Dei e popoli dell'universo - L'ultima battaglia di Ryoda_Oropa (/viewuser.php?uid=59696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La divina serpe ***
Capitolo 2: *** Litigio fra amiche ***
Capitolo 3: *** Il rifiuto di Oropa ***
Capitolo 4: *** L'opera di Ryoda ***
Capitolo 5: *** Tzukino ***
Capitolo 6: *** Combattimento sulla spiaggia ***
Capitolo 7: *** La genesi della divinità ***
Capitolo 8: *** I preparativi per il grande evento ***
Capitolo 9: *** Le regole della contesa ***
Capitolo 10: *** La mente e il braccio armato ***
Capitolo 11: *** Il rivale del cacciatore ***
Capitolo 12: *** L'inizio dell'operazione ***
Capitolo 13: *** Racconto e foto a luci rosse ***
Capitolo 14: *** Maestro contro allievo ***
Capitolo 15: *** Una battaglia aerea furibonda ***
Capitolo 16: *** Tremenda vendetta ***
Capitolo 17: *** Kamikaze, il vento divino ***
Capitolo 18: *** I confetti dell'amore ***
Capitolo 19: *** Desiderio represso ***
Capitolo 20: *** Le voglie di Oyuki ***
Capitolo 21: *** Benten alla riscossa ***
Capitolo 22: *** Il vincitore della contesa ***
Capitolo 23: *** Un regalo per Oropa ***
Capitolo 24: *** In vacanza! ***
Capitolo 25: *** Visite indesiderate ***
Capitolo 26: *** Proposta di matrimonio sulla spiaggia ***
Capitolo 1 *** La divina serpe ***
sa
LA DIVINA SERPE
Paolo scendeva dalla strada di
montagna, torturando sotto le gomme di una potente moto il povero ed indifeso
asfalto; l’aria sul viso lo rendeva euforico ed ogni staccata al limite gli
regalava una scarica di adrenalina. Curva dopo curva, soffocava nel rombo del
motore urla di autentica gioia... ad un tratto notò Lamù seduta sul guard rail.
Parcheggiò la moto e si avvicinò
alla bella aliena incuriosito.
“E tu che ci fai qui?”.
“Guidi come un pazzo. Non ti è
bastata la lezione?”, chiese Lamù al ragazzo.
“Posso farlo solo nei miei sogni,
oramai credo che non mi lasceranno più mettere il sedere su una moto vera. Solo
qui posso sfogarmi”.
“Come va con Lara?”.
“Tutto bene. Ma dimmi una cosa:
cosa ti spinge al mio cospetto?”, domandò Paolo sempre più incuriosito mentre si
apriva una birra ed accendeva una sigaretta.
“Bevi e fumi?!”, lo rimproverò la
bella oni.
“Anche questo, solo nei sogni...
anche se una birra o due con gli amici me le scolo e ho smesso di fumare dopo
l’incidente!”, rispose con sincerità il giovane motociclista.
“Paolo... per caso conosci un
certo Ryoda? E’ apparso all’improvviso e mi è parso sospetto”.
“Mai sentito nominare…”, mentì
perfettamente lui. “Che tipo è?”.
“No, niente. Tutto a posto!”,
esclamò Lamù.
Rimasero per qualche minuto in
silenzio, mentre Paolo finiva la bevanda bevendola direttamente dalla
bottiglia.
Ad un tratto, da dietro la curva
sbucò Benten.
Paolo la osservò incredulo mentre
lei procedeva sicura nella sua direzione.
“Come sei arrivata qui?”, chiese
Lamù.
“Ti ho piazzato addosso un
tracciante oggi, quando hai accennato che saresti venuta nottetempo a parlare
con qualcuno... il resto è stato facile: mi è bastato localizzare la distorsione
da te creata e mi sono trovata qui”, rispose l’amica.
Paolo si alzò e si avvicinò alla
dea, accennò un timido saluto e lei, sorridendo, gli chiese: “Oropa ti
assomiglia molto, non è vero?”.
“E' la mia copia quasi esatta!”,
rispose Paolo.
Benten gli appoggiò le mani sulle
spalle e chiuse gli occhi, avvicinando il suo corpo a quello del ragazzo. Paolo
attendeva felice lo schiocco delle labbra della ragazza contro la sua guancia...
invece, il ginocchio della dea impattò violentemente contro la sensibile zona
inguinale dello sfortunato ragazzo, ignaro delle reali intenzioni della
fanciulla.
“ALLORA SEI STUPIDO, ORGOGLIOSO,
ESIBIZIONISTA, SUSCETTIBILE, IRRITANTE, EGOISTA E SEI... SEI... ODIOSO!!”, gridò
Benten all’indirizzo del povero Paolo prima di allontanarsi a grandi
falcate.
Lamù si affrettò a sorreggere il
ragazzo, spiegandogli lo strano comportamento del suo alter ego in yukata.
“Lo capisco”, disse Paolo. “Ci
sono passato anch’io con Lara... non mi sentivo degno di lei, l’ho respinta
facendola soffrire inutilmente e mi sono imposto di cambiare cercando di
migliorare, di essere una persona più forte, sulla quale si potesse fare
affidamento... e non il solito, capriccioso, volubile Paolo... PERO’ LARA E’ BEN
PIU’ GENTILE RISPETTO AD UNA CERTA DEA CHE CONOSCO!!", gridò poi all’indirizzo
di Benten, convinto che questa fosse ormai lontana... invece, da dietro la curva
ove era sbucata in precedenza la dea, un missile guizzò e finì contro la moto
del ragazzo, facendola esplodere.
Paolo e Lamù rimasero a bocca
aperta e non parlarono per un bel po’ di tempo.
“Tu però saprai già quello che ho
passato, vero?!”, chiese infine il ragazzo alla oni, accendendosi una seconda
sigaretta.
“Lo ammetto!”, rispose con uno
splendido sorriso Lamù. “Leggo tutto quello che ti passa nella testa su un
diario magnetico che ho creato io; registra i tuoi pensieri ogni giorno, io li
leggo e li cancello, per far spazio a quelli del giorno successivo. E’ la mia
lettura preferita!”, si giustificò facendo gli occhi dolci.
“Alquanto... invasivo, non credi?
Oltre a guardare la serie animata, ora leggi anche il romanzo della mia vita!”,
scherzò lui.
Poi nel tentativo di sedersi
sulla barriera a bordo strada scivolò giù per uno strapiombo, svegliandosi.
Oropa atterrò su una piatta zolla
di terra che vagava nell’universo.
“I dati inseriti mi hanno
condotto qui... dovrebbe essere il posto giusto, ma non ci capisco niente di
navigazione stellare! Che seccatura!!”.
La zolla, semisferica e protetta
da una strana atmosfera, era sufficientemente grande per ospitare un quartiere
intero come Tomobiki; era ricca di vegetazione e corsi d’acqua, con alberi da
frutta disseminati ovunque e alcuni placidi mammiferi erbivori che vagavano
tranquilli.
Il luogo aveva qualcosa di
sovrannaturale, armonioso... divino.
Una grossa montagna sorgeva al
centro della piatta superficie dell’asteroide, composta da spessi anelli che
andavano stringendosi con l’aumentare dell’altitudine: era coperta da una
rigogliosa vegetazione e sulla sommità si scorgevano due grossi tronchi
ramificati e spogli.
“Se qui c’è un essere divino, è
certamente lassù!”, esclamò soddisfatto Oropa.
Ad un tratto la montagna prese a
vibrare e le spire che la componevano andarono sciogliendosi... gli alberi sulla
sommità si rivelarono essere enormi corna e la montagna intera un serpente
millenario immenso, una creatura oltre l’immaginazione e la comprensione
umana.
La testa della creatura si levò
fino al cielo, poi si abbassò a terra, poggiandosi di fianco al ragazzo con un
tremendo boato.
La serpe aprì gli occhi, con
Oropa che stava proprio di fianco ad uno di essi: era color oro e tagliato
verticalmente da una stretta e nerissima pupilla.
Il ragazzo intuì di essere alto
circa la metà dell’occhio destro dello sconfinato essere.
“Mi aspettavo qualcosa del
genere”, disse Oropa fingendosi tranquillo; in realtà tremava di paura e rivolse
un pensiero a Benten.
La serpe si scostò bruscamente
rischiando di travolgere il ragazzo, che si coprì istintivamente il volto con
entrambe le braccia per evitare che i detriti di terra sollevati dal moto
dell’animale lo accecassero.
Quando spostò le braccia e riaprì
gli occhi si trovò l’enorme lingua biforcuta della serpe vicinissima al corpo,
mentre violenti sbuffi di alito provenienti dalle fauci lo investivano,
facendolo barcollare e strapazzando il suo yukata.
Una voce possente tuonò
nell'aria.
“SEI GIUNTO FINO A ME INVANO,
MISERO ESSERE MORTALE! LA TUA
BREVE VITA NON E’ CHE UN ATTIMO DEL MIO TEMPO. IO SONO OROCHI,
LA DIVINITA’.
ACCETTA LA FOLLIA
DEL TUO GESTO, MISERO MORTALE: VOLTANDO LE SPALLE ALLA FORTUNA
E GIUNGENDO AL MIO COSPETTO, HAI COMPIUTO IL TUO DESTINO. ORA MUORI NELLE MIE
FAUCI IN MODO CHE IO POSSA TORNARE AL MIO SECOLARE RIPOSO".
“Io...”.
“HAI PAURA!”, sibilò l’enorme
serpe.
“Io... ho abbandonato il mio
cuore...”, disse Oropa con un filo di voce.
“NON M’INTERESSA”.
“Ho... abbandonato il mio sogno.
Vorrei… poter dimenticare...”.
“NON
HA PIU’ ALCUNA IMPORTANZA”.
Oropa
si inginocchiò dinanzi all'enorme bestia, abbassando la fronte fino a toccare il
suolo.
“Voglio...
tornare all’origine... del mio destino...”.
“NON
HAI PIU’ UN DESTINO”.
“Non
sarò lo stesso Oropa. Non sarò più... accecato dall’amore...”.
“LO
HAI GIA’ PERDUTO! BENTEN STA PREGANDO IN MODO CHE IO TI FACCIA SPARIRE DALLA SUA VITA E
DALLA SUA MENTE!”.
“Non
avrò più... paura di lei. Non dovrò più... appoggiarmi a lei...”.
“NON
AVRAI NULLA! LA MORTE
NON E’ ALTRO CHE LA FINE DI TUTTO!”.
Il
ragazzo si rialzò e si denudò il busto lasciando che il suo yukata
scivolasse, fermandosi in vita trattenuto dall’obi.
Poi
cercò in quell’enormità un appiglio, vi si aggrappò e scalò il muso dell’enorme
serpe.
“Tu
sei in grado di leggere la mente, bestione. Se è vero che uccidi le persone solo
per il semplice fatto che giungono al tuo cospetto... mi fai ribrezzo. Sei un
essere stupido e rivoltante!!”.
“COME
OSI RIVOLGERTI A ME CON SIMILI PAROLE?!”. Gli occhi della serpe si strinsero su
quel minuscolo ed arrogante essere umano.
“Oso
perché non ho speranza, dal momento che hai deciso di porre fine alla mia
esistenza… ed io lo accetto, ma almeno voglio che tu senta dalla mia voce ciò
che penso di te, senza leggermelo nella testa”.
Il
serpente sollevò altissima la testa nella volta , portando con sé Oropa.
“MIGLIAIA
DI ESSERI SONO GIUNTI AL MIO COSPETTO, MIGLIAIA DI ESSERI SI SONO PROSTRATI
IMPLORANDOMI,ORNANDOMI CON DONI DI OGNI GENERE ED I PIU’ NOBILI APPELLATIVI... E
TU... TU OSI INSULTARMI!!”, esordì stupito Orochi.
“Siamo
molto in alto, vero?!”, domandò il ragazzo senza guardare giù.
“SE
CADESSI DA QUEST’ALTEZZA, TI RITROVERESTI CON TUTTE LE OSSA RIDOTTE IN
POLVERE!”, rispose prontamente la divinità.
“Non
mi hai ancora ucciso...”.
“SODDISFERO’
UN PO’ LA MIA
CURIOSITA’, PRIMA DI FARLO... ERA DA MOLTO TEMPO CHE NON
RICEVEVO ALCUNA VISITA...”.
“Se
ora guardassi giù, avrei paura e mi aggrapperei alle tue corna... lo capisci
perché sono qui? Amore, amicizia, fortuna... io ho trovato ogni cosa senza
essermela guadagnata, senza averla rincorsa, senza averla bramata... ero già in
alto, come ora, e partendo da così in alto non si può che cadere giù!”.
“HAI
DETTO UNA COSA MOLTO SAGGIA”, proferì la serpe visibilmente stupita.
“Se
non desideri ardentemente qualcosa e non fai follie per averla, sarà facile
perderla perché non gli verrà reputata la giusta importanza”.
La
serpe riportò al suolo il ragazzo e si avvolse nuovamente a spirale, appoggiando
il testone sulla sommità e fissando con occhi colmi di curiosità quello strano
giovane.
“Rendimi
un uomo degno di una dea, dell’amicizia delle persone, della fortuna di
vivere...”.
“NON
E’ POSSIBILE! SE IO TI FACESSI DONO DI UN SIMILE DESTINO... NON SARESTI
SODDISFATTO COMUNQUE, OROPA”.
“Hai
perfettamente ragione. Non voglio un dono; io ti chiedo di poter stare al tuo
servizio, di apprendere da te forza, nobiltà d’animo, saggezza... di avvicinarmi
ad una divinità e rubare i suoi segreti”.
“TU
NON CHIEDI... MA OFFRI!”, sibilò incredula la serpe. “OFFRI LA TUA COMPAGNIA AD UN
MOSTRO ASSASSINO QUALE SONO CONOSCIUTO!!”.
“Hai
indovinato, bestiaccia!”, disse sorridendo il giovane per essere riuscito ad
interessare la divinità prima che questa lo uccidesse senza pensarci due
volte.
“MODERA
L’ENTUSIASMO!”, ruggì il possente essere. “NON HAI NULLA CHE POSSA INTERESSARMI,
NULLA DI CUI IO POSSA GODERE, NULLA CHE VALGA IL MIO TEMPO!”.
“Ma
come?! Sei qui da tantissimo tempo nella più totale solitudine e non gradisci
fare quattro chiacchiere?! Sono anche un bravo cuoco se vuoi saperlo... te lo
dico di nuovo: mi potrai chiedere ogni cosa ed io farò il possibile per
soddisfarti!”.
“E
COSA GUADAGNERESTI, NEL SERVIRMI?”, domandò incuriosita la serpe.
“Mi
sembra di parlare con un muro”, pensò Oropa.
“Io
ho già guadagnato qualcosa! Non mi hai ancora ucciso e questo mi fa davvero
piacere! Essere al cospetto di una divinità cruenta quale sei, sapendo che in
ogni istante potresti eliminarmi senza sforzo… e vedere che non lo fai è per me
una soddisfazione incredibile! Ciò mi carica di adrenalina… sarò folle, ma io
non vedo questa grande differenza fra me e te, sei solo più grosso e
potente!”.
“HAI
VISTO RAIGO E HAI TENTATO DI AFFRONTARLO... SE BENTEN NON TI AVESSE PROTETTO
ILLUMINANDOTI DI TUTTO IL SUO POTERE SARESTI GIA’ MORTO! QUI IL SUO POTERE NON
ARRIVERA’... NON HO BISOGNO DI CHIEDERTI NULLA... LEGGO NEI TUOI PENSIERI CHE
SEI DETERMINATO!”.
“Affare
fatto, allora?!”, chiese Oropa tremante di soddisfazione.
“TEMPO
FA MI FU DONATA UNA MONTAGNA DI CARNE COME SACRIFICIO. L’HO MANGIATA TUTTA E PER
MIA SFORTUNA, HO CONTRATTO LA TENIA INTERGALATTICA, UN
TERRIBILE PARASSITA INTESTINALE. LIBERAMI DAL TORMENTO CHE MI PROCURA E
LA TUA
RICHIESTA SARA’ ESAUDITA!”.
Oropa
si rivestì dello yukata, incrociò le braccia e chiuse gli occhi
pensieroso.
“NON
POSSO CREDERCI!”, pensò il colossale serpente. “QUESTO RAGAZZO STA’ GIA’
PENSANDO SUL DA FARSI, SENZA NEMMENO PREOCCUPARSI DI INDAGARE ULTERIORMENTE! MI
DIVERTIRO’ IN SUA COMPAGNIA”.
“Le
tenie non sono altro che stupidi vermi che si nutrono di letame!”, rispose
divertito Oropa. “Per me sarà un giochetto da bambini!”.
Detto
ciò, il giovane si mise a rovistare fra gli arbusti del suolo ed estrasse alcune
piante ripulendone i bulbi dalla terra; poi cercò un sasso aguzzo e cominciò a
colpire il tronco di una pianta poco distante, facendo sgorgare una resina densa
ed appiccicosa.
Prese
una pietra piatta e pestò con un ciottolo i bulbi di aglio, mescolando la
poltiglia ottenuta con abbondante resina.
Fatto
ciò, si spalmò interamente le vesti e la pelle di quella sostanza; poi tornò al
cospetto della divinità e chiese un’arma.
“LAGGIU’,
IN QUELLA FOSSA!”, rispose la serpe.
Oropa
si avvicinò alla larga buca e guardò giù, dove giacevano armi e armature di ogni
foggia e dimensione.
“SONO
I RESTI DEI VALOROSI CHE SONO GIUNTI AL MIO COSPETTO. CI SONO ARMI INCREDIBILI,
LAGGIU’… VEDI QUELL’ENORME SPADONE D’OSSO BLUASTRO?! E’ STATO FORGIATO UN
MIGLIAIO DI ANNI FA DA UN CACCIATORE MOLTO ABILE NELLA LAVORAZIONE DI MATERIALI
RARI ED E’ STATO TRAMANDATO PER GENERAZIONI ALL’INTERNO DI UNA STIRPE DI
ABILISSIMI ARMAIOLI. E’ AFFILATISSIMO, PESANTISSIMO, UNICO… SI CHIAMA OBELION,
COME IL VARANO DIVINO DAL CUI OSSO E’ STATO FORGIATO!”.
“Aggiudicato!”,
esclamò Oropa battendo un pugno sul palmo della mano.
“PRIMA
DEVI RIUSCIRE AD AFFERRARLO E A PORTARLO FUORI DALLA BUCA!”, sibilò divertita la
serpe.
Oropa
si fece scivolare nella buca, raggiunse lo spadone camminando lentamente sulla
superficie formata dal catasto di armature e tentò invano di sollevarla.
“NON
CI RIESCI, VERO?! NON SEI ANCORA DEGNO DI LEI… PRENDI UN’ARMA QUALSIASI PIU’
ADATTA A TE!”.
Il
ragazzo scrutò in cerca di un’arma e ripiegò su una corta wakisazi, una
spada dritta usata solitamente in coppia con una più lunga ed uscì dalla buca
con la lama stretta fra i denti.
“Io
sono pronto!”, esclamò Oropa sicuro di sé dopo essere tornato al cospetto di
Orochi.
La
serpe si distese al suolo e sollevò la parte terminale dello sconfinato corpo,
scoprendo l’entrata dell’antro dove si annidava il terribile parassita.
“ACCOMODATI
PURE!”, sibilò divertita.
“Cerca
di non agitarti troppo!”, proferì Oropa, ormai all’interno del corpo della
colossale creatura.
La
serpe chiuse gli occhi e si concentrò per ascoltare i pensieri del giovane, che
andava infilandosi all’interno del suo corpo.
“Ma
tu guarda in che situazione mi sono cacciato!”, si lamentò il povero
Oropa. “Non si vede niente! Qui è anche molto stretto e le pareti sono molli
e coperte di una strana sostanza appiccicosa... mi viene da
vomitare!”.
La
serpe accennò un sorriso prima di rimettersi in ascolto.
“Che
puzza! Mi viene da vomitare... sarà meglio estraniarsi da questo luogo e pensare
solo a ciò che devo compiere...”.
“MOLTO
BENE!”, pensò soddisfatto Orochi.
“La
gelida mano di Oyuki che scivola sul mio petto... fino ad arrivare all’altezza
del pube... che libidine!”.
La
serpe spalancò gli occhi e rimase senza parole.
“Lamù
che si siede nuda sopra di me... che visione paradisiaca! Poi prende le mie mani
per farmi toccare i suoi turgidi capezzoli...”.
Orochi
spalancò nuovamente gli occhi insieme all’enorme bocca.
“Benten,
invece, mi strapperebbe lo yukata di dosso, mi morderebbe le labbra e mi
spingerebbe contro un muro, calcando il suo corpo contro il mio... maledizione!!
Ho troppa voglia di...”.
“SMETTILA
DI IMMAGINARE SIMILI PORCHERIE, RAZZA DI PERVERTITO!!”, gridò esasperata la
serpe.
“Stava
ascoltando i miei pensieri!”, notò Oropa.
I
suoi pensieri si bloccarono di colpo e dall’interno dell’enorme creatura si udì
un tremendo grido.
La
tenia, con la sua bocca a forma di ventosa costellata da una miriade di piccoli
denti uncinati, aveva appena morso Oropa al ventre; il dolore esplose
all’improvviso gettando il giovane nel panico.
Tuttavia
lo speciale unguento all’aglio che il ragazzo si era applicato funzionò alla
perfezione e il grosso verme fu costretto a mollare la presa e ad
allontanarsi.
Nel
tentativo di immobilizzarla, Oropa si rese conto delle dimensioni del parassita:
la sua bocca era enorme ed il viscido corpo era grosso come un tronco
d’albero.
Inoltre
l’animale si dimenava furiosamente a causa del contatto con l’unguento d’aglio,
mentre il ragazzo non riusciva a muoversi liberamente ed era costretto a
proteggersi come meglio poteva; neppure i suoi occhiali speciali potevano
essergli molto d’aiuto.
Era
al buio, immobilizzato e subiva morsi dalla terribile bocca dentata del
verme.
Poi
ebbe un’idea geniale: attese di sentire il morso della bestia e conficcò nella
sua carne la spada, col filo della lama rivolto verso di sé. La tenia attaccò la
coscia destra di Oropa, che affondò tutta la lama nella testa del viscido
parassita e questo, ritraendosi, si aprì la testa in due.
Vedendo
la bestia gravemente ferita, Oropa cominciò a tagliarla a pezzi con la sua corta
spada.
Oropa
uscì dall’ano della divinità portandosi un trancio di tenia sulla spalla.
Era
ricoperto del suo stesso sangue e di quello del verme; in più, presentava ferite
più o meno gravi su tutto il corpo.
Spossato
e ferito, il valoroso giovane cadde a terra sfinito.
“RAGGIUNGI
QUELLA FONTE D’ACQUA LAGGIU’ ED IMMERGITI; E’ UNA FONTE CURATIVA”, consigliò
Orochi.
“Sai
accendere... un fuoco?”, chiese Oropa ansimando per la fatica.
La
serpe lo fissò e notò che il ragazzo singhiozzava, poi prese fra le sue fauci
alcuni arbusti secchi ed emise due fiammate dalle sue narici; in pochi minuti si
sviluppò un bel fuoco.
Il
ragazzo si alzò a fatica, tagliò un pezzo di carne dal corpo della tenia e si
diresse zoppicando verso il fuoco.
“Voleva
mangiarmi”, disse Oropa lacrimando mentre lasciava cuocere la carne su una
pietra rovente. “Sentivo che mi mordeva con una forza incredibile, prima di
staccarsi da me a causa dell’aglio... ma ora sarò io a mangiare lei!”, concluse
il giovane.
“NON
PIANGE PER LA
PAURA, PER IL DISGUSTO O PER LO SPAVENTO. PIANGE PERCHE’
L’UNGUENTO A BASE DI AGLIO CHE GLI STA CURANDO LE FERITE BRUCIA TREMENDAMENTE!
MA CHI E’ QUESTO PAZZO? CHI SEI, OROPA?”, si chiese colpita la
divinità.
Il
ragazzo tolse dal fuoco il pezzo di carne abbrustolito ed iniziò a masticarlo
con vigore prima di ingoiarlo con una smorfia di disgusto.
La
serpe avvicinò la possente testa al giovane e gli intimò disgustata: “FINISCILA!
MI FAI SCHIFO!”.
Oropa
si limitò ad una gelida occhiata e poi domandò: “Il dolore che sento in questo
momento... è almeno paragonabile a quello che ho causato a Benten?”.
“NON
E’ POSSIBILE FARE UN PARAGONE”, fu la risposta della divinità. “SI TRATTA DI DUE
TIPI DIVERSI DI DOLORE!”.
“Sei
un essere veramente inutile!”, esclamò il giovane prima di crollare a terra e di
abbandonarsi alle visioni della sua mente.
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Capitolo 2 *** Litigio fra amiche ***
sa
LITIGIO FRA
AMICHE
Sulla
Terra, intanto, tutto sembrava essere tornato alla normalità dopo gli
avvenimenti sul pianeta degli ainu.
Lamù
ed Ataru, sulla strada verso casa, discutevano su come organizzare un weekend al
mare.
“Invitiamo
Mendo e Shinobu!”, esordì Lamù.
“Mi
sembra un po’ banale. Quest’anno vorrei che fossimo un gruppo numeroso pieno di
belle ragazze in costume!”, rispose Ataru sghignazzando.
“Dillo
un’altra volta e ti lancerò una scarica potentissima!”, sibilò minacciosa la
ragazza.
“Scherzi
a parte, vorrei che ci fossero Oyuki, Kurama con quel saccente professore,
Sakura insieme a Tsubame, Benten e...”.
Ataru
si bloccò e ripensò insieme a Lamù alle folli parole pronunciate da Oropa poco
prima di lanciarsi con la capsula di salvataggio.
“Ma
certo!”, esclamò improvvisamente la bella aliena facendo sobbalzare Ataru. “Ogni
capsula ha un chip tracciante! Dal mio ufo sapremo se e dove è atterrato e
potremmo recarci direttamente nello stesso luogo!”.
“Hai
avuto un’ottima idea”, disse Ataru. “Ma mi domando se vorrà vederci
ancora...”.
Lamù
abbassò gli occhi e smise di volare, camminando a fianco del suo tesoruccio mano
nella mano.
“Credo
che prima sarà meglio parlare con Benten…”, continuò lei.
“Benten
ti sparerà, poi prenderà la tua navicella e seguendo il segnale del tracciante
arriverà ad Oropa… e sparerà anche a lui!”, disse con ritrovata ironia
Ataru.
“RIPETILO,
SE NE HAI IL CORAGGIO!”, gridò madida di sudore Benten, mentre calcava nella
bocca di Lamù la canna del suo bazooka. La dea indossava una pesante corazza
metallica ed aveva un aspetto molto stanco: occhiaie bluastre bordavano i suoi
occhi neri e le guance sembravano leggermente scavate.
Vedendo
Lamù paralizzata dalla paura, ritirò l’arnese e lo ripose su una panca;
l’interno del suo ufo sembrava diventato una palestra, con attrezzi ginnici
sparsi ovunque.
“Allora
non vuoi accompagnarmi?”, chiese la bella oni con estrema cautela.
“Non
ho tempo da perdere! Devo continuare ad allenarmi!”, fu la secca risposta di
Benten. “E poi, quell’idiota è l’ultima persona dell’universo dalla quale io
voglia recarmi!”.
Mentre
parlava, la dea si era messa a sollevare ritmicamente dei pesi con entrambe le
braccia.
“Cerca
di capirlo, Benten. Avrà avuto un attimo di debolezza e…”. Lamù non fece in
tempo a finire la frase che la dea gli fu addosso, fronte contro fronte.
“Tu
come reagiresti se Ataru scappasse abbandonandoti?!”, disse la dea della fortuna
in preda alla collera.
“A
dire il vero, lui scappa sempre!”, rispose con un sorriso Lamù.
“Ma
io non sono una stupida come te, che gli corre dietro come un cagnolino
scodinzolante!”, affermò Benten.
“Aspetta
un secondo!”, disse Lamù visibilmente irritata. “Tu credi davvero che io sia un
cagnolino scodinzolante?!”.
“E
cos’altro, altrimenti?”, ringhiò furente la dea prima di cominciare a
scimmiottare l’amica. “Tesoruccio, aspettami! Tesoruccio, non fare così!
Tesoruccio, non guardare le altre ragazze! Devi amare solo me,
tesoruccio!”.
Lamù
cominciò a mostrare i lunghi canini e a portare in voltaggio il suo impianto
elettrico, poi si rivolse all’amica con fare di sfida.
“Ha
parlato quella che chiamava Oropa amoruccio!”, esclamò Lamù mostrando i
canini aguzzi e minacciando l’amica con aria di sfida.
Ataru
attendeva fuori con le braccia conserte il ritorno di Lamù brontolando per il
tempo che stava perdendo su quel pianeta disabitato dove Benten aveva
posteggiato la sua navicella.
Un’esplosione
squarciò i suoi pensieri, seguita da un fragoroso tuono.
Dall’ufo
della dea si levò una densa colonna di fumo nero, prima che altre esplosioni ne
distruggessero ampie porzioni.
Ataru
si coprì il volto con le braccia mentre lo spostamento d’aria lo scaraventò
lontano; in mezzo a quell’improvviso inferno vide Lamù scagliare fulmini verso
l’amica, mentre quest’ultima rispondeva coi colpi del suo bazooka.
Tuttavia
le qualità acrobatiche nel volo della oni rendevano impossibile a Benten
di colpirla, così la dea optò per un grosso missile ad inseguimento che guizzò
dal lanciatore appoggiato sulla sua spalla all’indirizzo dell’amica.
L’esplosione
fu violentissima e Lamù iniziò a precipitare, ma prima di cadere al suolo colpì
la dea con una scarica violentissima, approfittando della distrazione di
quest’ultima.
Ataru
restò esterrefatto dalla visione delle due ragazze che si davano battaglia.
Le
due aliene si rialzarono faticosamente, fissandosi in modo cagnesco: Lamù
ricominciò a generare elettricità, condensandola nelle mani prima di inviarla
all’indirizzo della rivale. Benten puntò contro di lei un secondo missile. Ataru
scattò in direzione delle due.
“Con
questo chiudo la partita!”, disse la dea prima di far fuoco sul bersaglio.
“Ti
friggerò come un gamberetto!”, fu la risposta di Lamù prima di lasciar andare la
sua scarica.
“ORA
BASTA!”, gridò Ataru, mettendosi fra le due contendenti.
L’ardimentoso
ragazzo venne fulminato un attimo prima di essere colpito dal missile; ricadde
al suolo inerme, con le due aliene sbigottite.
“Che
cos’hai fatto al mio tesoruccio adorato?!”, gridò Lamù.
“Sei
stata tu a colpirlo per prima, stupida!”, rispose Benten.
“Visto
che per te sono solo una stupida... A MAI PIU’ RIVEDERCI!”, sbraitò fuori di sé
la bella oni.
“VA’
AL DIAVOLO! ANDATE AL DIAVOLO TUTTI!!”, urlò Benten prima di chiudersi in quel
che restava del suo ufo.
Lamù,
con la pelle annerita dal fumo delle esplosioni e qualche escoriazione, raccolse
ciò che restava del suo tesoruccio, lo caricò sulla sua navicella e decollò in
tutta fretta.
Lacrime
amare cadevano dal suo viso sui comandi dell’astronave.
“Questa
è tutta colpa tua, Oropa!”, pensò Lamù furiosa. “Te la farò pagare
cara!”.
“Mi
fischiano le orecchie”, disse Oropa alla serpe. “Credo che stiano parlando male
di me…”.
“HAI
INDOVINATO, PULCE!”, rispose Orochi.
Oramai
era passato già un mese dall’arrivo di Oropa sull’asteroide della divinità.
Grazie ad un passaggio dimensionale, costituito da una pozza d’acqua, Orochi
inviava il giovane a svolgere ogni genere di servizio presso popolazioni di
mondi lontani, in base alle preghiere che gli giungevano.
La
divinità sceglieva per il suo servo situazioni critiche ed a rischio della vita;
per nessuna ragione doveva svelare la sua identità di suo umile servitore, ma di
presentarsi come un viandante trovatosi lì per caso.
Oropa,
ad esempio, aveva aiutato alcuni contadini impegnati ad arginare una violenta
alluvione; lì aveva visto la devastante potenza dell’acqua, che travolge e
trascina ogni cosa… ed aveva vissuto la sua prima, grande tragedia: un bambino
era scomparso durante una violenta ondata di piena... fu lui a ritrovarlo, morto
annegato.
Il
ragazzo era tornato alla dimora del dio letteralmente furioso.
“AVRESTI
POTUTO SALVARLO, MALEDETTA BISCIA SCHIFOSA!!”, gridò in lacrime.
“SE
CANCELLASSI IL DOLORE E LA
MORTE, LE PERSONE SI COMPORTEREBBERO COME DELLE SCRITERIATE”,
fu la risposta della serpe.
“POTEVI
SALVARLO E NON HAI FATTO NULLA!”, sbraitò fuori di sé Oropa, folle di
dolore.
“PERCHE’
LUI? E NON ALTRI MIGLIAIA DI PICCOLI CADAVERI? LO SAI QUANTA GENTE SOFFRE
LA PERDITA DI UN
PROPRIO CARO OGNI MINUTO CHE PASSA?!? DOVRESTI ASCOLTARE LE LORO
PREGHIERE!!”, sibilò Orochi.
Oropa
pianse per tre giorni e tre notti, mentre sull’asteroide svolgeva i compiti che
la serpe gli assegnava quotidianamente: abbattere alberi per ottenere legname da
ardere, frantumare pietre con una pesante mazza di ferro, scavare profonde
buche… queste erano le mansioni più semplici che il ragazzo svolgeva.
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Capitolo 3 *** Il rifiuto di Oropa ***
sa
IL RIFIUTO DI
OROPA
Arrivò
una notte molto buia; Oropa dormiva disteso sull’erba fresca, sfinito dalle
pesanti faccende, mentre la
divinità riposava arrotolata su se stessa, come una montagna.
Dalla
pozza d’acqua, finestra aperta su ogni mondo, cominciarono ad arrivare creature
basse e tozze, che si muovevano con fare furtivo, portandosi dietro delle grosse
ceste.
Oropa
si svegliò subito, disturbato dai sospetti fruscii.
Scattando
in piedi vide che le creature, alte circa la metà di lui, erano aggrappate alla
serpe e stavano rimuovendo delle scaglie della sua pelle con l’ausilio di corti
pugnali.
Questa
però non accennava a svegliarsi ed ogni volta che uno di quegli esseri infilzava
la sua pelle con l’arma, dalla ferita cominciava ad uscire del liquido scuro; il
ragazzo pensò che potesse essere sangue e cominciò a preoccuparsi.
Oropa
impugnò la wakisazi e silenziosamente prese ad avvicinarsi.
Man
mano che accorciava le distanze fra sé e i mostriciattoli, si rese conto della
situazione: stavano letteralmente squamando la serpe!
"Smettetela
subito!", ordinò Oropa all’indirizzo di quelle bestiacce.
Queste
si voltarono verso di lui, puntandogli contro enormi occhi spiritati prima di
riprendere il lavoro.
Oropa
sguainò la corta spada e si avventò su uno di quei mostriciattoli con lo scopo
di spaventarli.
La
creatura si girò di scatto e gli puntò minacciosamente contro il pugnale, mentre
tre suoi simili arrivarono a dargli man forte.
“Da
solo contro quattro... sarà dura!”, si disse il giovane.
Attaccò
con un fendente, ma una delle creature scattò rapidissima di lato e lo colpì
allo stomaco con un pugno che lo costrinse a piegarsi in avanti; dopodiché, un
secondo mostriciattolo gli assestò una pedata.
“Questi
esseri sono... dei kappa!”, pensò il ragazzo a terra.
Oropa
si lanciò nuovamente alla carica, ma i kappa, con movimenti rapidissimi,
lo circondarono e lo colpirono ripetutamente su ogni parte del corpo. Lo
sfortunato spadaccino cadde nuovamente al suolo e le creature lo gettarono nella
fossa dove giacevano armature, spade ed ossa.
“Avrei
bisogno di tre spade”, esclamò il ragazzo.
Improvvisamente,
Oropa si voltò e vide lo spadone chiamato Obelion dalla serpe illuminato di una
fioca luce blu. Strinse forte l’impugnatura nella sua mano e tirò a sé l’enorme
spada.
“Anche
se sembra più leggera, dovrò usare entrambe le mani”, si disse il ragazzo prima
di sbucare fuori dal pozzo.
Le
prime luci dell’alba illuminarono una serpe mezza squamata e sanguinolenta
circondata da una trentina di kappa.
“BASTARDI!”,
gridò Oropa puntando Obelion al loro indirizzo.
I
kappa si voltarono e lo attaccarono tutti insieme, ma il ragazzo sollevò
lo spadone e lo roteò con tutta la sua forza che aveva, spazzandoli via.
“Fantastico!”,
si disse stupito. “Impugnandolo con entrambe le mani, riesco a brandirlo alla
perfezione!”.
Gli
esseri si rialzarono e sfoderarono i loro pugnali, puntandoli contro il
giovane.
“Siete
spacciati!”, esclamò Oropa sorridendo con malizia.
I
kappa attaccarono in massa, ma il loro nemico si muoveva così rapidamente
che non riuscivano a capire da dove venivano attaccate e furono letteralmente
sbaragliate.
“Basta
lasciarsi guidare dallo spadone senza opporre resistenza al suo peso!”, pensò
Oropa dopo aver abbattuto le creature come birilli.
Quando
la divinità si svegliò, aprì gli occhi sul campo di battaglia: i kappa si
lamentavano stesi a terra per il dolore, mentre Oropa stringeva ancora con
entrambe le mani Obelion.
“COSA
E’ SUCCESSO QUI?”, domandò la serpe.
“Era
ora che ti svegliassi, stupido bestione!”, rispose sprezzante Oropa. “Non ti sei
accorto che questi mostriciattoli ti stavano squamando vivo?!”.
“I
KAPPA!”, esclamò allarmata la divinità. “ME NE SONO COMPLETAMENTE
DIMENTICATO!”.
“Si
può sapere che cosa stai blaterando?!”, affermò il giovane spadaccino.
“NON
LI AVRAI UCCISI?!”, chiese sempre più allarmata la serpe.
“No,
ho dato loro solamente una bella batosta!” ridacchiò Oropa trionfante.
“IDIOTA!”,
urlò all’indirizzo del giovane la divinità. “QUESTI KAPPA VENGONO OGNI
VENTI ANNI PER RIMUOVERE DAL MIO CORPO LE SQUAME VECCHIE E PERMETTERE A QUELLE
NUOVE DI CRESCERE!”.
Oropa
appoggiò la punta dello spadone al suolo e si passò una mano sul volto,
guardando tutti i kappa che stavano lentamente riprendendo
conoscenza.
Il
serpentone abbassò la testa per scrutare gli occhi del giovane e non appena fu
abbastanza vicino, Oropa usò Obelion per assestare un violento colpo sul muso
del bestione.
“MA
CHE TI E' PRESO?!”, disse la serpe dopo essersi allontanata precipitosamente dal
giovane.
“COME
POTEVO SAPERE DELLE TUE STUPIDE CURE PER IL CORPO?!?”, ringhiò furibondo il
ragazzo. “LA PROSSIMA VOLTA LASCERO’ CHE TI
AMMAZZANO E SE NON LO FANNO LORO, LO FARO’ IO!!”.
Detto
ciò, Oropa si allontanò afferrando uno dei kappa per un braccio e lo
scaraventò nella fonte curativa.
“LI
AIUTERAI A FINIRE IL LAVORO E, QUANDO SE NE SARANNO ANDATI, LUCIDERAI UNA AD UNA
LE MIE SQUAME NUOVE!”, sibilò Orochi chiedendosi se lo spadaccino si fosse
davvero preoccupato.
Oropa
lanciò un’occhiataccia alla serpe e disse: “Mi sono spaventato sul serio,
stupida biscia!”.
“E
CHIEDIMI SCUSA PER IL COLPO CHE MI HAI INFERTO POCO FA! QUELL’ARMA E’ MOLTO
PERICOLOSA ED E’ STATA UNA FORTUNA CHE NON MI ABBIA FERITO”.
“Lo
farò solo dopo che le mie orecchie avranno udito le tue scuse!”, rispose
il cocciuto ragazzo.
Improvvisamente
la serpe levò la testa al cielo e rimase come in ascolto per alcuni istanti
prima di ordinare ai kappa di far ritorno nel loro mondo.
Non
appena quegli esseri scomparvero nella pozza, Oropa chiese: “Che ti prende,
ora?”.
“ABBIAMO
VISITE!”, rispose la divinità.
“Di
chi si tratta?”, domandò nuovamente Oropa.
“E’
LAMU’!”, rispose Orochi. “HA CON SE’ DEGLI STRUMENTI IN GRADO DI RILEVARE
LA TUA PRESENZA.
RAGGIUNGI SUBITO I KAPPA O SARANNO GUAI PER TE!”.
“Neanche
per sogno!”, protestò il giovane spadaccino. “Ho troppa voglia di
rivederla!”.
“E
VA BENE, TESTONE!”, gridò esasperato l’enorme serpente. “ENTRA NELLA MIA
BOCCA!”.
Oropa
non se lo fece ripetere due volte e all’interno di quel buio ed umido rifugio,
pensò intensamente a Lamù: il viso dolce e sensuale al tempo stesso, i lunghi
capelli fluenti, i seni tondi e prosperosi, il corpo sinuoso... la visione che
ne seguì lo mandò in un brodo di giuggiole, mentre la serpe se ne stava
immobile.
“SMETTILA
DI IMMAGINARE SIMILI…”, esclamò Orochi comunicando telepaticamente con
Oropa.
“Meraviglie?”.
“PORCHERIE!”,
ribadì collerica la divinità.
“Sono
un maschio ed è più che naturale!”.
“SE
RESTERAI QUI TRANQUILLO, IL SUO SCANNER REGISTRERA’ SOLO UNA DEBOLE DISTORSIONE,
PERCIO’ TI CONSIGLIO DI NON FARE IDIOZIE! TI FARO’ PERVENIRE TELEPATICAMENTE
CIO’ CHE VEDRO’ IO IN MODO CHE TU POSSA OSSERVARE LA TUA AMICA”.
“Lei
è sola o in compagnia?”.
“IL
GIOVANE ATARU E’ CON LEI”.
“Guastafeste
di un Moroboshi!”, sbottò seccato Oropa.
“STANNO
ARRIVANDO!”, sibilò la serpe chiedendosi il perché dello strano - per la
divinità, chiaramente! - comportamento di Oropa.
"”Bene!”,
ammise il giovane.
Non
appena la navicella atterrò, Lamù scese a terra. Al posto del consueto bikini
tigrato, la ragazza sfoggiava il suo completo da battaglia con tanto di mantello
ed elmo dotato di corna; aveva in mano uno strano aggeggio con monitor,
probabilmente uno scanner per rilevare forme di vita umane.
“Guardala
bene, bestiaccia!”, pensò Oropa, sicuro che Orochi stesse in ascolto. “Che corpo
stupendo! Che spettacolo meraviglioso!”.
“FINISCILA,
IMBECILLE!”, lo ammonì la serpe. “DEVI RIMANERE CALMO O LO SCANNER RIVELERA’
LA TUA PRESENZA
ANCHE SE TI TROVI AL MIO INTERNO”.
Lamù
osservava sullo scanner la mappa tridimensionale della zona. Ogni tanto
compariva un alone rosso che indicava una forma di vita umana presente, ma il
segnale durava poco per poi scomparire.
Mentre
si guardava intorno, vide una collina ripida con due alberi spogli sulla
sommità.
Avanzando,
inciampò in quelli che sembravano i resti di un bivacco, e poco lontano un
enorme spadone d’osso era conficcato nel terreno; un giaciglio di paglia e
avanzi di cibo diedero alla ragazza la conferma della presenza di Oropa.
“Guarda
che sedere alto e sodo!”, pensò l’estasiato ragazzo.
Improvvisamente
una lucina rossa cominciò a pulsare sullo scanner. “Si direbbe che l’essere
biologico umanoide presente sia sulla sommità della montagna”, si disse Lamù
prima di sollevarsi in volo.
“ORA
TI SPUTO FUORI PRIMA CHE QUELLA RAGAZZA SI TROVI AL MIO COSPETTO E CAPISCA
TUTTO, CRETINO!”, sibilò furente la divinità.
Un
istante dopo, Lamù notò qualcosa che veniva sputato fuori dalla sommità della
montagna per poi finire al centro del laghetto; lo scanner segnalava ora la
chiara presenza di un essere umano.
“Maledettissima
bestiaccia!”, proferì Oropa trascinandosi faticosamente sulla sponda della fonte
della guarigione.
Ansimante
al suolo, il ragazzo alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi azzurri dell’aliena
che lo osservavano con espressione seria e pensierosa.
“Lamù!
Che bello rivederti!”, disse Oropa scattando in piedi.
“Sei
tu, Oropa...”, rispose la giovane con un sospiro, prima di appoggiare le sue
calde mani sul viso del ragazzo.
Oropa
restò paralizzato, poi abbracciò la bella aliena ed esclamò: “Lamù... so bene
che sei la donna di Ataru, ma... viviamo questo amore clandestino e lasciamoci
trascinare dalla passione!”.
“ADESSO
TI FULMINA!”, tentò di avvisarlo Orochi.
Una
scossa tremenda partita dalle mani di Lamù investì la testa di Oropa e quando
lei lo lasciò, Oropa cadde esanime nella fonte, mentre un denso fumo nero gli
usciva dalle orecchie.
“Ora
tu verrai con me”, minacciò la bella aliena.
Oropa
emerse improvvisamente dalle acque e vide Lamù con le mani sui fianchi, i gomiti
larghi e un’aria di sfida dipinta sul volto. “Adesso ti porto da Benten!”.
“Non
se ne parla!”, rispose secco il giovane.
Una
seconda scarica elettrica lo investì, ma Oropa la evitò abilmente scattando di
lato. Cercò lo spadone con lo sguardo, lo raggiunse con dei rapidissimi balzi,
lo impugnò e tornò al cospetto della bella extraterrestre porgendole anche il
mantello. “Questo è tuo”, affermò lo spadaccino. “Ora lasciami in pace; voglio
allenarmi ancora”.
Per
tutta risposta, Lamù lo fulminò una terza volta. “Ti porterò da Benten a
qualsiasi costo!”, disse convintissima la ragazza mentre trascinava Oropa.
Il
ragazzo riprese conoscenza in prossimità della capsula con la quale era
arrivato.
“Partiremo
con questa!”, affermò Lamù un attimo prima che la piccola navicella venisse
disintegrata dal violento colpo di spada vibrato da Oropa.
“Si
può sapere cosa ti è preso?!”, domandò l’allibita aliena strattonando lo
yukata del ragazzo.
“Ti
ho già detto che voglio proseguire il mio allenamento qui... da solo!”, rispose
lui.
“Perché
ti comporti così?”, domandò nuovamente Lamù. “Ti abbiamo sentito parlare con
Benten prima che lasciassi la navicella con quella capsula; da allora non
abbiamo avuto più tue notizie, pensavamo che Orochi ti avesse ucciso... ed ora
che ti trovo sano e salvo su questo asteroide, non vuoi tornare da Benten. Sei
scomparso da più di un mese!”.
“Immagino
che non sentiate la mia mancanza…”, disse seccato Oropa, sistemandosi l’abito
strapazzato da Lamù.
“Non
è affatto vero!”, ribadì con energia la bella aliena.
“Se
sparissi tu o Ataru, si mobiliterebbero tutti i vostri amici, ma del ragazzo
comparso dal nulla, che non ha nulla, che non è nulla... non importa nulla a
nessuno! Ora ti chiedo di andartene; porta i miei saluti ad Ataru e agli
altri”.
Detto
ciò, Oropa restò ad osservare Lamù che si alzava in volo e raggiungeva
lentamente il suo ufo.
Prima
di entrare, l’aliena si voltò verso il ragazzo e gli disse: “Tu e Benten siete
due stupidi. Sarete veramente felici solamente stando vicini!”.
La
navicella si allontanò e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo.
La
serpe si mosse in sua direzione e gli disse: “PRIMA CHE TU RIPRENDA IL LAVORO
LASCIATO INCOMPIUTO DAI KAPPA, TI INVIERO’ IN UN LUOGO SPECIALE: VOGLIO
CHE TU OSSERVI MOLTO ATTENTAMENTE CIO’ CHE VEDRAI, SENZA FARE IL MINIMO RUMORE.
ORA ENTRA NELLA POZZA!”.
Oropa
saltò nella pozza scura e si ritrovò all’interno di un ufo semidistrutto, con
attrezzi ginnici sparsi ovunque e un grosso buco sul soffitto della nave; Benten
giaceva addormentata nel grande letto, proprio di fronte a lui.
Oropa
vi posò gli occhi addosso, studiando quel viso dolce e fiero al tempo stesso,
quei capelli scuri sciolti sul cuscino e la sottile coperta con la sagoma del
corpo della dea disegnata sulle coperte.
Dormiva
supina, con la testa piegata sul lato destro e il braccio infilato sotto il
cuscino.
Il
ragazzo chiuse gli occhi ed ascoltò il suo cuore che gli scoppiava in petto, poi
non seppe resistere oltre e li spalancò per lasciare che l’immagine della dea
della fortuna gli rimanesse ben impressa nella memoria come una fotografia.
Lei
si svegliò e lo osservò stupita; subito dopo, si strofinò gli occhi con entrambe
le mani e quando li riaprì Oropa era sparito.
“Sarà
stata un’allucinazione…”, si disse prima di coricarsi nuovamente, ma non appena
ebbe appoggiato la testa sul cuscino, si accorse che la catena che usava per
legare i capelli era scomparsa.
Al
suo posto, sul comodino, vi era una fascia di cotone bianca screziata di
nero.
“Puzza
di Oropa!”, esclamò annusandola.
“CHE
COSA PROVI?”, chiese la divinità.
“Sono
felice… e triste allo stesso tempo”, rispose con gli occhi lucidi il
ragazzo.
“QUESTO
PERCHE’ SEI INNAMORATO. E ORA LAVORA!”.
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Capitolo 4 *** L'opera di Ryoda ***
sa
L’OPERA DI
RYODA
Nettuno,
dimora della regina Oyuki.
Il
giovane Ryoda, accompagnato da Kurama, venne condotto in udienza dalla regina.
Il giovane originario di Meiji camminava lentamente, con portamento impeccabile
e fiero, reggendo con la mano destra un voluminoso libro di saggistica; la
principessa dei tengu camminava al suo fianco, tenendo nella sua la mano
del giovane uomo.
In
quei giorni trascorsi sul gelido pianeta, Ryoda si era dedicato anima e corpo
nel compimento dei suoi doveri in qualità di prossimo sovrano dei tengu,
dimostrandosi un uomo della massima fiducia, equilibrato e saggio; lo stesso
decano era più che soddisfatto delle qualità del giovane ed anche gli altri
folletti dalle sembianze di corvo erano entusiasti della scelta di Kurama, la
quale aveva finalmente trovato il partner giusto per perpetuare la sua
stirpe.
Ora,
però, era venuta l’ora che il giovane professore tenesse fede alla parola data;
quindi, si era recato su Nettuno per far apprendere al cucciolo della regina
Oyuki la grammatica e l’arte del galateo.
“Entrate
pure!”, chiamò una soave voce femminile chiusa dietro un pesante portone di
cristallo bianco.
Due
serve così simili da sembrare gemelle aprirono i battenti e la porta si spalancò
su una grande sala, ornata di cristalli di ghiaccio intagliati come
diamanti.
La
luce delle lampade veniva catturata dalle sfaccettature e rifranta in una
miriade di colori; era uno spettacolo di sicuro effetto scenico e non faceva che
aumentare la bellezza di Oyuki, seduta su uno stupendo trono intagliato nel
ghiaccio più puro.
“Siate
i benvenuti nella mia dimora”, disse con un sorriso la regina ai suoi
ospiti.
“Come
vi ho promesso, mi ritrovo al vostro cospetto per chiedervi di occuparmi della
formazione del vostro cucciolo”, rispose il professore con un perfetto
inchino.
“Cerchiamo
di chiudere la faccenda rapidamente!”, aggiunse seccata Kurama, che mal
sopportava le basse temperature di Nettuno. “Anche perché avrò molto da
fare col mio futuro marito!”.
“Allora
sarò felice di accompagnare il signor Ryoda in quella che sarà la sua aula, dove
lo attende il mio cucciolo Bi-M-Bo. Vogliate seguirmi…”.
Oyuki
si alzò e fece cenno ai due di seguirla; Ryoda e Kurama, tenendosi per mano, la
seguirono in silenzio.
Si
fermarono dopo aver percorso alcuni corridoi con ampie finestre vetrate, che
lasciavano spaziare liberamente gli occhi sul monotono paesaggio di quel freddo
ed innevato pianeta, dove il calore del sole non arrivava.
Tuttavia,
mentre la principessa dei tengu osservava preoccupata quel paesaggio
gelido e costantemente spazzato dal vento, il giovane professore era rimasto più
attratto dal sinuoso ancheggiare del corpo della regina.
“Dietro
questa porta vi aspetta del lavoro da svolgere; non vi saremo di disturbo e
potrà prendersi tutto il tempo che vuole, professor Ryoda! Farò preparare una
stanza con un bagno caldo in modo che la sua compagna Kurama possa attendere il
vostro ritorno nel più confortevole dei modi”.
Le
due donne lasciarono solo il professore davanti alla porta; Kurama si voltò
verso il suo giovane compagno e, fissandosi negli occhi, gli mandò un bacio
portandosi la mano alla bocca e sventolandola successivamente all’indirizzo
dell’amato.
Ryoda
rispose strizzando un occhio, poi entrò nella sua aula.
Appena
richiuse la porta, si ritrovò nel suo luogo di insegnamento: una lavagna
capeggiava sulla parete ed un singolo, grosso banco aspettava al centro della
stanza. Seduto al suo posto, vi era il “cucciolo” della regina di Nettuno: un
gigantesco yeti che guardava il giovane insegnante con l’espressione più truce
possibile.
“Lieto
di fare la sua conoscenza”, disse Ryoda, per nulla impressionato dall'aspetto
del suo allievo. “Il mio nome è Ryoda e da oggi avrò l’onore di essere il suo
precettore personale”.
Il
gigantesco ominide, per tutta risposta, sfoderò gli enormi canini di cui era
dotata la sua bocca, e con un possente ruggito fece tremare il pavimento della
stanza; poi si avvicinò al professore e gli gridò contro: “IO NON VOLERE BRUTTO
PROFESSORE! IO VOLERE GIOCARE FUORI CON NEVE E BELLE FANCIULLE!!”.
“Questo
non le sarà possibile, al momento”, rispose serenamente Ryoda, fissando
l’indisciplinato allievo. “Prima dovrà apprendere i giusti modi per relazionarsi
con il prossimo!”.
“IO
FUORI CON FANCIULLE!!”, ruggì l’imponente bestione sbattendo il suo giovane
insegnante contro la parete.
Tuttavia,
Ryoda non manifestò il benché minimo accenno di rabbia e dopo essersi sistemato
lo yukata, gli si avvicinò e disse afferrandogli il candido pelo:
“Ascoltami bene, bestione: ho promesso a due splendide donne che avrei fatto di
te un essere colto e galante… e puoi scommettere tutto ciò che hai che ci
riuscirò a qualsiasi costo. Ora tu ti metterai seduto e lascerai che io faccia
lezione, altrimenti mi vedrò costretto a fare della tua pelliccia il più
esclusivo tappeto che un insegnate possa sfoggiare nel salotto di casa! Mi hai
capito bene?”.
Visibilmente
impressionato dall’autorità mostrata dal giovane, Bi-M-Bo si sedette al suo
posto. “QUANDO COMINCIARE? QUANDO COMINCIARE?”.
“Immediatamente!”,
rispose Ryoda prima di afferrare il gessetto e cominciare a scrivere sulla
lavagna.
Dopo
due giorni di viaggio, l’astronave di Lamù fece nuovamente rotta verso il
pianetino disabitato dove Benten aveva parcheggiato la sua navicella.
Ataru
preparò bende e cerotti; ultimamente succedevano solo sventure: si litigava, si
viaggiava, si litigava ancora e si viaggiava nuovamente... trovava tutto ciò
molto noioso, oltre che uno spreco: l’estate andava accorciandosi e belle
ragazze in abiti leggeri invadevano quotidianamente il parco di Tomobiki... e
lui, purtroppo, era sempre lontano!
Prese
una fotografia che nascondeva nel portafogli: mostrava un gruppo di ragazze con
le gonne sollevate nella piazza del parco. In mezzo a quelle gambe lisce, si
notava appena l’abito di Oropa. “Amico mio...”, pensò Ataru con fare
nostalgico.
Benten
vide arrivare l’ufo dell’amica e lo seguì con lo sguardo durante la fase di
atterraggio; presa com’era dalle riparazioni alla sua astronave, indossava una
maschera protettiva e stava tagliando con una grossa smerigliatrice delle lastre
d’acciaio.
Quando
lo sportello dell’astronave tigrata si aprì, la dea riprese il suo lavoro,
fingendo di non essersi accorta dell’arrivo della bella oni.
Lamù
scese con Ataru al seguito; i due si avvicinarono all’indaffarata Benten ed
attesero in silenzio che questa cessasse il suo lavoro.
“Allora?
Siete venuti per starmi a guardare?”, domandò la dea della fortuna dopo aver
posato il pesante attrezzo da lavoro.
“Oropa
è vivo, sano ed in forze”, rispose Lamù.
“Dopo
il trattamento che gli hai riservato, non credo che sarà ancora perfettamente
sano…”, aggiunse mentalmente Ataru fissando la sua compagna.
“Non
vi ho chiesto nulla!”, sbottò Benten prima di rimettersi al lavoro.
“Cos’è
quel nastro?”, domandò la bella aliena in bikini tigrato dopo aver notato la
fascia che Benten portava sulla testa al posto della sua catena.
“L’ho
trovata stamattina sul comodino e siccome la catena era sparita, l’ho usata per
legare i capelli. C’è qualcosa di strano, forse?”, affermò stizzita l’amazzone
extraterrestre.
“Sì!”,
esclamò Lamù. “Noi siamo appena arrivati dall’asteroide dove abbiamo incontrato
Oropa e con l’ipervelocità abbiamo impiegato due giorni. Come ha fatto lui ad
arrivare prima di noi? Ha anche distrutto la capsula con un enorme spadone,
quindi teoricamente non potrebbe lasciare l’asteroide…”.
Benten
rimase molto colpita, ma non lo diede a vedere e cambiò subito discorso. “Beh,
io ho da fare qui! Se non avete altro da dirmi... ciao!”.
“Vorremmo
aiutarti!”, disse improvvisamente Lamù.
“Che
cosa?!?”, chiese Ataru incredulo.
“Visto
che avete contribuito a sfasciarmi la casa... ora rimedierete!”, esclamò Benten
stringendo vigorosamente la mano dell’amica.
“Io
non voglio! Non posso!!”, esordì il giovane Moroboshi. “Sulla Terra decine di
ragazze aspettano nel mio parco il mio ritorno! Decine di indirizzi e numeri di
telefono attendono impazienti che io li trascriva sulla mia agenda! Non voglio
perdere la mia giovinezza su questo sasso sperduto nell’universo!”.
“Ataru…
se lavorerai sodo, ti prometto che al termine delle riparazioni, faremo il bagno
tutti e tre assieme!”, disse Benten con voce calda e sensuale.
“Diamoci
una mossa, allora!”, affermò pieno di energie il ragazzo con in mano i pesanti
attrezzi da lavoro.
Le
due ragazze scoppiarono in una fragorosa risata, poi la dea disse a Lamù: “Forse
non lo sai, ma i miei compagni stanno organizzando una grande battaglia contro
voi oni per ricordare gli antichi fasti. Ci daremo appuntamento su un
rigoglioso pianeta disabitato ed ingaggeremo battaglia come ai vecchi tempi!
L’appuntamento è fra un mese... ti allenerai con me in attesa di quel momento,
Lamù?”.
“Con
immenso piacere!”, rispose la bella oni prima di infilarsi una tuta da
lavoro e pesanti guanti di cuoio grezzo.
“Buonasera!”,
esclamò soddisfatto Ryoda mentre faceva il suo ingresso nel grande salone da
pranzo della residenza della regina di Nettuno.
“Buonasera,
signor Ryoda!”, rispose con un ampio e felice sorriso Oyuki.
“Vieni
qui dalla tua Kurama, caro!”, disse la bella principessa dei tengu
andando incontro al suo compagno.
“Finalmente!”,
esclamò la ragazza sedutasi accanto al suo prossimo marito. “Sei rimasto in
quella stanza per quasi un mese e sei uscito solo per mangiare e riposarti. Lo
sai che devi essere in forze per... il rituale!”, concluse arrossendo
visibilmente.
“Questa
sera vedrete i frutti del mio lavoro!”, disse Ryoda con estrema sicurezza. Poco
dopo la porta si aprì e lo yeti di compagnia di Oyuki fece la sua
apparizione.
“Buonasera
a tutti; perdonatemi se vi ho fatto attendere oltre misura”, esclamò
quest’ultimo.
Lo
yeti stava ritto in piedi, col voluminoso corpo fasciato in uno smoking fattosi
preparare su misura; si era lavato accuratamente il pelo ed ora si presentava
vaporoso e soffice. Teneva le grosse mani giunte dietro la schiena ed i tacchi
uniti in un perfetto atteggiamento militare.
Ryoda
si alzò e gli indicò il suo posto a sedere; Bi-M-Bo lo raggiunse con passi
misurati, si inchinò alle donne e si mise a sedere.
Kurama
ed Oyuki rimasero allibite e quasi non toccarono cibo nel vedere con quanta
eleganza quell’enorme essere consumava la sua cena, chiacchierava e si
intratteneva al tavolo; parlava con padronanza della lingua e disinvoltura, e si
presentava ben informato su ogni campo.
Conclusa
la cena, Ryoda si alzò educatamente dal tavolo insieme a Kurama per restare un
po’ da soli.
“Quello
che hai fatto ha dell’incredibile!”, esclamò la futura regina dei tengu
mentre restava abbracciata al corpo del partner. “Come sei riuscito a
trasformarlo in quel modo in meno di un mese?”.
“Semplice,
mia adorata!”, rispose Ryoda guardando negli occhi la sua splendida compagna.
“Gli ho solo spiegato che se mi avesse fatto sfigurare ai tuoi occhi l’avrei
dovuto… punire amaramente!”.
“Quindi
il tuo compito è finito, non è vero?”, domandò Kurama.
Il
giovane docente annuì e subito dopo, venne trascinato dalla sua compagna lungo i
corridoi del palazzo reale di Nettuno.
“Dove
mi stai portando?”, chiese Ryoda leggermente spiazzato dall’iniziativa della
ragazza.
“Ora
lo vedrai!”, rispose quest’ultima con occhi illuminati di famelica passione.
I
due giovani raggiunsero un ampio portale e non appena fu aperto, Ryoda e Kurama
entrarono in una grande stanza dove i tengu stavano finendo di sistemare
un grande letto a due piazze posto accanto un enorme finestrone (opportunamente
velato da due enormi tende di color azzurro) dal quale si potevano ammirare le
immense distese ghiacciate di Nettuno.
“La
stanza è pronta, principessa”, annunciò una delle svolazzanti creature.
“Ottimo
lavoro!”, esclamò decisamente soddisfatta Kurama. “Ora andate e lasciateci
soli!”.
I
tengu obbedirono immediatamente, lasciando così la loro principessa e il
suo compagno nella più completa intimità.
Kurama
si tolse subito i suoi stivali in pelle nera e trascinò Ryoda sul letto.
“Vogliamo dare inizio al rituale, principessa?”, domandò il giovane con un
sorriso malizioso stampato sul volto.
“Con
piacere!”, rispose la ragazza prima di posare le sue labbra su quelle del
partner e dare così inizio al tanto desiderato rituale di accoppiamento,
necessario per la prosecuzione della stirpe di Kurama.
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Capitolo 5 *** Tzukino ***
sa
TZUKINO
“Le
riparazioni sono terminate!”, gridò di gioia Benten, lasciando cadere il
cacciavite con cui aveva stretto l’ultima vite e asciugandosi con uno straccio
il sudore dalla fronte.
“Dobbiamo
festeggiare!”, aggiunse Lamù dopo essersi sfilata la tuta da meccanico.
La
bella oni era stata costretta, già dalla prima settimana, a riportare il
suo tesoruccio sulla Terra: il giovane si era abituato in breve tempo alle
grazie della dea della fortuna e sapeva resistere alle sue “trappole”, quindi
aveva cominciato a protestare per il troppo lavoro e la giovinezza che stava
buttando; tuttavia, ogni sera Lamù era scesa sulla Terra per passare con lui la
notte e per lei era una gioia immensa osservarlo mentre invocava il suo nome nel
sonno.
“Chiamiamo
Oyuki e andiamo sul pianeta Felicitas I. Quello è il posto migliore per
trascorrere una vacanza degna di questo nome!”, propose Benten. “E saremo solo
noi tre, come ai vecchi tempi!”.
Lamù
ci rifletté sopra e alla fine accettò al proposta dell’amica.
“Hai
già pensato a chi arruolare fra le fila dell’esercito di oni?”, chiese
con aria di sfida Benten, cambiando completamente discorso.
“Contavo
su Ataru, Mendo, Ryuunosuke, Shinobu... e i più forti guerrieri dell’esercito di
mio padre!”, disse Lamù appoggiando l’indice sulle sue morbide labbra.
“Hanno
detto che sarà una battaglia epocale. Sono davvero molto eccitata al pensiero
della sfida che ci attende!”, aggiunse eccitata Benten, mentre si legava i
capelli con la fascia bianca e nera. “E poi, dobbiamo essere al massimo della
forma, perciò...”.
“Prima
di allora... divertiamoci!”, la interruppe colma di gioia Lamù.
Oropa
sbucò con un salto dalla pozza scura, di ritorno dall’ultima missione.
Notò
subito che la serpe era arrotolata nella posizione della montagna, e non si
muoveva; chiuse gli occhi e si mise in ascolto, poi impugnò il pesante spadone
che portava agganciato ad uno speciale fodero sulla schiena e lo sguainò.
Un
grosso randello metallico gli piombò addosso e lui lo evitò abilmente con una
capriola a lato; quando inquadrò il suo nemico ebbe un sussulto: era uno di
quegli enormi ainu del pianeta Ainuboshi.
Il
mostro ruggì minacciosamente ed altre due creature sbucarono dalle fronde degli
alberi poco distanti, brandendo grosse mazze chiodate.
Il
giovane in yukata si alzò dalla posizione rannicchiata che aveva assunto
dopo la manovra evasiva e rinfoderò Obelion, rivolgendosi ai poco graditi
ospiti: “Non ho più nulla contro di voi. Andatevene!”.
“SUL
NOSTRO PIANETA HAI AVUTO FORTUNA E
QUI SEI SOLO. PAGHERAI PER CIO’ CHE HAI FATTO!”.
Non
appena il possente essere ebbe finito, il grosso spadone d’osso impattò
violentemente il petto del bestione e lo scaraventò contro il tronco di un
albero.
I
due rimanenti ainu si lanciarono all’attacco con urla cariche di rabbia;
Oropa conficcò Obelion nel terreno e lo usò come trampolino per lanciarsi contro
il primo dei due nemici, abbattendolo con un calcio dritto in bocca.
Fatto
ciò, richiamò a sé lo spadone tramite la sottile cordicella d’acciaio che il
giovane aveva inserito nell’impugnatura dell’arma e collegata ad uno dei suoi
bracciali. Lo spadone si sfilò dal suolo e tornò nelle mani del suo padrone, che
vibrò un colpo contro la pesante mazza chiodata dell’ultimo nemico rimasto,
bloccandola proprio un attimo prima che lo colpisse.
Con
le armi incrociate i due si studiarono: l’ainu, dal canto suo, era
convinto della sua superiorità fisica e premeva sempre più forte contro il suo
avversario.
Oropa
finse di cedere sotto il peso, dopodiché guidò al suolo l’arma dell’ainu
aiutandosi con lo spadone, prima di roteare su se stesso e colpire il mostro
alla schiena, facendolo crollare.
La
serpe parlò: “SONO ARRIVATI DA POCO. INVECE DI SBARAZZARMENE HO PENSATO CHE
SAREBBERO STATI UN BUON ESERCIZIO, PER TE! ORA RIMETTILI NELLA LORO PUZZOLENTE
NAVICELLA; POI PENSERO’ IO A SCARAVENTARLI NELLO SPAZIO”.
“Hai
fatto bene; è stato divertente”, disse freddamente il ragazzo, trascinando i
puzzolenti esseri privi di sensi dentro il loro mezzo spaziale.
Quando
ebbe finito, la divinità si srotolò, afferrò la navicella con la bocca e la
lanciò nello spazio infinito.
Oropa
era molto cambiato, durante quel mese di allenamento: i lineamenti si erano
fatti più tesi, il fisico asciutto e nervoso, i grandi occhi gelidi sempre
spalancati e i capelli biondi ritti come aculei. Non pensava ad altro che alla
missione successiva e a migliorarsi, limitandosi a parlare solo se strettamente
necessario e aveva decisamente mitigato il suo bollente spirito.
La
serpe gli si avvicinò e disse: “RISPONDERO’ ALLA TUA CURIOSITA’!”.
Oropa
la osservò stupito, mentre si immergeva nella fonte della guarigione per lenire
i colpi subiti nell’ultima missione. “A cosa ti riferisci?”, chiese con
tranquillità.
“DA
ALCUNI GIORNI TI CHIEDI CONTINUAMENTE CHI FOSSI IO PRIMA DI DIVENTARE UNA
DIVINITA’. COME HAI VISTO RAIGO SCATURIRE DALLA DISPERAZIONE DI LAMU’, COSI’ E’
STATO ANCHE PER ME: HO LIBERATO L’ESSENZA DEL MIO ELEMENTO E MI SONO TRASFORMATA
IN OROCHI”.
“Allora
è vero che tu sei una femmina!”, ghignò il ragazzo. “L’ho sempre pensato, dal
momento che ti comportavi come una ragazzina imbarazzata quando fantasticavo
sulle donne!”.
Oropa
si tuffò immergendosi in quell’acqua miracolosa e quando riemerse la divinità
era scomparsa.
Si
guardò attorno stupito; l’asteroide sembrava immensamente più grande e piatto
senza la presenza dell’enorme essere.
Si
rivestì dello yukata e si incamminò verso il suo giaciglio di paglia,
stranito dall’assenza della serpe.
“Dove
ti sei nascosta, bestiaccia?”, chiamò infine spazientito da quella
solitudine.
Una
mano gli toccò lievemente la spalla destra; Oropa si voltò di scatto brandendo
lo spadone, pronto alla battaglia.
Una
ragazzina con grandi occhi scuri e tristi, abiti poveri e rovinati e un
caschetto di capelli del colore della notte limpida lo osservava per nulla
preoccupata dalla reazione del giovane. Era molto magra e molto graziosa: aveva
un viso tondo e lineamenti dolci.
Oropa
la fissò a lungo negli occhi e alla fine chiese: “Sei tu, bestiaccia?”.
“Sono
colei che è diventata Orochi, signor Oropa”.
Il
ragazzo lasciò cadere al suolo lo spadone e fece un passo in direzione di quella
creatura tanto minuta.
Improvvisamente
l’angoscia lo avvolse. “Sei solo una piccola ragazzina... e hai ucciso delle
persone... e allora, perché sento... che mi stai chiedendo aiuto?”.
“Lei
è pronto, signor Oropa!”, disse la graziosa ragazzina. “Non ha più bisogno di
affrontare prove durissime e di prostrarsi al mio servizio. La ringrazio molto
del tempo che ha passato con me, ma la prego di non rivelare a nessuno di essere
stato qui e... la scongiuro, viva la sua vita rincorrendo i suoi sogni e godendo
la felicità dell’amore!”.
Oropa
sentì un nodo alla gola; si avvicinò di un altro passo alla ragazzina ed
esclamò: “Finisce tutto così?! Io me ne andrò a godermi i frutti della mia
fatica e tu... tornerai sola, ad ammazzare ogni malcapitato che capiti
qui?!”.
“Non
ho mai ucciso nessuno che non lo meritasse, signor Oropa”, rispose la ragazzina,
giungendo le mani quasi come in segno di preghiera. “Quello che lei ha fatto in
questo lasso di tempo, io l’ho fatto per centinaia di anni: mi mascheravo ed
andavo ad aiutare le persone, con le mie sole forze. Purtroppo, molte persone
giungevano qui con doni e belle parole per ingraziarsi i miei benefici, ma
spesso lo facevano per soli scopi personali e mentivano; mi ricoprivano di false
meraviglie, non sapendo che leggendo le loro menti scoprivo la verità. Non c’è
nulla che io detesti più delle menzogne e chi mentiva al mio cospetto, doveva
accettare il mio giudizio!”.
Oropa
ascoltò in silenzio, immaginandosi grassi e ricchi mercanti o ministri che si
prostravano al suolo con mille doni, per avere dei riscontri personali... magari
a scapito della povera gente.
“Esatto!”,
disse teneramente la ragazzina. “Quelli erano le mie vittime, ma giunsero anche
impavidi avventurieri e valorosi guerrieri col desiderio di uccidermi per
dimostrare il loro valore, perdendo la vita nel tentativo di soddisfare il loro
desiderio”.
“Io,
però, non voglio lasciarti nuovamente qui da sola per l’eternità…”, disse Oropa
prima di abbracciare forte la ragazzina, con le lacrime che gli rigavano le
guance. La divinità chiuse gli occhi e si abbandonò a quel forte abbraccio.
“Cosa...
cosa ha ucciso una dolce ragazzina come te? Quale dolore ti ha portato a
liberare la divinità che giaceva nel tuo essere?”, domandò turbato il giovane
spadaccino. “Sento una grande sofferenza, la vedo dentro i tuoi occhi...
perché?”.
“Signor
Oropa, il mio corpo è freddo”, sussurrò la ragazzina. “La mia vita è stata fusa
con l’elemento della divinità ed io, pur potendo assumere un aspetto normale,
non potrò mai condurre un’esistenza naturale come la sua. Perché è a questo che
sta pensando, vero? Lo leggo nella sua mente”.
“Voglio
che tu veda a cosa hai rinunciato per tutti questi anni e visto che è stato
merito tuo e che sei una bella ragazzina, ti porterò in un posto speciale!”,
esclamò Oropa. "C’è un posto chiamato Felicitas I dove una volta mi ha portato
Benten: è un piccolo pianeta vacanziero fatto di palme, sabbia e mare. Ci sono
un sacco di giovani e bella musica... e fanno un gelato fantastico! Ci
divertiremo un sacco, vedrai!”.
Oropa
si sentiva improvvisamente felicissimo: la divinità che aveva sempre ritenuto
uno scrigno chiuso si era aperta per lui e si era mostrata per quello che
era.
“La
ringrazio molto, signor Oropa, ma io non me la sento di…”, cercò di divincolarsi
la giovinetta.
Il
ragazzo, sorridendo, chiuse gli occhi e restò in silenzio; dapprima la divinità
attese che il giovane parlasse, poi sondò la mente del ragazzo in preda alla
curiosità.
Si
portò entrambe le mani alla bocca e spalancò i grandi occhi, arrossendo
vistosamente. “Come osa immaginare simili…”.
“Adesso
che ho scoperto che sei solo una ragazzina, il gioco è finito. Farai quello che
dirò, altrimenti non smetterò un solo istante di mostrarti questa e ben altre
meraviglie del corpo umano! Domattina lascerai che la mia mente scelga la
destinazione della pozza scura e finalmente avrò uno stramaledetto giorno di
vacanza! E tu con me!”.
La
divinità restò semplicemente allibita dall’audacia di quel giovane e si
abbandonò ad una chiassosa risata; poi disse: “Signor Oropa, deve sapere che
oni e dèi della fortuna stanno organizzando, per dopodomani, una grande
battaglia commemorativa. Sarà una specie di grande gioco, dove i due eserciti si
scontreranno come in guerra, ma invece di ferirsi cercheranno di apporre il
proprio timbro sulla fronte delle unità nemiche. Io volevo che lei vi prendesse
parte… sarebbe davvero un’ottima occasione per sfoggiare davanti alla sua Benten
tutti i miglioramenti ottenuti e riappacificarsi con lei. Ho contattato
mentalmente i comandanti dei due eserciti ed ho chiesto loro di inserire nella
contesa un’unità speciale, un cacciatore. Sarà solo contro tutti, avrà il
suo timbro speciale e verrà conteggiato come partecipante a sé. Non crede che
sarebbe meglio riposare l’indomani invece di...”. La giovinetta arrossì nuovamente e si portò
le mani alla testa.
“Va
bene, va bene! Domani andremo in vacanza, ma ora la smetta subito! Non si rende
conto che io avrei solamente quattordici anni?! Non può mostrare certe oscenità
ad una fanciulla!”.
Oropa
rise di gusto e replicò: “Santi numi, sei davvero carinissima quando arrossisci
così! Accetto molto volentieri l’invito per la festicciola di oni e dèi,
ci sarà da divertirsi... ed ognuno di loro finalmente vedrà che Oropa è degno di
una dea! Cambiando discorso, ce l’hai un costume?”.
“Veramente
no!”.
“Poco
male! Al termine della mia ultima missione, mi hanno offerto un mucchio di
denaro galattico. Te ne comprerò uno magnifico!”, disse Oropa.
“Le
ho detto mille volte di non accettare alcun compenso!”, lo rimproverò la
ragazzina, prima di portarsi entrambe le mani sul viso a chiudersi la bocca, per
l’ennesima volta invasa dall’immaginazione del ragazzo.
“Bada
a come parli, ragazzina! Non sai che è molto scortese rifiutare la gentilezza
che viene offerta?”, affermò con aria di superiorità Oropa ed aggiunse: “Domani
ce la spasseremo alla grande!!”.
La
navicella di Benten entrò nell’orbita di Felicitas I, noto pianeta-vacanza della
Costellazione del Dragone.
A
bordo, Oyuki e Lamù osservavano affascinate quella sfera azzurra e verde, e già
dallo spazio si distinguevano le lunghe e bianche spiagge.
Il
pianetino era di origine artificiale: la sabbia, le palme e l’acqua del mare
erano stati portati lì dai migliori pianeti acquatici dell’universo, mentre il
nucleo era formato da un complesso sistema di autoregolazione di temperatura,
umidità, direzione del vento e intensità delle onde.
La
luce solare giungeva da una piccola stella simile al Sole; sui verdi prati del
pianetino pascolava una curiosa razza di mucche, che producevano l’ottimo latte
all’origine del gelato noto in tutti i quattro angoli dell’universo per la sua
squisitezza.
Non
vi erano edifici, ma solo chioschi per ristorarsi, piccoli negozi in legno col
tetto in foglie di palma e una lunghissima fila di cabine per mettersi in
costume e gli indispensabili servizi igienici.
Nel
mare cristallino nuotavano solo pesci pacifici e grossi granchi si arrampicavano
sui tronchi delle palme.
Ovunque,
ombrelloni e sdraio occupate da ragazzi di ogni età e pianeta.
Le
tre ragazze lasciarono l’ufo posteggiato sulla grande piattaforma appena fuori
l’atmosfera e scesero sulla superficie grazie all’enorme tubo ascensore... molte
altre astronavi erano già parcheggiate fin dalle prime luci del mattino, segno
che quella sarebbe stata una giornata particolarmente caotica. Non chiedevano di
meglio!
“Guarda
che meraviglia!”, esclamò entusiasta Oropa, appena comparso su Felicitas I
assieme alla ragazzina. “Sole, mare, palme e centinaia di... RAGAZZE IN
COSTUME!!”.
Oropa
le chiese di attenderlo vicino ad una delle tante cabine per il cambio d’abito,
prima di recarsi ad acquistare due costumi al primo negozio.
Rimasta
sola, la dolce ragazzina si guardò intorno: ovunque gruppi di giovani ballavano,
giocavano a frisbee o a palla, facevano il bagno o semplicemente chiacchieravano
all’ombra delle palme.
Il
mare era azzurro e calmo, il cielo blu e sgombro dalle nuvole e il vento era
fresco e piacevole.
Chiuse
gli occhi e sognò di essere una ragazzina come tutte le altre... cos’avrebbe
fatto? Nuotato, giocato, mangiato un gelato o passeggiato col signor Oropa lungo
la spiaggia?
“Eccomi!”,
gridò il giovane sventolando una grande borsa da shopping colma di indumenti.
“Ne ho acquistati parecchi perché ero indeciso. Ora vado a cambiarmi!”.
“Va...
va bene”, rispose la divinità.
Oropa
uscì poco dopo, indossando un costume da bagno stile bermuda color verde
militare. “Bello, non è vero? Da vero uomo! Coraggio, ora tocca a te!”.
Prima
di entrare, la ragazzina lanciò un’occhiata ad Oropa: il suo corpo asciutto e
longilineo presentava cicatrici ovunque.
“Se
mi metti addosso gli occhi così, mi vengono in mente certe idee…”.
La
giovinetta arrossì vistosamente e si chiuse nello spogliatoio sbattendo la
porta.
“Piuttosto...
come ti chiami, carina?”, domandò il giovane in costume.
“Il
mio nome da viva era… Tzukino”, rispose infine la ragazzina dopo qualche minuto
di silenzio.
“Bel
nome!”, affermò Oropa.
La
ragazzina uscì finalmente dalla cabina con addosso un due pezzi sportivo e non
troppo appariscente di colore nero con strisce gialle.
Oropa
la osservò da cima a fondo carezzandosi il mento con l’indice ed il pollice.
“Sei
veramente carina”, disse il giovane. “Saresti diventata una ragazza
stupenda!”.
“La
ringrazio moltissimo, signor Oropa”, rispose Tzukino.
“Mi
dispiace solo che il tuo destino sia stato così severo”.
“Suvvia,
signor Oropa! Questa deve essere una giornata di svago, perciò...
divertiamoci!”, disse infine la ragazzina con uno splendido sorriso.
“Parole
sagge!”, dichiarò Oropa. “Ma non chiamarmi più signore. Non sono poi così
vecchio!”.
Ridendo
di gusto, i due si incamminarono verso la grandissima spiaggia.
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Capitolo 6 *** Combattimento sulla spiaggia ***
sa
COMBATTIMENTO
SULLA SPIAGGIA
Oyuki,
Benten e Lamù stavano sdraiate sui lettini adagiati sulla sabbia: i loro corpi
lucidi splendevano al sole ed erano la gioia per gli occhi di ogni ragazzo che
si trovasse a transitare da quelle parti.
“Che
meraviglia!”, sospirò Lamù.
“Qui
è troppo caldo e il sole è troppo forte”, protestò Oyuki, abituata a ben più
rigide temperature. “Tuttavia è piacevole stare qui ad oziare; come regina di
Nettuno, ho sempre un sacco di impegni”.
Gli
altoparlanti, sistemati direttamente su alcune palme, diffondevano musica su
tutta la spiaggia.
Benten
si sollevò e disse alle amiche: “Qui è successa una cosa molto bella, fra me e
Oropa…”.
Lamù
e Oyuki, curiosissime di sentire il seguito della storia, tesero le orecchie
verso Benten; era così strano che lei condividesse certe cose, dal momento che
non parlava mai di sentimenti o ragazzi.
La
dea della fortuna si calò sugli occhi gli occhiali da sole e cominciò: “Dopo
tutto quel che era successo quando è piombato nelle nostre vite… beh, ero
contenta di essere tornata alla normalità; poi me lo sono trovato nuovamente di
fronte. Certo, non ero più sotto la suggestione, però… qualcosa di lui mi aveva
colpito profondamente, non posso negarlo!”.
Oyuki
e Lamù erano tutt’orecchi e si facevano sempre più vicine all’amica.
“Ci
riavvicinammo, perché lui era solare e sorrideva sempre: vederlo partecipare
alle cacce di Ataru, scherzare con Mendo, girare felice per Tomobiki… lui
era contento. Lo portai qui un giorno e la vista del mare lo fece come
impazzire: partecipava ai giochi di squadra, socializzava con tutti, correva su
e giù come un bambino che per la prima volta entra in un luna-park. Poi ha
noleggiato uno di quegli acquascooter, mi caricò su e partì a razzo verso il
mare aperto. Abbiamo saltato le onde al largo… vederlo sorridere mentre spruzzi
d’acqua lo investivano… lo abbracciai forte, lui fermò il mezzo e mi baciò; poi
disse: Sono tornato per te”.
“Che
bella storia!”, commentò Lamù con lacrime di gioiosa commozione. “Il mio
tesoruccio non riesce mai ad essere così aperto con me…”.
“Poi,
però, qualcosa è cambiato in lui”, proseguì Benten improvvisamente
rattristatasi. “Era sempre più nervoso, silenzioso… e su Ainuboshi l’ho visto
per la prima volta visibilmente arrabbiato, quasi in collera; e solo perché
l’ainu aveva smascherato il suo trucco in mia presenza!”.
“Ma
ora, starà bene?”, chiese Oyuki.
“Lamù
l’ha visto circa un mese fa”, rispose Benten. “Si stava allenando in totale
solitudine su un asteroide”.
“Anche
tu ti sei allenata parecchio. Per quale motivo?”, domandò Lamù.
Benten
strinse le braccia intorno alle ginocchia e rispose: “Lo facevo per prepararmi
ad incontrarlo nuovamente. Se non mi fossi impegnata con tutta me stessa,
credendo che un giorno lui sarebbe tornato per mostrarsi più forte di me…”.
“Intendi
davvero sfidarlo?”, chiese perplessa Oyuki, non capendo appieno le meccaniche di
quella strana relazione.
“Puoi
starne certa!”, affermò la dea della fortuna. “E lo batterò!”.
“Non
farò mai una cosa del genere!”, esclamò Tzukino imbarazzata.
Lei
e Oropa stavano con l’acqua del mare fino alla vita; il ragazzo cercava di
convincere la giovinetta a fare il classico gioco dei tuffi.
Tzukino
avrebbe dovuto poggiare le natiche sui palmi delle mani di Oropa e questi,
rannicchiatosi sott’acqua, l’avrebbe poi lanciata in alto sfruttando la forza
congiunta di braccia, addominali e gambe.
“E
dai!”, la implorò Oropa. “Da bambino i ragazzi più grandi mi facevano fare tuffi
incredibili in questo modo!”.
“Ma
sono una ragazza, non una bambina! Cosa penserà la gente vedendoti con entrambe
le mani sul mio sedere?”.
“Ma
qui siamo al mare e lo fanno tutti! Ti chiedo di provare una sola volta; ti
assicuro che dopo mi ringrazierai”.
“Va
bene!”.
La
giovinetta, lasciatasi convincere, si mise in posizione dando le spalle al
ragazzo, che si abbassò e poggiò palmi e dita su entrambe le natiche.
A
quel tocco Tzukino ebbe un fremito; nessuno prima d’ora l’aveva toccata lì... ma
non fece in tempo a verificare se effettivamente Oropa facesse quel gesto con
malizia, perché un attimo dopo si ritrovò ad alcuni metri di altezza dal livello
del mare, scaraventata in aria accompagnata da un grido liberatorio del
ragazzo.
“Che...
meraviglia!”, pensò Tzukino. “Sono sospesa fra il blu del mare e l’azzurro del
cielo. Vorrei che questa sensazione di assoluta libertà non finisse mai…”.
Sollevando
alti spruzzi, la ragazza ripiombò in acqua fra gli applausi dei giovani che
avevano assistito alla scena.
Passarono
alcuni secondi prima che Tzukino ricomparisse dalle acque, ma quando lo fece
l’espressione del suo viso ripagò Oropa degli sforzi fatti per convincerla.
“ME
LO FACCIA FARE UN’ALTRA VOLTA, PER FAVORE!”, strillò la fanciulla passandosi le
mani sugli occhi per pulirsi dell’acqua salata.
I
suoi meravigliosi occhi neri non lasciavano scampo ed Oropa non poté fare a meno
di accontentarla.
Seguirono
molti tuffi, fino allo sfinimento di entrambi; poi Oropa propose un bel giro con
l’acquascooter a noleggio e la ragazzina accettò di buon grado.
“Dammi
il più veloce che hai!”, disse il giovane allungando la mano con i soldi.
“Quello
laggiù è il migliore che abbiamo”, rispose il noleggiatore indicando un mezzo
ancorato sulla sabbia dalla carrozzeria a strisce gialle e nere.
“Lo
stesso di quel giorno...”, sospirò Oropa poco prima di raggiungere il mezzo
insieme a Tzukino.
Il
natante schizzava veloce sulla superficie dell’acqua, sobbalzando lievemente,
mentre la fanciulla cingeva stretta la vita del ragazzo.
“Il
mare è troppo calmo”, sbottò Oropa. “Ci volevano delle belle onde per divertirsi
con questo gioiellino”.
“E’
magnifico lo stesso!”, rispose raggiante Tzukino.
Oropa
fermò l’acquascooter e rimase a fissare il mare sconfinato davanti a loro.
“E’
successo proprio qui", cominciò a raccontare il giovane. “Lei mi abbracciava
forte come stai facendo tu ora. Io mi sono voltato e l’ho baciata; ero già
innamorato di lei, ma farlo qui, sopra il mare e sotto il cielo, è stata come
una promessa... mi sono impresso nella mente la morbidezza delle sue labbra, il
tocco della lingua, il suo viso contro il mio... quando riaprì gli occhi dopo
quel bacio, li vidi pieni di una luce splendida e soave. Non vedo l’ora di
incontrarla di nuovo per poter finalmente dimostrarmi alla sua altezza e stargli
vicino senza timore che, vedendo la mia debolezza... si accorga che non sono
niente, paragonato a lei...”.
“Ha
detto delle cose meravigliose, signor Oropa”, rispose la giovinetta. “Se io
fossi la sua amata Benten non credo che la misurerei in base alla forza fisica,
ma sarei estasiata dalla grandezza del suo sentimento!”.
Oropa
si voltò ed incrociò i suoi occhi, dello stesso colore dell’acqua di mare, in
quelli neri e profondi di Tzukino... improvvisamente il ragazzo si rattristò al
pensiero che quella creatura tanto carina non aveva altro futuro che starsene
confinata su un asteroide sperduto nello spazio. Era davvero dolce, adorabile, e
l’aspetto fragile non faceva che incentivare il desiderio di proteggerla.
“Torniamo
a riva e andiamo a mangiare un boccone”, propose il giovane.
“D’accordo!”,
rispose contenta la ragazzina, stringendo forte la vita di Oropa.
Lo
stomaco di Benten brontolò sonoramente e Lamù ed Oyuki capirono che era ora di
pranzo.
“Camminando
verso destra si arriva al miglior chiosco di spiedini di pollo dell’intero
pianeta; fanno anche un gelato buonissimo e degli ottimi calamari grigliati”,
disse la dea della fortuna. “Propongo di andarci!”.
“Ci
sei stata con Oropa, non è vero?”, chiese scherzosa Lamù.
“Centro
perfetto!”, esclamò sorridendo Benten.
“Quindi
è questo il famoso gelato di cui mi parlava?”, chiese stupita Tzukino mentre
assaporava quella prelibatezza.
“Esattamente!
Questo è il chiosco migliore dove gustarlo, ma anche i calamari grigliati e gli
spiedini di pollo sono ottimi!”, disse Oropa.
“Signor
Oropa, credo che mangerò questo gelato fino a scoppiare!”.
“Tutto
il gelato che vuoi, mia cara Tzukino!”, affermò il ragazzo prima di addentare il
suo calamaro alla griglia.
“Chi
sarebbe la tua Tzukino?”, chiese una voce familiare alle sue spalle.
Voltandosi
lentamente col calamaro in bocca, Oropa posò gli occhi su tre figure femminili,
ma il sole alto alle loro spalle gli impediva di mettere completamente a fuoco i
loro volti. Una di loro aveva delle piccole corna, orecchie appuntite e lunghi
capelli; quella al centro stava ritta, con le gambe leggermente divaricate e le
braccia conserte; la terza emanava un’aura gelida.
“Quelle
ragazze sono le sue amiche di cui mi ha tanto parlato, signor Oropa?”, chiese
timidamente la ragazzina.
Oropa
si voltò lentamente verso di lei ed annuì con la testa.
Il
ragazzo si alzò dalla sedia e le salutò, visibilmente a disagio.
“Ciao,
Oropa!”, rispose sorridendo Lamù.
“Lieta
di rivederlo”, disse con un dolce sorriso Oyuki.
“La
solitudine ti ha fatto venire il complesso di Lolita?!”, chiese furiosa Benten.
“Da quel che vedo, il nostro eroe se la spassa su una spiaggia con una graziosa
bambolina, invece di sfidare Orochi per la gloria personale…”.
Oropa
nemmeno la sentì, concentrato com’era sui costumi che fasciavano i corpi delle
tre aliene: Lamù indossava un delizioso bikini bianco con elementi floreali
azzurri, che creava una sorta di dipendenza per gli occhi maschili; Oyuki
vestiva un costume intero color argento, certamente adatto al fisico asciutto
della regina di Nettuno; Benten, invece, portava uno slip rosso a vita bassa
con fiocchetto bianco, mentre il
pezzo superiore era di tipo sportivo con le spalline incrociate posteriormente,
anch’esso rosso con fiocco bianco.
“Il
gatto ti ha forse mangiato la lingua?”, incalzò la dea notando l’impassibilità
del ragazzo.
“Mi
sei... mancata molto!”, esclamò timidamente il giovane, appoggiando le mani
sulle nude spalle della ragazza e sporgendosi per baciarle la guancia; tuttavia
Benten si scostò ed Oropa lasciò cadere le braccia. “A me non sembra proprio,
dal momento che sei in compagnia… di quella ragazzina!”, ribatté acida
l’amazzone aliena guardando storto Tzukino.
“Si
chiama Tzukino ed è solamente un’amica!”, affermò il giovane. “Mi ha aiutato
molto durante i miei allenamenti”.
“Non
fatico a immaginare che tipo di allenamenti…”, bisbigliò Oyuki a Lamù, la quale
trattenne a stento una risata.
“Quando
avevi intenzione di farti vedere da me?”, domandò Benten, ormai
spazientitasi.
“Domani,
alla grande battaglia fra oni e dèi!”, rispose orgoglioso il giovane.
“E
tu come lo sai?”, chiese stupita Lamù.
“Lo
so e basta!”, affermò Oropa decisamente imbarazzato. “Si svolgerà sul pianeta
disabitato Silva. Ogni partecipante porta con sé un timbro del suo schieramento
e deve apporre il marchio sulla fronte dei rivali; un arbitro conteggerà le
catture cancellando lo speciale inchiostro e permettendo ai partecipanti di
tornare in gara”.
"”Sei
bene informato”, disse Benten portando le mani dietro la nuca e tenendo i gomiti
larghi. “Mi chiedo solo una cosa: se io non ti ho invitato nel mio schieramento
e Lamù non ti annovera fra i suoi... come parteciperai?”.
“Io
sarò il cacciatore!”, rispose Oropa con un evidente sorriso di sfida stampato
sul volto. “Orochi in persona ha richiesto che alla battaglia prendesse parte
un’unità speciale col suo timbro personale”.
“Che
bello!”, esordì Oyuki. “Sono contenta che anche Oropa si unirà a noi”.
“Orochi
in persona mi ha preparato per questo evento; vi assicuro che domani sarò il
vincitore della contesa ed effettuerò più catture io dei vostri schieramenti
messi insieme!”, esclamò sicuro di sé il giovane.
A
quell’affermazione, le tre ragazze presero a ridere sonoramente, reggendosi la
pancia con entrambe le mani; Benten fu persino costretta ad inginocchiarsi per
le risate.
“Sono
ancora troppo fragile ai suoi occhi!”, pensò Oropa scuro in volto. “Vederla
ridere di me... fa male! Dannazione!”.
“Perché
attendere?”, chiese Benten rialzatasi in piedi. “Perché non combattiamo qui e
adesso?!”.
“Maledizione!”,
imprecò mentalmente Oropa, indietreggiando di un passo e sottraendosi agli
sguardi di sfida lanciati dalle tre aliene. “Queste tre insieme sono
imbattibili: Lamù fornirebbe supporto dal cielo, con le sue scariche; Oyuki mi
metterebbe in difficoltà con le sue raffiche gelate e gli aculei di ghiaccio e
Benten, sia nel corpo a corpo che nell’uso delle armi, è una macchina da
guerra!”.
“Può
farcela!”, lo rassicurò Tzukino usando la propria voce. “Signor Oropa, sono
convinta che sarà in grado di tenere testa a queste ragazze!”.
“E
tu che ne sai, bambolina?!”, domandò Benten, seccata dall’intromissione.
“Ho
molta fiducia nelle sue capacità!”, ribatté Tzukino.
La
dea fulminò la ragazzina con un’occhiataccia e poi disse a denti stretti ad
Oropa: “Direi di cominciare! Non vorrai deludere la tua fidanzatina,
spero!”.
A
quel punto, Oropa si sbottonò la camicia e dopo averla tolta la ripose sullo
schienale della sedia. Osservando il suo corpo, Lamù si portò una mano alla
bocca e disse a Benten: “Quelle cicatrici sono… orribili!”.
“Sembrano
quasi dei morsi; ci sono anche molti tagli e lividi!”, osservò la dea della
fortuna.
“Sono
stati soltanto dei piccoli incidenti di percorso”, rispose Oropa con noncuranza.
“Nulla di particolare!”.
“Allora,
cosa vuoi fare?”, domandò nuovamente la dea della fortuna al ragazzo. “Mi sfidi
in un corpo a corpo o preferisci che vada a prendere delle armi da addestramento
sulla mia navicella?”.
“Nessuno
di voi ha un pennarello?”, chiese Oropa rivolgendosi ad un gruppo di giovani
radunatosi attorno ai contendenti. Una ragazza gli lanciò un grosso pennarello
nero che Oropa afferrò al volo.
“Se
riuscirò a segnare la vostra fronte col pennarello, avrò vinto io”, esclamò il
giovane. “Sarà una piccola anticipazione di ciò che vi attenderà domani!”.
“D’accordo!”,
rispose Benten, portandosi in posizione di fronte ad Oropa.
“Va
bene anche per me!”, esclamò Lamù alzatasi in volo.
“Non
ho nulla contro di te e personalmente ritengo che Benten si stia comportando nei
tuoi confronti come una ragazzina gelosa”, proferì Oyuki, facendo arrossire di
imbarazzo l’amica. “Tuttavia, mi vedo costretta a combatterti perché Lamù e
Benten sono mie amiche fin dall’infanzia e non posso abbandonarle, dal momento
che siamo una squadra!”.
“Allora,
fatevi sotto!”, minacciò Oropa facendo segno alle ragazze di farsi avanti.
“Che
succede laggiù?”, chiese stupita Kurama a Ryoda, il suo compagno.
“Non
ne ho idea”, rispose il giovane insegnante di Storia terrestre. “Sembra che un
gruppo di ragazzi stia fomentando qualcosa!”.
“Andiamo
a vedere!”, disse la bella principessa dei tengu trascinando con sé il
partner: entrambi indossavano dei costumi neri ed erano atterrati su Felicitas I
per trascorrere un po’ di tempo da soli e ritemprarsi al sole dopo il lavoro
svolto da Ryoda su Nettuno.
“Ma
sono quella oni, la regina di Nettuno e quella dea che stanno combattendo
contro quel ragazzo!”, affermò l’altezzosa principessa dei tengu.
Ryoda
lo osservò attentamente e si accorse che il suo corpo era pieno di cicatrici.
“Sono in tre e stanno attaccando un ragazzo indifeso. Questa è un’azione
incredibilmente vigliacca!”, esclamò amaramente il giovane.
“Ma
quel ragazzo lo conosco!”, gli disse Kurama. “Ha contribuito alla mia
liberazione e a quella di Lamù sul pianeta degli ainu. Ho sentito che ha
litigato con la sua ragazza - ovvero quella dea - e si dice che si sia recato al
cospetto di una crudele divinità per essere addestrato. Voglio proprio vedere
come si evolve la situazione!”.
“Che
ragazzo valoroso!”, pensò Ryoda portandosi la mano sul mento. “Voglio proprio
vedere come se la caverà!”.
Lamù
volò alta nel cielo, Oyuki si portò a distanza di sicurezza e Benten cominciò
una rapida serie di colpi con Oropa. Il giovane parò i pugni indirizzati al suo
viso con le mani, ma la dea lo colpì al costato con un calcio. L’ardimentoso
ragazzo rotolò di lato e quando si rialzò incrociò lo sguardo divertito di
Benten.
Un
attimo dopo un crepitio lo allarmò; si scansò con un balzo ed una violenta
scarica si abbatté al suolo. Subito dopo, una folata di vento gelido lo investì,
scaraventandolo contro il tronco di una palma... riuscì appena in tempo a
scansarsi, poco prima che Benten lo colpisse all’addome con una vigorosa
gomitata che fece tremare le foglie sulla sommità della palma.
“Dannazione!”,
pensò Oropa dolorante per i tremendi colpi subiti. “Con Obelion in pugno avrei
già archiviato la questione, ma così…”.
Il
giovane apprendista di Orochi dovette scansarsi all’improvviso per evitare una
nuova scarica lanciata da Lamù. “Per prima cosa, devo metterla fuori gioco”, si
disse quest’ultimo mentre scrutava la sua avversaria in alto nel cielo. Si mise
il pennarello fra i denti ed usò gambe e braccia per saltare di tronco in
tronco, salendo verso la sommità delle palme con l’agilità di un felino.
Arrivato
sulla loro cima, vide Lamù poco sopra e con un alto salto si trovò davanti a
lei.
Quando
ricadde al suolo, ammortizzando l’impatto con le gambe e le braccia come un
gatto, sopra la bocca della bella aliena troneggiavano due baffetti disegnati
col pennarello e una stellina stilizzata sulla fronte.
Senza
avere nemmeno il tempo di esultare per il risultato ottenuto, Oropa evitò alcuni
aculei di ghiaccio e avanzò verso Oyuki con una sequenza di ruote e capriole; la
bella regina di Nettuno gelò il suolo tutto intorno a lei per arrestare
l’avanzata dell’avversario.
La
mossa funzionò e diede tempo a Benten di ingaggiare nuovamente un corpo a corpo
con Oropa; il ragazzo, tuttavia, non si fece colpire e con una presa lanciò la
dea sul ghiaccio. Fatto ciò, prese una breve rincorsa e si lanciò sulla lastra
in direzione di Oyuki; quest’ultima gli scaraventò contro scaglie di ghiaccio
tagliente che lo ferirono alle braccia. Raggiunse Benten e la spinse contro
l’amica.
Oyuki
riuscì a prenderla, ma rimase scoperta e si ritrovò con un minuscolo cerchio
nero disegnato sulla fronte. “Ti chiedo perdono per essere stato costretto a
deturpare il tuo splendido viso”, disse ansimando Oropa prima di allontanarsi
con passi incerti dalla superficie ghiacciata.
“Maledizione!”,
imprecò mentalmente Benten, rimasta sola a fronteggiare il suo avversario. “Lamù
e Oyuki sono fuori combattimento. Possibile che Oropa sia stato addestrato
veramente da Orochi?!”.
Nonostante
il tarlo del dubbio si fosse ormai insinuato nella sua mente, la dea si lanciò
all’attacco, cercando in tutti i modi di colpire Oropa; ma quest’ultimo, col
pennarello fra i denti, rispondeva colpo su colpo e con un balzo prodigioso,
roteò su se stesso e si portò dietro di lei, bloccandola in una stretta
d’acciaio.
“Maledetto!”,
pensò la dea mentre sprecava ulteriori energie cercando inutilmente di liberarsi
dalla morsa dell’avversario. “Sta giocando con me come il gatto col topo!”.
Con
un ultimo, disperato attacco gli si avventò addosso, ma Oropa bloccò il suo
piede d’appoggio e la dea gli cadde fra le braccia.
Il
giovane vittorioso disegnò un cuoricino sulla fronte e poi baciò la testa della
ragazza, esausta e madida di sudore. La folla radunata esplose in un boato,
mentre le due amiche andarono a sorreggere la dea sconfitta.
“Ero
certa che avrebbe vinto lei!”, esclamò raggiante Tzukino mentre andava incontro
al vincitore della contesa.
“Effettivamente,
credevo che sarebbe stata più dura senza Obelion!”, rispose Oropa grattandosi la
nuca con una mano.
Benten,
seduta sulla sabbia, ansimava pesantemente e puntava spietati occhi di fuoco
contro il ragazzo che l’aveva sconfitta e umiliata davanti a tutti. Per tutta
risposta Oropa la squadrò dall’alto in basso con un sorriso beffardo e gli occhi
pieni di soddisfazione, mentre la ragazzina continuava ad elogiarlo.
“MI
AVRAI ANCHE BATTUTO, MA RESTI E RESTERAI SEMPRE… LA BRUTTA COPIA DI UNO STUPIDO!”, gridò
furibonda la dea della fortuna.
Lamù
si coprì la bocca con le mani e chiuse gli occhi per non vedere il volto del
ragazzo dopo una frase simile, pronunciata dalla ragazza che amava; Oyuki si
limitò a volgere altrove lo sguardo; Tzukino spalancò gli occhi ed indietreggiò
di un passo, come tutti i presenti.
Sotto
il suo sorriso, Oropa stringeva i denti con forza e l’espressione dei suoi occhi
era fredda ed assente, come se qualcuno li avesse lavati da ogni emozione. Restò
così, in silenzio, per interminabili secondi.
“Quello
che la dea ha gridato al suo ragazzo è una cosa orribile e la reazione esagerata
di Oropa cela dentro di sé un dolore immenso”, esclamò Ryoda con l’amata Kurama
al suo fianco.
“E’
terribile!”, sospirò la principessa dei tengu.
“Hai
capito benissimo!”, sbraitò la dea. “Hai solo sfruttato ancora una volta le
debolezze altrui per importi! Non sei cambiato affatto!”.
Oropa
si rialzò e con lenti passi si avvicinò alla ragazza. Arrivato di fronte a lei,
afferrò la mano destra dell’amata e vi depositò qualcosa che si era tolto di
tasca e le disse: “Benten, in amore e in guerra tutto è lecito! Questa è
tua!”.
La
dea aprì la mano e vi trovò la sua catena fermacapelli; i suoi occhi si
riempirono di lacrime e con un gesto rapido si sfilò la fascia dai capelli e la
buttò ai piedi del ragazzo. “E questo straccio è tuo!”, ringhiò furente.
Oropa
lo raccolse e prese ad allontanarsi. “A domani!”, disse il giovane sventolando
la fascia in segno di saluto.
“Questo
non è giusto!”, protestò energicamente Tzukino, incapace di comprendere la
reazione dei due giovani. “Smettetela con questa assurda dimostrazione di forza
e accettatevi per quello che siete!”.
“Va
tutto bene, Tzukino”, disse Oropa con un filo di voce. “Ora andiamo!”.
“NON
POTETE LASCIARVI IN QUESTO MODO! CHIARITEVI UNA VOLTA PER…”.
“TI
HO DETTO CHE VA TUTTO BENE! ANDIAMO!!”, gridò furibondo Oropa senza voltarsi,
facendo sobbalzare tutti i presenti. Tzukino abbassò la testa e insieme si
allontanarono in silenzio.
“Kurama,
ti dispiace se ti lascio un attimo da sola e vado a fare due chiacchiere con
quel ragazzo?”, domandò Ryoda.
“Non
c’è problema!”, rispose la principessa dei tengu. “Credi davvero di poter
fare qualcosa per lui?”.
“Forse!”,
si limitò a risponderle il partner.
“Povero
Oropa”, commentò Lamù mentre osservava Oropa e Tzukino allontanarsi. “Doveva
sapere che una ragazza fiera ed orgogliosa come Benten non avrebbe reagito bene
ad una sconfitta… e la colpa è anche nostra perché l’abbiamo spalleggiata”.
“Cambiamo
chiosco, ragazze!”, disse visibilmente seccata e di pessimo umore la dea della
fortuna alle sue amiche.
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Capitolo 7 *** La genesi della divinità ***
sa
LA GENESI
DELLA DIVINITA’
“Fa
male!”, singhiozzò Oropa, picchiando la fronte contro il grosso tronco di una
palma. Si lasciò cadere lungo il tronco e si mise seduto ai piedi dell’alta
pianta, mentre continuava a versare lacrime amare con in mano la fascetta.
Tzukino
si accomodò al suo fianco, carezzandogli dolcemente la testa.
“Se
sono debole, posso sempre rinforzarmi, allenarmi; se sono insicuro, sfiderò i
peggiori esseri e mi misurerò con le mie paure; se sono stupido, alimenterò la
mia mente con la curiosità e nozioni sempre nuove…”.
“Suvvia,
signor Oropa”, lo consolò la ragazzina. “Lei non è nulla di tutto ciò!”.
“Ma
io non posso… fare nulla, per cambiare la mia origine!”, si sfogò il ragazzo con
un grido soffocato. “Sono arrivato qui così e non posso cambiare questo!”,
concluse mentre si mordeva il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
“Oropa,
non faccia così”, proseguì Tzukino, determinata a consolare l’affranto ragazzo.
“Probabilmente Benten è rimasta molto colpita dall’essere stata sconfitta così
facilmente, ed essendo una donna molto orgogliosa… ha detto quella cosa per
ferirla, ma sono sicura che lei non lo…”.
“Basta!
Non dire altro, per favore!”, le ordinò Oropa. “Non spetta a te dirmi se era
solo un insulto dettato dalla rabbia del momento. Voglio cercare da solo la mia
verità!”.
“Ben
detto!”, esclamò uno strano individuo che avanzava camminando nella loro
direzione.
Oropa
vide un ragazzo più grande di lui coi capelli corti e scuri, una barba ispida e
leggermente incolta e lo sguardo saccente e fiero.
“Ti
chiami Oropa, giusto?”, chiese il giovane uomo allungando la mano verso il
ragazzo biondo che la strinse nella sua. “Esatto!”, disse. “Ora scusi, ma è un
momento complicato e non ho molta voglia di fare amicizia”.
“E’
solo colpa tua!”, esclamò l’individuo, assumendo una postura marziale.
“E
tu che diavolo ne sai?”, ringhiò Oropa a denti stretti.
“Il
mio nome è Ryoda, ho vent’anni e adoro la storia, la letteratura e la narrativa
perché la parola è potere!”.
“Affari
tuoi!”, rispose seccato l’apprendista di Orochi, voltandogli le spalle ed
allontanandosi.
“Aspetta
un momento!”, gli rispose il compagno di Kurama. “Voglio solo parlare con te. Ho
assistito a tutta la scena e trovo ingiusto ciò che ti è stato detto”.
“E
tu che ne sai di me?”.
“Più
o meno tutto! La mia compagna Kurama mi ha raccontato ogni cosa sul tuo
conto”.
Detto
ciò, Ryoda invitò Oropa a sedersi con lui all’ombra della palma.
“Cosa
volevi dirmi?”, gli chiese il ragazzo dai capelli biondi.
“Sai,
una volta ho letto un libro intitolato Il piccolo principe che narra la
storia di un giovane principino che vaga di stella in stella facendo degli
incontri interessanti”, esordì l’insegnante di Storia terrestre originario di
Meiji. “Un giorno, il principino incontrò una volpe e volle farsela amica, ma la
volpe cercò di evitare lo sconosciuto. Il principino, per tutta risposta, cercò
di convincerla a giocare con lui. Ad un certo punto, la bestiola gli disse più o
meno queste parole: Se mi vuoi, addomesticami e vieni ogni giorno qui alla
stessa ora. Io ti aspetterò e mi preoccuperò per ogni minuto di ritardo; ogni
giorno mi avvicinerò di un passo a te e ogni giorno trascorrerò con te un minuto
di più… finché non diventeremo amici!”.
“Che
bella cosa!”, esclamò Tzukino.
“Cosa
ha a che vedere questa storia con me?”, domandò Oropa.
“Tu
non ti sei avvicinato alla tua ragazza, ma l’hai urtata con la tua fretta di
mostrarti e l’hai fatta fuggire!”, rispose Ryoda, svelando così il significato
delle sue parole. “Ecco perché poi ti ha aggredito in quel modo!”.
“Che
ne dici di continuare la nostra conversazione con una bottiglia di birra?”,
propose all’improvviso Oropa. “Però devo chiederti di offrirmela tu perché ho
diciassette anni e sono ancora minorenne!”.
“Nessun
problema!”, rispose allegro Ryoda.
“Tu
andrai a chiedergli scusa!”, impose Lamù a Benten.
Le
tre aliene si erano accomodate ad un tavolo di un bar distante da quello
precedente e stavano gustando un gelato. Benten, tuttavia, continuava a
mescolare e rimescolare la sua coppa di gelato con aria assente e si reggeva la
faccia sul palmo di una mano.
“Ti
ho detto che gli chiederai scusa!”, ripeté la bella oni battendo i pugni
sul tavolo.
“Non
ci penso proprio…”, commentò apatica Benten.
“Credo
che Lamù abbia ragione”, s’intromise Oyuki. “Sappiamo quanto sei testarda,
orgogliosa e pronta al litigio, ma credo che stavolta tu sia andata troppo
oltre; le tue parole avranno sicuramente ferito Oropa, quindi è quanto meno
doveroso che tu porga le tue scuse a quel povero ragazzo!”.
“A
me non pensate?”, chiese la dea della fortuna alle sue amiche con la fronte sul
tavolo. “Quello squilibrato si è sparato nello spazio per andare alla ricerca
del suo destino lasciandomi da sola senza neppure darmi sue notizie. L’ho
odiato immensamente nei giorni successivi al punto da odiare anche me stessa per
non essere riuscita a fermarlo. Non mi importa se è forte o debole, pavido o
coraggioso, lento o veloce, intelligente o stupido… a me lui piace così com’è!
Non voglio che senta questa competizione nei miei confronti!”, concluse
Benten.
“Lui
lo ha fatto solo per sentirsi degno di te. Come puoi non farlo tu?”, domandò
Oyuki all’amica.
“D’accordo!
Più tardi andrò a chiedergli scusa, ma adesso fate silenzio e lasciatemi in
pace!”, sbottò la dea della fortuna poco prima che Lamù le saltasse addosso
stringendola forte a sé.
Oropa
appoggiò la bottiglia vuota sul banco di legno del chiosco, e lo stesso fece
Ryoda. Tzukino era stata invitata a giocare a pallavolo da un gruppo di
ragazzini e i due l’avevano spronata a partecipare; la si vedeva divertirsi in
loro compagnia come una ragazzina qualunque.
“Quella
ragazzina, Tzukino… è Orochi, non è vero?”, domandò a bruciapelo Ryoda al suo
amico.
“Come
diamine fai a saperlo?!”, chiese Oropa visibilmente stupito.
“Devi
sapere che, essendo un appassionato di letteratura, ho avuto il privilegio di
poter accedere al pianeta Alexandria, ove giacciono innumerevoli testi antichi
scritte in tutte le lingue dei popoli dell’universo. Uno di essi si intitolava
La genesi della divinità e narrava una storia che mi ha molto colpito. A
metà volume c’era un ritratto della stessa ragazzina che ora gioca a pallavolo
laggiù! Ora ascoltami bene, Oropa, perché la storia che ascolterai è struggente
e dolorosa… nonché spietatamente vera!”.
Si
narra che una notte, una splendida bambina venne al mondo fra l’affetto di una
povera famiglia mentre in cielo vi era la luna piena..
Una
mattina, un raggio di sole scese al suolo ed assunse le sembianze di un
principe; egli bussò al portoncino in legno e si fece accogliere in quell’umile
dimora… incredibilmente, la neonata aprì gli occhi, splendenti come gemme nere,
e sorrise al nuovo arrivato.
Il
principe la baciò sulla fronte e rivolse ai genitori i propri complimenti.
Aggiunse che la bambina aveva ricevuto un dono dal bacio che avrebbe portato
fortuna alla famiglia, ma che doveva essere custodito
gelosamente!
Detto
ciò, il principe sparì trasformandosi in luce e risalì verso il
sole.
La
bambina venne chiamata Tzukino.
La
bimba crebbe splendida e felice, mentre la sua famiglia conobbe fortune sempre
maggiori; ad ogni passo della piccola sbocciavano fiori, i suoi desideri si
tramutavano in meravigliose realtà e la sua gioia inondava il piccolo villaggio
di contadini.
Purtroppo,
quei miracoli non sfuggirono ad occhi profittatori e la bambina venne catturata
e fatta prigioniera nelle celle del maniero del proprietario terriero che
governava la zona.
Costui,
godendo dell’aura della bambina, conobbe grandi fortune ed ebbe una maligna
idea: obbligò con le minacce Tzukino a concentrare i suoi poteri su un
talismano.
Passando
di mano in mano, il talismano contribuì ad un vertiginoso sviluppo tecnologico
in mano a scienziati, a grandi e ricche coltivazioni in mano ad agricoltori,
fino a garantire le vittorie nelle guerre a condottieri di
eserciti.
Tutto
ciò veniva tenuto all’oscuro alla povera Tzukino, costretta in pochi metri di
cella, con una benda perennemente calata sugli splendidi
occhi.
A
portare alla bimba, esile e magra, cibo e bevande, era sempre un ragazzino,
sordo e muto, scelto proprio in virtù dell’impossibilità di comunicare la verità
alla piccola.
Costei,
desiderosa di conoscere chi si prendeva cura di lei, imparò a leggere le menti e
così, la verità le fu svelata.
Tzukino
pensava che la sua fortuna venisse impiegata per il bene comune ed invece,
grazie ai suoi poteri, inventarono polvere da sparo, armi da fuoco, terribili
veleni; impoverirono terre saccheggiandole e coltivandole fino all’esaurimento,
pescarono ogni pesce dal mare e cacciarono ogni animale libero della foresta…
posero fine ad intere nazioni.
Tzukino
restò orribilmente segnata nell’animo da quella scoperta e il suo giovane
servitore, vedendola disperata, si ripromise di farla scappare, ma le guardie li
catturarono dopo pochi metri di fuga.
Torturarono
il ragazzino fino allo sfinimento e costrinsero Tzukino ad impiegare sempre
maggiormente i suoi poteri, con la minaccia che se si fosse rifiutata di
collaborare, il giovane sarebbe stato ucciso.
Purtroppo,
la terra così impoverita non dava più frutti, il mare era svuotato di ogni
pesce, il bosco era spento di ogni vita; le popolazioni cominciarono a
rivoltarsi, uccidendosi fra loro per un tozzo di pane.
Fame,
malattie, guerre flagellarono l’intero pianeta e neppure la fortuna di una dea
era in grado di porre fine a tutto ciò.
Tzukino,
nella sua mente, ascoltava ogni preghiera, ogni strazio, ogni sofferenza di
ciascuna persona… sentì la sua famiglia morire bruciata viva nella loro dimora
ed il ragazzo venne impiccato per via del fatto che la bambina non dava i
risultati sperati.
Al
colmo della disperazione, una voce la guidò alla luce.
Si
narra che la gigantesca dimora del proprietario terriero, simile ad una
montagna, si spezzò in due ed un gigantesco drago alato riempì il cielo nero
della notte e distrusse quel mondo malato, purificandolo nel fuoco e nel
fulmine, spazzandolo con tempeste di ghiaccio e rovesciando i mari sulla terra
con la furia dei venti, portando finalmente la pace e il
silenzio.
Tuttavia,
il possente drago si spaventò del suo enorme potere e si rifugiò nell’infinità
dell’universo.
Pentito
della strage che aveva compiuto, il possente drago scisse il suo potere nel seme
di nuovi pianeti e nuovi esseri, creando popolazioni che custodivano dentro di
esse parte del suo immenso potere.
Le
oni assorbirono un drago di pura energia elettrica e gli oni un
drago di fuoco; alle dee andò parte della sua immensa fortuna, ai tengu
andò il soffio della lucertola alata del vento ed un grosso varano vagò per
quelle terre custodendo il rancore, mentre il gelo e la furia dell’acqua furono
confinate su Nettuno.
Si
narra che da qualche parte nell’universo, una serpe enorme e spietata porti
gioia ai sinceri e morte ai falsi, ed attenda, così svuotata di gran parte dei
suoi poteri, che le sue memorie vadano sigillate nella terra del riposo e che la
sua anima straziata possa finalmente trovare la pace.
Quella
serpe, originata dalla disperazione di Tzukino, porta il nome di
Orochi.
Oropa
appoggiò la bottiglia vuota sul bancone e Ryoda a sua volta scolò la sua per
lenire la gola riarsa dopo il racconto.
Il
ragazzo biondo, sotto gli effetti dell’alcool, guardò Tzukino che giocava in
acqua in compagnia di altri giovani da poco conosciuti.
Poi
fissò intensamente la sua bottiglia, e disse: “Ordina ancora, amico mio…”.
“Mi
piacerebbe molto diventare un tipo come te”, sospirò Oropa. “Conosci un sacco di
cose e usi le tue conoscenze al servizio del prossimo... invece io non riesco a
fare niente per nessuno, nemmeno a far capire alla mia ragazza che… oramai non è
più tale, visto che mi ha respinto alla grande… e poi Tzukino… che passa una
vita in totale solitudine su un sasso sperduto nell’universo… non so cosa dovrei
fare con lei… mi prende una voglia di baciarla e non lasciarla più… come con
Benten… voglio dire che…”.
“Sei
già ubriaco!”, ridacchiò Ryoda dando una pacca sulla spalla del ragazzo.
“Ascoltami
bene, amico mio: nessuno può dirti una verità assoluta sull’amore… perché ognuno
di noi ha una concezione differente su di esso… però, sappi che l’amore può
anche essere una scelta. Prendi me, per esempio: ho passato la prima notte con
Kurama per onorare il debito che i miei datori di lavoro avevano contratto con
lei, ma poi ho scelto di restare al suo fianco, godendo della sua compagnia,
scolpendo il mio essere sulle sue spigolature… giorno per giorno, io e lei ci
affezioneremo sempre più, come la volpe ed il principino, e ci innamoreremo
lentamente l’uno dell’altra, accettandoci lentamente, senza urtarci!”.
“Senti,
Ryoda… ma la storia che mi hai raccontato prima è… attendibile?”.
“Lo
è!”, esclamò Tzukino alle loro spalle. “Avevo appena compiuto quattordici
anni”.
Oropa
cadde dallo sgabello per lo spavento, finendo con la faccia nella sabbia.
“Signor
Ryoda, la prego di non svelare a nessuno ciò che ha appreso da quel testo… è la
storia autentica, e lei è stato l’unico a saper decifrare quel testo finora! Lo
scrissi io stessa, usando gli antichi caratteri del mio pianeta… ed essendo io
l’unica rimasta in grado di leggerli, mai avrei pensato che un giorno qualcuno
potesse conoscere il mio segreto”, disse la ragazzina.
“Ha
la mia parola d’onore!”, promise solennemente il giovane insegnante di Storia
terrestre.
Oropa
si rialzò visibilmente contrariato, appoggiò pesantemente le mani sulle esili
spalle della giovinetta e cominciò a scuoterla. “Perché non mi hai detto
niente?!”, gridò. “Perché hai permesso che io facessi lo stupido con te senza
conoscere una cosa così importante? Dovevi parlarmene!”.
Il
giovane cominciò a singhiozzare, poi lasciò Tzukino e cominciò a correre fra le palme,
inciampando e finendo faccia al suolo a più riprese.
“Credo
che sia meglio lasciare che gli passi la sbornia”, disse Ryoda alla ragazzina.
“Gradirei presentarla alla mia compagnia ed invitarla a passare alcuni momenti
con noi, signorina Tzukino; considero un grande onore averla incontrata!”.
“Accetto
volentieri, signor Ryoda! Anch’io considero un onore passare del tempo con
qualcuno che conosca appieno al mia storia senza che abbia false
compassioni”.
Ryoda
saldò il conto del bar con i soldi che Oropa gli aveva lasciato e i due si
allontanarono.
Oropa
correva fra le palme con il fiatone e la testa pesante; i suoi occhi faticavano
a sbrogliare la matassa delle immagini distorte che gli si paravano davanti ed
il suo senso dell’equilibrio era inebriato dai vapori dell’alcool.
“Quello
è il ragazzo della sfida!”, disse una ragazza alle sue amiche in lontananza.
“Sembra
che stia male!”, aggiunse una seconda.
“Non
si rialza più!!”, gridò una terza.
In
breve il vociare attirò l’attenzione di Benten, Lamù ed Oyuki, sdraiate nelle
vicinanze.
“Oropa
è svenuto!!”, gridò allarmata la bella oni alle sue amiche.
“Fate
largo!!”, gridò Benten facendosi spazio fra i curiosi in cerchio.
Oropa
stava supino al suolo, con la faccia mezza seppellita nella sabbia.
Benten
lo voltò e posò la sua testa sul petto del giovane. “Il cuore batte!”, pensò.
Dopodiché avvicinò la faccia alla bocca del giovane ed un tanfo di alcool fece
chiarezza sulle condizioni del ragazzo.
“E’
solo ubriaco!”, sentenziò la dea della fortuna.
Oropa
riaprì gli occhi e la luce del tramonto trafisse la sua mente; udì delle voci attorno a sé, riaprì gli
occhi e vide le figure scure di due ragazze: una aveva le corna e l’altra
emanava un’aura gelida.
“Lamù…
Oyuki… dov’è Benten?”, chiese stupito il giovane.
“Chi
credi che ti stia reggendo la testa, ubriacone?!”, esclamò una voce.
Oropa
sollevò gli occhi ed incontrò la faccia della sua amata; con un brusco movimento
cercò di portarsi in posizione seduta e successivamente di rialzarsi. Le tre
aliene lo osservarono barcollare sulle ginocchia incerte fino ad andare ad
appoggiarsi ad una palma, incapace di reggersi autonomamente.
Un
conato di vomitò investì la sua bocca, ma il ragazzo lo ricacciò giù e batté la
fronte contro il tronco.
“Ah,
l’amore riduce sempre così le persone!”, sospirò forte la regina di Nettuno.
Lamù
ridacchiò e Benten si sforzò di non ridere a sua volta.
“Ma
certo… è questo che sono… divertente… perché se smetto di essere divertente non
sono più buono a nulla, vero?!”, sussurrò Oropa con la testa pesante come un
blocco di marmo.
“Adesso
basta, Oropa!”, lo rimproverò Lamù. “Quello che avevi da dimostrare lo hai
dimostrato! Benten è testarda e fiera!”.
“Grazie…”,
bisbigliò poco convinta la bella dea.
“Lasciami
finire!”, la zittì la oni. “Benten è
testarda, fiera ed orgogliosa! Credevi davvero che ti cadesse fra le braccia
dopo che l’hai umiliata e provocata?”.
Seguirono
attimi di silenzio.
“Ti…
chiedo… scusa!”, disse Benten faticosamente, mentre gli occhi delle tre si
posarono sul ragazzo, ansiose di osservarne la reazione.
Benten
si alzò, si ripulì le ginocchia dalla sabbia e si avvicinò al ragazzo,
appoggiandogli dolcemente una mano sulla spalla.
“Oropa…
mi dispiace davvero per ciò che ti ho detto… perdonami, se puoi”.
Gli
occhi della dea si fecero lucidi, ma uno splendido sorriso apparve sul suo
volto; si sentiva leggera, libera dall’angoscia di quelle parole.
“Per
quanto tu possa scusarti con me, ciò non cambierà le cose”, rispose Oropa.
La
sua voce tradiva i sentimenti del ragazzo: fingeva apprezzamento, ma in realtà
era colmo di rancore.
Benten
si spazientì e strinse le dita sulla spalla di Oropa, strattonandolo e
costringendolo a voltarsi. “Detesto chi mi parla senza guardarmi in faccia!”,
aggiunse ringhiando.
Incrociò
il volto di Oropa e si allontanò di un passo: il ragazzo aveva gli occhi
spalancati e colmi di rabbia, come un cane randagio messo all’angolo pronto ad
azzannare.
“Mi
disprezzi?!”, disse con le guance frementi. “Bene! Disprezzami, allora! Sai una
cosa?! L’amore può essere una scelta, ma io non ho scelto di amarti! Mi è
successo per caso, appena ti ho vista con i miei veri occhi! Tu…”, la sua voce
si fece spezzata da brevi respiri mischiati a singhiozzi, “… sei bella, piena di
energia, solare… ed io cosa sono? NIENTE!! Niente rispetto a te… ma se la
debolezza si può cancellare nella forza, se, il timore lascia spazio al
coraggio, se la stupidità si può nutrire di cultura… IO RIMANGO QUELLO CHE SONO,
LO CAPISCI? NON E’ COLPA MIA, NON L’HO VOLUTO IO!!”.
Lamù
ed Oyuki ascoltavano spaventate dall’eccessivo nervosismo del ragazzo, cercando
un lume di ragione in quelle parole sconsiderate.
Benten
a sua volta era incredula e si chiedeva fino a che punto avesse ferito l’animo
del suo amato Oropa per trasformarlo così.
Il
ragazzo riprese fiato, avanzò di qualche passo raddrizzando il busto ed afferrò
la dea stringendo forte le sue spalle nelle sue mani. “Credi che io stesso non
sappia di quanto assurdo sia stato il motivo che mi ha portato qui? Ma ormai
sono qui ed è più importante che rimanga! Tuttavia… tuttavia… tu me lo
impedisci! Sei proprio tu che mi fai sentire piccolo e fragile, come quando si
osserva l’immensità del cielo in una notte stellata e ci si chiede quanto si è
piccoli ed inutili rispetto all’infinità del cosmo! SEI TU STESSA A RENDERMI
INSIGNIFICANTE!!”, sbraitò infine fuori di sé.
Un
forte schiaffo lo fece cadere nella sabbia.
Massaggiandosi
la guancia, Oropa vide che Benten stringeva i pugni e tremava, con le lacrime
che le solcavano il volto.
Il
ragazzo si rialzò ed un secondo schiaffo lo ricacciò al suolo.
“NEMMENO
IO HO CHIESTO DI ESSERE UNA DEA!!”, gridò in lacrime Benten.
Colpito
da quelle parole, Oropa si rialzò e si avvicinò all’amata, che teneva la testa
bassa e le braccia lungo i fianchi.
Il
ragazzo allungò un braccio in direzione del viso dell’amata per sollevarlo e
poterla osservare negli occhi, ma un terzo, violentissimo ceffone lo mandò
nuovamente al tappeto.
“Mi
arrendo…”, pensò Oropa steso a terra col volto livido.
“Nemmeno
io ho chiesto di essere una dea”, ripeté in lacrime Benten. “Per te… vorrei solo
che tu la smettessi di aver paura di me… e poterti finalmente… amare… come una
ragazza normale!”.
Detto
questo, la ragazza si coprì il volto con le mani e corse via.
Oropa
si rialzò e tentò di seguirla, ma una violenta scarica elettrica lo investì in
pieno.
“Sei
uno stupido!!”, gridò Lamù prima di lanciare una seconda scarica che il ragazzo
non riuscì ad evitare.
“Signor
Oropa, sono ben conscia che la faccenda non mi riguarda direttamente ed è mia
abitudine non intromettermi mai nei problemi altrui”, esordì Oyuki con tono
distaccato. “Tuttavia, lei ha dato sfoggio di una crudeltà e stupidità senza
eguali”.
Una
violenta folata di vento gelido sbatté il giovane contro il grosso tronco di una
palma ed un attimo dopo aculei di ghiaccio lo inchiodarono contro il legno,
trattenendolo per i lembi dei vestiti.
“Il
ghiaccio si scioglierà in un paio d’ore, signor Oropa. Ne approfitti per farsi
un esame di coscienza!”, concluse la regina di Nettuno prima di allontanarsi
silenziosa.
“E’
già il tramonto!”, disse Kurama guardando la rossa palla infuocata spegnersi
sulla superficie del mare all'orizzonte.
“Credo
che sia ora che io recuperi il signor Oropa”, affermò Tzukino. “Grazie del
gelato che mi avete offerto; è stato un piacere chiacchierare con voi!”.
Ryoda
e Kurama salutarono la ragazzina che si allontanò correndo in direzione della
boscaglia di palme.
“Simpatica
ragazzina… anche se ha lo sguardo un po’ triste”, commentò la principessa dei tengu. “Non ci ha nemmeno detto da che
pianeta proviene e come ha incontrato quell'Oropa!”.
“Tutte
le ragazzine sono un po’ sbadate alla sua età...”, sentenziò Ryoda.
I
due rimasero ad osservare il tramonto, poi il professore abbracciò l'amata
cingendogli la vita con le braccia e dopo averle sussurrato qualcosa
all’orecchio, si baciarono appassionatamente.
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Capitolo 8 *** I preparativi per il grande evento ***
sa
I PREPARATIVI
PER IL GRANDE EVENTO
“Eccoti
qui!”, disse Tzukino al cospetto del ragazzo ancora appeso al tronco della
palma.
“Te
la sei passata male… a quanto pare!”, scherzò la ragazzina.
“Questa
è… la fine, vero?”, chiese lui con un filo di voce. “Io l'ho… perduta per
sempre, vero? Sono stato un vero stupido!”.
“Cosa
farai adesso?”, chiese Tzukino mentre rimuoveva le scaglie di ghiaccio che lo
tenevano inchiodato.
“Io…
non lo so. Sono stato troppo stupido, cieco, orgoglioso, immaturo… per quanto mi
creda pronto e deciso, non sarò mai degno di una ragazza come lei”.
Tzukino
lo liberò ed il ragazzo finalmente poggiò i piedi al suolo, reggendosi a
stento.
“Mi
acconsente di poter parlare con Benten?”, domandò la giovinetta con un dolce
sorriso.
“Fai
come meglio credi…”, rispose
Oropa.
Benten,
Oyuki e Lamù stavano risalendo al parcheggio, strette fra decine di persone
dentro al tunnel ascensore...
Nel
grande piazzale, che andava svuotandosi, le tre amiche rimasero a contemplare la
sfera sotto di loro: il sole tingeva d’oro la superficie piatta dell’acqua e le
porzioni di terra ricche di vegetazione si scurivano gradualmente, formando un
bel contrasto.
“Domani
ci aspetta una giornata faticosa”, esordì Lamù cercando di rallegrare la cupa
atmosfera. “Stanotte andrò sulla Terra a prendere i miei amici!”.
“Io
porterò Bi-M-Bo e sarò dello schieramento degli dei”, affermò Oyuki.
Improvvisamente,
la dea si portò le mani fra i capelli.
“NON
FARE DOMANDE, BENTEN! ASCOLTA SOLTANTO CIO' CHE HO DA DIRE!”, disse una voce
potente che si faceva largo nei suoi pensieri, invadendo la sua mente.
La
ragazza si ritrovò immersa nel buio e davanti a sé apparve una gigantesca serpe
con due enormi corna ramificate e giganteschi occhi gialli.
“Tu
sei… OROCHI?!”, esclamò stupita e spaventata.
“TI
HO DETTO DI NON FARE DOMANDE. ASCOLTAMI!”.
"Sì…
v-va bene”.
“HO
SOTTOPOSTO OROPA A MOLTE PROVE; GLI HO MOSTRATO GRANDI TRAGEDIE, HA ASSAPORATO
DISPERAZIONE E DOLORE… CENTO VOLTE SI E' APERTO IL BARATRO DELLA MORTE SOTTO DI
LUI, CENTO VOLTE AVREBBE POTUTO ABBANDONARSI ALLA FINE PER IL FREDDO, PER
LA FAME, PER
LA DEBOLEZZA,
PER LE FERITE E PER L'ORRORE…”.
Mentre
udiva quella voce, Benten vedeva il suo amato ora lottare dentro una buia e
stretta grotta contro un enorme verme che dilaniava la sua pelle, ora lo vedeva
abbattere alberi, ora spaccare pietre; lo vide stringere a sé un bambino,
immobile sotto la pioggia torrenziale ed udì il suo straziante urlo disperato;
lo vide scavare nel fango, lottare
contro enormi insetti carnivori, scalare una gelida montagna per portare un
fiore curativo ad un anziano malato; lo vide combattere e gioire, cadere e
soffrire, rialzarsi e provare ancora; lo vide piangere e ridere, coperto di
melma in una palude e bello come il sole nella luce del mattino, mentre dormiva
col viso beato come quello di un santo.
“DOVE
CENTO VOLTE AVREBBE POTUTO MORIRE… OROPA
AVEVA UN MOTIVO, PER AVANZARE ANCHE SOLO DI UN ALTRO PASSO…”.
Improvvisamente
la Dea vide se
stessa nel cielo stellato e Oropa su un sasso alla deriva nello spazio, piccolo
e fragile, che tendeva una mano verso lei.
“QUANDO
TUTTO ERA TROPPO, LUI SI AGGRAPPAVA A TE E OGNI VOLTA SORRIDEVA AL DOMANI”.
“Benten,
stai bene?!”, la chiamò con uno scossone Lamù.
La
bella aliena la fissava con occhi curiosi e lo stesso faceva Oyuki, accovacciata
al suo fianco.
La
dea della fortuna si voltò a destra e sinistra, si grattò la nuca e si alzò.
“Sembrava… un sogno!”, esclamò fra lo stupore delle amiche.
“Ma
che cosa stai dicendo?!”, chiese Oyuki appoggiando una mano sulla fronte
dell’amica per controllare che la temperatura fosse nella norma.
“Non
mi seccate!”, sbottò Benten portandosi le mani sui fianchi e sorridendo con
quell’aria fiera tipica del suo carattere. “Muoviamoci, ora! Prima vi scarico a
casa vostra e prima potrò completare le preparazioni per la grande battaglia!”.
La
ragazza alzò un braccio davanti a sé e strinse un pugno, come se avesse
catturato qualcosa e non volesse più lasciarlo. “Domani… sarà la mia
preda!”.
Oropa
prese una gomma da masticare alla menta dalla tasca e se la portò alla bocca
mentre si sedeva nella sabbia, appoggiando la schiena al tronco di una
palma.
Contemplò
il tramonto, l’aria fresca della sera e la figura esile ed aggraziata di
Tzukino, che restava in piedi vicino a lui ad ammirare lo stesso spettacolo.
Ripensò
alla leggenda della divinità che gli aveva raccontato Ryoda e siccome nelle
vicinanze non c’erano cestini per l’immondizia, ingoiò la gomma.
“Siediti
qui, Tzukino”, propose alla ragazzina. Così dicendo indicò lo spazio libero fra
le sue gambe divaricate, tenute con le ginocchia piegate ed i piedi ben piantati
nella sabbia. La ragazzina, incredibilmente, obbedì senza porre domanda
alcuna.
“Appoggia
la tua schiena sul mio petto”, disse Oropa con gentilezza.
Allungò
le braccia intorno al collo di Tzukino
e rimasero a lungo in silenzio, mentre la superficie del mare appariva
come increspata di mille serpenti dorati ed il sole affogava nell’acqua in un
lento abbandonarsi.
“Mi
spiace di averti rovinato la giornata”, bisbigliò il ragazzo.
“Non
ha rovinato nulla… anzi, le sono molto grata per avermi portata qui… è stato
bello”, rispose Tzukino con la sua voce tenera.
Le
prime stelle comparvero nel cielo che andava scurendosi; Oropa, nella sua mente,
ebbe un fremito. Tzukino ascoltò quel pensiero e voltò la testa fino ad
incontrare gli occhi socchiusi del giovane.
Oropa
avvertì i battiti nel suo petto accelerare come impazziti, mentre affondava
lentamente in quei tristi, splendidi occhi neri.
Le
sue labbra si appoggiarono su quelle di Tzukino.
La
ragazza avvertì una morbida e sensuale presenza scivolare sulla lingua, dentro
la sua bocca, che chiedeva soltanto che quella dolce carezza fosse
ricambiata.
Le
braccia di lui si strinsero intorno al busto della ragazza con maggior vigore,
mentre lei abbandonava se stessa in quel bacio: non vi furono pensieri o parole,
ma un solo, lungo, splendido bacio.
Riaprì
gli occhi e vide quelli di lui, vicinissimi, ancora socchiusi: erano umidi e
languidi. Arrossì leggermente prima di separare le sue labbra da quelle del
ragazzo.
“Oropa,
io non… lei non doveva”, sussurrò lei.
“Hai
compiuto da poco quattordici anni, no? Me lo hai detto tu che questa è l’età in
cui una ragazzina si trasforma in donna; è qui che esplodono i primi,
travolgenti amori e si scoprono i primi baci”, rispose lui con parole
affettuose. “Io non so cos’altro avrei potuto fare per te… tu hai fatto tanto
per me. Mi sono presentato a te senza sapere nulla della tua storia, della tua
sofferenza… se anche questo mio bacio fosse per te importante, saprei che non
sono stato solo un impiccio… e poi, ho solo tre anni più di te!”.
“E
Benten?”.
“Glielo
dirò e mi assumerò le responsabilità delle mie azioni. Però… questo era il
giorno che volevo regalarti e ho pensato di renderlo maggiormente speciale! Ho
forse sbagliato?”.
“E’
stato meraviglioso!”, esclamò felicissima Tzukino. “Ho sempre creduto che oramai
le normali emozioni di ragazza mi fossero precluse per sempre… non dimenticherò
mai queste ore di mare passate con lei… mi ha riportata alla vita!”, disse
infine appoggiando la testa contro il collo di Oropa.
“Senza
contare il fatto che Benten mi ha mollato!”, si giustificò il ragazzo.
“Allora…
potrebbe farlo ancora?”.
“Forse…”,
proseguì Oropa sfacciatamente poco prima di posare nuovamente le sue labbra su
quelle di Tzukino… e questa volta fu la ragazzina a spingersi nella bocca di
lui.
“Ora
però è meglio se facciamo ritorno”, aggiunse Tzukino una volta che la sua bocca
fu nuovamente libera. “Domani sarò l’arbitro della contesa; conteggerò le
catture effettuate e devo essere in forze!”.
Oropa
recuperò le loro cose dall’armadietto e la raggiunse tendendogli una mano; un
istante dopo erano nuovamente sull’asteroide ed il ragazzo corse a buttarsi
nella fonte della guarigione. “Domani sarà un compitino facile”, disse sicuro di
sé.
“NON
CI SCOMMETTEREI TROPPO, OROPA!”, affermò Tzukino ritornata sotto le spoglie
della divina serpe Orochi. “DOMANI BENTEN TI INFLIGGERA' UNA SICURA
SCONFITTA”.
Oropa
strizzò i vestiti ed indossò lo yukata, preparò alcuni piccoli sacchetti
su un pezzo di corda e li dispose vicino ad Obelion; poi fissò con aria di sfida
la serpe e disse: “Non credo proprio, dal momento che porterò Obelion”.
“OROPA,
HAI DIMOSTRATO DI AVERE TANTA FORZA DA CAPESTARE L’AMORE IN NOME DELL’ONORE, MA LA TUA BENTEN, HA DIMOSTRATO DI
AVERE TANTA FORZA DA CALPESTARE L’ONORE IN NOME DELL’AMORE! NON COLMERAI
MAI QUESTA
DISTANZA SE NON CAPIRAI QUANTO SIA COSTATO, PER UNA RAGAZZA
FIERA E BATTAGLIERA COME LEI, CHIEDERTI SCUSA COME HA FATTO OGGI”.
Detto
ciò, la serpe si arrotolò su se stessa e prese a dormire beata.
Oropa
si distese al suolo e chiuse gli occhi. “Forza, potere, gloria…”, pensò, “domani
afferrerò direttamente sul campo di battaglia ciò che voglio e supererò
chiunque. Io sarò sempre un passo avanti!”.
“TI
SEI MONTATO TROPPO LA
TESTA!”, lo ammonì Orochi.
Lamù
atterrò con la sua astronave davanti al piazzale del liceo Tomobiki.
Nonostante
fosse ancora notte fonda, una piccola folla si era radunata ad attenderla e
Mendo, Ryuunosuke e Shinobu salirono a bordo.
“Dov’è
quel codardo di Moroboshi?”, chiese Shutaro prendendo posto.
“Sta…
meditando nello sgabuzzino!”, rispose la bella aliena guardando altrove.
Ryuunosuke
aprì una piccola botola sul pavimento, dalla quale giungevano sinistri rumori ed
il ragazzo fece capolino, con mani e piedi legati ed una benda sulla bocca.
“Ho
dovuto farlo, dato che si rifiutava di partecipare”, esclamò sincera Lamù.
“TU
SEI PAZZA!!”, gridò Ataru liberatosi della scomoda benda che gli impediva di
parlare liberamente. “Vuoi trascinarci tutti in una delle tue stupide guerre
contro gli dei! Noi semplici esseri umani siamo troppo deboli!”.
“Parla
per te, mollusco!”, sbraitò Mendo appoggiando la katana sotto il mento dell’agitato
compagno di classe.
“Ataru,
sei sempre il solito fifone!”, lo bollò Shinobu.
“Mezza
cartuccia!”, commentò indignata Ryuunosuke.
“Shinobu
ha ragione: sei proprio un fifone!” disse Ten, rivolgendosi ad Ataru.
“Non
sarà pericoloso per un moccioso come te?”, chiese Mendo prima che una fiammata
lo investisse in pieno.
“Niente
affatto!”, rispose il cuginetto di Lamù con aria di sfida. “Domani ammirerete la
mia ultima creazione: il SUPER TEN MECHA ARMOR AUTOMATIC III!”.
“SALTO
NELL’IPERSPAZIO FRA TRE, DUE, UNO… ZERO. GO!!!”, gridò Lamù mentre il povero
Ataru finì stampato contro una parete dalla violenta accelerazione della
navicella. “Cominciamo bene…”, commentò debolmente.
L’ufo
di Benten atterrò su Nettuno nei pressi della dimora di Oyuki. Molte fanciulle
furono inviate ad accoglierla nel più caloroso dei modi, ma la dea bruscamente
si fece strada da sola. “OYUKI, SIAMO PRONTE?!?”, gridò poi nell’atrio in modo
che la sua voce rimbombasse in ogni stanza.
La
regina di Nettuno scese lentamente le scale, seguita da Bi-M-Bo.
“La
trovo in splendida forma, signorina Benten”, esclamò poi lo yeti tendendo una
mano alla ragazza in segno di amicizia. Benten gli afferrò il braccio e
catapultò la povera bestiola contro un pilastro, facendolo tremare. “Non mi
piacciono i debosciati flemmatici, sacco di pulci!”, disse all’indirizzo del
peloso essere.
“Ti
trovo proprio raggiante!”, esclamò Oyuki divertita da quella scenetta.
La
regina di Nettuno indossava il suo esoscheletro da battaglia bianco perlato,
composto da un’aderente veste in uno speciale tessuto in grado di incrementare i
tempi di risposta muscolari e di accrescerne la forza in modo esponenziale.
Alcune sottili placche di una speciale fibra fornivano una protezione pressoché
impenetrabile a qualsiasi colpo di arma balistica ed erano disposte su tutto il
corpo in modo da sovrapporsi come le scaglie di un pesce.
“Ti
dona proprio… peccato che non potrai indossare l’elmo, visto che per regolamento
la testa dovrà essere scoperta”, aggiunse la dea invitando i due a salire sulla
sua navicella.
“Anch’io
ho una bella sorpresina per un esaltato di mia conoscenza”, continuò una volta a
bordo.
“Sarà
dura affrontare Oropa, visto che ci ha sconfitte una volta”, disse Oyuki.
“Non
ricordarmi queste cose prima di una battaglia!”, le gridò contro l’amazzone
aliena.
“Signorina
Benten, questo modo di esprimersi non è affatto conscio ad una dea della sua
levatura!”, la rimproverò Bi-M-Bo.
“Se
non la pianti, farai la sua stessa fine!”, lo fulminò Benten con uno sguardo
tale da rizzargli ogni pelo sul corpo mentre l’astronave effettuava il salto
nell’iperspazio.
“Ci
dobbiamo già alzare?”, chiese con un filo di voce Kurama al suo compagno, ancora
avvolti sotto le soffici lenzuola di seta.
“Siamo
stati invitati e sarebbe scortese non presentarsi affatto”, disse lui.
“Detesto
queste stupide tradizioni! Specialmente, poi, se mi distolgono da piacevoli
attività…”, disse la principessa dei tengu poco prima di baciare con ardore
il proprio partner.
“Avanti,
cara… sono sicuro che sarà una giornata divertente! Per uno studioso come me,
stare all’aria aperta è un vero toccasana!”.
“E
va bene!”, disse lei sorridendo. “Prima, però, ho un regalo da darti che penso
ti sarà estremamente utile… dal momento che diverrai il re dei tengu!”.
“Eccoci
finalmente al grande giorno!”, sospirò Oropa trascinandosi alla fonte della
guarigione.
“Perché
sei così poco entusiasta?”, gli chiese Tzukino mentre si lavava il viso,
inginocchiata sulla riva del laghetto.
Oropa
la fissò intensamente e in cuor suo provava angoscia all’idea che questa sarebbe
stata l’ultima giornata passata con lei. “Non so più cosa voglio”, ammise
sinceramente.
Tzukino
lo osservò in silenzio, mentre il ragazzo teneva lo sguardo fisso nel suo
riflesso sull’acqua.
“Ciò
che ho fatto qui mi ha fatto sentire forte ed utile al prossimo… questo continuo
essere messo alla prova mi fa sentire vivo! Sentirsi sempre spronati a
migliorarsi è una sensazione magnifica, non credo di essere in grado di
rinunciarvi…”.
“Sei
uno stupido!”, sibilò Tzukino.
Oropa
rimase in silenzio, ma accennò un sorriso.
La
ragazzina, invece, si alzò e strinse i pugni. “Tu…tu sei un BUGIARDO!!”, gridò
fuori di sé.
“Tu
e il tuo vizio di curiosarmi in testa…”, sospirò il ragazzo prima di voltarsi e
fissare i suoi occhi in quelli enormi e gialli della serpe.
“MI
HAI MENTITO, OROPA”, disse con voce seria Orochi, sollevando l’enorme testa.
“Sì,
l’ho fatto!”, rispose lui con un sorriso di sfida. “Ma tu sai comunque la
verità… e poi è solo parte di una verità che avrei voluto celarti”.
“NON
FA DIFFERENZA!”.
“Invece
sì, bestiaccia! Voglio restare al tuo fianco fino alla fine dei miei
giorni!”.
Oropa
corse rapido ed impugnò Obelion, aggirando l’enorme serpe e puntando lo spadone
all’indirizzo del possente essere.
“In
questi due mesi io ho amato intensamente Benten; l’ho avuta al mio fianco in
ogni momento, ma incontrarla nuovamente l’ha solo portata ad allontanarsi da me!
Vivendo qui la mia vita, potrò amarla per sempre ed aiutare la gente senza
essere costretto ad abbandonarti alla solitudine!”.
Un
lampo lo accecò; quando riaprì gli occhi, Tzukino lo osservava con aria delusa
ed amareggiata.
“Ovviamente”,
esordì la ragazzina, “non pensi affatto alla sottoscritta, che in questo caso
sarebbe costretta a vederti invecchiare ed infine morire. Sarei comunque
costretta alla solitudine, Oropa,
ma sarebbe più feroce, dopo aver passato tutto quel tempo con te… inoltre, io
resterò per sempre una ragazzina di quattordici anni e non potrei seguirti nella
tua crescita…”.
Mentre
parlava, le prime lacrime bagnarono i suoi occhi per poi scendere lungo le
pallide guance.
“Sei
un egoista!”, lo bollò infine. “Pensavo di averti insegnato qualcosa… invece sei
sempre il solito. Pensi solo a ciò che è meglio per te; abbandoneresti chiunque
pur di fare ciò che vuoi, di arrivare dove vuoi. Io ti… ti ODIO!”.
Oropa
lasciò cade al suolo lo spadone e si allontanò, andandosi a sedere contro un
albero.
Si
portò le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi; poi ammise: “Hai ragione tu, su
tutta la linea”.
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Capitolo 9 *** Le regole della contesa ***
sa
LE REGOLE
DELLA CONTESA
Sul
pianeta Silva, gli oni e gli dèi
della fortuna stavano ultimando di disporre il campo di partenza in uno stretto
canyon. C’era chi allestiva bancarelle dove acquistare armi e munizioni da
addestramento, altri montavano cucine da campo, qualcuno teneva un briefing con
i compagni, altri ancora ridevano e scherzavano in compagnia.
Il
padre di Lamù, bardato nella sua tenuta da battaglia, istruiva gli uomini sulle
tattiche di guerriglia in ambiente boschivo.
“Le
squadre saranno di quattro uomini; ognuno copra il compagno e procedete in
silenzio! Se qualcuno avvista il nemico, che fermi il gruppo e si decida insieme
la tattica da adottare!", gridò il grosso oni. “Aprite il fuoco solo se
necessario! Ricordate che un agguato portato nel silenzio è sempre da preferire
ad un assalto diretto!”.
“SISSIGNORE!”,
gridarono in coro i soldati.
“Purtroppo,
anche questa volta fra le nostre fila annoveriamo quell’incapace del mio
genero”, proseguì il comandante delle truppe di Uru mentre fra i suoi uomini
cominciò a serpeggiare il malumore. “Nel caso in cui si venga in contatto col
soggetto in questione, vi ordino di stordirlo e nasconderlo in un cespuglio in
modo da contenere i suoi disastri. Sono stato chiaro?”.
“SISSIGNORE!”,
urlarono in coro i soldati con rinnovato vigore.
Fra
le fila degli dèi, un robusto e anziano guerriero impartiva la linea d’azione da
un alto soppalco. “Gli oni sono dei
codardi e sicuramente si muoveranno in piccoli gruppi. ATTACCHIAMOLI SENZA DARE
LORO TREGUA!! E RICORDATEVI CHE CON LORO C’E’ QUEL TERRESTRE INCAPACE DI ATARU
MOROBOSHI!!”, ordinò l’anziano dio mentre i suoi simili alzavano al cielo i
grossi fucili da addestramento coi caricatori pieni di tondi bossoli in
gomma.
Benten
si chiuse la zip della sua divisa da combattimento e sorrise soddisfatta.
Quella
speciale tuta era realizzata con le più innovative tecnologie disponibili nel
campo degli indumenti da battaglia. Era leggerissima e la speciale fibra di cui
era composta garantiva traspirabilità e termoregolazione; sulla pianta dei piedi
e sui palmi delle mani erano disposti degli speciali cuscinetti adesivi
comandati elettronicamente dagli impulsi mentali di chi la vestiva.
In
più, lo specialissimo indumento garantiva tempi di risposta dei movimenti
annullati, stimolando i recettori nevralgici con impulsi elettrici.
Il
mimetismo era garantito da un rivestimento in fibre ottiche bidimensionali, in
grado di copiare esattamente i colori della superficie con cui veniva in
contatto.
A
chiudere le incredibili qualità, una corazza elastica e chitinosa capace di
deflettere sia i colpi di arma a raggi che i proiettili balistici.
La
dea si specchiò: la tuta da combattimento fasciava il suo bel corpo in maniera
eccelsa, mettendo in risalto l’armonia delle curve e le lunghe gambe.
Uscì
dall’astronave e si sdraiò nel prato della radura; un istante dopo si rialzò con
una perfetta livrea mimetica.
Oyuki
e Bi-M-Bo la attendevano già al campo base, quindi balzò in sella alla moto
spaziale e vi si diresse a tutta velocità.
“E’
arrivata!”, gridò Lamù andandole incontro volando.
Anche
la bella oni vestiva una strepitosa
tenuta da combattimento, tigrata come suo solito, ma simile a quella di Oyuki
per forma e caratteristiche.
“Con
quella roba da museo addosso, non sarai mai i grado di competere con me!”, la
schernì la dea scendendo dal suo veicolo.
“Vedremo…”,
rispose l’amica con aria di sfida.
Vedendo
Benten, Ataru tentò un approccio lanciandosi contro di lei, ma la ragazza si
spostò di lato facendogli lo sgambetto.
“Indossate
tutti la stessa tuta, a quanto vedo!”, notò l’amazzone aliena.
Shutaro
abbassò la testa e strinse lo shinai
in bambù che si era portato in sostituzione della sua katana proibita dal regolamento; in cuor
suo, odiava quella tuta tigrata, per quanto accrescesse le sue capacità di
combattimento. Anche Ryuunosuke e Shinobu gradivano poco il vistosissimo
indumento e si osservavano a vicenda perplesse.
Ataru,
invece, era ben contento di indossare una protezione, memore delle precedenti
“feste” fra oni e dèi… e gradiva
molto il fatto che queste tute fossero aderenti sui corpi femminili, lasciando
poco all’immaginazione riguardo le misure delle ragazze.
“Per
fortuna ho mollato Shinobu!”, pensò. “E’ piatta come una tavola! Invece
Ryuunosuke ha una carrozzeria invidiabile, anche se i continui allenamenti
l’hanno resa un poco sgraziata… però le sue tette sono proprio tonde! Lamù è una
autentica bomba! Seno, vita, fianchi, glutei, lunghezza delle gambe… è perfetta!
Benten è la più agile e longilinea del lotto: le forme non gli mancano, ma sono
meno appariscenti. Sarebbe una perfetta indossatrice!”.
Vedendo
che il suo tesoruccio perdeva bava dalla bocca, Lamù lo richiamò dai suoi
pensieri con una scossa elettrica di breve intensità.
Oyuki
e Bi-M-Bo si congiunsero al gruppetto. “Il clima temperato ed asciutto di questo
pur splendido pianeta è per me fonte di non pochi grattacapi!”, si lamentò il
possente mammifero fra lo stupore generale.
“Incredibile!”,
esclamò Lamù.
“Tutto
merito del signor Ryoda; è stato veramente eccezionale!”, commentò Oyuki.
“Peccato
che tu l’abbia lasciato a quella strega vestita di nero!”, sbottò Benten.
In
quel preciso istante, una violenta folata di vento annunciò l’arrivo di Kurama e
del suo compagno.
Come
aveva già fatto con Benten, Ataru si avventò sulla principessa dei tengu, ma il suo passionale slancio venne
arrestato da un pesante libro di Storia terrestre che Ryoda aveva frapposto fra
la bocca protesa del ragazzo ed il viso dell’amata.
“Se
non la smetti immediatamente di fare certe figuracce, ti friggo!”, minacciò Lamù
sull’orlo di una crisi di gelosia.
“Quando
comincia la festa?”, chiese Kurama con indosso un sensuale body attillato nero.
Il
suo partner, invece, indossava uno yukata classico, ma appariva gonfio
sulle spalle e molto più voluminoso. “A proposito, dov’è Oropa?”, domandò.
“Proprio
qui!”, rispose l’interessato appoggiato ad un albero e con le braccia conserte.
La sua espressione era severa e portava sulla schiena uno spadone d’osso
bluastro.
Rimasero
tutti in silenzio, ma Shutaro ed Ataru sorrisero di gioia nel vedere che l’amico
era vivo e in salute… da due mesi non avevano sue notizie ed ora era nuovamente
lì con loro!
“E’
bello rivederti, Oropa!”, esclamò Ryoda salutandolo calorosamente come amici di
vecchia data. “Ti senti meglio dopo la bevuta della scorsa volta?”.
“Puoi
giurarci!”.
“Dov’è
Tzukino?”.
“Sta
ultimando i preparativi per la battaglia. Lei sarà l’arbitro della contesa, come
disposto da Orochi!”.
“Quindi
la tua fidanzatina farà l’arbitro… una situazione a te favorevole, credo”,
intervenne Benten, avvicinandosi al ragazzo con passi misurati e le braccia
conserte.
“Non
è la mia fidanzatina e ti posso assicurare che sarà assolutamente imparziale!”,
rispose Oropa.
I
due si fermarono faccia a faccia, poi si voltarono all’unisono ed andarono
ognuno per la sua strada.
Da
un altoparlante arrivò l’invito a tutti i partecipanti per radunarsi all’uscita
del campo base, dove sarebbero state ripetute le poche regole prima dell’inizio
della battaglia.
“Lo
detesto!”, confidò Benten a Lamù ed Oyuki mentre osservava il giovane
chiacchierare allegramente con Ataru e Shutaro.
Ryoda,
invece, scrutava la zona con lo sguardo: subito fuori dal canyon, si estendeva
una fitta boscaglia frazionata da alcune radure di erba alta… uno scenario
ideale per uno scontro!
Kurama,
accorgendosi dell’eccitazione trattenuta a stento dal partner, gli sorrise prima
di stampargli un bacio sulla guancia.
Tutti
i partecipanti si radunarono al cospetto dei due capi degli schieramenti, con
Tzukino in piedi in mezzo a loro e con davanti a sé una cattedra.
“La
contesa avrà durata fino al tramonto!”, esclamò la ragazzina con aria solenne.
“E’ assolutamente vietato usare armi da taglio e da fuoco. Saranno ammessi solo
strumenti da allenamento e saranno conteggiati solo i timbri sulla fronte!”.
Così
dicendo, fece cenno ai due comandanti di distribuire ai partecipanti i
timbri.
“Il
cacciatore avrà un timbro unico. Chi viene timbrato dovrà fare ritorno qui;
provvederò io stessa a conteggiare la cattura e a cancellare lo speciale
inchiostro indelebile. Il simbolo degli oni sarà un quadrato nero, gli dèi
avranno un triangolo rosso e il cacciatore una croce verde!”.
Tzukino
si alzò e andò personalmente a consegnare il timbro speciale ad Oropa.
I
due schieramenti si raggrupparono: gli oni a destra, gli dèi a sinistra e il
cacciatore al centro.
“Ultima
regola: la cattura del cacciatore equivarrà a cento punti extra!”, concluse la
giovinetta.
Un
minaccioso mormorio si levò dai due schieramenti e Oropa non poté fare a meno di
notare occhi famelici posati su di lui.
Un
enorme robot da battaglia, simile ad un tirannosauro metallico, fece la sua
comparsa emettendo uno stridente ruggito artificiale. Sulla testa del mostro era
seduto Ten, compiaciuto del suo operato.
“Scusate
il ritardo!”, disse il cuginetto di Lamù. “Ho impiegato più tempo del previsto a
montarlo!”.
“Dannato
moccioso!”, sbottò Ataru visibilmente preoccupato dall’enorme mostro
metallico.
“Ed
ora… si dia il via alla contesa!”, disse Tzukino.
Con
grida di incoraggiamento, i due eserciti si dispersero nella fitta boscaglia
attorno al canyon e la battaglia infervorò immediatamente. Oropa restò fermo al
suo posto, sentendosi smarrito come non mai. Solo contro tutti, appena avrebbe
messo un piede fuori dalla zona salva chiunque l’avrebbe braccato per
accaparrarsi cento punti extra.
Tzukino
lo osservava sorridendo, seduta alla sua cattedra con la grande tabella ancora
vuota; il primo a tornare con un bel triangolo sulla fronte fu Ataru Moroboshi.
“Perché non ti butti nella mischia?”, domandò il ragazzo prima di farsi ripulire
la fronte e gettarsi nuovamente nella mischia fischiettando allegramente come se
nulla fosse successo.
Due
giovani dèi arrivarono col capo chino… entrambi timbrati!
Tzukino
chiese loro di allestire un gazebo per garantire ombra, visto che il sole si
stava alzando; i due obbedirono ed in breve il riparo fu pronto.
Oropa
se ne stava in piedi, ad un passo dall’uscita del campo base, ed osservava
apatico il via vai sempre maggiore di dèi e oni. Ataru era già passato di lì una
ventina di volte, sempre sorridente e soddisfatto. A causa delle catture subite
dal terrestre, i demoni tigrati erano in forte svantaggio.
Ma
la verità era che la colonna del cacciatore era vuota ed era già trascorsa
un’ora abbondante dall’inizio della competizione.
“Se
continui così, non riuscirai mai a mantenere la promessa fatta a Benten e le sue
amiche!”, disse Tzukino al dubbioso e pensieroso ragazzo.
“Credo
di avere… una crisi esistenziale”, disse apatico Oropa.
Qualcuno
lo colpì con forza dietro la nuca con uno schiaffo.
“Ma
chi…”, esclamò il ragazzo stupito, prima di voltarsi e trovarsi la faccia severa
di Ryoda; il giovane professore aveva un bel timbro sulla fronte ed un’aria
lievemente abbattuta. “Se sfogliassi ogni libro dell’universo non vi rinverrei
nulla di così sciocco come ciò che ho udito ora!”, esclamò.
“Ben
detto!”, aggiunse Tzukino. “Hanno pizzicato anche lei?”.
“Purtroppo
sì!”, ammise lui. “Mi ero perso a contemplare la bellezza della foresta e una
burbera dea mi ha colto di sorpresa”.
“Era
Benten?”, chiese Oropa.
“Taci,
sciocco!”, lo rimproverò il saccente professore.
“Ma
perché sei arrabbiato con me?”.
“Te
ne stai qui al sicuro, senza partecipare”, attaccò Ryoda. “Sappi che questo tuo
estraniarti dal contesto per la paura del confronto non è degno di un
uomo!”.
“Era
meglio per tutti se io non fossi mai stato qui!”, ringhiò il povero Oropa prima
di ricevere un secondo ceffone dall’amico. “Se tu e Benten soffrite, è solo per
colpa del tuo atteggiamento!”.
Tzukino,
intanto, era impegnata a pieno regime nel cancellare timbri su timbri; gli dèi
erano in vantaggio di almeno cinquanta catture sugli avversari.
Oropa
sentiva la guancia bruciargli, ma gli faceva più male sapere che Ryoda aveva
ragione.
“Oropa”,
cominciò nuovamente a parlare il giovane insegnante di Storia terrestre, “tutto
questo è sbagliato! Finiscila con questo tuo atteggiamento autodistruttivo; non
hai niente da dimostrare, niente da temere. Benten e i tuoi amici sono tutti là
fuori e aspettano soltanto di vederti sorridere. Non capisci che non vogliono
altro? Esci da qui, fai vedere loro che non rifuggi tutto ciò, ma che sei
contento… perché è questo che non riesci più a fare: mostrare di essere
felice!”.
Appoggiando
una mano sotto al mento del ragazzo, Ryoda sollevò il volto dell'amico,
lasciando che la luce del sole lo illuminasse. “Amore, fortuna, amicizia… ora
che sono loro a cercare te, perché devi negarti? Se ci pensi, capirai che non è
importante sapere come sei arrivato qui, cosa sei, cosa non sei... vuoi far
felice Benten? Allora vai da lei e affrontala a viso aperto col sorriso,
dandogli ciò che vuole… il suo ragazzo Oropa!”.
Tzukino
li guardò e un ampio sorriso illuminò il suo volto, strizzando poi l’occhio in
segno di approvazione all’indirizzo del professore, che ricambiò.
“Mettiti
questo!”, ordinò Ryoda al cacciatore, passandogli un piccolo auricolare
corredato di microcamera. “Ho sparpagliato i miei tengu per tutta la foresta,
equipaggiandoli con microcamere e sistemi di comunicazione avanzata; tramite
questo palmare posso collegarmi con loro e vedere le zone dove operano. Saremo
tutti interconnessi ed agiremo come una squadra!”.
“Perché
fai questo per me?”, chiese sinceramente stupito Oropa.
“Questa
è una battaglia in piena regola!”, rispose Ryoda. “Io adoro questo genere di
cose perché sono le grandi battaglie a forgiare la storia dei popoli. Eppure,
invidio la tua figura di impavido eroe solo contro tutti… voglio contribuire al
tuo successo e operare con te fornendoti informazioni e tattiche adeguate. Con
le mie conoscenze e le tue qualità saremo in grado di dominare questo conflitto
e dimostreremo loro che anche in inferiorità numerica si può scrivere la storia
di una grande battaglia!”.
Vedendo
Ryoda così pieno di spirito combattivo, Oropa accettò di buon grado il suo
aiuto; con un alleato come lui, avrebbe ribaltato le sorti di quella sfida!
“Controllerò
i tuoi movimenti e ti fornirò le informazioni necessarie”, spiegò il professore.
“Sei pronto per la battaglia?”.
“Prontissimo!”,
rispose il cacciatore mentre si scioglieva i muscoli del collo facendo roteare
la testa.
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Capitolo 10 *** La mente e il braccio armato ***
sa
LA MENTE E IL BRACCIO
ARMATO
Oropa
avanzava rapidissimo nella fitta vegetazione, scivolando di tronco in tronco,
acquattandosi dietro ai cespugli e facendo attenzione a produrre meno rumori
possibili.
Sporgendosi
da un riparo vide Ataru avvicinarsi incauto ad un gruppetto di belle dee che lo
attiravano con parole dolci e sguardi languidi e non appena il ragazzo giungeva
a distanza utile, lo timbravano tranquillamente sulla fronte.
“Ecco
perché l’hanno già catturato tante volte”, pensò il cacciatore.
“Un
gruppo di cinque elementi, classe degli dèi a ore dodici!”, esclamò Ryoda
dall’auricolare.
“Le
ho viste!”.
“Ho
fatto sorvolare la zona ad un tengu.
Dietro di loro si estende un canale d’acqua poco profondo: usalo come copertura
ed avvicinati. Farò in modo che il tengu attiri la loro attenzione e le
faccia voltare tutte verso la loro destra in modo che tu possa timbrarle senza
problemi”.
“Roger!”.
“Quel
terrestre è un vero idiota!”, esclamò una dea, ridendo di gusto insieme alle
compagne.
“Avete
da accendere, per caso?”, esordì il tengu, parandosi a mezz’aria.
Le
dee, l’una di fianco all’altra, osservarono sbigottite lo strano essere
parlante; poi, un’improvvisa folata di vento le costrinse a chiudere gli occhi e
quando li riaprirono la creatura svolazzante era scomparsa… mentre ognuna di
loro aveva una croce verde sulla fronte!
“Verso
est!”, disse la voce del professore nell’auricolare del cacciatore. “In una
radura, ad una distanza di cento metri, quattro oni in formazione, armati e
guardinghi!”.
“Li
assalterò frontalmente!”, affermò Oropa sicuro di sé.
I
soldati di Uru avanzavano circospetti, chini nell’erba e con i fucili
spianati.
“Questa
calma non mi piace affatto…”, suggerì colui che guidava la fila, facendo cenno
di fermarsi agli altri.
I
quattro si disposero al centro esatto della radura, ognuno con la schiena
appoggiata al compagno di modo da coprire ogni lato. Il silenzio venne rotto dal
rumore d’ali di uno stormo di uccelli che si levò in volo da un albero.
“Arriva
da questa parte!”, gridò uno di loro prima che i compagni si voltassero
all’unisono, aprendo il fuoco su un ragazzo che correva rapidissimo nella loro
direzione brandendo un enorme spadone.
Oropa
parò i grossi proiettili in gomma con OBELION, poi conficcò l’enorme arma al
suolo e la usò come un trampolino per proiettarsi in alto nel cielo.
I
quattro oni alzarono gli occhi al
cielo, ma il sole alto impediva loro di tenere lo sguardo fisso sul ragazzo, che
ne approfittò per attaccarli come un falco.
Stampate
le quattro fronti, il cacciatore recuperò lo spadone e sparì nuovamente nel
fitto della foresta fra lo sbigottimento dei poveri demoni tigrati.
Ryoda
guidò Oropa, tramite auricolare e col supporto dei tengu, in numerose altre catture: il
cacciatore agiva circospetto in presenza degli dèi a causa del loro spirito
battagliero, mentre attaccava a viso aperto i piccoli gruppi di soldati di Uru
che si comportavano tutti allo stesso modo, facendo troppo affidamento sui loro
fucili.
Il
duo composto da Benten ed Oyuki era il più efficiente della compagine degli dèi
e contava numerose catture; lo stesso si poteva dire del gruppo degli amici di
Lamù, capeggiati da Ten e il suo enorme robot.
La
bella oni, invece, era braccata da
numerosi dèi agli ordini di Benten ed aveva ben poco tempo da dedicare alle
catture, impegnata com’era a contenere i repentini attacchi.
Ataru
vagava ramingo, sperduto nel fitto della giungla; ricordava di aver incontrato
un gruppo di soldati urusiani e questi, per tutta risposta, l’avevano colpito
alla nuca e gettato in un dirupo. Con la testa indolenzita e la pancia
brontolante, il giovane terrestre si trascinava faticosamente verso i lontani
rumori della battaglia.
“Mi
ricevi, Oropa?”, lo chiamò Ryoda non appena il giovane ebbe finito di timbrare
altre due fronti di altrettanti dèi della fortuna.
“Forte
e chiaro!”, rispose il cacciatore, riponendo Obelion nel fodero.
“Altri
quattro oni in direzione nord-ovest,
centocinquanta metri dalla tua postazione attuale… e questa volta c’è una
sorpresina!”.
Colmo
di curiosità, il giovane spadaccino scattò in direzione del prossimo
bersaglio.
Man
mano che si avvicinava, rumori di pesanti passi e grida si facevano sempre più
forti, finché un violento ruggito metallico non fece chiarezza sulla
situazione.
Oropa
si arrampicò fino alla cima di un alto albero: da lassù vide il possente robot
di Ten che mieteva vittime fra le fila degli dèi, mentre Mendo, Shinobu e
Ryuunosuke si occupavano di timbrare gli sconfitti.
I
proiettili indirizzati ai poveri dèi erano palle da rugby sparate a velocità
folle da un grosso cannone piazzato nella bocca del dinosauro metallico, sulla
cui testa Ten si divertiva come un matto.
“Quello
sarà un osso particolarmente duro, amico mio”, confessò Ryoda all’auricolare.
“Mendo, Ryuunosuke e Shinobu si occupano di difendere il grosso robot dagli
attacchi degli dèi, mentre Ten bombarda senza remore ogni malcapitato che passa
nel suo mirino. Teoricamente la formazione è perfetta: Mendo è un ottimo
spadaccino, Ryuunosuke è velocissima ed esperta nel corpo a corpo e Shinobu ha
una forza disumana”.
“Il
bestione va abbattuto per primo!”, esclamò Oropa.
“Hai
ragione, ma non posso lasciare che i miei tengu ti aiutino”, confessò l’alleato
del giovane e valente spadaccino. “Dalla testa del robot, Ten ha un’ottima
copertura aerea e con le sue fiamme mieterebbe vittime inutili fra le mie
fila!”.
“Non
preoccuparti… ho un piano!”, rispose Oropa mentre lasciava la posizione.
“Avanti
il prossimo!”, gridò vittorioso Ten dalla sommità del suo gigantesco robot da
combattimento.
“Io
mi sto annoiando”, sbottò seccata Ryuunosuke, mentre il giovane Mendo si
lamentava delle condizioni della sua arma.
“Perché
non facciamo ritorno al campo base?”, propose Shinobu al resto del gruppo. “E’
quasi ora di pranzo”.
“Va
bene, rientriamo!”, esclamò il cuginetto di Lamù. “Queste vittorie mi hanno
fatto venire un certo appetito!”.
In
quel preciso istante, Shutaro notò un luccichio sospetto fra l’alta erba della
radura. “Ten, ferma subito il tuo…”.
Prima
che potesse finire la frase, il possente robot Dinosauro inciampò malamente su
una cordicella d’acciaio fissata fra due alberi e rovinò al suolo
distruggendosi. Il piccolo oni
sgusciò fuori dalle lamiere contorte ed un timbro gli si poggiò sulla fronte,
lasciando una croce verde.
“Oropa!”,
gridarono in coro i tre superstiti.
“Eccomi
qui!”, esclamò il cacciatore con baldanza mentre strattonava la cordicella
d’acciaio colpevole del crollo dell’enorme robot. “Il più classico degli scherzi
non fallisce mai!”.
“Fatti
avanti!”, ruggì Shutaro, puntando la sua arma contro Oropa. Anche le due ragazze
fecero un passo avanti, ma l'orgoglioso ragazzo disse loro di farsi da
parte.
“Ho
un conto in sospeso con Oropa… e oggi lo salderò!”.
“Di
cosa stai parlando?”, chiese il cacciatore al rivale con Obelion stretta fra le
mani.
“Ci
siamo iscritti al club di kendo per
sigillare la nostra amicizia… ma tu sei sparito per due mesi!”, iniziò a
raccontare il rampollo della famiglia Mendo. “Il maestro ha obbligato me ad
occuparmi anche dei tuoi turni di pulizia della palestra… e così ho spazzato il
pavimento anche per te, lavato le divise anche per te… ed ora, pagherai col
sangue il tuo debito!”.
Così
gridando, Mendo vibrò un violentissimo colpo contro lo spadone del cacciatore,
ma la sua arma si spezzò e Oropa appoggiò nel palmo della mano dell’amico il suo
timbro. “In nome della nostra amicizia, ti concedo di finirti con le tue stesse
mani come un vero samurai!”.
Con
lacrime di gioia che gli bagnavano le guance, il giovane Mendo ringraziò con un
inchino l’amico e si timbrò la fronte gridando: “BANZAI!”.
“Basta
con questa sceneggiata!”, gridò Ryuunosuke lanciandosi all’attacco.
Il
cacciatore afferrò Shutaro per un braccio e lo usò come scudo umano; il
violentissimo pugno della combattiva ragazza affondò nel ventre del suo compagno
di classe, abbattendolo all’istante. La povera ragazza restò avvilita a tal
punto da non accorgersi nemmeno che Oropa aveva apposto il suo simbolo sulla sua
fronte.
“Te
la farò pagare per quello che hai fatto a Mendo!”, gridò Shinobu sollevando un
enorme masso e portandolo sopra alla testa, pronta a lanciarlo su Oropa.
Lo
spadaccino impugnò Obelion e la fece roteare vorticosamente: dalla punta
dell’enorme arma si aprì una grande bocca simile a quella di un coccodrillo ed
un ruggito tremendo ne scaturì, riducendo in sabbia la roccia brandita dalla
fortissima ragazza.
“Esplosione
sonica!”, sibilò Oropa con un’espressione gelida e vittoriosa sul volto. “Questa
spada è viva, perciò vi consiglio di non minacciarla mai! Ora andiamo insieme a
mangiare!”.
Detto
ciò, Oropa raccolse il povero Ten ancora privo di sensi ed aiutò Shutaro a
rialzarsi.
“Quasi
dimenticavo!”, esclamò poco prima di dirigersi verso Shinobu e timbrare la sua
fronte.
“Nulla
da obiettare, vero?”.
“Assolutamente
no!”, rispose la ragazza, poggiando occhi timorosi sull’arma dell’amico.
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Capitolo 11 *** Il rivale del cacciatore ***
sa
IL RIVALE DEL
CACCIATORE
“TESORUCCIOOO!
TESORUCCIOOO!!”.
Lamù
passò sopra le loro teste volando, quando furono vicini al campo base. La bella
oni non aveva avuto più notizie di
Ataru e il fatto che all’ora di pranzo non fosse stato il primo a precipitarsi
all’accampamento le era parso sospetto.
Mentre
la ragazza salutava gli amici, Ten volò in lacrime fra le sue braccia. “Avete
visto il mio tesoruccio? Non lo vedo da nessuna parte”.
“Al
diavolo quello stupido!”, urlò il piccolo oni disperato. “Oropa ha sfasciato il
mio robot nuovo di zecca!”.
“Su,
non essere triste!”, disse Oropa carezzando la testolina del cuginetto di Lamù.
“Vedrai che lo zio Mendo te ne comprerà uno nuovo!”.
“Ti
pareva…”, commentò seccato il ricco ragazzo.
“Questo
straccio è tuo?”, chiese Benten a Lamù mentre si avvicinava trascinando ciò che restava
del povero Ataru. Insieme a lei c’era la regina di Nettuno ed un alto e forte
soldato degli dèi con la testa pelata e lucida e lo sguardo battagliero e
strafottente.
Lamù
volò in soccorso del suo amato ed anche Oropa si avviò per salutare Benten, ma
fra lui e lei si frappose il grosso individuo.
“Stai
lontano da lei, tappo!”, ringhiò il soldato, fasciato in una divisa da
combattimento molto appariscente, ornata di fiamme e teschi dipinti come fosse
un macabro quadro. Oropa lo guardò dal basso; c’erano almeno trenta centimetri
di differenza fra la sua statura e quella del nuovo antagonista.
Anche
come prestanza fisica non c’era paragone: nonostante il cacciatore fosse
allenato ed agile, il soldato era una specie di armadio a due ante, con braccia
e gambe lunghe e muscolose, spalle larghe e collo taurino.
“Ma
tu guarda!”, esordì Oropa. “Mister palla da biliardo ripiena di steroidi detta
ordini…”.
Detto
ciò tentò di aggirare l’ostacolo, ma l’energumeno lo afferrò per lo yukata e lo trattenne con la forza. “Ti
ho detto che non devi più avvicinarti a lei!”.
“Che
state combinando voi due?”, domandò curiosa la dea, avvicinandosi accompagnata
da Oyuki.
Shutaro,
Ryuunosuke e Shinobu si fecero vicini ad Oropa, mentre Ten, Lamù ed Ataru,
appena ripresosi, osservavano silenziosi la scena.
“Sto
facendo amicizia col tuo protettore!”, rispose Oropa con un sorriso
“Bahyo,
lascialo in pace!”, esclamò Benten. “Ti ho già detto che non devi impicciarti di
queste cose!”.
Così
dicendo, si incamminò verso la mensa del campo base imbandita per il pranzo. La
seguirono tutti, tranne Oyuki, Oropa e Bahyo.
I
due rivali si fissarono a lungo negli occhi in silenzio. Più volte Oropa pensò
di assestare una robusta ginocchiata in mezzo alle gambe dell’antagonista, ma
riuscì a trattenersi.
“Mettiti
in testa una cosa”, lo attaccò con voce gelida, “io sono innamorato di quella
ragazza e non mi interessa sapere chi sei e perché fai questo… ma sappi che non
mi intimorisci per niente!”.
Bahyo
non badò alla minaccia di Oropa e si avviò alla mensa.
D’un
tratto, Oropa lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. “Toccami
ancora e…”.
Bahyo
non finì la frase, arrestato dalla furibonda occhiata del cacciatore e dalla
grande bocca dentata che andava aprendosi nello spadone che il ragazzo stringeva
in pungo.
“Non
metterti fra me e lei!”, sibilò la terribile arma parlando al posto di
Oropa.
Il
grosso e muscoloso dio spalancò gli occhi increduli a quella vista; poi si voltò
e si affrettò a ricongiungersi al gruppo di commensali.
Oyuki
si avvicinò ad Oropa, che ancora impugnava l’enorme spadone.
“Allora
sei davvero in possesso di Obelion…”, disse la regina di Nettuno con fare calmo
e rilassato.
“Non
ne sono affatto in possesso”, rispose il ragazzo, rinfoderando l’arma nello
speciale fodero sulla schiena.
“Ma
il fatto che tu sappia maneggiarla ha un grande significato”, disse dolcemente
l’aliena all’indirizzo del confuso Oropa.
Il
giovane non sapeva più cosa pensare: non era da Oyuki comportarsi così in
confidenza con qualcuno, ma averla al suo fianco lo gonfiava di piacevole
orgoglio e per un attimo si illuse persino di piacere alla regina di
Nettuno.
Per
rompere l’imbarazzante silenzio, chiese alla ragazza chi fosse il pelato
individuo tanto indisponente.
“Quello
è Bahyo, un amico di infanzia di Benten. Sono anni che è innamorato di lei ma
non l’ha mai fatto notare troppo… credo che sia correlato in qualche modo al
fatto che ieri sera si siano visti, dopo che abbiamo lasciato Felicitas I”.
Oropa
si insospettì e scrutò gli occhi di Oyuki per cercarvi indizi di veridicità.
“Certo
che è proprio carina”, pensò il ragazzo, “ed ha delle mani calde, non gelide
come pensavo… anzi, è tutto il suo corpo ad emanare calore, come se avesse
bisogno di un contatto… umano!”.
La
bella aliena si accorse dello sguardo di Oropa e si portò una mano alla bocca,
coprendo un leggero sorriso.
Il
ragazzo si riprese dai suoi pensieri. “Si sono incontrati ieri sera, eh? La cosa
è sospetta!”, mormorò lui, geloso.
“Oropa,
vorrei che considerassi l’idea di venire con me su Nettuno”, disse
all’improvviso Oyuki. “Il mio pianeta è desolato e rigido, la sua gestione mi
impegna moltissimo ed io comincio a sentire il bisogno di un compagno su cui
fare affidamento… e poi, le notti su Nettuno sono lunghe e fredde!”.
Oropa
si fermò e spalancò gli occhi, fissando il nulla davanti a sé.
“Ma
che è successo?”, domandò Oropa con la testa che gli girava e la schiena
appoggiata contro i tronco di un albero. Attorno a lui c’erano Oyuki, Kurama,
Ryoda e Bi-M-Bo.
“Da
quel che ho sentito in giro, hai sbattuto volontariamente la testa contro
l’albero dopo che Oyuki ti ha concesso la possibilità di recarti su Nettuno!”,
rispose Ryoda incapace di trattenere le risate, mentre la regina di Nettuno
teneva pudicamente la testa abbassata.
Oropa
si rialzò e senza dire altro, si diresse al campo base insieme agli altri. Le
tavolate erano già tutte quasi piene ed i commensali si mostravano festosi e
chiassosi.
Oyuki
e Bi-M-Bo si congiunsero alla tavolata di Benten, Lamù e tutti gli altri; Kurama
andò ad accomodarsi al tavolo preparato dai suoi tengu e Ryoda rimase con Oropa.
“Ti
sei divertito in mattinata?”, chiese il professore al ragazzo.
“Puoi
dirlo forte!”, esclamò Oropa appoggiando una mano sulla spalla dell’amico. “Con
la tua guida è stato davvero un gioco da ragazzi… non mi sono mai sentito
esaltato come in queste azioni!”.
“Ne
sono felice, amico mio. E il bello deve ancora arrivare… ci vediamo dopo
pranzo!”.
Detto
ciò, Ryoda si congedò e raggiunse l’amata.
Oropa
si guardò in giro e vide Tzukino seduta al tavolo dei guerrieri più anziani dei
sue schieramenti.
Il
padre di Lamù lo vide e lo invitò al tavolo, liberando una sedia vicino alla
ragazzina. “Vieni qui al nostro tavolo, cacciatore!”, gli disse.
Senza
farselo ripetere, Oropa li raggiunse di buon grado e si accomodò, mentre i
commensali gli offrivano cibo e bevande.
“Dici
sul serio?!?”, domandò incredula Benten alzatasi di scatto dal tavolo.
“Sì!”,
rispose Oyuki. “Sono sicura di quel che ho visto e Oropa me lo ha confermato.
Anche Bahyo l’ha vista!”.
“Di
cosa state parlando?”, chiese Lamù intenta ad imboccare Ataru come una brava
mogliettina.
“Della
grande arma di Oropa!”, rispose Shutaro.
“Voglio
vederci chiaro in questa storia!”, affermò la dea mentre si avviava verso il
tavolo dove sedeva Oropa.
“Perché
è così preoccupata?”, domandò Lamù.
“Solo
i discendenti delle razze mitologiche possono brandeggiare Obelion e guadagnarsi
la sua fiducia”, spiegò Oyuki. “Il fatto che Oropa la brandisca e sappia come
risvegliarne lo spirito è molto strano”.
“MANGIA
QUESTA BISTECCA, RAGAZZO!”, gli gridò il padre di Lamù alticcio per tutto il
sakè ingollato.
Il
ragazzo, pieno come un uovo, era intimorito da tutti quei commensali che non
facevano altro che passargli cibo e bevande come se il suo stomaco fosse grande
quanto il loro e non sapeva come rifiutare le porzioni continuamente offertegli
senza urtare la suscettibilità dei presenti.
“Coraggio,
mangia!”, gli disse un anziano dio dai lunghi capelli bianchissimi e bardato di
una stupenda armatura luccicante, anch’egli ubriaco.
“Alzati
e vieni con me!”, gli ordinò ad un tratto Benten paratasi davanti ad Oropa con
le braccia conserte e la testa alta.
Il
padre di Lamù lo incoraggiò ad obbedirle con una violenta pacca sulla schiena e
quindi, i due giovani si allontanarono mentre gli altri commensali continuavano
a mangiare e bere a volontà.
Tzukino
li vide allontanarsi dal canyon, sparendo nella boscaglia; un attimo dopo, dal
tavolo di Benten si alzò un grosso dio pelato che si avviò nella stessa
direzione.
In
una piccola radura Benten si avvicinò ad Oropa, fissandolo in silenzio.
“Quello
spadone appartiene al mio popolo”, disse ad un tratto la ragazza con un tono
aggressivo. “Sono stati i nostri antenati a forgiarlo abbattendo il varano
divino. Rendimelo!”.
Oropa
sfilò l’arma dal fodero e si inginocchiò al suolo, porgendo Obelion alla sua
amata con entrambe le mani sotto la lama ed il capo chino.
“Ti
restituisco ciò che è tuo, Benten”, disse il cacciatore sollevando il viso e
mostrando all’amata un sorriso dolce.
La
ragazza la afferrò, ma non appena il ragazzo tolse il sostegno delle sue braccia
lo spadone cadde al suolo con un tonfo; Benten cercò di risollevarlo con tutte
le sue forze, ma non ci riuscì. “Che scherzo è questo?”, chiese adirata.
“Nessuno
scherzo!”, rispose Oropa risollevando l’arma e facendola roteare con le mani
prima di rinfoderarla. “OBELION ha fatto la stessa cosa anche con me prima
di…”.
“Cosa?!”,
lo incalzò la dea.
Pochi
centimetri separavano il suo corpo da quello dell'amata ed il ragazzo sentì il
cuore battergli sempre più forte nel petto.
"
Vuoi spiegare tu a Benten quello che è accaduto quella volta in cui ho
combattuto contro i kappa?”, chiese
Oropa rivolgendosi alla spada.
“Mostrami
la ragazza”, sibilò l’arma.
Oropa
la sguainò e la conficcò al suolo; la grande gemma dell’impugnatura si aprì e
svelò un occhio giallo, con la pupilla verticale come quella dei rettili.
“Quindi,
lei è la tua Benten…”, affermò.
“Esatto!”,
rispose Oropa sorridente.
Benten
indietreggiò di un passo, spaventata dallo spadone e dal fortissimo spirito che
emetteva.
“Impugnami!”,
le ordinò Obelion.
Benten
cercò conferma negli occhi di Oropa, indecisa su da farsi. Il ragazzo la
rassicurò con un cenno della testa e quindi posò la sua mano sull’impugnatura
della spada.
“Ti…
aiuterò…”.
Oropa
si trascinava dolorante fra armature spezzate e spade arrugginite. Un bagliore
bluastro lo chiamava, in quell'oscurità.
“Ti
renderò forte!”, sibilò il grande spadone, splendente di una luce
sinistra.
Il
ragazzo allungò una mano fino a toccare l’elsa dell’arma; una forza nuova lo
pervase e si fuse con il suo spirito.
“Cosa
mi offrirai in cambio della salvezza di Orochi?”, chiese Obelion. “Molti
valorosi guerrieri sono impazziti, perdendo nel mio immenso rancore il loro
spirito. Io l’ho assorbito, nutrendomi delle loro anime, dei loro desideri,
della loro vita… dentro di me c’è un universo buio e senza stelle. Sei disposto
a sacrificarti?”.
Oropa
strinse forte l’impugnatura. “Userò il mio amore per Benten, se dentro di te c’è
tanto odio, dolore e rancore!”.
“Lo
perderai insieme a tutto il resto!”.
“Niente
affatto!”, rispose il ragazzo. “Ogni giorno io lo rinnoverò e riempirò il vuoto
dentro te. Benten è una dea, ed
amandola per l'eternità… sazierò la tua fame!”.
Benten
lasciò l’impugnatura, abbassando la mano lungo il fianco… e guardò Oropa.
“L’amore
di Oropa per te è talmente grande da colmare il mio eterno rancore”, continuò
Obelion. “Oropa gode della mia fiducia perché il suo sentimento è puro e
limpido, Benten”.
L’occhio
sull’impugnatura si chiuse ed Oropa carezzò la gemma prima di rinfoderare la
spada. “Ti amo”, disse alla ragazza.
Seguirono
lunghi istanti di silenzio, in cui il vento scuoteva le fronde degli alberi.
“Solo
dopo averti rivisto ho compreso quanto sia stato sbagliato il mio comportamento
nei tuoi riguardi… perdonami, se puoi”, disse Oropa con gli occhi umidi.
Benten
abbracciò l’amato e pose infine la sua bocca su quella del giovane. Oropa la
strinse forte a sé fino a farle sentire tutto il suo amore e la ragazza fece
altrettanto.
“Mi
sei mancato tanto!”, sussurrò lei all’orecchio dell’amato.
“Anche
tu!”, rispose Oropa.
Il
ragazzo si stese sull’erba e Benten si sedette al suo fianco.
“Certo
che tu riesci sempre a cavartela!”, gli disse la ragazza posando su di lui i
grandi occhi.
“Che
vuoi dire?”, chiese Oropa, non cogliendo il senso di quell’affermazione.
“Sei
mutevole come il vento che disegna le nuvole in cielo, eppure riesci sempre a
volgere tutto a tuo favore, costringendomi a meravigliarmi di te… e nel momento
in cui credo di odiarti, mi accorgo invece che… sei speciale!”, affermò Benten
con lo sguardo.
“Qui
c’è qualcosa che non quadra”, pensò Oropa. “Io le ho dichiarato il mio amore, ma
lei non ha fatto altrettanto… la faccenda mi puzza e non vorrei che riguardasse
quella specie di armadio a due ante che ho incontrato poco fa!”.
“Sei
pensieroso!”, notò la dea.
“Perché
quel gorilla con la testa pelata mi ha aggredito?”, domandò Oropa andando dritto
al nocciolo della questione.
Benten
abbassò gli occhi, staccò uno stelo d’erba e se lo mise fra i denti. “Ieri sera,
mentre tornavamo da Felicitas I, ci siamo fermati in uno spazio grill per bere
qualcosa e l’ho trovato lì. Bahyo è sempre stato il mio confidente fin
dall’infanzia e così parlai con lui mentre Lamù riaccompagnava su Nettuno Oyuki
con la mia astronave e…”.
“Vi
siete baciati! Oyuki mi ha detto che quel tizio era da tempo innamorato di te e
che ieri sera eravate rimasti soli. Se a ciò aggiungo che mi ha aggredito, è
facile giungere alla conclusione!”, disse Oropa con assoluta tranquillità.
“Perché
non ti arrabbi?”, chiese Benten dopo alcuni minuti di imbarazzante silenzio.
Il
ragazzo si sedette sui talloni e le cinse le spalle.
“Chi
è senza peccato scagli la prima pietra!”, disse sorridendo prima di afferrare la
catena che la dea usava per raccogliere i capelli e sfilargliela con un gesto
rapidissimo. La chioma nera di Benten si liberò e ricadde sulle sue candide
spalle.
“Sei
bellissima…”, sospirò il ragazzo estasiato da quella visione.
Benten
afferrò una manica dello yukata del
ragazzo e la strappò con un colpo netto, dividendola poi in tre strisce e
legandosi i capelli con il nastro ottenuto. “Ora siamo pari!”, disse lei con un
sorriso.
“Lo
siamo davvero, visto che ho baciato Tzukino… e mi è anche piaciuto!”, esclamò
incautamente Oropa.
“Che
cosa hai fatto?!”, domandò lei con forzato contegno.
“Quello
che hai fatto anche tu!”, rispose Oropa alzatosi prontamente in piedi non appena
ebbe visto l’amata con uno sguardo assassino stampato sul volto.
“Io
ti castro!!”, lo minacciò furiosa Benten all’inseguimento del giovane nella
boscaglia.
Ad
un tratto, nel fitto della foresta, qualcuno la afferrò per un braccio, glielo
torse dietro la schiena e le bloccò le gambe serrandole con il proprio arto. La
ragazza cercò di colpire col braccio libero, ma anche quello venne paralizzato
sotto l’ascella del suo aggressore.
“Perché
mi fai questo?”, domandò una rude voce maschile a lei familiare. “Ti inseguo da
una vita e ora che ti ho raggiunta non ti lascerò scappare di nuovo!”
“Lasciami
subito andare, Bahyo!”, gridò Benten. “Ti ho già spiegato che mi sono lasciata
trascinare dagli eventi, ieri sera. Non ho mai provato amore per te; ti ho
sempre visto come un fratello maggiore un po’ tonto ma di buon cuore… nulla di
più!”.
“L’hai
sentita? Lasciala stare!”, ordinò Oropa sbucato fuori da un cespuglio con
Obelion in pugno.
“Tu
non ti impicciare!”, minacciò il muscoloso dio imprimendo maggiore forza alla
presa su Benten, facendola mormorare ingiurie dal dolore.
A
quel punto, la dea assestò un violento colpo di nuca sul naso di Bahyo, che
mollò la presa e si portò le mani al volto, urlando di dolore; dopodiché, gli
assestò una robusta ginocchiata all’inguine del dio, facendolo crollare al suolo
scosso da spasimi atroci.
Rimasto
immobile come una statua di sale, Oropa venne poi trascinato dalla ragazza e
sbattuto contro un albero. Con uno scatto felino, Benten afferrò il giovane al collo e lo tirò a
sé, baciandolo con passione. “D’ora in avanti… sarai solo mio!”, esclamò con
estrema convinzione.
“Veramente,
la regina di Nettuno mi avrebbe proposto il trono di re…”, scherzò Oropa.
“Oyuki
lo ha detto solo per metterti alla prova; eravamo d’accordo…”, replicò Benten
rafforzando la stretta delle mani attorno al collo dell’amato.
“Che
ne dici di tornare al campo?”, propose infine la giovane.
“Credo
sia una buona idea!”, aggiunse il ragazzo poco prima che i due si incamminassero
insieme.
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Capitolo 12 *** L'inizio dell'operazione ***
sa
L'INIZIO DELL'OPERAZIONE
Tutti
erano in piedi al campo base, pronti a ricominciare la battaglia dopo essersi
rifocillati nel corpo e nello spirito. I capi dei due schieramenti ed i
guerrieri più anziani erano tutti sotto al gazebo dell’arbitro, impegnati a
commentare i risultati; il padre di Lamù era visibilmente infuriato.
“CHE
COSAA?!?”, sbraitò il maestoso oni
battendo i palmi delle mani sulla cattedra.
“Siete
in svantaggio di sessantadue catture!”, gli disse un anziano dio della fortuna
bardato della sua luccicante armatura.
“COME
PUO’ ESSERE?!?”.
“Deve
ringraziare suo genero. Cinque delle mie dee l’hanno timbrato per ben cinquanta
volte nella sola mattinata!”.
“VI
AVEVO DATO ORDINE DI STORDIRLO!!”, tuonò il padre di Lamù contro un gruppetto di
soldati al suo comando.
“L’abbiamo
fatto!”, rispose uno dei demoni tigrati. “Purtroppo ci siamo riusciti n ritardo
perché sguscia peggio di un’anguilla”.
“QUESTO
E’ TROPPO!”, sbraitò il comandante delle truppe di Uru, procedendo in direzione
di Ataru che impallidì al cospetto del suocero visibilmente arrabbiato. “Tu sei
una vergogna, una calamità, un disastro!”.
“Papà,
non essere…”, cercò di calmarlo la figlia.
“Taci,
figlia mia!”, le ordinò il corpulento oni. “Non ti rendi conto che in futuro
lui dovrebbe guidare il nostro esercito? INVECE E' UN DEBOSCIATO, FANNULLONE E
DONNAIOLO. IO NON INTENDO TOLLERARE OLTRE QUESTA SUA LASCIVA CONDOTTA!”.
Lamù
non aveva mai visto il padre così arrabbiato prima di allora ed anche Ataru era
davvero scosso.
“Suvvia,
è solo un gioco…”, tentò di giustificarsi il ragazzo.
“SOLO
UN GIOCO?!”, ringhiò il suocero. “PER TE TUTTO E' SOLO UN GIOCO, ONORE E
SENTIMENTI COMPRESI!”.
Conclusa
la sfuriata, il padre di Lamù si passò le mani sul viso stravolto dalla rabbia e
aggiunse: “Non ti lascerò in sposa ad un simile inetto, figlia mia. Darò la tua
mano ad un vero guerriero; un uomo forte e valoroso che solo contro tutti ha
totalizzato le nostre stesse catture!”.
“No,
non lui!”, si disse mentalmente Benten stringendo con maggior vigore il braccio
dell’amato.
L’enorme
oni, comandante delle truppe di Uru,
puntò un dito in direzione di Oropa.
“LAMU’,
IL TUO FUTURO MARITO SARA’ OROPA IL CACCIATORE!”, gridò infine.
Tutti
si voltarono verso il ragazzo; Benten si allontanò e lui restò immobile col capo
chino.
Il
suo yukata era piuttosto malconcio e
mancava perfino una manica.
“Temo
che la situazione stia degenerando”, affermò Ryoda avvicinatosi ad Oropa.
“NON
E’ GIUSTO!”, gridò un anziano dio della fortuna insieme agli altri dèi. “OROPA
E’ IL FIDANZATO DI BENTEN E DIVENTERA’ PARTE DELLA NOSTRA FAMIGLIA!”.
“ALLORA
SPETTERA’ AL VINCITORE DI QUESTA SFIDA DECIDERE CHI FRA NOI POTRA’ GODERE DELLA
DISCENDENZA DI OROPA!”, urlò il padre di Lamù.
“
Che forza!”, esclamò Oropa rivolgendosi all’amico. “Stanno pianificando proprio
tutto”.
“Non
è il caso di mettersi a scherzare!”, lo fulminò Ryoda. “Il tempo dei giochi è
finito, amico mio”.
“Sarai
ancora al mio fianco?”, chiese Oropa sorridendo.
“Puoi
contarci! Ho già elaborato diverse strategie… ora porta con te queste e segui
attentamente le mie istruzioni. Vinceremo questa sfida e sarai tu solo a
scegliere il tuo destino!”.
“Ti
seguirò fino alla morte, amico mio!”, affermò Oropa mettendosi in una tasca
interna gli oggetti che Ryoda gli passò.
I
due si strinsero la mano e il giovane professore disse ad Oropa: “Se ne avrai
bisogno, sappi che sarò al tuo fianco qualunque cosa accada!”.
Il
giovane spadaccino lo salutò e si allontanò velocissimo nel fitto della
foresta.
Ataru,
invece, fissò Lamù con gli occhi bagnati dalle lacrime e subito dopo scappò in
direzione del bosco.
“E’
TUTTA COLPA TUA!”, gridò furibonda la bella aliena all’indirizzo padre.
“La
colpa è solo di quello sciocco!”, fu la secca risposta del grasso oni. “Se tenesse davvero a te non
commetterebbe sempre queste stupidaggini! Io devo pensare anche al futuro del
nostro pianeta!”.
Mentre
il comandante delle truppe urusiane si allontanava, Benten abbracciò l’amica che
versava lacrime amare. “Sistemeremo tutto, non ti preoccupare”.
“Grazie,
Benten!”, rispose commossa Lamù. “Mi aiuti sempre in qualunque circostanza”.
“Per
forza! Non permetterò che tu debba sposare il MIO Oropa!”.
“Ascoltami
attentamente, ora!”, ordinò Ryoda dall’auricolare. “Disponi gli oggetti che ti
ho dato a ventaglio in un raggio di cento metri dall’uscita del canyon”.
Oropa
tolse dalla tasca delle strane sferette luccicanti. “Intendi queste palline?”,
chiese Oropa al suo alleato.
“Esatto!
Fissale sui tronchi ad un altezza di circa un metro e settanta e ad una distanza
di al massimo tre metri l’una dall’altra; dobbiamo creare un semicerchio tutto
attorno all’area di uscita dove si riverseranno i combattenti”.
Un
rombo volò alto sopra la testa del cacciatore: erano Benten e Lamù in sella alla
moto spaziale della dea. Oropa si nascose in un cespuglio per non essere visto e
vide anche Oyuki e il suo yeti allontanarsi spediti verso la stessa direzione
delle due aliene.
“Fai
presto!”, lo incalzò Ryoda. “I due schieramenti sono in procinto di ricominciare
la battaglia! Il fatto che solo quattro prede ci siano sfuggite è contenibile;
rimedieremo dopo!”.
Oropa
piazzò tutte le sferette in suo possesso balzando di albero in albero con
agilità felina.
“Ora
arrampicati su un albero e preparati per lo spettacolo! Non appena i miei tengu in volo sopra l’area mi
comunicheranno la posizione ideale dei bersagli, darò inizio all’operazione Siesta!”.
“Dove
diavolo l’hai trovata quella roba?”, chiese incredulo Oropa.
“Ho
parlato con una persona per avere consigli in merito ed oltre ad elargirmi
tattiche adeguate d’infiltrazione e guerriglia in ambiente boschivo, mi ha
inviato tutti gli arnesi indispensabili per attuare una battaglia
memorabile!”.
“E
chi sarebbe questa persona?”.
“Una
bella e seducente ragazza proveniente dal pianeta El!”.
“Qui
tengu 1!”, disse una delle creature
agli ordini di Ryoda dall’auricolare mentre sorvolava l’area di competenza.
“Soggetti penetrati in area!”.
“Tengu 2, bersagli in posizione!”.
“Tengu 3, obiettivo in posizione!”.
“Tengu 4, potete procedere!”.
Sul
volto del partner di Kurama apparve un sorriso soddisfatto ed un attimo dopo
premette un piccolo pulsante rosso incastonato su un comando a distanza. Un bip
confermò che il comando era stato eseguito da ogni pallina.
Una
nube di gas soporifero si liberò dalle sferette sugli alberi ed il vento la
sospinse verso il canyon, proprio mentre la massa urlante si riversava fuori. Un
secondo dopo, su tutta l’area calò il silenzio.
“Conta
fino a venti e poi scendi dall’albero”, ordinò Ryoda poco dopo. “Ti ho appena
servito almeno duecento catture su un piatto d’argento!”.
Oropa
guardò giù incredulo; mano a mano che i secondi passavano la nube violacea si
diradava, scoprendo oni e dèi
accasciati al suolo in un sonno profondo.
“Strepitoso!”,
commentò il ragazzo. “Se non fossi già promesso a Kurama, ti sposerei io!”.
Ryoda
impallidì ed esclamò: “Che sciocco! Mi sono dimenticato di avvertirla!”.
Il
cacciatore cominciò a timbrare tutte quelle fronti inermi, fischiettando
tranquillamente. C’erano tutti: dèi giovani e anziani, Mendo, Shinobu,
Ryuunosuke, i soldati di Uru, il padre di Lamù… Oropa era così carico di
adrenalina e si sentiva talmente potente che tremava scosso dal senso di potere,
mentre opponeva su ogni testa il suo timbro.
“Un
trucco davvero sporco!”, commentò piatta una voce alle sue spalle, mentre il
cacciatore sentì un oggetto metallico appoggiato sulla sua nuca. “Bahyo?”,
chiese.
“Esatto!”,
rispose il possente dio. “Sarò colui che catturerà il cacciatore e chiederò in
sposa Benten per aver fatto vincere il mio schieramento, come è giusto che
sia!”.
Un
secco colpo ricevuto alla nuca, tuttavia, fece cadere a terra Bahyo privo di
sensi. “I cattivi chiacchierano sempre troppo!”, esclamò Ryoda.
“Come
ci sei arrivato fin qui in un attimo? Volando?!”, esclamò Oropa.
Ryoda
rise e gli chiese: “Hai visto la mia Kurama?”.
“Sì,
è laggiù!”.
Il
professore la raccolse in braccio e la portò via. “La farò svegliare grazie
all’antidoto… per loro, invece, ci vorranno almeno un paio d’ore!”.
Detto
ciò, Ryoda si allontanò con la sua amata sulle braccia, mentre Oropa riprese il
lavoro.
Quando
ebbe finito, unì le mani in preghiera e ringraziò Orochi; Tzukino, dalla sua
cattedra, alzò la testa e sorrise.
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Capitolo 13 *** Racconto e foto a luci rosse ***
sa
RACCONTO E
FOTO A LUCI ROSSE
Un
fruscio richiamò l’attenzione di Oropa. Lentamente mosse la mano verso
l’impugnatura della spada; appena l’ebbe stretta, la sguainò e si voltò
rapidamente.
Ataru
Moroboshi stava appoggiato con la schiena ad un albero, gli occhi bassi e le
braccia conserte.
Oropa
rinfoderò l’arma ed andò a consolarlo. “Tranquillo. Passerà anche questa!”,
disse sorridendo.
Ataru
però non ricambiò il sorriso e tolse il suo timbro dalla tasca. “Io ti catturerò
e farò in modo di rendere felice il padre di Lamù. Forse aveva ragione quando mi
ha dato del buono a nulla, ma gli dimostrerò che sarò in grado di sconfiggerti e
che per amore rinuncerò a sua figlia consegnandola nelle mani del ragazzo che
stima tanto e reputa migliore di me”.
Oropa
sfoderò nuovamente Obelion e studiò l’avversario, spostandosi lateralmente con
lenti e cauti passi; una goccia di sudore corse dalla fronte di Ataru fino al
mento, prima di cadere al suolo.
“Quello
che hai detto è una follia!”, disse ad Ataru il giovane spadaccino. “Ti aiuterò
io a riscattarti agli occhi del padre di Lamù!”.
“Ormai
ho deciso!”, rispose secco il giovane Moroboshi.
“Ma
Lamù vuole solo te! Se mi sconfiggerai, le aprirai un futuro di rimpianti!”.
“Lei
capirà la bontà del mio gesto. Dimenticherà il passato ed io manterrò per sempre
nel mio cuore il ricordo della nostra unica notte d’amore!”.
“Voi
due… avete passato una notte… d’amore?”, chiese Oropa con la bava alla
bocca.
“Sì!”,
ammise Ataru. “E ti assicuro che è stata davvero… bollente!”.
Oropa
si accucciò ai piedi di Ataru come un cagnolino in attesa del boccone, mentre il
giovane Moroboshi si sedette su una grande pietra piatta e cominciò a
raccontare.
“Quella
notte faceva molto freddo. Lamù mi disse che voleva dormire con me e le proposi
di indossare questi”. Il ragazzo fece vedere i nastri gialli in grado di
bloccare i poteri della bella aliena.
“Lei
accettò e si sdraiò al mio fianco, appoggiando la coscia in mezzo alle mie
gambe. Sentivo il suo corpo caldo premuto contro il mio… il profumo dei suoi
capelli mi inebriava, così come il suo fiato umido sul mio collo. Io non sapevo
cosa fare! Ad un tratto, Lamù si svegliò e intuì all’istante la mia eccitazione;
lei rimase piacevolmente colpita e cominciò a baciarmi… io ricambiai e la sua
morbida lingua invadeva la mia bocca con irruente, famelica passione… e…”.
“Cosa?
COSA?!”, lo incalzò Oropa, scosso dai brividi per quel racconto a luci
rosse.
“Cominciò
a carezzarmi piano e sentii la sua mano scivolare sotto i boxer. Stavo per
esplodere, così la abbracciai e feci scivolare la mia mano lungo il suo ventre
bollente, per pi scendere sempre più giù… quando sentii la sua pelle umida la
carezzai dolcemente e lei gemette di piacere… ed io con lei!”.
Oropa
aveva assunto un’espressione sognante, come se la sua anima avesse abbandonato
il corpo e vagasse libera nella luce infinita della gioia.
“Ad
un tratto si mise sopra di me e mi guidò con la mano dentro di lei. Io non
riuscivo a capacitarmi, succedeva tutto così in fretta… il piacere ci univa e ci
legava indissolubilmente, guidando ritmicamente i nostri corpi, finché ad un
tratto Lamù cominciò a tremare e si chinò su di me, mordendomi il collo ed
ansimando forte; io la strinsi più che potei, poi lei si sdraiò al mio fianco,
passandosi le mani fra i capelli. La luce della luna la dipingeva di un candore
divino, facendola brillare di una bellezza che mai avevo notato in lei… era
semplicemente splendida!”.
Oropa
era oramai perso in quel racconto e neppure Ryoda, che lo stava richiamando
dall’auricolare, riusciva a distorcerlo da quelle visioni.
“Dopodiché,
cominciò a baciarmi; le sue labbra ardenti di desiderio scesero lungo il mio
collo, sfiorandomi con la punta della lingua. Ad un tratto, si fermò a baciarmi
dolcemente il petto… scese poi fino all’ombelico; mi leccò i bordi e poi scese
ancora, finché non sentii la sua bocca avvolgermi il…”.
Ormai
arrivato in estasi irrecuperabile, Oropa cadde riverso al suolo con
un’espressione esterrefatta ed una bocca allargata in un sorriso spalancato. Il
cacciatore si rotolò fra le foglie del sottobosco come in preda ad un attacco
schizofrenico; poi balzò in piedi ed andò a stringere le mani di Ataru
prodigandosi in mille ringraziamenti.
Ataru
lo timbrò sulla fronte, opponendo il simbolo degli oni.
“Lo
sapevo che mentivi, ma mi hai fatto sognare… che passione, che ardore!”, esclamò
il ragazzo. “Tu la ami alla follia, la desideri ardentemente e queste cose le
sogni davvero!”.
Così
dicendo, scoppiò in una fragorosa risata e si avviò al campo base per farsi
cancellare il simbolo.
“Ce
l’ho fatta!”, esclamò Ataru entusiasta con il timbro stretto nella sua mano.
“Rimango
in vantaggio io,comunque!”, fece notare il cacciatore. “Benten, aspettami!”.
Tzukino
aveva le lacrime agli occhi per le risate; Oropa stava di fronte alla sua
cattedra ed era tutto sporco, ma il suo volto era soddisfatto.
“Puliscimi
la fronte alla svelta!”, disse alla ragazzina.
“Non
hai uno yukata di ricambio,
piuttosto?", chiese Tzukino notando il logoro e stracciato indumento del
cacciatore. Questi non rispose e si strappò l’altra manica per pulirsi la
fronte.
Finito
di cancellare il timbro, l’arbitro della sfida annotò la cattura nella tabella
degli oni.
Tornato
nel punto dove giacevano tutti i concorrenti addormentati, Oropa si accorse che
al suolo erano abbandonate parecchie armi, tutte cariche di bossoli di gomma da
addestramento.
Raccolse
un revolver a colpo singolo e lo fece roteare sull’indice; poi, si avvicinò a
Bahyo che si stava riprendendo. Il grosso dio, con la testa pelata segnata da un
grosso bernoccolo, si mise seduto a terra e borbottò all’indirizzo del
cacciatore.
“Ce
l’hai con me, per caso?”, chiese Oropa.
“Se
tu fossi un vero uomo, combatteresti contro di me ad armi pari!”, lo minacciò il
rivale alzatosi in piedi e con i pugni davanti al volto come un pugile in attesa
di combattere.
Oropa
constatò che il timbro entrava perfettamente nella canna dell’arma da lui
impugnata… ed ebbe un’idea!
Infilò
l’oggetto nell’arma e la puntò nuovamente verso Bahyo, indirizzandola alla
fronte; il dio tentò di abbozzare una difesa, ma il cacciatore tirò il grilletto
e un bossolo di gomma esplose fuori dalla canna, spingendo il timbro a velocità
folle contro la fronte di Bahyo, che ricadde pesantemente al suolo privo di
sensi.
“Ryoda,
ci sei?”, chiese Oropa nell’auricolare.
“Certo
che ci sono, razza di idiota!, rispose il professore furibondo. “Perché non mi
davi retta mentre Ataru stava parlando?”.
“Ero
troppo immerso nel discorso. Cosa volevi?”.
“Che
tu ti avvicinassi di più ad Ataru, dannato imbecille!”, rispose il compagno di
Kurama prima di esplodere in una fragorosa risata.
Ora
sono pronto per affrontare quelle tre! Dimmi dove sono”, disse Oropa
all’amico.
“Lamù
è stata avvistata mentre sorvolava una radura a nord est della tua posizione
attuale. Anche Benten è stata avvistata, ma è scomparsa subito dalla vista. Un
terzo tengu ha visto Oyuki ed il suo
cucciolo che si dirigevano verso l’area fra la posizione di Benten e quella
coperta da Lamù. Amico mio, sento puzza di trappola!”.
“Darò
a quelle tre ciò che vogliono!”.
“Sii
prudente e non fare sciocchezze, invece”, lo rimproverò Ryoda. “Dimentichi che
c’è Bi-M-Bo con loro, perciò portati in posizione nella maniera più silenziosa
possibile, prima di attaccare!”.
“Ricevuto!”,
esclamò il cacciatore prima di raccogliere il suo timbro e avviarsi verso l’area
designata.
Dopo
pochi passi, una mano sulla sua spalla lo paralizzò. Oropa restò immobile, senza
muovere un solo muscolo… se qualcuno era stato in grado di arrivargli così
vicino da toccarlo senza che lui se ne accorgesse, doveva essere soltanto Ataru.
“Ciao, cacciatore!”, lo salutò.
“Mi
hai fatto prendere un colpo!”, esclamò Oropa.
“Mi
spiace, ma sei ancora in vantaggio tu…”.
“Sappi
che non ci cascherò un’altra volta!”.
“Sai
che io e Lamù siamo stati per una settimana intera ospiti di Benten mentre la
aiutavamo nelle riparazioni dell’astronave?”, gli domandò Ataru facendosi serio
in volto. “Ogni sera, dopo aver lavorato tutto il giorno, le due facevano il
bagno insieme…”.
“Ti
ho già ripetuto che non attacca!”.
“Va
bene! E pensare che ti avevo portato una bella foto che le ritrae nude mentre si
lavano a vicenda…”.
Così
dicendo, tolse di tasca una busta gialla, la aprì e sfilò la fotografia in
questione, sventolandola davanti al naso di Oropa.
“Non
fare sciocchezze, Oropa!”, gli disse Ryoda dall’auricolare. “Dobbiamo
considerare l’estrema audacia del soggetto in questione… probabilmente quella
foto riporta esattamente i soggetti da lui descritti. Avvicinala alla
microcamera montata sul tuo auricolare in modo che io possa esaminarla”.
“Hai
vinto…”, bisbigliò Oropa mentre Ataru gli timbrò nuovamente la fronte con il suo
timbro.
“Ora
sono in vantaggio io!”, esultò trionfante il giovane Moroboshi mentre si
allontanava.
Oropa
voltò piano la foto. “Fai piano”, consigliò il professore mentre sul monitor del
palmare gustava l’attesa. Lentamente comparve l’immagine di due formosi corpi di
fanciulla coperti di schiuma da bagno immersi in una grande vasca vaporosa.
“Questo
è indubbiamente il lavoro di un artista illuminato!”, esclamò estasiato Ryoda.
“Che scelta del momento! Che inquadratura! Che colori!”.
“Ataru…
grazie infinite!”, disse Oropa all’indirizzo dell’amico mentre questi spariva
lentamente fra la fitta vegetazione.
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Capitolo 14 *** Maestro contro allievo ***
sa
MAESTRO
CONTRO ALLIEVO
Questa
volta Tzukino appariva pensierosa, mentre Oropa si avvicinava con il simbolo
degli oni nuovamente impresso sulla
fronte.
“Ora
sarà dura recuperare!”, commentò la ragazzina.
“Qui
fuori ci sono quasi duecento elementi con impresso il mio marchio sulla fronte”,
rispose il cacciatore. “Ataru, pur con questi duecento punti, mi ha staccato
solo di poche catture. Mi basterà dirigermi verso gli unici elementi coscienti e
catturarli!”.
“Questo
lo so benissimo!”, disse Tzukino mentre ripuliva la fronte del ragazzo.
Oropa
sciolse l’obi e la veste si aprì,
scoprendo gli indumenti che il giovane indossava sotto: un gilet militare e un
paio di pantaloncini in jeans. “Sarò io a vincere!”, esclamò Oropa correndo in
direzione dell’uscita del canyon e sparendo successivamente nella fitta
boscaglia.
Kurama
stava sdraiata sull’erba con le mani dietro la nuca e si godeva il tepore del
bel sole pomeridiano; Ryoda, al suo fianco, scrutava continuamente le immagini
che le microcamere montate sugli auricolari dei tengu gli venivano inviate sul palmare.
Purtroppo, di Benten e gli altri non vi era alcuna traccia.
Scoraggiato,
Ryoda posò momentaneamente il palmare e carezzò il ventre dell’amata. “Credevo
che non avrei mai provato questa sensazione”, disse.
La
principessa dei tengu lo attirò
dolcemente a sé e i due si baciarono stesi sull’erba.
“Questa
è la nostra essenza, che viene tramandata di sovrano in sovrano. Io sola ho il
potere di decidere a chi offrirla e ho scelto te”, aggiunse Kurama al termine
del bacio, mentre con occhi languidi fissava il compagno.
“Farò
di te una donna e una madre felice”, disse dolcemente Ryoda prima di abbracciare
la partner.
Improvvisamente
il palmare prese a suonare. “Base, rispondete!”, chiamava una voce
disperata.
“Ci
sono novità?” chiese il professore al tengu in collegamento che ansimava con
occhi terrorizzati.
“Siamo
sotto attacco, signore!”, annunciò la creatura spaventata. “Tengu 2 è stato abbattuto da una scarica
della oni, Tengu 1 è stato colpito da un bossolo di
gomma mentre sorvolava una radura a nord, Tengu 3
ha perso il collegamento inghiottito da
una bufera di neve e risulta disperso! Resto solo io; sono nascosto e al sicuro,
ma là fuori è un inferno!”.
“Resta
dove sei, Tengu 4!”, esclamò Ryoda.
“Ora mando in zona il cacciatore…”.
“Bravo!”,
disse una voce femminile dall’auricolare. “Manda qui il nostro Oropa”.
Lamù
comparve sul video del palmare, ripresa da una seconda persona con i tre tengu in ostaggio.
“Li
vedi i tuoi sottoposti? Ora abbiamo anche gli auricolari per ascoltare le vostre
conversazioni!”, disse Benten con voce squillante.
“Signor
Ryoda, quindi lei è schierato con il cacciatore?”, chiese Oyuki, entrata
anch’essa in possesso di un auricolare.
“Se
gli dèi vinceranno la sfida, io potrò restare col mio tesoruccio”, esclamò Lamù
mentre teneva per le zampe le povere creature come se fossero galline. “Mandaci
qui il tuo protetto e vediamo di archiviare la questione!”.
Ryoda
staccò il collegamento e si passò le dita sotto il mento.
“Problemi?”,
chiese Kurama.
“L’unico
problema è che dovrò starti lontano ancora… l’azione mi chiama!”, rispose il
professore, alzandosi.
“Non
preoccuparti, caro!”, rispose la principessa dei tengu. “Abbiamo una vita intera da
passare insieme!”.
Salutata
la partner, Ryoda si allontanò rapido nella fitta boscaglia. “Ci sei, Oropa?”,
chiese al suo alleato.
“Sì,
ho sentito tutto!”, rispose il ragazzo. “Quelle tre fanno sul serio!”.
“Vengo
subito a fornirti supporto. Ora chiudo il contatto!”, disse Ryoda prima di
interrompere il collegamento con Oropa.
Nella
fitta foresta, Oropa avanzava fra l’erba alta, con la schiena curva e passi
misurati.
Il
giovane sfoderò Obelion, lentamente vi fece scivolare sopra lo yukata strappato e quando l’improvvisato
manichino fu pronto, lo eresse piantandolo al suolo.
Agganciò
la cordicella alla polsiera e strisciò col ventre a terra, restando in
attesa.
Scrutò
l’orizzonte verso la giungla; dagli alberi nessun uccello si alzava in volo,
segno che nessuno si spostava in quella direzione. Guardò verso il burrone e
scorse Benten in piedi, immobile, sul ciglio.
Con
uno strattone recuperò spada e veste e la indossò senza allacciarla.
Avanzò
cauto fino a pochi metri dall’immobile dea, che gli dava le spalle e sembrava
guardare giù nel canyon. “Giocherò a carte scoperte!”, pensò.
Lentamente
e senza fare alcun rumore, si sollevò dal suolo comparendo alla vita della
ragazza come un fantasma. Avanzò di un passo, sfoderando il revolver e
puntandolo contro la nuca di Benten. “Beccata!”, disse Oropa.
“Beccato!”,
replicò Benten, apparendo una decina di metri a fianco del ragazzo e puntandogli
un grosso fucile alla testa.
Lamù
arrivò volando ed atterrò a pochi passi dal giovane, appoggiò le mani al suolo e
lasciò defluire elettricità a basso voltaggio. “Ecco il nostro prode
cacciatore!”, esclamò la bella aliena.
Oropa
la guardò e ripensò al racconto di Ataru: i morbidi capelli, l’abbondante misura
del busto, la vita stretta e i morbidi fianchi; immaginò di afferrarla per le
corna e baciarla con irruenta passione, mordicchiando quelle sue morbide labbra
e penetrando con la lingua nella sua bocca fino a sentire i canini.
“Se
mi obbligassero a sposarla… la prima notte di nozze sarà… indimenticabile! Forse
mi faccio sconfiggere!”, pensò il ragazzo.
Il
cacciatore prese a ridacchiare, poi indicò la copia di Benten che aveva di
fronte. “Non sapevo che avessi una sorella gemella!”, scherzò.
“Si
tratta di una semplice copia olografica creata dalla mia tuta da
combattimento!”, spiegò la vera Benten abbassando l’arma.
Oropa
approfittò della distrazione dell’amata e cercò di scattare di lato, ma le gambe
non si mossero e rischiò di cadere come un salame; si sorresse puntando lo
spadone al suolo.
La
tuta di Benten riprese il colore originale abbandonando la tonalità dell’erba;
alcune stringhe di energia rossa vibravano fra le cuciture della tuta, segno che
il sistema dell’indumento era attivo.
“Ma
che diavolo…”, sbottò il cacciatore, impossibilitato a muovere gli arti
inferiori.
“Trappola
paralizzante!”, rispose Lamù. “Trasmetto al suolo energia elettrica di intensità
tale da entrare in conflitto con i nervi umani, impedendo al cervello di
comandare le gambe!”.
Oropa
sollevò lo spadone e lo lanciò all’indirizzo della oni, che per non essere colpita staccò i
palmi dal suolo interrompendo il flusso di energia.
Con
rapidi balzi il cacciatore evitò i colpi sparati da Benten, affondò la spada nel
terreno e la usò come trampolino per saltare alto nel cielo.
Il
ragazzo piombò addosso a Benten, ma un attimo prima che potesse appoggiare il
timbro sulla fronte dell’amata, una grossa palla di ghiaccio lo colpì al ventre,
facendolo rovinare al suolo a parecchi metri di distanza. Lamù, Oyuki e Benten
si pararono di fronte a lui.
“Ryoda,
aiuto…”, disse nell’auricolare il ragazzo con voce fioca per il colpo
subito.
“Sto
arrivando, resisti!”, rispose il professore.
Benten
lo attaccò; il giovane cacciatore riuscì a schivare i primi pugni e a bloccare
un calcio, ma una gomitata lo colse impreparato e cadde sulle ginocchia.
Ryoda
correva in direzione della posizione segnalata dall’auricolare di Oropa e da
quello delle ragazze sullo schermo del palmare, quando Bi-M-Bo gli si parò di
fronte. “E’ venuto il momento che l'’allievo superi il maestro”, ringhiò la
possente belva.
“Ognuno
di noi è tenuto a raccogliere ciò che ha seminato!”, rispose piatto il compagno
di Kurama.
“Un’affermazione
degna di lei!”, ruggì lo yeti, alzando le grandi mani artigliate e preparandosi
ad attaccare.
“Molti
anni fa”, iniziò a parlare Ryoda nonostante la situazione, “venivano rinchiusi
in una grande arena uomini e belve per divertimento e venivano fatti combattere
davanti ad una platea urlante”.
“E
allora?”, chiese Bi-M-Bo.
“Questa
sarà l’ultima lezione che ascolterai da me!”, sibilò Ryoda.
“Si
arrende, allora?”, lo schernì la belva.
“Come
ti dicevo, uomini contro belve combattevano in una lotta per la sopravvivenza.
Nella maggior pare dei casi, leoni e tigri avevano la meglio… eppure, succedeva
che a volte l’ingegno degli uomini deboli avesse la meglio e a lasciare il campo
vittoriosi fossero proprio i piccoli esseri umani, che la natura ha dotato di
forza limitata e scarse armi naturali”.
“Quindi
io sarei la bestia!”, ridacchiò lo yeti facendo sobbalzare tutto il pelo del suo
corpo.
“Ed
io il piccolo uomo… tuttavia ho sempre una piccola possibilità di successo”.
Così
dicendo, la gobba sotto lo yukata del
professore cominciò a muoversi. “Te la senti davvero di affrontarmi in
duello?”.
Gli
occhi di Ryoda erano freddi ed inespressivi, la postura marziale e quella strana
gobba si agitava come animata di vita propria.
“No…
non me la sento!”, esclamò in lacrime Bi-M-Bo inginocchiatosi al suolo.
“Saggia
decisione!”, disse il suo maestro mentre gli assestava una sonora pacca sulla
spalla.
Ad
un tratto, mentre si allontanava correndo, notò qualcosa di rosso nascosto fra
la fitta vegetazione del sottobosco.
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Capitolo 15 *** Una battaglia aerea furibonda ***
sa
UNA BATTAGLIA
AEREA FURIBONDA
Una
gelida folata di vento scaraventò Oropa nel vuoto dello strapiombo e il
cacciatore cominciò a precipitare giù.
Lamù
lo afferrò al volo e lo salvò, rimproverando Oyuki per la follia del gesto
mentre Benten rideva come una pazza. “Tutto qui quello che sai fare?”, lo
schernì la dea.
Lamù
lo lasciò al suolo vicino al ciglio ed andò a chiudere le fila vicino alla
regina di Nettuno e alla dea della fortuna.
Oropa
ansimava, stremato dalla battaglia; richiamò con la cordicella Obelion e la
rinfoderò.
“Buttati
nel vuoto!”, gli ordinò Ryoda.
“CHE
COSA?!”, esclamarono tutti e quattro sentendo quel comando dall’auricolare.
“Fallo
e basta!”.
Il
cacciatore si tolse lo yukata e lo
sventolò in aria, affidandolo alle cure del vento. “Vincerò!”, gridò
all’indirizzo delle tre aliene.
“Stupido!”,
disse Benten. “Non capisci che se lo schieramento degli dèi dovesse vincere, noi
saremo promessi? Non lo vuoi, forse?”.
“Questo
è ciò che vuoi?”, ringhiò Oropa. “Vuoi davvero che tutti dicano che mi hai vinto
ad una gara come fossi un premio? A me non basta! Se vincerò io, lascerò che la
nostra relazione cresca di sua spontanea volontà e se ci uniremo in matrimonio
sarà per amore!”.
Benten
lasciò cadere il fucile e spense la tuta da combattimento. “Hai ragione! Lascerò
che tu vinca”, disse all’amato.
Anche
Lamù e Oyuki deposero idealmente le armi e si arresero. “Puoi timbrarci!”,
dissero le tre all’unisono.
“Bene!”,
tuonò Oropa impugnando il suo sigillo. “Con la mia vittoria schiacciante, farò
in modo che venga istituita la mia legge. Farò sì che io abbia il diritto alla
prima notte con ogni fanciulla del popolo degli oni, degli dèi e del popolo di Nettuno!
Così non scontenterò nessuno e la mia discendenza si spargerà per l’intero
universo!”.
Lamù
e Benten impallidirono all’istante, mentre Oyuki accolse l’idea freddamente.
La
oni lanciò una scarica elettrica
simile al fulmine di un temporale, mentre la dea guizzò col destro pronto a
colpire, ma Oropa fu rapidissimo e con un salto sparì nel burrone dietro di
sé.
“Ti
sei cambiato d’abito, vedo!”, esclamò Ryoda, che lo aspettava poco sotto al
ciglio in sella alla moto di Benten.
“Belli,
vero?”.
“Un
po’ frivoli, a dire il vero”.
“Gioca
pesante, eh?”, ringhiò Benten con le braccia conserte sul ciglio del canyon,
mentre osservava la sua moto spaziale allontanarsi.
Lamù
estrasse qualcosa dal reggiseno e premette un pulsante. “E’ l’ora della festa!”,
esclamò con un ghigno.
“Dobbiamo
proprio farlo?”, domandò Oyuki con voce tranquilla.
“Certo!”,
disse Lamù mentre immaginava uno stuolo di bambini con occhi azzurri, capelli
biondi, pannolini tigrati e un
corno dietro la nuca intenti a bruciare ogni cosa e sfasciare tutto con grosse
spade.
“Non
c’è altra soluzione!”, ripeté Benten mentre immaginava uno stuolo di bambini con
occhi azzurri e capelli biondi intenti a distruggere ogni cosa sul loro
cammino.
“E
va bene…”, annuì sconsolata la bella regina di Nettuno mentre immaginava il
giardino del suo palazzo pieno di splendidi bambini intenti a spalare la
neve.
Dal
cielo sibilarono tre oggetti, arrivando a fermarsi sopra le teste delle
ragazze.
Alle
spalle della moto spaziale guidata da Ryoda con Oropa come passeggero,
comparvero tre piccoli caccia.
“Attenzione!”,
esclamò il professore in modo che il ragazzo lo sentisse. “Classe caccia
atmosferici, piccole astronavi da addestramento impiegate in ricognizioni che
sfruttano il magnetismo dei pianeti dove vengono inviate per muoversi con
incredibile agilità!”.
Un
proiettile sibilò vicinissimo vicino alla testa dei due.
“Ci
sparano addosso!”, esclamò preoccupato Oropa. “Quello rosso, quello tigrato e
quello bianco sono alle spalle del caposquadriglia!”.
I
piccoli velivoli, dalla forma di punta di freccia e dotati di un grosso cannone
nella parte inferiore, seguivano la scia lasciata dalla moto, che con un rombo
assordante cercava disperatamente di seminare gli inseguitori.
“Non
li staccheremo mai!”, disse Ryoda. “Sullo stabilizzatore di sinistra c’è un
bazooka; vedi di fare qualcosa!”.
Oropa
lo afferrò con una mano mentre con l’altra si reggeva alla vita dell’amico.
“Voltati
e poggia la tua schiena contro la mia, poi stringi forte le gambe intorno alla
sella!”, gli consigliò il giovane insegnante di Storia terrestre. “Mira al
caccia bianco!”.
Il
cacciatore obbedì e lentamente si voltò, sollevando la grossa arma e portandosi
il mirino all’occhio.
Passò
in rassegna i tre velivoli: su quello rosso di testa sicuramente c’era Benten,
quello tigrato era pilotato da Lamù e quello bianco apparteneva alla regina di
Nettuno.
“Non
c’è una cabina di pilotaggio in quegli affari!”, urlò disperato Oropa,
constatando che la superficie dei piccoli caccia era compatta e senza alcun
abitacolo in vetro.
“La
guida di quegli affari è digitale!”, rispose Ryoda. “L’abitacolo è nella zona
posteriore e i piloti osservano l’esterno su un monitor circolare che avvolge
l’intera cabina”.
“COLPO
IN ARRIVO!”.
Con
un avvitamento, Ryoda riuscì ad evitare l’impatto ma il cacciatore rischiò di
perdere l’arma.
“Dannazione,
non ce la faccio!”, sbraitò il cacciatore. “Abbiamo solo tre colpi a
disposizione!”.
“Rilassati,
appoggiati a me e mira bene ad uno dei tre bolli neri che quegli affari hanno
sulla corazza”, gli disse tranquillo Ryoda. “Essendo caccia da addestramento,
quelli rappresentano i punti da colpire; se ce la farai, il pilota verrà espulso
dall’abitacolo e il caccia tornerà automaticamente al suolo!”.
“Va
bene!”.
Sullo
schermo della strumentazione della spazio moto comparve il viso di Benten.
“Siete spacciati!”, esclamò la dea da dentro il suo abitacolo.
Lo
schermo si divise a metà e anche Lamù apparve in comunicazione. “Io farò bambini
solo col mio tesoruccio, chiaro?!”.
Ryoda
spense il sistema di comunicazione e disse ad Oropa: “Il caccia bianco!
Appoggiati bene a me e prendi la mira: farò una brusca frenata di modo che da
avvicinarci al bersaglio; quando sentirai che è il momento giusto, spara senza
indugi!”.
La
moto spaziale inchiodò bruscamente fermandosi in aria; Benten tirò a sé con
tutte le forze la cloche per evitare di impattare i due e Lamù compì una
strettissima virata a destra. L’ultima cosa che Oyuki vide sul monitor davanti a
sé prima di trovarsi fuori nel cielo fu Oropa che puntava il bazooka con un
sorriso sul volto.
Poco
dopo, un piccolo paracadute si aprì nel cielo accompagnando dolcemente a terra
la regina di Nettuno.
Ryoda
approfittò di quella breve sosta per rifiatare, mentre Oropa tremava scosso
dall’adrenalina.
Il
professore accelerò bruscamente e un colpo sibilò vicinissimo ai due. “Temo che
questa manovra non funzionerà una seconda volta!”, disse al suo
“passeggero”.
Il
cacciatore alzò nuovamente l’arma, portando l’occhio dentro il mirino ed
inquadrando il caccia di Benten.
La
navicella di Lamù sorpassò quella dell’amica e prese a tempestare di colpi la
moto spaziale, che evitò ogni proiettile con abili manovre.
“Piantala!”,
ordinò Benten all’amica sul monitor.
“Hanno
mandato giù Oyuki!”, rispose Lamù furibonda.
Benten
sorpassò nuovamente l’amica e riprese il comando della formazione. “Adesso li
abbatto io!”.
Ryoda
puntò il muso del mezzo verso il suolo, dirigendolo a folle velocità verso una
radura: “Guarda chi c’è laggiù”, disse ad Oropa.
“Ataru!”,
esclamò il cacciatore.
“Fai
arrabbiare Benten!”, disse il professore mentre accendeva il sistema di
comunicazione.
Sul
monitor della navicella di Benten, che seguiva a brevissima distanza la
picchiata della moto, comparve il volto di Ryoda con alle sue spalle Oropa.
“Il
tuo è stato solo un colpo fortunato!”, ringhiò la dea all’indirizzo
dell’amato.
“Con
quel colpo ho abbattuto una di voi, mentre tu non ci hai colpito! Se fosse solo
fortuna ci avresti abbattuti da un pezzo, cara la mia dea!”, la sbeffeggiò il
cacciatore.
“Maledetto
sfacciato!”.
“Quando
avrò vinto la battaglia, ti obbligherò a danzare nuda al mio cospetto, mentre
Lamù e Oyuki mi porgeranno cibo e bevande!”.
“TU
SEI UN FOLLE!”.
Ryoda
cominciò a ridere sguaiatamente.
“Non
appena il vederti ballare nuda mi avrà saturato di desiderio, giocheremo tutti
insieme alla lotta nella schiuma. Vedrai che bei bambini vi farò fare… mi
impegnerò oltre misura!”.
Benten
portò l’indice sul grilletto e urlò: “SEI FINITO!!”.
Ataru
guardava preoccupato la moto che, seguita dai due caccia, si avvicinava a folle
velocità rombando col motore fuori giri.
“Lamù…”,
bisbigliò il ragazzo notando il caccia tigrato.
La
distrazione gli fu fatale: la moto spaziale virò improvvisamente nell’istante in
cui il caccia rosso esplose un colpo e l’ultima cosa che il ragazzo vide fu un
proiettile che gli piombava minacciosamente addosso, colpendolo in volto ed
abbattendolo al suolo.
“IL
MIO TESORUCCIO!!”, gridò Lamù mentre sul monitor dell’abitacolo di Benten
mostrava i canini.
“E’
stato un errore!”, cercò di giustificarsi la dea, mentre il sudore scendeva
copioso sul suo volto.
Improvvisamente
il suo caccia cominciò a tremare, investito da una raffica di colpi esplosa
dall’amica accecata dalla rabbia.
“Finiscila!”,
le intimò la dea. “Prenditela con loro!”.
Con
manovre disperate, Benten cercava di scrollarsi dalla coda il caccia dell’amica,
che continuava a tempestarla di colpi. Tutti quegli urti destabilizzarono il
volo della navicella rossa e Lamù riuscì a mandare a segno un colpo.
Benten
si ritrovò nel cielo appesa al paracadute, inviando ingiurie e maledizioni sia
all’amica che al duo composto da Ryoda e Oropa.
Per
tutta risposta, i due le si avvicinarono con la moto e il cacciatore le inviò un
bacio con la mano, facendo l’occhiolino. “Resterai sempre tu la mia favorita…
con le altre sarà solo un dovere!”, disse il ragazzo.
Ryoda
appoggiò la fronte sul manubrio del loro velivolo tenendosi la pancia per le
risate.
Benten
soffiava e agitava le braccia nell’aria come una gatta infuriata, mentre dietro
di lei apparve il caccia tigrato. “Hai fatto esattamente ciò che volevano!”,
inveì contro Lamù.
Una
proiettile sibilò vicinissimo alla testa di Benten.
Preso
alla sprovvista Ryoda accelerò, ma il colpo impattò il bazooka usato da Oropa
come scudo, che cadde nel vuoto.
“Punterò
verso il sole!”, disse il professore. “La luce intensa creerà per alcuni secondi
un’interferenza con il processore d’aggiornamento delle immagini del monitor del
e Lamù sarà accecata per alcuni istanti; piombale giù come un falco e centra con
lo spadone un bersaglio. Ti recupererò subito dopo!”.
Il
piano era folle ma geniale ed Oropa si sentiva eccitato e carico come non mai,
quindi accettò.
La
moto puntò in verticale verso l’astro luminoso e il caccia li seguì;
nell’abitacolo, Lamù si trovò impossibilitata a tenere gli occhi aperti e un
attimo dopo sentì come se qualcosa avesse cozzato contro la carrozzeria del
velivolo.
Con
un giro della morte Ryoda recuperò Oropa, mentre il caccia tornava mestamente a
terra. I due batterono i palmi delle mani in segno di vittoria, poi Ryoda guidò
la moto lentamente per l’atterraggio.
Lamù
si parò davanti a loro inferocita.
Ryoda
ed Oropa impallidirono all’istante; la ragazza emanava elettricità ad altissimo
voltaggio, con le braccia conserte e gli occhi socchiusi fissi su di loro.
“Ci
siamo dimenticati che può volare”, fece notare Ryoda.
“Purtroppo
sì!”, rispose Oropa.
“IO…
FARO’… BAMBINI… SOLO… COL MIO TESORUCCIO!”, urlò Lamù investendo i due con un
fulmine.
La
moto cominciò a precipitare con tutti i comandi fuori uso.
Oropa
era svenuto e Ryoda manteneva a stento la lucidità mentale; fortunatamente,
appiccicò al petto del ragazzo il paracadute adesivo e lo buttò nel vuoto.
La
tela si aprì ed il cacciatore planò al suolo fra la vegetazione, mentre la moto
spaziale precipitò nel canyon ed esplose impattando contro il suolo.
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Capitolo 16 *** Tremenda vendetta ***
sa
TREMENDA
VENDETTA
Appeso
ai rami, Oropa aprì faticosamente gli occhi ed estrasse da una tasca del gilet
una piccola borraccia d’acciaio.
Lamù
arrivò volando e si parò davanti a lui.
“Non
faresti meglio ad andare dal tuo tesoruccio?”, chiese il ragazzo con un filo di
voce.
“Lui
sta bene!”, sbottò la ragazza in bikini tigrato. Seguì un attimo di silenzio, in
cui i due si ricordarono di quante botte Ataru aveva ricevuto in vita sua; poi
riprese a parlare con tono freddo ed impugnò il timbro che Benten le aveva
dato.
“Gli
dèi vinceranno e tu sarai destinato a Benten!”.
“Ma
davvero ti sei bevuta le mie panzane?”, le chiese il cacciatore.
“Come?”.
“Ho
detto quelle assurdità solo perché non volevo che Benten rinunciasse alla
battaglia”.
“Davvero?!”,
domandò sbigottita Lamù, avvicinandosi ad Oropa per scrutargli negli occhi se
stesse mentendo oppure no.
“Non
è ancora finita, comunque!”, disse Oropa. “Ti chiedo di non dire nulla a Benten
e di avere fiducia nelle mie capacità”.
“Qui
non c’è in ballo non solo il futuro tuo e di Benten, ma anche il mio e quello
del mio tesoruccio!”.
“Quando
tuo padre saprà che è stato in grado di mettermi nel sacco per ben due volte, si
rimangerà quello che ha detto!”.
“Questo
significa che ora gli oni sono in
vantaggio?!”.
“No!
Mi mancano cinque catture e sarò in vantaggio: tu, Oyuki, Benten, Bi-M-Bo e
Ataru… filerà tutto liscio”.
Detto
ciò, il giovane scolò il contenuto della borraccia e si stiracchiò. “Per fortuna
l’acqua curativa fa effetto anche bevendola!”, esclamò.
“Che
ne è stato di Ryoda?”, si disse Oropa preoccupato per le condizioni
dell’amico.
“Sta
bene!”, affermò una voce familiare nella mente di Oropa.
“Davvero,
Tzukino?” pensò Oropa.
“Ryoda
sta bene. Quell’uomo ha più risorse di quanto tu possa immaginare!”.
Il
cacciatore si rialzò e tirò un sospiro di sollievo, ma un grosso proiettile di
ghiaccio lo colpì all’addome. Oyuki si presentò in una bufera di neve con gli
occhi splendenti di luce rossa e i capelli agitati.
Lamù
andò in soccorso di Oropa, ma lui la scacciò. “Non dire niente a nessuno!”, le
ordinò il ragazzo.
Una
pallottola di gomma lo colpì alla schiena con violenza; su un alto ramo si
materializzò Benten che stringeva un grosso fucile da cecchino. “Siamo alla resa
dei conti!”, ruggì la dea.
Shutaro
Mendo aprì gli occhi; la testa gli doleva leggermente e avvertiva un senso di
nausea.
Attorno
a lui, tutti stavano riprendendo i sensi emettendo gemiti e lamenti; notò che
ognuno di loro aveva il timbro del cacciatore sulla fronte.
Ryuunosuke
e Shinobu aiutarono il ragazzo a rialzarsi e insieme cominciarono a far uscire
dal torpore tutti coloro che si trovavano nei paraggi.
“Gas
soporifero!”, ringhiò il padre di Lamù mentre Tzukino passava la spugna umida
sulla fronte.
“Le
regole lo consentono!”, esclamò l’arbitro.
“Vendetta!”,
esclamò un soldato di Uru.
“Vendetta!”,
ribadì un giovane dio.
“VENDETTA!!”,
gridarono gli altri tutti insieme, sollevando le armi e radunandosi appena fuori
dal canyon, aspettando di formare un piccolo esercito congiunto per sistemare
l’odioso cacciatore.
Ten
lanciava alte fiamme al cielo per sfogare la frustrazione, Mendo comprò ad un
banco una nuova arma in legno, Ryuunosuke e Shinobu facevano schioccare le
giunture delle dita.
Oropa
saltò per evitare un proiettile sparato da Benten e contemporaneamente usò lo
spadone per frantumare un grosso cuneo di ghiaccio che Oyuki aveva scagliato
contro di lui.
Appoggiò
Obelion al suolo e vi poggiò le mani sopra, evitando con una ruota un secondo
colpo della regina di Nettuno e risollevando l’arma in tempo per parare un nuovo
proiettile di gomma.
“Così
non va!”, esclamò Benten buttando il fucile e scendendo al suolo.
Il
terreno sotto i piedi di Oropa cominciò a gelare e lui conficcò lo spadone nel
terreno, usandolo per saltare su un ramo, dove recuperò l’arma grazie alla
cordicella.
Oyuki
affiancò l’amica e rimasero a guardare in alto con aria truce.
Un
dardo di ghiaccio spezzò il ramo ed Oropa scappò nella boscaglia dandosela a
gambe levate.
“Che
avevi da startene immobile?”, domandò Benten a Lamù, rimasta per tutto il tempo
ferma ad osservare il combattimento.
“Credo
che sia colpa… della stanchezza!”, bisbigliò la bella oni. “Vado subito a vedere dove è
diretto; seguitemi e non perdetemi di vista!”.
Oyuki
e Benten si fissarono perplesse e infine seguirono l’amica.
Oropa
sbucò nella grande radura antecedente il burrone e Lamù chiamò le sue amiche.
“E’ QUI!”.
Il
ragazzo si fermò a riprendere fiato ed attese l’arrivo delle rivali, mentre una
colonna di fumo saliva dal canyon; Oropa pensò a Ryoda.
“Probabilmente
sta architettando qualcosa”, pensò fra sé il cacciatore.
Un
vento gelido lo richiamò dai suoi pensieri e osservò le tre ragazze.
“Si
arrenda o morirà!”, esclamò Oyuki.
La
regina di Nettuno stava per attaccare nuovamente, ma Benten la fermò. “Vado io.
Voi fate in modo da non lasciarlo scappare nel caso in cui tentasse la
fuga!”.
Benten
impugnò il timbro e si lanciò all’attacco; la dea cercò da subito di colpire la
fronte del ragazzo, ma costui evitò ogni colpo con abilità.
La
carica della tuta da combattimento era ormai in esaurimento e Benten cercava in
ogni modo di chiudere la battaglia alla svelta, senza tuttavia riuscirvi.
“Friggilo,
Lamù!”, ordinò all’amica.
La
bella oni cominciò a concentrare
energia nelle mani, mentre il ragazzo le teneva gli occhi addosso.
Lamù
esitò e Benten si voltò spazientita verso di lei. “Che cosa aspetti?”.
Obelion
aprì la bocca ed il braccio destro della dea vi sparì dentro; con uno strattone
liberò l’arto, ma il timbro era andato perso e lo spadone lo risputò fra le mani
di Oropa.
Oyuki
lanciò il suo timbro all’amica e questa lo afferrò al volo.
“Con
te sarà sempre una battaglia…”, sussurrò Oropa fissando gli occhi dell’amata
mentre questa si avvicinava a lui pronta a timbrarlo.
“Puoi
ben dirlo!”, rispose Benten.
“Sei
troppo bella per lasciarti sempre vincere!”.
“Ammetto
che sei molto abile, ma hai i tuoi limiti ed io sono oltre la tua portata.
Riuscirai mai a prendermi?”.
“L’ho
già fatto!”, sussurrò Oropa mentre senza farsi notare sfilava la cordicella
dall’impugnatura di Obelion. “Io ho molti limiti, che sono quelli di un uomo…”.
Con
un rapido gesto attorcigliò la cordicella attorno al busto e al braccio destro
della ragazza, stringendo la morsa e contemporaneamente rovesciò la situazione
con le gambe, portandosi sopra l’amata. Con la mano libera impugnò il suo timbro
e lo poggiò sulla fronte della dea; poi la baciò delicatamente sulle labbra.
“Non
potrò mai superarti… ma saprò farmi amare davvero da te?”, domandò Oropa con gli
occhi lucidi. “Tu non immagini nemmeno quanto ti amo… ma tu?”.
Gli
occhi della ragazza si fecero lucidi; Oropa si rialzò e impugnò nuovamente
Obelion, portando poi l’imponente spadone nel fodero sulla schiena.
Con
un rapido scatto timbrò Oyuki, che era rimasta immobile a godersi la scena e
stessa sorte toccò a Lamù che si presentava commossa oltre misura.
La
dea si rialzò, mentre il ragazzo si stava avviando verso la boscaglia.
“Perché
non gliel’ho confessato?”, pensò improvvisamente Benten. “Dire quelle parole è
così difficile per me che, anche se sento il mio cuore esplodere, quelle
maledette parole non mi escono… non mi escono!”.
Benten
cominciò a correre in direzione del campo base con la testa bassa, passò
velocissima di fianco al cacciatore e si allontanò.
“Andiamo
anche noi”, sussurrò Oyuki a Lamù prima che si avviassero con passo rapido.
“Tu
cosa farai?”, chiese la bella oni ad
Oropa.
“Vado
a prepararmi per il suo ritorno!”, rispose lui sorridendo. “Non credo che sia
finita qui”.
“Non
ci riesco!”, pensò Benten mentre correva sempre più forte dando fondo alle
energie residue della sua tuta da combattimento. “Non riesco a dirlo… mi
vergogno, è da femminucce!”.
Con
le mani si fece largo fra il fitto sottobosco, attraversò rapida una radura
assolata e si ricacciò nel bosco.
“E
se questo fosse il mio limite?”, si domandò. “Io sono fiera, combattiva, con un
forte senso dell’onore… non ho mai pensato all’amore… ma ne ho così bisogno!
Quando sono con lui mi sento come immersa in una fonte calda, fra le sue braccia
sento che posso sciogliere il mio muro di ghiaccio che mi protegge dalla paura
di essere ferita dove sono più debole”.
Improvvisamente
si trovò al cospetto dell’esercito di oni
e dèi che vagava a caccia di Oropa; i soldati notarono il timbro sulla
fronte della dea e presero a mormorare fra loro.
Con
lo sguardo basso Benten passò in mezzo alla folla, senza cambiare la sua
traiettoria.
“Nemmeno
tu sei stata alla sua altezza”, disse alla ragazza un anziano dio.
Benten
si fermò a fissarlo per un lungo istante con lo sguardo smarrito, poi accelerò
il passo facendosi largo a gomitate.
“Il
cacciatore ha ferito il suo cuore!”, disse un soldato dell’esercito di Uru.
“MORTE
AL CACCIATORE!”, gridarono tutti insieme prima di rimettersi in marcia.
“Non
sono alla sua altezza?”, si domandò sbigottita Benten mentre correva ansimando,
madida di sudore. “Eppure lui mi ama ed è riuscito a dirmelo con un candore tale
da abbagliarmi… perché sono così fragile? Perché ho paura di lui?”.
Al
cospetto di Tzukino, Benten appoggiò i palmi sulle ginocchia e prese a respirare
ansimando rumorosamente, sfinita per la lunga corsa.
“E
così è venuto il suo turno!”, disse con un sorriso l’arbitro, preparando la
spugna.
La
dea sollevò il viso, fissando la ragazzina. Tzukino vide le lacrime sgorgare
dagli occhi di Benten e scorrere lungo il suo volto.
Improvvisamente,
sul volto della dea esplose un sorriso luminoso e gridò: “Io… IO LO AMO!!”.
Tzukino
pulì la fronte della ragazza e la carezzò in viso. “Corra a dirglielo, allora”,
consigliò la ragazzina, “lo vedrà felice come non mai!”.
“Non
sarà una mocciosa a darmi consigli sull’amore!”, sbottò seccata Benten in un
rigurgito del suo orgoglio, mentre si allontanava a grandi falcate dal campo
base.
“Brutta
cosa, la gelosia!”, pensò Tzukino sorridendo.
Pesanti
passi si avvicinarono al cacciatore, mentre questo scrutava sul fondo del canyon
se fra le macerie vi fosse il corpo dell’amico.
Bi-M-Bo
mosse un violento pugno all’indirizzo della nuca del ragazzo, ma questo con un
movimento fulmineo mise Obelion di traverso, bloccando l’attacco della
belva.
Contemporaneamente,
dalla giungla cominciarono a defluire oni
e dèi urlanti, pronti a vendicarsi.
“Sei
nei guai!”, ruggì il possente essere.
Lamù
entrò nel campo base volando; l’arbitro la ripulì e la avvertì che Benten era
già sulla via del ritorno. Non appena la bella oni si librò nuovamente nel cielo, fece
la sua comparsa Oyuki.
“Al
cacciatore mancano poche catture!”, esclamò Tzukino mentre puliva la fronte
della regina di Nettuno.
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Capitolo 17 *** Kamikaze, il vento divino ***
sa
KAMIKAZE, IL
VENTO DIVINO
“Lo
scherzo del sonnifero è stato di pessimo gusto!”, esclamò un anziano dio della
fortuna.
“Se
vuoi dimostrare il tuo valore, combatti contro i nostri migliori uomini solo e
senza armi!”, gli intimò il padre di Lamù.
La
folla vociante stringeva i due contendenti; il cacciatore agiva con molta
circospezione in attesa della prossima mossa di Bi-M-Bo, il suo avversario.
Oropa
piegò le ginocchia ed alzò le mani aperte, mettendosi in una posizione simile a
quella di un portiere prima di un calcio di rigore.
Lo
yeti gli si avventò addosso, il ragazzo afferrò il braccio dell’essere
aggrappandosi al pelo e lo tirò con forza a sé, sbilanciandolo. Prima che il
mostro potesse completare il passo per recuperare l’equilibrio, Oropa assestò
una forte ginocchiata nel basso ventre di Bi-M-Bo, che accusò il colpo ma colpì
col braccio sinistro il ragazzo alla schiena con abile mossa, scaraventandolo
lontano.
La
folla esplose in un boato.
“Che
rottura di scatole”, sibilò Oropa rialzandosi.
Lo
yeti lo afferrò per la collottola e lo sollevò dal suolo; gli occhi del mostro
erano iniettati di sangue e il suo respiro rabbioso non lasciava presagire nulla
di buono.
“Sei
una stupida bestia!”, lo provocò il ragazzo.
Abbatté
entrambi i pugni chiusi sui grandi occhi del rivale e questo lo mollò; appena i
piedi del ragazzo toccarono il suolo, Oropa ne approfittò per assestare un forte
calcione all’addome dello yeti, che si piegò per l’urto.
Il
ragazzo affondò una mano nella folta peluria della testa della creatura e la
sollevò, pronto a colpire con tutta la sua forza. Invece si bloccò e lasciò la
presa.
“Mi
fai pena, con quella faccia da cane bastonato!”, sbottò Oropa, risistemandosi le
vesti stropicciate.
Bahyo
scese in campo sciogliendosi i muscoli del collo, spinto dagli incoraggiamenti
di tutto lo schieramento degli dèi.
“Ecco
che scende in campo mister palla da biliardo!”, lo schernì il cacciatore
accogliendolo con una risata.
“Ridi
finché puoi!”, ruggì il muscoloso dio.
Bahyo
si avventò sul ragazzo cercando di colpirlo con rapidi pugni, ma Oropa li evitò
tutti.
Il
cacciatore evitò un calcio di destra ed uno di sinistra; Bahyo sferrò nuovamente
un pugno, ma Oropa gli bloccò il braccio con la mano destra, affondando il
gomito sullo sterno del rivale.
Col
respiro corto per il colpo ricevuto, Bahyo gli si avventò nuovamente addosso con
tutta la sua furia, ma i movimenti del muscoloso dio erano scoordinati ed Oropa
approfittava di ogni apertura nella difesa per colpire.
“Sei
stupido come Bi-M-Bo!", gli disse Oropa, mentre Bahyo approfittava della pausa
per riprendere fiato. “Abbandona il combattimento, se vuoi evitare una
figuraccia!”.
L’assoluta
calma del cacciatore mandò in bestia il dio, che lo caricò come un toro. Oropa
attese immobile nella sua posizione l’arrivo del rivale e quando Bahyo cercò di
colpirlo si spostò di lato, assestando un colpo nelle reni dell’avversario.
Senza
perdere alcun istante, gli diede anche una gomitata sulla schiena e col tallone
colpì dietro al ginocchio destro del dio, che crollò al suolo con una smorfia di
dolore.
La
folla era ammutolita dalla destrezza del cacciatore nel corpo a corpo e mai
avrebbe immaginato che un ragazzo fosse in grado di tenere testa ad uno yeti e
successivamente ad un dio allenato e forte come Bahyo.
“Ora
tocca a me!”, esclamò Ryuunosuke. “Vediamo come te la cavi”.
All’improvviso,
un tengu si parò fra i due
contendenti. “Fine dei giochi!”, gracchiò.
Un
secondo tengu comparve dall’erba e si
mise su una spalla di Oropa, con una grossa sigaretta nel becco. “Chinate il
capo, miscredenti!”, ordinò alla folla.
Un
terzo tengu piombò dal cielo e si
fermò anch’esso vicino al ragazzo. “Dopo anni di ricerche infruttuose,
fallimenti, delusioni e dispiaceri…”, disse rivolgendosi ad Ataru Moroboshi, che
nel frattempo era arrivato dalla giungla durante la battaglia fra Oropa e
Bahyo.
Una
quarta creatura piumata arrivò camminando fra le lunghe gambe di tutti i
presenti, avanzò seguito dallo sguardo di ognuno e si mise seduto ai piedi del
cacciatore: aveva una lunga barba bianca e sembrava molto più anziano degli
altri.
“Gioite,
popolo dei tengu!”, esclamò
trionfante. “Una luce nuova è giunta a farci da guida! Grande è la sua saggezza
e temprato il suo spirito! Egli ha saputo conquistare il cuore e l’anima della
nostra principessa e da uomo è diventato il nostro sovrano!", prese fiato e con
trasporto gridò: “IL VENTO DIVINO CI DARA’ GIOIA E LUSTRO! AVE AL NOSTRO RE! AVE
AL NOSTRO SIGNORE! AVE AL NOSTRO… DIO!!”.
Due
enormi ali nere pulsavano in cielo, accompagnando l’ascesa di un essere,
coprendo con la sua ombra un’ampia parte della folla.
Ad
ogni battito, oni e dèi erano
obbligati a coprirsi il volto dalle forti raffiche d’aria, finché la figura
scura non si posò al suolo in mezzo a loro, dispiegando le ali in un gesto
liberatorio prima di chiuderle.
Tutti
i tengu si prostrarono al suolo, ma
una mano benevola sfiorò loro le testoline. “Grazie di tutto, miei servitori!”,
disse dolcemente il nuovo arrivato.
Le
creature piumate posarono i loro occhi colmi di gioia sul loro sovrano prima di
sollevarsi in volo e scomparire.
“Quella
ti faceva a pezzi!”, esclamò Ryoda indicando Ryuunosuke all’amico cacciatore
rimasto esterrefatto dalla sua spettacolare entrata in scena.
“Ma
che… spettacolo!”, disse sbigottito Oropa. Gli occhi del ragazzo luccicavano di
meraviglia per l’amico e le sue splendide ali nere che sbucavano dallo yukata strappato.
“Non
hai ancora visto nulla!”, gli confidò Ryoda.
I
tengu fecero ritorno trasportando una
lunga lancia nera, con la punta composta da una corona di piume d’oro. “A voi,
mio sire!”, esclamò l’anziano tengu.
Ryoda
la impugnò e la fece roteare vorticosamente fra le dita, prima di appoggiarla al
suolo fra i suoi piedi.
Tutti
restarono ammutoliti: l’alleato del cacciatore era Kamikaze, il vento divino,
divinità protettrice del popolo dei tengu.
Un
dio anziano si fece coraggio ed avanzò di un passo fra la folla, chinando il
capo al cospetto di Ryoda. “Perdoni la mia insolenza”, borbottò mestamente.
“Parli
pure liberamente, amico mio”, rispose Ryoda con sguardo benevolo.
“Kamikaze
venne confinato nella terra del riposo molti anni or sono da un impavido
guerriero, stanco delle scorribande devastatrici di quel demonio. Ciò gettò il
popolo dei tengu nella disperazione,
ma ora è qui al nostro cospetto. Come si è liberato?”.
“Kurama
voleva una guida per il suo popolo, un sovrano giusto”, cominciò a rispondere il
professore; poi estrasse dallo yukata
un antico testo e lo aprì.
“Con
nere ali di furia su noi si abbatte, esso è il dio dei tengu e di vento e tempeste è composto
il suo regno. Irrequieta è la sua anima, vuota la memoria, vagando in ogni dove
porta la morte, annunciandola con la rabbia dei venti. Confinato nella terra del
riposo il suo spirito, senza anima corrono le arie della terra natale…”.
Gli
occhi dei tengu si fecero lucidi di
lacrime; avrebbero potuto continuare a pronunciare le restanti parole di quel
testo a memoria, da tanto che lo avevano studiato.
Una
folata di vento annunciò l’arrivo di Kurama. “Ho rimosso il sigillo
personalmente ed ho fatto dono dello spirito del nostro dio a questo giovane.
Lui è colto e giusto e con la sua conoscenza della storia, che è la madre dei
popoli, ha saputo placare la furia del nostro signore ed ora ne è il padrone!
Niente da obiettare, spero”, intimò poi la ragazza mentre abbracciava il
compagno.
Ataru
abbozzò una mezza obiezione, ma Kurama, vibrando un poderoso colpo con il suo
ventaglio a forma di foglia, lo scaraventò in cielo proprio mentre
sopraggiungeva Lamù, che lo afferrò al volo.
“OROPA!”,
gridò una voce di ragazza al limitare della radura.
La
folla si aprì ed in lontananza comparve Benten, che con gli occhi posati sul
ragazzo cominciò a camminare verso di lui. Arrivò anche Oyuki e Bi-M-Bo corse
fra le sue braccia in lacrime per farsi consolare e per godere della fresca aura
della regina di Nettuno.
La
dea passò in mezzo ai suoi amici senza distogliere lo sguardo dal suo
obbiettivo; la massa borbottava parole di conforto all’indirizzo della ragazza,
mentre questa procedeva senza indugi.
Davanti
ad Oropa si fermò, abbassò la zip della tuta da combattimento e se la tolse; gli
stivali in cuoio rosso fasciavano le sue gambe e la leggera falda metallica
fasciava la sua vita. Il reggiseno in metallo cingeva il busto con attaccata la
catena e proseguiva sulla spalla destra unendosi con una protezione, che
continuava per tutto il braccio fino a collegarsi ad un robusto guanto.
Sollevò
una mano aperta davanti al volto stupito del cacciatore e la strinse in un
pugno.
“Il
primo che cade a terra ha perso!”, intimò ad Oropa.
“Piantala,
Benten!”, le disse Lamù, portando al suolo Ataru. “La storia della prima notte è
una sciocchezza, l’ha detto solo per…”.
“Ti
avevo chiesto di non dire nulla, Lamù!”, affermò Oropa contrariato.
Il
ragazzo si portò in posizione, pronto a rispondere agli attacchi dell’amata
Benten.
Obelion
aprì il suo occhio per vedere la scena… era quello che attendeva dalla prima
volta che il giovane aveva condiviso i suoi sentimenti, la battaglia finale.
Ryoda
e Kurama si fecero in disparte e il cerchio si chiuse nuovamente attorno ai
due.
Senza
esitazioni, Benten attaccò il ragazzo afferrandolo per il gilet e spintonandolo,
cercando di mettere una gamba dietro a quelle di lui per farlo cadere.
Oropa
appoggiò entrambe le mani sulla grossa catena che adornava il busto della
ragazza e la usò come appiglio per avere maggiore presa e contrastare
efficacemente la forza dell’avversaria.
La
situazione rimase in fase di stallo per qualche tempo, in cui i due si fissarono
intensamente. Benten mollò la presa e lo stesso fece Oropa.
I
due combattenti si studiarono girandosi intorno; a fare la nuova mossa fu Oropa,
che afferrò l’amata per un braccio strattonandola a sé ed appoggiò una mano
aperta sul suo sterno portando contemporaneamente una gamba dietro a quelle di
lei per sbilanciarla. Benten gli si aggrappò addosso per evitare di cadere.
Oropa,
sentendo il corpo dell’amata contro il suo, ripensò a ciò che Orochi gli aveva
detto il giorno prima.
“LA TUA BENTEN HA DIMOSTRATO DI AVERE TANTA
FORZA DA CALPESTARE L’ONORE IN NOME DELL’AMORE! NON COLMERAI MAI QUESTA DISTANZA SE NON
CAPIRAI QUANTO SIA COSTATO, PER UNA RAGAZZA FIERA E BATTAGLIERA COME LEI,
CHIEDERTI SCUSA”.
La
sorresse quando avrebbe potuto lasciarla cadere al suolo ed aggiudicarsi la
vittoria.
“Io
ti amo”, sussurrò lei mentre cingeva il collo di Oropa con entrambe le braccia e
la sua bocca era vicinissima all’orecchio di lui.
Oropa
la lasciò e lei si allontanò di un passo; con gli occhi lucidi e colmi di
gioiosa soddisfazione ripeté nuovamente: “Ti amo!”.
Il
ragazzo restò paralizzato, mentre una leggera brezza gli accarezzava il
viso.
La
ragazza appoggiò una mano sotto il mento di lui e si avvicinò come per baciarlo;
invece portò una gamba in posizione e con una mossa a sorpresa lo fece cadere a
terra. “Ho vinto!”, esclamò ridendo ed alzando le braccia al cielo.
La
folla esplose in un boato ed il dio anziano consigliò alla ragazza di procedere
subito alla timbratura della preda.
“Il
mio timbro l’ho perso!”, esclamò Benten. “Chi mi presta un timbro degli
dèi?”.
L’esercito
degli dèi si frugò nelle tasche invano, dato che tutti i loro timbri erano
spariti.
Anche
gli oni si accorsero che i loro
timbri avevano fatto la stessa fine.
“Io
ne ho uno!, esclamò Lamù.
“Io
ho quello degli oni!”, disse
Ataru.
“Quello
che Oyuki mi ha dato è rimasto nella tuta!”, disse Benten, mentre si avvicinava
all’indumento riverso al suolo.
Oropa
con uno scatto soffiò la tuta da sotto il naso dell’amata e la lanciò a Ryoda.
“Mancano solo due timbri oltre a quello dentro questa tuta: uno è in mano a Lamù
e l’altro è in mano ad Ataru!”.
“Che
significa?”, domandò stupita Benten.
Oropa
impugnò Obelion e lo sollevò dal suolo, puntandolo contro la massa di persone;
Ryoda suggerì a Kurama di allontanarsi e si mise di fianco al giovane
cacciatore.
“Approfittando
del vostro sonno, vi abbiamo sottratto tutti i timbri e allo stato attuale ne
restano in circolazione soltanto tre: quello del cacciatore, uno degli oni ed uno degli dèi”.
“Niente
timbri degli oni, niente catture per
gli oni…”, borbottò il padre di
Lamù.
“Niente
timbri degli dèi, niente catture per gli dèi!”, ammise un anziano dio.
“Ti
sembrano cose da fare?”, domandò con tono irritato Benten ad Oropa
strattonandogli il gilet.
“Hai
vinto la battaglia, ma la guerra è nostra!”, rispose il cacciatore
all’amata.
“A
terra!”, gli intimò Ryoda.
Il
cacciatore si buttò al suolo trascinando sotto di sé Benten e lanciando il
timbro all’amico, che lo afferrò al volo con un sorriso compiaciuto.
“E’
tempo di sgranchirsi le ali”, bisbigliò mentre dispiegava le grandi e lucide ali
nere.
Si
sollevò dal suolo generando un forte vento, costringendo i presenti ad
aggrapparsi agli alberi per evitare di essere sospinti via dalle forti
raffiche.
Ryoda
si portò sopra il gruppo e cominciò a roteare la lancia piumata, poi la alzò e
vibrò un violento colpo verso il suolo gridando: “TATSUMAKI!”.
Una
grande tromba d’aria sollevò in cielo oni e dèi, trascinandoli in un vortice
come foglie al vento.
Il
padre di Lamù afferrò al volo il piccolo Ten, incapace ancora di contrastare una
simile forza col suo debole volo.
In
mezzo a quella confusione, Ryoda si muoveva con la rapidità di un falco grazie
alle enormi ali, timbrando ogni fronte che incontrava.
Lamù,
trascinando il suo tesoruccio, cercava disperatamente di uscire da quel turbinio
di urla e corpi, ma il professore si parò dinanzi a lei. “Consegnatemi i timbri
e cesserò immediatamente questo finimondo, amici miei!”.
Benten,
tenuta al suolo da Oropa, osservava sconvolta quella bolgia infernale che si era
scatenata in cielo; nel centro esatto del ciclone di corpi urlanti e foglie
riuscì a distinguere la figura minacciosa di Ryoda che bloccava Lamù.
Oropa
la immobilizzava al suolo col peso del suo corpo e dello spadone.
“Ma
cosa avete in mente, voi due?”, chiese al ragazzo.
“Domineremo
il campo!”, rispose lui. “Se non avrete più timbri, non potrete fare più nulla
per recuperare terreno nei miei confronti!”.
“Ma
sarà anche la fine della battaglia!”, sbottò lei tentando di scrollarselo di
dosso. “Cosa faranno tutti fino a sera? Attenderanno i tuoi comodi?”.
“Vedrai
che sorpresa!”.
La
dea scorse fra l’erba Ryuunosuke che contrastava il vento in ogni modo,
aggrappata a degli arbusti.
“Ryuunosuke!”,
la chiamò. “Butta giù quel corvaccio!”.
Saltando
sui corpi delle persone sospese nel turbine, Ryuunosuke si portò alle spalle di
Ryoda e senza che quest’ultimo se ne accorgesse, gli balzò addosso serrandolo in
una presa.
Impossibilitato
a muovere correttamente le grandi ali, il giovane cominciò a precipitare con
lenti avvitamenti verso il suolo, ma prima di cadere riuscì a timbrare la fronte
dell’avversaria.
Poggiati
i piedi al suolo, il tornado cessò e tutti ricaddero giù.
“Ottimo
lavoro!”, disse Benten alla ragazza autrice dell’attacco.
Oropa
si allontanò con uno scatto ed impugnò Obelion. “Bel lavoro!”, disse a
Ryoda.
Il
professore rispose con un lieve inchino mentre aiutava gli sconfitti a
rialzarsi. “Ora tocca a te”, gli suggerì.
“Che
significa?”, chiese spazientita Benten all’amato.
“Significa
che il nostro piano per il dominio del campo sta procedendo perfettamente. Ora
tutti torneranno al campo base e prima che ritrovino i timbri passerà molto
tempo”, spiegò Oropa.
La
bocca dello spadone si spalancò e il ragazzo infilò dentro un braccio, afferrò
una corda con dei sacchetti legati e la sfilò dalle fauci dell’arma.
“L’idea
ci è balenata stamane!”, cominciò a parlare Ryoda mentre sollevava il pesante
padre di Lamù prima che questo, col suo imponente corpo, schiacciasse del tutto
il povero Ten. “Il difficile era volgere ogni cosa a nostro favore, mentre sarà
facilissimo mantenere questo dominio… col potere dell’amore!”.
“Che
cosa?!”, ringhiò Benten incapace di cogliere il significato di quelle
parole.
Lamù
e Ataru si erano allontanati da un pezzo e non si sapeva dove fossero finiti.
Oni e dèi, timbrati e visibilmente sconvolti dalla turbinante esperienza, si
incamminarono lentamente verso il campo base. Nella radura rimasero solo Oyuki,
Bi-M-Bo, Benten, Mendo, Shinobu, Oropa e Ryoda, mentre Kurama si era allontanata
per non intralciare l’amato portando con sé i tengu.
Il
cacciatore aprì un primo sacchetto e ne estrasse una piccola pallina marrone
simile ad un cioccolatino. “Questa è la mia arma segreta!”, sibilò mentre la
fissava.
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Capitolo 18 *** I confetti dell'amore ***
sa
I CONFETTI
DELL’AMORE
Durante la mattina aveva mostrato quelle
palline all’amico professore.
“Ho svolto una missione con degli scienziati
botanici tempo fa, a caccia di particolari funghi in una palude infestata da
grosse sanguisughe”, spiegò. “Quei funghi sono estremamente afrodisiaci e gli
scienziati se ne servono per fare accoppiare specie in via di estinzione,
riluttanti ad accettare il partner!”.
“Molto interessante!”, commentò il
professore. “Ho sentito parlare di un pianeta dove vengono fatte accoppiare le
specie a rischio, ma non sapevo che usassero funghi
afrodisiaci”.
“E invece sì! Seccano i funghi e li
mischiano alla pappa degli esemplari femmine; dopo aver consumato il pasto,
queste si buttano sui maschi e li obbligano
all’accoppiamento”.
Ryoda osservò attentamente una di quelle
palline, la annusò e poi disse: “Quindi hai preso i funghi, li hai essiccati e
ridotti in polvere e successivamente l’hai mischiata con della resina dolce di
una pianta ed hai ottenuto queste! Ma perché vengono somministrate solo alle
femmine?”.
“Perché, secondo quanto mi è stato detto
dagli scienziati, i soggetti maschili non resistono al violento stimolo ed… ehm…
ecco…”.
“Ho capito! E a cosa ti serviranno,
oggi?”.
“Avevo pensato di smuovere la situazione
amorosa di Ataru e Lamù…”.
“Quante ne hai?”.
“Siccome mi hanno detto che è estremamente
forte, da un solo fungo ho ricavato cento palline per essere sicuro che il
risultato non fosse troppo violento!”.
“Benissimo!”, commentò Ryoda. “Ci saranno
molto utili!”.
Oropa
avanzò verso Shutaro, che si era appena rialzato con molta fatica. “Ora
verificheremo la veridicità delle affermazioni degli scienziati!”, disse a
Ryoda.
“Procedi
pure!”, rispose il futuro marito di Kurama sorridendo.
Il
cacciatore gli infilò in bocca la pallina e successivamente gli chiuse la
mascella.
Dopo
aver deglutito il confetto, Shutaro afferrò per il collo l’amico, ma il suo
volto si fece improvvisamente violaceo, la bocca si aprì e gli occhi si
abbassarono. Un lungo gemito di piacere si liberò mentre Shutaro si accasciava
al suolo tenendosi la zona inguinale con entrambe le mani.
“Come
volevasi dimostrare”, disse Ryoda annotando tutto su un notes, “i soggetti
maschili vengono colpiti da un violento stimolo e soccombono ad un prolungato ed
intensissimo… orgasmo!”.
“Terribile!”,
disse Bi-M-Bo.
“Io
lo trovo molto interessante”, commentò Oyuki con un sorriso.
“Quindi
volete”, attaccò Benten, “sfiancare i partecipanti attizzandoli l’una contro
l’altro usando quelle palline afrodisiache!”.
“Molto
di più!”, affermò Oropa.
“Trasformeremo
questa guerra nella più bollente festicciola amorosa che si possa ricordare!”,
spiegò Ryoda a Benten.
“COSA
AVETE FATTO AL MIO MENDO?!”, gridò Shinobu, andando a sorreggere il ragazzo
ancora scosso da spasmi di piacere.
Una
pallina, lanciata da Oropa, sparì nelle fauci spalancate della ragazza. “Ora
vedremo se la dose di un fungo è sufficiente per una ragazza forte e tenace come
Shinobu!”, esclamò.
“Benissimo!”,
commentò l’amico professore. “Sarà l’esame definitivo prima di spargere fra la
folla il nostro confetto d’amore!”.
Oropa
sganciò la cordicella dal bracciale e lanciò Obelion in direzione di Benten. Lo
spadone si conficcò al suolo proprio alle spalle della dea e Ryoda sfilò la
cordicella dall’impugnatura e la usò per legare la ragazza ben stretta all’arma
in modo che non interferisse.
“Perdonami,
amore mio, ma è bene che tu non rimanga coinvolta in questa faccenda!”, le disse
Oropa.
“Perdona
anche me!”, aggiunse Ryoda.
“PERVERTITI!
MAIALI! DEPRAVATI!”, strillò la dea legata allo spadone.
“TACI!”,
urlarono all’unisono i due.
“NON
RIESCI A COMPRENDERE LA GRANDIOSITA’ DEL NOSTRO OPERATO? DOVE
REGNAVA LA FURIA
DELLA BATTAGLIA, FAREMO SBOCCIARE L’AMORE! DOVE LA GUERRA SFIBRAVA LE MEMBRA,
NOI LE RITEMPREREMO CON IL PIACERE! SOSTITUIREMO FREDDE ARMI CON CALDI CORPI!”,
gridò il cacciatore esaltato.
“Sarà
la fine delle ostilità e l’inizio del regno dell’amore!”, concluse l’amico.
Bahyo
balzò fuori dall’erba aggredendo Oropa. “Che tu sia maledetto!", esclamò il
possente dio mentre stringeva con tutta la sua forza il cacciatore.
Ryoda
stava per intervenire quando una grande aura rosa si diffuse nell’aria. Tutti i
presenti si voltarono verso Shinobu; la ragazza appariva rossa in viso, la sua
pelle appariva molto umida e il suo fiato si manifestava con nuvolette di
vapore.
Shutaro,
sfiancato dall’intensa esperienza, si allontanò da Shinobu, spaventato dalle
escandescenze della fanciulla.
L’aura
rosa si addensò in una linea ad arco che univa la testa della ragazza a quella
del giovane Mendo.
“A
quanto pare, la fanciulla nutre una forte attrazione verso il signorino Mendo!”,
commentò Ryoda. “La linea rosa è la manifestazione del suo interessamento verso
il ragazzo, a quanto vedo”.
“Credo
anch’io che sia così, amico mio!”, aggiunse Oropa con Bahyo che osservava
stupito ciò che stava succedendo.
“SIETE
DEI PAZZI!”, gridò la povera Benten immobilizzata.
“Shutaro…
tesoro mio…”, bisbigliò Shinobu mentre abbassava lentamente la chiusura lampo
della sua tuta.
Il
ragazzo, madido di sudore, spalancò gli occhi e tentò la fuga nel bosco, ma la
ragazza lo agguantò con un balzo felino e lo fece cadere al suolo.
“Sei…
bellissimo!!”, disse lei mentre si sfilò la tuta mostrando a tutti la sua
biancheria intima candida ed illibata.
La
sua pelle era umida di sudore e i presenti percepivano l’intensità del calore
emanato dal suo corpo a metri di distanza; con occhi famelici e languidi,
Shinobu si buttò sul giovane, mentre brandelli della tuta del ragazzo
cominciarono a volare in cielo. I gemiti e le grida dei due facevano chiarezza
su cosa stesse accadendo...
“Il
timbro, Ryoda!”, esclamò Oropa.
Il
professore lanciò il timbro al ragazzo e questi lo afferrò al volo, imprimendo
il suo simbolo sulla fronte dell’esterrefatto Bahyo che si sforzava di cogliere
i due amanti fra l’erba alta.
Timbrato,
il possente dio lasciò la presa e si diresse correndo verso il campo base.
I
gemiti di Shinobu e le grida di Shutaro crebbero di intensità, richiamando
nuovamente l’attenzione di tutti i presenti.
Bi-M-Bo
afferrò Oyuki e scappò nel fitto della boscaglia, pensando unicamente a salvare
la sua regina dalla possibilità di finire vittima delle pericolosissime palline
afrodisiache.
“Lasciamoli
pure andare!”, commentò Ryoda. “Ora che abbiamo avuto conferma della perfetta
funzionalità del nostro prodotto…”.
“…
passiamo alla coppia d’oro del nostro programma: Lamù e Ataru!", concluse
Oropa.
“NO!",
urlò Benten. “Lasciateli in pace!”.
I
due si comportavano come esimi dottori ogni qual volta dovevano esprimere pareri
in merito all’azione delle palline afrodisiache e tutto ciò infastidiva sempre
di più la povera dea della fortuna, legata ad Obelion. “Non si gioca con
l’amore!", ringhiò Benten all’indirizzo dei due complici.
“Dimmi
una cosa, Benten”, disse Oropa, “hai mai visto Lamù passare davanti al negozio
di abiti da sposa?”.
“Di
che diavolo stai parlando?”.
“Quando
passa davanti a quella vetrina, Lamù assume un’espressione abbattuta, come se
osservasse un futuro che teme di non vedere mai”, spiegò il ragazzo, mentre
Ryoda annuiva con la testa. “Un giorno passavo di lì e senza che se ne
accorgesse, ho visto il suo viso riflesso nella vetrina. Non potrò mai scordare
quegli occhi smarriti e tristi”.
“Non
spetta certo a voi forzare così gli eventi!”, protestò la ragazza.
“Lo so che non è giusto…”, disse
Oropa.
“…
ma è per una buona causa!”, concluse Ryoda.
“Scappa,
Lamù!”, disse Benten nell’auricolare che aveva all’orecchio.
Ryoda
accese il suo auricolare per ascoltare la risposta della ragazza in bikini
tigrato.
“Siamo
gli unici rimasti con i timbri e non possiamo…”, fu la risposta.
“Non
discutere e scappa!”, le disse l’amica.
“Pessima
mossa, mia cara”, esclamò Ryoda dopo aver tolto l’auricolare dall’orecchio di
Benten. “Il sistema di comunicazione è mio e grazie a questo palmare so
esattamente dove si trova ogni congegno!”.
“Grandioso!”,
esclamò Oropa battendo le mani.
“Dannazione!”,
ringhiò Benten.
“Credo
che sia giunto il momento di salutarci!”, disse Ryoda alla ragazza.
“Mi
dispiace lasciarti qui, ma non preoccuparti. Fra poco Bahyo verrà a liberarti!”,
esclamò Oropa mentre usava l’obi per
bendare l’amata.
“Giuro
che ti concerò per le feste quando ti avrò preso!”, sbraitò Benten all’indirizzo
del cacciatore mentre questi si allontanava con l’amico.
“Ne
sono certo!”, commentò Oropa mentre i gemiti di piacere di Shinobu e Shutaro
erano finalmente cessati.
“Benten
mi ha detto delle cose strane…”, disse Lamù all’amato, posandolo delicatamente
al suolo dopo essersi allontanati.
“Quella
è sempre strana!”, commentò Ataru stiracchiandosi. “Dobbiamo trovare un rifugio
e aspettare il tramonto, così saremo fuori pericolo”.
“Ma
noi abbiamo gli unici due timbri rimasti! Oropa mi ha confidato che tu lo hai
catturato ben due volte…”.
“Dovevo
farlo!”, ringhiò il giovane. “Dovevo dimostrare a tuo padre di essere alla sua
altezza!”.
Lamù
socchiuse gli occhi e fissò con aria seria il suo tesoruccio.
“Tuo
padre ha ragione”, confessò il ragazzo con un sospiro. “Mi comporto sempre come
uno sciocco e non riesco a darmi mai una misura. Solo quando sono ad un passo
dal perderti io…”.
La
bella aliena volò fra le sue braccia e lo strinse forte. “Ora aiutami a
sconfiggere Oropa e finalmente Benten avrà la sua vittoria! Se l’hai battuto in
passato puoi farlo ancora, no?”.
Ataru
tolse di tasca i due nastri di tessuto giallo e li legò alle sue corna.
“Scusami, Lamù”, borbottò poi mestamente. “Ora sento che devo proteggerti e non
voglio che tu combatta ancora per me. Sarò io a farlo per te!”.
I
due si fissarono con gli occhi colmi di gioia e strabuzzanti d’amore; Lamù si
protese verso l’amato per ricevere un bacio, ma un applauso alle loro spalle li
fece sobbalzare dallo spavento.
Oropa
stava seduto su un tronco lì vicino e li osservava divertito, mentre Ryoda era
appollaiato su un alto ramo con le grandi ali chiuse.
“Bravo,
Ataru!”, commentò il cacciatore.
“L’idea
dei nastri è stata geniale!”, aggiunse Ryoda. “Questo ci eviterà molti
grattacapi”.
Ataru
si parò in difesa dell’amata e lanciò i timbri rimasti ad Oropa. “Ora lasciateci
in pace!”, li minacciò .
“Ora
che noi siamo qui in nome della pace, cosa c’è di meglio dell’amore per
celebrarla?”, disse sibillino Ryoda.
“Benten
mi aveva detto di stare attenta a voi!”, ringhiò Lamù mostrando i canini.
“Andatevene
da qui e avrete la pace!”, affermò Ataru.
Oropa
tolse di tasca una pallina marrone; gli occhi del ragazzo e quelli di Ryoda
brillavano di una luce fredda e sinistra.
“Che
roba è?”, chiese Ataru timoroso.
“La
panacea alla solitudine dei vostri cuori!”, sibilò con trasporto Oropa.
Un
battito delle ali di Ryoda sollevò un turbine di fogliame dal suolo;
approfittando del fatto che Lamù e Ataru si coprivano gli occhi con le mani, il
cacciatore si avvicinò alla bella oni
e la chiuse fra le sue braccia; per
tutta risposta, Lamù gli morsicò una mano e Oropa ne approfittò per infilare
nella sua bocca il confetto afrodisiaco.
Fatto
ciò, le chiuse la bocca con la mano ed attese che lei ingoiasse il tutto; appena
udì il rumore della deglutizione, Oropa si allontanò per sfuggire alle ire sue,
ma cadde dritto nelle grinfie di Ataru. “Come osi alzare le mani sulla mia
fidanzata?!”, tuonò il ragazzo visibilmente ingelosito.
“Tesoruccio,
tu…”, bisbigliò Lamù.
“Non
adesso, Lamù!”, sbottò lui. “Devo dare una lezione a questo qui!”.
Ryoda
si accomodò nuovamente su un ramo, attendendo l’evolversi della situazione.
“Tu,
maledetto, sei piombato dal nulla e mi hai sottratto la mia Benten. Quel
corvaccio nero appollaiato lassù”, disse Ataru indicando il professore, “si è
accaparrato la mia Kurama. Voi due… state disintegrando il mio sogno di avere un
harem!”.
“Piantala
con questa buffonata dell’harem, cretino!”, lo ammonì Oropa. “Tu sei innamorato
di Lamù e solo per qualche mistica ragione non riesci a compiere il grande
passo. Noi ti aiuteremo e vedrai che alla fine ci ringrazierai!”.
Con
uno strattone, il cacciatore si liberò dalla morsa del ragazzo e si allontanò,
mentre una violenta ondata rosa investì l’area circostante.
“Non
ci sarà più bisogno che tu mi racconta balle perché ora assisterò di persona…”,
sibilò Oropa.
“Cosa
le hai fatto, maledetto?!”, urlò Ataru visibilmente preoccupato dal colorito
rossastro della pelle dell’amata e dalla vaporosità del suo respiro
accelerato.
“Come
hai fatto a resisterle per tanto tempo?”, domandò Oropa. “Ricordi come la
guardavi la prima volta che siete usciti insieme? Eri già cotto di lei! Ma ora
questo tira e molla finirà!”.
“Tesoruccio…
adorato…”, disse Lamù avanzando lentamente vero l’amato, con gli occhi socchiusi
e la bocca leggermente aperta
mentre caldo vapore si sollevava dal suo corpo.
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Capitolo 19 *** Desiderio represso ***
sa
DESIDERIO
REPRESSO
Shutaro
era sdraiato al suolo, sfinito.
Al
suo fianco giaceva addormentata Shinobu; il colorito della pelle era tornato
normale e la ragazza riposava con un’aria soddisfatta in viso e i capelli
scompigliati, sparpagliati sul petto del ragazzo che le teneva un braccio sotto
la testa come cuscino.
Poco
più in là si udivano le vive proteste di Benten; la dea cercava in tutti i modi
di liberarsi dalla prigionia, senza riuscirvi.
“Che
cosa ho fatto?”, si domandò il ragazzo. “Potrei sempre giustificarmi dicendo che
lei mi ha aggredito e costretto… invece… non posso negare di essere contento di
quello che è accaduto”.
Shutaro
carezzò delicatamente il viso di lei, che arricciò il naso ed aprì i grandi
occhi scuri. “Io… vorrei… chiederti scusa”, disse la ragazza, sentendosi
colpevole di quanto accaduto.
“Non
devi!”, rispose lui, sfiorando le sue labbra con l’indice. “La situazione ci è
sfuggita di mano; vorrei dare la colpa ad Oropa, ma non ce la faccio. In realtà…
non sono mai stato così felice come ora”.
Lei
sollevò la testa; i due erano completamente nudi, come novelli Adamo ed Eva.
“Cosa faremo ora?”, chiese timidamente lei, mentre si sforzava di non curiosare
troppo le doti del ragazzo.
“Ti
confesserò”, cominciò lui, “che la mia più grande paura era quella di un
matrimonio combinato da parte della mia famiglia…”.
“Faremo
finta che non sia successo nulla”, borbottò lei.
“Niente
affatto!”, rispose Shutaro. “Ti chiedo se posso presentarti ufficialmente alla
mia famiglia come la mia fidanzata!”.
“Lo
fai unicamente per assumerti le tue responsabilità, non è così?”, sospirò
Shinobu.
Lui
la baciò sulle labbra e passò la mano fra i capelli morbidi e profumati della
ragazza. “No, lo faccio perché mi piaci; anche se oggi abbiamo bruciato le
tappe, non posso comunque negare di averti desiderato”, rispose sinceramente
Shutaro, facendo arrossire la compagna.
“Bene!”,
esclamò lei felice. “In fondo, potremmo considerare tutto ciò un segno
del…”.
“DESTINO!”,
gridò Sakurambo, apparendo improvvisamente dal sottosuolo vicino alle teste dei
due, che svennero per lo spavento.
“Dove
sono i nostri timbri?!”, tuonò il padre di Lamù, abbattendo i grossi pugni sulla
cattedra dove Tzukino ottemperava ai suoi compiti.
L’arbitro
era tutto indaffarato nella mansione di pulizia e conteggio delle catture,
mentre la massa di partecipanti protestava vivamente per il furto
dell’essenziale attrezzo.
“Come
vi ho già spiegato”, rispose la ragazzina, “non posso rivelare dove il
cacciatore ha nascosto i timbri, in quanto il regolamento non esclude azioni di
questo tipo”.
“MALEDETTO!”,
urlò il corpulento oni assestando una
violenta pedata ad un cartoncino appoggiato al suolo; i timbri contenuti al suo
interno si sparsero per tutto il campo e la folla cominciò a prenderli.
“Lo
smembreremo e sparpaglieremo il suo corpo negli angoli più remoti di questo
pianeta!”, minacciò il padre di Lamù.
Bahyo
arrivò di corsa passando in mezzo allo schieramento, si fece ripulire ed
altrettanto velocemente sparì nella boscaglia.
“COMPAGNI!”,
gridò un anziano dio sollevando alta nel cielo una lunga lancia col timbro
legato sulla sommità. “VOGLIAMO UNA VITTIMA! TROVIAMO IL CACCIATORE E
ANNIENTIAMOLO!”.
“Tesoruccio…
ti voglio! Qui e subito!”, esclamò Lamù appoggiando le sue mani sulle guance di
Ataru.
La
bella aliena aveva divelto la sua tuta da battaglia e sfoggiava il suo classico
bikini; tuttavia, man mano che Ataru retrocedeva, la ragazza andava sciogliendo
i nodi che permettevano agli indumenti di restare al loro posto.
“Guarda
che roba!”, esclamò Oropa seduto sul ramo di un albero. Ryoda l’aveva accomodato
sull’alta seduta in modo che i due potessero seguire l’azione senza trovarsi
coinvolti.
Entrambi
seguivano l’evolversi della situazione con sguardi fissi ed
interessatissimi.
Ataru
afferrò i polsi dell’amata e bloccò le sue mani, che con troppa audacia
tentavano di intrufolarsi nella sua tuta ancora integra.
“No,
Lamù, non posso!”, disse il ragazzo nel tentativo di riportare alla ragione
l’aliena; per tutta risposta, Lamù lo baciò incollando la sua bocca a quella del
ragazzo.
I
due, avvinghiati, caddero al suolo insieme; Ataru desiderò ardentemente
abbandonarsi nell’unione con Lamù, ma una forza sconosciuta riuscì a fare in
modo di contenere la sua eccitazione.
“Tesoruccio…
ti voglio!”, bisbigliò lei.
Il
reggiseno volò via, abbandonato alle cure del vento; Oropa per poco non cadde
dall’albero, afferrato al volo da Ryoda; tuttavia, la bella aliena si sollevò
sulle ginocchia, sempre stando a cavalcioni sopra il suo amato prono al
suolo.
Ataru
contemplò i meravigliosi seni della sua promessa, la quale afferrò le sue mani e
le guidò su per il suo addome fino premerle contro le sue grazie. Il ragazzo
sentì sotto i palmi la morbida e setosa pelle.
“Lamù,
mollami le mani…”.
Prima
di terminare la frase, la bella oni
era già tornata ad invadere con la sua lingua la bocca del ragazzo, baciandolo
con irruenta passione; con le mani di lui ancora premute sui seni, Lamù affondò
le unghie nel tessuto della tuta e con un rapido gesto la strappò dal petto di
Ataru.
L’azione
fece balzare alle stelle il tasso di eccitazione del ragazzo; sotto le dita,
Ataru sentiva i capezzoli dell’amata divenire turgidi.
“NO,
BASTA!”, gridò Ataru disperato, allontanandosi dalla ragazza.
“ATARU,
SEI UN IDIOTA!”, tuonò furibondo Oropa. “Giuro che se non ti dai da fare, prendo
il tuo posto!”.
Ryoda
lo bloccò prima che balzasse giù in preda al delirio e gli coprì la visuale con
le ali. “Sarà meglio che non veda oltre!", sindacò il professore.
Ataru
udì giungere le sonore proteste di Oropa, privato dello spettacolo della bella
aliena in topless.
“IMBECILLE!”,
gli ringhiò contro il giovane Moroboshi, prima di trovarsi nuovamente addosso il
caldissimo corpo di Lamù, al culmine dell’eccitazione.
“TESORUCCIO!”,
gridò lei con un lungo gemito. “Prendimi subito!Sono tutta tua!”, lo implorò con
occhi dolci mentre gli si avvinghiava addosso cingendolo con gambe e braccia e
strusciandosi ripetutamente contro il basso ventre di lui.
Ataru
si specchiò negli occhi azzurri della ragazza e una fitta attraversò il suo
corpo. Carezzò delicatamente una guancia di Lamù e passò un dito sulle labbra
umide. “Ti resisterò…”, sussurrò dolcemente mentre la baciava sulla guancia.
Lamù
abbracciò fortissimo il suo tesoruccio ed affondò i canini nella spalla destra
del ragazzo, producendosi in un lungo mugolio sommesso mentre il suo corpo
veniva scosso da un tremito; dopodiché, si abbandonò inerme fra le braccia di
Ataru, piombando immediatamente in un pesante sonno.
Il
ragazzo passò una mano fra i suoi capelli, poi cercò le corna e sciolse i nastri
gialli. “Mi hanno salvato un’altra volta e sicuramente mi saranno molto utili in
futuro!”.
La
sua attenzione venne rapita dal viso beato di lei: aveva un leggero sorriso e
giaceva con i capelli sparpagliati sul petto nudo di lui.
Ataru
si portò seduto e tenne la testa di lei in grembo, nel tentativo di garantirle
la posizione più comoda al riposo.
Oropa
e Ryoda scesero dall’albero, ma solo il cacciatore si avvicinò ai due. “E’
davvero… stupenda!”, commentò al cospetto del dolcissimo viso addormentato di
lei.
“Puoi
ben dirlo!”, rispose Ataru, tutto sommato tranquillo.
“Perché
continui a resisterle, nonostante sei considerato l’essere più allupato
dell’universo?”, domandò Oropa.
“Perché
la amo!”, confessò incredibilmente Ataru. “Se oggi avessi approfittato di lei,
l’avrei trattata alla stregua di tutte quelle con cui faccio solo il
cretino!”.
Oropa
indietreggiò di un passo, visibilmente colpito dalla sincerità dell’amico.
“Perché
le hai fatto questo?”, chiese infine Ataru.
“Io
volevo solo…”.
“Quando
la finirai di fare il gradasso?”.
Ataru
lo guardava serio come mai prima d’ora.
“Stai
facendo tutto ciò unicamente per metterti in luce agli occhi di Benten. Non ti
basta elevarti in battaglia, umiliare i suoi amici e lei stessa, snaturare lo
spirito di una competizione a cui lei teneva molto… tu vuoi apparire ai suoi
occhi come un dio! Cosa farai quando sarai lontano dal campo di battaglia,
immerso nel quotidiano? Te lo sei chiesto, Oropa?”.
“Basta
così, Ataru!”, esordì Ryoda avvicinandosi all’amico cacciatore.
“Sono
stato uno sciocco!”, rispose Oropa, stringendo i pugni. “Ho fatto una pazzia,
allontanandomi così da Benten e stando lontano da lei per due mesi… ma l’ho
fatto solo per capire…”.
“Cosa?”,
chiese Ataru, curioso di udire la risposta.
“Non
lo so!”, rispose il cacciatore con un sorriso. “Però mi sono preparato molto per
oggi. Benten voleva una battaglia e io gliela darò fino alla fine, in tutte le
variazioni!”.
“Ben
detto!”, esclamò Ryoda, accennando un lieve applauso.
In
lontananza si udiva il chiassoso vociare dell’esercito in marcia.
“Non
facciamoli attendere oltre!”, esclamò Oropa, scattando rapido con Ryoda al
seguito e lasciando Ataru e Lamù nella giusta intimità.
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Capitolo 20 *** Le voglie di Oyuki ***
sa
LE VOGLIE DI
OYUKI
“Ti
ho detto di liberarmi, dannato nano pelato!”, strillò Benten all’indirizzo di
Sakurambo.
L’anziano
monaco se ne stava placido e beato seduto sopra un sasso ed attendeva che
l’acqua nella teiera, appoggiata sul fuoco di un fornellino da campo,
cominciasse a bollire.
“Quell’arma
alla quale sei legata emana uno spirito che esula dalle mie capacità!”,
sentenziò il vecchio.
“DEVI
SOLO SLEGARMI!”, urlò lei.
“Se
ti ho trovata legata significa che è destino che tu sia legata”.
Poco
distante Shinobu e Shutaro, ancora sdraiati in mezzo all’erba alta, ridevano di
gusto sentendo le ingiurie che Benten inviava all’indirizzo di Sakurambo.
I
capi dei due schieramenti uniti trovarono sulla loro strada Oyuki e il suo
yeti.
Appena
Bi-M-Bo vide la folla, si affrettò a congiungersi ad essa e lasciò al suolo la
ragazza dopo averla scorrazzata per tutta la foresta tenendola in spalla. “Scusi
i modi rudi, mia regina!”, disse poi ansimando.
“Non
vedevo tutta questa urgenza…”, protestò Oyuki.
“Dov’è
il cacciatore?!”, ringhiò il padre di Lamù, avvicinatosi alla coppia.
“Quel
ragazzo possiede pericolosissime armi biologiche e col supporto del professor
Ryoda è in grado di scatenare il finimondo!”, disse allarmato lo yeti.
“Ci
penserò io a sconfiggere quello sbruffone!”, esordì Ryuunosuke. “Il resto del
gruppo catturerà Ryoda!”.
“Se
quei due ci colgono e mettono in atto il loro piano sarà la fine!”, continuò
preoccupato Bi-M-Bo.
“Ci
penso io ad abbrustolirli entrambi!”, minacci Ten, mentre piccole fiamme rosse
scintillavano dalla sua bocca.
La
folla cominciò a mormorare, mentre un alito di vento paralizzò tutti scuotendo
le fronde degli alberi.
“Li
vedo!”, esclamò Oropa in compagnia dell’inseparabile compagno di avventure
mentre scorgeva il gruppo nascosto fra i rami di un albero. “Diamo inizio allo
spettacolo, amico mio?”.
“Certamente!”,
rispose Ryoda. “Scatenerò una tale confusione da permetterti di infilarti in
mezzo a loro e colpire solo i soggetti femminili. Cerca di orientarti anche con
l’udito perché la vista sarà resa difficoltosa dal turbine di foglie”.
Ryoda
si levò altissimo nel cielo ed Oropa tolse di tasca il sacchetto con i piccoli
confetti afrodisiaci.
Kurama,
annoiata, si recò al campo base; mancava poco meno di un’ora al tramonto e per
allora il suo amato compagno avrebbe certamente fatto ritorno.
I
quattro tengu, sollevati dal loro
incarico, si accomodarono sopra un tavolo in legno fumando sigarette e giocando
a carte.
“Un
lavoraccio noioso, il tuo”, commentò la ragazza all’indirizzo di Tzukino.
“Ho
chiesto io di farlo!”. rispose stremata la ragazzina.
“Sei
sicura di sentirti bene?”.
“Non
si preoccupi! Presto potrò riposarmi!”.
Fra
le piante della foresta, piegate da violente raffiche di vento, le foglie
creavano turbini vorticosi; ovunque si udivano grida terrorizzate e schiamazzi
mentre linee rosa, sempre più numerose, congiungevano donne a uomini.
Oropa
balzava di bocca in bocca, depositando il prezioso carico nelle labbra
spalancate delle donne spaventate, mentre uomini non ancora assaliti dal gentil
sesso sparavano all’impazzata pesanti proiettili di gomma.
Il
vento trascinava sempre più numerosi i brandelli delle uniformi maschili e alle
foglie si univano anche indumenti intimi femminili.
Uno
sparuto gruppo di oni tentò di
arginare l’avanzata del cacciatore, ma prima che potessero organizzarsi,
assatanate dee li assalirono, trasformando le loro urla di battaglia in gemiti
di piacere.
Anche
gli dèi superstiti si unirono nella formazione a testuggine per difendersi dagli
assalti delle ragazze, ma queste avanzavano con occhi languidi e la pelle
fremente di desiderio, inarrestabili come un fiume in piena.
Chi
non cadeva vittima delle terribili effusioni veniva abbattuto dal fuoco amico e
in breve tempo, l’intera area venne invasa da una fittissima rete di linee rosa
mentre la temperatura saliva vorticosamente e da ogni dove giungevano mugolii e
sospiri di piacere.
Ryoda
cessò il tornado, constatando che il grosso del lavoro era stato compiuto e i
pochi superstiti erano in balia degli eventi.
Il
padre di Lamù si era buttato al suolo, premendo la faccia di Ryuunosuke a terra,
avendo da tempo intuito le intenzioni del duo.
Anche
Bi-M-Bo si era premurato di proteggere Oyuki, facendole scudo col suo enorme
corpo; quando il vento cessò, tirò un sospiro di sollievo.
Vide
Ryoda scendere al suolo con ampi battiti delle sue enormi ali nere; cercò di
individuare il cacciatore senza riuscirci, finché non sentì la voce della
padrona rivolgersi ad un estraneo alle loro spalle. “Vedo che è venuto a farmi
visita”, commentò Oyuki all’indirizzo di Oropa.
“Vengo
a porvi un dolce omaggio, mia regina!”, disse il ragazzo allungando una mano
aperta verso la gelida aliena.
Oyuki
afferrò il confetto color cioccolato e dopo esserselo portato alla bocca, lo
ingoiò.
“Chissà
verso chi si focalizzerà l’interesse di Oyuki”, si domandò Ryoda, mentre una
densissima aura rosa, molto più calda di tutte le altre, esplose invadendo
l’area circostante.
Oyuki
si inginocchiò al suolo con le mani sul petto; il suo respiro era rapido e il
colorito della pelle, notoriamente pallido, si era fatto vivo di un bel
rosato.
La
ragazza si sciolse i capelli, mentre dalla sua bocca aperta nuvole di vapore si
levavano rapide prima di scomparire; Bi-M-Bo tentò di aiutarla, ma una
fortissima raffica di vento gelido lo scaraventò via.
La
regina di Nettuno si alzò in piedi e si levò la tuta da combattimento, mostrando
ai ragazzi i suoi meravigliosi indumenti intimi di un bianco abbagliante ed
orlati di pizzo.
“Che
meraviglia!”, sospirò incredulo Oropa.
“Puoi
dirlo forte e chiaro!”, esclamò Ryoda.
Oyuki
aprì i suoi grandi occhi, accesi di un rosso vivo.
Il
cielo, carico di nubi, si oscurò e grossi fiocchi di neve cominciarono a cadere
al suolo.
Un’onda
d’urto violentissima si allargò in ogni direzione partendo dal corpo sospeso in
levitazione della ragazza. “Voglio… assaggiare… il sapore… di UOMO!”, esclamò
eccitata.
Un
reticolo di fasci rosa partì da Oyuki, andando ad agganciarsi ai molti uomini
presenti in zona, già occupati.
Improvvisamente,
la regina di Nettuno planò in direzione di Ryoda. “Lei sarà il primo, Ryoda!”,
disse la gelida ragazza.
Il
professore tentò la fuga, ma una grossa palla di ghiaccio lo colpì alla schiena
facendolo rovinare al suolo; Oyuki lo agguantò al suolo e lo strinse in un forte
abbraccio.
Il
corpo della regina di Nettuno era premuto con forza contro il suo e la lingua
della giovane carezzava il collo del partner di Kurama; Ryoda tentò di
liberarsi, ma Oyuki lo spinse contro un tronco, inchiodandolo al legno con dei
bossoli di ghiaccio durissimo.
“Aiutami,
Oropa!”, disse il povero professore all’amico.
Con
un gesto rapido, lo yukata gli venne
strappato dal corpo e la regina di Nettuno poggiò le mani bollenti sul suo petto
nudo. Oyuki si accorse che Ryoda indossava dei pantaloni neri e fece scivolare
le mani lungo il busto per spogliare completamente il giovane, ma Ryoda usò le
sue grandi ali avvolgendosele attorno a sé.
Impossibilitata
a procedere, l’assatanata ragazza diresse l’attenzione verso Oropa, il quale era
giunto in soccorso dell'amico.
“Se
lei non si concederà a me, ucciderò seduta stante il suo amico!”, minacciò Oyuki
all’indirizzo del cacciatore con voce rotta da gemiti.
Bahyo
avanzava nella boscaglia in direzione degli schiamazzi; l’improvvisa nevicata
appena cominciata era sicuramente un cattivo presagio e quelle cinque stringhe
rosa che lo puntavano non lasciavano intendere nulla di buono.
Improvvisamente,
cinque dee lo aggredirono e gli furono addosso come un branco di leonesse sulla
preda, incuranti delle suppliche dello sventurato dio.
Un
grosso proiettile di gomma mandò in frantumi il cono di ghiaccio che minacciava
Ryoda. Oropa gettò al suolo il revolver e scappò via; anche l’amico approfittò
per liberarsi e si allontanò.
Furibonda,
Oyuki lasciò che una bufera di ghiaccio e neve spazzasse l’intera area,
travolgendo tutto e tutti. La regina di Nettuno aggrediva ogni maschio che
incontrava nel tentativo di accoppiarsi, ma molti di quegli uomini erano sfiniti
e l’assatanata aliena non riusciva a concludere nulla.
I
soldati ancora in grado di combattere tentavano di fermarla sparando i grossi
proiettili di gomma, ma Oyuki creò un grosso scudo in ghiaccio che fermò ogni
colpo.
“Quella
è più allupata di Ataru!”, esclamò Oropa.
“Siamo
nei guai!”, affermò Ryoda.
Un
gruppo di dèi si riprese velocemente dalle effusioni e tentò di fermare Oyuki
ghermendola da entrambi i lati e puntando contro di lei grosse lance, ma la
ragazza congelò all’istante i poveretti.
“Questa
è la fine!”, esclamò un oni mentre si
buttava al riparo dietro ad un tronco; un secondo soldato di Uru lo raggiunse
reggendosi il capo con le mani per proteggersi dalla raffica di piccoli dardi
ghiacciati scagliati da Oyuki.
La
regina di Nettuno avanzava levitando in mezzo alla tempesta, cercando un maschio
ancora integro con cui accoppiarsi e sfogare la sua passione repressa.
Il
cacciatore notò che poco distante dal loro rifugio un oni mormorava qualcosa, mentre giaceva
riverso al suolo; senza farsi notare, gli si avvicinò e lo trascinò al
sicuro.
“Aiutatemi…”,
bisbigliò il soldato con un filo di voce e la tuta da battaglia lacerata dai
graffi di qualche fanciulla troppo “accaldata”.
“Sei
al sicuro, ora!”, gli disse Ryoda, tenendosi basso dietro al riparo.
Ad
un tratto, Oropa si mostrò alla regina di Nettuno, la quale si voltò
immediatamente verso di lui. “Ryoda, raggiungi Benten e liberala; è l’unica in
grado di fare qualcosa!”.
“Volo!”,
rispose lui prima di sparire alto nel cielo.
“Sarai
mio, Oropa!”, sibilò Oyuki, portandosi una mano sul petto.
“Vieni
a prendermi!”, intimò il cacciatore alla ragazza.
L’aliena
non se lo fece ripetere e scaraventò il ragazzo contro un albero, ma prima di
riuscire ad inchiodarlo lui si scostò e si allontanò velocissimo protetto dalla
vegetazione.
“Devo
allontanarla da qui!”, pensò Oropa.
Improvvisamente,
un turbine di gelida neve si parò in fronte a lui e Oyuki si materializzò,
colpendolo all’addome con un grosso blocco ghiacciato.
Oropa
cadde al suolo e la ragazza gli si avventò sopra; le caviglie e i polsi del
cacciatore vennero bloccati al suolo da grosse e pesanti blocchi di
ghiaccio.
Oyuki
cominciò a sfiorare il viso del ragazzo con le sue labbra, mentre lui tentava in
tutti i modi di evitare il contatto fra le due bocche.
“Perché
mi rifiuti?”, chiese Oyuki mentre apriva il gilet del cacciatore. “Non ti
piaccio, forse?”.
“Io
amo Benten!”, rispose Oropa.
Per
tutta risposta, lei morsicò il collo del ragazzo, poi cominciò a travolgerlo con
una moltitudine di baci sulle guance, alla ricerca della bocca del ragazzo.
“FERMATI,
OYUKI!”, urlò lui, mentre eludeva in tutti i modi il contatto delle sue labbra
con quelle roventi della ragazza.
“NE
HO BISOGNO!”, strillò lei. “Voglio il calore di un corpo, la tenerezza di un
abbraccio, il piacere del sesso!”.
“Maledette
pillole!”, pensò Oropa.
Il
vento prodotto dall’ascesa di Ryoda spianò l’alta erba; Shinobu e Shutaro si
affrettarono a coprirsi come meglio poterono usando i rimasugli dei loro
indumenti.
“Salute
a voi e felicitazioni!”, disse il professore all’indirizzo dei due, che
apparivano come Tarzan e Jane con quegli stracci tigrati messi come costumi.
“Sei
tu, maledetto corvaccio?”, domandò la dea ancora legata e bendata.
“Ti
libero subito!”, disse Ryoda mentre scioglieva i nodi. “Oropa è in grave
pericolo!”.
Il
professore la slegò del tutto e fece appena in tempo a sfuggire alle sue ire.
“Seguimi!”, disse il giovane già in volo mentre si allontanava verso la foresta
seguito a ruota libera da Benten.
“Seguiamoli
anche noi!”, esclamò il giovane Mendo tenendo per mano Shinobu.
“Una
sciagura si abbatterà presto sulle loro teste”, commentò Sakurambo con le mani
giunte in preghiera.
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Capitolo 21 *** Benten alla riscossa ***
sa
BENTEN ALLA
RISCOSSA
Oyuki
passava la sua calda lingua sul petto nudo di Oropa, gemendo mentre strofinava
il suo corpo sinuoso e candido contro quello del ragazzo; lui tentava in ogni
modo di resistere a quegli stimoli, ma l’idea di abbandonarsi a quella ragazza
che implorava così spietatamente un poco d’amore si faceva sempre più largo nei
suoi pensieri.
Sentì
la mano di lei che tentava di sbottonare i suoi pantaloncini e ricadde
violentemente dalle nuvole nella drammaticità della realtà.
“Ti
prego, Oyuki, fermati!”, disse terrorizzato dal piacere che provava mentre lei
scioglieva un bottone dopo l’altro e le labbra risalivano il collo alla ricerca
della bocca di lui.
Le
mani di Oyuki scivolarono dentro l’indumento intimo di Oropa e cominciò ad
abbassare l’elastico.
“Fermati
subito!”, intimò il soldato di Uru, salvato in precedenza dal cacciatore, mentre
puntava il suo fucile contro la nuca di Oyuki.
Purtroppo
il demone tigrato attese un attimo di troppo e una palla di ghiaccio lo colpì al
volto, tramortendolo.
Oropa
lasciò cadere la testa al suolo, oramai vinto dalla disperazione; Oyuki abbassò
il volto e premette le labbra contro quelle del ragazzo.
“TOGLI…
SUBITO… IL TUO CORPO… DAL MIO RAGAZZO!”, gridò rossa in volto Benten
all’indirizzo dell’amica.
“SALVAMI,
BENTEN!”, urlò Oropa con tutto il fiato che aveva in corpo.
“La
festa è finita!”, sibilò la dea ad Oyuki. “Trovati un altro ragazzo!”.
“Come
vuoi tu!”, ribatté la regina di Nettuno puntando nuovamente verso Ryoda.
Il
professore tentò la fuga, ma finì al suolo a causa dei blocchi di ghiaccio che
bloccavano le sue gambe. Oyuki gli si buttò sopra e senza troppi indugi lo
baciò.
“Aiutami,
per pietà!”, supplicò lui.
“Arrangiati!”,
rispose Benten con le braccia conserte.
“Stronza!”,
pensò il professore mentre la regina di Nettuno ricominciò il suo lavoro di
abbattimento delle difese dell’uomo con carezze e baci.
La
dea si avvicinò ad Oropa, bloccato al suolo dai blocchi di ghiaccio.
“Sono
quasi tentata di approfittare di questa tua forzata immobilità”, proferì la
ragazza in tono divertito.
“Mi
faresti un favore, dopo i servizi che mi ha fatto Oyuki!”, esclamò Oropa.
Dopo
aver frantumato con le mani i blocchi ghiacciati, Benten afferrò Oropa per il
collo e lo strattonò.
“Azzardati
a farmi le corna e giuro che ti castro!”, minacciò lei furibonda.
“Non
ho fatto nulla!”, disse il ragazzo. “Ho resistito! Te lo giuro!”.
“Ti
credo sulla parola!”, concluse la dea con un sorriso.
“Devo
andare a recuperare Obelion!”, disse Oropa fra le braccia dell’amata. “Cerca
Ryuunosuke in mezzo a questo macello!”.
Il
cacciatore riprese a correre uscendo dalla boscaglia ed incontrò Shinobu e
Shutaro. “Io non andrei da quella parte!”, consigliò loro.
I
due si guardarono con aria stupita e decisero di non ascoltarlo, infilandosi in
quel tratto di giungla stranamente innevato e dominato da un’aura sinistra.
Lamù
aprì i suoi occhi azzurri, mentre il suo tesoruccio teneva la carezzava
dolcemente fra i capelli. “Scusami per averti aggredito in quel modo”, si
giustificò la bella aliena.
“Non
è stato poi diverso da molte altre volte!”, si limitò a risponderle Ataru.
“Proprio
come le altre volte mi hai rifiutato!”, aggiunse lei fingendo delusione.
“Non
sarà così per sempre, Lamù…”, sospirò il giovane Moroboshi.
La
ragazza si sollevò e lo fissò intensamente negli occhi; Ataru restò estasiato
davanti ai seni nudi di Lamù e ripensò a quando, poco prima, le sue mani erano
piene di tanta grazia. “No, non sarà così per sempre!”, ripeté con maggiore
convinzione.
L’aliena
si accorse di essere seminuda e si coprì come poté con le braccia, mentre
cercava al suolo brandelli di indumenti con cui coprirsi.
Ataru
notò che la bufera di neve che imperversava poco distante non poteva che essere
opera di Oyuki e appena Lamù trovò di che rivestirsi, si avviarono attraverso la
boscaglia.
“LASCIAMI!”,
gridò disperato Ryoda, mentre Oyuki tirava con forza i suoi pantaloni per
toglierglieli.
Shutaro
si arrestò e li intravide stesi al suolo, intenti in effusioni particolarmente
accese.
Oyuki
abbandonò Ryoda e si lanciò sul nuovo arrivato ma Shinobu, con un gesto rapido,
lo buttò al suolo e cominciò a baciarlo con passione; poi si voltò verso
l’aliena e disse: “Occupato!”.
“Non
sono un bagno pubblico!”, protestò il giovane Mendo.
“Questo
è l’unico modo per salvarti!”, rispose Shinobu.
Oyuki
si voltò nuovamente verso la precedente “vittima”, ma di lui rimanevano al suolo
solo brandelli di vestiti ed alcune penne nere.
“MALEDIZIONE!”,
gridò furibonda la regina di Nettuno.
Benten
trovò Ryuunosuke stesa al suolo, mezza seppellita dalla neve e dall’ingombrante
braccio del padre di Lamù; con forza la trascinò fuori e non appena la ragazza
aprì gli occhi, si allontanò con uno scatto fulmineo. “Cosa diavolo succede?!”,
domandò alla dea con la guardia alta.
“Bell’accoglienza,
la tua!”, rispose sbottando Benten.
“Il
tuo ragazzo se ne va in giro a tirare brutti scherzi!”.
“Non
più, ora che gli ho sottratto questi!”, disse la dea mostrando il sacchetto con
dentro i confetti afrodisiaci.
“Ben
fatto!”, commentò Ryuunosuke. “Avevo proprio voglia di mettere qualcosa sotto i
denti!”.
Detto
ciò, la ragazza terrestre afferrò il sacchetto e ingoiò rapidamente i confetti
sotto lo sguardo preoccupatissimo di Benten, la quale scappò gridando.
Oropa
tornò con in pugno lo spadone e trovò Shinobu e Shutaro al suolo intenti a
pomiciare, mentre Oyuki ansimava pesantemente.
“Stai
male, Oyuki?”, domandò il ragazzo sorreggendola.
“Non
sono riuscita a farmi amare da nessuno”, rispose l’aliena in lacrime.
“La
colpa è solo mia, scusami”, affermò pentito Oropa.
“So
di chiederti molto, ma… vorrei che tu mi abbracciassi forte a te come faresti
con Benten”.
Lui
non ebbe nulla da obiettare e la strinse forte al petto; Oyuki perse i sensi
subito dopo con un sorriso sul volto.
Bi-M-Bo
arrivò correndo e sostituì il ragazzo, prendendosi cura della regina di
Nettuno.
“Ora
tocca a te!”, disse Oropa rivolto ad Obelion. “Scogli tutto questo
ghiaccio!”.
L’enorme
spada diventò incandescente e un secondo dopo la neve si sciolse.
La
colonna d’aria calda, salendo al cielo, spostò le nubi create da Oyuki e il
cacciatore vide che il sole stava oramai tramontando. “Ora è finita”, disse con
soddisfazione.
Ryoda
planò dal suo rifugio a torso nudo e i pantaloni ridotti a brandelli. “Tutto si
è concluso per il meglio, alla fine”, affermò. “Competizione vinta, riconquista
dell’amata, divertimento, esperimenti scientifici… tutto a posto!"
“E
mi sono anche avanzate delle pillole!”, esclamò soddisfatto Oropa cercando i
confetti in tasca.
“Mi
farebbe comodo che tu me ne lasciassi un paio”, confessò Ryoda all’amico.
“Potrebbero servirmi con Kurama!”.
“Ecco
a te, amico mio!”, rispose il cacciatore.
“SCAPPATE!”,
gridò Benten mentre si avvicinava ai due di gran carriera con una grossa stringa
rosa che la collegava ad una figura scura che la rincorreva alle sue spalle.
Lamù
e Ataru arrivarono tranquilli da un’altra direzione; Benten, invece, afferrò
Oropa correndo e lo trascinò via. “RYUUNOSUKE HA INGOIATO TUTTI I
CONFETTI!”.
Tutti
gridarono terrorizzati all’unisono un attimo prima che la fortissima ragazza
assestasse un calcio volante dritto in faccia ad Oropa e si lanciasse su Benten.
“Ti amo, Benten!”, esclamò la ragazza al culmine dell’eccitazione.
“Ryuunosuke,
non fare così!”, intervenne Shinobu. “Le donne sono gentili!”.
Per
tutta risposta, Ryuunosuke si avventò contro di lei e le disse: “Voglio anche
te, Shinobu!”.
Fortunatamente,
i troppi confetti ingoiati prosciugarono tutte le forze della fortissima
ragazza, la quale cadde a terra priva di sensi.
Lentamente
la compagine cominciò ad avviarsi al campo base, mentre anche oni e dèi si rialzarono e si avviarono
nella stessa direzione.
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Capitolo 22 *** Il vincitore della contesa ***
sa
IL VINCITORE
DELLA CONTESA
I
primi che arrivarono rimasero ammutoliti ed incapaci di muoversi: Orochi in
persona li attendeva in tutta la sua imponente presenza.
Quando
Oropa, seguito dai suoi amici e sorretto da Benten arrivò, trovò dèi e demoni
tigrati in ginocchio dinanzi l’enorme serpe.
“LEI
HA VINTO LA COMPETIZIONE! COMPLIMENTI!”, sibilò
Orochi ad Oropa.
Anche
Benten, Lamù e tutti gli altri si inginocchiarono in segno di rispetto; soltanto
il ragazzo rimase in piedi e chiese: “Che significa questa sceneggiata?”.
“Come
osi rivolgerti al nostro dio con tanta arroganza, idiota?”, lo rimproverò
Benten.
Ad
un tratto, Kurama sbucò dalla sommità della testa dell’immenso essere e planò a
terra insieme ai suoi tengu. “Tutto
bene, tesoro?”, chiese preoccupata a Ryoda notando le vesti dell’amato ridotte a
brandelli.
“I
CAPI DEGLI SCHIERAMENTI E IL CACCIATORE FACCIANO UN PASSO AVANTI!”. ordinò la
divinità ai presenti.
Il
padre di Lamù, l’anziano dio comandante del suo schieramento e Oropa si
presentarono al suo cospetto.
“IL
CACCIATORE E’ IL VINCITORE DELLA CONTESA!”, proferì la serpe. “EGLI HA
DIMOSTRATO FORZA, CORAGGIO, VIRTU’ IN BATTAGLIA E DOMINIO SULLE EMOZIONI. SIA
RESO ATTO DI QUANTO E’ AVVENUTO!”.
“Sì,
sommo Orochi!”, risposero in coro i tre.
“Piantala
con questa sceneggiata e mostrati per quello che sei!”, tuonò improvvisamente
Oropa fra lo stupore generale.
“Cosa
diavolo stai cercando di dire?”, chiese Benten.
“IL
DIO CHE VOI TUTTI TEMETE E’ TZUKINO!”, gridò con voce tonante il giovane
spadaccino.
“Non
è possibile!”, bisbigliarono increduli fra loro oni e dèi. “Non può essere quella
ragazzina…”.
Sakurambo
si fece largo fra la folla, reggendo in mano una cassa di antichissimo legno
pregiato; placido e beato, si avvicinò al ragazzo e gliela offrì.
“AVREI
PREFERITO ANDARMENE SENZA CERIMONIE, OROPA”, proseguì Orochi.
“Andartene?!”,
esclamò il ragazzo.
“IL
MIO TEMPO E’ FINITO. QUESTA ERA LA MIA FESTA D’ADDIO E MI HA FATTO MOLTO
PIACERE STARE CON TUTTI VOI. IL MONACO CHE HO PORTATO QUI HA IL SIGILLO PER
LA TERRA DEL
RIPOSO E VOGLIO CHE SIA TU, OROPA, AD APPORLO SULLA MIA FRONTE E GARANTIRMI IN
QUESTO MODO IL RIPOSO CHE TANTO BRAMO”.
Oropa
impugnò Obelion; dallo spadone si aprì una grande bocca e l’occhio
sull’impugnatura fissò il ragazzo. “Accontentaci”, supplicò l’arma. “Il suo
desiderio è anche il mio. Vogliamo solo dimenticare millenni di sofferenze,
rancori, solitudine e tristezza…”.
Sakurambo
depositò ai piedi del ragazzo la cassettina e si allontanò. Oropa si chinò,
l’aprì e ne estrasse il mistico sigillo: una striscia di carta con delle scritte
incomprensibili.
“Perché
proprio io?”, chiese il ragazzo.
“PERCHE’
E’ IL MIO VOLERE! TI CHIEDO DI ESAUDIRE IL MIO DESIDERIO PIU’ GRANDE, OROPA. NON
LASCIARE CHE L’EGOISMO TI IMPEDISCA DI AIUTARMI; NON LASCIARE CHE L’EGOISMO TI
IMPEDISCA DI COMPIERE UN GESTO D’AMORE!”.
Una
mosca cominciò a ronzare attorno ad Oropa, attratta dall’odore sudaticcio che il
ragazzo emanava.
“Togliti
di mezzo!”, disse il giovane al fastidioso insetto, ma questo si poggiò sul suo
viso.
Nel
tentativo di scacciarlo, Oropa si batté col palmo della mano sulla fronte e
quando riaprì gli occhi, notò che vi era un pezzo di carta davanti ai suoi
occhi.
La
folla lo guardava con un’espressione indecifrabile; Benten aveva le mani nei
capelli e persino Orochi aveva gli occhi gialli fissi su di lui.
“Oh,
santo cielo…”, sibilò mentre le forze lo abbandonavano e si sentiva trascinare
lontano.
“Si
è applicato il sigillo da solo!”, furono le ultime parole che udì proferite dal
padre di Lamù, prima che una luce fortissima invadesse ogni cosa.
Oropa
si risvegliò steso su un prato, sotto un cielo limpidissimo; si rialzò senza
fatica, osservando estasiato una prateria sconfinata che si estendeva a perdita
d’occhio, rotta da basse colline e popolata da creature di ogni genere. Grandi
cavalli correvano liberi in branco con le crini sciolte al vento; piccole volpi
rincorrevano lepri, mentre gazzelle leggiadre si spostavano in gruppo compiendo
alti balzi.
Oropa
contemplò quello spettacolo celestiale col cuor leggero, quando un enorme lupo
nero gli si avvicinò lentamente alle spalle e si fece udire con un corposo
ringhio; il ragazzo si voltò lentamente e vide un gruppo di quei possenti
animali che lo fissava con occhi truci mentre si portavano in posizione,
circondandolo.
“Non
ti faranno nulla, se non tenterai azioni sconsiderate”, proferì una voce gentile
proveniente da un raggio di luce.
“L’avevo
intuito!”, rispose Oropa con tono sereno.
Dal
raggio di sole si manifestò un giovane principe, vestito d’oro e seta candida;
il suo bel viso infondeva calore. I lupi gli si fecero vicini e si accomodarono
mansueti ai suoi piedi.
“Benvenuto
nel Tenger, Oropa. Questa terra su cui ti trovi non è altro che la prateria
celeste, terra del riposo eterno”.
“Ne
ho sentito parlare…”.
“Qui
gli spiriti trovano redenzione e pace”, proferì il principe. “Le anime buone che
giungono qui si tramutano in nuvola, lasciando cadere al suolo dispiaceri e
ricordi sotto forma di pioggia; l’erba cresce rigogliosa illuminata dalla mia
madre Amaterasu, in modo che gli animali erbivori abbiano sempre cibo a
sufficienza. Quando la pioggia eccessiva invade la prateria a causa di guerre o
tragedie simili, gli erbivori si moltiplicano a dismisura e i lupi, protettori
della prateria stessa, ristabiliscono il naturale equilibrio!”.
“Sembra
tutto molto poetico…”, sospirò Oropa, provando un grande senso di pace.
“Le
anime, così ripulite delle loro memorie, siano esse felici o tristi, vengono
guidate da uno dei lupi fino alla montagna sacra”, continuò indicando un
altissimo monte alle loro spalle, “lassù, lo spirito del lupo le guida
nuovamente al mondo dei mortali”.
“Ed
io?”, chiese il ragazzo.
“Se
tu lo vorrai, io ti darò la possibilità di cancellare la tue pene e rinascere al
mondo. Avrai una vita normale come ogni altro essere discendente delle creature
mitologiche. Lascerò che sia tu a scegliere, sarà la tua volontà a
guidarti…”.
“TI
HO DETTO DI SVEGLIARTI, IDIOTA!”, urlò Benten mentre con violenti ceffoni su
entrambi i lati del viso tentava di richiamare alla vita l’inanimato corpo del
ragazzo.
“Fermati!”,
disse Lamù, notando che il viso del ragazzo era diventato gonfio e violaceo.
“Non
è giusto…”, sospirò Ataru.
“Siamo
tutti qui, Oropa!”, esclamò Shutaro mentre sollevava le palpebre dell’amico nel
tentativo di cogliervi la vita.
“Ci
deve essere un modo per svegliarlo”, ipotizzò Ryoda, che cercava di rimanere
calmo e riflettere.
“Non
tutto è perduto!”, proferì ad un tratto Obelion. “Il mio spirito è fuso con il
suo e posso tenere il contatto con l’anima del ragazzo. Sento che lui si sta
allontanando sempre più dal mondo dei vivi!”.
“Come
possiamo salvarlo?”, domandò la dea speranzosa.
“Sfruttando
il collegamento che ci lega, io posso creare un varco verso la terra del riposo.
Spalancherò più che posso la mia bocca ed entrandovi sarai spedita da lui. Ma è
un viaggio rischioso e se il collegamento si interrompesse, sarai perduta
nell’eterno nulla che mi divora!”.
“Muoviti,
allora!”, intimò la fiera e battagliera ragazza alla spada.
Obelion
aprì le fauci tanto da trasformarsi in un buco nero orlato di denti.
Benten
fece per entrare, ma Ataru e Shutaro la precedettero e furono inghiottiti
dall’enorme buco.
Un
grosso lupo soffiò sui volti dei due intrepidi ragazzi, richiamando la loro
attenzione sulla vastità della prateria dove erano appena sbucati.
Poco
distante, un branco di quelle belve era accomodato a protezione di un principe
vestito d’oro e seta con Oropa che li guardava stupito e incredulo.
“Lo
abbiamo trovato!”, esclamarono i due ragazzi tenendosi le mani e saltellando.
“Torna indietro, Oropa!”.
Il
lupo nero si parò davanti a loro ringhiando. “A cuccia… da bravo, bel cagnone…”,
sussurrarono all’indirizzo dell’animale.
Il
corpo di Oropa cominciò lentamente a salire in cielo, leggero come una nuvola.
“Addio, amici miei. Finalmente ho trovato la via giusta per…”.
“Non
ci provare nemmeno!”, gli intimò Ataru.
“Mi
dispiace tanto, ma sento che questo è l’unico modo perché io possa
finalmente…”.
“Io
li invidio!”, ringhiò il giovane Moroboshi, “li invidio perché combattono un destino
avverso pur di stare insieme!”.
L’espressione
serena di Oropa svanì, lasciando posto ad una smorfia di stupore. “Come conosci
quelle parole?”, domandò all’amico, mentre il vapore veniva richiamato indietro
e il suo corpo andava ricostruendosi.
“Io
e Lamù ti abbiamo sentito!”, sbottò Ataru seccato, mentre il giovane Mendo
arginava le escandescenze sempre maggiori del grosso lupo.
“Non
ha più importanza, ormai!”, sentenziò Oropa.
“Invece
sì, stupido! Puoi rinascere cento o mille volte, ma finché scapperai sempre non
cambierà nulla! Sei solo un codardo, un egoista che non accetta e non sa
prendere decisioni; ti limiti a fuggire in continuazione alla ricerca di
qualcosa che non avrai mai, perché non puoi scappare da te stesso, da quello che
sei…”.
“ZITTO!”,
gridò Oropa furibondo, mentre nello stesso istante il lupo azzannò Shutaro ad un
braccio.
“Cosa
ne è del tuo amore? Se è il destino avverso che temi, non sei in grado di
accettarlo e combatterlo per stare al fianco di Benten?”, continuò il giovane
Moroboshi. “Lei è là fuori che si dispera; nessuno di noi sarebbe in grado di
farla piangere come fai tu. Un giorno mi ha confessato che spesso il tuo sguardo
è perso e malinconico… lei crede che ti manchino le persone care che porti nei
tuoi ricordi e che sai non rivedrai mai più, anche se sono ricordi che non ti
appartengono…”.
“Benten…
sa questo?”, chiese con un filo di voce Oropa.
“Ascoltandola
abbiamo capito tutti che ti senti solo e perso, ma la colpa è solo tua perché
non parli non dai a nessuno la possibilità di ascoltarti…”.
“Nessuno
di noi è solo”, disse Shutaro, liberatosi dalle grinfie del lupo, che nel
frattempo si era avvicinato ad Oropa. “Non vogliamo più vederti recitare una
parte, amico. Vogliamo che Oropa ci mostri chi è, cosa sogna, cosa vuole fare
nella vita in questo viaggio che condivide con noi…”.
Oropa
avanzò a passi lenti con le mani sul volto bagnate dalle lacrime. “Credete
davvero… che io possa essere migliore… della parte che recito?”, domandò
singhiozzando.
“Torna
indietro con noi e lo scoprirai!”, risposero i due in coro.
“Va
bene!”, affermò il ragazzo biondo buttandosi addosso ai suoi amici. “Perdonatemi
una volta di più!”.
“Non
è che avresti ancora quei confetti?”, domandarono i due al cacciatore con occhi
famelici. “Se tu le donassi a noi, ti perdoneremo sicuramente e seduta
stante!”.
“Ne
ho ancora qualcuno nascosto in una tasca del gilet!”.
Il
silenzio scese sulla prateria e il grosso lupo nero roteò i grandi occhi gialli
sollevandoli al cielo.
“Ora…
come facciamo a tornare indietro?”, si chiese Ataru.
“Hai
molto da imparare dai tuoi amici, Oropa”, esclamò il principe prima di alzare un
braccio e accecare i tre ragazzi con un bagliore, mentre acuti ululati
accompagnavano il loro ritorno.
Lo
spadone risputò Ataru e Shutaro; i due si avventarono sul corpo ancora esanime
di Oropa, frugando in ogni tasca, finché Ataru non ne tolse una piccola sacca di
stoffa legata da uno spago.
“Eccole
qui!”, sussurrò all’amico. “Faremo a metà!”.
“Perfetto!”,
rispose bisbigliando Shutaro, mentre l’altro rovesciava sul palmo le quattro
palline rimaste.
“CHE
DIAVOLO COMBINATE, IDIOTI?!”, sbraitò Benten contro i due ragazzi.
“Lasciali
fare…”, disse Oropa rialzandosi fra lo stupore e la felicità generale.
Il
giovane sollevò il pesante spadone dal suolo e sussurrò: “Ancora una volta, ti
devo tutto”.
“Devi
ringraziare i tuoi amici”, rispose l’arma.
“Oropa…
ti senti davvero bene?”, chiese timidamente Benten mentre si avvicinava a
lui.
“Ora
sì… mi sento bene!”, rispose il ragazzo.
Ryoda tirò leggermente il vestito di Kurama e
le fece un cenno con la testa; i due, seguiti a ruota dai tengu, si allontanarono senza dire
nulla.
“ORA
LO FARAI?”, domandò Orochi ad Oropa.
“Lo
farò!”, rispose lui.
“AVEVO
CHIESTO A SAKURAMBO DI PREPARARE DUE SIGILLI, MA UNO E’ ANDATO SPRECATO. OBELION
AVEVA ESPRESSO IL DESIDERIO DI ACCOMPAGNARMI IN QUESTO VIAGGIO PER POTERCI
NUOVAMENTE RIUNIRE COME UN UNICO SPIRITO. SE TU NON AVESSI VISTO CON I TUOI
OCCHI LA TERRA
DEL RIPOSO, NON AVRESTI MAI CAPITO LA BENEVOLENZA DEL GESTO CHE TI
CHIEDO DI COMPIERE. PURTROPPO, OBELION DOVRA’ ASPETTARE CHE IL BONZO PREPARI UN
NUOVO SIGILLO E QUESTO RICHIEDE TEMPO…”.
“Una
soluzione ci sarebbe!”, sibilò l’arma. “Il sigillo non esaurisce all’istante il
suo potere, una volta applicato sulla fronte”.
“HO
CAPITO!”, proferì la serpe. “SE IL SIGILLO TI VENISSE APPOSTO MENTRE VIENI
CONFICCATA NELLA MIA FRONTE, ENTRAMBI SAREMMO ACCONTENTATI”.
“Mi
rifiuto di essere usata per uccidere… ma io sono l’arma più affilata che abbia
mai visto la luce”, rispose lo spadone prima di iniziare a narrare la sua
storia.
“C’è
sempre da impazzire in questa storia…”, borbottò Oropa guardando il sigillo che
aveva impugnato.
“Ascolta:
nell’epoca in cui vagavo per le lande come un gigantesco varano, il rancore che
mi spingeva faceva di me un mostro assetato di vendetta… assaltavo villaggi e
bruciavo ogni cosa… un uomo, un piccolo uomo mi uccise”, esordì Obelion. “Dove
altri impavidi guerrieri, forzuti e robusti, perirono, lui riuscì a uccidermi
avvelenandomi dopo averlo ingoiato. Gli abitanti del villaggio dell’uomo
bruciarono le mie spoglie e da un osso forgiarono quest’arma. Il rancore mi
teneva ancorato alla vita terrena ed io decisi di possedere lo spadone,
impedendo così a coloro che hanno festeggiato la mia morte di usare parte del
mio corpo per uccidere; nei secoli mi hanno venerato come un dio e passato da
guerriero in guerriero come una reliquia, ma il mio rancore consumava lo spirito
di quelle persone, portandole alla follia… ognuno di loro tentava di usarmi
nutrendomi di odio e rabbia; io alimentavo di rimando queste sensazioni per
condurli alla follia e mi cibavo di loro, distruggendoli dall’interno come
avevano fatto con me. Oropa, avrei liberato il mio potere in un’unica occasione
perché ho fatto sempre loro una domanda… anche davanti ad Orochi, impugnato dal
più forte degli dèi che mi chiese di aiutarlo ad uccidere quello che secondo lui
era il mostro causa di ogni male, io gli chiesi che cosa spingesse un uomo a
sacrificare la vita. Lui mi rispose che era l’onore ed io lo abbandonai alla
morte. Ora ti chiedo, Oropa… per cosa saresti disposto a morire?”.
Dopo
aver ascoltato la storia, tutti i presenti piansero commossi. Benten, Lamù,
Oyuki, Ataru, Shutaro, Shinobu, Ryuunosuke… tutti attendevano con un groppo in
gola la risposta del povero ragazzo, chiamato ad una prova davvero
difficile.
“Io
darei la mia vita…”, Oropa si fermò un istante, inspirò profondamente e
concluse: “… per salvare quella degli altri!”.
Proferito
ciò, appoggiò il sigillo sull’imponente arma che brillò affilatissima. “La
stessa cosa che disse quell’uomo…”, disse lo spadone.
Obelion
affondò pesantissimo nel cranio di Orochi; un istante dopo, un’enorme nube nera
si levò in cielo… al suolo rimase una spessa coltre di cenere che ricopriva il
corpo di Oropa e quello della povera Tzukino, esanime. Il ragazzo la sollevò da
terra e si incamminò verso i suoi amici.
Improvvisamente,
Tzukino spalancò gli occhi e disse ad Oropa sorridendo: “Mi hai salvato…
grazie!”.
Il
ragazzo fissò terrorizzato la giovinetta e la lasciò cadere al suolo; con un
grido scappò a gambe levate fra le braccia di Benten, tremando come una
foglia.
“Cosa
ti prende, ora?”, borbottò la dea incapace di comprendere il comportamento
dell’amato.
“Dovrebbe
essere morta!”, disse lui.
“Perché
mai?”.
“Non
ti ricordi ciò che è successo sul pianeta degli ainu?”, le chiese Oropa ancora timoroso.
“Quando Lamù si è trasformata in quell’enorme drago, hai detto che se l’avesse
assorbita, l’avremmo perduta per sempre!”.
“Infatti
è vero!”, rispose Benten. “Se il drago avesse assorbito Lamù, l’unico modo di
sconfiggerlo sarebbe stato quello di confinarlo nella terra del riposo. A quel
punto Lamù avrebbe perso ogni potere, perciò avremmo perso per sempre
la Lamù che
tutti conosciamo!”.
Ora
che la situazione era finalmente tornata alla normalità, gli oni e gli dèi se ne andarono e sul
pianetino, mentre calava la notte, rimasero in cinque: Ataru, Lamù, Oropa,
Benten e Tzukino.
“Benten,
ho una richiesta da farti”, disse la giovinetta alla compagna di Oropa. “Quando
eri piccola hai sempre desiderato una sorellina e spesso giungevano ad Orochi
tue richieste in merito. Che ne diresti se ora…”.
“Secondo
me, questo povero pianetino abbandonato ha più bisogno di una sorellina di me!”,
sbottò la ragazza.
“Oropa,
ti andrebbe di vivere con me come fratello e sorella? Ti laverei la schiena ogni
sera, facendo il bagno insieme, cucinerei per te e laverei i tuoi indumenti… e
la notte, potremmo dormire assieme…”.
“Basta
così!”, ringhiò Benten palesemente inviperita. “Ti porto a casa con me,
sorellina!”.
“Ha
funzionato…”, sussurrò Tzukino al ragazzo mentre la dea la trascinava a forza
nell’astronave.
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Capitolo 23 *** Un regalo per Oropa ***
sa
UN REGALO PER
OROPA
Dall’ufo
della dea della fortuna, che si allontanava dall’orbita del pianeta, Oropa
scrutava l’infinità del cosmo. La ragazzina era chiusa in bagno e Benten teneva
ben saldi i comandi.
“Non
mi ha nemmeno salutato…”, disse il giovane all’amata.
“Intendi
Ryoda?”, chiese lei.
“Proprio
lui! Avrei voluto almeno ringraziarlo…”.
“Vedrai
che potrai farlo molto presto; probabilmente oggi se l’è filata per stare da
solo con Kurama!”.
“Mi
fischiano le orecchie!”, disse Ryoda mentre si trovava immerso in una vasca
piena d’acqua calda insieme a Kurama.
“Non
hai neppure salutato quel ragazzo…”, gli sussurrò lei all’orecchio, sfiorando
con le labbra il collo del compagno.
“Lasciamo
tempo al tempo…”, rispose il professore, abbracciando l’amata ed immergendosi
con lei in effusioni particolarmente accese.
“Cosa
farai ora?”, chiese Benten ad Oropa, lasciando i comandi impostati sulla rotta
automatica ed avvicinandosi a lui.
“Seppellirò
lo spadone e comincerò davvero la mia storia contando solo sulle mie forze!”,
disse lui sorridendo.
“Molto
bene!”, esclamò lei con un ghigno; poi si premette con forza contro l’amato,
schiacciandolo contro la grande vetrata dell’ufo e baciandolo con passione.
Un
suono acuto richiamò l’attenzione dei due all’esterno; l’ufo di Lamù sfilò
vicinissimo e dall’oblò si vedevano le facce degli occupanti che ridacchiavano
salutando.
Benten
premette un pulsante e il vetro si scurì, impedendo la visione del proseguo.
“Portami
sulla terra…”, le disse Oropa. “… voglio lavorare, studiare, costruirmi un
futuro…”.
“Ed
io?”, chiese la dea fissando con occhi dolcissimi l’amato.
“Benten,
vuoi essere la mia fidanzata?”, chiese candidamente lui. “Lasciamo che le cose
evolvano naturalmente…”.
Benten
arrossì in viso quasi commossa e annuì senza esitare.
Oropa,
a quel punto, prese il comunicatore e chiamò Oyuki, la quale rispose
immediatamente apparendo sullo schermo. “Mi chiedevo se fosse ancora valida la
sua proposta di diventare tuo consorte…”.
Benten
chiuse la comunicazione e guardò con aria di sfida il ragazzo. “Bahyo sarebbe
molto felice di sapere che mi hai abbandonato in favore di Oyuki…”, minacciò
lei.
“Intendi
lo stesso Bahyo che abbiamo lasciato su quel pianetino insieme alle cinque dee?
A quanto pare, nessuno li ha ancora recuperati…”.
“Qualcun
altro si trova sempre!”, proseguì la ragazza strizzando fra le dita il naso di
lui.
“Ti
amo da impazzire…”, sussurrò lui all’orecchio di lei.
“Anch’io
ti amo!”, esclamò Benten.
“Siete
tenerissimi!”, esclamò Tzukino appena uscita dal bagno, interrompendo il
momento.
“Andiamo
in camera mia, visto che la mia sorellina
è alquanto invadente!”, disse Benten.
“Davvero?!”,
chiese Oropa incredulo.
“Sì,
ma è ancora presto per fare l’amore, perciò… rassegnati!”, sibilò lei
nell’orecchio di lui.
Benten
prese per mano Tzukino e la condusse nella sua camera; dopodiché, insieme ad
Oropa, arrivò sulla soglia della sua. “Stavo scherzando!”, affermò la ragazza
dopo aver chiuso la porta e trascinando il ragazzo nel suo letto.
“Io
e Benten siamo fidanzati!”, esclamò Oropa prima che la sua amata si togliesse
gli stivali in pelle rossa e si affrettasse ad entrare sotto le coperte.
Oropa
e Shutaro uscirono dalla palestra con le pesanti sacche piene di armature da kendo puzzolenti; ad accoglierli una
brezza fredda ed il tramonto del sole.
“Abbiamo
ottenuto una facile vittoria, ma il sensei ha detto che il tuo stile è
peggiorato parecchio!”, disse Shutaro all’amico.
“Me
ne sono accorto!”, rispose Oropa un po’ stizzito.
“Ora
ti toccherà lavare le armature come punizione!”, ridacchiò il giovane Mendo
mentre i due si avviavano verso l’auto di servizio della famiglia Mendo, con
l’autista che aspettava fumando una sigaretta.
“Non
fa nulla!”, disse Oropa. “Sarà un buon esercizio!”.
“Ne
hai bisogno, sei ancora deboluccio!”, lo bollò Shutaro mentre i due salivano in
auto. “Quando l’avversario ti ha colpito col fendente e tu l’hai parato in
ritardo, per poco non sfondava la guardia e ti buttava a terra!”.
“Vedrò
di allenarmi di più!”.
I
due rimasero in silenzio finché l’auto non li lasciò davanti all’enorme cancello
della tenuta Mendo.
Mentre
entravano Oropa ringraziò l’amico dell’ospitalità con un profondo inchino.
“Grazie mille di permettermi di abitare in una delle casette della tua
tenuta…”.
“Ti
ho ripetuto mille volte che è il compenso per il lavoro che svolgi!”, lo bollò
l’amico.
“A
domani!”, disse Oropa incamminandosi per un sentiero che si allungava
nell’erba.
“A
domani!”, rispose Shutaro.
Dopo
aver percorso il sentiero, Oropa entrò nella sua casetta in legno arredata con
gusto e con ogni servizio; dopo aver posato la sacca con l’attrezzatura, sullo
schermo davanti al divano apparve Benten. “Ciao, amore!”, lo chiamò la
ragazza.
“Ciao,
tesoro!”, rispose il giovane all’amata.
“Tutto
bene oggi?”.
“Benissimo!
Io e Shutaro abbiamo vinto il torneo di kendo!”.
“Bene!”,
disse lei con un sorriso. “Ora ascoltami: domattina Lamù passerà a caricarvi
tutti e vi porterà sul pianeta vacanza Felicitas I! Ci vedremo lì… ma fingi di
essere stupito; se Lamù scopre che ti ho detto tutto, si arrabbierà con
me!”.
Oropa
annuì felice e la comunicazione si chiuse. Uscì di corsa di casa per andare ad
avvertire Shutaro; improvvisamente si bloccò, raccolse una pietra e la lanciò
più avanti… una rete di metallo cadde dal cielo nel punto in cui il sasso aveva
toccato il suolo ed una mina esplose. “I soliti scherzetti di Ryoko…”, pensò il
ragazzo.
“Shutaro,
chiama Ataru e digli che domani è il giorno che attendevamo. Se volete ulteriori
dettagli ci vediamo al solito posto fra mezz’ora!”, disse Oropa al citofono
dell’amico.
Il
solito posto era un ristorante dove Oropa lavorava come aiutante del cuoco e
cameriere.
Shutaro
e Ataru entrarono e si accomodarono ad un tavolino; Oropa, con indosso grembiule
e cappello, andò a prendere il loro ordine.
“Buonasera,
signori! Cosa desiderate?”, domandò cortesemente.
“Dunque,
vorremmo…”, cominciò Ataru, controllando che nessuno li stesse ascoltando;
Shutaro guardò a destra e a sinistra e con un cenno lasciò intendere il via
libera.
“Signori!”,
esclamò Oropa chinandosi vicino alle teste dei due. “Ho ricevuto conferma che
domani verremo prelevati e trasportati sul pianeta Felicitas I per una giornata
di sole e mare. Stando alle mie informazioni, ci saranno molti ospiti, quindi
prepariamoci al meglio e arrivederci a domani!”.
“Due
scodelle di ramen fumanti e due
limonate ghiacciate!”, disse ad alta voce il giovane Mendo.
Oropa
annotò l’ordinazione e si affrettò a servire gli amici.
A
notte fonda rientrò nella sua dimora, guardò i pesi da allenamento che
accumulavano polvere abbandonati in un angolo e disse sorridendo: “Voi
aspetterete ancora!”.
Accese
il comunicatore e sullo schermo comparve l'’interno della navicella di Benten;
Tzukino arrivò di corsa e apparve sul monitor. “Ciao, Oropa!”, esclamò felice la
ragazzina.
“Tzukino,
che bello vederti!”, disse lui. “Sei sempre più carina!”.
“Ti
stai preparando per domani?”, domandò Oropa notando il costume da bagno
indossato dalla giovinetta.
“Certo!”,
rispose lei arrossendo. “Però non ho certo il corpo della tua fidanzata! Mi va
tutto largo!”.
La
dea comparve in video in tutto il suo splendore: indossava un due pezzi di
colore rosso e teneva i capelli sciolti sule spalle. “Come ti sembra questo,
tesoro?”, domandò all’amato mentre assumeva pose da indossatrice.
Oropa
sentì una vampa di caldo salirgli dall’addome fino alla punta dei capelli biondo
cenere e i suoi occhi brillarono. “Perfetto!”, esclamò.
“Allora
a domani, amore mio!”, disse lei prendendo per mano la ragazzina e trascinandola
via a forza.
“A
domani, cara!”, rispose lui chiudendo la comunicazione.
Guardò
nuovamente i pesi, ma il suo interesse venne calamitato dallo scatolone aperto
che stava a fianco degli attrezzi ginnici. Quello scatolone era arrivato due
giorni dopo la grande battaglia a casa di Ataru. Quando l’aprì il ragazzo rimase
di sasso per la sorpresa: un foglietto bianco sormontava una catasta di libri e
vi era scritto: La prima cosa che
impariamo dalla lettura è come stare soli!.
Oropa
pensò che gliel’avesse mandato Ryoda.
Aveva
già letto parecchi libri che parlavano di battaglie, strategie e guerre
contenuti nello scatolone e aveva scoperto che leggere gli piaceva
parecchio.
Estrasse
un tomo particolarmente voluminoso e l’aprì: saltò l’introduzione e lesse le
prime righe, accomodandosi in poltrona e consumando gli avanzi che aveva portato
a casa dal ristorante.
“Canta,
o dea, l’ira di Achille figlio di Peleo,
rovinosa,
che mali infiniti provocò agli Achei
e
molte anime forti di eroi sprofondò nell’Ade…”.
“Sembra
interessante…”, esclamò Oropa prima di immergersi nella lettura.
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Capitolo 24 *** In vacanza! ***
sa
IN
VACANZA!
L’indomani
mattina la sveglia lo chiamò nuovamente alla realtà, si alzò e preparò con cura
la sacca. “Telo da mare, giacchetta antivento, costume di ricambio, acqua, crema
solare, fucile di precisione a gas compresso… non manca nulla!”, esclamò.
Aprì
un cassetto e si infilò in tasca una piccola bobina di filo di nylon, resistente
e invisibile. “Tu sarai indispensabile!”, disse mentre richiudeva l’uscio.
Davanti
al cancello dei Mendo, Ataru e Shutaro lo attendevano; faceva uno strano effetto
vedere in pieno inverno tre ragazzi con corti bermuda da mare e camicie hawaiane
e fu anche la prima osservazione che Lamù fece ai tre quando li recuperò a bordo
dell’ufo. “Se non sapevate nulla, come mai eravate pronti ad attendermi vestiti
di tutto punto?”, domandò la bella aliena.
“Sono
informazioni strettamente riservate!”, intimò Oropa.
“Da
quando tu e il mio tesoruccio siete stati assunti da Shutaro come suoi più
personali consiglieri avete sempre quest’aria di mistero. Non la sopporto!”,
borbottò Lamù.
Shutaro,
dopo i fatti accaduti sul pianeta Silva, aveva avuto l’idea di arruolare i due
fra le fila del suo esercito… averli al suo servizio era per lui un grande onore
e i risultati non si fecero attendere: loro tre uniti avevano spazzato via ogni
invasione di Tobimaro, avevano rinvigorito i soldati con nuove tecniche di
guerriglia e sbaragliato la concorrenza in ogni campo, aumentando ulteriormente
i possedimenti della famiglia Mendo.
“CIAO,
OROPA!”, gridarono delle voci all’interno della navicella.
Il
ragazzo si voltò e dentro la sala principale notò che vi erano già i loro amici:
Ryuunosuke, Shinobu, Ten, Ran insieme a Rei e Sakura con Tsubame.
Il
nutrito gruppo uscì dall’ascensore ritrovandosi sulla sabbia bianchissima: il
pianetino era già popolato da gruppi di giovani, i chioschi erano aperti e la
musica veniva diffusa nell’aria.
“Io
vado a mettermi il costume!”, esclamò Ryuunosuke correndo in direzione delle
cabine.
“Ne
metterà uno da uomo o uno da donna?”, si domandò Ataru.
“Lei
è già arrivata?”, chiese Oropa a Lamù.
“Chi?”,
domandò lei mentre camminava nella sabbia a braccetto col suo tesoruccio alla
ricerca di un posto dove mettere gli ombrelloni.
“Benten!”,
sbottò lui.
“Come
lo sai che oggi sarebbe venuta Benten?”, ringhiò la bella aliena mostrando i
canini. “Scommetto che ti ha detto tutto!”.
“Ben
arrivato, tesoro!”.
Oropa
si voltò di scatto e vide l’amata che avanzava nella loro direzione insieme a
Tzukino, Oyuki, Ryoda e Kurama; con quest’ultima c’erano anche un paio di tengu e il loro decano.
Il
ragazzo si affrettò a raggiungerla per poi stringerla fra le sue braccia e
baciarla appassionatamente.
Una
volta che tutto il gruppo si fu riunito, Lamù notò che Kurama, vestita con un
sobrio costume da bagno intero di colore nero, aveva la pancia stranamente
gonfia. “Ti vedo un po’ ingrassata!”, fece notare la bella oni. “Hai mangiato troppo in questi
cinque mesi?”.
“Non
è affatto come credi tu!”, rispose offesa la principessa dei tengu prima di avvicinarsi all’amato e
stringergli con premura il braccio.
“Io
e Kurama abbiamo un importante annuncio da farvi”, esclamò Ryoda. “Noi…”.
“La
principessa Kurama aspetta un bambino!”, annunciò improvvisamente il decano dei
tengu.
Mentre
tutte le ragazze si congratulavano con Kurama per il lieto evento, Ataru e
Shutaro si avventarono inferociti contro Ryoda, ma furono miseramente sbattuti
sulla sabbia travolti dal ventaglio a forma di foglia della ragazza. “Tenete giù
le mani dal padre di mio figlio!”, minacciò lei.
“Congratulazioni,
paparino!”, disse Oropa all’amico con
tono scherzoso, mentre Ataru e il giovane Mendo furono aiutati da Lamù e Shinobu
a rialzarsi.
“Tutto
merito di quei confetti portentosi!”, ammise il professore all’orecchio di
Oropa.
Una
volta che la situazione ritornò alla normalità, tutti sistemarono le proprie
cose in modo da formare un unico, grande gruppo di ombrelloni.
Oropa,
Ryoda, Ataru e Shutaro si fecero un attimo in disparte, lasciando sole le
rispettive compagne, intente a distendere i teli da mare ed aprire le sdraio
noleggiate.
“I
bersagli sono presenti!”, sussurrò Ataru.
“Io
ho portato il necessario, ho bisogno solo del cupido…”, aggiunse Oropa.
“Eccolo!”,
disse Shutaro allungando un pugno chiuso sopra il palmo dell’amico; vi depositò
qualcosa e ritirò il braccio.
I
quattro tornarono nel gruppo e si distesero presso le rispettive compagne,
attendendo il momento giusto di mettere in atto il loro piano.
Tzukino
e Ten giocavano sul bagnasciuga: il cuginetto di Lamù costruiva una roccaforte
di sabbia, mentre la ragazzina cercava conchiglie per creare una collana. Ran e
Rei si erano allontanati nella boscaglia di palme alla ricerca di intimità; la
ragazza dai capelli viola aveva portato un grosso sacco di takoyaki per assicurarsi le attenzioni
del famelico oni. Shutaro e Shinobu
passeggiavano lungo la spiaggia tenendosi per mano; il sorriso di lei era un
chiaro segno che le cose fra i due andavano a gonfie vele. Lamù spalmava la
crema solare sul corpo del suo tesoruccio con movimenti delicati, attirando
l’attenzione di ogni passante. Ryuunosuke sfoggiava con orgoglio femminile un
meraviglioso bikini color verde smeraldo che esaltava le sue forme. Ryoda e
Kurama stavano sdraiati su un grande telo da mare sotto l’ombrellone e
discutevano serenamente su come affrontare al meglio la loro prossima vita di
genitori. Oropa e Benten chiacchieravano serenamente, parlando delle loro
giornate e di come impiegassero il tempo quando non stavano insieme.
Il
ragazzo mostrò all’amata la carta d’identità rilasciatagli da pochi giorni.
“Non
sono uscito bene in questa foto…”, borbottò lui.
“Non
è vero, sei carinissimo… e questo vuol dire che ora hai anche un cognome!”,
esclamò lei cercandolo su quel documento. La sua faccia si fece seria dopo
averlo trovato. “Ti chiami Kitsune Oropa?”, domandò la dea sbigottita.
“Sì,
esatto!”, rispose lui. “L’ho scelto perché mi sento come una volpe che condivide
l’habitat in cui vive con animali molto più forti e feroci di lei, sopravvivendo
grazie all’astuzia!”.
Il
tempo passava lento e mentre le ragazze godevano dei caldi raggi del sole, i
ragazzi si guardavano attorno.
Oropa
si avvicinò all’amico e gli disse: “Volevo ringraziarti per i libri che mi hai
inviato, mi piacciono molto!”.
“Sono
contento di ciò!”, rispose Ryoda. “Come vanno i tuoi studi?”.
“A
parte qualche difficoltà in matematica, i miei voti sono tutti sopra la
sufficienza alla scuola serale che frequento per ottenere il diploma!”, rispose
sincero il ragazzo.
“Senti,
ho mostrato i filmati del giorno della battaglia alla mia amica che ci ha
fornito le armi di supporto e mi ha detto che un giorno vorrebbe parlarti di
persona perché dimostri ottime capacità”.
“Molto
del merito di quel giorno va a te, ad Obelion e Orochi… io ho fatto ben
poco!”.
“Vedo
che impari alla svelta!”, commentò Ryoda sorridendo all’amico. “Bisogna sempre
celare le reali capacità in modo che il nemico non sappia mai con che cosa avrà
a che fare!”.
“Guardate,
c’è Tzukino!”, gridò un ragazzino, correndo in direzione della giovinetta.
Un
gruppetto misto si avvicinò a lei salutandola; Oropa riconobbe alcuni dei
ragazzini della volta precedente e quella visione lo commosse. Si alzò e si
avvicinò alla ragazzina, la quale gli chiese il permesso di allontanarsi per
giocare con loro.
“Permesso
accordato!”, disse lui.
Mentre
Tzukino si allontanava per giocare con i nuovi arrivati, Shutaro tornò dalla
passeggiata e aiutò l’amata Shinobu ad accomodarsi sulla sdraio; poi passò in
rassegna gli sguardi dei compagni: era il segnale che il bersaglio si trovava in
posizione.
“Vado
a fare una passeggiata!”, disse Oropa alzandosi.
“Ti
accompagno!”, aggiunse Ryoda baciando Kurama sulla guancia.
“Vengo
anch’io!”, esclamò Ataru.
“Posso
andare con loro?”, chiese il giovane Mendo a Shinobu.
“Ma
certo!”, acconsentì lei.
Oropa
si mise il fucile da cecchino, camuffato dentro uno zainetto a tracolla e i
quattro si allontanarono.
“Tutto
ciò è sospetto!”, disse Oyuki.
“Molto
sospetto!”, commentò Lamù.
“Avete
ragione!”, esclamò Benten.
“Le
solite tre galline…”, borbottò Kurama prima di schiacciare un pisolino.
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Capitolo 25 *** Visite indesiderate ***
sa
VISITE
INDESIDERATE
Appena
furono abbastanza lontani, i quattro presero a correre fra le palme. “Sono su
quegli scogli laggiù!”, disse Shutaro.
“Allora
dovremo procedere oltre, superando il punto di una cinquantina di metri e
mantenendoci nascosti fra le palme”, continuò Ryoda. “Fra le rocce c’è
un’apertura che ci consentirà di inquadrare il bersaglio agevolmente”.
“Esatto!”,
esclamò Ataru. “Io mi avvicinerò per poter riprendere tutto!”.
“Perfetto!”,
affermò Oropa, liberando dal suo involucro il fucile di precisione.
Ataru
si staccò dal gruppo e si avvicinò furtivo alle rocce, scalandone alcune e
portandosi in posizione, raggiunta la quale fece un gesto con la mano agli
amici.
Gli
altri tre continuarono ancora la corsa, prima di trovarsi nella postazione
designata: una duna di sabbia abbastanza alta da permettere la visione della
coppia, che si credeva al sicuro nell’intimità fornitagli dalla corona di rocce
circostante.
Oropa
guardò nel mirino telescopico e annunciò: “Distanza quarantasette metri, vento
di tre chilometri orari da nord ovest, Sakura e Tsubame sono vicini e si
accingono a passare bei momenti!”, spostò l’ottica su Ataru. “Il nostro
cameraman ha già cominciato le riprese!”.
Ryoda
aprì una grande ala per coprire dal sole il ragazzo steso col fucile puntato,
Shutaro tolse di tasca due piccoli binocoli; uno lo tenne per sé ed uno lo passò
al professore.
“Questo
fucile è precisissimo!”, spiegò Oropa. “Me ne servo quando gioco alla guerra con
Benten e siccome non ho più la forza di Obelion, ho dovuto ripiegare su tattiche
a distanza”.
Oropa
infilò nella canna la pallina marrone battezzata cupido e chiuse il caricatore; agganciò
una bomboletta di gas al calcio dell’arma e la imbracciò, osservando nel mirino
la bella bocca della fascinosa Sakura. Il cecchino fece fuoco e l’obiettivo
venne centrato.
Dai
cannocchiali i tre videro Sakura portarsi una mano alla bocca e deglutire, poi
la osservarono mentre, divenuta paonazza in viso, si strappava di dosso il
costume denudandosi davanti all’esterrefatto fidanzato.
“Accidenti!”,
esclamò Shutaro, mentre la sacerdotessa aggrediva Tsubame privandolo dell’unico
indumento che aveva indosso.
“Cribbio!”,
continuò Oropa, mentre la bella Sakura baciava con irruenta passione l’amato e
gli passava le mani dappertutto.
“Dannazione!”,
proferì il professore. “Lo sta letteralmente scorticando vivo!”.
“Sakura
è una belva! Lo sta cavalcando a pelo vivo!”, esclamò Oropa agghiacciato dalla
furibonda passione della sacerdotessa.
Ataru
gesticolava in segno di vittoria; le riprese procedevano a gonfie vele.
“MA
CHE FA?!”, urlò Shutaro, vedendo nel cannocchiale che Sakura si era seduta in
faccia al suo amato e si dimenava come una furia.
“Probabilmente,
Tsubame ha… mollato… ma lei non ancora e vuole il giusto orgasmo!”, spiegò Ryoda
incredulo ai suoi stessi occhi.
“DOBBIAMO
SALVARLO!”, gridò Oropa. “SE CONTINUA DI QUESTO PASSO, SAKURA LO FARA’ A
PEZZI!”.
Ad
un tratto la bella Sakura cominciò a tremare tutta e graffiò ripetutamente il
ventre dell’amato, prima di piegarsi e mordergli le labbra. Si fermò e si
accasciò a fianco dello sfinito Tsubame, mentre Ataru guizzò via dal
nascondiglio e si ricongiunse al gruppo con un’espressione mistica di paura e
meraviglia. “Roba da matti!”, si limitò a dire.
“Il
professor Onsen avrà un infarto quando vedrà questo filmato!”, sghignazzò
Shutaro.
“Dovremo
preparare bende e cerotti per Tsubame…”, propose Ryoda.
I
quattro fecero ritorno ridendo, ma già da lontano videro che qualcuno si era
aggiunto alla compagnia… qualcuno che al posto degli ombrelloni usava un paio di
alti funghi per farsi ombra. “Sono Rupa e Karla!”, esclamò Ataru,
spaventato.
“Sono
tornati all’attacco!”, commentò Shutaro.
“Chi
sono?”, domandò Ryoda.
“Il
tizio coi capelli chiari ha rapito la mia Lamù ed ha creato un caos incredibile,
arrivando ad invadere la Terra con quei maledetti funghi, mentre
la ragazza è una furia dal grilletto facile!”, rispose Ataru.
“Volete
dire che quei due sono i responsabili dell’invasione di funghi giganti che ha
colpito la Terra
qualche tempo fa?!”, chiese il giovane insegnante di Storia terrestre
trattenendo a stento la collera.
“Proprio
così!”, affermò il giovane Mendo.
“Non
potete nemmeno immaginare l’angoscia e la disperazione che ho provato in quei
giorni terribili! Non riuscivo né a dormire né a mangiare! Non potevo sopportare
l’idea che tutte le meraviglie che gli uomini hanno costruito sulla Terra nel
corso dei secoli venissero distrutte in una maniera così… assurda!”.
“Cerca
di calmarti!”, suggerì il giovane Moroboshi nel tentativo di calmare Ryoda,
accecato dalla collera. “In fondo, i danni sono stati riparati e…”.
“Non
importa!”, esclamò furioso il professore. “Quegli sciagurati hanno bisogno di
una lezione!”.
“Che
sorpresa trovarvi qui!”, disse Rupa alle ragazze.
“Già,
proprio una bella fortuna…”, commentò aspramente Benten.
“Suvvia!”,
esclamò Karla. “Ora che siamo sposati non siamo più un pericolo per
nessuno!”.
“Detto
da te, è piuttosto difficile da credere!”, commentò Lamù.
“A
cosa dobbiamo la vostra visita?”, chiese Oyuki.
“Siamo
qui in vacanza!”, disse il ragazzo dai capelli chiarissimi. “Questo è il nostro
viaggio di nozze!”.
“Allora
dovreste starvene in intimità!”, commentò Benten alzandosi dalla sdraio e
scrocchiando i pugni.
“Noi
stiamo dove ci pare e piace!”, ringhiò Karla armando un grosso
mitragliatore.
“Shutaro,
mi presti la tua arma?”, chiese Oropa all’amico; i quattro si erano avvicinati
senza essere notati ed ora gli sguardi si erano concentrati tutti su di
loro.
“Prego!”,
disse Shutaro porgendo la sua katana
all’amico. Oropa la impugnò a due mani e si avviò verso i coniugi portatori di
funghi.
“Che
intenzioni hai?”, domandò Lamù al ragazzo.
Passando
davanti a Benten, Oropa le porse il fucile. “Reggimelo un attimo!”, disse
avanzando ancora.
Rupa
impallidì osservando lo sguardo torvo del ragazzo, ma Karla gli si parò davanti
sparando una raffica di colpi. “Se vuoi fare del male al mio Rupa, dovrai
passare sul mio cadavere!”, minacciò al giovane.
I
colpi esplosi dall’arma rimbalzarono contro le lucide penne dell’ala che Ryoda
aveva spalancato a protezione del ragazzo. “Ci vuole ben altro!”, ringhiò il
professore.
Oropa
avanzò fino ad un passo dai due; Karla allargò le braccia, mettendosi fra
l’amato Rupa e l’aggressore. “Non passerai se non…”.
Un
sibilo tagliò l’aria, mentre Oropa vibrava un violento colpo di traverso. Il
ragazzo si voltò, dando le spalle ai due terrorizzati coniugi e pulì la lama con
le dita, facendo scivolar via un liquido chiaro. I due funghi usati come
ombrelloni caddero al suolo, tagliati di netto alla base.
“Ten,
vieni qui!”, esclamò Oropa.
“Eccomi!”,
rispose il piccolo oni, svolazzando
fin lì dal bagnasciuga.
“Fiamma
moderata per pochi minuti, mi raccomando…”, consigliò il ragazzo al cuginetto di
Lamù, che intuì alla perfezione il comando.
Tutti
osservavano la scena ammutoliti e mentre Ten cuoceva i funghi, Oropa si avvicinò
ad Oyuki e si fece prestare il grosso ventaglio che la regina di Nettuno usava
per arieggiarsi. Quando si riavvicinò a Ten, questo aveva appena finito la sua
opera e i due enormi funghi emanavano un delizioso profumino.
Oropa
diresse l’odore verso la boscaglia di palme aiutandosi col ventaglio ed un
attimo dopo una specie di grosso bue col pelo tigrato arrivò sbavando
copiosamente.
“REI?!”,
esclamarono in coro Lamù e Benten.
“Assaggia!”,
gli consigliò Oropa; il bestione ingurgitò i funghi in un sol boccone e gridò:
“SQUISITI!”.
Ran
arrivò furibonda. “State usando il mio amore come cavia!”, ringhiò l’aliena.
“Un
piccolo sacrificio per il bene comune!”, rispose Oropa.
“Tu
sei in combutta con Lamù!”, sibilò Ran furiosa. “State cercando di eliminare il
mio Rei perché ora vuole solo me!”.
“Ci
risiamo con questa storia…”, borbottò Lamù passandosi le mani nei capelli.
“Questo
è un affronto!”, tuonò Rupa. “I funghi sono il nostro simbolo e nessuno può
permettersi di reciderli senza il mio consenso, cucinarli e darli in pasto ad
una vacca a strisce!”.
“CHI
SAREBBE LA VACCA
A STRISCE?!”, gridò Ran furibonda.
“Questa
è la vendetta per quella vecchia storia, vero?”, domandò Karla.
“Ma
certo!”, continuò Rupa. “Questi esseri meschini vogliono rivangare quella
vecchia storia e usarla per farci del male! Ma le vecchie storie andrebbero
dimenticate e non ha senso rimuginare sulle cose passate perché il passato è
passato e non serve a nessuno!”.
Un
silenzio di tomba cadde sull’intera compagnia.
Ryoda
fremeva facendo emettere alle penne delle sue ali un rumore sinistro.
“Ma
che stupidaggini state dicendo?”, domandò Ataru sdraiandosi vicino a Lamù come
se nulla fosse.
“Credo
che abbiano i funghi anche nel cervello…”, commentò Shutaro mentre prendeva
posto vicino a Shinobu.
“Quante
storie per due funghi…”, sbottò Oropa prima di restituire la katana al giovane Mendo e raggiungere
poi l’amata.
“Dimentichiamo
tutto e ricominciamo da capo”, suggerì Rupa. “Non vogliamo litigare con
nessuno!”.
“Troppo
tardi!”, sussurrò Kurama.
“Avete
osato mettere in pericolo la
Terra e pagherete caro il vostro insano gesto!”, tuonò Ryoda
prima che una paurosa raffica di vento generata dalle sue ali scaraventasse in
cielo Rupa, Karla e i loro maiali.
“Quei
due avranno sicuramente imparato la lezione!”, proferì soddisfatto il
professore.
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Capitolo 26 *** Proposta di matrimonio sulla spiaggia ***
sa
PROPOSTA DI
MATRIMONIO SULLA SPIAGGIA
Successivamente
a quell’evento la pace tornò a regnare fra i ragazzi e all’ora di pranzo si
recarono presso un chiosco per gustare l’ottimo gelato prodotto su Felicitas
I.
“Quando
verrai a vivere con me?”, domandò Benten ad Oropa fra lo stupore generale.
Il
ragazzo arrossì, fissando il gesto che la lingua dell’amata compiva nel portarsi
il gelato alla bocca.
“Prima
vorrei… guadagnare dei soldi per…”.
“Fare
cosa?”, domandò Shinobu.
Oropa
tacque imbarazzato.
“A
che ti servono i soldi, caro?”, domandò la dea assestando una leggera gomitata
alle costole del ragazzo per spronarlo a rispondere.
“Mi
servono…se in futuro… cioè… mi servono per il matrimonio, ecco!”.
Il
tavolo esplose in un boato e tutti festeggiarono la coppia. “Ma non c’è ancora
niente di programmato, è solo il mio… sogno!”, ammise il ragazzo biondo.
“Non
ho acconsentito, infatti!”, affermò Benten picchiando i palmi sul tavolo e
pietrificando tutti.
“Se
mi vuoi in moglie… dovrai sconfiggermi!”, ringhiò all’indirizzo del povero
Oropa.
Lamù,
Benten e Oyuki erano nuovamente schierate contro Oropa, il quale però ora aveva
al suo fianco Ataru e Shutaro. Attorno a loro, una folla di curiosi li
chiudevano all’interno di un ring umano.
“Siamo
alle solite…”, commentò Tzukino in compagnia dei suoi amici sotto il
chiostro.
Le
tre aliene scattarono all’unisono.
Ataru
fece gli occhi dolci a Lamù, che volò fra le sue braccia. “Tesoruccio!”, disse
felicissima mentre lui la abbracciava e comunicava ad Oropa la riuscita della
sua parte facendogli l’occhiolino.
Benten
si voltò verso Oyuki… che stava stringendo la mano a Shutaro!
“Allora
siamo d’accordo!”, affermò il giovane Mendo. “In cambio della mia rinuncia a
prendere parte a questa contesa, le offrirò i servigi delle mie guardie per un
giorno intero, durante il quale spaleranno tutta la neve che vorrà!”.
Furibonda,
la dea si abbatté sul suo amato, stringendolo in una morsa; il ragazzo si
liberò, ma Benten lo colpì al ventre con un gancio destro, facendolo crollare al
suolo.
Oropa
cercò con lo sguardo Ryoda e gli fece un cenno, poi strattonò il filo di nylon e
il reggiseno di Benten prese il volo, mentre il professore immortalava la scena
con una polaroid.
La
dea si coprì il seno con le braccia e rivolse all’amato spietati occhi di fuoco.
“Truffaldino, traditore!”, ringhiò la ragazza.
“Ora
parlo io”, intimò il ragazzo mentre stringeva in pungo il costume rosso
dell’amata. “Le tue alleate sono fuori gioco, non hai la possibilità di muovere
a tuo piacimento gli arti superiori ed io sono in possesso di una tua foto
compromettente. Se assalirai il mio amico, trattandosi di un elemento esterno
alla guerra, finirai al tribunale militare, dove verrai accusata di crimini di
guerra e il tuo onore verrà fatto a pezzi; se assalirai me per aggiudicarti al
vittoria, questa foto verrà resa di dominio pubblico, distruggendo la tua
immagine di dea; se ti dichiarerai sconfitta, distruggerò la fotografia e non vi
saranno ulteriori sviluppi. Ora scegli!”.
Benten
prese tempo per pensare.
“Ti
avverto che fra la folla è nascosto un secondo fotografo e che un secondo filo
invisibile è agganciato al pezzo inferiore del tuo costume… un gesto avventato e
ti spoglio completamente, mia cara!”.
Benten
sobbalzò per lo spavento e cercò di individuare il filo senza riuscirvi; madida
di sudore cercò una soluzione ma i suoi pensieri erano invasi da Oropa e dalla
sua incredibile astuzia.
“HAI
VINTO!”, strillò la dea. “ORA SMETTILA!”.
“Ryoda
non ha scattato quella foto e nessun filo di nylon potrebbe sfilarti il
costume”, confessò il ragazzo con un sorriso sfacciato stampato sul volto.
“Sei…
sei…”, sibilò Benten inginocchiata sulla sabbia.
“Sottomettere
l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità!”, esclamò
Oropa.
“Questa
è l’arte della guerra!”, disse Shutaro illuminandosi in viso.
“Se
conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in
pericolo!”, continuò il ragazzo.
“Finiscila!”,
intimò Benten.
“Acconsenti
a sposarmi?”.
“Acconsento!”.
Shutaro
ed Ataru si avvicinarono al ragazzo. “Questa prova ci fa capire perché i miei
uomini ti hanno soprannominato Oropa la volpe!”, gli disse il giovane Mendo
carico d’orgoglio.
“Offrici
da bere, poi!”, propose Ataru assestando una pacca sulla spalla del ragazzo.
“Il
merito di questa vittoria è anche vostro!”, disse Oropa ai due con un
inchino.
“E
basta con questo cerimoniale!”, sbottò il giovane Moroboshi.
Oropa
si avvicinò a Benten e le offrì il costume; quando la ragazza glielo strappò di
mano, qualcosa cadde sulla sabbia.
Benten
pensò potesse trattarsi del gancio del costume e cercandolo si trovò in mano un
delicato anellino d’oro; con gli occhi lucidi fissò il suo amato. “Ma questo
è…”.
Oropa
s’inginocchiò, prese la mano dell’amata e disse: “Mia amata Benten, vorresti
diventare la mia consorte per il resto della nostra vita?”.
Entrambi
i giovani avevano le lacrime agli occhi e si fissavano intensamente. “Certo che
voglio sposarti, sciocco!” rispose lei.
Uno
splendido abbraccio sigillò la promessa mentre i ragazzi applaudivano forte e le
ragazze si abbracciavano fra loro commosse.
Il
resto della giornata passò tranquillo; Kurama e Ryoda annunciarono a tutti il
loro matrimonio fra un mese esatto e offrirono da bere a tutti i presenti in
quel tratto di spiaggia.
Alla
sera venne acceso un grande falò; mentre Lamù, Benten, Oyuki e tutte le altre
ragazze ballavano intorno al fuoco, Oropa e gli altri ragazzi chiacchieravano
ridacchiando delle avventure vissute durante tutto il tempo della scomparsa di
Oropa.
Ad
un tratto il ragazzo si alzò ed andò ad osservare da vicino al sua futura
moglie, che ballava scatenata.
“Rimpianti?”,
gli chiese Ryoda notando gli occhi lucidi dell’amico.
“Sento
già che mi mancherai, come mi mancheranno questi giorni!”, ammise Oropa.
“Non
lasciare spazio alla malinconia, amico mio!”, suggerì saggiamente il professore.
“La vita è un’avventura e nel momento in cui ti smarrisci in ricordi dolorosi
capita che perdi l’istante che attendevi da una vita…”.
“Cosa
mi attenderà in futuro?”.
“Giorni
felici alternati a giorni tristi… e lei sarà la luce che ti accompagnerà lungo
il tuo cammino nei momenti più bui. Non scordarlo mai!”.
“Non
lo faremo!”, esclamarono all’unisono Oropa, Ataru e Shutaro, intenti ad
osservare le loro amate. Ryoda rise e si allontanò insieme a Kurama e ai tengu per fare ritorno sul pianeta
natale del giovane.
Ataru
e Shutaro si unirono al ballo, mentre Benten vide il suo amato che la fissava
con gli occhi umidi. Lasciò le amiche ed andò ad abbracciarlo col suo corpo
caldo e umido di sudore. Afferrò Oropa per un braccio e cominciò a trascinarlo
lontano dal fuoco, nell’oscurità del bosco di palme.
“Dove
mi porti?”, chiese lui.
“A
fare l’amore!”, rispose lei.
“Non
dovremmo attendere la prima notte di nozze?”.
“Stai
scherzando?”, chiese Benten mentre cominciava a togliersi il costume.
La
fioca luce della luna illuminò il suo corpo nudo ed Oropa sentì il cuore in gola
che gli batteva all’impazzata.
“Fai
piano, però”, chiese la dea un po’ imbarazzata. “Questa è la prima volta e temo
che mi farà un po’ male!”.
Così
dicendo si lanciò sull’amato e i due si sdraiarono sulla fredda sabbia.
Quando
anche lui fu nudo e sentì il suo corpo premuto contro quello di lei, non seppe
resistere oltre e disse all’amata: “Benten, io non avrò paura di nulla, se solo
ti avrò al mio fianco”.
“Ti
amo…”, sussurrò lei un attimo prima di baciarlo con passione, mentre gli
carezzava dolcemente una guancia.
“Anch’io
ti amo, Benten!”, disse poi Oropa, mentre sopra di loro le stelle brillavano nel
cielo più intensamente che mai.
FINE
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