Un Gioco Spietato

di virgily
(/viewuser.php?uid=95813)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1: Un Incontro ***
Capitolo 2: *** Cap. 2:Vince solo chi fugge ***
Capitolo 3: *** Cap.3: Tutto giusto. Tutto sbagliato ***



Capitolo 1
*** Cap. 1: Un Incontro ***


Cap. 1: Un Incontro

Era marzo quando Valentina lo vide per la prima volta.
Era un giovedì cupo, anonimo e uggioso. Non aveva fatto altro che piovere per giorni e alla fine, non riusciva più a sopportare l’aria rarefatta e stantia della sua immensa casa a città del Vaticano. Del resto, quell’attico che suo padre aveva comprato era così grande per una ragazza di poco più di vent’anni, che aveva appena smesso di studiare. Da bravo avvocato anzi, il miglior penalista di Roma, aveva programmato la vita della sua unica figlia per filo e per segno: avrebbe seguito le sue orme, sarebbe entrata in tribunale, avrebbe fatto carriera e, chissà, magari un giorno sarebbe diventata quel giudice che lui non era mai stato. Ma d'altronde aveva passato tutta la vita a difendere i cosiddetti “indifendibili”: assassini, spacciatori, truffatori, ladri. Quasi tutti legati alla mafia, per essere sinceri. E ora non poteva più tirarsi indietro. Ma Valentina aveva tutte altre aspettative: voleva una vita semplice, modesta e tranquilla, proprio come avrebbe voluto sua madre. Ma lei non c’era più, e ora si ritrovava da sola a Roma in una immensa e sfarzosa gabbia dorata che, proprio in quel momento, parve soffocarla. Presa da un attacco convulso di claustrofobia nervosa, la giovane decise che era arrivato il momento di uscire; con o senza il sole. Si avvolse in un cappottino di lana cotta, legandosi un foulard di chiffon nero al collo. Prese una piccola borsetta, dove infilò solamente le cose necessarie per la sua piccola passeggiata pomeridiana. Poi però un pensiero la fece arrestare di colpo, quasi facendole cambiare idea. Posò la pochette sul bancone della cucina, e con cautela si avvicinò alla finestra del salotto che si affacciava direttamente sulla strada principale del suo palazzo. Roma era una città molto caotica, ma quando pioveva le persone sembravano innervosirsi con una facilità quasi disarmante. Le macchine sfrecciavano a grande velocità sulla via asfaltata da piccoli e solidi sampietrini, e le persone passeggiavano lentamente sui marciapiedi brandendo i loro grandi ombrelli. Poi la vide. Una decapottabile rossa, parcheggiata dall’altro lato della strada. Erano già due giorni che la vedeva appostata lì. Due giorni. Proprio da quando suo padre era partito per curare degli affari di lavoro per uno dei suoi clienti importanti e letali. E Valentina non era ingenua. Sapeva che suo padre era stimato tanto quanto era odiato. Si morse piano un labbro, e scostandosi nervosa da quella piccola finestra, si diresse ad ampie falcate verso la sua camera da letto, facendo riecheggiare sui pavimenti di marmo i piccoli tacchi delle due décolleté scure. Con grande decisione e disinvoltura, la giovane si raccolse appena i lunghi boccoli color ebano in una piccola coda disordinata mentre, mettendosi in ginocchio, cominciava a guardare sotto il suo grande letto a due piazze foderato da morbide trapunte color pastello decorate a mano. Ci mise un paio di minuti buoni prima di trovare una piccola custodia rinforzata di metallo che all’interno conteneva una beretta quasi nuova di zecca. Era il regalo di diciott’anni del suo padrino di battesimo, amico di famiglia e cliente fedelissimo di suo padre. Erano passati anni dalla prima volta che l’aveva usata. E il solo ricordo le faceva ancora sentire un sapore amaro in bocca. Non riuscì allora a nascondere un certo tremore nella mani quando se la trascinò dietro per riporla all’interno della sua elegante borsetta. Ma dopotutto oramai era una donna adulta, ed era sola. Avrebbe dovuto cominciare a difendersi, e dimostrare a suo padre di che pasta era fatta.

***

La pioggia picchiava forte sul vetro della sua macchina, quasi a scandire ritmicamente lo scorrere del tempo in quel giovedì di marzo. Inizialmente il Nero non volle crederci alle parole di Nembo Kid, quando quest’ultimo gli affidò il nuovo incarico da parte di zio Carlo. Amava fare quello per cui chiunque altro si sarebbe tirato indietro. Amava l’azione, premere il grilletto al momento giusto. Non aveva paura di niente, neanche di morire, e questo tutti lo sapevano. Eppure questa volta era diverso. Non era una rapina, o un attentato ma giusto il contrario. Doveva “sorvegliare” e “proteggere” una persona. Una donna, per dirla tutta. E questo, onestamente, non gli piaceva affatto. Ma Valentina Bracaglia era pur sempre la figlia del loro avvocato di fiducia, non che la figlioccia dello stesso boss. E al volere di Zio Carlo non poteva certo rifiutarsi. Per fortuna si trattava solamente di un lavoretto di pochi giorni, il tempo di permettere al padre di risolvere alcune scartoffie in Sicilia. La noia sarebbe presto finita e lui sarebbe tornato ad occuparsi di questioni decisamente più stimolanti. Chiuso nella sua auto da ben due giorni, con la pioggia che cadeva a dirotto, Nero non aveva fatto altro che guardarsi intorno e aspettare, in silenzio. La sua protetta era rimasta sempre in casa senza lasciarsi mai vedere, ma a giudicare dalla fotografia datagli dal collega, la ragazza doveva essere di pochi anni più piccola di lui. Aveva dei lineamenti gentili e molto sinuosi, la pelle chiara e lunghissimi capelli scuri che le incorniciavano il visto e le spalle con onde morbide ed eleganti. Una bella donna, tutto sommato. Non che a lui interessasse più di tanto. Anzi. Quasi non vedeva l’ora di lasciarla alle cure del padre. E se i suoi piani erano corretti, non avrebbe dovuto fare altro che starsene lì ad aspettare per altri due giorni. Poi, tutto sarebbe tornato come prima. Tuttavia, proprio quando aveva appena finito di formulare il suo pensiero, vide il grande portale ligneo del suo palazzo spalancarsi pesantemente, lasciando intravedere una giovane figura slanciata e ben vestita uscire di tutta fretta sotto la pioggia, senza neanche un ombrello. Era stata molto rapida, ma la riconobbe subito dalla folta chioma color ebano, che parve danzare ad ogni suo passo. Sapeva bene che avrebbe dovuto seguirla, ma con la macchina sarebbe stato troppo rischioso. Non doveva lasciarsi scoprire e lui del resto era il maestro della discrezione. Facendo roteare i suoi grandi occhi chiari contro il cielo, quasi con tono scocciato, il giovane si aggiustò la pistola con la canna rivolta all’interno dei pantaloni, per poi sollevare la zip del suo pesante giubbotto di pelle nero. Scese frettolosamente dalla sua auto cominciando subito a pedinarla. Per più di dieci minuti rimase a quasi cinque metri da lei, con le mani nelle tasche e lo sguardo basso. La pioggia era molto fitta, e lo aveva letteralmente travolto, portandogli la frangia scura più volte sugli occhi, quasi impedendogli la visuale. La ragazza, del resto, gli sembrava piuttosto confusa. Camminava a passo svelto e ben modulato, ma cambiava direzione più e più volte, allontanandosi parecchio dalla zona di casa e addentrandosi per i vicoli stretti e trafficati di Trastevere. Era snervante, doveva ammetterlo. La vide poi arrestarsi di colpo all’incrocio con un passetto molto più stretto e dal terreno frastagliato e irregolare. Istintivamente si chiese per quale dannato motivo avesse scelto di addentrarsi proprio lì. Era poco illuminato e con il baccano provocato dalla folla che passeggiava nelle vie principali, non si accorse minimamente che si trattava di un vicolo cieco. Lo capì soltanto quando la seguì al suo interno: c’era un solo lampione mal funzionante che gli fece immediatamente notare un muro alto e ammuffito. L’odore non era nei migliori, probabilmente a causa dei rifiuti addossati agli angoli del viottolo. Eppure lei era lì, a pochi metri da lui con una pistola carica in mano: aveva il volto pallido e ben sagomato, un naso elegante e delle labbra rosee, sottili e quasi tremanti, ma non capì se fosse per il freddo o la paura di ritrovarsi uno sconosciuto davanti. Ma ora che poteva guardarla bene, completamente fradicia da testa a piedi proprio come lui, Nero riuscì a vedere due grandi occhi verdi che parvero ribollire. La ragazza avanzò ad ampie falcate, e senza smettere mai di guardarla, il moro sollevò appena ambo le mani, in segno di resa. Quando c’era ormai a malapena un metro a dividerli, l’uomo abbassò lo sguardo dai suoi fari verdi per osservarle la mano che teneva una beretta con presa salda e decisa. Era armata, lo era sempre stata. Avrebbe dovuto prevederlo.
-Adesso tu mi dici chi cazzo sei e perché mi stai seguendo- la sua voce era calma anche se tutto il suo viso mostrava una certa tensione. Era agitata, ma non aveva paura. Tutt’altro. La vide concentrata e determinata. E questo, doveva ammetterlo, lo stupiva alquanto.
-Io sono il Nero. E non ti stavo seguendo. Zio Carlo mi ha chiesto di tenerti sotto controllo e proteggerti- rispose dal canto suo tornando a guardarla, mantenendo comunque la sua solida compostezza. Aveva una voce calda e vellutata, a tratti quasi rassicurante. E alla sua affermazione, il moro vide la giovane donna inarcare un sopracciglio verso l’alto, quasi in segno di stizza e stupore al tempo stesso:
-Zio Carlo? Me lo avrebbe detto…-
-Evidentemente non voleva allarmarti- alla pronta risposta del Nero, Valentina fissò l’uomo innanzi a lei con una attenzione quasi maniacale. Era di qualche centimetro più alto di lei, spalle ampie ma di corporatura snella. Una folta frangia corvina sembrava colare, assieme alla pioggia, sul suo viso affilato e candido. Ma ciò che la inquietò di più furono i suoi occhi, maestosi e dalla forma languida che la fissavano con una austerità quasi glaciale. Come se, in effetti, fossero totalmente inespressivi. Era titubante, ma doveva ammettere che predisporre segretamente qualcuno che si occupasse della sua protezione era un gesto tipico del suo padrino. La bruna prese allora un bel respiro profondo, e mordendosi piano il labbro inferiore fece calare piano l’arma che poco prima puntava dritto alla testa di quel ragazzo.
-Bene…- disse in un primo momento, -Facciamo che ti credo- aggiunse riponendo l’arma nella sua borsetta.
-Torniamocene a casa ora. Prima che ci prenda un malanno a entrambi. E poi, ti devo almeno un caffè- aveva un sorrisetto saccente ben tirato sulle sue labbra rosee, mentre i suoi occhi non avevano mai smesso di studiarlo. Ma dal canto suo, Nero rimase impassibile, cominciando a camminare al suo fianco, nuovamente verso casa.
-Ti ringrazio, ma preferisco finire il lavoro con calma nella mia auto…- le rispose infilandosi meccanicamente le mani nelle tasche, aumentando appena il passo. Anche se per qualche decimo di secondo lo aveva trovato divertente, probabilmente proprio perché era stato colto alla sprovvista, quella ragazzina gli aveva fatto perdere fin troppo tempo sotto pioggia, e ora cominciava a sentire freddo. Di rimando, la bruna accelerò il passo per accorciare nuovamente le distanze fra i loro corpi, questa volta afferrandogli prontamente il braccio. Al solo contatto delle sue piccole dita sottili attorno al suo arto, il moro si era immediatamente voltato di scatto verso di lei, facendola quasi sobbalzare per la sorpresa quando la fulminò con il suo solo sguardo:
-Senti- la ragazza di schiarì appena la gola, quasi titubante –Mi dispiace per averti fatto scapicollare sotto la pioggia, va bene? Ti dai un’asciugata e te ne torni in macchina a fare quello devi- gli disse fermamente, scostandosi in maniera brusca dal suo corpo, come se nell’esatto istante in cui i suoi occhi si erano incontrati con quelli di lui, una scossa elettrica l’avesse percossa tutta, folgorandola. Non le era mai capitato prima. Ma quel Nero era un tipo strano. La turbava, per certi aspetti. Eppure, e questo era più forte di lei, non riusciva a fare a meno di trovarlo affascinante, in un certo qual modo.
-E poi…- questa volta, il ragazzo vide gli angoli della sua bocca sottile incurvarsi piano verso l’alto, assumendo la forma di un ghignetto dispettoso ma al contempo gentile:
-Non lo sai che un caffè offerto da una donna non si rifiuta mai? - ridacchiò piano, coprendosi le labbra con la mano destra in un gesto del tutto spontaneo ed elegante. Senza risponderle, il Nero osservò quella ragazza superarlo appena, avviandosi nuovamente a passo svelto verso casa. Era una sorpresa, doveva prenderne atto. Ma gli avrebbe causato non poche rogne, se lo sentiva già. Eppure, al solo ricordo del suo sguardo magnetico, del suo carisma e la sua tenacia, non poté far a meno di dipingere sulla sua perenne maschera la pallida ombra di un sorriso divertito e compiaciuto.
  

*Angolino di Virgiy*
Ho amato la serie di Romanzo Criminale con tutta me stessa. Tuttavia, si tratta della mia prima fic riguardo questo tema, e ho deciso di affrontare un personaggio che mi ha lasciato piacevolmente sorpresa: Nero. Devo ammettere che come personaggio mi ha intrigato moltissimo, un po' perché è decisamente un outsider, un po' perché effettivamente è difficile da capire, data la sua complessità. Spero umilmente che questo mio piccolo esperimento vi piaccia, per cui non esitate a lasciarmi qualche vostro parere al riguardo. So già che mantenerlo in IC sarà un lavoro durissimo, ma chi mi segue sa che sono un'amante delle sfide. Detto questo, non vi resta ringraziarvi per la lettura!
Baci.
-V-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 2:Vince solo chi fugge ***


Cap. 2: Vince solo chi fugge

A Roma si era fatta ormai sera, e mentre il cielo cominciava ad assumere tinte scure e plumbee, l’aroma di caffè profumava l’intero ambiente. Cambiandosi al volo, Valentina aveva approfittato del tempo di cottura per togliersi gli indumenti fradici e infilarsi un paio di jeans aderenti a vita alta e una canottiera bianca sottile. Tornò giusto in tempo, quando sentì il caffè ribolline nella macchinetta. Si lasciò un asciugamano attorno alle spalle scoperte, lasciando che assorbisse l’acqua dai suoi capelli completamente bagnati. Afferrò poi dalla credenza due piccole tazzine, ma si fermò poco prima di poterci riversare dentro da bere. Qualcuno aveva acceso l’asciugacapelli nel bagno di servizio, e sapeva perfettamente di chi si trattasse. Lasciando tutto quello che stava facendo, allora, si avviò a piedi nudi nel lungo corridoio che separava il salotto da tutti gli altri ambienti della casa. Le luci erano rimaste spente, ma c’era una piccola fonte di luminosa che fuoriusciva appena da una porta socchiusa, e si faceva più brillante ad ogni suo minimo passo. Quasi trattenendo il fiato, la bruna si avvicinò lentamente, cercando di non provocare alcun rumore. Posò poi con delicatezza una mano su quella liscia parete lignea, scostandola di qualche centimetro, quel tanto che le bastava per potersi sporgere appena senza essere notata: con il capo chino, il moro era intento ad asciugare gli angoli della sua polo rossa. I suoi occhi verdi e indagatori subito scesero dalla sua folta chioma corvina sino alla curvatura del suo collo, la linea maestosa delle sue spalle nude e la schiena compatta. C’era una pistola appesa ai suoi pantaloni, e questo non la stupì affatto. Eppure, poterlo osservare così da vicino, in un momento come quello, per qualche istante la fece fremere. Non era la prima volta che vedeva una ragazzo mezzo nudo in casa sua. Ma lui, il Nero, la incuriosiva più del dovuto. Da quando avevano messo piede dentro casa, lui non aveva proferito parola, e la sua faccia era rimasta impassibile anche durante tutto il tragitto di ritorno. E ora che poteva spiarlo, anche solo per poco, si rese conto che la sua non era affatto una maschera. Evidentemente, lui era proprio così. Taciturno e serio. Eppure affascinante.
Forse troppo” ammise a sé stessa, come se fosse consapevole che la sua curiosità avrebbe potuto rivelarsi più pericolosa del previsto. Un sottile silenzio ora era calato sopra l’intero bagno, e prima che potesse rendersene contro, Nero aveva nuovamente puntato i suoi enormi occhi azzurri contro di lei. I due continuarono a fissarsi, senza proferire alcuna parola per secondi che parvero a entrambi quasi interminabili. Era come se fosse più forte di loro. Come se, in realtà, in quegli sguardi nascondessero dei messaggi incomprensibili per la mera comunicazione verbale. Ancora una volta, Valentina si ritrovò a scrutare con attenzione il corpo di quel ragazzo che aveva davanti. Non che si fosse aspettata un torso scultoreo, ma se ne ritrovò nuovamente attratta. E questo era molto fastidioso da dover digerire per lei. Dal canto suo, il moro si lasciò guardare senza opporsi, e del resto anche lui non aveva indugiato nel lasciar vagare lo sguardo. Ma giudicare dalla lieve curvatura delle labbra e del suo sopracciglio destro, poteva ben affermare che Valentina sembrava piuttosto soddisfatta della vista.
-Ti serve qualcosa? - le domandò improvvisamente, facendo il vago mentre andava a staccare la spina dell’asciugacapelli dalla presa sul muro, non troppo distante da lei.
-Quanto zucchero nel caffè?- chiese lei di rimando, sollevandosi dallo stipite della porta per avvicinarsi ulteriormente a lui. Ora però aveva lo sguardo fisso su un piccolo dettaglio al quale prima non aveva fatto caso: una svastica in argento appesa al suo collo.
-No ti ringrazio. Lo prendo sen..- Nero non fece neanche in tempo a finire la frase che la più piccola aveva già azzerato le distanze, portandogli una mano al petto. Ci mise qualche decimo di secondo per capire che, in realtà, la ragazza aveva afferrato il suo ciondolo. Lo studiò con grande attenzione, mentre un ghignetto malevolo e divertito si allungava sulle sue labbra sottili e rosee.
-Hai finito?- la sua voce adesso aveva assunto qualche tono più basso e serioso, e se si concentrava appena Valentina poteva sentire il suo fiato quasi carezzarle le gote. Dal canto suo, la bruna sollevò lo sguardo per tuffarsi nuovamente nelle grandi iridi cristalline e glaciali del Nero. Non riusciva a capire se era infastidito o se, piuttosto, era curioso tanto quanto lei.
-E sennò che fai? Mi spari?- sfidandolo, la ragazza accorciò di qualche centimetro le loro distanze già limitate, questa volta esponendogli un’occhiata altrettanto seria quanto irriverente. Sapeva che era rischioso, che probabilmente stava giocando con il fuoco. Ma Valentina era una ragazza impulsiva. Provocare era più forte di lei. E ora che ci pensava, forse cominciava a capire perché Zio Carlo le avesse affibbiato una guardia del corpo che fosse il suo esatto contrario. Il giovane uomo, dal canto suo, continuò a fissarla, questa volta non riuscendo a nascondere un piccolo ghigno che gli sollevò appena l’angolo sinistro delle labbra. Fu proprio in quell'istante, quando i loro corpi erano così vicini, tanto da riuscire a percepire il calore reciproco sulla propria pelle, che capì che tutte le sue supposizioni su quella ragazza erano vere. Tuttavia, l’unica cosa che non riuscì a spiegarsi, era la tensione che cominciava a sentire nel centro del suo petto. Come un fuoco rovente che parve corrodergli le ossa e le membra.
-Sei decisamente fastidiosa- fu tutto quello che uscì dalla bocca carnosa del giovane uomo, mentre la bruna, dal canto suo, continuò a sorridergli:
-Già, non sei il primo a dirmelo…- ridacchiò lei, scostandosi appena, ma senza mai abbassare lo sguardo dai suoi occhi.
-Andiamo a prendere il caffè o si fredderà- affermò successivamente, invitandolo a seguirla in cucina. Rivestendosi alla buona, il ragazzo fu subito dietro di lei, scortandola in salotto. I suoni del temporale rimbombavano per tutta casa, mentre il forte vento cominciava a far sbattere numerose gemme incolore sulle lisce pareti delle finestre. Riempiendo quelle due tazzine che aveva lasciato sul lavello, da perfetta padrona di casa Valentina uscì dalla cucina con un piccolo vassoio per accompagnare il caffè con una zuccheriera di ceramica e un'ampolla per il latte. I due restarono allora a bere in silenzio continuando, di tanto in tanto, a lanciarsi piccole occhiate di sottecchi. Era strano da ammettere per entrambi, ma forse cominciavano a divertirsi.
-Non sei un tipo molto loquace eh, Nero?- domandò improvvisamente, tornando finalmente a guardarlo negli occhi: mentre lei se ne stava comodamente seduta su una piccola poltrona all'angolo dell’enorme sala da pranzo, decorata da pareti broccate e quadri di valore, il moro era seduto sul divano adiacente, rigido e composto quasi in un eccesso di educazione. Quasi, in realtà, come se non sapesse come comportarsi.
-Semplicemente non amo dare fiato alla bocca quando non ne sento il bisogno- alla sua affermazione, la ragazza inarcò di tutta sorpresa le sue folte sopracciglia scure:
-Questo è sintomo di grande intelligenza- rispose lei, più che compiaciuta, mentre si sollevava dal suo morbido poggio in pelle scura per dirigersi nuovamente in cucina:
-Prendo una birra, ti va?-
-Dovrei tornare di sotto, in realtà- rispose sollevandosi a sua volta, osservandola riemerge dal grande frigorifero con due bottiglie di Peroni congelate fra le mani sottili e pallide. Le sue grandi iridi verdi avevano ricominciato a ribolline, e tutto il suo viso assunse quasi immediatamente un’espressione di disappunto.
-Giù non mi saresti di alcuna utilità. Se proprio devi proteggermi, tanto vale che resti qui. Al caldo e con il cibo- con tono serio, la brunetta si avvicinò a lui lentamente, porgendogli la bottiglia. I suoi occhi sembravano penetrarlo da parte a parte. E del resto, lei aveva ragione e probabilmente la sua era solo una scusa per convincere sé stesso che starle lontano sarebbe stato meglio. Ma non per Valentina, per lui. Per quello che lei stava pericolosamente scatenando nel centro pieno del suo petto.
-Allora, a che cosa brindiamo?- le chiese sospirando piano, prendendole una bottiglia di birra dalle mani, per poi ammirare nuovamente quel ghignetto dispettoso che subito gli fece ricordare il grosso sbaglio che aveva appena commesso. Si stava mettendo nei guai, ora ne era sempre più sicuro.
-A noi?- propose la ragazza abbassando di qualche tono la sua voce, facendole raggiungere delle sfumature a tratti seducenti e spietate. Non lo convinceva l’atmosfera che si stava creando. C’era una tensione surreale anche per lui, che era il maestro dell’autocontrollo. Eppure lei era così… diversa. Sfacciata, sfrontata. Ma c’era qualcosa, proprio sul fondo verdognolo dei suoi occhi grandi e ammalianti. Una sorta di piccolo bagliore chiaro che gli suggeriva che c’era qualcosa di più, sotto quella corazza. La verità era che forse se ne sentiva attratto.
-A noi- si udirono le bottiglie schioccare in un brindisi che, probabilmente, preannunciava l’inizio di un gioco decisamente pericoloso per i due partecipanti.
***
Erano passate all'incirca quattro ore da quel brindisi. Il salotto era pervaso dall'aria acre di fumo, mentre svariate bottiglie di birra vuote addobbavano il pavimento e il piccolo tavolino di legno massello, che separava la poltrona dal divano di pelle. Su quest’ultimo, una giovane donna se ne restava stravaccata con le gambe addossate allo schienale del comodo sofà, mentre i suoi lunghi capelli color ebano si riversavano come una cascata verso il pavimento. Una sigaretta, quasi consumata del tutto, schiudeva appena le sue piccole labbra, lasciandone fuoriuscire soffici nuvole grigiastre. Proprio al suo fianco, un ragazzo restava seduto composto, sorseggiandosi di tanto in tanto l’ennesima Peroni congelata. I suoi grandi occhi languidi sembravano guardare un punto indefinito nel vuoto. Quasi si fosse perso all'interno dei propri pensieri. Avevano chiacchierato del più e del meno, nulla di importante. Eppure si erano trovati bene. Il silenzio poi, era come una costante che gli permetteva di riflettere l’uno dell’altra.
-Posso vederla?- gli domandò improvvisamente, spezzando quella sottile quiete che si era venuta a creare tra loro.
-Cosa?- chiese lui a sua volta, senza smettere di guardare il vuoto.
-La tua pistola- rispose lei spegnendo la cicca prima di sollevarsi appena. Puntando i gomiti contro la seduta di pelle del divano, Valentina inarcò piano il capo per ricercare il suo sguardo che, nel giro di pochi secondi, fu nuovamente su di lei. Come se si fosse sentito osservato, il Nero aveva immediatamente ricambiato la sua premura. E forse, in realtà, la stava semplicemente aspettando.
-Tranquillo, non te lo rovino quel bel faccino…- ridacchiò lei con fare scherzoso e rassicurante. E si stupì di sé stessa quando vide la sua bocca carnosa assumere un ghigno vagamente simile ad un piccolo sorriso. Senza risponderle allora, il moro si sollevò piano, sfilandosi l’arma dai pantaloni per poi allungargliela cortesemente. Con un discreto interesse, la giovane decise di riportare i piedi per terra, e tornare a sedersi in maniera più consona al fianco della sua “guardia del corpo”, anche se nella sua testa non amava definirlo così. Si passò allora la pistola del moro fra le mani, cercando di sentirne bene il peso e quanto fosse effettivamente maneggevole. Non la caricò mai, ma fece qualche prova nel prendere la mira.
-Chissà quante persone ci avrai ucciso con questa…- forse non se ne era neanche resa conto di averlo detto, ma nel giro di pochi istanti, sentì il peso dei suoi grandi occhi azzurri gravare proprio dietro la sua nuca e le sue spalle. E proprio come aveva previsto, quando Valentina si voltò appena verso di lui, constatò che il Nero la stava fissando con uno sguardo serio e severo. Le sue iridi sembravano essersi dilatate per la sorpresa, e questo quasi la lusingò. Era riuscita a scalfire il suo autocontrollo apparentemente indistruttibile. Stentava a crederci.
-Siamo realisti- cominciò lei sogghignando appena –Lavori per Zio Carlo. So bene di cosa è capace quell'uomo e quelli che lavorano per lui. Sarò una ragazza ma non sono stupida…-
-Già…- sospirò lui, piano, lanciandole un’occhiata eloquente e, al tempo stesso audace.
-Me ne sono accorto- finì esponendole nuovamente quel ghigno compiaciuto che non riusciva a decifrare.
-Non ti allargare troppo con i complimenti eh- sbuffò lei in modo sarcastico, restituendogli la pistola prima di allungarsi sul tavolino del salotto e afferrare un’altra sigaretta. Se l’accese subito dopo fra le labbra, aspirandola con desiderio.
-Allora?- domandò subito dopo, lasciando uscire una nuova nuvola di fumo che finì per disperdersi nel salotto nel giro di pochi secondi.
-Cosa?-
-Quanti ne hai uccisi?- chiese mostrandosi più diretta e spavalda. E alla sua richiesta, il moro non riuscì ad evitare di inarcare il sopracciglio verso l’alto, osservandola affascinato dalla sua forte, quanto pericolosa curiosità.
-Ne ho perso il conto- fu tutto quello che riuscì a risponderle in quell'esatto momento. E per lei, quella fu una risposta sufficiente. Fra i due allora, che avevano ripreso il loro incomprensibile gioco di sguardi, calò un nuovo mantello del silenzio, avvolgendoli quasi in un caldo abbraccio. Non le stava mentendo, e di questo ne era completamente certa. Il Nero era tremendamente serio, e lo evinceva dalla sfumatura inquietante e inespressiva del suo volto e dei suoi grandi occhi chiari. Quello, fu uno sguardo talmente intenso che per la prima volta Valentina si sentì vibrare.
-Immagino che sia un lavoro piuttosto noioso quello di proteggere una come me…- e dette quelle parole, per la prima volta in tutta la serata, la ragazza abbassò lo sguardo, quasi in segno di resa. Fu un gesto talmente impulsivo e imprevisto, che persino il sicario si era sentito deluso. La osservò rannicchiarsi in sé stessa, continuando a fumare silenziosamente mentre esponeva i suoi fari verdi verso un punto lontano e indefinito del soffitto. E a quella vista, il moro sentì nuovamente qualcosa all'altezza del petto pizzicare in modo fastidioso. Come aveva pensato, c’era qualcosa in lei. Qualcosa che non riusciva ad esternare. Qualcosa che la rendeva particolare rispetto alle altre donne con cui aveva avuto a che fare.
-No. A dire il vero non lo è- rispose piano. Ed era la verità. Si era detto che era un lavoretto inutile, e invece stava scoprendo una persona completamente diversa da quella che si era immaginato. E non gli stava dispiacendo, anzi. Alla sua affermazione, la bruna dipinse una curvatura sottile ed elegante sulle sue labbra, senza però riuscire a guardarlo.
-Anche tu non sei per niente male, se devo essere sincera- constatò infine lei, prendendo un’altra boccata lunga e sofferta della sua amata sigaretta. Il Nero si soffermò allora sul suo profilo grazioso, e sul modo in cui i suoi occhi s’incupivano con il passare del tempo che spendevano a guardare altrove. Ci fu una domanda, allora, che cominciò a torturare la mente del ragazzo. Un quesito particolare e ben preciso che, tuttavia, non era sicuro di volerle fare.
-Valentina- la ragazza si sentì quasi mancare un battito quando udì il suo nome pronunciato da lui, con la sua voce calda, vellutata e, in un certo qual verso, rilassante. Era la prima volta che la chiamava, ora che ci faceva caso, e per lei fu doppiamente impossibile non guardarlo con stupore e un notevole interesse.
-Tu hai mai ucciso un uomo?- le domandò senza troppi giri di parole, mantenendo una calma disarmante. E lei, di rimandò, lo guardo come se in quel momento si aspettasse proprio quella domanda da lui. La ragazza abbassò nuovamente lo sguardo, tornando a fumare.
-Si…- aveva bofonchiato piano, senza osare guardarlo. –Ma è stato molto tempo fa- gli disse prima di spegnere anche quella cicca ormai totalmente consumata.
-Scusami- le disse in un primo momento cercando i suoi occhi, quasi come se adesso fosse lui quello alla ricerca di conforto:
-Non era mia intenzione…-
-Tranquillo- lo interruppe lei, sorridendogli appena:
 –Ti stai rivelando fin troppo gentile. Perciò non farti problemi- lo rassicurò in modo molto distaccato, tornando ad avvolgersi le gambe con le sue stesse braccia, quasi alla ricerca di calore. Nero e Valentina rimasero allora agli antipodi del divano per minuti interminabili, non sapendo più cosa dirsi. Il moro, dal canto suo, aveva scoperto di aver premuto i tasti giusti, e di aver trovato quel segreto che rendeva quella ragazza misteriosa e decisamente più interessante di chiunque altra.
-Era l’uomo che ha ucciso mia madre…- disse improvvisamente, cogliendolo alla sprovvista e allettando pericolosamente la sua attenzione.
-Zio Carlo mi ha aiutata- aggiunse infine. E per la prima volta, Valentina guardò il ragazzo al suo fianco non con occhi di sfida, ma con uno sguardo sereno e al contempo malinconico e sconsolato. Uno sguardo talmente disarmante e incantevole che gli fu del tutto impossibile da ignorare.
-Mi posso avvicinare?- per qualche istante, la sua domanda gli sembrò piuttosto strana, proprio come lei del resto.
-Sì- e senza farselo ripetere due volte, la giovane figlia del dottor Bracaglia aveva accorciato le distanze fra il suo corpo e quello del giovane che aveva al suo fianco. Un uomo che sembrava portare il peso di mille segreti sulle spalle, senza però lamentarsene mai. E senza fiatare, la brunetta ora era a pochi centimetri da lui, il quale non faceva altro che osservarla in silenzio.
-Era la prima volta che lo dicevo a qualcuno…- gli confessò a bassa voce, lasciando così comprendere al Nero il motivo della sua richiesta iniziale. Se ci pensava, se ne sentiva quasi lusingato.
-E perché lo hai detto proprio a me?-
-Non lo so- rispose frettolosamente, immergendosi in quelle pozze cristalline scavate all'interno delle sue cavità orbitali. Sembravano quasi come se fossero in grado di entrarle dentro e leggere i suoi pensieri, quelli che non aveva il coraggio di pronunciare di fronte ad anima viva. Forse era anche per questo che Valentina, in fondo, si sentiva affascinata da lui.
-Non mi sembri uno che ammazza solo per soldi. Credo sia per questo- gli confidò, sollevando appena lo sguardo per vederlo sogghignare piano:
-No, in effetti non lo sono- i due questa volta si sorrisero a vicenda, abbassando contemporaneamente lo sguardo.
-Devo ammetterlo. Sei un tipo strano. Però mi piaci-e si guardarono ancora, e ancora. Per istanti pericolosamente lunghi ed estenuanti. E tutta quell’aria carica di tensione parve appesantirsi ancora di più, accendendo nel petto dell’uomo una miccia che avrebbe fatto fatica a spegnere. E lei, del resto, cominciava a sentire dei brividi farla tremare ad ogni minimo contatto visivo. Così, fingendosi vaga, la bruna ridacchiò appena facendo quasi per scostarsi da lui quando, con un movimento del tutto impulsivo e imprevisto, la mano grande del Nero afferrò il polso della più piccola in una presa salda e decisa. Immediatamente i suoi occhi verdi incontrarono quelli grandi e languidi di lui che, penetrandola da parte a parte, abbassò appena la voce sussurrandole con tono basso e roco:
-Posso avvicinarmi?- e senza rispondergli, la ragazza annuì cercando di non perdere il contatto con i suoi maestosi occhi azzurri. Il moro per la prima volta in tutta la serata prese iniziativa, e cominciò ad accucciarsi pericolosamente contro il suo viso. E mano a mano che si faceva sempre più vicino, Valentina cominciava a pregustare quello che sarebbe successo da lì a breve. Si sentì per la prima volta inerme di fronte a un uomo, completamente disarmata di tutte le sue armi migliori, seduzione compresa. Quel Nero era una vera e propria scommessa, e arrivata a questo punto, decise che era finito il tempo dei giochetti. Ora poteva fare sul serio. Con grande delicatezza, la brunetta sollevò appena una mano sul viso del giovane uomo, carezzandogli le guance lisce e pallide. A quel contatto, del tutto innocente e amorevole, il moro chiuse gli occhi, quasi volendo assaporare quella dolce sensazione che, da molto tempo, aveva smesso di provare. Fu in quell'esatto istante che la donna decise di agire, azzerando completamente le distanze fra i loro volti. Gli rubò un piccolo bacio a fior di labbra, cogliendolo alla sprovvista. Un ghigno malevolo si scolpì sulla sua bocca carnosa, che nel giro di pochi istanti ricambiò il dispetto, avventandosi su quella più sottile della ragazza, che travolta dall'inaspettato impeto del Nero non poté far altro che legargli le braccia attorno alle spalle, e inoltrare una mano fra i suoi folti capelli corvini. Finalmente, dopo anni trascorsi a cambiare uomo per mancanza di virilità e di carattere, Valentina si sentì il cuore scoppiarle nel petto per l’effetto di un misero bacio. E questo le fece molta paura. Poi, proprio quando il moro cercò di prolungare quel loro interessante contatto, schiudendole le labbra con la lingua, un trillo metallico colse entrambi alla sprovvista. Dovettero ascoltare quel suono una seconda volta per capire che si trattasse del campanello del portone.
-Aspettavi visite?- soffiò il Nero a pochi millimetri dalla sua pelle con una serietà inquietante.
-No- sussurrò lei scostandosi appena dal suo corpo per permettergli di sollevarsi dal divano ed estrarre prontamente la pistola. La giovane lo imitò subito dopo, fiancheggiandolo mentre avanzava a piccoli passi verso l’ingresso. Sentirono poi qualcuno cominciare a battere furiosamente sulla porta, e quasi meccanicamente il ragazzo caricò un colpo in canna, intimando alla bruna di mettersi dietro di lui:
-Valentina! Apri! Cazzo dai apri te voglio parlà!- era una voce maschile piuttosto impastata e biascicante, il che lasciò intuire al giovane sicario che dall'altro lato ci fosse qualcuno evidentemente ubriaco. Si voltò piano, ricercando lo sguardo della ragazza, che roteando gli occhi al cielo in segno di stizza, gli rispose:
-È quel coglione di Petrucci. Sono mesi che mi viene dietro. È uno tranquillo- lo rassicurò facendogli cenno di aprire la porta, anche se era visibilmente scocciata. E, del resto, anche lui non poteva ritenersi entusiasta dalla sua improvvisata. Quando il moro aprì un giovane uomo, non troppo alto e con i vestiti e i capelli biondi completamente bagnati, entrò di tutta fretta in casa della piccola Bracaglia brandendo una bottiglia di vino tra le mani. Sembrava non essersi neanche accorto della sua presenza perché, nel giro di pochi secondi, aveva raggiunto ad ampie falcate la ragazza che, incrociando le braccia al petto, lo fulminò con uno sguardo serio e austero.
-Me voi spiegà perché so settimane che nun me risponni ar telefono?- sebbene ci fosse più di un metro a dividerli, Valentina riusciva a sentire il fetore di alcol cominciare a nausearla.
-Perché?!- sbuffò infastidita –Luca, io non ho niente da dirti- la bruna cercò di mantenere la calma, e gli parlò piano cercando di assicurarsi che la capisse al meglio. Questo, barcollando sul posto, sgranò appena i suoi piccoli occhi scuri, confuso.
-Ma che vor dì?- fece per avvicinarsi ulteriormente alla giovane, che immediatamente indietreggiò stizzita. Tempo tre miseri passi poi il Nero, stancatosi di assistere a quella scenetta pietosa, si avvicinò a Valentina con ampie falcate, parandosi innanzi a lei per bloccare la sua avanzata:
-Mi sembra che sia stata abbastanza chiara- disse con una tranquillità del tutto disarmante, in totale disaccordo con i lineamenti affilati e contriti del suo pallido volto.
-E te mo chi cazzo saresti?- il biondo sogghignò appena, quasi divertito del fatto che non fossero soli in quella stanza. Anzi, il rossore sulle gote tonde cominciava a fargli diventare l’intero volto paonazzo, e dai suoi occhi lucidi sembrò quasi che avesse tutta l’intenzione di attaccare brighe.
-Uno che si è stancato di sentire il tuo cattivo odore- composto, come suo solito, il moro sollevò la pistola contro la sua testa, cogliendolo decisamente alla sprovvista. E sebbene fosse decisamente annebbiato dai fumi alcolici del vino che aveva appena bevuto, il giovane Luca Petrucci era ancora piuttosto cosciente per capire che si stava per cacciare in una situazione decisamente spiacevole. Sollevò allora le mani in segno di resa, ma non riuscì a controllare una risata viscida e impastata quando, abbassando appena lo sguardo, intravide il simbolo appeso al collo del suo avversario.
-Bono fratè. Tranquillo. Ero venuto solo a chiacchierare. Ma mesà che ho interotto quarcosa…- senza minimamente degnarlo di una risposa, il moro continuò ad osservarlo con disgusto. E sebbene sentisse già quel familiare e irrefrenabile impulso di premere il grilletto, cercò per quanto possibile di trattenersi. Un morto in più da aggiungere alla sua lista, in quel momento, era decisamente sconveniente.
-Torna a casa Luca…- affermò Valentina, fiancheggiando nuovamente la sua guardia del corpo.
-Ce vado. Ce vado- le rispose frettolosamente prima di voltare i tacchi. Tuttavia, la brunetta non fece neanche in tempo a tirare un sospiro di sollievo che il biondo fece velocemente retro-front:
-Ao, chiamame però quanno hai finito de scopatte questo eh. Che tanto se sa che i fascistoni dureno poco- vide il volto del Nero accumulare una forte tensione. Ma non parlò. Era troppo intelligente per cadere a provocazioni di basso borgo come quella, e Valentina dal canto suo apprezzò particolarmente la sua maturità. Si udì la porta sbattere all'improvviso, segnando la fine di quel quadretto poco invitante e del tutto inutile e che, tra l’altro, gli aveva fatto perdere fin troppo tempo. Il silenzio calò nuovamente sui due che, in piedi in mezzo al salotto, a pochi metri l’uno dall'altra, ricominciarono a sfidarsi con sguardi eloquenti e decisamente poco benevoli. Una cosa però la ragazza volle ammettere a sé stessa: vedere il Nero così concentrato, pronto a sparare per tenere Petrucci lontano da lei, era stato quasi emozionante. Aveva sentito l’adrenalina scorrerle nelle vene e metterle in subbuglio lo stomaco. E ora che i suoi occhi tornavano a penetrarle il cranio, sentì un estenuante brivido caldo percorrerle tutta la schiena. Senza mai sconnettere il loro contatto visivo, il moro dal canto suo ripose la sua fidata arma, cominciando ad avvicinarsi pericolosamente a lei. E più le distanze si accorciavano, più riusciva a sentire la tensione scaldarsi. Una strana fantasia gli balenò in mente, e riuscì a tollerarla a fatica.
-Pensi di ricevere altre visite di questo genere, stasera?- le domandò piano, e per la prima volta Valentina vide una luce diversa illuminargli lo sguardo. Era rovente e agghiacciante al tempo stesso. Sembrava volerla inghiottire. Senza aprir bocca, la bruna si limitò a scuotere appena la testa, cominciando a sollevare freneticamente la cassa toracica quando il moro accorciò ulteriormente lo spazio che lo separava dal suo corpo.
-Che dici?- domandò improvvisamente lei, aspettando che si fosse avvicinato abbastanza per poterla sentire sussurrargli:
-È vero che i fascistoni durano poco?- canzonandolo con un serio sguardo di sfida, la brunetta cercò di mantenere i nervi saldi quando, con un gesto leggero e delicato, la mano grande e callosa del Nero si posò dietro la sua schiena per portarla prontamente al suo petto.
-Questo devi dirmelo tu…- le rispose prontamente, assumendo quel tono basso e vellutato che, senza preavviso, la fece vibrare fra le sue braccia. La più piccola riusciva a sentire le carezze suadenti delle sue dita al di sopra della canottiera sottile, percorrendole delle invisibili circonferenze sulla schiena. Il suo respiro caldo le sfiorava le guance, e man mano che si avvicinava il suo profumo si faceva sempre più intenso. Un ghigno malizioso si dipinse sulla bocca del ragazzo, e d’impulso Valentina non riuscì a trattenersi dal desiderio di assaggiarla ancora una volta. Sapeva di buono, aveva un leggero retrogusto amarognolo di birra, ma non era fastidioso, anzi. Inoltrò una mano tra i suoi folti capelli, intrecciandoli alle dita, giocandoci dispettosamente mentre tra le loro lingue si stava sostenendo un vero e proprio duello per la supremazia. Tuttavia, proprio quando il Nero stava cominciando a scaldarsi, diventando sempre più impulsivo e famelico, la bruna lo bloccò, mordendogli dispettosamente il labbro inferiore.
-Diciamo che per questa sera ti sei divertito abbastanza, hmm?- sogghignò lei puntandogli ambo le mani all'altezza del petto, per poterlo scostare gentilmente dal suo corpo. Impietrito, il moro rimase a dir poco basito:
-Fai sul serio?-
-Ohh sì!- sospirò lei guardandolo con un desiderio tale da fargli ribollire il sangue nelle vene.
-Se pensavi che portarmi a letto sarebbe stato così facile, sappi che ti sbagli- era seria, se non addirittura spietata. Lei aveva più che intuito il suo disappunto, e vederlo con la mandibola contrita, nel vano tentativo di mantenere quella maschera inespressiva che tanto l’affascinava e l’inquietava al tempo stesso, non era altro che un valido pretesto per spingerla a dare tutto il suo peggio. Quel ragazzo aveva uno strano effetto su di lei e forse, a giudicare dal fervore che bruciava avido nel suo sguardo, anche lui aveva cominciato a capirlo. E sebbene in quell'esatto istante avrebbe voluto tapparle la bocca, il Nero tornò a pensare a quella stessa tenacia che aveva visto qualche ora prima. Quella sfrontatezza che, inutile dirlo, aveva scatenato in lui una curiosità insistente e pericolosa.
-Il divano è comodo, comunque. Buonanotte…- un sorriso del tutto pudico e infantile aveva rimpiazzato lo sguardo insistente della giovane, che ridacchiando cominciò ad avviarsi a letto senza degnarlo più di uno sguardo. Il Nero rimase allora immobile in quella posizione per qualche secondo, aspettando di udire la porta della sua camera da letto chiudersi. Poi, quasi sospirando sommessamente, il giovane non riuscì a trattenere un ennesimo sorriso. Sapeva che stava cominciando una partita insidiosa e piena di rischi, ma si disse che forse, per lei, ne sarebbe valsa la pena.

*Angolino di Virgy*
Ecco il secondo capitolo! Spero vivamente che la storia vi stia piacendo, So che sembra piuttosto... "veloce", ma da quello che ho visto, anche la serie televisiva scorre in maniera molto rapida. Anzi, a volte sembra non lasciarti neanche il tempo di ragionare. Comunque, tornando alla storia, ribadisco che cercare di lasciare il Nero in IC è veramente complicato. Spero comunque di non aver deluso le vostre aspettative.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio
-V- 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap.3: Tutto giusto. Tutto sbagliato ***


Cap.3: Tutto giusto. Tutto sbagliato.
 

Valentina aveva faticato a prendere sonno. Non riusciva a capire con quale coraggio fosse riuscita a resistere al ragazzo che, a malincuore, aveva abbandonato in salotto. Parte di lei si diceva che dopotutto era soltanto un gioco, e del resto il Nero era stato assoldato da Zio Carlo per sorvegliarla, non per andarci a letto. E questo lo aveva capito anche dalla sua ferma compostezza, quasi meccanica e innaturale. Era teso quando erano insieme. Eppure, quando la guardava con quei suoi grandi occhi languidi, la ragazza sapeva che anche lui provava qualcosa. Una curiosità, o forse una sorta di attrazione fatale, proibita. Tutto a un tratto l'idea di disubbidire alle regole prestabilite sembrava più che allettante. Ma la verità era che aveva paura. Si sarebbero fatti male, se lo sentiva. E con questo presentimento, riuscì comunque a trovare un po' di riposo, ma soltanto per qualche ora. Giusto il tempo di concedere al sole di rinascere che la bruna era nuovamente sveglia. Il cielo si era appena schiarito, senza mai perdere quel grigiore malinconico che sembrava gravare anche sul suo umore pensieroso e riflessivo. Restando in posizione supina, avvolta fra le morbide lenzuola del suo letto, Valentina ripensò ancora al Nero. Al sapore della sua bocca. Al modo fermo e deciso con cui l'aveva portata al suo petto. Le parve di sentire le palpitazioni, come se si sentisse finalmente inerme. Non era male, anzi. La giovane capì per la prima volta cosa significasse essere una ragazza normale, e non quella persona che volevano che diventasse: una macchina cinica e spietata.

Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra sottili e rosee. Quasi non riusciva a crederci ma lui, pur essendo molto pacato e taciturno, era riuscito a farla sentire bene come nessuno aveva mai fatto prima. Forse erano stati proprio i suoi occhi. Quelle due magnifiche gemme cristalline che, ogni volta che si puntavano su di lei, parevano scrutarla come un quadro enigmatico. Lui la studiava, lo aveva sempre fatto, come a volerle entrare dentro per curiosare fra tutti i suoi segreti. Come se, in realtà, lui non fosse stato attratto tanto dalla sua figura, ma dalla sua testa. E per questo, lei se ne sentì profondamente lusingata. Avvertì dei passi leggeri farsi avanti, e in un gesto del tutto impulsivo e spontaneo, Valentina si finse ancora addormentata. Pur non riuscendo a vedere nulla, sentì la porta della sua camera aprirsi piano. Con tutti gli occhi chiusi, la bruna riusciva comunque a percepire la sua presenza farsi lentamente sempre più vicina, quasi stesse pregustando anche lui il momento in cui sarebbe stato abbastanza vicino per dirle qualcosa. Immaginò i suoi occhi chiari scrutarle le forme gentili mascherate della coperte, e sul suo viso la pallida ombra di un mezzo sorriso. E del resto, poteva ben affermare che non era andata a letto con una sottana di seta nera per nulla.

-So che sei sveglia- calda e vellutata, la sua voce parve una morbida carezza sul suo viso. L'aveva smascherata subito, e di questo non ne era affatto sorpresa. Senza degnarsi di schiudere le palpebre, la bruna sogghignò piano, immaginando che anche lui stesse silenziosamente facendo la stessa cosa.

-Sto aspettando il mio bacio- affermò lei con grande sicurezza restando ancora in quella posizione. Non sapeva se lo aveva spiazzato o meno. Ma il suo breve silenzio il quel momento le fece ben sperare di essere riuscita nel suo intento.

-Nero, io cento anni non ce l'ho a disposizione...- ridacchiò canzonandolo appena, ma si ammutolì non appena percepì un angolo del suo letto matrimoniale farsi improvvisamente più pesante. Lo sentì strisciare lentamente verso di lei, torreggiandola completamente. E quando il suo fiato caldo le carezzò le gote, la ragazza riuscì a sentire il cuore andarle in gola e perdere un battito. Senza rendersene conto, la bruna aveva cominciato a fremere di anticipazione sotto il suo corpo, e anche se il ragazzo sapeva bene che lei non poteva vederlo, gli fu comunque impossibile trattenere un ghigno malizioso e beffardo. Le sue piccole labbra, sottili e ben disegnate, si erano schiuse di pochi millimetri, accogliendo il suo fiato con ingordigia, quasi nutrendosene. E quella, era una vista che ben deliziava gli occhi del Nero il quale, deciso a porre fine a quel piccolo gioco, ne prese nuovamente possesso. Fu un bacio vigoroso, famelico. Quelle labbra lui le aveva bramate per tutta la notte, e anche se sapeva bene che quello che stava facendo andava completamente contro la sua etichetta, non riuscì a smettere di assaggiarla. Valentina sussultò quando la lingua del Nero la penetrò per ingaggiare una sinuosa e confusa danza con la sua. Le girava la testa, non capiva più se quello che stava provando fosse giusto o sbagliato. Tutto quello che riusciva a percepire era soltanto un maledetto brivido di piacere che le fece venire la pelle d'oca.

-Non finirà bene, lo sai?- soffiò pianissimo il moro, sollevandosi appena per poterle marchiare il collo e la clavicola con un'umida scia di baci, accogliendola prontamente quando la bruna, di tutta risposta, inarcò la schiena contro il suo amante. La giovane sussultò quando le sue labbra carnose continuarono a torturarle la morbida pelle alla base del suo collo. Poi, inoltrando le dita pallide e sottili nella sua folta chioma corvina, la ragazza si aprì un varco sicuro per potergli andare a rispondere con un lieve sussurro provocatorio:

-Me ne farò una ragione. E tu?- la sua voce era bassa e pareva un invito dolce e azzardato per il giovane accovacciato su di lei, che dispettosamente gli morse piano il suo lobo per sentirlo tremare di un piacere più basso e istintivo che lentamente cominciava a corroderlo dentro. Senza risponderle, il Nero cercò nuovamente le sue labbra, schiudendole come solo lui sapeva fare. Scendendo delicatamente lungo le sue ampie spalle e la sua schiena liscia e compatta, la più piccola infilò le mani sotto la sua maglietta rossa alla ricerca di un po' di calore. Di tutta risposta, il giovane uomo scostò frettolosamente quelle coperte che come una barriera gli impedivano di toccarla, e quasi con avidità lasciò scorrere le dita callose sulla superficie liscia della sua sottana, lasciandosi invadere la mente da una fantasia alla quale non riuscì a restarne del tutto indifferente. Senza quelle scomode lenzuola di mezzo, la bruna si sentì più libera nei movimenti, tanto da riuscire a intrecciare istintivamente le gambe attorno ai fianchi asciutti del ragazzo. E proprio quando il loro bacio stava cominciando a trascinarli verso un campo minato e pericoloso, i due sentirono un suono trillare alto. Sfortunatamente, il telefono posto sul comodino che fiancheggiava il letto della giovane Bracaglia cominciò a vibrare su sé stesso. Quasi senza fiato si bloccarono di colpo, guardandosi con stupore e sconforto. E se si concentrava bene, Valentina poteva vedere la sfumatura del desiderio incupire lo sguardo serio e imperioso del moro che torreggiava accaldato sopra di lei. Anche questa volta, proprio sul più bello, i due erano stati interrotti. Pur cercando di ignorare quel suono decisamente fastidioso, la ragazza si convinse alla fine che fosse meglio rispondere. Dopotutto, sperò che potesse trattarsi proprio di suo padre. Senza dire una parola, ma assumendo un'espressione lievemente contrariata, il Nero si sollevò appena dal suo corpo, permettendole di allungarsi per afferrare la cornetta del telefono e portarsela all'orecchio.

-Pronto? Oi ciao come...- tornando immediatamente in guardia, il moro la vide impetrare di colpo, e per qualche istante, anche le sue guance parevano aver perso colore.

-Cosa? Quando?!- in maniera del tutto impulsiva, la ragazza si mise seduta composta, assumendo un'espressione dannatamente seria e preoccupata, tanto che anche il ragazzo al suo fianco dovette sporgersi di qualche centimetro per cercare di scorgere, dai tratti del suo viso, un qualche indizio che gli permettesse di capire cosa fosse successo:

-Dove sta adesso? Va bene. Arrivo- rispose infine abbassando violentemente la cornetta del telefono.

-Cazzo, cazzo, cazzo...- di tutta fretta, la ragazza si sollevò dal suo giaciglio per cominciare a raccogliere i vestiti della sera prima che sostavano sparsi disordinatamente per il pavimento, cominciando a rivestirsi alla buona. Poi, e questo lo fece immediatamente andare in allerta, la vide estrarre la beretta dalla sua pochette per inserirla con cura in una borsa da giorno più grande e informale. Sembrava ignorare totalmente quel giovane che, di tutta risposta, si sollevò a sua volta dal materasso per poterle andare in contro. I suoi occhi seri e glaciali cercarono quelli verdi della più piccola con insistenza, e quando li trovarono, li videro contornati di lacrime.

-Cos'è successo?- domandò con tono gentile, tanto da afferrarle prontamente una mano quando la vide abbassare lo sguardo e allontanarsi appena, cercando invano di evitare ogni contatto visivo con lui. Nel giro di pochi istanti, Valentina si ritrovò a dover sbattere il muso contro il suo petto ampio e prestante. Ma cercò a tutti i costi di mantenere la sua posizione. Proprio come se, in realtà, la giovane stesse cercando soltanto di proteggersi, per non farlo entrare nella sua testa e permettergli vedere il suo dolore.

-La mia migliore amica è in ospedale...- sussurrò piano, quasi come fosse un soffio:

-Qualcuno prima si è divertito con lei e poi l'ha massacrata di botte...- aggiunse subito dopo, quasi ringhiando a denti stretti. Sentì poi la sua mano grande scostarle una ciocca di capelli scuri dal viso, carezzandoglielo appena con una delicatezza disarmante. Basita di quel suo gesto, la ragazza sollevò appena il capo, per scontrarsi con uno sguardo profondo e apprensivo che, proprio in quell'esatto istante, la fece sciogliere fra le sue braccia. Non volò più alcuna parola tra i due, perché furono proprio gli occhi a parlare al posto loro. E in quel momento, la bruna capì che davanti a lei non vi era soltanto l'oggetto del suo desiderio, o l'uomo che era stato incaricato di proteggerla. Il Nero, ora, si stava ufficialmente proponendo come suo complice.

***

L'aria dell'ospedale non le era mai piaciuta. La trovava sgradevole e opprimente. Sapeva di desolazione e abbandono. Era proprio per questa ragione che Valentina cercava di starne sempre alla larga. Ma quel giorno non poteva proprio farne a meno. L'orologio affisso alla parete del lungo corridoio, bianco e spoglio, della terapia intensiva scandiva ritmicamente lo scorrere lento dei secondi, incutendole un'ansia tale da portarla a battere freneticamente il tacchetto destro della sua scarpa. Il Nero, al contrario, se ne stava seduto accanto a lei con quella sua solita espressione indecifrabile che voleva dire tutto e niente. Certo non aveva esitato ad accompagnarla, ma da quando avevamo messo piede fuori dalla sua decapottabile rossa, il moro aveva smesso improvvisamente di parlare. Non che le dispiacesse, anzi. In realtà il suo silenzio in quel momento quasi la confortava. Poi, un uomo sulla quarantina, molto alto e ben curato, si avvicinò a lei brandendo una cartella medica e un lungo camice bianco. Era il dottore che aveva preso il cura la sua cara Camilla. Le disse che era sveglia e che poteva riceverla. Così, si sollevò piano dalla sua seggiola, ricercando meccanicamente gli occhi grandi e azzurri del ragazzo al suo fianco. Il Nero, senza aprire bocca, si limitò a farle un cenno d'assenso e continuò ad osservarla seguire quel dottore nella stanza accanto. Notò con grande curiosità che la brunetta aveva cominciato a camminare con passo molto lento ed incerto. In realtà, aveva subito percepito il suo disagio una volta entrati nella struttura, ma vista la situazione in cui si trovavano, aveva preferito non dirle niente. E, del resto, sapeva bene che niente in quel momento sarebbe riuscito a consolarla. Era strano, ma per qualche minuto il giovane si era sentito quasi impotente. Lui, che non mostrava mai le sue emozioni agli altri. Lui, che sapeva uccidere un uomo a sangue freddo, senza neanche pensarci troppo. Per minuti interminabili allora rimase lì, immobile proprio come una statua: con le mani posate sulle ginocchia e lo sguardo sperso nel vuoto. Ad un certo punto però, irrompendo nella sua visuale per riportarlo bruscamente con i piedi per terra, un uomo sulla trentina dai folti capelli bruni e un paio di baffi, che gli incorniciavano le labbra sottili e serrate, sbandierava i suoi occhi grandi e seriosi che sembravano scrutare l'orizzonte con grande austerità. Capì immediatamente che si trattava di un poliziotto, e quando lo vide avanzare ad ampie falcate, in evidente fretta, nella stessa direzione in cui era andata la sua protetta, inevitabilmente non riuscì a non serrare i pugni.

Dal canto suo, Valentina si ritrovò da sola a camminare in quell'ampia camera d'ospedale, osservandosi intorno alla ricerca di una giovane donna dai lunghi capelli biondi. Tuttavia, a parte qualche signora anziana, probabilmente lì per dei malesseri dovuti all'età, l'unica ragazza che sembrasse vagamente esserle coetanea se ne stava stesa sull'ultimo lettino in fondo alla sala: la testa completamente fasciata non le lasciava neanche intravedere una misera ciocca dei suoi lunghi boccoli dorati, e il suo viso, dall'ovale delicato e sottile, era ormai gonfio e tumefatto, tanto da rendere la sua migliore amica quasi irriconoscibile. Faticava perfino a tenere gli occhi aperti, e pur sforzandosi di sorridere, la giovane si sforzò molto anche solo per sussurrare il suo nome con tono allietato e rassicurante.

-Dio, Camilla...- singhiozzò piano la bruna, quasi abbattendo tutte le sue difese quando raggiunse frettolosamente il fianco della sua amica, afferrandole prontamente la mano con grande cura e delicatezza. Ora che ci faceva caso, aveva dei lividi e dei graffi molto vistosi anche sulle sue esili braccia, e la sola vista, oltre che disgustarla, le fece salire una rabbia e un nervosismo che difficilmente sarebbe riuscita a trattenere, considerato il suo forte temperamento.

-M-Mi dispiace i-io non volevo...- la giovane fece per dire qualcosa ma aveva anche lei voce era mozzata dal pianto.

-Non è colpa tua.- sussurrò piano asciugandosi sgraziatamente le lacrime.

-Non è colpa tua tranquilla...- Valentina cercò di rassicurarla fin da subito, portandosi la sua piccola mano alle labbra per lasciarle la tenera impronta di un bacio sul suo dorso fasciato.

-Dimmi, piuttosto, chi è stato- repentinamente, quasi come se un lato più oscuro si fosse impossessato improvvisamente di lei, la bruna cominciò a fissarla con una serietà glaciale e spietata. Camilla aveva visto di rado quello sguardo sul volto della sua migliore amica. E ogni volta, casualmente, non succedeva mai qualcosa di buono. La conosceva da quando erano soltanto delle bambine. Erano cresciute insieme. Ma sapeva il dolore a cosa poteva spingere la sua amica, e conosceva fin troppo bene la nomina di suo padre e il suo giro di clienti.

-V-Val che i-intenzioni- la bionda non riuscì neanche a finire la frase che subito venne zittita:

-Andrà tutto bene- disse con un tono secco e deciso che non la rasserenò neanche un po'. Ci fu allora un lieve silenzio che immediatamente fece intuire alla giovane Bracaglia tutti i timori e i dubbi della sua migliore amica. Sapeva che non voleva farle fare qualcosa di impulsivo, ma questa volta non sarebbe riuscita a fermarla. Qualcuno le aveva fatto del male, proprio a lei che era come una sorella. E chiunque fosse stato, Valentina lo avrebbe trovato e gliel'avrebbe fatta pagare. Era una questione di orgoglio personale, ma sapeva bene che Zio Carlo l'avrebbe definita più volentieri come: "Onore".

-Camilla. Ti prego... Chi ti ha fatto questo?- il suo tono sembrava sincero e implorante, tanto da convincerla infine ad aprir nuovamente bocca:

-L-Luca- sussurrò pianissimo, cominciando a tremare come una foglia mentre una nuova scia di lacrime cominciava a marcarle il volto livido. Inesorabilmente, un brivido freddo percosse tutta la colonna vertebrale della bruna, facendole rigirare lo stomaco mentre una morsa poderosa sembrava toglierle il fiato, stritolandole il cuore nel petto. Mancò di un battito, e sentì la testa cominciare a girare. Ora aveva capito tutto.

-Signorina Esposito?- una voce maschile e ben impostata colse le due ragazze alla sprovvista, tanto da costringere Valentina a voltarsi di scatto. C'era un giovane uomo ben vestito alle loro spalle, dai lunghi capelli corvini, due baffi sottili e dei grandi occhi castano verdi che le scrutava con una seria curiosità. Tuttavia, la brunetta trovò che avesse l'aria piuttosto stanca sebbene fosse molto affascinante.

-Sono il commissario Scialoja- affermò quest'ultimo una volta assicuratosi di aver ricevuto la loro attenzione:

-Se mi permette, vorrei farle qualche domanda- e alla sua affermazione, Valentina immediatamente capì che doveva mantenere la calma e congedarsi con grande nonchalance. Sicuramente si sarebbe fatto dire il nome del colpevole dell'aggressione di Camilla, e quella furia ruggente dentro il suo petto le impediva categoricamente di lasciarsi precedere dalla polizia. Gli espose così il più gentile dei suoi sorrisi, per poi volgere un'ultima volta lo sguardo alla sua amica.

-Vi lascio soli, allora- affermò con dolcezza baciando nuovamente la mano della ragazza stesa al suo fianco,

-Val...-

-Torno domani, tranquilla- la zittì sorridendole nuovamente prima di sollevarsi piano dal suo lettino. Si scontrò così con gli occhi enigmatici di quel commissario: era talmente concentrato che sembrava volesse studiare tutto e tutti, quasi alla costante ricerca della soluzione alle sue mille domande alle quali non sapeva rispondere. E questo, trasmise alla ragazza un forte senso di angoscia e frustrazione. Non si dissero nulla, ma Scialoja vide le labbra rosee di quella donna assumere una curvatura elegante e delicata, a tal punto da tranquillizzarlo. Lei lo fiancheggiò con piccoli passi, e lasciandosi dietro una scia di un profumo molto dolce e intenso, e il commissario la seguì con lo sguardo, vendendola camminare lentamente verso l'uscita. Tuttavia, non appena Valentina uscì da quella stanza, il suo sorriso soave e rasserenante si tramutò immediatamente in una linea piatta e inespressiva. Avanzando con ampie falcate, puntò immediatamente gli occhi sul ragazzo che aveva lasciato seduto in quel corridoio e che, non appena notata la sua presenza, si sollevò in piedi, ricambiando la sua occhiata con altrettanta serietà.

-Devo sbrigarmi...- la bruna non disse altro, ma superandolo cominciò a camminare a passo svelto verso l'uscita. Roteando gli occhi al cielo, Nero la seguì, aumentando il ritmo per raggiungerla. Non pronunciò alcuna parola, ma attese soltanto che riuscissero ad uscire da quell'edificio prima di afferrarle prontamente un polso, facendola volteggiare contro il suo petto. E quando lui la guardava così, con quei grandissimi fari cristallini dalla solennità quasi spietata, Valentina sapeva che non ci sarebbe stata più alcuna via di fuga. Questa volta però, anziché stuzzicare quel piacevole gioco di sguardi che tanto la folgorava, la giovane abbassò il capo, assumendo un'espressione cupa, quasi affranta. Era diversa rispetto a come l'aveva vista quella mattina: non era più soltanto preoccupata, c'era del dolore nei suoi occhi verdi. Una forza talmente struggente da averla fatta impallidire.

-E-Entriamo in macchina- sussurrò piano, lasciando che alcune ciocche ribelli si parassero come uno scudo sul suo viso. Tuttavia, quel piccolo stratagemma non aveva impedito al Nero di vedere una piccola lacrima incolore sgusciare dal suo ferreo autocontrollo. Montarono allora in auto, senza più dirsi una parola. E fu lì che la giovane trovò nuovamente il coraggio di cercare quegli occhi grandi e inespressivi che, tuttavia, parevano riuscire ad entrarle dentro e comprenderla meglio di quanto potesse solo immaginare.

-È stato Petrucci- disse fredda, distaccata. Poi, le sue iridi verdognole s'incupirono ancora:

-È colpa mia...- Valentina si morse un labbro, quasi tremando pur di non scoppiare in lacrime. Ma non lo avrebbe fatto, lo aveva ripromesso a sé stessa. Doveva essere forte, per Camilla. Così il moro al suo fianco la osservò con attenzione: sebbene fosse evidente la sua tristezza, da quegli occhi languidi intravide una rabbia smisurata. Quello stesso ardore che lo aveva colpito fin dal primo istante in cui l'aveva vista. Era come una forza, caotica e imprevedibile, che inevitabilmente lo aveva affascinato e, inutile dirlo, anche adesso riusciva a cogliere la sua attenzione. Ma non c'era più tempo da perdere per sciocchezze del genere:

-Vuoi che ci pensi io?- si propose restando comunque impassibile, cominciando però a riscaldare il motore della sua auto.

-No...- sibilò la ragazza a denti stretti:

-Devo farlo io. E prima che lo trovi la polizia...- aggiunse andando a scontrarsi nuovamente il suo sguardo, come se in realtà stesse cercando negli occhi del Nero una sorta di autorizzazione. Un ghigno sottile si dipinse sulle labbra carnose dell'uomo. E fu proprio in quel piccolo gesto che Valentina capì che forse, proprio dal quel loro futile gioco, stava nascendo un'affinità letale.

*Angolino di Virgy*
Terzo capitolo di questo mio esperimento. Spero che vi stia piacendo! Devo ammettere che sta diventando sempre più difficile cercare di mantenere tutto in IC e onestamente non sono sicura di riuscire nel mio intento. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio. 
-V-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3630095