5 The Exorcist - La battaglia delle anime

di Sarah M Gloomy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1
 
 
 
         Sono seduta, anche se non so con quale forza di volontà. Reggo tra le mani una bottiglietta d’acqua. La fisso. «Sono …» Chi sono? Un ragazzo mi accarezza una guancia, obbligandomi ad alzare il viso. Ha un bellissimo volto, dei penetranti occhi verdi e abbozza un sorriso. Nonostante sia coperto di terra e puzzi di sudore e sangue, io mi accorgo solo che sorride. È come un raggio di sole dopo la tempesta che ha squarciato il mondo. Mi rassicura. «Devi continuare a parlare. Agganciati ai ricordi.»
Guardo la ragazza che è ancora distesa vicino a me, mentre un altro ragazzo la pungola con l’acqua. A lei non chiedono di parlare. Come non lo chiedono al biondino tra le braccia dell’omone. Ho avuto un momento, lo so, in cui tutto si era sistemato, i pezzi del puzzle avevano avuto un senso. Poi … l’ho perso. Sospiro. Mi fanno male ossa e muscoli. Il solo respirare non rende bene quello che sto provando. Mi concentro su quel ragazzo, perdendomi nel suo sguardo. «Sono Amabel Wright, la reincarnazione dell’esorcista della Menzogna morta nel 1400.»
Mi scosta un ciuffo dalla fronte. «Bene. E?»
Questa parte mi è un po’ difficile da dire. «Sono ritornata in vita … credo.»
Appoggia la sua fronte alla mia. Sì, sa proprio di sudore e sangue. Deve averci tirato fuori con le sue sole mani. Chi? So che la ragazza alla mia sinistra è Julia. Gli altri nomi, ancora, sono ingarbugliati nella mia testa e chiedono di essere conosciuti. La gola di arde, ma la bottiglia non si vuole avvicinare alla mia bocca. Il ragazzo me la sfila dolcemente, mi fa aderire al suo corpo con la schiena. Sento il suo petto alzarsi e abbassarsi in un respiro senza urla. All’opposto, ogni lembo del mio corpo mi sta chiedendo perché. Perché sono di nuovo viva? Perché mi ostino a respirare quando tutto di me mi dice di abbandonare? Perché … perché?
Appoggia le mie labbra alla bottiglia, dandomi da bere a piccoli sorsi continui. Bevo, pausa. Bevo, pausa. È una sicurezza. La sua voce, alle mie orecchie, mi arriva come un bisbiglio segreto senza senso. «Sei stata molto brava, Bel. Hai preso in mano la situazione e ora sono tutti salvi. Come mi avevi chiesto, voi siete stati il secondo giro. Immaginavo che per riportare in vita voi avrei avuto bisogno di più forza. È andato tutto bene. Anche Robert, tra un po’, riaprirà gli occhi.»
Robert deve essere il ragazzino biondo, tra le braccia di … «Maximus.»
Un altro sorsetto d’acqua. «Molto bene. In questo secolo, però, si chiama Warren. E Robert è il vecchio Oppius. Hai capito? Stanno tutti bene. Non ci sarà nessun rituale dell’immortalità. Johannes e gli altri non ci controllano più.»
Giro appena la testa, per vedere le sue labbra. Alzo una mano e, davvero, fino a pochi secondi fa non sapevo neppure di esserne in grado. Le sue labbra sono piene e calde. Mi sorride ancora quando alzo gli occhi per incrociare il suo sguardo mite. «Titus. E Chase.»
La sua guancia si appoggia alla mia. «Sì. Titus e Chase. Dalila e Amabel.»
Chiudo gli occhi, scoprendo che sto piangendo. Perché piango? Nella mia testa è tutto molto confuso. Dovrei essere triste? O felice? «Io … io sono Amabel Wright, la reincarnazione dell’esorcista della Menzogna, morta nel 1400. Sono Amabel … sono Amabel.»
Ripetere quella nenia sembra che mi aiuti. Mi sto agganciando a quel ricordo, al fatto che sono stata una ragazza di sedici anni con quel nome. Che sono già stata abbracciata dallo stesso ragazzo che mi stringe in questo momento. Anche la terra del cimitero, così smossa, è un ricordo del passato. Non necessariamente bello. Al momento, però, non so cosa lo sia. Stavolta mi fa bere più del dovuto, scuotendo la testa quando tento di allontanarlo. «Dobbiamo spostarci da qui. E più bevi, più in fretta recuperi. Warren?»
Il ragazzo si sta caricando Robert tra le braccia. Il ragazzino sta tremando e i suoi ciuffi biondi sono inzaccherati di terra. Anche lui ha dei begli abiti, sporchi di terra. Sembra essere andato a una festa prima di essere seppellito. Il mio cervello finalmente collega che la festa in questione deve essere il suo funerale. «Ha bevuto. Si sta risvegliando solo ora. Vuoi che rimaniamo qui ancora, finché non si riprende dal tutto?»
   «No. Dobbiamo spostarci il prima possibile. Non ci devono trovare.»
Nella voce di Chase c’è l’urgenza. Il terreno mi scivola da sotto il mio corpo e sono sollevata da terra senza apparente fatica. Faccio passare un braccio intorno al collo di Chase, i suoi occhi si addolciscono. «Molto bene, Bel.»
Mi piace quando mi chiama, che sia Bel o Amabel. Mi piace come mi guarda e la sensazione delle sue braccia intorno a me. È stupido? Mi piacciono tante cose che in questo momento non dovrebbero importarmi. Gira appena la testa, chiamando l’ultimo ragazzo. «Jamar?»
   «Niente. È sveglia ma amorfa. Che diavolo gli prende? Philippe si è alzato e ha fatto qualche passo prima di crollare tra le braccia di Eliza.»
Altri nomi familiari. Chase mi sistema meglio tra le sue braccia. «Sì. Beh, tu hai la tua ex fidanzata che è morta due volte annegata. Cerca di comprendere la situazione. E Robert è molto giovane.» Lo sento sospirare, in risposta al commento tacito dell’altro. «Jamar, anche se avete la stessa età, devi ricordarti che un conto è l’età anagrafica, un altro è quella mentale.»
   «Vuoi dire che Bel è la mia mamma?» Rimbrotta, con tutta l’intenzione di offendermi. Riesco ad abbozzare un sorriso. «Jamar … vaffanculo.»
Lo vedo sollevare con apparente facilità Julia e caricarsela in spalla. Poi il suo viso sbuca nel mio campo visivo. Mi sorride e è felice di vedermi. Non credevo che il vederlo così, con i capelli spettinati e coperto di una patina lucida di sudore mi potesse rassicurare. Ho il sospetto che noi due non siamo mai andati particolarmente d’accordo. «Buona sera, sorellina.»
Appoggio la testa alla spalla di Chase. Devo ripetere quella nenia. È più forte di me. «Tu sei Jamar, la reincarnazione dell’esorcista della Lussuria, Damide, morto nel 1400.»
Alza un sopracciglio, fissando Chase. «Anche io continuavo a ripetere questa solfa quando mi hai risvegliato? Che palle.»
   «No. Tu continuavi a dire che eri il re del mondo.»
Il mio petto è scosso da una risata. Credo che in un film visto in passato, uno dei protagonisti dicesse una frase del genere. Ogni parola mi sembra di tornare più me stessa. E non mi piace. È come se mi tirassero a forza via da un tubo stretto. Solo che io lì ci stavo davvero bene. Al contrario, i miei ricordi sono solo dolore. Ricordo un auto che andava fuoristrada, la mia mano che stringeva il volante per essere l’artefice di quelle morti, la mano di Julia stretta alla mia. Io li ho uccisi. Mi muovo a disagio, Chase mi stringe forte in vita, bisbigliando agli altri. «Dobbiamo andare. Bel sta iniziando a ricordare.»
Usciamo dal cimitero. È una notte senza stelle né luna, così buia che non si vede nulla. Il cimitero è immerso in quel silenzio di un mondo passato, di anime che hanno lasciato la terra. Al margine della strada, una donna se ne sta seduta a guardare il terreno davanti a sé. Da lei proviene un leggero sibilo, come di catene e di vento. Alza gli occhi e incontro il suo sguardo. C’è paura e c’è rassegnazione. Nella morte non ci può essere altro. Sono quasi rassicurata dal fatto che non mi è stato concesso di tornare sotto forma di spirito. In effetti, però, non so neppure come sono tornata.
Tra le braccia di Chase sono al sicuro. È stupido pensarlo, anche quando i ricordi iniziano a graffiare la mia mente. Lo scontro con l’auto è solo alla fine dei miei problemi. Sto seguendo il filo di Arianna, conscia che potrebbe essere solo doloroso. Eppure, i miei pensieri si agganciano a qualcosa che cerco in tutti i modi di allontanare. Il viso felice di un bambino, che mi sbircia dal divano, mentre alla televisione viene trasmesso un cartone animato. Il profumo del sugo, con mamma affaccendata ai fornelli, intenta a mescolare. Nonna che mi abbraccia e mi sfiora con le labbra la fronte. E papà, disteso nel suo letto, in coma. Emetto un gemito di dolore al pensiero di quelli che ho lasciato indietro. A quelli che ho lasciato andare, come Mary, Carlos. E la rabbia inizia a bollire, perché non è mai scomparsa. Altri nomi, altri lamenti: Johannes, Malachite … Ridley.
Il freddo della notte si interrompe all’improvviso. Sbatto gli occhi, sorpresa di trovarmi davanti a una porta usurata dal tempo. La lampadina bruciata risveglia altri ricordi e, quando si apre la porta, un nuovo viso conosciuto fa capolino. Eliza si sposta, facendoci passare. Warren appoggia Robert sul divano, dandogli una bella sorsata di acqua. Vengo adagiata su una poltrona, come un riccio mi rannicchio e stringo le gambe al petto. Chase appoggia una bottiglietta di acqua alla mia mano. Tremando, libero una mano dalla stretta e la prendo, portandomela velocemente alle labbra. Bevo. Bevo. È l’unica certezza che ho.
Philippe è seduto vicino a me, per terra, intento a reggere la testa con le mani. Tre bottigliette vuote lo circondano. Jamar sistema Julia dall’altra parte del divano, obbligandola a bere. Blocca con una mano uno scatto della gamba di Robert, con un’imprecazione che mi fa tornare in mente tempi migliori.
Eliza si siede a terra, davanti al mio campo visivo. O davanti a Chase, visto che è seduto molto vicino a me. Sembra temere che, muovendomi, faccia un ruzzolone giù dalla poltrona. Sarei più convinta che, bevendo, mi rovesci tutta l’acqua addosso.
   «Siamo tutti e otto. Direi che è andata alla grande.»
Sentire il tono ironico di Eliza è un po’ come aspettarsi che Warren facci un lungo discorso filosofico sul non rubare. Lei è più schematica, meno incline al riso. Socchiudo gli occhi, e vedo la durezza di Sura dietro a quegli occhi nocciola. I suoi capelli ricci sono ancora umidi, il labbro inferiore le trema appena mentre attende una qualche risposta. È Jamar che comincia. «Benone. Ha iniziato anche Julia.»
Sento un piccolo bisbigliare, ma è chiaro che anche la mia vecchia amica ha iniziato quella che è una nenia di rito. Dovrebbe fare tipo “Sono Julia White, la reincarnazione dell’esorcista dell’Ira, Lartia, morta nel 1400”. Più o meno. Immagino, poi, che le parole cambino a seconda del carattere.
Jamar la sta facendo bere nei suoi momenti di pausa. Un po’ crudele.
Chase mi sfila dalle mani la bottiglietta ormai vuota, mettendomene un’altra. Come nelle mie migliori aspettative, un po’ mi cade e mi bagna la camicia bianca che fino a quel momento non sapevo di avere. Interessante. Non sapevo di possederne una, il che mi fa capire come il mio cervello ha deciso di attivare finalmente i neuroni che non sono stati distrutti dalla morte.
   «Già. Siamo tutti e otto. Ora dobbiamo solo aspettare che gli ultimi di noi si riprendano dal risveglio.»
Philippe alza la testa. I suoi occhi sono spenti, privi di quel barlume di vita che lo avevano sempre caratterizzato. Ho la certezza che oggi siamo stati svegliati io, Philippe, Robert e Julia. A parte il fatto che siamo tutti e quattro messi da schifo, spiegherebbe perché Chase, Warren, Eliza e Jamar siano stanchi. Devono aver attinto a qualunque forza degli esorcisti per strapparci dalla morte. Sono lo zombie di un’esorcista. Anzi. Lo siamo tutti.
Philippe bisbiglia appena, aggrappandosi a qualcosa. «Aspettare
Chase mi scosta i capelli dalla fronte, io mi stacco infine dalla bottiglietta e ricambio la sua attenzione. «Sì, aspettare. Abbiamo il nostro vecchio Ordine da distruggere.»

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Capitolo 2
*** 2 ***


2
 
 
 
            Vaffanculo a tutti i libri che ho letto. Prima cosa: i vampiri escono dalla tomba belli freschi, con il desiderio di bere sangue. Bene. Io sono uscita dalla tomba, all’opposto di bella e fresca sono sì lurida, sebbene non sudata, e ho solo bisogno di acqua, in una maniera incredibile. Quello che nei libri non c’è scritto è che poi si deve andare in bagno. Beh, forse i vampiri non devono fare pipì, ma io sì! Ed Eliza è l’unica donna disponibile, quindi sono stata sollevata da terra da lei, quando è stato chiaro che strisciare fino al bagno non era pensabile. Mi ha sollevato con straordinaria facilità e mi ha schiaffato nel water. Da qui il secondo problema, ovvero avere lo stimolo della pipì e non riuscire a farla.
Eliza mi fissa, a braccia incrociate. Ho il leggero sospetto di avere quella definita “paura da prestazione”, perché è assurdo pensare che non sappia come si faccia la pipì. «Hai ancora molto?»
Rivolgo a Eliza un’occhiataccia. Quando finalmente sono riuscita a fare pace con il mio corpo e a sistemarmi alla meglio la gonna nera, che fino a quel momento non sapevo di indossare, sono stata trascinata nuovamente sul mio amato divano.
Da qui il terzo problema, e una nuova imprecazione contro tutti i libri fantasy che ho letto: i ricordi non sono così lineari. Ho flash-back della mia vita passata e di quella ancora più remota, come se le due vite si fossero fuse. Quindi, o mio fratello Edward giocava con il computer mentre al villaggio imperversava la peste, o qualcosa del mio cervello è andato in avaria. Devo aver avuto due fratelli, una sorella gemella stronza e cattiva come il diavolo, e un fratellino più piccolo, fissato con i dinosauri e che adoravo. Ho il leggero sospetto che non si conoscessero, quindi Malachite deve essere il mio passato remoto, Edward solo passato.
Guardo Julia, che invece di semplificare le cose me le sta complicando. Sono stata sua amica in entrambe le due vite, so che in una ha avuto una figlia, ma non so se è Lartia o Julia a essere diventata mamma. Eliza mi sfiora con un’altra bottiglietta d’acqua, mentre l’aroma del caffè si diffonde nella stanza.
Prendo la bottiglietta offerta. Valutiamo i pro: bere mi permette di ricordare e il mio stesso corpo ha bisogno di liquidi. Contro: ho già avuto i miei problemi nell’andare in bagno, vorrei posticipare il più possibile altre deficienze. Eliza imita il verso di bere. «Starai meglio. I ricordi poi iniziano a sistemarsi.»
   «Mm.» Non ne sono molto convinta. Però litigare con lei mi farebbe sprecare il già poco fiato che ho. Mi limito a bere. Philippe è ancora seduto, gli occhi spenti rivolti verso di me. Tra i quattro, sembro essere quella messa meglio. Ho già segnato un maxi punto andando in bagno, quando il corpo di Philippe sembra ancora non essersi ripreso. Julia ha iniziato a sedersi e a bere da sola, mentre Robert sta ancora mugugnando chi è. Ha gli occhi sbarrati e sta fissando la bottiglietta come fosse una stregoneria.
E poi sono incazzata per la quarta grande bugia sui vampiri: dove diavolo è il mio maestro, quello che mi spiega passo per passo cosa bisogna fare? Mi basterebbe anche solo Chase, visto che c’è passato prima di noi. Eliza interpreta la mia domanda silenziosa. «Chase e Warren sono andati a fare una perlustrazione in città. Di Jamar non ne ho la più pallida idea.»
Da un qualche punto emerge la sua voce. «Sono in camera tua. Sto fumando.»
Eliza alza gli occhi al cielo. «Sei troppo giovane per fumare.»
   «Che mi può succedere? Tanto sono già morto. Mica mi viene un cancro, no? E poi gli stronzi hanno parlato del tempo. Mah.»
Stronzi? Corruccio la fronte, al pensiero di un qualcosa che non fa parte di nessuno del mio passato. Eppure si aggancia a entrambi. Sorseggio un po’ di acqua, fissando Eliza. Sospira. «Abbiamo confrontato i nostri ricordi. Sembra che ci sia un punto in comune, ovvero un esorcista di fronte a un tribunale di spiriti. Io ho deciso di tornare indietro e mi è stato detto che mi avrebbero portato via il tempo, che avrei patito il senso dell’abbandono.» Mi suona stranamente familiare. E inquietante. Liscia una pieghetta sul divano, come per prendere tempo. «Una bella minaccia, no? Sembrerebbe quasi che da adesso in poi per noi potrebbe essere parecchio complicato. Ho dato un occhio alle tue ferite, e tutto sembrerebbe confermare la nostra tesi. Per noi il tempo si è fermato. Non rischiamo di morire come nel nostro passato, ma sarebbe da stupidi pensare che avremo una vita semplice, da adesso in poi.»
Ah ah. Vita semplice. Non me la ricordo così neppure da viva, figuriamoci adesso che sono uscita dalla tomba come uno zombie e mi attacco alla bottiglietta d’acqua come un vampiro al sangue. Ah. Vita semplice. Invece di scuotere la testa, bevo ancora. Eliza continua. Mi pare che le piace proprio avere un’ascoltatrice che non fa domande. «Io, Jamar e Warren siamo stati riportati in vita due giorni fa. Già il giorno dopo ci sembrava tutto più chiaro, quindi è normale che tu sia in confusione. Non avevo la minima idea di quali fossero i ricordi di Sura e quali di Eliza. Poi i tasselli si sono sistemati.»
Julia ha gli occhi neri puntati su di me ed Eliza. La vedo bisbigliare, poi la sua voce mi arriva come dall’altra parte della città. È molto, molto lontana. «Perlustrazione?»
Si vede che fa fatica nel riprendersi. Posso quasi sentire i tasselli del suo cervello sistemarsi piano piano, alla ricerca di un vero ordine. Eliza le lancia un’occhiata. «Già. Non abbiamo la certezza che Johannes, Malachite e l’Inquisitore sappiano che siamo morti.»
Che sia Amabel o Dalila, a sentire quei nomi sono molto incazzata. Eliza si alza in piedi, sedendosi poi sul tavolino. Gli occhi di tutti i neo risvegliati si concentrano su di lei. Anche Robert smette di biascicare la sua nenia, fissandola con degli occhi spenti quanto quelli di Philippe. «Allora, da dove iniziare? Beh, per prima cosa siamo morti a seguito di un incidente in auto. Siamo andati fuoristrada e finiti nell’Hudston. Morti annegati. Ci hanno tirato fuori dopo … non saprei. Comunque tutti morti. I nostri vizi hanno preso il controllo dei Medici Legali, quindi sul cartaceo ci hanno fatto l’autopsia, di fatto no. Non so i risultati, presumo che abbiano detto che i nostri organi avevano qualcosa che non andava, per evitare espianti.»
Oh, che divertente. Oltre ad avere una figlia morta, la mia famiglia ha dovuto sentirsi dire che il mio corpo faceva pure schifo. Deve essere stata una gran bella giornata. Eliza ha fatto un minuto di pausa, per farci metabolizzare tutte quelle notizie. Noi, morti, autopsia, possessione dei medici e corpi che non possono essere utilizzati. Ce ne vuole un po’ per digerire tutto. «Siamo stati seppelliti in due cimiteri, dall’altra parte della città. Voi quattro e noi tre. Per questo siamo stati divisi in due gruppi. Alla richiesta di Bel prima di morire, è stata data la priorità a noi. Forse sarebbe rimasta invariata la scelta, visto che riportare in vita Bel, Julia e Philippe, insieme, era come chiedere a Chase di morire.»
Philippe abbozza un sorriso. È il primo gesto del suo vecchio essere che fa. Nella mia mente sta sollevando due dita in segno di vittoria, perché l’invidia vede sempre i complimenti. Sempre. «Comunque, siamo stati riportati in vita, Chase era molto provato e i nostri vizi sono stati fondamentali per allontanarci dal cimitero. Siamo arrivati nel mio vecchio appartamento e ne abbiamo preso il possesso. Fortunatamente Johannes non sapeva i nostri nomi attuali, ed è anche una sfortuna. Anche se ha letto i necrologi, per lui sono morti sette ragazzi a seguito di un incidente. Warren e Chase stanno cercando di scoprire se i tizi che ci inseguivano hanno detto a Johannes che siamo morti. Se non l’hanno fatto … beh, probabilmente lo sapremo presto.»
   «Una bella notizia c’è.» Jamar compare nel campo visivo, reggendo in mano la moca e appoggiandola al sottopentola sulla tavola. Porta con sé l’odore stantio di nicotina. Si deve essere fatto la doccia, in un qualche momento in cui non ero pienamente in me, perché ha i capelli umidi e vestiti puliti. Probabilmente di Warren, visto che ci naviga dentro. «Almeno due degli stronzi sanno chi siamo. O almeno conoscono te e Julia.» Mi indica, e so a chi si riferisce. Malachite e Ridley. Entrambi mi conoscono, e in parte conoscono anche Julia. Quindi potrebbero fare due più due e intuire che l’incidente in auto dove sono morti sette ragazzi in realtà è stato il massacro degli esorcisti.
È esaltante sapere che l’unica bella notizia che abbiamo riguarda la nostra morte. Alzo un sopracciglio, ma è Robert che mormora. «Vaffanculo alla bella notizia.»
Jamar alza le spalle. «Sì, beh. Mica ho detto che la notizia era pure piacevole. Ora, belli addormentati, la notte sarà lunga e abbastanza penosa per voi. Abbiamo adibito la stanza da letto come … beh, stanza da letto per otto persone. Sette. Dubito che Chase si degnerà di stare con noi. In ogni modo, avete la priorità, e vi conviene usarla. Da domani ci litighiamo il letto.»
Io e Jamar dobbiamo discutere esattamente di quelle che devono essere le belle notizie. È chiaro che niente di quello che ha detto ha solleticato meno la mia felicità. All’opposto. Mi sento più arrabbiata che mai.
Con estrema lentezza Philippe si alza in piedi, Jamar gli infila un braccio sotto le spalle e lo aiuta a camminare. Li seguo, con le mani di Eliza così vicine al mio bacino che posso sentirne il calore. La pipì ha sbloccato qualcosa, perché indubbiamente adesso riesco a camminare. Sembro ubriaca, ma continuo a procedere per una linea ondeggiante tutta da sola. Mi butto per la lunghezza del letto, al fianco di Philippe che non ha neppure la forza di spostare la testa dal letto. Prima o poi morirà soffocato, nel tentativo di respirare il copriletto. Julia e Robert vengono accompagnati di peso. Il più giovane è messo in mezzo tra Philippe e Julia, come se temessero che durante la notte si movesse tanto da ruzzolare giù. Sono offesa, perché a me non è stata concessa la stessa premura. Sono già in bilico, al bordo del letto, gli occhi fissi sotto di me. Jamar si stende e mi fa la linguaccia. Sfortunatamente per lui, è sotto al mio centro di tiro e sputargli addosso mi costa davvero poco. Basta solo aprire la bocca e la forza di gravità fa il resto. E lo capisce. «Non ci provare neppure, sorellina. Sei ancora debole e non ti ho mai visto come una vera donna. Di conseguenza, nessun senso di colpa se ti picchio.»
   «Come vuoi tu, fratellino
Cerco di riversare tutti i sentimenti su quella parola, sapendo che lui odia essere chiamato così. Il suo volto si irrigidisce, girandosi su un fianco. «Dormi Bel. La notte sarà lunga.»
Chiudo gli occhi. Non so com’è morire. Ho ricordi contrastanti, che vanno dal nero assoluto al bianco. Niente luce che devo seguire, nessuna rivisitazione della mia esistenza. Non c’è stato neppure un’illuminazione, una spiegazione per tutto il male. Che ne so: perché le persone uccidono, perché Dio ha tanti nomi diversi, qual è la vera religione? Niente. Forse ai grandi quesiti dell’umanità, o meglio dire ai miei, non c’è spiegazione. Le persone uccidono perché hanno dei vizi che prendono il sopravvento in alcune situazioni. Noi esorcisti ne siamo l’esempio lampante. Dio ha tanti nomi diversi perché fa davvero schifo pensare che siamo buttati come carne da macello in questo mondo, senza una vera ragione. Quindi non importa come si chiami quell’Essere Superiore, se sia da solo, Trinità o un pantheon. Non importa. E sulla vera religione? Ha davvero importanza sapere se la mia è migliore della tua? Davvero? Allora la tua vita deve essere davvero molto triste se non hai di meglio da pensare.
Così, con gli occhi chiusi e i pensieri a briglia sciolta, inizio a sentire il russare dei miei compagni. Mi arriva un calcio nel sedere, che mi sposta ancora più in bilico sul letto. Emetto un gemito adirato, aprendo un poco gli occhi. È buio, e dalla finestra entra il leggero bagliore della luce del lampione. Jamar dorme scomposto, la maglia leggermente sollevata a mostrare la pancia, una mano appoggiata al ventre. Dalla bocca aperta emerge un rumore assordante. È lui, dannazione, che fa tutto il casino.
Vicino a lui una montagna di indumenti, che ronfa come se volesse batterlo in una gara. Warren è un ammasso di muscoli che, nel sonno, tenta di rannicchiarsi e sembrare un bambino. Stiamo scherzando? Il risultato è molto deludente.
Mi arriva un altro calcio, girandomi a fissare Philippe, profondamente addormentato, e il reo Robert, che deve fare un bell’incubo perché si muove come su il tapis roulant. Mi sollevo a sedere, spostando verso di me Philippe. Non si sveglia. È sorprendente, allora, che io sia così lucida da capire che devo allontanare i miei compagni dal centro tiro, prima che Robert colpisca qualcuno e gli faccia male.
Ho sistemato Philippe nella mia postazione, lo scavalco e spingo Julia verso la testiera del letto. Blocco un nuovo calcio di Robert con una mano, mettendo due cuscini per allontanarlo dagli altri. Benissimo. Ora non ho più un posto dove dormire.
Scivolo giù dal letto, scavalcando Eliza che dorme con la testa vicino a Jamar. Circumnavigo Warren ed esco dalla stanza. Solo uscendo, mi accorgo che lì l’aria era pesante: un miscuglio tra puzza di nicotina e di terra sepolcrale. Mi annuso i capelli e … beh, non profumo certo di rose.
Chase se ne sta seduto, con la schiena appoggiata allo stipite della porta. Stava leggendo grazie a una leggera luce, perché quando mi avvicino alza lo sguardo. «Ehi.»
Mi sorride. «Che ci fai sveglia?»
Arriccio il naso. «Robert mi dà i calci, Warren e Jamar fanno la gara a chi russa di più … e la stanza puzza di tomba e sigaretta.»
   «Capisco.» Appoggia i fogli al suo fianco. Mi accorgo solo in quel momento che ha la borsa che ho rubato al negromante quella fatidica notte in cui l’ho riportato in vita. E che adesso mi è un po’ più chiaro che diavolo ha fatto Dalila nel suo passato e cosa Amabel. È sconcertante sapere che non me ne frega poi tanto. Fino a qualche ora prima, mi sembrava dipendesse la mia vita.
Mi inumidisco le labbra, prendendo una di quelle dannate bottigliette d’acqua appoggiate al tavolo. Bevo qualche sorso. «Dalla perlustrazione avete scoperto qualcosa?»
   «Padre Samuel ha visto l’incidente. Johannes sembra credere proprio che siamo tutti morti.» Corruccio la fronte, la bottiglietta attaccata alle labbra. Chase alza una spalla. «Io e Warren siamo andati all’Ordine. Non ci ha visto nessuno e abbiamo ascoltato parte di una conversazione.»
   «Idioti. Se vi avessero visti?»
   «Prima o poi verranno a sapere che siamo ancora vivi. In ogni modo, nessuno ci ha visti. È una fortuna che abbiano ricreato il nostro vecchio edificio, perché lo conosciamo meglio delle nostre tasche. Sappiamo dove muoverci, in quali punti nasconderci e in quali attendere. Neppure Johannes conosce quel luogo come noi. Prima di riportarvi in vita ho scoperto un po’ di cose. O meglio, ho avuto la conferma su alcuni fatti.»
   «Cioè?»
Chase stende una gamba, appoggiando il braccio sul ginocchio di quella ancora sollevata. «Primo: effettivamente Johannes è il nostro vecchio mentore. Ho sentito una conversazione con Ridley, che è effettivamente la reincarnazione dell’Inquisitore, in cui diceva che non doveva andare così. Era convinto che avessimo veramente scoperto che lui è stato l’artefice della nostra precedente morte. Non ha usato tanti giri di parole.»
   «Johannes ci ha tradito.»
   «Ovviamente.»
Dovrebbe farmi sentire meglio ma, no. Per niente. In una parte del mio passato ho considerato quel uomo come un padre. Quando la mia famiglia è morta, nel momento in cui mi sono resa conto che non potevo appoggiarmi a Malachite perché era troppo malata e la sua mente non avrebbe retto, mi sono aggrappata all’Ordine. A ognuno dell’Ordine. Agli esorcisti e, sì, anche a Johannes. Okay, avevo pensato che fosse lui lo stronzo dietro a tutto, ma averne la certezza è un altro paio di maniche. Finito. Non saremmo più rientrati all’Ordine. Siamo senza famiglia, senza patria, senza una missione. Lo sento sospirare. «Ci sono stati dei discorsi, senza senso. Pare che Johannes sia convinto di poter insegnare anche al nuovo Ordine come esorcizzare gli spiriti. Al momento, questo non ha avuto gli effetti voluti. È un’amara consolazione. La parte più interessante dei pedinamenti è che abbiamo rotto il rituale dell’immortalità per quanto riguarda noi.»
In tutto quel discorso c’è un grande ma. Chase mi fissa, appoggiando la testa alla porta. Dovrebbe essere felice, perché abbiamo finalmente portato a termine quel compito. La sua espressione, però, è di rammarico. «Loro, però, possono ancora utilizzarlo. Di questo Johannes ne ha la certezza.»

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Capitolo 3
*** 3 ***


3
 
 
 
        Non ha senso. Come può Johannes usare il rituale dell’immortalità se gli manca la materia prima? Noi siamo morti. Un altro neurone si attiva, obbligandomi ad aprire la bocca. «Per questo sei convinto che credano nella nostra morte? Perché il rituale dell’immortalità si aggancia alle nostre anime?»
Chase si mordicchia il labbro inferiore, prima di continuare. «È la spiegazione più ovvia. Johannes cercherà di agganciare le nostre anime, dovunque esse siano, nel tentativo di ricreare il rituale. Noi siamo già morti, sarebbe assurdo pensare che ci reincarniamo di nuovo, non in così poco tempo. In più, non siamo morti nel rancore. Io, forse. Ma voi? Voi no. Il vostro è stato un incidente d’auto, quindi non avete avuto il tempo di essere arrabbiati con qualcuno.»
   «Siamo ancora in vantaggio. Loro non sanno che siamo vivi e le nostre anime non possono essere usate per il rituale.»
Alza una spalla. E quando lo fa so che le belle notizie non sono ancora finite. «Di questo non ne sono convinto. È chiaro che non siamo morti, ma definirci vivi? No. Siamo qualcosa di diverso, una specie di esorcisti misti negromanti.»
Sono punta nell’orgoglio. «Avevi detto che non eri un negromante!»
Ha un guizzo divertito, poi abbozza un sorriso. Arrossisco. Dannazione. Mi ha fatto quella confessione dopo che ci siamo baciati furiosamente. Sì, direi che la mia mente si sta sistemando alla grande. «Uso la parola negromante in mancanza di altro. I negromanti, Bel, si nutrono di anime. Noi, all’opposto, mangiamo e beviamo ancora. In comune con loro abbiamo solo il fatto che … beh, siamo morti. Per il resto siamo gli stessi esorcisti di un tempo. Solo più forti. Ho la certezza che saremo in grado di fare esorcismi con più ardore e stancandoci di meno rispetto al passato. Però abbiamo un’anima. Non so se il rituale di Johannes può agganciare o meno le nostre, ma non possiamo permetterglielo.»
Se è così urgente fermarlo, perché non siamo là fuori a fargli il culo? Mi sembra chiaro. Chase scuote la testa, interpretando correttamente le mie emozioni. «Abbiamo ancora molto tempo. Johannes non era preparato all’eventualità che morissimo e deve studiare meglio la questione. Ha ancora tempo, perché noi siamo morti da poco. Ha libri da leggere, appunti da consultare. Al momento possiamo fare sogni tranquilli. Non proverà a fare il rituale nell’immediata settimana. Non dobbiamo poltrire, ma abbiamo del tempo.»
   «Mm.» Dopo che mi è stata strappata la vita, sentire che mi potrà essere tolta anche l’anima non mi fa fare salti di gioia. Quella dovrebbe essere qualcosa di strettamente privato. Dovrebbe esserci un cartellino con su scritto “mia”, con tanto di divieto di accesso in proprietà privata. Chase prende i fogli, alzando le sopracciglia. «Ora vai a dormire.»
Mi avvicino a lui, appoggiando la bottiglietta per terra e sfilandogli i fogli dalle mani. Sono scritti in un latino un po’ moderno, con dei termini che assomigliano più al tedesco che alla mia vecchia lingua. Mi infilo tra le sue gambe, rannicchiandomi contro il suo petto. Gli stringo la maglietta, appoggiando la schiena alla gamba sollevata. Mi accarezza una gamba, mentre guardo le scritte sul foglio. Mah. Questo spiegherebbe perché le stava leggendo con tanta attenzione: non ci capisco niente. Leggo le parole, conosco il significato, ma quando si collegano a quelle dopo perdono il senso. Mi sembra di leggere una ricetta di cucina, dove gli ingredienti sono un’anima, due cadaveri e un cervello di gallina. Aspetta. Visto che sono gli appunti di un negromante, penso proprio che sia una ricetta di cucina! Arriccio il naso. «Non mangerò nulla che contenga queste schifezze.»
La mano di Chase mi massaggia la schiena, in un gesto che può essere interpretato in qualcosa di dannatamente eccitante. Di sicuro, qualunque cosa ci abbiano fatto in quel tribunale di anime e che riguardi il tempo, non ha avuto effetto sulle nostre funzioni fisiologiche. Il mio corpo sta rispondendo fin troppo bene. Chiudo gli occhi, i fogli mi scivolano dalle mani in una pioggia di carta. «Chase non … non farlo.»
   «Fare cosa?» Il suo bisbiglio sono fusa di un gatto dispettoso, che non sa di essere tentatore con quei suoi occhietti innocenti. Non lo sa, o non gli interessa.
Emetto un piccolo gemito. «Questo. Non … non lo fare. Mi mandi in pappa il cervello.»
   «È la cosa più carina che mi hai detto da quel giorno.» Apro gli occhi, cercando di combattere contro la morsa del desiderio. I suoi occhi sono ardenti di una passione che eguaglia la mia. Non ho dubbi sul fatto che, non so come, mi trovi appetibile. Così, senza seno, esorcista per metà mutilata, i capelli impastati e la puzza di morte ancora in corpo. «Quando mi hai detto che hai scelto me, come uomo da avere al tuo fianco.»
Sono felice di non essere l’unica che si aggancia ai ricordi di Dalila per uscire da questo schifo. E sono stanca di aspettarlo. Mi logora vederlo giocare con la mia mente, con il mio cuore, apparentemente disinteressandosi.
Gli prendo il volto tra le mie mani, cercando di imprimere ogni dettaglio, dal colore erboso dei suoi occhi, al suo piccolo naso leggermente all’insù, al ciuffo biondo che gli nasconde parte della fronte. «Ti amo. Amo il dittatore Titus e lo psicopatico Chase.»
Sbuffa, avvicinando la mandibola alla mia guancia. È un semplice strusciare, neppure della sua pelle visto che gli tengo ancora il volto tra le mani, ma sa di qualcosa di violato. «E così? Come sta il tuo cervello?»
Completamente spappolato nella calotta cranica. Quello che non ha fatto l’incidente lo sta facendo lui. E dannatamente bene. Con una mano si libera della mia presa, stringendomi appena i polsi. Si allontana di qualche centimetro, così da sentire sul collo il suo fiato caldo. «Mentre ti tenevo tra le braccia, oggi, pensavo che non mi importa nulla. Della missione. Di quella dannata promessa di stare insieme quando tutto sarà finito.»
Se vuole che lo ascolti, porcamerda, deve smetterla di toccare la schiena e allontanarsi minimo di un metro da me. Così vicino non so se mi sta dando belle notizie o un’altra delle sue bastonate. Mi sfiora con le labbra il collo, in un leggero bacio. Mi libero dalla sua presa leggera, ricambiando. Non so cosa volesse dirmi. Di certo può aspettare.
 
                                                             † † †
 
      Mi arriva una sberla sulla fronte. Arriccio il naso. «Julia, vattene.»
Okay. Julia mi ha colpito e Chase è troppo vicino a me. Sento il suo cuore battere vicino al mio orecchio. Apro gli occhi, certa di aver saltato quattro scalini. La mia amica alza gli occhi al cielo. «Scusa. Immaginavo che non voleste essere trovati dagli altri avvinghiati tra di voi.»
Per una appena svegliata, mi alzo fin troppo velocemente. E per una riportata in vita da poco, sono pure molto attiva. Chase alza le mani, in segno di resa. Gli ho dormito praticamente addosso, usando il suo stesso corpo come cuscino e coperta. Di certo non ho cercato l’amicizia della porta.
Ci siamo solo baciati, anche perché fare altro con sei persone in casa non ci è parso una cosa molto logica. Di conseguenza, ho l’espressione innocente. Aiuterebbe non pensare al livello di passione di ogni bacio. Tutto sommato, sono felice che sia stata Julia a trovarci. Si stiracchia le braccia, sbadigliando. «Ottimo. Se vi può interessare, io sto alla grande e nessuno ha tentato di annegarmi questa notte.»
D’istinto mi guardo le gambe. Le ferite sembrano essere ferme da giorni. Un principio di cicatrizzazione si sta formando sui polpacci. Lo vedo appena dalle calze nere. Parlerei un po’ con mamma, se fosse possibile. Come ha potuto vestirmi come una bambolina dark? Se in vita mi mettevo di rado le gonne, un motivo deve esserci stato. Beh. La settimana è stata stressante per tutti.
Chase si alza in piedi, borbottando. Ho il sospetto di avergli fermato la circolazione di una gamba con il mio peso. Sospetto più che fondato, visto che abbozza un sorriso molto tirato.
Warren emerge dalla stanza con un ruggito di risveglio, sistemandosi le parti basse. Ho visto più adesso di Warren di quanto mi sarei augurata in tutta la mia vita. Jamar tiene tra le dita una sigaretta ancora spenta, con tutta l’intenzione di accendersela. Si siede nel piccolo tavolino, stropicciandosi gli occhi con la mano libera.
Vedere Robert, adesso, mi rende felice. È chiaro che rimane il più piccolo di noi, ma c’è un qualcosa di Oppius. Quasi me lo aspetto che ci rompa le scatole, parlandoci della Bibbia. Quasi. Credo di essere incline alle sue ciance quanto nel passato.
Eliza ci conta mentalmente. «Caffè.»
Come se avessimo possibilità di scelta. Chase borbotta che va a prendere delle brioches. Credo che anche il nostro capo si sia dato ai furti perché, a meno che non abbia preso la grana da Warren e da Eliza, in ogni caso loro la recuperano in maniera non lecita, noi non abbiamo contanti. È un dato di fatto. Niente cellulare, niente soldi. Siamo dei moderni disprezzatori delle virtù di questo mondo. Il tempo di uscire da quella casa e recupero entrambi. Anche quella è una certezza.
Mi siedo vicino a Jamar, mentre Warren apre il frigo e scrutando il suo interno. Non tocco niente. Primo, siamo morti da una settimana e, a meno che il latte non sia quello a lunga conservazione, sarà tutto andato a male. Due, non meno importante: qualunque cosa ci sia lì dentro, devo combattere con Warren, Philippe e Jamar per averla. Se con Philippe posso usare i miei occhioni dolci e con Warren il fatto che sono un suo superiore, ho proprio il sospetto che le botte già promesse da Jamar si farebbero sentire. Non tocco il cibo.
Philippe si arruffa i capelli, aiutando Eliza con il caffè. Gentilmente le ha tirato giù le tazzine. Molto più di quello che stiamo facendo noi.
   «Allora …» Mi giro, convinta che Jamar abbia un piano serio da mostrarci. Una qualche illuminazione mattutina, una grande verità ancora preclusa. «… cosa avete intenzione di fare prima che ci ammazzano di nuovo? Io come ultimo desiderio ho quello di fumare come un turco. Alla faccia di quegli stronzi.»
Robert scuote la testa. «Ero davvero convinto che potessi dire qualcosa di serio.»
Jamar si limita alzare le spalle, accendendosi la sigaretta. Se non fosse così dannatamente serio, mi sembrerebbe di essere immersa in un brutto film degli anni ’20. Uno di quelli che ti aspetti il morto e gli intrighi dietro l’angolo e, a ogni scena, il tuo “no, non può essere così banale” viene puntualmente smentito. «Ehi, io combatto lo stress in questo modo.»
Julia si siede sul divano, con uno sbuffo. La televisione si accende quasi in contemporanea. Non so come ci riesca a staccarsi così dal mondo. Ho smesso di ripetere il mio nome e il fatto che sono morta, ma lungi da me essere pienamente cosciente di quello che sta succedendo tutto intorno. Eliza alza un sopracciglio, guardando la televisione e poi me. Alzo una spalla. Non ho intenzione di provare ira che non mi appartiene alla mattina. Per quello che mi riguarda, Julia sta bene dov’è.
Philippe appoggia sul tavolo una birra. Alle otto di mattina. Ammicca nella mia direzione. «Ho intenzione di bere fino a star male. Oh, giusto. Non posso star male, no?»
Robert distoglie lo sguardo con uno sbuffo. Okay. Qualcuno la sta prendendo fin troppo bene, altri sono sulla buona strada.
   «Dobbiamo mettere in chiaro qualche dettaglio.» Eliza controlla con una smorfia la moca, incrociando le braccia. Il fatto che fissa me mi fa sospettare che creda io abbia delle risposte. Non è mai stata così in alto mare. «Cosa siamo, che dobbiamo fare, come ci dobbiamo muovere d’ora in avanti.»
   «Aiuterebbe anche il farla pagare a Johannes, ad essere sinceri.» Sbocca Warren con un grugnito.
Sospiro. Beh, cosa siamo credo esorcisti. Per quanto mi duole ammetterlo, credo che la morte non abbia né complicato né tanto meno semplificato le cose da quel punto di vista. L’essere o meno morti non toglie il fatto che siamo esorcisti. Per quanto riguarda cosa fare, anche lì non abbiamo molti dubbi. È inevitabile che continuiamo a svolgere la nostra missione. Di conseguenza, appena le nostre condizioni sono anche solo vicine all’ottimale, dobbiamo ritornare a pattugliare la città e a esorcizzare gli spiriti. Su come dobbiamo muoverci, ecco, credo che ci siano problemi. Non dobbiamo dimenticare Johannes, quindi non possiamo andare in giro con il nostro vecchio aspetto. Per quanto alcuni di noi conoscano Ridley e Susan – Malachite, la voce sul fatto che siamo ancora vivi potrebbe arrivare a Johannes. E siamo sinceri: non sappiamo ancora di chi possiamo fidarci.
Mi appoggio meglio alla sedia, alzando una spalla. «Conviene aspettare Chase.»
Qualcuno sbuffa. Ho un mezzo sospetto che sia Jamar. «Aspettare Chase. Già. Non sia mai che la situazione si complichi più del normale.»
   «Essere ironici non cambia la questione.» Pigola piano Robert.
   «Non è ironia, fratellino. Sono solo sincero. Chase ci potrebbe mentire come niente. E l’unica persona che può dirci se dice o meno la verità è proprio davanti a noi.» Jamar mi indica con un dito, a metà tra il disprezzo e il biasimo. «Dì la verità: se Chase ci mentisse tu staresti con lui, no?»
Ovviamente sì, ma Jamar non sembra aver bisogno di una mia conferma. Ci sono troppe questioni da analizzare, troppi punti da vagliare e non possiamo permettere che la rabbia di Julia o l’impulsività di Jamar intralcino i piani più alti. Quali che siano, non possiamo permetterlo.
Philippe sghignazza. «Non devi neppure chiederlo. È ovvio che Bel spalleggi ogni azione di Chase. Sono convinto che è chiaro quale sarà il suo ultimo desiderio, eh, sorellina?» Non mi piace come mi guarda, arrabbiato e contrariato. Ce l’ha perché, anche con Chase morto, io non mi sono buttata tra le sue braccia. Però …. Sghignazza. «È la volta buona che scopate.»
   «Sta zitto.»
Lo dico con tono basso, un semplice mormorio, però ottengo la risposta repentina di Philippe. «Stare zitto? Dalila, siamo morti! Questa è la seconda volta che moriamo e tu mi dici solo di stare zitto?»
Warren gli appoggia una mano sulla spalla, ma Philippe si alza in piedi e lo allontana con una spinta. «No, credo che sia il momento giusto. Siamo morti, Dalila. Due volte. Cerchiamo di ignorare la vera questione, ma in entrambe le volte siamo morti per causa tua.»
Sono ancora seduta, le mani strette a pugno. Fisso Philippe, e so che il suo rancore è profondo. Sono pronta ad accettarne le conseguenze. È per questo che ho preso io in mano il volante della macchina. Odiarmi è più facile del disprezzo che possono provare verso tutti gli altri. Odiarmi, siamo sinceri, deve essere dannatamente facile. «Non commenti? Nel passato è stata TUA sorella a venderci, TUA sorella che ha rivelato la nostra identità. E ora, ora è stato il TUO detective che si è rivelato essere l’Inquisitore. Sono convinto che avremmo avuto settimane, forse anche mesi prima di morire se TU non avessi pungolato troppo Johannes.»
Robert alza una mano, cercando di interrompere i nostri sguardi di odio. «No, Philippe. Non è stata Bel …»
   «Non intrometterti, Oppius.» Ringhio piano. Robert mi guarda velocemente, prima di annuire come avrebbe fatto il suo io passato. «È inutile tenere tutto per sé. Sfogati.»
   «La prendi con tanta leggerezza. Credi che tutto sia bianco o nero? Che solo perché siamo morti, di nuovo, noi possiamo tornare a essere quelli di un tempo? Davvero la pensi così?»
   «Ragazzi.»
Sento appena la voce di Julia in quel baccano. Io stessa non faccio altro che alzare la voce. «Puoi dire quello che vuoi, ma noi siamo esorcisti. La nostra missione …»
   «La nostra missione è andata a puttane già nel passato. Se non avessimo ascoltato prima Chase, poi te, probabilmente adesso saremmo ancora vivi!»
Scuoto la testa. «Johannes aveva bisogno delle nostre vite. Questa è una certezza.»
   «Tu lo hai risvegliato!»
   «Non avrei mai potuto, perché io stessa sono stata risvegliata! È uno schifo, non lo nego, ma non sono stata io a risvegliarvi. E non mi permetterei mai di accusarvi! Con o senza memoria, non ho mai considerato semplice il mio passato come Dalila.»
   «RAGAZZI!»
Fissiamo Julia. Non ci sta guardando, il che mi fa sorgere qualche sospetto. È in piedi, le spalle stranamente rigide, la sua attenzione rivolta verso la televisione che trasmette una qualche notizia con l’audio spento. La mia pelle risponde a un qualcosa che non riesco a definire. Come una carezza che mi dà dei brividi. Mi alzo in piedi e mi dirigo verso il divano. C’è qualcosa che non va.
Deve essere successo qualcosa, perché la giornalista ha l’aria estremamente seria. Non riesco a leggere il labiale, perché la mia attenzione è attratta dal titolo che hanno deciso di dare al servizio.
È il motivo per cui Dalila e gli altri sono morti nel passato. Trovarselo dopo seicento anni alla televisione fa il suo bel effetto.
Gli esorcisti sono tra noi.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
 
 
       Vorrei prendere il telecomando a Julia, per sentire quello che stanno dicendo, ma so che muovermi significherebbe rendere concreto quel monito. Non sono poi tanto certa di volerlo. È probabilmente per questo che Julia non ha alzato l’audio. Se per distrazione cambiasse canale, saremmo in alto mare. E poi, voglio davvero avere conferme sulla notizia? Non sono in cerca solo di smentite?
La scritta continua a scorrere da destra a sinistra dello schermo, come una continua beffa nei nostri confronti. Siamo morti perché accusati di stregoneria, perché immischiati nel mondo degli spiriti e ora, come niente fosse, questo nuovo secolo fa servizi sugli esorcisti. Esorcisti che sono, non dimentichiamo, morti di nuovo.
Philippe è al mio fianco, rigido. Gli esorcisti sono tra noi. Gli esorcisti sono tra noi.
La giornalista passa la linea a un suo collega, che regge in mano il microfono e lo porge a qualcuno che, dalla scritta in sovraimpressione, è Marco Watson. Ha un sorriso mellifluo, falso e, anche se non posso percepire la menzogna dalle apparecchiature, so che non sta dicendo la verità. La parte superiore del busto mostra il classico completo da prete, ma ignoravo che avesse preso i voti. Stringo una mano a pugno. Johannes. Come niente fosse si ripresenta alla televisione, mostrando un Ordine che non esiste più. Ho un mezzo sospetto che tutti gli uomini che erano al nostro ultimo incontro, dall’uomo grasso a Padre Samuel, tutti sono implicati nelle nostre morti. E se non lo sono, peggio per loro. Non mi fiderò di nessuno che ha a che fare con Johannes.
La moca ha iniziato a borbottare, ma nessuno le dà retta. Tuttavia, senza audio non c’è modo di sapere di cosa parlano e presto, troppo per poter fare qualcosa, il servizio cambia. L’attenzione ritorna sulla giornalista, compaiono delle notizie di politica attuale. Julia ha il fiato corto; a me manca proprio.
   «Gli esorcisti …» Warren non è l’unico a cui mancano le parole. Gli esorcisti sono tra noi. È un po’ come essere considerati degli alieni. Anzi. Sono certa che ognuno, in cuor suo, ha sempre creduto all’esistenza degli extraterrestri. Un po’ più dubbioso è sull’esistenza degli spiriti. Sorpresa! Ci siamo anche noi.
Quello che mi preoccupa è altro. Chase, e pure io, abbiamo sempre evitato di farci troppa pubblicità. Nel Medioevo vedere gli spiriti era indice di stregoneria, in questo secolo di pazzia. La nostra esistenza è sempre stata segreta. E se non lo avessimo fatto? Se tutto il mondo avesse saputo di noi, sarebbe cambiato qualcosa? Johannes avrebbe attentato alla nostra vita, Lubris sarebbe diventata una Città degli Spiriti, noi saremmo ancora vivi? Abbiamo fatto un altro errore di calcolo? Il mondo sembra girare benissimo anche con gli spiriti, non si sono alzate mote di protesta, non hanno ripreso delle persone che si ribellano, non ci sono stati attentati. Siamo solo noi a preoccuparci di quello che siamo?
Sento lo sguardo di Philippe appoggiarsi su di me, ma non sono pronta per un altro scontro. Non ancora. Se vuole riversare il suo rancore su di me, mi sta bene. Deve solo darmi il tempo di lavarmi da tutta questa merda. Sospiro. «Eliza, il caffè.»
Sento dei passi frettolosi e poi finalmente silenzio. Mi dirigo verso il bagno. Come mi aspettavo, Philippe mi attacca. «Ehi, dove vai?»
   «Puzzo di morte e di terra tombale. Dopo sono più che disposta a diventare il tuo punching ball. Ho solo bisogno di lavarmi.»
   «Ho messo dei vestiti per voi nella mensola.»
   «Grazie, Eliza.»
Entro in bagno e, dopo una manciata di secondi, la porta si riapre per far entrare Julia. È pallida ma, almeno lei, non sembra che voglia incolparmi della sua morte. Mi sfilo gli abiti. Vorrei che mamma non mi avesse vestito in quel modo. L’ultima immagine che ha di me è una specie di bambolina dark, vestita per l’altro mondo. Camicetta bianca, gonna e calze nere. Ho la sola speranza che non le abbiano permesso di vedermi prima della funzione, con ogni ferita nascosta. Mi aggrappo a quello.
Julia si siede sul bidè, sfilandosi i calzini. Alle gambe ha la pelle come macerata. E l’ho costretta a morire di nuovo annegata. Bella amica, che sono. Mi infilo in doccia, graffiando con rabbia la pelle. Strappo qualche ciocca di capelli che, lo spero, sono ultimi residui del mio passato da morta. La mia vanità si rifiuta di accettare il fatto che potrei diventare calva. Cerco di cancellare l’odore che ho sotto il naso, ma sembra essersi annidato dentro di me. Mi dà ribrezzo.
   «Devi cercare di capire Philippe.» Stranamente è calma, o per lo meno dal suo tono non sembra trasparire nulla della sua rabbia. «Ha bisogno di sfogare la sua rabbia su qualcuno.»
   «Non ce l’ho con Philippe.» Non so neppure io se è vero o falso quello che dico.
Julia sbuffa. «No, credo di no. Tu, però, non hai mai capito veramente la nostra situazione. Vedi, tu e Chase … o tu e Titus, come preferite, siete sempre stati un qualcosa di più. Eravate una specie di gruppo a sé stante, sempre a confabulare e a nasconderci qualcosa. Lo sapevamo che ci volevate proteggere, ma a lungo andare ci demoralizzava. Anche adesso. Hai riportato in vita Chase da sola. Avremmo voluto esserti di aiuto.»
   «Non volevo darvi false speranze. E se andava male …» C’è altro: sembra sapere che noi due mentiamo ancora al resto del gruppo. È una verità che non possiamo ignorare: io e Chase siamo un gruppo a parte. Per le missioni non andavamo a cercare il sostegno degli altri. Se andava bene a uno di noi, per forza l’Ordine si doveva adeguare.
   «Siamo consapevoli dei rischi che hai corso. Philippe non pensa a quello che dice. Beh, forse Daulus sì, ma il Philippe che ho avuto modo di conoscere in questo secolo è più comprensivo.»
Mi appoggio al muro. Il contatto con la ceramica mi trasmette un brivido di freddo, in contrasto al caldo dell’acqua. Lei continua. «Lo sapevi? Lui è sempre stato innamorato di te. E anche lontano un miglio si vedeva che tu lo eri di Titus. Si ritrova di nuovo secondo in una guerra che non ha mai avuto la possibilità di combattere, tu sei di nuovo innamorata di Chase, con la sola differenza che lui ricambia. Ha bisogno di odiarti.»
   «Ne sono consapevole. Per questo non posso avercela con Philippe.»
   «C’è dell’altro.» Ancora? Come se non ci fosse altro casino. Chiudo l’acqua, prendendo l’asciugamano e avvolgendomi. Julia è ancora seduta nel bidè, gli occhi socchiusi. Il nero dei suoi capelli è un contrasto atroce con i muri grigiognoli del bagno. «Lui ci ha cresciuto. Johannes ci ha cresciuto. Ci ha insegnato tutto quello che sappiamo, ci ha dato la speranza di poter far parte di qualcosa. Te lo ricordi come era stare nei nostri villaggi, no? Non essere come loro, e non poter abbracciare appieno il regno dei morti. Lui era il nostro ponte, il nostro padre quando le nostre famiglie o sono morte o ci hanno ripudiato. Lui era questo. Siamo stati traditi da lui. Ci ha venduti, ci ha uccisi e ci ha usati. Questo non gli è bastato, perché se non fosse colpa tua, o di Chase, lui ci ha riportati in vita per sacrificarci di nuovo. È meglio per tutti credere che siete stati voi, perché ci volevate al vostro fianco, piuttosto che sia stato lui. Questo lo capisci?»
   «No. Voi vi sentireste meglio, ma io e Chase ne saremmo distrutti. Se fosse colpa nostra il vostro risveglio, vi avremmo ucciso di nuovo solo per egoismo. Siamo viziosi, ma non stronzi.»
Julia mi fissa, i suoi occhi alla ricerca di un mio qualche segno di debolezza. Abbozza un sorriso. Vedo che il suo sguardo scende verso le gambe, dove l’ustione sembra essersi arrestata. «Voi riuscireste a sopportare il suo odio.»
   «Sopporti l’odio di Damide per non avergli detto di vostra figlia?» Ho colpito nel segno. Julia si irrigidisce e compare qualcosa negli occhi, qualcosa che potrei circoscriverlo con rabbia mista a odio. «Sto convivendo con abbastanza odio, Lartia, da non aver bisogno di colpe che non mi appartengono.»
   «Bene.» Dal modo in cui si alza, rigida, so che per oggi ho attivato altro rancore al mio mulino. «Volevo solo ricordarti che siamo umani.»
Apre la porta e se la richiude alle spalle, con più rumore di quello che sarebbe necessario. Lo so. Siamo umani. È per questo che possiamo ferirci tanto facilmente.

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Capitolo 5
*** 5 ***


5
 
 
 
       Indosso una maglia grande, troppo, di Eliza. Ho arrotolato le maniche e ancora mi escono solo la punta delle dita. Ha un profumo troppo forte, non so se incolpare l’ammorbidente o la troppa femminilità della mia amica. I pantaloni, invece, mi sono troppo lunghi e li ho tirati su così da vedere le scarpe eleganti che ancora indosso dal mio funerale. Per quanto mi rincresce, ho dovuto infilarmi la biancheria ancora umida, dopo averla lavata frettolosamente. Per quanto voglia bene ai miei compagni, non sono ancora arrivata al punto da abbandonare la mia intimità per infilarmi addosso qualcosa di così personale.
Chase non è ancora tornato, uscire allo scoperto di giorno mi sembra già abbastanza rischioso. Il solo fatto che non è ancora rincasato mi mette in subbuglio. Se gli fosse successo qualcosa? Se Johannes lo avesse visto? E Ridley? Conoscono i nostri veri volti.
Mi limito a stare appollaiata nella terrazza dell’edificio, gli occhi che percorrono il piccolo cortile. So che nessuno mi disturberà. La terrazza pullula di sigarette e siringhe buttate in posizioni strategiche, se non fosse che è dalla comparsa del servizio televisivo che sono lì. Senza guardare il muretto so che, dalla mia prospettiva, le gomme da masticare hanno uno strano aspetto fallico. O è voluto, o sono così congelata che ho i neuroni paralizzati.
Di quello che vedo della città, edifici fatiscenti e poche persone in giro, la vita non sembra cambiata. Non vedo neppure gli spiriti, ma questo non significa per forza che siamo tornati alla normalità. Lo vedo piuttosto come la calma prima della tempesta.
Evito Philippe. Dopo essere uscita dal bagno, ho colto un momento di calma e ho detto a Warren dove andavo. Ha annuito e so che, a meno che non occorre la mia presenza, io sono al sicuro. Con Maximus ho sempre avuto un rapporto privilegiato: svolgevamo missioni insieme, ma non per questo siamo amici. Sappiamo solo quando è il momento di mostrare l’affetto per gli altri. L’attacco di Philippe ha riattivato, da qualche parte, questo legame.
Mi rizzo in piedi, vedendo Chase con un sacchetto su una mano, l’altra in tasca. È tranquillo, anche se si muove a metà tra Chase e Titus. Ha una camminata quasi impersonale, un passo ampio e silenzioso. Anche dall’alto vedo che non appoggia mai lo sguardo sulle persone e gli oggetti per più di una manciata di secondi. Non ti puoi ricordare il volto di chi appena ti sfiora.
Rientro nell’edificio. Le scosse di gelo si irradiano in tutto il corpo, a ogni passo. Scendo le scale, le gambe che quasi non mi reggono. «Dove sei stato?»
Chase alza lo sguardo, immobilizzandosi sul primo scalino. «A prendere le brioches. Ve l’ho …»
Salto gli ultimi scalini, fiondandomi contro di lui. Lo sento indietreggiare di un passo, mentre gli stringo il collo e gli affondo la testa al petto. «Ci hai messo troppo.»
La sua mano mi accarezza la schiena, il sacchetto un bel impiccio tra di noi. Ogni volta che lui se ne va non mi accorgo di quanto sono dipendente dalla sua esistenza … e ogni volta che ritorna tendo a dimenticarlo. Anche così, stringendolo tra le mie braccia per paura che si allontani di nuovo, anche così ho l’errata certezza di poter vivere senza di lui. Mi alita sul collo. «Ho sentito una notizia al telegiornale. Sanno degli esorcisti.»
Mi sollevo in punta di piedi, appoggiando le labbra alle sue. Ho gli occhi chiusi, il corpo preso da tremori di freddo e brividi che lui stesso mi dà in un solletico continuo, che mi lascia inerme, con le labbra strette nella speranza che lui non si allontani. Di cosa ho paura? Di troppe cose. Ho paura di essere in parte colpevole. Ho paura che le accuse di Philippe non siano del tutto infondate e non ho il coraggio di indagare su quali siano vere e quali no. Ho paura di aver condannato la mia famiglia non meno di quanto l’ho condannata nel passato. Ho paura di non riuscire a far nulla, che l’unica salvezza mi si presenti drastica, che mi venga detto che l’unico modo per salvare tutti è di nuovo la nostra fine. E ho paura dei miei sentimenti, così forti che non sono in grado di contenerli, così distruttivi che dirlo a voce significa farmi solo male.
Non so cosa pensa Chase, ma sento il sacchetto comprimere il mio fianco, mentre la mano indugia sulla schiena in mosse circolari che mi fanno emettere un gemito tra le labbra. Si allontana di poco, abbozzando un sorriso. «Sono felice di esserti mancato.»
Arretro di un passo, salendo di uno scalino. Mi passo le mani sulle cosce, nell’apparente tentativo di riscaldarmi, ma nell’effettivo modo di non riprendere quello che ho interrotto. Faccio due veloci respiri con il naso, una sorta di sbuffetti, annuendo a me stessa. «Sì. Abbiamo solo letto il titolo del servizio.»
Non gli dico dell’astio che può trovare entrando nell’appartamento. Lo precedo, sentendo una sua mano vicino al fianco. È uno dei pochi che continua a vedermi come una ragazza, in grado di ferirmi. Nessuno degli altri ha mai avuto il benché minimo sentore che, da qualche parte, nascondessi un carattere che ha bisogno di cure.
Tossisco, per cancellare il rossore d’imbarazzo. «Scusa per l’assalto.»
   «Non mi sono lamentato.»
Abbozzo un sorriso, nascondendo quella piccola scintilla di gioia che mi ha dato la sua affermazione. Tendo a dimenticare anch’io che sono una donna. Magari in miniatura, ma tutti i sentimenti che ho dentro sono completi. Ho sedici anni, è vero, e ho due vite alle spalle. Qualcosa deve pur valere.
Apro la porta, facendo un passo verso quell’apparente tepore. Jamar è seduto sul divano. Si rigira la sigaretta tra le dita con movimenti nervosi. Robert è steso vicino a lui, gli occhi semichiusi come se desiderasse dormire ancora. Indossano entrambi abiti troppo grandi per loro, e è palese che sono quelli di Warren. La loro magrezza è ancora più accentuata. Philippe ha distolto lo sguardo dalla finestra, gli occhi nocciola si appoggiano sulla mia persona con astio. Potrebbe essere solo una mia impressione. Visto l’attacco di prima, ne dubito fortemente.
Eliza e Warren sono seduti sul tavolino, con dei cellulari tra loro. A una prima occhiata, direi che in un qualche momento, prima del risveglio di tutti noi, c’è stato un furto di massa di telefoni. La ragazza si immobilizza con una pinzetta sulla batteria, in attesa di essere ripresa. Come già detto, sono certa che quando sono state consegnate le virtù noi esorcisti eravamo impegnati a rubare qualcosa in giro. Siamo viziosi fino alla punta dei capelli e Chase li ignora. Passa il sacchetto a Julia, seduta per terra, facendole cenno di distribuire le brioches.
Prendo posto vicino al fornello. È strano che Chase non senti come l’aria sia pesante. Philippe sbuffa. «Sei andato a fabbricarle, quelle dannate brioches?»
Warren corruccia la fronte, alzando lo sguardo e guardando davanti a sé, alla ricerca di un mio intervento. O di un qualche ordine. Socchiudo gli occhi e accenno a un “no” con la testa. Il telefonino che ha in mano va a finire con altri tre, cui è stata inserita una muova scheda Sim. Chase si appoggia alla porta, arricciando le labbra in un modo vistosamente contrariato. «Come?»
   «Niente.» Borbotta Philippe, tornando a fissare il paesaggio alla finestra. È uno dei molti motivi per cui tra me e Philippe non ci potrà mai essere nulla. Siamo entrambi subdoli. Lo so, non è un qualcosa di cui andare fieri, ma se già tu nascondi la verità sotto strati e strati di menzogne, non vai di certo a cercare chi non affronta i problemi. Philippe è in grado di discutere solo con persone che reputa, in quel momento, deboli. All’accusa di averli uccisi non posso controbattere, i sensi di colpa mi assalgono. Io, in questo momento, sono debole.
Robert si è seduto, i piedi sotto al sedere, una mano di Jamar è sollevata per impedirgli di dire qualcosa. Di nuovo, Chase ignora tutto il rancore che circola.
Julia passa le brioches ai ragazzi sul divano, poi l’intero sacchetto a Warren. Quando parla, la sua voce è più cauta di quanto ci si aspetta dall’esorcista dell’ira. «C’è stato un servizio, al telegiornale.»
   «È per quello che ci ho messo molto a tornare.» Replica di netto Chase, continuando a fissare le spalle di Philippe. «Le reazioni degli umani sono al momento molto discordanti. Chi pensa che sia una trovata pubblicitaria, chi è convinto che le vicende accadute negli ultimi mesi sarebbero spiegate con questa nuova verità.»
Non so cosa è accaduto ultimamente, se non che un sacco di persone hanno iniziato a vedere gli spiriti. Probabilmente il nostro stesso risveglio non è passato inosservato. Quando ho riportato in vita Chase, ci sono stati molti eventi inspiegabili: vento, crepe sul terreno. Sì, in effetti credere che il terreno si è spaccato per far emergere degli zombie sarebbe una conclusione più che logica.
   «Quindi? Che si fa?» Jamar gira appena la testa per incontrare lo sguardo del nostro capo.
   «Nella zona ovest stanno parlando di eventi strani. Suppongo che ci sia l’implicazione di qualche spirito di livello superiore. Per il momento, la missione ha la priorità.»
Mi irrigidisco. Le accuse di Philippe mi si sono stampate a chiare lettere nella testa. “La nostra missione è andata a puttane già nel passato”. Cerco lo sguardo di Philippe, ma lui sta fissando ancora il vetro. Ne vedo il riflesso e non sembra attratto dal paesaggio almeno quanto Eliza dal cellulare che regge in mano. Tutti sono immobili, in attesa della grande battaglia. È Robert il primo a parlare. «La missione.»
   «C’è un qualche motivo per non svolgere la missione?»
Qualcuno scuote la testa in segno di diniego. «Dobbiamo tenere d’occhio Johannes. Scoprire se sta complottando qualcosa.»
Non so perché lo dico, forse per distogliere l’attenzione dalla missione, forse per far vedere agli altri che non ne sono ossessionata. Chase inclina la testa. «Lo so. Ci dividiamo in due gruppi. Noi due andiamo all’Ordine, gli altri a ovest.»
   «Perché?» Warren guarda prima me, poi Chase. «È assurdo separarci, dopo tutto quello che è successo.»
   «Io e Dalila siamo in grado di cavarcela contro l’Ordine, se fossimo scoperti. Non possiamo far rischiare la vita ad altri.» Tradotto? Non siete ancora pronti a sapere tutta la verità. Julia ha ragione: io e Chase stiamo pensando come un gruppo a parte. Non li rendiamo partecipi di tutte le notizie.
Li trattiamo come dei bambini.
E non lo sono da troppo tempo.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6
 
 
 
      Ho il chiaro ricordo di me, a sette anni, consapevole che Babbo Natale non esiste. Ricordo che mentivo. Lo facevo per i miei, per la nonna e, sì, anche per i regali. Era troppo facile fingere di preparare la tazza di latte la sera prima ed essere sorpresa il giorno dopo perché il caro vecchio furbacchione si era pappato tutto. Non ho mai pensato che fosse sbagliato. Mentire non lo è mai stato.
È così che mi sento, ingobbita nel giubbino preso dall’attaccapanni di un pub affollato, decisamente troppo grande per me. Mi sento così, prendendo l’autobus che ci porta verso l’Ordine, senza pagare il biglietto, nascondendomi dietro a dei ragazzi troppo chiassosi. Non è sbagliato rubare, non è sbagliato mentire. Non ho altri mezzi da usare, quindi è solo la mia natura che prende il sopravvento.
Chase chiama la fermata, scendiamo e il freddo dell’inverno ci colpisce il viso. Tiriamo su il cappuccio, ma qualcosa si infila sempre. I miei capelli sembrano in preda a una ballata frenetica. Ci incamminiamo lungo il selciato di ghiaia, le scarpe affondano sul fango e mi trovo più inzaccherata che mai. Inizio a sudare, ma di togliermi qualcosa non se ne parla neppure. Il mio corpo è diviso al mio interno: sono fradicia di sudore e infreddolita.
Il parcheggio dell’Ordine accoglie solo tre macchine. Immagino che qualcuno ci sia sempre al suo interno. Per scontato, suppongo che Johannes sia lì dentro. Satana non si allontana mai troppo dalla cuccetta del suo inferno personale.
Chase mi fa cenno con una mano, mi acquatto dietro alla sua ombra, seguendo i coni di luce e oscurità per mimetizzarci. Si avvicina alla grata già utilizzata in precedenza, usata da me e Warren per uscire da quel tempio. Attraverso pochi battiti in punti precisi, sfila il coperchio e si introduce. In questo modo evitiamo di farci vedere da chiunque dell’Ordine, pur essendo un modo di muoversi piuttosto scomodo. Trascino la grata alle mie spalle, nascondendo quell’entrata fortuita. Un altro motivo per cui ci siamo solo noi, per quella sera, è appunto il fatto che non puoi far strisciare otto persone in un buco così piccolo. Già Chase sbatte con le spalle a ogni curva. Mi sorprendo che Warren non si sia incastrato in quel cono.
Strisciamo in silenzio, usando un bivio per toglierci le giacche e lasciarne una come segno per ritrovare l’uscita. È una sorta di labirinto che scricchiola nei momenti meno opportuni, facendoci sbuffare dal caldo. In un altro bivio, Chase mi indica il terreno sopra cui stiamo camminando, prendendo con fare sicuro la strada a sinistra. Lascio nel loco indicato anche la giacca, ma continuo a sudare e a tremare. Striscio piano, usando i palmi delle mani per sentire i punti più freddi. All’interno dell’Ordine stanno cucinando Johannes vivo, non c’è dubbio. Il pensiero mi strappa un mezzo sorriso, ma il profilo corrucciato di Chase me lo smorza. Quello sguardo non annuncia nulla di buono. Si accuccia, io striscio ancora e mi siedo vicino a lui.
Siamo nella biblioteca. Il vederla mi porta tanti ricordi, molti dei quali non sono decisamente positivi. Sia che sia il luogo in cui studiavo i testi in latino, sia solo un posto di passaggio per non essere trovata, quel cimitero di libri è l’annullamento della mia mente. Sono state raccontate troppe frottole tra quelle mura, una delle quali è seduta vicino alla finestra. E non dovrebbe neppure entrare nei miei pensieri.
È seduto, la lampada gli illumina appena il viso, i capelli sono dello stesso colore dell’inchiostro. È immerso nelle tenebre, l’unico biancore è dato dalle pagine giallognole antiche che regge tra le mani. Sta analizzando qualcosa, e non sembra gradire quello che legge.
Da quello che vedo, indossa abiti semplici, probabilmente una semplice maglia con sopra la fondina ascellare e la pistola di ordinanza. La giacca appoggiata alla sedia deve essere la sua. Allontana il foglio con stizza, uno dei tanti atteggiamenti irritati che gli ho visto compiere, sia da fantasma sia da detective in carne e ossa. Il solo fatto che è lì, solo quello mi fa capire che sono stata una stupida. Ho fatto in modo che l’anima di quello che ci ha ucciso si ricongiungesse al suo corpo. Su una cosa Philippe ha avuto ragione. È stato il mio detective a rivelarsi come l’Inquisitore. Sono implicata in qualcosa che non potevo gestire.
Perché diavolo gli ho salvato la vita? Perché Dalila mi ha aiutato in tutte le situazioni, ma non è stata in grado di capire la natura di quell’anima?
Lo fisso, rannicchiata e pronta a colpire la grata per scappare da quella prigione. Sono pronta ad avventarmi contro di lui. So che non ho la forza di Julia, e non posso neppure competere con Eliza, perché sono decisamente troppo piccola e mingherlina per essere presa come un avversario temibile. Chase allunga una mano, il suo braccio mi sfiora il petto e mi appoggio alla parete. Capisce cosa provo, il rancore, la rabbia e il tradimento, ma mi intima di aspettare. Ho sentito una porta che si è aperta. Intervenire in quel momento significherebbe solo rischiare di farsi scoprire da troppe persone, solo per spaccare una faccia.
E poi arriva.
Ho capito. So perché ho salvato Ridley. È una motivazione stupida, così semplice che mi sorprendo a non averla detta a Philippe. È il solo e unico motivo per cui lui è vivo. È lo stesso motivo che mi ha spinto a esorcizzare Carlos, il fratellino della mia migliore amica. Lo stesso che mi ha indotto a non uccidere Malachite nel passato, a obbligarmi ad andarmene da quel villaggio poco prima che diventasse degli Spiriti. È semplice.
L’ho fatto perché me l’ha chiesto.
Carlos mi ha chiesto di ucciderlo; il Capo Villaggio ci ha intimato di andarcene; Malachite che non avevo il diritto di imporle nulla … lui mi ha chiesto di aiutarlo. È semplice.
Il libero arbitrio è il mio punto debole.
Faccio ciò che gli altri mi chiedono, anche se è contrario a ciò che penso, appunto perché sono loro a chiederlo. Non è passività, non è voglia di non decidere. Semplicemente mi rendo conto dei miei peccati e cerco di redimermi con atti di quella che io chiamo bontà gratuita. Al fato, si sa, piace giocare. Tutti i nodi tornano al pettine, tutti i peccati ritornano indietro. Uno strano modo di punire una persona, solo per qualche furtarello e una sfilza di menzogne.
Chase preme sul mio petto, stringo le mani a pugno per impedirmi di reagire.
I suoi passi sono rimasti invariati. Ha un passo sordo, un toc tuc che ti fa intuire la presenza di una vecchia protesi. Vedendolo camminare non si direbbe, ma a lungo andare l’abbiamo capito tutti. Deve aver avuto un incidente e si capisce che le sue gambe sono differenti solo nel silenzio della pietra. Ridley agguanta il foglio, nascondendolo sotto a degli altri. Johannes entra nel cono di luce. Indossa una veste lunga che gli arriva ai piedi, marrone, che sembra inghiottirlo in tutta quell’oscurità. Vedo i suoi occhi appoggiarsi alla catasta dei fogli, consapevole che lì dentro c’è qualcosa che il suo alleato non vuole che veda. Si sposta ancora e sembra che sgusci sul pavimento senza peso, se non lo tradisse quello strano rumore.
Mi mordo le labbra.
Johannes ha un’espressione estatica, da ascesi. Il suo sorriso serafico non preannuncia nulla di negativo. «Vedo che stai apprezzando questo luogo, Tòmas.»
Non ho mai saputo il nome di colui che ci uccise. Mi aspettavo qualcosa che marcasse di più la sua crudeltà, ma in effetti Tòmas è un nome come un altro. Ridley arriccia le labbra. «Non mi chiamo così.»
   «Perdonami, vecchia abitudine.» Confermo. Ha sempre punzecchiato sulle debolezze degli altri per farsi strada nei loro cuori. Sfiora con una mano la lampada, come se volesse testare che non scotta. «Cosa ti porta nell’Ordine?»
Ridley alza una spalla. «Un sacco di motivi. Ti sei dato da fare con il giornalista.»
   «La notorietà è sempre stato il mio desiderio più recondito.»
   «Ho fin troppi ricordi del passato per sapere che la fama è sempre stato l’ultimo dei tuoi pensieri.» Sbocca con rabbia. Quindi non corre buon sangue tra Johannes e Ridley. Buono a sapersi. Ridley allontana i fogli dalla mano di Johannes, che con calma si stava avvicinando quasi indisturbato al suo vero obiettivo. «Sembra più che altro che tu stia cercando di nascondere delle notizie. Attiri l’attenzione su altro per colpire.»
   «Non sono stato io a uccidere un esorcista. Titus non sarebbe dovuto morire.»
   «Me l’hai già detto. Eppure questo non ti ha impedito di ammazzare gli altri sette.»
Johannes stringe il legno del tavolo. Le sue nocche sono bianche e, se non mi fossi accorta di quello, avrei visto le sue labbra strette in un gesto di disprezzo. «Non osare.»
   «Cosa non dovrei osare? Titus era solo un ragazzo. Hai detto che avevi bisogno di distrarre gli esorcisti da te, che si stavano impicciando un po’ troppo. Li volevi addomesticati. Fatto. Hanno abbassato la cresta e se ne sono stati tranquilli.»
   «Il tuo gesto sconsiderato ha indotto Dalila a venire qui!» Anche se nascosti, la rabbia di Johannes ha uno strano effetto su di noi. Entrambi tratteniamo il fiato, come se avesse urlato contro di noi. Ricordo che in passato, le sue sfuriate finivano sempre con qualche punizione corporale. Non siamo mai stati picchiati, ma di certo rimanere nel piazzale dell’Ordine con i piedi ghiacciati, in ginocchio, diceva che qualcosa di sbagliato lo avevi fatto. Johannes batte un pugno sul tavolo. «Dalila! Lei percepiva la menzogna! Di tutti, hai indotto lei a indagare.»
   «Non eri costretto a ucciderli …»
   «Io non li ho uccisi.» Noto che Ridley ha fatto scivolare la sedia all’indietro, per liberare lo spazio e tentare una via di fuga in caso di necessità. «Non li avrei mai uccisi.»
Ridley porta al sicuro i fogli, stringendoli con una mano. Un gesto semplice, che mi fa capire che qualcosa lì dentro gli interessa e non vuole che Johannes ne sia a conoscenza. Qualunque cosa sia, la voglio conoscere. Se è importante per lui, può esserlo anche per noi. «Dici che non li volevi uccidere, eppure i tuoi gesti hanno sempre fatto capire che erano del tutto sacrificabili. Non capisco, Marco. Esattamente cosa tu e l’altra mi state nascondendo?»
Chase tamburella distrattamente con le dita, l’altro braccio premuto ancora sul mio petto. Non sento menzogne da Ridley, il che è strano. Non ha detto il nome di Malachite, sembra ignorare anche che Marco è un nome fittizio di questo secolo per Johannes. Si è reincarnato, ha i nostri ricordi del passato, ma ignora altro. Forse Malachite e Johannes si sono dovuti per forza alleare con lui, per un qualche motivo … e lui sa che gli stanno nascondendo qualcosa. Possibile che il rituale dell’immortalità sia segreto a uno di loro?
Johannes abbozza un sorriso. «Strano che tu parla di menzogne. Se non erro ti ho chiesto di darmi indicazioni sulla famiglia di Dalila. Hai ammesso di aver avuto rapporti con loro.»
Il mio cuore batte. Merda. Ho salvato Ridley e lui mi conosce. Conosce me, sa dove abito e di certo ha visto in più occasioni mio fratello. Merda. Guardo Chase, ma il suo cenno con la testa mi fa capire che devo aspettare. Aspettare che venda anche la vita della mia famiglia, come Malachite ha già fatto nel passato. Ridley arretra di un passo. «E come ti ho già detto, non ho intenzione di vendere la vita di innocenti.»
Innocenti. Capisco anche qual è il grande difetto di Ridley. Lui non è malvagio. Detta da qualcuno che è stata torturata e bruciata viva, la frase perde di significato. Tuttavia è così. Non ha compiuto quei gesti perché spinto dalla rabbia o da qualche egoistico motivo. Lui ci ha uccisi perché, nel suo mondo, noi eravamo il male. Noi continuiamo a essere il male. Le nostre famiglie, invece, hanno solo avuto la sventura di metterci alla luce. Non possono essere punite. Sono salvi.
   «Ci vediamo, Marco.»
Il nostro vecchio mentore digrigna i denti, fissando il detective andarsene. Faccio un sospiro di sollievo, interrotto da una nuova voce. «Se vuoi i nomi della famiglia di Dalila, posso darteli.»
Malachite … Susan. Parli del diavolo e spunta nella sua versione più chiccosa. Johannes scuote la testa. «Non è quello il problema. Tòmas non si fida di noi. La famiglia di Dalila non mi importa. La sua lealtà, all’opposto, sì.»
Susan parla ancora, nascosta da chissà quale scaffale di libri, godendosi la sua invisibilità. «Neppure in passato si fidava. Questo non gli ha impedito di fare esattamente quello che volevamo.»
Johannes scuote la testa. «No. Ha parlato troppo a lungo con Dalila. Potrebbe averlo plagiato.»
Parla il pezzo di merda che ha fregato tutti noi. Io non ho plagiato nessuno. A Ridley ho semplicemente detto la verità, omettendo un bel po’ di notizie ma cercando di non tirare mai l’acqua al mio mulino. Di sicuro, lui non sta difendendo le nostre famiglie perché lo abbiamo circuito. Lo sento appena bisbigliare. «Tienilo d’occhio.»
Abbiamo saputo più di quello che volevamo. Malachite e Johannes sono alleati, dove il secondo ha un ruolo privilegiato. Il rituale dell’immortalità, da sapere le modalità e quant’altro, è possibilmente conosciuto solo da loro due. Per un qualche motivo hanno bisogno di Ridley, che non si fida di loro.
Johannes ha parlato ai media degli esorcisti per nascondere un qualcosa che lui sta facendo.
Da qualche parte tutte queste notizie ci sono utili.
Al momento, sono solo risposte che si aggiungo a domande ancora incognite.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7
 
 
 
        «Che giorno è?»
Guardo Chase con un misto di apprensione e scherno. Il giorno, vuole sapere? Con tutte le domande che ho intesta io, lui si preoccupa solo di un numero? Recupero un vecchio telefonino dalla tasca, uno di quelli che una volta con gli altri mi pentirò di essermelo preso. L’ho rubato a Warren, che a sua volta l’ha requisito a qualcun altro. Una catena divertente che, se scoperta da Warren, mi farà capire che l’avidità non scherza sui furti. Corruccio la fronte. «Il 15 dicembre.»
Lui annuisce. «Bene. Possiamo andare a casa mia.»
Si incammina, e io lo seguo. «Chase, no! Non possiamo andare a casa tua …»
   «Sono le quattro di mattina e ci reggiamo a malapena in piedi. Non possiamo neppure pensare di rubare un’auto, figurati di guidare fino all’appartamento di Eliza. La scelta più ovvia è trovare riparo per la notte.»
   «Non a casa tua!»
   «I miei dovrebbero essere partiti per le vacanze. Dovremmo avere la casa vuota. Se li avessi conosciuti, avresti scoperto che certe inezie come la morte di un figlio non devono per nulla intaccare la serenità della famiglia. E quando i miei vanno in ferie, i miei nonni sono relegati in un angolo della casa. Non sapranno di noi.»
Per quanto rimbambiti, ho il sospetto che ci scoprano eccome. Non ho la forza di controbattere, perché dall’Ordine alla città la strada è stata lunga. Gli autobus non passano dopo mezzanotte, siamo sporchi di fango e puzziamo di sudore. Il tempo non è clemente. Un prisma di neve mi si appoggia sul naso, ma ho il sospetto che sia stata solo un dispetto. È umanamente inconcepibile che nevichi! Continuo a credere che bussare a casa sua e convincere i suoi nonni che quello che assomiglia suo nipote non lo è, è stupido. Stupido come non aver rubato una macchina per andare all’Ordine!
Capisco perché Chase ha insistito ad andare a casa sua quando la vedo. È una villa a tre piani. Neppure se i suoi fossero a casa ci possono trovare. Sono convinta che per dirsi che la cena è pronta si chiamino l’un l’altro per darsi appuntamento in cucina. Quello, o col cavolo che si sarebbero visti!
È una villa enorme. Dal cancello vedo almeno due ingressi, più un porticciolo che dovrebbe condurre al garage delle auto. Il giardino, anch’esso mastodontico, è debolmente illuminato in lontananza. Mi dà l’impressione di solitudine. Chase, per lo meno, non è mai stato una persona che si mostra agli altri. Sembra che abbia creato lui stesso un muro per impedire a chiunque di entrare. Proprio come i padroni della villa, che hanno cercato di tenere il mondo più lontano da loro.
Chase scavalca il cancello con un salto, attendendo da bravo cavaliere dall’altra parte. Quando è chiaro che non ho bisogno di aiuto, si incammina lungo il selciato. Un po’ di tempo fa avevo camminato per un viale simile, attaccata da dei cani molto affettuosi, per riportare Robert a casa sua. Non è stato il giorno migliore della mia vita, visto che ero disperata per la morte di Chase, ma credo che lui non l’abbia apprezzato maggiormente.
Chase apre la porta con una chiave recuperata da sotto lo zerbino, sul serio?, digitando il codice di sicurezza nel display, subito oltre la porta. Entro in casa. Hanno spento il riscaldamento, anche se nell’aria è rimasto un qualche rimasuglio di calore. Molto flebile. Chase mi fa cenno di fare piano, indicandomi il piano superiore.
Non sentiamo nessun tipo di rumore, ad eccezione del ticchettio dell’enorme orologio. La casa è immersa nel silenzio, a conferma del fatto che effettivamente i nonni di Chase sono in un’altra ala. Lo spero davvero, perché sarà dura spiegare ai suoi cosa ci faccio al primo piano.
Anche lì è completamente silenzioso. Appena fatte le scale, sulla sinistra, c’è una parete che interrompe l’accesso all’altra parte della casa. È probabile che le due parti, menzionate da Chase, non siano collegate tra di loro.
Apro una porta. È una camera da letto, semplice e dai colori tendenti al chiaro. I miei occhi si stanno abituando all’oscurità, ma non riesco a cogliere dettagli particolari, se non un grande armadio e un cassettone altrettanto grande.
La seconda porta è quasi alla fine del corridoio. Riconosco la presenza di Chase. Non so come faccio a dirlo. Forse il profumo nell’aria, quel leggero aroma che lo avvolge sempre, profumo e sapone mescolato. So che è la sua stanza. Entro, dimenticandomi tutto il resto. Il letto è fatto, come se si aspettassero di vederlo tornare. È brutto dirlo: sono convinta che tutte le nostre famiglie ci stanno aspettando.
Vado a tastoni per il muro, incontrando il comodino. Riesco ad accendere l’abatjour e la sua debole luce illumina la stanza. Abbastanza forte da vedere i colori, troppo debole per essere percepita all’esterno. Per scrupolo controllo la strada, ma le tende sono troppo pesanti per far uscire la luce. Dalla mia postazione, vedo la luce del lampione solo se scosto la tenda.
Giro le spalle all’esterno. C’è un letto matrimoniale, con due cuscini ricamati. Sul comodino, ci sono i biglietti del concerto degli Amantine, il gruppo di Jamar. Appartiene a un’altra vita, e di certo non a questa, la volta che gli ho sbattuto in faccia quei biglietti. È passato troppo tempo. I sentimenti che provai quel giorno ci sono ancora. Sono tutti presenti, in fila. Rabbia, abbandono, solitudine. Da quel giorno ne è passata di acqua sotto i ponti, eppure tutto quello che mi rimane è un’accozzaglia di emozioni che non so gestire. Perché mi pesano le accuse di Philippe. Perché ho davvero ucciso per due volte i miei compagni. E se non li ho uccisi materialmente la prima volta, l’ho fatto nella seconda. Perché sono di nuovo una mosca bianca in mezzo a loro, perché ho avuto un rapporto intimo con tutti quelli che ci hanno segnato. Sono la sorella di Malachite, sono la cugina di Susan. Il legame con lei non può essere spezzato e me lo porterò per sempre.
L’Inquisitore mi ha torturata nel passato, Ridley mi ha plagiato nel presente. Anche con lui ho un legame indissolubile, che trascende il tempo e che mi porta a chiedere perché, dopo tutto quanto, ho salvato la vita a chi mi ha ucciso. E la consapevolezza della motivazione, la speranza che in Ridley ci sia abbastanza bene da non uccidere le nostre famiglie, non mi consola. Non più.
E Johannes.
Sono l’eccezione in mezzo all’eccezionale, sono la perla grigia in mezzo al nero. È così che mi sento.
   «Come ti ho detto i miei nonni sono in un’altra ala. Scusa. Non volevo farti paura.»
Ho fatto un salto sentendo la voce di Chase, però già il fatto che non gli ho lanciato un esorcismo è che in parte ero preparata al suo arrivo. Annuisco, deglutendo.
Il ragazzo si avvicina al comodino, guardando i biglietti che hanno fatto partire il treno dei miei pensieri. «Tutto bene?»
Riesce a intuire le mie emozioni. È troppo lungo da spiegare, troppo complicato, troppo tutto. Vorrei dirgli che Philippe mi considera colpevole, che io stessa mi sento così, che li ho uccisi di nuovo, che ho sbagliato a vedere i fatti. Ho mentito a ognuno di loro, in vari modi. Continuo a farlo. In effetti, all’unica persona che non ho mai detto menzogne è Chase. Un’amara consolazione, visto che stiamo nascondendo la verità più grande ai nostri compagni. Questo perché? Sta finendo la scusa che sono troppo deboli per accettarla. Ci hanno già dimostrato di essere più forti di quello che pensiamo. Forse la verità è che noi stessi abbiamo paura. Perché se neppure la morte può liberare le nostre anime, cos’altro può farlo?
   «Ho … ho solo bisogno di una doccia.»
   «Certo. Il bagno è da quella parte. Vado a prenderti qualcosa da metterti.»
Annuisco, dirigendomi verso la porta. È un bagno piccolo, intimo. Prima di andare a scuola Chase doveva passare il suo tempo qui: sistemandosi i capelli, lavandosi. Una vita di cui io non ne ho mai fatto parte. Non sul serio.
Mi infilo nella doccia, dopo aver buttato a terra gli abiti. Lascio che l’acqua lavi i cattivi pensieri, la rabbia e il rancore, ma quello rimane sempre. Probabilmente saremmo ancora vivi. Fa male pensare a Philippe. No, Johannes aveva pianificato la nostra morte già da tempo. Eravamo destinati a morire, eravamo solo pedine di un gioco che lui doveva sacrificare. Di quello ne ho la certezza. Però fa male pensare a Philippe, o a Daulus, che mi incolpa di un qualcosa. Anche perché io so che se non li avessi portati con me, quel giorno, loro avrebbero avuto altro tempo davanti. Si sarebbe risolto tutto con la loro morte, probabilmente Johannes si sarebbe avvicinato di più al rituale, ma la cosa importante è che non avrei preso in mano il volante. Io non li avrei uccisi.
Mi strizzo i capelli ed esco dalla doccia. Sul lavandino trovo un asciugamano pulito e dei vestiti. Mi asciugo, vedendo che è una tuta di Chase. Mi è abbastanza larga e arrossisco al pensiero che mi ha infilato in mezzo a tutto un paio di mutandine. Le scarto, perché non indosserò mai qualcosa portato da altre. Sono costretta a ricredermi, però. Con una smorfia me le infilo ed esco dal bagno. Porto con me un asciugamano umido e gli abiti appallottolati di Eliza. Li infilo dentro un sacchetto, sedendomi sul letto. Chase è stranamente silenzioso e non mi rivolge la parola quando va in bagno.
Mi accoccolo vicino alla finestra, su una poltrona vecchia e usata. Come tutto lì intorno, profuma di Chase. Ne sono inebriata. «Li ho uccisi.»
Lie sospira. Non so come ho fatto a sentirlo. È la prima volta che sento la sua presenza in modo così tattile, così pregnante. Ho sentito quando ha varcato la soglia dell’abitazione, quando è salito lungo le scale e quando, in attesa, si è appoggiato alla porta. Sono un po’ come lui. Forse è esattamente quello. Accede nella stanza, entrando nella mia visuale. Non è cambiato dall’ultima volta che l’ho visto, se mai un vizio possa essere diverso, però vedo le sue vecchie fattezze. Il suo corpo sembra che si stia sgretolando, dagli arti emerge una nube nera, tipo un’ombra appena percepibile. Distolgo lo sguardo dalla strada e mi concentro su di lui. Ha lo stesso sguardo di quando lo vidi la prima volta, di quando scappai e andai da mamma, perché un’ombra mi inseguiva. Prima che papà fosse colpito dalla peste, prima che lei morisse e che mi reclutassero per questa battaglia. «È probabile che tu li abbia salvati.»
   «Perché mi sembra come di essere un’assassina?»
   «Non lo so. Non posso provare emozioni, Dalila.»
Mi porto le gambe al petto, in una posizione protettiva. «Daulus ha ragione. Ho ucciso la mia famiglia due volte e, anche se non sono stata l’artefice della prima, ho stretto io il volante che li ha stroncati la seconda volta. Ho ucciso i miei fratelli e ora sto chiedendo loro di continuare a svolgere la loro missione come nulla fosse. Con che coraggio posso chiederlo?»
   «Siete esorcisti. È la vostra missione.»
Scuoto la testa. «Abbiamo perso troppo, Lie. Abbiamo perso troppo per poter dimenticare tutto e continuare la missione. Una missione di cui non crediamo neppure. Abbiamo salvato gli spiriti e cosa ne otteniamo in cambio? Una volta morti, davanti a loro, siamo stati giudicati colpevoli, colpevoli anche se li avevamo salvati. Non c’è giustizia nel mondo dei vivi, eravamo convinti che potesse esserci almeno in quella dei morti. Hanno ragione i negromanti: continuare a vivere, vivere ancora, fino a quando non ci saranno più anime per sfamarli.»
   «Non è una frase da esorcisti.»
   «Vero. Sono ancora un’esorcista? Sono morta, porto con me la mia memoria passata: sono ancora un’esorcista? Voglio ancora esserlo? E se mi sbagliassi? Se fosse colpa mia? Se avessi veramente risvegliato io, Johannes? Se …»
   «Lie, avvisa gli altri che siamo al sicuro. Dì loro che ci vediamo in mattinata a casa di Eliza.»
Lie mi guarda, io annuisco e rettifico. «Esegui l’ordine.»
Lo so prima che compia l’azione. So che se ne andrà. Ho un brivido e sento che si allontana. Quindi è questo che mi porterò sempre dietro. Potevo avere di peggio. Non è male, in effetti, essere così legati al proprio vizio. Appoggio i piedi per terra, sciogliendomi da quell’abbraccio che era ben lungi dal consolarmi. «Chase.»
   «Quando ti ho chiesto se andava tutto bene, mi hai detto che avevi bisogno di una doccia.» Ha i capelli umidi che gli chiazzano la maglia a ogni gocciolina che scende. Vorrei dire che è arrabbiato ma, no, è deluso. Sospira e scorgo sotto a tutto quell’insoddisfazione della rabbia. Indica con un dito la porta da dove è appena uscito Lie. «Quello non è niente.»
Ha sentito tutto. Sarebbe da Chase entrare in bagno e lasciare la porta aperta. Sarebbe nella sua natura di controllore. Anzi. Mi sorprende non averlo intuito prima. Abbasso la testa, facendomi forza per alzarmi in piedi. «Chase.»
   «Non li hai uccisi. Daulus questo lo sa.»
   «È arrabbiato. Io non posso avercela con lui.»
   «Allora continui ad assumerti colpe che non sono tue? Perché a me va bene. Fai pure. Sono stanco del tuo vittimismo.»
Mi volta le spalle, dirigendosi verso il letto. Getta a terra i cuscini ricamati, con l’odio che ha ogni volta che qualcosa non va come vorrebbe. Spegne la luce e, quasi in contemporanea, si infila sotto le coperte. È stanco del mio vittimismo. Anche questo fa male. Ho sempre cercato di difendermi e ora, che prendo in mano le mie responsabilità, mi viene detto che mi fingo vittima.
Mi alzo dalla poltrona, infilandomi sotto le coperte. Mi sposto sul materasso, avvicinandomi a Chase. È positivo il fatto che non si allontana da me. Allungo le mani, prendendogli il viso e facendo in modo che si giri verso di me. Anche se non lo vedo, anche se non posso guardare la sua espressione se non dalla fioca luce del lampione che entra dalle increspature della tenda nella stanza, voglio che lui mi guardi. I pollici indugiano sulle sue labbra, il suo fiato mi accarezza il viso. «Li ho uccisi. Ho preso in mano il volante e ho fatto scontrare l’auto con il guardrail. Li ho uccisi. Daulus qui ha ragione. Malachite ha parlato per rancore, usando il suo aspetto per confondervi, e ci ha portato a morte. Anche qui, in una qualche maniera, vi ho ucciso. Se avessi visto il male in lei come lo vedo negli spiriti, l’avrei uccisa. E anche qui ha ragione Daulus. Con queste premesse, non posso chiedere loro di svolgere la missione, né posso mantenere ancora a lungo il segreto su Johannes. Lui ci ha usato e lo farà ancora. Accetterò le mie colpe, ma loro devono sapere.»
   «Glielo diremo.»
   «Prima che sia troppo tardi. E saranno loro a scegliere cosa fare.»
   «È assurdo. Non dovrebbero scegliere. Dovrebbero essere con noi, a combattere contro Johannes e agli altri due.»
Mi avvicino un po’, non staccando le mani dal suo volto. «Forse li sottovaluti. Forse loro saranno con noi. Siamo una famiglia. Daulus mi può odiare, ma sarà al nostro fianco. Non fare come Johannes. Non aspettarti qualcosa da noi. Devi fidarti, Chase. Puoi farlo almeno quanto io posso dire la verità. Devi credere in loro.»
   «Qualunque sarà la loro scelta, io ucciderò Johannes.»
   «Dovunque tu andrai, io sarò con te. Puoi anche accusarmi di fare la vittima, puoi arrabbiarti e spingerti ad odiarti, ma a conti fatti io rimango con te. Te l’ho detto: ho attraversato l’inferno per portarti indietro.»
Supera il poco spazio che ci divide, rubandomi l’aria dalla bocca. Chiudo gli occhi, affondando le mani nei suoi capelli. I suoi movimenti sono decisi, ritmici, in una qualche maniera sono una certezza che trova solo un’altra conferma. Abbandona la mia bocca, scendendo lungo il collo e strappandomi un gemito. Il mio corpo è una fiamma, che parte dall’inguine e si collega con una scossa elettrica alla tempia. Non so controllarmi e mi dibatto alla ricerca delle sue labbra e, quando ci incontriamo, sboccia la passione.
Si stacca da me, con un sospiro, i muscoli tesi nell’atto di sollevarsi. Sento il suo corpo sopra il mio. Non so come il suo ginocchio sia arrivato tra le mie gambe, né perché il suo petto si alza e abbassa al ritmo del mio. Non lo so, ma vedo il luccichio dei suoi occhi, a una decina di centimetri dai miei, in attesa. «Dalila. Bel. Non sei costretta.»
Passo la mano sulla maglia, sollevandola un po’ e mostrando la pelle nuda. «Non dire stronzate, Titus. Dopo seicento anni ce lo meritiamo.»
E mentre mi bacia so che anche noi, adesso, abbiamo un qualcosa che si può definire futuro.

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Capitolo 8
*** 8 ***


8
 
 
 
       Mi alzo a sedere. La stanza è vecchia e puzza di legno marcio. Nell’aria sento anche l’odore di escrementi e vomito rappreso. Ci sono spifferi un po’ ovunque e il piccolo fuocherello acceso solo la sera prima ha smesso di riscaldare. Sono congelata fino la punta dei capelli.
Alito del fiato caldo sulle mani, amara consolazione per il freddo che c’è. Appoggio cautamente i piedi per terra, arrischiandomi dopo qualche tentativo nell’alzarmi. Non è solo freddo: sono tutta intorpidita nel mio stesso corpo. Sento delle voci, poco fuori quella grande stanza.
Guardo nel letto a fianco a me, scorgendo Malachite dormire profondamente. Ha le labbra tirate sul viso, un viso che in tutto e per tutto è identico al mio, pallido e un po’ scavato dall’assenza di cibo. Sta stringendo con la mano a pugno la coperta che ci siamo divise durante la notte. Ce la siamo litigate fino in fondo e, a quanto sembra, ha nuovamente vinto lei. D’istinto guardo verso il giaciglio che papà e mamma condividono. Stupida. Le voci che sento sono le loro, quindi è chiaro che non possono essere lì.
Papà sta dormendo.
Mi avvicino. C’è qualcosa che non va. Papà tossisce in continuazione. Una tosse che lo prosciuga, che gli raschia la gola e gli fa sputare sangue. Una tosse ruggente che gli sta privando anche della forza del mangiare, dell’alzarsi. E tra un colpo e l’altro vomita e sputa. La sua essenza non è mai stata silenziosa. E lui trema. Trema sempre. Trema davanti al fuoco, trema mentre mamma gli dà la minestra, trema mentre mi raggomitolo nel mio giaciglio, fingendo di non sentirlo.
Lui, adesso, è immobile. Quasi non lo riconosco, con la pelle tirata sulle sue ossa, così magro che anche io così piccola posso prenderlo in braccio. Gli occhi sono leggermente aperti, senza vita. Vedo il pallore tra le ciglia, non vedo il suo guizzo divertito allo scherzo, non vedo la paura per quello che il suo corpo gli sta facendo patire. Un grosso bubbone mi fissa dal suo collo ma non mi fa più paura. Capisco. Papà è andato in un posto migliore.
È una verità semplice che mi rende felice. Papà è andato in un posto migliore. Ora non trema, non ha più fame. Il suo stomaco ha smesso di brontolare, la sua carne ha smesso di lottare con questo mondo. Credo che sia una bella sorte.
Niente più prediche, niente più persone che si allontanano perché portiamo con noi il segno della malattia. Basta.
Allora con chi è che parla mamma? Mi muovo piano, un po’ per il male alle gambe, un po’ perché il freddo sembra avermi congelato le ossa. La porta è socchiusa e io infilo il naso. Mamma è coperta da un pesante scialle e dalla giacca del papà. Nell’ultimo periodo si è fatta carico di molte responsabilità, tra cui due bambine e un marito morente. Sono quattro bocche da sfamare e lei è da sola. Posso cercare di aiutarla, ma rimango piccola e mingherlina. Ho tutti i segni di una persona che non mangia a dovere. Era così già da prima della malattia del papà. Malachite, invece, scompare sempre più spesso. Abbiamo perso l’interesse nel chiederle dove va. È una bugia. So esattamente che mia sorella ha perso interesse per gli uomini già da prima di nascere. A lei piace scoprire il limite: il limite di sé stessa, il limite degli altri, il limite di una vita. Mi accorgo che le spalle di mamma sono ingobbite per queste cose che comprendo, per altre che non capisco, e cerca di trattenere la tosse.
La tosse.
Un’altra verità mi colpisce: mamma è malata. Ha la stessa malattia del papà.
Le lacrime si sono congelate. Non verso neppure una goccia per papà, né per mamma … né per noi due. Da sole, se non ci uccide la malattia ci distrugge la fame.
L’uomo che è davanti a mamma ha un aspetto da gran signore. È su un cavallo, se ne sta dritto davanti a lei e guarda con sdegno la nostra casupola e la vacca che muggisce poco lontano. Ho paura che sia venuto a prenderla, portando via quel poco di cibo che ancora può offrirci.
Non so come mai, né cosa me lo faccia capire, ma l’uomo che sta parlando con mamma è un uomo di Chiesa. E non come il padre del villaggio, che ci fa la ramanzina alla domenica. È un Uomo. Uno di quelli che il prete ci raccontava le storie, in periodi migliori. Quelli che aiutano la gente. Come San Francesco. Sì, lui deve essere come un santo. Ha visto che siamo messe male ed è venuto ad aiutarci.
Ne sono così convinta che spingo un po’ la porta per uscire di casa, immobilizzata dal singhiozzo di mamma. No. Un uomo di Chiesa non può far piangere mamma. Mi fermo in attesa.
L’uomo è ancora a cavallo, con indosso una giacca molto pesante che copre lui e parte del destriero. C’è silenzio, a parte il muggire della vacca che pretende qualcosa da mangiare. Posso sentire ogni respiro dell’uomo, ogni contrazione di mamma. Poi lei parla, un continuo lamento. «No … no.»
Il destriero si muove da un lato, l’uomo lo ammonisce con una toccata al fianco. «Ne siete sicura? Ne ho visto uno venire dalla vostra parte.»
Mamma scuote la testa. Sono così concentrata su di loro che non mi accorgo della tenebra che mi ha avvolto. È un qualcosa di rassicurante che non l’avverto subito. Mi irrigidisco, come colpita da un freddo troppo pungente e guardo verso papà. Lo vedo appena, tra quelle tenebre, ma lui mi sta fissando. È seduto vicino al suo corpo morto e guarda prima me, poi il suo cadavere. Non è come lo ricordavo. Ho compreso a mie spese che le anime che mi compaiono davanti, dopo il trapasso, hanno impresso l’ultima loro immagine in vita. Non ha i segni della peste, quindi è assente il bubbone e il vomito sugli abiti, ma non è neppure il mio vecchio papà. È magro, spaurito, gli occhi troppo grandi per un volto scavato. Si vede che ha patito l’inferno e ne porta tutti i segni. «Vi siete svegliata, Dalila.»
La voce di Lie è subdola, ma so che non è malvagio. Oddio, non è neppure buono ma non mi farà del male. Quello che mi fa più paura è lo spirito di papà. Ne ho già visti, al villaggio. Di solito mi ostino ad aumentare il passo e fingere di non averli scorti. Loro lo sanno, però. Mi trovano sempre.
Guardo ancora verso mamma, poi ritorno a fissare papà. D’istinto scosto la nube nera con una mano, e Lie si disperde. Papà si muove a disagio, guardando di nuovo prima me, poi il suo cadavere. Ignora del tutto Malachite, perfettamente addormentata, per quanto mi sembri che la stanza sia congelata.
Si alza in piedi, d’istinto faccio un piccolo passo verso la porta. Ho paura. Non so cosa può farmi uno spirito. Non so cosa ricorda, né se prova invidia per la mia vita. Non lo so. Ha gli occhi aperti, spenti, e fissa di fronte a sé. Oltre me. Oltre alla porta. L’uomo a cavallo sta parlando con mamma, e papà beve ogni parola.
Quando inizio a credere di essere al sicuro, ecco che papà abbassa lo sguardo e sono pugnalata sul posto. Un gelo mi trapassa da parte a parte, mi immobilizza lì. Ora potrebbe anche uccidermi, so già che non farei nulla per impedirlo. «Vi stanno cercando.»
Sbatto gli occhi, come se non mi fossi mossa per tutto il tempo. Papà continua. «Vi troveranno tutti, tutti e otto. E per voi è la fine.»
Apro gli occhi. Non so cosa mi ha svegliato, se l’ammonizione di papà la prima volta che ho visto Johannes, se il fatto che il passato si è mescolato di nuovo con il presente. Qualcosa mi ha messo in allerta e mi trovo a stringere il lenzuolo con una mano, mentre con gli occhi cerco di abituarmi alla nuova stanza.
Mi ero dimenticata di quell’ammonizione. Quando è rientrata da quell’incontro, ho cercato di dimenticare l’uomo che ha fatto piangere mamma, di ignorare che peggiorava a vista d’occhio. Ho cercato di convivere con il mio dolore, di seppellire papà e fingere che il suo spirito non mi perseguitasse. Quando è morta mamma, ho capito che la vita non è giusta. Il dolore non serve per crescere, la fame non ti aiuta a raggiungere l’estasi. All’opposto: il dolore ti annichilisce, la fame ti fa rannicchiare a terra, stringendoti e obbligandoti a pregare perché tutto finisca.
Il sole deve essere sorto da poco, perché una leggera luce illumina il comodino. La sveglia è disattivata. Non ho la minima idea di che ore sono. So che se mi alzo, però, tutto si sgretolerà sotto i miei piedi e mi ritroverò ad affrontare solo problemi: rabbia, Philippe, Johannes, la mia stessa vita. Sento appena il mio respiro, come se tutto il mio corpo fosse concentrato, nell’atto di comprendere qualcosa che non so neppure cosa.
E poi arriva.
È improvviso, inaspettato. Un boato mi fa sussultare, stringendo di più il lenzuolo. Sono in attesa del terremoto, di uno di quelli grossi che mi lascerà secca a letto. Lo aspetto. E aspetto.
Poi un urlo all’esterno attiva il mio corpo. Mi tolgo le coperte con un balzo, correndo alla finestra. Un pallido sole sta facendo capolino, le prime persone si affacciano lungo la strada. Una strana accozzaglia di individui, alcuni vestiti solo per metà, altri che indossano un mix di vestiti da lavoro e letto.
Anche loro sono in attesa di un terremoto che, in cuor mio, so che non ci sarà.
È iniziata.
Johannes sta chiamando le anime.
Sta chiamando noi.

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Capitolo 9
*** 9 ***


9
 
 
 
          Una donna sta urlando, cercando di rassicurare il figlio che giace tra le sue braccia. Vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi, eppure non si sveglia. Qualcosa dentro di me sta lottando, si sta agganciando alla vita e non capisco cosa sia. È chiaro che Johannes sta facendo qualcosa, come è chiaro che il ragazzino tra le braccia della madre non riprenderà conoscenza. La sua anima è troppo debole e sta per essere risucchiata.
Una mano si appoggia alla mia spalla, alzo lo sguardo per scorgere Chase. È concentrato sulla strada, gli occhi verdi socchiusi in un’espressione contrariata. «È troppo presto.»
   «Quindi è vero. Johannes sta chiamando le nostre anime.»
Annuisce, colpendo con un pugno il muro. «Dannazione. Dovevamo avere più tempo.»
   «Ce l’abbiamo. Noi abbiamo ancora la nostra anima.»
Scuote la testa. «Ha iniziato. I più giovani sono crollati. Quanto credi che ci metterà a capire quanta forza ci vuole per richiamare le nostre, di anime? Più tempo … non abbiamo più tempo.»
Le belle notizie non arrivano mai sole. Guardo adirata Chase, lui ricambia il mio sguardo. Alza un sopracciglio il che, misto ai capelli arruffati, mi fa sbollire un po’ la rabbia. «Sei convinto, ora, che non abbiamo tempo? Quanto te l’ho detto io mi hai quasi riso in faccia.»
   «Sì, credo che possiamo confermare.» Non capisco mai che Chase è in parte umano. La sua parte ironica non è mai stata presente in nessuna delle sue due vite.
   «Dobbiamo andare subito dagli altri e … sono nuda!» Lo intuisco non tanto per il freddo, incolpiamo pure l’adrenalina per questo fatto, quanto per vedere i miei indumenti gettati a terra. Chase mugugna. «Pensavo te ne fossi accorta.»
No, ovviamente. Se no prima di uscire da letto avrei fatto le contorsioni per vestirmi. Mi infilo la maglia e i pantaloni velocemente, poi cerco di rifare il letto e di sistemarlo come quando siamo arrivati. L’ultima cosa che vogliamo è far scoprire ai genitori di Chase che qualcuno ha dormito nel letto del figlio. Sarebbe traumatico per chiunque. «Quanto tempo credi che occorra a Johannes per …?»
Chase prende gli asciugamani ancora umidi, portandoseli dietro e invitandomi a seguirlo. Arranco lungo la sua scia, cercando di ricordarmi se ho toccato altro. Butta gli asciugamani in un contenitore della lavanderia. «Sinceramente? Non lo so. Per Johannes è troppo presto fare un qualcosa del genere. Non può avere la certezza che le nostre anime abbiano lasciato il corpo.»
   «E se ha visto i ragazzi?»
Scuote la testa, ma vedo che il dubbio è sorto anche a lui. «No, è assurdo. Johannes non sarebbe mai uscito dall’Ordine e l’unica persona che ha visto Malachite è Julia.» Che potrebbe essere in grado di mandare a puttane tutto solo per mollare un cazzotto a mia sorella. Sì, a volte Julia può essere un’arma a doppio taglio. Chase cerca di ignorare questa eventualità. «No. Deve essere successo altro.»
Altro? Altro oltre ad avere rivelato al mondo l’esistenza degli esorcisti? Che cosa mai può succedere, ancora? Chase alza una mano, immobilizzandosi. Ci sono delle voci, ai piani inferiori. Dannazione. Chase mi prende per il braccio, il sacchetto con gli abiti di Eliza scrocchia e ci infiliamo nella stanza che abbiamo appena lasciato. Chase è impallidito, quindi so che quelli al piano inferiore sono i suoi nonni. Quelli che non vengono mai in questa ala della casa ma che, guarda un po’, ci hanno fottuti. Sillaba. «Genitori.»
No, siamo ancora più nella merda. Degli anziani puoi anche convincerli che si sono sbagliati, ma più sono persone giovani meno la pecca dell’Alzheimer si fa sentire. Dal rumore che stanno facendo, hanno appena varcato la soglia con tanto di valigie.
Chase mi fissa. No, non ho la soluzione dei nostri dilemmi dentro alla borsa.
Si porta due dita alle labbra, come se volessi fare qualcosa più di respirare in quella casa. Siamo in pericolo. Se qualcuno della nostra vecchia famiglia ci vedesse, la verità su di noi emergerebbe. In più, i nostri organi funzionano fin troppo bene. Ho quasi il desiderio di strapparmi il cuore dal petto perché sta facendo troppo rumore. Ho un morso allo stomaco al pensiero di mamma e nonna che mi vedono camminare come niente fosse per le strade. No. Non se lo meritano. Esattamente non so che fare, ma non possiamo permettere che sappiano di noi.
Chase indica con indice e medio la finestra, i calcoli li faccio da sola. Porcamerda, ci tuffiamo fuori dalla finestra. In teoria l’ho già fatto, prima che tutta la mia vita diventasse un pasticcio di rogne e casini. Tuttavia, il quartiere in questione non era alla moda, io stavo scappando da un assassino che aveva ucciso il figlioccio e Dalila aveva preso il controllo del mio corpo. Ahn, e Lubris non era ancora diventata una Città degli Spiriti. Ora, a dircela tutta, abbiamo umani comuni che vedono più di quello che dovrebbero, sono in ogni modo tutti all’esterno degli edifici perché qualcuno gli vuole prendere le anime, convinti almeno come me al principio che ci sarà un terremoto e, non da poco, il carattere istintivo di Dalila sta combattendo contro quello più idealisticamente ingenuo di Amabel.
Altri rumori, e decido che Dalila è la più anziana. Mi avvicino alla finestra e la apro. Chase controlla da uno spioncino se sta arrivando qualcuno. Se fosse, cosa facciamo? Tramortiamo i suoi? Impensabile.
L’aria mi colpisce il viso, risvegliando di nuovo l’adrenalina. Sono carica di aspettativa, come quella volta, quando scambiai Johannes per qualcuno che poteva aiutarmi. La donna che tiene tra le braccia il figlio svenuto alza lo sguardo e incrocia il mio. Anche lei è carica di aspettativa, ma nessuna persona intorno a lei sembra darle aiuto concreto. Io, all’opposto, non posso far nulla neppure dal punto di vista della sua anima.
Lancio un’occhiata a Chase, che annuisce. Bene. Sollevo la mano sinistra, mi infilo fuori dalla finestra. Sono nell’unico punto che non è coperto da alberi, cancelli, automezzi. Praticamente, tra tutte le finestre sono finita in quella che sembra un palcoscenico e io devo dare uno spettacolo, ma di nascosto. È quella la parte divertente.
Mi accuccio sul davanzale, porgendo il palmo della mano verso il basso. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Mi getto e uso le catene come scudo. Fletto le ginocchia, appoggio le mani davanti a me per attutire ulteriormente la caduta. Come se ce ne fosse bisogno. Le catene mi si sono attorcigliate intorno alle gambe e hanno assorbito l’impatto. Alzo la mano, puntandola verso la finestra. Sento un fremito, come se avessi agganciato qualcosa che non è propriamente un’anima ma neppure un essere umano. Rimango in attesa, prima di rendermi conto che altri non è che Chase. Ha agganciato la catena alla finestra, si getta imitando i miei movimenti e io tiro per chiuderla alle sue spalle. Il bello delle catene, è che non sono propriamente del mondo mortale. Certe ovvietà come il fatto che gli oggetti fisici non possono attraversare altri oggetti fisici sono inutili.
Chase mi dà un colpetto al fianco, inizio a correre lungo la sua scia. Usando le catene saltiamo il cancello, incuranti di quante persone possono guardarci. Mi tiro su il cappuccio della felpa, nascondendo quel biondo fin troppo visibile. Richiamiamo le catene e corriamo come se avessimo un mondo da cui fuggire. È quello che mi piace della corsa: il fatto che posso dimenticare tutto, concentrandomi solo sull’urlo dei muscoli quando non ce la fanno più. Apprezzo gli allenamenti con la Lowry, per quanto non posso dire di sentire la mancanza della storpiatura del mio cognome. Stimo ogni minuto in cui ho corso, in cui ho odiato il sudore. E amo che Chase si sia allenato a calcio, perché la sua resistenza è encomiabile. Ha la mia stessa andatura, anche se ho notato che non sta ansimando come me. Sono brava nella velocità, ma scarseggio nella resistenza. Stringo i denti e faccio uno scatto, obbligando a Chase seguirmi. Non sono debole. Non voglio esserlo.
Mi lascio cadere sugli scalini di un monumento, le volute di fumo che mi escono dal cappuccio. Chase prende fiato davanti a me, le mani appoggiate alle ginocchia. Passiamo inosservate davanti alle persone mattutine, incuranti del pericolo che le circonda. Vorrei dire loro di svegliarsi, ma l’ignoranza è un bene.
   «Vado a prendere qualcosa da mangiare. Avvisa gli altri che ritardiamo di un po’.» Chase mi abbassa il cappuccio fin sotto la fronte con lo sguardo serio. Sono la persona più conosciuta dai nostri nemici.
Prendo il cellulare, Warren mi ammazzerà, e digito il numero di Eliza. Mi risponde Julia al secondo squillo. «Sì.»
   «E se fossi stata qualcun altro?»
La sento sospirare. «Sarei stata la prima persona a sentire Johannes al telefono. State tornando?»
   «Abbiamo avuto dei problemi.» Meglio non dire per telefono notizie troppo sconvolgenti. Giochicchio con un filo della maglia. Uno straniero sta facendo una foto al Monumento dei Caduti alle mie spalle. «Chase si è fermato a prendere qualcosa da mangiare, poi torniamo. Voi tutto bene?»
   «Ieri sera calma piatta. Oggi Robert sta ancora dormendo. Troppe emozioni.»
È un bene che la situazione sia gestita da Julia, perché se fosse con me Robert si sarebbe già svegliato a suon di calci. Annuisco al pavimento, percorrendo mattonella su mattonella fino ad arrivare a una gioielleria, la cui commessa sta pulendo all’esterno il vetro. Rimango a fissare i suoi movimenti, il pezzo di carta che lascia un alone opaco sulla superficie prima che si asciughi. «Abbiamo esorcizzato qualche spirito. E voi?»
   «Ci scambiamo le informazioni quando ritorniamo.» C’è un qualcosa nei suoi movimenti che mi ricorda il passato. Ho visto un sacco di persone pulire i vetri, io stessa l’ho fatto, ma i suoi movimenti, quel luccichio dei gioielli posizionati sulla vetrina da un altro assistente …. «Ci vediamo dopo.»
Riattacco distratta. No, non è la pulizia del vetro che ho già visto. È la sistemazione dei gioielli, come se fossi già rimasta immobile a fissarli, come se avessi già guardato fino alla nausea un negozio.
Chase mi offre un sacchetto con dentro due brioches. La terza la sta mangiando. È ovvio che tre persone che si sono appena fermati in un bar stiano cercando la loro mercanzia. Si siede vicino a me, mentre scarto la brioches al cioccolato per prenderne una che o è vuota o è ai cereali. «Tutto bene?»
A parte che ho appena dato un morso a qualcosa che ha un gusto peggiore della carta vetrata, sì. È dalla sera prima che non tocco cibo, quindi non mi permetto di avanzare. In più ho proprio bisogno di mettere qualcosa sotto i denti per nascondere l’alito mattutino. «Sono appena arrivata a un’altra grande verità. E credo che per te sia una certezza.»
   «Illuminami.»
Proprio non so come fa a essere un figo pazzesco anche con uno sbaffo di zucchero sulle labbra. «Ci siamo già reincarnati, giusto? Voglio dire, oltre alla mia vita passata come Dalila io sono stata un’altra persona. Giusto?»
Quando Warren mi ha detto di cancellare il codice identificativo dell’orologio, sapevo come farlo, quanta forza dare, come muovermi. Anche lì al telefono con Julia, ho individuato l’unica gioielleria aperta a quell’ora. E non ho problemi con i furti, nonostante in vita non mi sia mai mancato nulla, non tanto perché sono legata al mio vizio, quanto al fatto che in passato io ho rubato. E l’ho fatto per vivere.
Chase si passa un dito, togliendosi zucchero e briciole. «Sì, ovvio. Lo abbiamo fatto tutti.» Si appoggia con i gomiti alle ginocchia, appallottolando la salvietta. Mi fa un cenno di continuare a mangiare. «Non so come funziona, ma sono certo che ci siamo reincarnati più di qualche volta. Ne ho avuto la prova quando sono andato al poligono e ho scoperto di riuscire a sparare piuttosto bene. E non mi sono mai allenato. Queste sono solo supposizioni, quindi devi prenderle con le dovute premure. Quando siamo morti, il rituale che ha fatto Johannes non deve essere andato come voleva. Se così fosse stato, le nostre esistenze si sarebbero fermate lì. Il rituale deve averci fatto entrare in una specie di “circolo”, per cui ci siamo reincarnati. Avrai notato anche tu delle caratteristiche strane su di noi, adesso.»
Annuisco, allontanando la brioches dalla bocca. «Sì. Io sono l’antenata della famiglia Wright e contemporaneamente una sua erede; sono la sorella di Malachite e la cugina di Susan; il mio passato come Dalila è il passato della mia famiglia.»
   «Non sei solo tu. Titus è un antenato della mia famiglia e io sono anche un suo nipote. Così vale per tutti gli altri. Ma c’è un’altra cosa, che devi aver notato.»
Cosa? Messa così, la figlia di Lartia e Damide deve essere anche la donna che ha messo a mondo i suoi genitori nel futuro. Noi credevamo di essere soli, ma forse qualche gene nel nostro passato c’era. Forse Titus aveva una cugina, forse Warren un fratello. Chase mi sfiora con il gomito il fianco, sorridendo. «Il sesso, Bel. Sono morto come uomo, mi sono risvegliato come uomo. È possibile che già in passato ci siamo ritrovato tutti e otto insieme, solo che non eravamo al competo. Questa è la nostra vera forma.»
E questo è decisamente disgustoso.
 
                                                             † † †
 
       Siamo appena rientrati nell’appartamento. Non so se voglio farmi la doccia per riscaldarmi o per togliermi gli abiti impregnati del mio stesso sudore. O semplicemente per cancellare nella mente una Amabel mascolina. Warren ha messo sul tavolo un sacchetto ampio, con un sorriso a trentadue denti che non mi aspettavo. Ero in attesa di rabbia, di accuse del tutto fondate per avergli rubato il cellulare, non di una pacca sulla spalla e di una strizzatina d’occhio. Capirei che fosse felice perché dentro al sacchetto che regge in mano c’è il cadavere di Johannes, ma a meno che non l’abbia smembrato, lì ci possono essere solo abiti. O qualcosa di strano, visto che di lato c’è la pubblicità di un negozio di abiti d’epoca.
Philippe abbozza un sorriso che non ricambio. Bruciano troppo le accuse. Noi stiamo mentendo alla nostra stessa famiglia. Se voglio guardarli negli occhi, senza rimorsi, dobbiamo essere degni di loro. Si meritano di più di una guerra che non sanno di dover combattere. Hanno diritto del libero arbitrio.
Eliza è seduta, intenta a mescolare del caffè. Accidenti. Con tutto il caffè che gira in questa casa, ci credo che possiamo passare notte intere a cacciare gli spiriti. È già tanto se Robert se ne sta tranquillo a dormire sul divano invece di arrampicarsi su per i muri!
   «Che facce lunghe, ragazzi.» Sbocca in un bisbiglio Jamar.
   «Sedetevi.»
All’ordine di Chase ubbidiamo. Eliza, Warren, io e Chase sulle sedie, Jamar appoggiato con il sedere sul divano, Philippe e Julia per terra. Chase sospira. «Lasciamo dormire Robert. Glielo diremo dopo.»
Non so se fa più paura il tono sepolcrale o la calma. Anche se so cosa sta dicendo, rabbrividisco. Abbiamo concordato che, a fini pratici, non occorre sapere nulla sul fatto che ci siamo reincarnati non si sa quante volte. Stroncherebbe di netto quel poco di libertà che crediamo ancora di avere. Sapere che oltre ad avere sangue esorcista, nelle mie vene scorre lo stesso sangue di Dalila mi fa solo pensare che, per quanto potessimo scappare, il nostro fato ci avrebbe sempre inseguito.
Chase si siede meglio sulla sedia, spostando con un dito la tazzina davanti a lui. «So che ci sono state accuse, in mia assenza.»
Tanto valeva puntare un’enorme freccia a indicare me e Philippe. Mi ostino a guardare davanti a me, ignorando il rossore delle guance. Il nostro capo continua. «Non mi importa i battibecchi che avete. Tuttavia, Dalila ha sempre eseguito i miei ordini. Prendersela con lei non risolverà i problemi.»
Cerco di ribattere, ma è stato così veloce che ha stretto la mia coscia sotto al tavolo con una presa ferrea che mi lascia poche via di fuga e un sacco di dolore. Vorrei colpirlo e assumermi la colpa, perché non ho mai fatto nulla contro la mia volta. E lui lo sa, dannazione.
   «Chase, io …»
Il ragazzo alza la mano, Philippe rimane congelato sul posto. Non c’è stata rabbia, ma solo gelida cortesia. Molto peggio di un urlo. «Potrai parlare quando ho finito. Malachite è la sorella di Dalila, e lei non può cambiare questo fatto. Che ci abbia venduti è più o meno ininfluente, poiché il vero artefice di tutto, come è ormai assodato, è Johannes. Malachite è stata solo una pedina. Sulla nostra morte passata, la colpa è da attribuire a Dalila non meno che a noi, se questo vi fa piacere. Personalmente, Johannes e l’Inquisitore sono i veri colpevoli, uno nell’architettare il piano, l’altro nell’ucciderci effettivamente.»
Rimane in silenzio per un minuto, lasciando la presa sulla mia coscia. Mi basta una sua occhiata per capire che se aprirò la bocca me ne pentirò. E, non per dire, sono la stessa che si è svegliata con lui questa mattina! «Secondo punto. Amabel vi ha inferto fisicamente la morte. Di questo potrei dissentire, ma è quello che è realmente accaduto. Siete andati all’incontro, Johannes voleva probabilmente solo catturarvi. Stavate già morendo. Era un dato di fatto anche quello. L’unica differenza è che Bel ha pensato all’unico modo per salvarvi dal rituale. Ha preso in mano il volante e ha fatto il gesto che ognuno di voi avrebbe fatto per gli altri. Anche qui, il colpevole, mi sembra solo Johannes. Se queste spiegazioni non sono esaustive, quella è la porta. Nessuno vi ha mai obbligato a restare con l’Ordine, nessuno vi ha detto che dovete svolgere la missione. Personalmente, io rimarrò qui, nell’esatto punto in cui sono sempre stato. E, anche questo, è un dato di fatto.»
Nessuno si muove. Positivo? Mah. Credo che siamo tutti dei pazzi masochisti. «Nessuno di noi ci ha risvegliato. Ci siamo già reincarnati in passato.»
   «Chase.» Bisbiglio, ma lui alza la mano. «Hai detto che devono sapere. La conoscenza porta con sé vantaggi e danni. Stavo dicendo: noi ci siamo già reincarnati nel passato. In altri corpi, con altre mansioni, in altre città. Solo in questo tempo, in questa città, siamo tornati esattamente come eravamo, tutti e otto. Daulus poteva risvegliarsi solo in un uomo, Sura solo in una donna. Di conseguenza, gli unici colpevoli per il nostro risveglio siamo noi otto. Ognuno di noi otto. E se è successo come nel passato, otto esorcisti in una stessa città hanno richiamato anime da tutto il pianeta. Per Johannes è stato facile trovarci. Quindi odiatevi gli uni con gli altri, accusatevi di essere nati nel momento sbagliato. Fatelo, se questo vi può far star meglio.»
Di nuovo silenzio, di nuovo nessuno prova a muoversi. Chase fa tintinnare il cucchiaino nella ceramica, facendo un profondo respiro. «Queste sono le difese alle accuse. Se ne avete altre, sarò lieto di rispondere dopo. Dalila ritiene che dovete scegliere. Qualunque cosa voi diciate, noi due abbiamo concordato che uccideremo Johannes.»
Warren alza la testa speranzoso, ma a un mio cenno ritorna a fissare il legno del tavolo. Le scelte vanno fatte una volta conosciuta tutta la verità; una decisione ignorante è solo dimostrazione di follia. «Il rituale dell’immortalità non è stato debellato. Johannes può ancora usarlo e, da una conversazione origliata, sembra più convinto che mai di poterci riuscire. Può ancora usarci per i suoi scopi.»
Jamar sbuffa, ed è il primo ad avere una reazione da troppo tempo. «E che cosa mai può volere Johannes da noi? Le nostre anime?»
Chase non risponde, io distolgo vistosamente lo sguardo. Jamar colpisce il divano con un pugno. «Ma porca puttana.»
 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
 
 
 
     «Anima? Stiamo ... stiamo parlando di quella cosa che si è agganciata al corpo dopo che siamo morti, giusto? Stai parlando di quell’anima?» Philippe ha la fronte così corrucciata che sembra uno di quei cani con tante pieghe. Quelli che mamma diceva che dovevano farsi un bel lifting.
Mi aggancio a quel pensiero quando, al silenzio di Chase, fissa me. Annuisco mordendomi il labbro inferiore. «Da quanto lo sapete?»
Chase alza una spalla. «Da quando vi ho riportati in vita.»
Adesso è Eliza a essere presa nel versante personale. «E quando pensavate di dircelo?»
   «Volevamo scoprire come fermarlo.» Biascico piano. «È per questo che ieri siamo andati all’Ordine. Credevamo che Johannes potesse aver lasciato in giro qualche appunto apparentemente senza significato per …»
   «O non vi fidavate di noi?» Replica con stizza Jamar, incrociando le braccia al petto. «Siamo morti anche noi, eppure voi due lavorate come se non ve ne fregasse nulla. Perché diavolo non ce l’avete detto?»
   «Vi avevamo detto che non è colpa di Dalila se vi siete risvegliati, eppure lascio l’appartamento per poco e mi ritrovo l’intero Ordine che l’attacca.» Chase è arrabbiato, le mani strette a pugno. «Mi ritrovo a stare con lei di notte, nella sua versione vittimista perché è certa di essere lei la colpevole della vostra morte. Credo che se le aveste detto di no, quel giorno, lei sarebbe scesa dall’auto per aiutarvi nella fuga. È troppo facile incolpare qualcuno della decisione fatta, quando voi non l’avete fatta affatto. Sì, Damide. Non mi posso fidare di voi.»
E questo fa parecchio male. Da qualunque parte la si veda. Julia ha alzato la testa e i suoi occhi sono fissi su di me. È più o meno quello che le ho detto quando ero in bagno, quando mi ha chiesto di capire Philippe. Solo che Chase è stato un po’ più diretto. «Cosa avete scoperto ieri sera?»
Intervengo, prima che Chase possa trasformare gli alleati in nostri nemici. «Il detective Ridley Scott è effettivamente l’Inquisitore, un certo Tòmas. Tra lui e Johannes non sembra scorrere buon sangue. Intuiamo che non sappia del rituale dell’immortalità, dato quasi certo a conoscenza di Malachite. Abbiamo solo una lista di supposizioni.»
Eliza si porta le mani alla testa. È prigioniera del suo stesso corpo. Non penso che pianga, le sue spalle sono immobili, ma direi che le ultime informazioni non le siano piaciute. Non siamo fuori pericolo. Continuo, implacabile. «Johannes ha iniziato a richiamare le anime.»
Warren cerca di levigare con le dita una ruga in mezzo alla fronte. «In che senso?»
   «Abbiamo sentito una sorta di boato e un risucchio, nella zona più a est dell’Hudston.» Dice Chase, disegnando con un dito una cartina invisibile sul tavolo. Prima di guardargli le dita, non mi ero accorta che la zona a est dell’Hudston, dove c’è la sua casa, è vicina all’Ordine. «L’anima di un bambino è uscita dal suo corpo.»
   «Perché non le nostre?» Chiede Philippe. Chase alza una spalla. «Le nostre … credo che sia ormai assodato che abbiamo una resistenza superiore a quella degli esseri umani normali. Quindi per strappare la nostra, di anima, occorre qualcosa di più a Johannes.»
Jamar borbotta. «Ora vomito.»
Mi alzo dalla sedia, sgranchendomi le gambe. Ridley non è a conoscenza del rituale. Johannes e Malachite, pardon … Susan, non si fidano di lui. Una diffidenza che sembra reciproca, almeno dal modo in cui ha protetto le carte da Johannes. Possiamo infilarci in questa relazione? Il nemico del mio nemico è mio amico. E cosa si dice di un vecchio nemico con cui possiamo avere dei punti in comune?
Robert è rannicchiato in posizione fetale. Ha la bocca leggermente aperta, gli occhi serrati e se ne sta immobile. Quello mi fa muovere verso di lui. L’immobilità. Quando ci siamo risvegliati, lui ha calciato come un animale per tutta la notte. Ho capito a mie spese che un atteggiamento pigro non equivale a un modo di essere pacato. Jamar corruccia la fronte, mentre mi fermo vicino a lui. «Che c’è?»
   «Robert dorme.»
È un dato di fatto semplice. Jamar alza le sopracciglia. «Credo che tutti se ne siano accorti.»
Scuoto la testa, fissandolo ancora. Una sedia gratta sul pavimento, qualcun altro si muove. «Quando ci siamo risvegliati lui calciava. Si è mosso nervosamente per tutta la notte.»
Chase si avvicina a Robert, inginocchiandosi al suo fianco. Gli dà dei colpetti alla guancia per valutare lo stato di coscienza. Ha un tono urgente. «Da quanto è così?»
   «Dopo colazione ha detto che era stanco e si buttava sul divano.» Eliza si guarda in giro. «Non so. Saranno state le otto.»
Incrocio lo sguardo di Chase: pericolo. Porcamerda. Con delle falciate mi avvicino a Robert, scuotendolo con forza. «Ehi. Oppius. Dannazione.»
La testa gli ciondola a ogni colpo, il suo respiro non si arresta, si fa anche più profondo. La mano di Warren mi compare sulla visuale, e quello che non ha fatto le mie scosse deboli deve farlo per forza il suo pugno allo stomaco. Rimaniamo in attesa, contiamo i secondi. Uno, due, tre.
   «Dove cazzo è la sua anima?»
Lancio un’occhiataccia a Philippe. Se non hanno visto loro nessuna differenza nell’atteggiamento, come può chiedere se noi abbiamo notato delle differenze? Rifletti, Bel. Pensa. L’anima di Robert non è affatto debole. Lo prendiamo in giro perché è il più giovane di noi, e neppure questa è la verità. Lo deridiamo perché Oppius è sempre stato quello più gentile, il meno appariscente di noi. Il cucciolo che si fermava spesso per riposarsi, perché il viaggio era troppo lungo, gli esorcismi troppo pressanti. È l’esorcista che ho addestrato, quello che ha pianto quando mi ha urlato che era innamorato di un uomo, aspettandosi il mio sdegno. È quello che mi ha abbracciato quando ha compreso che non capivo il problema, quando ha visto che a noi non interessava nulla di chi fosse innamorato.  È quello che ha ammesso che avrebbe voluto lasciare l’Ordine per prendere i voti. Il problema non c’è mai stato: non dovevamo amare, non dovevamo desiderare. Punto.
È lo stesso bambino, ragazzo, uomo che leggeva la Bibbia in ogni momento libero, che se non lo trovavi era certo che fosse in biblioteca, rannicchiato dietro a un qualche scaffale.
Perché lui? Cosa ha che non va? Perché non mi è stata strappata la mia, di anima? Perché sono più forte? O perché noi abbiamo dell’altro? L’unica vera differenza tra di noi sono i vizi che ci dominano. E l’unica differenza tra noi e lui è che i nostri vizi sono portati all’azione; il suo è passività pura.
Sfioro con una mano Chase. «È l’accidia.»
Il che, a conti fatto, ci è molto utile. Ci stiamo fissando, come se esistessimo solo noi. Julia si è alzata. «Il suo vizio è il problema?»
   «No.» Chase appoggia indice e medio sul collo, per sentire il polso carotideo. «Non il suo vizio. Il fatto che lui è passivo.»
   «Ragazzi, si può sapere di che diavolo state parlando?» Sbotta Jamar, frizionandosi la testa. Mi sto guardando in giro. Dov’è Sloth? Sloth, il vizio di Robert, non può andare troppo lontano. È pigro, è stanco e, per quanto possa essere entrambi, sa che il suo esorcista è in pericolo. Troppe volte ho dovuto dare ordini a Lie di starmi lontano. Ricordo le sue richieste, mentre venivo torturata.
Urlo. «Sloth!»
   «Stanco.» Borbotta piano. Guardo verso la finestra, dove sta entrando senza fatica un uomo grosso, che sembra rimpicciolire ancora la stanza. Ha gli occhi cisposi e un viso un po’ troppo da maialino. Avrebbe un aspetto buffo, se non si muovesse con fin troppa grazia. Eliza arretra di un passo per farlo passare, per quanto in un vizio altrui sia un gesto inutile, gli occhi iniettati di sangue di Sloth si concentrano su di me. «Dannazione. Fai qualcosa!»
Lui scuote la testa e Chase socchiude gli occhi. Okay: o Sloth non può aiutare Robert o non vuole. La seconda la scarto a priori, perché per quanto tra me e Lie la situazione sia combattuta, so che nessun vizio vuole il male del suo esorcista. «Sloth, hai la sua anima?»
La domanda di Chase mi giunge inaspettata, ma lo è ancora di più il gesto del vizio. Sembra raggomitolarsi su sé stesso, stringendo qualcosa al suo petto. Ha la sua anima! Mi alzo in piedi. «Devi ridargliela.»
Scuote la testa ed è terrorizzato. «Gliela vogliono strappare. Lui è tanto stanco.»
   «Sloth, non sono arrabbiata.» In parte è vero: sono furiosa con lui. Tralasciamo le sottigliezze. «Devi ridargli la sua anima. Siamo in grado di proteggerlo.»
Warren mi sta fissando. Tutti sanno che qualcosa che ho detto è pura menzogna. Sbuffo, allungando una mano. Sento un fremito quando la mano di Lie si aggancia alla mia, senza che io lo abbia effettivamente chiamato. Punto la Falce contro Sloth, che non arretra. «Sono sincera o sto bluffando? Dai l’anima a Oppius o ti esorcizzo.»
   «Insomma, Bel!»
   «Non ti intromettere, Eliza. Dimmi, Sloth: sono sincera o mento?»
Mi sta fissando, con le mani premute al petto. Voglio bene a Robert. E lui non vorrebbe che la sua anima fosse al sicuro, se questo significa essere protetti da Sloth. Sono certa che lui vorrebbe combattere. Come quando è venuto a scuola, per accertarsi se poteva fidarsi di me, lui non vorrebbe essere lasciato fuori dalla questione. Se sono stata accusata da vittimismo da Chase e l’ho convinto che dobbiamo fidarci degli altri, voglio che siano tutti e otto gli esorcisti. Tutti quanti.
Sloth scuote la testa. «Voi non capite. Gli aveva quasi preso l’anima.»
Stringo la mano intorno alla falce, Warren mi blocca il polso e Philippe si frappone tra me e Sloth. Mi sta fissando. «Se uccidi un vizio, uccidi l’esorcista.» Lo so. «A te importa di Robert. Importa anche a noi.»
Julia ha stretto una mano a pugno, sollevandola ad altezza volto. «E ora l’anima.»
Sloth si muove con passi malfermi. Si inginocchia vicino a Robert e non riesco a comprendere cosa ci lega. È chiaro che ogni esorcista è legato al suo vizio, ma perché quei vizi sono legati a noi? Vedo lo stesso sguardo di quando Lie si preoccupava delle mie ferite alle gambe, la stessa espressione che equivale a più dell’affetto tra due conoscenti. Sloth apre leggermente le labbra di Robert, soffiando dell’apparente aria nella sua direzione. Robert emette prima un gemito, poi cerca di allontanare il fiato dai suoi capelli. Quando apre gli occhi, è scandalizzato. «Sloth!»
Il suo vizio cerca di farsi piccolo, con scarsi risultati, e Warren lascia il mio braccio. Lie ritorna alla sua forma semiumana, sgusciando lontano da tutti come se non si fosse mai trasformato. Lo vedo scivolare nella stanza da letto, ripromettendomi che prima o poi noi due dobbiamo parlare.
   «Oppius, mi hanno obbligato.» Borbotta piano Sloth, strusciando le mani sulle gambe. Che diavolo di vizio ha? È chiaro che Robert è ancora scombussolato. Chase è ancora inginocchiato vicino a lui, io, Warren e Philippe gli troneggiamo al fianco. Gli altri tre stanno valutando la situazione.
Anche il suo vizio si allontana, quasi incespicando sui suoi pieni, fino a nascondersi sotto la tavola. La prima impressione che ho avuto su di lui sembra essere confermata: è un grosso orso.
Robert sbarra gli occhi. «Ragazzi, Johannes può richiamare le nostre anime!»
   «Sì, lo sappiamo.» Borbotta laconico Jamar, sedendosi sul divano. Chase sta cercando di controllare le condizioni fisiche di Robert, aprendogli bene gli occhi per vedere qualche segno di ecchimosi, presumo. E il ragazzino sta dando prova che non ne vuole sapere. «No, sto bene.»
   «Ti hanno quasi strappato l’anima. Dichiarati fortunato che Sloth l’ha presa.» Dalla cucina, il vizio abbozza un sorriso, ritornando poi nella sua posizione rannicchiata. Chase scosta la mano di Robert, controllando il polso e confrontandolo con il suo. «Ragazzi, no. Dovete starmi a sentire.»
   «Sai, ragazzino, che non pensavamo di esserti così tanto affezionati?» Borbotta Philippe, passandogli una mano sui capelli e arruffandoglieli. «Sul serio. Non siamo mai stati tanto uniti come adesso.»
   «Oh, beh. Grazie, credo.» Borbotta Robert. Cerca lo sguardo di Chase, poi il mio. Siamo gli unici due che non sorridono, che stanno ancora metabolizzando quello che è successo. Se ci addormentiamo, ci possono strappare le anime? Se Sloth non fosse stato così veloce, saremmo ancora tutti e otto? «Chase, Johannes può strapparci le anime.»
   «Lo sappiamo.» Cantilena Philippe, infilandosi le mani in tasca.
   «Anche che le nostre anime verranno trasferite a dei nuovi esorcisti?»
No. Questo non lo sapevamo.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
 
 
 
        Chase si alza in piedi, lisciando con le mani le pieghe dei pantaloni. «Come hai detto?»
Robert scuote la testa, scompigliandosi i già arruffati capelli. «Non lo so. Ecco, io stavo dormendo. Cioè credo. Non mi è chiaro cosa è successo, però a un certo punto sentivo la voce di Johannes che mi chiamava. Volevo andare da lui, mi diceva che andava tutto bene e che tutto si sarebbe sistemato. Poi ho sentito un’altra voce, che mi ha detto che mi offriva il suo corpo. E lì mi sono un attimo insospettito.»
Un qualcuno ha offerto il suo corpo a un’anima? Chase mi sta fissando e ha capito molto più di me. Julia si intromette con voce tagliente. «Lo state facendo di nuovo.»
Distolgo lo sguardo, lei incrocia le braccia al petto e sbuffa. «State comunicando e vi siete dimenticati di noi. Avevate detto niente segreti.»
   «Segreti?» Chiede Robert, confuso.
Scuoto la testa. «Julia, non so niente.»
   «Ho bisogno di parlare da solo con Bel. Sì, riguarda la questione. Quando mi sono confrontato con lei vi diremmo.» Chase fa un passo e la mano di Philippe lo blocca. «No. Ora parli con noi.»
Chase si passa la lingua sulle labbra e lo sguardo che lancia a Philippe è gelo allo stato puro. «No. Vi ho detto quale sarà la nostra scelta. Sei così bravo a incolparla di avervi uccisi, ma non altrettanto da prendere una decisione. Cosa vuoi fare? Sei un esorcista o rifiuti la tua natura e torni a essere umano?»
   «Non è una scelta.»
   «Lasciami il braccio, Daulus, e scegli. Se quando rientriamo avete preso una posizione e smettere di incolparci, allora ve lo diremo.»
Philippe lascia il braccio, facendo arretrando di un passo. Chase mi prende la mano. Ce l’ha sudata e sento il suo battito tra i polpastrelli. È fredda, nonostante si sia mosso fino a poco fa, e sento le vibrazioni del suo corpo. Ha capito molto più di quello che ho capito io. Usciamo dall’appartamento, mi trascina lungo il corridoio fino alla terrazza in cui solo la mattina prima l’ho aspettato. È passato pochissimo dal nostro risveglio, eppure mi sembra che tutto si stia muovendo molto più veloce di noi.
Lascia la mano non appena la porta si chiude alle mie spalle. Si porta le mani alla testa, passandosele tra i capelli. Quando mi guarda, vedo sofferenza. «Ha bisogno dei corpi per il rituale dell’immortalità.»
Corpi che non ha, se non erro. Corruccio la fronte e lui sbuffa contrariato. «Bel! Richiama le anime per metterle dentro a dei corpi.»
   «Problema di quei corpi.»
Lui annuisce. «Giusto. Se non fosse che sono le nostre, le anime. Dentro a un corpo siamo noi che diventiamo consapevoli.»
Porcamerda. «Non può farlo. Noi … noi abbiamo già un corpo.» Per la prima volta mi sento affezionata a ogni sua parte: dalla piattezza del seno, all’altezza microscopia, alle ustioni. Ogni parte di lui mi sembra importante. Non voglio trovarmi all’interno di … «Oddio. Quelli che abbiamo incontrato, che lavorano per Johannes. Sono loro i corpi in cui ci vuole mettere?»
Alza una spalla. «Chi può dirlo?»
   «Perché farebbero una cosa del genere? È … è un suicidio.»
   «Conosciamo Johannes. Ha convinto anche noi di molti fatti, siamo stati i suoi pupilli per anni. Credi che non abbia il potere di convincere qualcuno di sacrificarsi per un bene superiore?»
Ci credo eccome. «Dobbiamo dirlo anche agli altri!»
Annuisce. «Lo so. Dovrai farlo tu.»
   «Io? Sei tu il capo. Perché?»
Sospira. «Non voglio che vengano con noi.»
Sono costretta a ridere. «Molto divertente, Chase. Non puoi impedirglielo.»
   «Lo so. Sono consapevole che ci sono questioni al di fuori della mia gestione. Ad esempio, so già che se ti ordinassi di rimanere al sicuro con gli altri, mi manderesti al diavolo. E verresti in ogni caso.» Ha perfettamente ragione, con la sola eccezione che mi preoccuperei pure di fargli del male per aver pensato a una cretinata del genere. Lui continua. «Se gli parli tu, invece, potrebbero non voler venire.»
   «Gli direi la verità. Avrebbero libera scelta.» Il suo sguardo è divertito. Merda. Io sono l’esorcista della menzogna. Da una persona del genere non ti aspetti la verità. Ti aspetti bugie. Se io gli dico la verità, ovvero che Johannes ha intenzione di piazzare le nostre anime dentro a degli altri corpi, più gestibili, potrebbero credere che menta. All’opposto, se mento non faccio altro che avvalorare la loro tesi. È sempre stato questo il punto della questione. Fidarsi o meno di me? Apro la bocca. «Sei uno stronzo!»
   «Sono l’unico che sa quando dici la verità.»
Mi ha chiamato fuori in modo che gli altri sospettassero di noi. Faccio un respiro profondo. «Non puoi proteggerli, Chase. Se Johannes vuole le nostre anime le otterrà. Con o senza la loro partecipazione.»
Mi prende il mento tra le dita. «Non perderò i miei compagni. E non permetterò che ti accada nulla. Sono vostro responsabile.»
Mi scocca un bacio in bocca, più per avvalorare la sua presa di posizione che per un atto di puro affetto. Lascia la presa, aprendo la porta per ritornare dagli altri. Sono combattuta. Il corpo inerme di Robert, senza anima, è un monito abbastanza esaustivo. Tuttavia, sono convinta della libera scelta. E mi fido di loro. Di ognuno di loro, anche di chi mi ha sempre detto che sono inaffidabile, anche di Philippe che ha creduto che li fossimo stati noi a riportarli in vita. Credo nella libera scelta ma, soprattutto, credo nell’unità del nostro Ordine. «Ti odio.»
Chase alza una mano. «Questa so che è una menzogna.»
Detesto che mi cammini davanti perché, anche se sono arrabbiata con lui per il modo in cui usa i miei difetti, il mio sguardo segue il profilo dritto della sua schiena e si sofferma in quella sua vecchia tuta, recuperata a casa, che gli fa un sedere perfetto. Sì, odio la sua perfezione fisica. Masochisticamente, amo pure il suo carattere subdolo.
Chase apre la porta dell’appartamento, facendomi entrare. Mi accorgo appena che gli altri hanno preso posto. Alle mie spalle sento la sua voce. «Bel vi dirà tutto.»
Mi stanno fissando. Faccio un respiro profondo, cercando di cancellare il pensiero del perché debba parlare proprio io. Distrattamente mi mordo il labbro inferiore. Il sangue sulle labbra dà avvio alle mie parole. «Siamo convinti che Johannes voglia le nostre anime per inserirle all’interno di persone di sua scelta. Di fatto, con un altro corpo potrebbe indurci di nuovo a morire come nel passato e così facendo compiere il rituale dell’immortalità. E noi ne saremmo consapevoli.»
Chase abbozza un sorriso. «Potrebbe mentire.»
Gli lancio un’occhiataccia. Già senza la sua puntualizzazione avevo il sospetto che non mi credessero. Messa così, ho mentito di sicuro. Julia interviene. «Sono con voi.»
   «Non sai neppure se ha mentito!» Ribatte Jamar.
Scuote la testa, avvicinandosi alla finestra. «Non mi interessa. Mi fido di Bel. So che Chase non ci vorrebbe mai vicino in una missione suicida. Non mi interessa nulla. Di tutto quello che è successo, mi sono sempre fidata di loro e non mi pento di nessuna delle scelte. Sono con voi.»
Philippe è seduto tra Robert e Jamar sul divano. Si sta guardando le unghie con un’attenzione quasi morbosa. «Anch’io.»
Jamar sbuffa. «Messa così, che cazzo ho da perdere? Ci sono anch’io.»
Te l’avevo detto, Chase. Io credo nel nostro gruppo.
E dal sorriso che hai appena accennato, ci credevi anche tu.

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Capitolo 12
*** 12 ***


 
12
 
 
 
    Eliza si passa una mano tra i capelli, sciogliendo dei nodi con le dita. «Ora che abbiamo messo in chiaro la nostra pazzia, come ci muoviamo?»
Sono convinta che Chase sapesse che il suo piano non andasse a buon fine, con o senza il mio coinvolgimento, perché per uno che è costretto a veder morire i suoi compagni ha l’aspetto sicuro. Schiocca la lingua nervoso. «Ci serve del tempo per mettere a punto un piano.»
   «Tempo che non abbiamo.» Pigola Robert. Si massaggia il petto, esattamente come Sloth se lo teneva. Guardo il vizio seduto a terra. Sta canticchiando a labbra strette una canzoncina e, quando sente il mio sguardo, alza gli occhietti e mi guarda pieno di curiosità. Sì, sono più che convinta di dover parlare con Lie.
Chase si appoggia al piano cottura, incrociando i piedi. «Con qualche rischio possiamo ottenere qualche giorno. Se Johannes sta cercando di richiamare le nostre anime è perché non sa che siamo vivi. Se lo sapesse … ecco, credo che sarebbe del tutto impreparato.»
Warren alza un sopracciglio. «Andiamo all’Ordine?»
Non so se il tremito della sua voce è dovuto all’agitazione o se sia più eccitato di compiere un qualcosa di così drastico. Mi mordicchio un’unghia. Certo, possiamo andare all’Ordine, ma non è una soluzione. Abbiamo bisogno di tempo per stilare un piano, ma le nostre anime sono sempre in pericolo. Pensa, Bel, pensa. Quell’idea, pazza, sta prendendo forma nella mia mente. Porca. So pure come metterla in pratica, che parole usare, ma dirlo agli altri? Guardo Chase, ancora concentrato al pavimento. «Andiamo all’Ordine.»
   «Bene.» Sbocca Warren, prendendo il sacchetto dal tavolo. «Ho qualcosa per l’occasione.»
 
                                                             † † †
 
      Siamo completamente pazzi. È l’unico pensiero sensato che riesco a collegare. Siamo pazzi perché stiamo andando all’Ordine, volontariamente e convinti pure che sia un buon modo di ottenere tempo, e lo siamo ancora di più perché stiamo scegliendo l’auto. Cammino tra quelle parcheggiate, puntando in quelle grandi ma non troppo appariscenti. Ho già scartato una bianca e una grigio metallizzato. Ora credo di aver scelto la mia bambina. Mi inumidisco le labbra con la lingua, guardando attraverso il vetro oscurato. È una classica macchina a cinque posti, con un ampio bagagliaio. Sul sedile posteriore ci sono delle semplici carte. Warren, non molto lontano da me, sta sbavando su un qualcosa a quattro ruote che, a meno di non essere così ignorante, non può contenere più di due persone.
Picchietto al finestrino. «Lie, aprimi la portiera.»
Con uno sbuffo il mio vizio attraversa il metallo, sedendosi nel sedile davanti. Sblocca la sicura e io mi intrufolo dentro. Non l’ho mai fatto, ma qualcosa mi dice che è una menzogna. Mi piego sul volante, con Lie seduto nel sedile del passeggero. Okay, sento dei fili. Mi devo preoccupare per il fatto che ho scelto una macchina di un modello vecchio, in cui ero certa che le mie esperienze passate mi potessero essere d’aiuto? Giro la testa per guardare Lie. «Mi faccio paura da sola.»
Lui alza le spalle. «Muoviti, Dalila.»
Ho preso una leggera scossa ai polpastrelli. Stringo i denti. I miei piedi si muovono senza che io abbia la benché minima idea e il sedile romba. Abbiamo un’auto. Chase si appoggia alla portiera aperta, reggendo tra le mani una pistola. Ho avversione per le armi da fuoco, più per trasmissione genetica che per aver subito veri e propri danni. Non credo nell’omicidio, per quanto davanti a Johannes o a uno degli altri due le mie convinzioni siano inutili. Sta controllando se ci sono pallottole.
   «Credevo che andassimo là solo per prendere tempo.»
   «Precauzioni.» Ammette.
Abbiamo passato l’intera giornata a sistemarci per l’attacco. Il che significa che sono uscita di casa e ho rubato un po’ di soldi per beni di prima necessità, e per della biancheria. Abbiamo la convinzione di tornare all’appartamento. Il frigo è pieno di cibo, Eliza avrà bevuto una decina di caffè e la vedo vicina a Warren, nel tentativo di spiegargli che non possiamo prendere un’auto così vistosa. Maschi.
Abbiamo deciso di prendere tre auto, guidate rispettivamente da Philippe, Warren e Chase. Sinceramente non abbiamo pensato a quando sferrare il nostro attacco all’Ordine. È naturale muoverci di notte. Quando tutti dormono, noi possiamo essere certi di passare inosservati. Chi mai guarderebbe un gruppo di otto ragazzi, dai quindici ai trent’anni, che si muovono in maniera furtiva di notte? La domanda è molto ironica e credo di essere invidiosa di Philippe e Eliza: sono gli unici due vistosamente grandi. Anche Warren, per quanto massiccio, ha inconfondibilmente l’espressione di un poco più che ventenne.
Chase mi fa cenno di passare al sedile del passeggero e, con il cambio e il freno a mano piantati nella schiena, riesco a spostarmi. Lie è passato alle mie spalle e è impegnato in una discussione senza parole con Arrogance. Controllo il vano portaoggetti. Assicurazione, carte, fazzoletti, un blocco per gli appunti, il navigatore. Prendo l’ultimo oggetto in mano, soppesandolo. Okay, sono crudele, ma un oggetto del genere, se ben piazzato, può far fruttare qualcosa. E noi siamo al verde.
La portiera del passeggero si apre, Robert fa capolino con Sloth. «Lie, vai nel bagagliaio.»
   «Sono uno dei vizi più vecchi!» Rimbrotta, con quello che definisco il suo orgoglio troppo umano. Robert sghignazza quando ripeto l’ordine e Lie è costretto a eseguire. Per quanto stretto possa stare, è impensabile una disposizione diversa. I nostri vizi devono stare con noi, sono i nostri punti di forza e allo stesso tempo le nostre debolezze. Non mi allontano da Lie, se non strettamente necessario. Robert si appoggia al mio sedile. Sento un leggero odore di sudore e di deodorante. «Warren vuole una decapottabile.»
Chase si è infilato la pistola su una tasca del mantello. «Philippe?»
   «Loro sono già in auto.» Indica un punto davanti a noi, oltre a Eliza che colpisce al petto Warren. Trattengo a stento un sorriso quando lo tira per le orecchie e si avvicina a un’auto. Con un tirapugni rompe il vetro e si infila nell’auto, trascinando con sé il ragazzo contrariato. «Julia ha deciso di andare con loro. Ha detto che tra Eliza e Warren sembra esserci qualcosa e non vuole fare la terza incomoda.»
Dubito profondamente che sia quello il motivo. Sospetto di più che abbia detto una frase del genere per indurre Robert a non venire con noi. Tra Eliza e Warren non c’è proprio nulla. Mi porto i capelli davanti al viso per nascondere il rossore. Chase sorride. «Andiamo.»
L’auto scivola lungo la strada, altre due seguono la nostra scia. Appoggio il navigatore per terra, per ricordarmi di recuperarlo dopo questa nottata. Sì, sono del tutto convinta che ne usciremo vivi. Beh, qualunque cosa siamo in questo momento.
Mi sento tutto sommato bene. Molto meglio di come mi aspetto, in verità. Mi sono tolta la tuta e quelle dannate scarpe da funerale. Sotto indosso dei pantaloni neri, piuttosto stretti alle gambe così da essere quasi una seconda pelle, e una maglia stretta al collo. Il mio bacino ci naviga, ma quando l’ho presa avevo poco tempo. Ho optato per un colore nero, il resto non mi importava. Sopra a tutto, Warren ci ha fatto un regalo. È stato molto gentile, perché tutti conosciamo la sua avidità. Abbiamo tutti otto mantelli, semplici e con il cappuccio. Non molto dissimili di quelli usati nella nostra vita passata, se non che non sono così logori e pesanti. Mi sta a pennello, se l’intenzione era quella di avere pure lo strascico. Abbiamo tutto l’aspetto di esorcisti.
Usciamo dalla città, tiro appena giù il finestrino per annusare l’aria. Sa di pioggia e neve. La temperatura è sotto zero, una patina bianca ha ricoperto i bordi della strada. La guida di Chase è sicura e non sbandiamo. Imbocchiamo il sentiero per il bosco, quello che solo la sera prima ce lo siamo fatti scarpinando. Ho contato ogni sassolino incontrato, cercando di dimenticare che la meta era ancora lontana. Tutte e due le volte.
Parcheggiamo davanti alla cattedrale. Ci sono un sacco di auto, per essere così tardi. Chase sospira. «Andiamo.»
Ci muoviamo come un sol uomo. Ho iniziato a odiare la cattedrale. L’impressione di esservi legata aumenta a ogni passo. Prima o poi, distruggerò pezzo per pezzo questa brutta copia. C’è un qualcosa che mi fa male, un qualcosa che è sbagliato. Anche solo il camminare tra Chase e Warren, precedendo gli altri, anche solo quei semplici gesti mi sembra che qualcosa sia sbagliato. Li sto portando a morire? Posso comprendere la paura di Chase, il fatto che ci voglia il più lontano possibile, ma credo in noi. Credo nella libera scelta. E credo che, dopotutto, loro sceglieranno ancora noi.
Ci introduciamo lungo il corridoio. C’è stato un tempo, in un palazzo simile a questo, in cui avrei chiamato quelle mura casa. Mi piaceva camminare, al ritorno da una missione, crogiolandomi in un silenzio senza spiriti e richieste, cercando di vivere quel poco che mi era concesso come una persona viva. Adesso, non mi è rimasto nulla.
Chase apre la porta: la stanza degli esorcisti è gremita di elettricità. Sguscio davanti a lui, precedendo i miei stessi compagni. Sa di incenso e abiti sudati. Sono seduti tutti, ad eccezione di Johannes e, in un angolo, Susan. La vedo impallidire mentre incrocia il mio sguardo. Sì, sono più che convinta che abbia visto il mio cadavere. Un ultimo saluto alla sua cara cuginetta. Posso anche vederla fare qualche lacrima, giusto per ribadire che la nostra famiglia è sempre unita nel dolore.
Retrocede di un passo e, nello stesso momento in cui aggancio la mia mano a quella di Lie, lei esce dalla stanza. Un problema alla volta. Sanno di noi, perché non sono intimoriti dalla Falce. Li vedo solo leggermente perplessi. Sì, in effetti siamo tornati dal mondo dei morti. Tutto prevedibile.
Chase è stato chiaro. Lui parla, gli altri eseguono gli ordini, io impedisco che qualcuno faccia delle mosse sconsiderate. Come se fossero in grado di recarci danni.
Padre Samuel è pallido e ha gli occhi sbarrati. È seduto nella sedia di Daulus. Sì, posso supporre che l’invidia è uno dei suoi vizi. Al mio posto c’è un uomo massiccio, l’unico che si è alzato in piedi alla vista della Falce e che ora si sta muovendo per venirmi incontro. Non vedo altra somiglianza tra di noi, se non che entrambi respiriamo. Ha gli occhi nocciola, così scuri che il mio stesso mantello sembra perdersi alla sua vista. È alto dove io sono bassa; è massiccio, dove io sono magra. Non abbiamo niente in comune, per cui non so perché quello dovrebbe essere il possibile contenitore della mia anima. Qualcosa ribolle al mio interno.
No.
Sferzo l’aria e un taglietto cremisi si forma sopra il colletto della sua camicia. Oh, guarda. Ho appena graffiato il collo di quello in cui la mia anima dovrebbe entrare. Mi sento colpevole? No. Lo voglio rifare? Senza dubbio.

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Capitolo 13
*** 13 ***


13
 
 
 
      Johannes deglutisce. «Io …»
   «Sei sorpreso di vederci.» Replica piatto Chase. La stanza è debolmente illuminata, quindi di noi vedono solo i volti pallidi. Siamo avvolti in quei mantelli antichi, io reggo ancora la Falce e l’uomo che ho ferito si tiene il collo. Adesso hanno paura di noi.
Johannes abbozza un sorriso. Gli si congela quando Chase alza una mano. «Smettiamola di giocare, Johannes. Sei deluso che siamo vivi. Non ti preoccupare. Siamo solo tornati per te.»
   «Negromante.»
Annuisce. «Hai sbagliato a dirci che ce n’era uno in città.»
Un piccolo sbuffo, poi Johannes retrocede di qualche passo, appoggiando la schiena alla parete. Mi aspettavo negazioni, urla, rabbia. Quello che mi lascia perplessa è il silenzio. Non c’è sorpresa, non c’è nessuna emozione se non una placida curiosità. Inclino la testa da un lato. Non sento menzogne. Con la coda dell’occhio osservo Julia, anche lei perplessa all’interno del suo corpo. Non c’è neppure rabbia.
Lui ci stava aspettando? Impossibile. Abbiamo notato la sorpresa, di conseguenza non poteva sapere di noi. Quello che di nuovo mi lascia perplessa è la sua mancanza di reazioni d’attacco. Lo sto guardando, alla ricerca di una qualche traccia di pericolo, la Falce ancora sollevava. Sorride. È poco più che un accenno con le labbra, abbastanza pericoloso da obbligarmi a stringere l’arma. Sorride? Ha quasi strappato l’anima a Robert, e sorride?
   «Dalila.»
Chase mi chiama, mi irrigidisco nella mia posizione. Non mi sono accorta di aver accennato un passo. Non mi sono accorta che ho alzato Lie per attaccarlo, né di essermi legata così tanto alla sua mente che sono un tutt’uno con lui. Ho il desiderio di ucciderlo. Al diavolo il fatto che non sono un’assassina, che non sono come lui. Lo odio.
Con la coda dell’occhio vedo Chase fare un piccolo cenno con il capo. Arretro di un passo, mordendomi a sangue l’interno della guancia. L’odore di metallo mi colpisce al naso e, dove non mi hanno raggiunto le parole, lo fa il sangue. Nulla legato a quello può darmi sollievo. La morte non è mai la fine di qualcosa. L’ho provato a mie spese. Per persone come noi, c’è sempre un modo in cui tornare.
Il sospiro accondiscende di Chase fa scattare un’altra reazione, ben prima della pronuncia del suo nome. «Lartia.»
La mia amica si avvicina al tavolo degli esorcisti. Le sedie troppo vicine a noi grattano sul pavimento e delle persone si alzano per fuggire. È divertente. Si direbbe proprio che non hanno molto desiderio di avere a che fare con le nostre anime, ora come ora. Julia alza il pugno e capisco il perché si è offerta volontaria quando abbiamo deciso di prendere parte del rituale che è trascritto sotto al nostro tavolo. Fisicamente, Warren è quello che dimostra più forza. È il classico palestrato. Tuttavia, Julia riesce a toccare corde della forza che noi non possiamo neppure immaginare. Sono convinta che con la sola forza data dalla sua ira, pure il più forte di noi soccomberebbe. Sferra un pugno al tavolo con tanta violenza che la sua pelle si scheggia. Si scheggia come carta, ricordandoci che è umana. Dopotutto, lo siamo ancora. Un secondo colpo inclina il tavolo e questa volta Warren le va in soccorso, colpendo vicino a lei. Il tavolo si spezza di netto, nel punto in cui io so che c’è la parola “immortalitas”, dove le nostre vite sono state segnate prima di sapere che i nostri nemici erano le persone più vicine. Con la punta del piede, Philippe gira i pezzi di legno, calciando quello con la scritta che ci interessa. Non ci serve. È semplicemente un modo per dire a Johannes che lo sappiamo. Robert lo prende stringendoselo al petto come un peluche, come Sloth ha stretto la sua anima per impedirne la dipartita.
Chase abbozza un sorriso, inclinando la testa. «Molto bene. Scusate per avervi rovinato il tavolo. Semper fidelis, Johannes.»
È come se lo avesse pugnalato. Johannes sbarra un po’ gli occhi, Chase inclina la testa e si sposta dalla porta. Arretro di qualche passo, convergendo la mia attenzione su di loro. Finché non ho la certezza che tutti siano usciti, non lascio la presa. La mano di Chase mi sfiora il fianco. Distolgo l’attenzione quel tanto da vedere il verde dei suoi occhi concentrati su di me. Una manciata di secondi, una toccata per farmi capire che è il momento di ritirarci. Esco dalla porta con un inchino sgraziato, mentre Chase la chiude dietro a noi. Le mani gli tremano impercettibilmente. Non abbiamo fatto nulla, eppure abbiamo rischiato molto.
Julia si sta tenendo la mano insanguinata tra la stoffa del mantello. Anche quello, mostrare che siamo deboli e allo stesso tempo far vedere che la nostra forza è superiore alla loro, anche quello era calcolato. Lascio la Falce, Lie ritorna alla sua forma fanciullesca. Mi ritrovo a fissarlo negli occhi, chiedendomi quanto di quella situazione non gli piacesse. I nostri vizi, in fondo, vogliono la nostra vita, no? Per loro, quel rischio gratuito è come tradire ogni principio? Lie mi sorride. «Sì.»
   «Non è il momento di tergiversare.» Eliza si massaggia le spalle in maniera nervosa. Jamar le passa una mano sulla schiena, in modo rassicurante. Quella vista è tenera. Mi ricorda un po’ me quando Edward ha il mal di pancia. Che cosa diavolo stiamo facendo?
Philippe mi urta con la spalla, scuotendomi dal mio torpore. Abbozza un sorriso solo per me. «Andiamocene.»
Annuisco, infilando le mani in tasca. Warren ha rubato dei pugnali. Sentire la fodera di pelle comprimere al mio fianco, in un certo senso, mi rassicura. Non fa nulla con gli spiriti, di certo non la userò con i mortali ma il solo sapere che potrei fare qualcosa, solo quello mi fa sperare.
   «Ci inseguiranno?» No, non lo credo. Il solo fatto che Jamar lo chieda, però, mi fa dubitare. Ci sono tante cose che avevo dato per scontato e che ora sono state distrutte. Troppe. Ho bisogno di ritrovare me stessa, di ritrovare la piccola Amabel che parlava di stupidaggini a scuola, che rideva insieme a Mary. Non mi riconosco. Io non sono quella che sta camminando, stringendo un pugnale in tasca, con un mantello per ricordarsi tempi passati. Non sono così. Dannazione. Io non voglio essere così.
C’è un movimento e mi immobilizzo. Warren mi imita, corrucciando la fronte. A seguire, anche gli altri si bloccano guardando alternativamente me e lui. C’è qualcosa, che Warren ha appena percepito. Un qualcosa che ho sentito solo una volta, in questa nuova vita. È un brivido che non è un brivido, una certezza che si mescola al dubbio, un ricordo che provoca dolore.
Guardo alla mia sinistra, dove c’è un angolo del corridoio buio, nascosto appena da un telo. Tolgo la mano dalla tasca, sorprendendomi nel maneggiare il pugnale con tanta disinvoltura. Scuoto il telo e, rannicchiata in posizione fetale, si trova Susan. Ha gli occhi sbarrati. È debole. Ha paura.
Dovrei sentirmi preoccupata per lei, chiedermi il perché le faccio quella reazione. Poi ricordo. Lei ha visto il mio cadavere. Lei ha sorriso alla mia famiglia mentre minacciava Chase. Lei ha ucciso Mary.
È semplicemente istinto. Sono piccola quanto lei, sono magra come lei. Abbiamo la stessa corporatura, la stessa altezza. Ho la certezza che, in altre circostanze, noi saremmo state molto unite. Avremmo finito l’una le frasi dell’altra, saremmo state come sorelle. Perché ci sono relazioni che non puoi cancellare. Io sono sua sorella.
Con la mano libera le prendo i capelli tirando. Con un gemito si alza in piedi e la spingo contro la parete. Sa di sudore e menzogna. Ogni poro della pelle mente. La sua stessa esistenza è una menzogna. «Dalila.»
Premo il coltello nella gola di Susan. Un rivolo di sudore le scende lungo la tempia, un rantolo mi chiede se la potrei uccidere. Le sorrido. «Ciao, sorellina.»
Susan ha le pupille ridotte a capocce di spillo. Premo il gomito al suo petto, bisbigliando. In quel luogo, anche i muri hanno orecchie. «Non ti preoccupare. Se avessi voluto ucciderti lo avrei già fatto. Al momento voglio che tu viva. E vivendo, ricorda che sei in debito di otto vite. Sai, sorellina, avrei anche potuto comprendere il tuo rancore, seicento anni fa. Sociopatica come eri, sono stata stupida a non giustiziarti io stessa. Ma ci hai ucciso di nuovo. Tu e Johannes pagherete per questo.»
   «Io …»
Il coltello la ferisce alla gola. Poco più di un graffio, solo per farle capire che non c’è pietà. «Vedi, sorellina. Sei in debito di otto vite. Per me significa che per sette volte tu morirai e io ti riporterò indietro. Per sette volte desidererai morire, e lo farai. All’ottava, verrò io da te e ti accompagnerò alle porte dell’inferno. Ricorda, Malachite.»

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
 
 
 
            Nessuno parla. Cosa dire? Ho minacciato Susan e il pugnale è segnato con il suo sangue. Ho paura dei giuramenti di sangue, perché c’era un tempo in cui valevano più di un contratto scritto. Era vincolante. E io ho legato la vita di Susan alla mia. In un certo senso, l’anima di Malachite mi appartiene.
Usciamo dalla cattedrale, un brivido mi percorre la schiena. Chase mi passa un braccio sulla spalla, obbligandomi a camminare al suo fianco. Io non sono così. Ho davvero bisogno di trovare me stessa.
Mi siedo in auto. Mi trovo da sola con Chase. E i nostri vizi, ma quelli sono solo parti di noi, quindi in effetti siamo soli. Mette in moto con calma. Nessuna urgenza nello scappare, perché noi abbiamo finito. Abbiamo finito di fuggire, abbiamo compiuto la nostra mossa. Johannes cercherà di portarci via le anime questa notte? No. Ha visto che siamo vivi, per quanto questa parola non rispecchi più la nostra natura. Può aspettare. Possiamo permettere di goderci questa misera vittoria. I suoi subordinati, perché di questo si tratta, avranno un po’ più di giudizio. Strappare un’anima a persone che vivono è sempre un omicidio.
Appoggio la testa al finestrino. Il mio fiato appanna il vetro. La mia immagine velata è la visione di come sono. È così che mi sento. So che ci sono io, da qualche parte, ma ho bisogno di sapere. Sto facendo la scelta giusta? Perché continuare a lottare contro Johannes?
   «Ho bisogno …» Di cosa? Di più tempo? Di stare sola? O che lui non mi lasci? Di cosa ho bisogno in questo momento? Cosa non posso assolutamente perdere? Chiudo gli occhi.
   «È difficile.» Riassume lui.
No. Il compito di algebra è difficile. Fare una gara di corsa senza essersi allenati in modo appropriato è difficile. Quello che mi sta chiedendo è impossibile. Mi inumidisco le labbra. «Devo dirgli addio.»
   «I morti non devono farsi vedere.»
Che brutto. Ed è vero. Sono morta. Non posso andare da mamma e mio fratello, salutarli come niente fosse e scomparire dalla loro vita. Non posso. Eppure non voglio che tutto finisca così, che di me non rimanga altro che una tomba vuota e un segnaposto con solo il mio nome a tavola. «Chase, ti fidi di me?»
Sospira e fingo di aspettare una risposta che so non arriverà. Gioco male le mie carte. Non è una questione di fiducia o di altro. Non posso chiedergli una cosa del genere eppure ho la speranza che lui mi dica che sì, si fida di me. Fidarsi della bugiarda è un po’ come dire che lui non si farà condizionare dal suo orgoglio. Certo. E guarderà ognuno di noi come un suo pari, senza l’obbligo di doverci proteggere. Ovviamente no.
Un altro sospiro e la macchina si ferma. Apro gli occhi. Sono nella mia via, davanti alla porta del mio condominio. Hanno messo il recipiente del vetro fuori dal cancello, per aiutare i netturbini nella loro opera di raccolta. Un mazzo di fiori è appoggiato per terra. Ci sono dei peluche e quello che sembra un cartellone. Guardo Chase. Ha le mani strette sul volante e mi sta fissando. «Sì. Mi fido di te.»
Mi lascia andare. Lui sta combattendo contro la sua natura di controllo e mi lascia via libera. Gli accarezzo con la mano la guancia, appoggiando la fronte alla sua. È un contatto intimo, fronte contro fronte, naso contro naso. Casualmente ci diamo un bacio sulle labbra, esplorandoci lentamente e ignorando i conati di vomito alle nostre spalle. Respiro il suo fiato. «I morti non si fanno vedere.»
Annuisce, scoccandomi un bacio sul naso. È il suo modo di dirmi di andarmene. Sa che tornerò da lui. Lo faccio sempre. Esco dall’auto, sbattendo la portiera alle mie spalle. Di risposta, lui accende il motore e si allontana. Lie borbotta. «Da qualunque punto di vista lo metti, è una cretinata.»
Lo so, ma devo ritrovare qualcosa di me.
Mi avvicino al cartellone, immobilizzandomi alla vista delle foto. Sono molte. Sono troppe. Sono parti della mia vita che avevo dimenticato. C’è la foto del primo giorno di scuola, io, Mary e Julia insieme. Non sapevamo che saremmo state migliori amiche. I nostri occhi sono troppo grandi per dei visi ancora troppo fanciulleschi. Una foto della recita scolastica di quando andavo all’asilo, in cui mi hanno vestito da girasole. Abbozzo un sorriso. Beh, potevano risparmiarsela. E poi altre, in classe. Alcune so che sono state scattate con il cellulare, come quella in cui ho fatto una smorfia per una domanda della docente. Mi avevano sempre detto che facevo facce buffe con lei. Non gli avevo dato retta.
Poi le foto di gruppo, compagni che non rivedrò mai più. Ce n’è pure una in cui io e Chase siamo insieme, vicini. Infilo le dita sotto, strappandola. Ce ne sono così tante e ognuno ha scritto una sua dedica che non si accorgeranno che ne ho rubata una. In realtà, vorrei prenderle tutte. Sorrido, avvicinandomi a un’altra foto. C’è tutta la classe a una gita. La voglio. È un desiderio così lacerante che mi lascia così, a sfiorare il bordo. La voglio. Voglio ricordarmi ognuno di loro, non voglio essere un posto vuoto in classe, a tavola, nella mia stessa vita. Ho preso in bordo, l’ho quasi strappata quanto lascio la presa e l’appiattisco sul cartellone. No. Non sarò un posto vuoto a scuola. Non sarò neppure un nome scritto su una lapide, una bara senza un corpo. Vedo i miei compagni e lo so. Io sono stata qualcosa. Forse una scheggia nella loro vita, una cometa che da anziani dimenticheranno di aver conosciuto. Eppure qualcuno saprà che sono esistita. Se mi porto via una foto, non avrò ottenuto quel posto che mi spetta. All’opposto. Avrò creato una voragine nel mio cuore perché non potrò mai essere come loro.
Guardo la foto con Chase. Non so chi ha fatto la foto, ma deve essere recente. Siamo entrambi seduti sull’erba, in una giornata soleggiata, e stiamo parlando. Deve essere stata una delle prime volte che parlavamo durante gli allenamenti. Posso portarmi via qualcosa, però. Porto con me solo il ricordo di qualcosa che ho già. Non mi dovrebbe fare troppo male.
Spingo il cancello e mi addentro nel giardino. Potrebbe essere l’ultima volta. Lie mi ha preceduto e ha aperto la porta d’ingresso. Salgo le scale, con il cuore in trepidazione. Di nuovo mi ritrovo la porta di casa aperta e Lie che aspetta nel buio, oltre la soglia. L’appartamento è silenzioso. Chiudo gli occhi il tempo necessario per assaporare il profumo di cinese che aleggia nell’aria. Mamma. Proprio non ti va di cucinare, eh?
Mi incammino nel buio, proprio come un’ombra. Ora che sono lì, il pugnale che ho in tasca lo getterei via. Mi vorrei intrufolare nel lettone grande e dire a mamma che ho fatto un incubo. Sarebbe bello. E sarebbe crudele. La porta della mia stanza è aperta. È una fortuna che quel giorno io abbia buttato a lavare le lenzuola coperte di sangue. Ho mascherato fino all’ultimo la mia vera natura.
È esattamente come l’ho lasciata, con la tenda in parte aperta per vedere l’esterno. Mi avvicino alla finestra, guardando la tranquillità di quella via. Apro un cassetto, dove ho sempre nascosto un piccolo pupazzo. Prima di quel dannato giorno, papà mi ha portato a casa un giocattolo. Gli ho detto che ero troppo grande per quei tipi di giochi. Poi c’è stato l’incidente. L’ho supplicato di aprire gli occhi, che non era vero. Ero piccola. E poi, inevitabilmente, è arrivata la rabbia cocente, il desiderio di non vedere più il mio peccato. Sapevo della sua esistenza, ma ho cercato di ignorare dove l’avevo messo.
Passo una mano su quel piccolo panda. Esco dalla mia stanza. Ed entro in quella di Edward. Mio fratello è rannicchiato sul letto, come un piccolo animale che cerca il calore. È scosso da piccoli singhiozzi e ha stretto le coperte con un pugno. Mi ricorda un po’ Malachite. La parte migliore di lei, in ogni modo, quando è morto nostro padre. Forse avremmo potuto avere un rapporto più limpido, meno rancore tra di noi. Forse Edward è il modo di espiare le mie colpe come sorella. Gli passo il pupazzo in una mano. Lo prende senza indugi, tirando su con il naso. Mi inginocchio vicino a lui. «Edward, mi prometti che diventerai grande? E che vivrai questa vita pienamente? Sbaglia, fratellino. Sbaglia anche per me, così poi non ti pentirai di nulla.»
Gli schiocco un bacio leggero sulla fronte e lo sento mugugnare qualcosa di simile al mio nome. «Amabel»
No. Mi dispiace. Un pupazzo che a me ricordava papà è l’unico oggetto che posso lasciarti.
Mi alzo, dirigendomi verso la camera dei miei. Sono più cauta, perché mamma potrebbe svegliarsi. Lie mi sta osservando. Sento i suoi occhi seguire ogni movimento, la sua mente confusa. C’è un bel po’ di subbuglio e di sentimenti da fare impazzire chiunque.
La porta di mamma è aperta. Mi fermo sulla soglia, il cuore in gola. È quasi più dura di entrare nella stanza di Edward. Mi immobilizzo. Ci sono due sagome sul letto, anche se una è stranamente goffa. Quando respira fa una specie di gorgoglio rauco. Mi avvicino di un passo, accucciandomi. Inclino la testa.
Qualcosa di buono l’ho fatto, no?
Mi metto una mano sulla bocca per trattenere un gemito, osservando il mio papà dormire a fianco della mia mamma. Si è svegliato. Mi ha ascoltato. Gli avevo chiesto di tornare, perché mamma non avrebbe retto senza noi due. L’ha fatto. È tornato indietro. E l’unica cosa che si ricorderà di me è una bambina capricciosa che gli ha detto che era troppo grande per un pupazzo. Vicino al letto, ora che i miei occhi si stanno abituando, ha ancora quell’odiosa pappetta, una carrozzina ma lui è vivo. Se lo toccassi, lui si sveglierebbe. Sono così vicina che posso contargli le ciglia. «Grazie, papà.»
Mugugna nel sonno anche lui, obbligandomi ad alzarmi. Vorrei ancora di più introdurmi nel lettone, piangere e chiedere scusa, chiedere di essere una bambina, ma non posso. Non sono più solo loro figlia. Mamma è rannicchiata, il volto verso la parete. Ha il volto umido dal pianto. Non posso portare foto di voi, perché non posso portare il ricordo di cosa vi ho fatto. «Mi dispiace, mamma.»
Un’altra lacrima le scende, io arretro. Vorrei svegliargli, ma sarebbe troppo doloroso, troppo inutile e troppo pericoloso. Già sul comodino sto per appoggiare il mio piano, e mi ricordo appena in tempo di quanto in realtà li sto facendo soffrire. Prima di desistere, esco da casa. Chiudo gli occhi contro la porta, respirando l’aria come se fosse la prima volta. La mia idea era quella di scrivere una lettera, nasconderla tra gli abiti e sperare che, un giorno, la trovassero. Come fai a spiegare alla tua famiglia che non volevi lasciarli? Che l’incidente non è stato un caso fortuito? Che qualcuno ci voleva morti? Come fai senza sollevare altro dolore, altro rancore, e portando con te altre domande che non potrai mai rispondere?
Lie storce il naso. «I mortali sono strani. Noi siamo indipendenti da certi sentimentalismi.»
   «Se io morissi …» Abbozzo un sorriso, per quanto il cuore mi faccia dannatamente male. «Scusa. Quando sono morta, cosa hai sentito?»
   «Io sono te, Dalila. È chiaro che ho sentito la tua perdita.»
   «Loro lo provano ogni volta. È questo che è bello, di noi. Per quanto sei solitario, c’è sempre qualcuno la cui morte ti porta via qualcosa di te. Dei piccoli frammenti della tua anima.»
   «Insomma, i mortali fanno come il rituale delle anime di Johannes.»
Il dolore al petto si è un po’ allentato, mentre abbasso lo sguardo per incrociare Lie. Stupido idiota. Scuoto la testa. «Mi ostino a spiegarti i sentimenti, quando so che non li comprendi. E, comunque … grazie.»
Sottintendo un sacco di cose. Lo ringrazio per avermi permesso di tornare, per avermi fatto rientrare in casa e, sì, anche perché la sua scarsa conoscenza dei sentimenti mi ha fatto sorridere. Forse lo ringrazio anche per quello che so che farà, se la mia anima fosse a rischio di essere strappata. Dovevo fargli delle domande, volevo delle spiegazioni sul rapporto tra i vizi e gli esorcisti, ma per cosa? Sospiro, scendendo le scale. «Credi che sia folle?»
   «Sì.»
Sorrido. «E sei con me?»
   «Bambina, sono sempre con te.»
Già. Solo che a volte lo dimentico.

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Capitolo 15
*** 15 ***


15
 
 
 
       Mi mordicchio un’unghia. Ho già preso una decisione. So cosa devo fare. E non ho il coraggio di dirlo a Chase. Sarebbe facile, sarebbe del tutto normale se noi fossimo solo ragazzi. So cosa mi direbbe. E so che la sua reazione è dominata dalla necessità di controllarmi. Chiudo gli occhi, portando le mani alla fronte. Non sono una persona che prega. Mai stata. Ho una visione tutta mia di Dio, nonostante quello che faccio in suo nome. Ho un rapporto così particolare che mi trovo a parlare con lui come se fosse collegato alla mia mente. Parlo con lui proprio come se Lie potesse intercedere. È giusto? È sbagliato? Perché non mi mandi qualche segno? Perché sono la creatura di cui hai più disprezzo?
Apro gli occhi. Lie è inginocchiato davanti a me, all’altezza del mio sguardo. Vedo le palline nere della sua iride che scema fino a raggiungere l’azzurro del corpo che ha preso. «Non hai bisogno di aiuto.»
Affermazione semplice. La mia decisione, poi, l’ho già presa.
Mi incammino lungo la via. Lie saltella per raggiungermi. Sembriamo proprio una coppia di fratello e sorella, se non fossero le due di notte, in una via deserta, vestiti in maniera strana. Lie indossa gli stessi abiti di quando si è impossessato dell’anima di quel bambino. E faceva ancora caldo. Direi che la sua maglietta e pantaloncini corti passano, tuttavia, ancora inosservati se guardiamo il mio mantello nero. Potrei fare gli scherzi in giro, urlando «sono il conte Dracula», se la mia situazione non richiedesse già una certa dose di silenzio e privacy.
   «Dalila, tu sai dove stai andando, vero?»
   «Intuizione.»
Lie sbuffa, precedendomi. «A volte mi fai esasperare. Ti ricordo che l’ho seguito.»
Già. E non si è mai accorto della sua vera natura. Quando si dice essere imbrogliati! Ci fermiamo davanti a un piccolo edificio, in un bel quartiere. Sembra una zona tutto sommato agiata. Le luci degli alberi di Natale illuminano più dei lampioni e una casa ha deciso di vincere il concorso sulle decorazioni più appariscenti. Un enorme presepe, illuminato a giorno, svetta sul giardino e ha illuminato la capanna in modo da far sembrare che Babbo Natale porti il regalo a Gesù. La parte più cristiana della mia natura un po’ è in contrasto con la visione così commerciale, ma è il nuovo secolo. Per vendere, farebbero anche il Mac Christ. Lo ammetto: sono il tipo che pure lo prenderebbe in considerazione.
Storco il naso, guardando il campanello. Suono o non suono? La mia decisione viene anticipata. Lie mi apre nuovamente tutte le serrature e io sguscio truffaldina in casa altrui come il Santa Claus che cerca di entrare nella capanna. Il condominio è piccolo, neppure tre coinquilini, uno per ogni piano. In ogni modo, la mia destinazione è al terzo piano e la porta è di nuovo aperta.
Entro.
È silenziosa. Dalle persiane sollevate l’illuminazione della casa di fronte mi permette di vedere una tenuta minimale. Nessun oggetto che viene da qualche viaggio, una sola foto di una coppia, probabilmente i genitori. Il divano è di un beige, con una penisola in cui è sistemata una coperta nera o per lo meno scura. Se le luci di Babbo Natale smettessero di lampeggiare, probabilmente vedrei meglio i colori. La cucina è al centro dell’ampia stanza, particolare. Una cappa enorme sovrasta i fornelli, delle lampade sembrano penzolare dal soffitto. È un’esplosione di tecnologia, che si aggancia a qualcosa che maschera le emozioni. Non sento amore, non sento il desiderio di stare lì. Niente famiglia. Mi mordo le labbra, sgusciando da dove giunge un respiro profondo.
Sulla testiera del letto, casualmente, è agganciata una fondina. Estraggo la pistola, controllando e soppesandola con una mano. Non ho mai sparato, in nessuna delle mie vite passate, ma so che la canna va puntata contro l’altra persona. Intuitivamente posso credere di riuscire a togliere la sicura. O a spararmi a un piede nel tentativo di farlo.
Mi porto vicino alla porta, accendendo la luce. Quasi immediatamente l’uomo si sveglia, allungando la mano per prendere la pistola. La sua mano si stringe intorno a nulla e, quando si gira a fissarmi, sollevo l’arma ad altezza spalle. Tolgo la sicura, ignorando il pizzicotto che mi sono data, puntando la pistola poco sopra la sua spalla. «Ciao, Ridley.»
Ridley ha i capelli arruffati e il segno del cuscino sulla guancia. È a petto nudo, così posso vedere il petto muscoloso e l’assenza di peli. Nonostante tutto, sfido chiunque a dire che non è un figo. I suoi occhi sono sbarrati, la bocca è aperta in un segno di sorpresa. Inclino la testa. «Mm. Stessa reazione di Marco.»
I muscoli della spalla iniziano già a farmi male e, spero che sia una mia impressione, la pistola si è abbassata di qualche centimetro. «Ho bisogno di parlare con te. Hai intenzione di ascoltarmi, prima che continuiamo a odiarci nella nostra solita maniera, io come l’uomo che mi ha torturato e tu come esorcista?»
   «Non ti odio. Comunque sì, mi va bene parlare.»
Non so se lo dice perché ha un’arma contro o perché è suo desiderio, ma poco importa. I muscoli mi fanno decisamente male. Appoggio la pistola alla credenza vicino a me, in modo da prenderla al minimo pericolo. Anche senza, credo di essere in vantaggio con gli esorcismi. «Mani in alto» suona decisamente ridicolo rispetto a «fermo, se ci tieni alla tua anima». Lie si raggomitola vicino alla finestra, guardando il panorama. Di risposta, mi appoggio allo stipite della porta, a portata di mano della pistola.
   «Sei viva.»
Alzo una spalla. È più semplice risolvere quella questione. «No, non sono propriamente viva. Ho solo … credo che il termine più corretto sia richiamato l’anima, ma non sono viva. Ha un po’ a che fare con quello che sei tu, Ridley. Perché tu sei la reincarnazione dell’Inquisitore che ci ha uccisi, no?»
Ridley cerca di alzarsi dal letto, io gli indico con il pollice la pistola. «No.»
Si siede di nuovo, stringendo il copriletto. «Vorrei mettermi qualcosa addosso.»
Scuoto la testa. «Non mi fido di te.»
   «Tu sei l’esorcista della menzogna. Credo che la fiducia che manca sia la mia.»
Abbozzo un sorriso. «Non sono io che mi sono introdotta nella tua vita, chiedendomi di aiutarti. E non sono io neppure quella che ti ha torturato perché accusato di stregoneria. Vedi gli spiriti, Ridley. Sai che il mio compito è sempre stato limpido e chiaro. Il mio compito è aiutare le anime nel trapasso. Non sono propriamente una persona buona, ma neppure cattiva.»
   «Mi è stata data una versione discordante.»
   «Per questo sono venuta qui. Ancora adesso ti stanno dando una versione errata. Marco non è chi dice di essere. Non è la reincarnazione di Johannes. Lui è Johannes. È un po’ difficile da spiegare e non ho le prove ad avvalorare la mia tesi. Tuttavia, sei consapevole che lui ha mentito troppe volte, su troppe questioni.»
   «Johannes è morto.»
   «Sei stato usato, Inquisitore. Johannes non poteva competere contro di noi. Sapeva di noi, sapeva come agivamo e sapeva che non avremmo mai attaccato qualcuno che ci accusava, purché questa persona fosse mortale. Quando siamo stati incarcerati, nessuno di noi ha opposto resistenza. Perché avremmo dovuto? Se un tuo collega ti incarcerasse, lo uccideresti per aver salva la vita?»
   «Noi non …»
   «Puoi vederla come vuoi, Ridley, ma a quel tempo avevamo lo stesso compito. Volevamo salvare la gente: tu dal male, noi dai fantasmi. Cambiavano solo i mezzi che utilizzavamo. Ci hai imprigionato e ci siamo lasciati uccidere. Johannes ti aveva detto che c’era l’eventualità che ritornassi? Come ti senti a essere di nuovo vivo?»
Lo vedo dai suoi occhi. So quello che prova. Distoglie l’attenzione da me. «È sbagliato.»
Vorrei dire di essere entrata in sintonia con lui, ma no. Posso disprezzare la sua esistenza. Mi ha ucciso. Sono stata torturata perché sputassi fuori informazioni che neppure chiedevano. Per lui ero colpevole per il solo fatto di esistere. Non lo dimentico. Ha collaborato, di certo nel passato, con Johannes e Malachite. Anche per questo, io provo rancore. E ha ucciso Chase. Sono molto più che sdegnata dalla sua esistenza. Tuttavia, se le nostre famiglie sono ancora vive lo devo a lui. Se quell’incidente strano non è stato indagato, in cui sette ragazzi sono deceduti, lo devo a lui. Se Johannes ignora i nomi di questo secolo, è sempre per merito suo. Non posso odiarlo. E mi odio per questo. Sarebbe molto più facile. «Johannes non è mai morto. Quello che hai incontrato è lo stesso uomo con cui ti sei alleato nel 1400.»
   «È impossibile.»
   «Abbiamo superato da un pezzo la dicotomia possibile e non. Johannes ci ha venduto a te per i suoi scopi. Sei stato usato da lui e Malachite, sebbene credo che gli obiettivi di mia sorella, tutto sommato, fossero più pratici. Aveva bisogno di te per un rituale.»
Sghignazza e la sua attenzione ritorna su di me. «Un rituale? Interessante.»
   «Dimmi, quante persone hai ucciso in modi diversi? In poco tempo, hai bruciato me, torturato Oppius, affogato Lartia, impiccato Sura, decapitato Daulus, ingabbiato Maximus, avvelenato Damide e smembrato Titus. Un po’ troppe morti diverse, non trovi? Non ti insospettisce qualcosa?»
   «Potresti mentirmi.»
   «Vero.» Convengo placidamente. «Non posso però mascherare quello che è successo. Siamo morti in otto modi diversi e, nonostante tutto, siamo tornati indietro. Siamo riusciti a interrompere il rituale. Johannes ci ha rivoluti con sé per poter avere ciò che ha perso.»
   «Non mi fido di te.»
   «Non te l’ho chiesto. Vedo i fantasmi. Ti ho mentito?» Ridley si morde le labbra, abbassando il mento. «Il mio compito è far trapassare gli spiriti. Ti ho mentito? Non è decisamente questa la vita che avrei scelto di fare. Ti ho mentito? Ho promesso che ti avrei salvato la vita, nel limite delle mie possibilità. Ho mentito?»
Gli costa dirlo. «No.»
   «Che ragione ho di dirti una menzogna, ora? Johannes desidera essere immortale. E no, non lo è in questo momento. Non so cosa ha fatto, ma non è decisamente immortale. Può essere ferito, è debole. E è troppo megalomane per abbassarsi a un qualcosa solo in parte perfetto.»
   «Che cosa vuoi?»
Il nemico del mio nemico è mio amico. Sì, ne sono convinta. Sì, punto tutto su questo.
 
                                                             † † †
 
            Sono stanca. Il mantello, una figata per fare scenografia contro Johannes, pesa. C’è un motivo se le persone non vanno più in giro così. I mantelli sono scomodi. Sono inciampata due volte nel tentativo di salire le scale, e non so se incolpare il fatto che sono le quattro di mattina o perché sono infagottata in qualcosa di troppo lungo per me. Mi appoggio alla porta, ringhiando. Chiusa a chiave.
Sospiro, trattenendomi dal desiderio di martellarla con tutta la mia forza. Mi accuccio, sollevando il tappeto. La chiave è proprio lì. Chase. Lui sapeva che sarei tornata. Si è fidato veramente di me.
Entro in silenzio. Sul divano, Chase si è addormentato reggendo dei fogli. Due sono scappati dalle sue dita e hanno tentato una fuga frettolosa verso la televisione. Gli altri sono appoggiati sulla sua pancia. È indifeso, così addormentato. Il suo petto si alza e si abbassa, rispetto agli altri miei compagni maschili è piuttosto silenzioso.
Gli passo vicino, controllando la stanza da letto. Mancano Philippe e Eliza. La strana coppia. Dovrei iniziare a farmi più un po’ di fatti miei. Mi siedo sul divano. Indosso ancora il mantello ma ho preso così tanto freddo che continuo a tremare. Sento il calore di Chase irradiarsi dal maglione e, prima di accorgermene, gli ho scoccato un bacio. Mugugna qualcosa, ancora addormentato. Che carino: lo bacio e non si degna neppure di svegliarsi. Mi passo con un dito il contorno delle labbra. Sono gelida. Probabilmente ha appena sognato di aver baciato un muro di cemento. Ci riprovo, più decisa di prima. Chiudo gli occhi, respirando il suo calore e il suo stesso respiro. Cerco di staccarmi, ma adesso è lui che non mi lascia andare, premendo a fondo per non interrompere il contatto. Quando riprendiamo fiato, ci manca decisamente un bel po’ di respiro. Solleva lentamente il mantello, accarezzando le mie cosce. «Sei gelida.»
   «Hai appena baciato un pezzo di marmo.»
   «Mm. Sexy.»
Ridacchio, prima di spostarmi un po’ per sedermi sul divano sopra i miei stessi talloni. Quel cambiamento lo disarma. Capisco che ha intuito qualcosa, sia dal fatto che controlla l’ora sia perché io mi sono allontanata da lui. Deglutisco. «Ho fatto qualcosa per cui ti arrabbieresti.»
   «Esattamente cosa hai fatto?»
   «Non ti preoccupare. Hai ragione sul fatto che i morti non si incontrano con i vivi.»
Si passa un dito sulle labbra. «Questo non è rispondere.»
Urlerà. Mi allontanerà. E non mi sento in colpa per quello che ho fatto. So che sono stata una bugiarda, l’ho usato per andarmene da lui e ora sono tornata con la coda tra le gambe. Non so se essere arrabbiata con me stessa o se chiedere di non essere giudicata. Si alza dal divano. I suoi cambi di umore sono ballerini quanto i miei. Si sistema la maglia. «Seguimi.»
Lo sa. È l’unica cosa che penso mentre usciamo dall’appartamento, lungo il corridoio, fino alla terrazza. Sono le quattro di mattina e fa freddo. Fa così tanto freddo che appena esco ricomincio a tremare. Mi raggomitolo sul mio mantello, stringendomi le braccia. Volta le spalle alla città, appoggiandosi alla muretta.
   «Chase.»
   «Che cosa hai fatto?»
Sospiro e una nuvola del mio stesso fiato si frappone tra noi. Okay. «Sono andata da Ridley. Sai, lui è …»
   «So chi è Ridley.» Incrocia le braccia al petto e se non è quello un segno di sfida, credo che il suo sguardo freddo aiuti a farmelo capire. Aspetta, quindi prendo fiato. «Johannes non si fida di lui e lui di Johannes. Ho pensato che fosse opportuno sondare il terreno per vedere se c’è la possibilità di un’alleanza.»
Ancora nessuna reazione. «Beh. Sarebbe utile che tu dicessi qualcosa.»
   «Sei andata da quello che ci ha torturato e ucciso. Esattamente cosa ti aspetti che dica?»
Batto un piede a terra. «È esattamente per questo che non te l’ho detto prima! Sei pieno di preconcetti.»
   «Preconcetti? No, non credo proprio.»
   «Lui e Johannes non sono alleati.»
   «Ti fai troppo fuorviare dai sentimenti che provi per quel ragazzo.»
Cosa? Di che diavolo sta parlando? «Sentimenti? Non dire cretinate! Non provo assolutamente nulla per lui.»
   «Eppure hai appena ammesso di essere andata a parlargli.»
Ho il desiderio di prenderlo a pugni. Cocente per tutte le volte che ho rinunciato a qualcosa, per i suoi test su quello che provo. Ogni volta che sono stata con lui, ha sempre tentato di vedere il mio limite. Bene. Raggiunto. «Sentimenti, Titus? Come diavolo potrei provare qualcosa per lui? Ci ha ucciso e, dannazione, se anche lo avessi dimenticato come potrei dimenticare che ha ucciso te? Non provo assolutamente nulla, solo che non voglio perdere le vostre anime. Se per evitare di vedere un’altra persona a cui tengo ridotta come Oppius, se per farvi tenere le vostre anime con voi devo allearmi con chi disprezzo mi va bene. Stupido … idiota. Hai dimenticato che sono le nostre anime a essere in pericolo? Credi che con lo spettacolo “siamo tornati in vita”, Johannes si redimi e ci lasci stare? Come cazzo dovrei sentirmi al pensiero di litigare con Arrogance perché teme per la tua vita e non mi restituisce la tua anima?»
Ora ho decisamente caldo, seppur tutto il mio corpo continua a tremare. Mi scosto un ciuffo dal viso, deglutendo a forza il mio stesso rancore. «Ho sempre creduto di essere io la persona dalla visione ristretta, ma porcamerda se mi vieni dietro alla grande! Ho fatto di tutto per te, addirittura non ti mento e vaffanculo, hai mai pensato a quanto sia per me difficile essere a nudo? Come diavolo credi che mi senta a essere continuamente la seconda in tutto? Hai scelto la missione, sceglierai di sicuro ognuno degli altri perché sono in grado di difendermi … e anche adesso, io dovrei rimanere qui a guardarti mentre soccombi sotto le tue responsabilità? Sì, sono andata da chi mi ha ucciso. Sì, sono andata dalla persona che ha ucciso la persona che amo e ho pensato. Ho pensato che se tu avevi un piano, un fottutissimo piano, avevamo bisogno di qualcuno abbastanza vicino a Johannes per conoscere le sue mosse. Rimane un suo alleato. E non so che diavolo ti salta per la testa, ma di sicuro non ho fatto nulla. Ho parlato di Johannes, tutto sommato sono stata pure abbastanza sincera e gli ho detto di incontrarci oggi pomeriggio per parlarne. Per parlare con te, brutto orgoglioso, perché sei tu il nostro capo.»
Alzo e abbasso le spalle, alla ricerca di aria. Chase ha sollevato un sopracciglio. Ho il respiro affannoso, la città mi sembra fin troppo silenziosa. Mi pento di aver urlato, perché potrei aver svegliato un bel po’ di persone. Dopo tutto, riesce a ribattere tranquillamente. «Quando, oggi pomeriggio?»
Tutto qui? «Alle quattordici.»
   «Non è pomeriggio.»
Ora lo picchio. Mi fiondo contro di lui per mollargli un ceffone. Farà sentire meglio me e, di certo, ha detto troppo perché rimanga impunito. È veloce. Mi prende la mano e mi attira a sé. Sono sorpresa. Mi stringe in vita con un braccio, bloccando la mano e ogni possibilità di ribellione. L’altra, ancora agganciata alla sua, è inerme. «Ti fidi di lui?»
   «No.»
   «Cosa significa che sei stata abbastanza sincera?»
Colpo decisamente basso. Distolgo lo sguardo. «Gli ho fatto capire che sarei andata io, oggi, da lui, per discutere.»
   «E invece?»
   «Se ci deve andare qualcuno, quello devi essere tu.»
   «Gli hai mentito.» Non so come diavolo ha fatto, ma è riuscito a prendermi il polso della mano sollevata e ora sono ingabbiata nel mio stesso corpo. Sono così bassa e debole, rispetto a lui, che è ridicolo il solo pensare di alzare una gamba e colpirlo all’inguine. Mi pungola con la mia stessa mano, sferrandomi una serie di buffetti alle guance. «Sì, ho mentito. Lui non è te.»
È così vicino che sono in punta dei piedi. Profuma di caffè e qualcosa che non ho ancora meglio definito. Abbozza un sorriso, pronto a sferrare uno dei suoi attacchi. Lo sento. «Me lo dovrai insegnare.»
Dannazione. Posso essere anche arrabbiata con lui, ma sono infastidita dalla sua bocca e dal suo alito. Il mio corpo è preso da piccoli brividi che mi lasciano inerme. Mentalmente lo vorrei uccidere; fisicamente, ogni parte del suo corpo è un magnete. «Cosa?»
   «Mi dovrai insegnare come mettere da parte il mio vizio solo per te.»
   «Non sei il tipo.»
Mi sfiora con le labbra la punta del naso. «Andrò all’incontro con Ridley. E tu … tu mi aiuterai.»

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Capitolo 16
*** 16 ***


16
 
 
 
      Mi appiattisco un ciuffo ribelle. «È assurdo.»
Chase è seduto sull’unica panchina non sgangherata del parco. Come me, ha il volto di chi non ha dormito a dovere. E, a mio pari, è stato sbeffeggiato sul perché sembrasse così stanco. Non ha aiutato la presenza di Jamar nella stanza, che ha pungolato la conversazione con dei “mm” finché non si è parlato di quello che voleva lui. Quindi, adesso, è palese quello che prima era probabilmente solo bisbigliato. Io e Chase stiamo insieme. Ho osservato Philippe, la cui risposta alla notizia è stata tranquilla. Oddio, non è quello che ha fatto i salti di gioia. Ha solo abbozzato un sorriso, prima di essere sottratta alla sua attenzione per sorbirmi una snervante conversazione con Warren sui fiori e le api. No, sul serio. Fiori e api. Ero convinta che dopo mamma non avrei più avuto conversazioni imbarazzanti. Mi sono sbagliata.
Sbuffo e il mio viso avvampa nuovamente. Fiori, api e sesso. Mi manca Maximus e il 1400, quando per noi era solo assurdo parlare di amore. Figuriamoci della carnalità. «Perché mi hai portato con te?»
   «Sei il mio secondo.»
   «Che scemenze. Non mi hai mai portato da nessuna parte, perché proprio ora?»
Alza una spalla, guardandosi in giro. Ho scelto quell’ora perché è improbabile che possa esserci qualcuno. Ho scelto quel parco perché, anche se vicino alla mia vecchia casa, è improbabile che incontri la mia famiglia. Ha tutto l’aspetto di un luogo desolato, in cui piccoli teppistelli hanno deciso di distruggere più oggetti possibili. Mi appoggio all’altalena, davanti a Chase. Un po’ di tempo fa, mi sono ritrovata a gestire una conversazione in quello stesso parco con Ridley. I luoghi che inizio a non sopportare più stanno aumentando. «È in ritardo.»
Credo che il venire o meno abbia a che fare sull’accettare la nostra morte. È un po’ dura da digerire. E non ho mai negato di provare del rancore nei suoi confronti. Non dimentico nessuno dei miei compagni uccisi. Come con Malachite, sento che il destino ha in serbo per lui qualcosa di peggiore.
Sento delle voci e mi immobilizzo. Chase si alza in piedi, prendendomi per mano e portandomi dentro a una cupola in cui i bambini si arrampicano. Ci appiattiamo lì, stretti. Oh. Deve essere anche un luogo molto apprezzato dalle coppie nel periodo estivo, almeno da quello che riesco a leggere sulle pareti. Chase mi attira a sé. Sento il profumo del deodorante anche attraverso il maglione, il suo cuore battere vicino al mio orecchio. Da una finestrella riusciamo a vedere due madri che stanno passeggiando con i loro figli. Un bambino, dell’età di Edward, scappa dalla sua presa e si dirige verso lo scivolo. Non molto lontano da dove ci troviamo noi. La mamma è impegnata a parlare con l’amica, che fa dondolare il passeggino avanti e indietro per calmare quello che deve essere un neonato. «Perché ci sono dei bambini?»
   «Questo te lo spiega la prossima volta Warren.» Replica all’orecchio Chase. Se non fosse necessario il silenzio, per questa battuta si sarebbe già meritato uno schiaffo. Il bambino si sta avvicinando a noi. Vedo un suo occhio fare capolino da una fessura. D’istinto mi porto un dito alle labbra. Lo sento dire «okay» prima di andarsene. Tutto qui? Okay? Forse mi preoccupo troppo. Mi aspetto dalle persone troppo e, invece, rimango delusa dalla loro reazione. Sì. Decisamente mi aspetto troppo dai mortali. Io e Chase non passiamo di certo inosservati, questo è vero, ma è anche vero che decisamente non abbiamo nulla che fa capire che siamo morti. Non abbiamo un grande cartellone sulla schiena in cui dice “esorcisti tornati in vita”, che diamine! Siamo solo due ragazzi che si sono nascosti, come chiunque coppia della città. Dannazione. Oggi è la giornata dei fiori e delle api.
Le donne se ne vanno, trascinando con loro il bambino. Come nelle mie più rosee aspettative non dice nulla, anche se ci saluta con la mano. Chase si siede per terra, appoggiando la testa alla parete. Si lascia andare in un sospiro rilassato, come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento. Mi inginocchio lì vicino, in un punto in cui posso controllare se arriva il nostro ospite. «Siamo in due e lui è da solo. In caso di pericolo lo possiamo sottomettere facilmente.»
Chase mi fissa. «Vieni qui.»
Striscio nella sua direzione. Apre le gambe e mi rannicchio contro il suo petto. Il suo fiato è caldo e mi solletica la base del collo. Mi avvolge nel suo abbraccio, appoggiando il mento sulla mia spalla destra. «Non dormo bene ultimamente.»
È strano. Anche questa notte ho dormito abbracciata a lui e non ho avuto nessun sentore che lui fosse sveglio. In verità, sono crollata in un sonno simile alla morte fino a mattina. «Perché?»
Le sue labbra mi sfiorano il collo e il cervello ha detto definitivamente addio a tutto. «Devo controllare il vostro respiro.»
Non ci ho pensato. È per questo che lui è il capo e io sono solo il suo secondo. In certe occasioni, e questo ne è un esempio lampante, io dimentico totalmente il fatto che ci sono altre persone oltre a me. Ho dimenticato pure che mentre dormiamo siamo più vulnerabili e le nostre anime possono essere strappate con facilità. Mi sento stupida. Di più. Sento che non sono adatta a essere uno dei capi degli esorcisti. Chase sembra comprendere quello che mi passa per la testa. Le sue mani si fanno strada sotto al giubbino, alla ricerca della pelle sulla pancia. «Non sei obbligata a preoccuparti.»
   «Però siete la mia famiglia. È il mio compito essere preoccupata.»
   «Per quello ci sono io. Tu hai il compito di trovare delle vie di fuga.» Non capisco. Lo sento abbozzare un sorriso. «Il mio orgoglio mi impedisce di allearmi con l’Inquisitore. Le tue menzogne ti obbligano a creare delle alleanze dove gli altri non ne vedono. Hai ragione. Se ci avviciniamo abbastanza a Johannes, possiamo coordinare un attacco dove è più vulnerabile.»
La vulnerabilità di Johannes è pari alla ricerca di una cura per la fame nel mondo. Speriamo che ci sia, ma al momento è ancora difficile trovarla. Inclino la testa di lato, per vedere il profilo di Chase. «Secondo te è vulnerabile?»
Annuisce. «È una certezza.»
   «Ne sei sicuro? Perché, non per dire, ma lui è vivo da seicento anni. Un po’ di domande sull’efficacia del rituale dell’immortalità me le sono fatta.»
   «Johannes ha bloccato il suo processo di invecchiamento. In un qualche modo, non so spiegarti quale, è riuscito a rimanere come nel 1400. Tuttavia, qualcosa non è andata come dovrebbe.»
   «Nel senso che può morire … tipo può morire bruciato?»
   «No.» Replica, e le sue mani si fanno largo lungo il giubbino, salendo lungo il torace. Emetto un gemito, non proprio contrariato, ma abbastanza forte da far capire a Chase che se continua così può dirmi qualunque cosa, tanto non ascolto. «Scusa. Dicevo che secondo me, e bada bene è una mia impressione, lui non può essere ucciso come lo siamo stati noi nel passato. Non può essere torturato, né smembrato, affogato, … lui in parte è immortale.»
E allora che cacchio gli serve di nuovo la nostra morte? È praticamente indistruttibile. Chase continua. «Rifletti, Bel. Cosa sta mirando in questo momento? Cosa gli serve assolutamente?»
   «Le nostre anime?»
   «E cosa vuole fare con quelle?»
Mi sembra semplice. «Vuole di nuovo ucciderci come nel nostro passato.»
   «Quindi non vuole ferire i nostri corpi, perché sono già stati martoriati. Vuole attaccare le nostre anime. Secondo te, per quale motivo?»
È esattamente un esercizio di algebra, uno di quelli che ti danno tutti i dati e poi il professore ti chiede di risolverli. E te lo chiede come se fosse la cosa più facile del mondo, perché anche un’idiota riesce a trovare l’incognita x in mezzo a tante incognite. E io sono stupida. Ho tutti i dati, ma per me l’incognita x rimane sempre un mistero. Vaffanculo a tutto. Chase mi bisbiglia paziente. «Pensa con calma, Bel.»
Non lo so. Posso pensarci, ma non lo so. Immagini di come sono morta mi si presentano nella mente. Cosa ricordo? So che ho cercato di salvare i miei compagni, affermando di lavorare sola. Non ci sono riuscita. So che ho pensato a loro mentre bruciavo via. So che volevo vederli. E, al tribunale delle anime, ho deciso che sarei tornata indietro per loro, perché erano parte di me. Sapevo che mancava qualcosa, sapevo che non potevo lasciarli. Io ho scelto loro.
No.
La mia anima ha scelto loro. Johannes ha fatto tutto per metterci uno contro l’altro. Ha fatto in modo che neppure in punto di morte noi volessimo incontrarci. Il suo obiettivo era la nostra separazione, fisica e mentale. Da soli, saremmo stati vulnerabili. Anche adesso, i suoi movimenti sono stati quelli di tenerci lontani. Ha chiamato Chase e Philippe per parlare della nostra nuova missione; ci ha incaricati separatamente di trovare il negromante. Lui non ci voleva insieme.
   «Vuole spezzare le nostre anime? La sua anima è vulnerabile?»
Chase sospira. «Sì, amore. Quello è il suo punto debole.»
 

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Capitolo 17
*** 17 ***


 
17
 
 
 
          Ottimo. Il punto debole del cattivo è l’anima. Ho giusto appunto una pistola che uccide le anime dentro al cassetto. E che diavolo! Chase sembra tutto sommato tranquillo, ma io vedo punti deboli e baratri insormontabili. Non c’è modo di scappare da quella prigione.
Chase alza la testa, controllando alle sue spalle. Mi allontana un poco, facendomi cenno di uscire. Non ho ancora capito il piano che ha in mente, e sono felice che almeno lui sia fiducioso delle informazioni che abbiamo.
Striscio fuori e alzo la testa per vedere Ridley, in jeans e giubbino, che mi aspetta. Ha infilato le mani in tasca e il viso è leggermente arrossato. Sembra aver corso per arrivare puntuale. Mi alzo, cercando di non mollare una craniata alla giostra, e lo vedo irrigidirsi. «Non sapevo ci fosse anche lui.»
Chase mi sospinge un poco, invitandomi ad avanzare e non mi permette di allontanarmi da lui. La sua mano è adesa al mio fianco, come una calamita. «Sono felice di vederti anch’io.»
Ridley irrigidisce la mandibola. «E non ti sapevo vivo.»
Con la mano libera, il ragazzo al mio fianco si tocca il ventre. «Sì, non ti preoccupare. Hai un’ottima mira.»
Arrossisce all’istante. Ho una mezza impressione di essere in mezzo a una battaglia tra ego maschile. Non che come femmina io ne sia immune, ma che diavolo! È anche ovvio che abbiamo altre priorità per il momento.
La mano di Chase mi scende lungo la schiena, adagiandosi fin troppo sicura in zona sedere. Per quanto riguarda il mio aspetto fisico, sono fin troppo consapevole di essere senza curve accomodanti. Così, una mano in un punto dove so non esserci molto da toccare, e davanti a uno che ha attentato in almeno due occasioni alla nostra vita, mi lascia molto dubbiosa. Lancio un’occhiata veloce a Chase. Si limita ad annuire a sé stesso. «Amabel ti ha accennato a qualcosa. Vorrei parlarne con te in un luogo meno appariscente.»
Ridley si guarda in giro. «Dubito profondamente che qui saremmo disturbati.»
   «Convengo in questo punto. Ma è anche vero che tra noi non scorre buon sangue. Nessuno mi assicura che non ci sparerai alla prima occasione.»
   «Avrei già sparato a Ama quando è entrata nella mia abitazione.»
Mi accorgo che si è irrigidito quanto il suo pollice mi si conficca dritto nella mia schiena. Inclino un po’ la testa per coprirmi il viso con un ciuffo e mormorare. «Chase.»
   «Va tutto bene.» È un bisbiglio che posso sentire solo io. Colpito e affondato. Ridley sta giocando una partita niente male con l’orgoglio. Riesce a innervosire Chase solo pronunciando il soprannome che lui stesso ha coniato per me. L’esorcista alza la voce. «Sappiamo entrambi che è un altro il motivo per cui non l’hai uccisa. E non è per pietà.»
Questo gioco di punzecchiarsi l’un con l’altro mi sta dando su ai nervi. Anche perché il mio radar delle menzogne è sovraeccitato. Sono certa che non stiano mentendo, ma è anche vero che la loro verità è alquanto particolare. Chase mi avvicina ancora di più a lui e praticamente sono avvolta dal suo corpo. «Ti portiamo in un luogo più consono a una chiacchierata.»
   «Senza offesa, ma lo faccio io. Sono in inferiorità numerica e me lo devi.»
Un breve accenno con il capo e Ridley si gira, incamminandosi. Chase mi pungola e accordo la mia camminata alla sua. «Si può sapere che diavolo state facendo?»
Chase alza una spalla, non distogliendo lo sguardo da Ridley davanti a noi. Non mi ha ancora allontanato la mano dal sedere e, quello che prima mi metteva in imbarazzo, adesso è un qualcosa di rassicurante. Il ragazzo arriccia le labbra, schioccando la lingua in modo nervoso. È chiaro che l’ultima conversazione avuta, sul fatto che deve essere un po’ meno orgoglioso ha dato i suoi frutti, perché sia Titus sia Chase non hanno mai pensato di parlarmi chiaramente. «Sono del tutto convinto che lui sia innamorato di te.»
   «Non dire cretinate.»
   «Ti è rimasto vicino anche quando ha iniziato a manifestare i suoi ricordi da Inquisitore. E, a dirla tutta, nel passato sei stata interrogata da lui per molto tempo.»
Di solito, un innamorato regala alla sua amata una collana, un mazzo di fiori o un bigliettino d’amore; se l’oggetto del desiderio sono io, mi offrono giorni di tortura. Ne sono a dir poco lusingata. Alzo un sopracciglio contrariata e molto scettica. Chase mi pungola di nuovo, sbuffando. «Non chiedermi com’è la sua psiche.»
   «E tu come fai a intuirlo? Sentiamo.»
   «Abbiamo uno stesso oggetto di desiderio. Sono stato ucciso per primo, Bel, non perché ero il capo, ma perché più vicino a te. Credo che l’obiettivo primario, in quel momento, fosse Warren.»
Ricordo che Warren era vicino a Chase, ma in ogni occasione non ho mai dubitato quale fosse l’obiettivo primario. Ferire Titus avrebbe destabilizzato l’intero Ordine. Ferire Maximus, invece, per quanto noi gli siamo affezionati … beh, ferisce solo un uomo.
Ridley guarda alle sue spalle, poi aumenta il passo. È vero. Io non mi fido di lui. Può tradirci in qualsiasi momento e l’unico punto dolente è il fatto che siamo stati stupidi a riporre la nostra fiducia su di lui. E, a dirla tutta, lo siamo davvero. Ridley indica un vicolo vicino a un bar. La domanda è semplice: andiamo nel vicolo o entriamo dentro il bar?
Siamo tre folli, perché puntiamo direttamente nel vicolo. Siamo abbastanza vicino dai mortali per poterci appellare a loro in caso di difficoltà, e allo stesso tempo siamo isolati da loro, casomai facessimo proprio quello che non desideriamo. Prima di addentrarmi guardo la via, storcendo il naso. È la stessa via che ho fatto quella notte, quando sono corsa in ospedale per salvare l’anima di Ridley. Sono convinta che la scelta non sia stata casuale. Sento pure la presenza di Lie nelle vicinanze, quindi no. Non è stata una scelta casuale.
Ridley si appoggia alla parete, io mi libero dalla presa di Chase e mi rannicchio vicino a lui, la testa appoggiata alle mani, i gomiti sulle ginocchia, gli occhi fissi all’Inquisitore.
   «Ama mi ha chiesto di incontrarci se volevo parlare di Marco … di Johannes, cioè.»
C’è un po’ di astio nella voce. Certo, avevo tralasciato il punto in cui sarebbe andato Chase e non io all’incontro. Rispetto ai miei pronostici, però, sono stata anche piuttosto sincera. Chase sospira. «Credo che non ci sia molto di cui parlare. Abbiamo avuto delle intuizioni che sembrano essersi pian piano confermate. È certo che Johannes voglia fare un rituale dell’immortalità su di sé. Al momento, sospettiamo che il suo corpo non possa essere ferito in molti modi, ma la sua anima è soggetta a corruzione ed è ancora dannatamente debole. Sappiamo che ci ha rivoluto con sé per completare il rituale, ed è certo che le nostre anime siano gli ingredienti che mancano per il rituale.»
   «Mi sembra un po’ troppo fantascientifico.»
   «Mi sembra che anche tu veda i fantasmi. E credo anche che hai ricordi che non combaciano con questo secolo.»
Ridley si morde il labbro inferiore, quasi con rabbia. «Sì, Ama ne ha parlato. Si è più concentrata sul fatto che siamo tutti ritornati, e Johannes non aveva mai parlato di questa eventualità.»
   «È successo qualcosa di imprevisto e lui non poteva completarlo.» Ridley sospira. Alzo lo sguardo e vedo che sta fissando me, con dolcezza, come se si pentisse di qualcosa. «Ha fatto in modo che ci odiassimo, che fossimo da soli contro la morte. Non ha mai pensato che prima di essere esorcisti eravamo anche uomini. In punto di morte, ci siamo aggrappati al ricordo dei nostri compagni e ci siamo ricongiunti.»
   «Cioè?»
   «Sto dicendo …» Capisco quando si rivolge a Ridley perché le parole diventano come pugnalate e la sua attenzione ritorna con rabbia a lui. «Sto dicendo che abbiamo pensato agli altri esorcisti mentre morivamo. A tutti, anche a Dalila che pensavamo ci avesse tradita. Abbiamo pensato agli altri e siamo riusciti a liberare le nostre anime dal rituale.»
   «E non potete farlo anche adesso? Voglio dire … adesso siete più forti del passato. Siete morti e nonostante tutto vi sto parlando. Sapete che Johannes è un doppiogiochista, sapete qual è il suo piano. Perché non potete liberare le vostre anime?»
   «Non è una questione così semplice.»
Ridley sbuffa. «Senti, ragazzo …»
   «I nostri corpi hanno subito danni nel passato. Tu stesso hai inferto ferite nella nostra carne e ogni taglio era una lacerazione della nostra anima. Non siamo integri. Siamo un qualcosa, è vero, ma la nostra anima non è integra.»
   «Quindi se vi siete già arresi, perché diavolo mi avete chiamato?»
Chase inclina la testa, soppesando il ragazzo. «Non ci siamo arresi.»
   «Ma tu hai detto …»
   «Ho detto solo che, ora come ora, le nostre singole anime non possono competere contro la forza del rituale dell’immortalità di Johannes. Mai detto che ci siamo arresi.»
Questo punto interessa anche a me. Chase è sicuro. Non ha mai momenti di indecisione, men che mai li dimostra di fronte agli altri, ma un po’ di dubbio sempre rimane. Come diavolo facciamo a bloccare il rituale di Johannes? Ho sentito quando sono state richiamate le anime. Ho sentito quel fremito nel basso ventre, quel qualcosa che tentava di uscire. Non credo di essere più forte di Robert. Sono convinta che lui dormiva più profondamente di me, quello sì. Cosa mi assicura di non essere la prossima?
Chase abbozza un sorriso. «Abbiamo però bisogno del tuo aiuto.»
Ridley ride. «Il mio aiuto? Tra di noi non scorre di certo buon sangue. Perché dovrei aiutarvi?»
Chase si limita ad alzare una spalla. Non l’ha capito? Se è qui con noi è proprio perché vuole aiutarci. Che sia cosciente o meno, lui è qui perché vuole espiare delle colpe. Chase mi pungola con un dito sulla testa. «Avvisa gli altri.»
Sospiro mentre mi alzo in piedi. Puzza tanto di richiesta per lasciare i due a discutere da soli una questione che non mi deve riguardare. Esco dal vicolo, appoggiandomi al lampione davanti al bar. Ho la visione perfetta dei due che parlano rigidi e a chilometri di distanza. Il telefono squilla. Devo ricordarmi di togliere i numeri dalla vecchia Sim e di mettere magari qualcuno dei ragazzi. L’unico numero che ricordo è quello dell’appartamento di Eliza, ed è molto ingenuo sperare che ci sia sempre qualcuno a casa che rispondi.
   «Chi è?»
Sono quasi sorpresa di sentire una risposta, che balbetto prima di riorganizzare i pensieri. «Bellezza, sei tu?»
Philippe. Ottimo. Ingarbugliata nei miei pensieri con qualcuno che scompiglia già la mia mente. Sospiro. «Sì, ciao. Ci sono anche gli altri?»
Possono immaginare benissimo il suo sorriso sornione. «Sì. Hai paura di parlare con me? Sono stato troppo crudele l’ultima volta?»
   «No, solo che io e Chase abbiamo bisogno di voi. Ci troviamo al vicolo …» Alzo gli occhi per leggere il nome. «… Baker, vicino all’Irish Pub.»
Mah. Spero tanto che qualcuno lì lo conosca. Dallo schiocco della lingua di Philippe, direi di no. «Senti, dì a Warren che è dove ci siamo incontrati per la prima volta.»
   «Okay.»
   «Vi aspettiamo.» Interrompo la chiamata. Meglio non dirgli che c’è anche l’Inquisitore con noi. Potrebbe essere una di quelle notizie che vengono mal apprezzate al telefono. O di persona. Ritorno nel vicolo e capisco che parlano di me quando si interrompono all’improvviso. Spero tanto per loro che non sia una discussione sul mio interesse per l’uno o per l’altro perché, tanto è vero che ho rifiutato il bacio di Ridley e ho detto di amare Chase, posso decidere di odiarli entrambi. «Stanno arrivando. Credo che ci metteranno cinque minuti.»
   «Bene.» Replica Chase con un ghigno.
Non so quanto positiva sia la situazione. Infilo le mani nelle tasche, limitandomi a sospirare. Chase continua a fissare Ridley, che adesso si ostina a guardare il terreno. Una parte di me sa perché è qui. Abbiamo bisogno di un’alleanza e, per quanto mi mancano i dettagli del piano, dopo un po’ di ritrosia è d’accordo anche Chase. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come muoverci, cosa sta pensando Johannes, perché sta aspettando. Abbiamo bisogno di qualcuno che non si fida di lui, che abbia un briciolo di giustizia e che creda che quello che sta facendo è sbagliato. Una piccola parte di me, forse neppure tanto minuscola, sperava che fosse Malachite. Il figliol prodigo ritorna a casa, da una famiglia che lo perdona. Quella notte che li abbiamo spiati, però, è stato chiaro che Malachite non avrebbe mai potuto esserlo. Lei ci avrebbe venduto di nuovo, lei avrebbe permesso che la nostra famiglia morisse. Se fosse dipeso solo da lei, i miei genitori e Edward sarebbero morti.
Ridley, per quanto peccatore come tutti, ha un briciolo di dignità. Crede nella vita, crede nell’errore e è un qualcuno che può condividere la nostra missione.
Corruccio la fronte, guardando l’entrata della via. Ci sono persone che passano nella strada principale, in un continuo andirivieni. Non si accorgono di noi. E non è quello che mi lascia perplessa. Sento i passi di Chase che mi si avvicina. «Lo senti?»
È il suono della battaglia, un’onda di ira, lussuria, gola, avarizia, accidia e invidia continua. Sono i vizi che si stanno avvicinando, una camminata che non porta a nulla di buono. Lancio una veloce occhiata a Ridley alle nostre spalle e comprendo il perché. Forse non sarebbe stato male dire che avevamo un nuovo alleato. Forse vederlo con i loro occhi non è auspicabile. Dal modo in cui si stanno avvicinando, ho un mezzo sospetto che non lo vedranno neppure come un compagno.
Mi irrigidisco e la mia mente ha già fatto quella richiesta. Sento una vibrazione nell’aria, faccio un passo in avanti per difendere Ridley. Lui fa un passo indietro e allungo la mano.
È una questione di secondi. La mia Falce si frappone a quella di Julia, e l’impatto mi ha strappato un gemito di dolore.
Dannazione.
 

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Capitolo 18
*** 18 ***


18
 
 
 
     Julia ha ancora la Falce sollevata. È dannatamente forte, arrabbiata com’è. Sto usando entrambe le mani e, nonostante tutto, mi sembra che la mia presa scendi un po’ di più. Ho i denti così digrignati che potrebbero rompersi.
Con la coda dell’occhio vedo un altro movimento. Porcamerda. Non posso fare nulla. Piego un po’ le ginocchia. La rabbia di Julia mi investe come un camion, obbligandomi a cedere secondo per secondo, millimetro dopo millimetro. Un altro po’, e la sua Falce si appoggerà sulla mia testa come la spada di Damocle.
Vedo Chase difendere Ridley, sferrando un colpo allo stomaco di Warren. Il calcio deve essere stato bello forte, almeno abbastanza da obbligare l’esorcista dell’avarizia ad arretrare e a massaggiarsi la parte lesa.
   «Smettetela.»
Io alzerei volentieri bandiera bianca, ma Julia continua a spingere. Ridley non si deve essere mosso dalle mie spalle. Ho la speranza che il vero obiettivo sia lui, e che Julia sia solo molto arrabbiata con me per averlo difeso. Se tornassi indietro, sicuro, non mi frapporrei mai tra lei e lui. Chase si avvicina a me, appoggiando la mano sulla Falce di Julia. Sento, più che vedere, i suoi muscoli combattere contro l’ira dell’altro esorcista e un po’ del peso che mi schiacciava a terra si allenta. «Ho detto di smetterla!»
Julia arretra di qualche passo, io crollo a terra. Ho male alle spalle. Ho pure male alle scapole. E di sicuro non è normale neppure sentire i muscoli tirati come una corda. La Falce, di solito bilanciata con il mio peso, è un macigno che si appoggiato al terreno.
Philippe compare da qualche parte, all’entrata del vicolo. «Interessante alleanza.»
Vorrei ribattere. Mi mancano le forze. Mi obbligo ad alzare la testa, perché un sentimento si fa strada all’interno di me, ricordandomi che non devo sentirmi inferiore. Titus? È il suo vizio che si sta facendo breccia dentro di me? Stringo la Falce e qualcosa, non meglio definito, si fa scudo e respiro la certezza dell’inevitabilità dei fatti. Mentire, mentire ancora, perché la verità non è facilmente affrontabile.
Lascio la Falce e Lie riprende forma vicino a me, con la testa leggermente inclinata e gli occhi di quel nero troppo simile al suo io passato. Faccio un movimento con la testa, lui si alza e si avvicina a Ridley. Julia si muove davanti a me come un animale in trappola, camminando avanti e indietro, quasi digrignando i denti. Tra gli esorcisti, sono una dei più forti contro i fantasmi. Fisicamente? Beh, credo di essere la più debole. Anzi. Sono certa di essere la più debole.
Chase mi prende per il gomito, obbligandomi ad alzarmi. Il colpo di Julia deve essere stato così forte da avermi strappato qualche muscolo. Il braccio destro, quello che ha assorbito la maggior parte dell’attacco, è decisamente malandato. Chase si sostiene con un braccio, il suo bisbiglio mi arriva appena. «Tutto bene?»
   «Lasciami.»
Annuisce appena e sfila la mano. Mai mostrare la debolezza, anche tra gli alleati. Una delle stupide regole di Johannes, che ripensandoci avrei gradito non conoscere. Chase fissa i nostri compagni. Oltre a Julia e Warren, che si stanno leccando le ferite dopo l’attacco, e Philippe, che chiude la squadra degli scavezzacolli, ci sono anche Jamar, Eliza e Robert. Gli sguardi che rivolgono a Ridley non sono dei più amichevoli.
Chase quasi urla. «Si può sapere che diavolo vi salta in testa?»
Julia abbozza un sorriso. Ha ancora la Falce in mano ed è un pessimo abbinamento. «Non mi piace quella compagnia.»
Chase alza un dito, lei si zittisce di risposta. «Ora statemi a sentire, piccoli ingrati. Avete detto che vi fidate di noi e vi ritrovo a tentare di uccidere un nostro alleato?»
L’ultima parola non è accettata di buon grado. Philippe ha incrociato le braccia al petto e cerca lo sguardo di Warren. In ogni modo, quest’ultimo è troppo impietrito per prendere minimamente in considerazione l’altro. Eliza scuote la testa. «Non ci alleiamo con l’Inquisitore.»
   «Bene. Andatevene allora. Andate da Johannes senza un piano e sperate che sia abbastanza buono. Andate.»
Nessuno si muove. Mi massaggio la spalla destra con la mano, cercando di riattivare la circolazione, il legamento, … qualunque cosa pur di farmi passare il male. E, davvero, ho male. Robert si fa largo con calma, avvicinandosi a me e a Chase. Lancia una veloce occhiata a Ridley, ma non fa nessun gesto contro di lui. Sospira. «Voi che dite di fare?»
   «Noi non diciamo nulla.» Tanti saluti. L’orgoglio di Chase è emerso e, a meno che qualcuno non vada lì con tante buone moine, chiedendo scusa per il comportamento sconsiderato, siamo in un momento di stallo. «O siete con noi o, inevitabilmente, contro. E se siete contro non mi posso fidare.»
Julia mi lancia una veloce occhiata, io scuoto la testa. Lancia la Falce alle sue spalle, il suo vizio mi compare come una donna dallo sguardo duro, che si allontana indispettita. Bene. Siamo odiati anche dai vizi. Felice di aver rivisto la tua schiena, Ire.
Mi accorgo che anche gli altri mi stanno guardando, come se non sapessero come comportarsi. Vero anche che sono l’unica che riesce ad ammansire Chase senza bisogno di leccare troppo i suoi piedi. Gli appoggio una mano sul braccio, lui mi fissa e sono colpita dalla sua rabbia. Sa che cosa sto cercando di fare e lo apprezza almeno quanto io amavo i compiti in classe. Stringo un po’ con le dita. «Devi comprendere la situazione.»
   «Se loro non si fidano dei nostri piani, io non …»
Gli appoggio la mano sinistra al volto. «Devi cedere un po’. Siamo la tua famiglia, Titus. Cedi un po’ per noi. Loro si fidano di noi. Loro … loro si fidano.»
Ora sta guardando il mio braccio destro, che decisamente è troppo rigido lungo il mio fianco. Se non ce l’ho io con Julia, lui non può dire nulla. Gli alzo il mento con la mano integra, avvicinandomi a lui. Il suo fiato accarezza il mio viso, cerco di ignorare quante persone ci stanno osservando. «Devi farlo per me.»
Ho detto le paroline magiche e, con un sospiro, si libera dalla mia presa. «Bene. Entriamo nel bar per parlarne.»
 
                                                             † † †
 
            Julia ha preso con entrambe le mani il braccio destro, e non serve a nulla dirmi che non sentirò nulla. Io so già che proverò dolore. Sentire le menzogne è un grosso difetto. Eliza è davanti a me, sorridente. «Fai un bel respiro, Bel.»
Ho la rispostaccia pronta nelle labbra, ma Julia decide di tirare e mi limito a urlare dal dolore. Piego la testa, trattenendo una lacrima. Julia muove il braccio su e giù, poi mi sorride. «Perfetto. Adesso dovresti muoverlo.»
Vorrei ringraziarla educatamente, ma forse stare zitti ha il suo lato positivo. Mi limito a incamminarmi, seguendo Eliza che si dirige verso un’auto. Mi siedo nei sedili posteriori, tra gemiti e imprecazioni. Chiudo gli occhi. La macchina puzza di cipolla. Se fossi stata Eliza ne avrei scelta un’altra, ma non posso fare tanto la schizzinosa. Ha chiesto un po’ di tempo solo con le donne del nostro gruppo e un po’ la capisco. Io e Lartia siamo sempre state molto legate, per quanto entrambe abbiamo tenuto nascosto parti della nostra vita che, a lungo andare, erano importanti. Sura, invece, è sempre stata quella più isolata di noi. È la volta buona che diventiamo tutte e tre buone amiche. O sorelle. Al diavolo, siamo le uniche tre esorciste donne, qualcosa deve pur significare.
Eliza mette in moto, mentre Julia prende posto nei sedili davanti. Vedo il guizzo divertito di Eliza dallo specchietto retrovisore. «Allora, come va il sesso?»
E al diavolo la parte delle buone amiche. Mugugno qualcosa e lei fa una manovra per uscire dal parcheggio. «Sto scherzando, Bel, sto scherzando. Non occorre che fai quel muso lungo.»
   «Se fossi in te non mi preoccuperei del muso di Bel.» Replica spietata Julia. «Abbiamo un bel po’ di faccende da pensare, sistemare, organizzare e tu che cosa fai? Decidi di fare un pomeriggio al femminile. Non ti capirò mai.»
   «Del futuro non si hanno certezze.»
   «Vaffanculo Sura. No, davvero.»
Mi limito a ridacchiare. È vero. Abbiamo tanto da organizzare. Ridley ha accettato, come se potesse negarci il suo aiuto tanto facilmente, di dirci quando Johannes si trova da solo ed è più vulnerabile. Sembra proprio che lui e Malachite siano molto spesso insieme, e quando non è così lavora con quelli dell’Ordine. Dobbiamo trovare un momento in cui lui è facilmente destabilizzabile e fare ciò che Chase ci dice. Il solo fatto che lo mantenga segreto è un qualcosa che fa pensare. La verità è che ho già due enormi sospetti. La prima volta che ho incontrato Susan, lei ha detto qualcosa. “C’è una tecnica, sorellina, che voi esorcisti non usate. È una tecnica pericolosa, così tanto potente da piegare la realtà.
Sul subito avevo pensato al decimo esorcismo, e ancora sono convinta che sia una possibile soluzione per il problema Johannes, ma è anche vero che c’è un’altra tecnica che noi non utilizziamo. Noi non abbiamo mai ucciso nessuno. È possibile che l’unico modo per eliminare il rischio del rituale sia l’eliminazione della persona in questione? Tutto è iniziato con la nostra morte e tutto finirà con la sua? C’è anche da dire, però, che per quanto ne sappiamo il corpo di Johannes non è propriamente mortale. Non so che pensare.
Forse domani sarà tutto finito. Forse questo è l’unico momento che posso passare con delle mie amiche, senza pensieri, con l’unico desiderio di divertirsi. Beh, fingere che sia così non costa nulla. Credo, però, che Eliza sia troppo ingenua nel credere che riusciamo a spegnere l’interruttore e dimenticare tutto quanto.
Sospiro. «Ti ha detto Chase di tenermi lontana dalla città?»
Eliza mi lancia un’altra occhiata. «Sì. Di tenervi lontane. Jamar mi ha chiesto di portare con noi Julia.»
   «Lo picchio a sangue, stupido lussurioso.»
   «Ti ama.» Dice placida Eliza. «Alla sua maniera, in modo malsano e particolare, ma lui ti ama, Julia.»
Sento il suo sospiro di fronte a me. Appoggio la testa al finestrino, guardando il paesaggio che mi sguscia davanti agli occhi. C’è una gelateria chiusa, con un enorme cono davanti che ci invita a forzare la serratura e a entrare. Poi ci sono un gruppo di ragazzi, probabilmente dell’età di Eliza, che stanno parlando davanti a un locale. Sarebbe così facile mescolarsi con loro e dimenticare tutto. Posso capire anche il perché Eliza ci ha chiesto di uscire con lei. Ne abbiamo bisogno. Ne ha bisogno.
Eliza gira a sinistra, allontanandosi dai quartieri della città, puntando verso una strada poco trafficata. «E Chase ama te, Bel.»
   «Risparmiati la spiegazione di api e fiori, Sura. Ci ha già pensato Maximus.»
Questa triste battuta strappa una leggera risata, che si trasforma di qualcosa di forzatamente allegro. Lascio che Eliza e Julia ridano alle mie spalle, di me e di Chase, o di noi. Mi fa piacere sapere che qualcosa può ancora essere innocente, genuino. Che una risata può ancora sbocciare per quanto tutto ci faccia supporre che è un’illusione.
L’auto si ferma e scendiamo. È pomeriggio inoltrato, il sole sta tramontando e il paesaggio di fronte a noi è tipico di una cartolina. C’è un albero solitario dal tronco sbilenco e nodoso che sembra illuminato di arancio e blu scuro. Perché siamo lì? Tutta quella strada solo per vedere qualcosa, seppur bella? Solo quello è l’obiettivo di Eliza?
Inclino un poco la testa, per vedere il suo profilo. Abbozza un sorriso, prima di prendere la mano a Julia vicino a lei e di fissarmi. «Qualunque cosa succeda, lo faremo insieme. Ci stai?»
Ha allungato la mano, ma io sono indecisa a prenderla. Muove le dita, come se fossi uno di quei cani che si possono ammaestrare con un po’ di croccantini. «Non fare la schizzinosa, Bel.»
   «Non posso promettertelo.»
Vedo gli occhi neri di Julia catturare dei raggi. «Hai mentito per molto meno.»
   «Non voglio reincarnarmi di nuovo. Mi dispiace. Promettervi di stare con voi significa legare di nuovo la mia anima. Non posso permetterlo … e non posso concedere che voi lo facciate.»
   «Hai frainteso, Bel.» Bisbiglia Eliza con un sorriso. «Noi staremo insieme: o vinceremo contro Johannes o periremo nel tentativo di farlo. Nessuna mezza misura. O qui o lì. Non più una vita di mezzo.»
Messa così, allungare una mano e stringerla è molto più facile. È più che altra una stretta, prima che un bip ci distolga da noi stesse. Sospiro e leggo il messaggio. «Johannes è solo.»
Bene. Si ritorna in città.

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Capitolo 19
*** 19 ***


19
 
 
 
            Non mi sono vestita in modo particolare. Ho il mantello, ma solo perché ritengo che sia giusto indossarlo per quell’ultima volta. Nel bene o nel male, oggi finisce tutto. Sotto ho un maglioncino e un paio di jeans. I capelli sono legati in una coda, il viso è pulito senza una dose di trucco. All’opposto di Eliza, che sembra convinta di dover fare una sfilata di moda prima di confrontarsi con lui.
Se dovessimo morire, cosa accadrà ai nostri corpi? Li troveranno di nuovo e li seppelliranno? Johannes li cremerà per impedire che ritorniamo di nuovo? Mi obbligo a non pensarci, ma il pensiero torna sempre. Ho paura. Dannazione. Io ho tanta paura. Ho paura di morire, ho paura di vivere. In questo momento, non so cosa vorrei. Conoscevamo Johannes. Ci ha cresciuto, ci ha addestrato e ora tutto si riassume in due fazioni prima alleate che tentano di uccidersi.
Il viaggio in auto è silenzioso, perché non c’è modo di scappare. Il piazzale dell’Ordine è deserto, e questo lo sapevamo già. Ridley ce lo ha detto. Johannes ha chiesto che l’Ordine fosse sgombrato per questa sera. Probabilmente starà facendo il rituale per stapparci le anime. Il fatto che sono ancora attaccate a noi rende solo inevitabile che ci dobbiamo muovere.
Entriamo dentro all’edificio, respirando per l’ultima volta quell’aria che non è più di casa e non è sconosciuta. Prendo la guida. So dove potrebbe essere e mi sembra stupido non averci pensato prima. I nostri corpi passati sono presenti in quelle mura. È strano che Johannes abbia voluto con sé delle vecchie tombe. Non abbastanza strano, però, se effettivamente noi ci siamo lì dentro.
Percorriamo quei corridoi con passo celere, con l’urgenza di arrivare a destinazione. E se mi sbagliassi? Se li stessi portando il più lontano possibile da lui? E se una volta arrivati, scoprissimo che parte del rituale fosse già stato fatto? Ora che ci penso, è strano che non siano con lui i suoi subordinati. Strano, a meno che non li abbia messi in un luogo al sicuro. E il luogo più sicuro che mi viene in mente è una prigione. Che io sia dentro il mio corpo o dentro qualcun altro, non appena ne ho il controllo vado ad ammazzare Johannes. È un dato di fatto che lui deve aver considerato.
Mi fermo, in attesa. Alle mie spalle vedo solo Robert e Julia. Chase sta controllando l’ora. «Qualche problema?»
Indico il bivio davanti a noi. «Pensavo che fosse meglio aspettarli, prima di procedere.»
Chase si limita ad annuire con la testa. Forse è stupido. Estraggo dalla tasca dei jeans l’accendino. Ne abbiamo uno a testa. Chase appoggia una mano sulla mia e, quando alzo lo sguardo, vedo che lui mi fa un breve cenno con la testa. Mi sento in colpa. In qualunque modo andrà oggi, nel bene o nel male bruceremo l’edificio. Non sappiamo se le nostre anime saranno allontanate dal nostro corpo in modo violento. Abbiamo la speranza che sarà fatto un’anima alla volta e, anche se rimasse uno solo di noi in piedi, appiccherà fuoco all’intero edificio. I ragazzi stanno buttando un bel po’ di benzina in giro. Julia ne sta portando due taniche perché, dovesse andare proprio male, ci cospargeremo. Non rimarrà più nulla. Neppure il desiderio di incontrarsi con gli altri.
Morire bruciati per la seconda volta. Ho proprio avuto una vita piena di emozioni.
Robert si siede per terra, guardando il corridoio debolmente illuminato alle nostre spalle. «Ci stanno mettendo troppo.»
   «Non stanno facendo una scampagnata, fagiolino.»
Robert sbuffa. «Non ho mai detto che stanno facendo …. Julia! Non chiamarmi fagiolino
Vederli litigare mi fa sentire un po’ meglio. Solo un po’. Guardo nervosamente la strada che dobbiamo percorrere, chiedendomi quanto tempo ci manca, se è giusta questa scelta. E se Johannes non fosse neppure lì? Se Ridley ci avesse mentito? È sospetta questa parte, perché ha parlato con Chase. E sono solo io in grado sentire se una persona mente o meno.
Chase mi accarezza la schiena, obbligandomi a fissarlo. «Stai bene?»
   «Mai stata meglio.»
   «Ti va se ci allontaniamo un attimo?»
Julia sbuffa. «Non ci provate neppure ad andarvene senza di noi.»
   «È una questione vietata ai minori.» Il brutto, però, è che non mente. Julia vede probabilmente che arrossisco, perché si limita a mugugnare che facciamo schifo. Chase mi prende per una mano, conducendomi verso uno dei due corridoi, sospingendomi verso un armadio. Bisbiglio. «Non mi pare il momento.»
Le sue labbra cercano le mie e la mia mente va in panne. Mi aggrappo a lui come se fosse la mia aria, perché non ho certezza se questo sarà il nostro ultimo bacio. E non ho neppure la certezza che non lo sia. Mi sembra di aver perso troppo tempo a litigare con lui, troppo tempo a riappacificarci, troppo tempo per fare delle inezie. Ho la schiena appoggiata alla parete dura. Posso sentire ogni piccola venatura della pietra, ogni particolare del mantello di Chase. Allaccio le mani al suo collo, lui mi solleva con apparente facilità. Cerco di riprendere fiato. «Chase.»
   «Non ci provare neppure ad andartene senza di me.»
Lo bacio sulla fronte. «Va bene.»
Mi rimette giù, lisciandosi il mantello. Questo nuovo Chase, affettuoso e molto contrario alle regole, mi attira sempre di più. Il che mi riporta con i piedi per terra: noi, nei sotterranei dell’Ordine, alla ricerca di Johannes. Direi che abbiamo molto di cui pensare.
Nei cinque minuti in cui ci siamo allontanati, Philippe è tornato. Distoglie lo sguardo da noi e mi maledico. Quante volte in quest’ultimo periodo sono riuscita a fargli del male? Mi ha detto che gli piaccio, altrettanto bene gli ho detto che il mio cuore appartiene a un altro. Certo che fargli così vistosamente male mi sembra troppo crudele, anche per uno come Philippe, che ti vomita contro la sua rabbia in ogni occasione.
Chase si passa una mano sui capelli. «Hai finito la tua zona?»
   «Non sarei qui, altrimenti.» Sì, direi che è proprio incazzato con noi. Julia alza una spalla. Lo so, spalleggia per lui. Titus non ha mai fatto nulla per attirare la simpatia degli altri. Il suo modo di esprimerci affetto erano gli ordini e le missioni. Non si è mai dato la pena di mostrare agli altri come è veramente, ad eccezione che con me. Ovvio, quindi, che agli occhi di tutti stiamo facendo una cattiveria gratuita nei confronti di Philippe.
Fortunatamente, arrivano anche gli altri. Il clima non si può certo dire allegro, ma per lo meno non tentano di ammazzarci. Prima di partire per procedere lungo il corridoio, ci gettiamo addosso la benzina. Respiro quel miasma con le narici dilatate, sperando che Johannes non senti la puzza e non decida di precederci. Sarebbe molto divertente morire bruciati prima ancora di aver sferrato un attacco. Almeno dovremmo provarci.
Mi passo la mano lungo il viso, cercando di togliere il liquido dalla fronte. Ho il terrore che mi coli lungo gli occhi e che mi impedisca di ragionare come devo. Già così, senza fiamme nelle mani, il cervello va a colpi. Dannazione. Sono morta bruciata. Ho ancora le cicatrici nelle gambe. Sono stata torturata con le fiamme. Che gran bella idea fare un’enorme falò con i nostri corpi.
Jamar mi si avvicina quasi con disinvoltura. «Stai bene?»
   «Sì. Bene.»
   «Quindi è normale tentare di staccarti le dita della mano?»
Abbasso lo sguardo per vedere che non sto tentando solo di schioccarmi le dita, ho proprio deciso che con quelle voglio giocare a Shangai. Sospiro lentamente, e qualche goccia di benzina mi si infila nella lingua. E se morissi così, avvelenata? La benzina è tossica? Beh, buona di certo non lo è. Non abbiamo ancora avuto modo di scoprire questi nostri nuovi corpi. Magari siamo effettivamente diventati come negromanti.
Indico un punto davanti a me, Jamar mi prende per un gomito obbligandomi a rallentare e Chase ci precede di qualche passo. Faccio un cenno con il capo, Jamar lascia la presa non prima di avermi dato uno schiaffo sul sedere. Sì, va bene. È solo lui.
La luce è data dalle fiammelle e da una luce portatile. Anche così, l’ambiente è spettrale. Siamo decisamente fuori posto, e non solo perché dovremmo essere dentro alle tombe.
Johannes è seduto su una delle lapidi. Guarda direttamente il corridoio, quindi sorge il sospetto che sapesse del nostro arrivo. Sta sfogliando quelle che sembrano essere delle vecchie carte. Non alza neppure lo sguardo, ma è anche vero che non abbiamo fatto nulla per nascondere il nostro arrivo. Una mandria di bufali sarebbe stata più discreta. «Sono felice che siate venuti. Chi dei miei alleati mi ha tradito?»
Non c’è nessuna nota di rabbia. Solo curiosità. Chase si avvicina di un passo. «La finiamo qui?»
Johannes sorride. Mi avvicino anch’io, spostandomi in modo da non avere la lapide come impiccio. Sono bassa o forse semplicemente so cosa cercare perché abbasso lo sguardo verso il terreno. Vicino a lui c’è il cadavere di un uomo. È uno di quelli che avrebbe dovuto ospitare una delle nostre anime.
Dannazione.
   «Titus!»
Il mio urlo si disperde nel colpo. Sento un pugno all’altezza dello stomaco che mi lascia inerme, sbalzandomi contro una parete. Qualcosa sta cercando di sfuggire da me. Basta. Sono stanca. Sono stanca.
Lasciate che prenda la mia anima.

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Capitolo 20
*** 20 ***


20
 
 
 
      Qualcuno mi schiaffeggia. «Bel! Bel!»
Sono degli schiaffi tutto sommato dolorosi. La pelle sul viso è arrossata, quasi rovente. Perché non sono preoccupata? Vorrei solo rimanere lì, a dormire. Basta. Sono davvero stanca. Tanto debole, sì.
Mi arriva un altro schiaffo, più duro, poi mi obbligano ad aprire gli occhi e vedo il volto preoccupato di Philippe. Mi fa un po’ male vederlo così, esiliato nella friendzone. I pensieri si ingarbugliano nella mia testa, immagini non volute di gruppi sui social network poco lusinghieri, poi smetto di pensare. Perché tutta questa frenesia? Riesco a sillabare. «Mi di-sp-ia-ce.»
   «Guardami, Dalila.»
È difficile. Continuo a perdere la vista, come se mi immergessero in un catino d’acqua a momenti alterni. È davvero difficile concentrarsi su un qualcosa, pensare a un qualcosa. Vorrei che finisse tutto. Basta guerra, basta battaglie. Vogliono la mia anima? Va bene, non ha importanza. Può prendersela. È così tanto lacerata che è ottima come scolapasta. Un altro colpetto al viso e la vista mi ritorna. «Dalila, devi rimanere per Titus.»
Gli occhi mi si rovesciano nel cranio. Dannazione. Rimanere cosciente sembra al di fuori delle mie possibilità. Mi muovo. Lo so perché il terreno è fin troppo duro. Nonostante tutto, vorrei sprofondarci dentro e dormire. Non è male essere come Oppius, un perennemente stanco. Non è male, perché il muovermi non ha più senso. Sospiro. «Allontana … Robert.»
   «Oppius, vattene.»
Sento un cambiamento immediato nella mia anima. Che diavolo mi prende? Stringo i denti e di nuovo qualcosa sembra voler uscire. E che diamine. L’anima è mia. Ho una voglia matta di prendere a pugni Johannes e allungo la mano, agganciando quella dell’unica persona che può aiutarmi a vincere questa battaglia mentale. Il polso di Julia è caldo e sicuro. Più stringo, meno lei cerca di divincolarsi. Sa che la sto usando? Deve darmi la sua rabbia. Deve darmela perché non posso mentire a me stessa, non posso negare che vorrei tanto non dover più combattere.
Un’altra persona mi si avvicina, dal respiro pesante e che sa di nicotina. No, non ho bisogno della lussuria in questo momento. Ho consumato tutta la mia energia per allontanare l’accidia, non ho affatto bisogno di Jamar. Poi avviene qualcosa nel basso ventre che mi fa dimenticare la mia anima, Johannes, e pure che sono distesa in questo terreno, vicino alle nostre tombe. È un qualcosa che mi fa emettere un gemito strozzato, e che mi fa desiderare di strozzare Jamar. Ora muovermi è l’unico modo per combattere questo nuovo desiderio. La voce di Philippe vicino a me non aiuta. «Stai bene? Bel?»
Emetto un gemito non molto mascherabile. È indubbio il motivo per cui l’ho fatto e mi imbarazza il sentire la voce di Warren, sopra di me. «Bel?»
   «E che cazzo, ti pare il momento di voler Chase?» Julia! Non mi stai per niente aiutando. Stringo di più il suo polso e apro gli occhi. Lancio uno sguardo sprezzante a Jamar, che ha la decenza di allontanarsi. Un po’ per l’aiuto di Julia, un po’ per un desiderio che non riuscivo a soddisfare, la mia anima è dentro di me e non desidera scappare. Mi alzo a sedere, passandomi una mano sulla fronte. Devo aver sbattuto la testa. Dalla tempia destra mi cola fin troppo sangue, che ha inzaccherato i capelli. Direi che oggi è stata una pessima giornata per la mia parte dominante. Ho ancora il braccio dolorante dopo il colpo di Julia, ora zampillo sangue. E mancava poco che gli lasciassi la mia anima.
Mi passo una manica sulla fronte, ma il sangue non smette. Eliza mi sorregge con una mano. «Cammini?»
Annuisco, prima di allontanarla da me. Sì, cammino. E se anche non ci riuscissi, mai mostrare a Johannes i nostri punti deboli. Solo per aver avuto intorno a me quasi tutti gli esorcisti, il suo sorriso mentre mi avvicino è gongolante. Ci ha quasi messo in scacco. Affianco Chase. «Stai bene?»
   «Benone. Lui?»
Chase inclina la testa da un lato. «Sospetto che abbia usato il suo unico attacco. Devi proprio odiare Dalila.»
Che mi odiasse era implicito. Da che ho ricordo, non ha mai usato parole di burro. E anche la prima volta che l’ho incontrato, quando ancora non sapevo chi era, l’ho trovato scortese e doppiogiochista. Se una già ti conosce così bene, hai tutto l’interesse di tenertelo lontano, no?
Johannes si siede meglio, affondando la lapide più nel terreno. Fa una smorfia. Il suo corpo non deve essere perfetto. Emette una specie di sbuffo, che non può mascherare completamente. Ha la tosse. È malato. Anche Chase l’ha notato, perché sorride. «Così la tua immortalità ha dei punti deboli.»
Johannes abbozza un sorriso tirato. «Siete venuti fino a qui per gioire della mia malattia? Credevo di avervi educato a essere più rispettosi.»
Il sangue mi cola sull’occhio, così da costringermi a chiuderlo. Mi si annebbia anche la vista. Lo sguardo del mio vecchio mentore si fissa su di me. «Morirai dissanguata.»
   «Disse quello che vuole le nostre anime.» Ringhio con convinzione.
Johannes mi odia e, lo so, il sentimento è ricambiato appieno. «Non mi potete uccidere. È un dato di fatto, Titus. Siete venuti qui per niente.»
   «Il tuo corpo è immortale.» Dice Julia, emergendo con la mano sinistra sollevata, come se volesse scagliare il primo esorcismo. «La tua anima no.»
   «Voi non siete degli assassini, esorcisti. Non avete attaccato i mortali per difendervi da accuse infondate, di certo non attaccherete me per volere le vostre anime.»
   «Eseguiremo il decimo esorcismo, Johannes.» Replica con tono mellifluo Chase.
   «Non esiste un decimo esorcismo.»
Esiste. Solo che non abbiamo mai combattuto tutti insieme per uno stesso scopo. Siamo sempre stati solitari. Questo è stato il nostro punto debole, fin dal principio. È così che Johannes si è insidiato tra di noi, che Malachite ci ha venduto, che l’Inquisitore ha potuto catturarci senza troppi problemi.
   «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Le catene di Julia si legano attorno a Johannes e, con un colpetto, l’uomo cade a terra, tra due lapidi. Non tenta neppure di alzarsi. È sbagliato attaccare una persona inerme. È sbagliato infierire su qualcuno che è così vistosamente debole.
Lancio una veloce occhiata a Robert, che ha sollevato la mano sinistra in posizione di preghiera. Lui non ha dubbi sulle azioni giuste o sbagliate. Non le ha perché non c’è stata giustizia per noi. «Quarto esorcismo: remissione del peccato.»
Le sue catene si avvolgono intorno a Johannes, congiungendosi a quelle di Julia. Jamar ha le mani congiunte e gli occhi chiusi. «Quinto esorcismo: sincronia dell’anima.»
Ormai le catene sanno esattamente dove avvolgersi, in un intrecciarsi continuo. Johannes alza lo sguardo e, con astio, ci vomita contro. «Io vi maledico.»
Già fatto. Purtroppo per lui, altri ci hanno già pensato a renderci la vita un inferno. Eliza è in posizione. «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
Warren mi lancia una veloce occhiata, io scuoto la testa e mi indico la fronte insanguinata. Philippe ringhia contro e lo so che per il suo vecchio corpo un esorcismo del genere era molto al di fuori della sua portata. «Settimo esorcismo: imposizione.»
   «Ottavo esorcismo: spirale del cherubino.»
Sono ancora qui, a chiedermi se è sbagliato o meno. Cosa direbbero i miei? Probabilmente che devo fare quello che ritengo giusto. E non potrò mai avere conferma da loro perché mi è stato impedito di avere un futuro. Sospiro, portandomi una mano al volto, sopra al sangue. «Nono esorcismo: sangue dei serafini.»
Capisco perché l’ultima volta Titus era gravemente ferito, dopo aver fatto questo esorcismo. Non perché fosse debole, ma perché chiama il sangue. Sento il cuore pompare e il sangue scendere più copioso, come se avesse deciso che è giunto il momento di scappare dal mio corpo. Non reggerò ancora a lungo, ma non posso chiedere a Chase di muoversi.
Lo guardo, mentre la mia catena insanguinata collega tutte le altre. Il ragazzo si mette in un punto in cui può toccare, con le mani o con il corpo, tutte le catene. Johannes ora ha paura. «Titus.»
   «Dio ti perdonerà, Johannes. Noi, di certo, no. Decimo esorcismo: occhio di Dio.»
Le catene si congiungono insieme. Chiudo gli occhi, sia per la luce sia perché mi sto prosciugando di ogni energia. Sento il suo urlo, sento il suo dolore e, alla fine, sento anche la sua fine.
Abbandono le mani al mio fianco, ansimante. Anche gli altri si guardando in giro, perplessi. Davanti a noi Johannes ha perso conoscenza. Ci aspettavamo forse qualcosa di più spettacolare di una dormita del nostro avversario. Chase si avvicina, calciando un fianco di Johannes e rovesciandolo supino. Ha gli occhi aperti e la bocca semichiusa. Tuttavia … «Cazzo. Puzza di morte.»
Come volevo dire, con parole meno da Jamar. Il suo corpo sta andando già in decomposizione, come volevasi dimostrare che la sua vita non era giusta. Non lo era e, in un certo senso, non lo è neppure la nostra. Chase lo fissa con sdegno. «Andiamo.»

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Capitolo 21
*** 21 ***


21
 
 
 
      Qualcuno mi pungola la spalla. Apro gli occhi, con un braccio stranamente intorpidito. Robert mi dorme praticamente addosso, la sua testa infilata nell’incavo del mio gomito. Questo spiegherebbe perché non sento più le dita della mano destra. Chase sospira, sollevando la testa del ragazzino. Mi sfilo dalla mia strana posizione. Come diavolo sono riuscita ad addormentarmi tra lui e Jamar? Chiedo di più: quando mai ho offerto le mie gambe come cuscino al ragazzo? Non andiamo neppure d’accordo!
Riesco ad allontanarmi, intorpidita e senza svegliare nessuno, per quanto dare un calcetto alla lussuria mi sia passato per la mente. Tranne noi, gli altri devono essersi svegliati da un pezzo. Le coperte che usiamo come materassi sono piegate e riposte per terra. Anche il letto è rifatto. Dovevamo proprio aver tanto sonno, per non accorgerci del trambusto che ci circondava!
Chase sta sistemando Robert, io mi ritrovo mio malgrado a cercare di non svegliare Jamar. Impossibile, visto come russa.
Mi alzo in piedi, con ancora qualche muscolo piuttosto addormentato e la testa indolenzita. Me la sfioro, sistemando la benda che l’avvolge. Ho una strana sensazione al petto, che non è spiegabile né come sollievo né come tristezza. Mi limito a constatare che ho un certo grado di disagio. Seguo Chase, chiudendomi la porta della stanza alle spalle. L’appartamento profuma di caffè. Sul tavolo ci sono gli avanzi di una colazione frettolosa. Prendo una delle tre brioches che sono avanzate, mangiando con calma. Chase mi porge una tazza di caffè. È tiepido. E mi sto abituando al gusto. Non è proprio male se te lo presentano tutti i giorni, a qualsiasi ora. Prima o poi, anche uno che lo ha sempre disprezzato inizia a considerarlo.
Alzo lo sguardo, mentre Chase si appoggia al piano cottura. Risponde alle mie domande silenziose. «Gli altri sono usciti.»
Capisco. Mordo un altro pezzetto di pastina che, come sempre, ho sbagliato a prendere. Deve esserci un qualcosa che non mi piace dentro. Mah: frutti di bosco? Non so. Potrebbe essere anche il fatto che ho lo stomaco chiuso. Chase sospira. «Stanotte ho dormito bene.»
Appoggio la pasta al tavolo, pulendomi le mani sui pantaloni della tuta. Eliza mi ammazzerà. Il ragazzo davanti a me è estremamente indifeso. E lui non lo è mai. Sta mostrando un qualcosa a me, solo a me. Nessun tipo di schermaglia, nessun muro, nessuna frase sul fatto che lui è il capo e certi sentimenti non gli competono. Mi avvicino, allungando la mano per prendere il suo volto. I suoi occhi verdi non distolgono l’attenzione da me. Non gli fa paura mostrarsi così. Lo trascino, facendogli appoggiare la testa nell’incavo della mia spalla. Il suo respiro mi solletica l’orecchio. Mi stringe in una morsa, congiungendo i nostri corpi. Non è chiaro quale sia il mio corpo e quale il suo. Chiudo gli occhi.
Johannes.
Quando sono andata a dormire, Robert era terrorizzato. Mi sono sistemata vicino a lui, perché mi stringesse la mano. Non ci fanno paura i fantasmi; sono i vivi che ci terrorizzano. Mi devo essere addormentata. Chase deve aver dormito solo, anche se gli avevo promesso che appena sistemata la questione sarei andata da lui. Non è arrabbiato per quello. Sono stata messa da parte troppe volte per conoscere quel sentimento. Puoi odiare un tuo fratello perché ha rubato per poco l’attenzione del papà? Molto semplicistico, e per nulla esaustivo della nostra situazione, ma non odiavo nessuno degli esorcisti per tenermi lontano da Chase. E lui non poteva provare altro.
La sua stretta è così forte che mi manca l’aria. Sento le sue labbra a contatto con la pelle nuda del collo che abbozzano un sorriso. «È finita.»
È finito tutto. È come lasciare un lavoro scolastico, che ti ha prosciugato ogni ora del giorno, ogni attimo di veglia. È finito tutto. E ora? Cosa rimane di noi? Chase mi allontana da sé, pur stringendomi. «Verresti con me? Mi concedi questo giorno?»
Sorrido. Certo, come no. Come se potessi scegliere altrimenti.
Siamo saliti su un treno, destinazione ignota a me. Chase guarda fuori dal finestrino, io cerco di ignorare il mio riflesso. I capelli mi stanno particolarmente male e la doccia frettolosa che sono stata costretta a fare mi ha lasciato insoddisfatta. Frettolosa e silenziosa, per di più. Chase mi ha detto di indossare un paio di jeans e un maglioncino, sopra un giubbino che si vede chiaramente non essere mio.
Ho le mani infilate in tasca e seguo con gli occhi una famigliola davanti a noi. Sembrano felici per un qualcosa, vestiti come se volessero andare in un parco giochi. Ascolto la loro conversazione sulle giostre, le attrazioni, gli spettacoli. Sono curiosa anch’io di vedere questo rettilario. Da come ne parla il bambino, ci deve essere un serpente grande come un edificio.
Sono in parte sorpresa quando Chase mi fa cenno di alzarmi e seguiamo la famiglia. Prendiamo il loro stesso autobus, rimanendo in silenzio. Mi avvicino al ragazzo silenzioso al mio fianco, che sta ancora fissando fuori dal finestrino. «Mi puoi dire dove stiamo andando?»
Abbozza un sorriso. «Mi hai concesso la giornata tutta per me.»
   «Non scappo in ogni caso.»
Finalmente, da quando siamo partiti, mi guarda. Ha un guizzo divertito, un po’ il vecchio Chase che emerge. Quello degli appuntamenti, che ho appena intravisto in un certo periodo della mia vita, lontano secoli da adesso. Mi allontano con il busto. «Te ne stai andando?»
È sorpreso. «Andando? Dove dovrei andare?»
Guardo di nuovo la famiglia, che si è alzata. A quanto pare, la nostra destinazione è la stessa. Chase mi ha portato in un Luna Park. Lui non è il tipo. Io, invece, sì. Anche il fatto che mi ha chiesto una giornata per lui mi avrebbe dovuto insospettire. Sono sempre stata io quella che non poteva fare a meno di lui. Anche in passato, io ero disposta a rinunciare a tutto purché essere al suo fianco. Mi sta lasciando.
Chase mi prende la mano, obbligandomi a scendere. È giusto. Abbiamo finito. Siamo rimasti solo degli esorcisti, senza Ordine, senza una missione. Rimango in disparte quando prendiamo i biglietti e, all’interno del parco, riesco a liberarmi dalla sua stretta. Adesso mi pento di aver preso anche la fotografia che ci vedeva insieme, perché da qui a qualche anno la odierò. Già la odio. Lui se ne andrà, inghiottito da chissà quale desiderio, quale compito. Perché una missione ci rimane sempre, no? Siamo esorcisti. Noi aiutiamo le anime nel trapasso.
Chase mi dice di aspettarlo, io mi siedo su una panchina. Mi mordicchio un’unghia. Non c’è molta gente. È freddo ed è un giorno lavorativo. Tuttavia, ci sono due scolaresche che si disperdono nel parco enorme. Potrei tornare a scuola, ma so che non è fattibile. Ho sedici anni e sono morta. Ho sedici anni e non ho un futuro all’infuori del mondo dei morti.
Lo zucchero filato mi si appiccica nel viso. Sembra di essere immersa in una nuvola. Prendo il cibo che mi ha gettato contro Chase con una mano, cercando di ricordarmi perché non voglio prendere la mano che mi offre. Mi pungola. «Te lo ricordi? Mi hai concesso questa giornata.»
La prendo e capisco che non ho molta scelta. Lo amo. È difficile da accettare, ma sono innamorata di lui. Qualunque cosa lui faccia o mi succeda, io sono legata a lui. E mi sento come una bambina, con lo zucchero filato molto più grande di me in una mano e l’altra stretta a un bel ragazzo. Saliamo su un trenino che ci permette di portare il cibo e, soprattutto, di vedere com’è il parco. Deve essere l’attrazione più triste del parco, perché non c’è praticamente gente. Ci troviamo in un vagoncino da soli, con i finestrini sollevati e una snervante canzoncina infantile. Infantile e che ti entra in testa con molta, troppa, facilità. Chase lascia la mano per prendere un po’ di zucchero e, prima di poter fare altrettanto, fa una pallina e me la infila in bocca. «Non sto andando da nessuna parte, quindi smettila di fare il muso.»
   «Siamo in questo parco e, diciamocelo, non è proprio da te. Siamo scappati dall’appartamento di nascosto, senza dire nulla, e neppure questo è da te. Quindi … non so proprio cosa pensare.»
Si inumidisce le labbra. «Va bene. Cerchiamo di essere sinceri. Cerchiamo di farci delle domande e di non mentirci. Inizia tu.»
Bella fregata. Io so benissimo quando mente. Si dà il caso che sono l’esorcista della menzogna. Annuisco lo stesso. «Perché siamo qui?»
   «Abbiamo ucciso Johannes e io ho bisogno di te.»
   «Me? Per cosa?»
Mi prende la mano che regge lo zucchero filato, intrecciando le nostre dita. Sorride. «Bel, siamo liberi. Johannes non attenta più alla nostra vita, non siamo più vincolati dall’Ordine …»
   «Abbiamo sempre la nostra missione. Sai … i fantasmi non vanno in vacanza.»
Alza una spalla, passandomi un dito sulle labbra. «Ce l’hai ancora? La collana che ti ho dato.»
Senza aspettare risposta, infila con disinvoltura le dita sotto al colletto del maglione, estraendo la croce che tempo fa mi ha dato nel tentativo di salvarmi la vita. Oggi lo vedo più strano del solito. E, non per dire, ma Chase non è mai stato troppo lineare come personalità. Se la rigira tra le dita. Non me la tolgo mai, quindi ha la stessa temperatura della mia pelle. «Ho preso una decisione, e l’ho detto agli altri stamattina.» Le decisioni di Chase non sono mai felici. «Sarò il capo degli esorcisti, è inevitabile. È ovvio che tu sarai la mia seconda. E i nostri compiti finiscono qui. Noi continueremo a esorcizzare gli spiriti come abbiamo sempre fatto. Non faremo riferimento alla Chiesa. Siamo un Ordine a sé stante. Quindi tutte le regole passate sono inutili.»
Continuo a fissarlo. Ci potevo arrivare anch’io. «Che intendi con le regole del passato? Ne avevamo tante.»
   «Non occorre fare rapporti a nessuno dei due dopo le missioni. Esorcizzeremo per il solo fatto che vogliamo farlo, che siamo in grado di farlo. Non occorre andare in missione a coppia. Si può essere da soli o in compagnia. Non siamo vincolati a una città. Abbiamo l’intero mondo per noi.» Ora mi dice che se ne va. Abbozza un sorriso, alzandosi dal sedile e scoccandomi un bacio sulle labbra. «Niente celibato. Se si ama qualcuno, si può stare con quella persona. Se ci si innamora di un mortale e lo si vuole mettere al corrente di noi, ci si prende la responsabilità e lo si può fare. Magari prima si avvisa gli altri, giusto per correttezza.»
   «Mi piace questa cosa dell’amore.»
Si risiede con calma, guardando fuori dal finestrino. Stiamo passando sopra a una giostra d’acqua evidentemente spenta. Sì, certo. Acqua e inverno non vanno mai d’accordo. «L’ho detto agli altri stamattina. Quando si svegliano Robert e Jamar saranno messi al corrente. Si aspettavano una mossa del genere. Philippe è stato così sfacciato che mi ha detto di metterti incinta per obbligarti a seguirmi.»
Cosa? Brutto stronzo. Appena ritorno a casa lo riempio di pugni, quell’impiccione che non è altro. Chase è serio, il che mi rende ancora più preoccupata. Non è che lo sta prendendo in esame? Io e la maternità siamo come il diavolo e l’acqua santa. Ho sedici anni, e che diamine! Scuote la testa, come se avesse letto nei miei pensieri. «Tu cosa hai intenzione di fare? Alla luce di quello che ti ho detto, come agirai nel prossimo futuro?»
Abbasso la testa. Lo zucchero filato è quasi intero e ho lo stomaco chiuso. Il problema non è Chase. Sono io. Sospiro, prendendone una pallina e infilandomela in bocca per avere qualcosa da fare. «Ho fatto una promessa. Devo seguire Malachite per …»
   «… per ripagarla di quello che ha fatto. Lo so. C’ero quando l’hai minacciata. Interessante. La indurrai a morire per sette volte e la salverai per altrettante volte.» Sì. È crudele, ma l’ottava volta la lascerò morire e lo desidererà con tutte le sue forze. Io ho iniziato già a bramarlo. Forse ho fatto una minaccia troppo grande per le mie possibilità. E, non contenta, l’ho fatto davanti agli altri, il che mi porta a rispettare questo compito.
Mangiamo lo zucchero in silenzio. Sto sistemando i pensieri. Sarebbe fantastico se dimenticassi tutto e lasciassi la nostra città. Potrei andare ovunque, vedere il mondo. Ritornerei in Italia, dove sono nata secoli fa, rivedrei Roma. Potrei anche fare le stesse strade del mio passato, a piedi o a cavallo, per vedere quanto è cambiato. «Non posso lasciare Lubris, Chase. Non ancora.»
   «Lo so. È per questo che rimarrò.»
   «Rimani
Storce il naso. «Beh, non esattamente. Credo che sia opportuno dire che dove vai tu ci sono anch’io.»
Abbozzo un sorriso, scuotendo la testa. «Chase, non sei obbligato.»
   «Ti ho lasciato andare troppe volte. Non ho intenzione di passare un’altra esistenza guardandomi alle spalle, chiedendomi come sarebbe potuto essere tra di noi. Rimango con te, e non è una decisione discutibile.»
Appoggio ciò che rimane dello zucchero filato per terra, sedendomi in braccio a Chase. Se quella è la sua decisione, mi aspetto che un giorno mosse del genere diventino più normali. Gli allaccio le mani al collo e lui indugia con le sue lungo la schiena, entrambi rigidi. «C’è altro?»
Chase abbozza un sorriso e mi stringe a sé. Oh, sì. C’è altro e sa che a me non piacerà. «Gli altri non hanno dimenticato. Malachite è tua sorella, e non possono intervenire, ma lui non è legato a nessuno di noi.»
So a chi si riferisce. Forse una parte di me aveva intuito qualcosa anche la sera prima, quando uscita dal bagno Robert si è attaccato a me come una cicca sulla scarpa. Ho cercato di ignorare il sospetto, di non chiedere nulla perché poi avrei fatto i conti con le loro menzogne. Annuisco. «Quando? Adesso?»
Sono convinta che Chase sospetti che io nutra dei sentimenti verso Ridley. No, non è così. Abbozzo un sorriso che lo lascia sospettoso. Sapevo che sarebbe successo. Lo sapevo che non avremmo dimenticato. Solo che noi siamo particolari, come mortali. Lui ci ha ucciso, ha goduto delle nostre morti ma, al tempo stesso, si è un po’ redendo nei nostri confronti alleandosi con noi. Chase sospira. «Credo di sì.»
   «Sei contrario.»
   «Ci ha aiutato. Ha il diritto di scegliere se vivere o meno.»
Percorro con le labbra il suo collo, in movimenti lenti e posati. Emette un gemito soffocato. Non mi allontano. Respiro la sua pelle, il profumo del bagnoschiuma e dei vestiti, la sua pelle liscia a contatto con le mie labbra. Mi interrompo, perché il suo cellulare ha vibrato. Faccio per alzarmi, ma la sua mano si stringe e sé. Appoggio la testa alla sua spalla, guardando il display. Non lo hanno ucciso. Quando sono arrivati a casa sua, hanno trovato la polizia che delimitava la zona. Sembra proprio che il detective Ridley Scott si sia suicidato con l’arma di servizio. Sospiro. «È finita?»
   «È finita.»

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Capitolo 22
*** 22 ***


22
 
 
 
10 ANNI DOPO.
        Sono passati 10 anni. Dieci anni in cui i nostri corpi sono rimasti pressappoco invariati. Mi crescono i capelli, circa mezzo centimetro l’anno. Non posso essere più precisa. I capelli sono la parte di me che mi preoccupa meno. Sono la stessa ragazza che è stata seppellita, eppure sono cambiata. Nel mio sguardo le persone vedono qualcosa che io intravedo appena, qualcosa che ha a che fare con la saggezza e la sofferenza. Non mi danno più sedici anni, anche se fisicamente rimangono sconcertati da me. Sono piccola, sono magra e la mia voce ha ancora quell’inflessione, non bambina non adulta.
Gli altri sono uguali a come li ho sempre ricordati. Anche loro, però, hanno qualcosa nello sguardo. A lungo andare, avere sempre la stessa persona allo specchio stanca. Forse i nostri corpi cambiano, ma lo fanno lentamente. Un qualcosa che a sedici anni non avevo neppure pensato, adesso mi pesa. Non ho un ciclo mestruale da quel giorno, e significa che la mia eredità finisce con me. Ho sempre pensato che la maternità non fosse un mio problema, ma mi sbagliavo. Tutti fanno i conti con i loro capricci.
Penso sempre ai figli quando guardo quei ragazzi che giocano a calcetto, facendo slalom tra le immondizie. Il più alto è anche il più giovane. Ha dei capelli biondi, tagliati molto corti, e un sorriso che non si estende mai agli occhi. Nei suoi diciassette anni, è molto attraente. «Ed!»
Il ragazzo si gira e calcia il pallone in direzione del suo compagno. Vedere mio fratello grande è un piacere. C’è ancora qualcuno che continua a portare con sé il sangue di Dalila, anche se in realtà è quello di Malachite. Lei è sempre stata invidiosa della mia vita, ma non ha mai capito che era proprio l’opposto. Vivere senza nessuna aspettativa, nessun ordine, nessun rituale. Vivere per il solo fatto che ci era concesso la vita.
Socchiudo gli occhi, abbandonando il mio peccato. Non dovrei avvicinarmi a lui. Aveva sette anni quando sono morta, però è cresciuto con le mie foto. Lo so perché ogni tanto entro nella mia vecchia abitazione per annusare gli abiti di mamma e papà, cercando di aggrapparmi al loro profumo. Mi fermo a guardare la loro stanza, che cambia poco a poco, al mausoleo che è stata creata nella mia, perché niente è stato toccato. L’ho fatto anche con nonna, prima che la vecchiaia me la portasse via. Ho avuto l’onore di esorcizzarla. E lei, da brava Wright, mi ha sgridato finché non è ascesa perché, ovviamente, sarei dovuta andarla a trovare. Chase lo ha ripetuto non so quante volte in questi dieci anni: i morti non devono farsi vedere.
Ho le mie scusanti, in verità. Ho una promessa da mantenere che mi obbliga a rimanere in questa città, una promessa che dal richiamo nella mia testa si sta per compiere. Sono combattuta. Odio e amo Lubris. Voglio andarmene ma sono troppo attaccata al suo essere materiale che pensare di staccarmene mi lascia inerme.
Sospiro, incamminandomi. Sento ancora le urla e gli scherzi, la voce di mio fratello arrochita. Vorrei andare da lui con false speranze, sedermi a tavola con la mia famiglia e parlare come una volta. Mi è stato portato via tutto. L’ho capito, alla fine.
Patirete il senso dell’abbandono.
Il Tribunale degli spiriti sa sempre portati via quello che ti fa più male. Quando la mia famiglia era morta, mi aggrappavo ai ricordi che mi sono stati strappati; ora che è viva, mi impediscono di avere una linea normale. Vivrò per secoli, molto probabilmente. Vivrò più a lungo di Edward e dei miei genitori. Molto più a lungo.
L’ospedale è in subbuglio. Varco l’entrata del Pronto Soccorso, dove una donna se ne sta seduta sulla sedia, reggendosi la mano insanguinata. Mi guarda appena, perché ho preso l’abitudine di appoggiare lo sguardo sulle persone per una manciata di secondi. Troppo poco tempo. Una donna, probabilmente un medico, sta dando delle indicazioni a un ragazzo in divisa, poco più vecchio di lei. Lui annuisce, poi scatta e si dirige verso una porta riservata al personale.
Arriccio le labbra al sapore pungente di disinfettante, mescolato a quello del sangue. Giro appena la testa per vedere una vecchietta sorridente, seduta su una sedia, con la testa che dondola a destra e sinistra. Non sono venuta qui per te.
Me lo ripeto, ma le mie gambe si avvicinano lo stesso. Si concentra sulle mie mani, le stesse che al principio odiavo. Le mani lampeggianti, le mani degli esorcisti. Alzo una mano, allungandola come se volessi toccarle il volto. Si irrigidisce, così l’abbasso e le faccio cenno con la testa di seguirmi.
Si muove con difficoltà, aggrappata a qualche ricordo umano. Forse lei non camminava, forse lo faceva solo con il bastone. È troppo lungo spiegare ogni volta che come spiriti sono liberi da restrizioni. E, in ogni modo, è un qualcosa del tutto passeggero.
Spingo una porta, mi intrufolo in una zona il cui accesso è consentito solo di giorno. Nessuno mi ferma. Cammino per un enorme corridoio, cui fanno eco solo i miei passi e il rumore delle macchinette con le vivande. Abbozzo un sorriso. Eliza va matta per il caffè. Mi manca così tanto sentire l’aroma per il suo appartamento che infilo le monete per prendermi quella bevanda. Ovviamente, alla prossima telefonata non le dirò che mi manca. So che ci manchiamo tutti. È per questo che abbiamo deciso di ritrovarci, il prima possibile.
Prendo il caffè caldo non zuccherato, sorseggiandolo. «Adoro il profumo del caffè.»
La vecchina mi sorride. Deve essere stata una donna calma e placida in vita. L’opposto esatto di mia nonna, troppo energica. Cavolo. Lo è stata anche mentre la esorcizzavo. È bello, perché il dolore lascia spazio solo per i bei ricordi. Mi siedo in una poltroncina. Vorrei dire che ho tutto il tempo di questo mondo, ma un nuovo richiamo alla testa mi dice che non è così. Di nuovo, prendo ciò che reputo giusto. «Sta bene?»
La signora mi sorride, avvicinandosi a una poltroncina con passo malfermo. «Sì, sto bene.»
C’è stato un tempo che esorcizzavo senza chiedere nulla alle persone. Un tempo in cui la rabbia di essere ancora qui mi spingeva ad andare avanti. È successo dopo la morte di Johannes, quando ci siamo ritrovati senza scopo. Rabbia, ancora rabbia.
Sono cresciuta? Non saprei. Gli spiriti che faccio trapassare sono sempre meno, la città sta tornando finalmente alla normalità e non pullula più di fantasmi come un tempo. Una volta morti tutti, tra una o due generazione, è probabile che Lubris ritorni una semplice città. Nessuno vedrà più gli spiriti.
Mi scaldo le mani, indolenzite dal freddo. «Vorrei aver più tempo per lei, ma mi stanno aspettando.» A conferma di ciò, una nuova pungolata. La ignoro. «Io sono un’esorcista. Immagino che lo abbia già capito.»
Si appoggia ai talloni, emettendo un piccolo sospiro. Le persone anziane mi sorprendono sempre. Non tentano di negare l’ovvio, non mi dicono che sono vive e che devo andarmene. La vecchina mi sorride appena, e io aspetto. Le sorrido a mia volta. «Me lo dica.»
   «Dirai ai miei figli che gli volevo bene?»
Sono queste emozioni che mi fanno mancare gli altri. Mi manca pure la stronzaggine di Jamar, o gli ammiccamenti di Philippe quando fa un servizio fotografico, consapevole che per Chase ogni dimostrazione della nostra esistenza è un pericolo, perché è facile collegare il suo volto a quello di un giovane modello morto dieci anni prima, anche se è diverso il nome … è diverso il colore dei capelli. E degli altri, beh, mi mancano anche senza queste richieste. Mi immagino Julia, ovunque lei sia, in qualunque città, mentre alza gli occhi al cielo e sbuffa. A Warren che aiuta e ruba, in un circolo che non comprende più cosa è giusto in questo mondo e cosa no. Alzo la mano sinistra, in un gesto fatto così tante volte che ha perso la sua carica mistica. Mento, perché le famiglie già lo sanno quello che provano i morti. L’ho capito, alla fine, mentre guardavo vivere i miei. Hanno sempre saputo che li amavo. «Lo farò. Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Accartoccio il bicchiere e lo butto nel cestino. Sorrido al pensiero di Robert, al suo sospiro ogni volta che riceve compiti del genere, mansioni che esegue puntualmente non prima di aver borbottato che lo fanno stancare troppo. Perché è vero che non facciamo parte più dell’Ordine, ma ubbidiamo ancora a degli ordini, facciamo ancora i nostri vecchi rapporti.
Prendo l’ascensore, primo piano. Mi infilo nel corridoio del reparto, accedendo a una porta che era stata appena socchiusa. Sento le voci delle infermiere dall’altra parte del corridoio, bisbigli e risate della notte. Seguo i miei pensieri ed entro in una stanza a un posto. La ragazza è addormentata sul letto, gli elettrodi collegati al monitor mi avvertono della sua attività cardiaca. Il suono è spento, ma immagino che se fosse acceso sarebbe un bip continuo. Muove impercettibilmente una mano, legata al letto con un polsino.
Ha pochi capelli, stopposi e sporchi, di un rossiccio bruno. Sono stati tagliati in modo asimmetrico, delle ciocche le cadono ribelli ai lati del viso scarno. Le lentiggini evidenziano di più la pelle pallida di una persona malata. Come se la fasciatura al collo potesse passare inosservata. Ha tutto l’aspetto di qualcuno che è aggrappata alla vita da un filo. È un palloncino che non vede l’ora di andare in cielo.
Un sospiro, poi Lie mi si avvicina con calma. Alza un sopracciglio, guardando la ragazza. «Mi avevi detto di chiamarti se riprendeva conoscenza.»
Annuisco e lui indica il monitor. «Te l’ho spento.»
   «Non sono un’assassina.» È l’unica certezza che mi è rimasta.
Lui alza una mano, uscendo dalla stanza. «Sono un vizio, Dalila. Non giudicherei mai una tua azione.»
Mi siedo sulla poltrona. Nessuno le fa assistenza, nessuno la viene a trovare. Un tempo aveva una famiglia, degli amici. Lentamente, ha allontanato tutti e tutto per rifugiarsi in un mondo in cui ho potuto introdurmi indisturbata.
Muove la testa, gli occhi le si aprono. Le sorrido. «Ciao Susan.»
Emette dei gemiti rochi. Una bella fregatura. Le allontano il campanello di chiamata, stringendolo in mano. Le sue corde vocali sono danneggiate, quindi emette dei rochi bisbigli, che posso ignorare di sentire. Le appoggio una mano sulla spalla e premo quel tanto da farle sentire un po’ di male. Stringe le labbra e quel poco di colore le svanisce. Smette di muoversi e di rantolare. Allento la presa. «No, non agitarti. Sai che non sono qui per farti del male. Ti ho portato io in ospedale, ricordi? O forse no …»
I suoi occhi guardano me e la porta, nervosamente. Continuo a bisbigliare. «È solo una visita di cortesia, per vedere come sta la mia sorellina. O la mia cuginetta. In tutti questi anni non ti ho mai chiesto come preferissi essere etichettata.»
Apre la bocca, nell’attimo in cui io smetto di parlare lei sillaba «Basta». Annuisco. «Basta. Sai, Susan, cosa si prova a morire annegati? No, non lo sai. Non lo so neppure io, perché quando è successo devo aver perso conoscenza prima che l’acqua mi entrasse nei polmoni. So cosa si prova essere bruciati nel rogo. E sai che si prova a essere torturati? O impiccati? O avvelenati? Anche noi abbiamo chiesto che ci fossero risparmiate delle sofferenze.»
Le infilo il campanello in mano, così può chiamare le infermiere. Con un movimento veloce slaccio il polsino e si ritrova magicamente libera da ogni restrizione. Metto la mano in tasca, estraendo una pistola carica. La appoggio sul tavolino davanti a lei, dove le hanno messo un giornale e una bottiglietta d’acqua. Con un fazzoletto cancello le mie impronte, la mia sicurezza prima di tutto, alzandomi dalla poltroncina. Lei mi guarda, con aspettativa. No, non glielo dirò. Le avevo promesso che l’avrei salvata dalla morte sette volte. Non le dirò che questa è l’ottava, che è libera. Non le dirò che l’ho perdonata da tempo, che se continuo a salvarle la vita non è per la mia vendetta, ma per impedire che gli altri mi considerino debole. Non le dirò che spero che abbia la forza di vivere ancora, così posso rimanere ancora a Lubris, guardando la mia famiglia vivere la vita in cui io non potrò mai entrare. Non le dirò che ogni volta in cui tentava il suicidio, ogni volta, speravo che fosse un po’ più forte perché è la vita che dimostra quanto sei forte, non la fuga. Non lo dirò.
Le sorrido, consapevole da come abbandona la sicurezza del campanello che questa è l’ultima volta che ci vediamo. Lei non si reincarnerà. Quando verrà il momento, non lo farò neppure io. «Ciao, Malachite.»
Esco e percorro il corridoio. Apro la porta che conduce al corridoio e sento lo sparo. Poi qualcosa mi colpisce, lasciandomi inerme a fissare la porta che ho chiuso alle mie spalle. È finita.
Finita.
Credevo che mi sarei sentita meglio. Quando l’ho minacciata, credevo che la mia natura chiedesse la vendetta. Perdere i miei compagni, la mia famiglia, per due volte; vedere il corpo inerme di Oppius e combattere perché la sua anima rientrasse nel corpo … ero davvero convinta che mi facesse sentire meglio.
Esco dall’ospedale, l’aria mi colpisce e mi accorgo di avere freddo al viso. Mi passo una mano sulle guance umide. Oh, guarda: lacrime.
Un ragazzo sta aspettando, seduto sul cofano della macchina. Ha calcato un capellino in testa, le braccia conserte. Indossa un paio di pantaloni e un maglioncino scuro, impersonale e, soprattutto, che non attira l’attenzione. Quest’ultimo punto è fondamentale, ma non so quanto uno come lui possa passare inosservato. Mi avvicino. «Sono prevedibile?»
   «Qualche volta.»
Chase non chiede nulla. Ha visto le lacrime e so che gli importa. Sospira, infilandomi una mano sui passanti dei jeans e appoggiando una mano sul mio sedere. Ridacchio, perché quando fa gesti così umani è l’unica cosa che penso. Al fatto che qualche volta, noi siamo ancora umani. Gli passo una mano sui capelli, sfilandogli il cappello. «Ce ne andiamo?»
   «Solo se lo vuoi.»
Avremo dovuto andare via con gli altri. Robert è stato l’ultimo di noi a lasciare Lubris, e sono passati ormai tre anni. Le sue chiamate sulla bellezza dell’Italia e su quanto è cambiata dal 1400 stanno diventando monotone. Lui ha aspettato per me. Non si è unito a Jamar quando si è diretto in Perù, seguendo le notizie in internet che parlavano di strani fatti. Né Julia quando ha deciso di andare verso l’Europa, meta da decidere durante il volo. E per quanto abbia detto che doveva controllare Philippe, anche lui è stato libero. Per non parlare di Warren ed Eliza, le cui chiamate sono intervallate da frasi che ci dicono, senza senso, apprese da qualche cultura. Forse giapponese. Forse cinese. Ormai è un rituale dirgli di parlare un idioma comprensibile.
Mi inumidisco le labbra con la lingua, prima di baciarlo. Ha un tocco gentile, un sapore che non mi stanco mai di assaggiare. «Partiamo.»
Struscia il naso sulla mandibola, e lo fa consapevole di mandare il cervello in avaria. «Destinazione?»
   «Non importa. Tanto invecchiamo lentamente.»
Ridacchia, facendo cenno di salire in auto. Guardo distrattamente nei sedili posteriori, dove Arrogance fa una faccia disgustata per le smancerie e Lie si guarda ostinatamene i piedi. Chase si chiude la portiera, facendo rombare l’auto. L’ho detto che è rubata? Ho smesso da tempo a pensare inezie del genere. Non c’è nulla che considero mio.
Infilo le mani sulla borsa ai miei piedi, alzando un sopracciglio. Mi conosce bene, perché abbiamo passaporti con nuove identità. Conto i documenti e sorrido.
   «Come mai sorridi?»
   «Niente. Sono felice di rivederli.»
Appoggio la testa al vetro, guardando gli edifici sfilarci davanti. Ho attraversato questa strada un sacco di volte, a sedici anni. Incontravo Mary, parlavo con Carlos, litigavo con Julia. E poi andavo a scuola, studiavo, facevo le attività extrascolastiche. Credevo di aver una vita complicata, non vedevo l’ora di crescere. Cerco di guardare ancora, finché il semaforo alle mie spalle non scatta di rosso. Ricordo che ho urlato perché Ridley stava per essere investito. Stupida. Investire un fantasma.
E poi è iniziata. Li ho ritrovati. Ho perso persone della mia vita, ho ritrovato vecchi amici e, a ventisei anni, non ho molte scelte di cui mi pento. Non mi pento di aver salvato Ridley. Per quanto vada a giorni, non mi pento neppure di aver esorcizzato Carlos. Non mi pento di aver fatto un patto, tra la mia anima e quella di papà, perché sono convinta che quello gli abbia permesso di svegliarsi quando sono morta.
Allaccio la mia mano a quella di Chase, lui abbozza un sorriso.
No. Non mi pento di vivere.
Questa sarà la mia ultima grande avventura. E, chi può dirlo? Magari è la volta buona che esorcizziamo tutti i fantasmi del pianeta. Quella promessa la ricordo ancora.
Se vi chiedessi, a guerra finita di venire con me voi accettereste?
Senza alcun dubbio. Ne sono sempre stata convinta. E la fanciullezza di quando accettai quella proposta si è evoluta, pur lasciando la risposta immutata. Con le vite che ho vissuto poi, so che quel giorno sono stata molto ingenua perché una guerra è sempre una guerra.
Tuttavia, ci sono tanti tipi di battaglie. Noi siamo sempre esseri, non vivi e non morti, che permettono alle anime il trapasso. In questo nuovo secolo, siamo quello che dovevamo essere. Non siamo mai stati pienamente mortali, ora ancora di più.
Ci sono le battaglie dei vivi, le guerre, le malattie.
E poi ce ne sono di altri tipi, quelle che non si sa di combattere, quelle che ti lasciano la soddisfazione di averla combattuta anche se non vinci mai. Noi siamo schierati per quelle guerre, a favore dei perdenti. Perché di una cosa abbiamo la certezza … le battaglie delle anime non hanno mai vincitori.
 

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