She's like the wind

di shadowofthemoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tea for two ***
Capitolo 2: *** I am a Vamp ***
Capitolo 3: *** Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce ***



Capitolo 1
*** Tea for two ***


I
 
 
Quando Sherlock, in quel piovoso pomeriggio londinese, aveva chiuso il famoso cellulare di Irene Adler in un cassetto, credeva fermamente che non l’avrebbe mai più rivista.
Non che non tornasse mai a Lei col pensiero. Ma non pensava mai di rivederla. Per come erano fatti entrambi pensieri del genere erano non solo insensati, ma anche ridicoli. La ricordava, a volte. Non poteva dimenticare quella donna. LA Donna. E nonostante le altre presenze femminili  della sua vita, Lei restava un caso a parte.  Spesso entrava di prepotenza nella sua mente, nel suo mind palace, come aveva fatto quella volta in cui l’aveva trovata a sorpresa addormenta nel suo letto. A volte la vedeva come il giorno del loro primo incontro. Nuda. Ma cercava di non chiedersi il perché. Qualche volta gli tornava in mente quello che era successo tra loro quando l’aveva salvata, ma allontanava immediatamente il pensiero. Lo turbava, e questo non poteva assolutamente permetterselo.
Eppure quando pensava che non si sarebbero mai più rivisti si sbagliava.
 
Era un periodo morto, quello. John era spesso fuori per lavoro, e usciva la sera di frequente. I casi interessanti scarseggiavano. Erano da poco tornati da Baskerville. L’ultimo caso degno di nota. A parte un tentativo di hacking sul sito di John e un curioso video girato in casa loro da uno sconosciuto ( probabilmente Moriarty, ma non era nulla di inaspettato per lui) non era avvenuto nulla di che. Sherlock non sapeva più cosa inventare per distrarre la propria mente. Certe giornate erano insopportabilmente tediose. Gli sembrava di impazzire. E come se non bastasse gli era anche proibito di fumare. C’erano giorni in cui resistere era quasi impossibile. Periodi come quelli erano pericolosi. Da ragazzo in periodi come quelli, indulgeva in comportamenti autodistruttivi. Aveva fatto di tutto per tenere lontano la noia e la disperazione che questa gli causava. Ma quei tempi erano passati, per ora almeno, aveva deciso da tempo di lasciare quelle abitudini, che non erano adatte ad un genio come lui. E poi non avrebbe potuto fare questo a John. Ma nonostante ciò resistere era davvero dura.
Aveva chiesto anche l’aiuto di John e Mrs. Hudson per smettere nuovamente di fumare. Ma già se ne era pentito.
A volte, in realtà spesso, sperava che Moriarty tornasse presto a farsi vedere, piuttosto che morire di noia in casa, avrebbe almeno avuto un avversario con cui confrontarsi, uno degno di nota.
Anche quella notte John non c’era. Non aveva parlato con anima viva per ore. Si era gettato sul letto stremato dalla noia, al buio. Doveva essere immobile da qualche ora quando avvertì un rumore. Era un rumore proveniente dalla piccola finestra nella sua stanza, che aveva lasciato socchiusa. Qualcuno stava cercando di introdursi in casa. Si trattava decisamente di una donna, o di un bambino. E c’era solo una donna capace di introdursi nella sua stanza, l’unica che lo aveva già fatto due volte. Riconobbe immediatamente il suo profumo. Che diavolo poteva volere? Cosa cercava ancora da lui? E soprattutto, non avrebbe dovuto stare alla larga da Londra?
Finse di dormire. Per fortuna quella sera si era messo a letto vestito.
Senti i passi di Lei girare intorno al letto, per poi fermarsi. Restò qualche minuto immobile, come se lo stesse studiando.
Sentì che lasciava cadere a terra i vestiti. Trattene il respiro. Il suo corpo stava reagendo in modo involontario. Odiava quelle reazioni che non riusciva a controllare, che troppo spesso erano avvenute in sua presenza.
Doveva alzarsi? Farle capire che era sveglio? O lasciarla fare, vedere cosa diavolo avesse in mente? Non riuscì a decidersi e restò immobile.
Intanto Irene si era praticamente infilata al suo fianco. Maledisse se stesso. Non aveva ancora imparato niente su di Lei? Al diavolo.
Quando sentì il tocco del corpo della Donna sul suo, ebbe un sussulto. Ricordò le sensazioni che lei gli provocava, sensazioni che cercava sempre di combattere. Quell’insolito calore si diffuse di nuovo nel suo petto. Tentò disperatamente di respirare normalmente, ma il profumo di lei lo avvolgeva completamente.
Per un attimo perse completamente la lucidità, sentì il proprio battito accelerare.
Mentre cercava di gestire le proprie reazioni, Lei disse “Stia tranquillo Mr. Holmes. Non cercherò di abusare di lei, non c’è bisogno che finga di dormire.”
“ Lei non dovrebbe essere qui, Miss Adler.” le rispose, cercando di mantenere il tono più indifferente possibile.
“ A Londra o nel suo letto?” rispose ridendo.
“Entrambe le cose.”
“ Le spiegherò tutto più tardi, ora vorrei solo riposare un po’ se per lei non è un problema.” Disse, stringendosi maggiormente a lui.
“ Per questo hanno inventato gli alberghi.” Rispose con un sospiro.
Sherlock sentì due impulsi fortissimi ed opposti. Da una parte voleva allontanarla da sé, divincolandosi dal suo abbraccio. Ma una parte di sé sentiva il desiderio di stringere il corpo di Lei al proprio. Non fece nessuna delle due cose. Restò semplicemente immobile. Gli sembrò la mossa migliore.
Nel frattempo il respiro di Lei si fece più regolare e profondo. Si era addormentata.
Ma dannazione. Per cosa l’aveva preso?  
La Donna dormiva ormai profondamente, mentre lui cercava di decidere come comportarsi. Che diavolo ci faceva Lei lì? Non era stato chiaro quando le aveva detto che se ne sarebbe dovuta rimare nascosta, in Canada, per lungo tempo? Che essere umano impossibile! Anche se probabilmente era abbastanza prevedibile che avrebbe fatto di testa sua, ignorando totalmente le sue istruzioni. Figuriamoci. Dopo il primo attimo di smarrimento, si tranquillizzò e tornò padrone di se stesso.
Non dormì affatto quella notte. Dopo un po’ si abituò alla presenza invadente nel suo letto, ed aveva ricominciato a pensare come suo solito, perdendosi nei  ragionamenti. Avrebbe dovuto immaginarlo che La Donna si sarebbe fatta viva nuovamente.
Aveva anche perso la cognizione del tempo, ma doveva essere quasi l’alba, dai rumori che provenivano dall’esterno e dalla luce che filtrava dalla finestra.
Dovevano essere le cinque del mattino quando Lei si svegliò. Invece di allontanarsi da lui, si strinse maggiormente a lui, strofinando il viso contro la sua camicia.
Questo movimento lo fece irrigidire velocemente, mentre cercava di contrastare le proprie reazioni incontrollate. A quel punto si divincolò dalla stretta, cercando di restare il più impassibile possibile. Non poteva mostrarsi vulnerabile di fronte a quella donna. Non si fidava di Lei. Non voleva farlo.
Si mise a sedere sul letto, cercando di mettere un po’ di spazio tra i loro corpi.
“ Allora Miss Adler?”
Anche Lei si alzò leggermente dalla posizione supina , stropicciandosi leggermente gli occhi.
“ Certe volte è davvero noioso.” Sembrava una bambina a cui avevano appena tolto un giocattolo. “ Semplicemente passavo da queste parte e mi è venuta voglia di passare a farle un saluto.”
“ Peccato che lei non dovrebbe nemmeno trovarsi in questo continente.” Si alzò in piedi  restando però immobile vicino al letto. Non capiva perché ma era infastidito. Non capiva se fosse per il fatto che avesse mandato a monte tutta la copertura da lui escogitata, o per il fatto che questo comportasse un rischio per la sua vita.
“Evidentemente il desiderio di non abbandonare certi affari ed abitudini per lei sono più importanti della sua stessa vita. In questo caso, io non posso esserle più di nessun aiuto.” Cerco di trattenere la stizza che sentiva crescere nella propria voce. Non erano passati che pochi mesi. Nonostante il fatto che tutti la credessero morta quella era di sicuro una mossa avventata. Era questo che lo infastidiva tanto? Che lei fosse in pericolo? O che avesse rovinato il piano da lui così ben congeniato?
“Su, non se la prenda Mr. Holmes. Non potevo starmene relegata in una città così piccola per sempre.”
“Non me la prendo minimamente.” Rispose cercando di ostentare distacco.
Parlavano ancora al buio, che lo proteggeva ma che gli impediva di leggerLa e di trarne qualche deduzione.
“E comunque non sono certo tornata alla vita di prima. Ho solo scelto un modo di vivere più adatto a me, rispetto alla carriera di segretaria o di maestra d’asilo.”
In quel momento Lei accese la luce vicina al letto. Sherlock la vide seduta sul letto, con le gambe piegate da un lato, aveva indosso una leggera sottoveste di seta verde leggermente trasparente, dalla quale si intravedeva la lingerie di pizzo.
Anche se l’aveva vista nuda più volte ancora non riusciva a gestire le proprie reazioni e istintivamente distolse lo sguardo dal suo corpo, voltando le spalle al letto.
“Non volevo metterla in imbarazzo, Mr. Holmes. Pensavo che ormai ci fosse una certa familiarità tra noi.” Gli disse. Evidentemente aveva notato la sua reazione.
Sherlock non rispose. Non aveva senso negare, né voleva entrare in una discussione tanto stupida. Si girò nuovamente verso di Lei, stavolta per cercare di capire qualcosa, di dedurre qualcosa. Ma come la prima volta che si erano incontrati, faceva fatica a leggerla.
Aveva tagliato un po’ i capelli, ma il colore era sempre lo stesso. La lingerie che aveva indosso era di ottima fattura, elegante e raffinata.
“ Vedo che ha abbandonato subito il basso profilo. E i suoi abiti mi sembrano di fattura europea.”
“Oh, una vita dimessa non fa proprio per me. Ma non si preoccupi non sono tornata alle vecchie abitudini, ho solo sfruttato una delle mie tante abilità.”
“ La mistificazione?” rispose, accentuando volutamente il sarcasmo.
“ Si, potrebbe anche vederla in questo modo. Comunque non resterò a Londra a lungo. Gli impegni mi porteranno altrove.”
“ Se si aspetta che io le chieda qualcosa sulla sua nuova vita si sbaglia. Non credo ad una sola parola che esce dalle sue labbra.” L’ultima frase era la verità. Lottava con se stesso da tempo per non crederle mai. Qualsiasi cosa dicesse.
“ Beh può verificare se lo crede opportuno. Non ho cambiato nome. Ho ancora quello che lei ha scelto per me. Ho solo apportato qualche modifica al suo piano, rendendolo più adatto a me. Ma non sono più una dominatrice. Non potrei più avere protezione ora. Ho aperto un negozio di moda in Canada e poi mi sono creata una nuova carriera.Sono un’artista ora.”
“ Beh potrebbe benissimo fare l’attrice, glielo concedo.”
“ Si recito, ma principalmente sono una cantante. Niente di troppo in vista, stia tranquillo. Con la mia abilità con gli uomini trovare dei sostenitori non è stato difficile. Un mio spettacolo è in scena in un piccolo teatro appena fuori Londra.” Continuò con tono tranquillo.” Non avrei motivo per ingannarla, sono qui per invitarla al mio spettacolo di domani.”
“ Cosa le fa pensare che io possa essere interessato a vedere un suo spettacolo?”
Lei non rispose, limitandosi a sorridere.
A quel punto Sherlock non capiva perché ma si sentiva più calmo. Si lasciò cadere seduto sul letto, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
Sentì che gli si faceva più vicina, sedendogli accanto.
“ Ho letto i vostri ultimi casi sul blog di John! L’ultimo era così divertente! Deve essere stato terrificante vagare di notte per la brughiera. Come in un romanzo gotico!” riprese Lei con tono entusiasta.
In quel momento Sherlock avvertì i rumori che annunciavano il ritorno a casa di John. Si alzò in piedi e andò verso la porta della propria camera “ Aspetti qui. “
Uscì dalla stanza e si diresse dritto in salotto, proprio nell’istante in cui rientrava John.
“ Sherlock, ti ho svegliato?” gli chiese immediatamente.
“ No.” Rispose. Gli era andato incontro istintivamente, nella speranza che non si accorgesse della presenza della Donna nella propria stanza.
“ Ma hai almeno dormito? Per l’amor di Dio! Non puoi fare sempre così, devi dormire! Finirai con l’ammalarti.”
“ Stavo giusto andando ora, volevo solo farmi un tè.” Disse dirigendosi verso la cucina.
“ Ok. Io vado subito a letto, Sherlock. Non ce la faccio proprio più a stare in piedi. Buonanotte. Mi raccomando, cerca di dormire un po’.” disse, andando verso le scale che conducevano alla propria stanza.
“ Buonanotte.” Gli rispose.
Il tè lo preparò sul serio. Mentre aspettava che l’acqua diventasse bollente, cercò di comprendere perché permetteva ancora a quella Donna di comportarsi in quel modo con lui. Di andare e venire a suo piacimento, di tentare di manipolarlo come e quando voleva. La noia lo metteva in una situazione ancora più rischiosa.
Gli sembrava che Lei avesse su di lui l’effetto di una droga. Una di quelle di cui aveva abusato in gioventù. Era come una droga, dalla quale non vuoi dipendere, ma alla quale lasci potere, pur sapendo che ti porterà solo guai. Evidentemente la sua tendenza autodistruttiva non era ancora sparita del tutto.
Quando rientrò in camera, con due tazze di tè in mano, la trovò vuota. La Donna era sparita. Andata così come era venuta, in un attimo, come una folata di vento. Sul letto c’era un biglietto per lo spettacolo.
Sedette sul letto con un sospiro, tenendo ancora le due tazze di tè in mano. Ora doveva solo decidere se andare allo spettacolo o no.
 

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Capitolo 2
*** I am a Vamp ***



E' moltissimo che non aggiorno , quindi probabilmente nessuno leggerà questo capitolo, ma volevo tanto finire questa storia per due personaggi che amo tantissimo.

 II
 
La mattina seguente quando Sherlock si alzò verso le undici, trovò John al tavolo intendo a scrivere al computer. Prese una tazza di caffè e uno dei muffins che Mrs. Hudson aveva lasciato sul tavolo della cucina e si avvicinò al dottore.
Sbirciò restando in piedi alle sue spalle, per vedere cosa stesse scrivendo.
“Oh buongiorno Sherlock! Hai dormito un po’? “ disse John quando si accorse della sua presenza.
“ Cosa scrivi? Ultimamente non abbiamo avuto un solo caso decente. Non hai nulla di cui scrivere sul blog.”
“ Stavo solo controllando i commenti e rispondendo a qualche mail. Come è andata ieri sera?” Disse continuando a battere sui tasti del portatile lentamente.
“ Come è andato cosa? Sono stato casa tutta la sera.”
“ Dovresti tenerti occupato, altrimenti cadrai nell’apatia e nella noia come al solito. Perché non fai un salto da Molly? Non sarebbe male qualche esperimento, no?”
John era chiaramente preoccupato per lui. Temeva profondamente i suoi periodi di apatia. Questo lo sapeva. E non solo perché finiva con lo sparare al muro per distrarsi.
“ Forse ci farò un salto. O forse no. Tu esci anche stasera?”
“ Stasera sono di turno in clinica. Perché?” disse John con una punta di curiosità, distogliendo lo sguardo dallo schermo.
“ No, niente. Mi avevano invitato a teatro, ma non so se ho voglia di andare.” Sherlock fece il giro del tavolo, afferrò il giornale e si sedette.
“ Teatro? Chi ti hai invitato?” la curiosità di John cresceva.
“ Un cliente per ringraziarmi dell’aiuto, un vecchio caso.”
“ Un cliente? Chi? Che caso?” disse incalzando con le domande.
“Una cosa vecchia. Morta e sepolta.” Rispose , cercando di evitare di tradirsi con la voce, e aprendo il giornale davanti a sé. “ Di certo sarà uno spettacolo noioso e di scarsa qualità…”
“ Temi che vada come l’ultima volta?” lo apostrofò John ridendo.
“ Con l’assassinio di uno del cast, come per Mr. Paget? Magari!! Allora si che sarebbe uno spettacolo degno di interesse. Anche se forse stavolta si rischiano più morti tra il pubblico.” Considerando l’attrazione di punta della serata, in effetti, tutto era possibile, pensò.
“ Uh, è così brutto lo show? Beh, non ti farebbe male uscire. Se non dovessi lavorare verrei con te.” Continuò John.
Sherlock non rispose, continuando a leggere il giornale. Certo ci mancava solo che John vedesse la donna che riteneva morta da mesi canticchiare su di un palco, probabilmente poco vestita.
Da una parte sperava di trovare un articolo tra la cronaca nera che suggerisse un caso in grado di distrarlo dalla Donna. Una scusa che gli permettesse di evitare di andare a teatro quella sera. Ma purtroppo non la trovò.
 
Erano passate poche ore quando si risvegliò dal torpore dei suoi pensieri. Era steso sul divano e fissava il soffitto. Non aveva ancora deciso cosa fare. Ma quale era il problema? Non poteva semplicemente ignorare l’invito e mettersi a fare qualcos’altro?
No.
Non riusciva a decidersi a non andare. Lei sarebbe potuta sparire di nuovo.
Voleva vederla di nuovo quindi?
Continuava ad interrogare se stesso. Non aveva nessuno motivo di desiderare di incontrarla di nuovo.
Eppure. Eppure non riusciva a decidersi. In fondo, in un remoto angolo del suo cervello sapeva che sarebbe andato. Che non avrebbe saputo resistere alla tentazione di confrontarsi di nuovo con quella Donna.
Forse era il caso di uscire, distrarsi. Andare al St. Bart per qualche esperimento sui cadaveri forse poteva aiutarlo a schiarirsi la mente. Ma l’idea dello sguardo inquisitore di Molly su di lui e delle sue continue domande lo fece desistere. Quella ragazza a volte riusciva a cogliere al volo alcuni pensieri nella sua testa. Presentarsi da lei oggi avrebbe sicuramente l’avrebbe sicuramente portata a tempestarlo di domande.
Si mise seduto al portatile, tirò fuori dalla tasca il biglietto per lo show e iniziò a fare qualche ricerca. 
Quella Donna era stata così sciocca da mettersi in pericolo di nuovo?
Solo il pensiero di come avesse mandato all’aria tutto il suo piano così  ben congeniato lo infastidiva. Sherlock Holmes non si disturba per chiunque. Avrebbe dovuto esserne grata. Per un attimo gli passò per la mente che avesse potuto farlo per poter tornare più vicina a lui. In questo caso sarebbe stata davvero folle. La storia del telefono non le aveva insegnato nulla? Mai farsi dominare dal cuore.
In rete in realtà c’erano pochissime informazioni sullo spettacolo. Poche righe in qualche sito, in cui si descriveva l’interprete principale come una soubrette americana, il nome era quello che le aveva dato lui. Alice Iron. Non trovò foto, né descrizioni che potessero far intuire che si trattasse di Irene Adler.
Senza accorgersene iniziò a prepararsi. Indosso senza pensare la camicia viola, cercando di ignorare il fatto che fosse la preferita di Lei. Prese la giacca e uscì.
Quando il taxi si fermò davanti al teatro si meravigliò. Per essere un teatro minuscolo in una zona periferica di Londra, c’era già un po’ di pubblico all’ingresso.
Forse si era sparsa la voce nel quartiere. Il manifesto dello spettacolo ricordava quei manifesti Art Nouveau. C’era la figura di una donna avvolta da un abito bianco, col viso coperto da un ventaglio di piume bianche. Il volto della Donna non compariva da nessuna parte. Meglio così . Pensò, non è stata poi tanto sventata. Da una donna simile non ci si poteva aspettare altro. Il teatro era piccolo ma elegante e curato. Tende di velluto rosso chiudevano la scena. Velluto rosso e oro decorava anche le poltrone. 
Il suo posto era uno dei migliori. Era vicino al palco, e godeva di un’ottima visuale, perfettamente centrale.
Dopo una decina di minuti di attesa, le luci si spensero.
Nei primi minuti lo spettacolo non era altro che uno di quei soliti varietà, ispirati agli spettacoli d’altri tempi, con ballerine con vestiti vistosi, piume e balletti che gli sembravano abbastanza noiosi. Si era già alzato ed era in procinto di andarsene, quando vide La Donna uscire dall’oscurità , avvolta in  un vortice di luci.
Indossava un abito nero impalpabile, i capelli raccolti. Il viso si distingueva appena dietro ad un velo di pizzo nero che le faceva praticamente da maschera. Si sentì immediatamente ridicolo per il fatto di essere rimasto a bocca aperta, ma non appena iniziò a cantare il suo stupore si moltiplicò. Non immaginava che fosse dotata anche di questo talento. Era sempre stato affascinato dalla musica, ovviamente, per questo aveva iniziato a suonare il violino. Amava la musica classica e anche l’opera. Non tanto per le sensazioni che potevano trasmettere quando per il loro perfetto equilibrio, la loro complessità. E Lei aveva una voce perfetta. Una voce contralto, che emergeva forte ed espressiva da quel corpo minuto. Avrebbe potuto tranquillamente dedicare la vita all’Opera, o al Cabaret ma evidentemente non era abbastanza emozionante per una Donna come Lei.
Il brano d’apertura era un pezzo tratto da un vecchio film, come quelli che Mycroft amava guardare nella sua sala di proiezione privata. Gilda. Persino lui, ricordava la scena in cui cantava “Put The Blame On Mame” fasciata in un abito nero, come Irene stasera. Sembrava essere nata per il palco. Perfetta.
Ovvio. Con quella presenza, quella sicurezza innata, quell’eleganza che si sforzava di non notare ogni volta che il suo sguardo si posava su di Lei.  
Si destò dal torpore in cui era sprofondato non appena Lei uscì di scena e le luci si spensero. Continuava a pensare che l’idea di essere la protagonista di uno spettacolo a Londra, pochi mesi dopo la sua presunta morte fosse folle. Ma lo spettacolo era decisamente di livello, e La Donna reggeva la scena indiscussa, passando da una scena all’altra, da un costume all’altro, da un brano musicale all’altro senza mai perdere di fascino o di grazia. I numeri musicali si susseguivano con ritmo veloce, alcuni con altre attrici e ballerine, tutti tratti da vecchi film o famosi musical.
Ma ogni volta che Lei lasciava il palco, Sherlock non poteva fare a meno di sentire immediatamente il vuoto che lasciava. Nessun altro riempiva la scena come Lei.
Ad un tratto arrivo a chiedersi se fosse così anche per gli altri spettatori, o se la parte del suo essere che cercava sempre di tenere sotto controllo gli stesse facendo qualche brutto scherzo.
“E’ solo uno stupido spettacolo,” -ripeté a se stesso- “Ricomponiti, dannazione”.
E ci era quasi riuscito quando Lei riemerse sul palco per l’ultimo numero, immersa nella luce, vestita con un lungo abito bianco, stretto sui fianchi e largo e vaporoso in fondo. Sembrava camminare su una nuvola. Il volto era coperto da una maschera di pizzo bianco, come era rimasto per tutta la durata dello show, ma la bellezza dei suoi occhi glaciali e limpidi era visibile anche a quella distanza.
Sherlock cercò nuovamente di ricomporsi , si sentiva così dannatamente stupido. Bastava un attimo per fargli perdere la concentrazione. E’ vero, quella Donna continuava a svelare lati di sé che lo lasciavano di sasso. Ma doveva comunque proteggersi da tutto ciò, non lasciar mai trapelare nemmeno un briciolo di quella ammirazione che provava nel profondo. Doveva riprendere il controllo di sé.
Intanto Lei cantava, “I am a Vamp”con fare ironico e ammiccante.
La canzone perfetta per lei- sorrise Sherlock tra sé e sé .
E in un attimo si ritrovò con gli occhi azzurri di Lei che lo guardavano. Intensamente. Come sempre.
La vide scendere tra il pubblico, e mentre lentamente si sfilava uno dei guanti bianchi , improvvisamente se la trovò di fronte.
Un sorriso compiaciuto e sfuggente, una carezza sul viso mentre lasciava cadere il guanto sulle sue gambe. Per una frazione di secondo l’emozione di avere il viso di Lei così vicino, quella carezza gli fece mancare il fiato.
Ma rimase immobile, come se nullo fosse accaduto. Era ancora immobile quando calò il sipario, tra gli applausi del pubblico. Immobile nel buio finché non si riaccesero le luci. Il pubblico aveva già cominciato lentamente a lasciare il teatro. Era tornato padrone di se stesso quando gli si accostò un dipendente del teatro , porgendogli un bigliettino.
Rimasto solo aprì la piccola bustina bianca e lesse il contenuto del biglietto.
Vi aspetto in camerino. IA”
Il gioco evidentemente non si era ancora concluso. Avrebbe dovuto saperlo.
 Infilò guanto e bigliettino nella tasca del cappotto e si alzò dalla poltrona.
Ad aspettarlo poco distante c’era uno degli addetti del teatro che gli fece cenno di seguirlo.
Davanti alla porta del camerino su cui era semplicemente scritto “Alice”, si fermò per un attimo, cercando di restare focalizzato su se stesso. Di creare un muro tra lui e La Donna, quel muro che finora lo aveva protetto, anche se solo in parte, dai suoi ripetuti attacchi. “E’ solo un gioco.”
Bussò leggero sulla porta e Lei aprì dopo pochi secondi. Era avvolta in una vestaglia di seta azzurra che faceva risaltare in modo incredibile i suoi occhi. Indietreggiò lentamente per lasciarlo entrare nella stanza e richiuse la porta dietro di lui.
Il camerino era piccolo ma ben arredato, pieno di vestiti appesi in ogni angolo, una toletta con specchio e un separé.
In ogni angolo vi erano fiori, e in mezzo ai mazzi nei vasi ve ne era uno enorme. Rose rosse. E un bigliettino bianco emergeva in mezzo ai petali vermigli.
“Grazie per essere venuto a vedermi, Mr Holmes.” Sorrise, e il sorriso gli sembrò sincero, e anche dolce.
Gli riportò alla mente alcuni di quei momenti trascorsi insieme in giro per il mondo, dopo che l’aveva salvata da morte certa. Ma dolce non è un aggettivo che si addice a Irene Adler. Questo cercava di ricordarselo sempre.  
 “ E grazie per la camicia, mi fa piacere che vi siate ricordato le mie preferenze.” Aggiunse.
“ Ora volete dirmi il vero motivo per cui siete qui, Ms Adler? E perché io sono qui?”
“ Volete dire che non l’avete ancora capito? Il motivo per cui siete venuto, intendo” rispose , sorridendo ancora. Stavolta il sorriso era malizioso e un po’ beffardo.
“ Non credo che siate qui solo per dare sfoggio delle vostre notevoli qualità artistiche.” Disse, ignorando totalmente l’insinuazione di Lei.
“Trovate che sia notevole? Vi ringrazio. Temevo trovaste il repertorio troppo frivolo per i vostri gusti.” Continuava ad evitare l’argomento in modo irritante.
“ Ms. Adler, che ne dice di lasciar perdere i convenevoli? Voi non dovreste essere qui, volete farmi credere che è solo la vostra vanità a muovere le vostre azioni? In questo caso temo di avervi sopravalutato”
Ed ecco finalmente quel bagliore accendersi nei suoi occhi, quello sguardo di sfida che così spesso Sherlock aveva visto brillare sul volto di Lei.
“Di questo parleremo in un altro momento.” Rispose calma.
“Non ci saranno altri momenti.” Affermò calmo Sherlock. Si appoggiò al bordo del tavolo da toletta , fronteggiandola. Non avrebbe mai commesso l’errore di incontrarla di nuovo da solo.
“Non ora non qui.” Disse Lei  avvicinandosi a lui. “ Domani sera…” Sicura, come sempre, avvicinò lentamente la mano sinistra  al suo volto, per accarezzarlo. Ma Sherlock , pronto, le afferrò il polso, delicatamente ma con fermezza.
Stava cercando di controllarsi.
Anche senza volerlo il suo cervello aveva continuato ad osservare ed elaborare, e quello che aveva capito non gli piaceva affatto. Ma il perché non gli piacesse non poteva accettarlo. Non poteva accettare di sentirsi tradito e ferito ancora da Lei. Non era una persona di cui ci si poteva fidare, e non aveva motivo di sentirsi in quel modo.
“ Pensi che non lo abbia già capito? Pensi che basti nascondere la fede per nascondermi che ti sei sposata?” La guardava ora con occhi di ghiaccio.
“Sherlock…”Irene sgranò gli occhi, ma poi un accenno di sorriso comparve a fior di labbra.” Avrei voluto parlartene con più calma…non intendevo nascondere nulla. ”
“ Non vedo perché dovresti. E’ per questo che sei venuta? Per annunciarmi che sei sposata, con questo tale? Come si chiama? Norton? Non dovevi scomodarti” No, non era rabbia quella che sentiva. E perché avrebbe dovuto? Continuava  a stringere il suo polso tra la mano, cercando di non tradire nessuna emozione, neppure involontariamente.
“Come sai il suo nome? Oh già. I fiori, i biglietti. Comunque, no. Non sono qui per questo. Devo parlarti. In privato, seriamente.” Continuò Lei, senza neppure cercare di divincolarsi dalla sua stretta.
Lasciando andare la sua mano Sherlock si avviò verso la porta, cercando di non farla sembrare una fuga. “ Non credo che abbiamo nulla da dirci, Ms. Adler”. Il muro era di nuovo in piedi , e lui al sicuro dietro di esso. O almeno così sperava.
Irene si mosse veloce verso di lui, appoggiando una mano sul suo braccio.
“ Domani. Alle 22. Ti prego.”
 Era già in strada diretto verso casa quando ripensò all’ultimo sguardo che Lei gli aveva lanciato prima che lui le voltasse le spalle. Uno sguardo di paura, uno sguardo sinceramente preoccupato. Ma per cosa? Per chi?
E quel Ti prego?
L’unica volta che l’aveva sentita supplicare era quando c’era in gioco la propria vita.
Era questo? Era nuovamente in pericolo? Nonostante tutti i suoi sforzi per darle una nuova vita si era di nuovo messa nei guai? Era questo Norton? Doveva per forza sposarlo? Ovviamente non era il matrimonio ad infastidirlo. Ma il fatto che Lei vanificasse tutto il suo lavoro, tutti gli sforzi fatti per aiutarla. Era davvero così? O questo sentimento così simile alla rabbia, ma misto ad una sensazione diversa, più triste, era dovuto ad altro? E cos’era?
Stava ancora pensando a tutto questo quando si rifugiò in camera sua.
Domani.
Si, ma dove?
Ovviamente non intendeva andare, non voleva vederla ancora. Continuava a ripetere che non voleva, che non doveva assolutamente darle altro potere su di lui.
Sfilando dal cappotto il guanto e il bigliettino per gettarli via, o meglio per riporli nel suo cassetto chiuso a chiave, vicino a tutto quello che gli ricordava Lei, trovò appallottolato un pezzettino di carta con un indirizzo e un numero.
Stringendo il bigliettino tra le mani si gettò sul letto. Ora non aveva nemmeno una scusa per mettere a tacere il proprio cervello. Dormire, anche stanotte, sarebbe stato impossibile.
 
 

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Capitolo 3
*** Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce ***



Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo. Dal prossimo ho in mente un salto temporale, per ovvie ragioni. Fatemi sapere le vostre impressioni! 

III
 
 
Rimase per ore a fissare una piccola crepa sul soffitto della sua stanza. Aveva già cercato su internet l’indirizzo e corrispondeva a quello di un piccolo albergo a due stelle nel East End. Un posto misero, per niente adatto ad una come Lei. 
Cosa sarà così urgente da averla portata qui, nonostante la sua nuova vita, correndo il pericolo di essere riconosciuta? Ripensò all’ultima conversazione che avevano avuto prima che lui lasciasse il Canada. Ricordò quello sguardo, la luce negli occhi di Lei. Una luce diversa. Gli era sembrata sinceramente preoccupata per lui. Possibile che La Donna ancora provasse qualcosa per lui? E’ vero, aveva dedotto il sentimento che provava per lui. Ma poteva veramente fidarsi ancora di un battito e di una pupilla dilatata? In fondo si era persino sposata. E con un uomo. Possibile che amasse questo Norton?
Sentì riemergere di nuovo quella strana sensazione, quasi di rabbia , mista a delusione e…tristezza. Che fosse gelosia? Gelosia?
In effetti non riusciva a spiegarsi come potesse preferire un uomo qualunque a lui.
Lei per lui restava un’eccezione. Non che non avesse rispetto per altre donne, Mrs. Hudson , Molly, sua madre su tutte.
Ma La Donna era speciale, diversa da ogni altra per lui. Ma non voleva neppure interrogarsi sul perché. Ma di fatto era così.
Quindi lui non era lo stesso per Lei?
Si coprì la faccia con un cuscino e sbuffò. La sua testa stava andando nella direzione sbagliata. Tutto questo pensare non lo avrebbe aiutato molto a capire cosa fare.
E perché mai doveva ancora perdere sonno per colpa di quella Donna?
Dai rumori sulle scale capì che John era a casa. Guardò l’orologio e vide che erano già le cinque del mattino.
Si alzò, uscì dalla sua camera e si diresse in cucina. John era in piedi in salotto davanti al caminetto con in mano un foglio di carta.
“Cosa fai?” Gli chiese, mentre metteva a scaldare l’acqua per il tè nel bollitore elettrico.
John sobbalzò leggermente udendo la sua voce “ Sei già in piedi? Stavo solo rileggendo degli appunti, mi sembra che mi sfugga qualcosa su questo paziente…Ma stai bene? Ultimamente non dormi praticamente mai.”
“Mi annoio così tanto che non riesco nemmeno a prendere sonno. Se non arriva un nuovo caso prima della fine della settimana comincerò a sparare io dalla finestra.”
“ Non ne dubito, ma vedrai che qualcosa arriverà, devi sono cercare di concentrarti su qualcosa. Mentre tornavo a casa ci è mancato poco che uno non mi investisse con la macchina…”
“Mmmh?” rispose Sherlock mentre versava l’acqua nella tazza
“ Ero furioso. Non so da dove sbucasse questo tizio ma giuro.. se fossi riuscito a prenderlo almeno. Ma si è dileguato subito”
“ A Londra è piuttosto comune avere questi problemi...”
“ Non è questo, ti giuro, è che tutta la situazione si è svolta in modo assurdo e veloce.”
“ John, la noia sta facendo diventare paranoico anche te.”
“ Forse hai ragione. Io vado a dormire qualche ora. Questa settimana avrò più tempo libero. Speriamo arrivi qualche caso interessante. Torna a dormire .” Detto ciò , si diresse verso le scale che conducevano alla sua camera.
Sherlock rimase in silenzio, bevendo il tè a piccoli sorsi. Avvicinandosi alla finestra, guardò in strada. Niente di strano. Se qualcuno li stesse sorvegliando, se ne sarebbe accorto, pensava. Poteva davvero solo essere una paranoia di John senza fondamento, in fondo.
A metà mattinata Sherlock era ancora in pigiama e vestaglia, seduto al tavolo a leggere il giornale. John si era appena alzato ed era in cerca di qualcosa di commestibile con cui fare colazione, quando udirono dei passi.
“ Venga su Lestrade! “ gridò Sherlock verso le scale.
Poco dopo, salendo alla svelta i gradini, Lestrade fece il suo ingresso nella stanza.
“ Buongiorno, mi stavo chiedendo se potevate darmi una mano con questo caso…si tratta di..”
“Di quell’uomo ritrovato morto accoltellato davanti casa ieri?” Lo interruppe Sherlock. 
John sorrise, come sempre Sherlock era un passo avanti a tutti, pensò.
“ Si, ma come…”
“ L’ho letto poco fa sul giornale” disse mentre ripiegava le pagine del quotidiano per posarlo sul tavolo.” E’ un caso elementare, come è possibile che non riusciate a risolverlo da soli?”
“Elementare? E come puoi averlo risolto solo leggendo il giornale?
“ Beh , anche guardando le foto. Noioso.”
“Come fai a dirlo? Non ti ho ancora mostrato niente del caso!!” Disse porgendogli la cartellina con le foto della scena del crimine e della vittima.
Sherlock iniziò a sfogliarlo svogliatamente.
“E’ stato sicuramente il fratello, dalla foto sul giornale si evince chiaramente che è un giocatore d’azzardo, uno che scommette su tutto direi. Ma probabilmente vince poco. Il fratello amministrava i beni di famiglia, come riportato chiaramente nell’articolo, una famiglia decisamente benestante. La vittima era un avvocato abbastanza di successo, ma il fratello nonostante una laurea si rifiutava di lavorare, facendo conto sulla rendita di famiglia. A questo punto il movente mi pare chiaro. Soldi. Noia.”
“ Al possibile movente del fratello ci eravamo arrivati anche noi! Ma lui dice di avere un alibi e i testimoni hanno visto più persone.”
“ L’alibi è stato controllato?  Non avete notato le ferite al braccio? In questa foto sul giornale sembra cercare di coprire qualcosa con la manica della camicia. Per i complici, cercate nella cerchia degli scommettitori che è solito frequentare. Probabilmente qualche suo creditore saprà darvi qualche indizio. E direi di cercare nel fosso del parco vicino casa della vittima. Sono certo che l’arma del delitto è lì“
Lestrade lo fissava ancora un po’ sconcertato. “Okay, ma sei sicuro di non voler nemmeno uscire di casa per controllare la scena?”
“ Chiamami se non trovate nulla sul fratello o nel parco. Ma ne dubito fortemente. Mi sembra un caso piuttosto banale.”
“ Fratello contro fratello. Un classico” Disse John mentre si sedeva al tavolo, per fare colazione.
“ Va bene ragazzi, ma a volte vorrei che prendeste più seriamente anche i casi che sembrano scontati. In questo caso ci sono ancora molti punti oscuri…”
“ Suvvia, mi pare davvero il classico caso di dramma familiare, mi stupisce che non sia riuscito a risolverlo da solo.”
“ Ma anche noi avevamo pensato al fratello, ma pensavo che magari potesse sfuggirci qualcosa.”
“ A volte le cose sono esattamente come sembrano. E a volte anche voi potete riuscire a risolvere un caso senza aiuti.”
“ Okay, farò le verifiche che suggerisci.” Replicò Lestrade.
“Niente altro?” Disse Sherlock asciutto
“ Greg, vuoi fermarti a mangiare qualcosa con noi?” aggiunse John con un sorriso.
“ Grazie, ma sono in servizio. Ci sentiamo più tardi” disse uscendo, con un espressione un po’ scocciata.
John guardò Sherlock  scuotendo la testa. “Certo ogni tanto potresti essere anche più garbato. Capisco che il caso fosse semplice per te, ma loro devono anche procurarsi prove concrete. Non bastano le deduzioni. Magari voleva solo farti uscire un po’ di casa.”
“ Io esco di casa. Sono uscito ieri. E visto che insistete tanto uscirò anche stasera.”
“ Veramente? Per andare dove?”
“ Ho delle ricerche da fare per uno dei miei progetti personali. Giri qua e là.” Mentì.
“Ricerche personali? Un altro pezzo su ceneri o polveri varie? Ai lettori non interessano queste cose.” Sorrise John sorseggiando il caffè.
“I tuoi lettori sono stupidi. Comunque puoi esimerti dal venire. Almeno sarò fuori di casa e sarete tutti contenti. Sta tranquillo, non mi metterò nei guai” O almeno così sperava. “ E comunque devo passare anche da Molly. Ho un esperimento da finire al laboratorio e voglio anche dare un’occhiata alle prove del caso di Lestrade.”
“ Sei serio? Pensi che sia un 7? Uscire di casa per un caso che hai già risolto seduto al tavolo mentre fai colazione.” Si stupì John.
“Ho semplicemente delle cose da fare, sono certo che sia stato il fratello. Ma visto che devo passare da Molly..”
“Non puoi finirlo qui l’esperimento?” Incalzò John.
“Cos’è? L’Inquisizione Spagnola? Devo solo fare un test su un cadavere recente. Qui a casa non ce l’ho. Ma se vuoi fornire tu la materia prima. “ Sorrise
Doveva veramente portare a termine un esperimento, stava raccogliendo dati sulle reazioni di alcune sostanze chimiche sui tessuti umani. Un esperimento semplice, più utile per una catalogazione che per altro.
Tornò in stanza e si vestì. Camicia bianca. Giacca scura. Infilò il cappotto e diresse verso le scale.
 
Passò tutto il viaggio in taxi a rigirarsi quel foglietto tra le mani, in parte ancora combattuto sul da farsi. Arrivato nelle sale dell’obitorio, notò subito Molly, minuta nel suo camice, intenta a catalogare delle prove in laboratorio. Le andò incontro, cercando di non essere il solito insensibile.
Gli piaceva Molly, ma finiva sempre col dire qualcosa che la faceva star male.
Non era proprio capace a trattare con gli altri esseri umani. Specialmente quelli come Molly. Disponibili, dolci e gentili.
“Devo finire quei test, hai qualche corpo su cui posso effettuarli? “disse dopo averla salutata con un cenno del capo.
“ Oh! Ciao Sherlock!” rispose con un sorriso sincero.” Oggi niente, giornata tranquilla. A parte il caso di Lestrade. “
“ Lo so, E’ passato da me stamattina. Posso dare un’occhiata alle prove? Hai già effettuato dei test?”
“Qualcuno. Tieni, questo è quello che ho per ora.” Gli rispose, porgendogli una cartellina."Non è“molto”
“ Mmmmh. Come pensavo. Il caso l’ho già risolto stamattina, ma so che a Scotland Yard servono più prove. Cerca di effettuare test sugli abiti e sulle parti di moquette raccolte. Sono certo che troverai qualcosa che incastrerà il fratello.”
“Il fratello? Uh. Vuoi darmi una mano?”
Pensò che mancavano ancora delle ore all’appuntamento e decise di restare.
“Va bene” Disse, sfilandosi la sciarpa.
….
Verso le 20 e 30 decise che era ora di muoversi. Si congedò in fretta da Molly. Le fibre e le particelle trovate sui vestiti e sulla moquette sul quale era morto l’uomo potevano già bastare come prove, non c’era bisogno che si fermasse oltre.
Arrivò in breve all’indirizzo sul biglietto nell’estremo sud di Londra. Vi era un piccolo albergo di scarsa qualità, un uomo presidiava l’ingresso, in un piccolo gabbiotto.
 “ La manda la signora?” chiese l’uomo immediatamente ebbe varcato la soglia.
“Signora?” Si stava chiedendo se una sua parola potesse metterla in pericolo. Bruciare la sua nuova identità e renderla nuovamente un bersaglio. Guardò nuovamente l’uomo.
Basso, un po’ sovrappeso, viso appesantito da molte notti insonni, vestiti logori e non certo di buona fattura.
Capì che l’uomo era davvero solo un portiere di notte, che non rappresentava alcun pericolo imminente.
“ La stavo aspettando” disse nuovamente l’ometto, porgendogli una busta sigillata.
Aprì la busta.  Solo un bigliettino.
“…Dove lui perse il suo cavallo”
Sapeva benissimo a cosa si riferiva. A qualcosa che conoscevano solo loro due. Alla loro partita a scacchi. Disse all’uomo il nome della piccola cittadina vicino Montreal in cui aveva tentato di farle trovare rifugio. Da dove Lei era fuggita in cerca di nuove avventure. Chiaramente non era un test di intelligenza, voleva solo essere certa che lui e solo lui potesse arrivare a Lei stanotte.
Appena udita la risposta, l’ometto gli porse un'altra busta sigillata.
Vi era un altro indirizzo. Dall’altro capo della città.
Evidentemente stasera il gioco era una caccia al tesoro. Prese un taxi al volo diretto verso Hampstead High Street. Non appena sceso dall’auto, il telefono della cabina telefonica davanti al civico indicato sul biglietto, cominciò a squillare. Riuscì appena a sollevare la cornetta. Aveva già messo giù. Il gioco cominciava già a dargli sui nervi. Se Lei aveva intenzione di farsi inseguire per mezza Londra, poteva scordarselo. Stava per uscire furiosamente dalla cabina quando notò una altra busta sigillata e una cassettina chiusa da una combinazione sul ripiano sotto all'apparecchio telefonico.
Non poteva essere lontana. Doveva averlo visto arrivare. In quel momento un uomo all’esterno della cabina gli chiese se ne aveva per molto. Uscì e aprì la busta.
“…Quando Lui sentì il proprio cuore accelerare.”
Dannata Donna. Non stava facendo riferimento a quello, vero? Al giorno infausto in cui le sue difese erano cadute per un istante. E in quell’istante si era perso in Lei.
Solo al pensiero sentiva salire il sangue al volto.
Inserì le cifre di quel giorno, il giorno in cui le loro labbra si erano incontrate per la prima volta, e aprì la scatola. Un altro biglietto, un altro indirizzo.
Stavolta si trattava di qualche isolato.
Iniziò a camminare, dirigendosi verso la zona prettamente residenziale del quartiere. Sentì qualcuno alle spalle, mentre camminava. Si fermò, voltandosi per guardarsi indietro. Ma era solo un ragazzo  minuto che camminava così svelto, cappello scuro calato sul volto e che quasi gli finì addosso. Eppure qualcosa non lo convinceva.
“ Mi scusi” Disse il ragazzo, continuando dritto per la sua strada, sparendo nel buio delle viuzze del quartiere.
Arrivò ad un bel villetta, con una piccola siepe tutta intorno. Era quello il posto indicato nel biglietto. Salì la piccola rampa fino alla porta di ingresso e bussò.
Rimase quasi attonito quando il ragazzino che lo aveva superato poco prima venne ad aprire. Ma stavolta lo guardò bene. E poi riconobbe la Sua risata.
“ Ahahah, andiamo Mr. Holmes. Davvero non mi ha riconosciuta? La aspettavo vicino alla cabina da 20 minuti.” Disse, lasciandolo entrare in casa e richiudendo la porta dietro di sé. “ pensavo mi avrebbe riconosciuta subito.”
“ Ero concentrato su altro. Il mio cervello aveva notato qualcosa di strano, ma non avevo tempo e voglia di notare altro.” rispose seccato. La realtà è che era talmente preso da Lei che non aveva lasciato spazio al suo cervello per lavorare correttamente. Stupido.
“Quindi perché mi ha fatto venire fin qui? Solo per giocare alla caccia al tesoro?” la incalzò.
“Beh, non crede che io sia un gran bel tesoro da scoprire??” rise ancora, mentre toglieva il cappello, lasciando sciolti i folti capelli scuri . Iniziò a togliersi la felpa, entrando nel piccolo salottino dell’appartamento.
Sherlock si irrigidì leggermente.
“Mi ha già visto completamente nuda! Non sarà una felpa a sconvolgerla!” Sotto al travestimento indossava una magliettina nera a manica lunga, aderente e pantaloni aderentissimi neri. “ Visto? Sono completamente vestita. Stasera prometto di fare la brava."
“ Lo spero per suo marito.“ disse, asciutto. “Perché sono qui, dunque?” Improvvisamente voleva scappare il più velocemente possibile. Ma qualcosa continuava a tenerlo legato a quella Donna, in quella stanza.
“ Mi lascerai spiegare? Il perché del matrimonio intendo.” Gli rispose, fronteggiandolo al centro della stanza.
“ Tanto farà comunque come vuole” Sherlock si diresse verso il divano e si sedette. “ Andiamo. Sono qui, ora.”
“Ho conosciuto Godfrey  una sera a Montreal…”
“Godfrey???” sbottò.Che razza di nome è?? Pensò.
Lei lo guardò divertita “ Ero andata a teatro, e lui era lì. Ha cominciato da subito a farmi una corte spietata. Era così tenero, povero caro...”
“Povero davvero.” Ghignò Sherlock
“E’ stato lui a farmi nuovamente calcare le scene, dopo avermi sentito cantare…” continuò Lei, mentre passeggiava lentamente lungo il salottino
“Nuovamente?”
“Si, cantavo, tanti anni fa. Ho fatto anche qualche musical nella mia vita precedente. Una delle tante. E’ un imprenditore, ma si diletta anche come impresario e produttore di piccoli show. Come ha potuto vedere. Era in Canada solo per affari, e dovendo tornare in Europa, mi ha chiesto di sposarlo per non doversi separare da me.” continuò
“E tutti e due sappiamo che il matrimonio era il suo sogno segreto fin da bambina.” La schernì
“Mi serviva protezione, un nuovo nome, per tornare in Europa. Per ora è la soluzione migliore.”
“ Per lei sicuramente. Non so per il povero Signor Norton.” Sentiva ancora quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Distolse lo sguardo dal quello di Lei.
“Non intendo far del male a Godfrey. E’ adorabile. Voglio solo che mi tenga compagnia per un po’. Alla fine anche lui avrà i suoi vantaggi.”
Sherlock sentì una sensazione di fastidio mista a rabbia.
“E’ sempre una questione di utilità e potere per lei, vero?” Voleva essere ironico, ma la frase gli uscì strana, quasi rabbiosa. Cosa lo stava infastidendo così tanto? Cosa gli importava se Lei si era sposata, se aveva ora qualcun altro che poteva proteggerla e occuparsi di Lei? Se manipolava qualcun altro ora?
“No. Non sempre.” Gli era di nuovo davanti ora, in piedi di fronte a lui. “Per questo sei qui.”
Sherlock si limitò a guardarla, senza risponderle. Non poteva fidarsi di Lei.
Non di nuovo. Non sapendo di cosa era capace.
Irene si inginocchiò davanti a lui, appoggiando le mani sulle sue gambe.
“Ascoltami. Sono voluta passare a Londra solo per parlarti. So che la comunicazione sincera non è il nostro forte, ma ti giuro, non ho secondi fini.” Aveva di nuovo quello sguardo negli occhi. Quello che gli faceva sempre credere che fosse sincera, che non stessero ancora giocando.
“Smettila. Cosa vuoi?” Sapeva di essere freddo. Voleva essere freddo. Era l’unica difesa che aveva verso quella Donna.
“Voglio che tu mi ascolti e che stia attento a quello che fai.”
“Hai fatto tutta questa strada per quella storia di Moriarty? Ancora? Te l’ho detto. Io non vedo l’ora di scontrarmi con lui. Lo aspetto a braccia aperte.” Disse, ridendo.
“Smettila di essere così spavaldo. So che sei intelligente. Forse anche più di lui. Ma lui non ha punti deboli.” Sembrava infuriata e disperata allo stesso tempo.
“E io ne ho?” La incalzò, tornando nuovamente ad incontrare il suo sguardo.
“Certo che ne hai. E lo sai, Sherlock. E’ quello che ti rende migliore di lui. So per certo che sta organizzando qualcosa di grosso a Londra, proprio in questo momento.” Disse, continuando a sostenere il suo sguardo.
“E come hai ottenuto queste informazioni? “ ribattè. Era stata così folle da rimettersi nel giro? Da mettersi in contatto con qualcuno?- “Se qualcuno scoprisse che sei viva, non lo resteresti a lungo.”
“Sono stata prudente. Sono entrata in uno dei nostri vecchi network nel deep web, spacciandomi per Kate. Anche se nessuno mi ha contattato direttamente, ho letto stralci di informazioni, e so per certo che sta tessendo la sua ragnatela. E tu sei la mosca.”
“ Non sono così facile da catturare. Dovreste saperlo, Miss Adler.”  Era quasi offeso dal suo eccesso di premura. Sapeva benissimo difendersi da solo.
Irene si alzò di scatto, e ricominciò a camminare su e giù per il salottino.
“ So cosa stai pensando. Tu pensi di poterlo battere, tu brami di poterti misurare col suo genio. Ma non è un gioco questo. E’ diverso dal nostro gioco. Tu lo sai. Potrei tradirti e ingannarti, potrei mentirti mille e mille volte ancora. Sparire senza dire una parola. Ma mai vorrei porre fine alla nostra partita. Mai ti metterei in pericolo, mai ti farei del male. Con lui è diverso. Moriarty vuole torturarti, e ti vuole morto. Questo è il suo modo di vincere. “- disse, con una voce che gli suonò strana, come se cercasse di controllare e reprimere rabbia e preoccupazione. -“Ho potuto fermarlo una volta, Sherlock. Non volevo che morissi in quella piscina senza aver avuto nessuna possibilità di conoscere il tuo genio… ma ora io neppure esisto. Non posso far altro per aiutarti!”  
A questo punto la voce di Lei gli sembrò davvero disperata. Ma il suo orgoglio gli impediva di cedere a sciocche paure e sentimentalismi.
“Non le chiesi allora di aiutarmi, e ne ho bisogno neanche ora.” Disse alzandosi in piedi. Il tono della propria voce gli suonò meno duro di quanto intendesse e non riuscì a non aggiungere “ Non devi preoccuparti.”
Sconvolto dalla propria reazione alla preoccupazione di Lei, si avviò verso la porta. Che diavolo stava facendo? Sentiva il bisogno di allontanarsi dalle troppe emozioni che permeavano la stanza, aveva la necessità di stare solo, per rifugiarsi nella consolante razionalità della sua mente.
Ma proprio quando aveva quasi raggiunto la porta, sentì la mano di lei afferrargli il braccio, delicatamente ma in modo deciso. Come quella volta nella sua casa di Belgravia, istintivamente si voltò a guardarla.
Irene, scalza e minuta, in quel momento gli sembrò quasi indifesa e fragile. Sorrise tra sè e sè a quel pensiero, tanto sciocco. Mai apparenza poteva trarre più in inganno. La Donna gli prese la mano tra le sue, e rimasero in silenzio, occhi negli occhi per quello che gli sembrò un’eternità.
Un attimo dopo, Lei chinò la testa, iniziando a scrivere qualcosa sul palmo della sua mano.
“ So che non vuoi il mio aiuto, so che puoi farcela da solo. Ma se mai avrai bisogno di me, potrai trovarmi qui. Riceverai mie notizie, che tu lo voglia o no.” Disse, liberando la mano di lui dalle sue.
Sherlock non rispose, si voltò verso la porta e la raggiunse in poche veloci falcate. Afferrata la maniglia però, rimase immobile, come pietrificato. Sentiva la presenza di Lei ad una manciata di centimetri, sentiva il suo respiro. E quel profumo, che avrebbe riconosciuto tra mille.
Si voltò di scatto, con un movimento rapido le fu di nuovo accanto, lasciando scivolare una mano sui fianchi di Lei, la attirò a sé. L’altra mano sul volto, a sfiorarle delicatamente una guancia, per poi sprofondare nei suoi morbidi capelli scuri. Le loro labbra si trovano immediatamente, senza nessuna esitazione. Come se si cercassero da sempre. Sherlock si lasciò trascinare in quel vortice di sensazioni stavolta, quasi tuffandoci dentro. Le aveva già provate prima, ma ogni volta sembravano nuove. Diverse.
Provava emozioni sempre più forti e intense, dalle quali era sempre più difficile distanziarsi.
Le mani di Lei salirono delicatamente lungo le spalle di Lui, verso il collo, accarezzandolo. Si infilarono dolcemente tra i suoi riccioli scuri. Lui la strinse di nuovo a sé, sollevandola leggermente da terra, eliminando ogni spazio rimasto tra i loro corpi. Quelle sensazioni oscure lo dominavano, si sentiva soccombere a quella passione tanto totalizzante, e non riusciva a tornare razionale. Voleva solo lasciarsi andare, per un attimo, a tutto quello che provava, tutto quello che cercava di reprimere da mesi.
Mai si erano scambiati prima baci così lunghi ed appassionati, tali da fargli dimenticare dove fosse.
Dopo quello che gli sembrò un eternità ed un attimo allo stesso tempo, Sherlock interruppe il bacio, ma senza allontanare il viso da quello di Lei, tenendola stretta a sé. Rimasero per un lungo istante a guardarsi negli occhi, senza proferire parola.
La liberò dalla sua stretta, delicatamente. “ Addio, Miss Adler.” disse, calmo.
Velocemente si voltò e aprì la porta, scomparendo nell’oscurità.
Lei rimase sulla porta, a fissare l'aria umida e scura della notte.
“Arrivederci, Mr. Holmes”

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