Victoria Cross di Old Fashioned (/viewuser.php?uid=934147)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 1 *** Prima parte ***
VICTORIA CROSS
Abu Klea,
Sudan, 17 gennaio 1885. Ore 09,30.
La
Gardner si è inceppata di nuovo. Dannato aggeggio, non vuol
saperne di funzionare.
Se
ne sta lì sul suo affusto, sfacciatamente lucida sotto il
sole
cocente, come una specie di principessa viziata.
I
suoi serventi, marinai della HMS
Alexandra, si danno
da fare
come matti per convincerla a ripartire, ma con tutta la polvere che
c’è in giro sarebbe come avere la pretesa di
persuadere un gatto a
farsi una nuotata in un fiume.
Tutt’intorno
c’è l’inferno.
Un
groviglio rabbioso di uomini e bestie, pallottole che fischiano,
urla, nitriti, fumo, detonazioni. Ufficiali che gridano ordini, il
fanatico acclamare di dervisci spiritati.
Allahu
àkbar!
Giubbe
color kaki, tuniche bianche, bandiere nere e naturalmente
ovunque il rosso del sangue.
Momentaneamente
disarmati, i marinai dell’Alexandra vengono
attaccati con violenza. Uno sciame di mahdisti armati di lance e
pugnali piomba su di loro, schizzi vermigli imbrattano la neghittosa
principessa, che ancora non si decide a rientrare in funzione.
Il
tenente Grosvenor assiste alla scena dall’alto del proprio
cammello.
Smonta
dalla cavalcatura, per prima cosa. È un fuciliere, e quelle
bestie dinoccolate e imprevedibili non gli hanno mai dato un grande
affidamento. Si trova maggiormente a suo agio col terreno solido
sotto i piedi.
Si
guarda rapidamente intorno, adocchia un gruppo di scozzesi della
Black Watch. Li chiama e si dirige di corsa verso gli ormai esausti
marinai.
Lo
scontro è furioso. Il tenente ha la rivoltella
d’ordinanza, ma
strada facendo ha raccolto anche un moschetto con la baionetta
inastata e dopo aver scaricato la pistola assalta i nemici all'arma
bianca.
Quello
che segue è solo un magma di sensazioni a tratti confuse e a
tratti spaventosamente vivide.
Un
servente si accascia a terra con la gola squarciata, roche urla di
guerra, due dervisci gli si scagliano contro brandendo micidiali
scimitarre. Para, scivola, c'è sangue dappertutto. Si
rialza, un
uomo dagli occhi di folle gli si avventa addosso. Cadono, corpo a
corpo violento, il tenente riesce a rotolare via, la polvere imbevuta
di sangue è una fanghiglia fetida che prende alla gola.
Si
rialza, ha ancora il moschetto. Si terge il sudore dal viso, para
un colpo quasi d'istinto, replica con un affondo.
La
principessa nel
frattempo si è decisa a funzionare di
nuovo.
Il
tenente sorride, abbassa il fucile, vede che si sta avvicinando di
gran carriera il capitano Lewis. Brav'uomo Lewis.
Tutto
a posto, i serventi sono salvi.
Il
colpo alla spalla sulle prime sembra solo un pugno particolarmente
forte. Lo fa barcollare all'indietro alla ricerca di equilibrio. Non
sente dolore.
“Santo
cielo, tenente!” esclama Lewis precipitandosi verso di
lui.
All'inizio
Grosvenor non capisce cos'abbia il suo superiore da urlare
tanto, poi abbassa gli occhi e si accorge di avere la spalla destra
trapassata da una lancia.
Riesce
addirittura a stirare le labbra in un sorriso stentato, come
se in definitiva si trattasse solo di uno scherzo estremamente
originale.
Un
rivolo di sangue gli scende da un angolo della bocca.
“Signore,
credo di avere un problemino...” dice faticosamente. E
si accascia al suolo.
§
Il
colonnello Turner alza gli occhi dal documento che ha appena
terminato di leggere e rivolge al capitano Lewis uno sguardo a
metà
fra l’incredulità e lo sdegno.
“State
scherzando per caso?” gli chiede con voce tagliente.
“No,
signore.”
“Quindi
devo dedurre che avete seriamente proposto
il
tenente Grosvenor per la Victoria Cross?”
“Sì,
signore.”
Alcuni
secondi di silenzio, sembra che il colonnello semplicemente
non si capaciti di quanto ha appena udito.
“E
come avete maturato questa vostra decisione, se posso
chiedere?”
domanda poi in tono sarcastico.
Senza
lasciarsi smontare, il capitano risponde: “Signore, il
tenente Grosvenor è un eroe.”
“Nientemeno!”
Manca poco che Turner scoppi a ridere.
“Signor
colonnello, Grosvenor ha impedito che la mitragliatrice
Gardner cadesse in mani nemiche e ha reso possibile il salvataggio
della maggior parte dei suoi serventi. Nel corso dell'azione
è
rimasto gravemente ferito.”
L'altro
continua a fissarlo scettico.
“Come
vedete, i criteri per il conferimento di una Victoria Cross
ci sono tutti,” aggiunge Lewis. Poi compuntamente recita:
“cospicuo
coraggio o audacia, o importanti atti di valore o auto-sacrificio, o
estrema devozione al dovere in presenza del nemico.”
Il
colonnello fa un sospiro infastidito. “Il vostro tenente
Grosvenor, che voi definite eroe, non
è altro che un
cialtrone debosciato. È un insolente e uno spaccone, non sa
stare al
suo posto, non ha alcun senso della disciplina né rispetto
per
l'uniforme che porta. Conferire una decorazione come la Victoria
Cross a un elemento del genere sarebbe il peggiore esempio che
potremmo dare alle truppe.”
“Signore,
il tenente Grosvenor merita quella decorazione,”
risponde caparbio il capitano.
“L'unica
cosa che Grosvenor merita
è di essere radiato
dall'Esercito.”
§
L'ospedale
da campo è un gruppo di capanne di terra e paglia
ombreggiato da qualche palma e circondato da una zeriba. Il posto
è
piuttosto lontano dall'essere confortevole, ma i dintorni sono troppo
pericolosi per spedire una carovana di feriti a Suakin o in altri
centri più attrezzati.
È
il dottor Owen, il capitano medico, che si occupa delle cure
assieme ai suoi assistenti. Ha ricavato una sorta di sala operatoria
e un'infermeria nella più grande delle capanne e usa le
altre come
luogo di degenza per i pazienti.
Eldred
Grosvenor è da solo, non si sa se per riguardo al suo
blasone, dal momento che è pur sempre un nobile, o per
evitare la
sua nefasta influenza sugli altri feriti. La capanna dov'è
sistemato
è un po' isolata, anzi, ed è dotata di una specie
di tettoia di
foglie di palma che la rende leggermente meno torrida delle altre.
È
sdraiato su una branda militare, qualcuno gli ha premurosamente
sistemato un paio di cuscini dietro la schiena per consentirgli di
leggere, e infatti il tenente ha un libro aperto in mano.
Lewis
si ferma a guardarlo qualche secondo prima di dar segno di
sé.
Un
bel ragazzo dall'aria spavalda, con occhi di un azzurro
indubbiamente particolare e il profilo di un cammeo classico.
Si
chiede se sia vero quello che alcuni dicono di lui, ovvero che non
gli piacciono le ragazze, per usare
un eufemismo.
“Salve,
tenente,” lo saluta.
Grosvenor
si volta, gli sorride. “Capitano Lewis! Scusate se non mi
alzo per accogliervi come si conviene, ma al momento temo di essere
impossibilitato.”
Accenna
al bendaggio che gli immobilizza la spalla destra quasi con
noncuranza, come se si stesse scusando perché un precedente
impegno
gli impedisce di prendere parte a una partita di bridge.
“Non
datevi pena, tenente,” risponde il capitano sedendosi su uno
sgabello lì vicino. “Come vi sentite, piuttosto?
“Benissimo,
signore.”
Il
capitano fa una certa fatica a capire come sia possibile sentirsi
benissimo in una capanna di fango in cui regna un caldo soffocante,
con un buco largo un pollice in una spalla e due galloni di sangue in
meno, tuttavia non indaga.
“Ve
la sentite di parlare un po'?” gli chiede.
“Ne
sarei felice, signore. Qui ho davvero poche distrazioni.”
“Parlare
della battaglia, intendo.”
“Certo,
perché no? Per caso il signor colonnello sta cercando di
scoprire se mi sono nascosto da qualche parte e incidentalmente sono
inciampato su una lancia mahdista?”
Rivolge
al capitano uno sguardo di vaga complicità, come per dire:
io
e voi lo sappiamo com'è fatto, vero?
Lewis
non può fare a meno di sorridere. “A dire la
verità la
faccenda interessa a me, tenente. Come siete finito nel British Camel
Corps, per esempio?”
“Intendete
il Circo del Nilo? Un grande colpo di fortuna del mio
precedente comandante, il colonnello Davis. Quando ha scoperto che
tutta l'alta società di Londra stava facendo carte false per
entrare
nel reparto, si è improvvisamente ricordato delle mie
ascendenze
aristocratiche e non gli è parso vero di rifilarmi al
colonnello
Turner montato su un bel dromedario.”
Fa
una breve pausa e sorridendo con aria vagamente sorniona aggiunge:
“Gli ha fatto una bella sorpresina, non credete?”
“So
che avete cambiato molti reparti,” dice Lewis evitando
diplomaticamente di rispondere.
“Di
continuo, signore. Sembra che i miei comandanti non gradiscano
certe mie innocenti e del tutto inoffensive stravaganze.”
Il
capitano rimane di nuovo in silenzio. La lista delle punizioni di
Grosvenor, arrivata insieme alle sue note caratteristiche, è
un tomo
che sembra il Libro di Kells.
“I
duelli, per esempio?”
“Un
gentiluomo avrà pure il diritto di difendere il proprio
onore,
no?”
Come
sempre la risposta è tra il serio e il faceto. Non si
capisce
se il tenente sia davvero convinto di ciò che dice o se stia
solo
bonariamente prendendo in giro il suo superiore.
“E
dite...” ancora una volta Lewis ritiene più saggio
cambiare
discorso, “vi dà molta noia la vostra
ferita?”
“Beh,
se non altro posso ritenermi fortunato. Almeno non sono stato
ferito a El Teb.”
Il
capitano sa a cosa alluda il suo subalterno: durante quella
battaglia i mahdisti hanno ucciso tutti i feriti inglesi che non
erano stati immediatamente tratti in salvo.
“Avete
combattuto anche lì, tenente?”
“Sì,
signore.”
“Anche
a Tamai?”
“Sì.”
“Perbacco,
tenente, siete stato in parecchie battaglie.”
“Ritengo
che sia un’attività consona ad un militare,
signore.
Del resto i circoli ufficiali da queste parti sono talmente
deprimenti che ci si risolve ad affrontare i mahdisti anche solo per
disperazione.”
L’impertinente
battuta, che avrebbe senz’altro mandato in bestia
il colonnello Turner, strappa invece un sorriso divertito al capitano
Lewis. Se quel Grosvenor finirà mai all’inferno,
la prima cosa che
farà sarà prendere in giro il diavolo. E la
seconda andare in cerca
di qualcosa da bere.
“Dov’eravate
prima di finire qui in Sudan, tenente?”
Grosvenor
sorride. “In luoghi quanto mai vari e pittoreschi,
signore. La mia prima assegnazione è stata Colonia del Capo,
nel
1882.”
“Buon
Dio! Cos’avevate combinato di così orribile per
finire in
quel posto disgraziato?”
“In
quell’occasione niente, signore. L’ho chiesta
io.”
“Voi?”
“Sì.
Diciamo che volevo mettere un paio di continenti fra me e la
mia famiglia.”
Lewis
lo guarda stupito. “Io… temo di non
capire.”
“Non
ci amiamo particolarmente,” risponde Grosvenor con la sua
solita aria noncurante.
“Mi
spiace, tenente.”
“Ci
sono guai peggiori,” replica il giovane con filosofia.
Sorride al capitano. “Per esempio qui in Sudan non
c’è verso di
trovare un gin tonic accettabile. Questa sì che è
un’autentica
tragedia.”
Il
capitano sta per rispondere quando si affaccia alla porta
l’ufficiale medico dicendo: “Per oggi basta con le
visite. Il
tenente Grosvenor deve riposare.”
Lewis
si alza obbediente.
“Peccato,”
sospira il giovane. “Tornerete a trovarmi,
signore?”
“Certo,
volentieri,” gli assicura il capitano con calore, poi
prende commiato. Mentre si allontana capta lo svolgersi del seguente
dialogo:
“Tenente,
è l’ora della vostra medicina.”
“Oh, no. Di
nuovo?”
“La dovete
prendere tre volte al giorno se volete rimettervi in
fretta.”
“Ma
è orrenda! Non la si potrebbe almeno sciogliere in un
bicchiere di Brandy?”
“Tenente!”
“Chiedevo.”
Se
ne va sorridendo fra sé e sé.
§
I
marinai se ne stanno per conto loro. Ufficialmente con la scusa di
occuparsi della Gardner, ovvero la loro beneamata quanto neghittosa
principessa, in realtà perché nel bel mezzo di un
deserto non si
sentono per niente a loro agio.
Nella
moltitudine in kaki e grigio che li attornia le loro casacche
bianche appaiono in effetti grottescamente fuori posto.
“Signor
Larkin, avrei bisogno di farvi qualche domanda” dice il
capitano Lewis avvicinandosi al nostromo dell’Alexandra.
Il
sottufficiale abbandona ciò che stava facendo e si mette
sull’attenti. “Aye
aye, sir!” esclama
secondo l’usanza
della marina.
“Cosa
ricordate della battaglia, nostromo?”
A
giudicare dall'espressione del marinaio, la domanda conferma in
pieno il suo sospetto che i terrazzani siano gente decisamente
strana, tuttavia
prontamente risponde: “Ogni dannata cosa, con
rispetto parlando, signore!”
“Potreste
raccontarmi cos'è successo quando si è inceppata
la
Gardner, per favore?”
A
quelle parole il nostromo si rabbuia, probabilmente pensa che le
domande abbiano a che fare con un'inchiesta per accertare eventuali
responsabilità nell'incidente.
“Niente
di ufficiale,” si affretta allora a chiarire il capitano,
“Ho solo bisogno di sapere come sono andate le cose
esattamente.”
L’espressione
franca di Lewis evidentemente convince il signor
Larkin che non ci sono tiri mancini in agguato, per cui
l’uomo
prende a narrare coloritamente l’episodio:
“Ebbene,
signore, ci siamo io e i miei uomini a riva, voglio dire
sulla cima di quella collinetta laggiù. Abbiamo il nostro
bel tubo
da stufa, lucido come alla rivista della domenica mattina, e
aspettiamo quella banda di gran figli di buona donna pronti a
scaricargli addosso le nostre bordate, per così dire.
Quando
comincia la buriana, per un po’ ci diamo da fare come matti,
consumando pallottole come alla notte di Guy Fawkes, poi ad un certo
punto il nostro macinino si pianta. Niente, nemmeno più un
colpo.
Non che gli si possa dare torto, con tutta quella sabbia in giro si
sarebbe inceppato anche un cannone prodiero dell’Alexandra,
ma la bambina è troppo bollente per metterci le mani sopra.
Come
certe ragazze di Suakin, con rispetto parlando. A quei dervisci
dannati non gli pare vero e ne approfittano per saltarci addosso a
prua e a poppa. Da tutte le parti, volevo dire,” precisa
notando
l’espressione perplessa del capitano.
“E
poi cos’è successo, nostromo?” chiede
Lewis.
“Beh,
signore, siamo lì che stiamo dicendo le ultime preghiere,
non so se mi spiego, quando vediamo questo tenente che si avvicina a
tutto vapore a bordo di un cammello. Salta giù con la
pistola in
mano e chiama degli scozzesi che sono lì in giro. Quella
è gente
che non ha paura di nulla, ve lo dico io, signore. Quasi come i
marinai. Hanno la gonnella, ma diavolo se picchiano!”
“Andate
avanti, signor Larkin, prego. Cos’ha fatto il
tenente?”
“Un
demonio dell’inferno, signore! Avrebbe fatto paura anche a
Satana in persona, parola mia d’onore. Scarica la pistola
sulla
massa di leccapalle fottuti, poi raccoglie da terra un moschetto con
la baionetta inastata e quanto è vero Dio li carica
all’arma
bianca! Campassi mille anni, non vedrò mai più
una scena del
genere.”
“Avete
avuto l’impressione che quel tenente fosse un vile?”
Il
nostromo trasecola. “Vile? Un coraggio del diavolo, signore!
E
sono pronto a prendere a pugni chiunque osi sostenere il
contrario!”
Lewis
ha un vago sorriso al pensiero del rissoso nostromo che fa a
cazzotti con il colonnello Turner.
“Secondo
voi agiva per secondi fini?”
“I
fini non li so, signore. So soltanto che se adesso io e voi
stiamo parlando lo devo a quell'ufficiale.”
“Sareste
disposto a mettere per iscritto quello che mi avete
raccontato, nostromo?”
“Si
capisce! Questa qui è tutta sacrosanta verità
peggio della
dannatissima bibbia del reverendo, signore!”
§
“Capitano,
questa vostra iniziativa sta cominciando a diventare
decisamente fastidiosa,” dice il colonnello Turner.
Ha
davanti a sé la deposizione del nostromo Alfred Larkin, e
seppure
con qualche fatica per il linguaggio non esattamente convenzionale,
ha appena terminato di leggerla.
“Signore,
non vi farebbe piacere che un vostro ufficiale venisse
insignito della Victoria Cross?”
“Tanto
per cominciare, quello non è un mio
ufficiale,”
dice schifato il colonnello. “È uno scarto del
colonnello Davis,
che il diavolo se lo porti. Garantito che la prossima volta mi
informerò meglio quando mi parlerà di un brillante
giovane
ufficiale proveniente dalla migliore società di
Londra.”
“Se
posso esprimere un parere, signore, mi sembra una descrizione
abbastanza obiettiva del tenente Grosvenor.”
Il
colonnello sbuffa. Quel vecchio filibustiere di Davis si era
comportato esattamente come un sensale di cavalli che deve vendere un
brocco: gli aveva nascosto accuratamente tutti i numerosi difetti
dell'esemplare e si era inventato dei pregi inesistenti per
convincerlo ad accollarselo.
“Quello
è uno scapestrato senza principi morali, altro che
brillante giovane ufficiale,” brontola Turner risentito.
“In
battaglia ha avuto una condotta decisamente eroica, signore,”
insiste imperterrito il capitano Lewis.
“Sarà
stato un caso.”
Il
capitano tace.
Sotto
lo sguardo di muta riprovazione del suo subalterno, il
colonnello Turner si sente in dovere di portare ulteriori elementi in
favore della sua tesi. Va ad uno schedario ed estrae il famoso Libro
di Kells delle
punizioni di Grosvenor.
Lo
apre a caso.
“Colonia
del Capo,” legge, “8 novembre 1882. In un locale
denominato La sirena
ubriaca situato a
Cape Town nei pressi
del porto l'allora sottotenente Eldred Frederick Grosvenor, Visconte
di Belgrave, attacca
briga con un gruppo di Royal Marines
sostenendo, testuali parole, che si
spacciano per fucilieri ma non
sanno neppure trovarsi il buco del culo con due mani. Un
linguaggio decisamente consono ad un ufficiale e ad un aristocratico,
direi. Naturalmente risulta essere in stato di grave ebbrezza
etilica. Viene arrestato da una pattuglia della polizia militare e
trascorre il resto della notte in cella.”
Lewis
si stringe nelle spalle.
Turner
gli rivolge un'occhiata in tralice, sfoglia il Libro di Kells
e spietatamente prosegue: “Colonia del Capo, 27 novembre
1882. Il
sottotenente Grosvenor si presenta all'adunata in costume locale.
Sostiene di non sapere dove sia la sua uniforme. La stessa viene
ritrovata alcuni giorni dopo tra gli effetti personali di un oste di
dubbia reputazione che gestisce la sua mescita in un sobborgo di Cape
Town. L'oste in questione, un indigeno che risponde al nome di
Nkosana Mbali, riferisce che l'uniforme gli è stata offerta
in
pagamento di svariate bevande alcoliche che sono state consumate dal
tenente e da un gruppo misto di civili e militari impegnati in una
gara di braccio di
ferro.”
La
vicenda è così comica che a Lewis viene spontaneo
sorridere.
“Capitano,
il vostro entusiasmo mi pare del tutto fuori luogo,”
lo ammonisce Turner con voce tagliente.
“Scusate,
signore.”
“Volete
sentire altro?” chiede il colonnello. Poi senza attendere
risposta sfoglia qualche altra pagina e legge: “Lagos, 15
gennaio
1883. Invitato con alcuni colleghi ad una cena presso l'abitazione di
un delegato della Royal
Niger Company, il
ventenne
sottotenente Grosvenor sfida a duello il quarantacinquenne fratello
del suo ospite per una non meglio specificata questione
di onore.
Lo scontro si svolge la sera stessa e termina con entrambi i
contendenti feriti, tra scene di panico delle signore presenti e
imbarazzo dei colleghi di Grosvenor.”
Nuovo
fruscio di pagine.
“Il
5 luglio 1883, a Calcutta, il tenente Grosvenor nasconde un
giovane esemplare di tigre del Bengala nello studio del suo
comandante. L'animale, che pesa circa duecento libbre, per prima cosa
divora l’amatissimo Fox Terrier e i due gatti siamesi
dell'ufficiale, quindi sfonda la finestra, balza in strada e fugge
per la città seminando il panico tra i civili. In stato di
ebbrezza
etilica, il tenente non è in grado di motivare le proprie
azioni in
maniera coerente.”
Il
colonnello chiude il fascicolo con un gesto secco che quasi fa
sobbalzare Lewis. “Questo è il vostro eroe,” dice con
una
sfumatura di disprezzo nella voce. “Un cialtrone vanaglorioso
e
debosciato. Potrei leggervi decine di episodi del genere. Risse,
duelli, atti di insubordinazione, insolenze, provocazioni fini a se
stesse. Nell'arco di due anni è stato a Città del
Capo, a Lagos, a
Calcutta, a Galle e a Hong Kong. Vi siete domandato come mai abbia
cambiato tante destinazioni in così poco tempo?”
Il
capitano non risponde, il motivo è fin troppo evidente.
Tutti
trasferimenti punitivi.
“Davis
ci aveva già provato una volta a disfarsene,”
prosegue
Turner. “Dopo la battaglia di Tamai l'ha trasferito ad Aden.
All'inizio il comandante della guarnigione se l'è preso,
là ci sono
i pirati e un ufficiale in più fa sempre comodo. Nel breve
volgere
di tre mesi l'ha rispedito al mittente, pirati o non pirati.”
Il
Libro di Kells viene allontanato con vago disgusto.
“Questo
è il personaggio di cui stiamo parlando, capitano
Lewis,”
dice Turner fissando il subalterno negli occhi, “un
bellimbusto
borioso e depravato convinto che le Forze Armate siano il suo parco
giochi personale. Premiare con una decorazione questo individuo
equivarrebbe ad insultare tutti i bravi soldati del Regno che invece
fanno il loro dovere con disciplina e dedizione.”
§
Il
sole picchia.
Sotto
il casco coloniale di sughero, al capitano Lewis sembra di
avere una fornace al posto della testa.
Chi
è dunque Eldred Grosvenor? Un combattente feroce animato da
un
coraggio che va ben oltre l'incoscienza? Uno scanzonato e simpatico
giovane ufficiale? Un arrogante figlio di papà che pensa di
potersi
far beffe di regole e convenzioni a suo piacimento?
L'ha
visto coi suoi occhi rischiare la vita per salvare i marinai
dell'Alexandra. Gli ha
parlato, traendone l'impressione di un
giovane cortese, dalla conversazione gradevole e spiritosa.
Ma
c'è il Libro di
Kells.
In
tutta la sua carriera non gli era mai capitato di vedere una
sfilza di punizioni come quella. Anzi, non pensava nemmeno che fosse
umanamente possibile collezionarla, prima di imbattersi nel tenente
Grosvenor.
Così
ragionando arriva all'ospedale del dottor Owen.
Il
luogo gli pare ancora più inospitale della volta precedente,
più
caldo e con più nugoli di mosche.
“Capitano
Lewis!” lo accoglie il tenente, placido come se fosse
sdraiato sulla sua chaise
longue in una
spiaggia della Costa
Azzurra.
Contro
la zanzariera della finestra ronza un compendio di
entomologia. L’aria torrida che proviene dalla piccola
apertura dà
l’impressione di trovarsi davanti alla bocca di un forno.
“Scusate
se neppure stavolta mi alzo per accogliervi,” prosegue
il giovane ufficiale con il consueto tono scanzonato, “ma
temo che
se ci provassi mi affloscerei al suolo in maniera indegna di un
militare.”
Lewis
constata che in effetti nonostante la leggerezza con cui gli si
è rivolto il tenente ha l’aria piuttosto provata.
La ferita deve
dargli parecchio fastidio.
“Non
sentite il caldo?” gli chiede sedendosi sul solito sgabello.
“Il
segreto è non farci caso, signore. Se a Calcutta non avessi
fatto così penso che sarei impazzito. Un caldo spaventoso,
faceva
sembrare gradevole persino il clima di Colonia del Capo.”
“A
proposito di Calcutta,” Lewis si schiarisce la voce con fare
imbarazzato, “che mi dite della storia della tigre,
tenente?”
“Oh,
la tigre.” Grosvenor assume l’espressione di chi si
aspettava una stretta di mano e invece ha ricevuto uno schiaffo.
“Il
colonnello vi ha detto di Big Joe, vero?”
“Big
Joe?”
“Sì,
volevo addestrarlo. L’avevo comprato da un fachiro, o
almeno mi sembrava che fosse un fachiro.”
“Ma
perché l’avete chiuso nello studio del vostro
comandante?”
Pausa
meditativa.
“Francamente
non mi ricordo, signore,” ammette infine il tenente,
“probabilmente non ero del tutto sobrio.”
Diciamo
pure che eri ubriaco fradicio.
Per
la prima volta da quando lo conosce, il capitano Lewis prova una
punta di fastidio di fronte all’atteggiamento noncurante del
suo
subalterno. “Non vi interessa proprio la considerazione degli
altri, tenente?” gli chiede.
“Ho
dovuto imparare a farne a meno abbastanza presto, signore.”
“Che
intendete dire?”
Eldred
Grosvenor sorride come chi sta per raccontare una
spassosissima barzelletta. “Volete sapere una cosa
divertente,
signore? Io non sarei nemmeno dovuto nascere.”
“Prego?”
“È
così. Sono uno sbaglio.”
“Intendete
dire… che siete figlio illegittimo?” chiede
cautamente il capitano.
“Niente
di così romantico, signore. Figlio di mio padre al cento
per cento. Però dopo mio fratello maggiore mia madre aveva
stabilito
che la gravidanza non faceva per lei, e così ha fatto del
suo meglio
per non restare più incinta.” Fa un teatrale
sospiro. “Qualcosa
dev’essere andato storto per la pauvre
maman.”
“E
così siete nato voi?”
“Maman ha
cercato in ogni modo di convincere la Natura a
liberarla dell’intruso. Cavalcate, cacce alla volpe,
passeggiate in
posti impervi, balli sfrenati fino all'alba. Purtroppo però
l’erba
cattiva è notoriamente difficile da estirpare, quindi eccomi
qui.”
Lewis
lo fissa esterrefatto. “E voi come lo sapete?”
“Me
l'ha detto lei. A onor del vero l'ha fatto in una circostanza
in cui l'avevo particolarmente esasperata con le mie marachelle. Ero
un ragazzino assolutamente pestifero, per usare
un eufemismo.”
“Capisco.”
“Oh
no, non potete capire. Mi meraviglio di non essere stato ucciso
da piccolo, con tutto quello che ho combinato.” Sorride fra
sé e
sé con vago compiacimento.
“E
vostro padre?” chiede allora il capitano.
“All’inizio
era contento di avere un altro figlio. Aveva già un
erede a cui lasciare il titolo, ma è sempre meglio averne
uno di
ricambio, non credete? Nel caso al primo capiti qualche incidente.
Poi sono certo che abbia cambiato idea.”
“Vostro
padre è il duca di Westminster, giusto?”
“Esatto.
E il mio caro fratello Archibald lo sarà dopo di
lui.”
“Beh,
voi siete pur sempre visconte di Belgrave,” considera il
capitano.
“Sì,
sono fortunatissimo. Fa decisamente un’ottima figura sui
biglietti da visita,” risponde il tenente Grosvenor, e
rivolge al
suo superiore uno sguardo ironico.
“Mi
dispiace, tenente.” Il classico titolo nobiliare attribuito
al fratello minore giusto per non lasciarlo completamente a bocca
asciutta.
“Poteva
andarmi peggio, signore. Potevo nascere brutto e povero per
esempio.”
(fine
prima parte)
|
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Capitolo 2 *** Seconda parte ***
(seconda parte)
Allontanandosi
dall'ospedale, Lewis incontra il cappellano militare.
“Siete
andato a trovare i feriti, capitano?” gli chiede il
reverendo stringendosi come sua abitudine il messale al petto,
“un'attività molto commendevole.”
“Ho
fatto visita al tenente Grosvenor, padre,” risponde Lewis.
“Povero
giovane,” sospira il prete.
“Sì,
una brutta ferita.”
“Oh,
non alludo certo alle piaghe della carne,” risponde il
cappellano. “Un ragazzo davvero sfortunato.”
Il
capitano lo fissa incuriosito. “A cosa vi riferite,
reverendo?”
“Non
dev’essere facile crescere senza l’amore dei
genitori, non
credete? Senza un padre che vigili su di te, che mostri orgoglio
quando ti comporti bene e ti faccia capire quando stai sbagliando
perché ti ritiene degno di migliorare.”
“Come
sapete della famiglia di Grosvenor?”
“È
stato lui a parlarmene. A suo modo, s’intende, ma io dico
sempre che bisogna andare al di là delle apparenze e saper
ascoltare
col cuore, più che con le orecchie.”
Sospettando
che stia per arrivare una predica su buoni sentimenti e
amore per il prossimo, il capitano nasconde a fatica un moto di
fastidio. Quando il reverendo ci si mette sa essere piuttosto
prolisso, e senza neanche qualcosa di fresco da sorseggiare mentre
parla diventa difficile sopportarlo.
Ma
il religioso non sembra intenzionato a concionare. “Povero
giovane,” ripete invece con fare rassegnato,
“quanti talenti
sprecati.”
Guarda
in direzione delle capanne pomposamente definite ospedale,
quindi torna a voltarsi verso il capitano e dice:
“È intelligente
e coraggioso, avrebbe tutte le potenzialità per essere un
ottimo
ufficiale.”
“A
giudicare dal suo fascicolo personale, sembra che la cosa non
gli interessi molto,” risponde cautamente Lewis.
“Non
fatevi ingannare anche voi, capitano,” replica il reverendo,
“quel ragazzo è un incompreso. Tutto
ciò che chiede è un po’
di considerazione.”
“Non
mi sembra che abbia scelto il modo migliore per ottenerla.”
“Non
gli si può fare una colpa se non avendo mai ricevuto amore
non sa come fare a chiederlo, non vi pare?” Sospira di nuovo,
guarda il breviario come alla ricerca di ispirazione. Infine
prosegue: “Tutte le sue bravate, come
vengono con spregio
definite, sono in realtà dei tentativi di ottenere quella
considerazione paterna che non ha mai ricevuto. Se solo trovasse
qualcuno in grado di capirlo, credo che gli darebbe anche
l’anima.”
“Come
Bucefalo con Alessandro Magno?” chiede ironico il capitano.
“Una
cosa del genere.”
§
Lewis
guarda il cappellano procedere verso l’ospedale traballando
sul terreno irregolare. L’idea del mite religioso che cerca
di
portare conforto al tenente Grosvenor lo fa sorridere. Quel diavolo
di un tenente se lo rigirerà come vuole. Gli farà
due moine, gli
rivolgerà quel suo sguardo da furbetto e riuscirà
a farsi portare
di nascosto persino il brandy che il dottore gli ha così
energicamente proibito.
Mentre
si incammina verso gli alloggi degli ufficiali riflette sulle
parole del religioso.
Ecco
che emerge un'altra faccia del tenente Grosvenor, ovvero il
ragazzino in cerca d’affetto. Certo che se è
veramente così fa di
tutto per dissimularlo: i suoi comportamenti sembrano quelli di chi
è
intenzionato a farsi detestare, piuttosto. Non sarebbe più
facile
essere un bravo ufficiale, rispettoso e capace? Così
sì che
otterrebbe quella considerazione cui tanto sembra anelare.
Ma
forse il cappellano ha ragione, non bisogna fermarsi alle
apparenze.
Così
camminando e ragionando tra sé e sé passa davanti
alla tenda
che funge da circolo
ufficiali e decide
di fermarsi a bere
qualcosa.
Non
che ci sia una gran scelta, ma con quaranta gradi all'ombra anche
un semplice bicchiere d'acqua diventa decisamente piacevole. Basta
poi avvolgere le bottiglie in una pezzuola bagnata e per effetto
dell’evaporazione le bevande in esse contenute diventano
anche
piacevolmente fresche. Trucchi da colonie.
All’interno
ci sono alcuni suoi colleghi: il capitano Ross della
compagnia comando, il maggiore Feldman e il tenente Hogarty delle
neo-costituite truppe cammellate, il capitano Stevens del
diciannovesimo ussari e un tenente dei dragoni di cui non conosce il
nome.
“Capitano
Lewis!” lo accoglie Ross, “Dite, è vero
quel che si
sente ripetere in giro?”
“Cosa?”
chiede il nuovo arrivato.
“Che
state cercando di convincere Turner ad autorizzare l'avvio
delle pratiche per il conferimento della Victoria Cross al tenente
Grosvenor.”
Si
sentono alcune risatine soffocate.
“È
così,” risponde Lewis, come se si trattasse della
cosa più
normale del mondo.
“Decisamente,
capitano, siete una persona cui non fa difetto il
senso dell'umorismo!”
Le
risatine aumentano di intensità, serpeggia persino qualche
commento ironico.
Stoicamente,
Lewis fa finta di nulla. Si siede a un tavolino e si
appoggia all'indietro sulla sedia con l'aria di non dare alcun peso
alla faccenda.
Un'ordinanza
in giacca bianca gli porta un bicchiere di limonata
accettabilmente fresca.
A
questo punto il capitano percepisce intorno a sé un silenzio
innaturale. “Ebbene?” chiede, senza rivolgersi a
nessuno in
particolare.
“Allora
è proprio vero? La vostra non era una battuta?”
s'informa cautamente Ross, che evidentemente non si capacita della
questione.
“Certo
che è vero,” il capitano Lewis è anche
un po' piccato.
“Il tenente Grosvenor ha compiuto un'azione eroica, l'ho
visto io con questi occhi. Ha caricato all'arma bianca un gruppo di
mahdisti per proteggere i marinai dell'Alexandra, e nel
corso
dell'azione è anche rimasto gravemente ferito!”
“L'ho
sentito dire,” conferma il maggiore Feldman.
“E
non credete che sia un'azione degna di encomio?”
“Teoricamente
lo sarebbe,” concede l'altro.
“Anche
in pratica.” Con la solita compunzione Lewis recita i
requisiti per il conferimento della Victoria Cross: “Cospicuo
coraggio o audacia, o importanti atti di valore o auto-sacrificio, o
estrema devozione al dovere in presenza del nemico.”
Silenzio
siderale. Qualcuno tossicchia con fare imbarazzato.
“Il
coraggio non gli manca, in effetti,” ammette il capitano
degli ussari.
“Io
la definirei faccia di bronzo più che coraggio,
signore,”
replica freddamente Hogarty.
Cominciano
a parlare di Grosvenor. La fazione più moderata lo
classifica essenzialmente come un giovane scapestrato che
però
quando c'è da sparare non si tira indietro, mentre i censori
più
severi lo definiscono un cialtrone arrogante e debosciato del tutto
inadatto alla vita militare.
Sono
tutti d'accordo però nel ritenere che la più alta
decorazione
dell'Impero conferita a uno come Grosvenor segnerebbe la fine della
leggendaria disciplina per cui l'Esercito britannico va giustamente
famoso.
“L'unica
sarebbe che morisse in seguito alle ferite,” conclude
Feldman con salomonica equanimità,
“così non ci sarebbe più il
problema di questa benedetta Victoria Cross. Non mi risulta che venga
conferita alla memoria.”
L'unico
a commentare la frase è Hogarty, che freddamente dice:
“Dubito che il Signore Iddio ci farà un dono
così grande.”
§
“Signor
capitano, posso dirvi due parole?” È il tenente
Hogarty.
Lewis
lo fissa perplesso.
“In
privato,” specifica il giovane ufficiale. A giudicare dalla
sua espressione tesa e risoluta, sembra che la sua missione sia
quella di scongiurare il verificarsi di un disastro.
“D'accordo,
tenente, seguitemi.”
I
due si allontanano di qualche centinaio di iarde dall'accampamento.
Hogarty cammina svelto, addirittura superando il capitano. Sembra che
abbia una certa urgenza di parlare con il suo superiore. Continua a
guardarsi in giro, come per essere sicuro che il luogo sia
effettivamente deserto come sembra.
Quando
tutt'intorno ci sono solo sassi bruciati dal sole e sabbia
rossastra, il tenente dice: “Io ho fatto l'accademia con
Grosvenor,
signore, quindi posso dire di conoscerlo meglio di chiunque
altro.”
Fa una breve pausa poi specifica: “ Anche di voi, con
rispetto
parlando, signore.”
“Voi
dite, tenente?”
“Sì,
signore. E perdonatemi se vi dico che il tenente Grosvenor vi
ha ingannato nascondendovi chi è... cos'è
veramente.”
“Che
intendete dire?” chiede Lewis incuriosito.
“Senza
dubbio avrà fatto la parte del giovanotto simpatico,
vero?”
prosegue Hogarty come se non avesse neppure sentito la domanda del
capitano, “sarà stato ironico e signorile, vi
avrà detto delle
battute spiritose, non è così?”
“Sì,
l'ha fatto.”
“Quello
è il suo modo di ingraziarsi le persone. Probabilmente
cercherà di ottenere qualcosa da voi.”
“Un
momento, tenente. Grosvenor non sa nulla della Victoria Cross,
se è questo che intendete.”
“Allora
vorrà qualcos'altro,” replica con sicurezza
Hogarty,
“probabilmente nei prossimi giorni ve lo farà
discretamente
sapere. Comunque non è questa la cosa di cui volevo
parlarvi.” Si
morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo dal capitano come se
di colpo fosse molto imbarazzato.
L'altro
non dice nulla limitandosi a fissarlo.
Dopo
qualche secondo di silenzio, il tenente dice: “Signore,
conferire la Victoria Cross a Grosvenor sarebbe un abominio.”
Sillaba la parola con espressione disgustata, come per assicurarsi
che al capitano sia ben chiaro il concetto.
La
conversazione è privata e informale, quindi Lewis non
dà peso al
modo in cui il subalterno gli ha rivolto la frase.
“Perché,
tenente?” gli chiede invece incuriosito.
“Signore,
il tenente Grosvenor è un...” esita, di nuovo si
morde
il labbro inferiore. “...è un invertito.”
È
come se sputasse fuori la parola perché troppo schifosa da
tenere
in bocca.
“E
voi come lo sapete?” chiede con calma il capitano.
“Tutti
lo sanno,” risponde Hogarty, non accorgendosi, o fingendo
di non accorgersi delle possibili implicazioni della domanda.
Il
capitano deve ammettere a se stesso che in effetti anche lui ha
sentito strane voci sul tenente Grosvenor.
“È
un crimine molto grave,” dice comunque, “come
può essere
ancora nell'Esercito se tutti sanno delle sue tendenze?”
“Suo
padre, ovviamente.”
“Sarebbe
a dire?”
“Il
duca di Westminster ha sempre messo a tacere gli scandali che
la vergognosa condotta di Grosvenor periodicamente sollevava. Non
certo per amore paterno – quale padre degno di questo nome
amerebbe
un figlio del genere? – quanto piuttosto per far
sì che il buon
nome della famiglia non venisse sporcato dalla depravazione di
quell'individuo sordido e corrotto.”
“Siete
sicuro di quello che dite, tenente?” chiede Lewis dopo
aver ascoltato quello che ha più che altro l'aria di uno
sfogo
esasperato.
“Certo
che ne sono sicuro. Pensate forse che sia una mia
invenzione? Grosvenor è un essere spregevole, un pervertito
abietto
e senza moralità.”
“Se
è tutto così chiaro e alla luce del sole,
perché non l'avete
mai denunciato?”
Hogarty
ha un sorriso sprezzante. “A che servirebbe? Tanto suo
padre metterebbe tutto a tacere.”
Lewis
sospira allontanandosi di qualche passo. Dà un calcio a un
ciottolo, che rotola via con un rumore sordo. Nel cielo di smalto
azzurro non si ode nulla, nemmeno il richiamo d'un uccello o il
frinire di un insetto. L'aria è perfettamente immobile.
È
vero? Non è vero? Hogarty vuole difendere il decoro della
Nazione
o è semplicemente invidioso della noncurante
spregiudicatezza del
collega?
Quello
che lo fa parlare è il fiero sdegno dell'appassionato
censore
o l'astio meschino di uno spasimante respinto?
“Conferire
la Victoria Cross a Eldred Grosvenor sarebbe un
abominio,” ripete il giovane ufficiale alle sue spalle.
“Faccio
appello al vostro senso etico, signore. Disonorerebbe le Forze
Armate.”
§
“Caporale
Bruce McKenna a rapporto, signore!” esclama il robusto
graduato della Black Watch, peraltro a voce ben più alta del
necessario.
È
un montanaro delle Highlands grosso come un armadio ed
estremamente fiero del suo kilt.
“Riposo,
caporale,” dice Lewis. “Immagino che sarete curioso
di
sapere perché vi ho fatto chiamare.”
“Con
tutto il rispetto, signore, credo di saperlo!” risponde il
caporale con un tono che vorrebbe essere basso e confidenziale ma
somiglia al muggito di un elefante marino. “È per
quella faccenda
della Victoria Cross, vero?”
“Abbassate
la voce, che diamine! Volete che vi senta Osman Digna in
persona?”
“Scusate,
signore.”
“Come
sapete della Victoria Cross?”
“Ne
parlano tutti, signore, e se volete la mia opinione è una
cosa
dannatamente giusta.”
Il
capitano sospira con fare rassegnato. Per quanto abbia cercato di
fare le cose con la massima discrezione, i misteriosi canali di
informazione della truppa sono stati più efficienti di lui.
“Ditemi
quello che ricordate, allora, così vediamo se riesco a
convincere il signor colonnello a mandare avanti questa benedetta
pratica.”
“Il
problema è nato con quei marinai,” esordisce lo
scozzese. Si
interrompe un istante con l'aria di riflettere su quanto ha appena
detto, quindi con tono che denota una certa familiarità
prosegue:
“Che poi non è che gli si possa fare una colpa a
quelli là se
fuori dalle loro bagnarole non sanno nemmeno tenere un fucile in
mano.”
Dopo
l'inciso si stringe nelle enormi spalle con fare rassegnato e
continua col racconto: “Finché sono riusciti a far
funzionare la
mitragliatrice le cose sono andate per il loro verso, ma poi
l'aggeggio si è inceppato. A quei pecorai non gli pare vero.
Partono
di corsa urlando come invasati e agitando le armi con una gran voglia
di fare usare le frattaglie dei ragazzi dell'Alexandra per
fare lo haggis.”
“Voi
dov'eravate, caporale?” chiede Lewis.
“Lì
vicino, signore. I miei ragazzi ed io ci stavamo guadagnando
la paga.”
“Non
lo metto in dubbio, caporale.”
“Era
per dire che ne stavamo facendo fuori parecchi, signore,”
precisa il caporale.
“Certo,
capisco.”
“Insomma,
ad un certo punto ci accorgiamo che quelli in bianco sono
nella merda fino al collo, con rispetto parlando.”
“Erano
attaccati dai mahdisti?”
“Se
erano attaccati? C'erano più mahdisti su quella collina che
pulci su un cane randagio!”
“Capisco,
caporale.”
“A
questo punto arriva Grosvenor, salta giù dal suo dromedario
e
ci fa: venite,
ragazzi. Andiamo a dargli una mano! Poi tira
fuori la pistola e parte in testa a tutti.” Il tono di voce
del
caporale si alza nel rievocare l'episodio. “Avrebbe potuto
restarsene tranquillo sul suo animale, capite, signore? Avrebbe
potuto mandarci avanti e starsene a guardare lo spettacolo dall'alto,
e invece niente di tutto questo. A piedi e per primo. Uno
così lo si
segue anche all'inferno, dico io.”
“Anch'io
sono del parere che sia un bravo ufficiale,” dice il
capitano Lewis.
“Allora
gliela farete avere?” chiede il caporale McKenna dopo una
pausa.
“Ci
proverò, caporale. Ci proverò.”
§
Il
capitano congeda lo scozzese con la sensazione che il tenente
Eldred Grosvenor abbia più avatar di una
divinità indù.
Ne
ha appena scoperti altri due: il sodomita vizioso e il condottiero
carismatico.
Certamente
nella Storia non mancano esempi di personaggi che
assommavano in sé entrambe le caratteristiche, ma ormai
conciliare
in un uomo solo tutte le versioni del tenente Grosvenor di cui
è
venuto a conoscenza sta diventando complicato.
I
suoi passi meditabondi lo conducono all'ospedale.
Là
c'è il dottor Owen con un diavolo per capello.
“Volete per
caso vedere il vostro caro tenente,
Lewis?” ringhia
vedendolo arrivare.
“Beh,
sì. Sarebbe la mia intenzione,” risponde
cautamente il
capitano. Lanciandogli un'occhiata preoccupata chiede:
“Qualcosa
non va?”
“È
ubriaco fradicio!” sbraita il dottore, “qualcuno
gli ha
portato una bottiglia di brandy e lui se l’è
scolata fino
all’ultima goccia! Con questo caldo e nelle sue
condizioni!”
“E
come sta adesso?” chiede Lewis preoccupato.
“Come
sta? Benissimo, che Dio lo strafulmini!”
Non
è chiaro se il medico sia più arrabbiato
perché Grosvenor ha
bevuto di nascosto o perché nonostante abbia bevuto non
è morto e
non manifesta particolari aggravamenti delle sue condizioni.
“Posso
vederlo?”
“Ma
certo, vedetelo finché volete! Portatevelo anche via,
già che
ci siete!”
Lewis
ritiene più saggio non insistere e raggiunge autonomamente
la
capanna dove è ricoverato Grosvenor.
Il
tenente è molto allegro.
Non si riesce a capire quanto sia
ubriaco, perché dissimula con consumata abilità.
Solo l’umore
garrulo e lo sguardo ancora più brillante del solito fanno
sospettare una generosa assunzione di derivati della Vitis
Vinifera.
“Caro
capitano!” lo accoglie, “siete venuto a farmi un
po’ di
compagnia?”
È
in piedi accanto al buco pomposamente definito finestra. Indossa
una vestaglia di seta blu recuperata chissà dove e ha il
braccio
destro al collo.
“Come
state, tenente?” gli chiede Lewis.
“Molto
bene, signore.”
“Per
caso avete… ehm… bevuto, tenente?” La
bottiglia vuota
troneggia al centro del tavolino tra le garze e l’ovatta per
le
medicazioni.
“Certo,
signore,” risponde Grosvenor con la massima naturalezza.
“Ma
il dottore ve l’aveva proibito.”
Il
tenente sorride. “È la ferita. Da quando mi hanno
colpito sono
terribilmente smemorato, non so perché. Sicuramente
sarà colpa
dell’indebolimento legato alla perdita di sangue.”
Fissa
il suo superiore con un’espressione che probabilmente
instillerebbe anche in San Francesco d’Assisi un prepotente
desiderio di prenderlo a sberle.
“Ma
tenente! E se vi avesse fatto male?”
“Ma
no, era solo un sorso per buttare giù meglio le
medicine.”
“La
bottiglia è vuota!”
“Beh,
diciamo allora due o tre sorsi. Ma
vi assicuro, non è
niente di così terribile, e se il dottor Owen non fosse
così
apprensivo lo riconoscerebbe lui stesso. Comunque lo capisco,
è un
tipo molto affezionato ai suoi pazienti.”
L’ultima
frase suona ferocemente sarcastica, e forse lo è anche,
ma al solito è impossibile capire se Grosvenor stia parlando
sul
serio o stia scherzando.
“Vedo
che siete in piedi, tenente,” dice Lewis cambiando
discorso.
“Ormai
quella branda mi aveva ammaccato tutte le ossa, signore.”
“Non
vi sentite debole?”
“No,
non particolarmente.”
Il
giovane ufficiale muove qualche passo per dimostrare al suo
superiore che non ha alcun bisogno di riposo a letto, ma barcolla
miseramente e si affloscerebbe al suolo se il capitano non si
precipitasse a prenderlo fra le braccia.
Rimangono
teneramente avvinti al centro della piccola stanza.
“Che
irruenza, signore,” sussurra Grosvenor con un sorriso
impertinente, “ma non vi sembra una cosa un po’
prematura? In
fondo ci siamo appena conosciuti.”
Lewis
fa un salto indietro come se di colpo avesse scoperto di essere
abbracciato a un serpente velenoso. Lo fissa torvo, incapace di
trovare una risposta adeguata. Dannato tenente, anche su quello
deve fare battute?
“Non
prendetevela, signore, scherzavo,” gli dice Grosvenor con la
più grande tranquillità.
“Scherzi
di cattivo gusto, tenente,” non può fare a meno di
replicare Lewis.
Grosvenor
lo guarda con un’espressione che sembra voler dire allora
anche tu sei come gli altri.
“Intendevo
dire che mi avete colto un po’ alla sprovvista,”
brontola il capitano, come se di fronte a quello sguardo sentisse il
bisogno di giustificarsi in qualche modo.
“Naturalmente,
signore.”
Ma
l’atmosfera in certo qual modo confidenziale che si era
creata
sembra essersi incrinata irrimediabilmente. Il capitano ha la
sensazione di aver rovinato qualcosa, come se dopo aver abituato un
animale selvatico a mangiargli dalla mano l’avesse fatto
scappare
colpendolo senza motivo.
“Sarà
meglio che vada,” dice.
“Sono
certo che abbiate innumerevoli cose da fare.” Il tono del
tenente gronda letteralmente di spocchia aristocratica. Ecco un altro
dei suoi avatar: il rampollo con otto secoli di nobiltà nel
gentilizio.
§
Quando
si allontana dall’ospedale, il capitano è
stranamente
scombussolato.
Brutta
esperienza deludere una fiducia così spontaneamente concessa.
Ripensa
alle parole del reverendo: Grosvenor desidera considerazione,
ma non avendone mai ricevuta non sa come chiederla.
Raccoglie
le sue carte e va dal colonnello Turner con insolita
trepidazione. È tutto pronto: ha scritto una relazione di
suo pugno,
ha la testimonianza di McKenna e quella di Larkin. Ora basta solo che
Turner dia il parere positivo e la pratica partirà col
prossimo
corriere. Arriverà prima al generale Stewart e poi al Cairo,
da lì
a Londra e a Dio piacendo nelle mani di Sua Maestà la
Regina, che
graziosamente stabilirà se concedere o meno la Victoria
Cross al
coraggioso tenente Grosvenor.
Lewis
ci spera, nonostante tutto quel ragazzo la meriterebbe.
Il
colonnello però non è dello stesso parere.
“Capitano, ora
basta,” dice con tono esasperato. “Ho avuto
pazienza, ho
tollerato la vostra idea stravagante per dieci giorni, ma ora la
misura è colma. Lasciate perdere la Victoria Cross e tornate
alla
realtà.”
Il
capitano è sull’attenti di fronte al suo
comandante. Fissa con
impegno un punto all’infinito dietro di lui, tipico
atteggiamento
del militare che non vuole cedere ad un superiore ma non vuole
nemmeno uscire dai limiti imposti dalla disciplina. “Signore,
mi
permetto di insistere,” dice imperterrito.
Turner
sospira innervosito.
“Riposo,
capitano,” dice per prima cosa, poi pazientemente
prosegue: “Lewis, io non sono il papà di Eldred
Grosvenor, io
comando un Reggimento. Questo significa, come voi potete immaginare,
che non ho solo il vostro tenente a cui pensare, sebbene lui faccia
di tutto per essere sempre al primo posto nei miei pensieri, e non
certo per la sua buona condotta. Ho seicento uomini che si aspettano
da me giustizia, correttezza e imparzialità.”
“Se
posso permettermi, signore, gli uomini vedrebbero di buon
occhio il conferimento di questa decorazione” interviene il
capitano.
Duramente,
il colonnello risponde: “Gli uomini vedrebbero allo
stesso modo una distribuzione straordinaria di liquore o una licenza
a Suakin, capitano. Sono persone semplici e amano le cose insolite e
divertenti. Tocca a noi, come accorti genitori, dare loro
ciò di cui
veramente hanno bisogno, ovvero comportamenti esemplari cui
conformarsi. Una decorazione, come potete ben capire, non è
solo un
premio per chi l'ha meritata, ma anche un esempio per tutti gli
altri. Conferire una Victoria Cross a Grosvenor sarebbe come dire: ma
certo, comportatevi pure da cialtroni, rientrate in ritardo dalla
libera uscita, siate insolenti, ubriacatevi. Basta che poi spariate
quando c’è da sparare e si passa sopra a qualsiasi
cosa.”
Fa
una pausa, fissa il capitano negli occhi. “E come diretta
conseguenza questo non sarebbe più un esercito,”
dice con vago
disgusto, “diventerebbe una banda di predoni. I nostri
nemici,
forse, potrebbero accettare un ragionamento del genere, noi
decisamente no.”
Nella
tenda c’è un silenzio greve, rotto solo dal
marciare
cadenzato di una colonna di soldati all’esterno.
“Fino
ad ora ho tollerato la vostra iniziativa, capitano,”
prosegue Turner, “siete un bravo ufficiale e tutti abbiamo
bisogno
di svagarci un po’, ma ora basta. Questo scherzo è
durato anche
troppo, e sta già avendo un effetto negativo sulla truppa e
sugli
ufficiali. Datemi le vostre carte e consideriamo chiusa la
questione.”
Tende
la mano.
“Signore,
mi permetto di insistere,” ripete Lewis.
La
mano non si muove.
“Signore…”
la voce del capitano ora suona vagamente implorante.
“Datemi
quelle carte e facciamola finita,” dice il colonnello.
§
Quando
esce dalla tenda del colonnello Turner, il capitano Lewis sta
fremendo di rabbia impotente. È furibondo, fuori di
sé, avrebbe
solo voglia di prendere a pugni qualcuno e ubriacarsi, non
necessariamente in quest’ordine.
Ce
l’ha col suo superiore, che non ha voluto concedere a
Grosvenor
la possibilità di ottenere un’onorificenza che gli
spettava di
diritto, ce l’ha con se stesso per non aver resistito con
maggiore
fermezza alle pressioni del colonnello e ce l’ha anche col
tenente,
che col suo comportamento da stupido si preclude una carriera che
date le sue indubbie capacità sarebbe senz’altro
rapida e
smagliante.
Entra
nella tenda che funge da circolo ufficiali e chiede un doppio
whisky.
Lo
sorseggia cupamente, nessuno osa rivolgergli la parola. Persino
Hogarty, che con ogni probabilità ha intuito il motivo del
suo umore
plumbeo, evita saggiamente di avvicinarsi per godersi il trionfo
della virtù sulla perversione.
Lewis
finisce di bere ed esce.
“Qualcuno
sa cosa gli sia accaduto?” chiede il capitano Ross
seguendo con lo sguardo le spalle rigide del collega che si
allontanano.
“Niente
Victoria Cross,” spiega il tenente Warren, segretario del
colonnello Trurner.
“Manco
l'avessero dovuta conferire a lui,” commenta Ross
scuotendo la testa.
§
Il
capitano Lewis si dirige per l'ennesima volta verso l'ospedale.
Sta calando la sera e le capanne immerse nella penombra acquisiscono
un aspetto quasi gradevole. Spira anche una brezza relativamente
fresca, che mormora gentilmente tra le foglie delle palme.
Stavolta
Eldred Grosvenor è confinato a letto, proibite le
passeggiate in vestaglia di seta. La medicazione è stata
rifatta di
recente, probabilmente la sua ultima prodezza gli aveva fatto
riaprire la ferita.
Ma
come sempre il tenente dice che sta benissimo. Mai stato
meglio.
Il
capitano si siede sul solito sgabello. Si sente piuttosto
infelice. Colpa dell'alcol a stomaco vuoto, probabilmente. Forse non
è stata una grande idea scolarsi quel doppio whisky. Forse
neppure
la questione della medaglia è stata una grande idea.
“Qualcosa
non va, signore?” gli chiede ad un certo punto
Grosvenor.
Lewis
sospira. “Soliti problemi coi superiori, sapete
com'è.”
“Se
c'è qualcuno che lo sa sono proprio io,” risponde
il tenente
con un sorriso.
“Già,
avete ragione.” Il capitano sorride a sua volta.
I
due rimangono in silenzio per un po', infine con il consueto tono
noncurante Grosvenor dice: “Non datevi pena per quella
decorazione,
signore. Sono piuttosto allergico alla retorica, per cui temo che
sarei arrivato alla cerimonia completamente ubriaco e Turner non me
l'avrebbe mai perdonato. Inoltre Sua Maestà sarebbe dovuta
salire su
una predella o qualcosa del genere per arrivare ad appuntarmela sul
petto. Una cosa decisamente antiestetica.”
Le
parole di Grosvenor giungono talmente inaspettate che Lewis non
può fare a meno di esclamare: “Cosa?”
“La
Victoria Cross, signore,” spiega il giovane ufficiale col
tono svagato di una conversazione da salotto, “apprezzo i
vostri
sforzi, ma è una decorazione piuttosto inadatta a me, non
credete?”
“Ma
cosa... come sapete della Victoria Cross?”
“Non
esiste categoria umana meno discreta dei militari. Buffo, no?
Dal momento che teoricamente dovremmo vivere nella
segretezza.”
Fa
un teatrale sospiro come di esasperazione.
“Mi
dispiace, tenente,” dice il capitano dopo una pausa.
“Davvero,
non datevi pena,” risponde Grosvenor, “sono certo
di
poter fare a meno delle dieci sterline annuali della rendita, e di
sicuro l'aspirazione della mia vita non è farmi salutare
anche dai
generali quando passo per la strada. Poveri generali, vi immaginate?
Costretti a salutare uno come me.”
Rivolge
al capitano uno sguardo ironico.
“La
meritavate, tenente” dice Lewis con convinzione.
“Meritare
e ricevere sono due concetti che raramente coincidono,
signore. Almeno nel mio caso,” risponde Grosvenor, serio
forse per
la prima volta da quando il capitano lo conosce.
Lewis
lo fissa esterrefatto, ma lo spiraglio si è già
richiuso
ermeticamente e il tenente gli mostra di nuovo la sua espressione da
guascone sfrontato.
“Volete
rendermi davvero felice, signore?” chiede con un sorriso,
“assolutamente, perfettamente felice?”
“Lo
farei volentieri, tenente.”
“Vi
prego, allora, fatemi avere un gin tonic decente. Non pretendo
il ghiaccio, per quello temo che dovrò aspettare di essere
al Cairo,
ma se fosse anche solo accettabilmente fresco, e con la sua bella
fetta di limone, sarebbe già una gran cosa.”
(FINE
– e un grande grazie a chi si è sobbarcato la
lettura fin
qui^^)
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