Dei e popoli dell'universo - L'ultima battaglia

di Ryoda_Oropa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La divina serpe ***
Capitolo 2: *** Litigio fra amiche ***
Capitolo 3: *** Il rifiuto di Oropa ***
Capitolo 4: *** L'opera di Ryoda ***
Capitolo 5: *** Tzukino ***
Capitolo 6: *** Combattimento sulla spiaggia ***
Capitolo 7: *** La genesi della divinità ***
Capitolo 8: *** I preparativi per il grande evento ***
Capitolo 9: *** Le regole della contesa ***
Capitolo 10: *** La mente e il braccio armato ***
Capitolo 11: *** Il rivale del cacciatore ***
Capitolo 12: *** L'inizio dell'operazione ***
Capitolo 13: *** Racconto e foto a luci rosse ***
Capitolo 14: *** Maestro contro allievo ***
Capitolo 15: *** Una battaglia aerea furibonda ***
Capitolo 16: *** Tremenda vendetta ***
Capitolo 17: *** Kamikaze, il vento divino ***
Capitolo 18: *** I confetti dell'amore ***
Capitolo 19: *** Desiderio represso ***
Capitolo 20: *** Le voglie di Oyuki ***
Capitolo 21: *** Benten alla riscossa ***
Capitolo 22: *** Il vincitore della contesa ***
Capitolo 23: *** Un regalo per Oropa ***
Capitolo 24: *** In vacanza! ***
Capitolo 25: *** Visite indesiderate ***
Capitolo 26: *** Proposta di matrimonio sulla spiaggia ***



Capitolo 1
*** La divina serpe ***


sa

 

LA DIVINA SERPE

 

Paolo scendeva dalla strada di montagna, torturando sotto le gomme di una potente moto il povero ed indifeso asfalto; l’aria sul viso lo rendeva euforico ed ogni staccata al limite gli regalava una scarica di adrenalina. Curva dopo curva, soffocava nel rombo del motore urla di autentica gioia... ad un tratto notò Lamù seduta sul guard rail.

Parcheggiò la moto e si avvicinò alla bella aliena incuriosito.

“E tu che ci fai qui?”.

“Guidi come un pazzo. Non ti è bastata la lezione?”, chiese Lamù al ragazzo.

“Posso farlo solo nei miei sogni, oramai credo che non mi lasceranno più mettere il sedere su una moto vera. Solo qui posso sfogarmi”.

“Come va con Lara?”.

“Tutto bene. Ma dimmi una cosa: cosa ti spinge al mio cospetto?”, domandò Paolo sempre più incuriosito mentre si apriva una birra ed accendeva una sigaretta.

“Bevi e fumi?!”, lo rimproverò la bella oni.

“Anche questo, solo nei sogni... anche se una birra o due con gli amici me le scolo e ho smesso di fumare dopo l’incidente!”, rispose con sincerità il giovane motociclista.

“Paolo... per caso conosci un certo Ryoda? E’ apparso all’improvviso e mi è parso sospetto”.

“Mai sentito nominare…”, mentì perfettamente lui. “Che tipo è?”.

“No, niente. Tutto a posto!”, esclamò Lamù.

Rimasero per qualche minuto in silenzio, mentre Paolo finiva la bevanda bevendola direttamente dalla bottiglia.

Ad un tratto, da dietro la curva sbucò Benten.

Paolo la osservò incredulo mentre lei procedeva sicura nella sua direzione.

“Come sei arrivata qui?”, chiese Lamù.

“Ti ho piazzato addosso un tracciante oggi, quando hai accennato che saresti venuta nottetempo a parlare con qualcuno... il resto è stato facile: mi è bastato localizzare la distorsione da te creata e mi sono trovata qui”, rispose l’amica.

Paolo si alzò e si avvicinò alla dea, accennò un timido saluto e lei, sorridendo, gli chiese: “Oropa ti assomiglia molto, non è vero?”.

“E' la mia copia quasi esatta!”, rispose Paolo.

Benten gli appoggiò le mani sulle spalle e chiuse gli occhi, avvicinando il suo corpo a quello del ragazzo. Paolo attendeva felice lo schiocco delle labbra della ragazza contro la sua guancia... invece, il ginocchio della dea impattò violentemente contro la sensibile zona inguinale dello sfortunato ragazzo, ignaro delle reali intenzioni della fanciulla.

“ALLORA SEI STUPIDO, ORGOGLIOSO, ESIBIZIONISTA, SUSCETTIBILE, IRRITANTE, EGOISTA E SEI... SEI... ODIOSO!!”, gridò Benten all’indirizzo del povero Paolo prima di allontanarsi a grandi falcate.

Lamù si affrettò a sorreggere il ragazzo, spiegandogli lo strano comportamento del suo alter ego in yukata.

“Lo capisco”, disse Paolo. “Ci sono passato anch’io con Lara... non mi sentivo degno di lei, l’ho respinta facendola soffrire inutilmente e mi sono imposto di cambiare cercando di migliorare, di essere una persona più forte, sulla quale si potesse fare affidamento... e non il solito, capriccioso, volubile Paolo... PERO’ LARA E’ BEN PIU’ GENTILE RISPETTO AD UNA CERTA DEA CHE CONOSCO!!", gridò poi all’indirizzo di Benten, convinto che questa fosse ormai lontana... invece, da dietro la curva ove era sbucata in precedenza la dea, un missile guizzò e finì contro la moto del ragazzo, facendola esplodere.

Paolo e Lamù rimasero a bocca aperta e non parlarono per un bel po’ di tempo.

“Tu però saprai già quello che ho passato, vero?!”, chiese infine il ragazzo alla oni, accendendosi una seconda sigaretta.

“Lo ammetto!”, rispose con uno splendido sorriso Lamù. “Leggo tutto quello che ti passa nella testa su un diario magnetico che ho creato io; registra i tuoi pensieri ogni giorno, io li leggo e li cancello, per far spazio a quelli del giorno successivo. E’ la mia lettura preferita!”, si giustificò facendo gli occhi dolci.

“Alquanto... invasivo, non credi? Oltre a guardare la serie animata, ora leggi anche il romanzo della mia vita!”, scherzò lui.

Poi nel tentativo di sedersi sulla barriera a bordo strada scivolò giù per uno strapiombo, svegliandosi.

 

Oropa atterrò su una piatta zolla di terra che vagava nell’universo.

“I dati inseriti mi hanno condotto qui... dovrebbe essere il posto giusto, ma non ci capisco niente di navigazione stellare! Che seccatura!!”.

La zolla, semisferica e protetta da una strana atmosfera, era sufficientemente grande per ospitare un quartiere intero come Tomobiki; era ricca di vegetazione e corsi d’acqua, con alberi da frutta disseminati ovunque e alcuni placidi mammiferi erbivori che vagavano tranquilli.

Il luogo aveva qualcosa di sovrannaturale, armonioso... divino.

Una grossa montagna sorgeva al centro della piatta superficie dell’asteroide, composta da spessi anelli che andavano stringendosi con l’aumentare dell’altitudine: era coperta da una rigogliosa vegetazione e sulla sommità si scorgevano due grossi tronchi ramificati e spogli.

“Se qui c’è un essere divino, è certamente lassù!”, esclamò soddisfatto Oropa.

Ad un tratto la montagna prese a vibrare e le spire che la componevano andarono sciogliendosi... gli alberi sulla sommità si rivelarono essere enormi corna e la montagna intera un serpente millenario immenso, una creatura oltre l’immaginazione e la comprensione umana.

La testa della creatura si levò fino al cielo, poi si abbassò a terra, poggiandosi di fianco al ragazzo con un tremendo boato.

La serpe aprì gli occhi, con Oropa che stava proprio di fianco ad uno di essi: era color oro e tagliato verticalmente da una stretta e nerissima pupilla.

Il ragazzo intuì di essere alto circa la metà dell’occhio destro dello sconfinato essere.

“Mi aspettavo qualcosa del genere”, disse Oropa fingendosi tranquillo; in realtà tremava di paura e rivolse un pensiero a Benten.

La serpe si scostò bruscamente rischiando di travolgere il ragazzo, che si coprì istintivamente il volto con entrambe le braccia per evitare che i detriti di terra sollevati dal moto dell’animale lo accecassero.

Quando spostò le braccia e riaprì gli occhi si trovò l’enorme lingua biforcuta della serpe vicinissima al corpo, mentre violenti sbuffi di alito provenienti dalle fauci lo investivano, facendolo barcollare e strapazzando il suo yukata.

Una voce possente tuonò nell'aria.

“SEI GIUNTO FINO A ME INVANO, MISERO ESSERE MORTALE! LA TUA BREVE VITA NON E’ CHE UN ATTIMO DEL MIO TEMPO. IO SONO OROCHI, LA DIVINITA’. ACCETTA LA FOLLIA DEL TUO GESTO, MISERO MORTALE: VOLTANDO LE SPALLE ALLA FORTUNA E GIUNGENDO AL MIO COSPETTO, HAI COMPIUTO IL TUO DESTINO. ORA MUORI NELLE MIE FAUCI IN MODO CHE IO POSSA TORNARE AL MIO SECOLARE RIPOSO".

“Io...”.

“HAI PAURA!”, sibilò l’enorme serpe.

“Io... ho abbandonato il mio cuore...”, disse Oropa con un filo di voce.

“NON M’INTERESSA”.

“Ho... abbandonato il mio sogno. Vorrei… poter dimenticare...”.

“NON HA PIU’ ALCUNA IMPORTANZA”.

Oropa si inginocchiò dinanzi all'enorme bestia, abbassando la fronte fino a toccare il suolo.

“Voglio... tornare all’origine... del mio destino...”.

“NON HAI PIU’ UN DESTINO”.

“Non sarò lo stesso Oropa. Non sarò più... accecato dall’amore...”.

“LO HAI GIA’ PERDUTO! BENTEN STA PREGANDO IN MODO CHE IO TI   FACCIA SPARIRE DALLA SUA VITA E DALLA SUA MENTE!”.

“Non avrò più... paura di lei. Non dovrò più... appoggiarmi a lei...”.

“NON AVRAI NULLA! LA MORTE NON E’ ALTRO CHE LA FINE DI TUTTO!”.

Il ragazzo si rialzò e si denudò il busto lasciando che il suo yukata scivolasse, fermandosi in vita trattenuto dall’obi.

Poi cercò in quell’enormità un appiglio, vi si aggrappò e scalò il muso dell’enorme serpe.

“Tu sei in grado di leggere la mente, bestione. Se è vero che uccidi le persone solo per il semplice fatto che giungono al tuo cospetto... mi fai ribrezzo. Sei un essere stupido e rivoltante!!”.

“COME OSI RIVOLGERTI A ME CON SIMILI PAROLE?!”. Gli occhi della serpe si strinsero su quel minuscolo ed arrogante essere umano.

“Oso perché non ho speranza, dal momento che hai deciso di porre fine alla mia esistenza… ed io lo accetto, ma almeno voglio che tu senta dalla mia voce ciò che penso di te, senza leggermelo nella testa”.

Il serpente sollevò altissima la testa nella volta , portando con sé Oropa.

“MIGLIAIA DI ESSERI SONO GIUNTI AL MIO COSPETTO, MIGLIAIA DI ESSERI SI SONO PROSTRATI IMPLORANDOMI,ORNANDOMI CON DONI DI OGNI GENERE ED I PIU’ NOBILI APPELLATIVI... E TU... TU OSI INSULTARMI!!”, esordì stupito Orochi.

“Siamo molto in alto, vero?!”, domandò il ragazzo senza guardare giù.

“SE CADESSI DA QUEST’ALTEZZA, TI RITROVERESTI CON TUTTE LE OSSA RIDOTTE IN POLVERE!”, rispose prontamente la divinità.

“Non mi hai ancora ucciso...”.

“SODDISFERO’ UN PO’ LA MIA CURIOSITA’, PRIMA DI FARLO... ERA DA MOLTO TEMPO CHE NON RICEVEVO ALCUNA VISITA...”.

“Se ora guardassi giù, avrei paura e mi aggrapperei alle tue corna... lo capisci perché sono qui? Amore, amicizia, fortuna... io ho trovato ogni cosa senza essermela guadagnata, senza averla rincorsa, senza averla bramata... ero già in alto, come ora, e partendo da così in alto non si può che cadere giù!”.

“HAI DETTO UNA COSA MOLTO SAGGIA”, proferì la serpe visibilmente stupita.

“Se non desideri ardentemente qualcosa e non fai follie per averla, sarà facile perderla perché non gli verrà reputata la giusta importanza”.

La serpe riportò al suolo il ragazzo e si avvolse nuovamente a spirale, appoggiando il testone sulla sommità e fissando con occhi colmi di curiosità quello strano giovane.

“Rendimi un uomo degno di una dea, dell’amicizia delle persone, della fortuna di vivere...”.

“NON E’ POSSIBILE! SE IO TI FACESSI DONO DI UN SIMILE DESTINO... NON SARESTI SODDISFATTO COMUNQUE, OROPA”.

“Hai perfettamente ragione. Non voglio un dono; io ti chiedo di poter stare al tuo servizio, di apprendere da te forza, nobiltà d’animo, saggezza... di avvicinarmi ad una divinità e rubare i suoi segreti”.

“TU NON CHIEDI... MA OFFRI!”, sibilò incredula la serpe. “OFFRI LA TUA COMPAGNIA AD UN MOSTRO ASSASSINO QUALE SONO CONOSCIUTO!!”.

“Hai indovinato, bestiaccia!”, disse sorridendo il giovane per essere riuscito ad interessare la divinità prima che questa lo uccidesse senza pensarci due volte.

“MODERA L’ENTUSIASMO!”, ruggì il possente essere. “NON HAI NULLA CHE POSSA INTERESSARMI, NULLA DI CUI IO POSSA GODERE, NULLA CHE VALGA IL MIO TEMPO!”.

“Ma come?! Sei qui da tantissimo tempo nella più totale solitudine e non gradisci fare quattro chiacchiere?! Sono anche un bravo cuoco se vuoi saperlo... te lo dico di nuovo: mi potrai chiedere ogni cosa ed io farò il possibile per soddisfarti!”.

“E COSA GUADAGNERESTI, NEL SERVIRMI?”, domandò incuriosita la serpe.

“Mi sembra di parlare con un muro”, pensò Oropa.

“Io ho già guadagnato qualcosa! Non mi hai ancora ucciso e questo mi fa davvero piacere! Essere al cospetto di una divinità cruenta quale sei, sapendo che in ogni istante potresti eliminarmi senza sforzo… e vedere che non lo fai è per me una soddisfazione incredibile! Ciò mi carica di adrenalina… sarò folle, ma io non vedo questa grande differenza fra me e te, sei solo più grosso e potente!”.

“HAI VISTO RAIGO E HAI TENTATO DI AFFRONTARLO... SE BENTEN NON TI AVESSE PROTETTO ILLUMINANDOTI DI TUTTO IL SUO POTERE SARESTI GIA’ MORTO! QUI IL SUO POTERE NON ARRIVERA’... NON HO BISOGNO DI CHIEDERTI NULLA... LEGGO NEI TUOI PENSIERI CHE SEI DETERMINATO!”.

“Affare fatto, allora?!”, chiese Oropa tremante di soddisfazione.

“TEMPO FA MI FU DONATA UNA MONTAGNA DI CARNE COME SACRIFICIO. L’HO MANGIATA TUTTA E PER MIA SFORTUNA, HO CONTRATTO LA TENIA INTERGALATTICA, UN TERRIBILE PARASSITA INTESTINALE. LIBERAMI DAL TORMENTO CHE MI PROCURA E LA TUA RICHIESTA SARA’ ESAUDITA!”.

Oropa si rivestì dello yukata, incrociò le braccia e chiuse gli occhi pensieroso.

“NON POSSO CREDERCI!”, pensò il colossale serpente. “QUESTO RAGAZZO STA’ GIA’ PENSANDO SUL DA FARSI, SENZA NEMMENO PREOCCUPARSI DI INDAGARE ULTERIORMENTE! MI DIVERTIRO’ IN  SUA COMPAGNIA”.

“Le tenie non sono altro che stupidi vermi che si nutrono di letame!”, rispose divertito Oropa. “Per me sarà un giochetto da bambini!”.

Detto ciò, il giovane si mise a rovistare fra gli arbusti del suolo ed estrasse alcune piante ripulendone i bulbi dalla terra; poi cercò un sasso aguzzo e cominciò a colpire il tronco di una pianta poco distante, facendo sgorgare una resina densa ed appiccicosa.

Prese una pietra piatta e pestò con un ciottolo i bulbi di aglio, mescolando la poltiglia ottenuta con abbondante resina.

Fatto ciò, si spalmò interamente le vesti e la pelle di quella sostanza; poi tornò al cospetto della divinità e chiese un’arma.

“LAGGIU’, IN QUELLA FOSSA!”, rispose la serpe.

Oropa si avvicinò alla larga buca e guardò giù, dove giacevano armi e armature di ogni foggia e dimensione.

“SONO I RESTI DEI VALOROSI CHE SONO GIUNTI AL MIO COSPETTO. CI SONO ARMI INCREDIBILI, LAGGIU’… VEDI QUELL’ENORME SPADONE D’OSSO BLUASTRO?! E’ STATO FORGIATO UN MIGLIAIO DI ANNI FA DA UN CACCIATORE MOLTO ABILE NELLA LAVORAZIONE DI MATERIALI RARI ED E’ STATO TRAMANDATO PER GENERAZIONI ALL’INTERNO DI UNA STIRPE DI ABILISSIMI ARMAIOLI. E’ AFFILATISSIMO, PESANTISSIMO, UNICO… SI CHIAMA OBELION, COME IL VARANO DIVINO DAL CUI OSSO E’ STATO FORGIATO!”.

“Aggiudicato!”, esclamò Oropa battendo un pugno sul palmo della mano.

“PRIMA DEVI RIUSCIRE AD AFFERRARLO E A PORTARLO FUORI DALLA BUCA!”, sibilò divertita la serpe.

Oropa si fece scivolare nella buca, raggiunse lo spadone camminando lentamente sulla superficie formata dal catasto di armature e tentò invano di sollevarla.

“NON CI RIESCI, VERO?! NON SEI ANCORA DEGNO DI LEI… PRENDI UN’ARMA QUALSIASI PIU’ ADATTA A TE!”.

Il ragazzo scrutò in cerca di un’arma e ripiegò su una corta wakisazi, una spada dritta usata solitamente in coppia con una più lunga ed uscì dalla buca con la lama stretta fra i denti.

“Io sono pronto!”, esclamò Oropa sicuro di sé dopo essere tornato al cospetto di Orochi.

La serpe si distese al suolo e sollevò la parte terminale dello sconfinato corpo, scoprendo l’entrata dell’antro dove si annidava il terribile parassita.

“ACCOMODATI PURE!”, sibilò divertita.

“Cerca di non agitarti troppo!”, proferì Oropa, ormai all’interno del corpo della colossale creatura.

 

La serpe chiuse gli occhi e si concentrò per ascoltare i pensieri del giovane, che andava infilandosi all’interno del suo corpo.

“Ma tu guarda in che situazione mi sono cacciato!”, si lamentò il povero Oropa. “Non si vede niente! Qui è anche molto stretto e le pareti sono molli e coperte di una strana sostanza appiccicosa... mi viene da vomitare!”.

La serpe accennò un sorriso prima di rimettersi in ascolto.

“Che puzza! Mi viene da vomitare... sarà meglio estraniarsi da questo luogo e pensare solo a ciò che devo compiere...”.

“MOLTO BENE!”, pensò soddisfatto Orochi.

“La gelida mano di Oyuki che scivola sul mio petto... fino ad arrivare all’altezza del pube... che libidine!”.

La serpe spalancò gli occhi e rimase senza parole.

“Lamù che si siede nuda sopra di me... che visione paradisiaca! Poi prende le mie mani per farmi toccare i suoi turgidi capezzoli...”.

Orochi spalancò nuovamente gli occhi insieme all’enorme bocca.

“Benten, invece, mi strapperebbe lo yukata di dosso, mi morderebbe le labbra e mi spingerebbe contro un muro, calcando il suo corpo contro il mio... maledizione!! Ho troppa voglia di...”.

“SMETTILA DI IMMAGINARE SIMILI PORCHERIE, RAZZA DI PERVERTITO!!”, gridò esasperata la serpe.

“Stava ascoltando i miei pensieri!”, notò Oropa.

I suoi pensieri si bloccarono di colpo e dall’interno dell’enorme creatura si udì un tremendo grido.

La tenia, con la sua bocca a forma di ventosa costellata da una miriade di piccoli denti uncinati, aveva appena morso Oropa al ventre; il dolore esplose all’improvviso gettando il giovane nel panico.

Tuttavia lo speciale unguento all’aglio che il ragazzo si era applicato funzionò alla perfezione e il grosso verme fu costretto a mollare la presa e ad allontanarsi.

Nel tentativo di immobilizzarla, Oropa si rese conto delle dimensioni del parassita: la sua bocca era enorme ed il viscido corpo era grosso come un tronco d’albero.

Inoltre l’animale si dimenava furiosamente a causa del contatto con l’unguento d’aglio, mentre il ragazzo non riusciva a muoversi liberamente ed era costretto a proteggersi come meglio poteva; neppure i suoi occhiali speciali potevano essergli molto d’aiuto.

Era al buio, immobilizzato e subiva morsi dalla terribile bocca dentata del verme.

Poi ebbe un’idea geniale: attese di sentire il morso della bestia e conficcò nella sua carne la spada, col filo della lama rivolto verso di sé. La tenia attaccò la coscia destra di Oropa, che affondò tutta la lama nella testa del viscido parassita e questo, ritraendosi, si aprì la testa in due.

Vedendo la bestia gravemente ferita, Oropa cominciò a tagliarla a pezzi con la sua corta spada.

 

Oropa uscì dall’ano della divinità portandosi un trancio di tenia sulla spalla.

Era ricoperto del suo stesso sangue e di quello del verme; in più, presentava ferite più o meno gravi su tutto il corpo.

Spossato e ferito, il valoroso giovane cadde a terra sfinito.

“RAGGIUNGI QUELLA FONTE D’ACQUA LAGGIU’ ED IMMERGITI; E’ UNA FONTE CURATIVA”, consigliò Orochi.

“Sai accendere... un fuoco?”, chiese Oropa ansimando per la fatica.

La serpe lo fissò e notò che il ragazzo singhiozzava, poi prese fra le sue fauci alcuni arbusti secchi ed emise due fiammate dalle sue narici; in pochi minuti si sviluppò un bel fuoco.

Il ragazzo si alzò a fatica, tagliò un pezzo di carne dal corpo della tenia e si diresse zoppicando verso il fuoco.

“Voleva mangiarmi”, disse Oropa lacrimando mentre lasciava cuocere la carne su una pietra rovente. “Sentivo che mi mordeva con una forza incredibile, prima di staccarsi da me a causa dell’aglio... ma ora sarò io a mangiare lei!”, concluse il giovane.

“NON PIANGE PER LA PAURA, PER IL DISGUSTO O PER LO SPAVENTO. PIANGE PERCHE’ L’UNGUENTO A BASE DI AGLIO CHE GLI STA CURANDO LE FERITE BRUCIA TREMENDAMENTE! MA CHI E’ QUESTO PAZZO? CHI SEI, OROPA?”, si chiese colpita la divinità.

Il ragazzo tolse dal fuoco il pezzo di carne abbrustolito ed iniziò a masticarlo con vigore prima di ingoiarlo con una smorfia di disgusto.

La serpe avvicinò la possente testa al giovane e gli intimò disgustata: “FINISCILA! MI FAI SCHIFO!”.

Oropa si limitò ad una gelida occhiata e poi domandò: “Il dolore che sento in questo momento... è almeno paragonabile a quello che ho causato a Benten?”.

“NON E’ POSSIBILE FARE UN PARAGONE”, fu la risposta della divinità. “SI TRATTA DI DUE TIPI DIVERSI DI DOLORE!”.

“Sei un essere veramente inutile!”, esclamò il giovane prima di crollare a terra e di abbandonarsi alle visioni della sua mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Litigio fra amiche ***


sa

 

LITIGIO FRA AMICHE

 

Sulla Terra, intanto, tutto sembrava essere tornato alla normalità dopo gli avvenimenti sul pianeta degli ainu.

Lamù ed Ataru, sulla strada verso casa, discutevano su come organizzare un weekend al mare.

“Invitiamo Mendo e Shinobu!”, esordì Lamù.

“Mi sembra un po’ banale. Quest’anno vorrei che fossimo un gruppo numeroso pieno di belle ragazze in costume!”, rispose Ataru sghignazzando.

“Dillo un’altra volta e ti lancerò una scarica potentissima!”, sibilò minacciosa la ragazza.

“Scherzi a parte, vorrei che ci fossero Oyuki, Kurama con quel saccente professore, Sakura insieme a Tsubame, Benten e...”.

Ataru si bloccò e ripensò insieme a Lamù alle folli parole pronunciate da Oropa poco prima di lanciarsi con la capsula di salvataggio.

“Ma certo!”, esclamò improvvisamente la bella aliena facendo sobbalzare Ataru. “Ogni capsula ha un chip tracciante! Dal mio ufo sapremo se e dove è atterrato e potremmo recarci direttamente nello stesso luogo!”.

“Hai avuto un’ottima idea”, disse Ataru. “Ma mi domando se vorrà vederci ancora...”.

Lamù abbassò gli occhi e smise di volare, camminando a fianco del suo tesoruccio mano nella mano.

“Credo che prima sarà meglio parlare con Benten…”, continuò lei.

“Benten ti sparerà, poi prenderà la tua navicella e seguendo il segnale del tracciante arriverà ad Oropa… e sparerà anche a lui!”, disse con ritrovata ironia Ataru.

 

“RIPETILO, SE NE HAI IL CORAGGIO!”, gridò madida di sudore Benten, mentre calcava nella bocca di Lamù la canna del suo bazooka. La dea indossava una pesante corazza metallica ed aveva un aspetto molto stanco: occhiaie bluastre bordavano i suoi occhi neri e le guance sembravano leggermente scavate.

Vedendo Lamù paralizzata dalla paura, ritirò l’arnese e lo ripose su una panca; l’interno del suo ufo sembrava diventato una palestra, con attrezzi ginnici sparsi ovunque.

“Allora non vuoi accompagnarmi?”, chiese la bella oni con estrema cautela.

“Non ho tempo da perdere! Devo continuare ad allenarmi!”, fu la secca risposta di Benten. “E poi, quell’idiota è l’ultima persona dell’universo dalla quale io voglia recarmi!”.

Mentre parlava, la dea si era messa a sollevare ritmicamente dei pesi con entrambe le braccia.

“Cerca di capirlo, Benten. Avrà avuto un attimo di debolezza e…”. Lamù non fece in tempo a finire la frase che la dea gli fu addosso, fronte contro fronte.

“Tu come reagiresti se Ataru scappasse abbandonandoti?!”, disse la dea della fortuna in preda alla collera.

“A dire il vero, lui scappa sempre!”, rispose con un sorriso Lamù.

“Ma io non sono una stupida come te, che gli corre dietro come un cagnolino scodinzolante!”, affermò Benten.

“Aspetta un secondo!”, disse Lamù visibilmente irritata. “Tu credi davvero che io sia un cagnolino scodinzolante?!”.

“E cos’altro, altrimenti?”, ringhiò furente la dea prima di cominciare a scimmiottare l’amica. “Tesoruccio, aspettami! Tesoruccio, non fare così! Tesoruccio, non guardare le altre ragazze! Devi amare solo me, tesoruccio!”.

Lamù cominciò a mostrare i lunghi canini e a portare in voltaggio il suo impianto elettrico, poi si rivolse all’amica con fare di sfida.

“Ha parlato quella che chiamava Oropa amoruccio!”, esclamò Lamù mostrando i canini aguzzi e minacciando l’amica con aria di sfida.

Ataru attendeva fuori con le braccia conserte il ritorno di Lamù brontolando per il tempo che stava perdendo su quel pianeta disabitato dove Benten aveva posteggiato la sua navicella.

Un’esplosione squarciò i suoi pensieri, seguita da un fragoroso tuono.

Dall’ufo della dea si levò una densa colonna di fumo nero, prima che altre esplosioni ne distruggessero ampie porzioni.

Ataru si coprì il volto con le braccia mentre lo spostamento d’aria lo scaraventò lontano; in mezzo a quell’improvviso inferno vide Lamù scagliare fulmini verso l’amica, mentre quest’ultima rispondeva coi colpi del suo bazooka.

Tuttavia le qualità acrobatiche nel volo della oni rendevano impossibile a Benten di colpirla, così la dea optò per un grosso missile ad inseguimento che guizzò dal lanciatore appoggiato sulla sua spalla all’indirizzo dell’amica.

L’esplosione fu violentissima e Lamù iniziò a precipitare, ma prima di cadere al suolo colpì la dea con una scarica violentissima, approfittando della distrazione di quest’ultima.

Ataru restò esterrefatto dalla visione delle due ragazze che si davano battaglia.

Le due aliene si rialzarono faticosamente, fissandosi in modo cagnesco: Lamù ricominciò a generare elettricità, condensandola nelle mani prima di inviarla all’indirizzo della rivale. Benten puntò contro di lei un secondo missile. Ataru scattò in direzione delle due.

“Con questo chiudo la partita!”, disse la dea prima di far fuoco sul bersaglio.

“Ti friggerò come un gamberetto!”, fu la risposta di Lamù prima di lasciar andare la sua scarica.

“ORA BASTA!”, gridò Ataru, mettendosi fra le due contendenti.

L’ardimentoso ragazzo venne fulminato un attimo prima di essere colpito dal missile; ricadde al suolo inerme, con le due aliene sbigottite.

“Che cos’hai fatto al mio tesoruccio adorato?!”, gridò Lamù.

“Sei stata tu a colpirlo per prima, stupida!”, rispose Benten.

“Visto che per te sono solo una stupida... A MAI PIU’ RIVEDERCI!”, sbraitò fuori di sé la bella oni.

“VA’ AL DIAVOLO! ANDATE AL DIAVOLO TUTTI!!”, urlò Benten prima di chiudersi in quel che restava del suo ufo.

Lamù, con la pelle annerita dal fumo delle esplosioni e qualche escoriazione, raccolse ciò che restava del suo tesoruccio, lo caricò sulla sua navicella e decollò in tutta fretta.

Lacrime amare cadevano dal suo viso sui comandi dell’astronave.

“Questa è tutta colpa tua, Oropa!”, pensò Lamù furiosa. “Te la farò pagare cara!”.

 

“Mi fischiano le orecchie”, disse Oropa alla serpe. “Credo che stiano parlando male di me…”.

“HAI INDOVINATO, PULCE!”, rispose Orochi.

Oramai era passato già un mese dall’arrivo di Oropa sull’asteroide della divinità. Grazie ad un passaggio dimensionale, costituito da una pozza d’acqua, Orochi inviava il giovane a svolgere ogni genere di servizio presso popolazioni di mondi lontani, in base alle preghiere che gli giungevano.

La divinità sceglieva per il suo servo situazioni critiche ed a rischio della vita; per nessuna ragione doveva svelare la sua identità di suo umile servitore, ma di presentarsi come un viandante trovatosi lì per caso.

Oropa, ad esempio, aveva aiutato alcuni contadini impegnati ad arginare una violenta alluvione; lì aveva visto la devastante potenza dell’acqua, che travolge e trascina ogni cosa… ed aveva vissuto la sua prima, grande tragedia: un bambino era scomparso durante una violenta ondata di piena... fu lui a ritrovarlo, morto annegato.

Il ragazzo era tornato alla dimora del dio letteralmente furioso.

“AVRESTI POTUTO SALVARLO, MALEDETTA BISCIA SCHIFOSA!!”, gridò in lacrime.

“SE CANCELLASSI IL DOLORE E LA MORTE, LE PERSONE SI COMPORTEREBBERO COME DELLE SCRITERIATE”, fu la risposta della serpe.

“POTEVI SALVARLO E NON HAI FATTO NULLA!”, sbraitò fuori di sé Oropa, folle di dolore.

“PERCHE’ LUI? E NON ALTRI MIGLIAIA DI PICCOLI CADAVERI? LO SAI QUANTA GENTE SOFFRE LA PERDITA DI UN PROPRIO CARO OGNI MINUTO CHE PASSA?!? DOVRESTI ASCOLTARE LE LORO PREGHIERE!!”, sibilò Orochi.

Oropa pianse per tre giorni e tre notti, mentre sull’asteroide svolgeva i compiti che la serpe gli assegnava quotidianamente: abbattere alberi per ottenere legname da ardere, frantumare pietre con una pesante mazza di ferro, scavare profonde buche… queste erano le mansioni più semplici che il ragazzo svolgeva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Il rifiuto di Oropa ***


sa

 

 

 

 

IL RIFIUTO DI OROPA

 

Arrivò una notte molto buia; Oropa dormiva disteso sull’erba fresca, sfinito dalle pesanti faccende,  mentre la divinità riposava arrotolata su se stessa, come una montagna.

Dalla pozza d’acqua, finestra aperta su ogni mondo, cominciarono ad arrivare creature basse e tozze, che si muovevano con fare furtivo, portandosi dietro delle grosse ceste.

Oropa si svegliò subito, disturbato dai sospetti fruscii.

Scattando in piedi vide che le creature, alte circa la metà di lui, erano aggrappate alla serpe e stavano rimuovendo delle scaglie della sua pelle con l’ausilio di corti pugnali.

Questa però non accennava a svegliarsi ed ogni volta che uno di quegli esseri infilzava la sua pelle con l’arma, dalla ferita cominciava ad uscire del liquido scuro; il ragazzo pensò che potesse essere sangue e cominciò a preoccuparsi.

Oropa impugnò la wakisazi e silenziosamente prese ad avvicinarsi.

Man mano che accorciava le distanze fra sé e i mostriciattoli, si rese conto della situazione: stavano letteralmente squamando la serpe!

"Smettetela subito!", ordinò Oropa all’indirizzo di quelle bestiacce.

Queste si voltarono verso di lui, puntandogli contro enormi occhi spiritati prima di riprendere il lavoro.

Oropa sguainò la corta spada e si avventò su uno di quei mostriciattoli con lo scopo di spaventarli.

La creatura si girò di scatto e gli puntò minacciosamente contro il pugnale, mentre tre suoi simili arrivarono a dargli man forte.

“Da solo contro quattro... sarà dura!”, si disse il giovane.

Attaccò con un fendente, ma una delle creature scattò rapidissima di lato e lo colpì allo stomaco con un pugno che lo costrinse a piegarsi in avanti; dopodiché, un secondo mostriciattolo gli assestò una pedata.

“Questi esseri sono... dei kappa!”, pensò il ragazzo a terra.

Oropa si lanciò nuovamente alla carica, ma i kappa, con movimenti rapidissimi, lo circondarono e lo colpirono ripetutamente su ogni parte del corpo. Lo sfortunato spadaccino cadde nuovamente al suolo e le creature lo gettarono nella fossa dove giacevano armature, spade ed ossa.

“Avrei bisogno di tre spade”, esclamò il ragazzo.

Improvvisamente, Oropa si voltò e vide lo spadone chiamato Obelion dalla serpe illuminato di una fioca luce blu. Strinse forte l’impugnatura nella sua mano e tirò a sé l’enorme spada.

“Anche se sembra più leggera, dovrò usare entrambe le mani”, si disse il ragazzo prima di sbucare fuori dal pozzo.

Le prime luci dell’alba illuminarono una serpe mezza squamata e sanguinolenta circondata da una trentina di kappa.

“BASTARDI!”, gridò Oropa puntando Obelion al loro indirizzo.

I kappa si voltarono e lo attaccarono tutti insieme, ma il ragazzo sollevò lo spadone e lo roteò con tutta la sua forza che aveva, spazzandoli via.

“Fantastico!”, si disse stupito. “Impugnandolo con entrambe le mani, riesco a brandirlo alla perfezione!”.

Gli esseri si rialzarono e sfoderarono i loro pugnali, puntandoli contro il giovane.

“Siete spacciati!”, esclamò Oropa sorridendo con malizia.

I kappa attaccarono in massa, ma il loro nemico si muoveva così rapidamente che non riuscivano a capire da dove venivano attaccate e furono letteralmente sbaragliate.

“Basta lasciarsi guidare dallo spadone senza opporre resistenza al suo peso!”, pensò Oropa dopo aver abbattuto le creature come birilli.

Quando la divinità si svegliò, aprì gli occhi sul campo di battaglia: i kappa si lamentavano stesi a terra per il dolore, mentre Oropa stringeva ancora con entrambe le mani Obelion.

“COSA E’ SUCCESSO QUI?”, domandò la serpe.

“Era ora che ti svegliassi, stupido bestione!”, rispose sprezzante Oropa. “Non ti sei accorto che questi mostriciattoli ti stavano squamando vivo?!”.

“I KAPPA!”, esclamò allarmata la divinità. “ME NE SONO COMPLETAMENTE DIMENTICATO!”.

“Si può sapere che cosa stai blaterando?!”, affermò il giovane spadaccino.

“NON LI AVRAI UCCISI?!”, chiese sempre più allarmata la serpe.

“No, ho dato loro solamente una bella batosta!” ridacchiò Oropa trionfante.

“IDIOTA!”, urlò all’indirizzo del giovane la divinità. “QUESTI KAPPA VENGONO OGNI VENTI ANNI PER RIMUOVERE DAL MIO CORPO LE SQUAME VECCHIE E PERMETTERE A QUELLE NUOVE  DI CRESCERE!”.

Oropa appoggiò la punta dello spadone al suolo e si passò una mano sul volto, guardando tutti i kappa che stavano lentamente riprendendo conoscenza.

Il serpentone abbassò la testa per scrutare gli occhi del giovane e non appena fu abbastanza vicino, Oropa usò Obelion per assestare un violento colpo sul muso del bestione.

“MA CHE TI E' PRESO?!”, disse la serpe dopo essersi allontanata precipitosamente dal giovane.

“COME POTEVO SAPERE DELLE TUE STUPIDE CURE PER IL CORPO?!?”, ringhiò furibondo il ragazzo. “LA PROSSIMA VOLTA LASCERO’ CHE TI AMMAZZANO E SE NON LO FANNO LORO, LO FARO’ IO!!”.

Detto ciò, Oropa si allontanò afferrando uno dei kappa per un braccio e lo scaraventò nella fonte curativa.

“LI AIUTERAI A FINIRE IL LAVORO E, QUANDO SE NE SARANNO ANDATI, LUCIDERAI UNA AD UNA LE MIE SQUAME NUOVE!”, sibilò Orochi chiedendosi se lo spadaccino si fosse davvero preoccupato.

Oropa lanciò un’occhiataccia alla serpe e disse: “Mi sono spaventato sul serio, stupida biscia!”.

“E CHIEDIMI SCUSA PER IL COLPO CHE MI HAI INFERTO POCO FA! QUELL’ARMA E’ MOLTO PERICOLOSA ED E’ STATA UNA FORTUNA CHE NON MI ABBIA FERITO”.

“Lo farò solo dopo che le mie orecchie avranno udito le tue scuse!”, rispose il cocciuto ragazzo.

Improvvisamente la serpe levò la testa al cielo e rimase come in ascolto per alcuni istanti prima di ordinare ai kappa di far ritorno nel loro mondo.

Non appena quegli esseri scomparvero nella pozza, Oropa chiese: “Che ti prende, ora?”.

“ABBIAMO VISITE!”, rispose la divinità.

“Di chi si tratta?”, domandò nuovamente Oropa.

“E’ LAMU’!”, rispose Orochi. “HA CON SE’ DEGLI STRUMENTI IN GRADO DI RILEVARE LA TUA PRESENZA. RAGGIUNGI SUBITO I KAPPA O SARANNO GUAI PER TE!”.

“Neanche per sogno!”, protestò il giovane spadaccino. “Ho troppa voglia di rivederla!”.

“E VA BENE, TESTONE!”, gridò esasperato l’enorme serpente. “ENTRA NELLA MIA BOCCA!”.

Oropa non se lo fece ripetere due volte e all’interno di quel buio ed umido rifugio, pensò intensamente a Lamù: il viso dolce e sensuale al tempo stesso, i lunghi capelli fluenti, i seni tondi e prosperosi, il corpo sinuoso... la visione che ne seguì lo mandò in un brodo di giuggiole, mentre la serpe se ne stava immobile.

“SMETTILA DI IMMAGINARE SIMILI…”, esclamò Orochi comunicando telepaticamente con Oropa.

“Meraviglie?”.

“PORCHERIE!”, ribadì collerica la divinità.

“Sono un maschio ed è più che naturale!”.

“SE RESTERAI QUI TRANQUILLO, IL SUO SCANNER REGISTRERA’ SOLO UNA DEBOLE DISTORSIONE, PERCIO’ TI CONSIGLIO DI NON FARE IDIOZIE! TI FARO’ PERVENIRE TELEPATICAMENTE CIO’ CHE VEDRO’ IO IN MODO CHE TU POSSA OSSERVARE LA TUA AMICA”.

“Lei è sola o in compagnia?”.

“IL GIOVANE ATARU E’ CON LEI”.

“Guastafeste di un Moroboshi!”, sbottò seccato Oropa.

“STANNO ARRIVANDO!”, sibilò la serpe chiedendosi il perché dello strano - per la divinità, chiaramente! - comportamento di Oropa.

"”Bene!”, ammise il giovane.

Non appena la navicella atterrò, Lamù scese a terra. Al posto del consueto bikini tigrato, la ragazza sfoggiava il suo completo da battaglia con tanto di mantello ed elmo dotato di corna; aveva in mano uno strano aggeggio con monitor, probabilmente uno scanner per rilevare forme di vita umane.

“Guardala bene, bestiaccia!”, pensò Oropa, sicuro che Orochi stesse in ascolto. “Che corpo stupendo! Che spettacolo meraviglioso!”.

“FINISCILA, IMBECILLE!”, lo ammonì la serpe. “DEVI RIMANERE CALMO O LO SCANNER RIVELERA’ LA TUA PRESENZA ANCHE SE TI TROVI AL MIO INTERNO”.

Lamù osservava sullo scanner la mappa tridimensionale della zona. Ogni tanto compariva un alone rosso che indicava una forma di vita umana presente, ma il segnale durava poco per poi scomparire.

Mentre si guardava intorno, vide una collina ripida con due alberi spogli sulla sommità.

Avanzando, inciampò in quelli che sembravano i resti di un bivacco, e poco lontano un enorme spadone d’osso era conficcato nel terreno; un giaciglio di paglia e avanzi di cibo diedero alla ragazza la conferma della presenza di Oropa.

“Guarda che sedere alto e sodo!”, pensò l’estasiato ragazzo.

Improvvisamente una lucina rossa cominciò a pulsare sullo scanner. “Si direbbe che l’essere biologico umanoide presente sia sulla sommità della montagna”, si disse Lamù prima di sollevarsi in volo.

“ORA TI SPUTO FUORI PRIMA CHE QUELLA RAGAZZA SI TROVI AL MIO COSPETTO E CAPISCA TUTTO, CRETINO!”, sibilò furente la divinità.

Un istante dopo, Lamù notò qualcosa che veniva sputato fuori dalla sommità della montagna per poi finire al centro del laghetto; lo scanner segnalava ora la chiara presenza di un essere umano.

“Maledettissima bestiaccia!”, proferì Oropa trascinandosi faticosamente sulla sponda della fonte della guarigione.

Ansimante al suolo, il ragazzo alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi azzurri dell’aliena che lo osservavano con espressione seria e pensierosa.

“Lamù! Che bello rivederti!”, disse Oropa scattando in piedi.

“Sei tu, Oropa...”, rispose la giovane con un sospiro, prima di appoggiare le sue calde mani sul viso del ragazzo.

Oropa restò paralizzato, poi abbracciò la bella aliena ed esclamò: “Lamù... so bene che sei la donna di Ataru, ma... viviamo questo amore clandestino e lasciamoci trascinare dalla passione!”.

“ADESSO TI FULMINA!”, tentò di avvisarlo Orochi.

Una scossa tremenda partita dalle mani di Lamù investì la testa di Oropa e quando lei lo lasciò, Oropa cadde esanime nella fonte, mentre un denso fumo nero gli usciva dalle orecchie.

“Ora tu verrai con me”, minacciò la bella aliena.

Oropa emerse improvvisamente dalle acque e vide Lamù con le mani sui fianchi, i gomiti larghi e un’aria di sfida dipinta sul volto. “Adesso ti porto da Benten!”.

“Non se ne parla!”, rispose secco il giovane.

Una seconda scarica elettrica lo investì, ma Oropa la evitò abilmente scattando di lato. Cercò lo spadone con lo sguardo, lo raggiunse con dei rapidissimi balzi, lo impugnò e tornò al cospetto della bella extraterrestre porgendole anche il mantello. “Questo è tuo”, affermò lo spadaccino. “Ora lasciami in pace; voglio allenarmi ancora”.

Per tutta risposta, Lamù lo fulminò una terza volta. “Ti porterò da Benten a qualsiasi costo!”, disse convintissima la ragazza mentre trascinava Oropa.

Il ragazzo riprese conoscenza in prossimità della capsula con la quale era arrivato.

“Partiremo con questa!”, affermò Lamù un attimo prima che la piccola navicella venisse disintegrata dal violento colpo di spada vibrato da Oropa.

“Si può sapere cosa ti è preso?!”, domandò l’allibita aliena strattonando lo yukata del ragazzo.

“Ti ho già detto che voglio proseguire il mio allenamento qui... da solo!”, rispose lui.

“Perché ti comporti così?”, domandò nuovamente Lamù. “Ti abbiamo sentito parlare con Benten prima che lasciassi la navicella con quella capsula; da allora non abbiamo avuto più tue notizie, pensavamo che Orochi ti avesse ucciso... ed ora che ti trovo sano e salvo su questo asteroide, non vuoi tornare da Benten. Sei scomparso da più di un mese!”.

“Immagino che non sentiate la mia mancanza…”, disse seccato Oropa, sistemandosi l’abito strapazzato da Lamù.

“Non è affatto vero!”, ribadì con energia la bella aliena.

“Se sparissi tu o Ataru, si mobiliterebbero tutti i vostri amici, ma del ragazzo comparso dal nulla, che non ha nulla, che non è nulla... non importa nulla a nessuno! Ora ti chiedo di andartene; porta i miei saluti ad Ataru e agli altri”.

Detto ciò, Oropa restò ad osservare Lamù che si alzava in volo e raggiungeva lentamente il suo ufo.

Prima di entrare, l’aliena si voltò verso il ragazzo e gli disse: “Tu e Benten siete due stupidi. Sarete veramente felici solamente stando vicini!”.

La navicella si allontanò e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo.

La serpe si mosse in sua direzione e gli disse: “PRIMA CHE TU RIPRENDA IL LAVORO LASCIATO INCOMPIUTO DAI KAPPA, TI INVIERO’ IN UN LUOGO SPECIALE: VOGLIO CHE TU OSSERVI MOLTO ATTENTAMENTE CIO’ CHE VEDRAI, SENZA FARE IL MINIMO RUMORE. ORA ENTRA NELLA POZZA!”.

Oropa saltò nella pozza scura e si ritrovò all’interno di un ufo semidistrutto, con attrezzi ginnici sparsi ovunque e un grosso buco sul soffitto della nave; Benten giaceva addormentata nel grande letto, proprio di fronte a lui.

Oropa vi posò gli occhi addosso, studiando quel viso dolce e fiero al tempo stesso, quei capelli scuri sciolti sul cuscino e la sottile coperta con la sagoma del corpo della dea disegnata sulle coperte.

Dormiva supina, con la testa piegata sul lato destro e il braccio infilato sotto il cuscino.

Il ragazzo chiuse gli occhi ed ascoltò il suo cuore che gli scoppiava in petto, poi non seppe resistere oltre e li spalancò per lasciare che l’immagine della dea della fortuna gli rimanesse ben impressa nella memoria come una fotografia.

Lei si svegliò e lo osservò stupita; subito dopo, si strofinò gli occhi con entrambe le mani e quando li riaprì Oropa era sparito.

“Sarà stata un’allucinazione…”, si disse prima di coricarsi nuovamente, ma non appena ebbe appoggiato la testa sul cuscino, si accorse che la catena che usava per legare i capelli era scomparsa.

Al suo posto, sul comodino, vi era una fascia di cotone bianca screziata di nero.

“Puzza di Oropa!”, esclamò annusandola.

 

“CHE COSA PROVI?”, chiese la divinità.

“Sono felice… e triste allo stesso tempo”, rispose con gli occhi lucidi il ragazzo.

“QUESTO PERCHE’ SEI INNAMORATO. E ORA LAVORA!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** L'opera di Ryoda ***


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L’OPERA DI RYODA

 

Nettuno, dimora della regina Oyuki.

Il giovane Ryoda, accompagnato da Kurama, venne condotto in udienza dalla regina. Il giovane originario di Meiji camminava lentamente, con portamento impeccabile e fiero, reggendo con la mano destra un voluminoso libro di saggistica; la principessa dei tengu camminava al suo fianco, tenendo nella sua la mano del giovane uomo.

In quei giorni trascorsi sul gelido pianeta, Ryoda si era dedicato anima e corpo nel compimento dei suoi doveri in qualità di prossimo sovrano dei tengu, dimostrandosi un uomo della massima fiducia, equilibrato e saggio; lo stesso decano era più che soddisfatto delle qualità del giovane ed anche gli altri folletti dalle sembianze di corvo erano entusiasti della scelta di Kurama, la quale aveva finalmente trovato il partner giusto per perpetuare la sua stirpe.

Ora, però, era venuta l’ora che il giovane professore tenesse fede alla parola data; quindi, si era recato su Nettuno per far apprendere al cucciolo della regina Oyuki la grammatica e l’arte del galateo.

“Entrate pure!”, chiamò una soave voce femminile chiusa dietro un pesante portone di cristallo bianco.

Due serve così simili da sembrare gemelle aprirono i battenti e la porta si spalancò su una grande sala, ornata di cristalli di ghiaccio intagliati come diamanti.

La luce delle lampade veniva catturata dalle sfaccettature e rifranta in una miriade di colori; era uno spettacolo di sicuro effetto scenico e non faceva che aumentare la bellezza di Oyuki, seduta su uno stupendo trono intagliato nel ghiaccio più puro.

“Siate i benvenuti nella mia dimora”, disse con un sorriso la regina ai suoi ospiti.

“Come vi ho promesso, mi ritrovo al vostro cospetto per chiedervi di occuparmi della formazione del vostro cucciolo”, rispose il professore con un perfetto inchino.

“Cerchiamo di chiudere la faccenda rapidamente!”, aggiunse seccata Kurama, che mal sopportava le basse temperature di Nettuno. “Anche perché avrò molto da fare col mio futuro marito!”.

“Allora sarò felice di accompagnare il signor Ryoda in quella che sarà la sua aula, dove lo attende il mio cucciolo Bi-M-Bo. Vogliate seguirmi…”.

Oyuki si alzò e fece cenno ai due di seguirla; Ryoda e Kurama, tenendosi per mano, la seguirono in silenzio.

Si fermarono dopo aver percorso alcuni corridoi con ampie finestre vetrate, che lasciavano spaziare liberamente gli occhi sul monotono paesaggio di quel freddo ed innevato pianeta, dove il calore del sole non arrivava.

Tuttavia, mentre la principessa dei tengu osservava preoccupata quel paesaggio gelido e costantemente spazzato dal vento, il giovane professore era rimasto più attratto dal sinuoso ancheggiare del corpo della regina.

“Dietro questa porta vi aspetta del lavoro da svolgere; non vi saremo di disturbo e potrà prendersi tutto il tempo che vuole, professor Ryoda! Farò preparare una stanza con un bagno caldo in modo che la sua compagna Kurama possa attendere il vostro ritorno nel più confortevole dei modi”.

Le due donne lasciarono solo il professore davanti alla porta; Kurama si voltò verso il suo giovane compagno e, fissandosi negli occhi, gli mandò un bacio portandosi la mano alla bocca e sventolandola successivamente all’indirizzo dell’amato.

Ryoda rispose strizzando un occhio, poi entrò nella sua aula.

Appena richiuse la porta, si ritrovò nel suo luogo di insegnamento: una lavagna capeggiava sulla parete ed un singolo, grosso banco aspettava al centro della stanza. Seduto al suo posto, vi era il “cucciolo” della regina di Nettuno: un gigantesco yeti che guardava il giovane insegnante con l’espressione più truce possibile.

“Lieto di fare la sua conoscenza”, disse Ryoda, per nulla impressionato dall'aspetto del suo allievo. “Il mio nome è Ryoda e da oggi avrò l’onore di essere il suo precettore personale”.

Il gigantesco ominide, per tutta risposta, sfoderò gli enormi canini di cui era dotata la sua bocca, e con un possente ruggito fece tremare il pavimento della stanza; poi si avvicinò al professore e gli gridò contro: “IO NON VOLERE BRUTTO PROFESSORE! IO VOLERE GIOCARE FUORI CON NEVE E BELLE FANCIULLE!!”.

“Questo non le sarà possibile, al momento”, rispose serenamente Ryoda, fissando l’indisciplinato allievo. “Prima dovrà apprendere i giusti modi per relazionarsi con il prossimo!”.

“IO FUORI CON FANCIULLE!!”, ruggì l’imponente bestione sbattendo il suo giovane insegnante contro la parete.

Tuttavia, Ryoda non manifestò il benché minimo accenno di rabbia e dopo essersi sistemato lo yukata, gli si avvicinò e disse afferrandogli il candido pelo: “Ascoltami bene, bestione: ho promesso a due splendide donne che avrei fatto di te un essere colto e galante… e puoi scommettere tutto ciò che hai che ci riuscirò a qualsiasi costo. Ora tu ti metterai seduto e lascerai che io faccia lezione, altrimenti mi vedrò costretto a fare della tua pelliccia il più esclusivo tappeto che un insegnate possa sfoggiare nel salotto di casa! Mi hai capito bene?”.

Visibilmente impressionato dall’autorità mostrata dal giovane, Bi-M-Bo si sedette al suo posto. “QUANDO COMINCIARE? QUANDO COMINCIARE?”.

“Immediatamente!”, rispose Ryoda prima di afferrare il gessetto e cominciare a scrivere sulla lavagna.

 

Dopo due giorni di viaggio, l’astronave di Lamù fece nuovamente rotta verso il pianetino disabitato dove Benten aveva parcheggiato la sua navicella.

Ataru preparò bende e cerotti; ultimamente succedevano solo sventure: si litigava, si viaggiava, si litigava ancora e si viaggiava nuovamente... trovava tutto ciò molto noioso, oltre che uno spreco: l’estate andava accorciandosi e belle ragazze in abiti leggeri invadevano quotidianamente il parco di Tomobiki... e lui, purtroppo, era sempre lontano!

Prese una fotografia che nascondeva nel portafogli: mostrava un gruppo di ragazze con le gonne sollevate nella piazza del parco. In mezzo a quelle gambe lisce, si notava appena l’abito di Oropa. “Amico mio...”, pensò Ataru con fare nostalgico.

 

Benten vide arrivare l’ufo dell’amica e lo seguì con lo sguardo durante la fase di atterraggio; presa com’era dalle riparazioni alla sua astronave, indossava una maschera protettiva e stava tagliando con una grossa smerigliatrice delle lastre d’acciaio.

Quando lo sportello dell’astronave tigrata si aprì, la dea riprese il suo lavoro, fingendo di non essersi accorta dell’arrivo della bella oni.

Lamù scese con Ataru al seguito; i due si avvicinarono all’indaffarata Benten ed attesero in silenzio che questa cessasse il suo lavoro.

“Allora? Siete venuti per starmi a guardare?”, domandò la dea della fortuna dopo aver posato il pesante attrezzo da lavoro.

“Oropa è vivo, sano ed in forze”, rispose Lamù.

“Dopo il trattamento che gli hai riservato, non credo che sarà ancora perfettamente sano…”, aggiunse mentalmente Ataru fissando la sua compagna.

“Non vi ho chiesto nulla!”, sbottò Benten prima di rimettersi al lavoro.

“Cos’è quel nastro?”, domandò la bella aliena in bikini tigrato dopo aver notato la fascia che Benten portava sulla testa al posto della sua catena.

“L’ho trovata stamattina sul comodino e siccome la catena era sparita, l’ho usata per legare i capelli. C’è qualcosa di strano, forse?”, affermò stizzita l’amazzone extraterrestre.

“Sì!”, esclamò Lamù. “Noi siamo appena arrivati dall’asteroide dove abbiamo incontrato Oropa e con l’ipervelocità abbiamo impiegato due giorni. Come ha fatto lui ad arrivare prima di noi? Ha anche distrutto la capsula con un enorme spadone, quindi teoricamente non potrebbe lasciare l’asteroide…”.

Benten rimase molto colpita, ma non lo diede a vedere e cambiò subito discorso. “Beh, io ho da fare qui! Se non avete altro da dirmi... ciao!”.

“Vorremmo aiutarti!”, disse improvvisamente Lamù.

“Che cosa?!?”, chiese Ataru incredulo.

“Visto che avete contribuito a sfasciarmi la casa... ora rimedierete!”, esclamò Benten stringendo vigorosamente la mano dell’amica.

“Io non voglio! Non posso!!”, esordì il giovane Moroboshi. “Sulla Terra decine di ragazze aspettano nel mio parco il mio ritorno! Decine di indirizzi e numeri di telefono attendono impazienti che io li trascriva sulla mia agenda! Non voglio perdere la mia giovinezza su questo sasso sperduto nell’universo!”.

“Ataru… se lavorerai sodo, ti prometto che al termine delle riparazioni, faremo il bagno tutti e tre assieme!”, disse Benten con voce calda e sensuale.

“Diamoci una mossa, allora!”, affermò pieno di energie il ragazzo con in mano i pesanti attrezzi da lavoro.

Le due ragazze scoppiarono in una fragorosa risata, poi la dea disse a Lamù: “Forse non lo sai, ma i miei compagni stanno organizzando una grande battaglia contro voi oni per ricordare gli antichi fasti. Ci daremo appuntamento su un rigoglioso pianeta disabitato ed ingaggeremo battaglia come ai vecchi tempi! L’appuntamento è fra un mese... ti allenerai con me in attesa di quel momento, Lamù?”.

“Con immenso piacere!”, rispose la bella oni prima di infilarsi una tuta da lavoro e pesanti guanti di cuoio grezzo.

 

“Buonasera!”, esclamò soddisfatto Ryoda mentre faceva il suo ingresso nel grande salone da pranzo della residenza della regina di Nettuno.

“Buonasera, signor Ryoda!”, rispose con un ampio e felice sorriso Oyuki.

“Vieni qui dalla tua Kurama, caro!”, disse la bella principessa dei tengu andando incontro al suo compagno.

“Finalmente!”, esclamò la ragazza sedutasi accanto al suo prossimo marito. “Sei rimasto in quella stanza per quasi un mese e sei uscito solo per mangiare e riposarti. Lo sai che devi essere in forze per... il rituale!”, concluse arrossendo visibilmente.

“Questa sera vedrete i frutti del mio lavoro!”, disse Ryoda con estrema sicurezza. Poco dopo la porta si aprì e lo yeti di compagnia di Oyuki fece la sua apparizione.

“Buonasera a tutti; perdonatemi se vi ho fatto attendere oltre misura”, esclamò quest’ultimo.

Lo yeti stava ritto in piedi, col voluminoso corpo fasciato in uno smoking fattosi preparare su misura; si era lavato accuratamente il pelo ed ora si presentava vaporoso e soffice. Teneva le grosse mani giunte dietro la schiena ed i tacchi uniti in un perfetto atteggiamento militare.

Ryoda si alzò e gli indicò il suo posto a sedere; Bi-M-Bo lo raggiunse con passi misurati, si inchinò alle donne e si mise a sedere.

Kurama ed Oyuki rimasero allibite e quasi non toccarono cibo nel vedere con quanta eleganza quell’enorme essere consumava la sua cena, chiacchierava e si intratteneva al tavolo; parlava con padronanza della lingua e disinvoltura, e si presentava ben informato su ogni campo.

Conclusa la cena, Ryoda si alzò educatamente dal tavolo insieme a Kurama per restare un po’ da soli.

“Quello che hai fatto ha dell’incredibile!”, esclamò la futura regina dei tengu mentre restava abbracciata al corpo del partner. “Come sei riuscito a trasformarlo in quel modo in meno di un mese?”.

“Semplice, mia adorata!”, rispose Ryoda guardando negli occhi la sua splendida compagna. “Gli ho solo spiegato che se mi avesse fatto sfigurare ai tuoi occhi l’avrei dovuto… punire amaramente!”.

“Quindi il tuo compito è finito, non è vero?”, domandò Kurama.

Il giovane docente annuì e subito dopo, venne trascinato dalla sua compagna lungo i corridoi del palazzo reale di Nettuno.

“Dove mi stai portando?”, chiese Ryoda leggermente spiazzato dall’iniziativa della ragazza.

“Ora lo vedrai!”, rispose quest’ultima con occhi illuminati di famelica passione.

I due giovani raggiunsero un ampio portale e non appena fu aperto, Ryoda e Kurama entrarono in una grande stanza dove i tengu stavano finendo di sistemare un grande letto a due piazze posto accanto un enorme finestrone (opportunamente velato da due enormi tende di color azzurro) dal quale si potevano ammirare le immense distese ghiacciate di Nettuno.

“La stanza è pronta, principessa”, annunciò una delle svolazzanti creature.

“Ottimo lavoro!”, esclamò decisamente soddisfatta Kurama. “Ora andate e lasciateci soli!”.

I tengu obbedirono immediatamente, lasciando così la loro principessa e il suo compagno nella più completa intimità.

Kurama si tolse subito i suoi stivali in pelle nera e trascinò Ryoda sul letto. “Vogliamo dare inizio al rituale, principessa?”, domandò il giovane con un sorriso malizioso stampato sul volto.

“Con piacere!”, rispose la ragazza prima di posare le sue labbra su quelle del partner e dare così inizio al tanto desiderato rituale di accoppiamento, necessario per la prosecuzione della stirpe di Kurama.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Tzukino ***


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TZUKINO

 

“Le riparazioni sono terminate!”, gridò di gioia Benten, lasciando cadere il cacciavite con cui aveva stretto l’ultima vite e asciugandosi con uno straccio il sudore dalla fronte.

“Dobbiamo festeggiare!”, aggiunse Lamù dopo essersi sfilata la tuta da meccanico.

La bella oni era stata costretta, già dalla prima settimana, a riportare il suo tesoruccio sulla Terra: il giovane si era abituato in breve tempo alle grazie della dea della fortuna e sapeva resistere alle sue “trappole”, quindi aveva cominciato a protestare per il troppo lavoro e la giovinezza che stava buttando; tuttavia, ogni sera Lamù era scesa sulla Terra per passare con lui la notte e per lei era una gioia immensa osservarlo mentre invocava il suo nome nel sonno.

“Chiamiamo Oyuki e andiamo sul pianeta Felicitas I. Quello è il posto migliore per trascorrere una vacanza degna di questo nome!”, propose Benten. “E saremo solo noi tre, come ai vecchi tempi!”.

Lamù ci rifletté sopra e alla fine accettò al proposta dell’amica.

“Hai già pensato a chi arruolare fra le fila dell’esercito di oni?”, chiese con aria di sfida Benten, cambiando completamente discorso.

“Contavo su Ataru, Mendo, Ryuunosuke, Shinobu... e i più forti guerrieri dell’esercito di mio padre!”, disse Lamù appoggiando l’indice sulle sue morbide labbra.

“Hanno detto che sarà una battaglia epocale. Sono davvero molto eccitata al pensiero della sfida che ci attende!”, aggiunse eccitata Benten, mentre si legava i capelli con la fascia bianca e nera. “E poi, dobbiamo essere al massimo della forma, perciò...”.

“Prima di allora... divertiamoci!”, la interruppe colma di gioia Lamù.

 

Oropa sbucò con un salto dalla pozza scura, di ritorno dall’ultima missione.

Notò subito che la serpe era arrotolata nella posizione della montagna, e non si muoveva; chiuse gli occhi e si mise in ascolto, poi impugnò il pesante spadone che portava agganciato ad uno speciale fodero sulla schiena e lo sguainò.

Un grosso randello metallico gli piombò addosso e lui lo evitò abilmente con una capriola a lato; quando inquadrò il suo nemico ebbe un sussulto: era uno di quegli enormi ainu del pianeta Ainuboshi.

Il mostro ruggì minacciosamente ed altre due creature sbucarono dalle fronde degli alberi poco distanti, brandendo grosse mazze chiodate.

Il giovane in yukata si alzò dalla posizione rannicchiata che aveva assunto dopo la manovra evasiva e rinfoderò Obelion, rivolgendosi ai poco graditi ospiti: “Non ho più nulla contro di voi. Andatevene!”.

“SUL NOSTRO PIANETA HAI AVUTO  FORTUNA E QUI SEI SOLO. PAGHERAI PER CIO’ CHE HAI FATTO!”.

Non appena il possente essere ebbe finito, il grosso spadone d’osso impattò violentemente il petto del bestione e lo scaraventò contro il tronco di un albero.

I due rimanenti ainu si lanciarono all’attacco con urla cariche di rabbia; Oropa conficcò Obelion nel terreno e lo usò come trampolino per lanciarsi contro il primo dei due nemici, abbattendolo con un calcio dritto in bocca.

Fatto ciò, richiamò a sé lo spadone tramite la sottile cordicella d’acciaio che il giovane aveva inserito nell’impugnatura dell’arma e collegata ad uno dei suoi bracciali. Lo spadone si sfilò dal suolo e tornò nelle mani del suo padrone, che vibrò un colpo contro la pesante mazza chiodata dell’ultimo nemico rimasto, bloccandola proprio un attimo prima che lo colpisse.

Con le armi incrociate i due si studiarono: l’ainu, dal canto suo, era convinto della sua superiorità fisica e premeva sempre più forte contro il suo avversario.

Oropa finse di cedere sotto il peso, dopodiché guidò al suolo l’arma dell’ainu aiutandosi con lo spadone, prima di roteare su se stesso e colpire il mostro alla schiena, facendolo crollare.

La serpe parlò: “SONO ARRIVATI DA POCO. INVECE DI SBARAZZARMENE HO PENSATO CHE SAREBBERO STATI UN BUON ESERCIZIO, PER TE! ORA RIMETTILI NELLA LORO PUZZOLENTE NAVICELLA; POI PENSERO’ IO A SCARAVENTARLI NELLO SPAZIO”.

“Hai fatto bene; è stato divertente”, disse freddamente il ragazzo, trascinando i puzzolenti esseri privi di sensi dentro il loro mezzo spaziale.

Quando ebbe finito, la divinità si srotolò, afferrò la navicella con la bocca e la lanciò nello spazio infinito.

Oropa era molto cambiato, durante quel mese di allenamento: i lineamenti si erano fatti più tesi, il fisico asciutto e nervoso, i grandi occhi gelidi sempre spalancati e i capelli biondi ritti come aculei. Non pensava ad altro che alla missione successiva e a migliorarsi, limitandosi a parlare solo se strettamente necessario e aveva decisamente mitigato il suo bollente spirito.

La serpe gli si avvicinò e disse: “RISPONDERO’ ALLA TUA CURIOSITA’!”.

Oropa la osservò stupito, mentre si immergeva nella fonte della guarigione per lenire i colpi subiti nell’ultima missione. “A cosa ti riferisci?”, chiese con tranquillità.

“DA ALCUNI GIORNI TI CHIEDI CONTINUAMENTE CHI FOSSI IO PRIMA DI DIVENTARE UNA DIVINITA’. COME HAI VISTO RAIGO SCATURIRE DALLA DISPERAZIONE DI LAMU’, COSI’ E’ STATO ANCHE PER ME: HO LIBERATO L’ESSENZA DEL MIO ELEMENTO E MI SONO TRASFORMATA IN OROCHI”.

“Allora è vero che tu sei una femmina!”, ghignò il ragazzo. “L’ho sempre pensato, dal momento che ti comportavi come una ragazzina imbarazzata quando fantasticavo sulle donne!”.

Oropa si tuffò immergendosi in quell’acqua miracolosa e quando riemerse la divinità era scomparsa.

Si guardò attorno stupito; l’asteroide sembrava immensamente più grande e piatto senza la presenza dell’enorme essere.

Si rivestì dello yukata e si incamminò verso il suo giaciglio di paglia, stranito dall’assenza della serpe.

“Dove ti sei nascosta, bestiaccia?”, chiamò infine spazientito da quella solitudine.

Una mano gli toccò lievemente la spalla destra; Oropa si voltò di scatto brandendo lo spadone, pronto alla battaglia.

Una ragazzina con grandi occhi scuri e tristi, abiti poveri e rovinati e un caschetto di capelli del colore della notte limpida lo osservava per nulla preoccupata dalla reazione del giovane. Era molto magra e molto graziosa: aveva un viso tondo e lineamenti dolci.

Oropa la fissò a lungo negli occhi e alla fine chiese: “Sei tu, bestiaccia?”.

“Sono colei che è diventata Orochi, signor Oropa”.

Il ragazzo lasciò cadere al suolo lo spadone e fece un passo in direzione di quella creatura tanto minuta.

Improvvisamente l’angoscia lo avvolse. “Sei solo una piccola ragazzina... e hai ucciso delle persone... e allora, perché sento... che mi stai chiedendo aiuto?”.

“Lei è pronto, signor Oropa!”, disse la graziosa ragazzina. “Non ha più bisogno di affrontare prove durissime e di prostrarsi al mio servizio. La ringrazio molto del tempo che ha passato con me, ma la prego di non rivelare a nessuno di essere stato qui e... la scongiuro, viva la sua vita rincorrendo i suoi sogni e godendo la felicità dell’amore!”.

Oropa sentì un nodo alla gola; si avvicinò di un altro passo alla ragazzina ed esclamò: “Finisce tutto così?! Io me ne andrò a godermi i frutti della mia fatica e tu... tornerai sola, ad ammazzare ogni malcapitato che capiti qui?!”.

“Non ho mai ucciso nessuno che non lo meritasse, signor Oropa”, rispose la ragazzina, giungendo le mani quasi come in segno di preghiera. “Quello che lei ha fatto in questo lasso di tempo, io l’ho fatto per centinaia di anni: mi mascheravo ed andavo ad aiutare le persone, con le mie sole forze. Purtroppo, molte persone giungevano qui con doni e belle parole per ingraziarsi i miei benefici, ma spesso lo facevano per soli scopi personali e mentivano; mi ricoprivano di false meraviglie, non sapendo che leggendo le loro menti scoprivo la verità. Non c’è nulla che io detesti più delle menzogne e chi mentiva al mio cospetto, doveva accettare il mio giudizio!”.

Oropa ascoltò in silenzio, immaginandosi grassi e ricchi mercanti o ministri che si prostravano al suolo con mille doni, per avere dei riscontri personali... magari a scapito della povera gente.

“Esatto!”, disse teneramente la ragazzina. “Quelli erano le mie vittime, ma giunsero anche impavidi avventurieri e valorosi guerrieri col desiderio di uccidermi per dimostrare il loro valore, perdendo la vita nel tentativo di soddisfare il loro desiderio”.

“Io, però, non voglio lasciarti nuovamente qui da sola per l’eternità…”, disse Oropa prima di abbracciare forte la ragazzina, con le lacrime che gli rigavano le guance. La divinità chiuse gli occhi e si abbandonò a quel forte abbraccio.

“Cosa... cosa ha ucciso una dolce ragazzina come te? Quale dolore ti ha portato a liberare la divinità che giaceva nel tuo essere?”, domandò turbato il giovane spadaccino. “Sento una grande sofferenza, la vedo dentro i tuoi occhi... perché?”.

“Signor Oropa, il mio corpo è freddo”, sussurrò la ragazzina. “La mia vita è stata fusa con l’elemento della divinità ed io, pur potendo assumere un aspetto normale, non potrò mai condurre un’esistenza naturale come la sua. Perché è a questo che sta pensando, vero? Lo leggo nella sua mente”.

“Voglio che tu veda a cosa hai rinunciato per tutti questi anni e visto che è stato merito tuo e che sei una bella ragazzina, ti porterò in un posto speciale!”, esclamò Oropa. "C’è un posto chiamato Felicitas I dove una volta mi ha portato Benten: è un piccolo pianeta vacanziero fatto di palme, sabbia e mare. Ci sono un sacco di giovani e bella musica... e fanno un gelato fantastico! Ci divertiremo un sacco, vedrai!”.

Oropa si sentiva improvvisamente felicissimo: la divinità che aveva sempre ritenuto uno scrigno chiuso si era aperta per lui e si era mostrata per quello che era.

“La ringrazio molto, signor Oropa, ma io non me la sento di…”, cercò di divincolarsi la giovinetta.

Il ragazzo, sorridendo, chiuse gli occhi e restò in silenzio; dapprima la divinità attese che il giovane parlasse, poi sondò la mente del ragazzo in preda alla curiosità.

Si portò entrambe le mani alla bocca e spalancò i grandi occhi, arrossendo vistosamente. “Come osa immaginare simili…”.

“Adesso che ho scoperto che sei solo una ragazzina, il gioco è finito. Farai quello che dirò, altrimenti non smetterò un solo istante di mostrarti questa e ben altre meraviglie del corpo umano! Domattina lascerai che la mia mente scelga la destinazione della pozza scura e finalmente avrò uno stramaledetto giorno di vacanza! E tu con me!”.

La divinità restò semplicemente allibita dall’audacia di quel giovane e si abbandonò ad una chiassosa risata; poi disse: “Signor Oropa, deve sapere che oni e dèi della fortuna stanno organizzando, per dopodomani, una grande battaglia commemorativa. Sarà una specie di grande gioco, dove i due eserciti si scontreranno come in guerra, ma invece di ferirsi cercheranno di apporre il proprio timbro sulla fronte delle unità nemiche. Io volevo che lei vi prendesse parte… sarebbe davvero un’ottima occasione per sfoggiare davanti alla sua Benten tutti i miglioramenti ottenuti e riappacificarsi con lei. Ho contattato mentalmente i comandanti dei due eserciti ed ho chiesto loro di inserire nella contesa un’unità speciale, un cacciatore. Sarà solo contro tutti, avrà il suo timbro speciale e verrà conteggiato come partecipante a sé. Non crede che sarebbe meglio riposare l’indomani invece di...”. La  giovinetta arrossì nuovamente e si portò le mani alla testa.

“Va bene, va bene! Domani andremo in vacanza, ma ora la smetta subito! Non si rende conto che io avrei solamente quattordici anni?! Non può mostrare certe oscenità ad una fanciulla!”.

Oropa rise di gusto e replicò: “Santi numi, sei davvero carinissima quando arrossisci così! Accetto molto volentieri l’invito per la festicciola di oni e dèi, ci sarà da divertirsi... ed ognuno di loro finalmente vedrà che Oropa è degno di una dea! Cambiando discorso, ce l’hai un costume?”.

“Veramente no!”.

“Poco male! Al termine della mia ultima missione, mi hanno offerto un mucchio di denaro galattico. Te ne comprerò uno magnifico!”, disse Oropa.

“Le ho detto mille volte di non accettare alcun compenso!”, lo rimproverò la ragazzina, prima di portarsi entrambe le mani sul viso a chiudersi la bocca, per l’ennesima volta invasa dall’immaginazione del ragazzo.

“Bada a come parli, ragazzina! Non sai che è molto scortese rifiutare la gentilezza che viene offerta?”, affermò con aria di superiorità Oropa ed aggiunse: “Domani ce la spasseremo alla grande!!”.

 

La navicella di Benten entrò nell’orbita di Felicitas I, noto pianeta-vacanza della Costellazione del Dragone.

A bordo, Oyuki e Lamù osservavano affascinate quella sfera azzurra e verde, e già dallo spazio si distinguevano le lunghe e bianche spiagge.

Il pianetino era di origine artificiale: la sabbia, le palme e l’acqua del mare erano stati portati lì dai migliori pianeti acquatici dell’universo, mentre il nucleo era formato da un complesso sistema di autoregolazione di temperatura, umidità, direzione del vento e intensità delle onde.

La luce solare giungeva da una piccola stella simile al Sole; sui verdi prati del pianetino pascolava una curiosa razza di mucche, che producevano l’ottimo latte all’origine del gelato noto in tutti i quattro angoli dell’universo per la sua squisitezza.

Non vi erano edifici, ma solo chioschi per ristorarsi, piccoli negozi in legno col tetto in foglie di palma e una lunghissima fila di cabine per mettersi in costume e gli indispensabili servizi igienici.

Nel mare cristallino nuotavano solo pesci pacifici e grossi granchi si arrampicavano sui tronchi delle palme.

Ovunque, ombrelloni e sdraio occupate da ragazzi di ogni età e pianeta.

Le tre ragazze lasciarono l’ufo posteggiato sulla grande piattaforma appena fuori l’atmosfera e scesero sulla superficie grazie all’enorme tubo ascensore... molte altre astronavi erano già parcheggiate fin dalle prime luci del mattino, segno che quella sarebbe stata una giornata particolarmente caotica. Non chiedevano di meglio!

 

“Guarda che meraviglia!”, esclamò entusiasta Oropa, appena comparso su Felicitas I assieme alla ragazzina. “Sole, mare, palme e centinaia di... RAGAZZE IN COSTUME!!”.

Oropa le chiese di attenderlo vicino ad una delle tante cabine per il cambio d’abito, prima di recarsi ad acquistare due costumi al primo negozio.

Rimasta sola, la dolce ragazzina si guardò intorno: ovunque gruppi di giovani ballavano, giocavano a frisbee o a palla, facevano il bagno o semplicemente chiacchieravano all’ombra delle palme.

Il mare era azzurro e calmo, il cielo blu e sgombro dalle nuvole e il vento era fresco e piacevole.

Chiuse gli occhi e sognò di essere una ragazzina come tutte le altre... cos’avrebbe fatto? Nuotato, giocato, mangiato un gelato o passeggiato col signor Oropa lungo la spiaggia?

“Eccomi!”, gridò il giovane sventolando una grande borsa da shopping colma di indumenti. “Ne ho acquistati parecchi perché ero indeciso. Ora vado a cambiarmi!”.

“Va... va bene”, rispose la divinità.

Oropa uscì poco dopo, indossando un costume da bagno stile bermuda color verde militare. “Bello, non è vero? Da vero uomo! Coraggio, ora tocca a te!”.

Prima di entrare, la ragazzina lanciò un’occhiata ad Oropa: il suo corpo asciutto e longilineo presentava cicatrici ovunque.

“Se mi metti addosso gli occhi così, mi vengono in mente certe idee…”.

La giovinetta arrossì vistosamente e si chiuse nello spogliatoio sbattendo la porta.

“Piuttosto... come ti chiami, carina?”, domandò il giovane in costume.

“Il mio nome da viva era… Tzukino”, rispose infine la ragazzina dopo qualche minuto di silenzio.

“Bel nome!”, affermò Oropa.

La ragazzina uscì finalmente dalla cabina con addosso un due pezzi sportivo e non troppo appariscente di colore nero con strisce gialle.

Oropa la osservò da cima a fondo carezzandosi il mento con l’indice ed il pollice.

“Sei veramente carina”, disse il giovane. “Saresti diventata una ragazza stupenda!”.

“La ringrazio moltissimo, signor Oropa”, rispose Tzukino.

“Mi dispiace solo che il tuo destino sia stato così severo”.

“Suvvia, signor Oropa! Questa deve essere una giornata di svago, perciò... divertiamoci!”, disse infine la ragazzina con uno splendido sorriso.

“Parole sagge!”, dichiarò Oropa. “Ma non chiamarmi più signore. Non sono poi così vecchio!”.

Ridendo di gusto, i due si incamminarono verso la grandissima spiaggia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Combattimento sulla spiaggia ***


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COMBATTIMENTO SULLA SPIAGGIA

 

Oyuki, Benten e Lamù stavano sdraiate sui lettini adagiati sulla sabbia: i loro corpi lucidi splendevano al sole ed erano la gioia per gli occhi di ogni ragazzo che si trovasse a transitare da quelle parti.

“Che meraviglia!”, sospirò Lamù.

“Qui è troppo caldo e il sole è troppo forte”, protestò Oyuki, abituata a ben più rigide temperature. “Tuttavia è piacevole stare qui ad oziare; come regina di Nettuno, ho sempre un sacco di impegni”.

Gli altoparlanti, sistemati direttamente su alcune palme, diffondevano musica su tutta la spiaggia.

Benten si sollevò e disse alle amiche: “Qui è successa una cosa molto bella, fra me e Oropa…”.

Lamù e Oyuki, curiosissime di sentire il seguito della storia, tesero le orecchie verso Benten; era così strano che lei condividesse certe cose, dal momento che non parlava mai di sentimenti o ragazzi.

La dea della fortuna si calò sugli occhi gli occhiali da sole e cominciò: “Dopo tutto quel che era successo quando è piombato nelle nostre vite… beh, ero contenta di essere tornata alla normalità; poi me lo sono trovato nuovamente di fronte. Certo, non ero più sotto la suggestione, però… qualcosa di lui mi aveva colpito profondamente, non posso negarlo!”.

Oyuki e Lamù erano tutt’orecchi e si facevano sempre più vicine all’amica.

“Ci riavvicinammo, perché lui era solare e sorrideva sempre: vederlo partecipare alle cacce di Ataru, scherzare con Mendo, girare felice per Tomobiki… lui era contento. Lo portai qui un giorno e la vista del mare lo fece come impazzire: partecipava ai giochi di squadra, socializzava con tutti, correva su e giù come un bambino che per la prima volta entra in un luna-park. Poi ha noleggiato uno di quegli acquascooter, mi caricò su e partì a razzo verso il mare aperto. Abbiamo saltato le onde al largo… vederlo sorridere mentre spruzzi d’acqua lo investivano… lo abbracciai forte, lui fermò il mezzo e mi baciò; poi disse: Sono tornato per te”.

“Che bella storia!”, commentò Lamù con lacrime di gioiosa commozione. “Il mio tesoruccio non riesce mai ad essere così aperto con me…”.

“Poi, però, qualcosa è cambiato in lui”, proseguì Benten improvvisamente rattristatasi. “Era sempre più nervoso, silenzioso… e su Ainuboshi l’ho visto per la prima volta visibilmente arrabbiato, quasi in collera; e solo perché l’ainu aveva smascherato il suo trucco in mia presenza!”.

“Ma ora, starà bene?”, chiese Oyuki.

“Lamù l’ha visto circa un mese fa”, rispose Benten. “Si stava allenando in totale solitudine su un asteroide”.

“Anche tu ti sei allenata parecchio. Per quale motivo?”, domandò Lamù.

Benten strinse le braccia intorno alle ginocchia e rispose: “Lo facevo per prepararmi ad incontrarlo nuovamente. Se non mi fossi impegnata con tutta me stessa, credendo che un giorno lui sarebbe tornato per mostrarsi più forte di me…”.

“Intendi davvero sfidarlo?”, chiese perplessa Oyuki, non capendo appieno le meccaniche di quella strana relazione.

“Puoi starne certa!”, affermò la dea della fortuna. “E lo batterò!”.

 

“Non farò mai una cosa del genere!”, esclamò Tzukino imbarazzata.

Lei e Oropa stavano con l’acqua del mare fino alla vita; il ragazzo cercava di convincere la giovinetta a fare il classico gioco dei tuffi.

Tzukino avrebbe dovuto poggiare le natiche sui palmi delle mani di Oropa e questi, rannicchiatosi sott’acqua, l’avrebbe poi lanciata in alto sfruttando la forza congiunta di braccia, addominali e gambe.

“E dai!”, la implorò Oropa. “Da bambino i ragazzi più grandi mi facevano fare tuffi incredibili in questo modo!”.

“Ma sono una ragazza, non una bambina! Cosa penserà la gente vedendoti con entrambe le mani sul mio sedere?”.

“Ma qui siamo al mare e lo fanno tutti! Ti chiedo di provare una sola volta; ti assicuro che dopo mi ringrazierai”.

“Va bene!”.

La giovinetta, lasciatasi convincere, si mise in posizione dando le spalle al ragazzo, che si abbassò e poggiò palmi e dita su entrambe le natiche.

A quel tocco Tzukino ebbe un fremito; nessuno prima d’ora l’aveva toccata lì... ma non fece in tempo a verificare se effettivamente Oropa facesse quel gesto con malizia, perché un attimo dopo si ritrovò ad alcuni metri di altezza dal livello del mare, scaraventata in aria accompagnata da un grido liberatorio del ragazzo.

“Che... meraviglia!”, pensò Tzukino. “Sono sospesa fra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Vorrei che questa sensazione di assoluta libertà non finisse mai…”.

Sollevando alti spruzzi, la ragazza ripiombò in acqua fra gli applausi dei giovani che avevano assistito alla scena.

Passarono alcuni secondi prima che Tzukino ricomparisse dalle acque, ma quando lo fece l’espressione del suo viso ripagò Oropa degli sforzi fatti per convincerla.

“ME LO FACCIA FARE UN’ALTRA VOLTA, PER FAVORE!”, strillò la fanciulla passandosi le mani sugli occhi per pulirsi dell’acqua salata.

I suoi meravigliosi occhi neri non lasciavano scampo ed Oropa non poté fare a meno di accontentarla.

Seguirono molti tuffi, fino allo sfinimento di entrambi; poi Oropa propose un bel giro con l’acquascooter a noleggio e la ragazzina accettò di buon grado.

“Dammi il più veloce che hai!”, disse il giovane allungando la mano con i soldi.

“Quello laggiù è il migliore che abbiamo”, rispose il noleggiatore indicando un mezzo ancorato sulla sabbia dalla carrozzeria a strisce gialle e nere.

“Lo stesso di quel giorno...”, sospirò Oropa poco prima di raggiungere il mezzo insieme a Tzukino.

Il natante schizzava veloce sulla superficie dell’acqua, sobbalzando lievemente, mentre la fanciulla cingeva stretta la vita del ragazzo.

“Il mare è troppo calmo”, sbottò Oropa. “Ci volevano delle belle onde per divertirsi con questo gioiellino”.

“E’ magnifico lo stesso!”, rispose raggiante Tzukino.

Oropa fermò l’acquascooter e rimase a fissare il mare sconfinato davanti a loro.

“E’ successo proprio qui", cominciò a raccontare il giovane. “Lei mi abbracciava forte come stai facendo tu ora. Io mi sono voltato e l’ho baciata; ero già innamorato di lei, ma farlo qui, sopra il mare e sotto il cielo, è stata come una promessa... mi sono impresso nella mente la morbidezza delle sue labbra, il tocco della lingua, il suo viso contro il mio... quando riaprì gli occhi dopo quel bacio, li vidi pieni di una luce splendida e soave. Non vedo l’ora di incontrarla di nuovo per poter finalmente dimostrarmi alla sua altezza e stargli vicino senza timore che, vedendo la mia debolezza... si accorga che non sono niente, paragonato a lei...”.

“Ha detto delle cose meravigliose, signor Oropa”, rispose la giovinetta. “Se io fossi la sua amata Benten non credo che la misurerei in base alla forza fisica, ma sarei estasiata dalla grandezza del suo sentimento!”.

Oropa si voltò ed incrociò i suoi occhi, dello stesso colore dell’acqua di mare, in quelli neri e profondi di Tzukino... improvvisamente il ragazzo si rattristò al pensiero che quella creatura tanto carina non aveva altro futuro che starsene confinata su un asteroide sperduto nello spazio. Era davvero dolce, adorabile, e l’aspetto fragile non faceva che incentivare il desiderio di proteggerla.

“Torniamo a riva e andiamo a mangiare un boccone”, propose il giovane.

“D’accordo!”, rispose contenta la ragazzina, stringendo forte la vita di Oropa.

 

Lo stomaco di Benten brontolò sonoramente e Lamù ed Oyuki capirono che era ora di pranzo.

“Camminando verso destra si arriva al miglior chiosco di spiedini di pollo dell’intero pianeta; fanno anche un gelato buonissimo e degli ottimi calamari grigliati”, disse la dea della fortuna. “Propongo di andarci!”.

“Ci sei stata con Oropa, non è vero?”, chiese scherzosa Lamù.

“Centro perfetto!”, esclamò sorridendo Benten.

 

“Quindi è questo il famoso gelato di cui mi parlava?”, chiese stupita Tzukino mentre assaporava quella prelibatezza.

“Esattamente! Questo è il chiosco migliore dove gustarlo, ma anche i calamari grigliati e gli spiedini di pollo sono ottimi!”, disse Oropa.

“Signor Oropa, credo che mangerò questo gelato fino a scoppiare!”.

“Tutto il gelato che vuoi, mia cara Tzukino!”, affermò il ragazzo prima di addentare il suo calamaro alla griglia.

“Chi sarebbe la tua Tzukino?”, chiese una voce familiare alle sue spalle.

Voltandosi lentamente col calamaro in bocca, Oropa posò gli occhi su tre figure femminili, ma il sole alto alle loro spalle gli impediva di mettere completamente a fuoco i loro volti. Una di loro aveva delle piccole corna, orecchie appuntite e lunghi capelli; quella al centro stava ritta, con le gambe leggermente divaricate e le braccia conserte; la terza emanava un’aura gelida.

“Quelle ragazze sono le sue amiche di cui mi ha tanto parlato, signor Oropa?”, chiese timidamente la ragazzina.

Oropa si voltò lentamente verso di lei ed annuì con la testa.

Il ragazzo si alzò dalla sedia e le salutò, visibilmente a disagio.

“Ciao, Oropa!”, rispose sorridendo Lamù.

“Lieta di rivederlo”, disse con un dolce sorriso Oyuki.

“La solitudine ti ha fatto venire il complesso di Lolita?!”, chiese furiosa Benten. “Da quel che vedo, il nostro eroe se la spassa su una spiaggia con una graziosa bambolina, invece di sfidare Orochi per la gloria personale…”.

Oropa nemmeno la sentì, concentrato com’era sui costumi che fasciavano i corpi delle tre aliene: Lamù indossava un delizioso bikini bianco con elementi floreali azzurri, che creava una sorta di dipendenza per gli occhi maschili; Oyuki vestiva un costume intero color argento, certamente adatto al fisico asciutto della regina di Nettuno; Benten, invece, portava uno slip rosso a vita bassa con  fiocchetto bianco, mentre il pezzo superiore era di tipo sportivo con le spalline incrociate posteriormente, anch’esso rosso con fiocco bianco.

“Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?”, incalzò la dea notando l’impassibilità del ragazzo.

“Mi sei... mancata molto!”, esclamò timidamente il giovane, appoggiando le mani sulle nude spalle della ragazza e sporgendosi per baciarle la guancia; tuttavia Benten si scostò ed Oropa lasciò cadere le braccia. “A me non sembra proprio, dal momento che sei in compagnia… di quella ragazzina!”, ribatté acida l’amazzone aliena guardando storto Tzukino.

“Si chiama Tzukino ed è solamente un’amica!”, affermò il giovane. “Mi ha aiutato molto durante i miei allenamenti”.

“Non fatico a immaginare che tipo di allenamenti…”, bisbigliò Oyuki a Lamù, la quale trattenne a stento una risata.

“Quando avevi intenzione di farti vedere da me?”, domandò Benten, ormai spazientitasi.

“Domani, alla grande battaglia fra oni e dèi!”, rispose orgoglioso il giovane.

“E tu come lo sai?”, chiese stupita Lamù.

“Lo so e basta!”, affermò Oropa decisamente imbarazzato. “Si svolgerà sul pianeta disabitato Silva. Ogni partecipante porta con sé un timbro del suo schieramento e deve apporre il marchio sulla fronte dei rivali; un arbitro conteggerà le catture cancellando lo speciale inchiostro e permettendo ai partecipanti di tornare in gara”.

"”Sei bene informato”, disse Benten portando le mani dietro la nuca e tenendo i gomiti larghi. “Mi chiedo solo una cosa: se io non ti ho invitato nel mio schieramento e Lamù non ti annovera fra i suoi... come parteciperai?”.

“Io sarò il cacciatore!”, rispose Oropa con un evidente sorriso di sfida stampato sul volto. “Orochi in persona ha richiesto che alla battaglia prendesse parte un’unità speciale col suo timbro personale”.

“Che bello!”, esordì Oyuki. “Sono contenta che anche Oropa si unirà a noi”.

“Orochi in persona mi ha preparato per questo evento; vi assicuro che domani sarò il vincitore della contesa ed effettuerò più catture io dei vostri schieramenti messi insieme!”, esclamò sicuro di sé il giovane.

A quell’affermazione, le tre ragazze presero a ridere sonoramente, reggendosi la pancia con entrambe le mani; Benten fu persino costretta ad inginocchiarsi per le risate.

“Sono ancora troppo fragile ai suoi occhi!”, pensò Oropa scuro in volto. “Vederla ridere di me... fa male! Dannazione!”.

“Perché attendere?”, chiese Benten rialzatasi in piedi. “Perché non combattiamo qui e adesso?!”.

“Maledizione!”, imprecò mentalmente Oropa, indietreggiando di un passo e sottraendosi agli sguardi di sfida lanciati dalle tre aliene. “Queste tre insieme sono imbattibili: Lamù fornirebbe supporto dal cielo, con le sue scariche; Oyuki mi metterebbe in difficoltà con le sue raffiche gelate e gli aculei di ghiaccio e Benten, sia nel corpo a corpo che nell’uso delle armi, è una macchina da guerra!”.

“Può farcela!”, lo rassicurò Tzukino usando la propria voce. “Signor Oropa, sono convinta che sarà in grado di tenere testa a queste ragazze!”.

“E tu che ne sai, bambolina?!”, domandò Benten, seccata dall’intromissione.

“Ho molta fiducia nelle sue capacità!”, ribatté Tzukino.

La dea fulminò la ragazzina con un’occhiataccia e poi disse a denti stretti ad Oropa: “Direi di cominciare! Non vorrai deludere la tua fidanzatina, spero!”.

A quel punto, Oropa si sbottonò la camicia e dopo averla tolta la ripose sullo schienale della sedia. Osservando il suo corpo, Lamù si portò una mano alla bocca e disse a Benten: “Quelle cicatrici sono… orribili!”.

“Sembrano quasi dei morsi; ci sono anche molti tagli e lividi!”, osservò la dea della fortuna.

“Sono stati soltanto dei piccoli incidenti di percorso”, rispose Oropa con noncuranza. “Nulla di particolare!”.

“Allora, cosa vuoi fare?”, domandò nuovamente la dea della fortuna al ragazzo. “Mi sfidi in un corpo a corpo o preferisci che vada a prendere delle armi da addestramento sulla mia navicella?”.

“Nessuno di voi ha un pennarello?”, chiese Oropa rivolgendosi ad un gruppo di giovani radunatosi attorno ai contendenti. Una ragazza gli lanciò un grosso pennarello nero che Oropa afferrò al volo.

“Se riuscirò a segnare la vostra fronte col pennarello, avrò vinto io”, esclamò il giovane. “Sarà una piccola anticipazione di ciò che vi attenderà domani!”.

“D’accordo!”, rispose Benten, portandosi in posizione di fronte ad Oropa.

“Va bene anche per me!”, esclamò Lamù alzatasi in volo.

“Non ho nulla contro di te e personalmente ritengo che Benten si stia comportando nei tuoi confronti come una ragazzina gelosa”, proferì Oyuki, facendo arrossire di imbarazzo l’amica. “Tuttavia, mi vedo costretta a combatterti perché Lamù e Benten sono mie amiche fin dall’infanzia e non posso abbandonarle, dal momento che siamo una squadra!”.

“Allora, fatevi sotto!”, minacciò Oropa facendo segno alle ragazze di farsi avanti.

 

“Che succede laggiù?”, chiese stupita Kurama a Ryoda, il suo compagno.

“Non ne ho idea”, rispose il giovane insegnante di Storia terrestre. “Sembra che un gruppo di ragazzi stia fomentando qualcosa!”.

“Andiamo a vedere!”, disse la bella principessa dei tengu trascinando con sé il partner: entrambi indossavano dei costumi neri ed erano atterrati su Felicitas I per trascorrere un po’ di tempo da soli e ritemprarsi al sole dopo il lavoro svolto da Ryoda su Nettuno.

“Ma sono quella oni, la regina di Nettuno e quella dea che stanno combattendo contro quel ragazzo!”, affermò l’altezzosa principessa dei tengu.

Ryoda lo osservò attentamente e si accorse che il suo corpo era pieno di cicatrici. “Sono in tre e stanno attaccando un ragazzo indifeso. Questa è un’azione incredibilmente vigliacca!”, esclamò amaramente il giovane.

“Ma quel ragazzo lo conosco!”, gli disse Kurama. “Ha contribuito alla mia liberazione e a quella di Lamù sul pianeta degli ainu. Ho sentito che ha litigato con la sua ragazza - ovvero quella dea - e si dice che si sia recato al cospetto di una crudele divinità per essere addestrato. Voglio proprio vedere come si evolve la situazione!”.

“Che ragazzo valoroso!”, pensò Ryoda portandosi la mano sul mento. “Voglio proprio vedere come se la caverà!”.

 

Lamù volò alta nel cielo, Oyuki si portò a distanza di sicurezza e Benten cominciò una rapida serie di colpi con Oropa. Il giovane parò i pugni indirizzati al suo viso con le mani, ma la dea lo colpì al costato con un calcio. L’ardimentoso ragazzo rotolò di lato e quando si rialzò incrociò lo sguardo divertito di Benten.

Un attimo dopo un crepitio lo allarmò; si scansò con un balzo ed una violenta scarica si abbatté al suolo. Subito dopo, una folata di vento gelido lo investì, scaraventandolo contro il tronco di una palma... riuscì appena in tempo a scansarsi, poco prima che Benten lo colpisse all’addome con una vigorosa gomitata che fece tremare le foglie sulla sommità della palma.

“Dannazione!”, pensò Oropa dolorante per i tremendi colpi subiti. “Con Obelion in pugno avrei già archiviato la questione, ma così…”.

Il giovane apprendista di Orochi dovette scansarsi all’improvviso per evitare una nuova scarica lanciata da Lamù. “Per prima cosa, devo metterla fuori gioco”, si disse quest’ultimo mentre scrutava la sua avversaria in alto nel cielo. Si mise il pennarello fra i denti ed usò gambe e braccia per saltare di tronco in tronco, salendo verso la sommità delle palme con l’agilità di un felino.

Arrivato sulla loro cima, vide Lamù poco sopra e con un alto salto si trovò davanti a lei.

Quando ricadde al suolo, ammortizzando l’impatto con le gambe e le braccia come un gatto, sopra la bocca della bella aliena troneggiavano due baffetti disegnati col pennarello e una stellina stilizzata sulla fronte.

Senza avere nemmeno il tempo di esultare per il risultato ottenuto, Oropa evitò alcuni aculei di ghiaccio e avanzò verso Oyuki con una sequenza di ruote e capriole; la bella regina di Nettuno gelò il suolo tutto intorno a lei per arrestare l’avanzata dell’avversario.

La mossa funzionò e diede tempo a Benten di ingaggiare nuovamente un corpo a corpo con Oropa; il ragazzo, tuttavia, non si fece colpire e con una presa lanciò la dea sul ghiaccio. Fatto ciò, prese una breve rincorsa e si lanciò sulla lastra in direzione di Oyuki; quest’ultima gli scaraventò contro scaglie di ghiaccio tagliente che lo ferirono alle braccia. Raggiunse Benten e la spinse contro l’amica.

Oyuki riuscì a prenderla, ma rimase scoperta e si ritrovò con un minuscolo cerchio nero disegnato sulla fronte. “Ti chiedo perdono per essere stato costretto a deturpare il tuo splendido viso”, disse ansimando Oropa prima di allontanarsi con passi incerti dalla superficie ghiacciata.

“Maledizione!”, imprecò mentalmente Benten, rimasta sola a fronteggiare il suo avversario. “Lamù e Oyuki sono fuori combattimento. Possibile che Oropa sia stato addestrato veramente da Orochi?!”.

Nonostante il tarlo del dubbio si fosse ormai insinuato nella sua mente, la dea si lanciò all’attacco, cercando in tutti i modi di colpire Oropa; ma quest’ultimo, col pennarello fra i denti, rispondeva colpo su colpo e con un balzo prodigioso, roteò su se stesso e si portò dietro di lei, bloccandola in una stretta d’acciaio.

“Maledetto!”, pensò la dea mentre sprecava ulteriori energie cercando inutilmente di liberarsi dalla morsa dell’avversario. “Sta giocando con me come il gatto col topo!”.

Con un ultimo, disperato attacco gli si avventò addosso, ma Oropa bloccò il suo piede d’appoggio e la dea gli cadde fra le braccia.

Il giovane vittorioso disegnò un cuoricino sulla fronte e poi baciò la testa della ragazza, esausta e madida di sudore. La folla radunata esplose in un boato, mentre le due amiche andarono a sorreggere la dea sconfitta.

“Ero certa che avrebbe vinto lei!”, esclamò raggiante Tzukino mentre andava incontro al vincitore della contesa.

“Effettivamente, credevo che sarebbe stata più dura senza Obelion!”, rispose Oropa grattandosi la nuca con una mano.

Benten, seduta sulla sabbia, ansimava pesantemente e puntava spietati occhi di fuoco contro il ragazzo che l’aveva sconfitta e umiliata davanti a tutti. Per tutta risposta Oropa la squadrò dall’alto in basso con un sorriso beffardo e gli occhi pieni di soddisfazione, mentre la ragazzina continuava ad elogiarlo.

“MI AVRAI ANCHE BATTUTO, MA RESTI E RESTERAI SEMPRE… LA BRUTTA COPIA DI UNO STUPIDO!”, gridò furibonda la dea della fortuna.

Lamù si coprì la bocca con le mani e chiuse gli occhi per non vedere il volto del ragazzo dopo una frase simile, pronunciata dalla ragazza che amava; Oyuki si limitò a volgere altrove lo sguardo; Tzukino spalancò gli occhi ed indietreggiò di un passo, come tutti i presenti.

Sotto il suo sorriso, Oropa stringeva i denti con forza e l’espressione dei suoi occhi era fredda ed assente, come se qualcuno li avesse lavati da ogni emozione. Restò così, in silenzio, per interminabili secondi.

 

“Quello che la dea ha gridato al suo ragazzo è una cosa orribile e la reazione esagerata di Oropa cela dentro di sé un dolore immenso”, esclamò Ryoda con l’amata Kurama al suo fianco.

“E’ terribile!”, sospirò la principessa dei tengu.

 

“Hai capito benissimo!”, sbraitò la dea. “Hai solo sfruttato ancora una volta le debolezze altrui per importi! Non sei cambiato affatto!”.

Oropa si rialzò e con lenti passi si avvicinò alla ragazza. Arrivato di fronte a lei, afferrò la mano destra dell’amata e vi depositò qualcosa che si era tolto di tasca e le disse: “Benten, in amore e in guerra tutto è lecito! Questa è tua!”.

La dea aprì la mano e vi trovò la sua catena fermacapelli; i suoi occhi si riempirono di lacrime e con un gesto rapido si sfilò la fascia dai capelli e la buttò ai piedi del ragazzo. “E questo straccio è tuo!”, ringhiò furente.

Oropa lo raccolse e prese ad allontanarsi. “A domani!”, disse il giovane sventolando la fascia in segno di saluto.

“Questo non è giusto!”, protestò energicamente Tzukino, incapace di comprendere la reazione dei due giovani. “Smettetela con questa assurda dimostrazione di forza e accettatevi per quello che siete!”.

“Va tutto bene, Tzukino”, disse Oropa con un filo di voce. “Ora andiamo!”.

“NON POTETE LASCIARVI IN QUESTO MODO! CHIARITEVI UNA VOLTA PER…”.

“TI HO DETTO CHE VA TUTTO BENE! ANDIAMO!!”, gridò furibondo Oropa senza voltarsi, facendo sobbalzare tutti i presenti. Tzukino abbassò la testa e insieme si allontanarono in silenzio.

 

“Kurama, ti dispiace se ti lascio un attimo da sola e vado a fare due chiacchiere con quel ragazzo?”, domandò Ryoda.

“Non c’è problema!”, rispose la principessa dei tengu. “Credi davvero di poter fare qualcosa per lui?”.

“Forse!”, si limitò a risponderle il partner.

 

“Povero Oropa”, commentò Lamù mentre osservava Oropa e Tzukino allontanarsi. “Doveva sapere che una ragazza fiera ed orgogliosa come Benten non avrebbe reagito bene ad una sconfitta… e la colpa è anche nostra perché l’abbiamo spalleggiata”.

“Cambiamo chiosco, ragazze!”, disse visibilmente seccata e di pessimo umore la dea della fortuna alle sue amiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La genesi della divinità ***


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LA GENESI DELLA DIVINITA’

 

“Fa male!”, singhiozzò Oropa, picchiando la fronte contro il grosso tronco di una palma. Si lasciò cadere lungo il tronco e si mise seduto ai piedi dell’alta pianta, mentre continuava a versare lacrime amare con in mano la fascetta.

Tzukino si accomodò al suo fianco, carezzandogli dolcemente la testa.

“Se sono debole, posso sempre rinforzarmi, allenarmi; se sono insicuro, sfiderò i peggiori esseri e mi misurerò con le mie paure; se sono stupido, alimenterò la mia mente con la curiosità e nozioni sempre nuove…”.

“Suvvia, signor Oropa”, lo consolò la ragazzina. “Lei non è nulla di tutto ciò!”.

“Ma io non posso… fare nulla, per cambiare la mia origine!”, si sfogò il ragazzo con un grido soffocato. “Sono arrivato qui così e non posso cambiare questo!”, concluse mentre si mordeva il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

“Oropa, non faccia così”, proseguì Tzukino, determinata a consolare l’affranto ragazzo. “Probabilmente Benten è rimasta molto colpita dall’essere stata sconfitta così facilmente, ed essendo una donna molto orgogliosa… ha detto quella cosa per ferirla, ma sono sicura che lei non lo…”.

“Basta! Non dire altro, per favore!”, le ordinò Oropa. “Non spetta a te dirmi se era solo un insulto dettato dalla rabbia del momento. Voglio cercare da solo la mia verità!”.

“Ben detto!”, esclamò uno strano individuo che avanzava camminando nella loro direzione.

Oropa vide un ragazzo più grande di lui coi capelli corti e scuri, una barba ispida e leggermente incolta e lo sguardo saccente e fiero.

“Ti chiami Oropa, giusto?”, chiese il giovane uomo allungando la mano verso il ragazzo biondo che la strinse nella sua. “Esatto!”, disse. “Ora scusi, ma è un momento complicato e non ho molta voglia di fare amicizia”.

“E’ solo colpa tua!”, esclamò l’individuo, assumendo una postura marziale.

“E tu che diavolo ne sai?”, ringhiò Oropa a denti stretti.

“Il mio nome è Ryoda, ho vent’anni e adoro la storia, la letteratura e la narrativa perché la parola è potere!”.

“Affari tuoi!”, rispose seccato l’apprendista di Orochi, voltandogli le spalle ed allontanandosi.

“Aspetta un momento!”, gli rispose il compagno di Kurama. “Voglio solo parlare con te. Ho assistito a tutta la scena e trovo ingiusto ciò che ti è stato detto”.

“E tu che ne sai di me?”.

“Più o meno tutto! La mia compagna Kurama mi ha raccontato ogni cosa sul tuo conto”.

Detto ciò, Ryoda invitò Oropa a sedersi con lui all’ombra della palma.

“Cosa volevi dirmi?”, gli chiese il ragazzo dai capelli biondi.

“Sai, una volta ho letto un libro intitolato Il piccolo principe che narra la storia di un giovane principino che vaga di stella in stella facendo degli incontri interessanti”, esordì l’insegnante di Storia terrestre originario di Meiji. “Un giorno, il principino incontrò una volpe e volle farsela amica, ma la volpe cercò di evitare lo sconosciuto. Il principino, per tutta risposta, cercò di convincerla a giocare con lui. Ad un certo punto, la bestiola gli disse più o meno queste parole: Se mi vuoi, addomesticami e vieni ogni giorno qui alla stessa ora. Io ti aspetterò e mi preoccuperò per ogni minuto di ritardo; ogni giorno mi avvicinerò di un passo a te e ogni giorno trascorrerò con te un minuto di più… finché non diventeremo amici!”.

“Che bella cosa!”, esclamò Tzukino.

“Cosa ha a che vedere questa storia con me?”, domandò Oropa.

“Tu non ti sei avvicinato alla tua ragazza, ma l’hai urtata con la tua fretta di mostrarti e l’hai fatta fuggire!”, rispose Ryoda, svelando così il significato delle sue parole. “Ecco perché poi ti ha aggredito in quel modo!”.

“Che ne dici di continuare la nostra conversazione con una bottiglia di birra?”, propose all’improvviso Oropa. “Però devo chiederti di offrirmela tu perché ho diciassette anni e sono ancora minorenne!”.

“Nessun problema!”, rispose allegro Ryoda.

 

“Tu andrai a chiedergli scusa!”, impose Lamù a Benten.

Le tre aliene si erano accomodate ad un tavolo di un bar distante da quello precedente e stavano gustando un gelato. Benten, tuttavia, continuava a mescolare e rimescolare la sua coppa di gelato con aria assente e si reggeva la faccia sul palmo di una mano.

“Ti ho detto che gli chiederai scusa!”, ripeté la bella oni battendo i pugni sul tavolo.

“Non ci penso proprio…”, commentò apatica Benten.

“Credo che Lamù abbia ragione”, s’intromise Oyuki. “Sappiamo quanto sei testarda, orgogliosa e pronta al litigio, ma credo che stavolta tu sia andata troppo oltre; le tue parole avranno sicuramente ferito Oropa, quindi è quanto meno doveroso che tu porga le tue scuse a quel povero ragazzo!”.

“A me non pensate?”, chiese la dea della fortuna alle sue amiche con la fronte sul tavolo. “Quello squilibrato si è sparato nello spazio per andare alla ricerca del suo destino lasciandomi da sola senza neppure darmi sue notizie. L’ho odiato immensamente nei giorni successivi al punto da odiare anche me stessa per non essere riuscita a fermarlo. Non mi importa se è forte o debole, pavido o coraggioso, lento o veloce, intelligente o stupido… a me lui piace così com’è! Non voglio che senta questa competizione nei miei confronti!”, concluse Benten.

“Lui lo ha fatto solo per sentirsi degno di te. Come puoi non farlo tu?”, domandò Oyuki all’amica.

“D’accordo! Più tardi andrò a chiedergli scusa, ma adesso fate silenzio e lasciatemi in pace!”, sbottò la dea della fortuna poco prima che Lamù le saltasse addosso stringendola forte a sé.

 

Oropa appoggiò la bottiglia vuota sul banco di legno del chiosco, e lo stesso fece Ryoda. Tzukino era stata invitata a giocare a pallavolo da un gruppo di ragazzini e i due l’avevano spronata a partecipare; la si vedeva divertirsi in loro compagnia come una ragazzina qualunque.

“Quella ragazzina, Tzukino… è Orochi, non è vero?”, domandò a bruciapelo Ryoda al suo amico.

“Come diamine fai a saperlo?!”, chiese Oropa visibilmente stupito.

“Devi sapere che, essendo un appassionato di letteratura, ho avuto il privilegio di poter accedere al pianeta Alexandria, ove giacciono innumerevoli testi antichi scritte in tutte le lingue dei popoli dell’universo. Uno di essi si intitolava La genesi della divinità e narrava una storia che mi ha molto colpito. A metà volume c’era un ritratto della stessa ragazzina che ora gioca a pallavolo laggiù! Ora ascoltami bene, Oropa, perché la storia che ascolterai è struggente e dolorosa… nonché spietatamente vera!”.

 

Si narra che una notte, una splendida bambina venne al mondo fra l’affetto di una povera famiglia mentre in cielo vi era la luna piena..

Una mattina, un raggio di sole scese al suolo ed assunse le sembianze di un principe; egli bussò al portoncino in legno e si fece accogliere in quell’umile dimora… incredibilmente, la neonata aprì gli occhi, splendenti come gemme nere, e sorrise al nuovo arrivato.

Il principe la baciò sulla fronte e rivolse ai genitori i propri complimenti. Aggiunse che la bambina aveva ricevuto un dono dal bacio che avrebbe portato fortuna alla famiglia, ma che doveva essere custodito gelosamente!

Detto ciò, il principe sparì trasformandosi in luce e risalì verso il sole.

La bambina venne chiamata Tzukino.

La bimba crebbe splendida e felice, mentre la sua famiglia conobbe fortune sempre maggiori; ad ogni passo della piccola sbocciavano fiori, i suoi desideri si tramutavano in meravigliose realtà e la sua gioia inondava il piccolo villaggio di contadini.

Purtroppo, quei miracoli non sfuggirono ad occhi profittatori e la bambina venne catturata e fatta prigioniera nelle celle del maniero del proprietario terriero che governava la zona.

Costui, godendo dell’aura della bambina, conobbe grandi fortune ed ebbe una maligna idea: obbligò con le minacce Tzukino a concentrare i suoi poteri su un talismano.

Passando di mano in mano, il talismano contribuì ad un vertiginoso sviluppo tecnologico in mano a scienziati, a grandi e ricche coltivazioni in mano ad agricoltori, fino a garantire le vittorie nelle guerre a condottieri di eserciti.

Tutto ciò veniva tenuto all’oscuro alla povera Tzukino, costretta in pochi metri di cella, con una benda perennemente calata sugli splendidi occhi.

A portare alla bimba, esile e magra, cibo e bevande, era sempre un ragazzino, sordo e muto, scelto proprio in virtù dell’impossibilità di comunicare la verità alla piccola.

Costei, desiderosa di conoscere chi si prendeva cura di lei, imparò a leggere le menti e così, la verità le fu svelata.

Tzukino pensava che la sua fortuna venisse impiegata per il bene comune ed invece, grazie ai suoi poteri, inventarono polvere da sparo, armi da fuoco, terribili veleni; impoverirono terre saccheggiandole e coltivandole fino all’esaurimento, pescarono ogni pesce dal mare e cacciarono ogni animale libero della foresta… posero fine ad intere nazioni.

Tzukino restò orribilmente segnata nell’animo da quella scoperta e il suo giovane servitore, vedendola disperata, si ripromise di farla scappare, ma le guardie li catturarono dopo pochi metri di fuga.

Torturarono il ragazzino fino allo sfinimento e costrinsero Tzukino ad impiegare sempre maggiormente i suoi poteri, con la minaccia che se si fosse rifiutata di collaborare, il giovane sarebbe stato ucciso.

Purtroppo, la terra così impoverita non dava più frutti, il mare era svuotato di ogni pesce, il bosco era spento di ogni vita; le popolazioni cominciarono a rivoltarsi, uccidendosi fra loro per un tozzo di pane.

Fame, malattie, guerre flagellarono l’intero pianeta e neppure la fortuna di una dea era in grado di porre fine a tutto ciò.

Tzukino, nella sua mente, ascoltava ogni preghiera, ogni strazio, ogni sofferenza di ciascuna persona… sentì la sua famiglia morire bruciata viva nella loro dimora ed il ragazzo venne impiccato per via del fatto che la bambina non dava i risultati sperati.

Al colmo della disperazione, una voce la guidò alla luce.

Si narra che la gigantesca dimora del proprietario terriero, simile ad una montagna, si spezzò in due ed un gigantesco drago alato riempì il cielo nero della notte e distrusse quel mondo malato, purificandolo nel fuoco e nel fulmine, spazzandolo con tempeste di ghiaccio e rovesciando i mari sulla terra con la furia dei venti, portando finalmente la pace e il silenzio.

Tuttavia, il possente drago si spaventò del suo enorme potere e si rifugiò nell’infinità dell’universo.

Pentito della strage che aveva compiuto, il possente drago scisse il suo potere nel seme di nuovi pianeti e nuovi esseri, creando popolazioni che custodivano dentro di esse parte del suo immenso potere.

Le oni assorbirono un drago di pura energia elettrica e gli oni un drago di fuoco; alle dee andò parte della sua immensa fortuna, ai tengu andò il soffio della lucertola alata del vento ed un grosso varano vagò per quelle terre custodendo il rancore, mentre il gelo e la furia dell’acqua furono confinate su Nettuno.

Si narra che da qualche parte nell’universo, una serpe enorme e spietata porti gioia ai sinceri e morte ai falsi, ed attenda, così svuotata di gran parte dei suoi poteri, che le sue memorie vadano sigillate nella terra del riposo e che la sua anima straziata possa finalmente trovare la pace.

Quella serpe, originata dalla disperazione di Tzukino, porta il nome di Orochi.

 

Oropa appoggiò la bottiglia vuota sul bancone e Ryoda a sua volta scolò la sua per lenire la gola riarsa dopo il racconto.

Il ragazzo biondo, sotto gli effetti dell’alcool, guardò Tzukino che giocava in acqua in compagnia di altri giovani da poco conosciuti.

Poi fissò intensamente la sua bottiglia, e disse: “Ordina ancora, amico mio…”.

“Mi piacerebbe molto diventare un tipo come te”, sospirò Oropa. “Conosci un sacco di cose e usi le tue conoscenze al servizio del prossimo... invece io non riesco a fare niente per nessuno, nemmeno a far capire alla mia ragazza che… oramai non è più tale, visto che mi ha respinto alla grande… e poi Tzukino… che passa una vita in totale solitudine su un sasso sperduto nell’universo… non so cosa dovrei fare con lei… mi prende una voglia di baciarla e non lasciarla più… come con Benten… voglio dire che…”.

“Sei già ubriaco!”, ridacchiò Ryoda dando una pacca sulla spalla del ragazzo.

“Ascoltami bene, amico mio: nessuno può dirti una verità assoluta sull’amore… perché ognuno di noi ha una concezione differente su di esso… però, sappi che l’amore può anche essere una scelta. Prendi me, per esempio: ho passato la prima notte con Kurama per onorare il debito che i miei datori di lavoro avevano contratto con lei, ma poi ho scelto di restare al suo fianco, godendo della sua compagnia, scolpendo il mio essere sulle sue spigolature… giorno per giorno, io e lei ci affezioneremo sempre più, come la volpe ed il principino, e ci innamoreremo lentamente l’uno dell’altra, accettandoci lentamente, senza urtarci!”.

“Senti, Ryoda… ma la storia che mi hai raccontato prima è… attendibile?”.

“Lo è!”, esclamò Tzukino alle loro spalle. “Avevo appena compiuto quattordici anni”.

Oropa cadde dallo sgabello per lo spavento, finendo con la faccia nella sabbia.

“Signor Ryoda, la prego di non svelare a nessuno ciò che ha appreso da quel testo… è la storia autentica, e lei è stato l’unico a saper decifrare quel testo finora! Lo scrissi io stessa, usando gli antichi caratteri del mio pianeta… ed essendo io l’unica rimasta in grado di leggerli, mai avrei pensato che un giorno qualcuno potesse conoscere il mio segreto”, disse la ragazzina.

“Ha la mia parola d’onore!”, promise solennemente il giovane insegnante di Storia terrestre.

Oropa si rialzò visibilmente contrariato, appoggiò pesantemente le mani sulle esili spalle della giovinetta e cominciò a scuoterla. “Perché non mi hai detto niente?!”, gridò. “Perché hai permesso che io facessi lo stupido con te senza conoscere una cosa così importante? Dovevi parlarmene!”.

Il giovane cominciò a singhiozzare, poi lasciò Tzukino  e cominciò a correre fra le palme, inciampando e finendo faccia al suolo a più riprese.

“Credo che sia meglio lasciare che gli passi la sbornia”, disse Ryoda alla ragazzina. “Gradirei presentarla alla mia compagnia ed invitarla a passare alcuni momenti con noi, signorina Tzukino; considero un grande onore averla incontrata!”.

“Accetto volentieri, signor Ryoda! Anch’io considero un onore passare del tempo con qualcuno che conosca appieno al mia storia senza che abbia false compassioni”.

Ryoda saldò il conto del bar con i soldi che Oropa gli aveva lasciato e i due si allontanarono.

Oropa correva fra le palme con il fiatone e la testa pesante; i suoi occhi faticavano a sbrogliare la matassa delle immagini distorte che gli si paravano davanti ed il suo senso dell’equilibrio era inebriato dai vapori dell’alcool.

“Quello è il ragazzo della sfida!”, disse una ragazza alle sue amiche in lontananza.

“Sembra che stia male!”, aggiunse una seconda.

“Non si rialza più!!”, gridò una terza.

In breve il vociare attirò l’attenzione di Benten, Lamù ed Oyuki, sdraiate nelle vicinanze.

“Oropa è svenuto!!”, gridò allarmata la bella oni  alle sue amiche.

“Fate largo!!”, gridò Benten facendosi spazio fra i curiosi in cerchio.

Oropa stava supino al suolo, con la faccia mezza seppellita nella sabbia.

Benten lo voltò e posò la sua testa sul petto del giovane. “Il cuore batte!”, pensò. Dopodiché avvicinò la faccia alla bocca del giovane ed un tanfo di alcool fece chiarezza sulle condizioni del ragazzo.

“E’ solo ubriaco!”, sentenziò la dea della fortuna.

Oropa riaprì gli occhi e la luce del tramonto trafisse la sua mente; udì  delle voci attorno a sé, riaprì gli occhi e vide le figure scure di due ragazze: una aveva le corna e l’altra emanava un’aura gelida.

“Lamù… Oyuki… dov’è Benten?”, chiese stupito il giovane.

“Chi credi che ti stia reggendo la testa, ubriacone?!”, esclamò una voce.

Oropa sollevò gli occhi ed incontrò la faccia della sua amata; con un brusco movimento cercò di portarsi in posizione seduta e successivamente di rialzarsi. Le tre aliene lo osservarono barcollare sulle ginocchia incerte fino ad andare ad appoggiarsi ad una palma, incapace di reggersi autonomamente.

Un conato di vomitò investì la sua bocca, ma il ragazzo lo ricacciò giù e batté la fronte contro il tronco.

“Ah, l’amore riduce sempre così le persone!”, sospirò forte la regina di Nettuno.

Lamù ridacchiò e Benten si sforzò di non ridere a sua volta.

“Ma certo… è questo che sono… divertente… perché se smetto di essere divertente non sono più buono a nulla, vero?!”, sussurrò Oropa con la testa pesante come un blocco di marmo.

“Adesso basta, Oropa!”, lo rimproverò Lamù. “Quello che avevi da dimostrare lo hai dimostrato! Benten è testarda e fiera!”.

“Grazie…”, bisbigliò poco convinta la bella dea.

“Lasciami finire!”, la zittì la oni. “Benten è testarda, fiera ed orgogliosa! Credevi davvero che ti cadesse fra le braccia dopo che l’hai umiliata e provocata?”.

Seguirono attimi di silenzio.

 

“Ti… chiedo… scusa!”, disse Benten faticosamente, mentre gli occhi delle tre si posarono sul ragazzo, ansiose di osservarne la reazione.

Benten si alzò, si ripulì le ginocchia dalla sabbia e si avvicinò al ragazzo, appoggiandogli dolcemente una mano sulla spalla.

“Oropa… mi dispiace davvero per ciò che ti ho detto… perdonami, se puoi”.

Gli occhi della dea si fecero lucidi, ma uno splendido sorriso apparve sul suo volto; si sentiva leggera, libera dall’angoscia di quelle parole.

“Per quanto tu possa scusarti con me, ciò non cambierà le cose”, rispose Oropa.

La sua voce tradiva i sentimenti del ragazzo: fingeva apprezzamento, ma in realtà era colmo di rancore.

Benten si spazientì e strinse le dita sulla spalla di Oropa, strattonandolo e costringendolo a voltarsi. “Detesto chi mi parla senza guardarmi in faccia!”, aggiunse ringhiando.

Incrociò il volto di Oropa e si allontanò di un passo: il ragazzo aveva gli occhi spalancati e colmi di rabbia, come un cane randagio messo all’angolo pronto ad azzannare.

“Mi disprezzi?!”, disse con le guance frementi. “Bene! Disprezzami, allora! Sai una cosa?! L’amore può essere una scelta, ma io non ho scelto di amarti! Mi è successo per caso, appena ti ho vista con i miei veri occhi! Tu…”, la sua voce si fece spezzata da brevi respiri mischiati a singhiozzi, “… sei bella, piena di energia, solare… ed io cosa sono? NIENTE!! Niente rispetto a te… ma se la debolezza si può cancellare nella forza, se, il timore lascia spazio al coraggio, se la stupidità si può nutrire di cultura… IO RIMANGO QUELLO CHE SONO, LO CAPISCI? NON E’ COLPA MIA, NON L’HO VOLUTO IO!!”.

Lamù ed Oyuki ascoltavano spaventate dall’eccessivo nervosismo del ragazzo, cercando un lume di ragione in quelle parole sconsiderate.

Benten a sua volta era incredula e si chiedeva fino a che punto avesse ferito l’animo del suo amato Oropa per trasformarlo così.

Il ragazzo riprese fiato, avanzò di qualche passo raddrizzando il busto ed afferrò la dea stringendo forte le sue spalle nelle sue mani. “Credi che io stesso non sappia di quanto assurdo sia stato il motivo che mi ha portato qui? Ma ormai sono qui ed è più importante che rimanga! Tuttavia… tuttavia… tu me lo impedisci! Sei proprio tu che mi fai sentire piccolo e fragile, come quando si osserva l’immensità del cielo in una notte stellata e ci si chiede quanto si è piccoli ed inutili rispetto all’infinità del cosmo! SEI TU STESSA A RENDERMI INSIGNIFICANTE!!”, sbraitò infine fuori di sé.

Un forte schiaffo lo fece cadere nella sabbia.

Massaggiandosi la guancia, Oropa vide che Benten stringeva i pugni e tremava, con le lacrime che le solcavano il volto.

Il ragazzo si rialzò ed un secondo schiaffo lo ricacciò al suolo.

“NEMMENO IO HO CHIESTO DI ESSERE UNA DEA!!”, gridò in lacrime Benten.

Colpito da quelle parole, Oropa si rialzò e si avvicinò all’amata, che teneva la testa bassa e le braccia lungo i fianchi.

Il ragazzo allungò un braccio in direzione del viso dell’amata per sollevarlo e poterla osservare negli occhi, ma un terzo, violentissimo ceffone lo mandò nuovamente al tappeto.

“Mi arrendo…”, pensò Oropa steso a terra col volto livido.

“Nemmeno io ho chiesto di essere una dea”, ripeté in lacrime Benten. “Per te… vorrei solo che tu la smettessi di aver paura di me… e poterti finalmente… amare… come una ragazza normale!”.

Detto questo, la ragazza si coprì il volto con le mani  e corse via.

Oropa si rialzò e tentò di seguirla, ma una violenta scarica elettrica lo investì in pieno.

“Sei uno stupido!!”, gridò Lamù prima di lanciare una seconda scarica che il ragazzo non riuscì ad evitare.

“Signor Oropa, sono ben conscia che la faccenda non mi riguarda direttamente ed è mia abitudine non intromettermi mai nei problemi altrui”, esordì Oyuki con tono distaccato. “Tuttavia, lei ha dato sfoggio di una crudeltà e stupidità senza eguali”.

Una violenta folata di vento gelido sbatté il giovane contro il grosso tronco di una palma ed un attimo dopo aculei di ghiaccio lo inchiodarono contro il legno, trattenendolo per i lembi dei vestiti.

“Il ghiaccio si scioglierà in un paio d’ore, signor Oropa. Ne approfitti per farsi un esame di coscienza!”, concluse la regina di Nettuno prima di allontanarsi silenziosa.

 

“E’ già il tramonto!”, disse Kurama guardando la rossa palla infuocata spegnersi sulla superficie del mare all'orizzonte.

“Credo che sia ora che io recuperi il signor Oropa”, affermò Tzukino. “Grazie del gelato che mi avete offerto; è stato un piacere chiacchierare con voi!”.

Ryoda e Kurama salutarono la ragazzina che si allontanò correndo in direzione della boscaglia di palme.

“Simpatica ragazzina… anche se ha lo sguardo un po’ triste”, commentò la principessa dei tengu. “Non ci ha nemmeno detto da che pianeta proviene e come ha incontrato quell'Oropa!”.

“Tutte le ragazzine sono un po’ sbadate alla sua età...”, sentenziò Ryoda.

I due rimasero ad osservare il tramonto, poi il professore abbracciò l'amata cingendogli la vita con le braccia e dopo averle sussurrato qualcosa all’orecchio, si baciarono appassionatamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** I preparativi per il grande evento ***


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I PREPARATIVI PER IL GRANDE EVENTO

 

“Eccoti qui!”, disse Tzukino al cospetto del ragazzo ancora appeso al tronco della palma.

“Te la sei passata male… a quanto pare!”, scherzò la ragazzina.

“Questa è… la fine, vero?”, chiese lui con un filo di voce. “Io l'ho… perduta per sempre, vero? Sono stato un vero stupido!”.

“Cosa farai adesso?”, chiese Tzukino mentre rimuoveva le scaglie di ghiaccio che lo tenevano inchiodato.

“Io… non lo so. Sono stato troppo stupido, cieco, orgoglioso, immaturo… per quanto mi creda pronto e deciso, non sarò mai degno di una ragazza come lei”.

Tzukino lo liberò ed il ragazzo finalmente poggiò i piedi al suolo, reggendosi a stento.

“Mi acconsente di poter parlare con Benten?”, domandò la giovinetta con un dolce sorriso.

“Fai come meglio credi…”,  rispose Oropa.

 

Benten, Oyuki e Lamù stavano risalendo al parcheggio, strette fra decine di persone dentro al tunnel ascensore...

Nel grande piazzale, che andava svuotandosi, le tre amiche rimasero a contemplare la sfera sotto di loro: il sole tingeva d’oro la superficie piatta dell’acqua e le porzioni di terra ricche di vegetazione si scurivano gradualmente, formando un bel contrasto.

“Domani ci aspetta una giornata faticosa”, esordì Lamù cercando di rallegrare la cupa atmosfera. “Stanotte andrò sulla Terra a prendere i miei amici!”.

“Io porterò Bi-M-Bo e sarò dello schieramento degli dei”, affermò Oyuki.

Improvvisamente, la dea si portò le mani fra i capelli.

“NON FARE DOMANDE, BENTEN! ASCOLTA SOLTANTO CIO' CHE HO DA DIRE!”, disse una voce potente che si faceva largo nei suoi pensieri, invadendo la sua mente.

La ragazza si ritrovò immersa nel buio e davanti a sé apparve una gigantesca serpe con due enormi corna ramificate e giganteschi occhi gialli.

“Tu sei… OROCHI?!”, esclamò stupita e spaventata.

“TI HO DETTO DI NON FARE DOMANDE. ASCOLTAMI!”.

"Sì… v-va bene”.

“HO SOTTOPOSTO OROPA A MOLTE PROVE; GLI HO MOSTRATO GRANDI TRAGEDIE, HA ASSAPORATO DISPERAZIONE E DOLORE… CENTO VOLTE SI E' APERTO IL BARATRO DELLA MORTE SOTTO DI LUI, CENTO VOLTE AVREBBE POTUTO ABBANDONARSI ALLA FINE PER IL FREDDO, PER LA FAME, PER LA DEBOLEZZA, PER LE FERITE E PER L'ORRORE…”.

Mentre udiva quella voce, Benten vedeva il suo amato ora lottare dentro una buia e stretta grotta contro un enorme verme che dilaniava la sua pelle, ora lo vedeva abbattere alberi, ora spaccare pietre; lo vide stringere a sé un bambino, immobile sotto la pioggia torrenziale ed udì il suo straziante urlo disperato; lo vide  scavare nel fango, lottare contro enormi insetti carnivori, scalare una gelida montagna per portare un fiore curativo ad un anziano malato; lo vide combattere e gioire, cadere e soffrire, rialzarsi e provare ancora; lo vide piangere e ridere, coperto di melma in una palude e bello come il sole nella luce del mattino, mentre dormiva col viso beato come quello di un santo.

“DOVE CENTO VOLTE AVREBBE POTUTO MORIRE… OROPA  AVEVA UN MOTIVO, PER AVANZARE ANCHE SOLO DI UN ALTRO PASSO…”.

Improvvisamente la Dea vide se stessa nel cielo stellato e Oropa su un sasso alla deriva nello spazio, piccolo e fragile, che tendeva una mano verso lei.

“QUANDO TUTTO ERA TROPPO, LUI SI AGGRAPPAVA A TE E OGNI VOLTA SORRIDEVA AL DOMANI”.

 

“Benten, stai bene?!”, la chiamò con uno scossone Lamù.

La bella aliena la fissava con occhi curiosi e lo stesso faceva Oyuki, accovacciata al suo fianco.

La dea della fortuna si voltò a destra e sinistra, si grattò la nuca e si alzò. “Sembrava… un sogno!”, esclamò fra lo stupore delle amiche.

“Ma che cosa stai dicendo?!”, chiese Oyuki appoggiando una mano sulla fronte dell’amica per controllare che la temperatura fosse nella norma.

“Non mi seccate!”, sbottò Benten portandosi le mani sui fianchi e sorridendo con quell’aria fiera tipica del suo carattere. “Muoviamoci, ora! Prima vi scarico a casa vostra e prima potrò completare le preparazioni per la grande battaglia!”.

La ragazza alzò un braccio davanti a sé e strinse un pugno, come se avesse catturato qualcosa e non volesse più lasciarlo. “Domani… sarà la mia preda!”.

 

Oropa prese una gomma da masticare alla menta dalla tasca e se la portò alla bocca mentre si sedeva nella sabbia, appoggiando la schiena al tronco di una palma.

Contemplò il tramonto, l’aria fresca della sera e la figura esile ed aggraziata di Tzukino, che restava in piedi vicino a lui ad ammirare lo stesso spettacolo.

Ripensò alla leggenda della divinità che gli aveva raccontato Ryoda e siccome nelle vicinanze non c’erano cestini per l’immondizia, ingoiò la gomma.

“Siediti qui, Tzukino”, propose alla ragazzina. Così dicendo indicò lo spazio libero fra le sue gambe divaricate, tenute con le ginocchia piegate ed i piedi ben piantati nella sabbia. La ragazzina, incredibilmente, obbedì senza porre domanda alcuna.

“Appoggia la tua schiena sul mio petto”, disse Oropa con gentilezza.

Allungò le braccia intorno al collo di Tzukino  e rimasero a lungo in silenzio, mentre la superficie del mare appariva come increspata di mille serpenti dorati ed il sole affogava nell’acqua in un lento abbandonarsi.

“Mi spiace di averti rovinato la giornata”, bisbigliò il ragazzo.

“Non ha rovinato nulla… anzi, le sono molto grata per avermi portata qui… è stato bello”, rispose Tzukino con la sua voce tenera.

Le prime stelle comparvero nel cielo che andava scurendosi; Oropa, nella sua mente, ebbe un fremito. Tzukino ascoltò quel pensiero e voltò la testa fino ad incontrare gli occhi socchiusi del giovane.

Oropa avvertì i battiti nel suo petto accelerare come impazziti, mentre affondava lentamente in quei tristi, splendidi occhi neri.

Le sue labbra si appoggiarono su quelle di Tzukino.

La ragazza avvertì una morbida e sensuale presenza scivolare sulla lingua, dentro la sua bocca, che chiedeva soltanto che quella dolce carezza fosse ricambiata.

Le braccia di lui si strinsero intorno al busto della ragazza con maggior vigore, mentre lei abbandonava se stessa in quel bacio: non vi furono pensieri o parole, ma un solo, lungo, splendido bacio.

Riaprì gli occhi e vide quelli di lui, vicinissimi, ancora socchiusi: erano umidi e languidi. Arrossì leggermente prima di separare le sue labbra da quelle del ragazzo.

“Oropa, io non… lei non doveva”, sussurrò lei.

“Hai compiuto da poco quattordici anni, no? Me lo hai detto tu che questa è l’età in cui una ragazzina si trasforma in donna; è qui che esplodono i primi, travolgenti amori e si scoprono i primi baci”, rispose lui con parole affettuose. “Io non so cos’altro avrei potuto fare per te… tu hai fatto tanto per me. Mi sono presentato a te senza sapere nulla della tua storia, della tua sofferenza… se anche questo mio bacio fosse per te importante, saprei che non sono stato solo un impiccio… e poi, ho solo tre anni più di te!”.

“E Benten?”.

“Glielo dirò e mi assumerò le responsabilità delle mie azioni. Però… questo era il giorno che volevo regalarti e ho pensato di renderlo maggiormente speciale! Ho forse sbagliato?”.

“E’ stato meraviglioso!”, esclamò felicissima Tzukino. “Ho sempre creduto che oramai le normali emozioni di ragazza mi fossero precluse per sempre… non dimenticherò mai queste ore di mare passate con lei… mi ha riportata alla vita!”, disse infine appoggiando la testa contro il collo di Oropa.

“Senza contare il fatto che Benten mi ha mollato!”, si giustificò il ragazzo.

“Allora… potrebbe farlo ancora?”.

“Forse…”, proseguì Oropa sfacciatamente poco prima di posare nuovamente le sue labbra su quelle di Tzukino… e questa volta fu la ragazzina a spingersi nella bocca di lui.

“Ora però è meglio se facciamo ritorno”, aggiunse Tzukino una volta che la sua bocca fu nuovamente libera. “Domani sarò l’arbitro della contesa; conteggerò le catture effettuate e devo essere in forze!”.

 

Oropa recuperò le loro cose dall’armadietto e la raggiunse tendendogli una mano; un istante dopo erano nuovamente sull’asteroide ed il ragazzo corse a buttarsi nella fonte della guarigione. “Domani sarà un compitino facile”, disse sicuro di sé.

“NON CI SCOMMETTEREI TROPPO, OROPA!”, affermò Tzukino ritornata sotto le spoglie della divina serpe Orochi. “DOMANI BENTEN TI INFLIGGERA' UNA SICURA SCONFITTA”.

Oropa strizzò i vestiti ed indossò lo yukata, preparò alcuni piccoli sacchetti su un pezzo di corda e li dispose vicino ad Obelion; poi fissò con aria di sfida la serpe e disse: “Non credo proprio, dal momento che porterò Obelion”.

“OROPA, HAI DIMOSTRATO DI AVERE TANTA FORZA DA CAPESTARE L’AMORE  IN NOME DELL’ONORE, MA LA TUA BENTEN, HA DIMOSTRATO DI AVERE TANTA FORZA DA CALPESTARE L’ONORE IN NOME DELL’AMORE! NON COLMERAI MAI QUESTA DISTANZA SE NON CAPIRAI QUANTO SIA COSTATO, PER UNA RAGAZZA FIERA E BATTAGLIERA COME LEI, CHIEDERTI SCUSA COME HA FATTO OGGI”.

Detto ciò, la serpe si arrotolò su se stessa e prese a dormire beata.

Oropa si distese al suolo e chiuse gli occhi. “Forza, potere, gloria…”, pensò, “domani afferrerò direttamente sul campo di battaglia ciò che voglio e supererò chiunque. Io sarò sempre un passo avanti!”.

“TI SEI MONTATO TROPPO LA TESTA!”, lo ammonì Orochi.

 

Lamù atterrò con la sua astronave davanti al piazzale del liceo Tomobiki.

Nonostante fosse ancora notte fonda, una piccola folla si era radunata ad attenderla e Mendo, Ryuunosuke e Shinobu salirono a bordo.

“Dov’è quel codardo di Moroboshi?”, chiese Shutaro prendendo posto.

“Sta… meditando nello sgabuzzino!”, rispose la bella aliena guardando altrove.

Ryuunosuke aprì una piccola botola sul pavimento, dalla quale giungevano sinistri rumori ed il ragazzo fece capolino, con mani e piedi legati ed una benda sulla bocca.

“Ho dovuto farlo, dato che si rifiutava di partecipare”, esclamò sincera Lamù.

“TU SEI PAZZA!!”, gridò Ataru liberatosi della scomoda benda che gli impediva di parlare liberamente. “Vuoi trascinarci tutti in una delle tue stupide guerre contro gli dei! Noi semplici esseri umani siamo troppo deboli!”.

“Parla per te, mollusco!”, sbraitò Mendo appoggiando la katana sotto il mento dell’agitato compagno di classe.

“Ataru, sei sempre il solito fifone!”, lo bollò Shinobu.

“Mezza cartuccia!”, commentò indignata Ryuunosuke.

“Shinobu ha ragione: sei proprio un fifone!” disse Ten, rivolgendosi ad Ataru.

“Non sarà pericoloso per un moccioso come te?”, chiese Mendo prima che una fiammata lo investisse in pieno.

“Niente affatto!”, rispose il cuginetto di Lamù con aria di sfida. “Domani ammirerete la mia ultima creazione: il SUPER TEN MECHA ARMOR AUTOMATIC III!”.

“SALTO NELL’IPERSPAZIO FRA TRE, DUE, UNO… ZERO. GO!!!”, gridò Lamù mentre il povero Ataru finì stampato contro una parete dalla violenta accelerazione della navicella. “Cominciamo bene…”, commentò debolmente.

 

L’ufo di Benten atterrò su Nettuno nei pressi della dimora di Oyuki. Molte fanciulle furono inviate ad accoglierla nel più caloroso dei modi, ma la dea bruscamente si fece strada da sola. “OYUKI, SIAMO PRONTE?!?”, gridò poi nell’atrio in modo che la sua voce rimbombasse in ogni stanza.

La regina di Nettuno scese lentamente le scale, seguita da Bi-M-Bo.

“La trovo in splendida forma, signorina Benten”, esclamò poi lo yeti tendendo una mano alla ragazza in segno di amicizia. Benten gli afferrò il braccio e catapultò la povera bestiola contro un pilastro, facendolo tremare. “Non mi piacciono i debosciati flemmatici, sacco di pulci!”, disse all’indirizzo del peloso essere.

“Ti trovo proprio raggiante!”, esclamò Oyuki divertita da quella scenetta.

La regina di Nettuno indossava il suo esoscheletro da battaglia bianco perlato, composto da un’aderente veste in uno speciale tessuto in grado di incrementare i tempi di risposta muscolari e di accrescerne la forza in modo esponenziale. Alcune sottili placche di una speciale fibra fornivano una protezione pressoché impenetrabile a qualsiasi colpo di arma balistica ed erano disposte su tutto il corpo in modo da sovrapporsi come le scaglie di un pesce.

“Ti dona proprio… peccato che non potrai indossare l’elmo, visto che per regolamento la testa dovrà essere scoperta”, aggiunse la dea invitando i due a salire sulla sua navicella.

“Anch’io ho una bella sorpresina per un esaltato di mia conoscenza”, continuò una volta a bordo.

“Sarà dura affrontare Oropa, visto che ci ha sconfitte una volta”, disse Oyuki.

“Non ricordarmi queste cose prima di una battaglia!”, le gridò contro l’amazzone aliena.

“Signorina Benten, questo modo di esprimersi non è affatto conscio ad una dea della sua levatura!”, la rimproverò Bi-M-Bo.

“Se non la pianti, farai la sua stessa fine!”, lo fulminò Benten con uno sguardo tale da rizzargli ogni pelo sul corpo mentre l’astronave effettuava il salto nell’iperspazio.

 

“Ci dobbiamo già alzare?”, chiese con un filo di voce Kurama al suo compagno, ancora avvolti sotto le soffici lenzuola di seta.

“Siamo stati invitati e sarebbe scortese non presentarsi affatto”, disse lui.

“Detesto queste stupide tradizioni! Specialmente, poi, se mi distolgono da piacevoli attività…”, disse la principessa dei tengu poco prima di baciare con ardore il proprio partner.

“Avanti, cara… sono sicuro che sarà una giornata divertente! Per uno studioso come me, stare all’aria aperta è un vero toccasana!”.

“E va bene!”, disse lei sorridendo. “Prima, però, ho un regalo da darti che penso ti sarà estremamente utile… dal momento che diverrai il re dei tengu!”.

 

“Eccoci finalmente al grande giorno!”, sospirò Oropa trascinandosi alla fonte della guarigione.

“Perché sei così poco entusiasta?”, gli chiese Tzukino mentre si lavava il viso, inginocchiata sulla riva del laghetto.

Oropa la fissò intensamente e in cuor suo provava angoscia all’idea che questa sarebbe stata l’ultima giornata passata con lei. “Non so più cosa voglio”, ammise sinceramente.

Tzukino lo osservò in silenzio, mentre il ragazzo teneva lo sguardo fisso nel suo riflesso sull’acqua.

“Ciò che ho fatto qui mi ha fatto sentire forte ed utile al prossimo… questo continuo essere messo alla prova mi fa sentire vivo! Sentirsi sempre spronati a migliorarsi è una sensazione magnifica, non credo di essere in grado di rinunciarvi…”.

“Sei uno stupido!”, sibilò Tzukino.

Oropa rimase in silenzio, ma accennò un sorriso.

La ragazzina, invece, si alzò e strinse i pugni. “Tu…tu sei un BUGIARDO!!”, gridò fuori di sé.

“Tu e il tuo vizio di curiosarmi in testa…”, sospirò il ragazzo prima di voltarsi e fissare i suoi occhi in quelli enormi e gialli della serpe.

“MI HAI MENTITO, OROPA”, disse con voce seria Orochi, sollevando l’enorme testa.

“Sì, l’ho fatto!”, rispose lui con un sorriso di sfida. “Ma tu sai comunque la verità… e poi è solo parte di una verità che avrei voluto celarti”.

“NON FA DIFFERENZA!”.

“Invece sì, bestiaccia! Voglio restare al tuo fianco fino alla fine dei miei giorni!”.

Oropa corse rapido ed impugnò Obelion, aggirando l’enorme serpe e puntando lo spadone all’indirizzo del possente essere.

“In questi due mesi io ho amato intensamente Benten; l’ho avuta al mio fianco in ogni momento, ma incontrarla nuovamente l’ha solo portata ad allontanarsi da me! Vivendo qui la mia vita, potrò amarla per sempre ed aiutare la gente senza essere costretto ad abbandonarti alla solitudine!”.

Un lampo lo accecò; quando riaprì gli occhi, Tzukino lo osservava con aria delusa ed amareggiata.

“Ovviamente”, esordì la ragazzina, “non pensi affatto alla sottoscritta, che in questo caso sarebbe costretta a vederti invecchiare ed infine morire. Sarei comunque costretta  alla solitudine, Oropa, ma sarebbe più feroce, dopo aver passato tutto quel tempo con te… inoltre, io resterò per sempre una ragazzina di quattordici anni e non potrei seguirti nella tua crescita…”.

Mentre parlava, le prime lacrime bagnarono i suoi occhi per poi scendere lungo le pallide guance.

“Sei un egoista!”, lo bollò infine. “Pensavo di averti insegnato qualcosa… invece sei sempre il solito. Pensi solo a ciò che è meglio per te; abbandoneresti chiunque pur di fare ciò che vuoi, di arrivare dove vuoi. Io ti… ti ODIO!”.

Oropa lasciò cade al suolo lo spadone e si allontanò, andandosi a sedere contro un albero.

Si portò le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi; poi ammise: “Hai ragione tu, su tutta la linea”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Le regole della contesa ***


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LE REGOLE DELLA CONTESA

 

Sul pianeta Silva, gli oni e gli dèi della fortuna stavano ultimando di disporre il campo di partenza in uno stretto canyon. C’era chi allestiva bancarelle dove acquistare armi e munizioni da addestramento, altri montavano cucine da campo, qualcuno teneva un briefing con i compagni, altri ancora ridevano e scherzavano in compagnia.

Il padre di Lamù, bardato nella sua tenuta da battaglia, istruiva gli uomini sulle tattiche di guerriglia in ambiente boschivo.

“Le squadre saranno di quattro uomini; ognuno copra il compagno e procedete in silenzio! Se qualcuno avvista il nemico, che fermi il gruppo e si decida insieme la tattica da adottare!", gridò il grosso oni. “Aprite il fuoco solo se necessario! Ricordate che un agguato portato nel silenzio è sempre da preferire ad un assalto diretto!”.

“SISSIGNORE!”, gridarono in coro i soldati.

“Purtroppo, anche questa volta fra le nostre fila annoveriamo quell’incapace del mio genero”, proseguì il comandante delle truppe di Uru mentre fra i suoi uomini cominciò a serpeggiare il malumore. “Nel caso in cui si venga in contatto col soggetto in questione, vi ordino di stordirlo e nasconderlo in un cespuglio in modo da contenere i suoi disastri. Sono stato chiaro?”.

“SISSIGNORE!”, urlarono in coro i soldati con rinnovato vigore.

 

Fra le fila degli dèi, un robusto e anziano guerriero impartiva la linea d’azione da un alto soppalco. “Gli oni sono dei codardi e sicuramente si muoveranno in piccoli gruppi. ATTACCHIAMOLI SENZA DARE LORO TREGUA!! E RICORDATEVI CHE CON LORO C’E’ QUEL TERRESTRE INCAPACE DI ATARU MOROBOSHI!!”, ordinò l’anziano dio mentre i suoi simili alzavano al cielo i grossi fucili da addestramento coi caricatori pieni di tondi bossoli in gomma.

 

Benten si chiuse la zip della sua divisa da combattimento e sorrise soddisfatta.

Quella speciale tuta era realizzata con le più innovative tecnologie disponibili nel campo degli indumenti da battaglia. Era leggerissima e la speciale fibra di cui era composta garantiva traspirabilità e termoregolazione; sulla pianta dei piedi e sui palmi delle mani erano disposti degli speciali cuscinetti adesivi comandati elettronicamente dagli impulsi mentali di chi la vestiva.

In più, lo specialissimo indumento garantiva tempi di risposta dei movimenti annullati, stimolando i recettori nevralgici con impulsi elettrici.

Il mimetismo era garantito da un rivestimento in fibre ottiche bidimensionali, in grado di copiare esattamente i colori della superficie con cui veniva in contatto.

A chiudere le incredibili qualità, una corazza elastica e chitinosa capace di deflettere sia i colpi di arma a raggi che i proiettili balistici.

La dea si specchiò: la tuta da combattimento fasciava il suo bel corpo in maniera eccelsa, mettendo in risalto l’armonia delle curve e le lunghe gambe.

Uscì dall’astronave e si sdraiò nel prato della radura; un istante dopo si rialzò con una perfetta livrea mimetica.

Oyuki e Bi-M-Bo la attendevano già al campo base, quindi balzò in sella alla moto spaziale e vi si diresse a tutta velocità.

 

“E’ arrivata!”, gridò Lamù andandole incontro volando.

Anche la bella oni vestiva una strepitosa tenuta da combattimento, tigrata come suo solito, ma simile a quella di Oyuki per forma e caratteristiche.

“Con quella roba da museo addosso, non sarai mai i grado di competere con me!”, la schernì la dea scendendo dal suo veicolo.

“Vedremo…”, rispose l’amica con aria di sfida.

Vedendo Benten, Ataru tentò un approccio lanciandosi contro di lei, ma la ragazza si spostò di lato facendogli lo sgambetto.

“Indossate tutti la stessa tuta, a quanto vedo!”, notò l’amazzone aliena.

Shutaro abbassò la testa e strinse lo shinai in bambù che si era portato in sostituzione della sua katana proibita dal regolamento; in cuor suo, odiava quella tuta tigrata, per quanto accrescesse le sue capacità di combattimento. Anche Ryuunosuke e Shinobu gradivano poco il vistosissimo indumento e si osservavano a vicenda perplesse.

Ataru, invece, era ben contento di indossare una protezione, memore delle precedenti “feste” fra oni e dèi… e gradiva molto il fatto che queste tute fossero aderenti sui corpi femminili, lasciando poco all’immaginazione riguardo le misure delle ragazze.

“Per fortuna ho mollato Shinobu!”, pensò. “E’ piatta come una tavola! Invece Ryuunosuke ha una carrozzeria invidiabile, anche se i continui allenamenti l’hanno resa un poco sgraziata… però le sue tette sono proprio tonde! Lamù è una autentica bomba! Seno, vita, fianchi, glutei, lunghezza delle gambe… è perfetta! Benten è la più agile e longilinea del lotto: le forme non gli mancano, ma sono meno appariscenti. Sarebbe una perfetta indossatrice!”.

Vedendo che il suo tesoruccio perdeva bava dalla bocca, Lamù lo richiamò dai suoi pensieri con una scossa elettrica di breve intensità.

Oyuki e Bi-M-Bo si congiunsero al gruppetto. “Il clima temperato ed asciutto di questo pur splendido pianeta è per me fonte di non pochi grattacapi!”, si lamentò il possente mammifero fra lo stupore generale.

“Incredibile!”, esclamò Lamù.

“Tutto merito del signor Ryoda; è stato veramente eccezionale!”, commentò Oyuki.

“Peccato che tu l’abbia lasciato a quella strega vestita di nero!”, sbottò Benten.

In quel preciso istante, una violenta folata di vento annunciò l’arrivo di Kurama e del suo compagno.

Come aveva già fatto con Benten, Ataru si avventò sulla principessa dei tengu, ma il suo passionale slancio venne arrestato da un pesante libro di Storia terrestre che Ryoda aveva frapposto fra la bocca protesa del ragazzo ed il viso dell’amata.

“Se non la smetti immediatamente di fare certe figuracce, ti friggo!”, minacciò Lamù sull’orlo di una crisi di gelosia.

“Quando comincia la festa?”, chiese Kurama con indosso un sensuale body attillato nero.

Il suo partner, invece, indossava uno yukata classico, ma appariva gonfio sulle spalle e molto più voluminoso. “A proposito, dov’è Oropa?”, domandò.

“Proprio qui!”, rispose l’interessato appoggiato ad un albero e con le braccia conserte. La sua espressione era severa e portava sulla schiena uno spadone d’osso bluastro.

Rimasero tutti in silenzio, ma Shutaro ed Ataru sorrisero di gioia nel vedere che l’amico era vivo e in salute… da due mesi non avevano sue notizie ed ora era nuovamente lì con loro!

“E’ bello rivederti, Oropa!”, esclamò Ryoda salutandolo calorosamente come amici di vecchia data. “Ti senti meglio dopo la bevuta della scorsa volta?”.

“Puoi giurarci!”.

“Dov’è Tzukino?”.

“Sta ultimando i preparativi per la battaglia. Lei sarà l’arbitro della contesa, come disposto da Orochi!”.

“Quindi la tua fidanzatina farà l’arbitro… una situazione a te favorevole, credo”, intervenne Benten, avvicinandosi al ragazzo con passi misurati e le braccia conserte.

“Non è la mia fidanzatina e ti posso assicurare che sarà assolutamente imparziale!”, rispose Oropa.

I due si fermarono faccia a faccia, poi si voltarono all’unisono ed andarono ognuno per la sua strada.

Da un altoparlante arrivò l’invito a tutti i partecipanti per radunarsi all’uscita del campo base, dove sarebbero state ripetute le poche regole prima dell’inizio della battaglia.

“Lo detesto!”, confidò Benten a Lamù ed Oyuki mentre osservava il giovane chiacchierare allegramente con Ataru e Shutaro.

Ryoda, invece, scrutava la zona con lo sguardo: subito fuori dal canyon, si estendeva una fitta boscaglia frazionata da alcune radure di erba alta… uno scenario ideale per uno scontro!

Kurama, accorgendosi dell’eccitazione trattenuta a stento dal partner, gli sorrise prima di stampargli un bacio sulla guancia.

Tutti i partecipanti si radunarono al cospetto dei due capi degli schieramenti, con Tzukino in piedi in mezzo a loro e con davanti a sé una cattedra.

“La contesa avrà durata fino al tramonto!”, esclamò la ragazzina con aria solenne. “E’ assolutamente vietato usare armi da taglio e da fuoco. Saranno ammessi solo strumenti da allenamento e saranno conteggiati solo i timbri sulla fronte!”.

Così dicendo, fece cenno ai due comandanti di distribuire ai partecipanti i timbri.

“Il cacciatore avrà un timbro unico. Chi viene timbrato dovrà fare ritorno qui; provvederò io stessa a conteggiare la cattura e a cancellare lo speciale inchiostro indelebile. Il simbolo degli oni sarà un quadrato nero, gli dèi avranno un triangolo rosso e il cacciatore una croce verde!”.

Tzukino si alzò e andò personalmente a consegnare il timbro speciale ad Oropa.

I due schieramenti si raggrupparono: gli oni a destra, gli dèi a sinistra e il cacciatore al centro.

“Ultima regola: la cattura del cacciatore equivarrà a cento punti extra!”, concluse la giovinetta.

Un minaccioso mormorio si levò dai due schieramenti e Oropa non poté fare a meno di notare occhi famelici posati su di lui.

Un enorme robot da battaglia, simile ad un tirannosauro metallico, fece la sua comparsa emettendo uno stridente ruggito artificiale. Sulla testa del mostro era seduto Ten, compiaciuto del suo operato.

“Scusate il ritardo!”, disse il cuginetto di Lamù. “Ho impiegato più tempo del previsto a montarlo!”.

“Dannato moccioso!”, sbottò Ataru visibilmente preoccupato dall’enorme mostro metallico.

“Ed ora… si dia il via alla contesa!”, disse Tzukino.

Con grida di incoraggiamento, i due eserciti si dispersero nella fitta boscaglia attorno al canyon e la battaglia infervorò immediatamente. Oropa restò fermo al suo posto, sentendosi smarrito come non mai. Solo contro tutti, appena avrebbe messo un piede fuori dalla zona salva chiunque l’avrebbe braccato per accaparrarsi cento punti extra.

Tzukino lo osservava sorridendo, seduta alla sua cattedra con la grande tabella ancora vuota; il primo a tornare con un bel triangolo sulla fronte fu Ataru Moroboshi. “Perché non ti butti nella mischia?”, domandò il ragazzo prima di farsi ripulire la fronte e gettarsi nuovamente nella mischia fischiettando allegramente come se nulla fosse successo.

Due giovani dèi arrivarono col capo chino… entrambi timbrati!

Tzukino chiese loro di allestire un gazebo per garantire ombra, visto che il sole si stava alzando; i due obbedirono ed in breve il riparo fu pronto.

 

Oropa se ne stava in piedi, ad un passo dall’uscita del campo base, ed osservava apatico il via vai sempre maggiore di dèi e oni. Ataru era già passato di lì una ventina di volte, sempre sorridente e soddisfatto. A causa delle catture subite dal terrestre, i demoni tigrati erano in forte svantaggio.

Ma la verità era che la colonna del cacciatore era vuota ed era già trascorsa un’ora abbondante dall’inizio della competizione.

“Se continui così, non riuscirai mai a mantenere la promessa fatta a Benten e le sue amiche!”, disse Tzukino al dubbioso e pensieroso ragazzo.

“Credo di avere… una crisi esistenziale”, disse apatico Oropa.

Qualcuno lo colpì con forza dietro la nuca con uno schiaffo.

“Ma chi…”, esclamò il ragazzo stupito, prima di voltarsi e trovarsi la faccia severa di Ryoda; il giovane professore aveva un bel timbro sulla fronte ed un’aria lievemente abbattuta. “Se sfogliassi ogni libro dell’universo non vi rinverrei nulla di così sciocco come ciò che ho udito ora!”, esclamò.

“Ben detto!”, aggiunse Tzukino. “Hanno pizzicato anche lei?”.

“Purtroppo sì!”, ammise lui. “Mi ero perso a contemplare la bellezza della foresta e una burbera dea mi ha colto di sorpresa”.

“Era Benten?”, chiese Oropa.

“Taci, sciocco!”, lo rimproverò il saccente professore.

“Ma perché sei arrabbiato con me?”.

“Te ne stai qui al sicuro, senza partecipare”, attaccò Ryoda. “Sappi che questo tuo estraniarti dal contesto per la paura del confronto non è degno di un uomo!”.

“Era meglio per tutti se io non fossi mai stato qui!”, ringhiò il povero Oropa prima di ricevere un secondo ceffone dall’amico. “Se tu e Benten soffrite, è solo per colpa del tuo atteggiamento!”.

Tzukino, intanto, era impegnata a pieno regime nel cancellare timbri su timbri; gli dèi erano in vantaggio di almeno cinquanta catture sugli avversari.

Oropa sentiva la guancia bruciargli, ma gli faceva più male sapere che Ryoda aveva ragione.

“Oropa”, cominciò nuovamente a parlare il giovane insegnante di Storia terrestre, “tutto questo è sbagliato! Finiscila con questo tuo atteggiamento autodistruttivo; non hai niente da dimostrare, niente da temere. Benten e i tuoi amici sono tutti là fuori e aspettano soltanto di vederti sorridere. Non capisci che non vogliono altro? Esci da qui, fai vedere loro che non rifuggi tutto ciò, ma che sei contento… perché è questo che non riesci più a fare: mostrare di essere felice!”.

Appoggiando una mano sotto al mento del ragazzo, Ryoda sollevò il volto dell'amico, lasciando che la luce del sole lo illuminasse. “Amore, fortuna, amicizia… ora che sono loro a cercare te, perché devi negarti? Se ci pensi, capirai che non è importante sapere come sei arrivato qui, cosa sei, cosa non sei... vuoi far felice Benten? Allora vai da lei e affrontala a viso aperto col sorriso, dandogli ciò che vuole… il suo ragazzo Oropa!”.

Tzukino li guardò e un ampio sorriso illuminò il suo volto, strizzando poi l’occhio in segno di approvazione all’indirizzo del professore, che ricambiò.

“Mettiti questo!”, ordinò Ryoda al cacciatore, passandogli un piccolo auricolare corredato di microcamera. “Ho sparpagliato i miei tengu per tutta la foresta, equipaggiandoli con microcamere e sistemi di comunicazione avanzata; tramite questo palmare posso collegarmi con loro e vedere le zone dove operano. Saremo tutti interconnessi ed agiremo come una squadra!”.

“Perché fai questo per me?”, chiese sinceramente stupito Oropa.

“Questa è una battaglia in piena regola!”, rispose Ryoda. “Io adoro questo genere di cose perché sono le grandi battaglie a forgiare la storia dei popoli. Eppure, invidio la tua figura di impavido eroe solo contro tutti… voglio contribuire al tuo successo e operare con te fornendoti informazioni e tattiche adeguate. Con le mie conoscenze e le tue qualità saremo in grado di dominare questo conflitto e dimostreremo loro che anche in inferiorità numerica si può scrivere la storia di una grande battaglia!”.

Vedendo Ryoda così pieno di spirito combattivo, Oropa accettò di buon grado il suo aiuto; con un alleato come lui, avrebbe ribaltato le sorti di quella sfida!

“Controllerò i tuoi movimenti e ti fornirò le informazioni necessarie”, spiegò il professore. “Sei pronto per la battaglia?”.

“Prontissimo!”, rispose il cacciatore mentre si scioglieva i muscoli del collo facendo roteare la testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** La mente e il braccio armato ***


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LA MENTE E IL BRACCIO ARMATO

 

Oropa avanzava rapidissimo nella fitta vegetazione, scivolando di tronco in tronco, acquattandosi dietro ai cespugli e facendo attenzione a produrre meno rumori possibili.

Sporgendosi da un riparo vide Ataru avvicinarsi incauto ad un gruppetto di belle dee che lo attiravano con parole dolci e sguardi languidi e non appena il ragazzo giungeva a distanza utile, lo timbravano tranquillamente sulla fronte.

“Ecco perché l’hanno già catturato tante volte”, pensò il cacciatore.

“Un gruppo di cinque elementi, classe degli dèi a ore dodici!”, esclamò Ryoda dall’auricolare.

“Le ho viste!”.

“Ho fatto sorvolare la zona ad un tengu. Dietro di loro si estende un canale d’acqua poco profondo: usalo come copertura ed avvicinati. Farò in modo che il tengu attiri la loro attenzione e le faccia voltare tutte verso la loro destra in modo che tu possa timbrarle senza problemi”.

“Roger!”.

 

“Quel terrestre è un vero idiota!”, esclamò una dea, ridendo di gusto insieme alle compagne.

“Avete da accendere, per caso?”, esordì il tengu, parandosi  a mezz’aria.

Le dee, l’una di fianco all’altra, osservarono sbigottite lo strano essere parlante; poi, un’improvvisa folata di vento le costrinse a chiudere gli occhi e quando li riaprirono la creatura svolazzante era scomparsa… mentre ognuna di loro aveva una croce verde sulla fronte!

 

“Verso est!”, disse la voce del professore nell’auricolare del cacciatore. “In una radura, ad una distanza di cento metri, quattro oni in formazione, armati e guardinghi!”.

“Li assalterò frontalmente!”, affermò Oropa sicuro di sé.

 

I soldati di Uru avanzavano circospetti, chini nell’erba e con i fucili spianati.

“Questa calma non mi piace affatto…”, suggerì colui che guidava la fila, facendo cenno di fermarsi agli altri.

I quattro si disposero al centro esatto della radura, ognuno con la schiena appoggiata al compagno di modo da coprire ogni lato. Il silenzio venne rotto dal rumore d’ali di uno stormo di uccelli che si levò in volo da un albero.

“Arriva da questa parte!”, gridò uno di loro prima che i compagni si voltassero all’unisono, aprendo il fuoco su un ragazzo che correva rapidissimo nella loro direzione brandendo un enorme spadone.

Oropa parò i grossi proiettili in gomma con OBELION, poi conficcò l’enorme arma al suolo e la usò come un trampolino per proiettarsi in alto nel cielo.

I quattro oni alzarono gli occhi al cielo, ma il sole alto impediva loro di tenere lo sguardo fisso sul ragazzo, che ne approfittò per attaccarli come un falco.

Stampate le quattro fronti, il cacciatore recuperò lo spadone e sparì nuovamente nel fitto della foresta fra lo sbigottimento dei poveri demoni tigrati.

 

Ryoda guidò Oropa, tramite auricolare e col supporto dei tengu, in numerose altre catture: il cacciatore agiva circospetto in presenza degli dèi a causa del loro spirito battagliero, mentre attaccava a viso aperto i piccoli gruppi di soldati di Uru che si comportavano tutti allo stesso modo, facendo troppo affidamento sui loro fucili.

Il duo composto da Benten ed Oyuki era il più efficiente della compagine degli dèi e contava numerose catture; lo stesso si poteva dire del gruppo degli amici di Lamù, capeggiati da Ten e il suo enorme robot.

La bella oni, invece, era braccata da numerosi dèi agli ordini di Benten ed aveva ben poco tempo da dedicare alle catture, impegnata com’era a contenere i repentini attacchi.

Ataru vagava ramingo, sperduto nel fitto della giungla; ricordava di aver incontrato un gruppo di soldati urusiani e questi, per tutta risposta, l’avevano colpito alla nuca e gettato in un dirupo. Con la testa indolenzita e la pancia brontolante, il giovane terrestre si trascinava faticosamente verso i lontani rumori della battaglia.

 

“Mi ricevi, Oropa?”, lo chiamò Ryoda non appena il giovane ebbe finito di timbrare altre due fronti di altrettanti dèi della fortuna.

“Forte e chiaro!”, rispose il cacciatore, riponendo Obelion nel fodero.

“Altri quattro oni in direzione nord-ovest, centocinquanta metri dalla tua postazione attuale… e questa volta c’è una sorpresina!”.

Colmo di curiosità, il giovane spadaccino scattò in direzione del prossimo bersaglio.

Man mano che si avvicinava, rumori di pesanti passi e grida si facevano sempre più forti, finché un violento ruggito metallico non fece chiarezza sulla situazione.

Oropa si arrampicò fino alla cima di un alto albero: da lassù vide il possente robot di Ten che mieteva vittime fra le fila degli dèi, mentre Mendo, Shinobu e Ryuunosuke si occupavano di timbrare gli sconfitti.

I proiettili indirizzati ai poveri dèi erano palle da rugby sparate a velocità folle da un grosso cannone piazzato nella bocca del dinosauro metallico, sulla cui testa Ten si divertiva come un matto.

“Quello sarà un osso particolarmente duro, amico mio”, confessò Ryoda all’auricolare. “Mendo, Ryuunosuke e Shinobu si occupano di difendere il grosso robot dagli attacchi degli dèi, mentre Ten bombarda senza remore ogni malcapitato che passa nel suo mirino. Teoricamente la formazione è perfetta: Mendo è un ottimo spadaccino, Ryuunosuke è velocissima ed esperta nel corpo a corpo e Shinobu ha una forza disumana”.

“Il bestione va abbattuto per primo!”, esclamò Oropa.

“Hai ragione, ma non posso lasciare che i miei tengu ti aiutino”, confessò l’alleato del giovane e valente spadaccino. “Dalla testa del robot, Ten ha un’ottima copertura aerea e con le sue fiamme mieterebbe vittime inutili fra le mie fila!”.

“Non preoccuparti… ho un piano!”, rispose Oropa mentre lasciava la posizione.

 

“Avanti il prossimo!”, gridò vittorioso Ten dalla sommità del suo gigantesco robot da combattimento.

“Io mi sto annoiando”, sbottò seccata Ryuunosuke, mentre il giovane Mendo si lamentava delle condizioni della sua arma.

“Perché non facciamo ritorno al campo base?”, propose Shinobu al resto del gruppo. “E’ quasi ora di pranzo”.

“Va bene, rientriamo!”, esclamò il cuginetto di Lamù. “Queste vittorie mi hanno fatto venire un certo appetito!”.

In quel preciso istante, Shutaro notò un luccichio sospetto fra l’alta erba della radura. “Ten, ferma subito il tuo…”.

Prima che potesse finire la frase, il possente robot Dinosauro inciampò malamente su una cordicella d’acciaio fissata fra due alberi e rovinò al suolo distruggendosi. Il piccolo oni sgusciò fuori dalle lamiere contorte ed un timbro gli si poggiò sulla fronte, lasciando una croce verde.

“Oropa!”, gridarono in coro i tre superstiti.

“Eccomi qui!”, esclamò il cacciatore con baldanza mentre strattonava la cordicella d’acciaio colpevole del crollo dell’enorme robot. “Il più classico degli scherzi non fallisce mai!”.

“Fatti avanti!”, ruggì Shutaro, puntando la sua arma contro Oropa. Anche le due ragazze fecero un passo avanti, ma l'orgoglioso ragazzo disse loro di farsi da parte.

“Ho un conto in sospeso con Oropa… e oggi lo salderò!”.

“Di cosa stai parlando?”, chiese il cacciatore al rivale con Obelion stretta fra le mani.

“Ci siamo iscritti al club di kendo per sigillare la nostra amicizia… ma tu sei sparito per due mesi!”, iniziò a raccontare il rampollo della famiglia Mendo. “Il maestro ha obbligato me ad occuparmi anche dei tuoi turni di pulizia della palestra… e così ho spazzato il pavimento anche per te, lavato le divise anche per te… ed ora, pagherai col sangue il tuo debito!”.

Così gridando, Mendo vibrò un violentissimo colpo contro lo spadone del cacciatore, ma la sua arma si spezzò e Oropa appoggiò nel palmo della mano dell’amico il suo timbro. “In nome della nostra amicizia, ti concedo di finirti con le tue stesse mani come un vero samurai!”.

Con lacrime di gioia che gli bagnavano le guance, il giovane Mendo ringraziò con un inchino l’amico e si timbrò la fronte gridando: “BANZAI!”.

“Basta con questa sceneggiata!”, gridò Ryuunosuke lanciandosi all’attacco.

Il cacciatore afferrò Shutaro per un braccio e lo usò come scudo umano; il violentissimo pugno della combattiva ragazza affondò nel ventre del suo compagno di classe, abbattendolo all’istante. La povera ragazza restò avvilita a tal punto da non accorgersi nemmeno che Oropa aveva apposto il suo simbolo sulla sua fronte.

“Te la farò pagare per quello che hai fatto a Mendo!”, gridò Shinobu sollevando un enorme masso e portandolo sopra alla testa, pronta a lanciarlo su Oropa.

Lo spadaccino impugnò Obelion e la fece roteare vorticosamente: dalla punta dell’enorme arma si aprì una grande bocca simile a quella di un coccodrillo ed un ruggito tremendo ne scaturì, riducendo in sabbia la roccia brandita dalla fortissima ragazza.

“Esplosione sonica!”, sibilò Oropa con un’espressione gelida e vittoriosa sul volto. “Questa spada è viva, perciò vi consiglio di non minacciarla mai! Ora andiamo insieme a mangiare!”.

Detto ciò, Oropa raccolse il povero Ten ancora privo di sensi ed aiutò Shutaro a rialzarsi.

“Quasi dimenticavo!”, esclamò poco prima di dirigersi verso Shinobu e timbrare la sua fronte.

“Nulla da obiettare, vero?”.

“Assolutamente no!”, rispose la ragazza, poggiando occhi timorosi sull’arma dell’amico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Il rivale del cacciatore ***


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IL RIVALE DEL CACCIATORE

 

“TESORUCCIOOO! TESORUCCIOOO!!”.

Lamù passò sopra le loro teste volando, quando furono vicini al campo base. La bella oni non aveva avuto più notizie di Ataru e il fatto che all’ora di pranzo non fosse stato il primo a precipitarsi all’accampamento le era parso sospetto.

Mentre la ragazza salutava gli amici, Ten volò in lacrime fra le sue braccia. “Avete visto il mio tesoruccio? Non lo vedo da nessuna parte”.

“Al diavolo quello stupido!”, urlò il piccolo oni disperato. “Oropa ha sfasciato il mio robot nuovo di zecca!”.

“Su, non essere triste!”, disse Oropa carezzando la testolina del cuginetto di Lamù. “Vedrai che lo zio Mendo te ne comprerà uno nuovo!”.

“Ti pareva…”, commentò seccato il ricco ragazzo.

“Questo straccio è tuo?”, chiese Benten a Lamù mentre si  avvicinava trascinando ciò che restava del povero Ataru. Insieme a lei c’era la regina di Nettuno ed un alto e forte soldato degli dèi con la testa pelata e lucida e lo sguardo battagliero e strafottente.

Lamù volò in soccorso del suo amato ed anche Oropa si avviò per salutare Benten, ma fra lui e lei si frappose il grosso individuo.

“Stai lontano da lei, tappo!”, ringhiò il soldato, fasciato in una divisa da combattimento molto appariscente, ornata di fiamme e teschi dipinti come fosse un macabro quadro. Oropa lo guardò dal basso; c’erano almeno trenta centimetri di differenza fra la sua statura e quella del nuovo antagonista.

Anche come prestanza fisica non c’era paragone: nonostante il cacciatore fosse allenato ed agile, il soldato era una specie di armadio a due ante, con braccia e gambe lunghe e muscolose, spalle larghe e collo taurino.

“Ma tu guarda!”, esordì Oropa. “Mister palla da biliardo ripiena di steroidi detta ordini…”.

Detto ciò tentò di aggirare l’ostacolo, ma l’energumeno lo afferrò per lo yukata e lo trattenne con la forza. “Ti ho detto che non devi più avvicinarti a lei!”.

“Che state combinando voi due?”, domandò curiosa la dea, avvicinandosi accompagnata da Oyuki.

Shutaro, Ryuunosuke e Shinobu si fecero vicini ad Oropa, mentre Ten, Lamù ed Ataru, appena ripresosi, osservavano silenziosi la scena.

“Sto facendo amicizia col tuo protettore!”, rispose Oropa con un sorriso

“Bahyo, lascialo in pace!”, esclamò Benten. “Ti ho già detto che non devi impicciarti di queste cose!”.

Così dicendo, si incamminò verso la mensa del campo base imbandita per il pranzo. La seguirono tutti, tranne Oyuki, Oropa e Bahyo.

I due rivali si fissarono a lungo negli occhi in silenzio. Più volte Oropa pensò di assestare una robusta ginocchiata in mezzo alle gambe dell’antagonista, ma riuscì a trattenersi.

“Mettiti in testa una cosa”, lo attaccò con voce gelida, “io sono innamorato di quella ragazza e non mi interessa sapere chi sei e perché fai questo… ma sappi che non mi intimorisci per niente!”.

Bahyo non badò alla minaccia di Oropa e si avviò alla mensa.

D’un tratto, Oropa lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. “Toccami ancora e…”.

Bahyo non finì la frase, arrestato dalla furibonda occhiata del cacciatore e dalla grande bocca dentata che andava aprendosi nello spadone che il ragazzo stringeva in pungo.

“Non metterti fra me e lei!”, sibilò la terribile arma parlando al posto di Oropa.

Il grosso e muscoloso dio spalancò gli occhi increduli a quella vista; poi si voltò e si affrettò a ricongiungersi al gruppo di commensali.

Oyuki si avvicinò ad Oropa, che ancora impugnava l’enorme spadone.

“Allora sei davvero in possesso di Obelion…”, disse la regina di Nettuno con fare calmo e rilassato.

“Non ne sono affatto in possesso”, rispose il ragazzo, rinfoderando l’arma nello speciale fodero sulla schiena.

“Ma il fatto che tu sappia maneggiarla ha un grande significato”, disse dolcemente l’aliena all’indirizzo del confuso Oropa.

Il giovane non sapeva più cosa pensare: non era da Oyuki comportarsi così in confidenza con qualcuno, ma averla al suo fianco lo gonfiava di piacevole orgoglio e per un attimo si illuse persino di piacere alla regina di Nettuno.

Per rompere l’imbarazzante silenzio, chiese alla ragazza chi fosse il pelato individuo tanto indisponente.

“Quello è Bahyo, un amico di infanzia di Benten. Sono anni che è innamorato di lei ma non l’ha mai fatto notare troppo… credo che sia correlato in qualche modo al fatto che ieri sera si siano visti, dopo che abbiamo lasciato Felicitas I”.

Oropa si insospettì e scrutò gli occhi di Oyuki per cercarvi indizi di veridicità.

“Certo che è proprio carina”, pensò il ragazzo, “ed ha delle mani calde, non gelide come pensavo… anzi, è tutto il suo corpo ad emanare calore, come se avesse bisogno di un contatto… umano!”.

La bella aliena si accorse dello sguardo di Oropa e si portò una mano alla bocca, coprendo un leggero sorriso.

Il ragazzo si riprese dai suoi pensieri. “Si sono incontrati ieri sera, eh? La cosa è sospetta!”, mormorò lui, geloso.

“Oropa, vorrei che considerassi l’idea di venire con me su Nettuno”, disse all’improvviso Oyuki. “Il mio pianeta è desolato e rigido, la sua gestione mi impegna moltissimo ed io comincio a sentire il bisogno di un compagno su cui fare affidamento… e poi, le notti su Nettuno sono lunghe e fredde!”.

Oropa si fermò e spalancò gli occhi, fissando il nulla davanti a sé.

 

“Ma che è successo?”, domandò Oropa con la testa che gli girava e la schiena appoggiata contro i tronco di un albero. Attorno a lui c’erano Oyuki, Kurama, Ryoda e Bi-M-Bo.

“Da quel che ho sentito in giro, hai sbattuto volontariamente la testa contro l’albero dopo che Oyuki ti ha concesso la possibilità di recarti su Nettuno!”, rispose Ryoda incapace di trattenere le risate, mentre la regina di Nettuno teneva pudicamente la testa abbassata.

Oropa si rialzò e senza dire altro, si diresse al campo base insieme agli altri. Le tavolate erano già tutte quasi piene ed i commensali si mostravano festosi e chiassosi.

Oyuki e Bi-M-Bo si congiunsero alla tavolata di Benten, Lamù e tutti gli altri; Kurama andò ad accomodarsi al tavolo preparato dai suoi tengu e Ryoda rimase con Oropa.

“Ti sei divertito in mattinata?”, chiese il professore al ragazzo.

“Puoi dirlo forte!”, esclamò Oropa appoggiando una mano sulla spalla dell’amico. “Con la tua guida è stato davvero un gioco da ragazzi… non mi sono mai sentito esaltato come in queste azioni!”.

“Ne sono felice, amico mio. E il bello deve ancora arrivare… ci vediamo dopo pranzo!”.

Detto ciò, Ryoda si congedò e raggiunse l’amata.

Oropa si guardò in giro e vide Tzukino seduta al tavolo dei guerrieri più anziani dei sue schieramenti.

Il padre di Lamù lo vide e lo invitò al tavolo, liberando una sedia vicino alla ragazzina. “Vieni qui al nostro tavolo, cacciatore!”, gli disse.

Senza farselo ripetere, Oropa li raggiunse di buon grado e si accomodò, mentre i commensali gli offrivano cibo e bevande.

 

“Dici sul serio?!?”, domandò incredula Benten alzatasi di scatto dal tavolo.

“Sì!”, rispose Oyuki. “Sono sicura di quel che ho visto e Oropa me lo ha confermato. Anche Bahyo l’ha vista!”.

“Di cosa state parlando?”, chiese Lamù intenta ad imboccare Ataru come una brava mogliettina.

“Della grande arma di Oropa!”, rispose Shutaro.

“Voglio vederci chiaro in questa storia!”, affermò la dea mentre si avviava verso il tavolo dove sedeva Oropa.

“Perché è così preoccupata?”, domandò Lamù.

“Solo i discendenti delle razze mitologiche possono brandeggiare Obelion e guadagnarsi la sua fiducia”, spiegò Oyuki. “Il fatto che Oropa la brandisca e sappia come risvegliarne lo spirito è molto strano”.

 

“MANGIA QUESTA BISTECCA, RAGAZZO!”, gli gridò il padre di Lamù alticcio per tutto il sakè ingollato.

Il ragazzo, pieno come un uovo, era intimorito da tutti quei commensali che non facevano altro che passargli cibo e bevande come se il suo stomaco fosse grande quanto il loro e non sapeva come rifiutare le porzioni continuamente offertegli senza urtare la suscettibilità dei presenti.

“Coraggio, mangia!”, gli disse un anziano dio dai lunghi capelli bianchissimi e bardato di una stupenda armatura luccicante, anch’egli ubriaco.

“Alzati e vieni con me!”, gli ordinò ad un tratto Benten paratasi davanti ad Oropa con le braccia conserte e la testa alta.

Il padre di Lamù lo incoraggiò ad obbedirle con una violenta pacca sulla schiena e quindi, i due giovani si allontanarono mentre gli altri commensali continuavano a mangiare e bere a volontà.

Tzukino li vide allontanarsi dal canyon, sparendo nella boscaglia; un attimo dopo, dal tavolo di Benten si alzò un grosso dio pelato che si avviò nella stessa direzione.

 

In una piccola radura Benten si avvicinò ad Oropa, fissandolo in silenzio.

“Quello spadone appartiene al mio popolo”, disse ad un tratto la ragazza con un tono aggressivo. “Sono stati i nostri antenati a forgiarlo abbattendo il varano divino. Rendimelo!”.

Oropa sfilò l’arma dal fodero e si inginocchiò al suolo, porgendo Obelion alla sua amata con entrambe le mani sotto la lama ed il capo chino.

“Ti restituisco ciò che è tuo, Benten”, disse il cacciatore sollevando il viso e mostrando all’amata un sorriso dolce.

La ragazza la afferrò, ma non appena il ragazzo tolse il sostegno delle sue braccia lo spadone cadde al suolo con un tonfo; Benten cercò di risollevarlo con tutte le sue forze, ma non ci riuscì. “Che scherzo è questo?”, chiese adirata.

“Nessuno scherzo!”, rispose Oropa risollevando l’arma e facendola roteare con le mani prima di rinfoderarla. “OBELION ha fatto la stessa cosa anche con me prima di…”.

“Cosa?!”, lo incalzò la dea.

Pochi centimetri separavano il suo corpo da quello dell'amata ed il ragazzo sentì il cuore battergli sempre più forte nel petto.

" Vuoi spiegare tu a Benten quello che è accaduto quella volta in cui ho combattuto contro i kappa?”, chiese Oropa rivolgendosi alla spada.

“Mostrami la ragazza”, sibilò l’arma.

Oropa la sguainò e la conficcò al suolo; la grande gemma dell’impugnatura si aprì e svelò un occhio giallo, con la pupilla verticale come quella dei rettili.

“Quindi, lei è la tua Benten…”, affermò.

“Esatto!”, rispose Oropa sorridente.

Benten indietreggiò di un passo, spaventata dallo spadone e dal fortissimo spirito che emetteva.

“Impugnami!”, le ordinò Obelion.

Benten cercò conferma negli occhi di Oropa, indecisa su da farsi. Il ragazzo la rassicurò con un cenno della testa e quindi posò la sua mano sull’impugnatura della spada.

 

“Ti… aiuterò…”.

Oropa si trascinava dolorante fra armature spezzate e spade arrugginite. Un bagliore bluastro lo chiamava, in quell'oscurità.

“Ti renderò forte!”, sibilò il grande spadone, splendente di una luce sinistra.

Il ragazzo allungò una mano fino a toccare l’elsa dell’arma; una forza nuova lo pervase e si fuse con il suo spirito.

“Cosa mi offrirai in cambio della salvezza di Orochi?”, chiese Obelion. “Molti valorosi guerrieri sono impazziti, perdendo nel mio immenso rancore il loro spirito. Io l’ho assorbito, nutrendomi delle loro anime, dei loro desideri, della loro vita… dentro di me c’è un universo buio e senza stelle. Sei disposto a sacrificarti?”.

Oropa strinse forte l’impugnatura. “Userò il mio amore per Benten, se dentro di te c’è tanto odio, dolore e rancore!”.

“Lo perderai insieme a tutto il resto!”.

“Niente affatto!”, rispose il ragazzo. “Ogni giorno io lo rinnoverò e riempirò il vuoto dentro te. Benten  è una dea, ed amandola per l'eternità… sazierò la tua fame!”.

 

Benten lasciò l’impugnatura, abbassando la mano lungo il fianco… e guardò Oropa.

“L’amore di Oropa per te è talmente grande da colmare il mio eterno rancore”, continuò Obelion. “Oropa gode della mia fiducia perché il suo sentimento è puro e limpido, Benten”.

L’occhio sull’impugnatura si chiuse ed Oropa carezzò la gemma prima di rinfoderare la spada. “Ti amo”, disse alla ragazza.

Seguirono lunghi istanti di silenzio, in cui il vento scuoteva le fronde degli alberi.

“Solo dopo averti rivisto ho compreso quanto sia stato sbagliato il mio comportamento nei tuoi riguardi… perdonami, se puoi”, disse Oropa con gli occhi umidi.

Benten abbracciò l’amato e pose infine la sua bocca su quella del giovane. Oropa la strinse forte a sé fino a farle sentire tutto il suo amore e la ragazza fece altrettanto.

“Mi sei mancato tanto!”, sussurrò lei all’orecchio dell’amato.

“Anche tu!”, rispose Oropa.

Il ragazzo si stese sull’erba e Benten si sedette al suo fianco.

“Certo che tu riesci sempre a cavartela!”, gli disse la ragazza posando su di lui i grandi occhi.

“Che vuoi dire?”, chiese Oropa, non cogliendo il senso di quell’affermazione.

“Sei mutevole come il vento che disegna le nuvole in cielo, eppure riesci sempre a volgere tutto a tuo favore, costringendomi a meravigliarmi di te… e nel momento in cui credo di odiarti, mi accorgo invece che… sei speciale!”, affermò Benten con lo sguardo.

“Qui c’è qualcosa che non quadra”, pensò Oropa. “Io le ho dichiarato il mio amore, ma lei non ha fatto altrettanto… la faccenda mi puzza e non vorrei che riguardasse quella specie di armadio a due ante che ho incontrato poco fa!”.

“Sei pensieroso!”, notò la dea.

“Perché quel gorilla con la testa pelata mi ha aggredito?”, domandò Oropa andando dritto al nocciolo della questione.

Benten abbassò gli occhi, staccò uno stelo d’erba e se lo mise fra i denti. “Ieri sera, mentre tornavamo da Felicitas I, ci siamo fermati in uno spazio grill per bere qualcosa e l’ho trovato lì. Bahyo è sempre stato il mio confidente fin dall’infanzia e così parlai con lui mentre Lamù riaccompagnava su Nettuno Oyuki con la mia astronave e…”.

“Vi siete baciati! Oyuki mi ha detto che quel tizio era da tempo innamorato di te e che ieri sera eravate rimasti soli. Se a ciò aggiungo che mi ha aggredito, è facile giungere alla conclusione!”, disse Oropa con assoluta tranquillità.

“Perché non ti arrabbi?”, chiese Benten dopo alcuni minuti di imbarazzante silenzio.

Il ragazzo si sedette sui talloni e le cinse le spalle.

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra!”, disse sorridendo prima di afferrare la catena che la dea usava per raccogliere i capelli e sfilargliela con un gesto rapidissimo. La chioma nera di Benten si liberò e ricadde sulle sue candide spalle.

“Sei bellissima…”, sospirò il ragazzo estasiato da quella visione.

Benten afferrò una manica dello yukata del ragazzo e la strappò con un colpo netto, dividendola poi in tre strisce e legandosi i capelli con il nastro ottenuto. “Ora siamo pari!”, disse lei con un sorriso.

“Lo siamo davvero, visto che ho baciato Tzukino… e mi è anche piaciuto!”, esclamò incautamente Oropa.

“Che cosa hai fatto?!”, domandò lei con forzato contegno.

“Quello che hai fatto anche tu!”, rispose Oropa alzatosi prontamente in piedi non appena ebbe visto l’amata con uno sguardo assassino stampato sul volto.

“Io ti castro!!”, lo minacciò furiosa Benten all’inseguimento del giovane nella boscaglia.

Ad un tratto, nel fitto della foresta, qualcuno la afferrò per un braccio, glielo torse dietro la schiena e le bloccò le gambe serrandole con il proprio arto. La ragazza cercò di colpire col braccio libero, ma anche quello venne paralizzato sotto l’ascella del suo aggressore.

“Perché mi fai questo?”, domandò una rude voce maschile a lei familiare. “Ti inseguo da una vita e ora che ti ho raggiunta non ti lascerò scappare di nuovo!”

“Lasciami subito andare, Bahyo!”, gridò Benten. “Ti ho già spiegato che mi sono lasciata trascinare dagli eventi, ieri sera. Non ho mai provato amore per te; ti ho sempre visto come un fratello maggiore un po’ tonto ma di buon cuore… nulla di più!”.

“L’hai sentita? Lasciala stare!”, ordinò Oropa sbucato fuori da un cespuglio con Obelion in pugno.

“Tu non ti impicciare!”, minacciò il muscoloso dio imprimendo maggiore forza alla presa su Benten, facendola mormorare ingiurie dal dolore.

A quel punto, la dea assestò un violento colpo di nuca sul naso di Bahyo, che mollò la presa e si portò le mani al volto, urlando di dolore; dopodiché, gli assestò una robusta ginocchiata all’inguine del dio, facendolo crollare al suolo scosso da spasimi atroci.

Rimasto immobile come una statua di sale, Oropa venne poi trascinato dalla ragazza e sbattuto contro un albero. Con uno scatto felino, Benten  afferrò il giovane al collo e lo tirò a sé, baciandolo con passione. “D’ora in avanti… sarai solo mio!”, esclamò con estrema convinzione.

“Veramente, la regina di Nettuno mi avrebbe proposto il trono di re…”, scherzò Oropa.

“Oyuki lo ha detto solo per metterti alla prova; eravamo d’accordo…”, replicò Benten rafforzando la stretta delle mani attorno al collo dell’amato.

“Che ne dici di tornare al campo?”, propose infine la giovane.

“Credo sia una buona idea!”, aggiunse il ragazzo poco prima che i due si incamminassero insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** L'inizio dell'operazione ***


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L'INIZIO DELL'OPERAZIONE

 

Tutti erano in piedi al campo base, pronti a ricominciare la battaglia dopo essersi rifocillati nel corpo e nello spirito. I capi dei due schieramenti ed i guerrieri più anziani erano tutti sotto al gazebo dell’arbitro, impegnati a commentare i risultati; il padre di Lamù era visibilmente infuriato.

“CHE COSAA?!?”, sbraitò il maestoso oni battendo i palmi delle mani sulla cattedra.

“Siete in svantaggio di sessantadue catture!”, gli disse un anziano dio della fortuna bardato della sua luccicante armatura.

“COME PUO’ ESSERE?!?”.

“Deve ringraziare suo genero. Cinque delle mie dee l’hanno timbrato per ben cinquanta volte nella sola mattinata!”.

“VI AVEVO DATO ORDINE DI STORDIRLO!!”, tuonò il padre di Lamù contro un gruppetto di soldati al suo comando.

“L’abbiamo fatto!”, rispose uno dei demoni tigrati. “Purtroppo ci siamo riusciti n ritardo perché sguscia peggio di un’anguilla”.

“QUESTO E’ TROPPO!”, sbraitò il comandante delle truppe di Uru, procedendo in direzione di Ataru che impallidì al cospetto del suocero visibilmente arrabbiato. “Tu sei una vergogna, una calamità, un disastro!”.

“Papà, non essere…”, cercò di calmarlo la figlia.

“Taci, figlia mia!”, le ordinò il corpulento oni. “Non ti rendi conto che in futuro lui dovrebbe guidare il nostro esercito? INVECE E' UN DEBOSCIATO, FANNULLONE E DONNAIOLO. IO NON INTENDO TOLLERARE OLTRE QUESTA SUA LASCIVA CONDOTTA!”.

Lamù non aveva mai visto il padre così arrabbiato prima di allora ed anche Ataru era davvero scosso.

“Suvvia, è solo un gioco…”, tentò di giustificarsi il ragazzo.

“SOLO UN GIOCO?!”, ringhiò il suocero. “PER TE TUTTO E' SOLO UN GIOCO, ONORE E SENTIMENTI COMPRESI!”.

Conclusa la sfuriata, il padre di Lamù si passò le mani sul viso stravolto dalla rabbia e aggiunse: “Non ti lascerò in sposa ad un simile inetto, figlia mia. Darò la tua mano ad un vero guerriero; un uomo forte e valoroso che solo contro tutti ha totalizzato le nostre stesse catture!”.

“No, non lui!”, si disse mentalmente Benten stringendo con maggior vigore il braccio dell’amato.

L’enorme oni, comandante delle truppe di Uru, puntò un dito in direzione di Oropa.

“LAMU’, IL TUO FUTURO MARITO SARA’ OROPA IL CACCIATORE!”, gridò infine.

Tutti si voltarono verso il ragazzo; Benten si allontanò e lui restò immobile col capo chino.

Il suo yukata era piuttosto malconcio e mancava perfino una manica.

“Temo che la situazione stia degenerando”, affermò Ryoda avvicinatosi ad Oropa.

“NON E’ GIUSTO!”, gridò un anziano dio della fortuna insieme agli altri dèi. “OROPA E’ IL FIDANZATO DI BENTEN E DIVENTERA’ PARTE DELLA NOSTRA FAMIGLIA!”.

“ALLORA SPETTERA’ AL VINCITORE DI QUESTA SFIDA DECIDERE CHI FRA NOI POTRA’ GODERE DELLA DISCENDENZA DI OROPA!”, urlò il padre di Lamù.

“ Che forza!”, esclamò Oropa rivolgendosi all’amico. “Stanno pianificando proprio tutto”.

“Non è il caso di mettersi a scherzare!”, lo fulminò Ryoda. “Il tempo dei giochi è finito, amico mio”.

“Sarai ancora al mio fianco?”, chiese Oropa sorridendo.

“Puoi contarci! Ho già elaborato diverse strategie… ora porta con te queste e segui attentamente le mie istruzioni. Vinceremo questa sfida e sarai tu solo a scegliere il tuo destino!”.

“Ti seguirò fino alla morte, amico mio!”, affermò Oropa mettendosi in una tasca interna gli oggetti che Ryoda gli passò.

I due si strinsero la mano e il giovane professore disse ad Oropa: “Se ne avrai bisogno, sappi che sarò al tuo fianco qualunque cosa accada!”.

Il giovane spadaccino lo salutò e si allontanò velocissimo nel fitto della foresta.

Ataru, invece, fissò Lamù con gli occhi bagnati dalle lacrime e subito dopo scappò in direzione del bosco.

“E’ TUTTA COLPA TUA!”, gridò furibonda la bella aliena all’indirizzo padre.

“La colpa è solo di quello sciocco!”, fu la secca risposta del grasso oni. “Se tenesse davvero a te non commetterebbe sempre queste stupidaggini! Io devo pensare anche al futuro del nostro pianeta!”.

Mentre il comandante delle truppe urusiane si allontanava, Benten abbracciò l’amica che versava lacrime amare. “Sistemeremo tutto, non ti preoccupare”.

“Grazie, Benten!”, rispose commossa Lamù. “Mi aiuti sempre in qualunque circostanza”.

“Per forza! Non permetterò che tu debba sposare il MIO Oropa!”.

 

“Ascoltami attentamente, ora!”, ordinò Ryoda dall’auricolare. “Disponi gli oggetti che ti ho dato a ventaglio in un raggio di cento metri dall’uscita del canyon”.

Oropa tolse dalla tasca delle strane sferette luccicanti. “Intendi queste palline?”, chiese Oropa al suo alleato.

“Esatto! Fissale sui tronchi ad un altezza di circa un metro e settanta e ad una distanza di al massimo tre metri l’una dall’altra; dobbiamo creare un semicerchio tutto attorno all’area di uscita dove si riverseranno i combattenti”.

Un rombo volò alto sopra la testa del cacciatore: erano Benten e Lamù in sella alla moto spaziale della dea. Oropa si nascose in un cespuglio per non essere visto e vide anche Oyuki e il suo yeti allontanarsi spediti verso la stessa direzione delle due aliene.

“Fai presto!”, lo incalzò Ryoda. “I due schieramenti sono in procinto di ricominciare la battaglia! Il fatto che solo quattro prede ci siano sfuggite è contenibile; rimedieremo dopo!”.

Oropa piazzò tutte le sferette in suo possesso balzando di albero in albero con agilità felina.

“Ora arrampicati su un albero e preparati per lo spettacolo! Non appena i miei tengu in volo sopra l’area mi comunicheranno la posizione ideale dei bersagli, darò inizio all’operazione Siesta!”.

“Dove diavolo l’hai trovata quella roba?”, chiese incredulo Oropa.

“Ho parlato con una persona per avere consigli in merito ed oltre ad elargirmi tattiche adeguate d’infiltrazione e guerriglia in ambiente boschivo, mi ha inviato tutti gli arnesi indispensabili per attuare una battaglia memorabile!”.

“E chi sarebbe questa persona?”.

“Una bella e seducente ragazza proveniente dal pianeta El!”.

 

“Qui tengu 1!”, disse una delle creature agli ordini di Ryoda dall’auricolare mentre sorvolava l’area di competenza. “Soggetti penetrati in area!”.

Tengu 2, bersagli in posizione!”.

Tengu 3, obiettivo in posizione!”.

Tengu 4, potete procedere!”.

Sul volto del partner di Kurama apparve un sorriso soddisfatto ed un attimo dopo premette un piccolo pulsante rosso incastonato su un comando a distanza. Un bip confermò che il comando era stato eseguito da ogni pallina.

Una nube di gas soporifero si liberò dalle sferette sugli alberi ed il vento la sospinse verso il canyon, proprio mentre la massa urlante si riversava fuori. Un secondo dopo, su tutta l’area calò il silenzio.

“Conta fino a venti e poi scendi dall’albero”, ordinò Ryoda poco dopo. “Ti ho appena servito almeno duecento catture su un piatto d’argento!”.

Oropa guardò giù incredulo; mano a mano che i secondi passavano la nube violacea si diradava, scoprendo oni e dèi accasciati al suolo in un sonno profondo.

“Strepitoso!”, commentò il ragazzo. “Se non fossi già promesso a Kurama, ti sposerei io!”.

Ryoda impallidì ed esclamò: “Che sciocco! Mi sono dimenticato di avvertirla!”.

 

Il cacciatore cominciò a timbrare tutte quelle fronti inermi, fischiettando tranquillamente. C’erano tutti: dèi giovani e anziani, Mendo, Shinobu, Ryuunosuke, i soldati di Uru, il padre di Lamù… Oropa era così carico di adrenalina e si sentiva talmente potente che tremava scosso dal senso di potere, mentre opponeva su ogni testa il suo timbro.

“Un trucco davvero sporco!”, commentò piatta una voce alle sue spalle, mentre il cacciatore sentì un oggetto metallico appoggiato sulla sua nuca. “Bahyo?”, chiese.

“Esatto!”, rispose il possente dio. “Sarò colui che catturerà il cacciatore e chiederò in sposa Benten per aver fatto vincere il mio schieramento, come è giusto che sia!”.

Un secco colpo ricevuto alla nuca, tuttavia, fece cadere a terra Bahyo privo di sensi. “I cattivi chiacchierano sempre troppo!”, esclamò Ryoda.

“Come ci sei arrivato fin qui in un attimo? Volando?!”, esclamò Oropa.

Ryoda rise e gli chiese: “Hai visto la mia Kurama?”.

“Sì, è laggiù!”.

Il professore la raccolse in braccio e la portò via. “La farò svegliare grazie all’antidoto… per loro, invece, ci vorranno almeno un paio d’ore!”.

Detto ciò, Ryoda si allontanò con la sua amata sulle braccia, mentre Oropa riprese il lavoro.

Quando ebbe finito, unì le mani in preghiera e ringraziò Orochi; Tzukino, dalla sua cattedra, alzò la testa e sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Racconto e foto a luci rosse ***


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RACCONTO E FOTO A LUCI ROSSE

 

Un fruscio richiamò l’attenzione di Oropa. Lentamente mosse la mano verso l’impugnatura della spada; appena l’ebbe stretta, la sguainò e si voltò rapidamente.

Ataru Moroboshi stava appoggiato con la schiena ad un albero, gli occhi bassi e le braccia conserte.

Oropa rinfoderò l’arma ed andò a consolarlo. “Tranquillo. Passerà anche questa!”, disse sorridendo.

Ataru però non ricambiò il sorriso e tolse il suo timbro dalla tasca. “Io ti catturerò e farò in modo di rendere felice il padre di Lamù. Forse aveva ragione quando mi ha dato del buono a nulla, ma gli dimostrerò che sarò in grado di sconfiggerti e che per amore rinuncerò a sua figlia consegnandola nelle mani del ragazzo che stima tanto e reputa migliore di me”.

Oropa sfoderò nuovamente Obelion e studiò l’avversario, spostandosi lateralmente con lenti e cauti passi; una goccia di sudore corse dalla fronte di Ataru fino al mento, prima di cadere al suolo.

“Quello che hai detto è una follia!”, disse ad Ataru il giovane spadaccino. “Ti aiuterò io a riscattarti agli occhi del padre di Lamù!”.

“Ormai ho deciso!”, rispose secco il giovane Moroboshi.

“Ma Lamù vuole solo te! Se mi sconfiggerai, le aprirai un futuro di rimpianti!”.

“Lei capirà la bontà del mio gesto. Dimenticherà il passato ed io manterrò per sempre nel mio cuore il ricordo della nostra unica notte d’amore!”.

“Voi due… avete passato una notte… d’amore?”, chiese Oropa con la bava alla bocca.

“Sì!”, ammise Ataru. “E ti assicuro che è stata davvero… bollente!”.

Oropa si accucciò ai piedi di Ataru come un cagnolino in attesa del boccone, mentre il giovane Moroboshi si sedette su una grande pietra piatta e cominciò a raccontare.

“Quella notte faceva molto freddo. Lamù mi disse che voleva dormire con me e le proposi di indossare questi”. Il ragazzo fece vedere i nastri gialli in grado di bloccare i poteri della bella aliena.

“Lei accettò e si sdraiò al mio fianco, appoggiando la coscia in mezzo alle mie gambe. Sentivo il suo corpo caldo premuto contro il mio… il profumo dei suoi capelli mi inebriava, così come il suo fiato umido sul mio collo. Io non sapevo cosa fare! Ad un tratto, Lamù si svegliò e intuì all’istante la mia eccitazione; lei rimase piacevolmente colpita e cominciò a baciarmi… io ricambiai e la sua morbida lingua invadeva la mia bocca con irruente, famelica passione… e…”.

“Cosa? COSA?!”, lo incalzò Oropa, scosso dai brividi per quel racconto a luci rosse.

“Cominciò a carezzarmi piano e sentii la sua mano scivolare sotto i boxer. Stavo per esplodere, così la abbracciai e feci scivolare la mia mano lungo il suo ventre bollente, per pi scendere sempre più giù… quando sentii la sua pelle umida la carezzai dolcemente e lei gemette di piacere… ed io con lei!”.

Oropa aveva assunto un’espressione sognante, come se la sua anima avesse abbandonato il corpo e vagasse libera nella luce infinita della gioia.

“Ad un tratto si mise sopra di me e mi guidò con la mano dentro di lei. Io non riuscivo a capacitarmi, succedeva tutto così in fretta… il piacere ci univa e ci legava indissolubilmente, guidando ritmicamente i nostri corpi, finché ad un tratto Lamù cominciò a tremare e si chinò su di me, mordendomi il collo ed ansimando forte; io la strinsi più che potei, poi lei si sdraiò al mio fianco, passandosi le mani fra i capelli. La luce della luna la dipingeva di un candore divino, facendola brillare di una bellezza che mai avevo notato in lei… era semplicemente splendida!”.

Oropa era oramai perso in quel racconto e neppure Ryoda, che lo stava richiamando dall’auricolare, riusciva a distorcerlo da quelle visioni.

“Dopodiché, cominciò a baciarmi; le sue labbra ardenti di desiderio scesero lungo il mio collo, sfiorandomi con la punta della lingua. Ad un tratto, si fermò a baciarmi dolcemente il petto… scese poi fino all’ombelico; mi leccò i bordi e poi scese ancora, finché non sentii la sua bocca avvolgermi il…”.

Ormai arrivato in estasi irrecuperabile, Oropa cadde riverso al suolo con un’espressione esterrefatta ed una bocca allargata in un sorriso spalancato. Il cacciatore si rotolò fra le foglie del sottobosco come in preda ad un attacco schizofrenico; poi balzò in piedi ed andò a stringere le mani di Ataru prodigandosi in mille ringraziamenti.

Ataru lo timbrò sulla fronte, opponendo il simbolo degli oni.

“Lo sapevo che mentivi, ma mi hai fatto sognare… che passione, che ardore!”, esclamò il ragazzo. “Tu la ami alla follia, la desideri ardentemente e queste cose le sogni davvero!”.

Così dicendo, scoppiò in una fragorosa risata e si avviò al campo base per farsi cancellare il simbolo.

“Ce l’ho fatta!”, esclamò Ataru entusiasta con il timbro stretto nella sua mano.

“Rimango in vantaggio io,comunque!”, fece notare il cacciatore. “Benten, aspettami!”.

 

Tzukino aveva le lacrime agli occhi per le risate; Oropa stava di fronte alla sua cattedra ed era tutto sporco, ma il suo volto era soddisfatto.

“Puliscimi la fronte alla svelta!”, disse alla ragazzina.

“Non hai uno yukata di ricambio, piuttosto?", chiese Tzukino notando il logoro e stracciato indumento del cacciatore. Questi non rispose e si strappò l’altra manica per pulirsi la fronte.

Finito di cancellare il timbro, l’arbitro della sfida annotò la cattura nella tabella degli oni.

Tornato nel punto dove giacevano tutti i concorrenti addormentati, Oropa si accorse che al suolo erano abbandonate parecchie armi, tutte cariche di bossoli di gomma da addestramento.

Raccolse un revolver a colpo singolo e lo fece roteare sull’indice; poi, si avvicinò a Bahyo che si stava riprendendo. Il grosso dio, con la testa pelata segnata da un grosso bernoccolo, si mise seduto a terra e borbottò all’indirizzo del cacciatore.

“Ce l’hai con me, per caso?”, chiese Oropa.

“Se tu fossi un vero uomo, combatteresti contro di me ad armi pari!”, lo minacciò il rivale alzatosi in piedi e con i pugni davanti al volto come un pugile in attesa di combattere.

Oropa constatò che il timbro entrava perfettamente nella canna dell’arma da lui impugnata… ed ebbe un’idea!

Infilò l’oggetto nell’arma e la puntò nuovamente verso Bahyo, indirizzandola alla fronte; il dio tentò di abbozzare una difesa, ma il cacciatore tirò il grilletto e un bossolo di gomma esplose fuori dalla canna, spingendo il timbro a velocità folle contro la fronte di Bahyo, che ricadde pesantemente al suolo privo di sensi.

“Ryoda, ci sei?”, chiese Oropa nell’auricolare.

“Certo che ci sono, razza di idiota!, rispose il professore furibondo. “Perché non mi davi retta mentre Ataru stava parlando?”.

“Ero troppo immerso nel discorso. Cosa volevi?”.

“Che tu ti avvicinassi di più ad Ataru, dannato imbecille!”, rispose il compagno di Kurama prima di esplodere in una fragorosa risata.

Ora sono pronto per affrontare quelle tre! Dimmi dove sono”, disse Oropa all’amico.

“Lamù è stata avvistata mentre sorvolava una radura a nord est della tua posizione attuale. Anche Benten è stata avvistata, ma è scomparsa subito dalla vista. Un terzo tengu ha visto Oyuki ed il suo cucciolo che si dirigevano verso l’area fra la posizione di Benten e quella coperta da Lamù. Amico mio, sento puzza di trappola!”.

“Darò a quelle tre ciò che vogliono!”.

“Sii prudente e non fare sciocchezze, invece”, lo rimproverò Ryoda. “Dimentichi che c’è Bi-M-Bo con loro, perciò portati in posizione nella maniera più silenziosa possibile, prima di attaccare!”.

“Ricevuto!”, esclamò il cacciatore prima di raccogliere il suo timbro e avviarsi verso l’area designata.

Dopo pochi passi, una mano sulla sua spalla lo paralizzò. Oropa restò immobile, senza muovere un solo muscolo… se qualcuno era stato in grado di arrivargli così vicino da toccarlo senza che lui se ne accorgesse, doveva essere soltanto Ataru. “Ciao, cacciatore!”, lo salutò.

“Mi hai fatto prendere un colpo!”, esclamò Oropa.

“Mi spiace, ma sei ancora in vantaggio tu…”.

“Sappi che non ci cascherò un’altra volta!”.

“Sai che io e Lamù siamo stati per una settimana intera ospiti di Benten mentre la aiutavamo nelle riparazioni dell’astronave?”, gli domandò Ataru facendosi serio in volto. “Ogni sera, dopo aver lavorato tutto il giorno, le due facevano il bagno insieme…”.

“Ti ho già ripetuto che non attacca!”.

“Va bene! E pensare che ti avevo portato una bella foto che le ritrae nude mentre si lavano a vicenda…”.

Così dicendo, tolse di tasca una busta gialla, la aprì e sfilò la fotografia in questione, sventolandola davanti al naso di Oropa.

“Non fare sciocchezze, Oropa!”, gli disse Ryoda dall’auricolare. “Dobbiamo considerare l’estrema audacia del soggetto in questione… probabilmente quella foto riporta esattamente i soggetti da lui descritti. Avvicinala alla microcamera montata sul tuo auricolare in modo che io possa esaminarla”.

“Hai vinto…”, bisbigliò Oropa mentre Ataru gli timbrò nuovamente la fronte con il suo timbro.

“Ora sono in vantaggio io!”, esultò trionfante il giovane Moroboshi mentre si allontanava.

Oropa voltò piano la foto. “Fai piano”, consigliò il professore mentre sul monitor del palmare gustava l’attesa. Lentamente comparve l’immagine di due formosi corpi di fanciulla coperti di schiuma da bagno immersi in una grande vasca vaporosa.

“Questo è indubbiamente il lavoro di un artista illuminato!”, esclamò estasiato Ryoda. “Che scelta del momento! Che inquadratura! Che colori!”.

“Ataru… grazie infinite!”, disse Oropa all’indirizzo dell’amico mentre questi spariva lentamente fra la fitta vegetazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Maestro contro allievo ***


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MAESTRO CONTRO ALLIEVO

 

Questa volta Tzukino appariva pensierosa, mentre Oropa si avvicinava con il simbolo degli oni nuovamente impresso sulla fronte.

“Ora sarà dura recuperare!”, commentò la ragazzina.

“Qui fuori ci sono quasi duecento elementi con impresso il mio marchio sulla fronte”, rispose il cacciatore. “Ataru, pur con questi duecento punti, mi ha staccato solo di poche catture. Mi basterà dirigermi verso gli unici elementi coscienti e catturarli!”.

“Questo lo so benissimo!”, disse Tzukino mentre ripuliva la fronte del ragazzo.

Oropa sciolse l’obi e la veste si aprì, scoprendo gli indumenti che il giovane indossava sotto: un gilet militare e un paio di pantaloncini in jeans. “Sarò io a vincere!”, esclamò Oropa correndo in direzione dell’uscita del canyon e sparendo successivamente nella fitta boscaglia.

 

Kurama stava sdraiata sull’erba con le mani dietro la nuca e si godeva il tepore del bel sole pomeridiano; Ryoda, al suo fianco, scrutava continuamente le immagini che le microcamere montate sugli auricolari dei tengu gli venivano inviate sul palmare. Purtroppo, di Benten e gli altri non vi era alcuna traccia.

Scoraggiato, Ryoda posò momentaneamente il palmare e carezzò il ventre dell’amata. “Credevo che non avrei mai provato questa sensazione”, disse.

La principessa dei tengu lo attirò dolcemente a sé e i due si baciarono stesi sull’erba.

“Questa è la nostra essenza, che viene tramandata di sovrano in sovrano. Io sola ho il potere di decidere a chi offrirla e ho scelto te”, aggiunse Kurama al termine del bacio, mentre con occhi languidi fissava il compagno.

“Farò di te una donna e una madre felice”, disse dolcemente Ryoda prima di abbracciare la partner.

Improvvisamente il palmare prese a suonare. “Base, rispondete!”, chiamava una voce disperata.

“Ci sono novità?” chiese il professore al tengu in collegamento che ansimava con occhi terrorizzati.

“Siamo sotto attacco, signore!”, annunciò la creatura spaventata. “Tengu 2 è stato abbattuto da una scarica della oni, Tengu 1 è stato colpito da un bossolo di gomma mentre sorvolava una radura a nord, Tengu 3 ha perso il collegamento inghiottito da una bufera di neve e risulta disperso! Resto solo io; sono nascosto e al sicuro, ma là fuori è un inferno!”.

“Resta dove sei, Tengu 4!”, esclamò Ryoda. “Ora mando in zona il cacciatore…”.

“Bravo!”, disse una voce femminile dall’auricolare. “Manda qui il nostro Oropa”.

Lamù comparve sul video del palmare, ripresa da una seconda persona con i tre tengu in ostaggio.

“Li vedi i tuoi sottoposti? Ora abbiamo anche gli auricolari per ascoltare le vostre conversazioni!”, disse Benten con voce squillante.

“Signor Ryoda, quindi lei è schierato con il cacciatore?”, chiese Oyuki, entrata anch’essa in possesso di un auricolare.

“Se gli dèi vinceranno la sfida, io potrò restare col mio tesoruccio”, esclamò Lamù mentre teneva per le zampe le povere creature come se fossero galline. “Mandaci qui il tuo protetto e vediamo di archiviare la questione!”.

Ryoda staccò il collegamento e si passò le dita sotto il mento.

“Problemi?”, chiese Kurama.

“L’unico problema è che dovrò starti lontano ancora… l’azione mi chiama!”, rispose il professore, alzandosi.

“Non preoccuparti, caro!”, rispose la principessa dei tengu. “Abbiamo una vita intera da passare insieme!”.

Salutata la partner, Ryoda si allontanò rapido nella fitta boscaglia. “Ci sei, Oropa?”, chiese al suo alleato.

“Sì, ho sentito tutto!”, rispose il ragazzo. “Quelle tre fanno sul serio!”.

“Vengo subito a fornirti supporto. Ora chiudo il contatto!”, disse Ryoda prima di interrompere il collegamento con Oropa.

 

Nella fitta foresta, Oropa avanzava fra l’erba alta, con la schiena curva e passi misurati.

Il giovane sfoderò Obelion, lentamente vi fece scivolare sopra lo yukata strappato e quando l’improvvisato manichino fu pronto, lo eresse piantandolo al suolo.

Agganciò la cordicella alla polsiera e strisciò col ventre a terra, restando in attesa.

Scrutò l’orizzonte verso la giungla; dagli alberi nessun uccello si alzava in volo, segno che nessuno si spostava in quella direzione. Guardò verso il burrone e scorse Benten in piedi, immobile, sul ciglio.

Con uno strattone recuperò spada e veste e la indossò senza allacciarla.

Avanzò cauto fino a pochi metri dall’immobile dea, che gli dava le spalle e sembrava guardare giù nel canyon. “Giocherò a carte scoperte!”, pensò.

Lentamente e senza fare alcun rumore, si sollevò dal suolo comparendo alla vita della ragazza come un fantasma. Avanzò di un passo, sfoderando il revolver e puntandolo contro la nuca di Benten. “Beccata!”, disse Oropa.

“Beccato!”, replicò Benten, apparendo una decina di metri a fianco del ragazzo e puntandogli un grosso fucile alla testa.

Lamù arrivò volando ed atterrò a pochi passi dal giovane, appoggiò le mani al suolo e lasciò defluire elettricità a basso voltaggio. “Ecco il nostro prode cacciatore!”, esclamò la bella aliena.

Oropa la guardò e ripensò al racconto di Ataru: i morbidi capelli, l’abbondante misura del busto, la vita stretta e i morbidi fianchi; immaginò di afferrarla per le corna e baciarla con irruenta passione, mordicchiando quelle sue morbide labbra e penetrando con la lingua nella sua bocca fino a sentire i canini.

“Se mi obbligassero a sposarla… la prima notte di nozze sarà… indimenticabile! Forse mi faccio sconfiggere!”, pensò il ragazzo.

Il cacciatore prese a ridacchiare, poi indicò la copia di Benten che aveva di fronte. “Non sapevo che avessi una sorella gemella!”, scherzò.

“Si tratta di una semplice copia olografica creata dalla mia tuta da combattimento!”, spiegò la vera Benten abbassando l’arma.

Oropa approfittò della distrazione dell’amata e cercò di scattare di lato, ma le gambe non si mossero e rischiò di cadere come un salame; si sorresse puntando lo spadone al suolo.

La tuta di Benten riprese il colore originale abbandonando la tonalità dell’erba; alcune stringhe di energia rossa vibravano fra le cuciture della tuta, segno che il sistema dell’indumento era attivo.

“Ma che diavolo…”, sbottò il cacciatore, impossibilitato a muovere gli arti inferiori.

“Trappola paralizzante!”, rispose Lamù. “Trasmetto al suolo energia elettrica di intensità tale da entrare in conflitto con i nervi umani, impedendo al cervello di comandare le gambe!”.

Oropa sollevò lo spadone e lo lanciò all’indirizzo della oni, che per non essere colpita staccò i palmi dal suolo interrompendo il flusso di energia.

Con rapidi balzi il cacciatore evitò i colpi sparati da Benten, affondò la spada nel terreno e la usò come trampolino per saltare alto nel cielo.

Il ragazzo piombò addosso a Benten, ma un attimo prima che potesse appoggiare il timbro sulla fronte dell’amata, una grossa palla di ghiaccio lo colpì al ventre, facendolo rovinare al suolo a parecchi metri di distanza. Lamù, Oyuki e Benten si pararono di fronte a lui.

“Ryoda, aiuto…”, disse nell’auricolare il ragazzo con voce fioca per il colpo subito.

“Sto arrivando, resisti!”, rispose il professore.

Benten lo attaccò; il giovane cacciatore riuscì a schivare i primi pugni e a bloccare un calcio, ma una gomitata lo colse impreparato e cadde sulle ginocchia.

 

Ryoda correva in direzione della posizione segnalata dall’auricolare di Oropa e da quello delle ragazze sullo schermo del palmare, quando Bi-M-Bo gli si parò di fronte. “E’ venuto il momento che l'’allievo superi il maestro”, ringhiò la possente belva.

“Ognuno di noi è tenuto a raccogliere ciò che ha seminato!”, rispose piatto il compagno di Kurama.

“Un’affermazione degna di lei!”, ruggì lo yeti, alzando le grandi mani artigliate e preparandosi ad attaccare.

“Molti anni fa”, iniziò a parlare Ryoda nonostante la situazione, “venivano rinchiusi in una grande arena uomini e belve per divertimento e venivano fatti combattere davanti ad una platea urlante”.

“E allora?”, chiese Bi-M-Bo.

“Questa sarà l’ultima lezione che ascolterai da me!”, sibilò Ryoda.

“Si arrende, allora?”, lo schernì la belva.

“Come ti dicevo, uomini contro belve combattevano in una lotta per la sopravvivenza. Nella maggior pare dei casi, leoni e tigri avevano la meglio… eppure, succedeva che a volte l’ingegno degli uomini deboli avesse la meglio e a lasciare il campo vittoriosi fossero proprio i piccoli esseri umani, che la natura ha dotato di forza limitata e scarse armi naturali”.

“Quindi io sarei la bestia!”, ridacchiò lo yeti facendo sobbalzare tutto il pelo del suo corpo.

“Ed io il piccolo uomo… tuttavia ho sempre una piccola possibilità di successo”.

Così dicendo, la gobba sotto lo yukata del professore cominciò a muoversi. “Te la senti davvero di affrontarmi in duello?”.

Gli occhi di Ryoda erano freddi ed inespressivi, la postura marziale e quella strana gobba si agitava come animata di vita propria.

“No… non me la sento!”, esclamò in lacrime Bi-M-Bo inginocchiatosi al suolo.

“Saggia decisione!”, disse il suo maestro mentre gli assestava una sonora pacca sulla spalla.

Ad un tratto, mentre si allontanava correndo, notò qualcosa di rosso nascosto fra la fitta vegetazione del sottobosco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Una battaglia aerea furibonda ***


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UNA BATTAGLIA AEREA FURIBONDA

 

Una gelida folata di vento scaraventò Oropa nel vuoto dello strapiombo e il cacciatore cominciò a precipitare giù.

Lamù lo afferrò al volo e lo salvò, rimproverando Oyuki per la follia del gesto mentre Benten rideva come una pazza. “Tutto qui quello che sai fare?”, lo schernì la dea.

Lamù lo lasciò al suolo vicino al ciglio ed andò a chiudere le fila vicino alla regina di Nettuno e alla dea della fortuna.

Oropa ansimava, stremato dalla battaglia; richiamò con la cordicella Obelion e la rinfoderò.

“Buttati nel vuoto!”, gli ordinò Ryoda.

“CHE COSA?!”, esclamarono tutti e quattro sentendo quel comando dall’auricolare.

“Fallo e basta!”.

Il cacciatore si tolse lo yukata e lo sventolò in aria, affidandolo alle cure del vento. “Vincerò!”, gridò all’indirizzo delle tre aliene.

“Stupido!”, disse Benten. “Non capisci che se lo schieramento degli dèi dovesse vincere, noi saremo promessi? Non lo vuoi, forse?”.

“Questo è ciò che vuoi?”, ringhiò Oropa. “Vuoi davvero che tutti dicano che mi hai vinto ad una gara come fossi un premio? A me non basta! Se vincerò io, lascerò che la nostra relazione cresca di sua spontanea volontà e se ci uniremo in matrimonio sarà per amore!”.

Benten lasciò cadere il fucile e spense la tuta da combattimento. “Hai ragione! Lascerò che tu vinca”, disse all’amato.

Anche Lamù e Oyuki deposero idealmente le armi e si arresero. “Puoi timbrarci!”, dissero le tre all’unisono.

“Bene!”, tuonò Oropa impugnando il suo sigillo. “Con la mia vittoria schiacciante, farò in modo che venga istituita la mia legge. Farò sì che io abbia il diritto alla prima notte con ogni fanciulla del popolo degli oni, degli dèi e del popolo di Nettuno! Così non scontenterò nessuno e la mia discendenza si spargerà per l’intero universo!”.

Lamù e Benten impallidirono all’istante, mentre Oyuki accolse l’idea freddamente.

La oni lanciò una scarica elettrica simile al fulmine di un temporale, mentre la dea guizzò col destro pronto a colpire, ma Oropa fu rapidissimo e con un salto sparì nel burrone dietro di sé.

“Ti sei cambiato d’abito, vedo!”, esclamò Ryoda, che lo aspettava poco sotto al ciglio in sella alla moto di Benten.

“Belli, vero?”.

“Un po’ frivoli, a dire il vero”.

 

“Gioca pesante, eh?”, ringhiò Benten con le braccia conserte sul ciglio del canyon, mentre osservava la sua moto spaziale allontanarsi.

Lamù estrasse qualcosa dal reggiseno e premette un pulsante. “E’ l’ora della festa!”, esclamò con un ghigno.

“Dobbiamo proprio farlo?”, domandò Oyuki con voce tranquilla.

“Certo!”, disse Lamù mentre immaginava uno stuolo di bambini con occhi azzurri, capelli biondi,  pannolini tigrati e un corno dietro la nuca intenti a bruciare ogni cosa e sfasciare tutto con grosse spade.

“Non c’è altra soluzione!”, ripeté Benten mentre immaginava uno stuolo di bambini con occhi azzurri e capelli biondi intenti a distruggere ogni cosa sul loro cammino.

“E va bene…”, annuì sconsolata la bella regina di Nettuno mentre immaginava il giardino del suo palazzo pieno di splendidi bambini intenti a spalare la neve.

Dal cielo sibilarono tre oggetti, arrivando a fermarsi sopra le teste delle ragazze.

 

Alle spalle della moto spaziale guidata da Ryoda con Oropa come passeggero, comparvero tre piccoli caccia.

“Attenzione!”, esclamò il professore in modo che il ragazzo lo sentisse. “Classe caccia atmosferici, piccole astronavi da addestramento impiegate in ricognizioni che sfruttano il magnetismo dei pianeti dove vengono inviate per muoversi con incredibile agilità!”.

Un proiettile sibilò vicinissimo vicino alla testa dei due.

“Ci sparano addosso!”, esclamò preoccupato Oropa. “Quello rosso, quello tigrato e quello bianco sono alle spalle del caposquadriglia!”.

I piccoli velivoli, dalla forma di punta di freccia e dotati di un grosso cannone nella parte inferiore, seguivano la scia lasciata dalla moto, che con un rombo assordante cercava disperatamente di seminare gli inseguitori.

“Non li staccheremo mai!”, disse Ryoda. “Sullo stabilizzatore di sinistra c’è un bazooka; vedi di fare qualcosa!”.

Oropa lo afferrò con una mano mentre con l’altra si reggeva alla vita dell’amico.

“Voltati e poggia la tua schiena contro la mia, poi stringi forte le gambe intorno alla sella!”, gli consigliò il giovane insegnante di Storia terrestre. “Mira al caccia bianco!”.

Il cacciatore obbedì e lentamente si voltò, sollevando la grossa arma e portandosi il mirino all’occhio.

Passò in rassegna i tre velivoli: su quello rosso di testa sicuramente c’era Benten, quello tigrato era pilotato da Lamù e quello bianco apparteneva alla regina di Nettuno.

“Non c’è una cabina di pilotaggio in quegli affari!”, urlò disperato Oropa, constatando che la superficie dei piccoli caccia era compatta e senza alcun abitacolo in vetro.

“La guida di quegli affari è digitale!”, rispose Ryoda. “L’abitacolo è nella zona posteriore e i piloti osservano l’esterno su un monitor circolare che avvolge l’intera cabina”.

“COLPO IN ARRIVO!”.

Con un avvitamento, Ryoda riuscì ad evitare l’impatto ma il cacciatore rischiò di perdere l’arma.

“Dannazione, non ce la faccio!”, sbraitò il cacciatore. “Abbiamo solo tre colpi a disposizione!”.

“Rilassati, appoggiati a me e mira bene ad uno dei tre bolli neri che quegli affari hanno sulla corazza”, gli disse tranquillo Ryoda. “Essendo caccia da addestramento, quelli rappresentano i punti da colpire; se ce la farai, il pilota verrà espulso dall’abitacolo e il caccia tornerà automaticamente al suolo!”.

“Va bene!”.

Sullo schermo della strumentazione della spazio moto comparve il viso di Benten. “Siete spacciati!”, esclamò la dea da dentro il suo abitacolo.

Lo schermo si divise a metà e anche Lamù apparve in comunicazione. “Io farò bambini solo col mio tesoruccio, chiaro?!”.

Ryoda spense il sistema di comunicazione e disse ad Oropa: “Il caccia bianco! Appoggiati bene a me e prendi la mira: farò una brusca frenata di modo che da avvicinarci al bersaglio; quando sentirai che è il momento giusto, spara senza indugi!”.

La moto spaziale inchiodò bruscamente fermandosi in aria; Benten tirò a sé con tutte le forze la cloche per evitare di impattare i due e Lamù compì una strettissima virata a destra. L’ultima cosa che Oyuki vide sul monitor davanti a sé prima di trovarsi fuori nel cielo fu Oropa che puntava il bazooka con un sorriso sul volto.

Poco dopo, un piccolo paracadute si aprì nel cielo accompagnando dolcemente a terra la regina di Nettuno.

Ryoda approfittò di quella breve sosta per rifiatare, mentre Oropa tremava scosso dall’adrenalina.

Il professore accelerò bruscamente e un colpo sibilò vicinissimo ai due. “Temo che questa manovra non funzionerà una seconda volta!”, disse al suo “passeggero”.

Il cacciatore alzò nuovamente l’arma, portando l’occhio dentro il mirino ed inquadrando il caccia di Benten.

La navicella di Lamù sorpassò quella dell’amica e prese a tempestare di colpi la moto spaziale, che evitò ogni proiettile con abili manovre.

“Piantala!”, ordinò Benten all’amica sul monitor.

“Hanno mandato giù Oyuki!”, rispose Lamù furibonda.

Benten sorpassò nuovamente l’amica e riprese il comando della formazione. “Adesso li abbatto io!”.

 

Ryoda puntò il muso del mezzo verso il suolo, dirigendolo a folle velocità verso una radura: “Guarda chi c’è laggiù”, disse ad Oropa.

“Ataru!”, esclamò il cacciatore.

“Fai arrabbiare Benten!”, disse il professore mentre accendeva il sistema di comunicazione.

Sul monitor della navicella di Benten, che seguiva a brevissima distanza la picchiata della moto, comparve il volto di Ryoda con alle sue spalle Oropa.

“Il tuo è stato solo un colpo fortunato!”, ringhiò la dea all’indirizzo dell’amato.

“Con quel colpo ho abbattuto una di voi, mentre tu non ci hai colpito! Se fosse solo fortuna ci avresti abbattuti da un pezzo, cara la mia dea!”, la sbeffeggiò il cacciatore.

“Maledetto sfacciato!”.

“Quando avrò vinto la battaglia, ti obbligherò a danzare nuda al mio cospetto, mentre Lamù e Oyuki mi porgeranno cibo e bevande!”.

“TU SEI UN FOLLE!”.

Ryoda cominciò a ridere sguaiatamente.

“Non appena il vederti ballare nuda mi avrà saturato di desiderio, giocheremo tutti insieme alla lotta nella schiuma. Vedrai che bei bambini vi farò fare… mi impegnerò oltre misura!”.

Benten portò l’indice sul grilletto e urlò: “SEI FINITO!!”.

 

Ataru guardava preoccupato la moto che, seguita dai due caccia, si avvicinava a folle velocità rombando col motore fuori giri.

“Lamù…”, bisbigliò il ragazzo notando il caccia tigrato.

La distrazione gli fu fatale: la moto spaziale virò improvvisamente nell’istante in cui il caccia rosso esplose un colpo e l’ultima cosa che il ragazzo vide fu un proiettile che gli piombava minacciosamente addosso, colpendolo in volto ed abbattendolo al suolo.

 

“IL MIO TESORUCCIO!!”, gridò Lamù mentre sul monitor dell’abitacolo di Benten mostrava i canini.

“E’ stato un errore!”, cercò di giustificarsi la dea, mentre il sudore scendeva copioso sul suo volto.

Improvvisamente il suo caccia cominciò a tremare, investito da una raffica di colpi esplosa dall’amica accecata dalla rabbia.

“Finiscila!”, le intimò la dea. “Prenditela con loro!”.

Con manovre disperate, Benten cercava di scrollarsi dalla coda il caccia dell’amica, che continuava a tempestarla di colpi. Tutti quegli urti destabilizzarono il volo della navicella rossa e Lamù riuscì a mandare a segno un colpo.

Benten si ritrovò nel cielo appesa al paracadute, inviando ingiurie e maledizioni sia all’amica che al duo composto da Ryoda e Oropa.

Per tutta risposta, i due le si avvicinarono con la moto e il cacciatore le inviò un bacio con la mano, facendo l’occhiolino. “Resterai sempre tu la mia favorita… con le altre sarà solo un dovere!”, disse il ragazzo.

Ryoda appoggiò la fronte sul manubrio del loro velivolo tenendosi la pancia per le risate.

Benten soffiava e agitava le braccia nell’aria come una gatta infuriata, mentre dietro di lei apparve il caccia tigrato. “Hai fatto esattamente ciò che volevano!”, inveì contro Lamù.

Una proiettile sibilò vicinissimo alla testa di Benten.

Preso alla sprovvista Ryoda accelerò, ma il colpo impattò il bazooka usato da Oropa come scudo, che cadde nel vuoto.

“Punterò verso il sole!”, disse il professore. “La luce intensa creerà per alcuni secondi un’interferenza con il processore d’aggiornamento delle immagini del monitor del e Lamù sarà accecata per alcuni istanti; piombale giù come un falco e centra con lo spadone un bersaglio. Ti recupererò subito dopo!”.

Il piano era folle ma geniale ed Oropa si sentiva eccitato e carico come non mai, quindi accettò.

La moto puntò in verticale verso l’astro luminoso e il caccia li seguì; nell’abitacolo, Lamù si trovò impossibilitata a tenere gli occhi aperti e un attimo dopo sentì come se qualcosa avesse cozzato contro la carrozzeria del velivolo.

Con un giro della morte Ryoda recuperò Oropa, mentre il caccia tornava mestamente a terra. I due batterono i palmi delle mani in segno di vittoria, poi Ryoda guidò la moto lentamente per l’atterraggio.

Lamù si parò davanti a loro inferocita.

Ryoda ed Oropa impallidirono all’istante; la ragazza emanava elettricità ad altissimo voltaggio, con le braccia conserte e gli occhi socchiusi fissi su di loro.

“Ci siamo dimenticati che può volare”, fece notare Ryoda.

“Purtroppo sì!”, rispose Oropa.

“IO… FARO’… BAMBINI… SOLO… COL MIO TESORUCCIO!”, urlò Lamù investendo i due con un fulmine.

La moto cominciò a precipitare con tutti i comandi fuori uso.

Oropa era svenuto e Ryoda manteneva a stento la lucidità mentale; fortunatamente, appiccicò al petto del ragazzo il paracadute adesivo e lo buttò nel vuoto.

La tela si aprì ed il cacciatore planò al suolo fra la vegetazione, mentre la moto spaziale precipitò nel canyon ed esplose impattando contro il suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Tremenda vendetta ***


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TREMENDA VENDETTA

 

Appeso ai rami, Oropa aprì faticosamente gli occhi ed estrasse da una tasca del gilet una piccola borraccia d’acciaio.

Lamù arrivò volando e si parò davanti a lui.

“Non faresti meglio ad andare dal tuo tesoruccio?”, chiese il ragazzo con un filo di voce.

“Lui sta bene!”, sbottò la ragazza in bikini tigrato. Seguì un attimo di silenzio, in cui i due si ricordarono di quante botte Ataru aveva ricevuto in vita sua; poi riprese a parlare con tono freddo ed impugnò il timbro che Benten le aveva dato.

“Gli dèi vinceranno e tu sarai destinato a Benten!”.

“Ma davvero ti sei bevuta le mie panzane?”, le chiese il cacciatore.

“Come?”.

“Ho detto quelle assurdità solo perché non volevo che Benten rinunciasse alla battaglia”.

“Davvero?!”, domandò sbigottita Lamù, avvicinandosi ad Oropa per scrutargli negli occhi se stesse mentendo oppure no.

“Non è ancora finita, comunque!”, disse Oropa. “Ti chiedo di non dire nulla a Benten e di avere fiducia nelle mie capacità”.

“Qui non c’è in ballo non solo il futuro tuo e di Benten, ma anche il mio e quello del mio tesoruccio!”.

“Quando tuo padre saprà che è stato in grado di mettermi nel sacco per ben due volte, si rimangerà quello che ha detto!”.

“Questo significa che ora gli oni sono in vantaggio?!”.

“No! Mi mancano cinque catture e sarò in vantaggio: tu, Oyuki, Benten, Bi-M-Bo e Ataru… filerà tutto liscio”.

Detto ciò, il giovane scolò il contenuto della borraccia e si stiracchiò. “Per fortuna l’acqua curativa fa effetto anche bevendola!”, esclamò.

“Che ne è stato di Ryoda?”, si disse Oropa preoccupato per le condizioni dell’amico.

“Sta bene!”, affermò una voce familiare nella mente di Oropa.

“Davvero, Tzukino?” pensò Oropa.

“Ryoda sta bene. Quell’uomo ha più risorse di quanto tu possa immaginare!”.

Il cacciatore si rialzò e tirò un sospiro di sollievo, ma un grosso proiettile di ghiaccio lo colpì all’addome. Oyuki si presentò in una bufera di neve con gli occhi splendenti di luce rossa e i capelli agitati.

Lamù andò in soccorso di Oropa, ma lui la scacciò. “Non dire niente a nessuno!”, le ordinò il ragazzo.

Una pallottola di gomma lo colpì alla schiena con violenza; su un alto ramo si materializzò Benten che stringeva un grosso fucile da cecchino. “Siamo alla resa dei conti!”, ruggì la dea.

 

Shutaro Mendo aprì gli occhi; la testa gli doleva leggermente e avvertiva un senso di nausea.

Attorno a lui, tutti stavano riprendendo i sensi emettendo gemiti e lamenti; notò che ognuno di loro aveva il timbro del cacciatore sulla fronte.

Ryuunosuke e Shinobu aiutarono il ragazzo a rialzarsi e insieme cominciarono a far uscire dal torpore tutti coloro che si trovavano nei paraggi.

“Gas soporifero!”, ringhiò il padre di Lamù mentre Tzukino passava la spugna umida sulla fronte.

“Le regole lo consentono!”, esclamò l’arbitro.

“Vendetta!”, esclamò un soldato di Uru.

“Vendetta!”, ribadì un giovane dio.

“VENDETTA!!”, gridarono gli altri tutti insieme, sollevando le armi e radunandosi appena fuori dal canyon, aspettando di formare un piccolo esercito congiunto per sistemare l’odioso cacciatore.

Ten lanciava alte fiamme al cielo per sfogare la frustrazione, Mendo comprò ad un banco una nuova arma in legno, Ryuunosuke e Shinobu facevano schioccare le giunture delle dita.

 

Oropa saltò per evitare un proiettile sparato da Benten e contemporaneamente usò lo spadone per frantumare un grosso cuneo di ghiaccio che Oyuki aveva scagliato contro di lui.

Appoggiò Obelion al suolo e vi poggiò le mani sopra, evitando con una ruota un secondo colpo della regina di Nettuno e risollevando l’arma in tempo per parare un nuovo proiettile di gomma.

“Così non va!”, esclamò Benten buttando il fucile e scendendo al suolo.

Il terreno sotto i piedi di Oropa cominciò a gelare e lui conficcò lo spadone nel terreno, usandolo per saltare su un ramo, dove recuperò l’arma grazie alla cordicella.

Oyuki affiancò l’amica e rimasero a guardare in alto con aria truce.

Un dardo di ghiaccio spezzò il ramo ed Oropa scappò nella boscaglia dandosela a gambe levate.

“Che avevi da startene immobile?”, domandò Benten a Lamù, rimasta per tutto il tempo ferma ad osservare il combattimento.

“Credo che sia colpa… della stanchezza!”, bisbigliò la bella oni. “Vado subito a vedere dove è diretto; seguitemi e non perdetemi di vista!”.

Oyuki e Benten si fissarono perplesse e infine seguirono l’amica.

 

Oropa sbucò nella grande radura antecedente il burrone e Lamù chiamò le sue amiche. “E’ QUI!”.

Il ragazzo si fermò a riprendere fiato ed attese l’arrivo delle rivali, mentre una colonna di fumo saliva dal canyon; Oropa pensò a Ryoda.

“Probabilmente sta architettando qualcosa”, pensò fra sé il cacciatore.

Un vento gelido lo richiamò dai suoi pensieri e osservò le tre ragazze.

“Si arrenda o morirà!”, esclamò Oyuki.

La regina di Nettuno stava per attaccare nuovamente, ma Benten la fermò. “Vado io. Voi fate in modo da non lasciarlo scappare nel caso in cui tentasse la fuga!”.

Benten impugnò il timbro e si lanciò all’attacco; la dea cercò da subito di colpire la fronte del ragazzo, ma costui evitò ogni colpo con abilità.

La carica della tuta da combattimento era ormai in esaurimento e Benten cercava in ogni modo di chiudere la battaglia alla svelta, senza tuttavia riuscirvi.

“Friggilo, Lamù!”, ordinò all’amica.

La bella oni cominciò a concentrare energia nelle mani, mentre il ragazzo le teneva gli occhi addosso.

Lamù esitò e Benten si voltò spazientita verso di lei. “Che cosa aspetti?”.

Obelion aprì la bocca ed il braccio destro della dea vi sparì dentro; con uno strattone liberò l’arto, ma il timbro era andato perso e lo spadone lo risputò fra le mani di Oropa.

Oyuki lanciò il suo timbro all’amica e questa lo afferrò al volo.

“Con te sarà sempre una battaglia…”, sussurrò Oropa fissando gli occhi dell’amata mentre questa si avvicinava a lui pronta a timbrarlo.

“Puoi ben dirlo!”, rispose Benten.

“Sei troppo bella per lasciarti sempre vincere!”.

“Ammetto che sei molto abile, ma hai i tuoi limiti ed io sono oltre la tua portata. Riuscirai mai a prendermi?”.

“L’ho già fatto!”, sussurrò Oropa mentre senza farsi notare sfilava la cordicella dall’impugnatura di Obelion. “Io ho molti limiti, che sono quelli di un uomo…”.

Con un rapido gesto attorcigliò la cordicella attorno al busto e al braccio destro della ragazza, stringendo la morsa e contemporaneamente rovesciò la situazione con le gambe, portandosi sopra l’amata. Con la mano libera impugnò il suo timbro e lo poggiò sulla fronte della dea; poi la baciò delicatamente sulle labbra.

“Non potrò mai superarti… ma saprò farmi amare davvero da te?”, domandò Oropa con gli occhi lucidi. “Tu non immagini nemmeno quanto ti amo… ma tu?”.

Gli occhi della ragazza si fecero lucidi; Oropa si rialzò e impugnò nuovamente Obelion, portando poi l’imponente spadone nel fodero sulla schiena.

Con un rapido scatto timbrò Oyuki, che era rimasta immobile a godersi la scena e stessa sorte toccò a Lamù che si presentava commossa oltre misura.

La dea si rialzò, mentre il ragazzo si stava avviando verso la boscaglia.

“Perché non gliel’ho confessato?”, pensò improvvisamente Benten. “Dire quelle parole è così difficile per me che, anche se sento il mio cuore esplodere, quelle maledette parole non mi escono… non mi escono!”.

Benten cominciò a correre in direzione del campo base con la testa bassa, passò velocissima di fianco al cacciatore e si allontanò.

“Andiamo anche noi”, sussurrò Oyuki a Lamù prima che si avviassero con passo rapido.

“Tu cosa farai?”, chiese la bella oni ad Oropa.

“Vado a prepararmi per il suo ritorno!”, rispose lui sorridendo. “Non credo che sia finita qui”.

 

“Non ci riesco!”, pensò Benten mentre correva sempre più forte dando fondo alle energie residue della sua tuta da combattimento. “Non riesco a dirlo… mi vergogno, è da femminucce!”.

Con le mani si fece largo fra il fitto sottobosco, attraversò rapida una radura assolata e si ricacciò nel bosco.

“E se questo fosse il mio limite?”, si domandò. “Io sono fiera, combattiva, con un forte senso dell’onore… non ho mai pensato all’amore… ma ne ho così bisogno! Quando sono con lui mi sento come immersa in una fonte calda, fra le sue braccia sento che posso sciogliere il mio muro di ghiaccio che mi protegge dalla paura di essere ferita dove sono più debole”.

Improvvisamente si trovò al cospetto dell’esercito di oni e dèi che vagava a caccia di Oropa; i soldati notarono il timbro sulla fronte della dea e presero a mormorare fra loro.

Con lo sguardo basso Benten passò in mezzo alla folla, senza cambiare la sua traiettoria.

“Nemmeno tu sei stata alla sua altezza”, disse alla ragazza un anziano dio.

Benten si fermò a fissarlo per un lungo istante con lo sguardo smarrito, poi accelerò il passo facendosi largo a gomitate.

“Il cacciatore ha ferito il suo cuore!”, disse un soldato dell’esercito di Uru.

“MORTE AL CACCIATORE!”, gridarono tutti insieme prima di rimettersi in marcia.

 

“Non sono alla sua altezza?”, si domandò sbigottita Benten mentre correva ansimando, madida di sudore. “Eppure lui mi ama ed è riuscito a dirmelo con un candore tale da abbagliarmi… perché sono così fragile? Perché ho paura di lui?”.

 

Al cospetto di Tzukino, Benten appoggiò i palmi sulle ginocchia e prese a respirare ansimando rumorosamente, sfinita per la lunga corsa.

“E così è venuto il suo turno!”, disse con un sorriso l’arbitro, preparando la spugna.

La dea sollevò il viso, fissando la ragazzina. Tzukino vide le lacrime sgorgare dagli occhi di Benten e scorrere lungo il suo volto.

Improvvisamente, sul volto della dea esplose un sorriso luminoso e gridò: “Io… IO LO AMO!!”.

Tzukino pulì la fronte della ragazza e la carezzò in viso. “Corra a dirglielo, allora”, consigliò la ragazzina, “lo vedrà felice come non mai!”.

“Non sarà una mocciosa a darmi consigli sull’amore!”, sbottò seccata Benten in un rigurgito del suo orgoglio, mentre si allontanava a grandi falcate dal campo base.

“Brutta cosa, la gelosia!”, pensò Tzukino sorridendo.

 

Pesanti passi si avvicinarono al cacciatore, mentre questo scrutava sul fondo del canyon se fra le macerie vi fosse il corpo dell’amico.

Bi-M-Bo mosse un violento pugno all’indirizzo della nuca del ragazzo, ma questo con un movimento fulmineo mise Obelion di traverso, bloccando l’attacco della belva.

Contemporaneamente, dalla giungla cominciarono a defluire oni e dèi urlanti, pronti a vendicarsi.

“Sei nei guai!”, ruggì il possente essere.

 

Lamù entrò nel campo base volando; l’arbitro la ripulì e la avvertì che Benten era già sulla via del ritorno. Non appena la bella oni si librò nuovamente nel cielo, fece la sua comparsa Oyuki.

“Al cacciatore mancano poche catture!”, esclamò Tzukino mentre puliva la fronte della regina di Nettuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Kamikaze, il vento divino ***


sa

 

 

 

 

 

KAMIKAZE, IL VENTO DIVINO

 

“Lo scherzo del sonnifero è stato di pessimo gusto!”, esclamò un anziano dio della fortuna.

“Se vuoi dimostrare il tuo valore, combatti contro i nostri migliori uomini solo e senza armi!”, gli intimò il padre di Lamù.

La folla vociante stringeva i due contendenti; il cacciatore agiva con molta circospezione in attesa della prossima mossa di Bi-M-Bo, il suo avversario.

Oropa piegò le ginocchia ed alzò le mani aperte, mettendosi in una posizione simile a quella di un portiere prima di un calcio di rigore.

Lo yeti gli si avventò addosso, il ragazzo afferrò il braccio dell’essere aggrappandosi al pelo e lo tirò con forza a sé, sbilanciandolo. Prima che il mostro potesse completare il passo per recuperare l’equilibrio, Oropa assestò una forte ginocchiata nel basso ventre di Bi-M-Bo, che accusò il colpo ma colpì col braccio sinistro il ragazzo alla schiena con abile mossa, scaraventandolo lontano.

La folla esplose in un boato.

“Che rottura di scatole”, sibilò Oropa rialzandosi.

Lo yeti lo afferrò per la collottola e lo sollevò dal suolo; gli occhi del mostro erano iniettati di sangue e il suo respiro rabbioso non lasciava presagire nulla di buono.

“Sei una stupida bestia!”, lo provocò il ragazzo.

Abbatté entrambi i pugni chiusi sui grandi occhi del rivale e questo lo mollò; appena i piedi del ragazzo toccarono il suolo, Oropa ne approfittò per assestare un forte calcione all’addome dello yeti, che si piegò per l’urto.

Il ragazzo affondò una mano nella folta peluria della testa della creatura e la sollevò, pronto a colpire con tutta la sua forza. Invece si bloccò e lasciò la presa.

“Mi fai pena, con quella faccia da cane bastonato!”, sbottò Oropa, risistemandosi le vesti stropicciate.

Bahyo scese in campo sciogliendosi i muscoli del collo, spinto dagli incoraggiamenti di tutto lo schieramento degli dèi.

“Ecco che scende in campo mister palla da biliardo!”, lo schernì il cacciatore accogliendolo con una risata.

“Ridi finché puoi!”, ruggì il muscoloso dio.

Bahyo si avventò sul ragazzo cercando di colpirlo con rapidi pugni, ma Oropa li evitò tutti.

Il cacciatore evitò un calcio di destra ed uno di sinistra; Bahyo sferrò nuovamente un pugno, ma Oropa gli bloccò il braccio con la mano destra, affondando il gomito sullo sterno del rivale.

Col respiro corto per il colpo ricevuto, Bahyo gli si avventò nuovamente addosso con tutta la sua furia, ma i movimenti del muscoloso dio erano scoordinati ed Oropa approfittava di ogni apertura nella difesa per colpire.

“Sei stupido come Bi-M-Bo!", gli disse Oropa, mentre Bahyo approfittava della pausa per riprendere fiato. “Abbandona il combattimento, se vuoi evitare una figuraccia!”.

L’assoluta calma del cacciatore mandò in bestia il dio, che lo caricò come un toro. Oropa attese immobile nella sua posizione l’arrivo del rivale e quando Bahyo cercò di colpirlo si spostò di lato, assestando un colpo nelle reni dell’avversario.

Senza perdere alcun istante, gli diede anche una gomitata sulla schiena e col tallone colpì dietro al ginocchio destro del dio, che crollò al suolo con una smorfia di dolore.

La folla era ammutolita dalla destrezza del cacciatore nel corpo a corpo e mai avrebbe immaginato che un ragazzo fosse in grado di tenere testa ad uno yeti e successivamente ad un dio allenato e forte come Bahyo.

“Ora tocca a me!”, esclamò Ryuunosuke. “Vediamo come te la cavi”.

All’improvviso, un tengu si parò fra i due contendenti. “Fine dei giochi!”, gracchiò.

Un secondo tengu comparve dall’erba e si mise su una spalla di Oropa, con una grossa sigaretta nel becco. “Chinate il capo, miscredenti!”, ordinò alla folla.

Un terzo tengu piombò dal cielo e si fermò anch’esso vicino al ragazzo. “Dopo anni di ricerche infruttuose, fallimenti, delusioni e dispiaceri…”, disse rivolgendosi ad Ataru Moroboshi, che nel frattempo era arrivato dalla giungla durante la battaglia fra Oropa e Bahyo.

Una quarta creatura piumata arrivò camminando fra le lunghe gambe di tutti i presenti, avanzò seguito dallo sguardo di ognuno e si mise seduto ai piedi del cacciatore: aveva una lunga barba bianca e sembrava molto più anziano degli altri.

“Gioite, popolo dei tengu!”, esclamò trionfante. “Una luce nuova è giunta a farci da guida! Grande è la sua saggezza e temprato il suo spirito! Egli ha saputo conquistare il cuore e l’anima della nostra principessa e da uomo è diventato il nostro sovrano!", prese fiato e con trasporto gridò: “IL VENTO DIVINO CI DARA’ GIOIA E LUSTRO! AVE AL NOSTRO RE! AVE AL NOSTRO SIGNORE! AVE AL NOSTRO… DIO!!”.

Due enormi ali nere pulsavano in cielo, accompagnando l’ascesa di un essere, coprendo con la sua ombra un’ampia parte della folla.

Ad ogni battito, oni e dèi erano obbligati a coprirsi il volto dalle forti raffiche d’aria, finché la figura scura non si posò al suolo in mezzo a loro, dispiegando le ali in un gesto liberatorio prima di chiuderle.

Tutti i tengu si prostrarono al suolo, ma una mano benevola sfiorò loro le testoline. “Grazie di tutto, miei servitori!”, disse dolcemente il nuovo arrivato.

Le creature piumate posarono i loro occhi colmi di gioia sul loro sovrano prima di sollevarsi in volo e scomparire.

“Quella ti faceva a pezzi!”, esclamò Ryoda indicando Ryuunosuke all’amico cacciatore rimasto esterrefatto dalla sua spettacolare entrata in scena.

“Ma che… spettacolo!”, disse sbigottito Oropa. Gli occhi del ragazzo luccicavano di meraviglia per l’amico e le sue splendide ali nere che sbucavano dallo yukata strappato.

“Non hai ancora visto nulla!”, gli confidò Ryoda.

I tengu fecero ritorno trasportando una lunga lancia nera, con la punta composta da una corona di piume d’oro. “A voi, mio sire!”, esclamò l’anziano tengu.

Ryoda la impugnò e la fece roteare vorticosamente fra le dita, prima di appoggiarla al suolo fra i suoi piedi.

Tutti restarono ammutoliti: l’alleato del cacciatore era Kamikaze, il vento divino, divinità protettrice del popolo dei tengu.

Un dio anziano si fece coraggio ed avanzò di un passo fra la folla, chinando il capo al cospetto di Ryoda. “Perdoni la mia insolenza”, borbottò mestamente.

“Parli pure liberamente, amico mio”, rispose Ryoda con sguardo benevolo.

“Kamikaze venne confinato nella terra del riposo molti anni or sono da un impavido guerriero, stanco delle scorribande devastatrici di quel demonio. Ciò gettò il popolo dei tengu nella disperazione, ma ora è qui al nostro cospetto. Come si è liberato?”.

“Kurama voleva una guida per il suo popolo, un sovrano giusto”, cominciò a rispondere il professore; poi estrasse dallo yukata un antico testo e lo aprì.

“Con nere ali di furia su noi si abbatte, esso è il dio dei tengu e di vento e tempeste è composto il suo regno. Irrequieta è la sua anima, vuota la memoria, vagando in ogni dove porta la morte, annunciandola con la rabbia dei venti. Confinato nella terra del riposo il suo spirito, senza anima corrono le arie della terra natale…”.

Gli occhi dei tengu si fecero lucidi di lacrime; avrebbero potuto continuare a pronunciare le restanti parole di quel testo a memoria, da tanto che lo avevano studiato.

Una folata di vento annunciò l’arrivo di Kurama. “Ho rimosso il sigillo personalmente ed ho fatto dono dello spirito del nostro dio a questo giovane. Lui è colto e giusto e con la sua conoscenza della storia, che è la madre dei popoli, ha saputo placare la furia del nostro signore ed ora ne è il padrone! Niente da obiettare, spero”, intimò poi la ragazza mentre abbracciava il compagno.

Ataru abbozzò una mezza obiezione, ma Kurama, vibrando un poderoso colpo con il suo ventaglio a forma di foglia, lo scaraventò in cielo proprio mentre sopraggiungeva Lamù, che lo afferrò al volo.

 

“OROPA!”, gridò una voce di ragazza al limitare della radura.

La folla si aprì ed in lontananza comparve Benten, che con gli occhi posati sul ragazzo cominciò a camminare verso di lui. Arrivò anche Oyuki e Bi-M-Bo corse fra le sue braccia in lacrime per farsi consolare e per godere della fresca aura della regina di Nettuno.

La dea passò in mezzo ai suoi amici senza distogliere lo sguardo dal suo obbiettivo; la massa borbottava parole di conforto all’indirizzo della ragazza, mentre questa procedeva senza indugi.

Davanti ad Oropa si fermò, abbassò la zip della tuta da combattimento e se la tolse; gli stivali in cuoio rosso fasciavano le sue gambe e la leggera falda metallica fasciava la sua vita. Il reggiseno in metallo cingeva il busto con attaccata la catena e proseguiva sulla spalla destra unendosi con una protezione, che continuava per tutto il braccio fino a collegarsi ad un robusto guanto.

Sollevò una mano aperta davanti al volto stupito del cacciatore e la strinse in un pugno.

“Il primo che cade a terra ha perso!”, intimò ad Oropa.

“Piantala, Benten!”, le disse Lamù, portando al suolo Ataru. “La storia della prima notte è una sciocchezza, l’ha detto solo per…”.

“Ti avevo chiesto di non dire nulla, Lamù!”, affermò Oropa contrariato.

Il ragazzo si portò in posizione, pronto a rispondere agli attacchi dell’amata Benten.

Obelion aprì il suo occhio per vedere la scena… era quello che attendeva dalla prima volta che il giovane aveva condiviso i suoi sentimenti, la battaglia finale.

Ryoda e Kurama si fecero in disparte e il cerchio si chiuse nuovamente attorno ai due.

Senza esitazioni, Benten attaccò il ragazzo afferrandolo per il gilet e spintonandolo, cercando di mettere una gamba dietro a quelle di lui per farlo cadere.

Oropa appoggiò entrambe le mani sulla grossa catena che adornava il busto della ragazza e la usò come appiglio per avere maggiore presa e contrastare efficacemente la forza dell’avversaria.

La situazione rimase in fase di stallo per qualche tempo, in cui i due si fissarono intensamente. Benten mollò la presa e lo stesso fece Oropa.

I due combattenti si studiarono girandosi intorno; a fare la nuova mossa fu Oropa, che afferrò l’amata per un braccio strattonandola a sé ed appoggiò una mano aperta sul suo sterno portando contemporaneamente una gamba dietro a quelle di lei per sbilanciarla. Benten gli si aggrappò addosso per evitare di cadere.

Oropa, sentendo il corpo dell’amata contro il suo, ripensò a ciò che Orochi gli aveva detto il giorno prima.

 

LA TUA BENTEN HA DIMOSTRATO DI AVERE TANTA FORZA DA CALPESTARE L’ONORE IN NOME DELL’AMORE! NON COLMERAI MAI QUESTA DISTANZA SE NON CAPIRAI QUANTO SIA COSTATO, PER UNA RAGAZZA FIERA E BATTAGLIERA COME LEI, CHIEDERTI SCUSA”.

 

La sorresse quando avrebbe potuto lasciarla cadere al suolo ed aggiudicarsi la vittoria.

“Io ti amo”, sussurrò lei mentre cingeva il collo di Oropa con entrambe le braccia e la sua bocca era vicinissima all’orecchio di lui.

Oropa la lasciò e lei si allontanò di un passo; con gli occhi lucidi e colmi di gioiosa soddisfazione ripeté nuovamente: “Ti amo!”.

Il ragazzo restò paralizzato, mentre una leggera brezza gli accarezzava il viso.

La ragazza appoggiò una mano sotto il mento di lui e si avvicinò come per baciarlo; invece portò una gamba in posizione e con una mossa a sorpresa lo fece cadere a terra. “Ho vinto!”, esclamò ridendo ed alzando le braccia al cielo.

La folla esplose in un boato ed il dio anziano consigliò alla ragazza di procedere subito alla timbratura della preda.

“Il mio timbro l’ho perso!”, esclamò Benten. “Chi mi presta un timbro degli dèi?”.

L’esercito degli dèi si frugò nelle tasche invano, dato che tutti i loro timbri erano spariti.

Anche gli oni si accorsero che i loro timbri avevano fatto la stessa fine.

“Io ne ho uno!, esclamò Lamù.

“Io ho quello degli oni!”, disse Ataru.

“Quello che Oyuki mi ha dato è rimasto nella tuta!”, disse Benten, mentre si avvicinava all’indumento riverso al suolo.

Oropa con uno scatto soffiò la tuta da sotto il naso dell’amata e la lanciò a Ryoda. “Mancano solo due timbri oltre a quello dentro questa tuta: uno è in mano a Lamù e l’altro è in mano ad Ataru!”.

“Che significa?”, domandò stupita Benten.

Oropa impugnò Obelion e lo sollevò dal suolo, puntandolo contro la massa di persone; Ryoda suggerì a Kurama di allontanarsi e si mise di fianco al giovane cacciatore.

“Approfittando del vostro sonno, vi abbiamo sottratto tutti i timbri e allo stato attuale ne restano in circolazione soltanto tre: quello del cacciatore, uno degli oni ed uno degli dèi”.

“Niente timbri degli oni, niente catture per gli oni…”, borbottò il padre di Lamù.

“Niente timbri degli dèi, niente catture per gli dèi!”, ammise un anziano dio.

“Ti sembrano cose da fare?”, domandò con tono irritato Benten ad Oropa strattonandogli il gilet.

“Hai vinto la battaglia, ma la guerra è nostra!”, rispose il cacciatore all’amata.

“A terra!”, gli intimò Ryoda.

Il cacciatore si buttò al suolo trascinando sotto di sé Benten e lanciando il timbro all’amico, che lo afferrò al volo con un sorriso compiaciuto.

“E’ tempo di sgranchirsi le ali”, bisbigliò mentre dispiegava le grandi e lucide ali nere.

Si sollevò dal suolo generando un forte vento, costringendo i presenti ad aggrapparsi agli alberi per evitare di essere sospinti via dalle forti raffiche.

Ryoda si portò sopra il gruppo e cominciò a roteare la lancia piumata, poi la alzò e vibrò un violento colpo verso il suolo gridando: “TATSUMAKI!”.

Una grande tromba d’aria sollevò in cielo oni e dèi, trascinandoli in un vortice come foglie al vento.

Il padre di Lamù afferrò al volo il piccolo Ten, incapace ancora di contrastare una simile forza col suo debole volo.

In mezzo a quella confusione, Ryoda si muoveva con la rapidità di un falco grazie alle enormi ali, timbrando ogni fronte che incontrava.

Lamù, trascinando il suo tesoruccio, cercava disperatamente di uscire da quel turbinio di urla e corpi, ma il professore si parò dinanzi a lei. “Consegnatemi i timbri e cesserò immediatamente questo finimondo, amici miei!”.

Benten, tenuta al suolo da Oropa, osservava sconvolta quella bolgia infernale che si era scatenata in cielo; nel centro esatto del ciclone di corpi urlanti e foglie riuscì a distinguere la figura minacciosa di Ryoda che bloccava Lamù.

Oropa la immobilizzava al suolo col peso del suo corpo e dello spadone.

“Ma cosa avete in mente, voi due?”, chiese al ragazzo.

“Domineremo il campo!”, rispose lui. “Se non avrete più timbri, non potrete fare più nulla per recuperare terreno nei miei confronti!”.

“Ma sarà anche la fine della battaglia!”, sbottò lei tentando di scrollarselo di dosso. “Cosa faranno tutti fino a sera? Attenderanno i tuoi comodi?”.

“Vedrai che sorpresa!”.

La dea scorse fra l’erba Ryuunosuke che contrastava il vento in ogni modo, aggrappata a degli arbusti.

“Ryuunosuke!”, la chiamò. “Butta giù quel corvaccio!”.

Saltando sui corpi delle persone sospese nel turbine, Ryuunosuke si portò alle spalle di Ryoda e senza che quest’ultimo se ne accorgesse, gli balzò addosso serrandolo in una presa.

Impossibilitato a muovere correttamente le grandi ali, il giovane cominciò a precipitare con lenti avvitamenti verso il suolo, ma prima di cadere riuscì a timbrare la fronte dell’avversaria.

Poggiati i piedi al suolo, il tornado cessò e tutti ricaddero giù.

“Ottimo lavoro!”, disse Benten alla ragazza autrice dell’attacco.

Oropa si allontanò con uno scatto ed impugnò Obelion. “Bel lavoro!”, disse a Ryoda.

Il professore rispose con un lieve inchino mentre aiutava gli sconfitti a rialzarsi. “Ora tocca a te”, gli suggerì.

“Che significa?”, chiese spazientita Benten all’amato.

“Significa che il nostro piano per il dominio del campo sta procedendo perfettamente. Ora tutti torneranno al campo base e prima che ritrovino i timbri passerà molto tempo”, spiegò Oropa.

La bocca dello spadone si spalancò e il ragazzo infilò dentro un braccio, afferrò una corda con dei sacchetti legati e la sfilò dalle fauci dell’arma.

“L’idea ci è balenata stamane!”, cominciò a parlare Ryoda mentre sollevava il pesante padre di Lamù prima che questo, col suo imponente corpo, schiacciasse del tutto il povero Ten. “Il difficile era volgere ogni cosa a nostro favore, mentre sarà facilissimo mantenere questo dominio… col potere dell’amore!”.

“Che cosa?!”, ringhiò Benten incapace di cogliere il significato di quelle parole.

Lamù e Ataru si erano allontanati da un pezzo e non si sapeva dove fossero finiti. Oni e dèi, timbrati e visibilmente sconvolti dalla turbinante esperienza, si incamminarono lentamente verso il campo base. Nella radura rimasero solo Oyuki, Bi-M-Bo, Benten, Mendo, Shinobu, Oropa e Ryoda, mentre Kurama si era allontanata per non intralciare l’amato portando con sé i tengu.

Il cacciatore aprì un primo sacchetto e ne estrasse una piccola pallina marrone simile ad un cioccolatino. “Questa è la mia arma segreta!”, sibilò mentre la fissava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** I confetti dell'amore ***


sa

 

 

 

 

 

 

 

I CONFETTI DELL’AMORE

 

Durante la mattina aveva mostrato quelle palline all’amico professore.

“Ho svolto una missione con degli scienziati botanici tempo fa, a caccia di particolari funghi in una palude infestata da grosse sanguisughe”, spiegò. “Quei funghi sono estremamente afrodisiaci e gli scienziati se ne servono per fare accoppiare specie in via di estinzione, riluttanti ad accettare il partner!”.

“Molto interessante!”, commentò il professore. “Ho sentito parlare di un pianeta dove vengono fatte accoppiare le specie a rischio, ma non sapevo che usassero funghi afrodisiaci”.

“E invece sì! Seccano i funghi e li mischiano alla pappa degli esemplari femmine; dopo aver consumato il pasto, queste si buttano sui maschi e li obbligano all’accoppiamento”.

Ryoda osservò attentamente una di quelle palline, la annusò e poi disse: “Quindi hai preso i funghi, li hai essiccati e ridotti in polvere e successivamente l’hai mischiata con della resina dolce di una pianta ed hai ottenuto queste! Ma perché vengono somministrate solo alle femmine?”.

“Perché, secondo quanto mi è stato detto dagli scienziati, i soggetti maschili non resistono al violento stimolo ed… ehm… ecco…”.

“Ho capito! E a cosa ti serviranno, oggi?”.

“Avevo pensato di smuovere la situazione amorosa di Ataru e Lamù…”.

“Quante ne hai?”.

“Siccome mi hanno detto che è estremamente forte, da un solo fungo ho ricavato cento palline per essere sicuro che il risultato non fosse troppo violento!”.

“Benissimo!”, commentò Ryoda. “Ci saranno molto utili!”.

 

Oropa avanzò verso Shutaro, che si era appena rialzato con molta fatica. “Ora verificheremo la veridicità delle affermazioni degli scienziati!”, disse a Ryoda.

“Procedi pure!”, rispose il futuro marito di Kurama sorridendo.

Il cacciatore gli infilò in bocca la pallina e successivamente gli chiuse la mascella.

Dopo aver deglutito il confetto, Shutaro afferrò per il collo l’amico, ma il suo volto si fece improvvisamente violaceo, la bocca si aprì e gli occhi si abbassarono. Un lungo gemito di piacere si liberò mentre Shutaro si accasciava al suolo tenendosi la zona inguinale con entrambe le mani.

“Come volevasi dimostrare”, disse Ryoda annotando tutto su un notes, “i soggetti maschili vengono colpiti da un violento stimolo e soccombono ad un prolungato ed intensissimo… orgasmo!”.

“Terribile!”, disse Bi-M-Bo.

“Io lo trovo molto interessante”, commentò Oyuki con un sorriso.

“Quindi volete”, attaccò Benten, “sfiancare i partecipanti attizzandoli l’una contro l’altro usando quelle palline afrodisiache!”.

“Molto di più!”, affermò Oropa.

“Trasformeremo questa guerra nella più bollente festicciola amorosa che si possa ricordare!”, spiegò Ryoda a Benten.

“COSA AVETE FATTO AL MIO MENDO?!”, gridò Shinobu, andando a sorreggere il ragazzo ancora scosso da spasmi di piacere.

Una pallina, lanciata da Oropa, sparì nelle fauci spalancate della ragazza. “Ora vedremo se la dose di un fungo è sufficiente per una ragazza forte e tenace come Shinobu!”, esclamò.

“Benissimo!”, commentò l’amico professore. “Sarà l’esame definitivo prima di spargere fra la folla il nostro confetto d’amore!”.

Oropa sganciò la cordicella dal bracciale e lanciò Obelion in direzione di Benten. Lo spadone si conficcò al suolo proprio alle spalle della dea e Ryoda sfilò la cordicella dall’impugnatura e la usò per legare la ragazza ben stretta all’arma in modo che non interferisse.

“Perdonami, amore mio, ma è bene che tu non rimanga coinvolta in questa faccenda!”, le disse Oropa.

“Perdona anche me!”, aggiunse Ryoda.

“PERVERTITI! MAIALI! DEPRAVATI!”, strillò la dea legata allo spadone.

“TACI!”, urlarono all’unisono i due.

“NON RIESCI A COMPRENDERE LA GRANDIOSITA’ DEL NOSTRO OPERATO? DOVE REGNAVA LA FURIA DELLA BATTAGLIA, FAREMO SBOCCIARE L’AMORE! DOVE LA GUERRA SFIBRAVA LE MEMBRA, NOI LE RITEMPREREMO CON IL PIACERE! SOSTITUIREMO FREDDE ARMI CON CALDI CORPI!”, gridò il cacciatore esaltato.

“Sarà la fine delle ostilità e l’inizio del regno dell’amore!”, concluse l’amico.

Bahyo balzò fuori dall’erba aggredendo Oropa. “Che tu sia maledetto!", esclamò il possente dio mentre stringeva con tutta la sua forza il cacciatore.

Ryoda stava per intervenire quando una grande aura rosa si diffuse nell’aria. Tutti i presenti si voltarono verso Shinobu; la ragazza appariva rossa in viso, la sua pelle appariva molto umida e il suo fiato si manifestava con nuvolette di vapore.

Shutaro, sfiancato dall’intensa esperienza, si allontanò da Shinobu, spaventato dalle escandescenze della fanciulla.

L’aura rosa si addensò in una linea ad arco che univa la testa della ragazza a quella del giovane Mendo.

“A quanto pare, la fanciulla nutre una forte attrazione verso il signorino Mendo!”, commentò Ryoda. “La linea rosa è la manifestazione del suo interessamento verso il ragazzo, a quanto vedo”.

“Credo anch’io che sia così, amico mio!”, aggiunse Oropa con Bahyo che osservava stupito ciò che stava succedendo.

“SIETE DEI PAZZI!”, gridò la povera Benten immobilizzata.

“Shutaro… tesoro mio…”, bisbigliò Shinobu mentre abbassava lentamente la chiusura lampo della sua tuta.

Il ragazzo, madido di sudore, spalancò gli occhi e tentò la fuga nel bosco, ma la ragazza lo agguantò con un balzo felino e lo fece cadere al suolo.

“Sei… bellissimo!!”, disse lei mentre si sfilò la tuta mostrando a tutti la sua biancheria intima candida ed illibata.

La sua pelle era umida di sudore e i presenti percepivano l’intensità del calore emanato dal suo corpo a metri di distanza; con occhi famelici e languidi, Shinobu si buttò sul giovane, mentre brandelli della tuta del ragazzo cominciarono a volare in cielo. I gemiti e le grida dei due facevano chiarezza su cosa stesse accadendo...

“Il timbro, Ryoda!”, esclamò Oropa.

Il professore lanciò il timbro al ragazzo e questi lo afferrò al volo, imprimendo il suo simbolo sulla fronte dell’esterrefatto Bahyo che si sforzava di cogliere i due amanti fra l’erba alta.

Timbrato, il possente dio lasciò la presa e si diresse correndo verso il campo base.

I gemiti di Shinobu e le grida di Shutaro crebbero di intensità, richiamando nuovamente l’attenzione di tutti i presenti.

Bi-M-Bo afferrò Oyuki e scappò nel fitto della boscaglia, pensando unicamente a salvare la sua regina dalla possibilità di finire vittima delle pericolosissime palline afrodisiache.

“Lasciamoli pure andare!”, commentò Ryoda. “Ora che abbiamo avuto conferma della perfetta funzionalità del nostro prodotto…”.

“… passiamo alla coppia d’oro del nostro programma: Lamù e Ataru!", concluse Oropa.

“NO!", urlò Benten. “Lasciateli in pace!”.

I due si comportavano come esimi dottori ogni qual volta dovevano esprimere pareri in merito all’azione delle palline afrodisiache e tutto ciò infastidiva sempre di più la povera dea della fortuna, legata ad Obelion. “Non si gioca con l’amore!", ringhiò Benten all’indirizzo dei due complici.

“Dimmi una cosa, Benten”, disse Oropa, “hai mai visto Lamù passare davanti al negozio di abiti da sposa?”.

“Di che diavolo stai parlando?”.

“Quando passa davanti a quella vetrina, Lamù assume un’espressione abbattuta, come se osservasse un futuro che teme di non vedere mai”, spiegò il ragazzo, mentre Ryoda annuiva con la testa. “Un giorno passavo di lì e senza che se ne accorgesse, ho visto il suo viso riflesso nella vetrina. Non potrò mai scordare quegli occhi smarriti e tristi”.

“Non spetta certo a voi forzare così gli eventi!”, protestò la ragazza.

 “Lo so che non è giusto…”, disse Oropa.

“… ma è per una buona causa!”, concluse Ryoda.

“Scappa, Lamù!”, disse Benten nell’auricolare che aveva all’orecchio.

Ryoda accese il suo auricolare per ascoltare la risposta della ragazza in bikini tigrato.

“Siamo gli unici rimasti con i timbri e non possiamo…”, fu la risposta.

“Non discutere e scappa!”, le disse l’amica.

“Pessima mossa, mia cara”, esclamò Ryoda dopo aver tolto l’auricolare dall’orecchio di Benten. “Il sistema di comunicazione è mio e grazie a questo palmare so esattamente dove si trova ogni congegno!”.

“Grandioso!”, esclamò Oropa battendo le mani.

“Dannazione!”, ringhiò Benten.

“Credo che sia giunto il momento di salutarci!”, disse Ryoda alla ragazza.

“Mi dispiace lasciarti qui, ma non preoccuparti. Fra poco Bahyo verrà a liberarti!”, esclamò Oropa mentre usava l’obi per bendare l’amata.

“Giuro che ti concerò per le feste quando ti avrò preso!”, sbraitò Benten all’indirizzo del cacciatore mentre questi si allontanava con l’amico.

“Ne sono certo!”, commentò Oropa mentre i gemiti di piacere di Shinobu e Shutaro erano finalmente cessati.

 

“Benten mi ha detto delle cose strane…”, disse Lamù all’amato, posandolo delicatamente al suolo dopo essersi allontanati.

“Quella è sempre strana!”, commentò Ataru stiracchiandosi. “Dobbiamo trovare un rifugio e aspettare il tramonto, così saremo fuori pericolo”.

“Ma noi abbiamo gli unici due timbri rimasti! Oropa mi ha confidato che tu lo hai catturato ben due volte…”.

“Dovevo farlo!”, ringhiò il giovane. “Dovevo dimostrare a tuo padre di essere alla sua altezza!”.

Lamù socchiuse gli occhi e fissò con aria seria il suo tesoruccio.

“Tuo padre ha ragione”, confessò il ragazzo con un sospiro. “Mi comporto sempre come uno sciocco e non riesco a darmi mai una misura. Solo quando sono ad un passo dal perderti io…”.

La bella aliena volò fra le sue braccia e lo strinse forte. “Ora aiutami a sconfiggere Oropa e finalmente Benten avrà la sua vittoria! Se l’hai battuto in passato puoi farlo ancora, no?”.

Ataru tolse di tasca i due nastri di tessuto giallo e li legò alle sue corna. “Scusami, Lamù”, borbottò poi mestamente. “Ora sento che devo proteggerti e non voglio che tu combatta ancora per me. Sarò io a farlo per te!”.

I due si fissarono con gli occhi colmi di gioia e strabuzzanti d’amore; Lamù si protese verso l’amato per ricevere un bacio, ma un applauso alle loro spalle li fece sobbalzare dallo spavento.

Oropa stava seduto su un tronco lì vicino e li osservava divertito, mentre Ryoda era appollaiato su un alto ramo con le grandi ali chiuse.

“Bravo, Ataru!”, commentò il cacciatore.

“L’idea dei nastri è stata geniale!”, aggiunse Ryoda. “Questo ci eviterà molti grattacapi”.

Ataru si parò in difesa dell’amata e lanciò i timbri rimasti ad Oropa. “Ora lasciateci in pace!”, li minacciò .

“Ora che noi siamo qui in nome della pace, cosa c’è di meglio dell’amore per celebrarla?”, disse sibillino Ryoda.

“Benten mi aveva detto di stare attenta a voi!”, ringhiò Lamù mostrando i canini.

“Andatevene da qui e avrete la pace!”, affermò Ataru.

Oropa tolse di tasca una pallina marrone; gli occhi del ragazzo e quelli di Ryoda brillavano di una luce fredda e sinistra.

“Che roba è?”, chiese Ataru timoroso.

“La panacea alla solitudine dei vostri cuori!”, sibilò con trasporto Oropa.

Un battito delle ali di Ryoda sollevò un turbine di fogliame dal suolo; approfittando del fatto che Lamù e Ataru si coprivano gli occhi con le mani, il cacciatore si avvicinò alla bella oni  e la chiuse fra le sue braccia; per tutta risposta, Lamù gli morsicò una mano e Oropa ne approfittò per infilare nella sua bocca il confetto afrodisiaco.

Fatto ciò, le chiuse la bocca con la mano ed attese che lei ingoiasse il tutto; appena udì il rumore della deglutizione, Oropa si allontanò per sfuggire alle ire sue, ma cadde dritto nelle grinfie di Ataru. “Come osi alzare le mani sulla mia fidanzata?!”, tuonò il ragazzo visibilmente ingelosito.

“Tesoruccio, tu…”, bisbigliò Lamù.

“Non adesso, Lamù!”, sbottò lui. “Devo dare una lezione a questo qui!”.

Ryoda si accomodò nuovamente su un ramo, attendendo l’evolversi della situazione.

“Tu, maledetto, sei piombato dal nulla e mi hai sottratto la mia Benten. Quel corvaccio nero appollaiato lassù”, disse Ataru indicando il professore, “si è accaparrato la mia Kurama. Voi due… state disintegrando il mio sogno di avere un harem!”.

“Piantala con questa buffonata dell’harem, cretino!”, lo ammonì Oropa. “Tu sei innamorato di Lamù e solo per qualche mistica ragione non riesci a compiere il grande passo. Noi ti aiuteremo e vedrai che alla fine ci ringrazierai!”.

Con uno strattone, il cacciatore si liberò dalla morsa del ragazzo e si allontanò, mentre una violenta ondata rosa investì l’area circostante.

“Non ci sarà più bisogno che tu mi racconta balle perché ora assisterò di persona…”, sibilò Oropa.

“Cosa le hai fatto, maledetto?!”, urlò Ataru visibilmente preoccupato dal colorito rossastro della pelle dell’amata e dalla vaporosità del suo respiro accelerato.

“Come hai fatto a resisterle per tanto tempo?”, domandò Oropa. “Ricordi come la guardavi la prima volta che siete usciti insieme? Eri già cotto di lei! Ma ora questo tira e molla finirà!”.

“Tesoruccio… adorato…”, disse Lamù avanzando lentamente vero l’amato, con gli occhi socchiusi e la bocca leggermente aperta  mentre caldo vapore si sollevava dal suo corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Desiderio represso ***


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DESIDERIO REPRESSO

 

Shutaro era sdraiato al suolo, sfinito.

Al suo fianco giaceva addormentata Shinobu; il colorito della pelle era tornato normale e la ragazza riposava con un’aria soddisfatta in viso e i capelli scompigliati, sparpagliati sul petto del ragazzo che le teneva un braccio sotto la testa come cuscino.

Poco più in là si udivano le vive proteste di Benten; la dea cercava in tutti i modi di liberarsi dalla prigionia, senza riuscirvi.

“Che cosa ho fatto?”, si domandò il ragazzo. “Potrei sempre giustificarmi dicendo che lei mi ha aggredito e costretto… invece… non posso negare di essere contento di quello che è accaduto”.

Shutaro carezzò delicatamente il viso di lei, che arricciò il naso ed aprì i grandi occhi scuri. “Io… vorrei… chiederti scusa”, disse la ragazza, sentendosi colpevole di quanto accaduto.

“Non devi!”, rispose lui, sfiorando le sue labbra con l’indice. “La situazione ci è sfuggita di mano; vorrei dare la colpa ad Oropa, ma non ce la faccio. In realtà… non sono mai stato così felice come ora”.

Lei sollevò la testa; i due erano completamente nudi, come novelli Adamo ed Eva. “Cosa faremo ora?”, chiese timidamente lei, mentre si sforzava di non curiosare troppo le doti del ragazzo.

“Ti confesserò”, cominciò lui, “che la mia più grande paura era quella di un matrimonio combinato da parte della mia famiglia…”.

“Faremo finta che non sia successo nulla”, borbottò lei.

“Niente affatto!”, rispose Shutaro. “Ti chiedo se posso presentarti ufficialmente alla mia famiglia come la mia fidanzata!”.

“Lo fai unicamente per assumerti le tue responsabilità, non è così?”, sospirò Shinobu.

Lui la baciò sulle labbra e passò la mano fra i capelli morbidi e profumati della ragazza. “No, lo faccio perché mi piaci; anche se oggi abbiamo bruciato le tappe, non posso comunque negare di averti desiderato”, rispose sinceramente Shutaro, facendo arrossire la compagna.

“Bene!”, esclamò lei felice. “In fondo, potremmo considerare tutto ciò un segno del…”.

“DESTINO!”, gridò Sakurambo, apparendo improvvisamente dal sottosuolo vicino alle teste dei due, che svennero per lo spavento.

 

“Dove sono i nostri timbri?!”, tuonò il padre di Lamù, abbattendo i grossi pugni sulla cattedra dove Tzukino ottemperava ai suoi compiti.

L’arbitro era tutto indaffarato nella mansione di pulizia e conteggio delle catture, mentre la massa di partecipanti protestava vivamente per il furto dell’essenziale attrezzo.

“Come vi ho già spiegato”, rispose la ragazzina, “non posso rivelare dove il cacciatore ha nascosto i timbri, in quanto il regolamento non esclude azioni di questo tipo”.

“MALEDETTO!”, urlò il corpulento oni assestando una violenta pedata ad un cartoncino appoggiato al suolo; i timbri contenuti al suo interno si sparsero per tutto il campo e la folla cominciò a prenderli.

“Lo smembreremo e sparpaglieremo il suo corpo negli angoli più remoti di questo pianeta!”, minacciò il padre di Lamù.

Bahyo arrivò di corsa passando in mezzo allo schieramento, si fece ripulire ed altrettanto velocemente sparì nella boscaglia.

“COMPAGNI!”, gridò un anziano dio sollevando alta nel cielo una lunga lancia col timbro legato sulla sommità. “VOGLIAMO UNA VITTIMA! TROVIAMO IL CACCIATORE E ANNIENTIAMOLO!”.

 

“Tesoruccio… ti voglio! Qui e subito!”, esclamò Lamù appoggiando le sue mani sulle guance di Ataru.

La bella aliena aveva divelto la sua tuta da battaglia e sfoggiava il suo classico bikini; tuttavia, man mano che Ataru retrocedeva, la ragazza andava sciogliendo i nodi che permettevano agli indumenti di restare al loro posto.

“Guarda che roba!”, esclamò Oropa seduto sul ramo di un albero. Ryoda l’aveva accomodato sull’alta seduta in modo che i due potessero seguire l’azione senza trovarsi coinvolti.

Entrambi seguivano l’evolversi della situazione con sguardi fissi ed interessatissimi.

Ataru afferrò i polsi dell’amata e bloccò le sue mani, che con troppa audacia tentavano di intrufolarsi nella sua tuta ancora integra.

“No, Lamù, non posso!”, disse il ragazzo nel tentativo di riportare alla ragione l’aliena; per tutta risposta, Lamù lo baciò incollando la sua bocca a quella del ragazzo.

I due, avvinghiati, caddero al suolo insieme; Ataru desiderò ardentemente abbandonarsi nell’unione con Lamù, ma una forza sconosciuta riuscì a fare in modo di contenere la sua eccitazione.

“Tesoruccio… ti voglio!”, bisbigliò lei.

Il reggiseno volò via, abbandonato alle cure del vento; Oropa per poco non cadde dall’albero, afferrato al volo da Ryoda; tuttavia, la bella aliena si sollevò sulle ginocchia, sempre stando a cavalcioni sopra il suo amato prono al suolo.

Ataru contemplò i meravigliosi seni della sua promessa, la quale afferrò le sue mani e le guidò su per il suo addome fino premerle contro le sue grazie. Il ragazzo sentì sotto i palmi la morbida e setosa pelle.

“Lamù, mollami le mani…”.

Prima di terminare la frase, la bella oni era già tornata ad invadere con la sua lingua la bocca del ragazzo, baciandolo con irruenta passione; con le mani di lui ancora premute sui seni, Lamù affondò le unghie nel tessuto della tuta e con un rapido gesto la strappò dal petto di Ataru.

L’azione fece balzare alle stelle il tasso di eccitazione del ragazzo; sotto le dita, Ataru sentiva i capezzoli dell’amata divenire turgidi.

“NO, BASTA!”, gridò Ataru disperato, allontanandosi dalla ragazza.

“ATARU, SEI UN IDIOTA!”, tuonò furibondo Oropa. “Giuro che se non ti dai da fare, prendo il tuo posto!”.

Ryoda lo bloccò prima che balzasse giù in preda al delirio e gli coprì la visuale con le ali. “Sarà meglio che non veda oltre!", sindacò il professore.

Ataru udì giungere le sonore proteste di Oropa, privato dello spettacolo della bella aliena in topless.

“IMBECILLE!”, gli ringhiò contro il giovane Moroboshi, prima di trovarsi nuovamente addosso il caldissimo corpo di Lamù, al culmine dell’eccitazione.

“TESORUCCIO!”, gridò lei con un lungo gemito. “Prendimi subito!Sono tutta tua!”, lo implorò con occhi dolci mentre gli si avvinghiava addosso cingendolo con gambe e braccia e strusciandosi ripetutamente contro il basso ventre di lui.

Ataru si specchiò negli occhi azzurri della ragazza e una fitta attraversò il suo corpo. Carezzò delicatamente una guancia di Lamù e passò un dito sulle labbra umide. “Ti resisterò…”, sussurrò dolcemente mentre la baciava sulla guancia.

Lamù abbracciò fortissimo il suo tesoruccio ed affondò i canini nella spalla destra del ragazzo, producendosi in un lungo mugolio sommesso mentre il suo corpo veniva scosso da un tremito; dopodiché, si abbandonò inerme fra le braccia di Ataru, piombando immediatamente in un pesante sonno.

Il ragazzo passò una mano fra i suoi capelli, poi cercò le corna e sciolse i nastri gialli. “Mi hanno salvato un’altra volta e sicuramente mi saranno molto utili in futuro!”.

La sua attenzione venne rapita dal viso beato di lei: aveva un leggero sorriso e giaceva con i capelli sparpagliati sul petto nudo di lui.

Ataru si portò seduto e tenne la testa di lei in grembo, nel tentativo di garantirle la posizione più comoda al riposo.

Oropa e Ryoda scesero dall’albero, ma solo il cacciatore si avvicinò ai due. “E’ davvero… stupenda!”, commentò al cospetto del dolcissimo viso addormentato di lei.

“Puoi ben dirlo!”, rispose Ataru, tutto sommato tranquillo.

“Perché continui a resisterle, nonostante sei considerato l’essere più allupato dell’universo?”, domandò Oropa.

“Perché la amo!”, confessò incredibilmente Ataru. “Se oggi avessi approfittato di lei, l’avrei trattata alla stregua di tutte quelle con cui faccio solo il cretino!”.

Oropa indietreggiò di un passo, visibilmente colpito dalla sincerità dell’amico.

“Perché le hai fatto questo?”, chiese infine Ataru.

“Io volevo solo…”.

“Quando la finirai di fare il gradasso?”.

Ataru lo guardava serio come mai prima d’ora.

“Stai facendo tutto ciò unicamente per metterti in luce agli occhi di Benten. Non ti basta elevarti in battaglia, umiliare i suoi amici e lei stessa, snaturare lo spirito di una competizione a cui lei teneva molto… tu vuoi apparire ai suoi occhi come un dio! Cosa farai quando sarai lontano dal campo di battaglia, immerso nel quotidiano? Te lo sei chiesto, Oropa?”.

“Basta così, Ataru!”, esordì Ryoda avvicinandosi all’amico cacciatore.

“Sono stato uno sciocco!”, rispose Oropa, stringendo i pugni. “Ho fatto una pazzia, allontanandomi così da Benten e stando lontano da lei per due mesi… ma l’ho fatto solo per capire…”.

“Cosa?”, chiese Ataru, curioso di udire la risposta.

“Non lo so!”, rispose il cacciatore con un sorriso. “Però mi sono preparato molto per oggi. Benten voleva una battaglia e io gliela darò fino alla fine, in tutte le variazioni!”.

“Ben detto!”, esclamò Ryoda, accennando un lieve applauso.

In lontananza si udiva il chiassoso vociare dell’esercito in marcia.

“Non facciamoli attendere oltre!”, esclamò Oropa, scattando rapido con Ryoda al seguito e lasciando Ataru e Lamù nella giusta intimità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Le voglie di Oyuki ***


sa

 

 

 

 

LE VOGLIE DI OYUKI

 

“Ti ho detto di liberarmi, dannato nano pelato!”, strillò Benten all’indirizzo di Sakurambo.

L’anziano monaco se ne stava placido e beato seduto sopra un sasso ed attendeva che l’acqua nella teiera, appoggiata sul fuoco di un fornellino da campo, cominciasse a bollire.

“Quell’arma alla quale sei legata emana uno spirito che esula dalle mie capacità!”, sentenziò il vecchio.

“DEVI SOLO SLEGARMI!”, urlò lei.

“Se ti ho trovata legata significa che è destino che tu sia legata”.

Poco distante Shinobu e Shutaro, ancora sdraiati in mezzo all’erba alta, ridevano di gusto sentendo le ingiurie che Benten inviava all’indirizzo di Sakurambo.

 

I capi dei due schieramenti uniti trovarono sulla loro strada Oyuki e il suo yeti.

Appena Bi-M-Bo vide la folla, si affrettò a congiungersi ad essa e lasciò al suolo la ragazza dopo averla scorrazzata per tutta la foresta tenendola in spalla. “Scusi i modi rudi, mia regina!”, disse poi ansimando.

“Non vedevo tutta questa urgenza…”, protestò Oyuki.

“Dov’è il cacciatore?!”, ringhiò il padre di Lamù, avvicinatosi alla coppia.

“Quel ragazzo possiede pericolosissime armi biologiche e col supporto del professor Ryoda è in grado di scatenare il finimondo!”, disse allarmato lo yeti.

“Ci penserò io a sconfiggere quello sbruffone!”, esordì Ryuunosuke. “Il resto del gruppo catturerà Ryoda!”.

“Se quei due ci colgono e mettono in atto il loro piano sarà la fine!”, continuò preoccupato Bi-M-Bo.

“Ci penso io ad abbrustolirli entrambi!”, minacci Ten, mentre piccole fiamme rosse scintillavano dalla sua bocca.

La folla cominciò a mormorare, mentre un alito di vento paralizzò tutti scuotendo le fronde degli alberi.

 

“Li vedo!”, esclamò Oropa in compagnia dell’inseparabile compagno di avventure mentre scorgeva il gruppo nascosto fra i rami di un albero. “Diamo inizio allo spettacolo, amico mio?”.

“Certamente!”, rispose Ryoda. “Scatenerò una tale confusione da permetterti di infilarti in mezzo a loro e colpire solo i soggetti femminili. Cerca di orientarti anche con l’udito perché la vista sarà resa difficoltosa dal turbine di foglie”.

Ryoda si levò altissimo nel cielo ed Oropa tolse di tasca il sacchetto con i piccoli confetti afrodisiaci.

 

Kurama, annoiata, si recò al campo base; mancava poco meno di un’ora al tramonto e per allora il suo amato compagno avrebbe certamente fatto ritorno.

I quattro tengu, sollevati dal loro incarico, si accomodarono sopra un tavolo in legno fumando sigarette e giocando a carte.

“Un lavoraccio noioso, il tuo”, commentò la ragazza all’indirizzo di Tzukino.

“Ho chiesto io di farlo!”. rispose stremata la ragazzina.

“Sei sicura di sentirti bene?”.

“Non si preoccupi! Presto potrò riposarmi!”.

 

Fra le piante della foresta, piegate da violente raffiche di vento, le foglie creavano turbini vorticosi; ovunque si udivano grida terrorizzate e schiamazzi mentre linee rosa, sempre più numerose, congiungevano donne a uomini.

Oropa balzava di bocca in bocca, depositando il prezioso carico nelle labbra spalancate delle donne spaventate, mentre uomini non ancora assaliti dal gentil sesso sparavano all’impazzata pesanti proiettili di gomma.

Il vento trascinava sempre più numerosi i brandelli delle uniformi maschili e alle foglie si univano anche indumenti intimi femminili.

Uno sparuto gruppo di oni tentò di arginare l’avanzata del cacciatore, ma prima che potessero organizzarsi, assatanate dee li assalirono, trasformando le loro urla di battaglia in gemiti di piacere.

Anche gli dèi superstiti si unirono nella formazione a testuggine per difendersi dagli assalti delle ragazze, ma queste avanzavano con occhi languidi e la pelle fremente di desiderio, inarrestabili come un fiume in piena.

Chi non cadeva vittima delle terribili effusioni veniva abbattuto dal fuoco amico e in breve tempo, l’intera area venne invasa da una fittissima rete di linee rosa mentre la temperatura saliva vorticosamente e da ogni dove giungevano mugolii e sospiri di piacere.

Ryoda cessò il tornado, constatando che il grosso del lavoro era stato compiuto e i pochi superstiti erano in balia degli eventi.

Il padre di Lamù si era buttato al suolo, premendo la faccia di Ryuunosuke a terra, avendo da tempo intuito le intenzioni del duo.

Anche Bi-M-Bo si era premurato di proteggere Oyuki, facendole scudo col suo enorme corpo; quando il vento cessò, tirò un sospiro di sollievo.

Vide Ryoda scendere al suolo con ampi battiti delle sue enormi ali nere; cercò di individuare il cacciatore senza riuscirci, finché non sentì la voce della padrona rivolgersi ad un estraneo alle loro spalle. “Vedo che è venuto a farmi visita”, commentò Oyuki all’indirizzo di Oropa.

“Vengo a porvi un dolce omaggio, mia regina!”, disse il ragazzo allungando una mano aperta verso la gelida aliena.

Oyuki afferrò il confetto color cioccolato e dopo esserselo portato alla bocca, lo ingoiò.

“Chissà verso chi si focalizzerà l’interesse di Oyuki”, si domandò Ryoda, mentre una densissima aura rosa, molto più calda di tutte le altre, esplose invadendo l’area circostante.

Oyuki si inginocchiò al suolo con le mani sul petto; il suo respiro era rapido e il colorito della pelle, notoriamente pallido, si era fatto vivo di un bel rosato.

La ragazza si sciolse i capelli, mentre dalla sua bocca aperta nuvole di vapore si levavano rapide prima di scomparire; Bi-M-Bo tentò di aiutarla, ma una fortissima raffica di vento gelido lo scaraventò via.

La regina di Nettuno si alzò in piedi e si levò la tuta da combattimento, mostrando ai ragazzi i suoi meravigliosi indumenti intimi di un bianco abbagliante ed orlati di pizzo.

“Che meraviglia!”, sospirò incredulo Oropa.

“Puoi dirlo forte e chiaro!”, esclamò Ryoda.

Oyuki aprì i suoi grandi occhi, accesi di un rosso vivo.

Il cielo, carico di nubi, si oscurò e grossi fiocchi di neve cominciarono a cadere al suolo.

Un’onda d’urto violentissima si allargò in ogni direzione partendo dal corpo sospeso in levitazione della ragazza. “Voglio… assaggiare… il sapore… di UOMO!”, esclamò eccitata.

Un reticolo di fasci rosa partì da Oyuki, andando ad agganciarsi ai molti uomini presenti in zona, già occupati.

Improvvisamente, la regina di Nettuno planò in direzione di Ryoda. “Lei sarà il primo, Ryoda!”, disse la gelida ragazza.

Il professore tentò la fuga, ma una grossa palla di ghiaccio lo colpì alla schiena facendolo rovinare al suolo; Oyuki lo agguantò al suolo e lo strinse in un forte abbraccio.

Il corpo della regina di Nettuno era premuto con forza contro il suo e la lingua della giovane carezzava il collo del partner di Kurama; Ryoda tentò di liberarsi, ma Oyuki lo spinse contro un tronco, inchiodandolo al legno con dei bossoli di ghiaccio durissimo.

“Aiutami, Oropa!”, disse il povero professore all’amico.

Con un gesto rapido, lo yukata gli venne strappato dal corpo e la regina di Nettuno poggiò le mani bollenti sul suo petto nudo. Oyuki si accorse che Ryoda indossava dei pantaloni neri e fece scivolare le mani lungo il busto per spogliare completamente il giovane, ma Ryoda usò le sue grandi ali avvolgendosele attorno a sé.

Impossibilitata a procedere, l’assatanata ragazza diresse l’attenzione verso Oropa, il quale era giunto in soccorso dell'amico.

“Se lei non si concederà a me, ucciderò seduta stante il suo amico!”, minacciò Oyuki all’indirizzo del cacciatore con voce rotta da gemiti.

 

Bahyo avanzava nella boscaglia in direzione degli schiamazzi; l’improvvisa nevicata appena cominciata era sicuramente un cattivo presagio e quelle cinque stringhe rosa che lo puntavano non lasciavano intendere nulla di buono.

Improvvisamente, cinque dee lo aggredirono e gli furono addosso come un branco di leonesse sulla preda, incuranti delle suppliche dello sventurato dio.

 

Un grosso proiettile di gomma mandò in frantumi il cono di ghiaccio che minacciava Ryoda. Oropa gettò al suolo il revolver e scappò via; anche l’amico approfittò per liberarsi e si allontanò.

Furibonda, Oyuki lasciò che una bufera di ghiaccio e neve spazzasse l’intera area, travolgendo tutto e tutti. La regina di Nettuno aggrediva ogni maschio che incontrava nel tentativo di accoppiarsi, ma molti di quegli uomini erano sfiniti e l’assatanata aliena non riusciva a concludere nulla.

I soldati ancora in grado di combattere tentavano di fermarla sparando i grossi proiettili di gomma, ma Oyuki creò un grosso scudo in ghiaccio che fermò ogni colpo.

“Quella è più allupata di Ataru!”, esclamò Oropa.

“Siamo nei guai!”, affermò Ryoda.

Un gruppo di dèi si riprese velocemente dalle effusioni e tentò di fermare Oyuki ghermendola da entrambi i lati e puntando contro di lei grosse lance, ma la ragazza congelò all’istante i poveretti.

“Questa è la fine!”, esclamò un oni mentre si buttava al riparo dietro ad un tronco; un secondo soldato di Uru lo raggiunse reggendosi il capo con le mani per proteggersi dalla raffica di piccoli dardi ghiacciati scagliati da Oyuki.

La regina di Nettuno avanzava levitando in mezzo alla tempesta, cercando un maschio ancora integro con cui accoppiarsi e sfogare la sua passione repressa.

Il cacciatore notò che poco distante dal loro rifugio un oni mormorava qualcosa, mentre giaceva riverso al suolo; senza farsi notare, gli si avvicinò e lo trascinò al sicuro.

“Aiutatemi…”, bisbigliò il soldato con un filo di voce e la tuta da battaglia lacerata dai graffi di qualche fanciulla troppo “accaldata”.

“Sei al sicuro, ora!”, gli disse Ryoda, tenendosi basso dietro al riparo.

Ad un tratto, Oropa si mostrò alla regina di Nettuno, la quale si voltò immediatamente verso di lui. “Ryoda, raggiungi Benten e liberala; è l’unica in grado di fare qualcosa!”.

“Volo!”, rispose lui prima di sparire alto nel cielo.

“Sarai mio, Oropa!”, sibilò Oyuki, portandosi una mano sul petto.

“Vieni a prendermi!”, intimò il cacciatore alla ragazza.

L’aliena non se lo fece ripetere e scaraventò il ragazzo contro un albero, ma prima di riuscire ad inchiodarlo lui si scostò e si allontanò velocissimo protetto dalla vegetazione.

“Devo allontanarla da qui!”, pensò Oropa.

Improvvisamente, un turbine di gelida neve si parò in fronte a lui e Oyuki si materializzò, colpendolo all’addome con un grosso blocco ghiacciato.

Oropa cadde al suolo e la ragazza gli si avventò sopra; le caviglie e i polsi del cacciatore vennero bloccati al suolo da grosse e pesanti blocchi di ghiaccio.

Oyuki cominciò a sfiorare il viso del ragazzo con le sue labbra, mentre lui tentava in tutti i modi di evitare il contatto fra le due bocche.

“Perché mi rifiuti?”, chiese Oyuki mentre apriva il gilet del cacciatore. “Non ti piaccio, forse?”.

“Io amo Benten!”, rispose Oropa.

Per tutta risposta, lei morsicò il collo del ragazzo, poi cominciò a travolgerlo con una moltitudine di baci sulle guance, alla ricerca della bocca del ragazzo.

“FERMATI, OYUKI!”, urlò lui, mentre eludeva in tutti i modi il contatto delle sue labbra con quelle roventi della ragazza.

“NE HO BISOGNO!”, strillò lei. “Voglio il calore di un corpo, la tenerezza di un abbraccio, il piacere del sesso!”.

“Maledette pillole!”, pensò Oropa.

 

Il vento prodotto dall’ascesa di Ryoda spianò l’alta erba; Shinobu e Shutaro si affrettarono a coprirsi come meglio poterono usando i rimasugli dei loro indumenti.

“Salute a voi e felicitazioni!”, disse il professore all’indirizzo dei due, che apparivano come Tarzan e Jane con quegli stracci tigrati messi come costumi.

“Sei tu, maledetto corvaccio?”, domandò la dea ancora legata e bendata.

“Ti libero subito!”, disse Ryoda mentre scioglieva i nodi. “Oropa è in grave pericolo!”.

Il professore la slegò del tutto e fece appena in tempo a sfuggire alle sue ire. “Seguimi!”, disse il giovane già in volo mentre si allontanava verso la foresta seguito a ruota libera da Benten.

“Seguiamoli anche noi!”, esclamò il giovane Mendo tenendo per mano Shinobu.

“Una sciagura si abbatterà presto sulle loro teste”, commentò Sakurambo con le mani giunte in preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Benten alla riscossa ***


sa

 

 

 

BENTEN ALLA RISCOSSA

 

Oyuki passava la sua calda lingua sul petto nudo di Oropa, gemendo mentre strofinava il suo corpo sinuoso e candido contro quello del ragazzo; lui tentava in ogni modo di resistere a quegli stimoli, ma l’idea di abbandonarsi a quella ragazza che implorava così spietatamente un poco d’amore si faceva sempre più largo nei suoi pensieri.

Sentì la mano di lei che tentava di sbottonare i suoi pantaloncini e ricadde violentemente dalle nuvole nella drammaticità della realtà.

“Ti prego, Oyuki, fermati!”, disse terrorizzato dal piacere che provava mentre lei scioglieva un bottone dopo l’altro e le labbra risalivano il collo alla ricerca della bocca di lui.

Le mani di Oyuki scivolarono dentro l’indumento intimo di Oropa e cominciò ad abbassare l’elastico.

“Fermati subito!”, intimò il soldato di Uru, salvato in precedenza dal cacciatore, mentre puntava il suo fucile contro la nuca di Oyuki.

Purtroppo il demone tigrato attese un attimo di troppo e una palla di ghiaccio lo colpì al volto, tramortendolo.

Oropa lasciò cadere la testa al suolo, oramai vinto dalla disperazione; Oyuki abbassò il volto e premette le labbra contro quelle del ragazzo.

“TOGLI… SUBITO… IL TUO CORPO… DAL MIO RAGAZZO!”, gridò rossa in volto Benten all’indirizzo dell’amica.

“SALVAMI, BENTEN!”, urlò Oropa con tutto il fiato che aveva in corpo.

“La festa è finita!”, sibilò la dea ad Oyuki. “Trovati un altro ragazzo!”.

“Come vuoi tu!”, ribatté la regina di Nettuno puntando nuovamente verso Ryoda.

Il professore tentò la fuga, ma finì al suolo a causa dei blocchi di ghiaccio che bloccavano le sue gambe. Oyuki gli si buttò sopra e senza troppi indugi lo baciò.

“Aiutami, per pietà!”, supplicò lui.

“Arrangiati!”, rispose Benten con le braccia conserte.

“Stronza!”, pensò il professore mentre la regina di Nettuno ricominciò il suo lavoro di abbattimento delle difese dell’uomo con carezze e baci.

La dea si avvicinò ad Oropa, bloccato al suolo dai blocchi di ghiaccio.

“Sono quasi tentata di approfittare di questa tua forzata immobilità”, proferì la ragazza in tono divertito.

“Mi faresti un favore, dopo i servizi che mi ha fatto Oyuki!”, esclamò Oropa.

Dopo aver frantumato con le mani i blocchi ghiacciati, Benten afferrò Oropa per il collo e lo strattonò.

“Azzardati a farmi le corna e giuro che ti castro!”, minacciò lei furibonda.

“Non ho fatto nulla!”, disse il ragazzo. “Ho resistito! Te lo giuro!”.

“Ti credo sulla parola!”, concluse la dea con un sorriso.

“Devo andare a recuperare Obelion!”, disse Oropa fra le braccia dell’amata. “Cerca Ryuunosuke in mezzo a questo macello!”.

Il cacciatore riprese a correre uscendo dalla boscaglia ed incontrò Shinobu e Shutaro. “Io non andrei da quella parte!”, consigliò loro.

I due si guardarono con aria stupita e decisero di non ascoltarlo, infilandosi in quel tratto di giungla stranamente innevato e dominato da un’aura sinistra.

 

Lamù aprì i suoi occhi azzurri, mentre il suo tesoruccio teneva la carezzava dolcemente fra i capelli. “Scusami per averti aggredito in quel modo”, si giustificò la bella aliena.

“Non è stato poi diverso da molte altre volte!”, si limitò a risponderle Ataru.

“Proprio come le altre volte mi hai rifiutato!”, aggiunse lei fingendo delusione.

“Non sarà così per sempre, Lamù…”, sospirò il giovane Moroboshi.

La ragazza si sollevò e lo fissò intensamente negli occhi; Ataru restò estasiato davanti ai seni nudi di Lamù e ripensò a quando, poco prima, le sue mani erano piene di tanta grazia. “No, non sarà così per sempre!”, ripeté con maggiore convinzione.

L’aliena si accorse di essere seminuda e si coprì come poté con le braccia, mentre cercava al suolo brandelli di indumenti con cui coprirsi.

Ataru notò che la bufera di neve che imperversava poco distante non poteva che essere opera di Oyuki e appena Lamù trovò di che rivestirsi, si avviarono attraverso la boscaglia.

“LASCIAMI!”, gridò disperato Ryoda, mentre Oyuki tirava con forza i suoi pantaloni per toglierglieli.

Shutaro si arrestò e li intravide stesi al suolo, intenti in effusioni particolarmente accese.

Oyuki abbandonò Ryoda e si lanciò sul nuovo arrivato ma Shinobu, con un gesto rapido, lo buttò al suolo e cominciò a baciarlo con passione; poi si voltò verso l’aliena e disse: “Occupato!”.

“Non sono un bagno pubblico!”, protestò il giovane Mendo.

“Questo è l’unico modo per salvarti!”, rispose Shinobu.

Oyuki si voltò nuovamente verso la precedente “vittima”, ma di lui rimanevano al suolo solo brandelli di vestiti ed alcune penne nere.

“MALEDIZIONE!”, gridò furibonda la regina di Nettuno.

Benten trovò Ryuunosuke stesa al suolo, mezza seppellita dalla neve e dall’ingombrante braccio del padre di Lamù; con forza la trascinò fuori e non appena la ragazza aprì gli occhi, si allontanò con uno scatto fulmineo. “Cosa diavolo succede?!”, domandò alla dea con la guardia alta.

“Bell’accoglienza, la tua!”, rispose sbottando Benten.

“Il tuo ragazzo se ne va in giro a tirare brutti scherzi!”.

“Non più, ora che gli ho sottratto questi!”, disse la dea mostrando il sacchetto con dentro i confetti afrodisiaci.

“Ben fatto!”, commentò Ryuunosuke. “Avevo proprio voglia di mettere qualcosa sotto i denti!”.

Detto ciò, la ragazza terrestre afferrò il sacchetto e ingoiò rapidamente i confetti sotto lo sguardo preoccupatissimo di Benten, la quale scappò gridando.

Oropa tornò con in pugno lo spadone e trovò Shinobu e Shutaro al suolo intenti a pomiciare, mentre Oyuki ansimava pesantemente.

“Stai male, Oyuki?”, domandò il ragazzo sorreggendola.

“Non sono riuscita a farmi amare da nessuno”, rispose l’aliena in lacrime.

“La colpa è solo mia, scusami”, affermò pentito Oropa.

“So di chiederti molto, ma… vorrei che tu mi abbracciassi forte a te come faresti con Benten”.

Lui non ebbe nulla da obiettare e la strinse forte al petto; Oyuki perse i sensi subito dopo con un sorriso sul volto.

Bi-M-Bo arrivò correndo e sostituì il ragazzo, prendendosi cura della regina di Nettuno.

“Ora tocca a te!”, disse Oropa rivolto ad Obelion. “Scogli tutto questo ghiaccio!”.

L’enorme spada diventò incandescente e un secondo dopo la neve si sciolse.

La colonna d’aria calda, salendo al cielo, spostò le nubi create da Oyuki e il cacciatore vide che il sole stava oramai tramontando. “Ora è finita”, disse con soddisfazione.

 

Ryoda planò dal suo rifugio a torso nudo e i pantaloni ridotti a brandelli. “Tutto si è concluso per il meglio, alla fine”, affermò. “Competizione vinta, riconquista dell’amata, divertimento, esperimenti scientifici… tutto a posto!"

“E mi sono anche avanzate delle pillole!”, esclamò soddisfatto Oropa cercando i confetti in tasca.

“Mi farebbe comodo che tu me ne lasciassi un paio”, confessò Ryoda all’amico. “Potrebbero servirmi con Kurama!”.

“Ecco a te, amico mio!”, rispose il cacciatore.

“SCAPPATE!”, gridò Benten mentre si avvicinava ai due di gran carriera con una grossa stringa rosa che la collegava ad una figura scura che la rincorreva alle sue spalle.

Lamù e Ataru arrivarono tranquilli da un’altra direzione; Benten, invece, afferrò Oropa correndo e lo trascinò via. “RYUUNOSUKE HA INGOIATO TUTTI I CONFETTI!”.

Tutti gridarono terrorizzati all’unisono un attimo prima che la fortissima ragazza assestasse un calcio volante dritto in faccia ad Oropa e si lanciasse su Benten. “Ti amo, Benten!”, esclamò la ragazza al culmine dell’eccitazione.

“Ryuunosuke, non fare così!”, intervenne Shinobu. “Le donne sono gentili!”.

Per tutta risposta, Ryuunosuke si avventò contro di lei e le disse: “Voglio anche te, Shinobu!”.

Fortunatamente, i troppi confetti ingoiati prosciugarono tutte le forze della fortissima ragazza, la quale cadde a terra priva di sensi.

Lentamente la compagine cominciò ad avviarsi al campo base, mentre anche oni e dèi si rialzarono e si avviarono nella stessa direzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Il vincitore della contesa ***


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IL VINCITORE DELLA CONTESA

 

I primi che arrivarono rimasero ammutoliti ed incapaci di muoversi: Orochi in persona li attendeva in tutta la sua imponente presenza.

Quando Oropa, seguito dai suoi amici e sorretto da Benten arrivò, trovò dèi e demoni tigrati in ginocchio dinanzi l’enorme serpe.

“LEI HA VINTO LA COMPETIZIONE! COMPLIMENTI!”, sibilò Orochi ad Oropa.

Anche Benten, Lamù e tutti gli altri si inginocchiarono in segno di rispetto; soltanto il ragazzo rimase in piedi e chiese: “Che significa questa sceneggiata?”.

“Come osi rivolgerti al nostro dio con tanta arroganza, idiota?”, lo rimproverò Benten.

Ad un tratto, Kurama sbucò dalla sommità della testa dell’immenso essere e planò a terra insieme ai suoi tengu. “Tutto bene, tesoro?”, chiese preoccupata a Ryoda notando le vesti dell’amato ridotte a brandelli.

“I CAPI DEGLI SCHIERAMENTI E IL CACCIATORE FACCIANO UN PASSO AVANTI!”. ordinò la divinità ai presenti.

Il padre di Lamù, l’anziano dio comandante del suo schieramento e Oropa si presentarono al suo cospetto.

“IL CACCIATORE E’ IL VINCITORE DELLA CONTESA!”, proferì la serpe. “EGLI HA DIMOSTRATO FORZA, CORAGGIO, VIRTU’ IN BATTAGLIA E DOMINIO SULLE EMOZIONI. SIA RESO ATTO DI QUANTO E’ AVVENUTO!”.

“Sì, sommo Orochi!”, risposero in coro i tre.

“Piantala con questa sceneggiata e mostrati per quello che sei!”, tuonò improvvisamente Oropa fra lo stupore generale.

“Cosa diavolo stai cercando di dire?”, chiese Benten.

“IL DIO CHE VOI TUTTI TEMETE E’ TZUKINO!”, gridò con voce tonante il giovane spadaccino.

“Non è possibile!”, bisbigliarono increduli fra loro oni e dèi. “Non può essere quella ragazzina…”.

Sakurambo si fece largo fra la folla, reggendo in mano una cassa di antichissimo legno pregiato; placido e beato, si avvicinò al ragazzo e gliela offrì.

“AVREI PREFERITO ANDARMENE SENZA CERIMONIE, OROPA”, proseguì Orochi.

“Andartene?!”, esclamò il ragazzo.

“IL MIO TEMPO E’ FINITO. QUESTA ERA LA MIA FESTA D’ADDIO E MI HA FATTO MOLTO PIACERE STARE CON TUTTI VOI. IL MONACO CHE HO PORTATO QUI HA IL SIGILLO PER LA TERRA DEL RIPOSO E VOGLIO CHE SIA TU, OROPA, AD APPORLO SULLA MIA FRONTE E GARANTIRMI IN QUESTO MODO IL RIPOSO CHE TANTO BRAMO”.

Oropa impugnò Obelion; dallo spadone si aprì una grande bocca e l’occhio sull’impugnatura fissò il ragazzo. “Accontentaci”, supplicò l’arma. “Il suo desiderio è anche il mio. Vogliamo solo dimenticare millenni di sofferenze, rancori, solitudine e tristezza…”.

Sakurambo depositò ai piedi del ragazzo la cassettina e si allontanò. Oropa si chinò, l’aprì e ne estrasse il mistico sigillo: una striscia di carta con delle scritte incomprensibili.

“Perché proprio io?”, chiese il ragazzo.

“PERCHE’ E’ IL MIO VOLERE! TI CHIEDO DI ESAUDIRE IL MIO DESIDERIO PIU’ GRANDE, OROPA. NON LASCIARE CHE L’EGOISMO TI IMPEDISCA DI AIUTARMI; NON LASCIARE CHE L’EGOISMO TI IMPEDISCA DI COMPIERE UN GESTO D’AMORE!”.

Una mosca cominciò a ronzare attorno ad Oropa, attratta dall’odore sudaticcio che il ragazzo emanava.

“Togliti di mezzo!”, disse il giovane al fastidioso insetto, ma questo si poggiò sul suo viso.

Nel tentativo di scacciarlo, Oropa si batté col palmo della mano sulla fronte e quando riaprì gli occhi, notò che vi era un pezzo di carta davanti ai suoi occhi.

La folla lo guardava con un’espressione indecifrabile; Benten aveva le mani nei capelli e persino Orochi aveva gli occhi gialli fissi su di lui.

“Oh, santo cielo…”, sibilò mentre le forze lo abbandonavano e si sentiva trascinare lontano.

“Si è applicato il sigillo da solo!”, furono le ultime parole che udì proferite dal padre di Lamù, prima che una luce fortissima invadesse ogni cosa.

 

Oropa si risvegliò steso su un prato, sotto un cielo limpidissimo; si rialzò senza fatica, osservando estasiato una prateria sconfinata che si estendeva a perdita d’occhio, rotta da basse colline e popolata da creature di ogni genere. Grandi cavalli correvano liberi in branco con le crini sciolte al vento; piccole volpi rincorrevano lepri, mentre gazzelle leggiadre si spostavano in gruppo compiendo alti balzi.

Oropa contemplò quello spettacolo celestiale col cuor leggero, quando un enorme lupo nero gli si avvicinò lentamente alle spalle e si fece udire con un corposo ringhio; il ragazzo si voltò lentamente e vide un gruppo di quei possenti animali che lo fissava con occhi truci mentre si portavano in posizione, circondandolo.

“Non ti faranno nulla, se non tenterai azioni sconsiderate”, proferì una voce gentile proveniente da un raggio di luce.

“L’avevo intuito!”, rispose Oropa con tono sereno.

Dal raggio di sole si manifestò un giovane principe, vestito d’oro e seta candida; il suo bel viso infondeva calore. I lupi gli si fecero vicini e si accomodarono mansueti ai suoi piedi.

“Benvenuto nel Tenger, Oropa. Questa terra su cui ti trovi non è altro che la prateria celeste, terra del riposo eterno”.

“Ne ho sentito parlare…”.

“Qui gli spiriti trovano redenzione e pace”, proferì il principe. “Le anime buone che giungono qui si tramutano in nuvola, lasciando cadere al suolo dispiaceri e ricordi sotto forma di pioggia; l’erba cresce rigogliosa illuminata dalla mia madre Amaterasu, in modo che gli animali erbivori abbiano sempre cibo a sufficienza. Quando la pioggia eccessiva invade la prateria a causa di guerre o tragedie simili, gli erbivori si moltiplicano a dismisura e i lupi, protettori della prateria stessa, ristabiliscono il naturale equilibrio!”.

“Sembra tutto molto poetico…”, sospirò Oropa, provando un grande senso di pace.

“Le anime, così ripulite delle loro memorie, siano esse felici o tristi, vengono guidate da uno dei lupi fino alla montagna sacra”, continuò indicando un altissimo monte alle loro spalle, “lassù, lo spirito del lupo le guida nuovamente al mondo dei mortali”.

“Ed io?”, chiese il ragazzo.

“Se tu lo vorrai, io ti darò la possibilità di cancellare la tue pene e rinascere al mondo. Avrai una vita normale come ogni altro essere discendente delle creature mitologiche. Lascerò che sia tu a scegliere, sarà la tua volontà a guidarti…”.

 

“TI HO DETTO DI SVEGLIARTI, IDIOTA!”, urlò Benten mentre con violenti ceffoni su entrambi i lati del viso tentava di richiamare alla vita l’inanimato corpo del ragazzo.

“Fermati!”, disse Lamù, notando che il viso del ragazzo era diventato gonfio e violaceo.

“Non è giusto…”, sospirò Ataru.

“Siamo tutti qui, Oropa!”, esclamò Shutaro mentre sollevava le palpebre dell’amico nel tentativo di cogliervi la vita.

“Ci deve essere un modo per svegliarlo”, ipotizzò Ryoda, che cercava di rimanere calmo e riflettere.

“Non tutto è perduto!”, proferì ad un tratto Obelion. “Il mio spirito è fuso con il suo e posso tenere il contatto con l’anima del ragazzo. Sento che lui si sta allontanando sempre più dal mondo dei vivi!”.

“Come possiamo salvarlo?”, domandò la dea speranzosa.

“Sfruttando il collegamento che ci lega, io posso creare un varco verso la terra del riposo. Spalancherò più che posso la mia bocca ed entrandovi sarai spedita da lui. Ma è un viaggio rischioso e se il collegamento si interrompesse, sarai perduta nell’eterno nulla che mi divora!”.

“Muoviti, allora!”, intimò la fiera e battagliera ragazza alla spada.

Obelion aprì le fauci tanto da trasformarsi in un buco nero orlato di denti.

Benten fece per entrare, ma Ataru e Shutaro la precedettero e furono inghiottiti dall’enorme buco.

 

Un grosso lupo soffiò sui volti dei due intrepidi ragazzi, richiamando la loro attenzione sulla vastità della prateria dove erano appena sbucati.

Poco distante, un branco di quelle belve era accomodato a protezione di un principe vestito d’oro e seta con Oropa che li guardava stupito e incredulo.

“Lo abbiamo trovato!”, esclamarono i due ragazzi tenendosi le mani e saltellando. “Torna indietro, Oropa!”.

Il lupo nero si parò davanti a loro ringhiando. “A cuccia… da bravo, bel cagnone…”, sussurrarono all’indirizzo dell’animale.

Il corpo di Oropa cominciò lentamente a salire in cielo, leggero come una nuvola. “Addio, amici miei. Finalmente ho trovato la via giusta per…”.

“Non ci provare nemmeno!”, gli intimò Ataru.

“Mi dispiace tanto, ma sento che questo è l’unico modo perché io possa finalmente…”.

“Io li invidio!”, ringhiò il giovane Moroboshi, “li  invidio perché combattono un destino avverso pur di stare insieme!”.

L’espressione serena di Oropa svanì, lasciando posto ad una smorfia di stupore. “Come conosci quelle parole?”, domandò all’amico, mentre il vapore veniva richiamato indietro e il suo corpo andava ricostruendosi.

“Io e Lamù ti abbiamo sentito!”, sbottò Ataru seccato, mentre il giovane Mendo arginava le escandescenze sempre maggiori del grosso lupo.

“Non ha più importanza, ormai!”, sentenziò Oropa.

“Invece sì, stupido! Puoi rinascere cento o mille volte, ma finché scapperai sempre non cambierà nulla! Sei solo un codardo, un egoista che non accetta e non sa prendere decisioni; ti limiti a fuggire in continuazione alla ricerca di qualcosa che non avrai mai, perché non puoi scappare da te stesso, da quello che sei…”.

“ZITTO!”, gridò Oropa furibondo, mentre nello stesso istante il lupo azzannò Shutaro ad un braccio.

“Cosa ne è del tuo amore? Se è il destino avverso che temi, non sei in grado di accettarlo e combatterlo per stare al fianco di Benten?”, continuò il giovane Moroboshi. “Lei è là fuori che si dispera; nessuno di noi sarebbe in grado di farla piangere come fai tu. Un giorno mi ha confessato che spesso il tuo sguardo è perso e malinconico… lei crede che ti manchino le persone care che porti nei tuoi ricordi e che sai non rivedrai mai più, anche se sono ricordi che non ti appartengono…”.

“Benten… sa questo?”, chiese con un filo di voce Oropa.

“Ascoltandola abbiamo capito tutti che ti senti solo e perso, ma la colpa è solo tua perché non parli non dai a nessuno la possibilità di ascoltarti…”.

“Nessuno di noi è solo”, disse Shutaro, liberatosi dalle grinfie del lupo, che nel frattempo si era avvicinato ad Oropa. “Non vogliamo più vederti recitare una parte, amico. Vogliamo che Oropa ci mostri chi è, cosa sogna, cosa vuole fare nella vita in questo viaggio che condivide con noi…”.

Oropa avanzò a passi lenti con le mani sul volto bagnate dalle lacrime. “Credete davvero… che io possa essere migliore… della parte che recito?”, domandò singhiozzando.

“Torna indietro con noi e lo scoprirai!”, risposero i due in coro.

“Va bene!”, affermò il ragazzo biondo buttandosi addosso ai suoi amici. “Perdonatemi una volta di più!”.

“Non è che avresti ancora quei confetti?”, domandarono i due al cacciatore con occhi famelici. “Se tu le donassi a noi, ti perdoneremo sicuramente e seduta stante!”.

“Ne ho ancora qualcuno nascosto in una tasca del gilet!”.

Il silenzio scese sulla prateria e il grosso lupo nero roteò i grandi occhi gialli sollevandoli al cielo.

“Ora… come facciamo a tornare indietro?”, si chiese Ataru.

“Hai molto da imparare dai tuoi amici, Oropa”, esclamò il principe prima di alzare un braccio e accecare i tre ragazzi con un bagliore, mentre acuti ululati accompagnavano il loro ritorno.

 

Lo spadone risputò Ataru e Shutaro; i due si avventarono sul corpo ancora esanime di Oropa, frugando in ogni tasca, finché Ataru non ne tolse una piccola sacca di stoffa legata da uno spago.

“Eccole qui!”, sussurrò all’amico. “Faremo a metà!”.

“Perfetto!”, rispose bisbigliando Shutaro, mentre l’altro rovesciava sul palmo le quattro palline rimaste.

“CHE DIAVOLO COMBINATE, IDIOTI?!”, sbraitò Benten contro i due ragazzi.

“Lasciali fare…”, disse Oropa rialzandosi fra lo stupore e la felicità generale.

Il giovane sollevò il pesante spadone dal suolo e sussurrò: “Ancora una volta, ti devo tutto”.

“Devi ringraziare i tuoi amici”, rispose l’arma.

“Oropa… ti senti davvero bene?”, chiese timidamente Benten mentre si avvicinava a lui.

“Ora sì… mi sento bene!”, rispose il ragazzo.

Ryoda  tirò leggermente il vestito di Kurama e le fece un cenno con la testa; i due, seguiti a ruota dai tengu, si allontanarono senza dire nulla.

“ORA LO FARAI?”, domandò Orochi ad Oropa.

“Lo farò!”, rispose lui.

“AVEVO CHIESTO A SAKURAMBO DI PREPARARE DUE SIGILLI, MA UNO E’ ANDATO SPRECATO. OBELION AVEVA ESPRESSO IL DESIDERIO DI ACCOMPAGNARMI IN QUESTO VIAGGIO PER POTERCI NUOVAMENTE RIUNIRE COME UN UNICO SPIRITO. SE TU NON AVESSI VISTO CON I TUOI OCCHI LA TERRA DEL RIPOSO, NON AVRESTI MAI CAPITO LA BENEVOLENZA DEL GESTO CHE TI CHIEDO DI COMPIERE. PURTROPPO, OBELION DOVRA’ ASPETTARE CHE IL BONZO PREPARI UN NUOVO SIGILLO E QUESTO RICHIEDE TEMPO…”.

“Una soluzione ci sarebbe!”, sibilò l’arma. “Il sigillo non esaurisce all’istante il suo potere, una volta applicato sulla fronte”.

“HO CAPITO!”, proferì la serpe. “SE IL SIGILLO TI VENISSE APPOSTO MENTRE VIENI CONFICCATA NELLA MIA FRONTE, ENTRAMBI SAREMMO ACCONTENTATI”.

“Mi rifiuto di essere usata per uccidere… ma io sono l’arma più affilata che abbia mai visto la luce”, rispose lo spadone prima di iniziare a narrare la sua storia.

“C’è sempre da impazzire in questa storia…”, borbottò Oropa guardando il sigillo che aveva impugnato.

“Ascolta: nell’epoca in cui vagavo per le lande come un gigantesco varano, il rancore che mi spingeva faceva di me un mostro assetato di vendetta… assaltavo villaggi e bruciavo ogni cosa… un uomo, un piccolo uomo mi uccise”, esordì Obelion. “Dove altri impavidi guerrieri, forzuti e robusti, perirono, lui riuscì a uccidermi avvelenandomi dopo averlo ingoiato. Gli abitanti del villaggio dell’uomo bruciarono le mie spoglie e da un osso forgiarono quest’arma. Il rancore mi teneva ancorato alla vita terrena ed io decisi di possedere lo spadone, impedendo così a coloro che hanno festeggiato la mia morte di usare parte del mio corpo per uccidere; nei secoli mi hanno venerato come un dio e passato da guerriero in guerriero come una reliquia, ma il mio rancore consumava lo spirito di quelle persone, portandole alla follia… ognuno di loro tentava di usarmi nutrendomi di odio e rabbia; io alimentavo di rimando queste sensazioni per condurli alla follia e mi cibavo di loro, distruggendoli dall’interno come avevano fatto con me. Oropa, avrei liberato il mio potere in un’unica occasione perché ho fatto sempre loro una domanda… anche davanti ad Orochi, impugnato dal più forte degli dèi che mi chiese di aiutarlo ad uccidere quello che secondo lui era il mostro causa di ogni male, io gli chiesi che cosa spingesse un uomo a sacrificare la vita. Lui mi rispose che era l’onore ed io lo abbandonai alla morte. Ora ti chiedo, Oropa… per cosa saresti disposto a morire?”.

Dopo aver ascoltato la storia, tutti i presenti piansero commossi. Benten, Lamù, Oyuki, Ataru, Shutaro, Shinobu, Ryuunosuke… tutti attendevano con un groppo in gola la risposta del povero ragazzo, chiamato ad una prova davvero difficile.

“Io darei la mia vita…”, Oropa si fermò un istante, inspirò profondamente e concluse: “… per salvare quella degli altri!”.

Proferito ciò, appoggiò il sigillo sull’imponente arma che brillò affilatissima. “La stessa cosa che disse quell’uomo…”, disse lo spadone.

Obelion affondò pesantissimo nel cranio di Orochi; un istante dopo, un’enorme nube nera si levò in cielo… al suolo rimase una spessa coltre di cenere che ricopriva il corpo di Oropa e quello della povera Tzukino, esanime. Il ragazzo la sollevò da terra e si incamminò verso i suoi amici.

Improvvisamente, Tzukino spalancò gli occhi e disse ad Oropa sorridendo: “Mi hai salvato… grazie!”.

Il ragazzo fissò terrorizzato la giovinetta e la lasciò cadere al suolo; con un grido scappò a gambe levate fra le braccia di Benten, tremando come una foglia.

“Cosa ti prende, ora?”, borbottò la dea incapace di comprendere il comportamento dell’amato.

“Dovrebbe essere morta!”, disse lui.

“Perché mai?”.

“Non ti ricordi ciò che è successo sul pianeta degli ainu?”, le chiese Oropa ancora timoroso. “Quando Lamù si è trasformata in quell’enorme drago, hai detto che se l’avesse assorbita, l’avremmo perduta per sempre!”.

“Infatti è vero!”, rispose Benten. “Se il drago avesse assorbito Lamù, l’unico modo di sconfiggerlo sarebbe stato quello di confinarlo nella terra del riposo. A quel punto Lamù avrebbe perso ogni potere, perciò avremmo perso per sempre la Lamù che tutti conosciamo!”.

Ora che la situazione era finalmente tornata alla normalità, gli oni e gli dèi se ne andarono e sul pianetino, mentre calava la notte, rimasero in cinque: Ataru, Lamù, Oropa, Benten e Tzukino.

“Benten, ho una richiesta da farti”, disse la giovinetta alla compagna di Oropa. “Quando eri piccola hai sempre desiderato una sorellina e spesso giungevano ad Orochi tue richieste in merito. Che ne diresti se ora…”.

“Secondo me, questo povero pianetino abbandonato ha più bisogno di una sorellina di me!”, sbottò la ragazza.

“Oropa, ti andrebbe di vivere con me come fratello e sorella? Ti laverei la schiena ogni sera, facendo il bagno insieme, cucinerei per te e laverei i tuoi indumenti… e la notte, potremmo dormire assieme…”.

“Basta così!”, ringhiò Benten palesemente inviperita. “Ti porto a casa con me, sorellina!”.

“Ha funzionato…”, sussurrò Tzukino al ragazzo mentre la dea la trascinava a forza nell’astronave.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Un regalo per Oropa ***


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UN REGALO PER OROPA

 

Dall’ufo della dea della fortuna, che si allontanava dall’orbita del pianeta, Oropa scrutava l’infinità del cosmo. La ragazzina era chiusa in bagno e Benten teneva ben saldi i comandi.

“Non mi ha nemmeno salutato…”, disse il giovane all’amata.

“Intendi Ryoda?”, chiese lei.

“Proprio lui! Avrei voluto almeno ringraziarlo…”.

“Vedrai che potrai farlo molto presto; probabilmente oggi se l’è filata per stare da solo con Kurama!”.

 

“Mi fischiano le orecchie!”, disse Ryoda mentre si trovava immerso in una vasca piena d’acqua calda insieme a Kurama.

“Non hai neppure salutato quel ragazzo…”, gli sussurrò lei all’orecchio, sfiorando con le labbra il collo del compagno.

“Lasciamo tempo al tempo…”, rispose il professore, abbracciando l’amata ed immergendosi con lei in effusioni particolarmente accese.

 

“Cosa farai ora?”, chiese Benten ad Oropa, lasciando i comandi impostati sulla rotta automatica ed avvicinandosi a lui.

“Seppellirò lo spadone e comincerò davvero la mia storia contando solo sulle mie forze!”, disse lui sorridendo.

“Molto bene!”, esclamò lei con un ghigno; poi si premette con forza contro l’amato, schiacciandolo contro la grande vetrata dell’ufo e baciandolo con passione.

Un suono acuto richiamò l’attenzione dei due all’esterno; l’ufo di Lamù sfilò vicinissimo e dall’oblò si vedevano le facce degli occupanti che ridacchiavano salutando.

Benten premette un pulsante e il vetro si scurì, impedendo la visione del proseguo.

“Portami sulla terra…”, le disse Oropa. “… voglio lavorare, studiare, costruirmi un futuro…”.

“Ed io?”, chiese la dea fissando con occhi dolcissimi l’amato.

“Benten, vuoi essere la mia fidanzata?”, chiese candidamente lui. “Lasciamo che le cose evolvano naturalmente…”.

Benten arrossì in viso quasi commossa e annuì senza esitare.

Oropa, a quel punto, prese il comunicatore e chiamò Oyuki, la quale rispose immediatamente apparendo sullo schermo. “Mi chiedevo se fosse ancora valida la sua proposta di diventare tuo consorte…”.

Benten chiuse la comunicazione e guardò con aria di sfida il ragazzo. “Bahyo sarebbe molto felice di sapere che mi hai abbandonato in favore di Oyuki…”, minacciò lei.

“Intendi lo stesso Bahyo che abbiamo lasciato su quel pianetino insieme alle cinque dee? A quanto pare, nessuno li ha ancora recuperati…”.

“Qualcun altro si trova sempre!”, proseguì la ragazza strizzando fra le dita il naso di lui.

“Ti amo da impazzire…”, sussurrò lui all’orecchio di lei.

“Anch’io ti amo!”, esclamò Benten.

“Siete tenerissimi!”, esclamò Tzukino appena uscita dal bagno, interrompendo il momento.

“Andiamo in camera mia, visto che la mia sorellina è alquanto invadente!”, disse Benten.

“Davvero?!”, chiese Oropa incredulo.

“Sì, ma è ancora presto per fare l’amore, perciò… rassegnati!”, sibilò lei nell’orecchio di lui.

Benten prese per mano Tzukino e la condusse nella sua camera; dopodiché, insieme ad Oropa, arrivò sulla soglia della sua. “Stavo scherzando!”, affermò la ragazza dopo aver chiuso la porta e trascinando il ragazzo nel suo letto.

“Io e Benten siamo fidanzati!”, esclamò Oropa prima che la sua amata si togliesse gli stivali in pelle rossa e si affrettasse ad entrare sotto le coperte.

 

Oropa e Shutaro uscirono dalla palestra con le pesanti sacche piene di armature da kendo puzzolenti; ad accoglierli una brezza fredda ed il tramonto del sole.

“Abbiamo ottenuto una facile vittoria, ma il sensei ha detto che il tuo stile è peggiorato parecchio!”, disse Shutaro all’amico.

“Me ne sono accorto!”, rispose Oropa un po’ stizzito.

“Ora ti toccherà lavare le armature come punizione!”, ridacchiò il giovane Mendo mentre i due si avviavano verso l’auto di servizio della famiglia Mendo, con l’autista che aspettava fumando una sigaretta.

“Non fa nulla!”, disse Oropa. “Sarà un buon esercizio!”.

“Ne hai bisogno, sei ancora deboluccio!”, lo bollò Shutaro mentre i due salivano in auto. “Quando l’avversario ti ha colpito col fendente e tu l’hai parato in ritardo, per poco non sfondava la guardia e ti buttava a terra!”.

“Vedrò di allenarmi di più!”.

I due rimasero in silenzio finché l’auto non li lasciò davanti all’enorme cancello della tenuta Mendo.

Mentre entravano Oropa ringraziò l’amico dell’ospitalità con un profondo inchino. “Grazie mille di permettermi di abitare in una delle casette della tua tenuta…”.

“Ti ho ripetuto mille volte che è il compenso per il lavoro che svolgi!”, lo bollò l’amico.

“A domani!”, disse Oropa incamminandosi per un sentiero che si allungava nell’erba.

“A domani!”, rispose Shutaro.

Dopo aver percorso il sentiero, Oropa entrò nella sua casetta in legno arredata con gusto e con ogni servizio; dopo aver posato la sacca con l’attrezzatura, sullo schermo davanti al divano apparve Benten. “Ciao, amore!”, lo chiamò la ragazza.

“Ciao, tesoro!”, rispose il giovane all’amata.

“Tutto bene oggi?”.

“Benissimo! Io e Shutaro abbiamo vinto il torneo di kendo!”.

“Bene!”, disse lei con un sorriso. “Ora ascoltami: domattina Lamù passerà a caricarvi tutti e vi porterà sul pianeta vacanza Felicitas I! Ci vedremo lì… ma fingi di essere stupito; se Lamù scopre che ti ho detto tutto, si arrabbierà con me!”.

Oropa annuì felice e la comunicazione si chiuse. Uscì di corsa di casa per andare ad avvertire Shutaro; improvvisamente si bloccò, raccolse una pietra e la lanciò più avanti… una rete di metallo cadde dal cielo nel punto in cui il sasso aveva toccato il suolo ed una mina esplose. “I soliti scherzetti di Ryoko…”, pensò il ragazzo.

 

“Shutaro, chiama Ataru e digli che domani è il giorno che attendevamo. Se volete ulteriori dettagli ci vediamo al solito posto fra mezz’ora!”, disse Oropa al citofono dell’amico.

 

Il solito posto era un ristorante dove Oropa lavorava come aiutante del cuoco e cameriere.

Shutaro e Ataru entrarono e si accomodarono ad un tavolino; Oropa, con indosso grembiule e cappello, andò a prendere il loro ordine.

“Buonasera, signori! Cosa desiderate?”, domandò cortesemente.

“Dunque, vorremmo…”, cominciò Ataru, controllando che nessuno li stesse ascoltando; Shutaro guardò a destra e a sinistra e con un cenno lasciò intendere il via libera.

“Signori!”, esclamò Oropa chinandosi vicino alle teste dei due. “Ho ricevuto conferma che domani verremo prelevati e trasportati sul pianeta Felicitas I per una giornata di sole e mare. Stando alle mie informazioni, ci saranno molti ospiti, quindi prepariamoci al meglio e arrivederci a domani!”.

“Due scodelle di ramen fumanti e due limonate ghiacciate!”, disse ad alta voce il giovane Mendo.

Oropa annotò l’ordinazione e si affrettò a servire gli amici.

 

A notte fonda rientrò nella sua dimora, guardò i pesi da allenamento che accumulavano polvere abbandonati in un angolo e disse sorridendo: “Voi aspetterete ancora!”.

Accese il comunicatore e sullo schermo comparve l'’interno della navicella di Benten; Tzukino arrivò di corsa e apparve sul monitor. “Ciao, Oropa!”, esclamò felice la ragazzina.

“Tzukino, che bello vederti!”, disse lui. “Sei sempre più carina!”.

“Ti stai preparando per domani?”, domandò Oropa notando il costume da bagno indossato dalla giovinetta.

“Certo!”, rispose lei arrossendo. “Però non ho certo il corpo della tua fidanzata! Mi va tutto largo!”.

La dea comparve in video in tutto il suo splendore: indossava un due pezzi di colore rosso e teneva i capelli sciolti sule spalle. “Come ti sembra questo, tesoro?”, domandò all’amato mentre assumeva pose da indossatrice.

Oropa sentì una vampa di caldo salirgli dall’addome fino alla punta dei capelli biondo cenere e i suoi occhi brillarono. “Perfetto!”, esclamò.

“Allora a domani, amore mio!”, disse lei prendendo per mano la ragazzina e trascinandola via a forza.

“A domani, cara!”, rispose lui chiudendo la comunicazione.

Guardò nuovamente i pesi, ma il suo interesse venne calamitato dallo scatolone aperto che stava a fianco degli attrezzi ginnici. Quello scatolone era arrivato due giorni dopo la grande battaglia a casa di Ataru. Quando l’aprì il ragazzo rimase di sasso per la sorpresa: un foglietto bianco sormontava una catasta di libri e vi era scritto: La prima cosa che impariamo dalla lettura è come stare soli!.

Oropa pensò che gliel’avesse mandato Ryoda.

Aveva già letto parecchi libri che parlavano di battaglie, strategie e guerre contenuti nello scatolone e aveva scoperto che leggere gli piaceva parecchio.

Estrasse un tomo particolarmente voluminoso e l’aprì: saltò l’introduzione e lesse le prime righe, accomodandosi in poltrona e consumando gli avanzi che aveva portato a casa dal ristorante.

“Canta, o dea, l’ira di Achille figlio di Peleo,

rovinosa, che mali infiniti provocò agli Achei

e molte anime forti di eroi sprofondò nell’Ade…”.

“Sembra interessante…”, esclamò Oropa prima di immergersi nella lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** In vacanza! ***


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IN VACANZA!

 

L’indomani mattina la sveglia lo chiamò nuovamente alla realtà, si alzò e preparò con cura la sacca. “Telo da mare, giacchetta antivento, costume di ricambio, acqua, crema solare, fucile di precisione a gas compresso… non manca nulla!”, esclamò.

Aprì un cassetto e si infilò in tasca una piccola bobina di filo di nylon, resistente e invisibile. “Tu sarai indispensabile!”, disse mentre richiudeva l’uscio.

Davanti al cancello dei Mendo, Ataru e Shutaro lo attendevano; faceva uno strano effetto vedere in pieno inverno tre ragazzi con corti bermuda da mare e camicie hawaiane e fu anche la prima osservazione che Lamù fece ai tre quando li recuperò a bordo dell’ufo. “Se non sapevate nulla, come mai eravate pronti ad attendermi vestiti di tutto punto?”, domandò la bella aliena.

“Sono informazioni strettamente riservate!”, intimò Oropa.

“Da quando tu e il mio tesoruccio siete stati assunti da Shutaro come suoi più personali consiglieri avete sempre quest’aria di mistero. Non la sopporto!”, borbottò Lamù.

Shutaro, dopo i fatti accaduti sul pianeta Silva, aveva avuto l’idea di arruolare i due fra le fila del suo esercito… averli al suo servizio era per lui un grande onore e i risultati non si fecero attendere: loro tre uniti avevano spazzato via ogni invasione di Tobimaro, avevano rinvigorito i soldati con nuove tecniche di guerriglia e sbaragliato la concorrenza in ogni campo, aumentando ulteriormente i possedimenti della famiglia Mendo.

“CIAO, OROPA!”, gridarono delle voci all’interno della navicella.

Il ragazzo si voltò e dentro la sala principale notò che vi erano già i loro amici: Ryuunosuke, Shinobu, Ten, Ran insieme a Rei e Sakura con Tsubame.

 

Il nutrito gruppo uscì dall’ascensore ritrovandosi sulla sabbia bianchissima: il pianetino era già popolato da gruppi di giovani, i chioschi erano aperti e la musica veniva diffusa nell’aria.

“Io vado a mettermi il costume!”, esclamò Ryuunosuke correndo in direzione delle cabine.

“Ne metterà uno da uomo o uno da donna?”, si domandò Ataru.

“Lei è già arrivata?”, chiese Oropa a Lamù.

“Chi?”, domandò lei mentre camminava nella sabbia a braccetto col suo tesoruccio alla ricerca di un posto dove mettere gli ombrelloni.

“Benten!”, sbottò lui.

“Come lo sai che oggi sarebbe venuta Benten?”, ringhiò la bella aliena mostrando i canini. “Scommetto che ti ha detto tutto!”.

“Ben arrivato, tesoro!”.

Oropa si voltò di scatto e vide l’amata che avanzava nella loro direzione insieme a Tzukino, Oyuki, Ryoda e Kurama; con quest’ultima c’erano anche un paio di tengu e il loro decano.

Il ragazzo si affrettò a raggiungerla per poi stringerla fra le sue braccia e baciarla appassionatamente.

Una volta che tutto il gruppo si fu riunito, Lamù notò che Kurama, vestita con un sobrio costume da bagno intero di colore nero, aveva la pancia stranamente gonfia. “Ti vedo un po’ ingrassata!”, fece notare la bella oni. “Hai mangiato troppo in questi cinque mesi?”.

“Non è affatto come credi tu!”, rispose offesa la principessa dei tengu prima di avvicinarsi all’amato e stringergli con premura il braccio.

“Io e Kurama abbiamo un importante annuncio da farvi”, esclamò Ryoda. “Noi…”.

“La principessa Kurama aspetta un bambino!”, annunciò improvvisamente il decano dei tengu.

Mentre tutte le ragazze si congratulavano con Kurama per il lieto evento, Ataru e Shutaro si avventarono inferociti contro Ryoda, ma furono miseramente sbattuti sulla sabbia travolti dal ventaglio a forma di foglia della ragazza. “Tenete giù le mani dal padre di mio figlio!”, minacciò lei.

“Congratulazioni, paparino!”, disse Oropa all’amico con tono scherzoso, mentre Ataru e il giovane Mendo furono aiutati da Lamù e Shinobu a rialzarsi.

“Tutto merito di quei confetti portentosi!”, ammise il professore all’orecchio di Oropa.

Una volta che la situazione ritornò alla normalità, tutti sistemarono le proprie cose in modo da formare un unico, grande gruppo di ombrelloni.

Oropa, Ryoda, Ataru e Shutaro si fecero un attimo in disparte, lasciando sole le rispettive compagne, intente a distendere i teli da mare ed aprire le sdraio noleggiate.

“I bersagli sono presenti!”, sussurrò Ataru.

“Io ho portato il necessario, ho bisogno solo del cupido…”, aggiunse Oropa.

“Eccolo!”, disse Shutaro allungando un pugno chiuso sopra il palmo dell’amico; vi depositò qualcosa e ritirò il braccio.

I quattro tornarono nel gruppo e si distesero presso le rispettive compagne, attendendo il momento giusto di mettere in atto il loro piano.

Tzukino e Ten giocavano sul bagnasciuga: il cuginetto di Lamù costruiva una roccaforte di sabbia, mentre la ragazzina cercava conchiglie per creare una collana. Ran e Rei si erano allontanati nella boscaglia di palme alla ricerca di intimità; la ragazza dai capelli viola aveva portato un grosso sacco di takoyaki per assicurarsi le attenzioni del famelico oni. Shutaro e Shinobu passeggiavano lungo la spiaggia tenendosi per mano; il sorriso di lei era un chiaro segno che le cose fra i due andavano a gonfie vele. Lamù spalmava la crema solare sul corpo del suo tesoruccio con movimenti delicati, attirando l’attenzione di ogni passante. Ryuunosuke sfoggiava con orgoglio femminile un meraviglioso bikini color verde smeraldo che esaltava le sue forme. Ryoda e Kurama stavano sdraiati su un grande telo da mare sotto l’ombrellone e discutevano serenamente su come affrontare al meglio la loro prossima vita di genitori. Oropa e Benten chiacchieravano serenamente, parlando delle loro giornate e di come impiegassero il tempo quando non stavano insieme.

Il ragazzo mostrò all’amata la carta d’identità rilasciatagli da pochi giorni.

“Non sono uscito bene in questa foto…”, borbottò lui.

“Non è vero, sei carinissimo… e questo vuol dire che ora hai anche un cognome!”, esclamò lei cercandolo su quel documento. La sua faccia si fece seria dopo averlo trovato. “Ti chiami Kitsune Oropa?”, domandò la dea sbigottita.

“Sì, esatto!”, rispose lui. “L’ho scelto perché mi sento come una volpe che condivide l’habitat in cui vive con animali molto più forti e feroci di lei, sopravvivendo grazie all’astuzia!”.

 

Il tempo passava lento e mentre le ragazze godevano dei caldi raggi del sole, i ragazzi si guardavano attorno.

Oropa si avvicinò all’amico e gli disse: “Volevo ringraziarti per i libri che mi hai inviato, mi piacciono molto!”.

“Sono contento di ciò!”, rispose Ryoda. “Come vanno i tuoi studi?”.

“A parte qualche difficoltà in matematica, i miei voti sono tutti sopra la sufficienza alla scuola serale che frequento per ottenere il diploma!”, rispose sincero il ragazzo.

“Senti, ho mostrato i filmati del giorno della battaglia alla mia amica che ci ha fornito le armi di supporto e mi ha detto che un giorno vorrebbe parlarti di persona perché dimostri ottime capacità”.

“Molto del merito di quel giorno va a te, ad Obelion e Orochi… io ho fatto ben poco!”.

“Vedo che impari alla svelta!”, commentò Ryoda sorridendo all’amico. “Bisogna sempre celare le reali capacità in modo che il nemico non sappia mai con che cosa avrà a che fare!”.

“Guardate, c’è Tzukino!”, gridò un ragazzino, correndo in direzione della giovinetta.

Un gruppetto misto si avvicinò a lei salutandola; Oropa riconobbe alcuni dei ragazzini della volta precedente e quella visione lo commosse. Si alzò e si avvicinò alla ragazzina, la quale gli chiese il permesso di allontanarsi per giocare con loro.

“Permesso accordato!”, disse lui.

Mentre Tzukino si allontanava per giocare con i nuovi arrivati, Shutaro tornò dalla passeggiata e aiutò l’amata Shinobu ad accomodarsi sulla sdraio; poi passò in rassegna gli sguardi dei compagni: era il segnale che il bersaglio si trovava in posizione.

“Vado a fare una passeggiata!”, disse Oropa alzandosi.

“Ti accompagno!”, aggiunse Ryoda baciando Kurama sulla guancia.

“Vengo anch’io!”, esclamò Ataru.

“Posso andare con loro?”, chiese il giovane Mendo a Shinobu.

“Ma certo!”, acconsentì lei.

Oropa si mise il fucile da cecchino, camuffato dentro uno zainetto a tracolla e i quattro si allontanarono.

“Tutto ciò è sospetto!”, disse Oyuki.

“Molto sospetto!”, commentò Lamù.

“Avete ragione!”, esclamò Benten.

“Le solite tre galline…”, borbottò Kurama prima di schiacciare un pisolino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Visite indesiderate ***


sa

 

 

 

 

VISITE INDESIDERATE

 

Appena furono abbastanza lontani, i quattro presero a correre fra le palme. “Sono su quegli scogli laggiù!”, disse Shutaro.

“Allora dovremo procedere oltre, superando il punto di una cinquantina di metri e mantenendoci nascosti fra le palme”, continuò Ryoda. “Fra le rocce c’è un’apertura che ci consentirà di inquadrare il bersaglio agevolmente”.

“Esatto!”, esclamò Ataru. “Io mi avvicinerò per poter riprendere tutto!”.

“Perfetto!”, affermò Oropa, liberando dal suo involucro il fucile di precisione.

Ataru si staccò dal gruppo e si avvicinò furtivo alle rocce, scalandone alcune e portandosi in posizione, raggiunta la quale fece un gesto con la mano agli amici.

Gli altri tre continuarono ancora la corsa, prima di trovarsi nella postazione designata: una duna di sabbia abbastanza alta da permettere la visione della coppia, che si credeva al sicuro nell’intimità fornitagli dalla corona di rocce circostante.

Oropa guardò nel mirino telescopico e annunciò: “Distanza quarantasette metri, vento di tre chilometri orari da nord ovest, Sakura e Tsubame sono vicini e si accingono a passare bei momenti!”, spostò l’ottica su Ataru. “Il nostro cameraman ha già cominciato le riprese!”.

Ryoda aprì una grande ala per coprire dal sole il ragazzo steso col fucile puntato, Shutaro tolse di tasca due piccoli binocoli; uno lo tenne per sé ed uno lo passò al professore.

“Questo fucile è precisissimo!”, spiegò Oropa. “Me ne servo quando gioco alla guerra con Benten e siccome non ho più la forza di Obelion, ho dovuto ripiegare su tattiche a distanza”.

Oropa infilò nella canna la pallina marrone battezzata cupido e chiuse il caricatore; agganciò una bomboletta di gas al calcio dell’arma e la imbracciò, osservando nel mirino la bella bocca della fascinosa Sakura. Il cecchino fece fuoco e l’obiettivo venne centrato.

Dai cannocchiali i tre videro Sakura portarsi una mano alla bocca e deglutire, poi la osservarono mentre, divenuta paonazza in viso, si strappava di dosso il costume denudandosi davanti all’esterrefatto fidanzato.

“Accidenti!”, esclamò Shutaro, mentre la sacerdotessa aggrediva Tsubame privandolo dell’unico indumento che aveva indosso.

“Cribbio!”, continuò Oropa, mentre la bella Sakura baciava con irruenta passione l’amato e gli passava le mani dappertutto.

“Dannazione!”, proferì il professore. “Lo sta letteralmente scorticando vivo!”.

“Sakura è una belva! Lo sta cavalcando a pelo vivo!”, esclamò Oropa agghiacciato dalla furibonda passione della sacerdotessa.

Ataru gesticolava in segno di vittoria; le riprese procedevano a gonfie vele.

“MA CHE FA?!”, urlò Shutaro, vedendo nel cannocchiale che Sakura si era seduta in faccia al suo amato e si dimenava come una furia.

“Probabilmente, Tsubame ha… mollato… ma lei non ancora e vuole il giusto orgasmo!”, spiegò Ryoda incredulo ai suoi stessi occhi.

“DOBBIAMO SALVARLO!”, gridò Oropa. “SE CONTINUA DI QUESTO PASSO, SAKURA LO FARA’ A PEZZI!”.

Ad un tratto la bella Sakura cominciò a tremare tutta e graffiò ripetutamente il ventre dell’amato, prima di piegarsi e mordergli le labbra. Si fermò e si accasciò a fianco dello sfinito Tsubame, mentre Ataru guizzò via dal nascondiglio e si ricongiunse al gruppo con un’espressione mistica di paura e meraviglia. “Roba da matti!”, si limitò a dire.

“Il professor Onsen avrà un infarto quando vedrà questo filmato!”, sghignazzò Shutaro.

“Dovremo preparare bende e cerotti per Tsubame…”, propose Ryoda.

I quattro fecero ritorno ridendo, ma già da lontano videro che qualcuno si era aggiunto alla compagnia… qualcuno che al posto degli ombrelloni usava un paio di alti funghi per farsi ombra. “Sono Rupa e Karla!”, esclamò Ataru, spaventato.

“Sono tornati all’attacco!”, commentò Shutaro.

“Chi sono?”, domandò Ryoda.

“Il tizio coi capelli chiari ha rapito la mia Lamù ed ha creato un caos incredibile, arrivando ad invadere la Terra con quei maledetti funghi, mentre la ragazza è una furia dal grilletto facile!”, rispose Ataru.

“Volete dire che quei due sono i responsabili dell’invasione di funghi giganti che ha colpito la Terra qualche tempo fa?!”, chiese il giovane insegnante di Storia terrestre trattenendo a stento la collera.

“Proprio così!”, affermò il giovane Mendo.

“Non potete nemmeno immaginare l’angoscia e la disperazione che ho provato in quei giorni terribili! Non riuscivo né a dormire né a mangiare! Non potevo sopportare l’idea che tutte le meraviglie che gli uomini hanno costruito sulla Terra nel corso dei secoli venissero distrutte in una maniera così… assurda!”.

“Cerca di calmarti!”, suggerì il giovane Moroboshi nel tentativo di calmare Ryoda, accecato dalla collera. “In fondo, i danni sono stati riparati e…”.

“Non importa!”, esclamò furioso il professore. “Quegli sciagurati hanno bisogno di una lezione!”.

 

“Che sorpresa trovarvi qui!”, disse Rupa alle ragazze.

“Già, proprio una bella fortuna…”, commentò aspramente Benten.

“Suvvia!”, esclamò Karla. “Ora che siamo sposati non siamo più un pericolo per nessuno!”.

“Detto da te, è piuttosto difficile da credere!”, commentò Lamù.

“A cosa dobbiamo la vostra visita?”, chiese Oyuki.

“Siamo qui in vacanza!”, disse il ragazzo dai capelli chiarissimi. “Questo è il nostro viaggio di nozze!”.

“Allora dovreste starvene in intimità!”, commentò Benten alzandosi dalla sdraio e scrocchiando i pugni.

“Noi stiamo dove ci pare e piace!”, ringhiò Karla armando un grosso mitragliatore.

“Shutaro, mi presti la tua arma?”, chiese Oropa all’amico; i quattro si erano avvicinati senza essere notati ed ora gli sguardi si erano concentrati tutti su di loro.

“Prego!”, disse Shutaro porgendo la sua katana all’amico. Oropa la impugnò a due mani e si avviò verso i coniugi portatori di funghi.

“Che intenzioni hai?”, domandò Lamù al ragazzo.

Passando davanti a Benten, Oropa le porse il fucile. “Reggimelo un attimo!”, disse avanzando ancora.

Rupa impallidì osservando lo sguardo torvo del ragazzo, ma Karla gli si parò davanti sparando una raffica di colpi. “Se vuoi fare del male al mio Rupa, dovrai passare sul mio cadavere!”, minacciò al giovane.

I colpi esplosi dall’arma rimbalzarono contro le lucide penne dell’ala che Ryoda aveva spalancato a protezione del ragazzo. “Ci vuole ben altro!”, ringhiò il professore.

Oropa avanzò fino ad un passo dai due; Karla allargò le braccia, mettendosi fra l’amato Rupa e l’aggressore. “Non passerai se non…”.

Un sibilo tagliò l’aria, mentre Oropa vibrava un violento colpo di traverso. Il ragazzo si voltò, dando le spalle ai due terrorizzati coniugi e pulì la lama con le dita, facendo scivolar via un liquido chiaro. I due funghi usati come ombrelloni caddero al suolo, tagliati di netto alla base.

“Ten, vieni qui!”, esclamò Oropa.

“Eccomi!”, rispose il piccolo oni, svolazzando fin lì dal bagnasciuga.

“Fiamma moderata per pochi minuti, mi raccomando…”, consigliò il ragazzo al cuginetto di Lamù, che intuì alla perfezione il comando.

Tutti osservavano la scena ammutoliti e mentre Ten cuoceva i funghi, Oropa si avvicinò ad Oyuki e si fece prestare il grosso ventaglio che la regina di Nettuno usava per arieggiarsi. Quando si riavvicinò a Ten, questo aveva appena finito la sua opera e i due enormi funghi emanavano un delizioso profumino.

Oropa diresse l’odore verso la boscaglia di palme aiutandosi col ventaglio ed un attimo dopo una specie di grosso bue col pelo tigrato arrivò sbavando copiosamente.

“REI?!”, esclamarono in coro Lamù e Benten.

“Assaggia!”, gli consigliò Oropa; il bestione ingurgitò i funghi in un sol boccone e gridò: “SQUISITI!”.

Ran arrivò furibonda. “State usando il mio amore come cavia!”, ringhiò l’aliena.

“Un piccolo sacrificio per il bene comune!”, rispose Oropa.

“Tu sei in combutta con Lamù!”, sibilò Ran furiosa. “State cercando di eliminare il mio Rei perché ora vuole solo me!”.

“Ci risiamo con questa storia…”, borbottò Lamù passandosi le mani nei capelli.

“Questo è un affronto!”, tuonò Rupa. “I funghi sono il nostro simbolo e nessuno può permettersi di reciderli senza il mio consenso, cucinarli e darli in pasto ad una vacca a strisce!”.

“CHI SAREBBE LA VACCA A STRISCE?!”, gridò Ran furibonda.

“Questa è la vendetta per quella vecchia storia, vero?”, domandò Karla.

“Ma certo!”, continuò Rupa. “Questi esseri meschini vogliono rivangare quella vecchia storia e usarla per farci del male! Ma le vecchie storie andrebbero dimenticate e non ha senso rimuginare sulle cose passate perché il passato è passato e non serve a nessuno!”.

Un silenzio di tomba cadde sull’intera compagnia.

Ryoda fremeva facendo emettere alle penne delle sue ali un rumore sinistro.

“Ma che stupidaggini state dicendo?”, domandò Ataru sdraiandosi vicino a Lamù come se nulla fosse.

“Credo che abbiano i funghi anche nel cervello…”, commentò Shutaro mentre prendeva posto vicino a Shinobu.

“Quante storie per due funghi…”, sbottò Oropa prima di restituire la katana al giovane Mendo e raggiungere poi l’amata.

“Dimentichiamo tutto e ricominciamo da capo”, suggerì Rupa. “Non vogliamo litigare con nessuno!”.

“Troppo tardi!”, sussurrò Kurama.

“Avete osato mettere in pericolo la Terra e pagherete caro il vostro insano gesto!”, tuonò Ryoda prima che una paurosa raffica di vento generata dalle sue ali scaraventasse in cielo Rupa, Karla e i loro maiali.

“Quei due avranno sicuramente imparato la lezione!”, proferì soddisfatto il professore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Proposta di matrimonio sulla spiaggia ***


sa

 

 

 

PROPOSTA DI MATRIMONIO SULLA SPIAGGIA

 

Successivamente a quell’evento la pace tornò a regnare fra i ragazzi e all’ora di pranzo si recarono presso un chiosco per gustare l’ottimo gelato prodotto su Felicitas I.

“Quando verrai a vivere con me?”, domandò Benten ad Oropa fra lo stupore generale.

Il ragazzo arrossì, fissando il gesto che la lingua dell’amata compiva nel portarsi il gelato alla bocca.

“Prima vorrei… guadagnare dei soldi per…”.

“Fare cosa?”, domandò Shinobu.

Oropa tacque imbarazzato.

“A che ti servono i soldi, caro?”, domandò la dea assestando una leggera gomitata alle costole del ragazzo per spronarlo a rispondere.

“Mi servono…se in futuro… cioè… mi servono per il matrimonio, ecco!”.

Il tavolo esplose in un boato e tutti festeggiarono la coppia. “Ma non c’è ancora niente di programmato, è solo il mio… sogno!”, ammise il ragazzo biondo.

“Non ho acconsentito, infatti!”, affermò Benten picchiando i palmi sul tavolo e pietrificando tutti.

“Se mi vuoi in moglie… dovrai sconfiggermi!”, ringhiò all’indirizzo del povero Oropa.

 

Lamù, Benten e Oyuki erano nuovamente schierate contro Oropa, il quale però ora aveva al suo fianco Ataru e Shutaro. Attorno a loro, una folla di curiosi li chiudevano all’interno di un ring umano.

“Siamo alle solite…”, commentò Tzukino in compagnia dei suoi amici sotto il chiostro.

Le tre aliene scattarono all’unisono.

Ataru fece gli occhi dolci a Lamù, che volò fra le sue braccia. “Tesoruccio!”, disse felicissima mentre lui la abbracciava e comunicava ad Oropa la riuscita della sua parte facendogli l’occhiolino.

Benten si voltò verso Oyuki… che stava stringendo la mano a Shutaro!

“Allora siamo d’accordo!”, affermò il giovane Mendo. “In cambio della mia rinuncia a prendere parte a questa contesa, le offrirò i servigi delle mie guardie per un giorno intero, durante il quale spaleranno tutta la neve che vorrà!”.

Furibonda, la dea si abbatté sul suo amato, stringendolo in una morsa; il ragazzo si liberò, ma Benten lo colpì al ventre con un gancio destro, facendolo crollare al suolo.

Oropa cercò con lo sguardo Ryoda e gli fece un cenno, poi strattonò il filo di nylon e il reggiseno di Benten prese il volo, mentre il professore immortalava la scena con una polaroid.

La dea si coprì il seno con le braccia e rivolse all’amato spietati occhi di fuoco. “Truffaldino, traditore!”, ringhiò la ragazza.

“Ora parlo io”, intimò il ragazzo mentre stringeva in pungo il costume rosso dell’amata. “Le tue alleate sono fuori gioco, non hai la possibilità di muovere a tuo piacimento gli arti superiori ed io sono in possesso di una tua foto compromettente. Se assalirai il mio amico, trattandosi di un elemento esterno alla guerra, finirai al tribunale militare, dove verrai accusata di crimini di guerra e il tuo onore verrà fatto a pezzi; se assalirai me per aggiudicarti al vittoria, questa foto verrà resa di dominio pubblico, distruggendo la tua immagine di dea; se ti dichiarerai sconfitta, distruggerò la fotografia e non vi saranno ulteriori sviluppi. Ora scegli!”.

Benten prese tempo per pensare.

“Ti avverto che fra la folla è nascosto un secondo fotografo e che un secondo filo invisibile è agganciato al pezzo inferiore del tuo costume… un gesto avventato e ti spoglio completamente, mia cara!”.

Benten sobbalzò per lo spavento e cercò di individuare il filo senza riuscirvi; madida di sudore cercò una soluzione ma i suoi pensieri erano invasi da Oropa e dalla sua incredibile astuzia.

“HAI VINTO!”, strillò la dea. “ORA SMETTILA!”.

“Ryoda non ha scattato quella foto e nessun filo di nylon potrebbe sfilarti il costume”, confessò il ragazzo con un sorriso sfacciato stampato sul volto.

“Sei… sei…”, sibilò Benten inginocchiata sulla sabbia.

“Sottomettere l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità!”, esclamò Oropa.

“Questa è l’arte della guerra!”, disse Shutaro illuminandosi in viso.

“Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo!”, continuò il ragazzo.

“Finiscila!”, intimò Benten.

“Acconsenti a sposarmi?”.

“Acconsento!”.

Shutaro ed Ataru si avvicinarono al ragazzo. “Questa prova ci fa capire perché i miei uomini ti hanno soprannominato Oropa la volpe!”, gli disse il giovane Mendo carico d’orgoglio.

“Offrici da bere, poi!”, propose Ataru assestando una pacca sulla spalla del ragazzo.

“Il merito di questa vittoria è anche vostro!”, disse Oropa ai due con un inchino.

“E basta con questo cerimoniale!”, sbottò il giovane Moroboshi.

Oropa si avvicinò a Benten e le offrì il costume; quando la ragazza glielo strappò di mano, qualcosa cadde sulla sabbia.

Benten pensò potesse trattarsi del gancio del costume e cercandolo si trovò in mano un delicato anellino d’oro; con gli occhi lucidi fissò il suo amato. “Ma questo è…”.

Oropa s’inginocchiò, prese la mano dell’amata e disse: “Mia amata Benten, vorresti diventare la mia consorte per il resto della nostra vita?”.

Entrambi i giovani avevano le lacrime agli occhi e si fissavano intensamente. “Certo che voglio sposarti, sciocco!” rispose lei.

Uno splendido abbraccio sigillò la promessa mentre i ragazzi applaudivano forte e le ragazze si abbracciavano fra loro commosse.

Il resto della giornata passò tranquillo; Kurama e Ryoda annunciarono a tutti il loro matrimonio fra un mese esatto e offrirono da bere a tutti i presenti in quel tratto di spiaggia.

Alla sera venne acceso un grande falò; mentre Lamù, Benten, Oyuki e tutte le altre ragazze ballavano intorno al fuoco, Oropa e gli altri ragazzi chiacchieravano ridacchiando delle avventure vissute durante tutto il tempo della scomparsa di Oropa.

Ad un tratto il ragazzo si alzò ed andò ad osservare da vicino al sua futura moglie, che ballava scatenata.

“Rimpianti?”, gli chiese Ryoda notando gli occhi lucidi dell’amico.

“Sento già che mi mancherai, come mi mancheranno questi giorni!”, ammise Oropa.

“Non lasciare spazio alla malinconia, amico mio!”, suggerì saggiamente il professore. “La vita è un’avventura e nel momento in cui ti smarrisci in ricordi dolorosi capita che perdi l’istante che attendevi da una vita…”.

“Cosa mi attenderà in futuro?”.

“Giorni felici alternati a giorni tristi… e lei sarà la luce che ti accompagnerà lungo il tuo cammino nei momenti più bui. Non scordarlo mai!”.

“Non lo faremo!”, esclamarono all’unisono Oropa, Ataru e Shutaro, intenti ad osservare le loro amate. Ryoda rise e si allontanò insieme a Kurama e ai tengu per fare ritorno sul pianeta natale del giovane.

Ataru e Shutaro si unirono al ballo, mentre Benten vide il suo amato che la fissava con gli occhi umidi. Lasciò le amiche ed andò ad abbracciarlo col suo corpo caldo e umido di sudore. Afferrò Oropa per un braccio e cominciò a trascinarlo lontano dal fuoco, nell’oscurità del bosco di palme.

“Dove mi porti?”, chiese lui.

“A fare l’amore!”, rispose lei.

“Non dovremmo attendere la prima notte di nozze?”.

“Stai scherzando?”, chiese Benten mentre cominciava a togliersi il costume.

La fioca luce della luna illuminò il suo corpo nudo ed Oropa sentì il cuore in gola che gli batteva all’impazzata.

“Fai piano, però”, chiese la dea un po’ imbarazzata. “Questa è la prima volta e temo che mi farà un po’ male!”.

Così dicendo si lanciò sull’amato e i due si sdraiarono sulla fredda sabbia.

Quando anche lui fu nudo e sentì il suo corpo premuto contro quello di lei, non seppe resistere oltre e disse all’amata: “Benten, io non avrò paura di nulla, se solo ti avrò al mio fianco”.

“Ti amo…”, sussurrò lei un attimo prima di baciarlo con passione, mentre gli carezzava dolcemente una guancia.

“Anch’io ti amo, Benten!”, disse poi Oropa, mentre sopra di loro le stelle brillavano nel cielo più intensamente che mai.

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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