fine aveva seguito il suo consiglio e si era sforzata di raggiungere l’ufficio in cui li stavano aspettando Camel e Yuriy, indossando nuovamente la maschera con cui si era presentata quella mattina per non destare sospetti nei due colleghi. Aveva raccontato loro che Shuichi si era fermato un attimo a parlare con James e li avrebbe raggiunti fra poco, facendosi raccontare nel mentre quello che era successo con Daniel Harrington. Alla fine non ne era uscito nulla di interessante, il fratello della vittima era stato sfuggente e sgarbato come la volta precedente, dando ancora di più l’impressione che si sentisse braccato.
Dopo una decina di minuti, Shuichi li aveva finalmente raggiunti in ufficio, interrompendo la loro conversazione.
 
- Eccomi, scusate il ritardo- disse semplicemente, prendendo posto alla sua scrivania.
 
Seguì il suo percorso con lo sguardo, sperando che le desse un segnale per farle capire se andava tutto bene, ma lui non la guardò. Forse non voleva destare sospetti con occhiate furtive, si era accorto anche lui di quanto Yuriy fosse perspicace: sicuramente non gli sarebbe sfuggita nessuna parola e nessun gesto. Doveva attendere che la giornata lavorativa giungesse al termine per soddisfare il suo bisogno di sapere.
 
- Ti aspettavamo, Jodie dice che ha trovato delle informazioni interessanti a casa della vedova Harrington- la anticipò Yuriy.
- Sicuramente meglio di quelle che abbiamo ottenuto noi da Daniel- commentò.
- Forza signorina Starling, ci illumini- ironizzò il russo, che però moriva dalla curiosità di sapere.
- Stando a quello che mi ha raccontato Charlotte Harrington, Russel non era certo il marito perfetto che ci si immagina. La tradiva da anni e lei aveva persino ingaggiato un detective per scoprire l’identità delle sue amanti. Alla fine ne ha trovata una in particolare, a quanto pare la preferita di Russel: Irina Volkova. È una giovane ragazza che ballava nel privé del suo wine bar-
 
Interruppe un attimo il suo racconto ed estrasse dalla borsa le foto che le aveva dato Charlotte, mostrandole ai colleghi.
 
- Queste le ha scattate il detective, Charlotte le ha conservate sino ad oggi nel caso avesse dovuto servirsene per un eventuale divorzio o altro-
- E perché non ha divorziato subito se sapeva che il marito la tradiva?- chiese Camel.
- A suo dire per una questione di apparenza. In un ambiente come il loro l’apparenza è tutto e uno scandalo può portarti alla rovina. Ma io credo ci sia sotto altro, alla fine aveva tutte le prove per incastrare Russel e uscirne come quella pulita. Poteva persino ottenere denaro dal divorzio, se era quello a cui ambiva-
- Il denaro ottenuto da un divorzio non sarebbe mai stato paragonabile a quello ottenuto continuando ad essere la signora Harrington- intervenne Shuichi - Per quanto cospicua potesse essere la somma mensile, l’intero patrimonio sarebbe comunque stato più alto-
- Credi sia per una questione di denaro?- gli chiese.
- E per cos’altro? Amore?- intervenne sarcastico Yuriy - Gente come loro non saprebbe amare sinceramente nemmeno il proprio gatto di razza. Per loro i soldi valgono più dei sentimenti. Comunque il nostro Russel ha buon gusto in fatto di donne- fece un apprezzamento alle foto di Irina.
- D’accordo, mettiamo che lei volesse davvero il suo denaro e continuasse a sopportare i suoi tradimenti per questo motivo. Ma lui che ragione avrebbe avuto di continuare a stare con lei? Avrebbe potuto divorziare e godersi una nuova vita con la sua giovane amante-
- Beh, forse nel suo caso possiamo davvero parlare di “salvare le apparenze”- disse Shuichi - Insomma, una moglie elegante, della tua stessa età e ceto sociale è perfetta da esibire a eventi mondani di lusso, mentre una giovane straniera che balla senza vestiti in un club segreto e poco legale non ti rende onore-
- Già, a giudicare dalle foto avranno almeno vent’anni di differenza- constatò Camel.
- Esiste anche un’altra ipotesi- azzardò Yuriy.
- Ovvero?-
- Che lui stesse effettivamente per lasciarla ma che lei non accettasse di perdere la faccia e il denaro, quindi lo ha pagato qualcuno per ucciderlo. Una signora non fa mai il lavoro sporco con le proprie mani-
- Potrebbe essere, ma c’è un’altra opzione ancora- intervenne lei - Irina è russa e a quanto ne sappiamo Russel è stato ucciso proprio dalla mafia russa: forse lei era già la donna di qualcuno di loro che si è vendicato su Russel per avergliela portata via, o forse era parente di uno di loro e lui l’ha disonorata non accettando di divorziare dalla moglie per sposare lei. Mi ha insospettita l’espressione che Charlotte ha fatto quando le ho chiesto se sapeva che suo marito aveva contatti con la mafia russa, ho avuto l’impressione che sapesse più di quanto non volesse dirmi. Alla fine mi ha detto soltanto che la cosa non la stupiva e che le ragazze come Irina vengono portate qui dal loro paese natale per poi essere costrette a diventare prostitute. Chi di loro ha fortuna e riesce a farsi mantenere da mariti infedeli dell’alta società, mentre le altre rischiano la vita in mezzo alla strada. Insomma, sembrava molto informata su un argomento del genere per essere una donna di alta classe-
- Interessante- commentò Shuichi sorridendo.
- Pensi che sia coinvolta anche lei?- gli chiese Yuriy.
- Stando a quello che Jodie ha appena detto, ci sono alte probabilità-
- Però sembra che non sapesse del privé nel wine bar e delle bische clandestine- aggiunse lei.
- Magari ti ha mentito, ha capito di essersi esposta troppo e ha fatto marcia indietro-
- Credo che dovremmo fare qualche ricerca in più su questa Irina e magari fare due chiacchiere con lei- disse Shuichi.
- Aspettate, c’è dell’altro- continuò il suo racconto - Le ho chiesto in che rapporti fossero Russel e il fratello Daniel e lei ha risposto che un tempo erano molto uniti ma che poi si sono allontanati sempre di più e nonostante abbia cercato più volte di convincere Russel a riappacificarsi con il fratello non è mai riuscita a convincerlo. Tuttavia non ha saputo dirmi il motivo di quei litigi, sembrava che ne fosse all’oscuro. Ha detto anche che Daniel a un certo punto ha smesso di andare a trovarli a casa e che lui e Russel si incontravano solo nei ristoranti per parlare esclusivamente di lavoro-
- Beh, ti ha detto più di quanto non ci abbia detto lui stesso entrambe le volte in cui lo abbiamo incontrato- osservò Yuriy.
- Già, peccato che pochi minuti dopo quello che mi ha raccontato si sia rivelato falso-
- Che intendi dire?- si interessò maggiormente Shuichi.
- Mentre me ne stavo andando hanno suonato alla porta e indovinate chi era?-
- Daniel- disse semplicemente Yuriy, mentre un ghigno soddisfatto compariva sul suo volto.
- In persona. E la faccia di Charlotte è sbiancata. Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato ma non sono riuscita a capire cosa- scosse la testa.
- Direi che il solo fatto che Daniel fosse lì è da considerarsi sbagliato, specie se è vero che non aveva più messo piede in quella casa- replicò il russo.
- Sì ma non era solo quello. Non so, mi è sembrato che si guardassero in modo strano. Secondo me nascondo un segreto che potrebbe essere la chiave di svolta per le indagini-
- E perché non li hai messi a confronto? Quando hai due prede nella stessa gabbia devi fare in modo di divorarle entrambe- chiese Shuichi, ma senza cattiveria nel tono.
- Perché Daniel mi ha attaccata senza che avessi neppure aperto bocca. Charlotte ha cercato di calmarlo ma siccome non funzionava alla fine gli ho risposto a tono e me ne sono andata prima che mi venisse voglia di dargli un pugno su quella faccia da schiaffi che si ritrova!- s’infervorò al ricordo dell’arroganza di Daniel Harrington.
- Mi sembra chiaro che dobbiamo interrogare Charlotte e Daniel insieme fin che non confessano in che rapporti sono. Insomma, non credo che sia tornato improvvisamente in quella casa solo perché il fratello è morto e voleva fare una visita di cortesia alla sua cara cognatina- concluse Yuriy.
- Sono d’accordo con te. Inoltre dobbiamo trovare il modo di avvicinarci al clan russo e forse Irina è la chiave- lo appoggiò Shuichi.
- Comunque dobbiamo ringraziare Jodie, ha fatto un ottimo lavoro. Non volevamo nemmeno andare dalla moglie di Harrington e alla fine sembra essere quella che per il momento ci ha dato più informazioni. Hai avuto un ottimo intuito- si complimentò Camel.
- Grazie Andrè- gli sorrise, lusingata da quel complimento.
- Voi donne siete creature piene di segreti, chi vi capisce è bravo- ironizzò Yuriy, beccandosi una sua occhiataccia in cambio.
 
Trascorsero il resto del pomeriggio a buttare giù nero su bianco le informazioni raccolte e a fare ricerche su Irina Volkova, che però non portarono a molto. D’altra parte era una straniera portata lì per fare la ballerina in un club privato e, forse, anche costretta a prostituirsi. Quando sei solo un oggetto o un numero non hai un’identità, per il mondo non esisti. Potresti scomparire nel nulla e nessuno lo saprebbe, per questo quelle come lei cercavano disperatamente di essere qualcuno ad ogni costo, anche accettando di essere le amanti di uomini molto più vecchi di loro e già sposati.
Non potendo tornare subito alla carica con Charlotte e Daniel, alla fine terminarono l’orario di lavoro senza bisogno di prolungarlo fino a tardi come a volte accadeva. Se fino a quel momento le ricerche l’avevano aiutata distrarsi, ora che si avvicinava il momento dell’incontro con Shuichi sentiva l’ansia crescere dentro di lei. Non poteva evitarlo in eterno, prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo faccia a faccia, ma in quel momento proprio non si sentiva pronta.
Yuriy fu il primo a lasciare l’ufficio dopo averli salutati, Camel lo seguì dopo qualche minuto. Alla fine erano rimasti soli.
 
- Cosa ti ha detto James?- gli rivolse la parola, desiderosa di sapere.
- Nulla di cui preoccuparti, stasera ti racconto tutto- rispose lui, con una calma invidiabile.
- Shu…- lo supplicò.
- Puoi immaginarlo anche da sola l’argomento, no?-
- Ti ha chiesto di noi? Pensi che Tara gli abbia detto qualcosa?-
- Non so se sia stata Tara o semplicemente se abbia sentito il vociferare in corridoio, ma in qualche modo lo ha saputo e voleva la conferma se fosse vero o meno-
- E tu cosa gli hai detto?- si allarmò.
- La verità- rispose semplicemente.
 
Sospirò, consapevole che non gli avrebbe cavato fuori una parola di bocca. Se aveva deciso di parlare quella sera non c’era niente che potesse fare per fargli cambiare idea.
Prese la borsa e si preparò ad uscire, doveva fare alcune commissioni prima di cena.
 
- Jodie?- la fermò lui, che sembrava rincorrerla appena poteva.
- Sì?-
- Ci vediamo stasera, giusto?-
 
La sua domanda gli parve non sono come la ricerca di una conferma ma anche come la richiesta di avere una piccola speranza in qualcosa che desiderava. Ma perché Shuichi insisteva così tanto per parlare con lei? Cosa doveva dirle? Voleva rompere con lei il prima possibile o voleva dirle che l’amava? Più quella giornata volgeva al termine e più si sentiva confusa.
 
- Di cosa vuoi parlarmi con tutta questa urgenza?- trovò il coraggio di chiedere.
- Beh, mi sembra che abbiamo un discorso in sospeso, non trovi?-
- A me invece sembra che abbiamo detto fin troppo- abbassò la testa, memore delle parole pronunciate la sera prima.
- Quindi secondo te non abbiamo nulla da chiarire?- la fissò serio.
- Non ho detto questo, ma mi chiedo cosa resti da dire ancora-
- Tante cose-
 
Fece un lungo respiro, restando in silenzio e chiedendosi quali fossero quelle tante cose. Insomma, o l’amava o non l’amava, non era difficile. Se l’amava, che si sbrigasse a dirglielo, se non l’amava, che si sbrigasse a lasciarla. Il solo conversare con lui era diventata un’agonia.
 
- Fra le tante cose per caso c’è anche un “Jodie ti amo”?- chiese infine, ma senza guardarlo negli occhi.
- Lo ritieni più importante di qualsiasi altra cosa?-
- Lo ritengo importante e basta. Forse non lo sarà per te ma lo è per me-
- Se ti dicessi che ti amo, mi crederesti?-
- Che intendi dire?-
- Il motivo per cui vuoi che pronunci quelle parole è che ti sei messa in testa che io non provi questo sentimento per te e per qualche motivo ti sei convinta che pronunciando le parole magiche queste possano diventare realtà. Ma questo non è un libro di favole, Jodie. Non basta dire a una persona che la ami perché sia effettivamente così. Se anche lo avessi detto a lei, cosa cambierebbe?-
 
Quelle parole furono il colpo finale di tutti quelli che aveva dovuto incassare in quelle ultime ventiquattr’ore. Parole crude, dirette, quasi brutali ma al tempo stesso estremamente vere. Shuichi aveva ragione: non bastava dire “ti amo” per provare quel sentimento e lui non provava, quindi se glielo avesse detto sarebbe stata solo una bugia fragile come un castello di carte. Cosa sarebbe cambiato se lo avesse detto ad Akemi? Niente, perché sapeva quando l’aveva amata e quanto probabilmente ancora la amava. Akemi aveva conquistato quel gradino del podio da cui lei era dovuta scendere anni prima e sul quale aveva sperato di poter risalire un giorno.
Amareggiata e delusa, annuì con un cenno del capo senza nemmeno aprire bocca, poi si voltò e uscì in fretta dall’ufficio, mentre lui la chiama ripetendo il suo nome più volte per fermarla.
Fuori dalla porta ad aspettarla, però, c’era l’ennesimo problema da affrontare: James. Non aveva più forze né voglia per un’altra discussione, si sentiva stremata; tuttavia non poteva sfuggirgli.
 
- Possiamo parlare?- le chiese.
- Scusami James, vado di fretta. Ho delle commissioni da sbrigare-
- Non ti ruberò molto tempo, solo cinque minuti-
 
Sospirò, incapace di sottrarsi a quella richiesta e alla fine acconsentì a seguirlo nel suo ufficio.
 
- Immagino saprai perché ti ho chiamata qui, Akai te lo avrà detto-
- Non mi ha detto quasi nulla, ma posso immaginarlo-
- Hai una spiegazione da darmi?- le chiese, atteggiandosi come un padre che stava riprendendo la propria figlia per un’azione non corretta.
- Non credo di dovere spiegazioni a nessuno perché sono una donna adulta, perché questa è la mia vita e perché non sono affari tuoi né di nessun altro qui dentro-
- Esigo rispetto quando ti rivolgi a me, sono pur sempre il tuo capo! Ed è anche affar mio se poi ti devo fare da supporto morale come l’ultima volta! Non impari mai?!- alzò la voce, cercando di intimidirla.
 
Chiuse gli occhi e strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia. Ne aveva avuto abbastanza per quella giornata, non poteva sopportare anche la predica di James e il suo rinfacciargli il passato.
 
- Scusami se ti ho creato disturbo, ma non ricordo di averti chiesto io di venire ogni sera a casa mia a vedere come stavo!- replicò.
- E cosa avrei dovuto fare, lasciarti da sola a piangere e disperarti? Sai bene che non è stato un disturbo, ma non voglio più vederti in quello stato. È stato difficile anche per me- cercò di calmare i toni, prima che la conversazione fra loro degenerasse.
- Non preoccuparti James, è finita ancora prima di cominciare. Puoi dormire sonni tranquilli. Potete farlo tutti qui dentro, visto che a quanto pare c’è parecchio interesse nell’impicciarsi degli affari degli altri-
 
Senza nemmeno dargli il tempo di replicare, gli diede le spalle e uscì in tutta fretta dal suo ufficio, mentre l’uomo la chiamava più volte per trattenerla. Era la seconda volta in quella lunga giornata che sfuggiva a qualcuno per non proseguire una conversazione. Poteva sembrare una codarda immatura, ma non le importava: non aveva le forze per sostenere una discussione.
Senza nemmeno curarsi di Shuichi, che la stava aspettando appoggiato allo stipite della porta, attraversò il corridoio quasi correndo e scomparve dietro le porte dell’ascensore.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Vi ho fatto attendere un po’ ma finalmente è tornato a grande richiesta James il papà apprensivo! XD
Non dirò molto in questo angolo, spero che il capitolo parli da sé e che vi sia piaciuto. Sto cercando di fare del mio meglio anche con il caso investigativo ma non penso di essere portata per queste cose, preferisco le narrazioni di tipo introspettivo (e infatti questa storia è un trip mentale dietro l’altro XD).
Grazie a tutti quelli che hanno dedicato qualche minuto a leggere!

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Capitolo 38
*** Capitolo 38: Le conseguenze di una decisione ***


Capitolo 38: Le conseguenze di una decisione
 
 
Si sedette in macchina e strinse forte il volante fra le mani, cercando di calmare la rabbia. In quel momento avrebbe potuto prendere a pugni anche quel gorilla di Camel tanta era la collera che le scorreva nelle vene. Non vi era nulla che fosse andato per il verso giusto in quella giornata, l’unica cosa che voleva era andare a casa, mangiare del gelato e andarsene a dormire.
Mise in moto la macchina e lasciò in tutta fretta il parcheggio, immettendosi nelle trafficate strade di Manhattan.
Dopo dieci minuti di guida si ritrovò ferma ad un semaforo, intrappolata in una coda di auto. Era l’orario in cui molti tornavano a casa da lavoro oppure andavano a procurarsi qualcosa da mangiare per cena. L’attesa che quel semaforo scattasse contribuì ad accrescere il suo nervosismo: era diventata intollerante verso ogni minima cosa. Guardò fuori dal finestrino aperto e fu allora che la sua attenzione venne catturata dal negozio di dischi che stava sul lato opposto della strada. Ci passava davanti ogni giorno ma non aveva spesso l’occasione di entrarvi. Quel posto era come un piccolo tuffo nei ricordi, un luogo raro e pertanto affascinante. Il progresso della tecnologia aveva fatto sì che i modi per ascoltare la musica cambiassero drasticamente, nessun adolescente era più interessato a stringere fra le mani un disco e a sfogliarne il libricino all’interno: potevano scaricare musica da Internet (spesso illegalmente) e trovare qualunque tipo di informazione sulla band. Lei invece era rimasta fedele ai cari e vecchi LP, aveva persino conservato un vecchio walkman ancora funzionante che qualche volta utilizzava al posto dello stereo, quando non voleva disturbare troppo i vicini.
I suoi pensieri furono interrotti dal semaforo che finalmente era scattato e dalle macchine davanti a lei che avevano ripreso a muoversi. Rivolse un ultimo sguardo al negozio di dischi e poi si allontanò seguendo le macchine davanti a lei.
 
Una volta arrivata a casa si tolse le scarpe gettandole in un angolo svogliatamente: trovava fastidiosi persino i tacchi che solitamente amava tanto. Avrebbe dovuto fare la spesa prima di tornare al suo appartamento, ma non ne aveva nessuna voglia. Prese un cucchiaio dal cassetto delle posate e si diresse verso il freezer, estraendo un grosso barattolo di gelato, per poi lasciarsi cadere a peso morto sul divano. Cercò il telecomando del televisore e quando lo ebbe trovato iniziò a cercare un film o qualunque programma che avrebbe potuto aiutarla a rilassarsi, mentre prendeva grosse cucchiaiate di gelato dal barattolo. Purtroppo la fortuna non fu dalla sua parte nemmeno in quel frangente, il palinsesto non offriva nulla che catturasse la sua attenzione. Si ritrovò così a pensare nuovamente a quanto accaduto poche ore prima, alle parole di James e all’invito di Shuichi. Sapeva che il primo la amava come una figlia, tuttavia non poteva accettare che si fosse intromesso così nella sua vita, imponendosi e dandole ordini come se avesse ancora otto anni. Sapeva anche che il secondo non avrebbe ceduto facilmente, probabilmente la stava aspettando a casa sua nonostante tutto. Si chiese se fosse davvero il caso di andarci, se avrebbe potuto cambiare le cose, ma la risposta ad entrambe le domande nella sua testa riecheggiò come un sonoro “no”. Shuichi non aveva nessuna intenzione di dirle che l’amava e aveva ribadito che anche esprimendo il sentimento a parole non lo avrebbe reso di certo più reale. Lui sosteneva di amarla, ma lei non riusciva a credergli fino in fondo. Le aveva dato delle prove, ma a lei non bastavano. Aveva colto nel segno dicendole che il motivo per cui voleva sentirsi dire quelle parole a tutti i costi era perché si era convinta che pronunciandole sarebbero state più reali, ma aveva anche avuto ragione nel ricordarle che le parole a volte sono solo parole e non sempre rispecchiano la realtà. D’un tratto nemmeno quel dolce gelato bastava più a risollevarle il morale, quindi si alzò dal divano e lo riportò nel freezer. Aprì poi il frigorifero alla ricerca di qualcosa di fresco da bere e l’occhio cadde sulla bottiglia di Scotch che Shuichi aveva portato al loro primo appuntamento. Sospirò esausta: tutto intorno a lei sembrava ricordarle di lui. Forse era un segno, forse il karma, il destino, l’intero universo o qualunque altra cosa fosse le stava dicendo che non poteva sfuggire da lui, che le loro vite erano collegate e che nonostante il dolore, la rabbia e le paure non poteva fingere che Shuichi non esistesse, nemmeno per un secondo.
Prese un bicchiere e si versò un goccio di quello Scotch, buttandolo giù tutto d’un fiato. Si chiese cosa avrebbe potuto farla stare meglio e le tornò in mente quel negozio di dischi che aveva visto poco prima. Forse un po’ di musica l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.
 
Parcheggiò l’auto nel primo posto disponibile sul lato destro della strada e s’incamminò verso il negozio che si trovava qualche metro più avanti. Le luci erano ancora accese, segno che l’orario di chiusura non era ancora arrivato. Entrò e fu subito accolta dal commesso sorridente, un ragazzo più o meno della sua stessa età che indossava una t-shirt di una rock band che lei non conosceva. La salutò e lei ricambiò il sorriso e il saluto, iniziando poi a girare lentamente nel negozio, soffermandosi a guardare gli album suddivisi per genere. Diede un’occhiata ai dischi in vinile, ricordando la collezione che suo padre aveva e che era bruciata insieme a tutto il resto. Si spostò poi sui CD, prendendone alcuni e leggendo i titoli dei brani sul retro della custodia.
Mentre setacciava l’angolo dedicato alla musica rock, le capitò fra le mani un vecchio singolo dei The Cure: “Lovesong”. La band non era mai stata una delle sue preferite, ma quel brano in particolare le era sempre piaciuto per la semplicità del testo che allo stesso tempo esprimeva un sentimento di amore puro, sincero e immutabile nel tempo. Da ragazzina aveva desiderato un giorno di provare un amore come quello e alla fine lo aveva provato per davvero, ma la cruda realtà le aveva fatto realizzare che a volte ottenere quello che si vuole non equivale ad essere felici.
Si guardò intorno alla ricerca di uno di quei lettori CD appesi al muro, messi a disposizione dei clienti perché potessero ascoltare un disco prima di acquistarlo. Ne trovò uno libero e si diresse lì, estraendo con delicatezza il CD dalla custodia e inserendolo nel lettore. Indossò le cuffie appese a fianco e premette il tasto play. La tipica melodia che contraddistingueva i The Cure risuonò nelle sue orecchie, facendole chiudere gli occhi. Ascoltò le parole una dopo l’altra, immaginando di poterle dedicare all’uomo che amava. Quel ritornello, quell’unico ritornello che rispecchiava ciò che provava e avrebbe sempre provato per Shuichi:
 
However far away
I will always love you
However long I stay
I will always love you
Whatever words I say
I will always love you
I will always love you

 
Non importava quante volte potesse ferirla, quanto si trovassero distanti o quali parole gli rivolgesse: lo avrebbe amato per sempre. Anche se cercava di evitarlo, se lo aveva ferito dicendogli certe cose, il suo cuore era sempre con lui e non poteva fare niente per cambiare questa condizione.
Terminò di ascoltare quella canzone e poi ripose nuovamente il disco nella custodia, stringendolo fra le mani e dirigendosi alla cassa. Pagò quell’unica canzone e ritornò alla macchina, diretta verso casa di Shuichi. 
 
Una ventina di minuti dopo parcheggiò l’auto e salì le scale dello stabile, diretta all’appartamento dell’uomo che l’aveva invitata. Avrebbe potuto prendere l’ascensore per fare prima, ma pensò che fare qualche passo in più l’avrebbe aiutata a trovare le parole giuste da dire. Non sapeva se era pronta a rinunciare all’idea di sentirsi dire “ti amo” da lui, non sapeva se lui voleva ancora parlare con lei dopo come si erano lasciati in ufficio poche ore prima, non sapeva se fosse ancora arrabbiato per ciò che aveva detto su di lui e su Akemi la sera precedente: sapeva solo che il cuore l’aveva spinta sino a lì, con quel disco in mano, desiderosa di fargli ascoltare la canzone. Le tornò in mente la sera della pioggia di comete, quando le aveva chiesto di fargli ascoltare la canzone che l’aveva convinta a lasciare Clay e a raggiungerlo nel parco per chiarire la loro situazione. Clay…si chiese come stesse, se fosse felice. Non lo aveva più sentito da quella volta, non aveva avuto il coraggio di chiamarlo dopo averlo piantato in asso. Se fosse riuscita ad amarlo, in quel momento non si sarebbe trovata davanti a una porta chiusa, chiedendosi se bussare o meno: l’avrebbe già varcata per trascorrere una felice serata con il suo uomo.
Si rese conto solo in quel momento di aver già raggiunto la porta d’ingresso dell’appartamento di Shuichi. Se ne stava lì, in piedi, stringendo il disco fra le mani come se fosse un tesoro prezioso. Perché le era tornato in mente Clay in quel momento? Cercò di ritornare indietro al ricordo della pioggia di comete, alla notte in cui aveva deciso di dare una seconda possibilità a Shuichi. La memoria però le giocò un brutto tiro: la prima cosa che ricordò furono le parole che lei stessa gli aveva rivolto fra le lacrime.
 
“È proprio questo il punto Shu: tu non lotti per me. Se si trattasse di lavoro o di altro scaleresti una montagna per raggiungere il tuo obiettivo, ma quando si parla di me ti basta un ostacolo e subito ti tiri indietro. Tu non hai mai lottato per me mentre io l’ho sempre fatto per te. Tu mi hai sempre data per scontata, sapevi che ero lì per te e ci sarei stata qualunque cosa mi avessi fatto: per questo non hai mai mosso un dito verso di me.”
 
Abbassò lo sguardo, realizzando che anche dopo tutto ciò che c’era stato fra loro lui continuava a dare per scontato tutto ciò che la riguardava. Non dava importanza a quel “ti amo” e sembrava non voler capire quanto fosse importante per lei; al contrario cercava di farla desistere dal desiderarlo. Concentrata in quel monologo che stava facendo sul palco di un teatro vuoto, non si era mai soffermata per un attimo a chiedersi se forse, in fondo, Shuichi non avesse ragione. Alla fine aveva dimostrato a suo modo di volersi davvero impegnare per far funzionare le cose, non era stato freddo e insensibile.
 
- Guarda che sei tu quella che sta mandando a rotoli la situazione-
 
Eccola, la voce nella sua testa che sentiva ogni volta che si ritrovava in una situazione complessa con lui. Non aveva mai avuto nessuno con cui parlarle, non poteva farlo con James e non poteva farlo nemmeno con Shiho, per non rovinare nuovamente il rapporto che aveva ricucito con il cugino: forse per questo motivo dentro di lei era nata una sorta di alter ego, una voce della coscienza che le parlava ma creandole ancora più confusione.
 
- Io sto solo cercando di proteggere me stessa- si ripeté, quasi sussurrando.
- Da cosa vuoi proteggerti? Da un uomo che ti sta dimostrando che ti ama?- replicò la sua coscienza.
- Non posso permettergli di ferirmi di nuovo-
- Ma non sei tu quella che lo ha ferito ieri sera? “Anche quando hai iniziato a frequentare lei hai dato per scontato che fosse la tua fidanzata oppure glielo hai chiesto per apparire come l’uomo perfetto?”- mimò le sue stesse parole - Sei solo una ragazzina ricca e viziata che corre a piangere da papà quando le cose non vanno come vorrebbe-
 
Diamine, non avrebbe mai immaginato che la sua stessa coscienza fosse una tale bastarda. Era vero, sapeva bene di averlo ferito con quelle parole, ma sapeva anche che qualunque affermazione acida e dettata dalla rabbia fosse uscita dalla sua bocca, non avrebbe di certo spento la fiamma ardente dell’amore che provava per lui, proprio come le parole della canzone. La parte di lei che stava cercando di mantenere il più razionale possibile le diceva che doveva continuare a pretendere da Shuichi quelle parole, che lui doveva fare il possibile per dimostrarle che si era meritato la sua attesa di sei, lunghissimi anni; il suo subconscio invece la stava facendo sentire sbagliata, mettendola di fronte agli errori commessi.
Dopo minuti interminabili che le parvero ore si rese conto che non sarebbe riuscita a bussare a quella porta, che non poteva incontrare Shuichi in quello stato. Non sapeva più nemmeno lei cosa voleva, dove finiva il giusto e dove cominciava lo sbagliato. Shuichi, dal canto suo, non l’aveva chiamata né le aveva mandato un messaggio per sapere come mai non fosse ancora arrivata da lui: come temeva, probabilmente era arrabbiato o forse, peggio ancora, si era stancato di rincorrerla.
Consapevole di non poter affrontare una conversazione con lui in quel momento, estrasse dalla tasca un taccuino che portava sempre con sé al lavoro per annotarsi informazioni sui casi che seguiva, cercò la prima pagina bianca disponibile e scrisse un breve messaggio, riprendendo il testo della canzone che stringeva fra le mani.
 
Whatever words I say
I will always love you

 
Jodie
 
Appoggiò il disco a terra davanti alla porta, vi posò sopra il biglietto e mentre si asciugava una lacrima sfuggita al suo controllo suonò il campanello, per poi fuggire via correndo lungo le scale prima che la porta si aprisse.
 
 
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono s’incamminò svogliatamente lungo il corridoio, mentre frugava nella tasca alla ricerca delle chiavi. Voleva farsi una doccia e poi andarsene subito a dormire, nella speranza che la notte cancellasse ogni traccia di quella giornata orribile. Teneva la testa china e pertanto si accorse della presenza dell’uomo davanti alla porta di casa sua solo quando fu a circa due metri da lui.
 
- James…- pronunciò il suo nome, sorpresa di trovarlo lì a quell’ora.
- Pensavo fossi in casa, quindi sono venuto senza avvisarti-
- È successo qualcosa?- gli chiese.
- No, volevo solo parlarti-
- Se l’argomento è quello che abbiamo affrontato oggi allora mi dispiace, ma puoi tornare a casa. Non ho nulla da dire più di quello che non abbia già detto-
- Non voglio impicciarmi degli affari tuoi Jodie. Sono solo preoccupato-
- Ti ho già detto che non devi-
- Proprio per questo mi preoccupo. Te ne sei andata dicendo che era tutto finito ancora prima di cominciare…- rammentò le sue parole.
- Ed è così, molto probabilmente- abbassò lo sguardo - Perciò puoi andare a casa e stare tranquillo-
- Invece non sono per niente tranquillo- insistette - Cosa intendi dire? Mi sembrava di aver capito che le cose andassero bene fra di voi-
- Infatti, ma le cose cambiano James-
- In ventiquattr’ore? -
- A volte anche meno-
- Ti ha di nuovo ferita?- chiuse gli occhi, sistemandosi gli occhiali.
- Forse, o forse sono io che ho ferito lui. Onestamente non lo so più- si passò una mano fra i capelli - Ma ad ogni modo non ha importanza perché probabilmente lui non mi ama quindi la storia non può andare avanti- concluse, desiderosa di terminare al più presto quella conversazione.
- Sei certa di quello che stai dicendo?- chiese dubbioso il suo capo.
- So che pensi che io sia ancora una ragazzina a cui badare James, ma sono in grado di capire se un uomo mi ama o no-
- Beh, è strano, perché non è quello che mi ha detto lui oggi. Akai ha tanti difetti, ma di certo non è uno che mente, non sui sentimenti almeno-
 
Restò a bocca aperta davanti a quella rivelazione, incapace di proferire parola. Desiderava con tutta se stessa sapere cosa avesse detto Shuichi su di lei a James, specie dopo che quest’ultimo le aveva appena rivelato che si trattava dell’esatto contrario di ciò che pensava.
 
- E cosa ti ha detto?- chiese infine.
- Mi ha fatto capire che i suoi sentimenti per te sono sinceri e che intende persino portarti al matrimonio del fratello per farti conoscere meglio tutta la sua famiglia. Gli ho chiesto più volte se fosse sicuro dei suoi sentimenti e lui ha sempre risposto con fermezza che intende fare sul serio con te-
 
Si strinse le mani al petto, cercando di contenere quello strano sentimento che stava provando. Si sentiva estremamente felice ma al tempo stesso anche molto triste. Forse non era Shuichi il problema, forse il problema era lei. Lei lo stava allontanando a causa dei suoi dubbi e delle sue pretese, lei stava sbagliando. Quel “ti amo” non detto era davvero più importante di tutti i gesti che aveva fatto e che ancora progettava di fare per lei?
Si prese il volto fra le mani, cercando di calmare l’uragano che vorticava nella sua testa.
 
- Ascolta figliuola, so cosa provi per Akai, ma se devi soffrire ancora una volta allora è meglio lasciar perdere. Per quanto sia vero il suo sentimento nei tuoi confronti, se tu non ne sei certa e questo ti causa dolore allora è meglio che le vostre strade restino separate. Lo dico per il tuo bene-
 
L’uomo si avvicinò a lei e come solo un padre sapeva fare l’abbracciò stringendola a sé. Poteva insultarlo, trattarlo male, mancargli di rispetto, ma James sarebbe sempre rimasto al suo fianco perché l’amava come se fosse davvero sua figlia. Con la consapevolezza di essere al sicuro fra quelle braccia, si appoggiò a lui e pianse in silenzio.
 
 
……………………….
 
 
Seduto alla scrivania, nel silenzio dell’ufficio ancora deserto, rileggeva le poche parole scritte sul biglietto che stringeva nella mano. Non riusciva a capire perché fosse fuggita lasciando solo quel breve messaggio invece di parlare faccia a faccia con lui. In quanto donna, a Jodie piaceva fare la sostenuta e farsi desiderare quando voleva ottenere qualcosa, ma a quel punto stava tirando troppo la corda. Le cose stavano andando bene fra loro, ma lei sembrava voler gettare tutto all’aria pur di sentirsi dire a voce una cosa che doveva già essere palese nei gesti.
La sera prima aveva ascoltato una sola volta la canzone che gli aveva lasciato davanti alla porta insieme al biglietto ed era stato sufficiente per capire che l’amore che provava per lui era ancora lì, ma non riusciva ad emergere perché accecato dalla paura. “Qualunque cosa io dica, ti amerò per sempre” diceva il messaggio sul foglio: un’evidente richiesta di scuse per ciò che gli aveva detto riguardo ad Akemi e alla loro frequentazione. Aveva capito che si sentiva in colpa e per questo motivo ci teneva a spiegarle che non ce l’aveva con lei, che era acqua passata; tuttavia Jodie non gli stava dando la possibilità di farlo.
I suoi pensieri furono interrotti proprio dalla donna che li stava occupando, la quale entrò in ufficio in tutta la sua bellezza, indossando un abito senza maniche che abbracciava le sue forme. Non appena lo vide, Jodie si fermò a metà strada, sorpresa del fatto che fossero soli. Se stava evitando un confronto, in quel momento doveva sentirsi in trappola.
Senza dire nulla, prese posto accanto a lui con un notevole imbarazzo dipinto sul volto. La tensione cresceva, più che un ufficio sembrava un campo disseminato di mine che potevano esplodere da un momento all’altro.
Attese che si mettesse comoda alla sua scrivania e poi allungò un braccio e posò il bigliettino proprio davanti ai suoi occhi, facendole quell’unica domanda che gli ronzava in testa da ore.
 
- Perché non hai bussato alla porta?-
 
Jodie deglutì, fissando le parole che lei stessa aveva scritto e cercando un modo per uscire da quella situazione scomoda.
 
- Credevo che non volessi vedermi- gli rispose infine.
 
Nonostante la risposta fosse assurda, capì dalla sua espressione che stava dicendo la verità. Era davvero convinta che lui non volesse stare con lei e questo lo ferì.
 
- Se non avessi voluto vederti non ti avrei invitata a casa mia, non ti pare?-
- Sì ma…pensavo che dopo la discussione che abbiamo avuto in ufficio ieri avessi cambiato idea-
- Tu pensi troppo Jodie. A volte dovresti imparare a rischiare. Se non rischi non ottieni nulla-
 
Riprese il bigliettino e se lo mise in tasca, attendendo una risposta che non arrivò. La sua ragazza continuava a tenere le sguardo basso sulla scrivania, come una bambina in punizione.
Si avvicinò a lei e approfittando del fatto che nessuno poteva vederli le accarezzò dolcemente la testa.
 
- La canzone non era il mio genere ma il testo è bello. Però vorrei che me le dicessi tu quelle parole e non che me le facessi ascoltare tramite la voce di uno sconosciuto che esce dallo stereo-
 
Jodie alzò finalmente la testa e i loro sguardi si incrociarono. Lo fissava con quei grandi occhi azzurri, lasciando trasparire tutto l’amore che provava per lui ma che si ostinava a trattenere per paura di essere ferita di nuovo. Voleva delle certezze al punto tale da attaccarsi a cose futili e non vedere quello che già aveva.
Quel momento intimo fu interrotto dall’arrivo di James, che prima bussò e poi aprì la porta senza attendere che lo invitassero ad entrare. Si girarono entrambi a guardarlo e lui tolse la mano dalla testa di Jodie. Meglio non farsi beccare in situazioni compromettenti, specie dall’uomo che li stava tenendo d’occhio e che gli aveva dato un ultimatum proprio il giorno prima.
 
- Akai, hai un minuto?- si rivolse a lui, non dopo aver lanciato un’occhiata a Jodie.
- Sì, ti seguo nel tuo ufficio- rispose, incamminandosi verso di lui.
 
Sapeva già di cosa voleva parlare e preferiva, per il momento, lasciare Jodie all’oscuro. Lanciò un ultimo sguardo a quest’ultima prima di uscire dalla porta e lesse nei suoi occhi una preoccupazione ancora più grande di quella che aveva il giorno prima.
Camminò al fianco di James lungo il corridoio, ma nessuno dei due rivolse la parola all’altro. Entrambi si trovavano in una posizione scomoda ma nessuno dei due voleva cedere, nonostante vi fosse stima reciproca. Non odiava James e sapeva che James non odiava lui: semplicemente ognuno dei due stava agendo secondo la propria concezione di cosa era meglio.
Giunti nel suo ufficio, si sedettero uno di fronte all’altro proprio come avevano fatto il giorno prima. Sembrava che il tempo fosse tornato indietro, cancellando le ultime dodici ore. Ma lui sapeva bene che nella realtà non era possibile azzerare tutto e ricominciare da capo, i frammenti del passato sarebbero rimasti, invisibili ma fastidiosi come sassolini nelle scarpe.
 
- Immagino tu voglia continuare il discorso di ieri- precedette il suo capo - Allora, ci hai pensato?-
- Sì- rispose James, dopo essersi preso qualche secondo - Ci ho riflettuto molto e la mia posizione non è cambiata. Per il bene di Jodie e per non creare un clima di lavoro non adatto a una mansione come la nostra, ti chiedo di porre fine a qualunque cosa sia nata fra voi-
- Sei certo che sia la cosa giusta per il bene di Jodie?- evidenziò quelle ultime parole con il tono della voce.
- So che né tu né lei riuscite a vederla in questi termini, ma analizzando la situazione da persona esterna e soprattutto consapevole di certe cose, credo che per quanto dolorosa sia la scelta migliore-
 
Si concessero alcuni secondi di silenzio reciproco, in cui lui annuì prendendo atto della decisione del suo superiore. Che James facesse sul serio lo aveva già capito il giorno prima, ora ne stava solo avendo la conferma. L’amore di un padre per i propri figli viene sempre al primo posto, qualunque sia il prezzo da pagare e lui lo sapeva bene.
 
- Tuttavia Akai, vorrei che tu non lasciassi il tuo incarico di agente. Sei una risorsa straordinaria e ami il tuo lavoro, se te ne andassi sarebbe una grande perdita in tutti i sensi. Ti prego di riconsiderare la tua decisione- lo supplicò.
- Mi spiace James, ma ogni azione ha una sua conseguenza. Non ho intenzione di rimangiarmi quello che ho detto ieri e soprattutto non ho intenzione di lasciare Jodie. Capisco il tuo punto di vista e lo accetto, ma non posso fare quello che mi chiedi-
- La ami a tal punto?- chiese.
- Puoi non crederci, ma è così- ammise.
- Allora perché lei è convinta del contrario?-
- Perché ha paura- affermò, guardandolo negli occhi - E di certo questa situazione non la aiuta-
- Paura di cosa?- chiese, anche se probabilmente conosceva già la risposta.
- Di non essere ricambiata, di essere la seconda scelta di convenienza, di essere lasciata di nuovo-
 
Calò nuovamente il silenzio ed entrambi si ritrovarono a riflettere su ciò che si erano appena detti. Tutti e due volevano il bene di Jodie, ma le loro idee erano contrastanti.
 
- Se la tua decisione è questa, ne prendo atto. Sei pur sempre il mio capo. Tuttavia vorrei avere il permesso di portare a termine questo ultimo caso di cui mi sto occupando, poi me ne andrò come stabilito. Non mi piace lasciare le cose a metà-
- Sai che non te lo impedirò, penso che tu stia commettendo un grosso sbaglio ad andare via e ogni giorno in più in cui rimani non può che farmi piacere-
- Sei consapevole però che non lascerò Jodie nemmeno per questi pochi giorni che mi restano, vero?-
- Sta solo attento a non farle ancora del male- disse semplicemente, volgendo lo sguardo fuori dalla finestra.
- Non me lo perdonerei se accadesse-
- Va’ pure dagli altri adesso- lo congedò.
 
Gli diede le spalle e si incamminò verso la porta, ma proprio mentre stava per uscire dall’ufficio James lo richiamò.
 
- Akai-
- Sì?- si voltò.
- Mi dispiace-
 
I loro sguardi non s’incrociarono, James continuava a guardare distrattamente fuori dalla finestra, in un punto impreciso, probabilmente senza nemmeno vederlo. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ma lui non aveva bisogno di vedere quelli di James per capire che quel “mi dispiace” appena pronunciato era sincero. Lo aveva capito dal tono dalla voce e dall’atteggiamento. Era un buon padre, un buon capo, una brava persona con un grande cuore. Avrebbe sempre avuto stima di lui, nonostante tutto.
 
- Anche a me- rispose infine, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Breve capitolo di transizione ma che alle fine contiene scene interessanti come quella di Jodie che lascia il CD con la canzone davanti alla porta di Shuichi e il confronto finale tra quest’ultimo e James.
Come si evolveranno le cose?
Nel prossimo capitolo ci saranno anche degli avanzamenti sul caso della mafia russa, che spero di concludere entro pochi capitoli.
Grazie a chi ha speso un po’ del suo tempo per leggere!

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Capitolo 39
*** Capitolo 39: L’ultimo atto ***


Capitolo 39: L’ultimo atto
 
 

- E così non riusciamo a trovare tracce di Irina, non sappiamo da dove cominciare a cercarla, sospettiamo che Charlotte e Daniel Harrington nascondano qualcosa ma non riusciamo a fargli sputare il rospo- fece il punto della situazione Yuriy - Siamo fermi ad un punto morto. Qualcuno ha idee su come uscirne?-
- Forse dovremmo insistere e mandare di nuovo Jodie a parlare con la vedova- osservò Camel.
- Non penso che dirà più nulla di quanto non mi abbia già detto- scossa la testa lei.
- Forse dovremmo fare un giro nel quartiere russo di Brighton Beach, chiamato anche “Little Odessa”: la maggior parte di persone di origini russe o dell’est Europa si trovano lì- suggerì Shuichi.
- Già, ma proprio per questo è come cercare un ago in un pagliaio. Inoltre, se fai domande in giro sulla mafia finirai con l’attirare l’attenzione su di te e non è una buona cosa. Quelli ci mettono un secondo a farti fuori- lo avvertì Yuriy.
- Lo so bene che è rischioso, ma se non rischiamo non ci muoveremo di un passo da qui-
- Sei temerario amico, lasciatelo dire- commentò il russo.
 
Stavano discutendo ormai da mezz’ora senza riuscire a trovare una soluzione. Quell’indagine si stava rivelando più complicata del previsto e di certo il fatto di essere sovrappensiero non la aiutava. Da quando Shuichi era tornato in ufficio aveva notato un cambiamento in lui. Aveva un’aria strana e sembrava disposto a rischiare il tutto e per tutto a differenza di Yuriy. Non che questo fosse insolito, Shuichi era uno che amava sfidare la sorte, ma in quel momento era come se volesse dare il meglio di sé, proprio come aveva fatto durante le indagini sull’Organizzazione. Si stava impegnando al massimo ed era disposto a tutto pur di risolvere quel caso, come se fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto. Inoltre, si chiedeva cosa si fossero detti ancora lui e James. Aveva l’impressione che anche quest’ultimo le stesse nascondendo qualcosa.
La suoneria del suo cellulare che squillava la riportò alla realtà, attirando anche l’attenzione dei colleghi. Guardò il numero sul display e si accorse che non era un numero che aveva salvato nella rubrica.
 
- Va tutto bene?- le chiese Shuichi, notando la sua espressione stranita.
- Sì, è solo che non riconosco questo numero-
- Che sia Charlotte che ha deciso di chiamarti?- ipotizzò Yuriy.
- Se è così allora meglio rispondere subito- intervenne Camel.
 
Messa sotto pressione dai quei tre impazienti, rispose alla chiamata.
 
- Pronto?-
- Signorina Sterlin?- rispose una voce flebile dall’altro capo.
 
Aveva un forte accento straniero, dimostrato anche dal fatto che aveva sbagliato a pronunciare il suo cognome. Di certo, chiunque fosse, non era di nazionalità americana. Inoltre, nonostante stesse quasi sussurrando, poteva affermare con certezza che si trattasse di una voce femminile.
 
- Sono io. Chi parla?-
- Mi chiamo Oksana Morozov e sono domestica di famiglia Harrington- cercò di parlare in inglese il più correttamente possibile.
 
Sgranò gli occhi a quella rivelazione: perché mai la domestica di Charlotte la stava chiamando? Dove aveva trovato il suo numero? E soprattutto perché parlava a bassa voce e sembrava avere fretta di terminare quella telefonata il prima possibile, come se temesse di essere scoperta? Poteva esservi solo una spiegazione a tutte quelle domande: Oksana la stava chiamando all’insaputa di Charlotte perché molto probabilmente aveva delle informazioni che quest’ultima non aveva rivelato durante il loro colloquio avvenuto il giorno prima.
Mise subito il vivavoce e invitò i colleghi ad avvicinarsi per sentire meglio la telefonata. Inutile dirlo, i tre scattarono come avvoltoi su una preda.
 
- Sono sorpresa della sua telefonata Oksana…le ha dato il mio numero la Signora Harrington?-
- Signora Charlotte non sa nulla, ho preso numero da biglietto che lei ha lasciato ieri. La prego, non dica nulla- la supplicò.
- Stia tranquilla. Ora però mi dica perché mi sta chiamando all’insaputa di Charlotte-
- Signor Russel era sempre buono con me, è stato lui a offrirmi lavoro qui quando sono arrivata da Russia. Lui in fondo era brava persona anche se faceva sbagli. Signora Charlotte invece non è brava persona come le ha fatto credere-
- Cosa intende dire?-
- Signor Russel aveva relazione con Irina, questo è vero. Io conosco bene Irina, siamo venute qui insieme da Russia. Signor Russel amava veramente Irina e voleva salvarla da uomini cattivi, ma non sapeva come fare. Mafia russa non perdona. Signora Charlotte fingeva di essere dispiaciuta ma a lei non importava. Lei ha relazione segreta con Signor Daniel-
 
Si guardarono tutti negli occhi a vicenda, lei e Camel avevano persino la bocca spalancata. Quella era la notizia che stavano aspettando ed era arrivata dalla persona che meno di tutte si sarebbero aspettata. Yuriy pronunciò un impercettibile “bingo”, per non far capire ad Oksana che altre persone stavano origliando quella conversazione privata. Shuichi si limitò a sorridere soddisfatto.
 
- Lei è certa di questo?-
- Assolutamente. Lei ha visto Signor Daniel ieri, lui venuto qui anche se Signora Charlotte le aveva detto che non veniva più. È una bugia. Signor Daniel veniva quando Signor Russel si incontrava con Irina. Io sapevo ma non potevo dire niente, perché Signora Charlotte mi minacciava. Io non potevo perdere lavoro-
- Certo, capisco. Allora la prego di dirmi tutto quello che sa. Le prometto che non le succederà niente, mi creda- cercò di rassicurarla per avere in cambio le informazioni che le servivano.
- Signor Russel usava droga e se la procurava da piccolo clan di mafia russa. È così che ha conosciuto Irina. Lei non è stata fortunata come me, lei è molto bella e quando siamo arrivate in America Viktor l’ha notata subito-
- Viktor Krayevsky?- chiese conferma.
- Sì. Donne belle come Irina finiscono subito nelle mani di mafia, diventano ballerine in club o prostitute. Le usano per fare soldi. Un giorno Viktor ha mandato Irina a portare droga a Signor Russel e lui si è innamorato subito di lei. Quando Viktor ha saputo che Irina piaceva a Signor Russel, ne ha approfittato. La portava a ballare nuda nel club segreto che il Signor Russel aveva creato solo per poter vedere Irina e la usava per ottenere più denaro possibile. Lui non pensava che Irina si sarebbe innamorata davvero di Signor Russel. Viktor voleva Irina solo per sé, capisce? Così quando ha scoperto della loro relazione ha fatto uccidere Signor Russel. Però c’è altra cosa-
- Cosa?-
- A Little Odessa c’è un locale dove tutti quelli di mafia vanno sempre. Irina lavora quasi sempre lì. Lei mi ha detto che un giorno Signor Daniel è andato a quel locale e lo ha visto parlare con Viktor. Lo ha riconosciuto perché lo aveva già visto in club privato di Signor Russel e lui le aveva spiegato che era sua fratello-
- Quindi anche Daniel ha dei contatti con la mafia russa?-
- Io credo che Signor Daniel e Signora Charlotte siano colpevoli della morte di Signor Russel-
- Ma che cosa c’entrano Daniel e Charlotte con Irina e Viktor?-
- Signor Russel voleva usare soldi di grosso affare per comprare Irina da Viktor. Lei sarebbe venuta a lavorare insieme a me come domestica. Questa era unica soluzione che aveva trovato per salvare Irina. Ma Signor Daniel e Signora Charlotte volevano quei soldi e Viktor non avrebbe mai lasciato andare Irina. Credo si siano uniti per scopo comune-
- Se Russel spariva, i soldi andavano a Charlotte in quanto moglie e a Daniel in quanto fratello. Loro avrebbero potuto dare la parte che spettava a Viktor e lui avrebbe avuto i soldi continuando a tenersi Irina- rifletté ad alta voce.
- Esatto- confermò Oksana.
 
Tutto sembrava avere finalmente un senso. Lo sguardo impaurito di Charlotte quando Daniel era arrivato all’improvviso, quella strana sensazione che aveva percepito nel vederli insieme, il fatto che Daniel fosse sempre nervoso e sfuggevole. Più che della mafia russa era di loro che dovevano avere paura. Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli, ma in quel caso il diavolo aveva l’aspetto di due ricche e distinte persone dell’Upper East Side.
Ormai restava solo una cosa da sapere.
 
- Saprebbe dirmi dove posso trovare Irina? A questo punto devo parlare anche con lei-
- Come dicevo Irina lavora quasi sempre in club a Little Odessa. Il nome è “острое”- lo pronunciò nella sua lingua madre.
- Può ripetere il nome per favore? Non sono certa di averlo scritto bene- disse, allungando un foglio di carta e una penna a Yuriy, l’unico di loro che conosceva il russo.
- “Òstrae”- scandì bene le parole - nella vostra lingua significa “piccante”- spiegò.
- La ringrazio molto Oksana, le informazioni che ci ha appena dato sono importantissime-
- Io voglio solo giustizia per Signor Russel e voglio che mia amica sia libera-
- Faremo il possibile, glielo prometto-
- Un’ultima cosa- la fermò - Se andate al locale allora meglio che troviate qualcuno che parla russo. Stranieri non sono ben visti, ma se accompagnati da russo allora meno pericoloso- si raccomandò.
- Certo, abbiamo un collega di origini russe che ci sta aiutando, useremo la sua conoscenza della lingua per entrare nel locale-
- Buona fortuna Signorina Sterlin e la prego, non dica a nessuno che le ho telefonato-
- Può stare tranquilla, farò finta che questa telefonata non sia mai esistita-
 
Si salutarono un’ultima volta e chiuse la chiamata. Guardò i suoi colleghi, i quali sorridevano soddisfatti: ora sapevano esattamente cosa fare.
 
- Allora Sterlin, cosa facciamo adesso?- la prese in giro Yuriy, sbagliando di proposito il suo cognome come aveva fatto Oksana prima.
- Direi che andiamo a quel locale- rispose - E tu ovviamente sarai la star della serata visto che sei l’unico che capisce il russo qui. A proposito, hai scritto bene il nome del posto?-
- Ovvio- le mostrò orgoglioso il foglietto.
- Ma hai scritto usando l’alfabeto cirillico!- guardò spaesata quelle lettere per niente familiari.
- Tanto se non ci sono io non andate da nessuna parte, quindi cosa cambia con che alfabeto l’ho scritto?- strinse le spalle il collega.
- Però non possiamo semplicemente andare al locale senza un piano- osservò Camel - Non abbiamo prove concrete. Quello che ci ha detto questa donna al telefono sono solo sospetti che nutre-
- Richiama questa Oksana- intervenne Shuichi, rivolgendosi direttamente a lei - Dille che avverta Irina che stasera andremo lì e lei dovrà fingere di conoscere Yuriy-
 
Lo guardarono tutti con aria incredula, non capendo dove volesse arrivare. Sembrava che nella sua testa avesse già preso forma il piano da seguire, mentre loro ci stavano ancora riflettendo lui aveva già la soluzione. D’altra parte era il migliore.
 
- Dove vuoi arrivare?- chiese Yuriy.
- A catturare Viktor. Una volta preso l’uccellino, lo faremo cantare e ci dirà dove sono gli altri, oltre che come è morto Russel Harrington-
- Pensi che Irina accetterà?- chiese Camel.
- Se collabora con noi avrà meno probabilità di finire in galera anche lei-
- Ma quale legame potrebbe avere con me e Yuriy? Come potrebbe averci conosciuti, dal momento che Viktor a quanto pare la teneva sotto controllo? Da quello che ha raccontato Oksana sembra che sapesse ogni suo movimento-
- Non proprio tutti, se pensiamo che non si era accorto che Irina aveva una relazione seria con Russel. Sono certo che sia stato Daniel a dirglielo, altrimenti la cosa sarebbe andata avanti e lui non avrebbe sospettato di nulla. Perciò basterà che Irina dica a Viktor che Yuiry è un vecchio amico trasferitosi qui dalla Russia molti anni prima di lei. Dirà che si sono rincontrati per caso e che lo ha invitato al locale. Ovviamente Yuriy dovrà fingere di essere un tipo che non si scandalizza e a cui la legalità non importa più di tanto-
- Sento già che mi divertirò- ironizzò il collega chiamato in causa.
- E che scusa userà invece con me? Dimentichi che io non sono russa e tantomeno posso fingere di esserlo visto che non conosco nemmeno una parola della loro lingua-
- Tu avrai un ruolo un po’ più difficile. Non odiarmi ma è necessario-
- Cioè?- alzò un sopracciglio, per niente convinta.
- Tu dovrai interpretare la parte di una donna molto provocante ma al tempo stesso non facilmente conquistabile. Devi attirare il più possibile l’attenzione di Viktor su di te. Yuriy dirà che ti ha conosciuta per caso in un locale e da allora siete amici e girate tutte le sere locali diversi-
- Ma non è pericoloso che attiri l’attenzione di Viktor su di sé?- intervenne Camel preoccupato - È un tizio pericoloso-
- Tranquillo, anche noi entreremo nel locale, tutti sotto le mentite spoglie di amici di Yuriy. È in America da parecchio e quindi è normale che si sia fatto amici di questa nazione oltre che della sua-
- Quindi mi stai dicendo che devo fare gli occhioni dolci a un mafioso spacciatore di droga?- lo guardò, cercando di trasmettergli più odio possibile.
- Non solo, dovrai anche vestirti molto poco- infierì Yuriy, che sembrava divertito più che preoccupato.
- Perché non lo fai tu se ti entusiasma tanto?- lo fulminò.
- Perché non credo di essere il suo tipo-
 
Non riusciva a credere che Shuichi volesse farle fare una cosa simile. Sapeva bene che nel loro lavoro dovevano essere disposti a tutto e non era certo la prima volta che interpretava la parte della donna provocante con abiti succinti, ma un conto era farlo in Giappone mentre fingeva di essere un’insegnante di inglese americana e un conto era attirare su di sé l’attenzione di mafiosi. Era certa che Shuichi non l’avrebbe mai messa in pericolo se non era sicuro al cento per cento che il suo piano avrebbe funzionato; tuttavia era stranita da come gli aveva attribuito il ruolo più rischioso.
Sospirò, consapevole di non poter sfuggire al proprio dovere. Doveva fidarsi di Shuichi, almeno per quanto riguardava il caso.
 
 
……………………..
 
 
Uscì dal portone del suo palazzo e si guardò intorno con aria allarmata. Sperava che nessuno dei vicini la vedesse, non voleva certo che la scambiassero per una prostituta vestita in quel modo. Maledisse mentalmente Yuriy, che le aveva fatto acquistare quel maledetto completino in vinile nero dicendo che tutti gli abiti che aveva lei non erano abbastanza provocanti per un mafioso russo. Quel corpetto nero con i lacci sul davanti le stava togliendo il fiato oltre che mettere troppo in mostra il suo seno prosperoso e quei pantaloncini erano davvero troppo corti. Gli stivali attillati e alti sopra al ginocchio completavano quel look sobrio insieme al trucco marcato che non le si addiceva per niente. Aveva dovuto rinunciare ai suoi amati occhiali, che Yuriy aveva definito “da vecchia”, indossando le lenti a contatto. Quando si era guardata allo specchio prima di uscire si era chiesta dove fosse finita la vera Jodie.
Aveva seguito le istruzioni di Shuichi alla lettera, richiamando Oksana e chiedendole di mettersi in contatto con Irina per spiegarle il tutto. Oksana le aveva poi mandato un SMS dicendole che era tutto ok.
Dopo essersi assicurata che nessuno fosse nei paraggi, si accorse finalmente della Mustang rossa parcheggiata dal lato opposto della strada, poco lontano dal palazzo: Shuichi era venuto a prenderla come concordato. Dietro alla Mustang c’era anche l’auto di Camel, una BMW X6 che aveva acquistato dopo il ritorno in America, non potendo più utilizzare la Mercedes di James. I tre colleghi la stavano aspettando fuori dalle rispettive auto, conversando fra di loro mentre Shuichi fumava una sigaretta.
Quando la videro arrivare ondeggiando sui tacchi alti, Yuriy e Camel assunsero l’espressione di due pesci lessi che non avevano mai visto una donna in vita loro. Le loro mascelle avrebbero potuto cadere a terra da un momento all’altro, gli mancava solo la bava alla bocca per vincere il premio come migliori pervertiti dell’anno. Soffiò forte dalle narici, cercando di contenere la rabbia che accresceva di ora in ora. Non pensava sarebbe mai arrivata a pensarlo, ma avrebbe preferito mille volte andare a trovare Vermouth in prigione piuttosto che mettere piede in un locale di criminali russi vestita in quel modo.
Al contrario, Shuichi restò impassibile come sempre, ma anche lui le teneva gli occhi addosso seppur non guardandola con malizia. Il suo sguardo la metteva non poco a disagio, considerando la tensione pregressa che già esisteva fra loro in quel momento. Vide Yuriy avvicinarsi a lui e posargli una mano sulla spalla.
 
- Amico mio, tu sei un uomo molto fortunato, lasciatelo dire- commentò, incurante che lei sentisse.
 
Shuichi non rispose, si limitò a girare di poco il capo per guardarlo in malo modo, come se quel commento lo avesse infastidito. Durante il loro appuntamento a Brooklyn le aveva già fatto capire che fosse geloso del fatto che altri uomini potessero guardarla.
Anche Camel non diceva nulla, era rosso in faccia e visibilmente in imbarazzo come un ragazzino del liceo alle prime armi.
 
- Giuro che è l’ultima volta che mi faccio consigliare da te quali vestiti indossare!- replicò acida, incrociando le mani al petto nel tentativo di coprire la parte di seno che si intravedeva dai lacci del corpetto.
- Fossi in te invece continuerei, ne saremmo tutti molto felici- continuò il collega.
- Falla finita!- alzò la voce, scocciata da quei commenti.
- Perché sei arrabbiata?- le chiese perplesso.
- Forse perché sono vestita come una prostituta e i miei vicini di casa potrebbero vedermi, o forse perché sto per entrare mezza nuda in un locale di mafiosi che potrebbero saltarmi addosso da un momento all’altro!-
- Non ti preoccupare, ci siamo noi a tenerti d’occhio- gli mostrò il pollice in su.
- Oh, lo vedo bene! Sembrate dei vecchi pervertiti!-
- Siamo uomini, abbiamo gli occhi e guardiamo. Cosa c’è di male?-
- C’è che nessuno vi ha autorizzato a fissare le mie…-
 
Si fermò senza completare la frase, non appena vide che l’espressione sul volto di Shuichi era sempre più infastidita.
 
- Lasciamo stare- disse infine - Posso salire in macchina? Ce ne andiamo prima che qualcuno che conosco mi veda?-
- Sali- parlò finalmente Shuichi, il quale probabilmente era ansioso di andarsene quanto lei.
 
Senza farselo dire due volte girò intorno alla Mustang e vi salì sopra, seguita dal compagno. Anche Yuri e Camel salirono sull’auto di quest’ultimo e partirono tutti insieme diretti al locale indicato da Oksana quel pomeriggio.
 
 
Dopo circa cinque minuti di viaggio trascorsi nel più totale silenzio si rese conto che quella era la prima volta che restava sola con Shuichi da quando avevano discusso. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di consegnargli un CD a mano, trovarsi chiusa in una macchina con lui era anche peggio considerando i precedenti. Le conversazioni in macchina con lui non le avevano mai portato molta fortuna. Non sapeva cosa fare né cosa dire, senza contare che quello non era di certo il momento più opportuno per affrontare certi argomenti. Stavano pur sempre lavorando e dovevano mantenere un atteggiamento consono.
 
- Ti senti bene?- le chiese infine lui, rompendo il silenzio.
- Perché me lo chiedi?- si girò a guardarlo, colta alla sprovvista da quella domanda.
- Perché te ne stai lì come se volessi rannicchiarti-
- Sto bene, mi sento solo in imbarazzo con questi vestiti addosso- ammise.
- Erano necessari?-
- Chiedilo a Yuriy, che mi ha bocciato tutto quello che avevo nell’armadio dicendo che non era abbastanza attraente!-
- Hai persino tolto gli occhiali…Stai facendo sul serio-
- Anche questo è opera di Yuriy. Ha detto che erano da vecchia!- strinse i pugni.
- Beh, che siano un modello datato è fuori discussione. Ma sono pur sempre un tuo tratto caratteristico, mi devo abituare a vederti senza-
- Disse quello che si è vestito da Subaru Okiya per mesi- si lasciò sfuggire.
 
Era sorprendente come stessero avendo una conversazione normale, come se nulla fosse successo. Scherzavano persino, lui si preoccupava per lei e si ingelosiva al pensiero che altri uomini la desiderassero attirati da quei vestiti succinti.
 
- Touché- rispose lui, abbozzando un sorriso.
 
Il silenzio si sovrappose nuovamente fra loro come un muro, fino a quando Shuichi non provò ad abbatterlo per l’ennesima volta.
 
- Credi che più tardi potremmo finalmente avere quella conversazione che stiamo rimandando da giorni?- chiese a bruciapelo.
 
Per un attimo aveva sperato che si fosse dimenticato della questione, ma ovviamente lui non scordava mai nulla, specie se una cosa gli premeva particolarmente. Deglutì rumorosamente, non sapendo cosa rispondere. Aveva ancora una paura tremenda di affrontarlo faccia a faccia.
 
- Beh, direi che dipende da quale sarà l’esito della serata- cercò di girarci intorno - Insomma, non sappiamo quanto ci metteremo e soprattutto se il piano funzionerà come ci aspettiamo-
- Cos’è, adesso non ti fidi più di me nemmeno sul lavoro?- si fece serio.
- Non intendevo dire questo- si strinse nelle spalle - È solo che qualcosa può sempre andare storto anche nei migliori piani. In fondo non abbiamo mai avuto a che fare con dei mafiosi russi-
- Sono nemici come altri: scopri i loro punti deboli e avrai la vittoria in pugno-
- Vorrei essere tranquilla come te- ammise.
- Hai paura?-
- Tu non ne avresti al pensiero di dover attirare su di te l’attenzione di qualcuno che ci metterebbe meno di un secondo a farti fuori se scoprisse che ti stai prendendo gioco di lui?-
- Tranquilla, ci sarò io lì. Non ti accadrà nulla, te lo prometto-
 
Si girò a guardarlo con gli occhi spalancati, di fronte a quella promessa che le ricordava tanto quella che le aveva fatto tempo fa in Giappone, quando le aveva spiegato dove mirare per non dare modo all’avversario di sparare a sua volta. Shuichi l’aveva sempre protetta, anche quando non poteva vederlo lui era lì. Si chiese se fosse quella la dimostrazione dell’amore che provava per lei o se fosse solo affetto come quello che provava per altre persone che come lei aveva cercato di proteggere.
Shuichi ricambiò il suo sguardo e le sorrise.
Dopo più di mezz’ora di viaggio giunsero a destinazione. Brighton Beach aveva davvero un’atmosfera diversa, era possibile percepire la differenza di cultura e tradizioni solo guardandosi intorno. Probabilmente l’unico di loro che si sarebbe sentito a proprio agio lì in mezzo era Yuriy, che sapeva leggere le scritte sui cartelli, comprendeva la lingua dei passanti ed era cresciuto con quella stessa cultura.
Parcheggiarono le auto non troppo vicino al locale, per non dare nell’occhio più del dovuto. Shuichi scese dalla macchina e scaricò dal baule la custodia di una chitarra.
 
- Hai intenzione di suonare?- gli chiese scioccata.
- Non proprio- sorrise beffardo.
- E allora perché hai portato una chitarra?-
- Diciamo che potrebbe non esserci solo una chitarra qui dentro-
- Sveglia blondie, il tuo principe azzurro ha portato le armi da fuoco pesanti- le diede due colpetti con il gomito Yuriy.
- Hai intenzione di sparare con un fucile dentro un locale?!- lo guardò basita.
- Solo se necessario. Altrimenti mi farò bastare la pistola- continuò a ghignare soddisfatto.
- Sono l’unica sana di mente qui in mezzo?- scosse la testa, portandosi le mani al volto.
- No, però sei la più sexy. Ma solo perché io mi sono vestito male- continuò a prenderla in giro Yuriy.
- Giuro che se esco viva da questa storia te la faccio pagare cara!- digrignò i denti.
- Basta con le chiacchiere inutili, andiamo- pose fine alla conversazione Shuichi, incamminandosi verso il locale che si trovava all’altro lato della strada.
- Aspetta Shu- lo fermò.
- Cosa c’è?- si girò a guardarla.
- Sicuramente non ci sarà solo Viktor in quel locale. Non sappiamo quanti altri ce ne siano nel clan. Siamo sicuri di riuscire a fermarli noi quattro da soli? Cosa facciamo se iniziano a scappare fuori dal locale?-
- Non preoccuparti, ho pensato anche a questa eventualità. Dopo che siete andati a casa a prepararvi ho parlato con James del mio piano e gli ho chiesto rinforzi. Probabilmente non riesci a vederli ma ci saranno almeno altre quattro o cinque auto di agenti dell’FBI parcheggiate tutt’intorno al locale. Se dovessero scappare fuori saranno pronti a fermarli-
- Oh- riuscì solo a dire, incantata da come quell’uomo fosse in grado di prevedere qualunque cosa nei minimi dettagli.
 
S’incamminarono tutti quanti verso il club, mentre la gente per strada li fissava, attirata dal loro aspetto non proprio di persone originarie dell’est Europa e soprattutto dal look provocante che lei stava sfoggiando. Sentì i fischi di qualche uomo e cercò di ignorarli. Doveva mantenere la calma, non poteva mandare all’aria quel piano perfetto che Shuichi aveva ideato.
Davanti alla porta del locale notturno trovarono un uomo pelato, con la stessa corporatura di Camel ma forse ancora più muscoloso. Yuriy parlò con lui nella loro lingua madre e gli spiegò che gli altri tre erano suoi amici, così da ottenere il permesso per entrare. Una volta varcata la soglia, si ritrovarono di fronte a un posto completamente diverso dal wine bar di classe di Russel dove erano stati per indagare e diverso anche dai locali che loro erano soliti frequentare. L’atmosfera era proprio quella di un club a luci rosse, frequentato da gente poco raccomandabile. Si chiese quanti di loro lì dentro fossero mafiosi criminali e quanti gente comune venuta solo per ubriacarsi e guardare donne nude ballare.
Fecero scorrere lo sguardo in ogni angolo fino a quando non la videro: bionda, bellissima, poco vestita e seduta su un divanetto in un punto appartato del locale accanto a un uomo dalla corporatura massiccia, con le braccia ricoperte da tatuaggi. Irina e Viktor. Quest’ultimo stava parlando e ridendo insieme ad un altro uomo, più mingherlino, seduto vicino a loro, mentre Irina li ascoltava e si sforzava di sorridere ma il suo disagio era evidente. Stava chiaramente lanciando un silenzioso grido d’aiuto, attendendo pazientemente che un eroe lo sentisse e accorresse per salvarla. Il suo eroe era arrivato, ma purtroppo non ce l’aveva fatta. Toccava a loro essere i suoi nuovi eroi.
 
- Siete tutti pronti?- chiese un’ultima volta Yuriy.
- Poniamo fine a questa storia, è durata anche troppo- fu la risposta di Shuichi.
- Tu sei pronta?- le chiese il russo.
- No, ma non ho altra scelta che esserlo- ammise.
- Buona fortuna allora-
- Anche a voi-
 
Conclusero così quella breve ma diretta conversazione, indossando ciascuno la propria maschera e calandosi nei rispettivi ruoli. L’atto finale era appena iniziato.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Ed eccoci arrivati al capitolo 39, inizia l’ultimo atto di questo caso sulla mafia russa. Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo (del caso in corso ovviamente, non della fanfiction), a meno che non diventi troppo lungo durante la stesura e in quel caso lo dividerò in due parti. Piccolo spoiler: al termine del caso ci sarà anche un confronto definitivo tra Jodie e Shuichi, che dovranno finalmente chiarire le loro posizioni. Come direbbe Gosho, “attendete con trepidazione!” XD
Premetto che, se avete notato una grammatica non proprio corretta nelle battute di Oksana, sappiate che è una cosa voluta in quanto volevo sottolineare come il suo “inglese” non sia proprio perfetto (io sto scrivendo in italiano ma ovviamente, essendo la storia ambientata in America, i personaggi stanno parlando in inglese).
Come sempre vi lascio qualche curiosità sul capitolo:
- Il quartiere di Brighton Beach (chiamato anche Little Odessa) esiste veramente, è il quartiere di Brooklyn con la più elevata presenza di immigrati russi e in generale dell’Est Europa.
- La promessa a cui Jodie fa riferimento è quella del film 18, Il cecchino da un’altra dimensione, dove Shuichi dice a Jodie che non dovrà mai preoccuparsi di dover mirare e sparare alla punta del naso di un nemico, poiché fin che sarà vivo ci penserà lui (in poche parole le promette di proteggerla XD).
- Il trucco del fucile nascosto nella custodia della chitarra l’ho ripreso dal caso del manga in cui Masumi ricorda di aver incontrato Shuichi in una stazione del treno anni fa, insieme ad Amuro e a Scotch. I tre portavano con sé delle custodie per chitarre ma in realtà dentro vi erano dei fucili.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40: Mossa vincente ***


Capitolo 40: Mossa vincente
 
 
Mentre si avvicinavano al tavolo poteva percepire gli occhi di parecchi uomini puntati addosso. Con la coda dell’occhio aveva notato i loro sorrisetti e il modo in cui alcuni di loro facevano scorrere la lingua sulle labbra, immaginando di poterla avere. Tutto questo la disgustava profondamente, ma doveva resistere. Shuichi camminava al suo fianco in silenzio, come un angelo custode: forse era questo a permetterle di restare un po’ tranquilla. Quando giunsero finalmente davanti a Viktor e Irina, il primo li guardò in modo losco mentre la seconda cercò con lo sguardo la conferma che fossero lì per salvarla. Era bellissima e troppo giovane per fare quella vita.
Yuriy diede inizio allo show, allargando le braccia e pronunciando una frase nella sua lingua d’origine, rivolgendosi sorridente proprio alla ragazza bionda. Lei, Shuichi e Camel rimasero dietro di lui, chiedendosi cosa potesse aver detto in tono così festoso. Sorprendentemente Irina ricambiò subito quel “saluto” (sempre che di quello si trattasse), sorridendogli e alzandosi in piedi, andando ad abbracciarlo. Non sapeva cosa le avesse detto di preciso Oksana, ma di certo si stava dimostrando anche più brava di loro come attrice. Continuarono a parlarsi per un po’ in russo, fino a quando Viktor non si intromise nella conversazione. Aveva una voce profonda che ricordava un po’ quella di Camel, appropriata per gli uomini con una fattezza fisica massiccia come la loro. Irina gli rispose, guardando Yuriy un paio di volte: probabilmente gli stava spiegando come si fossero conosciuti e che rapporto ci fosse tra loro.
Non ci volle molto perché l’attenzione di Viktor si spostasse su di loro, che erano rimasti in silenzio tutto il tempo. Fu allora che Yuriy li introdusse, cambiando la lingua da russo a inglese perché potessero capire cosa dicesse sul loro conto. Inutile dirlo, Viktor si concentrò in particolar modo su di lei, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo e lanciandole un sorrisetto malizioso. Avrebbe tanto voluto tirargli un calcio dove non batteva il sole, ma come previsto dal suo ruolo ricambiò il sorriso e sbatté le ciglia con fare seducente.
Conobbero anche l’uomo magro che stava seduto con loro, un certo Aleksander, probabilmente anche lui membro dello stesso clan di cui faceva parte Viktor. A vederlo bene sembrava innocuo rispetto a quest’ultimo, ma si sa che le apparenze ingannano e loro non dovevano sottovalutare nessuno all’interno di quel locale.
Viktor li invitò a sedersi con loro, segno che la recita di Yuriy e Irina lo aveva convinto. Fece il possibile per andare a sedersi di fianco a lui e ci riuscì, cosa che non parve affatto dispiacergli. Continuava a guardarle le cosce e la scollatura e lei ne approfittò per accavallare le gambe in modo sensuale mentre giocherellava con i lacci del corpetto passandoci le dita in mezzo.
 
- Prendi qualcosa da bere?- le chiese in un inglese corretto ma con un forte accento russo, sorridendo malizioso.
- Un bicchiere di Sherry. È il mio preferito- rispose sensualmente.
 
Lanciò un’occhiata veloce in direzione di Shuichi, chiedendosi cosa stesse provando in quel momento considerando quanto si era dimostrato geloso del fatto che altri uomini le rivolgessero attenzioni inopportune dovute ai suoi vestiti sexy: era seduto in silenzio con le braccia incrociate e la stava fissando un uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
Cercò di scacciare il pensiero fisso di lui dalla mente, consapevole che non era quello il momento di pensare ai loro problemi o alla sua gelosia. In fondo aveva deciso lui che lei dovesse comportarsi in quel modo con Viktor, quindi doveva essere consapevole della scelta che aveva preso.
Il mafioso russo chiese a tutti cosa volevano bere e fece un cenno al cameriere per farlo venire a prendere le ordinazioni. Pochi minuti dopo ognuno aveva davanti a sé un bicchiere con ciò che avevano chiesto. Yuriy era certamente il più disinvolto di loro, ogni tanto parlava in russo e poi ritornava all’inglese per non farli sentire spaesati. Cercava di coinvolgerli nei discorsi e di conquistarsi la fiducia di Viktor facendogli credere che fosse tutto fuorché un bravo ragazzo: il problema è che a quest’ultimo interessava poco di lui e stranamente anche di Irina, che lasciava libera di parlare con i suoi tre colleghi senza mostrare alcun segno di possessività. Tutte le sue attenzioni erano concentrate su di lei. Sorseggiava il suo Sherry lentamente e gli sorrideva, cercando di essere più sensuale che poteva.
 
- Qui hanno le fragole?- gli chiese all’improvviso.
- Fragole? perché vuoi delle fragole, bambolina?- le rispose, avvicinando un po’ il volto al suo.
- Perché mi piace intingerle nello Sherry e poi morderle- stette al gioco.
- E ti piace mordere anche altro?- fece una velata allusione.
- Dipende-
 
Stava cercando dentro di sé la forza per resistere fino alla fine, quel tizio la disgustava sempre di più. Si sentiva sporca a comportarsi così.
Viktor chiamò nuovamente il cameriere e gli chiese qualcosa in russo, probabilmente le fragole. Ne ebbe la conferma quando lo vide tornare con una ciotolina di fragole, che posò al centro del tavolo. Viktor la prese e gliela porse, eccitato da quel gioco.
 
- Tutte per te, bambolina-
- Grazie, sei stato molto carino-
 
Prese una fragola con due dita e la immerse nello Sherry rimasto nel bicchiere, per poi portarsela alla bocca gocciolante e morderla circondandola con le labbra, il tutto sotto lo sguardo eccitato di Viktor e quello al limite della sopportazione di Shuichi.
Quel momento al contempo sensuale e insopportabile venne interrotto da una musica insolita per un locale notturno: un uomo sulla quarantina aveva iniziato a suonare una fisarmonica, intonando una melodia tipicamente russa. Diverse persone iniziarono a battere le mani a tempo e a cantare, animati da quella musica che ricordava loro la terra natale. Lo stesso Yuriy sorrideva, ma la cosa sorprendente era come Shuichi fosse concentrato su quell’uomo. Forse sospettava che facesse parte del clan anche lui, perché non riusciva davvero a pensare che fosse attratto da quel genere di musica, troppo allegra per uno come lui.
 
- Ti piace questa canzone?- le chiese Viktor all’orecchio, facendola rabbrividire ma per i disgusto.
- Non la conosco, ma il musicista è bravo- batté le mani con fare sciocco.
- In Russia siamo molto bravi con la fisarmonica. E non solo con quella-
 
Le posò una mano sulla coscia, accarezzandole la gamba fino al ginocchio. Aveva una mano ruvida che non somigliava per niente a quella di Shuichi. Avrebbe voluto essere toccata di nuovo da lui in quel modo e non da quel viscido criminale che la stava nauseando.
Trattenne la voglia di dargli un pugno in piena faccia e si limitò a prendergli delicatamente la mano e spostarla.
 
- Fai il bravo- gli sorrise furbetta.
 
Viktor non ebbe il tempo di replicare, perché l’attenzione di tutti i presenti seduti al tavolo fu catturata da Shuichi, il quale si alzò in piedi e camminò lentamente verso l’uomo che stava suonando la fisarmonica. Forse era più difficile per lui sopportare di vederla in quell’atteggiamento sensuale con Viktor che per lei fingere di essere attratta da quel gorilla rasato. Yuriy e Camel si guardarono, chiedendosi dove stesse andando e che intenzioni avesse, poi si girarono a guardare lei in cerca di una risposta che non fu in grado di dargli.
Quando gli fu d’innanzi, l’uomo smise di suonare e scambiò qualche parola con lui. Possibile che stesse richiedendo una canzone? Come faceva ad essere esperto anche di folklore russo? La conversazione si protrasse più a lungo di quanto si aspettassero, un po’ troppo per essere solo una semplice richiesta di suonare una canzone.
Lo stupore generale crebbe quando il musicista si sfilò dalle spalle la fisarmonica e la porse a Shuichi.
 
- Ma cosa fa?- le chiese Yuriy, visibilmente confuso.
- Non ne ho idea- scosse la testa lei, incredula.
 
Un brusio aveva riempito la sala, gli occhi erano puntati su quello straniero dall’aria truce che aveva deciso di dare spettacolo. Shuichi si sedette su uno sgabello di legno dalle lunghe gambe e dopo essersi sistemato la fisarmonica addosso, iniziò a suonarla con sorprendente maestria. Inutile dire che loro tre si guardarono in faccia l’uno con l’altro, con le bocche spalancate e gli occhi fuori dalle orbite.
 
- Akai suona?- chiese Yuriy - Voi lo sapevate?-
- Ce lo aveva detto tempo fa. Sono rimasta sconvolta quando mi ha detto di saper cucinare, non pensavo ci fosse qualcosa di lui che mi avrebbe sconvolta anche di più- ammise.
- Il vostro amico è bravo- intervenne Irina, che fino a quel momento aveva parlato più che altro con Yuriy.
- Già, non è male per essere straniero- commentò anche Viktor, per poi spostare nuovamente l’attenzione su di lei – Lo conosci da tanto?-
- Sì- rispose senza nemmeno pensarci, incapace di togliere gli occhi di dosso a quell’uomo che continuava a sorprenderla ogni giorno che passava.
- C’è qualcosa fra voi?- le prese il mento con due dita e la costrinse a voltarsi per guardarlo in faccia.
 
Proprio come aveva detto Oksana, Viktor era un uomo possessivo che se vedeva qualcosa che gli piaceva lo voleva tutto per sé, come un bambino capriccioso ed egoista. La considerava già una sua proprietà e non avrebbe permesso a nessun uomo di intromettersi. Doveva stare attenta a non far trapelare quello che provava per Shuichi.
 
- No, siamo solo amici da tanti anni. Lui ha una fidanzata che ama molto-
 
L’amarezza la colpì come una folata di vento gelido quando si rese conto di quanto fossero vere le parole che lei stessa aveva pronunciato. Erano nate come bugia da raccontare a Viktor, ma alla fine non si discostavano poi molto dalla realtà. Da anni ormai lei e Shuichi erano soltanto amici e anche se la sua ragazza era morta lui probabilmente la considerava ancora come tale e continuava ad amarla chiuso nel suo doloroso silenzio.
La viscida mano di Viktor che si posava sul suo fianco nudo mentre le cingeva la vita con il braccio muscoloso la distrasse da quel pensiero.
 
- Scommetto che non è bella quanto te-
 
Cercava di avvicinare il volto al suo, voleva baciarla e a lei veniva da vomitare al solo pensiero. Aveva accettato di giocare la parte della biondina dai modi facili, ma non era disposta né a farsi toccare più del dovuto né a posare le labbra sulle sue.
 
- Ma no, è bella anche lei- si lasciò andare ad una risatina forzata.
- Se vieni con me ti faccio vedere quanto sei bella, bambolina-
- Venire dove?-
 
Sentiva che era vicina ad ottenere qualcosa, non poteva mollare né lasciarsi sopraffare dalla repulsione che provava per quello scimmione.
 
- Di là c’è una stanzetta privata dove possiamo stare un po’ da soli io e te- indicò con un cenno della testa un punto alle sue spalle.
- E possiamo andarci? Forse è una zona privata dove accedono solo quelli del locale- fece la finta tonta.
- Tranquilla, conosco bene il proprietario. Possiamo andarci quando vogliamo, anche adesso-
 
Gettò un’occhiata veloce a Shuichi, che aveva appena smesso di suonare. Il pubblico lo applaudì a gran voce e qualcuno cercò di dargli dei soldi come mancia, ma lui li rifiutò dicendo di darli al musicista. Con lo stesso passo lento e fiero con cui se n’era andato, ritornò al tavolo e si sedette.
 
- Dimmi dove diavolo hai imparato a suonare la fisarmonica!- disse Yuiry.
- Anni fa facevo lo stesso lavoro di quel tizio per pagarmi gli studi- indicò con il pollice il musicista alle sue spalle.
- Quindi era vero- gli chiese conferma di ciò che aveva appena sentito, ignorando la richiesta di Viktor.
- Sei sorpresa?- le sorrise beffardo.
- Abbastanza…Mi chiedo cos’altro ci nascondi-
- Allora, vuoi venire sì o no?- la richiamò all’attenzione Viktor, che detestava non essere al centro delle sue attenzioni.
- Oh, scusami. Certo che mi va di venire- disse sensualmente.
 
Senza aggiungere altro, il mafioso russo si alzò dal divanetto e prendendola per il polso la trascinò con sé. Di certo i modi galanti non erano il suo forte. Iniziava ad avere paura e sperava che i suoi amici andassero in suo soccorso, ma nessuno di loro si mosse. Non potevano fare gesti avventati.
Non diede alcun tipo di spiegazioni a nessuno di loro, semplicemente se ne andò portandola con sé. Camminarono fino a una porta, oltrepassata la quale ci si trovava in un piccolo corridoio: in fondo a sinistra vi era un’altra porta con l’insegna “toilette”, mentre in fondo a destra vi era una terza porta con scritto “private”. Era chiaro in quale delle due volesse andare e per quale motivo. Deglutì rumorosamente, sperando che Viktor non se ne accorgesse. Doveva prendere tempo per dare modo agli altri di venire in suo aiuto.
 
- Vieni, andiamo di qua- la invitò a seguirlo nello stanzino privato, come previsto.
- Prima vorrei rinfrescarmi il trucco in bagno, se non ti dispiace- appoggiò le mani sul suo petto tronfio, sorridendogli.
- Non serve, sei già bellissima-
- Sì ma voglio essere ancora più bella- gli fece l’occhiolino - Perché nel frattempo non vai a recuperare le mie fragole? Voglio giocare un po’- fece scorrere l’indice lungo i suoi addominali, fino alla cintura.
- Hai il faccino da angelo ma sei una ragazzaccia, proprio come Irina- ghignò.
- Ti sbagli- si fece seria - Io sono molto più sexy di lei-
- Ma certo bambolina, non ti arrabbiare- gli prese nuovamente il mento con una mano, facendola rabbrividire dentro.
- Ora vado al bagno, tu prendi le fragole e aspettami lì- disse a bassa voce, indicando con un cenno lo stanzino privato.
 
Si allontanò da lui ancheggiando fino alla porta del bagno, muovendosi sinuosamente sui tacchi di proposito per far accrescere l’eccitazione di Viktor nel caso in cui la stesse guardando. Aprì la porta del bagno e la richiuse alle sue spalle. Si guardò intorno e fece una smorfia: di certo quella non era la toilette più pulita dov’era stata. L’odore nell’aria non era dei migliori e i sanitari incrostati dal calcare non rendevano l’idea di un posto curato. Allo specchio di fronte a uno dei lavandini c’era una ragazza che si stava rifacendo il trucco. Le sorrise velocemente e si chiuse dentro uno dei gabinetti disponibili. Di certo non ne avrebbe fatto uso, ma doveva nascondersi mentre usava il cellulare. Purtroppo non poteva chiamare, ma sapeva che Shuichi teneva sempre il cellulare in un punto dove poteva sentirlo, quindi un messaggio gli sarebbe stato sufficiente. Estrasse il cellulare da dove lo aveva accuratamente nascosto e digitò velocemente il messaggio:
 
“Sono in bagno, non posso chiamare pechè non sono sola. C’è uno stanzino privato vicino al bagno, Viktor vuole portarmi lì. L’ho mandato a prendere le fragole per temporeggiare. Appena uscirò da qui ti chiamerò e lascerò la telefonata aperta per farti ascoltare quello che ci diremo, tu fingi che ti stia chiamando qualcuno a cui non puoi non rispondere. Allontanati e vieni in bagno a rispondere, così sarai vicino nel caso dovessi intervenire.”
 
Premette il tasto di invio e tirò lo sciacquone. Quando uscì dal bagno la ragazza non c’era più. Si avvicinò allo specchio e guardò la sua immagine riflessa, pregando che tutto andasse bene. Prese un lungo respiro e poi avviò la telefonata a Shuichi, nascondendo il cellulare senza attendere che rispondesse. Uscita dal bagno si accorse che Viktor la stava già aspettando in fondo al corridoio, davanti alla porta dello stanzino privato. Indossò nuovamente la sua maschera e camminò fino a lui, sorridente e sensuale.
 
- Scusa se ti ho fatto aspettare, adesso sono pronta- gli disse, non appena fu vicina.
- Ti ho portato le tue fragole- rispose lui, mostrandole la ciotolina.
- Ti prometto che con queste ci divertiremo un mondo- gli fece l’occhiolino, prendendone una e mangiandola.
- Non vedo l’ora- ghignò il russo, aprendo la porta dello stanzino con la chiave e invitandola ad entrare.
 
Pregò mentalmente che quella non fosse l’entrata per l’inferno e si introdusse nella stanza, seguita da Viktor. Prima che la porta si chiudesse, giurò di aver sentito i passi di qualcuno andare nella direzione opposta e sperò con tutto il cuore che fosse Shuichi.
Lo stanzino privato poteva definirsi migliore del bagno, nonostante non fosse il posto dove tutti volevano stare. Vi era un piccolo divanetto, un tavolino in legno con sopra un pacchetto di sigarette vuoto e una bottiglia di Vodka ancora da finire e due sedie. Notò dei preservativi usati a terra in un angolo e chiuse gli occhi: di certo non voleva che Viktor ne usasse uno con lei contro la sua volontà.
Sussultò quando si sentì afferrare da dietro: il russo le aveva stretto la vita con le sue possenti braccia, attirandola a sé e non lasciandole via di fuga. Non era un mostro di forza fisica e sarebbe stato quasi impossibile per lei liberarsi dalla stretta brutale di un uomo del genere. Forse avrebbe dovuto allenarsi con Camel.
 
- Ti piace qui, bambolina? Siamo solo io e te- le soffiò in un orecchio, passandole poi la lingua sul collo.
 
Si trattene dal non vomitare: l’idea che la toccasse e le facesse quelle cose la ripugnava.
 
- È carino- mentì.
- Allora, non volevi giocare?- fece risalire una mano, prendendo il laccio del corpetto e tirandolo per slacciarlo.
 
Lo bloccò velocemente, girandosi di scatto verso di lui e fissandolo con espressione seria.
 
- Piano. Le regole del gioco le decido io-
- Oooh, sei una tosta vedo- si allontanò, alzando le mani – Dimmi le tue regole allora-
- Prima di tutto, siediti- si avvicinò al tavolo e lo invitò ad accomodarsi su una delle due sedie-
 
Senza obiettare, Viktor fece ciò che gli aveva chiesto, visibilmente divertito da quella situazione.
 
- Molto bene. Adesso togliti la canottiera-
 
Il malavitoso non se lo fece ripetere due volte e sollevò l’indumento fin sopra alla testa, scoprendo gli addominali scolpiti come il marmo e ricoperti da strani tatuaggi. In altre circostanze una donna avrebbe anche potuto godere di quella vista, ma a lei interessava meno di zero. Era troppo massiccio per i suoi gusti, nulla di paragonabile al fisico atletico ma più asciutto di Shuichi. Diamine, doveva smetterla di pensare a lui!
Gli prese la canottiera dalle mani e cominciò ad arrotolarla un po’ su se stessa.
 
- Cosa fai?- le chiese incuriosito.
- Vedrai, ti piacerà- gli rispose solamente, posizionandosi alle sue spalle.
 
Gli posò la canottiera arrotolata sugli occhi e la annodò dietro alla sua testa, bendandolo.
 
- Ci sai fare, bambolina- commentò, probabilmente immaginandosi qualche gioco peccaminoso.
- Lo so, ora vedrai- gli sussurrò all’orecchio.
 
Prese una fragola e gliela passò sulle labbra.
 
- Mordila- gli ordinò.
 
Come prima, Viktor obbedì senza controbattere.
 
- Bravo- fece scorrere le unghie sul suo torace nudo.
 
Si chinò di fronte a lui e gli accarezzò le cosce, risalendo lungo i pantaloni fino ad arrivare alla cintura, che iniziò a slacciare.
Lo vide portarsi un braccio dietro alla schiena, per poi farlo ricomparire un secondo dopo: nella mano destra stringeva una pistola.
 
- Vedo che anche tu hai un bel gioco, magari dopo me lo fai provare- sussurrò vicinissimo alle sue labbra, cerando di scacciare la paura.
- Questo non è un gioco per te, tu sei più brava a fare quello che stai facendo- rispose, posando la pistola sul tavolo.
- Che cattivo che sei!- iniziò a slacciargli i pantaloni - Adesso ti punirò per questo-
 
Viktor rise sguaiatamente, sembrava proprio che fosse entrata in tutto e per tutto nelle sue grazie.
Gli abbassò i pantaloni fino alle caviglie e glieli tolse insieme alle scarpe. Impaziente, l’uomo provò a togliersi la benda dagli occhi ma lei lo fermò prima che ci riuscisse.
 
- Insomma, non vuoi proprio rispettare le regole del mio gioco!- lo riprese.
- Ho aspettato abbastanza, toglimi questa cosa che ti faccio divertire- scalpitò, facendo risalire le mani sulle sue cosce e stringendole le natiche.
 
Represse la voglia di tirargli un pugno e lo lasciò fare: era sempre meno peggio che doverlo baciare.
 
- Ma io mi sto già divertendo- rispose – Lasciami fare ancora una cosa e poi sarò tutta tua-
 
Si stava innervosendo e questo non andava bene. Doveva agire prima che fosse troppo tardi.
Accarezzandolo sensualmente si spostò dietro di lui e gli prese le mani, incrociando i polsi.
 
- Cosa fai?- chiese, ma stavolta il tono era più duro.
- Do inizio alla parte migliore del gioco- rispose semplicemente, stringendogli i pantaloni e annodandoglieli intorno ai polsi, come aveva fatto in precedenza con la canottiera sugli occhi.
 
Si accertò di legarli anche intorno alle gambe posteriori della sedia, perché avesse meno possibilità di liberarsi facilmente.
 
- Ti avverto, se provi a fregarmi finisci male bionda- la avvertì.
- Mi ferisce sapere che pensi che voglia fregarti. Io voglio solo divertirmi. E ora ti divertirai anche tu-
 
Estrasse velocemente il cellulare, nel quale era ancora aperta la chiamata con Shuichi e gli scrisse un altro messaggio:
 
“Ti prego corri qui, fai presto!”
 
In attesa che il suo eroe venisse a salvarla, continuò con quella recita. Prese una fragola e tornò a chinarsi di fronte a lui, tirandogli leggermente in fuori l’elastico degli slip con un dito. Morse la fragola e la strizzò fra le dita, facendo cadere il succo all’interno dei suoi slip. Lo vide sorridere, segno che forse si stava rilassando di nuovo.
 
- Dai slegami e toglimi la canottiera dagli occhi, voglio vederti mentre lo fai-
- Con piacere-
 
Camminò dietro di lui e gli tolse finalmente quella pseudo benda dagli occhi, ma con la stessa velocità afferrò la pistola dal tavolo e gliela puntò dietro la nuca.
 
- Scusa, mi sono stancata di giocare-
 
Viktor imprecò e probabilmente la insultò anche nella sua lingua madre. Nello stesso istante, l’attenzione di entrambi venne catturata dalla porta dello stanzino che apriva di colpo scardinandosi e rompendosi. Qualcuno l’aveva appena sfondata con un calcio e quel qualcuno era il suo angelo venuto a salvarla.
 
- Shu!- non poté fare a meno di chiamare il suo nome, sollevata di vederlo.
- Mi spiace disturbare, ma volevo partecipare anche io a questa festa privata. Sempre che non vi dispiaccia- disse, camminando lentamente fin davanti a Viktor.
 
Stringeva la pistola nella mano sinistra, pronto ad usarla in qualsiasi momento.
 
- Chi siete!- tuonò il russo, con le vene in rilievo nel collo e nella testa.
- FBI- rispose semplicemente Shuichi.
 
Camminò verso il suo compagno e si mise al suo fianco. Adesso entrambi stavano tenendo sotto scacco Viktor, armati di pistola.
 
- Stai bene?- le chiese lui.
- Sì- annuì.
- Sei stata in gamba- si complimentò sinceramente.
- Giuro che me la paghi sgualdrina!- la minacciò Viktor, mentre si dimenava sulla sedia nel tentativo di liberarsi.
- Fossi in te starei buono- controbatté Shuichi.
- Altrimenti cosa fai, suoni la fisarmonica?- lo derise.
- No, ma farò in modo che i tuoi occhi non possano più guardare la mia donna nel modo indegno in cui lo hai fatto stasera-
 
Si voltò a guardarlo esterrefatta: aveva appena detto “la mia donna” con estrema naturalezza, come se fosse una cosa stabilita da sempre. Poteva rispondere a Viktor in mille modi, ma aveva scelto di sottolineare che lei era solo sua e di nessun altro. Quelle parole le fecero battere forte il cuore.
Shuichi prese il telefono dalla tasca dei pantaloni e fece una telefonata veloce.
 
- Vieni qui subito insieme a Yuriy- disse semplicemente.
 
Poco dopo i loro colleghi arrivarono correndo, seguiti a ruota da Irina e da Aleksander. Quest’ultimo, non appena vide Viktor in quello stato, li guardò allarmato tutti quanti ed estrasse la pistola, puntandola contro Shuichi.
 
- Mettila giù!- gli intimò.
- No amico, la metti giù tu- gli rispose Yuriy, che approfittando della sua concentrazione su Shuichi era riuscito a portarsi alle sue spalle e a puntargli la pistola alla testa.
- Sei stata tu!- Viktor si rivolse ad Irina, guardandola con gli occhi iniettati di sangue.
- Non dovevi uccidere Russel- ebbe il coraggio di rispondergli, ma con la paura che traspariva dagli occhi.
 
Aleksander ignorò la minaccia di Yuriy e sparò un colpo dritto verso Irina. Con prontezza, Camel corse davanti a lei per farle da scudo e la pallottola lo colpì in pieno petto.
 
- CAMEL!- gridò lei, distogliendo l’attenzione da Viktor e abbassando istintivamente la pistola che teneva ancora puntata verso di lui.
 
Anche Shuichi si girò verso l’amico per controllare che stesse bene. Camel stava seduto a terra mentre Irina dietro di lui lo sorreggeva per le spalle. Sul suo volto vi era l’espressione di una persona che stava provando dolore; tuttavia nessuna traccia di sangue apparve sui suoi vestiti: il giubbotto antiproiettile che indossava gli aveva salvato la vita.
Yuriy, senza pensarci due volte, sparò un colpo alla spalla di Aleksander, facendogli cadere la pistola dalla mano. L’uomo cadde a terra in ginocchio stringendosi la ferita con la mano del braccio opposto e Yuriy ne approfittò per raccogliere la sua pistola da terra prima che potesse riprendersela.
Fuori da quella stanza potevano sentire le grida e lo scalpitio delle persone che, probabilmente allarmate dagli spari, stavano fuggendo fuori dal locale. In mezzo a loro doveva esserci anche qualche altro collega di Viktor e Aleksander, ma non dovevano preoccuparsi di questo: Shuichi aveva detto che vi erano altri agenti all’esterno che li avrebbero fermati.
Viktor nel frattempo aveva approfittato della distrazione generale per cercare di slegarsi i polsi e, senza che nessuno se ne accorgesse, ci era riuscito. Con un movimento fulmineo scattò in piedi ribaltando all’indietro la sedia e attirando nuovamente l’attenzione su di sé. Anche se l’aveva letteralmente lasciato in mutande, riusciva a incutere timore con quella corporatura anche più grossa di quella di Camel.
Il tonfo della sedia riportò l’attenzione su di lui, giusto in tempo per vederlo mentre correva verso di lei con l’intento di saltarle addosso. Shuichi però fu più svelto di lui e sparò due colpi, uno in ciascuna gamba, facendolo cadere a terra.
 
- Mi sembrava di averti già detto che non ti devi avvicinare a lei. Non sfidare la mia pazienza- lo avvertì, mentre il russo si contorceva al suolo stringendosi le gambe per il dolore.
- Che facciamo adesso? Li portiamo fuori da qui?- chiese Yuriy, mentre ammanettava Aleksander.
- Sì, ma non possiamo portarli direttamente in sede- rispose Shuichi, estraendo il cellulare dalla tasca – Camel, riesci ad alzarti? Puoi ammanettarlo?- fece un cenno con la testa in direzione di Viktor-
- Sì, subito- rispose prontamente, alzandosi da terra e obbedendo agli ordini.
 
Shuichi telefonò a un loro collega che si trovava fuori dal locale e lo avvisò che c’erano due feriti e che quindi dovevano dirigersi verso l’ospedale. Chiamò poi un’ambulanza, che non tardò molto ad arrivare.
Quando uscirono finalmente dal locale ormai deserto, l’aria si era fatta più fresca e la strada si era svuotata. I loro colleghi rimasti all’esterno avevano catturato altri membri della banda che, approfittando del caos generale, se l’erano data a gambe lasciando Viktor e Aleksander al loro destino. Non vi era solidarietà nemmeno fra di loro, l’unica cosa che contava era salvare la propria pelle.
Shuichi chiamò James e lo avvisò che alcuni agenti stavano per tornare in sede, mentre loro sarebbero andati in ospedale per tenere sotto controllo i due feriti.
 
- Prendi- le allungò le chiavi della sua Mustang – Usala per accompagnare Irina alla sede e poi torna a casa, al resto pensiamo io e gli altri- le sorrise.
- E tu dove vai?- gli chiese confusa.
- In ospedale, voglio assicurarmi che non si riprendano e si ribellino. Salirò sull’ambulanza per tenerli d’occhio-
- Ma poi come torni a casa?-
- Yuriy o Camel mi riaccompagneranno-
- D’accordo. Allora buonanotte- lo salutò.
- Ci vediamo più tardi- rispose lui sorridendo beffardo.
 
Aprì la bocca per dire qualcosa ma non le uscì nulla. Cosa intendeva con “Ci vediamo più tardi?”. Ormai era l’una di notte passata, aveva davvero intenzione di presentarsi a casa sua alle tre del mattino?!
Non le diede il tempo di chiarire i suoi dubbi, si allontanò da lei e dopo aver parlato con un paramedico salì sull’ambulanza.
Sospirò e si diresse verso la macchina. Irina la stava aspettando lì vicino in silenzio, con un’espressione stanca e al contempo triste sul volto.
 
- Vieni, ti accompagno alla sede dell’FBI- la invitò a salire sull’auto sorridendole.
- Andrò in prigione?- chiese.
- Faremo il possibile perché non succeda. Viktor ti costringeva a fare cose contro la tua volontà-
- Io amavo Russel- disse, come se sentisse il bisogno di metterlo in chiaro.
- Lo so. Mi dispiace molto per quello che è successo-
 
Irina annuì e prese posto al lato passeggeri. Salì anche lei e mise in moto la macchina, diretta verso Manhattan.
Dopo qualche minuto di silenzio, Irina le rivolse nuovamente la parola.
 
- Lui è tuo ragazzo?- chiese.
- Chi?-
- Quello che ti ha dato chiavi di auto-
- Oh, intendi Shuichi-
 
Si prese qualche secondo per pensare, non sapendo cosa rispondere. Un’ora prima l’aveva definita la sua donna, ma lei era ancora incerta di cosa rappresentasse realmente per lui.
 
- Diciamo che è complicato- rispose.
- È sempre complicato. Amore è fatto così-
- Mi sa che hai ragione- sospirò.
- Lui ti ha guardata tutta la sera. Credo fosse geloso di Viktor-
- Me ne sono accorta- annuì.
- Ha detto che sei sua donna. Molto romantico- sorrise.
- Tu dici?-
- Oh sì-
 
Una volta arrivate alla sede accompagnò Irina e rimase con lei mentre gli altri agenti scortavano i membri del clan che avevano catturato. Depose la sua testimonianza e poi chiese di poter essere riaccompagnata a casa.
 
- Ti do un passaggio- le disse.
- No, chiederò a un agente di riportarla al suo appartamento- intervenne James – Tu va’ a casa a cambiarti e riposati-
- D’accordo-
- Jodie?- la chiamò Irina.
- Sì?-
- Grazie- le sorrise sinceramente.
 
Ricambiò quel sorriso, orgogliosa di aver contribuito a ridare la libertà a quella povera ragazza che l’aveva persa. Anche lei aveva desiderato per anni che qualcuno le ridesse la sua, permettendole di vivere una vita normale e di fare tutte quelle cose che a differenza degli altri bambini o ragazzi della sua età non aveva potuto fare nella maniera in cui avrebbe voluto.
La salutò un’ultima volta con un cenno della mano e si avviò verso l’ascensore, diretta al suo appartamento.
 
 
……………………..
 
 
Ripose l’intimo che si era appena tolta nel cesto dei panni da lavare ed entrò nella doccia. Ebbe la sensazione che l’acqua fresca che scorreva lungo il suo corpo la rigenerasse dopo la fatica e il caldo di quella lunga notte. Sentiva il bisogno di lavare via le tracce invisibili che le avevano lasciato le mani di Viktor.
Dopo essersi insaponata con il bagnoschiuma, restò diversi minuti con la testa all’indietro e il getto dell’acqua diretto sulla faccia. Non vedeva l’ora di andarsi a coricare e dormire almeno qualche ora prima di tornare al lavoro; tuttavia le parole di Shuichi continuavano a risuonarle nella testa, impedendole di rilassarsi completamente.
 
“Ci vediamo più tardi.”
 
Si chiese se volesse semplicemente venire a riprendere la sua auto, magari senza nemmeno suonare il citofono, ma sapeva bene che non era così: di sicuro voleva vederla, altrimenti non avrebbe fatto quel sorrisetto che faceva sempre quando aveva in mente qualcosa. Shuichi desiderava quel confronto con lei più di ogni altra cosa in quei giorni, non gli importava nulla che fosse stanca per la lunga serata o che fossero le tre del mattino: se voleva qualcosa lo avrebbe ottenuto ad ogni costo. Non poteva più evitarlo, doveva affrontarlo e chiarire la loro situazione una volta per tutte. Irina aveva definito “molto romantico” il fatto che Shuichi l’avesse definita “la sua donna”, ma lei voleva esserlo per davvero e non solo figurativamente in una frase detta davanti a un criminale per apparire come l’eroe della situazione.
Uscì dalla doccia e si avvolse il morbido asciugamano intorno al corpo, poi si asciugò i capelli e infine indossò la sua camicia da notte di raso con le spalline sottili e i bodi decorati in pizzo, pronta per andare a dormire. Camminò fino alla sua camera da letto e si sdraiò, adagiandosi comodamente sul materasso. Diede un’occhiata veloce all’orario sul cellulare che stava ricaricando sul comodino: le due e trenta. Sospirò posando la testa sul cuscino e chiuse gli occhi.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
E siamo finalmente giunti alla fine di questo caso sulla mafia russa. In realtà ci sarà un’altra parte a riguardo per chiarire alcune cose (tra cui il significato del simbolo/tatuaggio), ma la parte più grossa della vicenda è ormai stata narrata. Se notate errori grammaticali nelle battute di Irina, come per quelle di Oksana nel capitolo precedente è una cosa voluta per evidenziare il fatto che non parlano perfettamente la lingua.
Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto atteso chiarimento fra Jodie e Shuichi, non perdetelo! 😉 Ci sarà anche una piccola sorpresa che uscirà contemporaneamente al prossimo capitolo, spero vi farà piacere!

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Capitolo 41
*** Capitolo 41: Un assaggio di paradiso e un biglietto per l’inferno ***


ATTENZIONE: questo capitolo è legato alla one shot “Rebirth before sunrise” che ho pubblicato in contemporanea. Nell’angolo dell’autore sotto vi spiegherò il perché di questa scelta. Vi consiglio di leggere anche la one shot dopo che avrete letto questo capitolo, per renderlo ancora più completo. Grazie a tutti.
 
 
 
Capitolo 41: Un assaggio di paradiso e un biglietto per l’inferno
 
 
Aprì gli occhi all’improvviso quando il suo sonno venne interrotto dal suono del citofono che riecheggiava nell’appartamento. Aveva faticato ad addormentarsi e non sapeva per quanto fosse rimasta nel mondo dei sogni, ma fuori dalla finestra il buio oscuro della notte si era leggermente affievolito. Presto avrebbe iniziato ad albeggiare.
Si mise seduta sul letto per riprendersi e infine si alzò, camminando fino alla porta mentre si sfregava gli occhi. Sapeva perfettamente chi era: Shuichi aveva mantenuto la sua promessa.
 
- Shu, sei tu?- chiese, con la voce ancora assonnata.
- Scusa l’ora, sicuramente stavi dormendo-
- Se lo sapevi perché mi hai svegliata?- replicò stizzita - Non potevi semplicemente riprenderti la macchina?-
- La macchina sono venuto a riprenderla più di mezz’ora fa-
 
Rimase interdetta davanti a quella rivelazione: se era già tornato a riprendere la sua auto perché non si era fermato prima ma era andato a casa sua per poi tornare poco dopo da lei?
 
- Come mai non ti sei fermato prima allora?- tradusse in parole il suo pensiero.
- Volevo farmi una doccia e cambiarmi. Mi fai salire o dobbiamo parlare tramite il citofono?-
- Sali- rispose semplicemente, cliccando sul bottone per aprire il portone d’ingresso.
 
Il cuore aveva accelerato il suo ritmo, ogni secondo che passata sentiva l’ansia crescere dentro di lei. Quel momento che aveva cercato di evitare era arrivato e lei aveva paura di cosa sarebbe accaduto.
Sussultò quando sentì bussare alla porta poco dopo. Deglutì a fatica e poi la aprì. Davanti a lei c’era quell’uomo che amava così tanto da non riuscire a riflettere lucidamente. Le sembrava che si fosse vestito bene, quasi come se avesse voluto fare bella figura con lei. La differenza stava nel fatto che quello non era un appuntamento ma una resa dei conti.
Si scostò di poco a lato per permettergli di entrare e poi chiuse la porta. Dal momento che continuava a stare in piedi e fissarla, lo invitò con un cenno della mano a sedersi sul divano in soggiorno. Tuttavia, invece che sedersi accanto a lui, prese posto nel divanetto di fronte: se dovevano chiarirsi era giusto che lo facessero guardandosi faccia a faccia. Sapeva che se si fosse seduta accanto a lui avrebbe finito col cedere alle sue eventuali carezze o tentativi di baciarla.
 
- Perché ti sei messa così lontano?- le chiese lui, quasi leggendole nel pensiero - Hai paura di me oppure sei così arrabbiata da non volermi nemmeno stare vicino?-
- Non sono arrabbiata- rispose semplicemente.
 
Era la verità, non provava rabbia nei suoi confronti. Piuttosto era delusa e rassegnata all’idea di non poter essere la donna nel suo cuore.
 
- Allora perché mi eviti?-
- Non ti sto evitando- si strinse nelle sue stesse braccia, quasi come se volesse abbracciarsi da sola.
- Lo stai facendo eccome. Sono giorni che cerco di parlarti ma tu trovi tutte le scuse possibili per defilarti-
- Sono qui e ti sto ascoltando. Se devi dirmi qualcosa fallo- trovò il coraggio di guardarlo negli occhi.
- Cosa ti ha ferita così tanto? Il fatto che non ti abbia presentato mio fratello al telefono oppure la tua convinzione infondata che io non provi nulla per te?-
 
Abbassò lo sguardo e rimase in silenzio per qualche secondo, cercando le parole giuste per spiegare quello che sentiva.
 
- Io lo so che tu ci tieni a me e so di piacerti fisicamente, ma questo non vuol dire che mi ami, Shu. Quando ho scelto di darti una seconda possibilità ero consapevole di non poter scacciare Akemi dal tuo cuore e l’ho accettato. Mi sono fatta andare bene anche quello pur di stare con te, ma l’ho fatto perché pensavo che mi amassi almeno un po’ anche se non quanto hai amato e ami ancora lei. Invece tu non riesci nemmeno a dirmi un semplice “ti amo”. Come può non essere importante dire “ti amo” alla tua ragazza? Io ho accettato tante cose Shu, anche di essere l’eterna numero due, ma non posso accettare di non essere amata. Mi merito di meglio-
 
Non si era nemmeno accorta di aver iniziato a piangere mentre pronunciava quelle parole che le erano uscite sinceramente dal cuore. Non era facile mettersi a nudo, non di fronte all’unico uomo che poteva leggerle l’anima e stravolgerla.
Shuichi si prese il suo tempo per rispondere, riflettendo ad occhi chiusi e con un’espressione seria sul volto.
Quando ebbe meditato a sufficienza, li riaprì e iniziò il suo discorso.
 
- Sai qual è il problema, Jodie? Che le persone vogliono sempre mettere un’etichetta a tutto perché credono che facendolo le cose abbiano più senso e siano universalmente riconosciute. Una persona fredda viene marchiata come qualcuno che è incapace di provare dei sentimenti, una persona sensibile viene marchiata come piagnucolona e uno a cui piace scherzare come fa Yuriy viene marchiato come il giullare di corte, poco serio e inaffidabile. Ma la verità è che un’etichetta è solo un’etichetta e non definisce ciò che sei o cosa provi. I sentimenti non possono essere etichettati, perché facendolo perderebbero la loro forma variabile. L’amore può essere dimostrato in diversi modi e non esiste un modo giusto o un modo sbagliato, se il risultato finale è il medesimo-
 
S’interruppe per qualche secondo, il tempo di estrarre da dietro la schiena una busta bianca e posarla sul tavolino. La fissò confusa, non capendo. Sul retro della busta c’era scritto “Alla cortese attenzione del Signor James Black”. Doveva contenere una lettera, ma non riusciva ad immaginarne la natura. Perché mai aveva scritto una lettera a James e se l’era nascosta dietro la schiena portandola a casa sua? Se aveva qualcosa da dire al loro capo poteva benissimo farlo di persona al lavoro.
 
- Che cos’è?- chiese infine.
- Leggila- rispose diretto lui.
 
Con qualche esitazione prese delicatamente la busta e la aprì, estraendo il foglio di carta ripiegato con cura che stava dentro di essa. Sul lato in alto a destra riportava la data del giorno che era appena iniziato da poche ore. Sotto vi erano scritte poche e semplici righe:
 
Egregio Sig. Black,


Io sottoscritto Shuichi Akai con la presente rassegno le mie dimissioni dalla posizione di Agente Speciale dell’FBI con effetto immediato.
Sono onorato di avere lavorato per tutti questi anni nell’FBI e aver contribuito alla difesa di questo Paese. Ringrazio per l'opportunità che mi è stata offerta e sono fiducioso di poter contare su una futura positiva referenza.

 
Distinti Saluti
Shuichi Akai
 
Le tremavano le mani mentre leggeva quelle parole, tanto che dovette posarsi il foglio sulle ginocchia per terminare la lettura. Era l’ultima cosa che avrebbe mai pensato di leggere in vita sua. Una lettera di dimissioni. Shuichi voleva lasciare il suo lavoro come agente dell’FBI.
Lo sguardò con occhi terrorizzati, come se avesse appena visto in faccia il suo peggior incubo. Voleva chiedergli perché, ma non riusciva a parlare tanto era forte lo shock.
Rilesse la lettera una seconda volta, nella speranza di essersi sbagliata, ma il contenuto non cambiò. Era un inferno senza via d’uscita. Poteva accettare di non essere la sua fidanzata, lo aveva fatto per anni, ma non poteva sopportare l’idea di non vederlo più tutti i giorni, di non averlo al suo fianco anche solo come collega e amico. Aveva bisogno che fosse nella sua vita, in un modo o nell’altro.
Possibile che lo stesse facendo per lei? Forse non voleva più vederla dopo tutti quei drammi.
 
- Perché?- riuscì finalmente a parlare - Perché lo stai facendo?-
- James ha detto che se non avessi messo fine al mio rapporto con te avrebbe dovuto prendere delle decisioni che avrebbero portato a importanti conseguenze. Credo che la sua idea fosse semplicemente di chiedere il mio trasferimento in un’altra sede o forse di cambiarmi partner in modo che non potessi più lavorare con te, ma io l’ho preceduto. Lo avevo avvisato che se non mi avesse permesso di stare con te me ne sarei andato, lui però ha scelto di restare fermo sulla sua posizione- spiegò, senza rancore né rabbia.
- James ti ha chiesto di lasciarmi?!-
 
Era sconvolta da quella rivelazione, non riusciva a credere che la persona di cui si fidava di più al mondo avesse fatto una cosa simile alle sue spalle. Sapeva quanto amasse Shuichi, eppure aveva avuto il coraggio di provare ad allontanarlo da lei. Anche se dal suo punto di vista aveva agito come un padre che tentava di proteggere la figlia, lei si sentiva comunque tradita e arrabbiata.
 
- Non avercela con lui, ha fatto quello che avrebbe fatto qualunque capo e padre. Non lo biasimo e non gli porto rancore, perciò non dovresti farlo neanche tu- sembrò di nuovo leggerle nel pensiero.
- Quindi stai facendo tutto questo per me?- chiese, ancora incredula - Ma perché?-
- Il motivo non è abbastanza ovvio?-
- Se sono così importante per te allora perché nemmeno adesso sei riuscito a dirmi che mi ami? Perché deve essere sempre tutto ovvio?-
 
Invece di risponderle, Shuichi si alzò dal divano e si avvicinò a lei, riprendendosi la lettera e rimettendola nella busta. Non tornò a sedersi, restò lì di fronte a lei in piedi, fissandola con un’espressione diversa. Sembrava stanco e soprattutto scocciato.
 
- Questa lettera e quello che ne conseguirà dovrebbero essere una conferma di quello che provo per te molto più grande di parole che alla fine non danno alcuna certezza e possono essere pronunciate da chiunque alla leggera. Posso dirti che ti amo anche adesso Jodie, ma il peso di queste cinque lettere è davvero più grande del gesto che sono disposto a fare per te? Tu sai cosa significhi per me il mio lavoro, eppure ti sto dimostrando che sono disposto a rinunciarci pur di stare con te. Mi dispiace, ma se non riesci a capirlo allora non sei la persona che credevo e non posso stare con una donna che non vede oltre le cose e che giudica le parole più importanti dei gesti-
 
Con quelle ultime, pungenti parole concluse il loro confronto e le diede le spalle, incamminandosi verso la porta. Dunque finiva così fra loro, per la seconda volta, ma stavolta era anche peggio. Non ci sarebbero state altre opportunità, probabilmente non sarebbero stati nemmeno amici. E stavolta la colpa non era di Shuichi ma sua.
Quando sentì la porta chiudersi, una sensazione di vuoto la invase e scoppiò in un pianto disperato. Aveva appena lasciato andare via l’uomo che amava e che aveva cercato in tutti i modi di farle capire che ricambiava il suo sentimento. Shuichi aveva fatto del suo meglio per farsi perdonare l’errore commesso sei anni prima, ma lei aveva continuato a respingerlo guidata dalla sua paura e dal senso di inferiorità nei confronti di Akemi. Si era proclamata da sola come “seconda scelta” e offuscata dalle sue stesse convinzioni non aveva visto che Shuichi invece la stava mettendo davanti a tutto, anche a se stesso. Era stata una stupida, una ragazzina viziata che aveva preteso di avere quello che aveva già ed ora ne pagava il prezzo, seduta nella semi oscurità di quella stanza diventata improvvisamente una prigione soffocante, piangendo lacrime amare. Stava lì senza reagire, come una marionetta in un teatro dimenticato, mentre Shuichi se ne andava via. Si maledisse per tutto ciò che aveva fatto e per tutto ciò che non aveva fatto e non stava facendo.
Improvvisamente animata da una forza sconosciuta, si alzò di scatto dal divano e corse verso la porta, spalancandola e correndo lungo il corridoio verso l’ascensore. Lo trovò in funzione, segno che Shuichi stava scendendo.
Si precipitò lungo le scale, sperando di fare in tempo. Il cuore stava per scoppiarle nel petto ma non le importava. Quando finalmente giunse nell’entrata del palazzo, sentì il portone d’ingresso chiudersi. Probabilmente era appena uscito. Respirando affannosamente cercò di riprendere fiato in fretta e poi scattò nuovamente verso il portone e lo aprì.
 
- SHU!!!- gridò.
 
L’uomo era a qualche metro da lei, diretto verso la sua macchina. Si girò a guardarla, sorpreso da quel grido risuonato nel silenzio del primo mattino che stava per sostituirsi alla notte. Si fissarono per lunghi, interminabili secondi, mentre lei ansimava cercando di riprendere fiato dopo quella corsa contro il tempo. Il fresco del mattino si posò sulle sue guance, ricordandole che aveva ancora il volto bagnato dalle lacrime. Doveva avere un aspetto orribile ma in quel momento non le importava: voleva solo riavere indietro il suo uomo.
Shuichi si avvicinò a lei a passi lenti, fino a quando non fu a pochi centimetri di distanza da lei. Incurante del fatto che il suo respiro non si fosse ancora regolarizzato del tutto, gli gettò le braccia al collo e lo baciò premendo forte le labbra contro le sue. Prese poi a baciarlo sulla guancia destra, scendendo fino al collo, incapace di controllarsi.
 
- Ti prego non andartene…- gli sussurrò all’orecchio, supplicandolo e piangendo.
 
Senza dire nulla, Shuichi le asciugò le lacrime cancellandole con i pollici e poi la strinse a sé, infilando le dita fra i suoi capelli biondi.
 
- Mi dispiace- continuava a ripetergli, stringendosi a lui più forte che poteva.
- Certo che sei una frignona- le rispose, ma senza cattiveria o critica, quasi per prenderla un po’ in giro e sdrammatizzare.
 
Quando il suo pianto si fu calmato, lo baciò nuovamente. Le loro lingue s’intrecciarono e la passione iniziò a bruciare i loro corpi. Sentivano il desiderio reciproco l’uno dell’altra, ancora più intenso di quella sera sul divano a casa di Shuichi, prima che le sue paure, i suoi dubbi e le sue convinzioni li allontanassero.
 
- Forse è meglio entrare, stiamo dando spettacolo- disse lui, dopo che si furono separati per riprendere fiato.
- Non c’è nessuno- gli sorrise, cercando nuovamente le sue labbra.
- Ma potrebbero passare delle auto. Non mi sembra il caso di stare fuori vestita così- le fece notare.
 
Effettivamente non aveva tutti i torti, era uscita scalza e con addosso solo la camicia da notte leggera, corta fino a metà coscia.
Lo prese per mano e rientrarono nel palazzo, ma invece che ripercorrere le scale presero l’ascensore. Mentre salivano chiusi in quello spazio angusto, ripresero ciò che avevano interrotto fuori. I loro corpi erano calamite che si attraevano spinte da una forza incontrollabile.
Quando le porte si aprirono lo trascinò con sé prendendolo per il colletto della camicia e camminando all’indietro fino alla porta del suo appartamento, mentre lo baciava sul collo. Shuichi sembrava divertito dalla cosa, non riusciva a togliersi dalla bocca quel sorrisetto beffardo che faceva quando una situazione lo stuzzicava.
Dopo essere entrati e aver chiuso a chiave la porta, si diressero verso i divanetti dove erano seduti prima, divorandosi con lo sguardo. Shuichi fece scorrere le mani ai lati delle sue cosce, sollevandole la camicia da notte fino a mostrare l’intimo che stava indossando. In risposa a quel gesto, si sedette sul bordo dello schienale del divano e gli allacciò le gambe intorno alla vita.
 
- Hai qualcosa in tasca?- scherzò, riferendosi all’ultima volta in cui si erano trovati in quella situazione e aveva scambiato la sua eccitazione per qualche oggetto dentro le tasche dei suoi pantaloni.
 
Si baciarono in modo lento ma al tempo stesso estremamente passionale, premendo i loro bacini l’uno contro l’altro. Gli slacciò la cintura e il bottone dei pantaloni, ma quando tentò di abbassare la cerniera Shuichi la fermò delicatamente.
 
- Non qui-
- Possiamo sdraiarci o sederci se preferisci- indicò con un cenno del capo il divano alle sue spalle.
- Non hai una camera da letto? Sarebbe più opportuna-
- Sai già dov’è. Portami lì- soffiò sensualmente sulle sue labbra.
 
Sollevandola per le natiche la tenne stretta a sé e camminò fino alla sua stanza da letto mentre lei gli sfilava quel berretto di lana che indossava sempre e giocherellava con i suoi riccioli ribelli intrecciando le ciocche alle sue dita. Iniziarono a spogliarsi appena varcata la soglia e raggiunsero il letto esplorando i rispettivi corpi con le mani. Shuichi sapeva esattamente dove toccarla per farle perdere il controllo.
Mentre le prime luci dell’alba filtravano dalla finestra, si abbandonarono alla passione e fecero l’amore fin quando il sole non scandì l’inizio di un nuovo giorno.
 
 
……………………….
 
 
Se ne stava sdraiata accanto a lui, con la testa posata sul suo petto mentre con l’indice tracciava delle linee leggere sul suo torace nudo. Shuichi le aveva passato un braccio dietro la schiena e con i polpastrelli le accarezzava una spalla. Si stavano rilassando dopo quell’intesa attività fisica, nel silenzio della sua camera da letto, avvolti in malo modo dal lenzuolo sgualcito. Si sentiva immensamente felice, tutto quello che aveva desiderato riavere ma che stava per perdere a causa delle sue insicurezze adesso era lì. Poco prima, avvolta dal suo abbraccio, era diventata completamente sua, senza freni né inibizioni. Si chiese se anche lui stesse provando le stesse emozioni che stava provando lei e decise di chiederglielo, nonostante la consapevolezza che Shuichi non amava parlare molto di sé e tantomeno di ciò che provava.
 
- Come ti senti?- domandò, sollevando la testa per guardarlo negli occhi.
- Non dovrei essere io a chiederlo a te?- rispose sorridendo.
- Quelli sono tutti cliché- gli accarezzò dolcemente il viso - Sul serio, come ti senti?-
- Come uno che ha vinto-
- E cosa avresti vinto?-
- Una seconda occasione- rispose serio.
 
A qualsiasi altra persona quella risposta sarebbe sembrata insensata o difficile da interpretare, ma lei aveva compreso benissimo cosa intendesse dire fra le righe. Shuichi aveva passato gli ultimi anni della sua vita a convivere con le sue colpe e i suoi errori, certo di non meritarsi la pace o la felicità: ottenere il suo perdono e la possibilità di ricominciare con lei rappresentava la realizzazione di qualcosa che non credeva fosse possibile nemmeno nei suoi sogni.
 
- Sei felice?- gli sorrise.
- Non ti sembra una domanda sciocca da fare?-
- Certo che no!- ribatté.
- Lo è se sai già la risposta-
- Vorrei sentirla da te- lo sfidò.
- Credo che tu l’abbia sentita molto bene fino a qualche minuto fa- sorrise beffardo, alludendo al rapporto intimo che avevano appena avuto.
- Intendevo dire se sei felice di quello che è appena successo qualche minuto fa- fece roteare gli occhi -E smettila di darti delle arie!-
- Mi sembra ovvio, no?-
- Allora non ti sei pentito?-
- Perché mai dovrei pentirmi? Se non avessi voluto farlo mi sarei fermato prima-
- Sì, ma non credo che tu sia venuto a casa mia con l’intento di finire nel mio letto-
 
Shuichi non rispose ma l’espressione sul suo volto la disse lunga su quale potesse essere la realtà dei fatti. Era troppo astuto, non poteva vincere contro di lui.
 
- Sei venuto apposta?!- lo guardò sconcertata.
- Diciamo che l’intento primario era di parlare con te e chiarire, poi il resto sarebbe venuto da sé-
- Shuichi Akai sei davvero un imbroglione!- si girò dal lato opposto, dandogli le spalle - Vieni a casa mia alle quattro del mattino per infilarti nel mio letto, ti approfitti di me e poi non mi lasci neanche dormire- si strinse al cuscino, chiudendo gli occhi.
- Non mi sembra di averti forzata a fare niente. Eri consenziente- replicò.
- Perché pensavo che fossi venuto con delle intenzioni nobili!-
- Infatti è così, il resto è successo perché doveva succedere-
- Quindi tu ti presenti a casa di una donna con dei preservativi in tasca perché “con molta naturalezza” deve succedere che tu finisca nel suo letto senza vestiti?- chiese, girando la testa e guardandolo con l’aria di chi non si era bevuta mezza parola-
- Volevo essere pronto all’evenienza-
 
Ormai erano trascorsi diversi minuti ma quel sorrisetto sulla sua bocca non voleva saperne di sparire. Era soddisfatto, fiero come un leone. Non riusciva nemmeno a fingere di essere arrabbiata con lui, era da tanto che non lo vedeva sereno e contento e voleva che quel momento durasse per sempre.
 
- Quindi adesso posso definirmi ufficialmente la tua ragazza?-
- Lo eri già prima-
 
Tornò a voltarsi verso di lui e lo abbracciò nuovamente, posando la testa sul suo cuore e ascoltandone i battiti regolari. Sentiva le palpebre pesanti e aveva bisogno di ricaricare le energie.
 
- Adesso dormiamo un po’- gli disse.
- Non credo ne avremo il tempo- rispose lui, prendendo il cellulare dal comodino per controllare l’ora – Sono le sei e mezza, fra mezz’ora dobbiamo alzarci, prepararci e andare al lavoro. Se ci addormentiamo adesso rischiamo di non svegliarci prima di mezzogiorno inoltrato-
- Ma non abbiamo riposato per niente, io sono esausta- si lamentò.
- Anche io sono piuttosto stanco, però abbiamo del lavoro da fare-
- Non possiamo prenderci mezza giornata per dormire?- si strinse di più a lui - Se lo chiediamo a James forse sarà magnanimo-
- Glielo dici tu che non abbiamo dormito perché abbiamo fatto altro? E per altro intendo qualcosa che mi aveva chiesto di non fare-
- Gli dirò che siamo andati a dormire tardi perché abbiamo lavorato fino a tarda notte per catturare dei mafiosi russi. Chi faccio dormire nel mio letto non è affar suo- rispose brusca.
 
Era ancora seccata per quello che James aveva fatto e di certo non gliela avrebbe fatta passare liscia. Gli voleva bene ma questa volta aveva esagerato, non aveva alcun diritto di intromettersi nella sua vita privata. Ormai non era più una bambina.
 
- Te l’ho già detto, non avercela con lui. Sta solo cercando di proteggerti-
- Ma tu da che parte stai?!- gli chiese, sollevando la testa - Ti ha chiesto di lasciarmi e lo difendi?!-
- Non lo sto difendendo, sto solo dicendo che comprendo il suo punto di vista. La sua decisione non è quella di un capo ma di un padre. Credo che se la mia sorellina si trovasse al tuo posto, probabilmente nostro padre avrebbe agito allo stesso modo-
 
Restò in silenzio a riflettere su quelle parole. Come sempre Shuichi aveva ragione, riusciva a vedere oltre le cose e a capire le persone. Il paradosso era che una persona apparentemente fredda come lui fosse in realtà dotata di un’empatia straordinaria.
 
- Perché quando dici qualcosa sembra sempre così profonda e matura? Mi sento un’idiota quando parlo con te- rifletté ad alta voce, senza rendersene conto.
 
Shuichi si lasciò andare ad una risata sonora, evento che succedeva raramente, poi le accarezzò i capelli.
 
- Se vuoi dormi un po’, ti sveglierò io fra mezz’ora-
- Anche tu hai bisogno di dormire-
- Posso resistere a una notte insonne-
- Morirai giovane- lo prese in giro.
 
Alla fine si addormentarono entrambi, colti dalla stanchezza. Shuichi si risvegliò per primo qualche ora dopo, quando la suoneria del suo cellulare riecheggiò nella camera, mentre lei aprì gli occhi poco dopo quando lo sentì parlare. Si sfregò le palpebre e nonostante il sonno cercasse nuovamente di avere la meglio su di lei, cercò di concentrarsi sulla conversazione per capire con chi stesse parlando Shuichi. Lo sentì scusarsi e giustificarsi per il ritardo, pertanto immaginò che vi fosse James dall’altro lato del cellulare.
Si mise seduta, stando attenta a tenersi il lenzuolo davanti per coprirsi e attese fino a quando il suo fidanzato non terminò la chiamata.
 
- Era James?- gli chiese conferma.
- Già, e non è di buon umore-
- È successo qualcosa?-
 
Shuichi la guardò con l’aria di chi non aveva capito se quella domanda fosse stata fatta seriamente o se fosse solo uno scherzo.
 
- Vediamo…siamo in ritardo di due ore al lavoro perché stavamo dormendo. Insieme- enfatizzò quell’ultima parola - Tu che dici, è sufficiente per farlo arrabbiare?-
- Ieri sera abbiamo lavorato fino a tarda notte e non è affar suo se dormiamo insieme-
- Se dormiamo no, ma presumo abbia capito che se mi trovo a casa tua non è perché ieri sera dopo essere tornato dall’ospedale e aver sparato a un mafioso russo ero troppo stanco per arrivare a casa mia e dormire nel mio letto. Deve aver capito che se abbiamo dormito poco e ci siamo svegliati tardi non è solo per il lavoro che si è prolungato-
- Anche Yuriy e Camel avranno fatto tardi- cercò un appiglio a cui aggrapparsi.
- Invece sono già al lavoro, me lo ha detto James-
 
Sospirò, consapevole di aver esaurito le scuse.
 
- Ora che facciamo?-
- Una doccia veloce e ce ne andiamo subito-
- E la colazione?-
- Preparo il caffè mentre ti vesti, ma per il resto ci conviene aspettare direttamente l’ora di pranzo. Sempre che ce la concedano-
- Sto morendo di sonno- si lamentò.
- Lo so, ma i russi ci aspettano-
- Che bel modo di svegliarsi!- scosse la testa, cercando la sua camicia da notte che doveva essere da qualche parte sul pavimento dove Shuichi gliela aveva tolta poche ore prima.
 
Sentì la mano di lui prenderle delicatamente il viso per farla girare e guardarlo in faccia. Quegli occhi verdi erano magnetici.
 
- Cosa c’è?- chiese.
 
Invece di risponderle, Shuichi la baciò mentre faceva scorrere la mano dalla sua guancia a dietro la sua nuca, passandole le dita fra i capelli. Un bacio più delicato di quelli che si erano dati durante la loro unione ma comunque carico di sentimento, che durò per qualche secondo.
 
- Va meglio come risveglio?- le chiese, dopo aver allontanato le labbra dalle sue.
- Decisamente sì- gli sorrise.
 
A malincuore si dovettero alzare dal letto e porre fine a quel sogno che avevano vissuto. Il mondo reale li chiamava e la sua voce sembrava non essere delle migliori.
Mentre raccoglieva i suoi vestiti da terra l’occhio le cadde sulla lettera di dimissioni di Shuichi che era stata posata sul comò quando si era tolto i pantaloni. Una sgradevole sensazione la invase, cancellando ogni traccia della serenità che aveva alimentato il suo spirito sin dal risveglio.
 
- Shu?- lo chiamò.
- Cosa c’è?-
- Cos’hai intenzione di fare con questa?- prese in mano la busta e gliela mostrò.
- Se non mi avessi rincorso e fermato prima, l’avrei gettata. Non mi sarebbe servito lasciare il lavoro se fra noi fosse finita. Ma visto che le cose sono andate come avevo sperato, consegnerò la lettera a James. Oggi sarà il mio ultimo giorno di lavoro-
- Non puoi farlo- scosse la testa.
- Devo farlo-
- No!- alzò la voce.
 
Si avvicinò a lei e le prese la lettera dalle mani, sorridendole. Non capiva come potesse essere così sereno e tranquillo all’idea di rinunciare per sempre a quello che sapeva fare meglio nella vita e che, soprattutto, amava fare.
 
- Non devi preoccuparti- le disse.
- E invece mi preoccupo, Shu. Non voglio che ti ritrovi senza lavoro a causa mia!-
- Non è a causa tua, ho preso io questa decisione-
- Parlerò con James- affermò decisa.
- Non serve, non è James che mi ha chiesto di andare via- chiuse gli occhi.
- Appunto, se vuole che tu rimanga allora che ti convinca a farlo invece che minacciarti di prendere provvedimenti se non mi lasci!-
 
Shuichi non rispose, si limitò ad uscire dalla stanza diretto verso il bagno.
 
- Non me ne starò a guardare mentre te ne vai- lo seguì.
- È una mia decisione, Jodie-
- Ed è sbagliata! Non fare qualcosa di cui poi ti pentirai per il resto della vita- gli posò una mano sulla spalla.
- Non potrei mai pentirmi di aver scelto te-
 
Perse un battito a quelle parole, che equivalevano a una dichiarazione.
 
- E ti amo per questo, ma non posso accettare che rinunci così, senza lottare-
- Questa non è una guerra, Jodie. Non si tratta di lottare, si tratta di fare delle scelte e io ho fatto la mia. Ora vestiti che altrimenti facciamo ancora più tardi di quanto non abbiamo già fatto-
- Questa storia non finisce qui, ne riparliamo in macchina- si convinse a concedergli una tregua - Vado a prenderti degli asciugamani puliti-
 
Uscì dal bagno, lasciandolo lì da solo a sospirare. Non gli avrebbe permesso in alcun modo di consegnare quella lettera a James, a costo di essere lei quella a doversene andare.
Tornata in camera, prese degli asciugamani dall’armadio e fece per portarli a Shuichi, ma si fermò quando sentì il suo cellulare suonare. Si avvicinò al comodino e lesse il nome sul display: Shiho. Per uno strano scherzo del destino, sembrava che apparisse sempre nei momenti più critici o quando aveva bisogno.
 
- Pronto?- rispose velocemente.
- Ciao, ti disturbo? Immagino che sarai al lavoro-
- In realtà mi sto preparando per andarci-
- Ma sono quasi le dieci- le fece notare la ragazza.
- Lo so, infatti sono in un ritardo pazzesco- ammise.
- È successo qualcosa?-
- No, è solo che ieri sera abbiamo dovuto catturare dei criminali e siamo tornati a casa alle due di notte-
- “Abbiamo”? Parli di Shuichi?-
- Sì, ma anche altri colleghi-
- Le cose con lui vanno bene?-
 
Si chiese se doveva dirle di quello che era successo poche ore prima, in fondo erano pur sempre cose personali e imbarazzanti.
 
- Sì, va tutto molto bene- disse semplicemente.
- Mi fa piacere. Salutamelo quando arrivi al lavoro, digli che se non si comporta bene se la vedrà con me-
- D’accordo- ridacchiò - Ora è in bagno, stavo per portargli degli asciugamani. Gli riferirò il tuo messaggio-
- Aspetta un minuto…è a casa tua? Nel tuo bagno? E per di più in ritardo al lavoro?-
 
Sgranò gli occhi quando si rese conto di aver rivelato un particolare che la diceva lunga su come poteva essere andata quella nottata, lavoro a parte. Per un attimo non seppe cosa rispondere e Shiho ne approfittò per tornare all’attacco.
 
- Cos’è successo ieri notte?-
- E-ecco…i-io…- balbettò.
- Non avete fatto tardi al lavoro, vero?- chiese maliziosa.
- Sì, insomma…anche-
- Vedo che le cose vanno meglio del previsto- disse soddisfatta.
- Fin che durano- si lasciò sfuggire.
- Perché dici questo?-
 
Sospirò e desiderosa di sfogarsi con qualcuno le raccontò di James e della decisione di Shuichi di lasciare il lavoro per lei. Shiho stette ad ascoltarla in silenzio durante tutto il racconto, poi disse la sua in merito.
 
- Non pensavo che sarebbe arrivato a tanto-
- Nemmeno io, voglio bene a James ma sta esagerando-
- Non parlavo di James ma di Shuichi. Dare priorità a te piuttosto che al lavoro è forse il gesto più grande che possa fare per dimostrare i suoi sentimenti-
- Lo so, ma mi sento in colpa per questo- abbassò lo sguardo.
- Non devi, la scelta è sua. Per quanto riguarda James invece, sono d’accordo con te-
- Non so che cosa fare per impedirgli di consegnare quella lettera-
- Non puoi impedirglielo, ma puoi convincere James a cambiare idea-
- E come? Stavolta si è intestardito e non so fino a che punto potrò fronteggiarlo. Resta pur sempre il mio capo-
- Prova a farlo ragionare con le buone, se non cede allora chiamami-
- Eh? E perché dovrei chiamarti?-
- Perché ho in mente qualcosa che potrebbe fargli cambiare idea- affermò decisa.
- E sarebbe?-
 
I suoi dubbi non ottennero una risposta, perché Shuichi entrò nella camera interrompendo quella conversazione. Non vedendola tornare con gli asciugamani doveva essersi preoccupato.
 
- Adesso ti devo salutare, Shu aspetta i suoi asciugamani- disse velocemente.
- Mi raccomando, fa come ti dico-
- D’accordo. A presto-
 
Interruppe velocemente la telefonata e si avvicinò al suo uomo, porgendogli gli asciugamani e sorridendogli.
 
- Scusami, mi ha chiamata Shiho e non volevo liquidarla-
- Che cosa voleva?-
- Nulla in particolare, solo accertarsi che tu stessi facendo il bravo con me- gli picchiettò l’indice sul naso.
- Capisco- sorrise - Non starai cercando delle scuse per ritardare l’entrata al lavoro il più possibile ed impedirmi di consegnare la lettera a James?-
- Non ne ho bisogno, tanto quella lettera entro stasera sarà finita in un cestino. O nel distruggidocumenti, meglio ancora- lo sorpassò, uscendo dalla camera.
- Ti vedo determinata- sorrise beffardo.
- Non sai quanto- replicò da lungo il corridoio.
 
Dopo essersi vestiti, lavati e aver bevuto una tazza di caffè, uscirono dal suo appartamento e si diressero alla sede. Stava cercando di mantenere il sangue freddo ma non era facile. Le parole di Shiho non l’avevano convinta, non era certa che la giovane scienziata avesse davvero un asso nella manica per far cambiare idea a James. Shuichi, al contrario, sembrava più sereno e rilassato del solito, come un fiero samurai che accettando il suo destino andava incontro alla morte ma con assoluta fierezza.
Dopo essere arrivati e aver parcheggiato la macchina, mentre camminavano verso l’entrata, Shuichi guardò l’edificio nella sua imponenza, come se fosse l’ultima volta che lo vedeva.
 
- Ci siamo- disse semplicemente.
 
Girò di poco la testa per guardarlo e per la prima volta le sembrò di leggere nei suoi occhi un velo di tristezza, la stessa di quando si deve lasciare andare qualcosa che si ama per una causa di forza maggiore. La stessa che aveva provato lei nel lasciarlo andare sei anni prima. Conosceva bene quella sensazione.
 
- Non farlo, Shu- gli ripeté per l’ennesima volta, stringendogli la mano.
- Ti lascio in buone mani. Sono certo che Camel e Yuriy ti proteggeranno- intrecciò le dita con le sue.
- Io non ho bisogno di essere protetta, ho bisogno che tu sia qui!-
- Forza, andiamo- rispose semplicemente, lasciandole la mano.
 
Abbassò la testa e con un macigno sul cuore lo seguì in silenzio fino al piano dove si trovava il loro ufficio.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Ed ecco anche il tanto atteso chiarimento fra Jodie e Shuichi, seguito da qualcosa che dovevano fare da un pezzo! XD Come ho scritto nella nota iniziale, questo capitolo è collegato alla storia a rating rosso che ho pubblicato in contemporanea, “Rebirth before sunrise”. Ci tenevo a descrivere il loro momento d’amore nei dettagli, ma non volevo cambiare il rating della storia da giallo a rosso per un solo capitolo, perché so che ci sono anche persone minorenni che stanno leggendo Tomorrow e non volevo precludergli la possibilità di continuare a leggere. L’unica soluzione che ho trovato è stata quindi quella di fare una one shot a parte ma collegata a questo capitolo. Spero che abbiate apprezzato!
Nel prossimo capitolo risolveremo anche la questione di Shuichi e James! 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42: Ribellione pacifica ***


Capitolo 42: Ribellione pacifica
 
 
 
Quando aprirono la porta Camel e Yuriy, seduti alle rispettive scrivanie, li guardarono sorpresi.
 
- Chi non muore si rivede, eh?- scherzò Yuriy - Pensavamo che foste stati rapiti dai russi-
- Va tutto bene?- chiese Camel, preoccupato.
- Purtroppo non abbiamo sentito la sveglia- ammise Shuichi - Non siamo più abituati a fare le ore piccole-
 
Lei rimase in silenzio, non aveva voglia di scherzare né di giustificarsi.
 
- Blondie, sei rimasta nel mondo dei sogni?- provò a farla parlare Yuriy.
- Già- rispose semplicemente.
- Va tutto bene?- le chiese, tornando serio dopo aver notato la sua reazione fredda.
- Sì, sono solo stanca-
 
Guardò Shuichi negli occhi mentre pronunciava quelle parole, pregandolo silenziosamente di non fare ciò che stava per fare. Ma le sue preghiere si dispersero nell’aria dell’ufficio.
 
- Io devo andare un attimo da James, voi intanto informate Jodie sulle novità del caso- disse, avviandosi verso la porta.
- Sei sicuro di voler andare dal capo ora? Non sembrava molto contento del fatto che aveste fatto tardi- lo informò Yuriy.
- Lo so, per questo ci tengo ad andare a scusarmi-
 
Stava mentendo, non era certo quello il motivo per cui stava andando da James. Non voleva dire la verità a Camel e Yuriy, forse non in quel momento. Avrebbe riservato il gran finale per la sera.
 
- Vengo anch’io- si alzò in piedi velocemente.
- Non serve, gli farò le scuse anche da parte tua- la fermò lui, che probabilmente aveva capito il suo intento.
- Invece voglio fargliele di persona- insistette.
- Jodie…-
- Non ho bisogno che qualcuno parli al mio posto!- si impuntò.
- Vorrà dire che andrai da James quando avrò finito io. Devo parlargli anche di una cosa personale-
 
Strinse i pugni sulla scrivania, non sapendo cos’altro dire per convincerlo a farla andare con lui. Non poteva negargli un momento di privacy, non davanti a Camel e Yuriy che li guardavano non capendo cosa stesse succedendo.
Alla fine si sedette nuovamente sulla sedia e senza nemmeno guardarlo in faccia gli rispose con un semplice “D’accordo”. Quando uscì dall’ufficio, il gelo riempì la stanza nonostante la calda giornata d’ estate. I due colleghi la fissavano perplessi, cercando una spiegazione. Forse poteva ingannare Camel, ma Yuriy era furbo quasi quanto Shuichi.
 
- Sono indiscreto se ti chiedo cosa non va?- ruppe il silenzio il russo.
- Shu è andato da James a consegnargli una lettera di dimissioni- confessò.
- COSA?!?!- esclamarono all’unisono i due.
- Oggi sarà il suo ultimo giorno qui-
- Ma perché? È successo qualcosa fra voi due?- chiese Yuriy - Mi è sembrato di notare della tensione negli ultimi due giorni-
- No, fra noi è tutto risolto. Anzi, è per questo che Shu ha preso questa decisione-
- Scusami ma non ti seguo-
- James gli ha detto che se non mi avesse lasciata avrebbe dovuto prendere dei provvedimenti e Shu lo ha preceduto dicendogli che se non gli avesse permesso di stare con me allora se ne sarebbe andato-
- James?! Ma non può farlo!- intervenne Camel.
- Invece sì. Nell’FBI non sono ben viste le relazioni d’amore fra colleghi-
- Ma in passato ve lo ha permesso, no?-
- Sì, ma siccome non è finita bene stavolta non vuole che mi ritrovi di nuovo in lacrime a raccogliere i pezzi-
- Quindi James ha usato come scusa il fatto che le relazioni amorose fra colleghi non sono ben viste nel nostro ambiente, ma in realtà lo sta facendo per proteggere te?- fece il punto della situazione Yuriy.
- Esatto-
 
Scese nuovamente il silenzio fra loro, come se quella breve ma intensa conversazione non fosse mai esistita. Forse avrebbe dovuto aspettare che fosse Shuichi a direi ai loro amici e colleghi che non avrebbe più lavorato con loro, ma non era riuscita a mentire di fronte alla perspicacia di Yuriy.
 
- Sai cosa ti dico, Starling?- intervenne quest’ultimo, scuotendo tutti dai loro pensieri.
- Cosa?-
- Che adesso ce ne andiamo tutti quanti da James- si alzò in piedi deciso.
- Che cosa hai in mente?- chiese Camel.
- Nulla di particolare: ce ne andiamo lì e tifiamo per voi due. Se qualcuno di voi riesce a piangere a comando tanto meglio, dobbiamo mostrarci disperati e contrariati per l’abbandono di un compagno-
- Vuoi andare da James e fare il teatrino?- lo guardò scettica - Non ci cascherà mai. Ha il doppio dei nostri anni e sa leggere bene negli occhi delle persone. Lo conosco meglio di chiunque altro-
- Proprio per questo devi essere tu a fare la parte più “intensa”. Lui sta facendo tutto questo per proteggere te, perciò devi essere tu a fargli capire che invece che proteggerti ti sta allontanando-
- Pensi che non lo sappia? È da stamattina che mi sto scervellando per pensare a cosa dirgli per fargli cambiare idea!-
- Digli la verità, che ami Shuichi e che vuoi stare con lui anche se dovesse spezzarti il cuore un’altra volta. Digli che non vuoi perderlo né come fidanzato né come collega, perché è bravo nel suo lavoro. Mettici qualche lacrima però, così funziona meglio-
- E noi cosa facciamo?- intervenne Camel.
- Te lo spiego mentre andiamo verso l’ufficio del grande capo. Forza, la squadra più geniale dell’FBI va all’attacco!-
- Ma fai sul serio?- gli chiese.
- Fidati dello zio Yuriy- le fece l’occhiolino.
- Lo stesso zio Yuriy che ieri mi ha fatta vestire come una prostituta?-
- Sì, ma ammetti che ne è valsa la pena-
 
Sospirò, non sapendo cosa fare. Sembrava che tutti avessero una soluzione al problema, tranne lei. Shiho poco prima, ora Yuriy.
 
- Andiamo, che cos’hai da perdere più di questo?- insistette.
- Credo che Yuriy abbia ragione- lo appoggiò Camel - E poi anche io non voglio che Akai se ne vada-
- D’accordo, andiamo da James- si arrese, alzandosi e seguendoli.
 
Mentre camminavano lungo il corridoio ebbe l’impressione che stessero girando la scena di uno di quei film dove i supereroi avanzavano a rallentatore uno accanto all’altro, mentre il vento soffiava sui loro volti facendogli muovere sinuosamente i capelli. Ma loro non erano supereroi, erano tre pazzi che stavano andando dal loro capo a recitare un copione credibile quanto una soap opera di bassa qualità.
Si fermarono davanti alla porta chiusa dell’ufficio di James, senza proferire parola. Rimasero in ascolto cercando di capire cosa si stessero dicendo lui e Shuichi all’interno di quella stanza, ma non sentirono nulla.
 
- Entriamo?- chiese titubante Camel.
- Meglio bussare, ci stiamo ribellando ma in modo educato- gli fece l’occhiolino Yuiry.
- Esiste un modo di ribellarsi “educato”?- lo guardò scettica.
 
Il collega non le rispose, sorrise e diede tre colpi leggeri alla porta. Dall’altra parte non arrivò nessuna risposta.
 
- Avrà sentito?- chiese Camel.
- Dici che sia meglio bussare più forte?- rispose Yuriy con un’altra domanda.
 
Mentre s’interrogavano su cosa fosse meglio fare, il suono di passi che si avvicinavano arrivò distintamente alle loro orecchie.
 
- Credo che abbia sentito benissimo- commentò lei.
 
La porta si aprì e l’imponente figura di James comparve davanti a loro.
 
- Cosa ci fate qui? Non dovreste essere in ufficio a lavorare?- li guardò uno ad uno, concentrandosi in particolare su di lei.
- Dovremmo, ma avevamo bisogno di parlare con Lei- disse Yuriy.
- Adesso sono occupato, quando avrò finito vi raggiungerò nel vostro ufficio-
- No, noi abbiamo bisogno di parlare adesso- insistette - Possiamo entrare? Sappiamo che Akai è lì dentro-
- Questa è una conversazione privata, mi dispiace ma non potete entrare- rispose irremovibile.
- Fa’ entrare almeno me- intervenne lei, fissandolo seria.
- Io e te parleremo dopo- sostenne il suo sguardo.
- No, io e te parliamo adesso e lo facciamo in presenza di Shuichi. Ti ricordo che sono coinvolta anche io in questa storia, quindi smettetela di escludermi come se la cosa non mi riguardasse!-
- La prego James, vorremo poter dire quello che pensiamo in merito- provò a parlare Camel, seppur titubante - Siamo molto dispiaciuti per la decisione di Akai e se possiamo fare qualcosa per convincerlo a restare lo faremo-
- Che cosa succede?- udirono la voce di Shuichi alle spalle di James.
 
Doveva aver sentito la conversazione e si era avvicinato per intervenire.
 
- A quanto pare i tuoi colleghi non vogliono che tu te ne vada- spiegò James.
- Volevamo fare una sommossa educata ma non siamo stati molto convincenti- gli disse Yuriy.
- Glielo hai detto tu?- si rivolse a lei, ignorando il loro collega.
- Sì, era giusto che sapessero-
- L’idea di venire qui è stata mia, lei non voleva. Non rimproverarla- la difese Yuriy.
 
Mentre stavano discutendo alcuni dei loro colleghi passarono alle loro spalle, camminando lungo il corridoio e osservando la scena. Forse non era il caso di dare ulteriore spettacolo, a giudicare anche dall’espressione contrariata sul volto di James.
 
- Entrate- gli intimò, scostandosi a lato della porta per farli passare.
 
Senza più aprire bocca, come soldatini obbedienti, entrarono in fila uno alla volta. James sapeva come mettere in soggezione qualcuno se voleva.
Si posizionarono davanti alla scrivania ma spostati sul lato destro, mentre Shuichi tornò a sedersi sulla sedia a sinistra. Il loro capo prese posto dietro alla sua scrivania e incrociò le braccia al petto.
 
- Sentiamo cosa avete da dire di tanto importante- li invitò a parlare, in modo non proprio cordiale e amichevole.
- Arriviamo dritti al punto: vogliamo impedire al nostro collega di andare via- parlò Yuriy.
- Ti prego Akai, ragiona- lo supplicò Camel, avvicinandosi a lui.
- Non potrebbe semplicemente stracciare la lettera di dimissioni e dargli il permesso di frequentare questa bella ragazza?- azzardò il russo, indicandola con un cenno del capo.
 
James non rispose alla sua domanda, restò in silenzio e si girò a guardare lei.
 
- Tu non dici niente?-
- Oh, adesso ti interessa sapere quello che penso? Quando hai detto a Shu che se non mi lasciava avresti preso dei provvedimenti non sembrava che il mio parere ti importasse molto!- si sfogò.
- Ricordati che siamo qui per parlare in modo gentile e educato- cercò di calmarla Yuriy.
- Io non capisco, capo- prese parola Camel - Se sul lavoro sono bravi e rispettano le regole, perché non possono stare insieme?- allargò le braccia.
- Sono d’accordo- lo appoggiò Yuriy - In queste settimane in cui abbiamo lavorato insieme Akai e Jodie hanno sempre mantenuto un atteggiamento professionale in ufficio. Niente smancerie, niente che potesse in alcun modo mettere in imbarazzo me e Camel o distrarli dal loro lavoro-
- Confermo- annuì Camel.
- So bene che nell’FBI non sono ben viste le relazioni fra colleghi, ma personalmente ho sempre trovato questo modo di vedere un po’ rigido. Insomma, se due colleghi si innamorano non è un crimine. Fin che svolgono bene il loro lavoro e lasciano i loro problemi fuori dalla porta, che male se c’è se quando escono di qui si frequentano, convivono o si sposano?-
- E dimmi, Yuriy: tu puoi affermare con certezza che i problemi resteranno fuori dalla porta?- gli chiese James, fissandolo dritto negli occhi.
- Per quello che ho potuto vedere sì. Non ne so molto perché non è nella mia natura impicciarmi degli affari degli altri, ma se posso permettermi il fatto che in passato possano esserci stati dei problemi fra loro non significa necessariamente che debbano ripetersi in futuro. Facciamo tutti degli errori, l’importante è imparare da essi e andare avanti. Rimuginarci sopra e rivangarli non aiuta nessuno, almeno questo è ciò che penso-
 
Per tutto il tempo Shuichi non aveva fatto altro che ascoltare in silenzio e con gli occhi chiusi tutto ciò che i suoi due colleghi avevano detto. Yuriy e Camel si stavano battendo per loro, mentre lei non stava facendo nulla. Quella era la sua battaglia, doveva essere lei a darsi una mossa.
 
- Avevo ventitré anni e nessuna esperienza James, non puoi condannarmi a vita perché sei anni fa ho sofferto per quello che è successo. Non sono più la stessa ragazzina-
- Anche quando piangevi qualche sera fa davanti alla porta di casa tua avevi ventitré anni, Jodie?- replicò.
- Adesso sei ingiusto- gli fece notare, ferita dalle sue parole - Non sai nemmeno cosa ci fosse dietro a quelle lacrime e se magari, per una volta, non fosse colpa mia. Dici che stai facendo tutto questo per proteggermi ma non capisci che l’unica cosa che in realtà stai facendo è ferirmi. Come puoi chiedere ad un uomo che sai bene quanto ami di lasciarmi?!-
- Scusi se mi permetto- la interruppe Yuriy, rivolgendosi direttamente a James - In ogni relazione ci sono delle lacrime, momenti belli e momenti brutti. Se anche ci saranno giorni in cui Akai la farà piangere, poi ne seguiranno altri dove la farà ridere. La vita è fatta così, ma questo non vuol dire che non dobbiamo innamorarci solo perché l’amore sa essere anche doloroso alle volte-
- La prego James, butti quella lettera- lo supplicò Camel.
- Se si intestardisce sulla sua posizione nessuno sarà felice alla fine di questa giornata- disse il russo - Se è davvero convinto che Jodie stia sbagliando allora la lasci sbagliare. Mia madre diceva sempre che a un certo punto i figli bisogna lasciarli andare e guardarli da lontano mentre cadono e si rialzano: se cammini sempre al loro fianco non impareranno mai. Magari sarà Lei a imparare che si sbagliava e che quello che credeva un errore è in realtà la cosa più bella che potesse capitare a Jodie, chi può dirlo-
- Basta così, potete andare- mise fine a quella conversazione James, invitandoli ad uscire.
 
Il suo tono sembrava essersi ammorbidito rispetto a prima, ma l’espressione era rimasta seria e pensierosa.
 
- Quindi a che conclusione siamo arrivati?- chiese Yuriy.
- Ho bisogno di riflettere, richiamerò i diretti interessati quando avrò preso una decisione-
- E ci lascia così sulle spine?-
- Yuriy falla finita- lo liquidò lei, esausta.
- Guarda che sto lavorando per te- le fece presente.
- Tu hai qualcosa da aggiungere?- chiese James a Shuichi.
- Vorrei solo ringraziare i miei colleghi qui presenti per aver chiesto la mia opinione prima di fare tutto questo show- parlò infine.
- Ma noi volevamo solo impedire che te ne andassi- si giustificò Camel.
- Senza prima chiedermelo- ribadì, ma con tono calmo.
- Ora non fare il guastafeste- lo riprese Yuriy - Tu non ci avresti permesso di aiutarti e quindi ci siamo presi la libertà di farlo tenendoti all’oscuro. È per una giusta causa, non arrabbiarti-
 
Shuichi si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta, seguito dagli altri due colleghi. Lei invece rimase lì in piedi a guardare James, senza muovere un muscolo. I tre si fermarono davanti alla porta aperta e guardarono indietro, aspettando che anche lei li raggiungesse.
 
- Jodie?- la chiamò il suo fidanzato.
 
Si girò a guardarlo ma non rispose. Voleva restare lì e parlare con James da sola.
 
- Vieni, andiamo a chiudere il caso sui russi- la invitò anche Yuriy-
- Andate, io vi raggiungo fra poco-
 
Percepì la preoccupazione sui volti dei suoi colleghi, ma alla fine Camel e Yuriy fecero un cenno col capo e si avviarono verso l’ufficio. Solo Shuichi rimase lì e mosse qualche passo per tornare dentro.
 
- Vai anche tu, Shu- lo rassicurò.
- Tu sei intervenuta nel mio colloquio privato con James e ora non mi permetti di essere presente nel tuo?- sorrise.
- Vorrei parlare in privato con James-
- Volevo farlo anche io-
- Delle vostre questioni personali potete discuterne fuori da qui- intervenne James - E adesso uscite tutti e due-
- Ti chiedo solo due minuti del tuo tempo- gli rispose.
- Non ora-
- Puoi rifiutarti di accettare le mie decisioni ma non puoi rifiutarti di parlarmi- gli tenne testa.
- E tu puoi rifiutarti di accettare le mie ma fino a un certo punto!- alzò la voce - Ti permetto certi atteggiamenti solo perché ti ho cresciuta e ti considero come una figlia, ma ricordati che sono pur sempre il tuo capo e non puoi rifiutarti di obbedire ai miei ordini sul lavoro!-
- Non mi sono opposta ai tuoi ordini sul lavoro, ieri notte ho lavorato fino alle due rischiando di farmi accoltellare o sparare da dei criminali russi! Mi sono opposta alla tua intromissione nella mia vita privata!- alzò i toni anche lei.
- Ti ho detto che vi farò venire qui più tardi! Adesso uscite dal mio ufficio, tutti e due!- intimò, alzandosi in piedi e sbattendo i palmi aperti sulla scrivania.
 
Sussultò a quella reazione: James non si arrabbiava spesso ma quando lo faceva era temibile.
Shuichi si avvicinò a lei e le posò una mano dietro alla schiena.
 
- Forza, ora andiamo. James ha detto che ci chiamerà quando avrà riflettuto, devi avere pazienza- la invitò a seguirlo fuori dalla porta.
 
Camminando lentamente e a testa bassa seguì il suo uomo senza più dire nulla. Non voleva tirare troppo la corda e si sentiva ferita dal fatto che l’uomo che diceva di pensare a lei come a una figlia non volesse nemmeno starla a sentire.
 
- Scusaci del disturbo James, non volevamo farti perdere tempo- disse Shuichi, facendo un piccolo inchino col capo e chiudendosi la porta alle spalle.
 
Non c’era nessuno in corridoio, il silenzio aleggiava come la quiete dopo la tempesta. Se ne stava ancora lì, fissando il pavimento con i pugni stretti, mentre la mano di Shuichi le accarezzava la testa.
 
- Vedrai che gli passerà. Però non dovevate venire a fare gli eroi, lo avete irritato-
- E cosa dovevamo fare, lasciare che gli consegnassi quella lettera e rinunciare a te?- lo guardò finalmente negli occhi.
- Così la faccenda si sarebbe chiusa senza scontri-
- Come puoi dire una cosa simile?!- lo fissò sconvolta - Noi ci siamo battuti per te! Nessuno vuole che tu te ne vada solo perché fuori di qui mi baci o dormi nel mio letto! Non stiamo facendo niente di male, Shu!-
- Lo so, ma la decisione era mia. James non mi ha mai detto di andarmene-
- Ti ha minacciato!-
- Non era una minaccia, piuttosto un avvertimento- sorrise - Forza, ora andiamo ad occuparci del nostro caso-
 
Senza più proferire parola, camminarono fino all’ufficio dove Yuriy e Camel li stavano aspettando. Sentiva di non aver fatto abbastanza e di aver peggiorato la situazione. James era arrabbiato come non lo aveva mai visto prima e il fatto che non volesse nemmeno starla a sentire la feriva. Si sentiva pugnalata alle spalle dall’uomo di cui si era sempre fidata più di chiunque altro, prima di incontrare Shuichi.
 
- Allora, vi ha detto qualcosa?- chiese Camel, non appena varcarono la soglia dell’ufficio.
- No, credo che parlerà solo a fine giornata- rispose Shuichi, prendendo posto alla sua scrivania.
- Si è arrabbiato molto?- intervenne Yuriy.
- Diciamo che non ha gradito il vostro intervento e tantomeno la ribellione di Jodie-
 
Lei non disse nulla, andò a sedersi e con la testa bassa prese a fissare la scrivania. Era stanca, arrabbiata, delusa e in più aveva sonno a causa della notte in bianco. Sentiva gli occhi dei suoi colleghi su di lei e la cosa la infastidiva.
 
- Stai tranquilla, vedrai che andrà tutto bene- cercò di rassicurarla Yuriy, ma lei non rispose.
- Avete fatto qualcosa prima che arrivassimo?- Shuichi riportò l’attenzione sul caso.
- Sono andato a interrogare alcuni membri del clan che abbiamo catturato ieri sera, ma sono tutti pesci piccoli e spaventati e non hanno aperto bocca. Mi sono beccato qualche insulto e niente informazioni preziose- concluse Yuriy.
- Pare che Viktor fosse il loro capo e Aleksander il suo braccio destro. Al momento sono gli unici da cui possiamo ottenere informazioni- aggiunse Camel.
- Come stanno?-
- Alcuni dei nostri li stanno tenendo sotto controllo a turno. Per ora non sono morti e sono fuori pericolo, ma hanno pur sempre dei buchi in corpo e credo che ci odino a morte- rispose il russo.
- Bene, allora se sono vivi possono sostenere un interrogatorio, giusto?- ghignò.
- Vuoi andare all’ospedale ad interrogarli?-
- Se sono gli unici ad avere informazioni allora non vedo altra soluzione-
- Ma non sarebbe meglio aspettare che si riprendano e vengano dimessi?- intervenne Camel dubbioso.
- Mi spiace ma non intendo aspettare. Non sono tenuto a provare compassione per loro- replicò deciso.
- Tu che dici?-
 
Non si accorse nemmeno della domanda che Yuriy le aveva rivolto, tanto era immersa nei suoi pensieri.
 
- Jodie?-
 
La voce di Shuichi la riportò alla realtà.
 
- Cosa?- scosse la testa, come se si fosse improvvisamente svegliata da un sonno durato anni.
- Cerca di stare attenta, se perdi le spiegazioni poi dobbiamo ripetere da capo- la rimproverò il suo fidanzato, ma senza essere troppo duro.
- Scusate- si tolse gli occhiali, passandosi una mano su tutto il viso.
- Akai voleva andare all’ospedale ad interrogare Viktor e Aleksander- gli riassunse la situazione Yuriy, che la guardava preoccupato.
- Adesso?-
- È la stessa reazione che abbiamo appena avuto io e Camel, ma lui non demorde- indicò Shuichi con il pollice.
- Volete andare subito?-
- Non abbiamo motivo di aspettare, no?- le rispose il suo fidanzato.
- Se non ti senti bene puoi restare qui e finire di compilare la documentazione di quello che abbiamo fatto ieri sera. Così se James ti chiama puoi andare- disse il russo.
 
Di certo doveva aver capito che quel giorno la sua unica preoccupazione era quella di ricevere una risposta definitiva dal suo capo nonché ex tutore legale, lo avevano capito tutti.
 
- Io credo sia meglio che venga anche lei, non le fa bene stare qui da sola- disse Shuichi.
- Possiamo andare io e te e lasciare Camel con lei. Tanto non servono più di due persone per l’interrogatorio- suggerì il russo.
- Lei ci serve, dimentichi che ha fatto la parte più grossa del lavoro e che forse ha un po’ di potere su Viktor-
- Non credo abbia ancora un debole per me dopo che l’ho ridotto così- scosse la testa.
- Aspettate un momento…- li fermò Yuriy - Ci stiamo dimenticando di qualcun altro oltre a Viktor e Aleksander-
- E chi?- chiese Camel.
- La vedova di Harrington e il suo caro fratellino. Oksana ha detto che anche loro c’entravano qualcosa. Forse è il caso che qualcuno vada anche da loro-
- Non possiamo farlo prima di avere la confessione di Viktor- disse lei - Altrimenti se scoprono che è stata Oksana a darci queste informazioni gliela faranno pagare cara e non voglio-
- Tranquilla, ho la soluzione- sorrise Shuichi, come sempre con quell’aria sicura di sé.
- E quale sarebbe?-
- Da quando li abbiamo catturati ieri sera, Viktor e Aleksander sono sempre stati costantemente tenuti sotto controllo dai nostri agenti: in questo modo è impossibile che abbiano contattato Charlotte e Daniel Harrington per raccontargli dell’accaduto e pianificare un modo per uscirne tutti puliti. Basterà andare da Charlotte e dire che Viktor ha vuotato il sacco, così non sospetterà di Oksana-
- Dobbiamo mentirle?- chiese Camel incredulo.
- Lo facciamo a fin di bene- rispose - Il fine giustifica i mezzi-
- Quindi che si fa? Io e te andiamo all’ospedale e Jodie va da Charlotte?- suggerì Yuriy.
- Sì, mi sembra una buona idea. Camel, accompagna Jodie- ordinò.
- Non serve, posso andare da sola- rispose - In fondo non corro rischi, Charlotte non si sporcherebbe mai le mani per farmi del male-
- Lei no, ma ho il sospetto che Daniel possa trovarsi da lei. Come dice il detto “quando il gatto non c’è i topi ballano”: ora che Russel è fuori dai giochi credo che Daniel frequenti più spesso quella casa-
- Nessun problema, vado con lei- accettò Camel, che non avrebbe mai disobbedito a un ordine di Shuichi.
- Bene, allora andiamo- si alzò in piedi Yuriy, seguito da tutti gli altri.
 
Le seccava abbandonare l’ufficio, poiché sperava che James sarebbe entrato in qualsiasi momento e avrebbe accettato la sua relazione con Shuichi; tuttavia non poteva sottrarsi al suo dovere o gli avrebbe dato un motivo in più per non concederle il beneficio del dubbio.
Alla fine si alzò anche lei ed uscì insieme ai suoi colleghi. Purtroppo non poteva fare altro che attendere che quella giornata volgesse al termine per sapere come sarebbe andata a finire quella storia.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Ed eccoci con un nuovo capitolo in cui abbiamo avuto un “assaggio” di conversazione fra James, Shuichi e Jodie (con la partecipazione straordinaria di Yuriy e Camel ma vabbè). Nel prossimo capitolo ci sarà sicuramente la risoluzione definitiva del caso sulla mafia russa e se il capitolo non verrà troppo lungo includerò anche il “verdetto finale” di James sulla relazione fra Jodie e Shuichi e sulla lettera di dimissioni di quest’ultimo, altrimenti metterò questa parte nel capitolo 44.

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Capitolo 43
*** Capitolo 43: Case Closed ***


Capitolo 43: Case Closed
 
 
Giunti davanti al portone del grande e lussuoso palazzo dove viveva la vedova di Harrington, Camel parcheggiò l’auto a sinistra delle scale.
 
- Mi dispiace che ti abbiano costretto ad accompagnarmi, potevo benissimo venire qui da sola- sentì il bisogno di scusarsi mentre scendeva dall’auto.
- Nessun problema, è sempre meglio muoversi in coppia in queste situazioni- replicò il collega - E poi non sarei stato di molto aiuto a Yuriy e ad Akai, non so parlare il russo-
- Nemmeno Shu lo conosce-
- Sì, ma è pur sempre quello che ha sparato a Viktor e che gli ha dimostrato di essere più forte di lui-
 
Annuì, senza più dire nulla. Non era in vena di chiacchiere, voleva solo chiudere quella questione il prima possibile e risolvere i suoi problemi personali, che le impedivano di concentrarsi.
Suonarono il campanello e Oksana venne ad aprire. Quando la vide la riconobbe subito e fece un cenno con la testa, scostandosi per farli entrare. Aveva capito perfettamente perché si trovassero lì.
Li scortò in silenzio fino al salotto, dove trovarono Charlotte e Daniel seduti sul divano uno di fianco all’altra. Vide i loro volti sbiancare, come se avessero appena visto comparire dal nulla due fantasmi.
 
- Buongiorno Signora Harrington- la salutò, senza dimostrarsi troppo cordiale - Si ricorda di me?-
- Ma certo, la Signorina Starling, giusto?- cercò di mascherare il più possibile il suo nervosismo dietro un’apparente eleganza e formalità.
- Cosa diavolo volete ancora?!- tuonò Daniel, alzandosi di scatto dal divano come se volesse intimorirli - Si può sapere perché li hai fatti entrare?!- gridò contro Oksana, la quale si strinse nelle spalle in un gesto di auto difesa.
- Daniel calmati, ti prego- cercò di farlo ragionare Charlotte, posandogli una mano sulla spalla - Lo dovete scusare, è ancora scosso per la morte di suo fratello. Siamo tutti scossi- tentò di giustificarlo.
- Allora voleva bene a suo fratello, in fondo- intervenne lei, alimentando il fuoco.
- Come si permette?!- la guardò con odio il giovane Harrington - Viene qui senza permesso e oltretutto si permette di insinuare che io non volessi bene a mio fratello?!-
- Sto solo facendo delle assunzioni sulla base di quello che mi è stato detto dalla Sig.ra Charlotte. Quando ho parlato con lei mi ha detto lei Russel non eravate in buoni rapporti, al punto tale che lei non aveva più messo piede in questa casa. Mi è venuto spontaneo pensare che fra voi ci fosse astio-
- Lei non sa un bel niente!-
- Oh, invece so più di quanto credete-
- Che intende dire?- si insospettì la vedova.
- Lei è mai stato al locale Òstrae a Little Odessa?- la ignorò, rivolgendosi di nuovo a Daniel.
- Io non frequento locali squallidi gestiti da criminali- gli rispose piccato - Vengo dall’Upper East Side-
- Certo, i ricchi frequentano solo posti da ricchi- lo derise - Peccato che Irina Volkova, l’amante di Russel, l’abbia vista poche settimane fa aggirarsi proprio in quel locale in compagnia di Viktor Krayevsky, l’uomo che con ogni probabilità ha ucciso suo fratello. Ora, analizzando la situazione, o lei ha un sosia russo che si aggira nel quartiere di Little Odessa, oppure ci sta nascondendo qualcosa-
 
L’espressione di Charlotte cambiava secondo dopo secondo, sempre più tesa e pallida. Ormai li aveva in pugno, doveva solo spingerli al punto di confessare e ammettere che tutto ciò che stava dicendo corrispondeva al vero. Forse con Charlotte ci sarebbe riuscita anche prima, ma Daniel era un osso duro, il tipico riccone senza scrupoli né sentimenti.
 
- E lei crede alle parole di una prostituta che balla nuda in sudici night club spacciando droga?!- replicò lui - L’FBI perde colpi-
- Badi a come parla!- intervenne Camel, che si sentì chiamato in causa da quell’ultima affermazione.
- Fantastico, la bionda svampita si è portata dietro il pappagallo!- allargò le braccia.
- Daniel smettila- lo zittì Charlotte, tentando di riacquistare la dignità e la compostezza che stava perdendo poco a poco - Signorina Starling, mi permetta di dirle che Irina è la causa della rovina del mio matrimonio con Russell. Non è proprio il genere di persona di cui fidarsi, non so se mi spiego-
- Si spiega benissimo, ma io credo che le persone di cui non dobbiamo fidarci in questa storia siano altre. Russell sapeva della sua relazione clandestina con Daniel?-
- Questo è troppo, fuori da casa mia!- gridò il diretto interessato, indicandogli la porta.
 
Quel “mia” pronunciato con tanta sicurezza tradì esplicitamente il suo desiderio di impossessarsi delle ricchezze del fratello. Ora che Russel era fuori dai giochi poteva abbindolare Charlotte e portarle via ciò che aveva ereditato.
 
- Questa casa non è sua, ma della Signora Charlotte. L’ha ereditata in quanto moglie del Signor Russel- gli fece presente.
- Io non capisco davvero di cosa stia parlando e chi le abbia dato queste informazioni, ma è tutto falso- si giustificò la vedova.
- Non faccia la finta tonta con me, non attacca. Lei e Daniel avete una relazione da tempo e insieme avete escogitato un piano per impossessarvi delle ricchezze del Signor Russel. Aveva deciso di investire una grossa somma di denaro per riscattare la libertà di Irina e poter finalmente vivere con lei, ma voi non potevate accettare di restare senza un soldo. L’ex moglie che avrebbe perso denaro e reputazione fra l’élite dei ricchi e il fratellino che da sempre era il numero due, oscurato dalla fama del primogenito. Così avete stretto un’alleanza con Viktor, il quale non avrebbe mai lasciato andare Irina per nulla al mondo. Alla fine ognuno avrebbe ottenuto ciò che voleva. Non è forse andata così?-
- Voi siete completamente pazzi!- scosse la testa Daniel, che continuava a recitare la parte dell’innocente.
- Vi conviene ammettere tutto, se collaborate forse avrete una possibilità in più di non marcire in galera per il resto dei vostri giorni- li avvertì Camel.
- Noi non collaboriamo perché non abbiamo fatto proprio niente!- puntualizzò Daniel.
 
Era più dura del previsto ottenere ciò che cercavano e stava iniziando a stufarsi del giochino che lei stessa aveva iniziato. Non aveva tempo da perdere ed era già abbastanza nervosa di suo senza che quell’idiota con una cravatta da duemila dollari la spingesse all’esasperazione. Era arrivato il momento di giocare la carta che le aveva dato Shuichi.
Estrasse il cellulare dalla tasca e finse di leggere un messaggio.
 
- D’accordo, visto che non volete collaborare allora saremo costretti a portarvi alla nostra sede con la forza, se necessario. Due nostri colleghi hanno appena interrogato Viktor e lui ha confessato confermando quello che ho appena detto. Hanno registrato tutto, quindi abbiamo delle prove- sorrise beffarda.
- Quali prove?- chiese Daniel - La parola di quel criminale contro la nostra? Guardi che noi siamo gente per bene-
- Non è quello che ha detto Viktor-
- Certo, ora dirà che siamo stati noi ad uccidere Russel! Ma le ricordo che noi non facciamo parte della mafia russa, l’unica russa qui dentro è la cameriera e dalla faccia non mi sembra così pericolosa- rivolse un’occhiata sprezzante alla povera Oksana, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio ad osservare la scena con il terrore di essere scoperta.
- Oh no, ha ammesso di essere stato lui insieme al suo clan ad occuparsi dell’omicidio. Ma ha aggiunto che è stato pagato profumatamente per farlo e quei soldi glieli ha dati proprio lei, Signor Harrington. Ci basterà controllare i suoi movimenti bancari e sono certa che troveremo un prelievo di una grossa cifra in contanti. Vuole ancora continuare a negare di essere il mandante dell’assassinio di suo fratello?- lo sfidò.
 
Per la prima volta da quando avevano iniziato quella sfida mascherata da conversazione Daniel non disse nulla, si limitò a fissarla con tutto l’odio che aveva in corpo. Come si dice, chi tace acconsente.
Charlotte si lasciò cadere seduta sul divano, come se quel poco di forze che le restavano avessero abbandonato il suo corpo per sempre.
 
- Anche da morto continua a tormentarmi- si lasciò sfuggire a bassa voce.
 
Daniel la guardò storto, sapeva che se la sua unica spalla avesse ceduto non gli sarebbe rimasto più nulla su cui aggrapparsi. La rete di bugie che avevano tessuto si era sgretolata davanti ai loro occhi e la vedova nera era rimasta vittima del suo stesso veleno.
 
- Prima mi tradisce con una sciacquetta qualunque venuta dall’est Europa, poi vuole darle quello che spetta a me di diritto e adesso vuole anche mandarmi in galera dalla tomba!- si sfogò, lasciando uscire la rabbia che aveva represso per troppo tempo - Tutto questo me lo sono guadagnata!-
- Guadagnata?- la fissò incredula - Lavorando ci si guadagna qualcosa, non sposando uno ricco!-
- Ho continuato a stare al suo fianco nonostante mi tradisse, ho sopportato che facesse uso di droghe, sono stata al sui fianco ogni singolo giorno ad ogni singolo evento dell’alta società, presentandomi come la moglie perfetta. Ho sacrificato me stessa per lui. Secondo lei è abbastanza?-
- È stata una sua scelta, nessuno l’ha costretta. E in ogni caso non le dava il diritto di troncare una vita- replicò stizzita.
- Dobbiamo portarvi in sede per l’interrogatorio- intervenne Camel - O ci venite di vostra spontanea volontà o ricorreremo alle maniere forti-
 
Fece appena in tempo a finire la frase che Daniel scattò in avanti e cercò di correre verso la porta, ma Camel riuscì a bloccarlo sbattendolo faccia al muro e tenendolo fermo per i polsi. Contro un gigante come lui era impossibile opporre forza fisica.
Il collega lo ammanettò e continuò a tenerlo fermo per impedirgli ogni tentativo di fuga. Nel frattempo, Charlotte aveva assistito a tutta la scena senza proferire parola. Le si avvicinò ed estrasse il suo paio di manette.
 
- Lei cosa intende fare, Signora Harrington? Mi concede l’onore di ammanettarla o vuole fare come il suo amante e giocare a guardie e ladri?-
 
La vedova abbozzò un triste sorriso e si alzò dal divano, porgendo in avanti le mani con i palmi rivolti all’insù in segno di resa. Le chiuse le manette ai polsi e la invitò a seguirla verso l’uscita.
Prima di andarsene rivolse uno sguardo veloce ad Oksana e le fece un cenno per ringraziarla: se non fosse stato per lei non sarebbero giunti così presto alla soluzione del caso.
Fu così che lasciarono la lussuosa dimora Harrington. Fecero accomodare i due amanti sul sedile posteriore e partirono diretti alla sede dell’FBI, dove avrebbero svolto il vero e proprio interrogatorio. Quando salì in macchina mandò un veloce messaggio a Shuichi, una frase in codice tipica del loro mestiere che di certo lui avrebbe capito.
“Torniamo alla base. Gli uccellini hanno cantato”.
 
 
************
 
 
Non appena giunsero al parcheggio dell’ospedale dove Viktor e Aleksander erano stati ricoverati la notte prima, chiamò subito uno degli agenti di guardia per avvisarlo che stavano arrivando. Anche se cercava di non darlo a vedere era nervoso per quanto accaduto poco prima nell’ufficio di James, sfogarsi torturando un po’ quei due criminali gli avrebbe fatto bene. Inoltre aveva un conto in sospeso a livello personale con uno di loro, Viktor: non gli era ancora andata giù l’idea che avesse toccato Jodie e anche solo pensato di poter fare certe cose con lei. Se quello era il suo ultimo caso voleva andarsene col botto.
 
- Secondo te abbiamo fatto bene a fare andare quei due da soli nella tana del lupo?- chiese Yuriy, interrompendo il silenzio.
- Sono due agenti speciali, sanno difendersi-
- Sì, ma quel Daniel mi piace poco- confessò.
- Ho fiducia in loro, inoltre Camel in quanto a forza fisica è superiore a me e te messi insieme-
- Infatti non ero preoccupato per lui, ma per la tua bella-
- Jodie sa cavarsela benissimo-
- Se lo dici tu-
 
Presero l’ascensore e salirono i piani dell’ospedale fino a raggiungere quello dove si trovava la stanza in cui avevano messo i due criminali. Fuori dalla porta vi erano due agenti dell’FBI di guardia e dentro ve ne erano altri tre. Viktor e Aleksander erano sdraiati sui rispettivi letti, legati mani e piedi in modo da impedire loro ogni tentativo di fuga. Erano due soggetti molto pericolosi in quanto membri della mafia russa e pertanto avevano deciso di adottare più misure di sicurezza possibili.
Viktor aveva due fasciature alle gambe nei punti dove lo aveva colpito coi proiettili, le garze erano impregnate di sangue nella zona dei fori. Venne a sapere da un suo collega che durante la notte lo avevano operato per estrargli i proiettili. Anche Aleksander aveva una fascia sul braccio dove Yuriy gli aveva sparato.
Quando li videro si innervosirono all’istante e iniziarono ad agitarsi e a parlare nella loro lingua. Non capiva cosa stessero dicendo, ma ebbe l’impressione che stessero imprecando contro loro.
 
- Cosa dicono?- chiese a Yuriy, per avere una conferma.
- Cose poco carine sul nostro conto- riassunse.
- Immaginavo-
 
Si avvicinarono ai letti e lui ricambiò lo sguardo minaccioso di Viktor. Dopo aver vissuto per tre anni sotto copertura in un’organizzazione criminale non erano certo dei tatuaggi e dei muscoli a spaventarlo.
 
- Sei venuto a spararmi ancora e ti sei portato dietro la scorta?- gli chiese Viktor con tono sprezzante.
- Non sei un avversario abbastanza interessante- replicò.
 
Il russo scoppiò a ridere e si girò verso il compagno pronunciando qualcosa nella loro lingua madre.
 
- Gli sta dicendo che sei divertente. E ti ha insultato di nuovo- tradusse Yuriy.
- Dunque sei in vena di divertirti- si rivolse direttamente al suo avversario - Allora perché non ci racconti di quanto è stato divertente uccidere Russel Harrington?-
- Chi ti ha detto che l’ho ucciso io?- tornò serio.
- Beh, ci sono diverse prove che portano a te e al tuo clan-
- Per esempio?-
- Il simbolo che è stato trovato sul luogo del delitto, lo stesso che hai tatuato sul braccio. È il simbolo del tuo clan, giusto?-
- Mi dispiace deluderti, cane della polizia, ma non sono l’unico ad avere questo tatuaggio-
- Allora parliamo della cocaina che vendevi a Russel?- continuò con le accuse.
- Con lui era un piacere fare affari- ghignò - Era uno dei miei migliori clienti, perché avrei dovuto farlo fuori?-
- Perché lui voleva una cosa che tu non eri disposto a concedergli. Il nome Irina ti dice niente?-
- Quella è solo una maledetta puttana, come quella biondina che ti sei portato appresso ieri sera!- alzò la voce.
 
La sua reazione gli fece capire che lo aveva colto nel vivo, Irina era un argomento molto delicato per lui, probabilmente il suo unico punto debole. Doveva sfruttarlo a suo favore. Il fatto che avesse usato lo stesso appellativo poco carino anche per Jodie, però, gli fece ribollire il sangue: nessuno si doveva permettere di definire la sua donna in quel modo.
Istintivamente, posò una mano sulla sua gamba e con il pollice premette più forte che poteva sulla ferita che gli aveva inflitto, fino a quando non lo sentì urlare e imprecare per il dolore.
 
- Modera i termini, o ti faccio assaggiare il resto che non ti ho dato ieri sera- lo fissò minaccioso.
- Non mi fai paura- gli rispose il russo.
- Nemmeno tu-
 
Yuriy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservare la scena, intervenì parlando nella loro lingua, forse nel tentativo di creare una connessione. O forse stava solo cercando un diversivo per dargli modo di calmarsi, doveva sicuramente aver notato la sua reazione dopo l’insulto a Jodie.
Viktor e Aleksander gli risposero, dando vita a un botta e risposta in cui lui non stava capendo nulla.
 
- Yuriy, puoi rendere partecipe anche me?- chiese infine al collega.
- Scusami, traduco subito. Ho detto loro che sappiamo dell’accordo che hanno fatto con Charlotte e Daniel Harrington, ma continuano a negare di aver avuto rapporti con loro. Di questo passo non caviamo un ragno dal buco-
- E così Daniel Harrington non vi ha dato del denaro per commissionarvi l’omicidio di Russel?- si rivolse direttamente ai due criminali.
- Noi accettiamo commissioni solo da chi è più in alto di noi- gli rispose piccato Viktor.
- A me risulta invece che i soldi li abbiate presi eccome. Daniel è stato visto nel locale di ieri sera poco tempo fa e stava parlando proprio con te. La tua Irina ci ha raccontato tutto, quindi risparmiati di mentire. Non abbiamo tempo da perdere-
 
Viktor emise una sorta di grugnito e strinse i pugni, cercò di sbatterli ma le manette lo tenevano legato a tal punto da impedirgli di muoversi. Però ancora nella sua lingua e Yuriy prontamente tradusse.
 
- Sta insultando Irina, meglio che non traduca perché è davvero ai limiti della volgarità consentita-
 
Era stanco di quel tira e molla, stanco degli insulti e di colui che li lanciava. Era un tipo molto paziente, ma certe cose erano troppo anche per lui.
Posò entrambe le mani sulle sue gambe e di nuovo affondò i pollici nella zona del proiettile, facendo urlare di nuovo Viktor.
 
- Ti ho chiesto se Daniel ti ha pagato per uccidere suo fratello- ripeté la domanda.
- Muori!- gli rispose il russo.
 
Premette ancora di più i pollici sulla carne e il criminale latrò come un cane torturato.
 
- Vuoi che ti rovini per sempre le gambe o confessi di aver ucciso Russel Harrington?-
- Vaffanculo!-
 
Era un osso duro e andando avanti di quel passo non sapeva se sarebbe mai riuscito a farlo parlare.
Fu allora che vide Yuriy estrarre il telefono e guardarlo, come se stesse leggendo un messaggio. Lo vide sorridere e poi alzare lo sguardo incrociando i suoi occhi e lanciandogli una strana occhiata.
 
- Mi ha appena scritto Jodie, Charlotte e Daniel hanno confessato-
 
Sorrise beffardo quando realizzò cosa aveva appena fatto il suo collega. Lui stesso aveva ideato quella farsa con l’obiettivo di arrivare alla verità, ma alla fine non l’aveva messa in pratica. Per fortuna Yuriy se n’era ricordato e aveva ribaltato le carte in tavola.
Lo vide nuovamente parlare in russo ai due e stavolta la loro reazione fu diversa: la spavalderia di poco prima era sparita, si guardavano l’uno con l’altro cercando una soluzione a portata di mano per uscire puliti da quella storia. Peccato che quella soluzione non esistesse.
Viktor e Aleksander conversarono nella loro lingua, alzando i toni e scambiandosi strane occhiate.
 
- Stanno dicendo cose poco carine su Charlotte e Daniel, mi sembra abbastanza evidente che abbiamo colto nel segno-
- Credi che confesseranno?-
- Proviamo-
 
Raccolse l’ultimo po’ di pazienza che gli era rimasta e riformulò per l’ennesima volta le domande che aveva già fatto mille volte.
 
- Hai ucciso Russel Harrington per conto di Daniel?- si rivolse a Viktor.
- Mi aveva promesso dei soldi, ma quel bastardo me ne ha dati solo la metà!-
 
Avevano finalmente ottenuto quello che volevano, Yuriy aveva registrato la confessione con il cellulare. Erano pronti per lasciare l’ospedale e tornare alla sede dell’FBI. Si chiese se anche Jodie e Camel fossero riusciti nel loro intento, ma lo avrebbe scoperto solo una volta tornato.
Lasciarono la stanza sotto le imprecazioni dei due criminali: a loro avrebbero pensato una volta ristabilizzati.
 
- È andata bene- disse Yuriy.
- Ottima idea quella di fingere che fosse arrivato un messaggio- si complimentò.
- Veramente l’idea è stata tua, io l’ho solo messa in pratica-
- Lo hai fatto al momento opportuno-
- Comunque ti ho visto davvero nervoso, amico. Che nessuno osi mai pronunciare il nome della tua donna, sembravi impossessato da un demone-
- Non sopporto gli insulti alle donne-
- Alle donne o a Jodie?- lo punzecchiò.
- Jodie è una donna- rispose.
 
Senza aggiungere altro estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e scrisse un messaggio alla compagna: “Torniamo alla base. Gli uccellini hanno cantato”. Un secondo dopo aver premuto il tasto di invio ricevette a sua volta un messaggio dalla bionda. Sorrise nel constatare che gli aveva scritto esattamente la stessa cosa.
 
 
*******************
 
 
Arrivati alla sede si diressero direttamente alla stanza adibita agli interrogatori, dove fecero accomodare Charlotte e Daniel ancora ammanettati. Camel restò con loro per controllare che non fuggissero, mentre lei uscì per fare una telefonata veloce. Dopo aver ricevuto da Shuichi un messaggio identico a quello che gli aveva mandato lei, voleva capire se fossero sulla strada di ritorno e se volessero prendere parte all’interrogatorio. Shuichi era molto bravo in quello, sapeva come mettere all’angolo anche il più ostinato degli avversari.
Il telefono squillò un paio di volte e infine la voce dall’altro lato rispose.
 
- Jodie, sei tu?-
- Sì, dove siete? Noi siamo già nella stanza per gli interrogatori, volevo sapere se ci tenevi a prendere parte anche tu o se potevo cominciare-
- Siamo in ascensore, due minuti e arriviamo-
 
Attese fuori dalla porta fino a quando non li vide avvicinarsi da in fondo al corridoio. In tutto quel tempo non aveva visto James nemmeno una volta, sembrava essersi barricato nel suo ufficio e non mostrava alcuna traccia della sua presenza. Scosse la testa e cercò di tornare concentrata sul lavoro: aveva una questione da chiudere.
 
- Sono già dentro?- gli chiese il suo fidanzato, quando fu abbastanza vicino.
- Sì, sono con Camel. Daniel aveva tentato di scappare quando eravamo ancora a casa Harrington-
- Che figlio di buona donna- si lasciò sfuggire Yuriy.
- Forza, entriamo-
 
Come sempre Shuichi non amava perdere tempo, entrò senza troppi complimenti e invitò Camel a uscire, dicendogli che avrebbe potuto osservare il tutto da dietro il vetro insieme a Yuriy. Non vi era alcuna necessità di restare tutti e quattro nella stanza, lui da solo valeva per dieci. Fece rimanere solo lei, forse perché pensava che Charlotte si sarebbe sentita più a suo agio avendo una presenza femminile.
Si sedette sulla sedia di fronte a loro e iniziò la tortura. Andò avanti per mezz’ora, cercando di farsi dare più dettagli e informazioni possibili, mentre registrava tutto quanto per avere delle prove. Ogni tanto la lasciava intervenire, insieme formavano una coppia strepitosa. Come avrebbe fatto senza di lui se fosse andato via? Al di là del loro rapporto sentimentale, se anche fossero stati semplici colleghi non avrebbe voluto lavorare con nessun altro se non con lui. Era dannatamente bravo nel suo lavoro e spingeva chiunque gli stesse vicino a dare il meglio di sé. Shu era un leader nato e aveva sempre pensato che un giorno avrebbe preso il posto di James. Adesso, però, le cose erano cambiate. Non le importava nemmeno più di quel caso di mafia russa, voleva solo parlare ancora con James e conoscere il suo verdetto.
Fu allora che lo vide apparire dall’altro lato del vetro, come se lo avesse invocato. Si mise al fianco di Camel e osservò attentamente la scena con lo sguardo serio e cupo. Cercò di calmare il cuore che aveva iniziato a battere all’impazzata e assunse un atteggiamento il più professionale possibile. Si sforzò di restare concentrata fino alla fine, quando Shuichi interruppe la registrazione ed estrasse la cassetta.
 
- Andiamo, abbiamo finito- le disse - Per quanto riguarda voi due, invece, farò venire due agenti che vi porteranno in cella dove resterete fino al giorno del processo- si rivolse a Charlotte e Daniel.
 
Uscirono dalla stanza e Shuichi si diresse immediatamente verso James, consegnandogli la registrazione. Invidiava il modo in cui stesse facendo tutto con una naturalezza tale da sembrare che avesse dimenticato che il suo posto era a rischio. Persino Yuriy e Camel erano tesi, spostavano gli occhi dall’uno all’altro come se stessero assistendo a una partita di ping pong.
 
- Hanno confessato, qui c’è tutto. Il caso è chiuso- gli disse.
- Ottimo lavoro, come sempre- rispose James, ma senza troppi convenevoli - Ti spiace se andiamo un attimo nel mio ufficio?-
 
Ecco, era arrivato il momento decisivo. Ancora pochi minuti e avrebbero avuto una risposta riguardo al destino di Shu nell’FBI e a quello della loro storia.
Il suo fidanzato acconsentì alla richiesta e i due si avviarono lungo il corridoio, sotto il suo sguardo e quelli di Camel e Yuriy. Strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia: perché la stavano di nuovo escludendo? Perché nessuno dei due aveva chiesto anche a lei di andare? Quella faccenda la riguardava da vicino, aveva il diritto di poter dire la sua.
 
- Secondo voi come andrà a finire?- chiese Camel, rompendo il silenzio.
- Non lo so, non sono riuscito a interpretare lo sguardo del vecchio- rispose Yuriy.
- Scusatemi-
 
Non aveva nessuna voglia di partecipare a quella conversazione, non voleva fare delle supposizioni su cosa sarebbe successo: voleva sapere con certezza cosa sarebbe successo.
A passi svelti, quasi correndo, inseguì i due fino a quando non li raggiunse proprio davanti alla porta dell’ufficio di James. Si girarono a guardarla senza fare domande: sapevano perfettamente entrambi perché si trovasse lì.
 
- Jodie, perché non vai con Camel e Yuriy a scrivere il rapporto sul caso? Così lo archiviamo una volta per tutte- gli suggerì Shuichi.
- Possono farlo anche da soli. Adesso devo stare qui- rispose seria.
 
Non sarebbero riusciti a mandarla via, non glielo avrebbe permesso.
James aprì la porta e fece cenno ad entrambi di entrare: anche lui doveva essere troppo stanco della situazione per opporre resistenza.
Si accomodarono di fronte a lui, una buffa coincidenza: adesso erano loro dall’altro lato, quelli che stavano per subire un interrogatorio.
 
- Mi congratulo con voi per aver risolto il caso- iniziò a parlare il loro capo - Ma non è per questo che vi ho chiamati qui. Ho riflettuto su quello che è stato detto questa mattina e sono giunto a una conclusione-
 
Prese una busta da sopra la scrivania, che entrambi riconobbero come la lettera di dimissioni che Shuichi aveva consegnato la mattina stessa e la strappò davanti ai loro occhi. Quel gesto la fece sentire sollevata, anche solo per un attimo. Forse James aveva davvero capito e aveva preso la decisione giusta.
 
- Sei troppo bravo per andartene, non possiamo permetterci di perderti- si rivolse direttamente a Shuichi.
- Questo significa che accetterai la mia relazione con Jodie?- chiese conferma il suo fidanzato.
- Posso tollerarla, ma non la condividerò. Mi limiterò a giudicare il vostro operato e sarò totalmente estraneo alle vostre questioni personali. Se mi accorgerò che la vostra relazione influirà sul rendimento del vostro lavoro allora interverrò, in caso contrario vi permetterò di continuare come state facendo ora. Sarò il vostro capo e non un vostro amico- concluse.
 
Quel discorso le arrivò dritto come una pugnalata allo stomaco. Avrebbero dovuto gioire, Shuichi non se ne sarebbe andato e avrebbero continuato la loro relazione, ma il prezzo da pagare era più di quanto si sarebbero mai immaginati. Dopo tutti quegli anni trascorsi insieme James per tutti loro non era solo un capo, ma qualcuno su cui si poteva sempre contare anche al di fuori del lavoro. Per lei in particolare, quell’uomo era un secondo padre che c’era sempre stato, nel bene e nel male, e che ora gli stava dicendo che non avrebbe più potuto contare su di lui. Se le cose con Shuichi avrebbero preso una brutta piega come in passato, questa volta non avrebbe avuto una spalla su cui piangere. Aveva ottenuto ciò che voleva, ma aveva perso qualcos’altro a cui teneva altrettanto.
Shuichi non disse nulla, si limitò a guardarla dispiaciuto. Sapeva che con i suoi occhi verdi gli stava chiedendo “Sei sicura di volermi a tal punto da rinunciare al tuo rapporto con James?”.
 
- Immagino di non poter fare più nulla per farti cambiare idea- disse infine, vedendo che la risposta da parte sua non arrivava.
- Prendere o lasciare- gli pose l’ultimatum.
- E se lascio?-
 
Diamine, perché cercava ancora di provocarlo? Quanto sarebbe durata quella stupida e inutile guerra?
Era stanca, la testa le faceva male e avvertiva un leggero senso di nausea. Il suo corpo si stava ribellando alla pressione dello stress che la divorava dall’interno. Voleva solo svegliarsi da quell’incubo, il problema era che non stava affatto sognando.
 
- Non mi va di continuare questo giochetto fatto di minacce- ammise James - Se vuoi andartene non te lo impedirò, ma non cambierà ciò che penso, perciò il tuo sarebbe un sacrificio inutile-
 
Avrebbe voluto dire tante cose, ma dalla sua bocca non usciva nulla. Si sentiva intrappolata tra un padre e l’amore della sua vita.
 
- Ho capito. Grazie James, togliamo il disturbo e torniamo al lavoro-
 
Con quelle ultime parole il suo fidanzato si alzò in piedi ed esortò anche lei a farlo. Ormai avevano avuto la risposta che aspettavano, che gli piacesse o meno dovevano accettarla.
 
- Vieni, andiamo- le disse, posandole una mano sulla spalla.
 
Era certa che capisse perfettamente come poteva sentirsi, sapeva bene che legame ci fosse fra lei e James e sicuramente si sentiva tremendamente in colpa per essere la causa della rottura del loro rapporto.
Come un automa privo di ogni sentimento umano, si alzò dalla sedia e guardò con gli occhi lucidi quell’uomo che un tempo l’aveva cresciuta come se fosse sua. Non era facile dirgli addio.
Anche James la fissò a lungo, tanto che potè scorgere lo stesso dolore nei suoi occhi. Infine gli diede le spalle e seguì Shuichi fuori dall’ufficio.
 
- Vuoi restare un po’ sola con lui?- le chiese, non appena si chiusero la porta alle spalle.
- Tanto non cambierà idea- rispose, tenendo lo sguardo basso.
- Io credo che ora lui sia solo arrabbiato, ma non rinuncerebbe a te per niente al mondo-
- Lo ha appena fatto-
- Non sta ragionando con lucidità-
 
Scosse la testa, tenendo gli occhi chiusi. Aveva una gran voglia di piangere ma non poteva farlo lì, sul posto di lavoro.
 
- Va tutto bene?-
 
La voce di Yuriy le fece alzare gli occhi solo per un istante. Lui e Camel erano a un metro da loro, visibilmente preoccupati.
 
- Adesso torniamo in ufficio e finiamo di compilare i documenti- rispose Shuichi.
- I documenti non sono importanti adesso- rispose Yuriy - Che cosa vi ha detto James? Non dirmi che te ne vai perché giuro che faccio un casino-
- Non serve, non me ne vado. Ha stracciato la lettera di dimissioni-
- Lo sapevo!- esclamò Camel tutto contento - Non ti avrebbe mai permesso di andare via-
- E allora cosa sono quelle facce da funerale? Non vuole che stiate insieme?-
- No, ci ha dato il permesso-
- Beh allora dovreste fare i salti di gioia!- allargò le braccia il russo.
- La questione è più complicata di così. Meglio rimandare l’argomento, ora abbiamo del lavoro da fare- tagliò corto Shuichi.
- Allora che ne dite se stasera usciamo a bere qualcosa per festeggiare la chiusura del caso e ci aggiornate sulla situazione? Ti va, blondie?- si rivolse direttamente a lei, cercando di farla parlare.
- Andate voi- gli rispose, nemmeno troppo cordialmente, pentendosene subito dopo.
 
Yuriy e Camel non avevano nessuna colpa, ma non le andava di stare a sentire nessuno in quel momento.
 
- Che ti prende?- le chiese Camel, stranito dalla sua reazione.
- Ho bisogno di stare un attimo da sola. Voi andate pure in ufficio e cominciate senza di me, vi raggiungo fra poco-
- Jodie…- provò a parlare il suo compagno.
- Shu, per favore- lo supplicò.
- Non credo ti faccia bene stare sola in questo momento. Magari lavorare ti aiuterà a non pensare-
- Mi serve solo un dannato attimo- lo fissò negli occhi, mentre una lacrima le sfuggiva scendendo lentamente lungo la guancia - Ho appena perso un padre…di nuovo-
 
Senza aggiungere altro si congedò dai tre uomini, che restarono a guardarla impotenti.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Sono viva, per chi se lo stesse chiedendo! Mi scuso per aver lasciato questa storia senza aggiornamenti per due anni, anni in cui sono successe tantissime cose nella mia vita e in cui non ho più scritto nulla. Ma avevo promesso di finire questa storia a cui tengo molto e quindi rieccomi qui. Grazie a tutti quelli che nel frattempo hanno continuato a rileggere la storia e a darmi il loro supporto, non sapete quanto sia stato importante per me.
Ci vediamo al prossimo capitolo

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Capitolo 44
*** Capitolo 44: Per sempre mio padre ***


Capitolo 44: Per sempre mio padre
 
 
 
Rimase a guardare la sua donna mentre si allontanava, probabilmente diretta verso i bagni, chiedendosi se avesse dovuto seguirla, ma Jodie aveva reso chiaro che in quel momento non le andava di parlare o di avere gente intorno. Non poteva certo biasimarla, l’unica parvenza di famiglia che le restava le aveva appena detto chiaramente che non ci sarebbero stati altri rapporti fra loro se non quelli lavorativi.
 
- Perché non andiamo in ufficio e mentre compiliamo quelle noiose scartoffie non ci racconti cosa è successo nell’ufficio del grande capo?- intervenne Yuriy, che di certo aveva capito che qualcosa non andasse.
 
Annuì, lasciando perdere l’idea di inseguire Jodie e incamminandosi verso il loro ufficio. Doveva concederle tempo e spazio, come lei aveva fatto innumerevoli volte con lui.
 
- Dobbiamo preoccuparci?- chiese Camel, non appena si furono chiusi la porta alle spalle.
- Se temete che qualcuno di noi due venga licenziato allora no, potete stare tranquilli-
- E allora cos’è successo? Jodie era sconvolta- disse Yuriy.
- James ha detto che non si intrometterà nella nostra relazione purchè questa non interferisca con il nostro lavoro-
- Che mi sembra un’ottima cosa, no?-
- Lo sarebbe, se non avesse aggiunto che intende avere con noi un semplice rapporto lavorativo e nulla più, perché non condivide la nostra scelta pur tollerandola-
- Capisco- sospirò il russo - So che James per Jodie non era solo un capo ma le ha fatto da padre, quindi immagino avessero un rapporto molto più profondo al di fuori del lavoro. Dev’essere dura per lei sapere di non poter più contare su di lui-
- Già-
- Possiamo fare qualcosa?- chiese Camel, sempre disposto ad aiutare quando e dove poteva.
-  Forse se si parlassero di nuovo, fuori da qui intendo, potrebbero chiarirsi?- ipotizzò Yuriy.
 
Quelle parole furono come un lampo che attraversò la sua mente, sbloccando ricordi e facendo nascere una nuova idea. Si ricordò di quando lui e il ragazzino avevano ideato tutti quei piani per riuscire a parlare con Shiho e pensò che forse avrebbe potuto riutilizzare ancora una volta quella tattica per far incontrare Jodie e James. Un piano vecchio e subdolo, ma che alla fine si rivelava sempre efficace.
 
- Cominciate pure a compilare i documenti, io devo fare una cosa e poi torno-
 
Con il suo solito sorrisetto beffardo stampato sul volto, si alzò dalla sedia e se ne andò, lasciando i due compagni lì a chiedersi cosa gli fosse preso.
Camminò di nuovo fino all’ufficio di James, bussò due colpi alla porta e senza attendere una risposta la aprì ed entrò. Non aveva tempo da perdere, quella storia doveva giungere a una conclusione positiva e doveva farlo entro la fine di quella giornata.
 
- Ci sono problemi?- gli chiese James, convinto che dopo la loro conversazione il motivo per cui si trovasse di ancora lì fosse di natura lavorativa.
- Sì, uno grosso- rispose.
- Mi sembrava di aver capito che stesse andando tutto bene con il caso-
- Oh, quello sì, ci stiamo già occupando della parte burocratica. Il problema è un altro-
- Di cosa si tratta-
- Di tua figlia-
 
Pronunciò quella parola di proposito, sapendo l’effetto che avrebbe sortito sull’anziano. Poteva fare il duro quanto voleva, ma sapeva bene che i suoi sentimenti per Jodie non erano cambiati nemmeno di una virgola. Li aveva visti quegli occhi arrossati poco prima, velati da lacrime trattenute. Era meschino fare leva sul suo punto debole, ma lo stava facendo a fin di bene.
 
- Mi sembrava di essere stato chiaro, non voglio più tornare sull’argomento- si impuntò.
- Devi tornarci invece, perché non voglio vedere Jodie nelle condizioni in cui è ora e so che non lo vuoi nemmeno tu-
- Senti da che pulpito- replicò - Anche io non voglio vederla di nuovo nelle condizioni in cui l’ho vista sei anni fa-
- Ho pagato per quello, James, ho scontato le mie colpe. Proprio perché sai come è stata per colpa mia, non fare il mio stesso errore, altrimenti i sensi di colpa di divoreranno giorno dopo giorno- cercò di farlo ragionare.
 
Il suo capo non rispose, chiuse gli occhi e assunse l’espressione che era solito fare quando rifletteva su qualcosa di importante, per prendere la decisione giusta. Forse era riuscito nel suo intento di persuaderlo, ma nel dubbio decise di giocare l’ultima carta che aveva a sua disposizione.
 
- Quando ho deciso di entrare nell’FBI mia madre si arrabbiò a morte. Per lei era una follia, il capriccio di un bambino che aveva perso la testa. La verità era che non sopportava l’idea di potermi perdere, come aveva perso mio padre. Io ignorai il suo volere e alla fine si arrese e mi lasciò partire per l’America, anche se non condivideva la mia scelta. Durante tutto il mio percorso per diventare un agente non fece nulla per cercare di dissuadermi, le nostre telefonate divennero sempre meno frequenti e alla fine pensai che il nostro rapporto non sarebbe più stato lo stesso a causa della mia scelta. Eppure, il giorno della cerimonia dei nuovi agenti volò fino a qui dal Giappone per assistere. Ha fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi genitore, anche se pensava che stessi sbagliando. Davvero non puoi fare lo stesso per Jodie?- concluse.
 
Di nuovo silenzio, James incassava i colpi senza controbattere. Gli spiacque doverlo torturare in quel modo, ma era necessario per rimettere i tasselli al loro posto. Non poteva fallire.
Si avvicinò alla scrivania del suo capo e sotto i suoi occhi attenti prese una penna e un bigliettino, scrivendoci sopra un indirizzo.
 
- Stasera vieni da me per le nove, Jodie sarà lì. Vi lascerò soli in modo che possiate parlarvi-
- Cosa ti fa pensare che verrò?- gli chiese.
- Il fatto che ami Jodie anche più di quanto la ami io- sorrise, sicuro di sé.
 
Certo di aver ottenuto ciò che voleva, lasciò il suo ufficio e si diresse verso i bagni.
 
 
****************
 
 
Si asciugò le tracce lasciate dalle lacrime con una salvietta di carta e si rinfrescò il viso con un po’ d’acqua. Ormai era diventata un’abitudine quella di piangere in bagno al lavoro, ma almeno questa volta non c’erano in giro le perfide Rachel e Tara. Attese ancora qualche minuto che gli occhi si sgonfiassero e il rossore sparisse, non voleva farsi vedere così dagli altri. Sentiva di non aver ancora pianto abbastanza, il peso sul petto non se n’era andato. Perché James si stava comportando così? Perché le aveva voltato le spalle? Sapeva quando amasse Shuichi, eppure pretendeva che lo lasciasse perdere per una cosa successa ormai sei anni prima. Non riusciva a comprendere che, nel suo disperato tentativo di non vederla più soffrire per un uomo, era proprio lui l’uomo che la stava facendo soffrire. L’essere umano è complicato e contraddittorio.
Sentì la porta del bagno aprirsi, segno che era entrata qualche sua collega. Si nascose velocemente in uno dei bagni e attese: quando sentì la porta di un altro bagno chiudersi sgattaiolò fuori stando attenta a non fare rumore.
Fuori dalla porta, ad attenderla, trovò Shuichi che se ne stava appoggiato con la schiena al muro.
 
- Tutto bene?- le chiese.
- Meglio- mentì.
 
Ad uno come lui era impossibile nascondere qualunque cosa, di sicuro si era già accorto dalla sua faccia che aveva pianto come una bambina.
 
- Vieni, andiamo dagli altri. Cerchiamo di finire presto così andiamo a casa- la invitò a seguirlo.
 
Avrebbe tanto voluto rifugiarsi fra le sue braccia in cerca di conforto, ma sapeva bene che non erano né il luogo né il momento adatto, perciò si accontentò delle sue premure e insieme a lui tornò al lavoro.
Con Camel e Yuriy non spese troppe parole, non aveva voglia di dare spiegazioni in quel momento, ma sentì i loro sguardi su di lei per tutto il tempo. Alla fine, prima di andare a casa, si scusò con Yuriy per il modo in cui gli aveva risposto e gli promise che sarebbero usciti a bere tutti insieme per festeggiare un’altra sera.
 
 
Una volta usciti e saliti in macchina, Shuichi l’accompagnò a casa sua. Quando non lo vide scendere dall’auto, pensò che non volesse restare da lei per la notte e si rattristò più di quanto non fosse già. Magari dopo la sua reazione pensava che volesse stare sola, ma in realtà di stare sola non ne aveva proprio voglia. Aveva bisogno di lui più che mai.
 
- Non rimani?- si azzardò a chiedergli.
- Siamo qui solo per prendere le cose che ti servono. Stanotte resti da me-
 
Gli rivolse il primo sorriso della giornata, felice di non essere stata abbandonata anche da lui.
 
- Dammi dieci minuti e torno-
 
Raggiunse velocemente il suo appartamento e si diresse in camera da letto, dove prese dall’armadio un borsone in cui mise la sua camicia da notte, lo spazzolino da denti, un cambio di vestiti per il giorno seguente, alcuni trucchi e poco altro. Poi scese nuovamente dal suo fidanzato che l’aspettava in macchina.
 
Durante il viaggio verso casa sua, Shuichi cercò di distrarla parlandole del caso che avevano appena chiuso, complimentandosi con lei per come aveva gestito la situazione con Charlotte e Daniel Harrington. Ricevere i complimenti dal migliore era di certo motivo di vanto, ma in quel momento non sarebbe riuscita a gioire nemmeno se avesse vinto un milione di dollari alla lotteria.
 
- Cosa ti andrebbe per cena?- le chiese, per cambiare discorso.
- Non ho fame- ammise.
- Se vuoi possiamo fermarci a prendere del gelato- cercò di invogliarla con qualcosa che difficilmente avrebbe rifiutato.
- Ti sorprende se ti dico che non mi va nemmeno quello?-
- Mi sorprenderebbe se non conoscessi la situazione-
- Grazie per quello che stai facendo per me Shu e scusami se oggi quando volevi aiutarmi ti ho risposto male-
- Tranquilla, è stata una reazione comprensibile-
 
Non parlarono più fino a quando non giunsero all’appartamento di Shuichi, meno lussuoso del suo ma comunque confortevole. La fece accomodare sul divano e portò il borsone con le sue cose in camera da letto, tornando da lei poco dopo.
 
- Vuoi bere qualcosa?- le chiese.
- Meglio di no, se mi do all’alcol stasera finisce male- abbozzò un sorriso.
- Se non vuoi del Bourbon ho sempre quel tè dell’ultima volta-
- Quello lo prendo volentieri-
- Vado a mettere l’acqua nel bollitore, tu intanto fa’ come se fossi a casa tua. Se vuoi guardare la TV il telecomando è lì accanto, sul mobile-
 
Annuì, ma alla fine la TV non la accese. Non le andava nemmeno di vedere un film, non c’era nulla che avesse davvero voglia di fare.
Si tolse le scarpe, liberando finalmente i piedi e si rannicchiò sul divano, aspettando che il suo uomo tornasse. Aveva bisogno di un abbraccio, di sentirlo vicino a lei. Shuichi era tutto ciò che le restava ora che James era uscito dalla sua vita.
Pochi minuti dopo lo vide ricomparire con una tazza di tè in una mano e un bicchiere di Bourbon con ghiaccio nell’altra. Il solito vecchio abitudinario Shu.
Lo ringraziò quando le porse la tazza e si sedette accanto a lei.
 
- Cosa ti andrebbe di fare?- le chiese.
- A dire il vero nulla- ammise, bevendo un sorso.
 
Posò la tazza sul tavolino da salotto e si avvicinò a lui, posando la testa fra la sua spalla e il petto. Shuichi le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé.
 
- Vuoi parlare di James?-
 
Quella domanda fece crollare le ultime difese che le restavano e si lasciò andare al pianto che aveva trattenuto fino a quel momento. Shuichi posò il suo bicchiere e l’abbracciò, accarezzandole dolcemente la testa. Era grata di averlo accanto in quel momento.
 
- Se vuoi hai il diritto di odiarmi, è a causa mia se siamo arrivati a questo punto- le disse, mentre le toglieva delicatamente quegli occhiali a lei tanto cari.
 
Alzò il volto per guardarlo negli occhi, anche se vedeva tutto annebbiato a causa delle lacrime. L’ultima cosa che voleva era che si sentisse ancora in colpa per qualcosa, aveva trascorso gli ultimi anni con il peso di molte responsabilità sulla coscienza e ora che se n’era finalmente liberato non avrebbe permesso a niente e nessuno di farlo sentire ancora così, nemmeno a se stessa.
 
- Non dirlo mai più- lo rimproverò - Tu non hai nessuna colpa, Shu-
- James sta reagendo così perché io sono venuto a riprenderti dopo averti fatta soffrire-
- Non ha il diritto di reagire così per qualcosa che abbiamo scelto entrambi di comune accordo. Non voglio che tu ti senta responsabile di nulla- gli accarezzò una guancia.
 
Il suo uomo chinò la testa e le diede un bacio delicato sulla fronte. Era sorprendente la dolcezza che stava dimostrando in quel momento, così insolita per uno come lui.
Restarono accoccolati così per diverso tempo, mentre lei piangeva in silenzio, fino a quando il suono del campanello non si liberò nella stanza. Strano che Shuichi ricevesse visite la sera, non aveva molti amici lì in America.
 
- Chi sarà mai a quest’ora?- gli chiese, asciugandosi gli occhi.
- Non ne ho idea, vado a vedere- rispose, sciogliendo il loro abbraccio e alzandosi dal divano.
 
Forse erano Camel e Yuriy venuti a vedere come stava, o forse qualche superstite dell’Organizzazione era tornato per vendicarsi di lui. Scacciò dalla mente quell’ultimo pensiero: la stanchezza e la disperazione non la facevano ragionare lucidamente.
Si rimise le scarpe e si alzò anche lei, diretta verso la porta. Aveva una sensazione strana addosso e questo la spinse a soddisfare la sua necessità di verificare, temendo che lei e Shuichi potessero essere in qualche modo in pericolo. In fondo avevano appena pestato i piedi alla mafia russa, non ci sarebbe stato da stupirsi se avessero iniziato a dargli la caccia.
Proprio mentre stava per raggiungerlo, il suo fidanzato ricomparve insieme all’ultima persona che avrebbe mai pensato di vedere lì: James. Spalancò gli occhi e aprì la bocca, incapace però di emettere suoni. L’unica cosa che le riuscì fu di pronunciare il suo nome a bassa voce.
 
- Ciao Jodie- la salutò, guardandola negli occhi con la stessa tristezza con cui lei stava guardando lui.
 
Cos’era venuto a fare James a casa di Shuichi e come sapeva che lei si trovava lì invece che a casa sua? Le balenò per la testa che fosse andato da lei e avesse trovato l’appartamento vuoto, immaginando che potesse essere a casa del compagno.
 
- Io vi lascio soli, credo dobbiate chiarirvi. Scendo di sotto a fumare- disse Shuichi, congedandosi da loro prima ancora che lei potesse fermarlo.
 
Era nervosa all’idea di restare sola con James, non sapeva che piega avrebbe preso la conversazione. C’era rabbia e delusione da parte di entrambi e nessuno sembrava volersi muovere dalla propria posizione. Non voleva perderlo, ma non voleva perdere nemmeno Shuichi ora che lo aveva ritrovato.
 
- Cosa ci fai qui?- gli chiese infine.
- Mi ha chiesto Akai di venire- confessò.
- Shu ti ha detto di venire a casa sua stasera?- ripeté incredula.
 
D’un tratto tutto le fu più chiaro: ecco perché l’aveva invitata da lui anziché restare da lei. Era ricorso di nuovo a uno dei suoi piani subdoli e lei, come solito, ci era cascata. Tuttavia non era arrabbiata, sapeva che lo aveva fatto per il suo bene e gli era profondamente grata per quel gesto.
 
- Vuoi sederti?- lo invitò ad accomodarsi sul divano.
 
L’uomo la seguì e prese posto accanto a lei. Avevano condiviso molti anni di vita, eppure in quel momento sembravano due estranei. Fissavano punti indefiniti nell’ambiente intorno a loro e nessuno aveva il coraggio di iniziare per primo il discorso.
 
- Mi dispiace per come sono andate le cose- disse infine, nel tentativo di rompere quell’imbarazzante silenzio.
- Già, anche a me- rispose.
- Io non volevo arrivare a questo, James. Non volevo perderti. Volevo solo che tu capissi-
- Capire cosa? Che ti stai buttando a capofitto nelle braccia dell’uomo per cui ti sei disperata per anni?-
- Le cose cambiano, la vita va avanti. Shu non mi ha ferita di proposito, ha dovuto farlo. Tutti noi abbiamo dovuto fare cose che non volevamo a causa di quella maledetta Organizzazione. Credi che io volessi vivere la mia infanzia e la mia adolescenza sotto falso nome per non rischiare che l’assassina di mio padre mi trovasse? No, non lo volevo. Eppure ho dovuto farlo. Adesso però le cose sono cambiate, noi siamo cambiati. Shuichi mi sta dimostrando ogni giorno quanto ci tenga a me e io non voglio buttare all’aria l’occasione di essere felice con lui. Ma per essere felice ho bisogno che tu sia felice per me. Hai ragione, hai condiviso tutti i miei dolori e di questo ti sarò grata in eterno, quindi perché adesso non puoi condividere la mia felicità?-
 
Fece una pausa per deglutire quel nodo che le si era formato in gola e per dargli modo di replicare. In cuor suo sperò che James capisse le sue ragioni e che si rimangiasse quello che aveva detto quel pomeriggio.
 
- Quanto durerà questa felicità, Jodie?- gli chiese.
- Non lo so, nessuno può prevedere quanto e quando sarà felice. Magari un giorno, magari un mese, un anno o forse tutta la vita. Vorrei darti una risposta ma non ce l’ho. Posso solo dirti che sono felice adesso e che se non seguirò il mio cuore me ne pentirò per il resto della vita. Preferisci una figlia felice anche se per poco o una figlia infelice ogni giorno come negli ultimi sei anni?-
- Preferirei vederti sorridere sempre- ammise.
- Non posso giurartelo. Forse ci saranno giornate no in cui avrò bisogno del tuo conforto, ma cercherò di fare del mio meglio perché tu mi veda sempre sorridere-
 
Posò una mano sulla sua, più grande, vecchia e rugosa, rivolgendogli un accenno di sorriso. Voleva terribilmente bene a quell’anziano baffone che aveva fatto del suo meglio per non farle mancare nulla dopo che quella criminale di Vermouth le aveva tolto tutto.
 
- Ti voglio bene, James- gli disse con la voce rotta dalle lacrime - Non posso perderti, ma non posso neanche buttare al vento questa seconda possibilità che il destino mi ha dato di stare con l’uomo che amo. Non posso e non voglio scegliere tra te e Shuichi. Siete le persone più importanti della mia vita, non ho nessun altro-
 
Iniziò a singhiozzare silenziosamente, stringendogli più forte la mano. James non esitò nemmeno un attimo e l’abbracciò come solo un padre sa fare.
 
- Bambina mia…- disse solo.
- Promettimi che resterai sempre nella mia vita, qualsiasi cosa accada-
- Tu sarai sempre la figlia che non ho avuto-
 
Stretti in un abbraccio dal sapore famigliare, piansero l’uno fra le braccia dell’altra, consapevoli che niente avrebbe potuto spezzare quel legame nato per caso da una tragedia, ma che era diventato così forte da resistere a qualunque ostacolo.
 
 
*************
 
 
Appoggiato al muro del palazzo, si godeva quella meritata sigaretta a grandi boccate. Il suo piano alla fine aveva funzionato alla perfezione, come previsto. Si chiese come stessero andando le cose nel suo appartamento, se Jodie e James avessero già chiarito o se si stessero attaccando a vicenda. Conoscendoli era più probabile la prima opzione, si volevano troppo bene per mandare tutto all’aria.
Un miagolio interruppe il suo momento solitario: abbassò lo sguardo e vide un gatto bianco e mingherlino che lo fissava con due grandi occhi azzurri. Visto così somigliava terribilmente a Jodie e quel pensiero lo fece sorridere. Aveva già avuto modo di fare la sua conoscenza, si trattava del gatto della signora che abitava al terzo piano: quando trovava la porta aperta sgattaiolava fuori e ne approfittava per farsi un giretto nei dintorni. Tornava a casa solo quando sentiva il richiamo del cibo.
 
- Ciao Rufus, come te la passi?- lo salutò, chinandosi per accarezzarlo.
 
Il micio si gustò le coccole e ne cercò altre, continuando a miagolare di tanto in tanto come se volesse dire la sua. Era davvero una degna copia di Jodie.
Il suono della porta d’ingresso che si aprì fece sobbalzare il suo piccolo amico a quattro zampe e lo spinse a voltarsi: James stava uscendo seguito a pochi passi dalla sua fidanzata. Entrambi avevano gli occhi lucidi e gonfi e la faccia tipica di chi aveva appena pianto. Il fatto che fossero usciti insieme poteva significare solo una cosa: avevano fatto pace.
James lo guardò, ma prima che potesse dirgli qualcosa fu interrotto dall’esuberanza di Jodie.
 
- Che bel gattino!- esclamò, chinandosi al suo fianco per osservarlo meglio - Dove lo hai trovato, Shu? È un randagio?-
- No, è il gatto della Signora Humphrey, vive in questo palazzo-
- Vieni qui piccolino- gli allungò una mano, cercando di accarezzarlo.
 
Si alzò lentamente per non spaventare Rufus, che ormai sembrava già aver fatto amicizia con Jodie. Altro punto in comune: erano entrambi fin troppo socievoli. Si avvicinò a James, che per tutto il tempo era rimasto a guardare la scena. Aveva come l’impressione che volesse dirgli qualcosa, ma che non volesse farlo in modo diretto davanti a Jodie. Ora che era distratta dal gatto era il momento perfetto per parlare.
 
- Avete fatto pace?- gli chiese senza troppi giri di parole.
- Sì- rispose il suo capo - Ti ringrazio di avermi convinto a venire qui stasera-
- Non potevo permettere che rovinaste il vostro rapporto- sorrise.
- Tuttavia voglio darti un avvertimento, Akai- lo fissò con aria seria.
- E sarebbe?-
- Se la farai soffrire di nuovo non sarò così clemente come lo sono stato sei anni fa. Sta’ attento a ciò che fai e trattala bene-
 
Annuì e sorrise, per nulla risentito da quelle parole. Era tutto ciò che voleva sentire fin dall’inizio. Comprendeva a pieno le ragioni di James e le condivideva.
 
- Non commetterò più gli stessi errori. Ma se dovessi farlo, ti autorizzo a farmela pagare nel peggiore dei modi-
 
Gli tese una mano, per sugellare quel patto fra due uomini. James ne sembrò dapprima sorpreso, poi allungò a sua volta la mano e gliela strinse: la promessa era stata fatta e lui era uno che manteneva sempre le promesse. Sentiva che tutto sarebbe andato per il meglio ora, perché tutti i tasselli del puzzle erano tornati al loro posto.
 
- Che state facendo voi due?- li interruppe Jodie, che nel frattempo aveva preso in braccio Rufus e si era avvicinata a loro.
- Niente, James stava per andare a casa-
- Sì, sono stanco e ho bisogno di riposare-
- Allora ci vediamo domani in ufficio. Grazie per essere venuto- gli sorrise la ragazza.
 
Senza più dire nulla diede loro le spalle e si allontanò in direzione della sua auto.
 
- Grazie anche a te, Shu, per averlo invitato qui stasera- gli posò la testa su una spalla.
- Sono contento che sia servito a qualcosa- le rispose.
- Sapevi già che il tuo malefico piano avrebbe funzionato, vero?- lo prese in giro.
- Ovvio-
- E sentiamo, che piani hai per questo bel micetto?- chiese, facendo i grattini a Rufus.
- Mentre saliamo lo lasciamo al terzo piano dalla Signora Humphrey-
- Non possiamo tenerlo un altro po’?- assunse quell’espressione infantile e dispiaciuta che faceva ogni volta che voleva ottenere qualcosa.
- No, meglio restituirlo-
- Ma perché? A lui piace stare con me-
- Sì, ma non è tuo. Inoltre penso che voglia mangiare-
- Non hai nulla da dargli?-
- Non ho gatti, nel caso non lo avessi notato-
- Che cattivo!- mise un finto broncio, delusa di non aver ottenuto ciò che voleva.
 
Presero l’ascensore e fecero tappa all’appartamento della Humphrey, che li ringraziò per averle riportato quel birbante fuggitivo. Poi risalirono fino al suo appartamento e si prepararono per andare a dormire. Era stata una giornata lunga e stancante per tutti, un buon sonno ristoratore avrebbe fatto bene a entrambi.
Stretti l’uno all’altra in un caldo abbraccio, caddero nelle braccia di Morfeo e ci rimasero fino al mattino seguente.

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Capitolo 45
*** Capitolo 45: Tutto è bene, quel che finisce bene ***


Capitolo 45: Tutto è bene, quel che finisce bene
 
 

- Forza, in alto i bicchieri e brindiamo!- li incitò Yuriy, alzando il tono della voce per farsi sentire meglio in mezzo alla confusione del locale.
- Al miglior Team dell’FBI!- disse lei.
- E alla nostra vittoria!- le fece eco il russo.
 
Il tintinnio dei bicchieri che si scontravano leggermente sugellò quel brindisi. Avevano deciso di uscire a festeggiare la risoluzione del caso quella sera, come proposto da Yuriy il giorno prima, ed erano tornati al Pentagram, lo stesso night club a cui erano andati qualche mese prima lei, Shuichi e Camel e dove aveva incontrato Clay. Quando Camel lo aveva proposto, Shuichi aveva storto il naso consapevole che c’erano buone probabilità di ritrovarsi davanti quello che, anche se per poco, era stato il suo rivale in amore. Anche lei era imbarazzata all’idea di rivederlo, dopo il modo in cui lo aveva piantato in asso, ma non volendo far riemergere quella questione davanti a Yuriy avevano accettato entrambi la proposta. Ed ora eccoli lì, tutti e quattro insieme a brindare alla loro.
 
- La band di stasera è decisamente meglio di quella della scorsa volta- commentò Camel.
- Hai ragione. Tu che ne dici, Shu?-
- Non mi sembrano granchè ma almeno non fanno un gran baccano come gli altri-
- Dovevamo andare in bel locale a Little Odessa ad ascoltare musica russa- scosse la testa Yuriy.
 
Gli lanciò un’occhiataccia fulminante, mentre Camel lo fissò inebetito. L’unico che rimase impassibile, come sempre, su Shuichi.
 
- Ma sei serio?- gli chiese.
- Andiamo ragazzi, stavo solo scherzando! Non sulla musica russa, però, quella ce l’ho nel cuore-
- Non voglio più sentir parlare di russi e ricchi per un po’- ammise.
- Ehi! Guarda che c’è un russo al tavolo!- le fece notare Yuriy, ma senza risentimento.
- Allora per te posso fare un’eccezione-
- Ne sono onorato-
 
Continuarono a parlare e sorseggiare i loro drink fino a quando i bicchieri non furono vuoti, così come la ciotolina degli stuzzichini.
 
- Chi vuole fare un altro giro?- chiese Yuriy.
- Io ci sto- disse Camel.
- Anche io- sorrise lei.
- Solo uno, devo guidare- rispose Shuichi.
- Se ci ubriachiamo torniamo a casa a piedi- scherzò lei, avvicinando il volto al suo.
- Credo che ci tornerai solo tu, io l’alcol lo reggo bene- replicò.
- Ahi ahi, non siete nemmeno sposati e già bisticciate così?- li prese in giro Yuriy.
- Anche io lo reggo bene!- s’imbronciò lei.
- No, non direi-
- Ma che t’importa, meglio così. Se si ubriaca stasera potrai chiederle ciò che vuoi, tanto domattina si sarà scordata tutto- gli fece l’occhiolino Yuriy, probabilmente alludendo a qualcosa di sconcio.
 
Il fegato con cui si rivolgeva certe volte a Shuichi era davvero ammirevole. Molti altri avrebbero avuto paura di essere uccisi all’istante dal suo sguardo, lui invece lo provocava persino. Non capiva se fosse incoscienza, follia o semplicemente un enorme coraggio misto alla consapevolezza che Shuichi lo stimava professionalmente.
 
- Ok, visto che vi piace farvi beffe di me vado a ordinare i drink. Cosa volete?-
 
Si appuntò mentalmente le scelte dei tre uomini e si alzò dal tavolino, dirigendosi verso il bancone. Riferì l’ordinazione al barista, il quale prese nota e l’avvisò che avrebbero consegnato direttamente al tavolo. Lo ringraziò e si voltò senza guardare, pronta a tornare dai suoi colleghi: la sua spalla urtò un altro braccio, apparentemente più grosso e duro del suo.
 
- Oh, mi scusi, sono stata maldestr…-
 
Non riuscì a finire la frase, restò lì con la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati a fissare l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare quella sera: Clay. D’altra parte lavorava lì, quindi non c’era da stupirsi se si aggirava nei paraggi, tuttavia le sembrò ironico trovarselo faccia a faccia in mezzo a tutte quelle persone. Ma proprio lui doveva andare ad urtare, dannazione?! Se Shuichi se ne fosse accorto, cosa avrebbe pensato o fatto? La sua mente iniziò a pensare troppo, come faceva ogni volta che si trovava in preda all’ansia.
 
- Clay…- riuscì solo a pronunciare il suo nome.
- Jodie- la salutò lui, visibilmente imbarazzato - È strano ritrovarti qui-
- Sono venuta con dei colleghi a festeggiare la buona conclusione di un caso a cui abbiamo lavorato-
- Beh, congratulazioni allora- provò ad abbozzare un sorriso in mezzo a tutta quella tensione.
- Grazie. Come stai?- gli venne spontaneo chiedere.
- Intendi come sto dopo che mi hai detto che ti interessa un altro o come sto in generale?-
 
Quella domanda non conteneva alcuna traccia di cattiveria, piuttosto un pizzico di ironia. Era una cosa buona che riuscisse a scherzarci sopra, tuttavia non potè fare a meno di sentirsi terribilmente in colpa.
 
- Mi dispiace davvero tanto per come sono andate le cose, ti giuro che non ho mai voluto prenderti in giro- sospirò.
- Lo so, tranquilla. Non ti porto rancore, sei stata onesta-
- Non sai quanto mi faccia piacere sentirlo. Mi piacerebbe che conservassimo un buon rapporto, anche se probabilmente non potremo mai definirci amici-
- Probabilmente no, ma se ripassi da queste parti ti rivedo sempre volentieri-
- Lo farò sicuramente- sorrise - E se per caso porti qualche band interessante tienimi aggiornata-
- Agli ordini, agente Starling- si portò una mano tesa alla fronte, nel gesto tipico dei militari.
 
Scoppiarono a ridere entrambi, più sereni e rilassati di prima. Sapere di non essere odiata da Clay la rassicurava, lui si era sempre comportato splendidamente nei suoi confronti e non meritava di essere infelice a causa sua.
 
- Adesso devo tornare dagli altri, ma mi ha fatto piacere rivederti-
- Anche a me-
 
Gli passò accanto, muovendo i primi passi per tornare al tavolo, ma Clay la trattenne.
 
- Ah, Jodie?-
- Sì?-
- Com’è poi andata a finire con quel tizio che non riuscivi a dimenticare?-
- È andata bene, stasera è qui anche lui-
- Lo hai portato qui insieme ai tuoi colleghi?-
- A dire il vero anche lui è un mio collega- si morse l’interno del labbro.
- Wow! Questo è un bel colpo di scena!- si sorprese - Ma sono ammesse queste cose nel vostro ambiente?-
- Diciamo che il mio capo tollera la cosa, ma è complicato-
- Per caso è uno di quelli che ho conosciuto la volta scorsa?-
- Sì- disse semplicemente.
 
Non voleva esporsi troppo, non per paura ma perché temeva di girare il dito nella piaga. Tuttavia Clay continuò con quella sorta di interrogatorio.
 
- Non dirmi che è quello con la mascellona che sembra un gorilla!-
- Andrè? Ma certo che no!-
- Meno male, perché essere scaricato per quello lì mi sarebbe dispiaciuto. Senza offesa-
- Nessuna offesa-
- Quindi se non è lui allora è quello con lo sguardo cupo che sembra avere origini asiatiche-
- Esatto, è proprio lui-
- Ora si spiega perché mi ha lanciato tutte quelle frecciatine- sorrise.
 
Non seppe cosa rispondere, preferiva restare in silenzio e troncare così quella conversazione prima di far emergere dettagli scomodi e troppo personali. Clay lo capì, o forse era semplicemente soddisfatto così per aver ottenuto le risposte che cercava. Il cerchio si era chiuso.
 
- Bene, allora non ti trattengo oltre. Non voglio che pensi male, visto che ci sta guardando-
 
Si voltò preoccupata e vide Shuichi, Camel e Yuriy che li stavano fissando con attenzione. Sapeva già quale sarebbe stato l’argomento di discussione quando sarebbe tornata da loro, ne era certa. Sperò che Shuichi non se la fosse presa, il suo sguardo apparentemente impassibile la diceva lunga sul fattore gelosia.
 
- Sì, devo proprio andare. Anche perché se resto la biondina a ore dieci che ti sta puntando penserà che sei già impegnato-
 
Gli diede una leggera pacca sulla spalla e senza dargli il tempo di replicare si diresse verso il tavolo dove i tre uomini la aspettavano e dove il cameriere aveva appena portato i loro drink.
 
 
************
 

La guardò allontanarsi su quei tacchi che slanciavano ancora di più la sua figura, accompagnati da quel vestito nero che le calzava a pennello lasciando scoperte le sue gambe affusolate. Aveva notato almeno altri tre uomini che le avevano messo gli occhi addosso al suo passaggio, mentre altri due erano seduti proprio al suo stesso tavolo.
 
- Te l’ho già detto ma te lo ripeto: sei un uomo fortunato- commentò Yuriy.
 
Non c’era bisogno che lo dicesse, sapeva bene di stare con una donna che in molti uomini avrebbero desiderato. Jodie era indubbiamente bellissima e di certo sapeva come far risaltare questa sua qualità. Avrebbe preferito che si mettesse dei vestiti più lunghi, ma sapeva che a lei piaceva sentirsi bella, come a tutte le donne del resto.
 
- Non hai idea di quanti al lavoro vorrebbero vederti sparire- aggiunse il collega.
- Ah sì? Jodie è così ben vista?- chiese.
- Amico, stai scherzando? Jodie è la donna più desiderata dell’FBI, quando te ne sei andato in Giappone e l’hai lasciata facevano a gara per attirare la sua attenzione! Confesso che ci ho provato anche io, ma poi ho capito che nessuno di noi aveva la minima speranza- scosse la testa.
 
Quell’affermazione avrebbe dovuto infastidirlo, specie perché andava a toccare un tasto dolente del passato, invece si compiacque di sentire quelle parole. Jodie poteva scegliere un altro uomo in qualsiasi momento, eppure aveva preferito restargli fedele pur non avendo alcuna certezza che sarebbe tornato da lei. Era questo che lo rendeva un uomo fortunato, non l’avere una donna di bell’aspetto a fianco.
 
- Comunque sei stato un grande a convincere James a far pace con lei- cambiò discorso, riferendosi a quanto gli aveva raccontato quella mattina.
- Già, ieri Jodie sembrava davvero giù di morale- commentò Camel.
- Era a pezzi, meno male che James ha ceduto-
- Quel vecchio ha il cuore tenero- si lasciò sfuggire Yuiry.
 
A quella conversazione seguirono alcuni attimi di silenzio, in cui si guardarono intorno per osservare ciò che li circondava. Poi Yuriy, che fra di loro era il piò loquace, ruppe nuovamente la calma che si era creata.
 
- Ma è riuscita a ordinare i drink?- disse rivolto a Jodie - Mi sembra che ci stia mettendo parecchio-
 
Girarono tutti e tre il capo verso il bancone del bar per controllare dove fosse la loro compagna e fu allora che la vide in compagnia di qualcuno che sperava di non rivedere più: Clay. Non si era certo dimenticato che lavorava in quel locale, per questo avrebbe fatto volentieri a meno di andarci, ma non voleva sembrare scortese o asociale nei confronti dei colleghi che lo avevano invitato. C’erano parecchie persone in quel locale, era ironico come Jodie fosse riuscita ad incrociare proprio lui. Non gli portava rancore e non lo odiava, alla fine non aveva mai avuto alcun motivo valido per farlo, tuttavia provava una sensazione di fastidio nel sentirlo nominare o, in questo caso, nel vederlo con Jodie. In fondo restava pur sempre l’uomo che, anche se solo per poco, aveva minacciato di portargli via la donna che voleva al suo fianco.
 
- Chi è quel biondino con cui sta parlando?- chiese Yuriy.
- È un suo vecchio amico del liceo che lavora qui, ce lo ha presentato la scorsa volta- spiegò Camel - Te lo ricordi Akai?-
- Sì- rispose semplicemente.
 
Continuava a tenere gli occhi fissi sulla sua ragazza e su quello che avrebbe potuto diventare il suo uomo, cercando di capire l’argomento della conversazione. Era sorpreso di come sembrassero essere in buoni rapporti nonostante Jodie l’avesse scaricato per correre da lui.
 
- Va tutto bene?- gli chiese Camel, che forse si aspettava qualcosa in più di un semplice “Sì”.
- Perché me lo chiedi?-
- Beh, ecco…mi sembri strano- ammise.
- Qualcuno qui è geloso- osò parlare Yuriy, che non le mandava certo a dire.
 
Non era un tipo da sottovalutare, Yuriy era un ottimo osservatore e sapeva leggere negli occhi delle persone, incluse quelle più ermetiche come lui. A differenza di Camel aveva capito subito che Clay non gli andava particolarmente a genio.
 
- Dici che a quel tipo piace Jodie?- chiese Camel, che di sentimenti proprio non capiva nulla.
- Sicuro, si vede da come la guarda. Lei però mi sembra in imbarazzo, non ci sta conversando calorosamente anche se è un suo amico da anni. Puoi stare tranquillo, ha occhi solo per te- lo rassicurò.
- Io sono tranquillo-
- Apparentemente sì, ma ho come l’impressione che dentro ti stia ribollendo qualcosa nel sangue e che vorresti tanto alzarti e andarti a riprendere la tua donna. Non mi inganni- fece quel sorrisino beffardo che faceva sempre quando sapeva di avere ragione.
- Mi conosci bene- ammise, ricambiando il suo sorrisetto.
 
Finalmente vide Jodie che muoveva i primi passi per tornare da loro, ma Clay la fermò di nuovo. Cosa aveva di così importante da dirle da trattenerla così a lungo? Cosa non gli era chiaro del fatto che non era lui che voleva al suo fianco?
 
- E se andassimo tutti quanti là e lo intimorissimo al punto tale da farlo scappare?- suggerì Yuriy.
 
Comprese che l’amico stesse scherzando nel tentativo di distrarlo, ma l’idea in un certo senso lo stuzzicava.
 
- No, voglio vedere fino a che punto arriva- si lasciò sfuggire.
- Signore e Signori, questa sera sul ring abbiamo il grande agente dell’FBI Shuichi Akai e il suo sfidante, il biondino dal bel sorriso…Com’è che si chiama?- chiese rivolto a Camel.
- Clay mi pare-
- Clay, Clay…mi dispiace ma hai già perso in partenza, non c’è storia-
 
Non ebbe il tempo di aggiungere altro, poiché il cameriere si avvicinò e posò sul tavolo i drink che Jodie aveva ordinato per tutti. Distolse lo sguardo solo per un attimo e quando si girò nuovamente la sua fidanzata li stava raggiungendo.
 
- Scusate se vi ho fatti aspettare, ho incontrato una persona che conoscevo- disse una volta giunta al tavolo, sedendosi nuovamente accanto a lui.
- Ce ne siamo accorti. Chi è il tuo nuovo pretendete, blondie?- la prese in giro Yuriy, che sembrava divertito da quella situazione come un bambino al luna park.
- Eh?! Ma di cosa parli?- chiese lei.
- Andiamo, lo abbiamo visto tutti come ti guardava il biondino dal bel sorriso-
 
La vide irrigidirsi, come chi è stato colto nel vivo. Si vedeva chiaramente che era un argomento delicato per lei e poteva immaginare il perché.
 
- Siamo solo amici- puntualizzò seria - Anzi, più che amici direi vecchi conoscenti-
- Forse per te, ma lui sembrava voler essere molto più che tuo amico. Non è che ci nascondi qualcosa?- la provocò.
- Io non nascondo proprio niente-
- Non dirmi che è una tua vecchia fiamma del liceo- insistette.
- No, al liceo ci parlavamo a malapena-
- Tu non me la conti giusta…- scosse la testa il russo, sorseggiando il suo drink - Per me c’è stato qualcosa fra di voi-
 
Jodie si girò a guardarlo per la prima volta da quando lei e Yuriy avevano iniziato quella conversazione sterile: nei suoi occhi vide dispiacere, come se gli stesse chiedendo scusa e al tempo stesso cercasse il suo conforto. Avrebbe voluto fargli capire che non era arrabbiato, che comprendeva perfettamente come si sentisse nei confronti di Clay, perché era lo stesso modo in cui si era sentito lui nei suoi molto tempo prima. La consapevolezza di aver ferito qualcuno che teneva a te può diventare un tormento paragonabile a un pugnale che continua a colpirti giorno dopo giorno ma che non ti uccide, così che tu possa provare una sofferenza senza fine.
 
- Ho per caso toccato un tasto dolente?- tornò serio Yuriy, che doveva aver notato il loro scambio di sguardi.
 
Jodie sospirò e prese la sua mano fra le sue, stringendola.
 
- Sono uscita per un po’ con lui, ma non ha funzionato- ammise.
- Capisco- disse semplicemente Yuriy, consapevole di non potersi spingere oltre più di quanto non avesse già fatto - D’altra parte non ha la stoffa per competere con Akai-
 
Troncarono così quella conversazione, non c’era bisogno di aggiungere altro. Il passato è passato, a un certo punto è giusto andare avanti. Continuò a tenere la mano di Jodie e le sorrise: questo bastò a tranquillizzarla e rompere quella tensione che si era creata.
Poco dopo intravide nella folla Clay che chiacchierava con una ragazza bionda, sfoggiando tutto il suo savoir faire con le donne. A quanto pare si stava già riprendendo, o almeno ci provava.
Restarono al locale ancora per un’ora, parlando di lavoro e di vicende personali, poi decisero di tornare ciascuno alla propria abitazione data l’ora e considerando che il giorno dopo sarebbero dovuti andare al lavoro.
 
- Ragazzi, grazie della bella serata- li salutò Yuriy, che nonostante fosse quasi mezzanotte sembrava ancora bello pimpante.
- La prossima volta dovremmo uscire a cena, conosco un paio di posti dove si mangia bene- suggerì Camel.
- Volentieri!- accettò di buon grado Jodie.
 
Si augurarono la buonanotte e ciascuno camminò in direzione della propria auto. Lui e Jodie erano venuti insieme ovviamente e avrebbero passato la notte da lei.
Salirono in macchina e si sistemarono, pronti per partire. Jodie allungò una mano per accarezzargli i capelli dietro la nuca e gli sorrise dolcemente. In presenza dei loro amici cercava di trattenersi, ma appena rimanevano soli lo accarezzava e lo baciava spesso.
Era stata una serata piacevole anche per un solitario come lui e si sentiva rilassato. Si sporse verso di lei per baciarla prima di mettere in moto l’auto.
 
- Non te la sei presa perché mi sono fermata a parlare con Clay, vero?- chiese.
- No, hai fatto la cosa giusta-
- Davvero?-
- Se ti è servito a sentirti meno in colpa nei suoi confronti allora sì-
- Grazie di aver capito, Shu- sorrise.
 
Si era creata una bella atmosfera e decise che era arrivato il momento giusto per dirle quella cosa di cui avrebbe voluto parlargli ormai da qualche giorno. Fino a quel momento non era mai riuscito a farlo, perché c’era sempre qualche problema che faceva passare il discorso in secondo piano, ma ora non aveva più ostacoli da abbattere. Voleva l’attimo perfetto e ora lo aveva.
 
- Ti ricordi quella sera in cui mio fratello ha vinto il titolo di Ōshō a shogi?- se ne uscì all’improvviso.
- Sì, certamente. Perché me lo chiedi?-
- E ti ricordi anche che mio fratello voleva qualcos’altro oltre al titolo?-
- Mi ricordo tutto Shu, quella sera abbiamo avuto una brutta litigata. Ma perché ne stai riparlando adesso?-
- Perché voglio dirti cos’è che voleva-
- Adesso?- chiese confusa.
- Credo sia arrivato il momento-
- Allora dimmi-
- Shuukichi aveva promesso alla sua fidanzata che se fosse riuscito ad ottenere tutti e sette i titoli le avrebbe chiesto di sposarlo. A quanto pare lo ha fatto e lei ha accettato-
- Shu ma è una bellissima notizia! Sono davvero contenta!- si rallegrò sinceramente - Se lo senti fagli le mie congratulazioni-
- Non ce ne sarà bisogno, potrai fargliele tu di persona- sorrise.
- Vuoi fare una videochiamata?-
- No, voglio che tu venga con me al matrimonio-
 
Fermò l’auto, dal momento che erano ormai arrivati a destinazione e si girò per guardare l’espressione sul suo volto: gli occhi le brillavano e sorrideva come una bambina al settimo cielo. Si compiacque del suo operato: aveva ottenuto esattamente la reazione che voleva. Ora non restava che aspettare la sua risposta, anche se in fondo la conosceva già.
 
- Allora, ci vieni?- chiese conferma.
- Shu…ma certo che ci vengo!- gli gettò le braccia al collo e lo ricoprì di baci.
- Visto che ne è valsa la pena di aspettare per sapere quello che non volevo dirti?- l’abbracciò.
- In realtà io questa cosa la sapevo già- ammise - Stavo solo aspettando che tu ti decidessi a dirmela.
- Come facevi a saperla?- si insospettì.
- Prometti di non prendertela?-
- Beh, dipende-
- A James è scappato detto la sera in cui era venuto a casa mia dopo che io e te avevamo discusso- confessò.
 
Gli venne da sorridere ricordandosi il giorno in cui lo aveva detto a James per convincerlo che le sue intenzioni con Jodie erano serie. Non si aspettava che il suo capo avrebbe vuotato il sacco, ma probabilmente lo aveva fatto inconsciamente.
 
- Ad ogni modo l’importante è che tu ne sia felice- rispose.
- Non sai quanto! Non vedo l’ora di conoscere tuo fratello e di rivedere tutti quanti!-
- Ci sarà anche il tuo detective preferito al matrimonio-
- Dici sul serio? Cool Guy?- spalancò gli occhi, piena di speranza.
 
La sua reazione ogni volta che si parlava di quel ragazzino era sorprendete, per lei era come una specie di guru che si innalzava sopra tutti. La stima che provava nei suoi confronti era persino più grande di quella che aveva lui, che per un anno aveva vissuto nella sua casa e ideato piani e strategie insieme a lui.
Era stato geloso di Clay, ma forse c’era qualcun altro di cui doveva essere geloso.
 
- Non dirmi che ora che ho finito con Clay devo guardarmi le spalle anche dal giovane Kudo- ghignò.
- Ma cosa dici, Shu?! Ha diciotto anni, non rientra nel mio range d’interesse!- si scandalizzò.
- Ne parli come se fosse un vecchio amore che non vedi l’ora di rivedere-
- Ma quale amore e amore, adoro solo le sue abilità di detective!-
- Meno male, perché non posso competere con un giovane vigoroso nel fiore degli anni-
- Non sapevo di aver intrapreso una relazione con un pensionato- lo prese in giro.
 
Scesero dall’auto ed entrarono nel palazzo dove abitava Jodie, dirigendosi verso l’ascensore per salire al suo appartamento.
Mentre attendevano che le porte dell’ascensore si aprissero, Jodie gli cinse le braccia al collo e lo baciò.
 
- Mi hai resa davvero felice, Shu- sussurrò sulle sue labbra.
- Allora posso dire di aver raggiunto il mio obiettivo- le rispose, cingendole la vita con le braccia.
- Sai che non devi temere alcun uomo, vero?-
- Ma non hai detto poco fa che sono vecchio?- la provocò.
- A quello possiamo rimediare- lo guardò sensualmente - L’ascensore impiega quindici secondi ad arrivare al mio appartamento. Se ti va possiamo metterci cinque minuti, così puoi dimostrarmi che non sei affatto vecchio-
 
Jodie era sempre stata la più audace fra loro sull’argomento fare l’amore, sapeva come provocarlo a fatti e a parole e non si vergognava nel mostrare tutta la sua sensualità. La ragazza ci sapeva fare, non c’erano dubbi.
 
- Preferirei dimostrartelo nella tua camera impiegando più di cinque minuti- replicò.
- Direi che è perfetto- sussurrò, attirandolo a sé mentre entrava nell’ascensore.
 
Attratti dalla stessa forza con cui si attraggono due calamite, restarono uniti baciandosi e accarezzandosi fino a quando non giunsero al letto: lì, tra le lenzuola profumate, fecero l’amore in modo intenso e passionale, per poi addormentarsi l’uno accanto all’altra stanchi ma felici.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
E abbiamo ufficialmente chiuso un altro capitolo di questa storia. Nel prossimo vi sarà un salto temporale e torneremo in Giappone per il matrimonio!
Ci stiamo avvicinando alla conclusione di questa lunga storia, grazie a tutti quelli che sono rimasti con me fino ad ora in questa avventura!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 46
*** Capitolo 46: Riunione di famiglia ***


Capitolo 46: Riunione di famiglia
 
 
 
Appena l’aereo aveva toccato con le ruote la pista e la voce metallica aveva annunciato l’arrivo a destinazione era stato come tornare a casa, anche se la loro casa in realtà era un’altra. Era trascorso un anno dall’ultima volta che erano stati in Giappone e probabilmente molte cose le avrebbero trovate diverse: in un paese così moderno e frenetico tutto cambia da un giorno all’altro, senza nemmeno avere il tempo di accorgersene. Una cosa però era rimasta la stessa: il numero infinito di persone che transitavano all’aeroporto di Tokyo. Avevano rischiato di perdersi nella folla mentre cercavano di recuperare i propri bagagli.
Ad attenderli ci sarebbero dovuti essere il Dottor Agasa (che si era gentilmente offerto di dar loro un passaggio in auto per evitargli il taxi) e Shiho, che non vedeva l’ora di rivederla, ma individuarli in mezzo a tutta quella confusione era un’impresa. Avrebbero alloggiato alla villa dei Kudo anziché in hotel, Shinichi aveva insistito per ospitarli, probabilmente non vedeva l’ora di confrontarsi con Shuichi su qualche caso.
Si incamminarono in mezzo alla folla trascinando le valigie e dirigendosi verso l’uscita, dove con ogni probabilità il Dottore e Shiho li stavano aspettando. Una volta varcata la porta a vetri automatica, riconobbero subito il Maggiolino giallo parcheggiato poco distante e due figure che li salutavano.
Sorrise e inspirò l’aria di Tokyo, di certo non sana ma che in quel momento la riempì di gioia. Amava quel posto, in altre circostanze avrebbe anche potuto valutare di restarsene lì a vita.
Non appena raggiunsero l’auto lasciò la valigia e allargò le braccia sorridendo alla ragazza ramata, che in tutta risposta l’abbracciò forte sotto lo sguardo sorridente del suo ormai tutore.
 
- Ah, quanto mi sei mancata, tesoro!- le disse, coccolandosela un po’.
- Anche tu- le rispose.
- Sei diventata ancora più grande e bella- le prese il viso fra le mani, facendola sorridere.
 
Nel frattempo il Dottor Agasa e Shuichi si salutarono e scambiarono quattro chiacchiere mentre caricavano le valigie nel baule del Maggiolino. Poi anche lei si staccò da Shiho per salutare lo scienziato e dare modo ai due cugini di parlarsi a quattr’occhi dopo tanto tempo.
 
- Alla fine ce l’hai fatta a darti una mossa- lo punzecchiò la ragazza.
- Mi aspettavo un’accoglienza più calorosa dopo così tanto tempo- replicò lui.
- Ma sentitelo! Cosa vuoi, che lanci i coriandoli perché hai tolto di mezzo Clay?-
- Pensavo facessi il tifo per lui-
- Oh, per un po’ l’ho fatto-
- Sono contento anche io di rivederti, Principessa- le disse infine, scompigliandole i capelli con una mano e facendole assumere un’espressione imbronciata ma arrossata.
 
Quella scena le scaldò il cuore, era bello vederli andare finalmente d’accordo e vedere Shuichi aprirsi in quel modo. Sapeva che non avrebbe mai cancellato del tutto il senso di colpa che provava nei confronti di quella ragazzina per quanto era successo alla sorella, ma quell’affetto era dettato da qualcosa di molto più grande dei rimorsi. Shiho era parte della sua famiglia e per Shu la famiglia aveva un’importanza enorme. Aveva trascorso più di diciassette anni della sua vita a cercare giustizia per suo padre, per sua madre, per tutti loro.
 
- Ma Cool Guy non è venuto con voi?- chiese, notando l’assenza del ragazzo.
- No, oggi c’è scuola- rispose Shiho.
- Che peccato, pensavo che sarebbe venuto anche lui considerando che dobbiamo andare a casa sua a depositare i bagagli-
- Ci ha lasciato la chiave, tornerà nel tardo pomeriggio. Sei tornata solo per lui, dì la verità- la prese sul personale la ragazza.
- Ma no, sono tornata per rivedere tutti incluso il mio detective preferito!-
- Il suo debole per lui non scomparirà mai- commentò Shuichi.
- Almeno se dovesse tradirti sai già con chi prendertela-
- Ma cosa dite?!-
- Credo sia meglio andare, le macchine non possono sostare per molto qui dato il traffico- li interruppe il Dottor Agasa.
 
Salirono in auto e si diressero verso villa Kudo per depositare le valigie. Durante il viaggio chiacchierarono e non mancò di concedersi qualche minuto di silenzio per osservare il paesaggio dal finestrino. Le sembrava di non essersene mai andata, riconosceva i posti dove era stata e ammirava le novità. Inoltre, il pensiero che quella sera sarebbero andati a cena dalla famiglia di Shuichi e avrebbe finalmente conosciuto suo fratello la rendeva euforica. Non aveva mai avuto l’occasione di trascorrere del tempo in una famiglia numerosa, a dire il vero non aveva proprio avuto occasione di fare nulla in famiglia, perché una famiglia non l’aveva avuta. Erano sempre stati solo lei e James, pertanto l’idea di entrare finalmente a far parte di una vera famiglia la riempiva di gioia.
Arrivati alla villa scesero dall’auto e Shuichi si concesse un istante per osservare la dimora in cui aveva vissuto sotto mentite spoglie per mesi. Tutto lì era intriso di ricordi, alcuni belli, altri meno.
Con le valigie alla mano varcarono il cancello, mentre Shiho li precedeva aprendo la porta d’ingresso con la chiave.
Non appena furono dentro, Shuichi si fermò e passò i suoi occhi verdi sopra ogni centimetro quadrato della casa. Si permise anche di andare a fare un giro nella libreria, dopo essersi tolto le scarpe come di consuetudine e aver indossato le pantofole per gli ospiti che Shinichi aveva lasciato loro all’ingresso. Nonostante fosse stata, in un certo senso, una sorta di prigione in cui si era dovuto rinchiudere per non farsi trovare dai nemici, alla fine ci si doveva essere affezionato davvero a quella casa, dal modo in cui la guardava.
 
- Volete riposarvi o fate un salto a casa del Dottore per un caffè?- chiese Shiho.
- Io un caffè lo prenderei volentieri dopo il viaggio. Tu che ne dici, Shu?-
- Ne avrei preparato uno qui, quindi accetto volentieri l’invito-
 
Uscirono dalla villa ed entrarono nella casa fianco, dove li accolse abbaiando un grosso batuffolone scodinzolante.
 
- Fa’ il bravo, Mendel- lo riprese Shiho, accarezzandogli la testa.
- Ma quanto è diventato grande?- si stupì.
- Cosa ti aspettavi, di trovarlo delle stesse dimensioni di quando ce ne siamo andati?- intervenne Shuichi.
- No, ma nemmeno che diventasse il triplo in così poco tempo-
 
Il cane si avvicinò a loro ed iniziò ad annusarli per identificarli. Si chinò alla sua altezza e gli accarezzò con cautela la testa, per non spaventarlo.
 
- Ciao cucciolone!- lo salutò dolcemente.
 
In risposta Mendel scodinzolò e si lasciò coccolare senza più timore, per poi volgere il suo sguardo su Shuichi.
 
- Coraggio, digli qualcosa!- lo incitò.
 
Il suo compagno sorrise e con una mano arruffò la testa del cane come aveva fatto prima con quella di Shiho.
Dopo avergli dato un po’ di attenzioni, entrarono in casa e si lavarono le mani prima di godersi il caffè che il Dottor Agasa aveva preparato. Trascorsero un’ora buona a chiacchierare fino a quando non si avvicinò il momento in cui Shinichi sarebbe tornato da scuola. Salutarono il Dottore e Shiho, che avrebbero rivisto poche ore dopo per la cena in famiglia e tornarono a villa Kudo.
Una ventina di minuti dopo sentirono il rumore della porta che si apriva e lei si fiondò all’entrata.
 
- Sorpresa! Hello Cool Guy!- lo salutò entusiasta, facendogli prendere un colpo per come era sbucata dal nulla.
- Agente Jodie- la fissò interdetto - Siete già qui-
- A dire il vero siamo arrivati più di tre ore fa, ma tu non c’eri- si finse offesa.
- Ero a scuola- si giustificò.
- Attento, se la fai arrabbiare perdi il primato di detective preferito nella sua classifica-
 
La voce di Shuichi alle sue spalle fece spalancare gli occhi al ragazzo, che guardò quel vecchio amico e compagno di piani diabolici con l’eccitazione di un bambino davanti a un negozio di caramelle.
 
- Akai-san!-
- Ci si rivede, ragazzino-
- Oh, continuate pure come se non ci fossi!- storse il naso, sentendosi ignorata.
- Ci scusi, non era nostra intenzione- cercò di rimediare il giovane investigatore.
- D’accordo, ti perdono solo perché sei my favorite detective. Fatti abbracciare- lo strinse a sé, facendolo vergognare come di consueto.
- Continua pure come se non ci fossi- la prese in giro Shuichi, copiando le sue stesse parole di poco prima.
- Non essere geloso, ho abbastanza abbracci per entrambi-
 
Dopo aver concluso quel teatrino comico si spostarono nel salotto e restarono lì a parlare di tutto ciò che era successo in quei lunghi mesi. Shinichi le chiese se fosse andata a trovare Vermouth in prigione da dopo il processo e lei gli rispose di no, che non voleva più vedere la sua faccia nemmeno per sbaglio. Quando fu il suo turno di fare domande, chiese al ragazzo come andassero le cose con Ran, mettendolo in imbarazzo. Poi gli rifece per l’ennesima volta la stessa proposta: andare a lavorare all’FBI.
 
- La ringrazio ma devo finire gli studi- si grattò la nuca.
- Tu non hai bisogno di tutti questi studi, sei meglio di tanti altri agenti che abbiamo!- scosse una mano.
- Ti ricordo che serve una laurea per entrare all’FBI- intervenne Shuichi.
- Ma lui è un genio!-
- Già, ma le regole sono regole-
- Sei noioso!- s’imbronciò.
- Su, su, non litigate- sorrise imbarazzato il giovane detective.
- Non voglio fare il guastafeste ma dobbiamo prepararci per andare a cena- disse Shuichi, dopo aver controllato l’orologio.
- Scusaci Cool Guy, domani avremo di nuovo modo di chiacchierare-
- Non preoccupatevi, andate pure-
 
Salirono le scale fino alla camera degli ospiti dove avrebbero dormito, tolsero dalla valigia i vestiti che avrebbero indossato quella sera e a turno si fecero una doccia. Shuichi indossò il suo classico outfit, camicia nera con giacca dello stesso colore e pantaloni grigio scuro, ma si risparmiò di mettersi quel berretto in lana da cui sembrava non separarsi mai. Gli piaceva vedere finalmente liberi i suoi capelli mossi. Lei invece aveva optato per un vestito color avorio con lo scollo a V e stretto in cintura, con una giacca in tinta e scarpe nere con il tacco.
Era nervosa all’idea di ritrovarsi con tutta la famiglia riunita, di conoscere finalmente quel fratello di cui Shuichi gli aveva parlato e di ritrovarsi addosso lo sguardo indagatore di Mary. Ad essere onesti era probabilmente quest’ultima cosa a renderla più ansia del resto. Con Tsutomu era facile, ma Mary era un osso duro con cui trattare.
 
- Secondo te questo vestito va bene, Shu? Dici che è troppo?- si preoccupò, guardandosi allo specchio.
- Dobbiamo andare a una cena in famiglia, non c’è bisogno di strafare- le rispose.
- Sì ma ti piace o no?- chiese nuovamente, mostrando tutta la sua agitazione.
- Sei nervosa?- rispose lui di rimando, con quel sorrisetto beffardo che era solito fare quando qualcosa lo divertiva.
- È naturale, no?-
 
Shuichi si avvicinò e le accarezzò dolcemente la testa. Sentire il profumo quella colonia da uomo che le era ormai diventata familiare l’aiutò a calmarsi.
 
- Non preoccuparti, andrà bene. Mio fratello è un tipo molto socievole e chiacchierone, sono sicuro che andrete d’accordo-
- È tua madre quella poco socievole- ammise.
 
Shuichi si lasciò andare ad una risata, cosa che non accadeva spesso. Era perplessa da come un commento (forse nemmeno troppo gentile) su sua madre lo divertisse a tal punto.
 
- A mia madre vai a genio, tranquilla. E poi sei abituata a me, non dovrebbe essere difficile avere a che fare con lei-
- Lei è molto peggio di te, a volte fa paura-
 
Il suo uomo scoppiò in una seconda risata: era confermato che trovava esilarante il timore che la madre incuteva. Gli Akai non si potevano di certo definire persone comuni.
 
- Come devo comportarmi?- gli chiese abbracciandolo.
- Sii te stessa- rispose lui
 
Dopo aver salutato Shinichi uscirono dalla villa e si diressero a casa del Dottor Agasa, dove lui e Shiho li stavano già aspettando. Anche lo scienziato era stato invitato alla cena, in quanto ormai era a tutti gli effetti il tutore della ragazza e aveva la totale approvazione dei suoi zii. Era diventato uno di famiglia e questo non sembrava dispiacergli, nonostante non fosse la famiglia delle pubblicità dove tutti erano perfetti.
Dopo circa quindici minuti di guida raggiunsero l’appartamento dove vivevano Mary e Tsutomu insieme a Masumi, l’unico uccellino che non aveva ancora lasciato il nido. Suonarono il citofono e qualche istante dopo la porta si aprì. Si ritrovarono davanti proprio Masumi, con un sorriso grande come una casa e gli occhi che le brillavano. Guardò estasiata il fratello maggiore, per cui nutriva una profonda ammirazione.
 
- Shu-nii- disse, quasi sottovoce.
 
Di rimando, Shuichi le rispose con un sorriso. A guardarli da vicino, l’uno di fronte all’altro, si assomigliavano davvero tanto. Stessi occhi verdi, stessi capelli mossi. L’unica differenza stava nel carattere, in quello erano davvero due poli opposti. Ne ebbe la prova quando Masumi si girò a guardare lei con espressione meravigliata e poi le si gettò addosso abbracciandola forte.
La sua prima reazione fu quella di restare rigida, non si aspettava certo un’accoglienza così calorosa di primo impatto; poi ricambiò quell’abbraccio così sincero.
 
- Che carina!- disse, guardando Shuichi con gli occhi di ha appena preso in braccio un cucciolo.
- Non si può dire che le manchi l’entusiasmo- commentò Agasa.
- Masumi, non è carino farci restare fuori- la riprese Shuichi, che alle volte era troppo duro con lei.
- Invece di riprenderla prendi esempio da lei- replicò Shiho in difesa della cugina - A te ci sono voluti otto mesi per abbracciare Jodie-
- Ehi?! Voi due?! Nel caso non lo aveste notato ci sono anche io- gli fece presente, alzando la mano.
- Venite!- li invitò ad entrare Masumi, prendendo per mano sia lei che Shiho e trascinandole dentro casa senza troppi complimenti.
 
Appena entrati si trovarono di fronte alla persona che più di tutte temeva rivedere: Mary. Con il suo solito sguardo austero e le braccia incrociate, li fissò uno ad uno. Si chiese se solo lei fosse a disagio o se gli altri, essendo abituati alla sua presenza, non ci facessero più caso.
Sorprendentemente, il suo sguardo si ammorbidì alla velocità della luce e li salutò in modo cordiale, come si addice a una vera padrona di casa. Dopotutto non vedeva il suo primogenito da più di un anno, al di là di ciò che mostrava all’apparenza doveva per forza essere felice dentro di sé.
 
- Avete fatto buon viaggio?- chiese loro.
- Sì, non vedevamo l’ora di tornare- le rispose sorridendo.
- È bello rivederti, Jodie- replicò - Sono sorpresa di come tu riesca a continuare a sopportare questo mio figlio così ingestibile-
 
Si avvicinò con passo lento a Shuichi, fino a trovarsi col naso a pochi centimetri da lui. Posò le mani sui fianchi e lo fissò con aria di sfida.
 
- Bentrovata anche a te, mamma- rispose lui, col suo solito sguardo impassibile.
 
Non riuscì a trattenere una risatina davanti a quella scena così seria da assumere un aspetto comico.
Nel frattempo Masumi aveva trascinato Shiho via con sé, probabilmente per mostrarle qualcosa o per spettegolare in privato di cose tipiche delle ragazze della loro età.
Mary salutò anche il Dottor Agasa e poi li informò che Tsutomu era in cucina a preparare la cena e che Shukichi lo stava aiutando.
 
- Tsutomu sa cucinare?- si stupì.
- Molto meglio di quanto sappia farlo io- ammise Mary.
- Ecco da chi hai preso!- si rivolse a Shuichi.
- No, a me lo ha insegnato la Signora Yukiko-
- Disturbiamo se andiamo in cucina?- chiese -Vorremmo salutare anche loro. Così posso finalmente conoscere lo sposo-
- Vado a chiamarlo, così potete conoscervi senza distrazioni ai fornelli-
 
La ringraziò e la seguì con gli occhi mentre si allontanava in direzione della cucina. In quella breve attesa la sua ansia crebbe e iniziò a giocherellare intrecciando le dita fra loro. Shuichi se ne accorse e le passò una mano sulla schiena in segno di incoraggiamento.
Pochi minuti dopo un ragazzo con un paio di occhiali rotondi e i capelli un po’ scombinati apparve da dietro l’angolo. Indossava una camicia blu scuro e un gilet marroncino, con i pantaloni coordinati. Somigliava incredibilmente a Tsutomu ringiovanito.
Si fissarono a vicenda per qualche istante nel quale nessuno dei due proferì parola. Stupore e curiosità, questo riusciva a leggere nello sguardo di quell’uomo che doveva avere all’incirca la sua stessa età, e lo stesso valeva per lei. Gli fece un sorriso ma lui continuò a guardarla meravigliato, come se avesse visto apparire una divinità.
Alla fine si sbloccò, resosi conto che non poteva continuare a fare la figura del pesce lesso.
 
- Hi! My name is Shukichi, nice to meet you- si avvicinò a lei, facendo un piccolo inchino.
 
Quel gesto tipicamente nipponico accompagnato da una presentazione in un perfetto inglese la lasciò perplessa e confusa, tanto da girarsi verso Shuichi in cerca di una spiegazione logica. Perché le stava parlando in inglese? Non lo avevano avvisato che lei poteva comprendere e parlare perfettamente il giapponese?
Shukichi notò quella sua reazione e si rivolse immediatamente al fratello nella lingua locale.
 
- Niisan, per caso l’American English è diverso dal British English? O forse ho sbagliato qualcosa? Sai, il mio inglese è arrugginito dopo tutti questi anni- si grattò la nuca imbarazzato.
 
In tutta risposta, Akai fece un sorrisetto divertito e la guardò ignorando la richiesta del fratello. Voleva chiaramente che fosse lei a intervenire, lui preferiva godersi quella scenetta esilarante.
 
- Il tuo inglese è perfetto, non preoccuparti- gli parlò in giapponese - É solo che mi sono sorpresa, credevo che Shuichi ti avesse detto che comprendo e parlo la vostra lingua-
- Sul serio? Devi scusarmi! Niisan, non mi avevi avvertito!- si lamentò con il fratello maggiore, che continuò a far finta di nulla.
- Non importa, ricominciamo- gli sorrise - Sono Jodie, piacere di conoscerti e congratulazioni per il matrimonio-
- Oh, grazie mille! Piacere mio, Jodie. Ti confesso che ero davvero entusiasta all’idea di incontrarti, Shuichi-niisan non ha mai menzionato una ragazza da che ne ho memoria, perciò quando mi ha detto che sarebbe venuto al matrimonio con la sua fidanzata sono rimasto sbalordito-
- Vale lo stesso per me, conosco Shu da anni e non mi aveva mai parlato di un fratello-
- Vedo che andate già d’accordo, vi lascio alle vostre chiacchiere- intervenne il diretto interessato, dirigendosi verso la cucina.
- Shu, ma dove vai?- gli chiese.
- A salutare papà-
 
Era più che normale che non vedesse l’ora di rivedere quel genitore che per anni aveva creduto morto, qualunque altro membro della sua famiglia passava in secondo piano. Shuichi aveva davvero un’adorazione per suo padre.
 
- Fra poco arrivo anche io- lo avvertì.
 
Anche lei voleva rivedere Tsutomu, ma le sembrava scortese scappare via dalla conversazione con Shukichi. Dopotutto aveva insistito tanto per conoscerlo, era giusto che gli dedicasse del tempo.
 
- Allora, raccontami un po’ della sposa. Sarà qui anche lei stasera, immagino-
- Purtroppo no, aveva già preso un impegno con delle amiche per andare al karaoke-
- Che peccato! Ero curiosa di conoscere anche lei. Vorrà dire che mi mostrerai una sua foto- gli fece l’occhiolino, facendolo arrossire.
- Mancano ancora tre giorni al matrimonio, spero di riuscire a presentartela di persona-
- Ci conto!-
- Anche io sono curioso di sapere di te e del mio fratellone. Come vi siete conosciuti?-
- Shuichi era già agente da qualche anno quando anche io sono entrata nell’FBI. Ci hanno messo a lavorare insieme ad un caso e da lì abbiamo avuto modo di conoscerci meglio-
- Quindi anche tu sei un’agente dell’FBI?- si stupì.
- Oh yes!-
- Beh, dovevo immaginarlo. Shuichi-niisan non è il tipo da uscire la sera a far festa e non ha mai avuto molti amici, quindi era molto improbabile che ti avesse conosciuta in qualche locale o in situazioni analoghe-
- Non posso darti torto- lo assecondò.
- Vuoi raggiungerlo in cucina?- le chiese - Scusami, ti stavo trattenendo-
- Non preoccuparti, mi fa piacere conversare con te. Anzi, dopo voglio assolutamente che mi racconti di Shuichi e di quando eravate bambini. Lui non parla mai molto di sé e del suo passato-
- Non prenderla sul personale, è fatto così- la rassicurò.
- Lo so, ormai lo conosco bene. Ora vado a salutare vostro padre-
- Vengo con te, gli stavo dando una mano-
 
Mentre camminava al suo fianco verso la cucina le venne spontaneo chiedersi come fosse possibile che dalla stessa madre, paragonabile a un iceberg, fossero nati due figli così estremamente diversi fra loro. Shukichi era l’esatto opposto di Shuichi: dolce, gentile a primo impatto, chiacchierone, espansivo, sorridente. A differenza del fratello maggiore doveva aver preso da Tsutomu anziché da Mary. Di certo sarebbero andati molto d’accordo, poiché anche lei condivideva lo stesso carattere. Aveva decisamente sbagliato fratello, ma ormai era troppo tardi.
Raggiunta la cucina trovarono Shuichi che conversava col padre mentre lo aiutava a cucinare. Un delizioso profumo di qualcosa che non le sembrava di aver mai sentito stimolò le sue narici e anche il suo appetito.
Tsutomu spostò la sua attenzione dalla pentola a lei, rivolgendole un caloroso sorriso di benvenuto.
 
- Jodie, che piacere rivederti-
- Ciao Tsutomu, come stai?- ricambiò il sorriso.
- Non mi lamento- rispose.
- Sono sorpresa di vederti ai fornelli, non sapevo che fossi un cuoco provetto- si avvicinò a lui, per curiosare cosa ci fosse nei vari piatti e pentole.
- Non sono così bravo ma me la cavo-
- Te la cavi piuttosto bene da quanto vedo. Tutto ha un aspetto così delizioso- si complimentò.
- Ti ringrazio, spero che sia anche buono-
- Oh, ne sono certa-
 
Nel frattempo Shuichi aveva continuato a mescolare qualcosa e ad aggiungere poco a poco ingredienti, il tutto ascoltando la conversazione fra lei e suo padre. Shukichi si era avvicinato a lui e gli aveva detto qualcosa, per poi riprendere anche lui ad aiutare. Era un bellissimo quadretto familiare di un padre con i suoi figli maschi che potevano finalmente godere della presenza l’uno degli altri. Provò un senso di malinconia a quella vista, perché lei non avrebbe mai più potuto cucinare con suo padre o fare qualsiasi altra attività padre e figlia con lui; tuttavia era felice per Shuichi, che dopo tutti i suoi sacrifici si era meritato ogni singolo istante di quel momento.
 
- Vedo che siete tutti impegnati, quindi vi lascio ai vostri esperimenti culinari- sorrise - Avremo modo di chiacchierare con calma dopo. Ora raggiungo gli altri, magari hanno bisogno di una mano per qualcosa-
 
Si congedò da loro, lasciandogli quello spazio privato di cui avevano bisogno e raggiunse il resto della famiglia nella sala dove avrebbero cenato.
 
 
***************
 
 
Fin dal momento in cui aveva messo piede alla villa dei Kudo, era stato pervaso da quella sensazione tipica di familiarità, che solo i luoghi in cui ti sei sentito a casa possono darti. Nonostante avesse trascorso mesi chiuso lì con un’altra identità, vivendo una vita che non era la sua, aveva imparato tante cose, compreso ad essere un po’ meno glaciale. Lo Shuichi che era diventato non ci sarebbe stato senza Subaru.
Rivedere quel ragazzino con cui aveva ideato mille piani e strategie, la cui mente era addirittura superiore alla sua, gli aveva fatto davvero tanto piacere. L’idea di Jodie di convincerlo ad entrare nell’FBI in fondo non gli dispiaceva, avrebbe voluto collaborare con lui ancora una volta, ma sapeva che questo non era possibile. Il giovane Kudo era nato per essere un detective libero che risolveva i casi da sé, proprio come Sherlock Holmes. Molti anni prima aveva riso di gusto di fronte alla sua affermazione, poiché nessuno avrebbe preso sul serio un bambino di sei anni che parlava come un adulto, ma ora si era dovuto ricredere: quel bambino diventato ormai quasi un uomo ce l’aveva fatta davvero a diventare come Holmes.
Infine c’era la sua famiglia, che non rivedeva dal processo di Vermouth. Gli mancavano e avrebbe voluto trascorrere più tempo con loro, ma ormai la sua vita era in America e in Giappone sarebbe stato solo un altro detective in mezzo a tanti, troppi forse. Si accontentava di vederli solo un paio di volte all’anno, purchè fosse certo di saperli al sicuro.
Stare lì, al fianco di suo padre a conversare con lui lo rendeva felice, ripagandolo di tutto ciò che aveva dovuto sopportare per riaverlo. Lui e Jodie erano molto diversi, ma qualcosa in comune l’avevano e questa era una di quelle: vedere il proprio padre come un eroe. Tsutomu era sempre stato dedito alla sua famiglia, non aveva mai fatto mancare loro né affetto né altro e agli occhi di tutti era sempre apparso come un sole abbagliante. Era lui il collante della loro famiglia e quando era venuto a mancare, la famiglia si era sgretolata. Ma ormai quei tempi erano solo un vecchio ricordo, per fortuna.
 
- Shuichi-niisan, ma è davvero bellissima!- se ne uscì all’improvviso Shukichi, eccitato come una collegiale - E poi è simpatica, gentile…Dove l’hai trovata una così?-
- Sono stato fortunato- rispose semplicemente, senza nascondere un sorrisetto orgoglioso.
- Puoi dirlo forte, tua madre ancora non ci crede che Jodie ti abbia aspettato così tanto tempo senza stufarsi- scherzò Tsutomu.
- Aspettato? In che senso? Voglio sapere, raccontate anche a me!- si lamentò il fratello minore.
- Quanto chiasso fai, Shukichi- lo rimproverò ma senza cattiveria.
- Avanti Shuichi, non essere duro con tuo fratello, è solo felice di rivederti. Raccontagli della tua travagliata storia d’amore con Jodie-
 
Non poteva vincere contro di loro, erano uguali in fondo. Se lui era lo specchio di sua madre, Shukichi lo era di suo padre. Così raccontò in breve delle sue vicissitudini amorose con la bella americana, omettendo certi particolari che preferiva restassero privati, nonostante Shukichi ne fosse già a conoscenza. L’argomento “l’ho lasciata per intraprendere una relazione con quella che si è rivelata essere mia cugina” sarebbe rimasto sempre un tasto dolente sul quale era meglio non ritornare.
Shukichi lo ascoltò con attenzione, come un bambino quando gli viene raccontata una favola.
 
- Sul serio ti ha aspettato per sei anni??? Ma questa è roba da film!-
- Anche tu hai aspettato la tua futura moglie, no?-
- Ma non per sei anni e non con un’altra donna di mezzo!-
- Te l’ho detto, sono stato fortunato-
- È incredibile come non sia arrivato nessun altro a prendersela, avevi davvero la sorte dalla tua-
- In realtà in diversi ci hanno provato, non le sono mancate le occasioni di rifarsi una vita con qualcun altro- ammise, pensando in particolar modo a Clay.
- Beh, è più che comprensibile- intervenne Tsutomu - Insomma, è giovane e molto bella, di certo non passa inosservata-
- E dimmi, al lavoro non fanno storie sul fatto che abbiate una relazione?-
- Fortunatamente no, il nostro capo è magnanimo-
- E i vostri colleghi cosa ne pensano?-
- Qualcuno è contento, molti mi odiano-
- Perché?-
- Come ha detto papà prima, Jodie non è una che passa inosservata. Da quanto mi hanno riferito è considerata la donna più bella del nostro headquarter, quindi il fatto che l’abbia soffiata via ad altri non è stato gradito-
- Wow, che storia incredibile!- esclamò entusiasta - E adesso vivete insieme? Pensi di sposarla?-
- Quante domande, Shukichi. Vacci piano- smorzò il suo entusiasmo sul nascere.
- Dagli tempo, tuo fratello è come vostra madre. Quando le ho chiesto di sposarmi ci ha pensato tre giorni prima di darmi una risposta-
- Uffa, ma io voglio sapere!-
- Per la convivenza ci stiamo organizzando, per il matrimonio è un po’ presto parlarne, non credi? Ora basta domande- chiuse il discorso.
- Anche perché qui è tutto pronto, quindi possiamo metterci a tavola- disse Tsutomu, osservando soddisfatto il suo operato.
 
Portarono un po’ alla volta ciò che avevano preparato nella sala da pranzo e, preso posto a tavola, diedero inizio alla cena. Non mancarono battute, frecciatine, risate, domande scomode: il classico pacchetto che si era soliti trovare ad una cena in una famiglia numerosa.
Jodie si era ambientata alla perfezione (ma d’altronde non poteva che essere così, data la natura del suo carattere) e questo lo rese felice: da quel momento in poi anche lei sarebbe stata a tutti gli effetti parte della sua famiglia. Dopo tutte le sofferenze che le aveva causato, voleva ripagare il debito nei suoi confronti dandole ciò che lei, sfortunatamente, non avrebbe più avuto occasione di avere. Mary e Tsutomu non potevano sostituire i suoi veri genitori e di certo non potevano competere con James, tuttavia voleva che facesse affidamento su di loro in qualsiasi momento, se ne avesse avuto bisogno.
Tutto era finalmente tornato alla normalità, ogni tassello era al suo posto. Da quel momento in poi le cose sarebbero andate per il meglio.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Spero vi sia piaciuto l’incontro tra Shukichi e Jodie, ho pensato a qualcosa di un po’ comico conoscendo entrambi.
Ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 47
*** Capitolo 47: Le nozze del Taiko Meijin ***


Capitolo 47: Le nozze del Taiko Meijin
 
 
 
Guardò la sua immagine riflessa allo specchio e si passò sulle labbra un velo di rossetto non troppo vistoso, per poi completare il tutto con degli orecchini pendenti e una catenina abbinata. Era arrivato il grande giorno e per l’occasione aveva scelto di indossare un vestito rosso a sirena, con uno spacco laterale fin sopra al ginocchio e le spalline che circondavano il collo scendendo poi dietro a creare un intreccio sulla schiena, mentre tre rose le poggiavano sulle spalle. Ai piedi aveva optato per dei sandali color argento con il tacco alto e sottile, che rendevano la sua figura ancora più slanciata.
Si girò per osservare a che punto fosse Shuichi e lo trovò intento a sistemarsi il papillon. Era più bello del solito in quello smoking nero con panciotto senza l’inseparabile cappello a coprirgli i capelli mossi.
Si avvicinò a lui e con un dolce sorriso lo aiutò a sistemare il colletto della camicia e della giacca.
 
- Te l’ha mai detto nessuno che sei sexy con la camicia bianca e i completi a giacca?- scherzò.
 
Il suo bel principe tenebroso non rispose, ma capì dal modo intenso in cui la stava guardando con quel sorrisetto abbozzato che era soddisfatto di piacerle e che anche lei gli piaceva parecchio con quell’abito dello stesso colore del suo cognome. Non glielo diceva quasi mai che era bellissima, ma lei aveva imparato a comprendere i suoi pensieri dal solo sguardo.
 
- Sei nervoso?- gli chiese.
- Dovrei esserlo?-
- Beh, si sposa tuo fratello e tu sei il testimone. Ti chiederanno di fare un discorso per gli sposi, ma a te non piace parlare. Quindi sì, dovresti essere nervoso- concluse.
- Mi spiace deluderti ma sono calmo-
- Ovvio, perché dovresti mostrare qualsiasi genere di emozione umana?- gli picchiettò l’indice sul naso.
- Tu sei nervosa?-
- È naturale!-
- Davvero sei ancora intimorita da mia madre?- ghignò divertito.
- Mary non c’entra, sono nervosa perché è una giornata importante e non conosco nessuno a parte la tua famiglia. Sono un’agente dell’FBI in mezzo alla polizia giapponese e ad altre facce sconosciute-
- Non credo che ti arresteranno-
- Sei diventato spiritoso all’improvviso?-
- Hai conosciuto anche la sposa, vedrai che nessuno ti guarderà male perché sei straniera. E poi tu non sei una che fatica a socializzare-
- Già, bel primo incontro quello con la sposa- ironizzò.
 
Le tornò alla mente quella vicenda accaduta un paio di giorni prima, quando Shukichi li aveva invitati fuori a pranzo per fargli conoscere la sua futura moglie. Quando erano arrivati al tranquillo locale designato come luogo dell’appuntamento, lui e Yumi li stavano già attendendo.
Yumi le era parsa da subito una ragazza molto carina, forse a tratti dall’aria un po’ snob. Non appena l’aveva vista, aveva salutato Shuichi e poi si era rivolta a lei parlando un inglese davvero terribile, cercando di presentarsi mentre gesticolava per farsi comprendere meglio.
 
- My name is Yumi. Y-U-M-I, ok? I nice meet you-
 
Non era riuscita a vedersi riflessa nel vetro dell’entrata del locale, ma sapeva per certo di aver assunto un’espressione da ebete di fronte a quella scena che sembrava copiata e incollata da quella che aveva vissuto con Shukichi. Aveva persino pensato che fosse uno scherzo, tanto da girarsi verso Shuichi e chiederglielo.
 
- Ma parlarmi in inglese come se fossi svampita è una gag ricorrente della vostra famiglia?-
- Così sembra- le aveva risposto lui, evidentemente divertito dalla situazione.
 
Shukichi si era immediatamente scusato con lei, dicendo che si era scordato di dire alla sua fidanzata che la ragazza di suo fratello maggiore parlava e comprendeva perfettamente il giapponese.
Yumi si era arrabbiata con Shukichi per la figuraccia che le aveva fatto fare e lei aveva ribadito più volte che non c’era nessun problema. Insomma, un bellissimo e perfetto primo incontro da film.
 
- Terrai gli occhiali anche oggi?- le chiese, facendola tornare alla realtà.
- Perché me lo chiedi? Sai che li indosso sempre-
- Appunto, credevo che oggi avresti fatto uno strappo alla regola. Con questo aspetto così elegante staresti meglio senza-
- Me lo hanno sempre detto tutti che starei meglio senza- abbozzò un sorriso malinconico - Ma sai cosa significano per me-
- Non ti sto dicendo di buttarli o di non metterli più, dico solo che qualche volta potresti cambiare. Qualcuno tempo fa mi ha detto che dovevo smetterla di restare attaccato al passato e che dovevo andare avanti: non pensi che rinunciare ad indossare gli occhiali di tuo padre possa essere un modo per lasciarti alle spalle ricordi dolorosi?-
 
Si soffermò un istante a riflettere su quelle parole, pronunciate con molta calma e tatto per non risultare troppo dure o insensibili. Per anni aveva indossato quegli occhiali di cui non aveva assolutamente bisogno, sui quali aveva fatto montare delle finte lenti, il tutto per poter avere sempre con sé l’ultima cosa che gli restava di quel padre che le avevano portato via troppo presto. Da bambina li aveva considerati a lungo il suo tesoro e anche quando era cresciuta aveva continuato a vederli come tali. Pensare di non indossarli più era come rinunciare ad una parte di se stessa, ma comprendeva il discorso di Shuichi e non poteva dargli tutti i torti.
 
- Mi hai convinta, per oggi non li indosserò. Ma non posso prometterti di non indossarli mai più, non adesso per lo meno- gli sorrise, togliendosi gli occhiali e ripiegandoli con cura, per poi infilarli nella loro custodia che lasciò sul comodino.
- Piccoli passi- le rispose, fiero del suo tentativo di andare avanti.
 
Una volta vestiti e agghindati, scesero le scale lentamente e al piano di sotto trovarono Shinichi che si stava allacciando le scarpe. Si guardarono tutti quanti a vicenda, sorpresi: si conoscevano da parecchio ma non avevano mai avuto occasione di vedersi in abiti da cerimonia.
 
- Questo look ti dona molto, Cool Guy! Farai una strage di cuori!- gli fece l’occhiolino.
 
Il giovane detective s’imbarazzò, come sempre, sia per il complimento sia per il fatto che l’occhio gli era inevitabilmente caduto sullo spacco del suo vestito. Sperò che Shuichi non avesse notato questo particolare o perlomeno che lo perdonasse, data la sua giovane età e gli ormoni che si facevano sentire. Da come si parlarono amichevolmente l’uno con l’altro, capì che poteva stare tranquilla.
Uscirono dalla villa e raggiunsero l’abitazione a fianco, dove Agasa e Shiho li stavano aspettando per andare tutti insieme al matrimonio. Lo scienziato indossava un classico vestito a giacca grigio scuro, mentre la giovane donna un abito blu sopra al ginocchio, con una sola grande spallina a sinistra e una sorta di breve strascico che svolazzava dietro di essa. Si era anche truccata (quel tanto che bastava per i suoi vent’anni) e questo la rendeva ancora più bella.
Shiho notò immediatamente l’assenza degli occhiali e ne chiese la motivazione, per poi farle presente che stava benissimo anche senza.
Dopo essersi complimentate l’una con l’altra, notando i dettagli come tipico di tutte le donne, salirono in macchina e si avviarono verso l’hotel Hilton Tokyo Odaiba, dove si sarebbe tenuta la cerimonia.
 
Una volti giunti al luogo prestabilito, la prima cosa che li colpì fu il lusso che trasudava da ogni centimetro della superficie. Era uno dei migliori hotel a Tokyo e forse uno dei migliori di tutto il Giappone. Avevano voluto fare le cose in grande stile, forse perché Shukichi era famoso, forse perché voleva che quel momento tanto desiderato fosse perfetto. Lei non aveva mai fatto progetti così grandi o fantasticato sul suo eventuale matrimonio, la vita non le aveva permesso di arrivare a tanto, ma quelle poche volte in cui il pensiero le aveva sfiorato la mente si era immaginata una cerimonia sobria, per pochi intimi.
 
- Certo che non hanno badato a spese- commentò Shiho, che come sempre faceva da portavoce ai pensieri che altri non osavano esprimere apertamente.
- In teoria ci si dovrebbe sposare una volta sola nella vita, quindi è giusto viziarsi un po’-
 
Si avvicinarono al bancone della reception per chiedere in quale sala dovessero andare per raggiungere lo sposo e la sua famiglia, ma ancor prima di ricevere una riposta sentirono la voce di Shukichi alle loro spalle che chiamava il fratello maggiore. Si voltarono e lo videro scendere dall’elegante scalinata bianca che portava al piano superiore. Indossava uno smoking quasi uguale a quello di Shuichi, ma di colore bianco, con una rosa dello stesso colore che gli fuoriusciva dal taschino superiore della giacca. Si era rasato con cura la barbetta incolta e non indossava gli occhiali. Notò subito delle minuscole goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte e il fatto che si stesse torturando le mani rigirandosi le dita: era visibilmente agitato e nervoso, come probabilmente ogni persona nel giorno del suo matrimonio.
 
- Che onore essere accolti direttamente dallo sposo!- gli sorrise, cercando di metterlo a suo agio.
 
Shukichi si prese qualche secondo per guardarla meravigliato, come se avesse visto una dea. Era divertente come, ogni volta che la vedeva con un abito corto, un po’ scollato o che mettesse in qualche modo in mostra le sue forme senza essere volgare, la sua reazione fosse sempre la stessa.
 
- Benvenuti!- li salutò infine - Stavo facendo una passeggiata per distrarmi ma visto che siete arrivati torniamo al piano di sopra- li invitò a seguirlo.
- Sei nervoso?- gli chiese.
- Parecchio- ammise, grattandosi la nuca imbarazzato.
- Fatti un bel drink- scherzò, dandogli una pacca sulla spalla e facendolo ridere.
 
Salirono la scalinata e camminarono fino alla stanza che avevano dedicato per lui e i familiari stretti, dove potevano cambiarsi d’abito, sistemare acconciatura e trucco e ingannare l’attesa. Lì trovarono Mary, Tsutomu e Masumi, che per l’occasione si era resa più femminile indossando un abito rosa scuro e delle scarpe color carne con un tacco piccolo e basso. Tra i suoi capelli ribelli come quelli del fratello primogenito sbucava un fiore che le conferiva un’aria ancora più graziosa.
Si salutarono gli uni con gli altri, scambiando qualche chiacchiera e qualche battuta. Shiho rimproverò la cugina di non essersi truccata nemmeno un minimo e Jodie intervenne in sua difesa, approfittando della trousse che aveva portato Mary per metterle quel velo di trucco che bastava. Le strane espressioni che Masumi fece mentre cercava di metterle ombretto, mascara e rossetto furono motivo di divertimento per alcuni dei presenti.
Restarono lì fino a quando non giunse il momento di spostarsi nella sala dove si sarebbe tenuta la cerimonia, un grande salone con lussuosi lampadari a cono dalla luce calda che scendevano dal soffitto. Da un lato e dall’altro, disposte in fila, vi erano delle sedie bianche simili a poltroncine, con un fiore e un velo attaccati dietro ciascuna di esse, mentre al centro era stato lasciato lo spazio necessario perché gli sposi potessero fare la camminata. Alcune persone erano già sedute, fra le quali riconobbe l’ispettore Megure e l’agente Takagi.
Tsutomu, Masumi e Shiho presero posto nella prima fila a destra, mentre Agasa e Shinichi si misero in seconda fila in quanto conoscenti di famiglia ma non parenti stretti. Lei tentennò su dove sedersi, non sapendo come potesse essere classificata la “fidanzata ma non promessa sposa del fratello dello sposo”. Non volendo sembrare indelicata, fece per sedersi di fianco a Shinichi, ma Shiho la fermò.
 
- Perché ti siedi lì dietro?-
- Perché i posti davanti sono per i parenti stretti- si giustificò.
- Appunto- intervenne Tsutomu - La futura cognata dello sposo dovrebbe sedersi con la famiglia-
 
Gli sorrise, grata per quelle parole che suonavano un po’ come un augurio per il futuro e andò a sedersi accanto a Shiho.
Shuichi si mise seduto sulla sedia subito dietro a quella destinata allo sposo, in quanto suo testimone. Pian piano la sala si riempì e rimasero solo due posti vuoti: quello di Mary e quello del padre di Yumi, che avrebbero accompagnato all’altare i rispettivi figli.
Una nota solitaria si levò dal pianoforte all’angolo della grande stanza e annunciò che lo sposo stava facendo la sua entrata. Tutti gli invitati girarono il capo verso la porta d’ingesso e Shukichi iniziò ad avanzare lentamente accompagnato da Mary, che lo teneva sottobraccio. Quando giunsero davanti al banchetto con il cerimoniere, lo lasciò andare e andò a sedersi al fianco di Tsutomu. I due fratelli si scambiarono un’occhiata e Shuichi fece un piccolo cenno di incoraggiamento a Shukichi.
La pianista terminò di suonare quella melodia e iniziò subito a suonarne un’altra, segno che ora era il turno della sposa. Yumi varcò la porta accompagnata dal padre, avvolta in un vaporoso abito bianco con decorazioni in pizzo, tulle e qualche rosa di stoffa qua e là. Aveva raccolto i lunghi capelli in uno chignon completato da una coroncina dalla quale partiva il classico velo da sposa. Il trucco era molto delicato, quasi impercettibile, per non risultare troppo appariscente in quell’apparenza candida.
Avanzò fino a raggiungere il suo quasi marito e abbracciò il padre prima che quest’ultimo andasse a sedersi. Al suo fianco vi era la damigella d’onore, che altri non era che la compagna dell’agente Tagaki.
Shukichi l’aveva guardata estasiato per tutto il tempo, impaziente di poterle infilare l’anello al dito e farla così diventare la Signora Haneda.
Il brusio nella stanza si fermò e nel silenzio generale il cerimoniere diede inizio al rito. La prima parte fu abbastanza piatta, a tratti quasi noiosa, con la lettura di documenti ufficiali com’era la prassi. Poi venne il momento dei voti e dello scambio delle fedi, che iniziò a scaldare i cuori. Infine ci fu lo scambio delle promesse, la parte che tutti aspettavano e che sciolse completamente gli animi di quasi tutti i presenti. Lacrime e fazzoletti furono i protagonisti di quella scena, lei stessa dovette asciugarsi gli occhi più di una volta stando attenta a non far colare il mascara. Giurò di aver visto persino Mary con gli occhi lucidi.
Per tutto il tempo in cui i due sposi si dedicarono parole e promesse di amore eterno tenne gli occhi fissi su Shuichi, probabilmente l’unico in sala a non aver versato nemmeno una lacrima. Non lasciava trasparire alcuna emozione, come suo solito, ma immaginò che fosse felice per il fratello minore.
Una frase in particolare nel discorso di Shukichi la colpì nel profondo, poiché sembrava fatta su misura per descrivere una situazione che si era ritrovata a vivere in prima persona:
 
“Gli scacchi sono una questione di tempismo. Non è sufficiente giocare la mossa giusta, devi anche giocarla al momento giusto. Sapersi contenere è una delle cose più difficili da imparare per il giocatore medio di scacchi.”
 
Nel momento in cui le pronunciò vide Shuichi girarsi verso di lei, probabilmente smosso dallo stesso sentimento. Lui aveva fatto la sua mossa al momento giusto per riaverla, mentre lei aveva imparato, con il tempo, a contenere i suoi sentimenti per lui. Erano stati due abili giocatori negli scacchi dell’amore e per questo avevano vinto.
Il rito matrimoniale si concluse con il bacio che sugellava quell’unione e gli sposi, mano nella mano, camminarono fino alla porta fra gli applausi dei presenti.
Lentamente si spostarono tutti nella sala che avevano allestito per il buffet, dove avevano preparato tavoli rotondi (apparecchiati di bianco) con relative sedie. Su tre lunghi tavoli rettangolari erano state disposte diverse pietanze e ciascuno poteva servirsi autonomamente. Vini e alcolici vari venivano serviti da un gentile barman in un angolo della stanza.
I novelli sposi si erano assentati per il set fotografico nella zona esterna, resa più suggestiva dal panorama di Tokyo che faceva da sfondo, mentre tutti loro ne stavano approfittando per bere e mettere qualcosa sotto i denti.
Shuichi si era fermato a parlare con Mary, Tsutomu e Masumi, lei invece aveva seguito Shiho, il Dottor Agasa e Shinichi ai tavoli del buffet per dare un’occhiata e mettere qualcosina sotto i denti.
 
- Quante prelibatezze!- si lasciò sfuggire lo scienziato, i cui occhi erano lucenti come stelle di fronte a tutto quel cibo.
- Effettivamente hanno un aspetto invitante- gli diede ragione.
- Tenga giù le mani da tutto ciò che è fonte di grassi e carboidrati, inclusi i dolci- lo fulminò Ai.
- Oh, andiamo! Siamo ad un matrimonio, fallo mangiare!-
- Se lo lascio fare ingrasserà a dismisura!-
- Vorrà dire che domani uscirete a fare una corsa- scosse la mano - Mangi pure tutto ciò che vuole, è gratis- fece l’occhiolino ad Agasa.
 
Shiho assunse un’aria contrariata e per dispetto si sfogò mettendo nel piattino di Shinichi una tartina con sopra le uova di salmone, consapevole che il giovane detective le odiava.
 
- Hey, ma che fai?! Non la voglio!- si lamentò, guardando quasi schifato quel quadratino di pane morbido con sopra le minuscole palline ambrate.
- Sei davvero dispettosa come una scimmietta!- la rimproverò, ma in tono scherzoso - Dallo a me Cool Guy, lo mangio io-
- Che succede qui?- li interruppe Shuichi, che nel frattempo li aveva raggiunti insieme al resto della famiglia Akai.
- La tua fidanzata flirta con il tuo ex socio- sentenziò Shiho.
- Non è affatto vero!- si lamentò Shinichi.
- Oggi la nostra principessina ha deciso di fare i capricci- la prese in giro - Coraggio, i matrimoni dovrebbero mettere di buon umore!-
- Il concetto di buon umore non fa parte del suo vocabolario- l’accusò il detective, desideroso di vendicarsi del torto subito poco prima.
- Su, non litigate- intervenne Agasa, che nel frattempo aveva riempito per bene il suo piatto.
- Quanta roba ha preso?!- si scandalizzò la giovane scienziata.
- Forza, vieni con me- la prese sotto braccio, cercando di trascinarla con sé.
- Dove?-
- Facciamo un bel giretto fino a quando il tuo demone interiore che si manifesta sottoforma di un dietologo non torna a nanna- sorrise.
 
Tsutomu rise di gusto a quella battuta, mentre gli altri fissarono la scenetta divertiti. Si scusò con loro dicendo che sarebbero tornate a breve, poi la portò via con sé per finire il giro dei tavoli.
Pian piano la ragazza si calmò, complice anche il fatto che passare un po’ di tempo sola con lei la rendesse felice. Riuscì persino a convincerla a riempirsi per bene un piatto con qualsiasi cosa le piacesse.
 
- Va meglio?- le chiese - Possiamo tornare dagli altri senza rischiare che tu uccida qualcuno?-
- Che spiritosa- storse le labbra - Guarda che le malattie cardiovascolari causate dall’obesità sono in crescita, non voglio che al Dottore venga un infarto a causa della sua golosità-
- Un pranzo di matrimonio non ha mai ucciso nessuno, lo metterai a dieta da domani. Ora andiamo, non vorrei sembrare scortese nei confronti di Mary e Tsutomu-
- Vuoi giocare alla nuora perfetta così gli piacerai più di Yumi?- la provocò.
- Io non devo competere proprio con nessuno e a differenza di Yumi non sono ufficialmente una nuora-
- Certo, perché il pettina-bambole sta perdendo tempo come suo solito. Se lasci fare a lui ti chiederà di sposarlo quando andrete in pensione-
- Calma, siamo tornati insieme da nemmeno un anno! Per ora ci viviamo la cosa come deve andare, poi si vedrà-
- Ma se l’hai mangiato con gli occhi durante tutta la cerimonia! Non so nemmeno se li hai visti gli sposi, ascoltavi le loro promesse e lo guardavi piangendo come una fontana! Scommetto che se ti chiedesse di sposarlo domani diresti di sì senza pensarci due volte-
- Volevo solo vedere se si commuoveva!- si giustificò, mal celando l’imbarazzo.
- Come no!-
 
Continuarono a punzecchiarsi fino a quando non raggiunsero gli altri e poi si unirono ai loro discorsi. Shuichi e Shinichi stavano parlando di casi da risolvere, come di consueto, mentre Tsutomu e Masumi li ascoltavano interessati e Mary origliava in silenzio. Agasa fingeva di ascoltare, ma in realtà si stava godendo i manicaretti.
Tsutomu si complimentò con lei su quanto stesse bene senza occhiali e Masumi gli diede man forte, ribadendo che avrebbe dovuto usare più spesso le lenti a contatto. Svelò loro il suo segreto, ovvero che ci vedeva benissimo e che gli occhiali avevano lenti finte, unitamente al fatto che li portava solo perché erano l’ultimo ricordo rimasto di suo padre. Shiho intervenne dicendo che non importava se li portasse o meno: tanto era bella in ogni caso.
L’entrata in sala degli sposi, che avevano finalmente terminato lo shooting fotografico, interruppe le chiacchiere generali e tutti i presenti li accolsero con un caloroso applauso. Shukichi e Yumi iniziarono a fare il giro degli ospiti per salutarli come si doveva e ringraziarli di essere venuti a festeggiarli nel loro giorno più importante. Iniziarono dai genitori di Yumi, con i quali rimasero a chiacchierare per circa una decina di minuti, poi passarono a loro.
 
- Scusateci, oggi siamo un po’ latitanti- esordì lo sposo.
- È più che normale- gli posò una mano sulla spalla Tsutomu - L’importante è che siate felici-
- Grazie a tutti di essere venuti- fece un inchino Yumi - Specialmente a voi, che avete attraversato l’Oceano per essere qui- si rivolse a lei e Shuichi.
- Non ce lo saremmo perso per niente al mondo- sorrise, parlando a nome di tutti e due in quanto consapevole che Shuichi non sarebbe riuscito ad esprimere a pieno la sua gratitudine - Sei davvero una sposa bellissima-
- Grazie Jodie, anche tu sei magnifica. Tieniti alla larga dai miei colleghi, se li conosco bene inizieranno a ronzarti intorno come le mosche-
- Ma cosa dici Yumi-tan!-
- Ora che Sato fa coppia fissa con Takagi hanno perso interesse nel correrle dietro, perciò devono trovare un’alternativa. Jodie è effettivamente la prima della lista, se ci guardiamo intorno-
- Così la metti in imbarazzo!- intervenne in suo aiuto Shukichi.
- Oh, tranquillo! Ormai sono diventata il bersaglio delle gag di questa famiglia, se vuoi puoi parlarmi di nuovo in inglese e farò finta di non capire cosa state dicendo-
 
Tsutomu e Shinichi non riuscirono a trattenere una risata mentre Shuichi si contenne, ma quel sorrisetto stampato sulle labbra tradì il suo divertimento.
Shukichi si stupì di vederla senza occhiali e, come tutti gli altri, le disse che stava benissimo. Sembrava l’argomento del giorno, tanto che alla fine promise di toglierli più spesso.
Gli sposi li salutarono e andarono a finire il giro dei saluti, passando da amici e colleghi.
 
- Anche io vorrei salutare l’ispettore Megure e l’agente Takagi, ma non so come la possano prendere- si dispiacque.
- Come due poliziotti giapponesi che hanno scoperto che l’FBI è venuta in Giappone senza permesso e portando delle armi- rispose secco Shuichi, seppur senza cattiveria e con tutta la calma del mondo.
- Grazie tesoro, sei davvero confortante- ribatté.
- Magari se si avvicina, li saluta e si scusa potrebbe essere un inizio- suggerì Shinichi.
- Mi sono già scusata, ma ricordo ancora le loro facce arrabbiate- sospirò.
- Perché non l’accompagni?- Shiho si rivolse a Shinichi - Tu sei una specie di divinità per loro, se la vedono insieme a te può darsi che siano più comprensivi-
- Oh, che bella idea!- le si illuminarono gli occhi - Ti prego, Cool Guy! Fallo per me- gli fece gli occhioni da cucciolo.
- Beh…ecco…io…-
- Sei un’adulta, dovresti affrontarli da sola invece di nasconderti dietro a un ragazzino- intervenne il suo fidanzato.
- Sei un adulto, dovresti metterle un anello al dito invece di guardare gli altri farlo- lo fulminò Shiho.
- Tu- indicò Shiho - Piantala con questa storia e tu- si rivolse a Shuichi - Sei cattivo!-
 
Si girò nuovamente verso il giovane detective liceale e cercò di assumere l’espressione più convincente che poteva, implorandolo nuovamente di accompagnarla da Megure e Takagi. Shinichi sospirò e alla fine non poté fare a meno di accettare.
Con sua grande gioia, lo prese a braccetto e si incamminarono verso i due agenti di polizia, che quando li videro avvicinarsi si sorpresero della sua presenza.
 
- Signorina Jodie, ma lei cosa ci fa qui?- le chiese l’agente Takagi.
- Beh, mi sembra ovvio: sono venuta per il matrimonio- sorrise, cercando di apparire il più naturale possibile.
- Conosce gli sposi?-
- Lo sposo in particolar modo-
- Non mi dica che è di nuovo qui sotto copertura per conto dell’FBI- si rabbuiò Megure.
- Oh, no no- scosse le mani - Niente lavoro-
- Ne è sicura?-
- Sicurissima. Anzi, mi scuso ancora per quella faccenda, spero che non siate troppo arrabbiati con me- chinò il capo.
- Perché non ci lasciamo alle spalle questa storia? Oggi dovremmo festeggiare- intervenne Shinichi a sciogliere il ghiaccio.
- Hai ragione- intervenne la compagna dell’agente Takagi, che nel frattempo si era avvicinata a loro incuriosita.
- Come conosce lo sposo, Signorina Jodie? Per il caso il Meijin è famoso anche negli Stati Uniti?-
- Purtroppo no, io lo conosco perché è il fratello minore del mio fidanzato-
- Che cosa?!- esclamarono in coro i due agenti di polizia, scioccati da quella rivelazione.
- Questo non è affatto possibile!- si insospettì l’ispettore Megure - Come può il Meijin essere il fratello dell’agente Camel?! Sono di nazionalità completamente differenti! Lei sta mentendo, agente Jodie!-
- Eh?! Camel?!- rispose lei, non comprendendo.
- Ha detto che lo sposo è il fratello del suo fidanzato e il suo fidanzato è l’agente Camel- spiegò Takagi - Ce lo aveva detto lei stessa tempo fa durante quel caso in cui era rimasto coinvolto-
 
Sgranò gli occhi e un brivido freddo le percorse la schiena: si era completamente dimenticata di quella vecchia storia, una piccola e innocente bugia bianca che ora era tornata a galla a presentarle il conto. Si chiese cosa avrebbe potuto dire per uscirne illesa, ma qualsiasi cosa diversa dalla realtà sarebbe stata solamente l’ennesima bugia che le si sarebbe ritorta contro. Quel castello di menzogne che avevano costruito non era più in grado di ergersi. Così scelse di fare ciò che era più giusto e confessò la verità ai due poliziotti.
 
- Ecco…io potrei…aver detto una piccola bugia quella volta- si morse il labbro inferiore.
- Lo sapevo!- esclamò Megure - Non ci ho mai creduto!-
- Quindi non era vero nemmeno questo?- sospirò Takagi.
- Cercate di capire, non potevo dirvi la verità e quella è l’unica scusa che mi era venuta sul momento-
- Ma allora chi sarebbe il suo fidanzato?-
- Il testimone dello sposo-
- Significa che è tornata a vivere qui in Giappone?- la fissò serio Megure.
- No, viviamo in America- lo tranquillizzò.
- Quindi il fratello del Meijin si è trasferito?-
- Sì, già da parecchi anni. Quando ci siamo conosciuti lui viveva in America già da un pezzo-
- E come vi siete conosciuti?- intervenne la fidanzata dell’agente Takagi, di cui non riusciva proprio a ricordare il nome.
- Beh…noi…- esitò, temendo che quella rivelazione fosse anche peggio della precedente.
 
I tre poliziotti la fissavano intensamente, curiosi di sapere, mentre Shinichi era imbarazzato forse quanto lei. In quel momento lo invidiò, perché lui poteva ancora continuare a nascondere di essere stato Conan Edogawa per un anno intero e si sarebbe portato quel segreto nella tomba.
 
- Allora?- la invitò a proseguire la ragazza dai corti capelli castano scuro.
- Ci siamo conosciuti all’FBI- sospirò.
- Il fratello del Meijin è un agente dell’FBI?!- esclamò scioccato Takagi.
- Sì, ma la prego di abbassare la voce-
- Era anche lui nella squadra venuta in Giappone tempo fa?- chiese Megure, sempre più sospettoso.
- Sì…-
- Ma che coincidenza!- ironizzò l’ispettore - Entrambi eravate qui senza permesso della polizia giapponese ed entrambi tornate più di un anno e mezzo dopo infilandovi al matrimonio di una celebrità dello shogi. Vuole davvero farmi credere che non siete di nuovo qui per indagare su qualcosa?-
- Glielo giuro su ciò che ho di più caro, il lavoro stavolta non c’entra- si giustificò - Shukichi è davvero il fratello del mio fidanzato-
- L’agente Jodie ha ragione, ispettore- intervenne Shinichi - Io conosco bene tutti e posso assicurarle che lei e l’agente Akai sono qui solo per festeggiare il Signor Haneda-
- Akai? Haneda?- ripetè Takagi, non convinto - Se sono fratelli perché hanno cognomi diversi?-
- È una lunga storia, faccende private di famiglia- tagliò corto - Ora devo tornare dagli altri ma mi ha fatto davvero piacere rivedervi-
 
Prima che la diffidenza e i sospetti crescessero ulteriormente, si congedò da loro con un sorriso e con la consapevolezza che sarebbero serviti anni per riacquistare la fiducia dei due poliziotti, o forse nemmeno quelli. Certi rapporti, una volta incrinati, non tornano mai come prima.
Sconsolata per quella conversazione andata non proprio come voleva, si avvicinò ad uno dei tavoli del buffet per trovare conforto nel cibo. Osservò con attenzione tutte le prelibatezze esposte, con l’intento di scegliere quelle che più la ispiravano. Concentrata com’era e assorta nei suoi pensieri, non si accorse del gruppetto di poliziotti che l’avevano circondata e affiancata al tavolo. Quando si voltò per andare a prendere un piattino e riempirlo con ciò che aveva adocchiato, gli uomini in questione le si pararono davanti, ciascuno con in mano un piattino pieno di qualsiasi cosa o un bicchiere di vino che tenevano tesi verso di lei, in segno di offerta. Incapace di comprendere cosa stesse succedendo, sgranò gli occhi e li guardò uno ad uno, con la bocca semiaperta, come se fosse imbalsamata.
I poliziotti la fissavano a loro volta con delle facce da pesci lessi, rivolgendole sorrisi che le parevano inquietanti più che gentili. Poi iniziarono a litigare fra di loro su chi le avesse offerto per prima il proprio “dono”, mentre qualcuno cercò di presentarsi e conversare con lei. A quanto pare Yumi conosceva bene i suoi colleghi e aveva predetto le loro mosse.
Non volendo dare corda a quei poverini e spettacolo al matrimonio del suo quasi cognato, decise di adottare la vecchia strategia di cui si era servita più volte quando aveva impersonato la professoressa Jodie Saintemillion: fingere di non comprendere il giapponese. In quei giorni era stata vittima della scenetta ricorrente in cui le parlavano in inglese convinti che non capisse la lingua del paese ed ora la situazione si era capovolta ed era lei a fingere di non comprendere qualcosa che invece capiva benissimo.
 
- Sorry, can you please speak in English? Non parlo bene vostra lingua- sbiascicò, metà in inglese e metà in un giapponese maccheronico.
- Ma prima ti ho sentita parlare con l’ispettore Megure!- intervenne uno dei poliziotti.
- Già, anche io- lo appoggiò un altro.
 
Si rese conto che il suo piano era fallito sul nascere: non si era accorta che la stavano tenendo d’occhio e ora non poteva certo negare l’evidenza. Le serviva un altro piano per uscirsene in fretta da quella situazione imbarazzante, ma non sapeva quale. Avrebbe potuto semplicemente mandarli tutti al diavolo; tuttavia non le sembrava la scelta più educata.
 
- You are beautiful!- le disse in un inglese pessimo un uomo alto con i capelli rasati e il volto squadrato, che per qualche motivo le ricordava Camel ma con dimensioni corporee più ridotte.
- Thank you- rispose semplicemente, sforzandosi di sorridere.
- Beviamo qualcosa- la invitò un altro, porgendole un calice di vino rosso.
- No no, grazie- scosse le mani.
 
Stava cercando di scervellarsi per capire come andarsene senza dare ancora più nell’occhio, quando avvertì una presenza alle sue spalle e vide le facce da ebeti dei suoi corteggiatori trasformarsi in pietra.
Si voltò leggermente alla sua sinistra e intravide Shuichi con le mani in tasca e un’espressione più seria del solito, che osservava i poliziotti.
 
- Va tutto bene qui?- chiese, con la sua voce profonda.
 
In quel momento lo amò ancora di più di quanto non stesse già facendo: di sicuro aveva visto la scena ed era intervenuto in suo aiuto, come l’angelo custode che era sempre stato. Un angelo nero come la morte, ma pur sempre un custode. Le piacque pensare che non fosse andato da lei solo per evitare teatrini al matrimonio di suo fratello, quanto per il fatto che tutte quelle avances nei suoi confronti avessero smosso in lui un pizzico di gelosia.
 
- Oh, darling!- lo prese sotto braccio, stringendosi a lui e approfittando della situazione - Would you be so kind to explain these gentlemen that I don’t understand well what they’re saying to me?-
 
In tutta risposta, Shuichi la guardò con quell’aria che tradotta in parole significava “Ma sei seria?”. Lei gli fece dapprima gli occhi da cerbiatto, poi realizzò che su di lui quel trucco non funzionava e gli fece capire di reggerle il gioco alzando ritmicamente un sopracciglio e facendo piccoli scatti con la testa su un lato.
 
- Vi prego di perdonare la signorina, si è allontanata senza nessuno che possa tradurre per lei. Non ha dimestichezza con la lingua giapponese, tranne poche parole- spiegò in tono educato.
- Ma io l’ho sentita parlare con l’ispettore Megure poco fa, parlava benissimo!- osò intervenire uno dei poliziotti.
 
Per un attimo ebbe paura di ciò che sarebbe potuto succedere: quel poveretto aveva davvero osato contraddire Shuichi Akai? Evidentemente non gli era chiaro cosa avrebbe comportato quel gesto audace.
 
- Stai forse dicendo che la mia fidanzata sta mentendo?- gli chiese secco, fissandolo con quegli occhi che avrebbero intimorito anche un gigante di ferro.
- N-no, p-per c-carità!- negò, nella speranza di salvarsi.
- Allora è tutto chiarito. Adesso potete andare- li liquidò.
 
Terrorizzati e con il sudore freddo che gli colava dalla fronte, il gruppetto batté in ritirata rinunciando definitivamente a quel corteggiamento ridicolo.
Quando furono ormai lontani, tirò un sospiro di sollievo.
 
- Grazie Shu, non sapevo più come uscirne. Non pensavo che avessero addirittura origliato mentre parlavo con l’ispettore Megure e l’agente Takagi-
- A quanto pare Yumi aveva ragione- sorrise beffardo - Sono arrivati come avvoltoi sulla preda-
- Sono felice che tu ti stia divertendo, tesoro- rispose ironica.
- Com’è andata con loro?- chiese, accennando ai due appena menzionati.
- Non molto bene, sono uscite dal vaso di Pandora altre bugie e ora sembra che qualsiasi cosa dica o faccia sia losca-
- Quali bugie?-
- L’ispettore Megure mi ha chiesto come conoscessi lo sposo e quando gli ho risposto che era il fratello del mio fidanzato mi ha detto che non poteva essere vero, perché Camel è americano mentre Shukichi è giapponese. Capisci? Si ricordava ancora di quella balla che gli avevo rifilato che Camel era il mio fidanzato venuto in Giappone per assicurarsi che stessi bene, perché tardavo a tornare in America!- si portò una mano alla fronte, scuotendo la testa.
 
Shuichi scoppiò in una sonora risata, che attirò persino l’attenzione della sua famiglia, non abituati a vederlo così. Quanto a lei, pur di vederlo felice era disposta a sopportare che la causa del suo divertimento fossero le sue disavventure.
 
- E tu che gli hai detto?-
- La verità, che Camel non è mai stato il mio fidanzato e che invece eri tu. Poi però mi hanno chiesto come ci siamo conosciuti, perché sei venuto in America e gli ho detto che lavori anche tu nell’FBI. È venuto fuori che facevi parte anche tu della squadra di agenti che è venuta qui senza permesso e da quel momento non mi restava altro che andarmene. Ormai siamo dei reietti-
- Capisco- disse semplicemente lui - Purtroppo c’è un prezzo da pagare per qualunque cosa-
- Già-
- Forza, torniamo dagli altri-
- Ok, prima però prendo un po’ di cibo consolatorio-
 
Riuscì finalmente a riempirsi il piatto con quello che aveva scelto e seguì il suo compagno degustando il tutto. Quando si riunirono al resto della famiglia, Shiho le chiese cosa avesse detto di così divertente da far ridere a quel modo Shuichi e lei raccontò della figuraccia con l’ispettore Megure.
 
Alle varie chiacchiere seguirono discorsi fatti da amici e parenti agli sposi, con auguri di una vita serena, tanti bambini e tutte quelle cose che si dicono ai matrimoni.
Arrivò poi il momento dei balli, di cui il primo spettò (come di consueto) agli sposi. Shukichi fece poi un ballo con Mary e Yumi con suo padre. Quanto a lei, non si aspettava certo che Shuichi l’avrebbe invitata a danzare, quindi approfittò della galanteria di Tsutomu che si propose per un ballo.
Una volta terminato lo ringraziò e tornò dal suo compagno, che era rimasto a guardarla per tutto il tempo.
 
- Capisco che questo non è propriamente il tuo genere di cose, ma non potresti fare un’eccezione ed invitare a ballare almeno tua madre?- gli disse - Oppure la tua sorellina o anche Shiho-
- Non sono abile nel ballo- ammise.
- Ma questa non è una gara, non credo se ne accorgerà nessuno se sbagli qualche passo-
- Non sono nemmeno appassionato di balli-
- Che pazienza che ci vuole con te- sospirò - Meno male che almeno sei il più bello in questa stanza-
- Ah sì? Non dovrebbe essere lo sposo il più bello?- fece un sorrisetto beffardo.
- Lo sposo è bellissimo, ma in giro si dice che il fratello maggiore sia davvero molto, molto, molto sexy- lo provocò, cingendogli il collo con le braccia e pronunciando quelle parole a due centimetri dalle sue labbra.
- Attenta, qui non siamo in America. Potrebbero arrestarci per atti osceni in luogo pubblico- le ricordò.
- Allora potremmo assentarci per un po’ e cercare un posticino tranquillo- fece scorrere l’indice sulla fila di bottoni della sua camicia - Ai matrimoni americani c’è sempre qualcuno che si apparta per fare cose piccanti-
- Mi stai proponendo di dare scandalo al matrimonio di mio fratello?-
- Ti sto proponendo di trascorrere dei piacevoli minuti in mia compagnia, ma se non vuoi non fa nulla. Un vero peccato, però, perché si dà il caso che io stia indossando della biancherà osé sotto questo vestito-
 
Si staccò a malincuore da lui, guardandolo sensualmente e facendogli l’occhiolino. Di certo più tardi, una volta tornati a casa e lontano dagli occhi di tutti, gliel’avrebbe mostrato comunque quell’intimo: d’altra parte era il motivo per cui lo aveva acquistato.
 
La festa proseguì nel migliore dei modi, non vi furono imprevisti e la giornata giunse al termine lasciando tutti felici. Pian piano tutti gli invitati lasciarono l’hotel e tornarono alle proprie abitazioni, fino a quando rimasero solo gli sposi con i familiari più stretti. I genitori di Yumi salutarono Mary e Tsutomu prima di andarsene, mentre gli sposi fuggirono per godersi in pace la prima notte di nozze, prima di partire per la luna di miele. La destinazione sarebbe stata l’Inghilterra: Shukichi voleva tornarci da tempo e Yumi non l’aveva mai vista.
Anche loro si diressero a casa, dove ad accoglierli trovarono uno scodinzolante Mendel che per tutto il giorno aveva fatto la guardia. Salutarono il Dottor Agasa e Shiho (con la quale si sarebbe vista l’indomani per trascorrere una giornata insieme prima del suo ritorno negli Stati Uniti) ed entrarono a villa Kudo. Shinichi augurò loro la buonanotte e si ritirò nella sua stanza, dove probabilmente avrebbe chiamato Ran per raccontarle della giornata. Anche loro si rinchiusero nella stanza degli ospiti e lì mantenne la velata promessa che aveva fatto a Shuichi qualche ora prima: si tolse lentamente il vestito rosso, facendolo scivolare lungo il suo corpo fino a terra, rivelando ciò che fino a quel momento era rimasto celato sotto. Si avvicinò a lui e girò lentamente su se stessa per farsi ammirare. Shuichi la osservò nei minimi dettagli, senza dire una parola, per poi stringerla delicatamente a sé e guidarla fino al letto, dove la fece sdraiare insieme a lui. Quello che seguì furono vestiti che venivano abbandonati giù dal letto, carezze, baci, sospiri e gemiti, il tutto cercando di non farsi sentire dal giovane detective.
Dopo che entrambi ebbero raggiunto il culmine del piacere, si distese accanto a lui a fissarlo, stanca ma felice, sino a quando il sonno non l’accolse fra le sue braccia.
 
 
**************
 
 
Continuò a passarle con estrema gentilezza una mano dai capelli fino alla spalla, poi giù lungo il braccio, anche quando si fu addormentata. Spesso gli piaceva, dopo aver fatto l’amore, guardarla dormire beatamente e pensare a quanto gli era mancato sentirsi così. Jodie era stata il suo primo amore e per quanto avesse amato anche Akemi non era mai riuscito a cancellarla del tutto dal suo cuore.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la provocazione che gli aveva lanciato al ricevimento si era conficcata in un angolo remoto della sua testa come un proiettile che per tutto il tempo aveva rilasciato, lentamente ma incessantemente, residui di polvere. Ogni suo gesto, ogni suo sguardo o parola scuotevano qualcosa dentro di lui e il desiderio di farla sua si faceva sentire. Lui era il cacciatore e lei la preda e questo gioco di ruoli alimentava i suoi assopiti istinti primordiali.
Quella giornata era stata lunga e fuori dai suoi standard, ma tutto sommato era felice di aver fatto parte di uno dei migliori momenti della vita di suo fratello: dopo tutti quelli che si era perso durante gli anni, almeno questo glielo doveva. Si era persino divertito quando Jodie gli aveva raccontato dell’equivoco di Camel, un po’ meno quando i colleghi di Yumi aveva preso a ronzarle intorno. Non era il tipo da scenate eclatanti di gelosia, ma lo infastidiva che altri uomini facessero la corte alla sua ragazza, fra l’altro in quel modo privo di ritegno.
L’aveva poi osservata mentre danzava con suo padre, che conoscendolo l’aveva invitata al posto suo. Era bellissima in quell’abito rosso scarlatto, sorridente e spensierata. Sapeva che avrebbe desiderato fare un ballo con lui, ma era anche consapevole del fatto che si fosse già messa l’anima in pace sul nascere; così suo padre era intervenuto per mostrare quella sensibilità che a lui e alla madre mancava.
Più tardi aveva avuto modo di conversare da solo con lui, mentre si erano presi una pausa per fumare nella zona esterna.
 
“Mi ha sorpreso vederti ridere così di gusto, figliolo. Jodie ti fa proprio bene”
“Già”
“Ho speranza di partecipare presto anche al tuo di matrimonio?”
“Può darsi”
“Andiamo, non fare il prezioso! Non ti vorrai mica lasciar scappare una donna così! Senza fare niente è riuscita ad attirare l’attenzione di metà degli invitati, senza contare che è un vero spasso e tiene a bada tutti”
“Non ho detto che non voglio sposarla, intendo solo dire che non so se avverrà così presto. Ci prendiamo del tempo per viverci la cosa senza pressioni. Lo dobbiamo a noi stessi”
 
Doveva ammettere che vedere Shukichi così felice e innamorato e ascoltare le bellissime parole che aveva speso per la sua adorata Yumi durante le promesse aveva smosso in lui il desiderio di vivere, un giorno, le stesse emozioni con Jodie. Non a caso si erano scambiati quello sguardo così intenso di fronte alla frase pronunciata da suo fratello: Gli scacchi sono una questione di tempismo. Non è sufficiente giocare la mossa giusta, devi anche giocarla al momento giusto. Sapersi contenere è una delle cose più difficili da imparare per il giocatore medio di scacchi. Entrambi dovevano aver pensato le stesse cose, come se le loro menti fossero state legate da un filo invisibile e indissolubile. Quando aveva visto i suoi occhi celesti riempirsi di lacrime avrebbe voluto andare da lei ad asciugargliele. Già una volta aveva fatto la mossa giusta al momento giusto e si era guadagnato la vittoria; ora non doveva fare altro che ripetere quello schema. Un giorno, al momento opportuno, avrebbe chiesto a Jodie di diventare la Signora Akai.
Si era sentito orgoglioso di lei quando aveva deciso di rinunciare, anche solo per un giorno, ad indossare quegli occhiali così preziosi quando dolorosi che un tempo erano appartenuti a suo padre. Non che la rendessero più brutta, era una bellissima donna qualsiasi cosa indossasse o non indossasse, ma di certo la rendevano più ancorata a un passato che per troppo tempo l’aveva tenuta stretta nella sua morsa. Anche per lei era ormai tempo di andare avanti.
Ripensò infine alla conversazione con Shukichi sulla meta del suo viaggio di nozze: l’Inghilterra. Dopo quasi vent’anni avrebbe finalmente fatto ritorno alla loro terra natale che un tempo avevano amato e dalla quale erano dovuti, a malincuore, fuggire via. Lui non aveva più avuto occasione di andarci anche se gli sarebbe piaciuto. Chissà, magari durante l’estate si sarebbe concesso un po’ di ferie insieme a Jodie e l’avrebbe portata a conoscere le sue radici, il posto dove aveva visto la luce il loro amato Sherlock Holmes.
 
- Shu…- sentì Jodie mormorare nel sonno.
 
Si avvicinò maggiormente a lei e la strinse delicatamente a sé, chiedendosi cosa stesse sognando e sperando fosse qualcosa di bello e non tristi ricordi del passato.
Restò sveglio a guardarla ancora per un po’, pensando e ripensando a tante cose; poi si rilassò definitivamente, cullato dal profumo familiare di quella casa.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Ce l’ho fatta a finire questo capitolo chilometrico! Non è stato facile scriverlo, me la cavo meglio a scrivere di drammi e momenti no piuttosto che di matrimoni e feste felici XD
Spero di essere riuscita a rendere bene questa scena, non sono pienamente soddisfatta.
Piccola curiosità sul capitolo: la frase pronunciata da Shukichi durante la lettura delle sue promesse a Yumi è di Bobby Fisher (campione del mondo di scacchi). Ho pensato di fargli dire qualcosa di inerente agli scacchi per via dello shogi.
Alla prossima! 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48: Uno sguardo al futuro ***


Capitolo 48: Uno sguardo al futuro
 
 
- Piuttosto, dimmi come va la situazione ragazzi: c’è qualcuno che ti piace?-
 
Quella domanda così diretta aveva chiaramente messo in imbarazzo la sua amica, se ne accorse dal fatto che spostò lo sguardo di lato mentre sorseggiava il suo succo con la cannuccia. Shiho era sempre molto riservata e restia quando si toccava questo argomento.
Avevano deciso di passare il pomeriggio insieme, dal momento che il giorno dopo sarebbe ripartita per l’America e non avrebbero più avuto occasione di vedersi per diversi mesi. Erano andate in giro per negozi a fare qualche acquisto e poi avevano fatto una sosta al Poirot per fare merenda con un dolcetto e qualcosa da bere.
 
- Non ho tempo per queste cose- le rispose, tagliando corto.
- Ma se hai tutto il tempo del mondo!- replicò.
- Devo occuparmi di Mendel-
- Sai che questa è la scusa più assurda che potessi trovare, vero?-
 
La giovane scienziata tacque nuovamente, non sapendo più cosa replicare di fronte alla sua insistenza. Non riusciva a comprendere cosa la spaventasse al punto tale da non cercare quello che tutte le ragazze della sua età cercavano: un amore da sogno, come quelli dei film, che ti fanno battere forte il cuore e sentire le farfalle nello stomaco. Aveva poco più della sua età quando si era sentita così per la prima volta, dopo aver conosciuto Shuichi. Le dispiaceva che la sua amica si privasse di ciò e temeva che la motivazione potesse essere il giovane detective che viveva accanto a lei, per il quale aveva sempre dimostrato un interesse più che evidente (o almeno così le era sempre parso).
 
- Posso farti una domanda?- le chiese, consapevole di dover introdurre la cosa con i giusti modi.
- Hai deciso di torturarmi?-
- Certo che no! Vorrei solo capire perché hai così paura di legarti sentimentalmente a qualcuno-
- Io non ho paura-
- E allora cosa c’è dietro? Non dirmi che c’entra Kudo- azzardò.
 
La ramata abbassò lo sguardo, sospirando. Forse aveva centrato il bersaglio.
 
- Lui ha la sua signorina dell’agenzia investigativa, non ho mai pensato che andasse diversamente- ammise - Però…-
- Però?-
- È difficile fidarsi pienamente di qualcuno-
 
Quella confessione la colpì come un pugno nello stomaco e riaprì quell’antica ferita che pensava di aver ormai addomesticato. Le immagini della sua infanzia e della sua adolescenza le scorsero davanti come macchine su un’autostrada, facendole rivivere quelle sensazioni che per lungo tempo l’avevano accompagnata.
Da bambina, durante la ricreazione, tutti i bambini correvano e giocavano nel cortile della scuola, mentre lei si guardava costantemente intorno, al di là delle sbarre della recinzione, con la paura di vedere quella donna dai capelli biondo platino che aveva ucciso il suo papà e che ora era tornata per finire il lavoro con lei.
Al liceo, con una maturità diversa e dopo aver compreso molte cose dal costante contatto con l’FBI, faticava a farsi degli amici, perché non sapeva quanto poteva fidarsi degli altri. Gli insegnanti potevano essere uomini o donne dell’Organizzazione sotto copertura, così come i suoi compagni di classe. Non aveva mai smesso di sentirsi una preda, fino a quando aveva stretto fra le mani la sua prima pistola e il badge di riconoscimento con lo stemma dell’aquila: a quel punto si era trasformata in una cacciatrice e aveva iniziato a considerarsi allo stesso livello della sua carnefice. Entrare nell’FBI l’aveva messa in una posizione rassicurante, che Shiho evidentemente non aveva ancora trovato. Era una giovane ragazza di quasi vent’anni, senza genitori e senza un lavoro, con pochi amici e troppi fantasmi a tormentarla. Un ritratto interessante che corrispondeva esattamente al suo quando aveva la sua età.
 
- Lo capisco, meglio di chiunque altro- le rispose - Anche io ero come te-
- E come sei riuscita a diventare così?-
- Così come?-
- Espansiva. Sempre sorridente. Amichevole-
- Forse sapere di avere le spalle coperte dall’FBI mi ha aiutata, o semplicemente mi sono resa conto che continuare a diffidare di tutto e di tutti non mi avrebbe aiutata ad andare avanti. Con questo non voglio dire che ci si debba fidare del primo che passa, è sempre giusto mantenere un occhio critico, ma è anche giusto non avere pregiudizi a prescindere-
- Pensi che siano ancora qui?-
- Chi?-
- Quelli dell’Organizzazione-
- Lo hai visto tu stessa: alcuni sono sotto terra e altri marciranno in prigione. È finita-
- Ne sei davvero sicura?- la fissò seria - E se ce ne fossero altri? Avevano membri ovunque, come possiamo essere certi di averli presi tutti?-
- Non possiamo, ma abbiamo distrutto il nucleo e gli altri erano tutti pesci piccoli che senza una guida non andranno da nessuna parte. Senza nessuno che dia loro ordini sono come marionette senza il burattinaio che le muove-
- “Ma qualunque cosa sia e comunque sia, secondo me l’inferno è vuoto e i diavoli sono qui”-
- Shakespeare, eh?-
- Già-
- Forse hai ragione, forse i diavoli camminano in mezzo a noi. In quel caso c’è solo una cosa da fare-
- Cosa?-
- Dimostrargli che siamo più forti di loro. I demoni vincono solo se glielo permetti. Se vedono che hai paura di loro, sanno di avere potere su di te. Dimostragli che non ti spaventano, perché sei superiore a loro-
- Ma io non sono superiore a loro-
- Scherzi? Non hai nemmeno l’età che serve in America per bere legalmente e hai già inventato un farmaco capace di alterare la crescita cellulare. Tu sei un genio e loro hanno paura di te-
- Quindi sono come loro? Un diavolo?-
- Ma un diavolo buono- sorrise.
- Non esistono diavoli buoni-
- Lucifero era un angelo. Se esistono angeli cattivi, perché non possono esistere diavoli buoni?- le picchettò scherzosamente la punta del naso con l’indice.
 
La loro conversazione fu interrotta dal suono dello scacciaspiriti appeso sopra la porta, che tintinnò quando quest’ultima si aprì. Una voce familiare giunse alle loro orecchie, costringendole entrambe a voltarsi in direzione del bancone dietro il quale la cameriera stava preparando dei sandwich.
Vestito in un completo giacca e pantaloni grigio, con la solita carnagione olivastra e gli inconfondibili capelli biondo chiaro, Tooru Amuro (ormai divenuto semplicemente Rei Furuya) salutò con un sorriso la ragazza, chiamandola per nome.
 
- Buon pomeriggio Azusa-san, come va oggi?-
- Oh, Amuro-san, che sorpresa! Come mai sei qui a quest’ora?-
- Avevo bisogno di un caffè e di uno spuntino. Inoltre, volevo vedere come te la cavi nella preparazione dei miei sandwich. Ma ti prego, chiamami Rei-
- Scusami, è l’abitudine-
 
Dal modo in cui si parlavano sembrava che avessero mantenuto un buon rapporto nonostante il fatto che l’agente della polizia segreta giapponese avesse dovuto confessare la sua vera identità, rinunciando così al lavoro sotto copertura di cameriere. Probabilmente quella giovane donna, il cui nome a quanto pareva era Azusa, non era a conoscenza di tutti i dettagli della vicenda. Quanto a lei, anche dopo aver chiarito le loro posizioni e dopo aver raggiunto una sorta di armistizio con Shuichi, continuava a non vederlo di buon occhio. Provava una sensazione di fastidio a pelle ogni volta che lo vedeva, memore della farsa che aveva messo in piedi quando si era travestito da Shuichi con la cicatrice sull’occhio e delle frecciatine gratuite sull’FBI.
 
- A proposito di diavoli…basta nominarlo e spunta fuori subito…- commentò, storcendo il naso.
- Ce l’hai ancora con lui?- chiese la ramata.
- Diciamo che non godiamo della reciproca simpatia-
 
Scelse un pasticcino dal piccolo vassoio che avevano sistemato al centro del tavolino e fece per portarselo alla bocca, ma il suono dei passi che si avvicinavano e quella voce alle sue orecchie così seccante la dissuase dal morderlo. Lo posò nel piattino di fronte a lei e alzò gli occhi al cielo, implorando l’aiuto di qualche santo perché facesse andare via quel disturbatore non desiderato.
 
- Ma guarda chi si rivede, l’agente Jodie Starling- esclamò Furuya, fermandosi con le mani in tasca di fronte a loro - A cosa dobbiamo l’onore di questo ritorno? Non dirmi che siete venuti di nuovo a ficcare il naso negli affari della polizia giapponese-
 
Strinse forte i pugni, lasciando i segni delle unghie sui palmi, mentre si mordeva l’interno delle guance per evitare di sputargli in faccia epiteti poco carini. Quell’uomo aveva il potere di mandarla su tutte le furie.
 
- Sono venuta per partecipare a un matrimonio- rispose secca - Domani tolgo il disturbo-
- Un matrimonio?- si stupì - Shibuya-san si è sposata?-
- Eh?! Ma cosa c’entra Natsuko?!-
- Beh, hai detto che sei venuta per un matrimonio e ho creduto fosse quello della tua amica. Per chi altro ti saresti presa il disturbo di venire fin qui?-
- E a te che importa?- replicò infastidita.
- Calmiamoci tutti- intervenne Shiho - Jodie è qui perché si è sposato mio cugino, che è il fratello minore del suo fidanzato. Non sta facendo niente di male, quindi sei pregato di rivolgerti a lei con più cordialità- puntualizzò al biondo - Quanto a te- si rivolse a lei - “É anche giusto non avere pregiudizi a prescindere”- mimò le parole che lei stessa le aveva detto poco prima.
 
La guardò storto, soffiando sonoramente fuori l’aria dal naso nel tentativo di sbollire la rabbia. Non pensava che avrebbe usato un suo discorso di aiuto contro di lei, specie davanti a quello spocchioso di Amuro. Si consolò pensando che anche a lui era toccata una lavata di capo.
 
- Ma certo, ora che ci penso ne hanno parlato tutti i giornali: il Meijin Taiko si è sposato- rifletté Amuro - E così sei venuta al suo matrimonio…Lui dov’è?- si rivolse a lei.
- A casa con sua moglie per prepararsi per il viaggio di nozze?- replicò, guardandolo come se fosse un ebete per aver fatto quella domanda.
- Intendevo il tuo fidanzato-
- Perché ti interessa saperlo?-
- Volevo salutarlo prima che partisse-
 
Non riuscì a trattenere una risata, una di quelle sarcastiche che le uscivano inevitabilmente quando si trovava di fronte a qualcuno che l’aveva appena sparata grossa. Figurarsi se quello voleva davvero salutare Shuichi!
 
- Lo trovi divertente?-
- No, lo trovo assurdo. Tu lo detesti, perché dovresti volerlo salutare?-
- Ci siamo chiariti, è una vecchia storia che appartiene al passato. Io vado avanti, agente Starling. Fallo anche tu-
 
Stava per dirgliene quattro quando Shiho la bloccò prima che dessero spettacolo al Poirot.
 
- Ok, basta così. Porteremo i tuoi saluti a Shuichi- si rivolse al poliziotto - Ora Jodie finirà il suo tè e poi ce ne andremo- la guardò con aria di rimprovero.
- La trovo un’ottima idea- le rispose, guardandola allo stesso modo.
- In questo caso non vi disturbo oltre. È stato un piacere rivedervi- le salutò con un cenno della mano e uno di quei sorrisi che ai suoi occhi apparivano più falsi delle monete del Monopoly.
 
Senza aggiungere altro voltò loro le spalle e tornò al bancone, dove Azusa lo aspettava con una tazza di caffè caldo appena versata.
 
- “È stato un piacere rivedervi”- scimmiottò le sue parole - Spero che ti ci strozzi con quel caffè!-
- Qual è il tuo problema?- le chiese Shiho.
- Oh, io non ho alcun problema. Semmai ce l’ha lui!-
- Ok, non sarà la persona più simpatica del pianeta, ma non si è comportato così male-
- Stai scherzando?!- sgranò gli occhi - Tutto quello che usciva dalla sua bocca era palese ironia cinica gratuita!-
- E se lo stessi giudicando male? Magari lui si comporta così perché sei tu la prima che non gli da modo di comportarsi diversamente-
- Lo stai davvero difendendo?-
- No, sto solo cercando di guardare le cose da un’altra prospettiva, come mi hai detto tu poco fa. Vedo che predichi bene ma razzoli male-
- Ok, correggo quanto ho detto: è giusto non avere pregiudizi a prescindere quando non c’è motivo di averli. In questo caso ho tutto il diritto di avere dei pregiudizi su di lui-
- Sono cose che appartengono al passato. Abbiamo commesso tutti degli errori in questa storia, chi più e chi meno. Lasciamoceli alle spalle e andiamo avanti, ok?-
 
Sospirò, consapevole che quella giovane e saggia donna non aveva proprio tutti i torti. In quell’ultimo anno era riuscita a superare tante cose, molte altre erano cambiate in meglio e quei noiosi tasselli di un vecchio puzzle che nessuno di loro aveva voglia di ricostruire andavano buttati e basta. Magari un giorno, col tempo, sarebbe riuscita a cancellare il rancore nei confronti di quell’altezzoso poliziotto che tanto aveva cercato di fare del male a Shuichi. Forse era proprio quest’ultima parte, più di tutto il resto, che non riusciva a perdonargli.
Terminarono di mangiare e bere e si diressero al bancone per pagare la consumazione. Amuro era ancora lì a bere il caffè e parlare con la cameriera, che lo abbandonò qualche minuto per lasciare loro la ricevuta del conto e prendere i soldi.
 
- Grazie di essere venute al Poirot, tornate presto- le salutò con un dolce sorriso e una gentilezza quasi angelica.
- La prossima volta perché non ci prendiamo un caffè insieme?- suggerì Furuya.
 
Shihò si girò verso di lei senza dire nulla, ma capì che la stava silenziosamente implorando di non dire niente di avventato e sconsiderato.
Cercò di contenere gli impulsi e alla fine gli rivolse un fintissimo sorriso di cortesia.
 
- Ma certo, volentieri. Chiamerò anche Shu-
 
Salutò e si diresse verso l’uscita, prima che la Jodie cattiva prendesse il sopravvento. Shiho la seguì e quando furono fuori dal locale si complimentò con lei.
 
- Che interpretazione da oscar, i miei complimenti-
- Si vedeva lontano un miglio che stavo fingendo-
- Lo so, ero ironica-
- Non posso diventare carina e gentile con lui dall’oggi al domani-
- Quindi non andremo a bere un caffè con lui e Shuichi?-
- Certo, ma nel suo ci sputo dentro-
- Ci rinuncio- sospirò la ramata - Cosa ti va di fare adesso? Vuoi che andiamo in sala giochi a sbollire il tuo malumore?-
- Temo che a quest’ora ci sia davvero tanta gente e rischiamo di fare file interminabili per poter giocare sì e no dieci minuti-
- C’è altro che vorresti fare prima di tornare a New York?-
- Una cosa a dire il vero ci sarebbe, ma non vorrei annoiarti-
- Di che si tratta?-
- MI piacerebbe far visita al liceo Teitan per rivedere tutti quei ragazzi a cui per un po’ ho insegnato inglese. Era solo una copertura, ma mi sono trovata davvero bene e mi è dispiaciuto andarmene così all’improvviso- ammise - Chissà, forse se non avessi scelto di diventare un’agente dell’FBI sarei diventata insegnante-
- Mi sarebbe piaciuto avere un’insegnate come te- sorrise - Se ti va di andarci ti accompagno-
- Davvero? Sicura che non ti annoierai?-
- No, andrò a prendere un giro quel detective che vive di fianco al Professore- alluse a Shinichi - Oggi aveva una partita di calcio. Possiamo andare a urlargli cose cattive, tanto con Furuya-san hai fatto pratica-
- E sarei io la cattiva?-
- Hai una cattiva influenza su di me-
- Stai diventando impertinente-
- Sarà perché sono un diavolo-
 
Risero entrambe di fronte a quelle affermazioni e si incamminarono in direzione del Liceo Teitan.
 
 
Giunte davanti al cancello notarono subito l’assenza di studenti nel cortile, segno che si trovavano tutti o all’interno dell’edificio o nella zona degli sport, probabilmente ad assistere alla partita di calcio.
Entrarono dal portone principale e si fermarono in segreteria, dove chiese di un suo vecchio collega per essere certa che potessero girare intorno alla scuola senza rischiare di essere cacciate.
Il Professor Yaguchi, insegnante di storia, non tardò ad arrivare e la accolse di buon grado, piacevolmente sorpreso della visita. Probabilmente credeva, come tutti gli altri, che non l’avrebbe mai più rivista dopo il suo ritorno in terra natale.
Gli presentò Shiho, dicendo che era la vicina di casa di Shinichi Kudo e che erano state invitate da quest’ultimo a vedere la partita di calcio. Il Professor Yagushi si offrì di accompagnarle al campo dietro la scuola e lì ritrovò un gruppetto di studentesse (incluse Ran, Sonoko e Masumi) che stavano guardando la partita e facendo il tifo. Non appena la riconobbero esclamarono il suo nome in coro e le corsero incontro ignorando il match che stavano seguendo così attentamente poco prima.
 
- Jodie-sensei, è tornata?- le chiese Michiru, una sua vecchia studentessa della stessa classe di Ran e Sonoko.
- Hi!- li salutò in inglese - Sono qui solo di passaggio ma mi è venuta un po’ di nostalgia e ho pensato di venire a farvi un salutino-
- Che peccato, allora non torna ad insegnare da noi-
- Su, non fate quelle facce! In fondo anche voi presto andrete all’Università e non tornerete più qui-
- Shiho, sei venuta anche tu?- intervenne Ran, notando la presenza della ragazza dietro di lei, rimasta in disparte.
- Sì, ero con Jodie e l’ho accompagnata qui-
- Non eri mai venuta a far visita al nostro liceo, vero?- le chiese Sonoko.
 
In risposta, Shiho scosse la testa.
 
- Sei una studentessa di un’altra scuola?- si fece avanti un’altra del gruppo, incuriosita da lei.
- Beh, ecco…-
 
Vedendola balbettare e faticare a trovare le parole, intervenne in suo soccorso. Era più che comprensibile: Shiho non aveva avuto una vita comune, era da sempre una bambina prodigio e a poco più dell’età di quelle liceali era già a capo di una squadra di scienziati. Non poteva dire la verità e soprattutto non voleva dirla, perché essere guardata come se fosse un mostro o un alieno le faceva troppo male.
 
- Shiho ha studiato in America- le posò una mano sulla spalla mentre pronunciava quelle parole.
- Davvero?- si meravigliarono - Allora parli benissimo l’inglese!-
- Sì- rispose semplicemente, imbarazzata da tutte quelle attenzioni che non era abituata a ricevere.
- Ma è molto più brava con le scienze- esordì Masumi, fino a quel momento rimasta ad ascoltare.
- E tu come lo sai?-
- Perché è mia cugina- disse, con tutta la naturalezza del mondo.
 
Quella rivelazione scatenò lo scompiglio e generò mille domande, ormai la partita in corso era solo un ricordo e l’argomento del momento era Shiho e la sua parentela con Masumi. Per fortuna si concluse poco dopo con la vittoria del liceo Teitan e i maschietti uscirono dal campo per unirsi al gruppo. Ovviamente furono tutti sorpresi e felici di trovarla lì, escluso Shinichi che era più perplesso della presenza di Shiho, la quale fu presentata anche agli altri.
L’orario scolastico era ormai giunto al termine e Sonoko suggerì di andare a prendere un gelato tutti insieme, idea che venne accolta di buon grado da tutti. Essendo un gruppetto numeroso, si spostarono poi in un parchetto adiacente, dove qualcuno ricordò a tutti che la settimana successiva ci sarebbe stato il compito in classe di letteratura inglese e che potevano approfittare della sua presenza per ripassare.
 
- La prego Jodie-sensei, ci aiuti!- la implorò uno dei ragazzi.
- Ma non potete chiedere al vostro attuale professore di fare un ripasso?-
- Fujimaro-sensei non spiega bene come lei- ammise Sonoko - Le sue lezioni sono noiose e pesanti. E inoltre ha l’alito cattivo-
- Questo non è un dettaglio carino da dire- cercò di farla ragionare, anche se la cosa le stava suscitando una risata interiore.
- Però è la verità- intervenne Masumi.
- Le sue lezioni erano così interessanti- la adulò Nakamichi, che continuava a guardarla con gli occhi sognanti tipici di un adolescente invaghito delle donne mature.
- Asciugati la bava, Nakamichi- lo prese in giro Sonoko, scatenando le risate di tutti.
- La prego sensei, un’ultima lezione insieme a noi!-
- Anche io voglio sentire come spieghi- la impietosì Masumi, con quegli occhi da cucciolo ma allo stesso tempo così simili a quelli di Shuichi da farla sciogliere all’istante.
- E va bene- si arrese - Un’ultima lezione per voi, solo perché siete good students! Avete un libro?-
 
Ran le prestò il suo, insieme al quaderno degli appunti. Sfogliò le pagine e si rese subito conto che l’argomento non era niente di meno che il racconto poliziesco, tra cui spiccavano i nomi di Edgar Allan Poe e Arthur Conan Doyle. Buffe le coincidenze, a volte.
 
- Scusate, avete una verifica su un tema del genere e non approfittate del fatto di avere ben due detective in classe- indicò Shinichi e Masumi - Dei quali uno è il più grande fan di Sherlock Holmes che sia mai esistito?-
- Ci siamo stancati di sentirlo parlare di Holmes- disse Ran.
- Beh, io vi parlerò della stessa cosa- strinse le spalle - Che differenza fa?-
- Che spiegato da lei è meglio- rispose Nakamichi.
- Come volete, ma sappiate che mi avvarrò delle conoscenze del giovane Kudo per la mia spiegazione- li avvertì.
 
Trascorse quasi un’ora a riassumere i concetti chiave, cercando di interagire con quei ragazzi che sembravano letteralmente pendere dalle sue labbra, con gli occhi fissi su di lei attenti a non perdersi nemmeno una parola. Non era certa se fosse completamente reale attenzione o se qualcuno (specie i ragazzi) fosse più interessato al suo aspetto fisico o al suo profumo, ma in ogni caso le faceva piacere che quel gruppo di ragazzi confidasse così tanto in lei anche ora che non era più la loro insegnante. In quel breve periodo al liceo Teitan si era chiesta spesso come sarebbe stata la sua vita se le cose fossero andate diversamente, se i suoi non fossero morti e se il desiderio di vendicarli non l’avesse spinta a non vedere nessun’altra carriera all’infuori di quella di agente dell’FBI. A volte sognava un lavoro “normale”, dove non rischiava la vita ogni giorno e dove si poteva sentire serena. Non che odiasse il suo lavoro, al contrario ne era orgogliosa, ma se essere un’agente dell’FBI la rendeva importante, dall’altro lato fare l’insegnante la faceva sentire importante: una differenza apparentemente minimale ma che in realtà significava tanto.
A volte per ottenere qualcosa bisogna rinunciare a qualcos’altro.
 
- Nel racconto “The final problem”, Doyle decide di porre fine alla vita di Sherlock Holmes, dopo numerose avventure. Secondo voi perché questa scelta così drastica?- chiese, dopo aver spiegato e parlato per diverso tempo.
- Forse perché era tempo di concludere il cerchio. Tutte le storie hanno una fine, giusto?- rispose Sonoko.
- Questa potrebbe essere un’interpretazione. Qualcun altro vuole dire la sua? Shiho, tu che ne pensi?- si rivolse direttamente all’amica, seduta accanto a lei.
- Credo che Doyle a un certo punto si fosse stancato del personaggio: un detective impiccione che ficcava sempre il naso ovunque, anche dove non doveva-
- Io invece credo che tu abbia completamente perso di vista il punto- intervenne Shinichi, visibilmente piccato per quella risposta che andava così contro al suo idolo.
- Davvero? Allora illuminami- replicò lei.
- Quando Holmes cade dalla scogliera, trascina il Professor Moriarty con sé. Il bene che sacrifica se stesso per sconfiggere il male. È questo il messaggio che Doyle vuole dare-
 
Ascoltò quella spiegazione con gli stessi occhi affascinati con cui i suoi ex studenti avevano guardato lei sino a quel momento. Non c’era niente da fare, quel ragazzino era il suo tallone di Achille: così sveglio, così preparato, con una mente persino più brillante di quella di Shuichi. Il giovane Kudo aveva di certo un grande avvenire di fronte a sé e forse questa consapevolezza l’aveva anche Shiho: per questo provava un senso di invidia e probabilmente anche di inferiorità nei suoi confronti, che la spingeva ad essere acida (alle volte) nei suoi confronti. Mentre Shinichi aveva chiaro chi fosse e cosa volesse, Shiho non riusciva a ancora a comprenderlo, ma era certa che presto ci sarebbe riuscita.
 
- Credo che Kudo abbia centrato in pieno la questione- disse - D’altra parte non ci aspettavamo nulla di diverso dallo Sherlock dei nostri tempi-
- Allora può farlo lui il compito al posto nostro- commentò qualcuno, scatenando le risate di tutti.
- Bene, direi che siete preparati per questo compito e nel caso avete Kudo che può aiutarvi a ripassare nei prossimi giorni- concluse - Ora si è fatto tardi e dobbiamo tornare tutti a casa-
- Quando tornerà a trovarci, Jodie-sensei?- chiese uno dei ragazzi.
- Non saprei, ma spero presto- sorrise - Se così non fosse, vi faccio un grosso in bocca al lupo per i vostri esami finali e per la vostra nuova avventura nelle Università che avete scelto. Sono certa che sarete tutti bravissimi- alzò il pollice.
- Grazie, sensei!-
 
Salutò un’ultima volta quei ragazzi che si erano ritagliati un piccolo posto nel suo cuore e insieme a Shiho s’incamminò per tornare a Villa Kudo. Shinichi e Ran le seguirono, il primo per ovvi motivi e la seconda perché voleva fare un tratto di strada insieme al suo ragazzo.
 
- Spero non ti sia annoiata troppo- le disse.
- No, anzi, è stato molto interessante. Sei davvero brava come dicevano, forse dovresti valutare di lasciare l’FBI-
- Non lo so, in fondo può essere che anche io sia un po’ come Holmes: un’impicciona a cui piace ficcare il naso ovunque- sorrise, ripetendo le sue stesse parole di poco prima.
- No, quello è il tuo futuro marito. E anche quel fanatico che sta dietro di te- si riferì al giovane detective, il quale stava parlando con Ran, incurante della loro conversazione.
- Anche a me piace risolvere casi-
- Ma non sei come loro. E meno male, direi-
 
Si lasciò sfuggire una risatina che attirò l’attenzione dei due ragazzi alle loro spalle, i quali smisero di chiacchierare per ascoltare la loro conversazione.
 
- Sai, mi piacerebbe trovare un lavoro che mi appassioni-
- Potresti fare domanda in qualche laboratorio come scienziata, in fondo è quello il tuo lavoro, no?-
- Sarebbe la strada più semplice, anche se prima di farlo dovrei prendere una laurea. Non che ne abbia bisogno, ma senza quella nessuno mi assumerebbe sulla fiducia-
- Beh, non dovrebbe essere un grosso problema prenderla. Ci impiegheresti meno del previsto-
- Lo so, ma sarebbero soldi che dovrei chiedere a qualcuno e non voglio pesare ulteriormente sulle spalle del Dottor Agasa, né su quelle dei miei zii. Inoltre…- esitò.
- Inoltre?-
- Fare ogni giorno quello che ho fatto sotto costrizione per anni mi ricorderebbe costantemente di qualcosa che non voglio ricordare-
 
Annuì, comprendendo fin troppo bene quel punto di vista: per anni la sola vista del fuoco di un camino o di una semplice candela le faceva tornare in mente le fiamme che divampavano divorando la sua casa, con i suoi genitori dentro.
 
- Lo capisco. È una tragedia arrivare a detestare qualcosa che ami-
- Io non odio la scienza, al contrario. È solo che ad oggi non so se tornerei a fare la scienziata in un laboratorio-
- Potresti comunque trovare un lavoro che abbia a che fare con la scienza. Per esempio l’insegnante- si indicò.
- Ma ce la vede a fare l’insegnante?- intervenne Shinichi, fino a quel momento rimasto in ascolto.
- Perché? Shiho-chan spiega molto bene, mi ricordo di quando ci ha aiutato per il compito in classe di scienze- la difese Ran.
- Visto? Ti abbiamo già trovato un lavoro- le fece l’occhiolino - La mia amica Natsuko lavora alla scuola elementare Teitan, se vuoi mi posso mettere in contatto con lei per aiutarti ad entrare. Non credo tu possa andare in un liceo visto che hai quasi la stessa età degli studenti dell’ultimo anno, ma in una scuola elementare potresti avere ottime probabilità-
- Serve comunque una laurea- precisò il giovane detective.
- Mmh, ora che ci penso hai ragione-
- È inutile, vuoi o non vuoi quel pezzo di carta mi serve- sospirò.
 
Prima che potessero continuare quella conversazione giunsero a un bivio dove Ran si congedò da loro, dovendo prendere un’altra strada. Rimasti in tre, camminarono ancora pochi metri e poi si ritrovarono di fronte alle rispettive abitazioni. Shinichi le salutò e corse in casa per farsi una meritata doccia post-partita, mentre loro rimasero fuori per salutarsi prima della sua partenza. Era sempre difficile lasciarsi, sapendo che per mesi non avrebbero potuto trascorrere giornate come quella.
 
- Mi raccomando, fai la brava- l’abbracciò - E non preoccuparti, vedrai che troverai la tua strada. Farai grandi cose-
- Non mi interessa fare grandi cose, voglio solo una vita normale. Essere una persona qualunque-
- Ma tu sei speciale, non puoi essere una persona qualunque-
- E se non volessi essere speciale?-
 
Quell’affermazione così forte e contraria a qualunque aspettativa le scatenò un senso di malinconia. L’essere umano, per natura, è incline al desiderio di apparire, di dimostrare il proprio valore, ma quelli come Shiho tendevano a nascondere il proprio talento quando si accorgevano che era così grande da poter diventare persino pericoloso. Era un paradosso davvero triste.
In mezzo a quel senso di vuoto e mestizia, un’idea improvvisa le balenò nella mente.
 
- Se è così, allora ti aiuterò ad essere una persona qualunque- rispose decisa.
- E come?-
- Fidati di me- le sorrise, facendo l’occhiolino.
 
Si abbracciarono ancora una volta prima di separarsi e Shiho le augurò buon viaggio, dal momento che il mattino dopo sarebbero andati in aeroporto in taxi poiché il Dottore aveva un impegno e non poteva accompagnarli.
Non appena entrò a casa Kudo trovò Shuichi che la stava aspettando seduto sul divano nel salotto, in compagnia di uno dei romanzi scritti da Yusaku, “L’investigatore scarlatto”, tratto dall’omonima sceneggiatura con cui aveva vinto i Macademy Awards. Ne aveva acquistata una copia a New York e la teneva in bella vista nella libreria del suo appartamento, orgoglioso di essere il protagonista di quell’opera.
 
- Credevo fossi fuggita insieme alla nostra principessa- la accolse ironizzando sul suo ritardo.
- Hai sentito così tanto la mia mancanza?- replicò, sedendosi accanto a lui e dandogli un bacio sulla guancia.
- Dove siete state?-
- Al centro commerciale, poi a fare merenda al Poirot e infine a far visita ai miei ex studenti-
- Già, il ragazzino mi ha raccontato-
 
Rimase in silenzio per alcuni secondi prima di rivelargli quell’idea che aveva avuto poco prima. Non che avesse paura, era certa che Shuichi avrebbe compreso e non si sarebbe mai rifiutato; tuttavia voleva comunque spiegarsi al meglio.
 
- Senti, Shu, ho pensato a una cosa. Hai un attimo per parlarne?-
- Certo. Di che si tratta?-
- Oggi parlando con Shiho ho capito che vorrebbe trovare un impiego per non pesare troppo sulle spalle del Dottor Agasa, però è molto giovane e senza alcun titolo di studio e questo non la aiuta. Anche se ha grandi conoscenze, senza una laurea a testimoniarlo nessuno crederebbe a ciò che è in grado di fare-
- Se è così può iscriversi all’Università, sono certo che sarà una passeggiata per lei-
- Sono d’accordo con te ed è quello che le ho detto, ma il problema è un altro: l’Università è costosa e lei non vuole chiedere altri soldi al Dottor Agasa, oltre a quelli che sta spendendo per mantenerla a casa sua-
- Perché non chiede ai miei genitori? Sono certo che sarebbero felici di darle una mano-
- Le ho detto anche questo, ma non vuole pesare nemmeno su di loro perché devono già pagare gli studi a Masumi-
- Che sciocchezza, potrebbero pagare per entrambe senza problemi-
- E se le pagassimo noi gli studi?-
 
Shuichi la guardò sorpreso, non aspettandosi quella proposta così diretta.
 
- Vorresti davvero farlo?-
- Vorrei aiutarla a realizzare qualcosa a cui tiene. Se lo merita. Si merita di essere una ragazza come tutte le altre-
 
Stava pronunciando quelle parole in favore di Shiho, ma era come se le stesse dicendo a se stessa. Anche lei aveva desiderato per tanto tempo di essere una ragazza come tutte le altre e purtroppo non ci era riuscita, non completamente almeno. Per la sua amica voleva qualcosa di diverso.
 
- E come pensi di farlo?-
- Potremmo aprirle un fondo o un conto su cui verseremmo una quota ogni mese. Fino a quando non si sarà laureata. Poi lo estingueremo. Cosa ne dici?-
 
Il suo uomo si prese qualche attimo per pensare ad occhi chiusi e infine li riaprì, guardandola e sorridendole.
 
- Credo sia una buona idea-
- Sul serio?- gli regalò un sorriso radioso.
- Sì-
 
Gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia, sussurrandogli un “ti amo” all’orecchio. Dentro di sé sentiva che il futuro avrebbe riservato solo cose belle e positive per tutti loro.
 
 

 
ANGOLO DELL’AUTORE
La frase di Shiho (“Ma qualunque cosa sia e comunque sia, secondo me l’inferno è vuoto e i diavoli sono qui”) è un pezzo della citazione che chiudeva il capitolo 24. La frase è una citazione di One Tree Hill, ma è a sua volta una citazione di Shakespeare tratta da “La Tempesta”.
Il dialogo tra Shiho e Shinichi sulla morte di Holmes è ispirato da un dialogo simile tra due personaggi nell’episodio diciotto della seconda stagione di One Tree Hill.
Nel prossimo capitolo ci sarà un salto temporale, non perdetelo!

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Capitolo 49
*** Capitolo 49: Avvicinamenti inaspettati ***


Capitolo 49: Avvicinamenti inaspettati
 
 
 
Si rigirò fra le mani quella busta bianca appena recapitata dal postino e rilesse il nome del mittente: Jodie Starling, direttamente da new York. Erano ormai trascorsi due mesi da quando era ripartita per gli Stati Uniti e come sempre si erano sentite costantemente tramite chiamate e messaggi; tuttavia non le aveva anticipato nulla riguardo al fatto di averle spedito una busta e soprattutto sul suo contenuto. Al tatto sembravano esserci dei documenti o comunque numerosi fogli di carta.
Spinta dalla curiosità e dal fatto che il Dottor Agasa si era appollaiato di fianco a lei in trepidante attesa, la aprì ed estrasse il contenuto: una serie di opuscoli su varie università (principalmente di Tokyo) e dei documenti di una banca che sembravano essere relativi ad un conto aperto a suo nome, dove sopra era già stata versata una somma notevole. Insieme a tutto ciò vi era una lettera scritta a mano, della quale riconobbe la calligrafia di Jodie.
 
Sorpresa!
Dal momento che non volevi chiedere né al Dottore né ai tuoi zii di pagarti gli studi, abbiamo pensato di farlo io e Shu. Ti abbiamo aperto un conto su cui ogni mese verseremo una quota per pagare le tasse universitarie. Ci abbiamo già messo la quota per l’iscrizione e per i primi due mesi.
Scegli pure l’università e il corso di studi che preferisci, sentiti libera di decidere la tua strada: noi ti appoggeremo sempre.
Sei destinata a grandi cose, piccola grande scienziata!
 
Con affetto
Jodie e Shuichi
 
Restò a fissare quella lettera con gli occhi sbarrati, non sapendo cosa dire o come reagire. Quella era davvero l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
 
- È stato davvero un gesto bellissimo, ma perché non hai voluto chiedere a me?- intervenne Agasa.
- Perché vivo sotto il suo tetto e non contribuisco alle spese, mi sembrava troppo chiederle anche i soldi per l’Università-
- Ma cosa dici, te li avrei dati!-
- Proprio per questo non glieli ho chiesti-
 
Non sapeva come sentirsi: da un lato era felice e riconoscente alla sua amica e a suo cugino per quel gesto; dall’altro aveva la sensazione di essere nuovamente un peso per qualcuno. Sicuramente l’FBI li pagava bene, ma erano comunque parecchi soldi.
Colta da un impulso improvviso, prese il cellulare e chiamò Jodie, incurante del fuso orario e del fatto che potesse essere tanto a dormire quanto al lavoro.
 
- Pronto?- rispose la bionda dall’altro lato.
- Siete forse impazziti?!-
- Buongiorno anche a te, principessa. Hai mangiato yogurt scaduto a colazione?- ironizzò.
- Perché mi avete dato tutti questi soldi per l’Università?-
- Perché ci teniamo al tuo futuro-
- Ma…-
- Niente ma- la interruppe - Ora prendi le brochures e scegli la facoltà e la sede che ti piacciono di più, poi corri ad iscriverti!-
- Vi restituirò i soldi appena troverò un lavoro-
- Non dire sciocchezze! Pensa a prendere dei bei voti piuttosto-
- Non dovevate…Grazie. Anche a Shuichi-
 
La sentì parlare con suo cugino, che a quanto pare era vicino a lei, dicendogli “Shiho ha ricevuto la busta, sta facendo la difficile ma in realtà è molto contenta”. Storse il naso di fronte alla sfacciataggine con cui aveva detto quella frase sapendo che dall’altro capo del telefono l’avrebbe sentita perfettamente. Ma a Jodie poteva perdonare tutto, anche questo.
La ringraziò nuovamente e terminò la conversazione, per poi buttarsi a capofitto nella lettura di quegli opuscoli.
 
Due ore dopo aveva già individuato l’Università di suo interesse. La scelta era ricaduta sull’Università di Beika, dove sarebbero andati anche Shinichi, Ran, Sonoko e Masumi. Oltre ad essere comoda da raggiungere anche con i mezzi di trasporto (considerando che non aveva un’auto sua), sapeva già di avere qualche amico e non si sarebbe sentita in ansia all’idea di dover socializzare da zero. Quanto al corso, invece, aveva scelto nientemeno che Biologia e Chimica.
Quando Shinichi tornò da scuola insieme a Ran e alle altre, diede loro la notizia che fu accolta con gioia, in particolar modo da Masumi, la quale l’abbracciò e non sembrò volersi separare da lei. Festeggiarono cenando tutti insieme a villa Kudo e poi ognuno tornò alla propria abitazione. L’indomani sarebbe andata alla sede universitaria per l’iscrizione.
 
 
Le strade erano piuttosto trafficate e alla fermata dell’autobus vi erano diverse persone oltre a lei. Stringeva al petto la carpetta con tutti i documenti necessari e nella sua mente ripassava alcune formule chimiche e altre nozioni che le sarebbero state utili per il test d’ingresso che avrebbe dovuto sostenere per essere ammessa. Nella borsa aveva persino un vecchio libro che aveva conservato dai suoi studi in America.
Il forte brusio della città le arrivava ovattato alle orecchie, grazie alle cuffie con cui stava ascoltando una playlist di Mai Kuraki per rilassarsi. Non voleva farlo vedere, ma era parecchio nervosa.
Mentre ricontrollava velocemente di aver preso tutto ciò che le serviva, un’auto parcheggiò a due metri da lei, stando attenta a non invadere lo spazio adibito alla fermata del bus. Una Mazda FD RX-7 bianca.
Riconobbe immediatamente il proprietario, ancor prima che scendesse e si dirigesse verso di lei. Era la seconda volta in pochi giorni che lo incontrava; non che fosse strano, dal momento che vivevano entrambi a Beika, tuttavia erano coincidenze curiose. Nella sua mente si insinuò il dubbio che la stesse seguendo di proposito, ma cercò di scacciarlo prima che la giostra della paranoia iniziasse nuovamente a girare.
 
- Shiho-san, cosa ci fai qui da sola?- le chiese.
- Quello che fanno tutti gli altri: aspetto che arrivi l’autobus- rispose.
 
Si rese conto di aver usato lo stesso tono acido di Jodie quando Rei scoppiò a ridere. Ripensandoci, la risposta era abbastanza piccata e ironica.
 
- E dove stai andando?-
 
Esitò nel rispondere, non essendo certa se stesse cercando di indagare o semplicemente quella di fare domande fosse una deformazione professionale data dalla sua natura di detective.
 
- All’Università di Beika- rispose infine.
- All’Università?- si stupì - Non sapevo che avessi iniziato a studiare lì-
- Non ho ancora iniziato, infatti, sto andando a fare l’iscrizione e il test di ammissione-
- Oh, allora buona fortuna!- le rivolse uno di quei sorrisi innocenti che Jodie reputava finti.
- Grazie-
- Che ne dici se invece che aspettare l’autobus ti accompagno in macchina? Faresti molto prima-
 
Quella proposta la colse alla sprovvista e di nuovo insinuò in lei il dubbio che quel biondo agente astuto come una volpe stesse tramando qualcosa. Chissà che Jodie non avesse davvero ragione ad essere così prevenuta nei suoi confronti.
 
- Non voglio farti nulla di male, mi sto solo offrendo di accompagnarti- cercò di rassicurarla, come se avesse intuito la sua diffidenza.
- Come posso esserne sicura?-
- Vedo che la tua amica dell’FBI ti ha influenzata bene-
- Jodie non c’entra-
- Allora dimostralo e fidati di me-
 
Esitò ancora un’istante, guardandolo dritto negli occhi, poi rispose.
 
- D’accordo. Ma ricordati che mio cugino e la sua fidanzata sono agenti dell’FBI, i miei zii sono dell’MI6 e il mio vicino di casa è Shinichi Kudo, colui che ha distrutto l’Organizzazione degli uomini in nero. Se provi a farmi qualcosa considerati già morto-
 
Senza aggiungere altro, lo superò e camminò veloce fino alla sua auto, salendoci sopra e chiudendosi dentro. Rei non replicò, si limitò a sorridere e la raggiunse, mettendosi la cintura e riaccendendo l’auto.
Per cercare di combattere il senso di disagio, estrasse il suo libro di chimica dalla borsa e prese a sfogliarlo. L’uomo accanto a lei buttava un occhio di tanto in tanto, incuriosito.
 
- Che cosa studi?-
- Chimica e biologia-
- Sei proprio come lei, eh?-
- Lei chi?-
- Hell Angel-
 
Sgranò gli occhi davanti a quel soprannome un tempo appartenuto a sua madre. Un angelo disceso negli inferi, proprio come Lucifero. Se quest’ultimo era sopravvissuto alle fiamme dell’inferno fino a trasformarle nella sua dimora, però, lei ne era stata inghiottita.
 
- Le somigli molto, sai?- continuò Rei - Sia fisicamente che caratterialmente-
- Tu non mi conosci-
- Ma conoscevo lei e questo mi basta per rivederla in te. Da bambino ero infatuato di lei, credo sia stata il mio primo amore a pensarci bene- sorrise.
- Era una donna adulta e sposata-
- E io un bambino precoce-
 
Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò a ridacchiare di quella battuta che in altre circostanze avrebbe trovato persino stupida.
 
- Ma guarda, era un sorriso quello?- la prese in giro.
- Non farci l’abitudine-
 
Non ci fu modo di continuare quella conversazione, poiché giunsero di fronte all’entrata dell’Università di Beika. Si soffermò a guardarla attraverso il finestrino chiuso dell’auto, eccitata e al tempo stesso un po’ spaventata, com’era normale di fronte ad una nuova avventura.
 
- Sei libera, non voglio tenerti prigioniera-
- Grazie del passaggio-
- Viene a prenderti il Dottor Agasa quando hai finito o vuoi che torni e ti riporti a casa?-
- Avevo programmato di andare e venire con l’autobus-
- Allora ti passo a prendere. Ti do il mio numero, così puoi chiamarmi quando hai finito-
- Ci stai provando?- se ne uscì all’improvviso.
- Se volessi provarci avrei chiesto a te di darmi il tuo numero, non ti avrei dato il mio-
 
Arrossì, vergognandosi per quella supposizione priva di fondamento che aveva fatto così, senza rifletterci.
Estrasse il cellulare dalla borsa e glielo diede, perché potesse digitare il numero. L’attenzione di Rei fu colpita dal laccetto attaccato al telefono, dal quale penzolava il pupazzetto di Higo.
 
- Ti piace proprio! Ormai lo hai da parecchio tempo-
- Mmh- mugolò, sempre più imbarazzata.
- È il tuo tipo?-
- Scrivi quel numero e fatti gli affari tuoi!- sbottò.
 
Per la seconda volta in nemmeno un’ora, Rei scoppiò a ridere di fronte alle sue uscite pungenti. Salvò il suo numero nella rubrica e le restituì il cellulare.
 
- Ci vediamo più tardi. Ancora buona fortuna per il tuo esame-
- Speriamo bene-
- Coraggio! Sei una tosta, prendi a calci quel test!- la incoraggiò.
- Se ti avanza un po’ dell’entusiasmo che mangi a colazione fammelo avere-
 
Con quell’ultima battuta scese dalla macchina, lasciando Rei a ridere di gusto per l’ennesima volta.
 
 
 
Una settimana dopo il postino le recapitò una lettera dall’Università di Beika: aveva superato egregiamente il test a pieni voti ed era stata ammessa. Comunicò immediatamente la grande notizia a Jodie, la quale si dimostrò persino più entusiasta di lei. Non le disse nulla riguardo a Rei, temendo di spegnere la sua euforia. Non che ci fosse qualcosa di sbagliato o che avessero fatto chissà cosa, l’aveva riaccompagnata a casa e poi si erano incontranti al parco qualche giorno dopo, mentre portavano rispettivamente Mendel e Haro a fare un giretto. Si ricordò che le aveva chiesto di fargli sapere l’esito dell’esame di ammissione e così, una volta terminata la chiamata con Jodie, gli mandò un messaggio di poche righe. Si aspettava che le rispondesse congratulandosi, invece Rei la sorpresa chiamandola.
 
- Pronto?-
- Congratulazioni!- esclamò il biondo dall’altro lato.
- Mi hai chiamata per dirmi una cosa che potevi scrivermi per messaggio?-
- Ti da fastidio se ti chiamo?-
- No, è solo che non mi aspettavo una telefonata-
- Stasera festeggerai?-
- Domani uscirò con Shinichi e le altre ragazze, stasera il Dottore voleva prendere una torta e mangiarla, ma gli impedirò di ingrassare ancora-
- Andiamo, devi fare un’eccezione! È un’occasione importante-
- Lo sai che parli come Jodie?-
- Allora dille che abbiamo qualcosa in comune, così forse smetterà di odiarmi-
 
Restò in silenzio, non sapendo bene cosa dirgli. Di certo non era la persona più espansiva del pianeta e faticava a socializzare, ma con Rei era ancora più difficile. Non riusciva a capire se facesse sul serio o se stesse tramando qualcosa, aveva rimproverato Jodie per avere ancora dei sospetti su di lui e ora stava facendo esattamente lo stesso. Avrebbe tanto voluto chiederle consiglio, ma sapeva già la reazione che avrebbe ottenuto: la paura di deluderla prevaleva sul suo bisogno di parlare. Si domandò se suo cugino, invece, avrebbe approvato, ma parlare di certe cose con uno come Shuichi equivaleva a parlarne con una lastra in granito.
Forse Rei voleva solo essere gentile con lei in rispetto a sua madre, che anni prima era stata una specie di idolo per lui.
 
- Sei ancora lì?- le chiese.
- Sì, scusami-
- Va tutto bene?-
- Sì, mi ero solo persa nei miei pensieri-
- E a cosa pensavi?-
- Tante cose-
- Come siamo misteriose- ridacchiò - Invece di pensare troppo goditi il momento-
- Lo farò-
- Adesso devo andare, il lavoro mi chiama-
- Certo, ci sentiamo-
- A presto-
 
Anche dopo aver terminato quella conversazione, per tutto il giorno quei dubbi le rimasero in testa; rimuginò e rimuginò, sentendo sempre più il bisogno di parlarne con Jodie.
Arrivò l’ora di cena e preparò del riso al curry con pollo e dei biscotti, giusto per far contento il Dottore. Non appena si sedettero a tavola, furono interrotti da Mendel che abbaiava in giardino e poi dal campanello che suonava.
 
- Chi può essere a quest’ora?- chiese Agasa.
- Probabilmente Shinichi- rispose lei.
 
Agasa si alzò e andò ad aprire, mentre lei lo seguì restando qualche passo indietro. Quando lo scienziato aprì la porta, si ritrovarono di fronte all’ultima persona che avrebbero pensato di vedere lì a quell’ora: Rei Furuya.
 
- Amuro-kun, sono sorpreso di vederti qui- lo salutò Agasa.
- Mi scusi per il disturbo, Dottor Agasa, volevo solo portare questa a Shiho-san- allungò una confezione di quelle che utilizzavano le pasticcerie per le torte take away.
 
Sentitasi presa in causa, affiancò il Dottore e fissò seria Rei.
 
- Ti avevo detto che non volevo la torta!-
- Andiamo Shiho, cerca di essere gentile- la rimproverò con gentilezza lo scienziato - Amuro-kun si è preso il disturbo di venire qui a portati un regalo-
- Nessuno gli ha chiesto di farlo-
- Ma…-
- Non si preoccupi, mi aspettavo questa reazione- lo tranquillizzò Rei - Credo sia preoccupata del fatto che la torta se la mangerà Lei. Ad ogni modo non voglio disturbarvi oltre, vi auguro una buona serata-
- Perché non ti fermi a cena?- lo invitò Agasa.
 
Sgranò gli occhi, guardando il suo tutore e tirandogli la maglia nel tentativo di fargli capire che quella era l’ultima cosa che voleva. Aveva pensato a lui tutto il giorno, temeva il giudizio della sua migliore amica e aveva la minima idea di come comportarsi: cenare allo stesso tavolo e passare la serata in sua compagnia non l’avrebbe di certo aiutata.
Per sua sfortuna, Agasa non sembrò comprendere.
 
- Oh, La ringrazio, ma come dicevo non voglio disturbarvi- declinò Rei.
- Nessun disturbo, sei venuto fin qui solo per portarci una torta, mi sembra il minimo- insistette.
- Se ha paura di disturbare lasciamolo andare, no?- intervenne lei, lanciando occhiate fulminanti al Dottore.
 
Quell’ingordo di era lasciato comprare dalla torta e non avrebbe preso le sue parti. Doveva cercare di mandarlo via con le sue sole forze.
 
- Ma abbiamo preparato del riso al curry a sufficienza per un’altra persona-
- Riso al curry ha detto?- si dimostrò interessato l’agente di polizia - Se è così allora accetto volentieri, adoro il riso al curry-
- Ottimo, allora accomodati pure-
- Grazie infinite-
 
Si spostò per farlo passare, storcendo le labbra e assaporando il gusto amaro della sconfitta. Rei si girò e le rivolse uno sguardo in cui riuscì a comprendere molto più di quanto avesse compreso fino a quel momento: lo sguardo tipico di qualcuno che aveva appena ottenuto esattamente ciò che voleva.
Mentre rifletteva su questo e sul resto, gli altri due erano già andati in cucina e Agasa aveva sistemato un altro piatto e un altro bicchiere sul tavolo. Li raggiunse e si sedette accanto a lui, cercando di non incrociare il suo sguardo.
Inizialmente restò sulle sue, lasciando che il Dottore e Rei parlassero fra loro e rispondendo quasi a monosillabi quando veniva interpellata. Rei rivelò (probabilmente di proposito) che l’aveva accompagnata in auto all’Università, dettaglio che fino a quel momento aveva tenuto nascosto anche al Dottore.
 
- Sul serio? Non me lo avevi detto- si rivolse a lei lo scienziato.
- Non credevo fosse un’informazione rilevante- replicò.
- Ero di strada e mi dispiaceva farla aspettare per l’autobus-
- A buon rendere, allora-
- Direi che il debito è già stato saldato con questa deliziosa cena- sorrise.
- Grazie- intervenne lei.
- Per cosa?-
- Ho cucinato io-
- Davvero? Allora complimenti, sei anche un’ottima cuoca! Troverai marito molto presto- scherzò.
- Non ho bisogno di un marito-
- Hai ragione, con questo caratterino te ne servono anche due-
 
Agasa rise di quella battuta, mentre lei lo fulminò con lo sguardo.
Arrivò il momento della torta, che doveva ammettere essere davvero deliziosa e bella da vedere. Rei aveva scelto con accuratamente e con buon gusto, cosa che ammorbidì la freddezza con cui lo aveva trattato. Iniziò a partecipare più attivamente alla conversazione e la sua presenza non la disturbava più così tanto.
Terminata la cena, ad Agasa squillò il cellulare e si allontanò un attimo per rispondere. Fu così che rimasero soli.
 
- Perché non volevi che restassi?- le chiese a bruciapelo.
- Perché non riesco ad inquadrarti- ammise.
- Ti faccio paura?-
- No, non la definirei paura. È che non capisco come mai sei stato così premuroso con me tutta la settimana. Prima mi accompagni a scuola, poi mi scrivi messaggi e ora la torta. Perché?-
- Non posso essere gentile?-
- Ma perché?-
- Tu sei una di quelli che devono sempre trovare una motivazione dietro ogni gesto- sorrise - Impara ad accettare il fatto che a volte le persone vogliono solo essere gentili con chi è a loro affine, o con chi gli sta simpatico-
- Io ti sto simpatica?- alzò un sopracciglio.
- Lo trovi strano?-
- Non sono certo una che la gente definirebbe simpatica, perciò sì-
- Questa tua ironia pungente è esilarante a mio parere. Mi piacciono le donne con una personalità forte-
 
Arrossì di fronte a quello che, a tutti gli effetti, sembrava essere un complimento. Dunque a Rei piacevano quelle come lei?
 
- Come sapevi che mi piace la composta di mirtilli?- cercò di cambiare discorso.
- Eh? Io non lo sapevo- la guardò perplesso.
- Nella torta c’era la composta di mirtilli. È una delle cose che preferisco-
- Sono contento che ti sia piaciuta, ma non avevo idea che fosse uno dei tuoi cibi preferiti-
- Quando studiavo in America facevo spesso merenda con i sandwiches farciti con burro d’arachidi e marmellata di mirtilli. A volte erano persino una consolazione-
- Dai brutti voti?- scherzò Rei.
- No, dai bulli-
- Mi dispiace- ritornò serio - Non deve essere stato facile-
- È così ovunque: se sei uno straniero in una terra che non è la tua vieni preso di mira. E i bambini sanno essere molto più cattivi degli adulti, a volte-
 
Rei non rispose, fissò attraverso il bicchiere che teneva in mano ma era come se non vedesse nulla: i suoi occhi sempre allegri erano stati oscurati da un velo di tristezza. Quella reazione così umana e comprensibile sfiorò le corde del suo cuore.
 
- Ho detto qualcosa che non va?- gli chiese.
- No, anzi. Hai detto la verità-
- Da bambino ti prendevano in giro?-
- Come hai detto tu, se sei diverso vieni emarginato e deriso-
- Ma tu non sei diverso. Sei un giapponese nato e cresciuto in Giappone-
- Già, questo è quello che ho sempre sostenuto anche io. Ma dimmi: hai mai visto un giapponese con i capelli biondi?-
 
Quella domanda la spiazzò. Non riusciva a comprenderla, era talmente lontana dalla verità che si celava dietro da non poterla nemmeno immaginare.
 
- Ti tingevi i capelli già da bambino?- azzardò.
 
Rei si concesse una breve e silenziosa risatina prima di rispondere.
 
- Non mi sono mai tinto i capelli, anche se la tua amica dell’FBI pensa di sì-
- Stai dicendo che questi sono i tuoi capelli naturali?- si stupì.
 
Di nuovo l’agente di polizia non rispose e non facendolo diede conferma alla sua domanda. Ripensò alla domanda che le aveva rivolto poco prima e improvvisamente tutto le fu chiaro: geneticamente non poteva esistere un giapponese purosangue con i capelli biondi, perciò Rei doveva essere un hāfu, proprio come lei.
 
- Inghilterra- disse istintivamente.
- Cosa?- chiese lui, non capendo.
- Mia madre era per metà inglese- spiegò.
- Lo so-
- E tu?-
 
Rei esitò, forse perché non voleva rivelare un dettaglio così intimo da renderlo vulnerabile o forse perché le vecchie ferite d’infanzia bruciavano ancora.
 
- Non sei obbligato a dirmelo, se non vuoi. Lo capisco-
- America- rispose infine.
 
Ecco spiegato il perché ce l’avesse tanto con Jodie e Camel: gli ricordavano quella parte di sangue che scorreva nelle sue vene e che non aveva mai accettato.
 
- Capisco- rispose - Abbiamo qualcosa in comune allora. Non pensavo che fossimo simili-
 
La conversazione fu interrotta dal Dottor Agasa che ritornò nel salone dopo aver terminato la chiamata. Cambiarono subito argomento, anche perché non c’era rimasto poi molto da aggiungere.
Mentre lo scienziato mostrava a Rei alcune delle sue ultime invenzioni, mise a bollire dell’acqua per fare un tè, ma fu interrotta dal suo cellulare che le vibrò nella tasca. Lo estrasse e lesse il nome sul display: Jodie. Fu assalita dal panico, consapevole che se avesse risposto lì vicino dall’altro capo si sarebbe sentita la voce di Rei e non avrebbe saputo come giustificarsi. La sua amica non doveva sapere, non ancora per lo meno.
Chiese ai due uomini di badare al bollitore mentre si allontanava un attimo per rispondere e andò nella stanza adiacente, chiudendo la porta dietro di sé.
 
- Jodie?- rispose.
- Hey, per caso ti ho disturbato? Ci hai messo tanto a rispondere…Forse stai festeggiando con Cool Guy e gli altri?-
- No no, ero sola con il Dottore. Uscirò con gli altri domani-
- Bene! Io e Shu volevamo congratularci con te e sapere che impressione ti ha fatto l’Università. L’esame è stato difficile?-
- Il posto sembra bello e sono stati tutti molto gentili, ma credo che dovrò aspettare di iniziare a frequentarla prima di farmi un’idea e dare un giudizio. L’esame è stato facile, ma dopo aver visto le formule per l’apotoxina e per il suo antidoto qualunque altra cosa sembra semplice-
- Sei contenta?-
- Sì, senza di voi non avrei potuto fare questa cosa. Grazie-
- Mi raccomando, fai del tuo meglio-
- Certo-
- E durante le vacanze vieni a trovarci a New York-
- Lo farò-
- Porta anche Cool Guy, così lo convinciamo a restare da noi all’FBI-
- Insisti ancora?- intervenne Shuichi, fino a quel momento rimasto in silenzio ad ascoltare.
- Shuichi, ci sei anche tu- si sorprese.
 
Non riuscì a comprendere la risposta, poiché la porta si aprì improvvisamente e Rei coprì la voce al telefono con la sua.
 
- Shiho-san, il tè è pronto. Non tardare, altrimenti si fredda-
 
Restò pietrificata, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta, incapace di emettere qualsiasi suono. Aveva cercato di fare di tutto per nasconderlo, ma alla fine la sua bugia le si era ritorta contro. Non solo Jodie aveva sentito la voce di Rei, ma anche Shuichi, di cui temeva il giudizio anche più di quanto temesse quello della sua amica. Come poteva giustificare la presenza di quell’uomo in casa del Dottore? Doveva trovare un appiglio a cui aggrapparsi, ma il suo cervello era andato in tilt.
 
- Tutto bene?- le chiese il biondo, notando la sua reazione.
- A-arrivo- balbettò - Devo finire la chiamata-
- Oh, certo. Perdonami se ti ho disturbato-
 
Richiuse la porta e se ne andò esattamente com’era arrivato, lasciando dietro di sé solo un silenzio di tomba.
 
- Shiho?- sentì la voce di Jodie dal suo cellulare.
- S-sì?-
- Dimmi che quello che abbiamo appena sentito non è chi penso che sia-
- Ecco…- si morse il labbro inferiore e strinse gli occhi.
- Cosa ci fa a casa del Dottore? Siete in pericolo?!- si allarmò.
- No no, tranquilla-
- Perché dovrebbero essere in pericolo?- intervenne nuovamente Shuichi - Furuya-kun è un membro della polizia di pubblica sicurezza giapponese-
- Furuya-kun non è uno di cui ci si può fidare- sentenziò Jodie.
- Ti ricordo che lui non era un vero lupo cattivo. Faceva solo finta di esserlo, proprio come ho fatto io. Perciò se vuoi etichettarlo come inaffidabile, allora fa’ lo stesso con me-
- Non vorrai davvero paragonarti a lui?!-
 
Il senso di colpa dentro di lei crebbe di fronte a quella discussione fra i due, generata a causa sua. La vita le aveva insegnato già una volta che le bugie si pagavano a caro prezzo, ma lei aveva dimenticato la lezione. L’unico modo per rimediare era dire la verità, qualunque fossero state le conseguenze.
 
- Basta!- li fermò - Vi prego, non discutete!-
- Shiho…-
- Rei è venuto a portare una torta per festeggiare la mia ammissione all’Università e il Dottore l’hai invitato a restare per cena- spiegò.
- Oh…e lui come sapeva dell’Università?-
- L’ho incontrato mentre ero alla fermata dell’autobus per andare alla sede. Si è offerto di accompagnarmi con la sua auto per fare prima-
 
Il silenzio ritornò protagonista, fino a quando non fu suo cugino a romperlo.
 
- Visto? Ti stai preoccupando per nulla- disse, rivolto alla sua compagna.
- Ti sta stalkerizzando?- le chiese Jodie, non convinta di quanto appena detto dal suo fidanzato.
- No, non più di quanto non facesse Shuichi travestito da Subaru- si lasciò sfuggire, immaginando il sorrisetto del chiamato in causa - È stato gentile con me, si è sempre comportato bene fino ad ora. Non posso parlare male di lui, Jodie-
- D’accordo- sospirò la bionda - Ma promettimi che se dovesse fare qualcosa di strano o se ti sentissi in qualche modo minacciata ci chiamerai subito, intesi?-
- Te lo prometto. Adesso devo andare, ti richiamo domani-
- Buonanotte tesoro. E sta attenta-
 
Chiuse la telefonata e si lasciò andare ad un sospiro. Ora che la verità era venuta fuori si sentiva più libera dal peso di quel segreto che aveva voluto nascondere a tutti i costi. L’indomani avrebbe cercato di spiegare a Jodie che Rei era molto diverso da ciò che sembrava.
Uscì dalla stanza e tornò in cucina, riunendosi agli altri due per il tè.
 
 
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Non appena ebbe riagganciato il telefono, si portò una mano alla fronte e scosse la testa. Sapere che Shiho era così vicina a colui che un tempo si faceva chiamare Bourbon e che lei era dal lato opposto dell’oceano e non poteva proteggerla la rendeva terribilmente nervosa. Al contrario, il suo compagno sembrava essere stranamente tranquillo, specie considerato che si stava parlando di sua cugina.
 
- Perché sei così preoccupata?- le chiese.
- Perché tu non lo sei?- replicò.
- Non credo che Furuya-kun abbia cattive intenzioni-
- Ma come fai ad esserne certo? È lo stesso uomo che voleva ucciderti!-
- Il fatto che in passato abbia avuto delle controversie con me non vuol dire che non possa legare con Shiho-
- Ma guarda caso lei è tua cugina. Se si fosse avvicinato a lei solo per usarla come strumento per fare del male a te?-
- E in che modo?-
- Non lo so, non riesco ad entrare nella sua mente perversa!-
- Secondo me ti sei fatta un’idea sbagliata di lui. Ci siamo già chiariti su quella vecchia storia, ormai l’odio che provava nei miei confronti è svanito insieme all’Organizzazione-
- Ho paura per Shiho-
- Non averne, lei ha un sesto senso per le persone: se Furuya-kun fosse davvero cattivo, non gli avrebbe permesso di avvicinarsi-
 
Continuò a torturarsi le mani e a fissare il pavimento, mentre un vortice di pensieri le occupava la mente. Shuichi se ne accorse e l’attirò delicatamente a sé, facendole posare la testa nell’incavo del suo collo. Restò a godersi quel tepore, fino a quando il profumo familiare di quella colonia maschile non la calmò.
 
In quel momento nessuno di loro, inclusa la stessa Shiho, poteva immaginare che nei sei mesi a venire ci sarebbero stati molti risvolti su quella faccenda. Rei e Shiho si sarebbero visti sempre più spesso, fino a quando il loro rapporto senza un nome sarebbe divenuto una relazione vera e propria. Shiho avrebbe dato il suo primo bacio, consumato il suo primo rapporto intimo e avrebbe vissuto l’esperienza di un amore vero.
 
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questo capitolo è incentrato su Shiho, perché insieme a Jodie e Shuichi è stata protagonista di questa storia e mi sembrava doveroso dare spazio anche a lei nel finale. Mi spiace per i fan di Jodie e Shuichi che magari si aspettavano un altro capitolo su di loro, spero vi sia piaciuto comunque. Nel prossimo capitolo ci sarà un ulteriore salto temporale e Jodie e Shuichi torneranno protagonisti.
Piccola curiosità: nell’OVA “L’ordine segreto da Londra” Ai dice che le piacciono i sandwiches farciti con burro d’arachidi e marmellata di mirtilli e che li mangiava sempre quando andava a scuola: da lì ho preso spunto per il discorso sulla marmellata di mirtilli. Infine, questo capitolo lo dedico a Shine, che due giorni fa ha compiuto gli anni. Arrivo in ritardo ma arrivo! Tanti auguri Shine, spero ti sia piaciuto! ♥

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