Chills in Pills

di LarkaFenrir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Night of the Werewolf ***
Capitolo 2: *** Rugiada rossa ***
Capitolo 3: *** Daddy's Right ***



Capitolo 1
*** Night of the Werewolf ***


Scivolai lentamente sotto le coperte, mentre un vago senso di torpore e calore si diffondeva dal petto agli arti. Mi voltai su un fianco, quel tanto che bastava per scorgere la figura già addormentata sotto il lenzuolo. Sospirai e sorrisi, grata che ci fosse ancora. Quell'ultimo periodo era stato un inferno, eppure lui era ancora lì. Per me. Sorrisi ancora. Forse quella notte l'incubi si sarebbe fermato. Quello era diventato il mio mantra, ormai. Quello e la voce di uno dei miei cantanti preferiti, nella speranza che riuscisse a rilassarmi quel tanto che bastava per non svegliarmi sudata e urlante.
Mi tolsi gli occhiali, puntai la sveglia e mi infilai gli auricolari. Sussurrai un vago «Buonanotte», mentre i respiri accanto a me si erano fatti più pesanti. Che invidia.
Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi sul testo della prima canzone. Comincia lentamente a scivolare nel dormiveglia, il corpo mosso da piccoli scatti... ma qualcosa frugò nella mia testa. Come la notte prima. Come ogni maledetta notte da una settimana a quella parte.


Mi sentii scivolare di lato, carponi, di fianco al mio letto. Ormai sapevo esattamente cosa avrei trovato una volta aperti gli occhi. Niente cambiava.
Ero in una radura, di notte, al gelo. La stessa maledetta radura. Stesso bosco. Stessa luna piena. Lo stesso maledetto clichè da film horror che la mia mente si rifiutava di abbandonare. Eccolo lì.
Qualcosa mi passò di fianco... non me la feci addosso come la prima volta. Il solito odore di pelle. Di muschio, resina e sudore, portati da una brezza fresca, dal bosco. Un coro lugubre proveniente dalla pineta, mentre il vento vi mormorava attraverso. Mi incamminai in quella direzione, come sempre.

Qualcosa mi fissava dal folto della vegetazione.

Qualcosa che, per fame o per gioco, mi avrebbe braccato fino ad abbattermi.
Un gioco mortale che si ripeteva ogni notte, ma la cui sensazione rimaneva sempre immutata. Così come tutto il resto. La paura. Il respiro mozzato. Sarei indietreggiata quel tanto che bastava per inciampare, vedere la bestia spiccare un balzo ed urlare. A quel punto mi sarei svegliata, terrorizzata e tra le sue braccia, per poi andare in cucina e farmi una tazza di tè.


Feci lentamente scivolare un piede sull'erba ghiacciata, presa dal panico. Forse questa volta potevo rimanere immbile. Forse mi avrebbe garantito una possibilità di riuscita, dopo notti passare a scappare. L'istinto di sopravvivenza ancora una volta ebbe la meglio.
Mossi ancora qualche passo indietro, aspettando di ferirmi il calcagno sulla pietra che mi avrebbe fatto perdere l'equilibrio. Niente. La bestia si era già accucciata.
Mi voltai e corsi, seguendo solo l'istinto di un animale che sente già sgorgare il sangue dalla sua gola, a fiotti. Non mi voltai indietro, per la paura che il coraggio mi venisse meno. Cercai con lo sguardo qualcosa, qualsiasi cosa potesse costituire un'arma. Un sasso abbastanza grosso. Un ramo. Una pistola... diamine, era il MIO incubo, non dovrei avere la possibilità di controllarlo, di far accadere cose assurde, cose così? Di potermi trasformare in qualcosa, qualsiasi cosa? Cambiare scenario, urlare, svegliarmi...


Una colpo secco mi svuotò i polmoni. Quella cosa maledetta si era avvinghiata alle mie spalle, facendomi sbattere le ginocchia per terra. Annaspai in cerca d'aria, mentre la bestia scalciava. Una zampa, guidata dal caso, trovò appiglio sulla mia coscia destra. Continuavo ad agitarmi, sentendo che cercava di afferrarmi la testa tra le fauci. Cominciava a spazientirsi, e forse fu quella o i miei movimenti convulsi che spinsero le sue unghie sui legamenti posteriori del ginocchio, recidendoli. Fantastico. I sogni sono fatti apposta per fare la figura del perdente. O per crepare.


Con quel poco di orgoglio che mi era rimasto cercai, se non di scrollarmi quell'ammasso di peli da dosso, almeno di voltarmi. Di fronteggiarlo. Di fare qualcosa oltre che agitarmi come un idiota, dannazione!
Diedi un colpo di reni, mentre col calcagno della gamba sana facevo leva sul terreno... capii troppo tardi che se non sei un genio da sveglia, non puoi pretendere di esserlo mentre russi. Una stilettata nelle clavicole, dove le unghie affondavano, cercando di fare presa mi strappò un gemito. Temetti di svenire, mentre le zampe posteriori si posavano sul mio ventre, e cominciavano a scavare con le unghie. Non mi stupii nemmeno troppo quando le zanne affondarono nel mio collo.


Aprii gli occhi appena in tempo per vedere il sangue che cominciava a schizzare... bagnando quel viso. Tossii, mentre un rantolo gorgoliante mi moriva in gola. Tentai ancora, e ancora una volta. Niente più che un febile strillo... quel tanto che bastava per svegliarmi. Per sentire il sangue che mi inzuppava la t-shirt, incollandola al corpo. Per vederti a cavalcioni sopra di me, con un coltello in mano.

 


Breve storia partorita nel dormiveglia, con cui ho deciso di tastare il terreno e di ricevere critiche qui su EFP. È la prima vera storia che scrivo con l'intenzione di pubblicarla, spero di ricevere consigli per fare in modo che non sia l'ultima! Divertitevi e non armatevi di troppe aspettative... ho dovuto scriverla di getto e pubblicarla prima di cambiare idea, come sempre.

~Larka


[Modifiche di formattazione in data 28.11.16]

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Capitolo 2
*** Rugiada rossa ***


Quella mattina mi svegliai all'alba, il petto attraversato da una fitta d'inquietudine.
Scandagliai con sguardo lievemente assonnato le assi di legno del pavimento, per capire dove avessi lasciato le pantofole; presi dal gancio vicino alla porta la vestaglia blu notte, la mia preferita, e scesi con passo nervoso le scale.
Feci solo una breve sosta in cucina, giusto per mettere a bollire l'acqua per il tè, ed uscii nell'aria frizzante degli ultimi di settembre. Il cielo si stava lievemente rischiarando, ad est, il pizzicore dell'aria di primo mattino si insinuava nelle narici, i suoni della natura mi scaldavano il cuore...

Non mi basta.

Sapevo che per trovare il mio personale equilibrio interiore avrei dovuto far visita al mio giardino privato.



Il mio giardino... così ricco, vario, amato! Forse sono un po' possessivo nei suoi confronti... pensai mentre mi sfilavo la chiave dal collo, necessaria per accedere al cortile sul retro. No, in fin dei conti, ne sono il custode. Dipende da me... ne sono responsabile.
Mi avviai con passo deciso, mentre alcuni ciuffi d'erba scricchiolavano, calpestati al mio passaggio; ero ansioso di vedere coi miei occhi che ci fosse ancora, che stesse bene...
Vedete, un giardino come il mio non lo trovereste in tutta l'Inghilterra... oserei dire in tutto il mondo. Sono un avido collezionista: i fiori più rari, più belli, provenienti dagli angoli più remoti dei continenti, li potreste osservare proprio qui.
Capite ora la mia gelosia? La mia ansia? Se qualcuno venisse a curiosare qui, a casa mia, sicuramente verrebbe preso da un'invidia così accecante, che cercherebbe di portarmelo via... no, non voglio nemmeno pensarci!!



La tragedia era già stata sfiorata una settimana fa. Un ficcanaso si era spinto fino a casa mia, cominciando a fare domande. Peggio, molto peggio: chiedendo di vederlo. Non seppi mai il reale motivo che l'aveva spinto fino alla soglia di casa mia... si capiva già dalla prima occhiata che quell'uomo non era un esperto. Da quel giorno l'ansia non aveva fatto altro che crescere.
Un brivido mi scosse nel profondo. Come aveva fatto a venirne a conoscenza? Che cosa voleva fargli? Doveva rimanere al sicuro, nascosto, protetto... puro. Nessuno avrebbe mai dovuto mettere piede oltre l'uscio verniciato di fresco. È il mio nirvana personale.



Feci scattare lentamente la serratura, per godermi ogni istante di iniziale beatitudine. Quando finalmente socchiusi il battente, senza il minimo rumore, mi concessi un respiro leggermente più profondo.

Tutto è in ordine.

Entrai e accostai la porta dietro di me; poi attraversai le varie zone, sorridendo. Erano meticolosamente suddivise in base all'origine dei semi: Europa, Asia, Africa, Americhe, Oceania...

Trovare delle specie così rare non è stata certo una passeggiata... ricordai i modi in cui mi ero procurato quelle bellezze. Illegali, per lo più.

È stato necessario. Un giorno sboccerete.

Un altro sguardo alla terra spoglia, lievemente bagnata dalla rugiada. Quanto avrei voluto godere subito di quella visione... ma anche quello faceva parte del gioco. L'attesa, le aspettative, l'immaginazione... la fede che avevo riposto in ognuno di voi.

Da semi così lucenti, non può che nascere un'autentica meraviglia.



A volte il pensiero di quanto fossi egoista mi attraversava, dico davvero. Eppure la maggior parte non capirebbe... o peggio, ne resterebbe affascinata. Allora sarebbe proprio la fine.

Non posso lasciare che vi portino via...

Un improvviso groppo in gola, al solo pensiero; la solitudine, la tristezza, il dolore... cercai di liberarmene. Non era quello il luogo, non potevo permettermelo. No, non qui. Quello era un angolo di pace, di quiete; il mondo bastardo era fuori, ma lì, lì tutto era diverso... la tranquillità, la purezza, la santità di quel luogo...

Peccato solo doverla contaminare con le loro angeliche urla.

 


I pensieri del protagonista non mi appartengono.
*sguardo preoccupato*

~Larka

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Capitolo 3
*** Daddy's Right ***


Ora so che aveva ragione.
La sua sagoma scura si stagliava in controluce sulla soglia, la testa leggermente inclinata sulle spalle rigide e stanche. Non avevo bisogno di vederlo in viso per indovinare i suoi occhi incavati attraversare la stanza, sezionando le tenebre. Li sentivo sulla pelle, sotto di essa.


Ora capisco quanto avesse ragione.
Ora che non serve più, che l'istinto ha prevalso, dopo che con mano malferma mi hai tranciato le corde vocali; come un cane bastardo. Non dirò più bugie.
Lacrime di paura, dispiacere e rimpianto si mischiarono a quelle inusuali di disgusto, mentre il puzzo di vodka si faceva strada fino alle mie narici.


Sono un ometto ormai. Avrei dovuto accettarlo.
Attraverso la nebbia che mi velava gli occhi ho scorto un pastello verde, dimenticato fuori dalla scatola sulla scrivania. Mi sono divincolato dalla tua stretta, disperato e desideroso di un'ancora di salvezza, sperando di agguantarlo e scrivere decine di volte quanto mi dispiace. Centinaia di volte.


... ma ti sei arrabbiato ancora di più.
Mi hai fatto inciampare, buttato contro la parete e bloccato la testa contro il muro. Mi hai fracassato le ginocchia, la spina dorsale... anche la mascella, mentre continuavo a scandire le parole. Che rumore nauseabondo. Ho cercato di soffocare un conato, ma la bile è colata sul pigiama di Masha e Orso.


È solo colpa mia. Lo riconosco.
Se avessi ancora l'uso della parola non griderei. Te lo prometto. Ripeterei come un mantra che mi dispiace, che ti chiedo scusa, non dirò più bugie... non ti sottrarrò più al tuo meritato riposo.


Direi qualunque cosa. Farei qualunque cosa.
Tutto, tutto quello che serve pur di non farti aprire quello squarcio sul mio pallido petto, per non vedere i miei organi luccicare e fremere al chiaro di luna.


Il peggior dolore è quello che non puoi gridare[*].
Mentre manometti la cassa toracica con sonori scricchiolii e ti lecchi le labbra, non posso che pensare a quanto sia stato stupido. A quanto le mie paure da bambino siano niente, niente, in confronto all'essenza del dolore stesso.



Guardo il mio piccolo cuore contrarsi debolmente nel petto, un'ultima scarica di adrenalina...

Papà, perdonami... avevi ragione.

Non c'è nessun mostro sotto il letto, nè nell'armadio.




[*] Questa frase (scritta in inglese e intesa in senso animalista) è tatuata sull'avambraccio di una mia amica. Non so se è una citazione o è una sua idea, in ogni caso non mi appartiene. Ho preferito precisarlo nonostante non costituisca uno spunto, ma mi sia venuta in mente durante la seconda stesura.

 


Doveva essere più corta, più diretta... era questa l'idea quando l'ho buttata giù. Poi ho deciso (incredibile!) di modificarla, di non affidarmi all'istinto, ma di provare a creare qualcosa di diverso. Non che sia riuscita a dedicarle più tempo, è un mio limite, ma almeno ci ho provato. Spero almeno che ne sia valsa la pena!

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