The Natural Order

di Robigna88
(/viewuser.php?uid=62768)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


no

1.

 

 

 

 

 

Era una bellissima giornata; fuori il sole splendeva ed Allison si era svegliata di buon umore come non le capitava da tempo oramai. Aveva già programmato l’intero giorno e i suoi progetti comprendevano un’abbondante colazione, una seduta di shopping per rinnovare l’intero guardaroba, i pagamenti di alcune bollette arretrate, un buon pranzo nel suo ristorante italiano preferito e infine un bagno caldo e un bicchiere di vino subito dopo cena. Ventiquattro ore di totale relax che aveva intenzione di godersi fino in fondo soprattutto considerato il fatto che non le capitava molto spesso di avere un po’ di pace.

Pensava che tutto sarebbe andato come da programma e lo pensò fin quando il suo telefono non prese a squillare non appena lo accese una volta sveglia.

Quattro chiamate perse e due messaggi, tutti da parte della stessa persona: Freya Mikaelson. Decisamente non un buon segno. Facendo un grosso respiro rifletté sul da farsi; sapeva che gli Originali stavano avendo alcuni problemi con i loro primi vampiri, sapeva che Tristan era già stato eliminato mentre gli altri due erano ancora vivi e stavano dando loro fin troppo filo da torcere. Per la precisione quello a dare più problemi era Lucien Castle, il primo vampiro creato da Klaus che era follemente devoto ad Aurora Du Martel, prima creata – anche se per errore – da Rebekah.

Allison lo aveva incontrato solo un paio di volte, quando ancora fingeva di avere a cuore le sorti del suo creatore ma tanto le era bastato per capire che tipo fosse. Le ricerche che aveva fatto in seguito, senza dire niente ai Mikaelson, avevano confermato ogni sua teoria. Anche se era difficile credere che un tipo come quello fosse davvero un problema per i potenti Originali, non era sorpresa che fosse proprio lui, tra i tre, a creare i problemi più grossi. C’era qualcosa di contorto e perverso in quel tizio… lo aveva percepito la prima volta che lo aveva visto e la sensazione non se ne era andata dopo il secondo incontro, anzi, era peggiorata.

Se avesse telefonato a Freya avrebbe potuto dire addio alla sua giornata di relax, ma se non lo avesse fatto il risultato sarebbe stato lo stesso perché non sarebbe riuscita a darsi pace e avrebbe pensato tutto il tempo a cosa aveva da dirle. Così decise di telefonarle e capì che la situazione era grave quando le rispose con voce tremante e agitata.

“Freya, che succede?” le chiese.

“Allison” mormorò la sua amica dall’altro capo del telefono. “Non ho molto tempo, Elijah tornerà tra poco e se dovesse scoprire che ti ho telefonato si arrabbierebbe.”

Allison chiuse gli occhi per un secondo, poi si avviò verso il piano di sopra. “Quanto è grave la situazione?” domandò, perché sapeva che quello era l’unico motivo per cui Elijah poteva non essere d’accordo nel coinvolgerla.

“Più di quanto possa spiegare. Abbiamo bisogno di aiuto Allison, un tipo di aiuto… superiore.”

La cacciatrice rimase un attimo in silenzio. Superiore… sapeva esattamente cosa significasse ed era una cosa grossa. “Puoi guadagnare un po’ di tempo?” le chiese tirando fuori da sotto il letto una scatola di ferro che aprì con uno scatto.

“Quanto te ne serve?”

“Tre ore almeno, l’aiuto superiore non è così facile da reperire.”

“Tre ore” replicò Freya. “Farò quello che posso.”

“Tienimi aggiornata minuto per minuto.”

“Allison, fai in fretta.”

La cacciatrice riattaccò e prese tra le mani quello che aveva appena tirato fuori dalla scatola, di corsa scese al piano di sotto e poggiò l’oggetto sul ripiano della cucina. Con un coltello si tagliò la punta di un dito e vi fece gocciolare sopra del sangue. “Invoco te, et sanguis meus, auxiliator tuus offero” pronunciò mentre si portava il dito ferito alla bocca per fermare il sangue. Passò più o meno un’ora e la piuma bianca e splendente si intrise di rosso, poi si levò in aria e roteò prima di trovare nuovamente posto sul suo proprietario appena comparso nella stanza.

“Spero che tu sia davvero in grossi guai, perché io mi stavo godendo del meritato riposo in Australia” fu la prima cosa che le disse.

Allison annuì abbozzando un mezzo sorriso. “Più che grossi. Sei mai stato a New Orleans?”

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Il sigillo ti terrà prigioniero e ti indebolirà. Quella sensazione che senti all’interno del tuo corpo, come se il sangue ti stesse ribollendo nelle vene… beh quella è una mia personale aggiunta dedicata a te” Freya si piegò sulle ginocchia e lo guardò dritto negli occhi. “Forse non posso ucciderti Lucien, ma posso farti talmente male che alla fine desidererai essere morto.”

Lui rise. “Non smetti mai di sorprendermi Freya, devo ammetterlo.”

“Sono piena di sorprese.” La strega allargò le braccia sotto lo sguardo soddisfatto di Elijah e uno ad uno i componenti della Strige entrarono nella stanza pronti a combattere. “Ho anche portato degli spettatori affinché si godano lo show” gli disse.

“Mia cara sorella” intervenne Elijah. “Cerchiamo di essere chiari con il nostro povero stalliere; la Strige è lo spettacolo o quantomeno il primo atto, quello in cui ti fanno a pezzi. Il secondo atto prevede che ogni tua parte venga seppellita sotto metri e metri di cemento e infine c’è l’ultimo atto, il terzo” si fermò e ridacchiò. “Perdona lo spoiler ma non vedo l’ora di dirti come finisce l’ultimo atto della tua vita; finisce con te che diventi un parcheggio.”

Lucien rise di nuovo e mentre lo faceva si mise in piedi e scosse poco il capo. “Elijah… tu proprio non riesci a frenare la tua presunzione vero? Anche adesso che tutto è dalla mia parte credi che voi tutti riuscirete ad uscirne vivi. Lascia che ti dia io una velata anticipazione, dall’ultimo atto della tua di vita: gli Antenati di New Orleans hanno fatto di me il loro protetto, il che significa che non posso essere battuto” disse facendo un passo fuori dal sigillo e Freya indietreggiò per riflesso.

“Ah!” esclamò qualcuno mentre la Strige si preparava a combattere. “Sono così felice di essere arrivata in tempo.”

Elijah rivolse uno sguardo a sua sorella e lei lo ricambiò solo per un secondo, poi tornò a poggiare gli occhi su Allison, lieta di vederla.

“Allison Morgan!” esclamò Lucien. “La cavalleria è arrivata. Sarà un piacere uccidere anche te.”

“Lucien Castle!” lo imitò lei sorridendogli sarcastica. “Sai, ti ho sempre considerato un tipo sveglio, educato, acculturato... persino affascinante in un certo qual modo, e proprio non riuscivo a capire perché corressi dietro ad Aurora Du Martel; voglio dire, è molto graziosa sì ma è una folle egocentrica e onestamente mi sembra un tantino fuori dalla tua portata. Credo che tu ne sia sempre stato consapevole, quindi la tua cieca devozione verso di lei mi confondeva, devo ammetterlo… Poi però quella stessa cieca devozione mi ha condotta alla giusta conclusione.”

“E sarebbe?”

“Tu non la ami affatto. La vuoi solo perché non puoi averla, perché sei come un bambino di due anni viziato e capriccioso che vuole giocare con le cose degli adulti. Non sopporti l'idea che qualcuno ti neghi qualcosa quindi ti ci aggrappi con tutte le tue forze a quel qualcosa.” Fece una pausa, poi riprese. “Una volta capito questo tutto è stato chiaro e ho potuto affinare la mia strategia. Vuoi sapere qual è il mio piano?”

Lucien fece un grosso respiro tradendo nervosismo. Fissò lo sguardo sul tizio che era arrivato insieme a lei e si schiarì la voce. “Muoio dalla voglia.”

“Ho portato uno dei miei giocattoli, giusto per rimanere in tema” disse voltandosi a guardare il suo amico che le sorrise divertito. “E ti invito a giocarci, se vuoi. Ah, Lucien, finalmente una che non ti appartiene ma che puoi avere se vuoi. Anche se, devo dirtelo… non sono certa che ti piacerà.”

“È questo il tizio che devo uccidere?” le chiese il suo accompagnatore. “Non posso credere di aver dovuto lasciare le spiagge australiane per un pallone gonfiato in giacca di pelle.”

“Oh mio Dio!” esclamò Lucien reclinando indietro il capo, poi tornando dritto. “Quante volte ancora dovrò ripeterlo? Gli Antenati mi hanno preso sotto la loro protezione, nessuna stregoneria, per quanto potente, può uccidermi. Sono invincibile.”

“Allison” intervenne Elijah facendo qualche passo avanti, fermandosi però quando lei gli fece un segno con la mano senza neppure voltarsi.

“Freya non me lo aveva detto” la cacciatrice finse sorpresa. Poi si strinse nelle spalle. “Per fortuna il mio amico qui non è uno stregone” gli fece sapere.

“E che cos’è allora? Un vampiro? Un demone?”

“Si chiama Gabriel. Come l’Arcangelo, quello della Bibbia” Allison gli strizzò l’occhio e indietreggiò di qualche passo mentre l’ombra di due grandi ali si estendeva per tutta la stanza. “Addio Lucien e non preoccuparti, la tua amata fidanzata immaginaria ti raggiungerà presto. A tutti gli altri presenti,” parlò più forte. “Vi suggerisco di chiudere gli occhi.”

Si voltò e Freya ed Elijah la imitarono. Una luce abbagliante illuminò la stanza, seguirono delle urla e quando la calma tornò di Lucien non era rimasto nulla. I due Mikaelson la fissarono a lungo, sui loro volti un’espressione a metà tra la sorpresa e la gratitudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


no

2.

 

 

 

 

 

“È stato fin troppo facile, avresti potuto cavartela da sola Allison.”

La cacciatrice piegò poco il capo e lo scosse impercettibilmente. “Con un Ibrido 2.0? Non credo proprio Gabe… ma grazie della fiducia” ridacchiò mentre faceva qualche passo avanti lasciandosi una perplessa Freya e un ancora più confuso Elijah alle spalle. Intorno a loro la Strige rimaneva in silenzio, i vari membri si guardavano l’un l’altro pieni di domande, affamati di risposte che Allison non aveva intenzione di dare.

Forse però, si disse mentre guardava l’Arcangelo addentare una barretta di cioccolato, la loro non era curiosità, più paura. Doveva essere terrificante per loro stare al cospetto di un essere tanto potente come Gabriel, un essere che avrebbe potuto distruggerli con lo schiocco delle dita, forse persino con un semplice sguardo. Li capiva in fondo, Allison si era sentita allo stesso modo la prima volta che lo aveva incontrato.

La loro amicizia era nata in salita, ma era felice che alla fine fossero diventati quasi culo e camicia, come lui avrebbe detto se glielo avessero chiesto.

“A proposito, che cavolo era questo tizio, esattamente?” domandò proprio l’Arcangelo. “Non credo che Ibrido 2.0 sia la definizione giusta.”

Allison si strinse nelle spalle voltandosi a guardare Freya ed Elijah. “Non conosco un’altra definizione. E voi?”

Freya scosse il capo. “Non abbiamo pensato a dargli un nome, volevamo solo liberarcene. Volevamo vendetta dopo che ha ucciso Finn.”

Alla cacciatrice non sfuggì lo sguardo smarrito di Elijah; c’era sofferenza in quegli occhi scuri, per quel fratello che spesso li aveva delusi e fatti infuriare ma che era comunque parte della famiglia, sempre e per sempre. Con un gesto del capo fece capire alla Strige che era il momento di andare e loro uscirono quasi di corsa.

“Elijah, stai bene?” gli chiese, una volta che furono andati, avvicinandosi e sorridendogli, provando di nuovo quel dannato brivido che aveva sperimentato quando, uno accanto all’altra, si erano protetti dall’abbaglio del potere di Gabriel. Lui la fissò in silenzio per un lungo istante. Forse nessuno si era preoccupato di chiederglielo e quindi rispondere era difficile.

“Sto bene” disse infine schiarendosi la voce.

“Bene!” esclamò Gabriel interrompendo il momento. “Direi che ora che ho fatto ciò che dovevo è ora per me di andare.”

“Aspetta!” gli disse Freya facendo qualche passo in avanti. “Visto che sei qui, c’è qualcos’altro con cui, forse, potresti aiutarci.”

“Di cosa si tratta?”

“Il morso di Lucien è… era letale. Ha ucciso nostro fratello e un morso ha ferito una nostra amica, Camille.”

“Lucien ha morso Camille?” domandò Allison scuotendo poco il capo. “Perché non me lo hai detto al telefono?”

“Non era rilevante allora” replicò la strega. “Perché, onestamente non credevo sarebbe sopravvissuta fino al tuo arrivo.”

La cacciatrice si voltò a guardare Gabriel; stava mangiando una caramella… lui e la sua fissa per i dolciumi. “Gabriel…”

“Vediamo quello che posso fare, ma non prometto nulla.”

“Seguiteci” mormorò Elijah precedendoli fuori da quel posto.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Da quanto tempo è ridotta così?” Allison allungò la mano e la poggiò sulla fronte sudata della bionda barista. La sua pelle era bollente, il corpo pieno di bolle. Così diversa dalla Camille che conosceva, quella sempre bella e sorridente, con una dose di allegria e positività ogni giorno, ogni ora. Con tristezza volse lo sguardo a Klaus; le teneva la mano con occhi pieni di nulla se non di paura. Con la bella Cami aveva finalmente imparato ad amare ed ora quell’amore rischiava di perderlo. Non era giusto, non lo era affatto… sperava che Gabriel potesse fare qualcosa.

“Da ore oramai, peggiora di minuto in minuto” le fece sapere Freya.

Allison poggiò il suo borsone su un angolo di letto e tirò fuori un vasetto dentro il quale risiedeva una lozione giallastra e densa. Con due dita ne prese un po’ e la passò con delicatezza sul morso infetto. Camille emise un sospiro ma non aprì gli occhi anche se la sua temperatura scese poco.

“Cos’hai fatto?” domandò Elijah sentendo il cuore della giovane vampira battere poco più forte. “Il suo cuore batte con più forza.”

La cacciatrice si voltò a guardarlo facendo ondulare la coda morbida che le teneva in ordine i capelli. “Un piccolo unguento magico, regalo di John Constantine. Lo lascerò qui” disse poggiandolo sul comodino lì accanto. “Se la temperatura dovesse risalire mettetene un po’ nella ferita.”

“Chi è lui?” chiese Klaus puntando lo sguardo su Gabriel, guardandoli davvero per la prima volta da quando erano arrivati.

“Io sono l’unico che può aiutarla” disse l’Arcangelo guardando la povera ragazza sofferente.

“Allora fallo!” l’Ibrido si mise in piedi. “Che cosa stai aspettando?”

Ma Gabriel non rispose, si chiuse in un silenzio più eloquente di mille parole, almeno per Allison che lo conosceva bene. “Se le salvi la vita danneggerai l’ordine naturale vero?” gli chiese infatti proprio lei.

L’altro annuì. “Il suo destino è praticamente segnato. Se le salvo la vita ora sarà come ingannare la morte e a Morte non piace che si interferisca con i suoi affari. Se salvo lei allora qualcun altro dovrà prendere il suo posto.”

Elijah corrugò la fronte. “Qualcuno chi esattamente?”

“Non lo so” Gabe si strinse nelle spalle, poi guardò Allison. “Ma considerando che nessuno di voi è davvero del tutto mortale, se dovessi scommettere, scommetterei su di te, piccola umana testarda.”

“Ovviamente!” esclamò la donna scuotendo il capo. “Figurarsi se poteva essere semplice.”

L’Arcangelo si fermò un istante a riflettere. “Non sarà immediato, ovviamente, potrebbe succedere fra mesi o anni… ma succederà e fino a quel momento dovrai costantemente guardarti le spalle. Non da comuni nemici ma da Morte in persona.”

“No!” esclamò Elijah scuotendo il capo. “Non lo faremo. Non salveremo Camille sacrificando te. Niklaus…” Ma Niklaus rimase in silenzio, consapevole che le proteste di suo fratello avevano un senso, troppo acciecato dal dolore per fare qualunque cosa.

“Quanto tempo ho per pensarci?” chiese Allison.

“In questo preciso istante direi più o meno trenta minuti. Ma adesso” l’Arcangelo allungò due dita e le poggiò sulla fronte di Camille. “Adesso due ore circa. Vado a fare un giro di questa gigantesca casa, fammelo sapere quando avrai deciso.”

Sparì fuori dalla stanza e la cacciatrice fece un grosso respiro. “Posso fare una doccia? La doccia mi rilassa e penso meglio quando sono rilassata.”

“Non c’è niente a cui tu debba pensare!” esclamò Elijah. “Non sacrificherai la tua vita.”

“Con tutto il rispetto, Elijah” gli disse lei afferrando il suo borsone. “Non spetta a te decidere” tagliò corto seguendo Freya fuori dalla stanza.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah aprì con delicatezza il box ed entrò, lo richiuse piano e si fermò per un istante a guardare la pelle chiara di Allison quasi risplendere sotto il tocco dell’acqua. Fece un passo avanti e la avvolse con le braccia dandole un bacio sul collo e uno sulla tempia quando lei si abbandonò contro il suo corpo e trasse un profondo respiro. “Grazie di avermelo chiesto” le sussurrò.

“Cosa?”

“Se stavo bene, dopo aver saputo di Finn. Nessuno si era preoccupato di domandarmelo.”

Allison abbozzò un sorriso. “Io non sono come tutti gli altri, credevo che oramai lo avessi capito.”

Elijah le baciò di nuovo il collo, allentò poco la presa per permetterle di girarsi e poi la strinse poggiando gli occhi dentro i suoi. “Hai già detto a Gabriel di salvare Camille a discapito della tua vita vero?”

“Ha importanza ora? Non possiamo solo goderci il momento.”

“Non riesco a godermi il momento se so che morirai.”

“Tutti moriremo prima o poi… beh tu forse no, ma io, con la vita che faccio sono da sempre destinata ad una morte prematura” la donna gli passò le braccia intorno al collo. “Camille invece ha la possibilità di vivere per sempre e vivendo darà a Klaus la felicità che da sempre agogna.”

“E che ne è della mia di felicità?”

“Cosa ti rende felice, Elijah Mikaelson?”

“Saperti viva e in salute, per cominciare.”

Allison sorrise alzandosi sulla punta dei piedi. “Che ne dici di un bacio? Quello ti renderebbe felice?”

Lui decise di scoprirlo e mentre la stringeva tra le braccia e la faceva sua ancora e ancora nel caldo abbraccio del getto dell’acqua scoprì che sì, un bacio poteva farlo felice se proveniva dalle labbra giuste. E le labbra giuste erano quelle di Allison Morgan.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


no

3.

 

 

 

 

 

Allison si mise a sedere in sala d’attesa dopo aver compilato il modulo e sospirò dando una rapida occhiata intorno; adulti con l’influenza, bambini con il moccio al naso e infermiere indaffarate. Come ci era finita lì? Era stupido essersi presentata al ponto soccorso per un po’ di nausea e qualche capogiro, non era da lei. Eppure in quel lieve malessere non poteva fare a meno di leggerci qualcosa di più, anche se non sapeva esattamente cosa.

Poteva essere legato alla sua decisione di salvare Camille a discapito di se stessa e se così fosse stato sarebbe stato un inizio di fine davvero fastidioso. Aveva provato a telefonare a Gabriel ma l’unica volta in cui aveva sentito la sua voce era stato nella sesta delle dieci telefonate che gli aveva fatto, quando la segreteria telefonica le aveva comunicato che lui era incredibilmente impegnato e quindi non poteva rispondere.

Richiama, se vuoi. Diceva la fine di quel messaggio. Per lei riprovare era stato praticamente inutile. Pensò che valeva la pena ritentare ma proprio mentre stava pe tirare fuori il cellulare una bambina le si avvicinò; i capelli ricci e dorati, gli occhi verdi e qualche lentiggine sul piccolo naso. Aveva sì e no sette anni, chiusa in un camice bianco troppo grande per lei, al collo aveva uno stetoscopio.

“Salve” le disse guardandola. “Sono la tua dottoressa.”

Allison sorrise porgendole la mano. “Salve dottoressa.”

La piccola le strinse la mano, una presa decisa nonostante fosse piccola. “Come ti chiami?”

“Mi chiamo Allison.”

“Molto lieta Allison, io sono la dottoressa Gwen.”

“Piacere di conoscerti, dottoressa Gwen. Quindi sei tu che ti prenderai cura di me?”

Gwen sorrise. “Sì, cominciamo con qualche domanda. Cosa ti senti?”

“Ho un po’ di nausea e a volte la testa mi gira.”

La bambina si accarezzò il mento. “Interessante. So esattamente che cos’hai.”

“Wow” la donna annuì. “Sei davvero brava. E che cos’ho?”

“È molto semplice; hai la nausea perché hai fame e la testa ti gira perché hai bisogno di zuccheri. Quindi ecco la mia prescrizione per te: una ciambella glassata.”

Allison rise. “La medicina migliore he mi abbiano mai ordinato. Ne vuoi una anche tu Gwen?”

“Sì, volentieri. Una persona non dovrebbe mai mangiare ciambelle da sola. Nella sala infermiere ne hanno sempre una scatola piena. Ma io non ci posso entrare.”

“E io posso?”

“Se lo fai di nascosto sì.”

“Allison Morgan!” esclamò una voce, quella della vera dottoressa che la chiamava per la visita. “Gwen,” aggiunse quando vide la piccola parlarle. “Cosa ci fai qui?”

Lei strinse nelle spalle. “Visitavo la mia paziente, ho scoperto che cos’ha. Ha bisogno di una ciambella.”

La dottoressa ridacchiò e si avvicinò. “Mi dispiace” disse ad Allison. “Gwen è la nostra piccola mascotte. Vieni” disse alla bambina, “chiederemo ad Annalise di procurarti una ciambella.”

“E una anche per Allison.”

“Una anche per Allison” concordò la dottoressa facendo cenno ad un’infermiera che prese Gwen per mano e la portò via dopo un saluto timido.

“La scusi” le disse di nuovo la dottoressa invitandola a seguirla nella salva visite. “Gwen passa molto tempo in ospedale.”

Allison la seguì e avanzò nella stanza quando l’altra chiuse la porta. “Cos’ha Gwen?”

“Una forma molto aggressiva di leucemia. Ci sarebbe una cura sperimentale ma i genitori non possono permettersela ed essendo sperimentale non è coperta dall’assicurazione sanitaria.”

La cacciatrice deglutì a vuoto e i mise a sedere sul lettino cercando di riprendere il controllo. “E quanto costa questa cura sperimentale?”

La dottoressa si disinfettò le mani con un specie di gel. “A Gwen serve un trattamento di almeno sei mesi quindi servirebbero più o meno dodici mila dollari. È triste, lo so” aggiunse guardandola e lei ebbe la sensazione di essere impallidita. “Ma mi dica, come posso aiutarla?”

“Ehm” l’altra cercò di concentrarsi. “Ho nausea e capogiri da circa due mesi. Credevo fosse solo un malessere passeggero ma il tempo passa e la cosa peggiora e così ho pensato di fare qualche accertamento.”

La dottoressa le sorrise. “Comincerei con alcuni esami del sangue se per lei va bene.”

“Sì, certo.”

“Vado a chiamare un’infermiera, ritorno subito.”

Allison la guardò uscire e nell’attesa tirò fuori dalla borsa il libretto degli assegni.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Gabriel comparve al centro di un grande sigillo disegnato con un pennarello rosso e la persona che si ritrovò davanti fu Allison Morgan. Aveva le mani sui fianchi, la sinistra era fasciata dopo, supponeva, il taglio che si era fatta per completare quella specie di rito evocativo che lo aveva portato lì. Sembrava arrabbiata e l’Arcangelo non aveva idea del perché… poteva immaginarlo forse, ma non poteva esserne sicuro.

“Allison! Bonjour!” esclamò sorridendole e schioccando le dita, gesto che fece comparire nella sua mano una merendina al cioccolato. “Stavo proprio pensando a te.”

“Dove esattamente?” lei allargò le braccia. “Sulla cima de la Tour Eiffel? Ai piedi de L’Arc de Triomphe? O magari a bordo di un battello sulle acque della Senna?”

“A dire il vero” Gabriel avanzò di qualche passo. “Stavo mangiando dei deliziosi Macarons nella pasticceria più in voga di Parigi. Avrei potuto portartene qualcuno se mi avessi telefonato invece di evocarmi come un demone o un qualunque altro essere.”

Sembrava esserci un velato rimprovero in quelle parole, ma Allison aveva ben altre cose a cui pensare. “Ci ho provato” gli disse soltanto. “Dieci volte. Stavo per provarci una undicesima ma poi non l’ho fatto perché ero in ospedale a fare alcuni controlli.”

“Ah!” esclamò Gabriel deglutendo l’ultima parte della sua barretta. “Stai male? Cavolo, Morte si è mossa più velocemente di quanto immaginavo.”

“Lo sapevi?”

“Se non ricordo male ti avevo avvertita.”

Allison gli mise davanti agli occhi un foglio sulla cui cima campeggiava una scritta. “Dimmi la verità Gabriel, ora!”

Lui gliela disse.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah fu il primo ad accorgersi di Allison e Gabriel, subito dopo di lui se ne accorsero Freya, Klaus ed Hayley.

“Allison” le disse la strega raggiungendola per stringerla in un abbraccio che la cacciatrice ricambiò con affetto sotto lo sguardo quasi annoiato dell’Arcangelo.

“Ciao Freya” la salutò per poi rivolgersi ad Elijah. “Ciao El e” poi guardò anche Hayley e Klaus. “Ciao anche a voi. Come sta Camille?”

“Benissimo” le fece sapere l’Ibrido. “Anzi, credo che dovrei telefonarle per dirle che sei qui. L’ultima volta si è molto arrabbiata perché te ne sei andata prima che potesse ringraziarti.”

“Non adesso” la cacciatrice scosse poco il capo. “Io e Gabriel dobbiamo dirvi una cosa.”

“Sì dobbiamo” annuì l’Arcangelo. “Ma prima le signore, quindi inizia tu” disse alla cacciatrice.

Lei gli scoccò un’occhiata furiosa, poi scosse il capo e fece un grosso respiro.

“Allison” Elijah avanzò di qualche passo verso di lei. “Che succede? Ha a che fare con le… conseguenze dell’aver salvato la vita a Camille?”

“Sì, decisamente.”

“Sta già succedendo vero? Stai…”

“No no” si affrettò a chiarire lei. “Non sto morendo. Quando Gabriel ci ha spiegato le possibili conseguenze di quello che abbiamo fatto per aiutare Cami, si è dimenticato di dirci che c’era un altro modo per… bilanciare l’ordine naturale” si voltò a guadare l’Arcangelo che finalmente prese la parola.

“Avete mai sentito il detto per ogni persona che muore ne nasce un’altra?”

“Sì” parlò Hayley incrociando le braccia. “Una stupida leggenda metropolitana per rendere la morte meno terribile di quel che è.”

Gabriel ridacchiò. “Tecnicamente anche vampiri e ibridi e lupi mannari sono delle leggende metropolitane. Mi aspettavo che le tue vedute fossero meno ristrette a dire il vero. Ad ogni modo, non è una leggenda; per ogni persona che muore ne nasce davvero un’altra, è il modo della natura di bilanciare… tutto. Quando abbiamo salvato Camille abbiamo impedito a quell’altra persona che doveva nascere di… nascere appunto e quindi qualcun altro doveva essere sacrificato affinché qualcun altro ancora nascesse.”

“Non capisco” mormorò Freya.

“Perché non ha ancora finito” Allison esortò Gabriel a continuare e lui lo fece.

“C’era questa possibilità o un’altra possibilità; fare in modo che la persona che doveva nascere dalla morte di Camille nascesse comunque, anche se lei non era morta. Ho pensato che far venire al mondo quella nuova vita fosse meglio del sacrificare qualcuno” Gabriel diede loro un secondo. Poi parlò di nuovo. “Quel qualcuno, tra parentesi, sarebbe Allison.”

Elijah corrugò la fronte e mise le mani nelle tasche. “Perdonatemi ma davvero non capisco. Cosa significa?”

“Significa che una nuova vita verrà presto al mondo, più o meno tra sette mesi” disse Gabriel con un sorriso soddisfatto.

“Sono incinta” tagliò corto Allison guardando Elijah. “E credo che, se ti ricordi la doccia, allora saprai che questo bambino è tuo.”

Su tutti i visi di fronte a lei si stampò stupore ed incredulità. Su quello di Hayley anche un pizzico di irritazione. Allison lo capiva, davvero. Anche per lei era stato difficile accettare tutta quella follia.

“Io sono un vampiro” ragionò Elijah provando a dare un senso a tutto. “Non posso… procreare.”

“Heilà!” Gabriel fece un segno con la mano. “Sono un Arcangelo, molte regole posso tranquillamente… modificarle, per così dire.”

“Non so cosa dire” ammise Elijah.

“Bene! Ora che io ho detto tutto, devo andare. A presto e… tanti auguri.” Gabriel diede una pacca sulla spalla ad Elijah, poi volò via.

Allison rimase con i Mikaelson ed Hayley. In silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


no

4.

 

 

 

 

 

Allison andò avanti e indietro per la stanza stringendo tra le mani il telefono. Era indecisa come non mai: telefonare o no, questo era il dilemma che la perseguitava oramai da mezz’ora. Credeva che se avesse guardato in terra avrebbe scoperto di aver consumato quel rettangolo di pavimento che da trenta minuti sopportava il suo movimento ossessivo. Sentiva un grande senso di inquietudine dentro, come le succedeva ogni volta che doveva prendere una decisione per la quale i pro e i contro erano di egual quantità.

Se avesse telefonato si sarebbe fatta coinvolgere fin troppo ma in fondo che male c’era? C’era di male che non era una buona cosa, non in quel momento particolare della sua vita… i suoi ormoni facevano già i capricci e non era neppure a metà di quella magica gravidanza.

Gravidanza che tra l’altro Elijah non sembrava aver preso nel migliore dei modi.

Quando ne avevano parlato dopo che Gabriel era sparito in un battito di ali, oramai tre settimane prima, Allison aveva avuto la strana sensazione di non avergli dato proprio una bella notizia. Lo capiva, era una cosa sorprendente e spaventosa… lo era anche per lei ma per l’Originale elegante, lei lo conosceva abbastanza bene da saperlo, quel dono – come Gabriel lo aveva definito – era più una questione di dovere che una vera e propria gioia.

Le aveva chiesto di rimanere a New Orleans, lì al sicuro, e lei lo aveva fatto perché non voleva dargli alcun pensiero visto che sembrava già averne troppi. Tra quella profezia che pendeva sulle loro teste, le paranoie di Klaus e i timori di Hayley e Freya… no lei non gli avrebbe sconvolto la vita ancor di più. In fondo stare lì o stare a casa sua a Los Angeles faceva poca differenza; anzi forse lì in compagnia sarebbe stato più piacevole.

Peccato però che nessuno si interessasse di lei… a volte si chiedeva se si ricordassero che era lì o se invece se ne fossero completamente dimenticati.

Fece un grosso respiro e compose velocemente un numero, prima di pentirsi. Si portò il telefono all’orecchio e attese. La voce calma di una donna le rispose dopo quattro squilli.

“Memorial Angels Hospital, come posso aiutarla?”

“Salve” salutò Allison fermandosi e mettendosi a sedere sul bordo del letto. “Ehm sono Allison Morgan, sono stata da voi qualche tempo fa per alcune analisi.”

“Salve Allison, ha telefonato per sapere se i risultati sono pronti?”

Allison scosse il capo quasi la donna potesse vederla. “No no, ho già avuto i risultati. In realtà telefono per sapere alcune notizie riguardo ad una vostra paziente. Una bambina di sette anni circa; Gwen.”

“Gwen Grimaldi” le disse la donna al telefono. “Ma temo di non poterle dire nulla, a meno che lei non sia un familiare.”

“Sì, lo so. Si tratta di privacy… mio padre era un dottore, gli ho sentito dire questa frase un milione di volte. Vorrei solo sapere come sta, so che doveva entrare a far parte di una cura sperimentale o qualcosa del genere e mi domandavo se avesse effettivamente funzionato. Non può semplicemente dirmi se tutto va bene o no? Mi basta un sì o un no, tutto qui.”

“Mi dispiace signora Morgan, ma non posso proprio.”

Allison sospirò. “Va bene, la ringrazio comunque. Passi una buona giornata.”

“Anche lei.”

La cacciatrice riattaccò e decise di comporre un altro numero di telefono, stavolta però non esitò neppure un istante.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah era preoccupato per Hayley. Da quando Camille era scampata alla morte la bella ibrida era strana, come cambiata. Non avrebbe saputo dire esattamente in che modo ma era quasi come se fosse spaventata. Non poteva biasimarla di certo, quello che era capitato alla bionda barista li aveva terrorizzati tutti ma soprattutto li aveva messi davanti alla triste consapevolezza che in molti modi stavano sprecando le loro vite, vietandosi di abbracciare ciò che li faceva felici per davvero.

Come lui ed Hayley ad esempio… aveva sempre represso i suoi sentimenti per lei e poi c’era stato Jackson. Jackson però adesso era morto e lei aveva sofferto abbastanza; perché allora semplicemente non riuscivano a stare insieme come chiunque altro avrebbe fatto al loro posto? Persino Niklaus sembrava aver deciso di essere felice. Lui perché si privava di ciò che poteva renderlo completo e soddisfatto?

Decise che avrebbe parlato con Hayley; di lei, di lui, di loro. Era stanco di aspettare e non aveva senso farlo. Però c’era Allison… aveva un posto speciale nel suo cuore, lo aveva da sempre e ora era incinta di suo figlio. La notizia lo aveva sconvolto. La cacciatrice doveva averlo capito perché non aveva fatto una piega quando le aveva chiesto di rimanere lì dove poteva controllarla e tenerla al sicuro. Poteva immaginare quanto fosse sconvolgente per lei portare in grembo quel bambino magico. O magari era una bambina.

Scosse il capo e fece un grosso respiro spostando lo sguardo in direzione della camera che ospitava la donna, poi guardò suo fratello Klaus; dipingeva ed Elijah pensò che era piacevole vederglielo fare, non lo faceva da troppo.

“Niklaus” gli disse. “Sono preoccupato per Hayley.”

L’Ibrido abbozzò un sorriso dando una ritoccata al suo dipinto che, solo allora Elijah se ne accorse, ritraeva un primo piano del viso di Allison in tutta la sua bellezza. “E io sono preoccupato per Allison. Non è bizzarro? Tu che ti preoccupi per la madre di mia figlia mentre io mi preoccupo per la madre del tuo di figlio.”

L’altro guardò per un attimo la tela, poi Klaus. “Perché sei preoccupato per lei? L’ho vista a pranzo, stava bene.”

“L’hai guardata forse, ma non l’hai vista o ti saresti accorto che i suoi occhi erano gonfi e arrossati, era pallida come un fantasma e non ha praticamente toccato cibo” gli disse suo fratello. “A quanto pare però ti sei accorto del nervosismo di Hayley. Perdonami se suono sarcastico, ma ero davvero convinto che la presenza della bella Allison, il fatto che porti in grembo tuo figlio sarebbe stato sufficiente a…”

“Niklaus!” lo interruppe Elijah con tono infastidito. “Se hai qualcosa da dire, dilla senza troppi giri di parole.”

Klaus poggiò il suo pastello sul tavolo e sospirò incrociando le mani dietro la schiena. “Io fare la lezione a te? Come potrei? Sei tu quello saggio tra i due quindi sono certo che saprai dare ad Allison lo stesso sostegno che hai dato ad Hayley quando aspettava Hope. Forse persino qualcosa in più considerato che si tratta del tuo bambino” gli sorrise ed Elijah ricambiò teso. “Ora scusami, ma devo finire il ritratto; si dice che la gravidanza renda una donna più bella, lo trovo tremendamente vero per quanto riguarda Allison, infatti come puoi notare mi ha ispirato.”

Gli diede le spalle ed Elijah rimase ancora qualche attimo nella stanza prima di uscire.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah poteva sentire il suo cuore battere, poteva sentirlo chiaramente eppure non riuscì a vederla subito. Ci mise un attimo ad individuarla e lo fece perché vide una parte del suo capo sopra un lato di letto; era seduta per terra, gli occhi fermi sulla città e le gambe incrociate. Fece un respiro profondo e la raggiunse.

Lei sobbalzò appena, alzò gli occhi per guardarlo e li riabbassò subito tornando a fissare fuori dal balcone. “Mi hai spaventata” mormorò.

“Mi dispiace” le fece sapere lui sedendole accanto. “Cosa stai facendo seduta per terra? Si gela e il pavimento di questa stanza è di marmo.”

Allison si schiarì la voce. “Il giorno che ho scoperto di essere incinta, mentre aspettavo in ospedale una ragazzina mi si è avvicinata. Sette anni, non di più; indossava un camice bianco che le stava grandissimo e aveva uno stetoscopio al collo. Mi disse di elencarle i mei sintomi e mi prescrisse una ciambella glassata come cura” sorrise e anche Elijah lo fece. “Il suo nome era Gwen e aveva un’aggressiva forma di leucemia. C’era una cura sperimentale ma i suoi genitori non potevano permettersela e così l’ho pagata per lei.”

“Non sono sorpreso” le sussurrò Elijah sistemando la cravatta che si era piegata.

“Non ci ho più pensato da quel giorno, ho avuto tante altre cose per la testa ma stanotte, non so perché, Gwen mi è tornata in mente. Ho telefonato all’ospedale stamattina, volevo avere notizie ma non sono un familiare quindi non mi hanno detto molto. Così ho telefonato ad uno dei medici dell’ospedale in cui lavorava mio padre e ho chiesto qualche favore” si fermò un attimo e si strofinò gli occhi. “Gwen è morta due giorni fa.”

L’Originale sentì il respiro fermarsi, aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse che non sapeva cosa dire.

“Aveva sette anni ed è morta” continuò Allison con la voce spezzata di pianto. “Come si può morire a sette anni, con tutta la vita davanti? Non vedrà mai quanto è bello il mondo, né saprà quanto sa essere crudele. È morta e di lei rimarrà solo un ricordo che col tempo svanirà. Non è giusto, non è così che doveva andare.” scoppiò a piangere e lo fece per qualche secondo. “E volevo farmi un drink ma non posso bere e tu eri impegnato con Hayley, Klaus con Camille e Freya a fare da babysitter e nessuno di voi poteva bere per me. E poi volevo piangere ma non volevo farlo da sola e così non ho fatto nessuna delle due cose.”

Elijah sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando Allison iniziò a singhiozzare, le passò un braccio sulle spalle e la strinse a sé: le labbra poggiate sulla sua fronte mentre le lacrime calde gli inzuppavano la camicia. “Non sei sola” le sussurrò. In quel momento un altro suono gli accarezzò le orecchie, veniva dal ventre di Allison: era il battito del cuore di suo figlio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


no

5.

 

 

 

 

 

Allison sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e diede un’ultima passata di rossetto alle labbra. Con un grosso respiro guardò il suo riflesso allo specchio; il seno più florido, la pelle più liscia, gli occhi più brillanti, i capelli più morbidi. Il suo ventre si era fatto più rotondo man mano che le settimane passavano, se prima si vedeva appena ora invece era evidente che era incinta.

Due giorni prima aveva dovuto praticamente rifare l’intero guardaroba perché le sue cose non le stavano più e le cose di Hayley non le sarebbero entrate neppure se non fosse stata incinta. Non era mai stata tanto magra e da quando aveva scoperto di aspettare un bambino si era concessa qualche dolce in più senza nessun senso di colpa. Non che ne avesse mai avuti a dire il vero…

La gravidanza, fino a quel momento, le aveva rivelato solo piacevoli cambiamenti: non aveva avuto voglie strane né folli sbilanciamenti ormonali. Aveva notato di essere un po’ più sensibile agli odori ma non a tutti e le venivano spesso dei mal di testa ma niente che non potesse essere facilmente sopportato.

Quella mattina aveva deciso di fare una bella passeggiata e per farlo aveva scelto di indossare colori chiari, eccetto il rossetto, quello lo aveva messo rosso. Un altro grosso respiro e afferrò il suo cellulare poggiato sul mobile lì accanto; il suo amico Russell non l’aveva ancora richiamata dopo i due messaggi che gli aveva lasciato in segreteria ma decise di non lasciargliene un terzo, almeno per il momento. Si disse che avrebbe aspettato fino a dopo pranzo e se fino ad allora non avesse avuto riscontro allora avrebbe telefonato di nuovo.

Forse, rifletté, era anche il caso di telefonare ai Winchester per dire loro le novità… i mesi trascorrevano e la sua gravidanza era già al quarto, non poteva tenere nascosta la notizia ancora a lungo. Era certa però che Gabriel non avesse detto nulla altrimenti avrebbe ricevuto senza dubbio quantomeno un messaggio da parte dei suoi amici. Gabriel… chissà dove si trovava in quel momento. Conoscendolo sicuramente era in un posto pieno di donne e di dolci. L’India magari o qualcosa di più classico, come un’isola caraibica.

Scosse il capo chiedendosi nuovamente come diavolo si era cacciata in quella situazione; era difficile, anche se fingeva il contrario. Elijah si era mostrato più collaborativo ed interessato dopo il giorno che gli aveva detto della morte di Gwen ma era ancora parecchio lontano dal tipo di reazione che Allison sperava di suscitare.

“Stai uscendo?”

La voce di Hayley la fece sobbalzare ma riprese subito il controllo; un altro piccolissimo lato negativo di quella gravidanza… si spaventava facilmente, anche se passava subito.

“Sì” si sforzò di sorriderle. “È una bella giornata, finalmente la primavera è arrivata, quindi farò un passeggiata. Credo anche che pranzerò fuori, dillo agli altri per favore.”

“Aspetta” le disse l’Ibrida mettendosi davanti per impedirle di passare. “Volevo… volevo dirti una cosa.”

“Non può aspettare?”

“Potrebbe ma preferirei dirtela adesso. Ci vorrà solo un minuto.”

Allison annuì, si schiarì la voce e allargò poco le braccia. “Ti ascolto.”

“Elijah ed io” Hayley si fermò un attimo quasi cercasse le parole giuste. “Ci siamo attesi così tanto e ora finalmente possiamo essere felici. Ma tu sei incinta e sai com’è fatto, non si permetterà mai di essere felice e spensierato con me fin quando tu sarai qui, perché non farebbe mai niente che possa metterti a disagio.”

La cacciatrice corrugò la fronte, poi scosse il capo e si inumidì le labbra. “Mi stai per caso chiedendo di andarmene?”

“No, ti sto semplicemente chiedendo di non essere un ostacolo alla felicità di Elijah. E alla mia.”

L’altra si mordicchiò l’interno della guancia, sistemò la borsa sulla spalla e le sorrise appena. “Ho di meglio da fare che essere un ostacolo per te o per Elijah. Ora se vuoi scusarmi…” le passò accanto e scese al piano di sotto, dritta verso l’uscita. Fu quasi sulla porta che incrociò Elijah e Klaus che rientravano da chissà dove. Sperò che salutarli con la mano sarebbe stato sufficiente, ma l’Originale elegante la afferrò piano per un braccio costringendola a fermarsi.

“Va tutto bene?” le chiese allentando la presa senza però lasciarla.

Lei sorrise. “Benissimo, grazie.”

“Hai fatto colazione?”

“Sì, papà” replicò la donna e Klaus nascose un sorriso. “Posso andare ora?”

Elijah mollò la presa. “Dove stai andando?”

“A fare una passeggiata. Rimarrò fuori a pranzo, quindi ci vediamo nel pomeriggio.”

“Cosa…” l’Originale scosse poco il capo. “Pranzerai da sola? Perché?”

“Perché no?”

“Allison, non sono d’accordo con l’idea di saperti sola tutto il giorno.”

“Ed io non sto chiedendo il tuo permesso” lei fece un grosso respiro. “Ho accettato di rimanere qui solo perché non volevo darti altri pensieri visto che sembri averne già abbastanza. Ma non sono prigioniera in questa casa e se ho voglia di passare una giornata da sola allora passerò una giornata da sola.”

Elijah allargò le braccia. “Nessuno pensa a te come una prigioniera in questa casa.”

“Bene, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda.” la cacciatrice abbassò per un attimo lo sguardo, poi uscì di casa. Nessuno la fermò.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Cosa posso portarti?” Camille le sorrise, un sorriso gioioso mentre prendeva posto di fronte a lei al tavolo.

Allison ricambiò con dolcezza. “Camille” le disse. “Non sapevo che lavorassi ancora qui.”

L’altra si strinse nelle spalle. “Cerco di fare una vita normale. Prima di diventare un vampiro lavoravo qui e mi piaceva, così ogni tanto vengo a servire ai tavoli, non oggi però. Oggi è il mio giorno libero, ma ti ho vista seduta qui e ho pensato di farti un po’ di compagnia, se per te va bene.”

“Non è stato Klaus a mandarti vero?” gli occhi nocciola della cacciatrice si tinsero di sospetto, per un attimo. “Sai cosa? Non rispondermi, è stato stupido chiederlo. Sono solo… paranoica suppongo.”

Camille piegò poco il capo. “Va tutto bene?”

“Non proprio” confessò Allison. “So che quello che sto per dire è assolutamente sbagliato e terribile ma… sono incinta di un bambino che non avevo pianificato, che forse nemmeno volevo… non ora almeno. Sì, ho pensato alcune volte di diventare mamma un giorno e sì, ogni volta che ci ho pensato non ho potuto fare a meno di immaginare come sarebbe stato se il padre fosse stato proprio Elijah, ma è tutto così complicato ed io non so cosa fare, come comportarmi. Non sono certa che lui sia felice per questo bambino, non so neppure se io lo sono. Come... io non…”

“Respira” la interruppe Camille. “Ascolta” continuò. “Non ti dirò che so come ti senti, perché sarebbe una bugia. Non ho la più pallida idea di cosa tu stia attraversando in questo momento e mi sento anche un po’ in colpa. È per salvare me che ti sta capitando tutto questo. Ma” la fermò con un dito prima che potesse parlare. “Una cosa la so per certo: tu sei la donna più forte che abbia mai conosciuto, te la caverai alla grande. Con o senza Elijah.”

Allison le riservò uno sguardo grato, infine abbassò lo sguardo e respirò a fondo. “Ho un attacco di fame. È frustrante.”

Camille rise alzandosi. “Ordino il pranzo.”

Si allontanò ed Allison finalmente ricevette la telefonata che aspettava dal mattino.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Russell” disse rispondendo, gli occhi puntati fuori dal ristorante dove un bambina stringeva tra le mani un cono gelato che le aveva impiastricciato tutto il viso. Istintivamente si portò una mano sul ventre mentre Russel urlava qualcosa a qualcuno costringendola ad allontanare poco l’apparecchio dall’orecchio.

“Scusami Allison, ma il mio nuovo assistente è un idiota. Non ha ancora capito come prendo il caffè.”

“Da quanto lavora per te?”

“Tre ore circa ma sto già pensando di licenziarlo.”

Allison rise. “Prova a dargli una possibilità, aspetta almeno tre settimane prima di licenziarlo.”

“Tre settimane con questo idiota? Gli darò tre giorni, dopodiché lo sbatterò fuori dal mio ufficio” un attimo di silenzio, poi l’uomo riprese. “Ma dimmi, cosa posso fare per te?”

“Ehm sto cercando una persona, una famiglia a dire il vero. Ma non ho idea di come rintracciarli e ho pensato che il mio detective preferito avrebbe potuto darmi una mano.”

“Sono sempre a disposizione per te, lo sai. Cosa sai dirmi di queste persone che stai cercando?”

“Non molto a dire il vero. L’unica cosa che so è un cognome: Grimaldi. Dovrebbero vivere a Los Angeles ma non sono certa neppure di questo.”

“Grimaldi hai detto? Non puoi essere un po’ più specifica? Ci sono esattamente ottantasette famiglie Grimaldi a Los Angeles.”

Allison fece un grosso respiro mentre Camille tornava con due hamburger, delle patatine e due insalate. “So che avevano una figlia di nome Gwen, è morta da poco.”

“Mi prendi in giro per caso? Ho capito, sei in combutta col mio assistente per farmi perdere tempo.”

La donna bevve un sorso di acqua. “Russel ma di che diavolo parli?”

“Lorenzo e Maria Grimaldi sono su tutti i giornali e i telegiornali locali da quando la povera figlia è morta. Hanno lanciato un appello per trovare il donatore anonimo grazie al quale la piccola ha potuto entrare a far parte della cura sperimentale. A quanto pare l’ospedale non ha detto loro nulla, rispettando la volontà del donatore stesso. Non guardi la televisione?”

Allison deglutì a vuoto. “Sono in Louisiana da un po’ oramai quindi non ho avuto modo di guardare i telegiornali locali, né di leggere i quotidiani della California.”

“Beh, ti mando una foto dell’articolo non appena riattacchiamo. Hey aspetta, sei tu il donatore anonimo vero? Per questo li cerchi?”

“Grazie Russell, attendo la foto. Ci sentiamo presto” tagliò corto lei riattaccando.

“Tutto bene?” le domandò Camille mangiando una patatina fritta.

L’altra annuì poco. “Ti andrebbe di fare un piccolo viaggio con me Cami?” le chiese infine.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


no

6.

 

 

 

 

 

Allison mise l’ultima t-shirt in valigia, la chiuse e la tirò giù dal letto con un po’ di fatica. Respirò a fondo mentre si portava una mano sul ventre e per la prima volta da quando era rimasta incinta percepì la fatica di un gesto tanto semplice come spostare una valigia dal letto al pavimento.

Raccolse i capelli in una coda di cavallo lenta dalla quale sfuggirono alcuni ciuffi che le ricaddero sugli occhi e si intimò di fare più in fretta; Elijah non era in casa e se si fosse data una mossa sarebbe potuta partire senza che lui le facesse una delle sue solite paternali o le dicesse ancora una volta cosa gli faceva e non faceva piacere che facesse in quel momento tanto delicato. Perché credesse di avere alcuna voce in capitolo, vista la scarsa partecipazione, rimaneva un mistero ma era Elijah e con lui tutto era… complicato.

Neppure Hayley e Hope erano in casa, la cacciatrice immaginò che fossero tutti e tre insieme come una perfetta famigliola, da qualche parte a prendere un gelato o a fare una passeggiata, senza l’ostacolo in dolce attesa tra i piedi; esattamente come l’Ibrida desiderava. Mentre faceva scattare l’asta allungabile della maniglia con una mano, con l’altra si portò il telefono all’orecchio dopo aver fatto partire una telefonata diretta al numero di Gabriel.

Rispose, dopo tre squilli, la segreteria con un messaggio per i suoi contatti che era in pieno stile burlone più che Arcangelo. Ma in fondo Gabe era entrambe le cose in egual misura.

“Gabriel, come da tua richiesta ti sto telefonando invece di evocarti con un incantesimo e un sigillo, e come sempre accade mi ritrovo a parlare con la tua segreteria. Per favore, richiamami appena senti questo messaggio, c’è una cosa importante di cui vorrei parlare con te.” Riattaccò e si fermò in cima alle scale chiedendosi se ce l’avrebbe fatta ad arrivare fino in fondo con il peso della valigia. Aveva decisamente mangiato troppo, si ripromise di non assecondare mai più tutti gli attacchi di fame che le sarebbero venuti o sarebbe arrivata a fine gravidanza sotto forma di balena, o sarebbe morta prima per un infarto a causa di tutti gli hamburger.

Con uno scatto richiuse la maniglia allungabile e afferrò quella normale. Uno, due, tre gradini ed Elijah le fu davanti; la cravatta allentata sulla camicia perfetta. Abbozzò un sorriso pensando che l’azzurro gli donava, anche se lei aveva sempre trovato che le camicie bianche fossero quelle che gli stavano meglio.

“Dove pensi di andare?” le chiese prendendole la valigia di mano. “Freya ha detto che stai partendo.”

“Devo andare a Los Angeles per qualche giorno” lei si riprese il suo bagaglio. “Fammi passare per favore.”

“Vuoi guidare fino a Los Angeles?” Elijah mise le mani nelle tasche dei pantaloni, provando ad essere ragionevole, distratto dalla luce che Allison emanava; aveva capelli splendenti, la pelle luminosa e quel delizioso vestitino che indossava abbracciava perfettamente il ventre appena arrotondato.

“Certo che no” la donna scosse il capo, poggiò la valigia su uno dei gradini e allungò le mani fino alla cravatta di Elijah. La strinse e raddrizzò sotto il suo sguardo, poi gli sorrise. “Cami verrà con me. Ci sarà lei alla guida, io dormirò e mangerò per tutto il viaggio e considerato che ho una fame esagerata direi più la seconda. Ci vediamo presto.”

L’Originale la guardò superarlo e la seguì giù per le scale fino all’atrio, dove Camille la attendeva giocando con Hope sotto lo sguardo sereno del resto della famiglia. “Non credo sia una buona idea” le disse scuotendo il capo, lanciando uno sguardo agli altri affinché lo aiutassero, affinché dicessero qualcosa.

“Perché no?” Allison mise le mani sui fianchi fronteggiandolo. “Dimmi un solo motivo valido.”

“Sei incinta.”

Lei fece una smorfia. “Questo non è un motivo valido. La gravidanza non è una malattia.”

“Elijah ha ragione” intervenne Hayley. “La gravidanza non è una malattia ma la tua non è del tutto ordinaria. Non sappiamo con cosa abbiamo a che fare esattamente. Dovresti rimanere qui.”

“Primo” Allison si voltò a guardarla. “Tu non hai assolutamente nessun ruolo in questa gravidanza quindi non parlare al plurale. Secondo, non sei tu che poche ore fa mi hai… indirettamente invitata ad andarmene così da non essere un ostacolo al tuo felice futuro con Elijah?”

Elijah poggiò lo sguardo sull’Ibrida. “Tu cosa?”

“Non è quello che le ho detto” si difese lei.

“Terzo” Allison si tirò dietro la valigia mentre si avvicinava a Hope per salutarla. “Decido io cosa è meglio per me, è il mio bambino quindi l’ultima parola spetta  me.”

“È il nostro bambino” la corresse Elijah avvicinandosi. “Smettila di comportarti come se non avessi alcuna voce in capitolo.”

“Smetterò di comportarmi così quando tu inizierai a comportarti da padre” gli disse dura lei, senza distogliere lo sguardo da quello sorpreso e ferito del vampiro. “Fino ad allora sono l’unico genitore che questo bambino ha e dunque prendo io le decisioni.”

Un altro bacio ad Hope e un saluto veloce agli altri ed Allison e Cami erano fuori dalla tenuta. Elijah si allentò di nuovo la cravatta mentre saliva al piano di sopra, in silenzio.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“È qui” Allison lesse di nuovo il bigliettino sul quale aveva appuntato l’indirizzo e sospirò guardandosi intorno.

“In che quartiere ci troviamo?”

“Boyle Heights” la cacciatrice sospirò. “Vivo a trenta minuti da qui e non sapevo neppure che esistesse la famiglia Grimaldi.”

“Allison” Camille le si mise accanto. “Los Angeles è una città piuttosto grande, non puoi conoscere tutti.”

“Lo so” l’altra annuì. “È solo che sono disgustosamente emotiva ultimamente, colpa degli ormoni suppongo.”

“Anche quello che hai detto ad Elijah prima che partissimo è colpa degli ormoni? Perché sei stata un tantino dura, non credi?”

Allison si strinse nelle spalle. “Ho solo detto la verità.”

“Hai detto la tua verità.”

“Sì forse, ma lo sguardo ferito che mi ha riservato significa che la mia verità combacia con la sua” fece qualche passo in avanti e suonò il campanello. Mentre lo faceva si accorse che una parte di sé sperava che nessuno aprisse, mentre l’altra parte stava già preparando un discorso per quando la porta si sarebbe aperta. Passò un minuto scarso e una donna aprì; aveva gli occhi azzurri e stanchi, i capelli di un bel biondo dorato. Somigliava incredibilmente a Gwen e la cacciatrice perse memoria di ogni parola che si era ripromessa di dire.

“Salve” le disse la donna. “Posso aiutarvi?” si sforzò di sorridere sia a lei che a Camille.

“Ehm” Allison sembrò tornare lucida. “È lei Maria Grimaldi?”

“Sì, sono io. Voi chi siete?”

“Lei è Camille ed io sono… Sono Allison Morgan.”

Gli occhi di Maria si illuminarono. “Sei tu” mormorò afferrandole le mani. “Quando la dottoressa ci ha comunicato che qualcuno aveva pagato per la cura sperimentale Gwen ha subito sostenuto che fossi tu. Diceva che eravate amiche, che vi eravate incontrate in sala d’attesa, che eri il suo angelo custode e che ti piacciono le ciambelle. Continuavamo a dirle che il donatore era anonimo ma lei era così certa che fossi tu. E se sei qui adesso significa che aveva ragione.”

Allison deglutì a vuoto. “Ho pagato per la cura di Gwen ma non sono un angelo” lasciò cadere qualche lacrima. “Se lo fossi non avrei permesso che morisse. Mi dispiace Maria, mi dispiace che non abbia funzionato.”

“No” la donna scosse il capo piangendo piano. “Non devi scusarti; tu ci hai dato due settimane in più con la nostra bambina. E so che ti sembrano nulla ma sono state moltissime per noi. Abbiamo fatto così tante cose in quelle due settimane…” si fermò e sospirò, Allison invece aveva la sensazione di non essere più capace di respirare.

“Stai bene?” le domandò Camille poggiandole una mano sulla schiena.

“Sì” la sua amica annuì. “Sto bene. Ho solo un po’ di nausea.”

“Venite dentro” le invitò Maria. “Gwen ha lasciato una cosa per il suo angelo custode, quindi per te. E inoltre credo che tu abbia bisogno di sederti.” le accarezzò piano il ventre poi precedette lei e Camille dentro casa.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah si versò un altro bicchiere di bourbon e si accorse di aver perso il conto. Era il quarto o forse il quinto… forse il decimo, proprio non se lo ricordava. Poco male, avrebbe continuato fino a quando non si fosse ubriacato e i fumi dell’alcool non avessero cancellato le parole che Allison gli aveva detto prima di partire oramai quasi due giorni prima. Bruciavano come il fuoco, proprio lì al centro del suo petto, comodamente sedute tra il suo senso di colpa e la sua frustrazione.

Scosse il capo guardando il fuoco scoppiettare dentro il camino; si era comportato in modo terribile con lei, l’aveva trattata esattamente come Klaus aveva trattato Hayley durante la gravidanza: come un contenitore per un figlio che non era neppure sicuro di volere. Sì, quelle parole erano come un incendio dentro perché erano la pura verità. Lo capiva solo in quel preciso istante.

Non era neppure arrabbiato con Hayley, non era sua la colpa. L’unico colpevole era lui. Lei aveva ragione, si erano rincorsi per così tanto che non essere felici ora che potevano sembrava incredibilmente irrispettoso nei confronti dei loro sentimenti, persino nei confronti di coloro che erano capitati nel mezzo di quella storia d’amore mai davvero iniziata.

Non voleva rinunciare a quel sentimento ma Allison meritava un’attenzione maggiore. Si disse che al suo ritorno da Los Angeles avrebbero chiarito tutto e ogni cosa sarebbe andata per il meglio. Se fosse tornata… Aveva la brutta sensazione che quel viaggio in California sarebbe diventato un viaggio di sola andata.

Decise di affogare quella ulteriore preoccupazione in un altro bicchiere di bourbon.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. ***


Se qualcuno legge questa storia, grazie e buona lettura. In fondo l'outfit di Allison.

tno

7.

 

 

 

 

 

Allison si versò un po’ di caffè nella tazza di latte che aveva scaldato e sospirò mettendosi a sedere a tavola. Da quel punto aveva una visuale chiara del giardino, di Cami che si rilassava in piscina e del sole che splendeva forte scaldando l’acqua limpida.

Non tornerai a New Orleans vero? le aveva chiesto oramai tre settimane prima la bionda vampira. Al suo cenno di diniego aveva fatto un grosso respiro e dopo essersi guardata intorno aveva detto che allora anche lei sarebbe rimasta e aveva chiesto di poter occupare la camera con vista sul giardino… ammesso che ce ne fosse una. Ce n’erano tre, lei scelse quella con il letto king size e le pareti color crema.

La cacciatrice si accarezzò piano il ventre chiudendo solo per un secondo gli occhi mentre la piccola creatura dentro di lei iniziava a farsi sentire a suon di bruciori di stomaco che, anche se duravano poco, erano una novità a cui non si era ancora abituata. Di Gabriel non aveva alcuna notizia dal giorno in cui gli aveva telefonato, dai Grimaldi aveva avuto una lettera di Gwen che però non aveva ancora avuto il coraggio di leggere ed Elijah non si era disturbato di telefonarle neppure una volta da quando gli aveva comunicato che non sarebbe tornata a New Orleans.

Parlava invece tutti i giorni con Freya e qualche volta anche con Klaus. Ma mai di questioni che riguardassero il Mikaelson padre di quel figlio che aveva in grembo. Forse, era arrivata a pensare, chiuso in un bel vestito elegante aveva finalmente trovato la sua felicità con Hayley. Forse semplicemente non gli importava di quel bambino a prescindere da tutto.

“Avevo ragione” mormorò scuotendo il capo prima di bere un altro sorso dalla tazza. Fu allora che Gabriel arrivò con un fruscio di ali e un alito di vento caldo che le scompigliò i capelli e fece vibrare l’acchiappasogni appeso alla parete.

“Buenos dias muchacha!” le disse prendendo posto di fronte a lei dopo aver dato uno sguardo a Cami in piscina. “Ah vedo che la tua amica si è ambientata bene.”

“Si adatta in fretta.”

L’Arcangelo si inumidì le labbra. “Credi che io le piaccia? Io credo di piacerle, ho visto il modo in cui mi guarda” sussurrò facendo un occhiolino.

“Primo, quando ti avrebbe guardato?” domandò Allison abbassando la voce come lui. “Secondo, è inutile che sussurri, è un vampiro, ha il super udito. Terzo” tornò a parlare a volume normale. “Dove diavolo eri?”

“Ah-ah no!” esclamò lui facendo segno con una mano. “Non dire diavolo, è offensivo” scoppiò a ridere della sua stessa battuta e poi afferrò uno dei cioccolatini che stavano dentro il piccolo contenitore al centro del tavolo. “Mi hai chiamato, sono qui.”

“Ti ho chiamato tre settimane fa Gabriel. E se mi fosse successo qualcosa? Se fosse stata un’emergenza?”

“L’avrei saputo.”

“Come?”

“Ho collegato la mia grazia alla tua anima, una specie di sistema dall’allarme. Se ti succede qualcosa lo sentirò.”

“Ah!” esclamò lei perplessa, colta di sorpresa. “Non lo sapevo.”

“Ora lo sai ma tranquilla, non c’è bisogno che ti scusi” mangiò un altro cioccolatino. “Dimmi cosa vuoi, così posso tornare alle mie cose.”

“Che sarebbero? Un flirt con una pornostar o un divino francese con una povera artista che compone canzoni melodiche sulle rive della Senna?”

“No, stavo ballando una salsa con un seducente mora spagnola e stavo condividendo il mio divertimento con mio fratello.”

“Balthazar è ancora vivo?” Allison spalancò gli occhi.

“Come…” Gabriel rimase per un attimo in silenzio. “Come hai fatto a capire che parlavo di lui?”

“Oh ti prego… more spagnole e salsa e, immagino, divertimento senza  limiti. Doveva per forza essere lui. Michael è chiuso nella gabbia con Lucifero e non sarebbe comunque da lui, Castiel non è assolutamente il tipo e gli altri sono praticamente tutti morti o dei bacchettoni senza alcuna personalità.”

“Il fatto che tu ci conosca così bene è inquietantemente divertente!” esclamò lui con un sorriso. “Ma dimmi, cosa posso fare per te?”

Allison si accorse solo in quel momento che non sapeva bene come chiedere ciò che voleva. Sapeva solo che aveva pensato di volerlo fare, ora onestamente non ne era nemmeno tanto sicura. Ma lo aveva chiamato quindi tanto valeva parlare, magari solo ipoteticamente. “Il padre di questo bambino non ha alcun interesse per tutto questo” disse indicando se stessa. “Così mi chiedevo se potessi… vorrei che tutti, all’infuori di me e te ovviamente, dimenticassero di questa gravidanza.”

Gabriel incrociò le mani sul tavolo. “Vorresti o hai pensato di volerlo?”

“Fa differenza?”

“Una enorme differenza” lui si sporse poco avanti. “Forse tu conosci me meglio di quanto credessi ma anche io conosco te meglio di quanto credi, Allison Marie Morgan. Tu non vuoi affrontare tutto questo da sola.”

“Sì invece! È esattamente quello che voglio Gabriel. Lo sto già facendo ad ogni modo. Elijah non telefona neppure ma a ruoli invertiti io ci sarei in ogni momento per lui. Non gliene importa assolutamente nulla quindi…”

“Questo non è vero!” esclamò Camille e la padrona di casa si accorse che non si era nemmeno resa conto che era lì. “Gli importa, infatti sarà qui tra qualche ora. Non aveva il coraggio di venire, dopo quello che gli hai detto, e così gli ho mentito dicendo che stavi male, è partito subito dopo che abbiamo riattaccato.”

“Che cosa?” La voce di Allison era quasi un sibilo, lo sguardo che rivolse alla bionda era carico di rabbia.

Gabriel sentì che era il caso di smorzare la tensione, almeno per il tempo che bastava ad Allison per calmarsi. “Buenos dias senorita” disse alzandosi e baciando la mano di Camille. “Ti sei abbronzata, ti dona.”

“Non avevi nessun diritto di farlo!” esclamò Allison alzandosi in piedi, mostrando la pancia in tutto il suo perfetto arrotondamento quando lo fece. “Perché tutti continuate a pensare di dover decidere le cose al posto mio?”

Camille scosse poco il capo, quasi fosse ovvio. “Perché sembra che tu non sia in grado di decidere nel modo giusto in questo momento.”

“Che vorrebbe dire?”

“Elijah ha paura, esattamente come te. Vorrebbe starti vicino ma tu lo respingi e lui non sa cosa fare.”

“Non aveva di questi problemi quando Hayley era incinta che io ricordi” Allison allargò le braccia. “Cami, la verità è che lui non vuole questo bambino, non con me almeno!”

“Guarda qui” Gabriel poggiò le mani sul ventre rotondo di Allison e le due donne fecero silenzio guardandolo perplesse. “Questo piccolo miracolo. Secoli di lotte, secoli di incomprensioni e gelosie per questa magnifica… creazione. I miei fratelli non hanno mai capito quanto immenso sia tutto questo, perché nostro Padre lo amasse così tanto… Una vita umana dentro un’altra.”

Lo disse con una tale dolcezza che Allison si ritrovò a piangere sommessamente, il vampiro deglutì a vuoto lasciandosi andare contro il ripiano della cucina.

“Allison” Gabriel alzò le mani e prese il viso della donna. “Sei l’umana più forte che conosca ma non puoi affrontare tutto questo da sola, non stavolta. E se credi davvero di poterlo fare, allora Camille ha ragione: non sei in grado di fare le scelte giuste al momento. Questa bambina avrà bisogno di entrambi i suoi genitori e forse è vero che Elijah non ama te, ma amerà lei, te lo assicuro.”

La donna guardò per un istante Camille, poi di nuovo Gabriel mentre un sorriso le colorava il viso nonostante le lacrime. “Hai detto lei?”

Il sorriso dell’Arcangelo fu la sua risposta.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Ore dopo di ritorno da una lunga passeggiata Allison si ritrovò a pensare alle parole di Gabriel, a quelle che aveva detto stringendole il ventre tra le mani, a quelle che le aveva detto dopo essersi assicurato che Camille non stesse ascoltando. Con un grosso respiro controllò il suo cellulare alla disperata ricerca di un qualche segnale da parte dei Winchester e Castiel ma in fondo sapeva che ci sarebbe voluto un po’ prima che dessero un qualunque segno.

Gli aveva gettato addosso la notizia della sua gravidanza, di Gabriel e dell’intervento divino solo un’ora prima, per telefono. Ai suoi amici sarebbe servito un po’ di tempo per metabolizzare la notizia. Per quanto assurdo sembrasse, questa specie di regola sembrava valere per tutti tranne che lei, nonostante fosse la più coinvolta.

Mangiando l’ultimo pezzo di cono si accorse di Elijah che la aspettava sul vialetto, poggiato all’auto. “Elijah” lo salutò fermandosi di fronte a lui. “Cosa ci fai qui fuori? Ti ho già invitato in casa quindi puoi tranquillamente entrare.”

Lui le sorrise. “Non volevo farlo prima che arrivassi. Nel caso…”

“Nel caso non volessi farti entrare?” Allison ridacchiò stringendo di più i manici della grande busta di cartone chiusa ai bordi. “Non lo farei mai ma, sfortunatamente, non posso biasimarti per averlo pensato.”

L’Originale la fissò diverse volte da capo a piedi; il vestito bianco e nero che le fasciava morbidamente il ventre pieno, il viso senza trucco, i capelli un po’ spettinati, quella luce dentro gli occhi. “Sei…”

“Grassa? Sì lo so, ho continuamente fame.”

“No” Elijah scosse il capo. “Sei meravigliosa.”

Lei si sentì avvampare, abbassò gli occhi per un istante e sorrise tornando a guardarlo. “Grazie, fa piacere sentirlo.”

Il vampiro perse lo sguardo in quelle fossette profonde, poi si impose di tornare lucido. “Ehm… Camille ha detto che non ti senti bene, ma mi sembra ovvio che ha mentito.”

“Sto bene” confermò lei. “Ma probabilmente quando ti ha telefonato credeva il contrario.”

“Certo” lui annuì e allungò la mano per prenderle la busta. “Dalla a me.”

“No” Allison scosse il capo. “Questa busta contiene qualcosa di molto prezioso. Il sesso del nostro bambino.”

“Non capisco.”

“C’è un palloncino dentro, sapevo che saresti arrivato e visto che oggi ho scoperto se sarà maschio o femmina volevo fartelo sapere in un modo carino. Tra l’altro è una cosa che va molto di moda ultimamente.”

“Non lo sapevo. E come funziona?”

“Adesso” la cacciatrice poggiò la busta per terra. “Tecnicamente dovrei aprire la busta e lasciare che il palloncino voli via e tu dovresti capire, grazie al colore, se è un maschio o una femmina. Ma piegarmi mi è estremamente difficile con questo” indicò il suo ventre. “Quindi, potresti farlo tu? Ma chiudi gli occhi fino a quando non ti dico di aprirli.”

Elijah sorrise, allungò la mano fino alla spilla che teneva la busta chiusa e chiuse gli occhi. La aprì e lasciò che Allison lo aiutasse ad indietreggiare un po’.

“Apri gli occhi” gli disse. E lui lo fece, puntando lo sguardo verso l’azzurro del cielo vide un palloncino svolazzare libero verso l’alto. Era rosa.

“È una femmina” mormorò incapace di staccare gli occhi da quell’ovale rosa, rifiutandosi di guardare Allison negli occhi per non mostrarle le lacrime di gioia che gli rigavano le guance. Non aveva calcolato però quanto bene lei lo conoscesse.

La donna infatti gli si mise davanti e prendendogli delicatamente il viso tra le mani quasi lo costrinse a guardarla. “Nostra figlia” gli disse. “Sarà amata da entrambi i suoi genitori, ma non è ancora qui. Qui ci sono soltanto io adesso e come lei ho bisogno di amore. Tu puoi darmi tutto Elijah, tranne quello, perché ami un’altra e al cuore non si comanda” gli poggiò una mano sul petto e lui vi mise sopra la sua. “Ti telefonerò ogni giorno per dirti come procede e potrai venire ogni volta che vorrai a trovare la nostra bambina, adesso e quando sarà nata e per tutti gli anni a venire. Sarai legato a lei sempre e per sempre” gli disse. “Ma sempre e per sempre non comprende anche me, non ne sono mai stata parte e anche se per tanto tempo ho desiderato esserlo, adesso è ora di mollare la presa.”

Elijah deglutì a vuoto. “Ti sbagli, io ti amo.”

“Sì, lo so. Ma non mi ami nel modo in cui io amo te, l’unico modo di cui ho bisogno.”

“Cosa… cosa vuoi che faccia? Ti prego, dimmi cosa vuoi che faccia.”

Allison provò tenerezza, gli sorrise. “Abbracciami e basta.”

Lui le baciò la fronte, infine la abbracciò quanto più forte poteva. Abbracciò entrambe.

 


out

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. ***


8.

 

 

 

 

 

“Credi che sia… troppo?” Allison fece un giro su se stessa e respirò a fondo alzando gli occhi su Camille.

“Troppo cosa?” domandò l’altra sgranocchiando un grissino.

“Troppo giallo, troppo… luminoso.”

La sua amica scosse il capo. “Stai benissimo, questo pancione ti rende più bella di quanto già non fossi e il vestito è delizioso” la rassicurò. “Dimmi ancora, come si chiama questo tizio con cui uscirai?”

Allison spostò indietro i capelli e si passò un filo di rossetto chiaro sulle labbra. “Si chiama Alan, o era Adam?”

L’altra rise. “Non ti ricordi come si chiama il tizio con cui hai un appuntamento?”

 “Si chiama Alan, sì” la donna chiuse un attimo gli occhi. “Andremo a cena e poi forse al cinema, dipende da come procederà la serata.”

“Beh frena il tuo entusiasmo amica mia” Camille si mise a sedere su una sedia. “Ci vuoi almeno andare a questo appuntamento?”

La cacciatrice sospirò. “Ad essere onesta Cami, non lo so” si mise a sedere sulla sedia di fronte a lei. “Ho trentaquattro anni e sono magicamente incinta di un uomo che non mi ama. Ho accettato questo invito solo perché…”

“Perché vuoi un pizzico di normalità in un momento così anormale?”

“Perché ho bisogno di sentirmi apprezzata e desiderata.” La voce di Allison tremò per un istante, ma si riprese quasi subito. “È una follia vero? Forse dovrei telefonargli e disdire tutto, potrei dirgli che non mi sento molto bene, sarebbe credibile, in fondo sono incinta e può capitare di sentirsi male di improvviso.”

“Penso che dovresti andare” le disse Camille. “Goditi la cena e se al dessert non ti stai divertendo allora potrai dire di stare male e tornartene a casa. È solo un appuntamento, non una promessa di matrimonio, prova semplicemente a divertirti.”

L’atra cercò nella sua borsa il cellulare, sentendo un groppo in gola quando lì dentro vide la lettera che le aveva dato Maria Grimaldi; la lettera di Gwen che non aveva ancora avuto il coraggio di leggere. Anche se Camille si era offerta di leggerla per lei, di starle accanto mentre la leggeva, di fare qualunque cosa. Allison proprio non se l’era sentita e dubitava sarebbe successo presto.

“Devo andare” disse alla sua amica rimettendo il cellulare in borsa. “Ti terrò aggiornata con qualche messaggino di tanto in tanto.”

“Non vedo l’ora.”

Allison la salutò con un gesto della mano e raggiunse la porta. Quando la aprì Elijah le fu davanti; le sorrise con il pugno alzato a mezz’aria, come se stesse per bussare. “Elijah.”

“Hey” le sussurrò lui guardandola da capo a piedi.

Lei si avvicinò e lo abbracciò. “Che ci fai qui?”

L’Originale respirò a fondo il suo profumo stringendola con delicatezza. Quel profumo… apparteneva solo a lei e a nessun altro. Sapeva di fresco e di dolce. “Hai detto che potevo venire quando volevo e ti ho preso in parola.”

“È una magnifica sorpresa” lei ruppe l’abbraccio. “Quanto ti fermerai?”

“Non ci ho ancora pensato, ma non ho fretta.”

“Bene” gli sorrise lei. “Allora fai come se fossi a casa tua, Camille è in cucina. Io devo andare.”

“Andare dove?” Elijah si fece di lato per farla passare.

“Oh giusto, tu sei appena arrivato. Ho un appuntamento con un tizio di nome Adam.”

“Alan!” urlò Camille da dentro casa.

“Alan, sì. Dio, farei meglio ad appuntarmelo da qualche parte. Devo andare ora El, ci vediamo più tardi.”

L’uomo annuì e trattenne il disappunto mentre lei si allontanava.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah si versò un bicchiere di vino ripensando al suo appuntamento di qualche giorno prima con Hayley. Doveva ammettere che non era andato esattamente come previsto, né da lui né da lei. In realtà era stato l’esatto opposto di quello che avevano immaginato e anche se aveva fatto venire a galla molte consapevolezze, aveva distrutto altrettante speranze. Se chiudeva gli occhi poteva ancora vederla; chiusa in quell’abito verde scuro, avanzare verso di lui con il sorriso stampato sul viso.

Quel sorriso lui lo aveva ricambiato ma qualcosa dentro aveva preso forma, una forma diversa da quella che pensava.

“Hey” gli disse Camille trascinandolo fuori dai suoi pensieri. “Stai bene?”

Lui fece cenno di sì col capo. “Sì, sto bene. Allison sta bene? Voglio dire… sembra stare meravigliosamente, ma sta bene sul serio?”

“Ha degli alti e bassi. A volte è al settimo cielo, altre sembra sull’orlo di una depressione. Credo sia colpa degli ormoni.”

Elijah sorrise. “Sì, probabilmente è colpa degli ormoni” silenzio mentre beveva un altro sorso dal bicchiere.

“Sei sicuro di star bene Elijah?”

“Sì, non mi credi forse?”

“Sì, io sì ma Allison” tirò fuori il suo cellulare. “Crede che tu abbia qualcosa che non va e mi ha chiesto di scoprire cosa.”

“Quando? Ci siamo a malapena salutati, è uscita non appena sono arrivato.”

Camille gli mostrò il telefono, un messaggio di Allison

 

Elijah era turbato, gliel’ho letto negli occhi. Puoi scoprire perché?

Glielo chiederei io stessa, ma se avesse a che vedere con Hayley?

Sarebbe imbarazzante e non voglio metterlo a disagio.

 

 

“Non ho mai potuto nasconderle niente” constatò lui restituendole il cellulare.

“Ha a che fare con Hayley?”

“Sì e no. Io ho… organizzato una cena per me e lei. Il nostro primo vero appuntamento, ma non è andata come immaginavo.”

“Che vuoi dire?”

 

 

Hayley bevve un sorso di acqua e si schiarì la voce per attirare l’attenzione di Elijah. Era strano quella sera, lo aveva percepito non appena i loro sguardi si erano incrociati al suo arrivo. Non sapeva cosa avesse ma credeva di immaginarlo.

“Elijah, stai bene? Sei distratto, lo sei stato per tutta la cena.”

“Mi dispiace” mormorò lui respirando a fondo. “È solo che…”

“Cosa?” chiese la donna. “Qual è il problema esattamente? Stai pensando alla tua bambina per caso? È per il senso di responsabilità che senti che non riesci a lasciarti andare?”

“Non proprio.”

“E allora cos’è?”

Lui deglutì a vuoto, sii sincero si disse perché lei lo merita e anche Allison. “Io la amo. Credevo di averlo superato ma sono qui con te e non riesco a togliermi Allison dalla testa. Mi dispiace Hayley, io non…”

Ma lei si stava già allontanando, Elijah poteva sentire il suo cuore battere velocissimo.

 

 

“Mi dispiace Elijah” gli disse Cami quando lui ebbe finito di raccontare. “Davvero.”

L’Originale la guardò. “Ma?”

“Ma non sono sorpresa. Chiunque sa che la ami, te lo si legge in faccia ogni volta che la guardi. E so che hai amato Hayley, lo so per certo. Ma al cuore non si comanda, anche se sono sicura che tu abbia provato a farlo per secoli e secoli.”

Il suo interlocutore rimase in silenzio, il dito poggiato sulla base del bicchiere dal quale stava bevendo. Camille aveva ragione ma niente di tutto quello che aveva detto rispondeva in qualche modo alla domanda che lo tormentava da quel pessimo appuntamento con Hayley: cosa doveva fare esattamente?

Ebbe la sensazione che l’unica capace di dargli una risposta fosse proprio Allison. La sua Allison, la madre di sua figlia… lei che ora era a cena con un certo Alan. Quando Camille si congedò un’ora dopo, lui rimase da solo, in attesa che la donna che amava tornasse.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. ***


9.

 

 

 

 

 

Allison stava per mettere la chiave nella toppa quando decise che sarebbe rimasta lì fuori ancora per un po’. Era una bella serata ed era ancora presto; oltretutto quell’appuntamento l’aveva messa di cattivo umore. Alan era stato gentile e premuroso ma non aveva fatto altro che parlare di sua madre, della sua ex e di come un giorno diventerò una star hollywoodiana.

Lei aveva sorriso per tutto il tempo, ma solo perché sorridere le impediva di sbadigliare, poi aveva accampato la classica scusa del bagno e si era allontanata per qualche minuto. Davanti allo specchio della toilette del ristorante aveva elaborato un piano tanto veloce quanto stupido. Ma era certa che Alan ci sarebbe cascato. Infatti, quando il taxi era arrivato per riportarla a casa e lei aveva mentito dicendo di sentirsi poco bene, dicendo che forse stava per partorire, lui aveva abboccato e pallido l’aveva lasciata andare dicendole che l’avrebbe richiamata.

Allison era sicura che non lo avrebbe fatto e la cosa la rincuorava. Era stato stupido uscire con quell’uomo e lo era stato principalmente per due motivi; il primo era che non era proprio il suo tipo, il secondo che era innamorata di qualcun altro, e per quanto provasse ad andare avanti non ne era capace. Inutile forzarsi, decise, pensando ad Elijah sulla soglia della porta. Prima o poi passerà da solo... peccato che non ci credesse. Erano anni che aspettava che quell’innamoramento le passasse e non era mai successo.

Neppure sapere che lui amava un’altra era riuscito a farglielo togliere dalla testa. Come una stupida ragazzina. Respirò a fondo e si mise a sedere sul divanetto di vimini che adornava il portico, poggiò entrambe le mani sul ventre rotondo e lo massaggiò con dolcezza.

“Tua madre è una sciocca” sussurrò. “Dico sul serio, spero che prenderai da tuo padre il pragmatismo, e la saggezza. Ci sono parecchie cose che posso offrirti, ma queste due prega di prenderle da lui perché io sono un disastro.”

Un lieve movimento che le solleticò il palmo della mano la fece ridere. Si alzò ed entrò in casa. Trovò Elijah ad aspettarla sul divano, in una mano una tazza, nell’altra un quotidiano.

“Hey” gli disse. “Mi hai aspettata in piedi?”

Lui le sorrise raggiungendola. “Hey” ricambiò. “No, non riuscivo a dormire.”

Allison si aggrappò al suo braccio per rimanere in equilibrio mentre si toglieva le scarpe. “Qualcosa non va con la stanza?”

Elijah le spostò una ciocca di capelli cadutale davanti agli occhi. “La stanza va benissimo, sono solo...”

“Turbato da qualcosa” finì la donna per lui. “Te lo si legge negli occhi. Ti va di parlarne?”

L’Originale le versò del tè e si schiarì la voce. “Non sono certo che ci sia molto da dire.”

“Ho capito” annuì lei bevendo un sorso dalla tazza. “Ti conosco Elijah e so che non me ne parlerai ora, forse mai. Solo... se mai vorrai farlo, io sono proprio qui. Puoi dirmi qualunque cosa, lo sai vero?”

“Lo so” sussurrò lui. “Ma ora dimmi, com’è andato il tuo appuntamento?”

“Un disastro se proprio vuoi saperlo. Adam è l’uomo più noioso con cui mi sia mai capitato di uscire.”

“Sono piuttosto sicuro che si chiamasse Alan.”

Allison sembrò rifletterci un istante, poi scosse il capo. “Giusto. Ad ogni modo, siamo andati in questo ristorante italiano, ci siamo seduti ad un bel tavolo e per i primi cinque minuti tutto è andato bene. Ho ordinato degli spaghetti e lui ha ordinato una bistecca.”

“Una bistecca? In un ristorante italiano? È ridicolo, ci sono migliaia di altre pietanze più interessanti in un ristorante come quello.”

La donna allargò le braccia. “Esattamente!” esclamò. “Sapevo che tu avresti capito.” Bevve ancora, poi continuò. “Ad ogni modo, bistecca a parte, il punto è che ha passato metà del nostro appuntamento a parlare di sua madre e della sua ex e del suo sogno di diventare un attore, in ordine casuale fino a quando con una scusa non sono andata in bagno. Una volta uscita da lì ho finto di sentirmi poco bene e sono tornata a casa.”

“Saggia decisione” Elijah ridacchiò. “Mi dispiace che sia andata male, ma sono più dispiaciuto per lui che per te; guardati... sei meravigliosa, puoi decisamente avere di meglio. Quanto ad Alan, ho la sensazione che fossi fuori dalla sua portata fin dall’inizio.”

Allison sorrise massaggiandosi il collo con una mano. “Oh Elijah” mormorò guardandolo negli occhi. “Tu sai sempre dire la cosa giusta.”

“È facile quando dici la verità.” Calò il silenzio per qualche secondo e in quel brevissimo tempo i loro sguardi rimasero fermi l’uno dentro l’altro. La tensione sessuale si taglia con il coltello, avrebbe detto Camille se fosse stata lì. Gabriel invece avrebbe scosso il capo invitandoli a fare qualcosa invece di rimanere impalati a fissarsi.

“Tra te ed Hayley le cose non sono andate come immaginavi, vero?” gli chiese lei di improvviso, parlando piano.

Elijah scosse il capo. “No.”

“È per questo che sei qui? Perché hai bisogno di un po’ di tempo lontano da lei? Per rimettere in ordine le idee?”

“No” lui scosse di nuovo il capo e le si avvicinò ancora un po’. “Le mie idee non sono mai state più in ordine di così.”

La baciò e lei ricambiò prendendogli il viso tra le mani.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Non c’era niente al mondo capace di fargli provare il brivido che le mani di Allison gli provocavano. Elijah lo sapeva da un po’ oramai, ma quella notte ne aveva avuto un’ulteriore conferma quando avevano fatto l’amore nel modo più dolce ed intenso che l’Originale avesse mai conosciuto. Ora lei se ne stava in silenzio, lo sguardo perso in un punto indefinito della stanza mentre giocherellava con il suo anello diurno.

“A cosa stai pensando?” le chiese guardandola; il viso leggermente paffuto per la gravidanza, la pelle morbida e profumata più del solito.

Lei si voltò verso di lui e abbozzò un sorriso. “A niente” replicò. “E a tutto. Tu a cosa stai pensando?”

“Ti sto guardando” le disse lui. “Mi è difficile pensare mentre ti guardo.”

Risero entrambi ed Elijah le poggiò la mano libera sul ventre tondo. Lì dentro c’era la sua bambina, la loro bambina. Non aveva mai pensato di avere una famiglia, non credeva sarebbe stato possibile per lui. Ma era successo ed era grato che fosse capitato con Allison.

“Elijah” sussurrò lei di improvviso. “Ti andrebbe di aiutarmi con una cosa?”

“Qualunque cosa.”

Lei si alzò, indossò una vestaglia e recupererò qualcosa dalla sua borsa. Tornò a letto e gliela mostrò. “Ti ricordi di Gwen Grimaldi?”

“La bambina per cui hai pagato la cura sperimentale?”

Allison annuì. “Sono andata a trovare i suoi genitori. È saltato fuori che Gwen aveva parlato loro di me, credeva che fossi il suo angelo custode. Mi ha scritto questa lettera” agitò poco la busta. “Ma non l’ho ancora letta. Non ci riesco da sola.”

Elijah capì, gliela prese piano di mano e la aprì. Attese e quando lei fece un cenno col capo iniziò a leggere.

 

Caro angelo custode Allison, spero che l’infermiera ti abbia portato la ciambella, quel giorno. Io ne ho mangiata una al cioccolato, era veramente buona. Ti scrivo per dirti grazie, so che sei stata tu ad aiutarmi ad iniziare questa nuova cura. Mamma dice che funzionerà e che presto potrò tornare a casa, ma ieri ho sentito lei e papà parlare con la dottoressa e, anche se non ho capito bene cosa si sono detti, la mamma poi piangeva. Niente di bello penso.

Angelo custode, so che sei tanto impegnata ad aiutare altre persone, altri bambini e voglio dirti che io sto bene. Prenditi cura di quelli che hanno paura, io non ne ho. E so che tu lo sai.

Ti voglio bene, Gwen.

P.S. La mia amica Eve dice che in paradiso si possono mangiare quante ciambelle si vogliono. È vero? Spero di sì.

 

Allison pianse, stretta tra le braccia di Elijah.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Erano le tre, forse le quattro del mattino quando Allison fu svegliata da qualcosa. Non avrebbe saputo dire cosa esattamente; era una specie di sussurro, e un vento caldo che le aveva fatto svolazzare i capelli. Diede uno sguardo ad Elijah e si alzò piano dal letto, accorgendosi quasi subito che qualcosa non andava. Le lancette dell’orologio da parete erano ferme e ogni luce al piano di sotto era accesa.

“Cami” chiamò scendendo giù per le scale. “Sei tu?”

Nessuna risposta, così proseguì e raggiunse la cucina. Si guardò intorno ma non vide nessuno, non subito almeno. Poi il suo sguardo si fermò su una figura seduta a tavola; un uomo. Aveva l’aria familiare ma non seppe dire subito perché.

“Ciao Allison” le disse proprio lui alzandosi e voltandosi a guardarla. E solo allora lei lo riconobbe. Indietreggiò ma capì ben presto che non c’era molto che potesse fare. Una cosa la sapeva per certo però... non doveva farsi prendere dal panico.

“Michael” mormorò. “Tu sei... dovresti essere nella gabbia.”

Lui le sorrise. “Facciamo due chiacchiere.”

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***


10.

 

 

 

 

 

Allison indietreggiò di qualche altro passo e si spostò di lato tenendosi il ventre. Michael alzò le mani fermandosi. “Non devi avere paura di me Allison, io sono uno dei buoni ricordi?”

“Ricordo che eri pronto a scatenare un’Apocalisse solo per poter prendere a calci tuo fratello” replicò lei. “Non mi sembra proprio un’azione da buoni.”

“Ah ah” lui mosse il dito in segno di negazione, poi se lo poggiò sul mento. “Non è proprio così che descriverei la cosa, ma capisco che agli occhi di una semplice umana come te possa sembrare in questo modo. Non è colpa tua, è un limite di voi esseri umani.”

“Se sono solo una semplice umana... limitata, cosa ci fai in casa mia nel cuore della notte?”

“Oh ma io non sono in casa tua” Michael fece una specie di sorriso e il suo viso, il viso di Adam Winchester, divenne quasi sinistro.

Allison provò a ragionare; doveva ammettere di non essere molto lucida in quel momento, però, se aveva capito bene, molte cose iniziavano ad avere senso. Prima fra tutte, come era possibile che né Elijah né Cami l’avessero sentita. “Sto sognando” mormorò guardando per un istante il pavimento, poi l’arcangelo. “Sei nella mia testa.”

“Esatto! Ma non è per te che sono qui. Vedi” lui si poggiò al tavolo. “Le notizie corrono veloci. C’è grande fermento ai piani bassi, sono tutti spaventati per l’arrivo di un magico bambino. Il figlio di una cacciatrice e di un Originale.”

La donna si guardò il ventre, si concentrò ma non riuscì a svegliarsi. “Questo bambino non ha nulla di magico” disse. “È una innocente creatura.”

“Tu credi?” Michael si mise in piedi ed Allison sobbalzò muovendosi in cerchio. “Io credo che in fondo tu sappia che non è così. Non dirmi che una donna sveglia come te non ci ha pensato neppure una volta.”

“Pensato a cosa?”

“A cosa l’unione tra una cacciatrice speciale come te e un vampiro Originale possa generare.” Rimase in silenzio per un attimo. “Niente? Beh lascia che ti illumini.”

“Perché invece non ti levi dai piedi?” lei si guardò intorno alla ricerca di qualcosa anche se non sapeva di cosa.

“La tua bambina” continuò l’arcangelo. “Sì, so che è una bambina. Dicevo, la bambina non sarà una comunissima persona. Non sarà un vampiro se è quello che ti stai chiedendo e chissà, magari vorrà diventare una cacciatrice come sua madre. Non ha importanza in fondo perché il suo destino è già scritto: partorirai il tramite più potente che il mondo abbia mai conosciuto. Potrà contenere ogni tipo di creatura; angeli, demoni, arcangeli... Non è fantastico? Ovviamente non credo che tu sarai in grado di occuparti di un essere così speciale quindi ecco cosa faremo.”

Allison sentì gli occhi riempirsi di lacrime, li chiuse e pensò a Gabriel. Aveva detto che se le fosse capitato qualcosa l’avrebbe sentito... perché non era lì allora?

“Troverai una strega e mi tirerai fuori dalla gabbia e quando la bambina sarà nata, la darai a me ed io mi occuperò di lei e farò in modo che possa sviluppare tutte le sue potenzialità.”

“Puoi scordartelo!” esclamò la cacciatrice avvicinandosi di qualche passo. “Né tu né nessun altro toccherete la mia bambina o Dio mi aiuti...”

Michael rise interrompendola. “Dio ha lasciato l’edificio.”

“Io però no!” esclamò una voce, quella di Gabriel. Sia lei che Michael si voltarono a guardarlo, la cacciatrice respirò di sollievo.

“Ciao ciao” Gabriel toccò la fronte di Allison guardando suo fratello con un sorriso.

Allison si svegliò di colpo e scattò a sedere sul letto con un gemito; era sudata e il cuore le batteva all’impazzata.

“Allison” le disse Elijah poggiandole la mano sulla schiena. “Hey, guardarmi” cercò il suo sguardo. “Stai bene?”

Lei scosse il capo e si alzò. “Gabriel?”

“Sono qui” l’Arcangelo comparve nel mezzo della stanza e le luci si accesero. “Svegliate Camille, dobbiamo andarcene da qui.”

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Come sta?” Freya alzò lo sguardo su Elijah mentre lui raggiungeva l’angolo bar e si versava del bourbon.

“È scossa” l’Originale sbottonò la giacca. “Ma si è addormentata. Che cosa sta succedendo?” volse lo sguardo a Gabriel che stava mangiando delle caramelle, una dietro l’altra.

“La voce si è sparsa, se è arrivata all’Inferno, fin dentro la gabbia di Lucifero e Michael allora... allora tutti lo sapranno prestissimo, se non lo sanno già.”

“Sanno cosa esattamente?” Klaus corrugò la fronte. “Che è incinta?”

Gabriel annuì, mangiò un’altra caramella e respirò a fondo. “La bambina che Allison porta in grembo non è una normale bambina. Sarà il tramite per eccellenza.”

Elijah scambiò una rapida occhiata con suo fratello. “Il tramite?”

“Gli angeli e i demoni hanno bisogno di un tramite per camminare tra gli umani; un vestito di carne per così dire. Per i demoni non è un grande problema, possono possedere chiunque, eccetto qualche rara eccezione, ma gli angeli e gli arcangeli... per loro le cose si complicano. Ogni essere celeste ha un tramite specifico, ufficiale per così dire: il mio è questo” si indicò. “Quello di Castiel è Jimmy Novak, quello di Michael sarebbe Dean Winchester ma Adam è un buon rimpiazzo, quello di Lucifero è Sam e così via” raccontò Gabriel. “Vostra figlia potrà accogliere chiunque: me, Michael, Lucifero, davvero chiunque. Il contenitore perfetto.”

Hayley incrociò le braccia sul petto. “E gli angeli la vogliono per...”

“Per prepararla a dovere e gli Inferi la vogliono perché un contenitore così potente al servizio del Cielo è una minaccia per loro.”

“Smettila di chiamare mia figlia contenitore” sibilò Elijah.

Gabriel lo guardò. “Hai ragione, mi dispiace. Ad ogni modo, radunerò tutti gli angeli ancora sani di mente che posso, per proteggere sia la bambina che Allison. Ci sono ancora dei fratelli che sanno distinguere il bene dal male, devono per forza essercene. Freya, puoi proteggere la casa?”

La strega annuì. “Consideralo fatto.” Gli assicurò. “Quanto a questi angeli, credi davvero che saranno disposti ad aiutarla?”

“Lo spero” rispose sinceramente Gabriel. “Manderò qui Balthazar, non... impazzite quando arriverà.”

“Perché dovremmo impazzire?”

“Perché è identico al vostro folle padre, magliette scollacciate a parte.”

Volò via ed Elijah bevve tutto d’un fiato quello che rimaneva del suo bourbon. Odiava sentirsi impotente mentre la donna che amava e la bambina che portava in grembo erano in pericolo. Ma cosa poteva fare contro inferno e paradiso? Era potente ma non così tanto.

“Proteggeremo Allison e la vostra bambina, fratello.” Gli disse Klaus poggiandogli una mano sulla spalla. “Hai la mia parola che niente e nessuno farà del male a mia nipote e a sua madre!”

Elijah sapeva di potersi fidare. Ma aveva comunque paura.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Allison era sul balcone a prendere una boccata d’aria quando Klaus la raggiunse. “Bellissima serata, non è vero?”

Lei sorrise. “New Orleans ha qualcosa di magico, anche se non ho ancora capito cosa.”

“Forse è proprio il mistero a renderla così magica, non credi?”

“Può essere” la donna fece un grosso respiro mentre i pensieri che l’avevano accompagnata per tutto il giorno tornavano a farle visita. “Grazie Klaus, per quello che state facendo. Angeli e demoni... sono un pericolo anche per voi che siete i grandi Originali, eppure non avete esitato neppure un attimo a decidere di proteggere me e la bambina.”

“Noi Mikaelson faremmo qualunque cosa per la famiglia e tu e il tuo bel ventre rotondo siete parte della famiglia. Sempre e per sempre.”

Allison sentì gli occhi pizzicarle ma deglutì le lacrime e si schiarì la voce. “Ho provato a dirlo ad Elijah ma si è infastidito dicendo che non sono discorsi da fare. Il punto è che io credo che invece lo siano. Quindi lo dirò a te” si voltò a guardarlo e con una mano si accarezzò il ventre. “Se dovesse accadermi qualcosa, vorrei che la bambina si chiamasse Adele. Significa nobile ed è figlia di Elijah Mikaelson, quindi mi sembra appropriato.”

Klaus ridacchiò e le prese una mano. “Adele è un bellissimo nome. Ma sarai tu a darlo alla tua bambina, hai la mia parola!”

La donna sentiva che della parola di Klaus poteva fidarsi. Ma aveva comunque paura.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3626609