Like father like son

di Berry Depp
(/viewuser.php?uid=470000)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cold case ***
Capitolo 2: *** Feelings ***
Capitolo 3: *** Truth ***
Capitolo 4: *** Secrets ***
Capitolo 5: *** Cud ***
Capitolo 6: *** Past ***
Capitolo 7: *** Alone ***
Capitolo 8: *** Memories ***
Capitolo 9: *** Favor ***
Capitolo 10: *** Philosophy ***
Capitolo 11: *** Lost ***



Capitolo 1
*** Cold case ***


Easter Eggs n°: 1     
Cold Case         

                -Giuro che prima o poi ti strappo la pelliccia pelo per pelo- ringhiò la coniglietta, fra i denti.
                -Come sei dura, Carotina- borbottò l’altro, fintamente intimorito. Le lanciò un’occhiata divertita: era davvero furiosa e la cosa lo faceva solo ridere di più. In piedi su una scaletta, Judy cercava di raggiungere uno scatolone che era stato riposto sulla mensola sbagliata. Nick le si avvicinò, si mise in punta di zampe, lo prese e glielo porse. Lei non lo guardò nemmeno, gli strappò lo scatolone dalle zampe rischiando di cadere, perché troppo pesante, e gli diede le spalle, alla ricerca del giusto ripiano. Da brava coniglietta educata che era, si lasciò sfuggire un irritato “grazie” dopo il quale si morse la lingua. Il suo partner ridacchiò.
                -Andiamo, non dirmi che non ti stai divertendo!- esclamò, allargando le braccia –Una giornata lontano dalle strade trafficate e dai pericoli della città. Goditela, non capiterà altre volte.
                -Se continui a far arrabbiare il capitano Bogo, capiterà eccome- replicò Judy, invisibile tra gli scaffali polverosi della stanza dove erano stati mandati a mettere ordine. La volpe la raggiunse seguendo la sua voce ed il suo odore, quasi passeggiando spensierato con le zampe dietro la schiena ed un sorriso beato stampato sul muso.
                -È qui che ti sbagli- disse –Proprio perché continuerò a dargli fastidio, lui si inventerà sempre nuove punizioni, una più creativa dell’altra. È convinto che così mi metterà in riga- rise di gusto, a quel pensiero.
                -Può punirti come vuole, nessun castigo ti toglierebbe quel sorriso strafottente dal muso nemmeno sotto tortura- Judy trovò lo scaffale a cui era destinato lo scatolone e glielo poggiò. Fortunatamente era uno dei più bassi.
                -Puoi dirlo forte!
                Passarono là dentro a riordinare gli scatoloni fuori posto ancora per mezzora, durante la quale Nick si fece sempre più silenzioso. Erano in due sezioni differenti, Judy nella F, il suo partner lì da qualche parte. Lo sentiva muoversi appena, tirare via uno scatolone e posarne un altro, tutto strascicando le zampe; poi, d’un tratto, la spaventò un botto.
                -Nick!- esclamò la coniglietta. Iniziò a zigzagare di corsa tra gli alti ripiani alla ricerca del compagno. Erano le tre del pomeriggio, ma in quella grande stanza non c’erano finestre che facessero entrare luce la luce del sole; l’unica fonte luminosa che avevano erano i freddi led bianchi da ospedale, di cui uno ogni tanto iniziava ad illuminare ad intermittenza, per poi restare acceso, malato.
                -Nick!- ripeté Judy, quando lo vide. Era dritto in piedi, il muso puntato verso lo scaffale davanti a sé, ad ignorare completamente lo scatolone caduto alle sue zampe, tutte le scartoffie che prima conteneva sparse sul pavimento.
                -Nick?- la volpe non rispondeva, sembrava incantato da ciò che aveva davanti. Occhi sgranati, spalle ricurve, ginocchia che sembravano non reggerlo più in piedi.
                -Carotina?- la chiamò in un soffio, senza muovere un muscolo se non quelli necessari a pronunciare quelle poche sillabe. Lei rizzò le orecchie. Era rimasta ferma all’inizio del corridoio, timorosa che avvicinandosi l’avrebbe spaventato: non era un comportamento normale e no, non sembrava nemmeno uno dei suoi stupidi scherzi.
                -Sì, Nick?
                -Qua dentro- riprese lui, con la voce rotta –ci sono tutti i casi freddi, vero?
                Casi freddi. Quelle parole risuonarono crudeli, nelle orecchi di Judy. Chissà perché li chiamavano così, chissà perché non casi non risolti, semplicemente. Era come se, chiamandoli freddi, si guardasse alle vittime di quei casi che mai avevano avuto giustizia e le si lasciava lì, senza dar loro nemmeno un barlume di speranza. Congelati nel loro passato. Judy si era tenuta ben lungi dal leggere nomi e date sugli scatoloni, proprio per non lasciarsi prendere dall’angoscia come era certa sarebbe successo se l’avesse fatto-
                -Sì, questa è la stanza dei casi non risolti- rispose lei, confusa dal comportamento del collega. Gli si avvicinò lentamente, poggiò una zampa sul suo braccio e diresse lo sguardo dove era fisso quello di Nick. Le orecchie le si afflosciarono sulle spalle e istintivamente strinse la presa sul braccio della volpe.
                Robin P. Wilde. Zootropolis, 1989.
                -Nick, io non...
                -Voglio aprirla- di colpo, la voce di Nick era ferma, dura.
                -Cosa?
                -Voglio sapere perché quegli incompetenti non sono riusciti a capire chi ha...- quello che era iniziato come un ringhio gli morì in gola: non era mai stato capace di pronunciare quelle parole. Papà e ucciso, nella stessa frase, erano tremendamente insopportabili, anche dopo trent’anni.
                -Forse è meglio di no- suggerì Judy. Sotto il suo tocco sentiva Nick rigido, come se si stesse trattenendo dall’aprire quella orribile scatola bianca.
                La volpe tirò indietro le orecchie e finalmente la guardò, gli occhi pieni di terrore mischiato a speranza, un’espressione che Judy non gli aveva mai visto sul muso.
                -Magari noi lo scopriamo- mormorò, come un cucciolo che suggerisce agli amici di organizzare uno scherzo ai danni di un vecchio venditore –Siamo bravi, io e te, possiamo farla pagare a chiunque abbia fatto del male a mio papà.
                Quelle parole spaventarono la poliziotta, la spaventarono e la intenerirono: Nick sembrava davvero un cucciolo e sapeva che in tutti quegli anni non si era mai dato pace, riguardo la faccenda di suo padre. Non gliene aveva mai parlato e lei non aveva mai chiesto per non sembrare inopportuna ma a volte, quasi impercettibilmente lui accennava qualcosa, un aneddoto di quel poco che ricordava di quell’epoca, un ricordo vago, un questo mi ricorda di quando. E Judy sorrideva, felice di sapere che Nick, con lei, sentisse di poter dire qualcosa, di non doversi per forza tenere tutto dentro. Ma in quel momento era diverso: erano a lavoro e lui non ne aveva mai parlato, a lavoro; non aveva un sorriso, che fosse mesto, sul muso, ma solo... cos’era? Voglia di giustizia? Se quella fosse stata voglia, di certo non era di giustizia. E fu questo a spaventarla.
                -No, Nick, non possiamo- rispose, sentendosi in colpa: avrebbe tanto voluto aiutare il suo amico.
                -Ma...
                -Non ti affiderebbero mai il caso- lo interruppe, seria –sei direttamente coinvolto, queste cose non si fanno.
                -Allora te lo farai affidare tu!- riprese lui, con un entusiasmo inquietante –Io seguirò le indagini dall’esterno, Bogo non ne saprà niente!
                Judy lo guardò dritto negli occhi. Non una lacrima, non erano nemmeno umidi. Forse era passato troppo tempo, forse Nick non era emotivo come lei, piccola coniglietta. Sospirò.
                -In questo momento non stai bene- disse, prendendo la zampa di lui nella sua –Ne riparleremo. E se questa è la tua volontà, io... chiederò che mi venga affidato il caso. Se può farti felice.
                Nick trattenne il respiro e la abbracciò.
                -Grazie, Carotina.
                Magari la verità lo avrebbe aiutato ad accettare l’accaduto. Magari, dopo trent’anni, avrebbe trovato la pace.
                Magari.
 
                Judy era stata irremovibile: sì, forse avrebbe richiesto l’incarico, ma aveva categoricamente proibito a Nick di guardare il contenuto della scatola, almeno non prima che le indagini iniziassero davvero.
                Restarono lì a riordinare fino alle cinque e quando uscirono presero entrambi una boccata d’aria che avrebbe fatto scoppiare i loro piccoli polmoni. Decisero di andare a prendere qualcosa di fresco per riprendersi e, sulla strada, Judy raccolse il coraggio che le serviva per chiedere a Nick come si sentisse.
                -Come se avessi passato dieci ore in una stanza soffocante a fare un lavoro orribile- sorrise lui. Sembrava stare bene.
                Una volta preso posto ad un tavolino nel loro bar preferito ed ordinato due frullati, Judy pensò che quello fosse il momento giusto per rompere il ghiaccio, ma prima che aprisse bocca Nick sospirò.
                -Credo di... aver esagerato, oggi- disse, abbassando lo sguardo –Scusa.
                Judy inarcò le sopracciglia, incredula: Nick Wilde che chiedeva scusa?
                -No, eri solo sconvolto. È normale. Ma dobbiamo parlarne, Nick- cercò lo sguardo di lui con il suo e quando lo trovò continuò: -Tu vuoi davvero sapere la verità su tuo padre? O è stato un attacco di panico, che ti è preso per aver visto la scatola?
                -Sono trent’anni, che desidero sapere cosa sia successo, Carotina. Fino ai dodici anni, magari, mia madre è riuscita a tenermi con le zampe per terra, ma da quando anche lei se n’è andata, io non mi do pace.
                Judy deglutì. Una vita di attesa, di speranza mai esaudita. Era impensabile che Nick fosse riuscito a sopravvivere tanto a lungo. Un coniglio sarebbe morto di crepacuore.
                -Dove sono cresciuto io, storie del tipo “vado a comprare le sigarette” se ne sentivano all’ordine del giorno- continuò lui, imperterrito –Non ero l’unico cucciolo senza uno o entrambi i genitori. Ma dopo qualche tempo si veniva a sapere cosa ne era stato, del padre uscito e non più tornato o della madre rapita mentre stendeva la biancheria dietro casa. I cuccioli se ne vantavano, come se dire “mio padre si è buttato da un ponte perché non riusciva a pagare i debiti” ti facesse gloria. Come se raccontare della madre ritrovata in un vicolo in fin di vita a causa di una gang di arrapati ti mettesse sotto i riflettori. A me tutta quella roba faceva schifo e quasi speravo che mio padre non venisse trovato, purché nessuno sapesse niente. Ma io ho sempre voluto sapere- tacque e attese che Judy prendesse parola. Lei pendeva dalle sue labbra, incapace anche solo di immaginare un mondo del genere, tanto diverso dall’immagine apollinea della grande metropoli. Si schiarì la gola.
                -Sapere cosa è successo a tuo padre, scoprire chi è il suo... assassino- si sforzò, perché le parole le uscissero di bocca –basterebbe a farti stare bene?
                -Certo- rispose prontamente lui.
                -Se venisse arrestato e chiuso in prigione, ti riterresti soddisfatto?
                Qui Nick esitò.
                -Beh...
                -Tu non vuoi giustizia, Nick. La tua è sete di vendetta.
                A quelle parole Nick sobbalzò. Non ci aveva mai pensato, tutto quello che voleva era sapere. Cosa sarebbe venuto dopo, l’aveva sempre attribuito alla polizia. Ma ora lui era la polizia. Cosa avrebbe fatto Nick Wilde?
                Cosa avrebbe fatto Robin Wilde?

____________________________________________


Cabina del Capitano:
Ebbene sì. Ho la faccia tosta di presentare questa nuova... cosa nonostante ne abbia già iniziata una in questo fandom. Diciamo che questa mi convince più dell'altra e mi ci sto dedicando di più. Per chi è riuscito ad arrivare alla fine del capitolo ecco un piccolo appunto: avete notato quella scritta in grassetto all'inizio del capitolo? Io amo gli easter eggs e ho deciso di infilarne in alcuni capitoli perciò vi propongo un giochino. Io scriverò sempre quanti sono, se ce ne sono, all'inizio del capitolo e se pensate di averli trovati tutti fatemelo sapere con una recensione. Il primo a lasciare la recensione con tutti gli EE giusti riceverà un premio. In realtà non so di che premio possa trattarsi, scrivetemi anche cosa pensate di poter "vincere" e vedrò se la cosa sarà fattibile. Se non lo sarà mi impegnerò affinchè possa esserlo. Beh, dai, per iniziare questo easter egg è davvero facile.
Beh, uhm... grazie per aver letto fin qui, pubblicherò appena il wifi sarà di nuovo dalla mia parte, scuola permettendo; in ogni caso il prossimo capitolo è pronto, non temete.
Ci si legge!
BD
P.S: un piccolo grazie ad Elis_06, giuro che questo EE l'avevo già inserito prima di leggere la tua fic ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Feelings ***


 
Easter Eggs n°: 1
Feelings
 

                -Ho sentito bene?
                -Ne sono certa, capitano.
                -È un caso chiuso da trent’anni, Hopps.
                Il capitano Bogo aveva inarcato le sopracciglia da dietro le lenti dei suoi occhiali e aveva abbassato dei fogli che avevano tutta l’aria di essere roba tanto importante quanto noiosa e che stava leggendo corrucciato fino a pochi secondi prima.
                -È qui che si sbaglia, capitano- ribatté la coniglietta, dritta davanti la grande scrivania –Non è affatto chiuso, anzi. È un caso mai risolto.
                -Un caso freddo, sì. E sai perché?- esclamò lui, minaccioso.
                -Beh, penso... mancanza di prove o testimoni, cose così...
                -No, Hopps. Le prove ci sono e i testimoni anche. Se non sono morti. Quel caso è stato messo da parte su richiesta della stessa signora Wilde.
                Judy spalancò la sua piccola bocca. La madre di Nick aveva chiesto di non portare a termine le indagini?
                -Ma... perché?- balbettò, incapace di pensare.
                -Bella domanda. Ce lo siamo chiesto tutti, ma lei non ha mai voluto dare spiegazioni. Vuoi chiederlo direttamente alla sua lapide?
                Non aveva alcun senso, doveva esserci un motivo per quel comportamento. Judy recuperò il suo portamento e ripeté: -Capitano, chiedo che le indagini vengano affidate a me.
                Bogo la squadrò qualche secondo, poi rispose, secco: -No- e tornò a leggere quei fogli.
                -Ma capitano!
                -Niente “ma”, Hopps. Il tuo collega sarebbe troppo coinvolto.
                -Oh, ma lui non parteciperebbe.
                -Come?
                Judy annuì.
                -Wilde non si occuperà delle indagini con me. Vorrei lavorare con chi si occupò del caso nell’89.
                Bogo sogghignò.
                -No, non lo vuoi.
                -Come fa a saperlo?
                -Perché conosco troppo bene chi lavorò a quel caso e posso vantarmi di conoscere anche te, Hopps, dopo tre anni. Credimi, non vorresti mai lavorare con quel mammifero.
                La coniglietta sospirò e si protese sulla scrivania, rischiando di cadere giù dalla sedia.
                -Capitano, per favore. Non glielo chiedo in quanto ufficiale ai suoi ordini, ma in quanto... amica- Bogo rimase interdetto –Mi lasci lavorare a quel caso. Come tre anni fa, ce l’ho fatta, ha visto? Non è la prima volta che non vuole affidarmi un incarico, ma ora glielo chiedo in ginocchio. Me lo permetta. Per Nick.
                Quella franchezza, Bogo non se la sarebbe mai aspettata nemmeno da una coniglietta emotiva come Judy, né lei avrebbe mai osato pensare di utilizzarla con il suo superiore. Ma quello non era un momento come un altro, quello non era un caso come un altro.
                Il bufalo sospirò e si tolse gli occhiali.
                -Ho fatto un grosso errore, mandandovi a riordinare quella stanza- commentò, rivolto più a se stesso che alla sua interlocutrice –E sia, Hopps. Vai a recuperare quella scatola. Questo- scrisse qualcosa su un biglietto e glielo passò –è il nuovo indirizzo di Sino, il detective dell’89.
                -Grazie, capitano, davvero!- Judy era su di giri, le seguenti parole di Bogo in un primo momento la stupirono, poi le diedero coraggio: -Judy. Fai attenzione.
 
                Lo scatolone giaceva sulla scrivania, chiuso, pieno di incertezze e paure. Nick e Judy, seduti uno accanto all’altra, lo guardavano in silenzio da qualche minuto, il primo che si tratteneva dall’aprirlo e ficcarci dentro il muso, la seconda molto meno decisa. Dopo essere scesa a recuperare lo scatolo aveva raggiunto Nick nel loro ufficio, per dare un’occhiata al contenuto prima che il loro turno finisse.
                -Allora?- fece Nick, di colpo –Lo apri?
                -Vuoi aprirlo tu?- chiese Judy, sperando che rispondesse di sì.
                -No, il caso è tuo. Io sono qui clandestinamente.
                La coniglietta realizzò che sebbene il compagno morisse dalla voglia di sapere cosa conteneva la scatola, rispettava anche il suo lavoro e le sue decisioni. Pensò che gli voleva davvero tanto bene.
                -Okay- sospirò. Si sfregò le zampe, prese il coperchio e si bloccò, ricordandosi che doveva prima dire una cosa importante: -Nick, c’è una cosa che devi sapere.
                Lui si girò per guardarla, gli occhi pieni di aspettative. Come poteva dirgli che sua madre aveva fermato le indagini? Nick nutriva un amore incondizionato, per la madre, saperlo lo avrebbe distrutto.
                -Sì, Carotina?
                Judy deglutì.
                -Che...- balbettò –Che qualunque cosa accada, tu puoi sempre chiedere di fermare le indagini.
                Nick corrugò le sopracciglia.
                -Perché dovrei volerlo?- domandò, a metà tra lo stupito e il divertito –Sai, cosa? Andiamo a casa mia. Mangiamo qualcosa e ci godiamo lo spettacolo- prese lo scatolo e con un balzo scese dalla poltrona, poi si girò per vedere che Judy non si era mossa –Vieni?
                -Eh? Oh, sì, sì.
                Judy sapeva che Nick era bravo a nascondere le emozioni, ma quel suo comportamento, così genuino e rilassato, le metteva ansia, specialmente dopo la reazione che aveva avuto nella stanza dei casi freddi. Pensò che probabilmente stava solo recitando, come sempre.
                Una volta a casa della volpe, questi si mise ai fornelli per preparare della cioccolata calda, mentre Judy, seduta al tavolo da dove sbirciava i movimenti rilassati ed esperti dell’amico, si decise ad aprire la scatola. Lanciò un’occhiata a Nick che le dava le spalle e si godette per qualche secondo la vista della sua schiena sotto una maglietta bianca a maniche corte che aveva indossato una volta tornato a casa, della coda che si muoveva sinuosa, rilassata. Poi guardò dentro lo scatolo: si era aspettata molto meno materiale.
                -Cioccolata aromatizzata alla cannella per la mia Carotina- esclamò Nick poggiando la tazza sul tavolo –Oh! Cosa c’è dentro?
                -Più di quanto pensassi- rispose lei, scaldandosi le zampe con la tazza.
                Nick sorseggiò la sua cioccolata amara e si sporse per prendere il fascicolo che stava in cima alla pila. Lo aprì. La prima pagina descriveva la scena del crimine, con foto degli indizi trovati in giro: un sigaro a pochi passi dal corpo, una sgommata sull’asfalto, del sangue su un muro. La volpe deglutì.
                -Non Cubano- disse.
                -Come?
                -Montecristo non Cubano, era il suo tipo di sigaro preferito. Hanno sbagliato, qua c’è scritto che era Cubano- spiegò.
                Passarono il pomeriggio leggendo e studiando tutte le prove raccolte all’epoca, in silenzio. Ogni tanto Nick diceva piccole cose, accortezze, correzioni come nel caso del sigaro e a Judy sembrava che in certi momenti gli si spezzasse la voce, ma poi si riprendeva, deciso a non lasciarsi andare.
                -Ehi, dimentichiamo la cosa più importante- disse Nick, cercando di apparire sereno –Chi è il fortunato che lavorerà al caso con te?
                La poliziotta lesse la scheda del detective.
                -A. Simo, ora dovrebbe avere cinquantacinque anni.
                -Simo, eh?- la volpe sogghignò –Ci sarà da divertirsi.
                -Lo conosci? Qual è il suo nome?
                -Perché non glielo chiedi di persona?- Nick indicò il biglietto che Judy aveva poggiato sul tavolo, quello su cui Bogo aveva annotato il nuovo indirizzo dell’agente. Lei annuì e decise che l’indomani sarebbero andati a cercarlo, dopo di che girò un foglio del fascicolo che aveva fra le zampe e desiderò non averlo mai fatto: davanti ai suoi occhi c’erano le foto del corpo di Robin Wilde. In una foto era rannicchiato, come se l’assassino avesse voluto nasconderlo il più possibile fra i rovi –di certo non si era sdraiato lui in posizione fetale proprio dentro un cespuglio di spine. In un’altra c’era un suo primo piano, un buco di proiettile proprio in mezzo agli occhi, in un’altra ancora si potevano ben vedere le coltellate –quindici, a detta del rapporto- che costellavano il torso, non più coperto dalla camicia un tempo bianca e ora rossa e lacera.
                -Hai freddo, vado a prenderti una felpa?- chiese Nick, senza staccare gli occhi da quell’orrore. Judy si accorse di aver continuato a fissare le foto e richiuse il fascicolo con uno scatto.
                -Uhm, sì, grazie. Prendine una anche per te- gli suggerì. Lui annuì ubbidiente e lasciò la cucina, diretto alla sua camera. La poliziotta capì che forse aveva bisogno di un momento per riprendersi, quindi non si stupì quando notò che erano già passati otto minuti, da quando il suo amico era sparito nella sua camera e non volle raggiungerlo. Se avesse avuto bisogno di lei, l’avrebbe chiamata. Giusto?
                Saltò in piedi quando sentì un rumore di vetri rotti e corse nella camera di Nick. In un angolo c’era quella che fino a poco prima doveva essere stata una lampada di ceramica, ora in frantumi e, al lato del letto sfatto e pieno di cuscini, in ginocchio, una volpe con la testa incassata fra le spalle ricurve che dava alla porta. La prima cosa che pensò Judy fu che se Nick aveva rotto quella lampada, doveva essere davvero arrabbiato: lui non perdeva la calma facilmente; poi ricordò di aver letto da qualche parte che chi dorme tra tanti cuscini si sente molto solo; infine realizzò che c’era un Nick, proprio davanti a lei che, a giudicare dai singhiozzi sommessi, era in lacrime. Lo raggiunse e si inginocchiò accanto a lui, tenendo una zampa sulla sua spalla. Lui aveva il muso tra le zampe. Stettero in silenzio qualche minuto, poi Nick parlò, tra i singhiozzi: -Aveva la mia età.
                Judy lo guardò, colpita da come riuscisse a trovare la forza per mettere le parole una dietro l’altra.
                -Trentacinque anni. E aveva un lavoro, una moglie ed un figlio. Ed è morto- tirò su col naso e continuò –Io non... non capisco. Non capisco perché la vita debba essere così ingiusta. Perché se c’è chi merita di vivere, non può. Mi ha lasciato, Judy.
                Il fatto che l’avesse chiamata per nome non era irrilevante, questo lei lo sapeva.
                -Sai cosa...- Nick ridacchiò –Sai cosa gli hanno trovato in tasca? Un minuscolo coniglietto di peluche. Era per me, era uscito da lavoro e si era fermato a comprarlo ad una bancarella. Se solo non si fosse fermato... se solo fosse tornato subito a casa, non sarebbe finita così. È stato ucciso per colpa mia.
                -Questo non è vero!- esclamò Judy, forse con troppo entusiasmo –Nick, non prenderti colpe che hai, qui l’unico colpevole è l’assassino. Tu non c’entri, lui voleva solo farti un regalo.
                -La mia età- ripeté lui, sovrappensiero –E io a trentacinque anni sono fottutamente solo. Non sono riuscito a concludere nulla, non ho una famiglia, non...
                -Hai un lavoro decente- lo interruppe Judy -Con una buona paga. Sei cambiato radicalmente, hai iniziato a credere in te stesso e a fidarti degli altri, non svolgi più lavori pericolosi. E poi hai me.
                Finalmente, Nick la guardò. Era adorabile, così piccola nella sua insicurezza eppure così grande nel suo coraggio. Allungò una zampa e la accolse fra le sue braccia. Lei si fece trascinare in quell’abbraccio disperato e schiacciò il muso contro il suo petto, mentre lui faceva lo stesso sulla sua testolina. Sentiva il suo respiro, ancora scosso dal pianto e i battiti del suo cuore, alterati dalle emozioni.
                -E allora perché sento che mi manca qualcosa, Judy? Perché sento che non potrò mai essere come mio padre?
                Questo Judy non lo sapeva. Forse a Nick serviva davvero qualcosa in più. A dirla tutta, in quei tre anni lei qualche pensierino lo aveva fatto, su loro, insieme. Ma non pensava che Nick fosse un tipo a cui interessasse quel tipo di cose. Rimase in silenzio e attese che il compagno si calmasse, lasciando che la domanda si dissolvesse nella penombra della stanza, fra i singhiozzi che man mano diventavano sempre meno frequenti, lasciando spazio ad un silenzio ovattato.

____________________________________________________________________________________________

Cabina del Capitano:
Ragazzi, stappate lo spumante! Non pubblicavo così presto da lustri. Bene, per cominciare domandina veloce: mi è stato detto che i personaggi non sono OOC, mi chiedevo se con questo capitolo sono riuscita a mantenere tale la situazione o se ho rovinato tutto, ditemi la vostra e fatemelo sempre sapere, capitolo per capitolo, non vorrei lasciarmi prendere la mano e combinare dei macelli con queste splendide personalità. Punto numero due: anche questa volta un solo EE che, devo ammetterlo, è molto più difficile e nascosto del primo. Chi dovesse indovinare si merita come minimo una sincera stretta di mano perchè, andiamo, se indovini sei un figo e hai tutta la mia stima. Speriamo bene, ci conto. Scapoplottina numero tre: (-cit.) grazie mille a chi ha recensito e provato ad indovinare lo scorso EE, sono felice che l'idea vi sia piaciuta *Si asciuga una lacrimuccia consapevole del suo genio smisurato*
Chiedo perdono se ancora non siamo entrati nel cuore della storia e i personaggi non sono già in azione, ma come avete potuto intendere verrà introdotto un altro personaggio e altre cose e mi sto divertendo un mondo perchè con la stesura sono già parecchi capitoli più avanti e sono la prima che non vede l'ora di sapere cosa penserete del resto.
Allora ci si legge, sforzatevi con l'indovinello di oggi ;)
BD

P.S: Uh hey come va la scuola? :D (Mar che prova ad essere normale e ad instaurare conversazioni che si possono chiamare tali)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Truth ***


Easter Eggs n°: 2
Truth

Judy non era mai stata in quel quartiere. Era nella periferia di Zootropolis, ad un paio di chilometri da  Sahara Square e il caldo era infernale, secco, diverso da quello umido e appiccicoso di Rain Forest. Nick diceva che le sette del mattino era l’orario più adatto per andare a farci una capatina, perché già alle dieci il caldo diventava insopportabile e si attenuava solo verso sera, quando il calore lasciava posto al vero e proprio freddo. Tuttavia, ribatteva Judy, le sembrava troppo presto per arrivare in casa delle persone, ma il compagno continuava a rassicurarla che il mammifero che stavano cercando era un tipo mattiniero. La coniglietta non era così sicura, ma seguiva la volpe a ruota.
                Erano scesi dalla volante pochi minuti prima e il caldo gli era sembrato ancora più soffocante, dopo aver fatto tutto il viaggio con l’aria condizionata accesa. Per prima cosa, avevano preso delle bevande ghiacciate al primo bar che avevano incontrato e ora stavano cercando l’abitazione di tale A. Simo. Proprio in quel momento il telefono di servizio di Judy squillò.
                -Capitano Bogo!
                -Hopps. Dove sei?
                -Nei pressi di Sahara Square, capitano. Stiamo... Sto cercando il detective Simo.
                La coniglietta sentì il capitano sbuffare dall’altro lato del telefono. Bogo era certo che l’agente Hopps si fosse portata dietro il suo partner, ma aveva deciso che non avrebbe preso provvedimenti: se c’era una cosa che aveva imparato in quegli anni, era che quei due non si facevano mettere le zampe in testa da nessuno, che facevano tutto di testa loro. Più che rinunciare a riprenderli, questa volta decise di assecondarli e fece finta di niente.
                -Aggiornami su ogni tuo spostamento, Hopps. Voglio sapere cosa ti dirà il detective, scrivi e registra tutto, non voglio perdermi nulla- ordinò quindi con tono fermo, marcando su quel tuo con la voce, come a dire che tanto, ogni spostamento della coniglietta, fosse anche quello della volpe.
                -Certo, capitano. Le farò sapere- rispose pronta l’altra, scattata sull’attenti come se Bogo l’avesse avuto davanti. Nick la guardava divertito.
                -Riposo, Carotina- disse –Siamo arrivati.
                La casa era su un solo piano, realizzata in fango secco e col tetto a spiovente, malandata e dai muri pieni di crepe. Sembrava disabitata. Nessuna tenda alle finestre chiuse, nessuno zerbino sull’uscio, qualche cactus o cespuglio secco lasciato crescere spontaneamente sul davanti, in mezzo alla sabbia bollente.
                Judy lanciò un’occhiata poco convinta a Nick e questi le fece cenno di avanzare, col suo solito sorriso sornione sul muso. Assurdo come facesse a diventare tutta un’altra volpe dalla notte al giorno, pensò. Per quanto potesse ormai pensare di conoscerl,o Nick non finiva mai di stupirla.
                Percorse il breve vialetto seguita dal partner e, arrivata alla porta di legno, diede dei leggeri colpetti. Da dentro, nessun rumore.
                -Magari sta dormendo.
                -Nah- ribatté Nick –Simo non dorme quasi mai.
                Altri colpi sulla porta, poco più forti dei precedenti. Dei passi felpati e cadenzati si fecero sentire dall’altro lato. Un grande occhio color cioccolato sbucò dalla fessura appena aperta.
                -Detective Simo?- chiese Judy.
                La porta si aprì un altro poco, lasciando intravedere una femmina di cane dal pelo folto, bianco con delle macchie nere sparse sul muso – una in particolare sull’occhio destro, notò Judy, che lo faceva apparire più piccolo del sinistro – muso appuntito, incorniciato da due lunghe orecchie penzoloni, nere anche quelle.
                -Non sono più detective- ribatté quella, secca.
                Judy sgranò gli occhi.
                -Lei è...
                -Adrien Simo. Chi vuole saperlo?
                La coniglietta si girò verso Nick, che annuì. Lui sapeva. Fu allora che decise di intervenire.
                -Ehm, Adrien?- fece, avanzando e alzando una zampa in segno di saluto -Ciao... Sono Nick. Nick Wilde. Ti ricordi?
                Quella lo riconobbe subito, inarcò le sopracciglia e aprì del tutto la porta, sorpresa.
                -Nicholas!- esclamò –Come sei cresciuto!
                -Tu sei sempre la stessa mammifera affascinante, invece- replicò lui, ghignando in modo quasi malizioso. Adrien roteò gli occhi e sbuffò, ridacchiando.
                -Avevi cinque anni, Nicholas- lo riprese.
                -Ciò avrebbe dovuto impedirmi di riconoscere una bella femmina, quando la vedevo?
                -Ehm, scusate?- intervenne Judy, rimasta in disparte e confusa dal loro scambio di battute –Possiamo...?
                Adrien si riscosse e li fece accomodare in casa. Aveva il tetto basso e le finestre piccole, una volta sorpassato l’uscio si ritrovarono in un piccolo open space: a destra un salottino con appena un divano,  una poltrona ed un tavolino rovinato, a sinistra una libreria contro il muro e una vecchia scrivania impolverata; di fronte a loro uno stretto corridoio, sulla cui sinistra si trovava la porta per la cucina, sulla destra quelle che dovevano essere due camere da letto e in fondo una porticina chiusa, probabilmente il bagno. Gli spazi erano angusti, ma l’aria condizionata diede ai due mammiferi un piacevole benvenuto che li fece sentire molto meglio.
                -Scusate il disordine, non aspettavo ospiti- disse Adrien, spostando due cartoni di pizza dal tavolino del salotto ed invitandoli a sedersi sul divano –Ma ora posso sapere cosa ci fate qua? E chi è lei?
                -Sì, ecco, io sono l’agente di polizia Judy Hopps e...
                -Polizia, già- mugugnò l’altra –Che volete?
                -Adrien, sono anch’io un poliziotto. Solo che per ora, in teoria, non sono in servizio- spiegò Nick –Ecco perché lei è in divisa e io no.
                -Un poliziotto- ripeté quella, piacevolmente sorpresa -Capisco. E perché?
                -Nick vorrebbe...- Judy non sapeva da dove iniziare, quindi lasciò parlare le carte: poggiò sul tavolino uno dei fascicoli trovati nello scatolone del caso di Robin Wilde e attese che Adrien lo aprisse e capisse.
                -Ah- fece quella, sfogliandolo –L’avete riaperto. E siete venuti da me per...?
                -Per farci aiutare- spiegò Judy –Lei è forse l’unica che fu tanto vicina al caso da conoscerlo alla perfezione. Può darci le giuste indicazioni, trovare i mammiferi giusti, risolverlo.
                -Calma, calma, calma, coniglietta- esclamò Adrien alzando le zampe –Sì, conosco il caso alla perfezione. So anche cose che non vorrei sapere.
                A quelle parole Nick rizzò le orecchie.
                -Ma ve l’ho detto, non sono più detective- continuò Adrien -Dopo che questo caso è stato archiviato ho mollato tutto. Non posso aiutarvi.
                -Come sarebbe a dire?- esclamò Judy –Dopo questo caso? Aveva solo venticinque anni, la sua carriera era appena iniziata!
                -L’hai detto, coniglietta. E non darmi del lei, mi fa sentire più vecchia di quanto non sia già. Mi fu affidato questo caso dopo un solo anno di servizio in centrale. Il mio capitano decise di farmi detective perché nei pochi casi precedenti avevo dimostrato “grandi capacità”. Cavolate, avevo solo svolto il mio dovere.
                Nick sorrise quasi impercettibilmente: quella storia gli ricordava qualcosa.
                -Iniziai a lavorare al caso, emozionatissima. Me ne pentii quasi subito. Quello che era successo a Wilde, il dolore di sua moglie, questo cucciolo...- la sua voce si intenerì e prese a carezzare la zampa di Nick, che abbassò lo sguardo e rivolse un sorriso mesto al pavimento –Era tutto nuovo, per me, diverso. Ma decisi di andare avanti, proprio per rendere giustizia alla famiglia di Wilde. Io e Rocky eravamo vicini alla soluzione, quando fummo avvisati che il caso non sarebbe mai dovuto essere risolto.
                -Cosa?- Nick per poco non scattò in piedi, quando sentì quelle parole, nello stesso istante in cui Judy chiese: -Rocky?
                Adrien sporse la testa verso il corridoio.
                -Ehi, Rocky! Hai sentito, ci sono ospiti!- gridò –È un po’ scemo, se inizia a parlare a vanvera non dategli retta.
                Strascicando le zampe un cane identico ad Adrien se non per il fatto che fosse molto più grande e le cui macchie erano marroni – lui ne aveva una sull’occhio sinistro – entrò nel salotto.
                -È mio fratello, poliziotto anche lui, lavorammo al caso insieme- lo presentò Adrien –Io sono la mente, lui la zampa. Rocky, ti ricordi Nicholas Wilde?
                Il cane rivolse uno sguardo stanco ai nuovi arrivati. Aveva il muso più tozzo di quello di sua sorella, notò Judy, e le labbra penzoloni. Dopo averli squadrati per qualche secondo sbuffò col naso e annuì, poi andò in cucina a cercare qualcosa da mangiare.
                -Non è molto loquace- si scusò Adrien.
                -Prima hai detto che il caso non doveva essere risolto- disse Nick, che aveva quasi ignorato l’arrivo di Rocky, rimasto a quell’affermazione.
                -Sì. È così, non avete letto nel fascicolo?- fece Adrien, per poi fermarsi una volta capito –È stata proprio tua madre a... Oh.
                Nick guardò dritto davanti a sé.
                -Mia madre?- ripeté. Poi, girandosi verso Judy: -Tu lo sapevi?
                -Io...- balbettò Judy –Diciamo che sì, lo sapevo.
                -Diciamo?- sbottò lui alzandosi in piedi –Che significa diciamo? In quale fascicolo è scritto? Perché non l’ho letto?
                -L’ho... nascosto- riprese Judy ad occhi bassi –Non volevo sapessi che è stata tua madre a fermare le indagini. Pensavo che ci saresti rimasto male.
                -Rimasto male! Ah!- Nick rise amaramente –Ma certo. Teniamo nascosta una cosa tanto importante al povero Nicholas. Il piccolo, innocente Nicholas, che ha bisogno di protezione!- puntò un dito contro la coniglietta, che ora lo guardava in preda ai sensi di colpa ed incapace di esprimersi –Solo perché mi lascio andare a crisi di pianto isteriche esclusivamente davanti a te non significa che abbia bisogno dell’angelo custode che prende le decisioni al posto mio! Sono un adulto. Con tutti i miei problemi, che posso risolvere benissimo anche da solo.
                Adrien si era alzata e lo aveva raggiunto, lo teneva per le spalle. Era una cane di grandi dimensioni, lo superava nettamente in altezza.
                -Nick, ora calmati- disse con tono gentile ma fermo. Lui si passò una mano sul muso. Calmarsi? Come poteva calmarsi quando non solo sua madre stessa gli aveva precluso la possibilità di capire cosa fosse successo a suo padre, ma persino Judy, l’unica di cui ormai si fidasse ciecamente, gli aveva tenuto nascosta quella strana quanto triste verità? Come poteva calmarsi quando sentiva il mondo crollargli addosso, pesante come le bugie a cui aveva creduto per tanto tempo? Mantenere la calma era una delle qualità che poteva vantarsi di avere, e ora stava dimostrando che no, non ne era così capace come cercava di dimostrare. E lo stava dimostrando non solo a Judy, che contava sempre proprio sulla sua calma quando lei era certa di crollare sotto il troppo stress, ma anche ad Adrien, colei che lo aveva conosciuto solo da cucciolo e non aveva idea di chi fosse veramente. Una figuraccia dopo l’altra.
                Si calmò.
                Si risedette sul divano, solo molto più lontano da Judy, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardando fisso a terra. La coniglietta lo guardò ancora per qualche secondo, poi si voltò. Rocky era uscito dalla cucina poco prima portando un vassoio con dei bicchieri ed una bottiglia di qualche alcolico ghiacciato e colorato, e aveva visto e sentito tutto. Adrien gli lanciò un’occhiata imbarazzata e lui si fece avanti.
                -Spero non siate astemi- borbottò Rocky rivelando una voce più giovane di quanto ci si potesse aspettare. Poggiò il vassoio sul tavolino, versò la bevanda in un bicchiere e lo porse a Nick.
Lui nemmeno lo guardò, si alzò sputando un: -Caschi male- e si diresse alla porta. Senza girarsi aggiunse, rivolto a Judy: -Prendo i mezzi pubblici. Non aspettarmi per pranzo.
Sbatté la porta e nella stanza calò di nuovo il silenzio.
Judy chiuse gli occhi, sperò che una volta aperti si sarebbe rivelato tutto un brutto sogno e che lei si fosse addormentata proprio tra le braccia di Nick, magari sul divano di casa sua, davanti un film, solo loro due. Ma non fu così. Sospirò e cercò di trattenere le lacrime. Era già successo una volta, che lei combinasse un guaio e lui se la prendesse tanto da andarsene e non volerla più vedere. Quella volta era riuscita a farsi perdonare, ma sentiva che ora sarebbe stato più difficile. Sentiva che in quegli anni Nick era cresciuto accanto a lei, cambiato. E non sapeva se questo la rendesse felice o le facesse paura.
-Vedi, Judy?- riprese Adrien. Lei alzò lo sguardo. Si era seduta accanto a lei, Rocky sorseggiava il suo drink sulla poltrona osservandole intensamente.
-Nessuno è mai veramente pronto alla verità- continuò la mammifera –Non lo era sua madre e non lo è nemmeno lui. Noi non possiamo farci niente.
-Noi- ripeté Judy a bassa voce –Noi in quanto poliziotti possiamo solo svelarla, la verità. Ma in quanto amici possiamo aiutare chi ne ha bisogno a superare certe verità troppo dure.
Adrien fu colpita da quelle parole, tacque e aspettò che la coniglietta riprendesse.
-Voi eravate amici di sua madre?- chiese.
-Amici... beh, lavorando a quel caso abbiamo fatto conoscenza- rispose Adrien.
-Conoscenza?- esclamò Rocky ridendo –Vorrai scherzare! Eravate diventate inseparabili, quando si è ammalata sei stata in ospedale con lei quasi tutte le notti.
Judy si sentì sollevata e riprese: -Allora in quanto amica della madre di Nick, per favore... aiutami a risolvere il caso. Ora lui fa così, ma credimi se ti dico che desidera ardentemente sapere cosa è successo a suo padre.
L’altra spostò lo sguardo in un punto indeterminato del salotto. Lavorare a quel caso le aveva fatto male e quando suo fratello era rimasto ferito in un inseguimento, aveva deciso che quello non era ciò che voleva. Il dolore non era ciò che voleva. Ma il dolore che aveva sentito quando lavorava era dovuto a quel mestiere in particolare? O c’è e basta, fa parte della vita e lo si può solo affrontare a testa alta, per non crollare? La zampa di Rocky aveva deciso di non funzionare più, dopo quei colpi di pistola, e anche lei aveva deciso così. Si era spenta. Forse quello era il momento giusto per riprendere a funzionare.
-D’accordo- disse –Vediamo di chiudere questo caso prima di mercoledì, c’è la nuova puntata di Game Of Bones.
Judy saltò in piedi per la gioia e la abbracciò, gesto che lasciò Adrien perplessa per qualche secondo.
-Ehi, e io?- fece Rocky –Anch’io conosco quel caso come la mia protesi.
-Tu non puoi più lavorare- gli ricordò sua sorella.
-Non ufficialmente- ribatté lui –Sarò un poliziotto clandestino come Wilde.
Quando Judy disse che avrebbero dovuto passare subito in centrale per far sapere a Bogo che Adrien ci stava, questa non si era dimostrata molto entusiasta di incontrare il capitano. Tuttavia Rocky riuscì a convincere la sorella, a patto che ci sarebbero andati l’indomani mattina perché, a detta di questa, doveva prepararsi psicologicamente. Judy non capì perché Adrien si comportasse in quel modo: aveva più o meno la stessa età di Bogo, quindi non poteva essere stato suo capitano, quando lavorava alla ZPD. Nonostante le domande che avrebbe voluto porre ai due cani decise di tacere e accettare le condizioni di Adrien: dopotutto lei doveva risolvere la questione con Nick. Salutò gli ex poliziotti, con cui si diedero appuntamento l’indomani in centrale, saltò in macchina e partì a tutto gas verso la città.

___________________________________________________________

Cabina del Capitano:
E siamo a tre. Se siete curiosi di conoscere l'EE del capitolo passato leggete la recensione di Redferne, ci ha azzeccato alla grande e mi fa molto piacere :3
In questo capitolo ne abbiamo due e devo dire che sono facili, non dovrebbe risultarvi complicato trovarli, su, su!
Piccolo appunto: è vero, in quest'universo non esistono cani né gatti perché, come ha detto lo stesso Howard, non essendo mai esistiti esseri umani, lupi e gatti selvatici non sono mai stati addomesticati. MA! Volevo inserire i miei OC e, non potendo essere volatili (anche se un pensierino ce lo sto facendo, shh. Rovinare le cose mi riesce alla grande), ho optato per i miei cani. Sì, sono proprio loro, non sono bellissimi? Sì, che lo sono. Morbidi e puzzolenti. Ma torniamo a parlare di cose serie.
Continuo ad avere il terrore di rendere Nick troppo OOC, ma penso che in questo capitolo non sia tanto diverso dal Nick incavolato per il casino che ha combinato Judy nel film, che dite?
Confido nella scoperta del EE odierno, ci si legge!
BD
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Secrets ***


 
Quando Judy arrivò in città non era nemmeno mezzogiorno. Telefonò a Nick, ma il suo cellulare suonò a vuoto, così decise di andare a cercarlo a casa, dove tutte le tende erano tirate a coprire le finestre e dall’interno non proveniva alcun rumore – aveva sperato in qualcosa come tivù o macchinetta del caffè – e quando suonò alla porta, quattro volte, non venne ad aprire nessuno. Desiderò con tutta sé stessa che il suo collega fosse andato a cercare pace da qualche parte e che non la stesse ignorando volontariamente, e tornò in centrale.
Il suo ufficio era così vuoto e silenzioso, senza Nick. Una volta seduta alla sua scrivania decise di concentrarsi sul caso, ma la mente continuava ad andare a quella volpe ottusa incapace di capire che lei voleva solo aiutarlo. Aveva riletto lo stesso rigo dell’esposizione di un testimone circa trenta volte, quando la voce di Bogo la fece trasalire; non l’aveva nemmeno sentito bussare, tanto era concentrata.
-Hopps, sei sola?
-Capitano! Sì, sono sola. Cioè, ora sì, ma Adrien Simo ha accettato di lavorare con me.
Il bufalo sembrò colpito. Fece qualche passò, raggiunse la scrivania e vi poggiò una tazza di caffè che aveva portato a Judy. Lei lo ringraziò timidamente, altrettanto colpita da quell’insolito gesto.
-Non ti chiederò nemmeno come tu abbia fatto a convincerla- mormorò il capitano, che ormai conosceva l’entusiasmo trasportante della coniglietta –Quindi l’hai conosciuta... Come sta?
Judy sorseggiò il caffè chiedendosi perché Adrien e Bogo si comportassero così stranamente, quando si parlava loro l’uno dell’altra. Capì che si conoscevano, ma non riusciva ad arrivare ad altro.
-Bene, sta... bene- rispose –Vive col fratello.
-Rocky!- esclamò il bufalo –Zoppica ancora?
-Non zoppica, ma si muove lentamente. E ha il passo pesante, quando cammina produce dei tonfi con la zampa destra. Gli è successo qualcosa?
Bogo annuì, prese una sedia e si sedette di fronte alla poliziotta.
-Si è beccato tre proiettili, in quella zampa. Proprio durante quel caso- spiegò.
-Oh...
-Già. Erano due grandi poliziotti, davvero in gamba. E il legame fraterno fra di loro era molto forte, insieme lavoravano alla grande. L’avrebbero risolto, quel caso, se non fosse stato per la signora Wilde. Adrien non si è mai ripresa, né dall’incidente di suo fratello, né dall’archiviazione del caso, l’ha presa sul personale.
-Come vi siete conosciuti?- azzardò Judy: le sembrò che in quel momento il capitano fosse meno nervoso del solito e in vena di chiacchierare.
Quest’ultimo stentò a nascondere un sorriso, probabilmente immerso nei ricordi.
-1988- disse –Eravamo cadetti alla stessa accademia.
Judy sorrise, contenta di vedere Bogo così sereno di parlare e soprattutto di parlare con lei. La pacchia, tuttavia, durò ben poco.
-State lavorando, allora?- esclamò il bufalo alzandosi di scatto, resosi conto di aver parlato troppo e troppo a lungo. Judy sobbalzò una seconda volta.
-Per ora sto lavorando io, loro verranno domani.
-Domani, perfetto- disse quello. Poi, tra sé: -Così avrò tempo per prepararmi.
-Come dice?
-Nulla!- l’enfasi con cui rispose lasciò Judy perplessa –Vedi di non battere la fiacca, sarà un caso difficile, ma è vecchio. E i casi vecchi non hanno la stessa urgenza di essere risolti dei casi nuovi. A domani, Hopps.
-A domani, capitano- lei non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo che Bogo era già uscito sbattendosi la porta alle spalle. Scosse la testa, sicura che l’indomani avrebbe capito perché quei due si comportassero in quel modo, e provò a chiamare di nuovo Nick al telefono. Ancora nessuna risposta. Aveva passato tutto il giorno immersa nei suoi pensieri, che nemmeno si accorse che si era fatto buio e il suo turno era finito. Tornò a casa, fece una doccia, bevve una tazza di latte caldo e alle nove e mezza era già a letto, esausta.
 
Quando, in tarda mattinata, aveva sentito Judy fuori dalla porta, era stato davvero tentato di andare ad aprire ed offrirle qualcosa da bere, come se niente fosse successo. Ma qualcosa era successo e lui ancora non se ne capacitava. Decise quindi di restare chiuso in casa e non dare notizie di sé, per sbollentare la rabbia, riprendersi e non rischiare di fare male a qualcuno. A lei. Sapeva che non gli aveva detto nulla per non ferirlo, ma come aveva potuto pensare che non sarebbe venuto a saperlo lo stesso? Per questo motivo rimase tutto il giorno sdraiato sul letto, a fissare il soffitto sommerso dai cuscini, alla ricerca della sua solita calma. Quando la trovò, non si mosse lo stesso ed iniziò a crogiolarsi nell’autocommiserazione, conscio di aver avuto una reazione esagerata e di doversi scusare con la sua Carotina.
Verso sera iniziò a piovere. Fu allora che decise di alzarsi, darsi una lavata e mangiare qualcosa. Entrò nella doccia e si lasciò andare sotto il getto di acqua bollente per una buona mezzora, concentrato su ciò che avrebbe fatto l’indomani: si sarebbe svegliato presto e sarebbe andato a casa di Judy ancora prima che lei si alzasse, si sarebbe intrufolato in casa sua adottando le giuste tecniche studiate negli anni e l’avrebbe sorpresa preparandole una buona colazione, poi sarebbero andati in centrale insieme. Dopotutto era sempre Nick Wilde, e doveva fare le cose in grande anche per farsi perdonare.
Uscito dalla doccia indossò dei pantaloni di tuta e lasciò gocciolare il pelo sul pavimento, troppo stanco anche solo per stare troppo tempo ad asciugarlo tutto, andò in cucina e preparò un panino con lattuga e pomodori. Si sedette al tavolo e nel buio rischiarato ogni pochi secondi dai lampi diede un primo morso a quella cena che lasciava parecchio a desiderare e a cui non era più abituato come una volta, visto che ormai mangiava quasi sempre con Judy in giro per locali.
Non ebbe il tempo di finire il panino, che qualcuno bussò alla porta. Pensò fosse la coniglietta. Era capace di andarlo a cercare anche la sera tardi e con quel tempaccio, ne era certo. Resistette all’impulso di andare ad aprire e restò immobile per non far sentire il minimo rumore a quella piccoletta dall’udito fin troppo sviluppato. Attese un paio di minuti e rimase sorpreso, notando che quella volta Judy non aveva bussato altre due volte in quell’arco di tempo. Incuriosito si alzò muovendosi molto lentamente, appoggiandosi piano ai cuscinetti delle zampe posteriori per non produrre alcun suono, uscì dalla cucina, raggiunse la porta di ingresso e vi poggiò l’orecchio: non uno sbuffo, nessuna zampa che batteva nervosamente sull’uscio. Non doveva essere sta Judy. Tuttavia, chiunque fosse stato non aveva bussato una seconda volta e Nick pensò che qualche banda di cuccioli annoiati avesse deciso di infastidire tutto il vicinato bussando e scappando via. Fu in quel momento che sentì un fruscio e una zampa che batteva ancora sulla porta, frettolosa. La spalancò ed ebbe appena il tempo di vedere due grandi occhi azzurri venire coperti da un cappuccio e il proprietario di quegli zaffiri fuggire precipitosamente per strada.
-Ehi!- fece Nick, confuso ed infastidito –Si può sapere che vuoi? Ehi!- mosse due passi avanti per inseguire la figura, ma incespicò in qualcosa, cadde in ginocchio e si voltò per capire in cosa. Spalancò gli occhi.
-No...- mormorò. Poi, sempre più forte, per sovrastare lo scroscio della pioggia: –No, no, no, ehi! Torna qua!- scese i gradini e corse in strada, ignorando l’acqua che lo inzuppava –Possiamo parlarne, davvero! Entra, ti offro qualcosa!- era capace di vedere al buio, ma l’acqua gli finiva negli occhi e i lampi lo accecavano. Non aveva idea di dove fosse finito quel tipo.
Una voce da dentro una casa vicina gli gridò qualche maledizione perché continuava ad urlare come un forsennato nel bel mezzo della notte, ma lui non se ne curò e corse ancora più in là, cercando di vedere qualcosa.
-Ti aiuto a mantenerlo, ma per favore! Non lasciarmelo!- tentò ancora. Inutile. Preso da quello che doveva essere un attacco di panico, in tutta fretta tornò dentro casa, prese il cellulare e si inginocchiò davanti al dono inaspettato.
 
-Pronto?- biascicò Judy, la bocca impastata dal sonno.
-Carotina!- il tono sconvolto di Nick la fece svegliare del tutto.
-Nick, finalmente! È tutto il giorno che ti chiam...
-Devi venire subito.
-Cosa?
-È successa una cosa. Vieni, ti prego.
La coniglietta balzò sul pavimento, indossò un paio di jeans ed un giubbotto impermeabile ed uscì di corsa dall’appartamento.
-Arrivo.

_________________________________
Cabina del Capitano:
Pardon, capitoletto corto e per giunta senza easter eggs. Spero che lo strano comportamento di Bogo e il regalino per Nick compensino queste mancanze, nonostante non ci sia ancora niente di chiaro. Più o meno. Si presume. Spero. Colpi di scena di 'sta min-
Mi colpisce il fatto che nessuno abbia indovinato uno dei due EE del terzo capitolo: sì, uno era Game of Bones, parodia della celebre serie tv Game of Thrones, ma l'altro stava proprio nei nomi dei due cani. Rocky ed Adrien. Mai sentito? Certo che sì, il pugile interpretato da Sylvester Stallone e la sua ragazza, nella versione italiana Adriana! Curiosa coincidenza il fatto che Adrien sia anche il nome di Adrien Brody (gr Adriano Brodo *^*), colui che interpreta Louis Simo in Hollywoodland. Fun fact: i personaggi si chiamano proprio come i miei cani, cioè, più o meno. Rocky e Ria, diminuitivo di Adriana perché non... potevo chiamare un cane Adriana ._. (?)
Beh, sono già abbastanza avanti con i capitoli, quindi appena potrò pubblicherò il prossimo, stay tuned.
BD 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cud ***


Quando Judy arrivò trovò Nick in ginocchio in cima ai gradini che portavano dentro casa, gli occhi sgranati. Davanti a lui una cesta.
-Che cos’è?- chiese, salendo lentamente i gradini per riprendere fiato dopo la corsa.
Nick si accorse in quel momento che Judy era arrivata e le fece cenno di avvicinarsi. Una volta che si fu inginocchiata accanto a lui, le porse un biglietto che lei lesse ad alta voce: -“Per favore, prenditi cura di Ron Ron”. Ma cosa...?
Nella cesta dormicchiava una palla di pelo di un rossiccio chiaro tendente al biondo, avvolta in una vecchia coperta.
-Oh- mormorò Judy –Non hai visto chi l’ha lasciato qui?
-No, è scappata, non mi ha dato il tempo di farle domande, non so cosa fare- esclamò lui tutto d’un fiato.
-Okay, okay, calmati- disse lei –Intanto portiamolo dentro, fuori fa troppo freddo.
Nick raccolse la cesta con zampe tremanti ed entrò in casa, Judy chiuse la porta.
                -Non si è svegliato da quando è stato lasciato qua?- chiese la coniglietta, guardando il cucciolo addormentato nella cesta di vimini lasciata in mezzo alla stanza.
                -No, ha dormito tutto il tempo. Cosa facciamo?
                -Se dovesse svegliarsi potrebbe essere affamato, dobbiamo dargli qualcosa da mangiare- disse la coniglietta con tono autoritario –Non mi intendo di cuccioli di volpe, quanti mesi credi che abbia?
                -Mesi? Questo qui avrà appena dieci giorni!- sbottò l’altro -Beve solo latte materno di cui io, guarda un po’, non dispongo.
                Judy sospirò.
                -Okay, facciamo così- disse –Tu vai ad asciugarti o ti becchi una broncopolmonite, io vedo cosa trovo nel tuo scarno frigorifero.
                -Uh, grazie tante- borbottò la volpe, che tuttavia andò in bagno a recuperare degli asciugamani. Quando tornò passandosene uno sulla pelliccia trovò Judy che cercava qualcosa di digeribile per il cucciolo.
                -L’unico latte che bevo è di mandorla- la informò lanciando un asciugamano anche a lei, che lo prese al volo e con cui si diede una passata.
                -Almeno lo avessi- borbottò lei –Da quanto non fai la spesa?
                Lui scrollò le spalle.
                -Mangio sempre fuori- si giustificò –Di certo non mi aspetto che una madre disperata mi lasci suo figlio davanti casa. Perché proprio a me?
                La coniglietta sospirò e disse che forse era perché lui era l’unica volpe di tutto il quartiere.
                -Sì, bella scusa- replicò lui, a bassa voce: l’ultima cosa che voleva era che il piccolo si svegliasse e cominciasse a frignare. Andarono a sedersi sul divano e guardarono il fagottino a lungo, in silenzio. Fuori, il temporale non accennava a finire.
                -Chi credi l’abbia lasciato?- chiese Judy. Ora che si era fermata sentiva il sonno impossessarsi di nuovo di lei.
                -Non ne ho idea. L’hai detto tu, sono l’unica volpe del quartiere- rispose lui –Probabilmente sua madre non è nemmeno di Zootropolis, o registrata in qualche modo da qualche parte. Queste cose le fanno i mammiferi che non possono dare ai loro cuccioli una vita normale, forse immigrati. Chi credeva che fossi, Danny Boodfoxx?
                -Chi?- chiese Judy.
                Lui agitò una zampa, come a dirle di lasciar perdere e Judy pensò che quello fosse il nome del personaggio di uno dei tanti romanzi di cui Nick era appassionato. Sembrava più vecchio, stanco, la schiena ricurva sotto il peso di tutti quegli anni passati in solitudine.
                -Non potrebbe...- tentò Judy, imbarazzata –Essere tuo figlio?
                -Eh?- Nick sobbalzò –Sei impazzita?
                -Beh, sai... magari tu hai...
                -Io non ho un bel niente!
                -Ne sei certo?
                -Se ti dico che non è mio figlio, puoi stare certa che non è mio figlio- terminò Nick, al limite tra l’imbarazzo e l’incredulità.
-Okay, okay, rilassati- fece lei, sollevando le zampe in segno di resa.
 Esatto, Carotina, non ho una vita sessuale così attiva come si direbbe, contenta, ora? Queste parole le tenne per sé. Poi a voce alta, riflesso dettato dalla preoccupazione, aggiunse: -Perché, la tua è attiva?
                -Cosa?
                -Nulla.
                Rimasero in silenzio ancora per un po’, mentre il temporale sembrava iniziare a fare una tregua e Nick si ritrovò a pensare che non era una brutta sensazione: Judy era accanto a lui, corsa in suo aiuto senza esitare nel bel mezzo della notte e davanti a loro c’era qualcosa di piccolo ma, ne era certo, immensamente grande. E gli piaceva.
                -Senti, Carotina- iniziò, d’un tratto –Mi dispiace per come ho fatto a casa dei fratelli Simo.
                -No, sono io che devo chiederti scusa- ribatté lei –Saresti venuto a sapere comunque perché le indagini sono state fermate. Ho fatto una stupidaggine.
                -Siamo stati entrambi due idioti, mettiamola così- ridacchiò lui, carezzandole la testa. Lei la poggiò sulla sua spalla nuda. Le era capitato altre volte di vederlo senza maglietta: a volte in casa sua, più spesso negli spogliatoi della centrale, mentre si cambiavano; ma mai gli era stata così vicina in una situazione del genere. Non seppe dire perché ciò non le fece provare imbarazzo o qualche altra strana emozione di cui non conosceva il nome ma che spesso le capitava di provare in sua presenza. Forse era la stanchezza, forse la strana situazione in cui erano incappati.
                -Che ne facciamo, del cucciolo?- chiese, tornata alla realtà.
                -Sperando che stanotte non si svegli, lo teniamo qua. Domani ci inventeremo qualcosa.
                -Oh, domani- biascicò Judy, insonnolita –Dobbiamo andare a lavoro.
                La volpe sospirò.
                -Sei venuta in pigiama?- le chiese. Lei rispose che aveva addosso la maglietta con cui dormiva, con un tono che lasciava intendere che non si sarebbe alzata nemmeno se l’avessero immersa in una vasca di caffè. Nick pensò che quel suo comportamento era insolito, ma la trovò semplicemente adorabile, ora che stava accucciata contro di lui, stremata. Di solito era arzilla e pimpante e sì, la trovava adorabile comunque, ma mai quanto in quel momento. Mise una zampa dietro la sua schiena e l’altra sotto le sue zampe, le lasciò cadere la testa nell’incavo tra la spalla e il collo e la sollevò, la portò in quella che era stata la sua cameretta quando era un cucciolo e la adagiò sul letto fatto. Non entrava spesso in quella camera, gli faceva tornare alla mente troppi ricordi, ma in quel momento si impose che non doveva lasciarsi andare per la sua amica.
                -Ehi, Carotina- le mormorò in un orecchio.
                -Mh?- Judy aveva già gli occhi chiusi.
                -Pensi di riuscire a toglierti i jeans e infilarti sotto le coperte?- continuò lui, con tono malizioso –Se non ce la fai posso sempre aiutarti.
                -Buonanotte, Nick- lo congedò lei dandogli le spalle non senza ridacchiare, mezza addormentata.
                La volpe sorrise e la lasciò sola, poi andò a prendere il cucciolo. Non voleva rischiare di svegliarlo, quindi si limitò a lasciarlo nella cesta che portò nella camera dove dormiva lui e che un tempo era stata dei suoi genitori. La mise accanto al letto, dal lato in cui dormiva lui, quello di sua madre, e coprì il piccolo con una coperta più pesante, assicurandosi che stesse al caldo. Il batuffolo mosse appena il musetto sospirando. Cosa ne avrebbe fatto?
 
                -Okay, questo è il piano- Nick faceva avanti e indietro per l’ufficio senza darsi pace da quando erano arrivati in centrale, un’ora prima –Quando arriveranno i fratelli Simo faremo il bel momento di ritrovo tutti felici e contenti. Voglio essere presente, se si conoscono come ha detto il capitano Bufalo Muschiato ci sarà da divertirsi. Sicuramente lui vorrà affibbiarmi un lavoretto per togliermi dalle zampe e lasciare lavorare voi. A quel punto io fingerò di non sentirmi bene e mi farò lasciare un permesso per uscire e portare il mostriciattolo da qualche parte, ci daremo appuntamento al parco e lì inizieremo a lavorare. Voi... non lo so, ditegli che inizierete a seguire qualche pista direttamente fuori dalla centrale o cose così. Tutto chiaro?
                Judy era rimasta seduta alla sua scrivania a fissarlo girare come una trottola e cercare falle nel suo piano. Non ce n’erano.
                -Esattamente, dov’è che vorresti portare Ron?- gli chiese.
                -Chi?
                -Il cucciolo.
                -Ah! Non ne ho idea. Non si è ancora svegliato, è il cucciolo più pigro che abbia mai visto. Non che ne abbia visti molti.
                -Facciamo così- intervenne la coniglietta scendendo dalla sedia e prendendogli le zampe per farlo fermare –Portalo al supermercato. Reparto cuccioli, lì troverai latte volpino di sicuro. Ci vediamo lì fuori appena avrai finito, d’accordo?
                In quel momento Bogo entrò spalancando la porta e i due poliziotti sperarono che il rumore non svegliasse il cucciolo nascosto sotto una scrivania, che avrebbe iniziato a piangere.
                -Bene, siete entrambi- disse il capitano.
                -Sì, ma io non mi sento tanto bene- fece Nick, massaggiandosi la fronte –Temo di aver preso troppa acqua, ieri ser...
                -Non mi interessa- lo interruppe l’altro, al suo solito –Hopps, dove sono i detective Simo?
                -Mi hanno detto che sarebbero arrivati a momenti- rispose lei, pronta. Proprio allora Clawhauser entrò bussando sullo stipite della porta.
                -Oh, siete tutti qui, perfetto- disse risoluto, intimamente gioendo per non dover salire le scale che portavano all’ufficio del capitano –Questi due cani hanno chiesto dell’agente Hopps. Dicono di chiamarsi Rocky ed Adrien Simo.
                -Sì, falli entrare- permise Bogo, con una punta di esitazione che non sfuggì alle orecchie attente di Judy.
                Rocky aveva gli stessi pantaloni marroni del giorno prima e una maglia rossa, Adrien aveva optato per qualcosa di più elegante della tenuta da casa: una paio di pantaloni neri ed una camicetta bianca che le risaltava le forme; pur avendo la sua età, era sempre affascinante. Judy si accorse dell’eyeliner e del mascara che aveva usato la mammifera e cercò di trattenere un sorriso: era contenta di vedere che Adrien si curava, aveva temuto si fosse lasciata andare, una volta abbandonato il lavoro. Sembrava più giovane di quanto fosse in realtà.
                -Benvenuto, Rocky- Bogo gli porse una zampa che il cane strinse prontamente, poi guardò l’altra e rimase interdetto –Adrien.
                -Alakay- lo salutò a sua volta lei, rivolgendogli un mezzo sorriso.
                -Alakay?- si intromise Nick, sbuffando divertito –Credevo che il suo nome di battesimo fosse Capitano.
                Judy gli diede una gomitata nel fianco e lui le rivolse un’occhiataccia.
                -Non stavi male, tu?- soffiò la coniglietta tra i denti.
                -Ah, già!- fece lui –Molto, molto male. Capitano, potrei...
                -Sì, Wilde, togliti dalle zampe, per oggi hai già fatto abbastanza- rispose il bufalo quasi ringhiando.
                -Grazie mille, capitano. Chiederò al sindaco di darle un aumento.
                -Sparisci!- sbottò l’altro, per poi invitare gli altri tre nel suo ufficio. Nick e Judy si scambiarono un’occhiata e quando furono usciti la volpe corse a controllare che il cucciolo dormisse. Quando si sporse sulla cesta lo trovò che si stiracchiava in mezzo alle mille coperte in cui lo aveva avvolto mentre Judy non guardava, per non farsi prendere in giro. Trattenne il respiro mentre il piccoletto sollevava svogliatamente le palpebre e quasi perse un battito quando vide gli stessi occhi che aveva visto quella notte, azzurrissimi.
                -Beh, piccolo- mormorò –Di certo tua madre ha degli occhi davvero belli.
                Ron lo guardò piegando la testolina da un lato, movimento che Nick si ritrovò ad imitare.
                -Non guardarmi in quel modo, nemmeno tu mi stai tanto simpatico- borbottò –Cos’è, ti aspettavi una femmina pronta a farti succhiare il latte da... Come non detto, andiamo a prendere questo latte.
                Si guardò intorno alla ricerca di un’idea per non farsi vedere uscire con quella cesta da occhi indiscreti quali quelli di Clawhauser e adocchiò la finestra. Si sporse e fece un rapido calcolo. Doveva muoversi velocemente.
                -Fai silenzio, eh- gli intimò prendendo la cesta e poggiandola sul davanzale -Ne va della tua incolumità e della mia sanità mentale. Nonché coscienza. Quella figlia di buona madre- poggiò la cesta sul davanzale, tutto questo sotto gli occhi curiosi del volpacchiotto. Abbassando le orecchie e serrando gli occhi la lasciò cadere e quando sentì il tonfo sul cespuglio che stava lì a mezzo metro da lui li riaprì; vedendo che il cucciolo era atterrato sano e salvo tirò un sospiro di sollievo. Guardò prima da un lato e poi dall’altro per essere certo che non ci fosse nessuno nei paraggi, quindi corse verso l’uscita. Attraversò la hall correndo come un pazzo e rispondendo alle domande del ghepardo con un rapido: -Non mi sento bene, sto per vomitare, ho il permesso del capo, ciao!
                Una volta fuori girò di corsa l’angolo e gli venne un infarto non trovando la cesta sul cespuglio dove l’aveva fatta cadere. Corse a cercarla in mezzo alle foglie e la trovò capovolta tra il cespuglio e il muro, la alzò temendo di non trovarvi il cucciolo e quando lo vide che cercava di liberarsi dalle coperte il suo cuore riprese a battere. Incredibile quanto uno stupido cucciolotto lo facesse sentire tanto in ansia. Lo liberò dalle coperte e lo prese per la collottola, tenendolo a distanza.
                -Abbiamo bisogno di una soluzione, sei d’accordo?- gli chiese. Velocemente raggiunse un vicolo che conosceva bene dove era parcheggiato un furgoncino che conosceva altrettanto bene. Bussò allo sportello sul retro e fece qualche passo più in là per non beccarsi un colpo di mazza da baseball sul muso.
                -Chi è?- sbraitò Finnick brandendo la sua arma.
                -Il fennec perde il pelo ma non il vizio, eh?- fece Nick con il suo solito sorriso sul muso.
                -Tu?- chiese l’altro, squadrando la divisa blu –Che ci fai qui? E di chi è quel coso?
                -Uhm, questo?- Nick indicò Ron -Il figlio di un’amica del barbiere di... Tony. Devo giusto riportarglielo.
                -Tony? Chi è Tony?
                -Ma come, non ricordi Tony?- il cervello della volpe lavorava alla velocità della luce per trovare le giuste bugie –Ci abbiamo giocato a carte qualcosa come... dieci anni fa. Con Al e Phil. Non ricordi? Barava sempre. Si è beccato una pallottola nel didietro.
                Finnick gli fece cenno di tacere e gli chiese nuovamente cosa ci facesse a “casa” sua, in più non si trattenne dal fare qualche battuta sul suo nuovo lavoro e cose che ormai Nick aveva sentito tante di quelle volte che ci aveva fatto l’abitudine.
                -Finnick, come puoi dirmi certe cose, proprio tu che mi hai cresciuto?- cantilenò Nick.
                -Trovarti piangere in un vicolo e darti un panino non è crescere un cucciolo. Tu ti sei praticamente infilato nel furgone.
                -Me lo rinfaccerai per tutta la vita?
                -Se ti farai ancora vedere in giro è molto probabile.
                -Ho bisogno del passeggino. Ce l’hai ancora?
                Il fennec quasi glielo lanciò addosso dicendogli che era stato fortunato perché l’avrebbe buttato proprio quel pomeriggio e che gli stava facendo un favore, poi gli intimò di non farsi più vedere a meno che non avesse avuto dei bigliettoni, della roba o dei bigliettoni per la roba. Un fennec dal cuore d’oro, questo Nick doveva ammetterlo.
                Aveva già finto di essere un padre che portava suo figlio in un passeggino, ma quella volta si sentiva particolarmente a disagio, forse perché indossava la divisa o perché il cucciolo non era suo collega in affari. Raggiunse il supermercato in fretta, cercando di ignorare le occhiate che immaginava gli lanciassero i passanti e con non poco imbarazzo chiese alla cassa dove fosse il reparto cuccioli. Quando lo trovò deglutì, impotente davanti a tutti quegli scaffali pieni di roba che non aveva mai visto in vita sua.
 
_____________________________
Cabina del Capitano:
Sono tornata e anche prima del previsto. Io mi farei un applauso solo per questo. Grazie, grazie UuU
Tre EE per riprendere alla grande e anche abbastanza simpatici, a mio parere; per capire il primo trovate un indizio proprio nel capitolo e lo può afferrare solo chi, come me e Nick, ama leggere (nda non so se Nick ama leggere, ma mi piace immaginarmelo rilassato su una poltrona e immerso tra le pagine di un libro, magari con degli occhialini sul naso. Adoro rendere ridicole le cose che amo.), il secondo è facile, sono certa che qualcunolo lo indovinerà. Non deludetemi.
Non so cos'altro aggiungere, vorrei sfangirlare su cose che ho già scritto ma non ancora pubblicato, ma sarebbe spoiler quindi mi sto zitta.
Cosa ne pensate di Ron? Tempo fa ho visto una fan art (che non posso pubblicare qua perché è sul telefono e siccome il mio telefono è stupido non riesco a passare le foto sul computer) che mi ha ispirato proprio per questa fic e che rappresentava proprio la scena in cui Nick, terrorizzato, chiama Judy appena si trova la cesta davanti casa e legge il biglietto che recita la frase "Please, take care of Ron Ron". Sì, vivo di plagio, io. Pardon.
Bene, provate ad indovinare gli EE e fatemi sapere come vi sta sembrando lo svolgimento della storia, ci tengo.
BD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Past ***


Past
Easter Eggs n°: 0

-Ti sei fatta convincere- commentò Bogo, fingendo di leggere una delle tante carte che aveva sul tavolo; non aveva nemmeno messo gli occhiali.
-Ho capito che c’era bisogno che questo caso venisse risolto- rispose Adrien, che non aveva staccato gli occhi dal bufalo un momento.
Bogo alzò lo sguardo e la fulminò: -Ti ci sono voluti trent’anni, per capirlo?
Rocky si raddrizzò sulla poltrona per intervenire: -Colpa mia! Questa stupida zampa mi ha costretto a casa ed Adrien, che mi vuole tanto bene, ha deciso di assistermi. Cerca di capire, Alakay. Tu più di tutti sai quanto mia sorella sia affettuosa e tenga a chi le sta intorno.
“Tu più di tutti”. Judy cominciava a nutrire qualche sospetto e la cosa la faceva sentire a disagio. Bogo? Il capitano Bogo? No, non poteva essere. O forse sì? Guardò Adrien, seduta elegantemente sulla poltrona, zampe posteriori accavallate, petto in fuori, muso all’insù: un atteggiamento fiero, tipico di chi ritiene la disciplina un importante stile di vita. Una poliziotta.
-Scusate, non sono esperta di casi non risolti- parlò finalmente la coniglietta, rimasta in silenzio fino ad allora –Ci conviene riprendere da dove le indagini sono state sospese o cominciare tutto daccapo?
Rispose Adrien: -Non sappiamo se sono cambiate delle cose, se i testimoni di allora sono ancora rintracciabili. Seguiremo la prima pista che trovammo all’epoca per verificare i fatti, se ci manca qualcosa collegheremo tutto a ciò che è scritto nei fascicoli.
-Perfetto. Andiamo nel mio ufficio, allora, lì c’è tutto il materiale- disse Judy scendendo dalla poltrona.
-Sì, Hopps- fece Rocky, prendendola per le spalle –Noi andiamo. Mia sorella ci raggiungerà. Giusto, Rie?
-Cosa?- domandò Adrien, confusa.
-In queste macchinette non c’è nemmeno un goccio di alcol, portaci dei caffè, per favore- continuò il cane che aveva già spinto Judy fuori dalla porta.
-Rocky.
-Senza zucchero!
-Rocky!
Il cane sbatté la porta e lasciò Adrien e Bogo soli nell’ufficio di quest’ultimo, in un silenzio imbarazzato e pieno di domande senza risposta.
Il bufalo si lasciò cadere sulla poltrona, sospirando, mentre lei, che si era alzata in piedi nel vano tentativo di fermare suo fratello, continuava a dargli le spalle, timorosa di trovare uno sguardo di rimprovero che conosceva fin troppo bene.
-Ne è passato di tempo- Bogo ruppe il silenzio, certo che lei sarebbe rimasta zitta fino alla fine dei suoi giorni, pur di non essere la prima a parlare –Ma almeno sei tornata.
-Ti fa tanto piacere?
-Diciamo che avevo perso la speranza.
Adrien tornò a sedersi e riprese a guardare il bufalo. Era davvero grande, ma questo per loro non era mai stato un problema: anche lei era un cane di grossa stazza, più piccola di suo fratello, ma comunque grande. Arrivava quasi al petto di Bogo.
-Sei invecchiato- commentò.
-Grazie, anche tu sei sempre bellissima- sbuffò lui, corrucciato. Adrien sorrise e Bogo si godette ogni minimo particolare di quelle labbra nere che rimasero piegate all’insù per pochi secondi.
-Quella coniglietta, Hobbs- riprese Adrien.
-Hopps. Judy Hopps.
-Hopps. Sembra in gamba.
-Lo è. Anche fin troppo. Ti somiglia. Anche lei ha abbandonato il corpo di polizia, una volta, diceva di non meritarsi il distintivo. Ma ha fatto di tutto per risolvere quel caso.
L’altra annuì e disse: -Lo so, l’ho sentito al telegiornale.
-Da quanto non uscivi di casa, Adrien?
La mammifera non si aspettava quella strana domanda e rimase interdetta per alcuni istanti.
-Io... esco spesso, vado al supermercato, compro il giornale...
-Riformulo la domanda: da quanto non stavi così lontana da casa? Da quanto non hai una vita?
Di nuovo, nella stanza calò il silenzio. Adrien abbassò lo sguardo. Non lo faceva davanti a nessuno, ma con Alakay si era sempre sentita libera di esprimersi liberamente, anche dopo tutti quegli anni. Era come se non fossero mai passati: l’imbarazzo c’era, ma era lo stesso di quando erano ragazzi, di quando, a mensa, Alakay faceva battute su quanto lei fosse bassa e lei rispondeva in un modo che da una signorina dei piani alti non ti saresti aspettato; lo stesso di quando Alakay tornava da una rissa e sosteneva di stare bene, Adrien lo costringeva a togliersi la camicia e lo trovava ricoperto di ferite ed ematomi e, nella penombra del dormitorio, lo medicava facendo attenzione a non fargli male. In silenzio, per non svegliare gli altri cadetti. Un silenzio dolce e denso di aspettative. Come quello che regnava adesso nell’ufficio del capitano del primo distretto di polizia di Downtown.
-Ora è meglio che vada- Adrien si alzò dalla poltrona e Bogo la precedette per aprirle la porta.
-Fatemi sapere come vanno le indagini- disse lui –E per favore. Non cacciatevi nei guai.
Lei annuì ed uscì.
 
Decisamente troppo latte. E troppi pannolini e ciucci e cose di cui ignorava l’esistenza fino a poco prima di raggiungere il reparto cuccioli. Cosa se ne facevano, poi, di tutte quelle cose? Ai suoi tempi i cuccioli crescevano con le tette della mamma e il loro solo pollice in bocca. Stava confrontando due diverse bottiglie di latte che avevano gli stessi componenti nutritivi ma una costava di più e una meno, quando qualcuno chiamò: -Agente?
Non si era mai abituato a sentirsi chiamare così, quindi si girò solo la terza volta.
-Cosa? Chi?- riemerse dai suoi pensieri confusi e si trovò davanti una gatta bianca con gli occhi blu scuro. Spingeva un carrello sul cui sedile stava seduto un gattino dal pelo biondo cenere.
-Sta cercando il latte per suo figlio?- gli chiese la gatta.
-Mio figlio? Oh! No, è il figlio di mia cugina- rispose lui –E sto cercando del latte, sì. E anche qualcos’altro, credo. Non ne ho idea.
La gatta rise di gusto e gli indicò il latte volpino più adatto, poi lo guidò alla ricerca dei pannolini della giusta misura, del ciuccio che serviva per le gengive di un volpacchiotto così piccolo e del biberon.
-Uao- mormorò Nick –Sembra che conosca questo reparto come i suoi cuscinetti.
-Beh, con quattro cuccioli ho dovuto farmi una cultura- rispose lei carezzando la testolina del suo piccolo.
-Quattro?- ripeté l’altro, incredulo –A me sembra già impossibile stare al passo di uno solo.
-È molto piccolo- commentò lei –Come mai è con lei?
-Il... nonno del marito di mia cugina è in ospedale e lei me l’ha lasciato perché dovevano correre a vedere come stesse. Per questo non ho nulla che possa servirgli, non hanno avuto il tempo di raccogliere le sue cose.
-Capisco, mi dispiace... Come si chiama?
-Ron Ron. Ronald, credo.
-Crede?
-Lo chiamiamo sempre Ron Ron, ho perso l’abitudine- ridacchiò lui, che non sapeva più dove andare a sbattere la testa –E il suo?
-Lui è Danny. A casa ci aspettano Charley, Bobby e Ashley- rispose la gatta, guardando fiera il piccolo Danny, per poi rivolgere uno sguardo incuriosito alla volpe –E lei come si chiama, Agente?
-Io? Wilde. Nick Wilde- deglutì. Se c’era una cosa che odiava erano le belle mammifere che avevano tutta l’aria di provarci con lui. E a febbraio sembrava che qualunque mammifera ci provasse con lui. Questo ormai Judy lo sapeva e in quel periodo si tratteneva dall’abbracciarlo o dimostrargli affetto in qualunque modo che implicasse il contatto fisico.
-Molto piacere, agente Wilde- gli porse una zampa che lui strinse con insicurezza –Io sono Nina. Posso lasciarle il mio numero, se ha bisogno di qualunque cosa può chiamarmi.
-Ehm no, grazie, la mia... fidanzata ci sa fare con i cuccioli- Nick si morse la lingua.
-Oh- fece Nina, con un tono di dispiacere –Bene, allora. Buona giornata.
-Arrivederci- la volpe sorrise e quando Nina se ne fu andata riprese a respirare, poi si abbassò all’altezza del passeggino e guardò Ron fisso negli occhi –Visto? Quelle sono femmine da cui stare alla larga. Prima ti accalappiano e poi ti costringono a vivere con loro e la loro cucciolata. Ed è male. Meglio che cominci a distinguerlo dal bene, palla di pelo.
In tutta risposta il cucciolo lo guardò incerto, poi la sua espressione cambiò e, senza preavviso, iniziò a frignare.
-Cosa fai? Ehi. Stai zitto- gli ordinò Nick, preso alla sprovvista –No, zitto! Così ci fisseranno tutti!- corse alla cassa, pagò tutto e fuggì verso il parco, dove si sedette su una panchina, aprì la bottiglia di latte e ne riempì il biberon. Lo infilò tra le giovani fauci del piccolo, che smise di frignare una volta iniziato a ciucciare. Nick si asciugò il sudore sulla fronte e crollò sulla panchina, poi prese il cellulare e senza staccare gli occhi dal cucciolo chiamò Judy.
-Carotina?
-Nick. Sembri esausto, va tutto bene?
-Ho bisogno di meno cuccioli e più femmine- rispose lui in un soffio, facendola sbuffare divertita –Dove siete?
-Dietro di te.
Nick si girò e si trovò davanti la coniglietta e i due cani poliziotti.
-Nicholas!- esclamò Adrien guardando Ron –È tuo?
-No!- sbraitò quello esasperato. Velocemente, Judy spiegò ai fratelli Simo tutta la storia del cucciolo, poi si misero al lavoro.
Decisero di divedersi i compiti: Nick ed Adrien sarebbero tornati sulla scena del crimine, Judy e Rocky avrebbero interrogato nuovamente l’ex proprietario della pescheria di fronte l’angolo dove all’ora era stata allestita la bancarella dove Robin si era fermato.
-Sicuro di volerlo fare?- chiese Judy al suo collega, preoccupata.
-Tornare in quel maledetto angolo? Da ragazzino ci passavo di continuo per cercare prove che magari i poliziotti si erano lasciati sfuggire. Ero proprio stupido- Nick rise amaramente.
-No, intendo... vuoi che venga con te?
Lui la guardò senza una vera espressione sul muso, poi sorrise.
-Tranquilla, Carotina. Se avrò un altro crollo dovrò solo attraversare la strada e salire due rampe di scale.
 
Ron giocherellava silenziosamente tra le coperte nel passeggino, riparato in un angolo, mentre Adrien descriveva dettagliatamente a Nick tutto ciò che ormai aveva stampato nella memoria, adesso che era più grande e capiva meglio. Ricordava che da cucciolo non aveva molto chiaro nemmeno quel poco che gli veniva detto riguardo il delitto. Era tutto molto attenuato per non sconvolgerlo più di quanto già non fosse, quindi quei “Papà è volato in cielo” e “Qualcuno non voleva bene al tuo papà e gli ha fatto male” lo avevano lasciato solo più confuso: che volevano dire con quelle strane frasi? Era ovvio che il suo papà fosse morto, che qualcuno lo aveva ammazzato. Era piccolo, ma era furbo, questo i mammiferi grandi non lo capivano. E ora che se ne rendeva conto si sentiva quasi in colpa per essere diventato grande anche lui. Si ritrovò a guardare Ron Ron senza accorgersene.
-Una volta qua non c’era il muro- ricordò, poggiando una zampa sui mattoni rossi che chiudevano il vicolo –ma una siepe che separava la strada dal parco.
-Esatto, un’alta siepe di erbacce incolte e rovi- disse Adrien –È qui che è stato trovato tuo padre. Cos’altro ricordi?
Nick tacque un momento. Poi, senza togliere lo sguardo dal muro, rispose: -Faceva caldo. Ero seduto al tavolo della cucina e stavo disegnando, mia madre lavava i piatti del pranzo. Hanno bussato alla porta, ho aperto io e davanti a me c’erano due grossi lupi in uniforme. Ricordo il loro sguardo compassionevole, mentre mi chiedevano se ci fosse mia madre in casa- Adrien rimase in silenzio e lasciò che la volpe continuasse –La ricordo in ginocchio davanti ai poliziotti, in lacrime- ridacchiò, pensando che aveva pianto nella stessa posizione, la sera che era crollato davanti a Judy –Poi, la confusione. Gente che le faceva domande, gli occhi curiosi e fastidiosi degli altri mammiferi, i commenti tra la folla, roba tipo “Era una volpe, se lo sarà meritato”. E poi ricordo te e tuo fratello.
-È tutto molto chiaro, nonostante siano passati tanti anni- commentò l’ex poliziotta –Hai visto le foto?
-Sì, è tutto qua- Nick prese il fascicolo e cominciarono a confrontare le foto con il luogo.
 
L’ex pescivendolo viveva nell’appartamento sopra quella che era ormai la pescheria chiusa. Era un vecchio castoro che si reggeva a stento su un bastone e dall’aria tenera. Quando si trovò Judy in divisa e quello che ricordò essere il poliziotto di trent’anni prima davanti la porta non si stupì affatto e anzi, mormorò: -Sapevo che sareste tornati, prima o poi. Temevo solo di non essere presente per aiutarvi ancora, quando sarebbe successo.
-E invece eccoci qua- ribatté la coniglietta.
Li fece accomodare sul divano vecchio ma ben tenuto come tutto il resto del salotto che odorava di vecchio e biscotti, offrì loro dei dolcini e, sedutosi anche lui, cominciò: -Tuttavia è ovvio che se avessi saputo qualcosa sarei venuto a dirvelo in centrale.
-Certo, non ne dubitiamo- fece Judy –Siamo qui solo per riconfermare tutto quello che disse quella volta al mio collega.
Il signor Wood ripeté tutto ciò che era stato scritto nel fascicolo praticamente a memoria, come se l’avesse detto un’infinità volte e probabilmente era così: erano le quattro del pomeriggio e stava chiudendo la pescheria, salutò il vecchio coyote che aveva allestito la bancarella lì da qualche mese e mentre saliva le scale sentì un botto. Non aveva subito capito cosa fosse stato, scese di nuovo e chiese spiegazioni al coyote, un vecchio di origine Cherokee. Questi gli disse che il rumore era provenuto dalla stradina secondaria che portava al parco. La raggiunsero e trovarono lo spettacolo che avrebbe poi trovato la polizia: schizzi di sangue sui muri e sull’asfalto, foglie e rami strappati e sparsi per terra, il corpo infilato nella siepe in fretta e furia.
Judy cercò di mostrarsi indifferente, prendendo esempio da Rocky che rimaneva impassibile –se fosse perché aveva già sentito quella storia tante volte, questo lei non poteva saperlo– o avrebbe dovuto dare ragione a Bogo riguardo l’essere troppo coinvolta nel caso, anche se non direttamente. Coniglietta emotiva. Ringraziarono il signor Wood e pensarono che sarebbe stata una buona idea andare a trovare il coyote Cherokee.
-Era vecchio già all’epoca, non potrebbe essere morto?- chiese Judy.
-Non ci resta che scoprirlo.

__________________________________________________________________
Cabina del Capitano:
Mi dispiace, questo capitolo non è il massimo, ma è solo l'inizio delle indagini, andando avanti le cose si movimenteranno. Qui non abbiamo EE, onestamente pensavo che qualcuno avrebbe indovinato quelli dello scorso capitolo (è stato un mio errore non scrivere il titolo del capitolo e il numero di EE all'inizio ma solo nell'angolo dell'autore, mi è sfuggito, pardon): Redferne, che sta partecipando attivamente alla caccia all'Easter Egg, ha indovinato quello riguardo Novecento, il romanzo di Alessandro Baricco (mi riferisco al libro e non al film, La Leggenda del Pianista sull'Oceano. Perché non l'ho visto. Whoopsie.), in cui troviamo Danny Boodmann, padre adottivo di Novecento e che nella versione zootopiana ho chiamato Danny Boodfoxx; gli altri due EE erano tutti in una frase: Alakay è il vero nome di Alex il leone newyorkese, rivelato nel film Madagascar 2 e la frase che pronuncia Nick, "Pensavo che il suo nome di battesimo fosse Capitano", è una citazione a "Pensavo che il suo nome di battesimo fosse Agente", pronunciata da Tony Stark in The Avengers, riferendosi all'agente Phil Coulson.
Beh, vi invito sempre a dirmi cosa pensate della storia man mano che prosegue, spero di sentirvi!
BD

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Alone ***


Alone
Easter Eggs n°: 1

Si scoprì che Judy aveva ragione: il vecchio coyote, tale Shiriki, era morto di vecchiaia anni prima, com’era riportato negli archivi del comune. Facendo qualche ricerca, però, i quattro scoprirono che aveva avuto un figlio e poi un nipote, che raggiunsero subito nel Distretto Notturno.
Arrivati al quarto piano di una vecchia palazzina suonarono alla porta e attesero una risposta. Judy si abbassò sul passeggino e carezzò Ron Ron sulla pancia, questi ridacchiò e si nascose sotto le coperte; la coniglietta si rialzò e guardò Nick, come per fargli vedere che aveva fatto amicizia col cucciolo, ma la volpe guardava da tutt’altra parte, presa da altri pensieri. Judy si rattristì.
La porta fu aperta da una femmina di coyote, alta e magra, che indossava un grembiule e sembrava presa dalle faccende casalinghe.
-Cos’ha fatto, questa volta?- chiese, stremata.
Una volta chiarito che Enapay non aveva combinato niente di illegale –o almeno, per quanto ne sapessero loro– Hehewuti li fece accomodare in salotto e chiese come mai quattro poliziotti e un cucciolo fossero venuti in casa sua.
Hehewuti era la vedova di Ahanu, il figlio del vecchio coyote che aveva venduto al padre di Nick il coniglietto di peluche e Enapay era suo figlio, che a detta sua aveva già avuto problemi con le autorità.
-È uscito stamattina e non è ancora tornato. Di solito sto già dormendo, quando rientra a casa, se rientra: spesso dorme fuori. Se arriva prima delle quattro significa che la polizia l’ha beccato- sembrava stanca, mentre ne parlava, come se non riuscisse più a reggere quella situazione –Lo posso capire, noi coyote siamo animali notturni, ma lui sta fuori tutto il giorno. Dopotutto ha solo sedici anni, sapete come sono i ragazzi, a quell’età. Da quando è morto suo padre è tutto un altro mammifero.
-Quando è morto, se posso chiedere?- fece Judy.
-Otto anni fa, tumore al fegato.
-Mi dispiace- disse Nick, a bassa voce.
-Ad ogni modo- Hehewuti si tirò su –Come posso aiutarvi?
-Abbiamo riaperto il caso Wilde, ne sa qualcosa?- disse Adrien. Hehewuti annuì.
-Certo. Ahanu non amava parlarne, all’epoca era molto piccolo. Ma Shiriki raccontava sempre ciò che aveva visto quel giorno ad Enapay. Non era una delle solite storie sui nostri antenati, ma era pur sempre una storia.
-Quindi Enapay sa tutto di quel giorno?- chiese Judy.
-Non so se sa proprio tutto, magari non ricorda, era piccolo- rispose la coyote –Tra l’altro la polizia interrogò più volte Shiriki, immagino abbia detto le stesse cose a mio figlio.
In quel momento la porta di casa si aprì ed entrò un giovane coyote con indosso una larga camicia bianca e dei vecchi jeans strappati –Nick notò una treccina di pelo più lunga dietro la nuca, adornata con delle perline– e con al seguito una pipistrellina che gli volava vicino la testa.
-Mamma- disse il coyote, sorpreso –Giuro che questa volta non ho fatto niente.
-Lo so, tesoro. Ma forse vogliono parlare con te- rispose lei con tono dolce. Appurato che non volevano conoscere i nomi dei teppisti che la settimana prima avevano rotto tutte le cassette della posta della via, Enapay accettò di parlare solo con “Tokala” ovvero Nick (a quanto pare significava “volpe” in un qualche dialetto indiano) ed in presenza della pipistrellina.
Mentre tutti gli altri aspettavano in salotto, Enapay guidò il poliziotto e l’amica nella sua camera, le cui pareti erano ricoperte di poster di gruppi musicali –i componenti sembravano tutti molto arrabbiati– e il pavimento di cibo, vestiti e libri. Enapay si buttò di peso sul letto, Nick si sedette sulla sedia girevole della scrivania con le zampe divaricate e il busto contro lo schienale, la terza si appostò su una libreria.
-Come mai hai voluto solo me?- chiese Nick.
-Sembravi l’unico più apposto, fra tutti- rispose Enapay senza guardarlo –I cani sembravano troppo austeri e la coniglietta estremamente... poliziottesca. E poi c’era quel cucciolo... perché te lo sei portato dietro?
La volpe sorrise.
-Gran senso d’osservazione. Il cucciolo non è mio, qualcuno me l’ha lasciato davanti la porta.
-Oh, Hok’Ee, “abbandonato”- commentò il coyote.
L’altro inarcò le sopracciglia e si annotò mentalmente quel nomignolo -Mi chiamo Nick.
-Io sono Enapay. Lei è Nike- rispose l’altro indicando la pipistrellina.
Nick le rivolse un sorrisetto e commentò: -Bel nome-, alludendo alla somiglianza col suo. Lei rispose con un ampio sorriso.
-Ascolta, Enapay. Stiamo lavorando ad un caso molto vecchio e forse tu puoi aiutarci.
-Come, se è molto vecchio?
-Tuo nonno Shiriki ti ha detto molte cose, a riguardo. Ricordi nulla?
-Ah. Il caso Wilde. Sì, so... alcune cose.
-Cosa?
-So che mio nonno e il pescivendolo hanno trovato il cadavere e subito chiamato la polizia, ma non hanno visto nessuno fuggire dalla scena del crimine.
Nick annuì.
-Già, l’assassino deve essere passato dallo stretto spazio tra la siepe e il muro. Sono state trovate delle foglie a terra, devono essere cadute mentre lui cercava di dileguarsi in fretta.
-Mio padre l’ha visto.
Il poliziotto non afferrò subito quelle parole e chiese al giovane mammifero di ripetere: -Mio padre ha visto l’assassino fuggire nel parco.
Superato il primo momento di sorpresa, Nick prese a scrivere sul taccuino mentre Enapay andava avanti: -Non lo sapevo, fino a poco tempo fa, non l’aveva mai detto nemmeno al nonno. Poi, è morto. E mi ha lasciato questa lettera- si alzò dal letto e aprì un cassetto della scrivania da cui uscì un vecchio foglio ingiallito e spiegazzato –Quando stava male mi disse di leggerla una volta che se ne sarebbe andato. Per anni non ho voluto aprirla perché non riuscivo ad accettare che fosse morto. Circa un anno fa Nike mi ha convinto e... parlava anche di quel caso. Tieni, Tokala. Puoi leggerla, se vuoi.
Nick la prese lentamente e la spiegò, pensando a quanto avrebbe voluto conoscere la storia di quel coyote, così giovane ed esperto quanto lui riguardo l’argomento della morte. Sentì che aveva molto da imparare, da Enapay.
-Oh, Hahkethomemah sono io. Mi chiamava così, significa “piccola peste”- lo avvisò Enapay.
“Hahkethomemah, ormai ci siamo.
“Promettimi che starai vicino a mamma e non combinerai guai, mentre io non ci sono. Sai che è sensibile. Ma sai anche che il tuo nome significa senza paura e il suo spirito madre del guerriero. Tu sei un guerriero e lei la tua guida, non perderla mai di vista. Sono certo che crescerai forte e coraggioso, tale e quale a tuo nonno. Di me porta solo il ricordo nel cuore e non lasciarlo mai marcire.
“Io, nel cuore, porto un ricordo che non vorrei avere, specialmente perché non ne ho mai parlato con nessuno quando invece avrei dovuto. Quando ero molto piccolo una volpe è stata uccisa vicino alla bancarella del nonno. La polizia non è mai riuscita a trovare il colpevole, ma io l’ho visto fuggire. È uscito dal vicolo in cui hanno trovato il cadavere e si è mischiato alla gente del parco. Non so di che specie fosse, era ben nascosto sotto il cappuccio nero e la coda la ricordo vagamente, lunga e folta. Ero troppo piccolo, non riesco a ricordarne il colore. Ma una cosa la ricordo. Di sfuggita mi lanciò uno sguardo, forse si era accorto che l’avevo notato. Aveva il muso graffiato e insanguinato, probabilmente si era ferito fuggendo, fumava un sigaro e mi fece cenno di stare in silenzio allungando un dito (portava i guanti, neri anche quelli) vicino la bocca.
“Chiedi scusa da parte mia all’orfano che quel padre ha lasciato, perché non ho mai raccontato nulla alla polizia. Il coraggio mi è sempre mancato. Ma forse, ora, qualcosa cambierà. Fuggiva verso la periferia.
“Dai un bacio alla mamma, ti voglio bene.
“Papà Ahanu”
Nick lasciò cadere le zampe che ancora stringevano la lettera in grembo.
-Perché non l’hai subito portata alla polizia?- chiese, con voce atona.
-Non lo so, credo... ho pensato che ormai fosse passato troppo tempo, che il caso non importasse più a nessuno- rispose Enapay -Ho saputo che la moglie della volpe è morta qualche anno dopo e che il figlio è sparito in seguito.
-Sì, ma il figlio voleva comunque sapere chi aveva ucciso suo padre- replicò Nick, così stanco di quella tiritera da non mostrare emozioni mentre lo diceva.
Enapay rimase in silenzio, poi sgranò gli occhi.
-Tokala...- mormorò.
-Il figlio è lei, agente?- chiese Nike, rimasta in silenzio fino a quel momento.
Nick si alzò in piedi.
-Grazie, Enapay. Sei stato davvero d’aiuto. Piacere mio, Nike- uscì dalla stanza, seguito dagli altri due e, raggiunto il resto della squadra, mostrò loro la lettera –Abbiamo quello che cercavamo, Carotina. Possiamo andare.
-Una confessione scritta? È lui, l’assassino?- chiese ironicamente Rocky.
-Tokala, mi dispiace, davvero- tentò ancora Enapay.
-Lo so, dispiace a tutti- ribatté Nick –Vedi di dar retta alle parole di tuo padre, se non ti fermo mentre rubi i segnali stradali durante le mie ronde è solo perché sono troppo pigro per farlo, ma sappi che ti ho visto spesso.
 
-Tutto okay?- chiese Judy abbassando il volume del televisore. I quattro si erano dati appuntamento per la mattina dopo e ora la coniglietta faceva compagnia a Nick che riscaldava il latte per Ron. Il cucciolo era sul divano con Judy e giocava con i cuscini mentre lei gli faceva il solletico.
-Sì, sono solo sorpreso. E sto pensando- rispose lui –Non mi aspettavo di trovare certe prove, quasi non ci speravo- uscì il biberon dal pentolino e andò a sedersi sul divano fra gli altri due, Judy lo fermò prima che desse il latte a Ron.
-Aspetta, fammi controllare se la temperatura è giusta- disse la coniglietta versandosene delle gocce sul polso sotto lo sguardo interrogativo di Nick –Troppo caldo. Aspettiamo un poco. Perché mi guardi in quel modo? Ho abbastanza fratellini da sapere come ci si debba comportare con dei cuccioli, anche se di specie diverse. Dicevi?
-Ehm... dicevo. È un bel passo avanti. Sappiamo che ha la coda folta e che si dirigeva verso la periferia, ma non so di quanto questo restringa il campo delle ricerche.
-Beh, se c’è uno che conosce la periferia quello sei tu. Ci hai vissuto per anni.
-Per anni. Per anni l’assassino di mio padre può essermi passato sotto il muso e io non ne sapevo niente. O forse ha solo attraversato la periferia e ora potrebbe essere ovunque, magari anche in un cassa tre metri sotto terra.
-Non perdere le speranze, Nick. Hai visto, oggi abbiamo scoperto queste cose importanti, domani è un altro giorno.
In quel momento Ron si fece largo fra i loro corpi e si accoccolò in mezzo a loro, lasciandoli entrambi stupiti. Judy gli diede il biberon e lo lasciò bere fra di loro, forse gli piaceva perché producevano calore.
-Hok’Ee- mormorò Nick.
-Eh?
-Hok’Ee. Significa abbandonato, me l’ha detto oggi Enapay.
-Triste- commentò Judy.
-Ma vero. Cosa dovrei farmene, di un cucciolo?
-Se fosse quello che volevi? Quel più che tuo padre aveva e che tu desideravi tanto.
-Non me l’aspettavo così- replicò l’altro con una smorfia.
-Di certo non è normale. Ma non lo sei nemmeno tu. Bisogna ammetterlo, questa situazione ti calza a pennello.
-Quindi secondo te dovrei... tenerlo?
-Quello che penso io non ha importanza, sei tu lo pseudo padre- ridacchiò lei.
-Che parola strana. E comunque quello che pensi tu ha una notevole importanza, considerando che avrei bisogno continuo del tuo aiuto. Un figlio è solo una parte di ciò che mio padre aveva e che vorrei avere io.
Quando Judy capì vagamente ciò che Nick voleva dire era ormai passata una buon manciata di secondi silenziosi e ribattere sarebbe stato goffo ed imbarazzante.
-Sarà meglio metterlo a letto, prima che si addormenti sul divano- esclamò di colpo Nick, alzandosi -E visto che dovrò tenerlo mi converrà comprare una culla. Sento già le mie tasche piangere, per colpa di questo marmocchio.
Judy pensò che quelle parole risolvevano la situazione alla grande, nonostante lasciassero uno spiraglio di dolce incertezza che si godette fino alla fine. Cercò lo sguardo di Nick che mentre parlava non l’aveva guardata, proprio come quella volta sulla funivia, e quando l’ebbe trovato gli sorrise. Le faceva una strana impressione vederlo con un cucciolo mezzo addormentato in braccio, ma era un’impressione piacevole.
-Va bene, penseremo anche a quello.
-Penseremo?
-L’hai detto tu, no? Sarò sempre con voi due, da soli sono certa che combinereste un casino dopo l’altro.
Nick le sorrise e la accompagnò alla porta, la salutò con  un bacio sincero sulla guancia e una volta rimasto solo col cucciolo si diresse nella sua camera da letto. Lo adagiò nella sua cesta, a cui aveva cambiato le lenzuola con altre fresche e pulite sopra una coperta di lana che rendesse il fondo morbido, si spogliò e si infilò sotto le coperte. Provò a chiudere gli occhi, ma aveva la mente piena di pensieri. Se davvero l’indomani fossero riusciti a scoprire qualcos’altro, come si sarebbe comportato? Avrebbe voluto che le ricerche andassero avanti o, intimorito dall’imminente arrivo della verità, avrebbe fermato tutto come fece sua madre? Perché se era stata sua madre, un motivo doveva pur averlo avuto e quale, se non la paura? Questo gli fece accendere una lampadina fra le orecchie. Mise le zampe dietro la testa e, osservando il soffitto, si chiese perché sua madre avesse temuto la scoperta della verità. Magari avrebbero dato solo qualche anno di prigione al colpevole e, una volta uscito, questi si sarebbe vendicato. Scartò subito quell’idea: se c’era una cosa in cui l’organizzazione legale di Zootropolis eccelleva, quella era la giustizia. L’assassino si sarebbe di certo beccato l’ergastolo e Nick dubitava che sua madre temesse un’evasione. Era una scrittrice, aveva una fervida immaginazione, ma sapeva quando la realtà si staccava dai suoi racconti. Allora, pensò, poteva aver capito prima della polizia chi fosse il colpevole. Il suo cuore perse un battito. Se sapeva chi aveva ucciso suo marito, perché non permettere a nessun altro di scoprirlo? Perché lo conosceva, forse?
Nick deglutì e si rigirò nel letto, preso dall’ansia. Nel farlo, notò che anche Ron era sveglio e lo guardava con quei grandi occhi blu. Al buio, alla sola vista notturna, facevano quasi paura.
[ https://www.youtube.com/watch?v=sa9xCKd05sE ]
-Che c’è, Hok’Ee? Nemmeno tu riesci a dormire?- mormorò.
Il cucciolo, a quelle parole, si mosse e con non poca fatica uscì dalla sua cesta.
-No, Ron Ron, devi stare a letto- disse, allungando una zampa per afferrarlo. Il volpacchiotto vi si avvinghiò e non lasciò che Nick lo posasse nella cesta. Anzi, spinse il musetto verso l’alto e grattò il polso del più grande lasciandovi dei segni.
-Ahia! Ma che vuoi?- lo adagiò sul letto insieme a lui e lo guardò farsi strada tremolante ma incredibilmente sicuro di sé fino ad appostarsi sotto la sua zampa e poggiare il musetto sul suo torso –Ehm...
Diamine, quanto era piccolo. Non poteva credere di essere stato anche lui di quelle dimensioni. Lo osservò poco convinto mentre strofinava quel musetto sulla sua maglietta, facendogli il solletico, ridacchiò controvoglia e gli premette il naso con un dito. Ripensò alle parole che aveva detto a Judy. Forse era stato troppo diretto o forse non abbastanza, ma non gli importava. Avrebbe lasciato correre, con calma sarebbe arrivato anche a lei, un giorno. Forse. Sarebbe accaduto per caso, come con quel cucciolo che ora prendeva sonno a contatto col suo corpo e che lo faceva sentire parte di qualcosa che sarebbe diventato grande. Nick e Ron. E Judy. Tre cuccioli diversi e simili in qualcosa, uno emarginato ed insicuro, l’altro abbandonato e solo e la terza schernita da tutti. Si erano aiutati a vicenda e si erano rialzati: ora lui era sicuro di sé grazie a quella coniglietta che non si era mai tirata indietro nemmeno quando lui stesso aveva cercato di buttarla giù e quel marmocchio accanto a lui non era più solo grazie a lui. Grazie a loro.
Solo. Gli somigliava incredibilmente, se ne rese conto. Non era mai stato effettivamente solo, c’era sempre stato qualcuno con lui, ma solamente quando aveva incontrato una persona in particolare aveva capito che per tutto quel tempo era stato solo, e non lo era più proprio con quella persona. Se anche dopo il discorso con Judy avesse avuto delle incertezze, ora era sicuro che quel cucciolo non sarebbe più stato solo perché gli sarebbe rimasto accanto.
Prese a carezzargli la testolina, respirando piano per non muovere troppo il busto e disturbarlo. La situazione era estremamente surreale, ma gli piaceva. Ricordò che quando aveva gli incubi si infilava nel letto dei suoi genitori che non gli dicevano mai di no e una volta lì, fra di loro, prendeva facilmente sonno perché si sentiva al sicuro. Decise che se Ron non riusciva a dormire poteva mettersi sotto le coperte con lui perché sapeva cosa si provava ad avere incubi e non avere nessuno su cui contare una volta svegli e spaventati e non avrebbe mai permesso che anche lui scoprisse quella sensazione.
Sentì Ron addormentarsi e continuò a carezzarlo sulla schiena, sempre più lentamente, finché non cadde anche lui tra le braccia di Morfeo, nella serenità assoluta, nonostante sentisse che la sua vita stava prendendo una enorme piega inaspettata. Ciò lo spaventava meno di quanto avrebbe pensato.

__________________________________________________
Cabina del Capitano:
TA-DAAA!! Capitolo a dir poco spossante, scriverlo è stato un parto. Tuttavia la scena del piccolo Ron Ron accoccolato contro un Nick parecchio interdetto è stata quell'immagine che mi è balenata nella mente e che mi ha dato l'input per la storia, sono felice di essere riuscita a metterla per iscritto, finalmente. 
Vogliamo parlare di Enapay? Doveva essere una semplice comparsa, un testimone come un altro, ma mi sono ritrovata a svilupparlo mentre scrivevo la scena a casa sua e credo di essermi innamorata di quello che sembra essere diventato un OC inaspettato. Sono imprevedibile, lo so, grazie. L'EE potrebbe essere complicato, ma non impossibile, vediamo se qualcuno lo indovina. 
La madre di Nick è una scrittrice, ci avevo pensato tempo fa. Poi mi è capitato di leggere "It hurts" di Elis_06 ed ero tipo no vabbè ci ha pensato pure lei che cosa figa. Leggete quella one-shot, merita.
Che pensate del capitolo? Troppo forzato? Aiutatemi, ho bisogno di conferme! D: 
Angolo dell'autrice scritto tipo telegramma, pardon, sono distrutta e ho trovato un buco di tempo per pubblicare, sono sommersa dallo studio più altre cose che non sto qui a dirvi. Voglio le vacanze di Natale. Aiutano, con la depressione?
Uhm, ci... ci si legge. Vi voglio bene. (?)
BD
PS: Redferne scuuuuusa giuro che in uno dei prossimi capitoli inserirò Butch, la storia si sviluppa praticamente da sola e io sono sua schiava, deciderà lei quando sarà il momento. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Memories ***


Memories
Easter Eggs n°: 1
La mente di Rocky tornò a quando aveva venticinque anni, quando era molto più energico e non aveva problemi con l’alcol.
Indossava l’uniforme blu di cui andava particolarmente fiero e osservava sua sorella tanto presa dal caso che stavano seguendo. Alakay aveva detto che a lei l’uniforme calzava a pennello, che sembrava una di quelle modelle delle riviste vestite da poliziotte. Lui aveva storto il  grosso naso nero: era consapevole che sua sorella fosse bella, tra l’altro la adorava, ma paragonarla ad una modella era troppo. Forse lo pensava in quanto fratello, mentre Alakay la guardava con gli occhi di un grosso bestione innamorato. Parlavano spesso di quella situazione, Rocky non si dimostrava affatto geloso e anzi, sembrava tifare per loro, ma erano entrambi consapevoli che Adrien non era affatto interessata ad una storia seria. Era palese che avesse un debole per Alakay, ma al momento non poteva dedicarsi a nulla che non fosse il suo lavoro.
E dire che gli stavano col fiato sul collo. E non in senso figurato, erano nel bel mezzo dell’inseguimento. La struttura era grande e buia, l’unica luce filtrava dalle vetrate sul tetto e il silenzio era interrotto solo dalle loro zampe che toccavano il suolo mentre correvano e dai loro respiri affannati. Si erano separati, lei era da qualche parte tra gli alti scaffali, la sentiva, e lui era al centro di un grande corridoio; doveva mettersi al riparo, lì era a rischio. Corse verso la parete e percepì un movimento, capì subito che non era Adrien. Rizzò le orecchie e caricò la pistola.
-Alquanto sprovveduto, per essere un poliziotto- commentò una voce graffiante proveniente dall’ombra.
-Fatti vedere!- gli ringhiò Rocky –Fatti vedere, dannazione!
-Anche parecchio stupido. Credi davvero che uscirei allo scoperto proprio ora?
-Rocky?- la voce di Adrien arrivò dall’altro lato della struttura.
-Resta nascosta, Adrien- le ordinò lui. Nessuna risposta.
Sentì il colpevole sospirare, fintamente affranto.
-Devo ammettere, però, che se siete arrivati fino a qua siete più capaci di quanto pensassi- continuò la voce. Non conoscevano il suo nome, non conoscevano la sua specie, erano arrivati là per caso seguendo una pista ed avevano avuto fortuna.
-Piantala, con le chiacchiere!- gli intimò il cane, spazientito.
-Hai ragione, forse è meglio finirla qua. Sono stanco anch’io di fingermi un bravo mammifero.
Accadde tutto in pochi secondi. L’ordine impartitole da Rocky era stato una specie di messaggio in codice, un “io lo distraggo, hai la via libera”, parlavano spesso in codice fra di loro. Adrien doveva aver visto la zampa del mammifero alzarsi in controluce e puntare una pistola contro suo fratello e sentì il colpo che lei stessa sparò contro l’arma del nemico risuonarle nelle orecchie. Dei guaiti si levarono nell’aria, l’assassino le lanciò una maledizione e fece per correre via. Lei partì per seguirlo, ma un lamento alle sue spalle la bloccò: Rocky era accovacciato per terra, in preda agli spasmi per il dolore e stringeva una zampa al petto. Avevano sparato contemporaneamente, probabilmente lei aveva colpito il criminale, ma questi aveva sparato a sua volta contro Rocky.
Sentendo le sirene della polizia, si morse le labbra e corse verso suo fratello, si gettò sulle ginocchia e gli poggiò la testa sulle sue zampe, mentre provava a calmarlo tra le lacrime.
Rocky avrebbe voluto dire che l’aveva visto, che sapeva chi era, ma dalla sua bocca uscivano solo rantoli che si spensero mentre tutto diventava nero.
 
Si svegliò di colpo, sudato, la zampa che gli faceva male come quella volta, mentre lentamente prendeva consapevolezza di aver ricordato tutto. Si mise a sedere e prese la testa fra le zampe, si massaggiò le tempie per riuscire a mettere a fuoco le immagini, come quando si era risvegliato dal coma. Aveva dormito quattro giorni e una volta sveglio non ricordava nulla, ma ora sembrava che tutto gli fosse tornato alla mente. Suggestione dovuta alle indagini riprese, forse, non era importante: ora ricordava.
-Adrien- chiamò –Adrien!
Sua sorella sbucò nella camera stropicciandosi gli occhi.
-Rocky, sono le quattro del mattino, che succede?
-Me lo ricordo.
 
Sembrava che Rocky avesse sofferto di perdita parziale della memoria dovuta allo shock, o almeno questo era quello che Adrien spiegò a Nick e Judy quella mattina, alle sei, a casa della volpe. E ora di colpo ricordava il volto dell’assassino.
-Insomma, più o meno- disse il cane –Una volta uscito dall’ospedale ho cominciato a bere e questo mi ha causato altri vuoti di memoria, ma stanotte ho sognato che...
-Hai sognato- lo interruppe Nick, che non aveva toccato la sua tazza di caffè –Ma quanto può essere affidabile, un sogno?
-Sicuramente è un buon inizio- disse Judy, guardandolo negli occhi. Non voleva si alterasse e lui recepì il messaggio.
-Dovete anche capire che dopo la sparatoria Marian ha fermato le indagini- riprese Adrien –Quindi non siamo più tornati là dove è successo.
Nick chiese se fosse riuscita a ferire il colpevole, lei disse che non ne era certa, ma che poteva darsi ed in ogni caso non ne aveva mai avuto la certezza: i rinforzi che arrivarono in quel momento non lo trovarono più e fu poi impedito di tornare sul luogo.
-Quale luogo?- chiese Judy.
-Era un grosso padiglione, forse una fabbrica o qualcosa del genere- rispose Rocky, atterrito dal mal di testa e dal dolore alla zampa che non era cessato –A est, in periferia.
Nick collegò quelle informazioni alle parole scritte da Ahanu nella lettera. La periferia. Un padiglione.
-Avevo ragione, Carotina- commentò –Ci ho vissuto davanti per vent’anni.
 
Nick non voleva portare Ron Ron con sé, ma non poteva certo lasciarlo a Finnick, così dovette preparare anche lui. Prima di tutto pensò di fargli un bagnetto: cominciava ad emanare cattivo odore e pensare di dovergli di nuovo cambiare il pannolino lo faceva rabbrividire. Riempì una bacinella d’acqua e vi immerse il cucciolo, che oppose resistenza in una maniera che il più vecchio non si sarebbe mai aspettato da un esserino tanto piccolo. In suo aiuto accorse Judy, che svuotò la bacinella e la riempì di acqua più calda. Poi lasciò che se ne occupasse Nick mentre lei gli spiegava cosa fare, come prenderlo e farlo sentire a suo agio in quella nuova situazione. La volpe seguiva meticolosamente le istruzioni dell’amica e si stupiva nel vedere che funzionava: Ron Ron ora sembrava non volesse più uscire dalla bacinella.
-Come farei senza di te?- chiese, ridacchiando mentre le dava le spalle. Lei sorrise e sospirò, poi si alzò dallo sgabello dove era rimasta seduta e lo raggiunse.
-Nick, forse ci siamo- disse. Lui capì subito cosa intendeva.
-Lo so. Ma non ho intenzione di tirarmi indietro proprio ora. Non farò lo stesso errore di mia madre.
-E se il suo non fosse stato un errore?- Judy lo guardò con gli occhi pieni di preoccupazione, lui si asciugò muso e braccia e le prese il viso tra le zampe.
-Non lo sapremo mai, se non ci buttiamo, giusto?- disse con un mezzo sorriso sul volto. Lei ricambiò il sorriso poco convinta e gli carezzò una zampa, ancora salda sulla sua guancia.
-Giusto- ripeté –Hai ragione, non so cosa mi prenda. Quella non è una frase tipica di me.
-Passo troppo tempo con te, è questo il problema- la volpe andò a sedersi sullo sgabello e Judy avvolse Ron Ron in un asciugamano –E tu ne passi troppo con me.
La coniglietta fece spallucce e poggiò per terra il cucciolo, che si fece strada ormai esperto fin fuori dal bagno. Gli altri due rimasero in silenzio per qualche secondo, guardandolo allontanarsi.
-Cresce in fretta- commentò Judy.
-Noi volpi sappiamo darci da fare.
-Non ne dubito- lei gli si avvicinò, quando era seduto arrivava alla sua altezza e non c’era bisogno che si abbassasse o che lei si alzasse sulle punte –Tutto okay?
-Tutto okay. Sento che la mia vita sta andando allo sbaraglio, che sto per scoprire qualcosa di grande e che quel cucciolo me ne farà vedere di tutti i colori, ma so anche che va bene così. Non ho paura di sapere la verità, né di essere tutto d’un tratto diventato padre. Non mi pesa il fatto che Ron non sia mio figlio, anzi sento a maggior ragione il dovere di proteggerlo.
Judy sorrise, sinceramente felice: -Perfetto! Non hai idea di quanto ciò mi renda...
Nick la abbracciò e lei non riuscì a terminare la frase. La volpe inspirò a fondo il suo odore che lo fece impazzire e sperò che Judy si staccasse, ma lei ricambiò l’abbraccio.
Nick, sei maggiorenne e vaccinato, sei capacissimo di fermarti qui.
In effetti si fermò, riuscì a staccarsi, ma continuò a tenere la coniglietta stretta per le spalle e non staccò gli occhi dai suoi.
-Non so più come te lo devo dire, Judy- commentò con la gola secca –Sarebbe bello se lo capissi da sola, ma forse in quanto coniglietta di campagna a romanticherie sei più per il lui fa il primo passo. Siamo pure in un bagno, sono una frana.
-Nick, io...
-Scusami. Andiamo, prima poniamo fine alla faccenda e prima posso mettermi in ridicolo con te- si alzò e si diresse in salotto senza voltarsi, lasciandola sola e sconcertata. Lei deglutì, si diede una sistemata al pelo e lo raggiunse, le sue parole che le rimbombavano ancora nella mente, il sangue che le affluiva a litri alle guance.
Trovarono Ron Ron in braccio ad Adrien che lo coccolava ridendo di gusto.
-Hok’Ee, lasciala stare- lo rimproverò Nick.
Adrien disse che andava benissimo così, che i cuccioli le piacevano e che per il viaggio in auto avrebbe potuto tenerlo lei. Nick fu felice di quella disponibilità e di poter stare sereno almeno in auto.
Sereno, si fa per dire. Per tutto il tragitto guardò distrattamente fuori dal finestrino pur di non incrociare lo sguardo con quello di Judy al volante accanto a lui nemmeno con la coda dell’occhio, le orecchie attente percepivano tutti i suoi movimenti. Una volta arrivati scese con un balzo dall’auto e si fermò davanti l’entrata del padiglione diroccato.
-Mio padre aveva un progetto- raccontò –Voleva farci un parco o qualcosa del genere, dedicato interamente ai predatori, ma nessuno voleva finanziarlo.
-Tua madre ce l’ha raccontato- disse Rocky –Diceva che Robin continuava a venire qua sognando di poter realizzare il progetto, un giorno.
-Ci portava anche me, ogni tanto- disse la volpe –Quel giorno l’avevo implorato di portarmi con lui, ma doveva lavorare e non ci sarebbe andato.
Entrarono facendo attenzione a dove mettevano le zampe – il pavimento era ricoperto di polvere e schegge di vetro – e diedero un’occhiata. Il mal di testa di Rocky si faceva sempre più forte, ma non voleva prendere alcun antidolorifico. Si fece strada fino al punto dove il colpevole gli aveva sparato: c’era una grossa macchia di sangue secco dove era caduto. Poco più in là quasi vide la figura dell’assassino che gli puntava contro l’arma e rabbrividì.
-Era qui- disse, mettendosi proprio in quel punto. Judy si avvicinò e guardò sul pavimento alla ricerca di qualcosa che potesse ricondurli a lui, una macchia di sangue dovuta al colpo di Adrien. Non c’era nulla, il colpevole doveva essere tornato per pulire.
-Cosa ricordi del suo aspetto?- chiese la coniglietta.
-Credo fosse più basso di me- rispose Rocky, tornando al suo posto -Non lo dico perché era distante, penso lo fosse davvero.
Nick si inginocchiò e studiò il pavimento con i raggi UV, la voce di Rocky gli fece prendere un colpo: -Nick!
Si voltò di scatto, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Eppure la procedura era giusta.
-Alzati- disse Rocky. Lui obbedì in silenzio, più confuso che persuaso.
-Era alto come te.
-Come me?
-Ne sono certo. La luce che entrava dal tetto gli illuminava la punta del muso. C’era odore di sigaro, ne aveva uno acceso in bocca. Ma non riesco a ricordare il volto!- il cane si strinse la testa tra le zampe e Judy gli disse che stava facendo un ottimo lavoro e di rilassarsi.
-È un bel passo avanti- commentò Adrien, il cucciolo ancora in braccio –Va benissimo così.
-Sì- mormorò Nick, dando un’ultima occhiata al pavimento. Possibile che non fosse rimasta nemmeno una traccia visibile con gli UV?
Impossibile. E infatti qualcosa la notò. Era poco più in là, probabilmente si era afferrato la zampa e correndo via aveva lasciato gocciolare il sangue. Era tornato per pulirlo, ma dopo trent’anni la tecnologia si era evoluta e ora Nick poteva chiaramente vedere i residui invisibili ad occhio nudo sul pavimento. Poche, grosse gocce.
-È il momento di chiamare la scientifica.
In un quarto d’ora arrivò la squadra della scientifica che cominciò a scattare foto, ad analizzarle, a recuperare più DNA possibile da quel poco che avevano, poi portarono tutto alla centrale per studiare i risultati in laboratorio. Un cervo disse loro che ci sarebbe voluto del tempo perché, essendo macchie vecchie e cancellate, arrivare a conoscerne il proprietario sarebbe stato difficile; li avrebbero chiamati quando si sarebbe saputo qualcosa. Quando la scientifica fu andata via, Nick fece un giro per studiare il luogo. Salì su delle impalcature, osservò tutto attentamente cercando di far tornare alla mente ricordi legati alle visite che suo padre gli faceva fare insieme a lui. Sua madre non aveva mai voluto andarci e odiava che ci andassero anche loro: quel posto non le piaceva, lo riteneva pericoloso e ogni volta che Robin ci andava lei si arrabbiava, ancora di più quando portava anche Nick. Quelle erano le uniche volte che Nick la vedeva arrabbiata e Robin, che manteneva sempre la calma, la tranquillizzava ogni volta. Alzò il muso e il sole che entrava dalle finestre rotte sul tetto gli bruciò gli occhi, lui li chiuse e rimase lì ancora per un po’. Sentiva Rocky lamentarsi perché non riusciva a ricordare altro e Judy che cercava di fargli capire che andava benissimo così, che avevano trovato il sangue e presto si sarebbe saputo tutto. Ripensò a quello che le aveva detto nel bagno di casa sua e si sentì uno stupido: doveva averla spaventata e ora lui faceva di tutto per starle lontano e ignorarla. Era un ragazzino, il ragazzino che non aveva mai avuto possibilità di essere quando avrebbe dovuto. Era un sedicenne innamorato nel corpo di un quasi quarantenne e la cosa gli faceva ribrezzo. Come aveva potuto ridursi in quel modo? Come aveva potuto lasciare che gli eventi che avevano scombussolato la sua vita lo rendessero quello che era ora? Aveva avuto altre compagne occasionali, prima di incontrare Judy e ora non riusciva nemmeno a gestire i suoi sentimenti come un mammifero maturo avrebbe saputo fare. Era ridicolo.
-Nick, hai trovato qualcosa?- la voce di Adrien lo riportò lì con loro. Si sporse dall’impalcatura e la vide che lo cercava con lo sguardo, il muso appuntito ritto verso l’alto.
-No, nulla- mugugnò lui –Arrivo.
Annusò l’aria: uno strano, appena percepibile odore familiare gli pizzicò le narici, mentre scendeva dalle travi con qualche balzo.
C’era qualcosa che gli sfuggiva. Qualcosa di importante che, ne era certo, avrebbe svelato l’identità dell’assassino. Decise di concentrarsi su quello e fare finta di niente con Judy.

_____________________________________

Cabina del Capitano
Perdono. Perdono, perdono, perdono. E' successo un macello, il wifi ha definitivamente deciso di non collaborare, sono stata pure in vacanza a Londra (muahah guardate qnt sn fygah) e niente, mi faccio schifo. Per questo motivo, sperando di poter essere perdonata, entro oggi pubblicherò anche il nono capitolo. Siete contenti? :D
*grilli in sottofondo*
Ne ero certa.
ALLORA! Capitolo bleh. Lo so, non mi piace, vedetelo come un capitolo di passaggio per arrivare alla fine imminente della storia. Per imminente intendo che so come arrivarci, ma non so quanto ci vorrà perché come avrete notato tendo a dilungarmi, quindi non so quanti capitoli restano. Intanto scrivo. Appena finisco vi faccio un fischio.
Piccolo appunto: siccome sono stupida e ultimamente con la testa sto peggio del solito, nello scorso capitolo ho dimenticato di inserire il link per una canzone che volevo proporvi e consigliarvi di ascoltare mentre leggevate la scena di Nick e Ron Ron a letto, l'ho appena aggiunto; se ne avete voglia (ne dubito, ma ci provo lo stesso) potreste rileggerla ascoltando quella canzone e dirmi cosa ne pensate: io la trovo azzeccata per la melodia e anche per le parole, ma magari sono di parte perché adoro la band in questione, mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni, tutto qua. 
Ci si legge tra un po', intanto leggete e schifate questo capitolo.
BD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Favor ***


Favor
Easter Eggs n° 0
 
                Finta di niente. Nick sembrava fare finta di niente, come se quello che era successo quella mattina fosse stata una delle loro solite chiacchierate, come se avesse fatto una battutina delle sue per metterla in imbarazzo e fingere poi di non averlo mai detto. Ora se ne stava letteralmente appallottolato sulla poltrona del salotto, avvolto in un plaid rosso e tirava su col naso, gli occhi lucidi e rossi. Sembrava un cucciolo che sapeva di aver combinato qualcosa di brutto e faceva di tutto per evitare il contatto visivo con la mamma.
                Non aveva febbre, ma gli bruciava la gola, aveva il naso chiuso e non aveva smesso di starnutire un momento, sulla strada per tornare a casa. Dovevano essere i sintomi del colpo che si era preso sotto la pioggia, la notte che era arrivato Ron e che si presentavano solo adesso. Judy si era offerta di restare per preparargli qualcosa che potesse farlo stare meglio; in un primo momento lui si era ribellato, dicendo che poteva cavarsela benissimo anche da solo, ma l’interminabile colpo di tosse che gli impedì di terminare la frase aveva parlato da solo. Ora la coniglietta era in cucina e preparava la sua famosa zuppa alla Judy, un minestrone speciale di cui sua nonna le aveva lasciato la ricetta e che cucinava sempre ai suoi fratelli quando stavano male. Era una specie di ambrosia per la gola infiammata e le vie nasali otturate. Ron Ron osservava attentamente ogni suo movimento, appollaiato sulla cucina, e annusava in estasi il profumino che proveniva dalla pentola. Lei ridacchiò, immerse un cucchiaio nel brodo, vi soffiò sopra e glielo fece assaggiare. Il cucciolo emise dei versetti deliziati, prima di saltare giù dalla cucina e dirigersi dal suo papà. Judy quasi non fece caso ad aver pensato quella parola con tanta naturalezza.
                -Il pranzo è servito!- esclamò, portano il piatto a Nick, rimasto sulla poltrona con Ron Ron in grembo. La volpe provò a borbottare qualcosa, ma il bruciore di gola gli fece uscire dalle fauci un verso mozzato tutt’altro che intimidatorio. Controvoglia, ingoiò una cucchiaiata producendo un suono di risucchio che fece fare una smorfia a Judy e fece ridere il cucciolo.
                -Com’è?- chiese lei, sicura di conoscere la risposta.
                Lui esitò, poi mugugnò: -Non male.
                La coniglietta inarcò un sopracciglio: stava mentendo, amava la sua zuppa. Tutti la amavano.
                Come a voler confermare quel suo pensiero, in pochi secondi Nick finì la zuppa quasi leccando il fondo del piatto e chiese se ce ne fosse dell’altra. Lei, per dispetto, rispose che era per sé e per Ron e che, se “non era male”, non doveva sforzarsi per mangiarne ancora, ché quella razione sarebbe bastata a farlo stare meglio.
                Così fu, dopo qualche minuto Nick era già in piedi e si era chiuso in bagno, per poi uscirne qualche minuto dopo tutto sorridente.
                -Ma che hai?- gli chiese la coniglietta.
                -Ho pensato che ti sei spesa tanto per me e per Ron Ron- rispose lui –Quindi ho deciso che per sdebitarmi ti avrei fatto un regalo che vale più di qualunque altra cosa materiale.
                Judy iniziava a preoccuparsi, quando la volpe si spostò e la invitò ad entrare nel bagno della sua camera, più grande di quello degli ospiti. La luce era spenta e l’ambiente era illuminato da candele alla vaniglia poste sul bordo della vasca, sul lavandino e per terra, e il cui profumo inebriava le narici di Judy. La vasca era colma di schiuma, tanta da non rendere scorgibile l’acqua sottostante, così calda che ne fuoriusciva del vapore.
                -Cosa significa?- chiese lei, confusa.
                -Che ti meriti un po’ di relax, perché io e Ron siamo due maschietti dispettosi e hai bisogno di stare per i fatti tuoi per pensare.
                Judy si chiese se quell’ultima affermazione avesse a che fare con ciò che le aveva detto quella mattina e decise che era così. Stava cedendo, ma non voleva dargliela vinta.
                -Sai che odio l’acqua calda- gli ricordò.
                -Lo so- e lo sapeva davvero, spesso capitava che dovessero restare in centrale e fare la doccia lì, lei la faceva sempre fredda per refrigerare i muscoli, lui la preferiva di gran lunga calda proprio per rilassarli dopo il lavoro. Inoltre per tanti anni non aveva potuto permettersi acqua calda, se non quando riusciva a rubarla dalle case per mezzo di un intricato sistema di tubi prima di essere scoperto perciò, ora che aveva una casa tutta sua e pagava la bolletta, ne approfittava.
                -Ma so anche- continuò con tono saccente –che un bagno caldo fa sempre bene e non si può rifiutare, specialmente se offerto in questo modo da una volpe affascinante come me. Non è bellissimo? Avrei potuto fare il decoratore di interni.
                Judy sospirò: non c’era modo di parlare seriamente di quella mattina, al suo solito Nick stava alzando tutte le barriere per evitarlo.
                -E va bene- acconsentì –Grazie.
                -Di nulla, Carotina.
                Una volta chiusa la porta alle sue spalle, Judy si guardò intorno, a disagio. Doveva ammettere che Nick sapeva il fatto suo, quando si trattava di sedurre, e non sapeva ancora se la cosa la facesse sentire speciale o presa in giro. Scrollò le spalle e si tolse la divisa blu, squadrò la vasca arricciando il naso e decise che prima sarebbe entrata e prima sarebbe potuta uscire. Immerse la punta di una zampa scottandosi, poi entrò piano piano e, una volta immersa del tutto, provò a rilassarsi. C’era quasi riuscita, quando il telefono iniziò a suonare. Sbuffò e, allungando una zampa, lo recuperò: videochiamata di sua madre. Non sarebbe riuscita a rilassarsi nemmeno volendo.
                -Mamma!- esclamò, con un largo sorriso sul muso. Era felice di sentirla dopo tanto tempo, ma sapeva che quello non era il momento adatto.
                -Ehi, Judy, piccola mia! Come stai, è tanto che non ci sentiamo- fece lei. Stranamente, per una volta non aveva cuccioli intorno.
                -Tutto... tutto bene, io e Nick stiamo lavorando ad un caso, sai... le solite cose- no, non le avrebbe detto di che caso si trattava, farla preoccupare sarebbe stato inutile –Voi come state?
                -Alla grande, te l’ho detto che abbiamo aperto un negozio in paese?
                -Ah sì? Ma è fantastico!
                -Sì, insieme a Gideon, nella stessa palazzina ha aperto una pasticceria-ristorante. Ci stiamo allargando!
                La coniglietta era davvero felice, l’essersi messi in società con Gideon aveva aperto ai suoi genitori tante strade.
                -Carotina?- la voce di Nick la fece trasalire e il telefono quasi le cadde in acqua.
                -Eh? Sì?
                -Vado in palestra da Butch, porto Ron Ron con me, va bene?
                -Sì, va benissimo. Divertiti!
                -Ma con chi parli?- chiese Bonnie corrugando le sopracciglia.
                -Con chi parli, Carotina?- chiese ancora la volpe da dietro la porta.
                -Mia madre- gridò lei, con un tono che sottintendeva una minaccia di morte se non avesse chiuso quella boccaccia. Ovviamente, Nick non la colse, o fece finta di non coglierla, molto più probabilmente, visto che quella dannata volpe non si lasciava mai sfuggire niente. E anzi, approfittò della situazione scomoda.
                -Oh, salve, signora Hopps! Come va l’attività?- fece infatti.
                -Ma dove sei?- domandò Bonnie, che iniziava a spazientirsi –Di chi è quella voce?
                -A dopo, Nick!- Judy si lasciò sfuggire quel nome e si coprì la bocca con una zampa, anche se troppo tardi per ritirarlo.
                -Nick?- ripeté Bonnie –Si può sapere dove sei?
                Judy sospirò, si massaggiò le palpebre e cedette: -Sono a casa di Nick, faccio un bagno.
                -Nick... Wilde? Quel Nick?
                -Conosci altri Nick, mamma?
                -E che ci fai nella sua vasca da bagno?- la coniglia più grande stava per avere una crisi di nervi, quindi Judy provò a spiegare velocemente: -Il caso a cui stiamo lavorando ci ha presi parecchio, siamo entrambi molto stressati e a Nick è pure venuta l’influenza, così gli ho preparato la zuppa alla Judy e per sdebitarsi mi ha preparato un bagno caldo.
                Dopo alcuni secondi di silenzio, durante i quali Bonnie squadrò Judy per nulla convinta mettendola in soggezione nonostante avesse detto la verità, la prima a riprendere la parola fu proprio la madre: -Solo per la tua zuppa?
                Solo? La sua zuppa era un dono del cielo, come poteva insinuare che ci fosse altro, oltre la zuppa alla Judy? Bastava e avanzava, per meritarsi un bagno caldo, no?
                No?
                -Solo per la zuppa, mamma- disse Judy, spostando lo sguardo –E... anche per un’altra cosa.
                -Oh, santo cielo!
                -No, no, no! Non è come pensi! Perché tu pensi a...- Judy rabbrividì, nonostante fosse immersa nell’acqua calda.
                -Non lo so, dimmelo tu, Judy- esclamò la madre poggiando una zampa sul fianco. Brutto segno.
                -Nick ha... ha un figlio.
                Di nuovo silenzio. La coniglietta non avrebbe permesso a sua madre di urlare, perciò riprese: -L’ha adottato. Cioè, non ufficialmente, una volta finito di lavorare al caso penseremo alla parte burocratica per l’adozione, ma se l’è trovato l’altro giorno davanti casa e abbiamo deciso di tenerlo.
                -Penseremo? Abbiamo? C’è dell’altro, signorina?
                Non ne poteva più. Prima il caso, poi Nick che si comportava come un cucciolo e ora sua madre che andava insinuando cose che non stavano né in cielo né in terra. Basta così.
                -Anche se fosse?- sbottò –Voi vi siete messi in affari con Gideon, che problemi ci sarebbero se avessi una relazione con Nick?- non sapeva se la sensazione che provò pronunciando quelle parole fosse stata piacevole o meno, accadde tutto così in fretta che non ebbe il tempo di rifletterci –Lavoriamo insieme, siamo amici e lo aiuterò col cucciolo, visto che lui è una frana. Tutto qua.
                -Tutto qua?
                -Tutto qua.
                -Tutto qua- Bonnie sospirò –Va bene, Judy, scusa. Devi essere molto presa da questi ultimi eventi.
                -È così. E anche voi. Siamo tutti molto stanchi. Ora vado, mamma.
                -Va bene, cucciola. Buon lavoro, salutami Nicholas. Ti voglio bene, fai attenzione.
                -Ti voglio bene anch’io.
                Posò il telefono e si immerse del tutto nell’acqua, sperando che come questa attutiva qualunque rumore potesse attutire tutti i sentimenti che ultimamente la stavano scombussolando.
 
                Butch era un vecchio rinoceronte proprietario della altrettanto vecchia palestra dove si allenava Nick. La volpe la preferiva a qualunque altra palestra frequentata da grossi mammiferi con i muscoli pompati e oliati, pieni come un uovo di steroidi e dal cervello grosso come una noce rinsecchita. Quando entrò vide Butch mezzo sdraiato su una sedia che lo reggeva per miracolo, le zampe posteriori stese su una scrivania mangiata dalle tarme.
                -Rosso, è da un pezzo che non ci si vede- lo apostrofò il rinoceronte –Dove hai lasciato la tua Honeybunny?- chiese, riferendosi a Judy. Aveva questa fissa di dare soprannomi a tutti ed era forse l’unico mammifero che in questo modo non infastidiva Nick, che era il primo ad affibbiare nomignoli odiosi.
                -Nella mia vasca da bagno- rispose sorridendo malizioso, sperando di solleticare la sua curiosità. Fallì miseramente, ma solo perché tale curiosità fu attirata dal passeggino rosa e ammaccato che aveva portato con sé.
                -Hai ripreso la vecchia attività?- Butch si sporse sul passeggino e, notando il cucciolo, indicandolo con un grosso dito chiese: -È tua, la caccola?

______________________________________________________________

Cabina del Capitano:
Ecco il nono, come promesso. Un po' meglio? Si spera... Ma siamo a quel punto critico della storia in cui tutto è sul punto di concludersi e va allo sfacelo. Spero di riuscire a mantenere alto il vostro livello di attenzione, posso farlo quando recito, quando scrivo ci sto ancora lavorando.
Alcuni appunti: l'EE del capitolo 7 che ho dimenticato di rivelare era il nome di Nike, la pipistrellina: è il nome del pipistrello della principessa Luxa della saga Gregor di Suzanne Collins. Leggete, ché fa bene (?); la zuppa alla Judy l'ho benevolmente rubata a Elis_06, mentre Butch è il personaggio che Redferne mi ha chiesto di inserire in qualche modo come ricompensa per aver indovinato un EE. I nomignoli, visto che brava? "Caccola" non è il migliore a cui potessi pensare, ma è stato il primo e l'unico che mi è venuto in mente, mi sono spremuta le meningi, ma era il solo che il mio cervello fuso riuscisse a partorire. Oh beh, peggio per Ron.
Non disperate, nei prossimi capitoli si avranno delle svolte, lo prometto.
BD
P.S. Alcuni di voi hanno riletto la scena del settimo capitolo di cui parlavo con la musica adatta? :3

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Philosophy ***


Philosophy
Easter eggs n° 3               

Ogni girono che passava, da più di trent’anni Rocky si chiedeva perché lui e sua sorella avessero scelto di andare a vivere a Sahara Square. Erano cani adatti ad ambienti freddi, la loro pelliccia non era fatta per sopportare quel caldo che, quando si rompeva il condizionatore come in quel momento, non lasciava scampo a nessuno. Era sdraiato sul divano e sorseggiava una bottiglia di soda ghiacciata – Adrien era stata categorica, non gli avrebbe permesso di bere nemmeno una birra – quando qualcuno bussò alla porta.
                -Rocky, puoi aprire tu?- la voce di Adrien arrivò dalla sua stanza, forse stava mettendo in ordine: era molto disordinata, ma quando non aveva niente da fare per distrarsi si rimboccava le maniche e si dava alle pulizie.
                Il cane grugnì e si alzò con fatica, aprì la porta e inarcò le sopracciglia.
                -Oh, ciao, Alakay.
                -Ciao, Rocky. Posso entrare?- chiese il bufalo torcendosi gli zoccoli a disagio.
                -Se è per la sauna, dovrò cominciare a farmi pagare- lo fece entrare e chiamò sua sorella –Rie, ci sono ospiti!
                Lei sbucò distratta dalla sua camera con un paio di slip in pizzo rosa tra le zampe.
                -Sì, chi è?- quasi non terminò la domanda, trovandosi a pochi metri Alakay che sgranò gli occhi caduti su quell’insolito capo di biancheria. Lanciò gli slip in un punto indefinito della camera, chiuse la porta con un colpo secco e disse a Rocky di far accomodare Alakay mentre lei prendeva qualcosa da bere.
 
                -E l’hai lasciata sola a casa tua sperando che si schiarisca le idee su quello che le hai detto?- fece Butch spingendo il passeggino per cullare Ron Ron.
                -Beh, sì- rispose Nick tra una flessione e l’altra –Credi sia stata una cattiva mossa?
                -Credo che qui l’unico che deve schiarirsi le idee sia tu- disse il rinoceronte facendo una linguaccia al cucciolo attento a non farsi vedere dalla volpe più grande. Il sorriso del piccolo gli diede una enorme soddisfazione.
                Nick si alzò e si passò un asciugamano sul collo dirigendosi al sacco da boxe, dicendo: -Per questo sono venuto qui. Ma penso che sia meglio stare un po’ lontani, per ora. Sai, per non influenzare le decisioni.
                Butch roteò gli occhi.
                -Influenzare le decisioni? Rosso, sono anni che vi sbavate dietro a vicenda e siete gli unici che non se ne accorgono. Io ho già comprato il vestito per il vostro matrimonio e non sono l’unico.
                -Davvero?
                -Penso che sappiate già cosa volete, ma siete convinti di non saperlo- tagliò corto il più vecchio –Forse l’arrivo di questa caccola può aiutarvi a darvi una mossa. A proposito, non sei curioso di sapere di chi è figlio?
                Sentendo quelle parole Nick inciampò sulle sue stesse zampe e mancò un pugno sul sacco.
                -Sì, ma non mi sono mosso più di tanto per scoprirlo- rispose grattandosi la nuca –Insomma, non è facile scoprirlo, avendo solo suoi campioni di DNA. Servirebbero anche quelli di un genitore.
                Butch annuì distrattamente e riprese a giocherellare col cucciolo, Nick lo osservò per qualche secondo e pensò che forse potevano esserci campioni di DNA della madre di Ron Ron nella cesta: le coperte le aveva lavate. Strinse le fasce attorno alle zampe e riprese a colpire il sacco, decidendo che avrebbe portato la cesta alla scientifica.
 
                Bogo era andato di persona a Sahara Square per informare gli investigatori Simo che la scientifica aveva scoperto di chi era il DNA trovato nel padiglione prima di quanto avrebbero pensato.
                -Che fortuna schifosa, Wilde- commentò, ma Adrien non sapeva se quella di Nick si trattasse di fortuna o solo di una serie di sfortunati eventi.
                Ad ogni modo, aveva pensato di portare i risultati a Rocky ed Adrien e non al diretto interessato perché aveva appurato che la scoperta lo avrebbe solo confuso più di quanto già non fosse. Passò la cartella ad Adrien che, una volta che l’ebbe aperta, rimase alquanto colpita.
                -Robin Wilde?
                -Il sangue è del padre di Nick?- fece Rocky –Ma...
                -Già- disse Alakay –Ha stupito un po’ tutti, ma non più di tanto. Si sarà ferito mentre si aggirava nel padiglione per sistemarlo.
                -Questo non ci porta da nessuna parte- mugugnò Adrien affondando il muso tra le zampe –Come faremo a dirlo a Nicholas?
                Glielo dissero per telefono e lui si mostrò piuttosto apatico. Probabilmente se lo aspettava o forse niente più lo stupiva, fatto sta che quando riattaccò nel salotto dei Simo calò il silenzio. Erano ad un vicolo cieco. Non c’erano altri testimoni, nessuna prova, niente.
                Rocky, che si mostrava sempre con qualche rotella fuori posto ma che in realtà sapeva il fatto suo, con la scusa di andare a fare la spesa lasciò soli Alakay e Adrien, con grosso disappunto di questa e imbarazzo dell’altro.
                -Allora...- cominciò il bufalo, seduto di fronte a lei –Ne hai tanti, di quelli?
                Lei inarcò un sopracciglio.
                -Li ho tutti così.
                -Oh, capisco- deglutì.
 
                Nick era tornato a casa da qualche minuto, quando arrivò la telefonata di Bogo che gli faceva sapere i risultati del test del DNA ritrovato nel padiglione.
                -Va bene, grazie. È stato molto gentile. Okay, sto zitto- riattaccò e si buttò sul divano, stremato.
                -Chi era?- chiese Judy alle sue spalle.
                -Bogo. Il sangue nel padiglione era di mio padre.
                -Oh.
                -Già- si voltò di scatto –Hai finito, in bagno? Ho bisogno di una doc...- Judy era lì, davanti a lui, avvolta in un asciugamano azzurro e con il pelo bagnato. Si chiese se Gatticelli si fosse lasciato scappare Venere dal suo dipinto e si accorse troppo tardi di essere rimasto con la bocca spalancata e gli occhi sgranati più di quanto avrebbe voluto.
                -Ehm, sì. Puoi fare la tua doccia. A Ron penso io.
                Una volta sotto l’acqua calda, Nick cercò di mettere ordine ai suoi pensieri, senza successo. Provò a girare la manopola e quando l’acqua ghiacciata lo colpì con un getto senza pietà trattenne il respiro, ma non si spostò.
                Doveva portare la cesta alla scientifica. Doveva scoprire chi lo stava facendo impazzire, lo stesso individuo che aveva ucciso suo padre. E doveva mettere le cose in chiaro con Judy. Gli girava la testa, ma doveva concedere a Judy che l’acqua fredda aiutava a pensare. Uscì dalla doccia dopo pochi minuti, fresco e pulito, per non rischiare che gli salisse la febbre e chiese a Judy di accompagnarlo in centrale.
                -L’identità di sua madre?- chiese Judy, colpita.
                -Sì, insomma... potrei scambiare qualche chiacchiera con lei, se riuscissi a trovarla, no? Capire se è sicura di lasciarmi Ron.
                -Pensavo ti fossi deciso a tenerlo.
                -È così, ma voglio sapere perché una madre debba decidere di abbandonare suo figlio. È importante.
                Judy abbassò lo sguardo e annuì. Era importante, lo sapeva. O almeno, lo era per Nick.
                Avevano pensato di lasciare il cucciolo ai Simo, ma nessuno rispondeva al telefono di casa e non avevano cellulari, così lo portarono con loro. Nick spingeva il passeggino, proprio come durante il loro primo incontro, ma ora Judy era accanto a lui e la cosa la faceva sentire a disagio, specialmente perché, fatto alquanto insolito, la volpe tacque per tutto il tragitto, quel sorrisino sornione stampato in volto.
                -Ti va di parlare?- la coniglietta dovette mettere insieme tutto il suo coraggio, per pronunciare quelle poche parole.
                -A te va?- replicò lui, senza staccare lo sguardo dal punto indefinito che fissava da un quarto d’ora.
                -Beh, no, ma...
                -E allora non parlare.
                -Sì. Sì, mi va di parlare- esclamò lei trattenendosi dal puntare le zampe per terra. Diamine, quanto era odioso! Perché teneva tanto a parlarci, se lui non si sforzava nemmeno di intrattenere una conversazione seria?
                -Okay- Nick si fermò e si girò per guardarla –Quale argomento ti preme tanto discutere, Carotina?
                -E me lo chiedi? È da stamattina che ti comporti in maniera... ambigua!
                -Ambigua? Credevo ci fossi abituata.
                -E lo sono, ma fino ad un certo punto. Oggi hai detto una cosa che mi ha lasciato parecchio perplessa.
                -Il bagno ha funzionato, allora. Non ringraziarmi- detto questo, Nick si rimise in cammino e Judy lo seguì imperterrita.
                -Nick, ascoltami!- dovette trattenersi dal gridarlo per strada –Qual è il tuo problema? Perché non vuoi ascoltarmi?
                Di nuovo, Nick si fermò, si abbassò puntando le zampe sulle ginocchia e sfiorò il nasino di lei col suo tartufo, poi mormorò: -Ma io voglio ascoltarti, Carotina. Solo, non è questo il momento di parlare di ciò che è successo stamattina. Ero spaventato e mi sono lasciato prendere la mano, ma ora ho la mente lucida. E le priorità sono altre. Con tutto il rispetto.
                Detto questo si rimise dritto ed entrò dalla porta principale della centrale; Judy non si era accorta che erano arrivati. Lo seguì, meno convinta di prima e sentendo la rabbia che le faceva ribollire il sangue: Le priorità sono altre. L’aveva messa da parte. Per la prima volta, da quando erano diventati amici, Nick Wilde aveva messo da parte Judy Hopps, oltre suo padre e oltre suo figlio. Appurato ciò si sentì uno schifo: ovvio che lei venisse dopo quelle due figure, per Nick erano importanti tanto quanto lei, se non di più. E allora perché la cosa la offendeva tanto? Non teneva forse anche lei così tanto ai suoi genitori? Se fosse successo loro qualcosa e avesse dovuto scegliere tra salvarli e mantenere l’amicizia con Nick, non avrebbe optato per la prima opzione? Era naturale. O forse no, forse era normale, non naturale. Normale che qualcuno scegliesse la sua famiglia prima di tutto. Naturale che un animale scegliesse... scegliesse cosa? Il partner? Mandare all’aria millenni di evoluzione per tornare veri e propri animali e seguire non più il cuore, ma l’istinto.
                -È Aristotele, vedi?- Nick la guardò attraverso i piccoli occhiali da lettura che lei trovava tanto buffi e la invitò ad avvicinarsi. Lei si sedette sulla poltrona con lui e lesse le pagine di quel libro che a quanto pare trattava di filosofia.
                -Sosteneva la teoria dell’anima tripartita- continuò la volpe -Ciascuno di noi è dotato di un’anima vegetale, che è quella che ci permette di vivere, come delle piante; un’anima animale, quella dell’istinto, che permane in noi nonostante ci siamo evoluti; e quella razionale, dell’intelletto e della ragione che ci distingue dai nostri antenati, dotati solo delle prime due anime. Non è affascinante?
                -Credo di sì- rispose lei, che non capiva molto bene tutte quelle chiacchiere filosofiche.
                -Secoli fa un gruppo di poeti si basò su quest’idea dell’anima tripartita, per arrivare alla conclusione, con le loro poesie d’amore, che se ti innamori l’anima animale prende il sopravvento su quella razionale che viene annientata e non riesci più a pensare razionalmente, puoi solo seguire l’istinto.
                -L’istinto... che è quindi spinto dall’amore che provi?
                -Esattamente!- Nick era euforico, amava tutte quelle parole che a Judy facevano solo girare la testa. Di colpo, il suo sorriso entusiasta divenne mesto.
                -Già... che cavolata, eh?- disse, chiudendo il libro e posando gli occhiali.
                -No!- concluse Judy a voce alta, facendo prendere un colpo a Clawhauser.
                -Judy, tutto bene?- si preoccupò il grosso leopardo, mentre cercava di recuperare una ciambella caduta sotto la scrivania dopo che la coniglietta l’aveva fatto saltare in aria.
                -Sì. Cioè, no. Dov’è Nick?
                -L’ho visto andare verso l’ascensore- rispose lui indicandole la strada –Aveva un passeggino, cosa succede?
                -Okay, grazie!- corse verso l’ascensore ignorando quella domanda e lasciando Benjamin solo, ignaro di tutto e confuso, in compagnia solo della sua ciambella impolverata.
                Si infilò in tempo nel vano ascensore prima che le porte si chiudessero e tacque accanto a Nick.
                -Che fine avevi fatto?- le chiese.
                -Non mi hai aspettata.
                -Avevo fretta.
                Ancora una volta calò il silenzio e Judy ripensò a quel ricordo che le era tornato in mente. Risaliva a pochi mesi prima e non aveva dato molto peso alle parole di Nick o Aristotele o chiunque le avesse dette. Ma ora aveva capito e sperava che, una volta finito tutto, capisse anche Nick.
                Mai l’ascensore era stato tanto lento e mai Judy aveva desiderato che arrivasse al piano come nel momento in cui Nick cominciò a canticchiare.
                -Love in an elevator…
                -Nick.
-Livin’ it up when I’m going down!
-Nick, taci.
-Love in an elevator!
-Nick!
La volpe ridacchiò e uscì spingendo il passeggino e trasportando la cesta fino ad un tavolo di acciaio. A pochi metri, su uno sgabello girevole, stava seduto un giovane opossum dal pelo grigio-bianco scompigliato che indossava un camice troppo grande per lui e leggeva un fumetto. Nick richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di tosse, l’opossum si riscosse, chiuse il fumetto con un colpo secco e si rese disponibile, scusandosi.
                -Carotina, ti presento Matthew Parker, polizia scientifica, il migliore del suo corso in accademia, nonché il più giovane- disse Nick –Sognava di diventare fisico astronomico ed è finito quaggiù a studiare cadaveri, non è ingiusta, la vita?
                Matthew gli fece cenno di tacere e si rivolse a Judy: -Lo lasci perdere, a me piace il mio lavoro. Come posso aiutarvi, agenti?
                La volpe lasciò a Matthew la cesta spiegandogli cosa gli servisse e chiedendogli di chiamarlo quando avesse scoperto qualcosa, poi i due si rimisero sulla strada di casa. Una volta giunti davanti il pianerottolo, qualcosa per terra davanti la porta richiamò la loro attenzione. Nick sperò che non fosse il cucciolo di un qualche mammifero molto piccolo e tirò un sospiro di sollievo quando scoprì che era solo un sigaro. Che ci faceva un sigaro davanti la sua porta?
                -Qualcuno deve averlo buttato e sarà finito in cima alle scale- ipotizzò Judy prendendo in braccio Ron Ron.
                -Perché gettare un sigaro nuovo?- Nick lo prese e lo osservò, aggrottando le sopracciglia -E come c’è finito, qui, se la strada è a tre metri dalla mia porta? Se proprio qualcuno l’ha lanciato, di certo l’ha fatto intenzionalmente.
                Judy non sembrava stupita da quel ritrovamento, ma forse lo sarebbe stata, se Nick avesse detto a voce alta quello che aveva notato: era un Montecristo Cubano.

________________________________________________

Cabina del Capitano:
Un bufalo, un cane di sesso femminile e delle mutande in pizzo. Furry. Sono fuori di testa.
Chiedo scusa per il ritardo, soliti fattacci. Che ve ne pare? Troppo palloso? Magari la parte di Aristotele e di Judy che fa quel ragionamento no sarà di vostro piacimento, ma siccome devo fare la classicista acculturata, assuppatevela ("assupparsi", tipico termine siciliano che sta a significare "accontentarsi", "farsi piacere qualcosa" e non lamentarsene).
Ci stiamo avvicinando alla soluzione dell'enigma, oltre agli EE provate ad arrivare a delle ipotesi, sono curiosa di sapere cosa pensate della situazione.
Sono telegrafica lol.
Aspetto vostre recensioni, ipotesi e EE indovinati, questi tre sono proooooprio facili. Non deludetemi, piccoli cacta.
Ci si legge!
BD

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Lost ***


Lost
Easter Eggs n°: 0

Sei davanti la tv e tua madre continua ad intimarti di andare a letto da un quarto d’ora.
-Ti conviene fare come ti dico, prima che papà torni e ti trovi sveglio- esclama la volpe con tono di rimprovero.
-Ma mamma! Devo fare vedere a papà il modellino che ho costruito!- ti lamenti tu girandoti su un fianco. Hai sempre voluto fare tutto di testa tua.
-Niente “ma”, signorino! Puoi benissimo fargli vedere la nave domani mattina. Fila a letto ora, o non vengo a rimboccarti le coperte.
Ti alzi sbuffando e trascinando la nave in compensato come fosse fatta di cemento, quando suonano alla porta. Un largo sorriso ti dipinge il musetto e corri ad aprire, per trovarti davanti tuo padre in giacca e cravatta, nella zampa sinistra tiene stretta per il manico una ventiquattrore. Non ha il suo solito odore, quello del sigaro che piace a te, è un altro ed è fastidioso. Ignori questo particolare perché non resisti dal mostrargli il modellino della nave, ma qualcosa ti blocca ed è il sangue che gli sgorga copioso dal muso e gli imbratta la camicia bianca. Non l’avevi notato subito a causa della penombra, ma ora una cosa è certa: non stai più sorridendo.
-Che ci fai sveglio a quest’ora?- non usa quasi mai quel tono. È arrabbiato, ma anche preoccupato e sembra si senta in colpa perché l’hai visto ridotto a quel modo.
-Robin- mormora la mamma.
-Non è nulla, Marian. Nicholas, vai a dormire- poche parole, voce atona.
Ti ha chiamato Nicholas, non lo fa mai: di solito ti chiama Nick, Nicky o Tartufo, ma mai col tuo nome intero. Corri in camera tua e chiudi la porta. Hai paura del buio e la lasci sempre socchiusa così da permettere ad uno spiraglio di luce di entrare dalla cucina, ma in questo momento il buio è più rassicurante di qualunque cosa sia successa là fuori. Resti appoggiato alla porta per cercare di cogliere qualche parola. Ti tremano le zampe.
-È stato lui?- chiede la mamma. Sembra sul punto di piangere.
-È tornato e non sembra volersene andare- risponde papà.
-Ma la polizia lo cercava, cosa vuole ancora? Non gli basta quello che ha fatto?
Ora c’è silenzio. Forse si stano abbracciando. Non lo saprai mai e decidi che per quella sera i misteri bastano e avanzano. Hai paura, ma forse, se dormi, passerà tutto. Ti infili nel letto tremando, per terra lasci il modellino.
La mamma non è venuta a rimboccarti le coperte.
 
Nick si svegliò lentamente e si chiese perché non fosse nella sua cameretta, perché non avesse il modellino della nave accanto al letto e perché le coperte non fossero rimboccate. Deglutì a vuoto e, una volta appurato che era nella camera dei suoi genitori, nella sua camera, prese un profondo respiro e si massaggiò le tempie. Aveva un forte mal di testa e si sentiva frastornato, come se si fosse svegliato dopo dieci o undici ore di sonno. C’era qualcosa che non andava. Aveva completamente rimosso quel ricordo e ora il suo subconscio glielo riproponeva come sogno. Ma perché ora, perché così? Si rese conto di star tremando come quella notte, automaticamente si girò per vedere se Ron era lì accanto che dormiva nella sua cesta e il cuore gli guizzò in gola quando non lo vide. Ignorando il mal di testa, si alzò di scatto e si guardò intorno, prese la sveglia che teneva sul comodino. 1.45 pm. Allora aveva davvero dormito tutto quel tempo. Cercò di tranquillizzarsi, probabilmente Ron Ron si era svegliato ed era andato a giocare in giro per casa, o magari Judy era arrivata e non volendolo svegliare l’aveva portato con sé. Forse gli aveva scritto un messaggio. Prese il telefono, sul display comparvero dodici chiamate perse, otto di Judy, tre dei Simo e una di Matthew. Alzandosi e tenendosi la fronte, chiamò Judy, mentre barcollava in giro per la stanza.
-Nick, grazie al cielo!- esclamò Judy –Si può sapere che fine hai fatto?
-Mi sono... svegliato ora- biascicò lui. Aveva la bocca impastata dal sonno, gli veniva da vomitare.
-Lo sento- quel tono di rimprovero era così tremendamente, insopportabilmente simile a quello di sua madre. Avrebbe voluto lanciare il telefono contro il muro.
-Sei passata a prendere Ron?
-Ron?
Fu in quel momento che Nick vide una cosa che avrebbe pagato, pur di non vedere. Tra le lenzuola di Ron c’era un sigaro.
-No, perché me lo chiedi? Non è lì con te?- ora Judy sembrava allarmata e probabilmente lo divenne ancora di più – ma questo Nick non poteva saperlo – quando la volpe lasciò cadere il cellulare per terra provocando un tonfo che risuonò nelle orecchie della coniglietta.
In una frazione di secondo, Nick scorse tra le sue coperte un pezzo di cotone, lo prese e lo annusò, per poi gettarlo di nuovo sul letto, schifato. Cloroformio. Corse in soggiorno dove, con orrore, trovò la porta d’ingresso aperta. Nient’altro sembrava essere stato toccato, chiunque fosse entrato aveva semplicemente forzato la serratura, l’aveva anestetizzato e aveva rapito Ron. Ed era già stato a casa sua quel pomeriggio, il sigaro era il suo marchio. Corse di nuovo in camera per prendere il telefono e non seppe perché, forse sperava disperatamente di sbagliarsi, ma osservò quale tipo di sigaro fosse e i suoi presentimenti si rivelarono fondati: Montecristo Cubano anche quello. Judy stava richiamando proprio in quel momento, rispose senza lasciarle il tempo di parlare: -Judy, ha rapito Ron.
-Cosa? Chi?
-Il tipo del sigaro, mi ha anestetizzato e l’ha preso- le parole gli uscivano dalla bocca come l’acqua da un fiume in piena, aveva il fiato corto ma non riusciva a prendere boccate d’aria –Cosa faccio?
Judy sapeva che se fosse uscito di casa in quel momento Nick si sarebbe perso come un cucciolo o avrebbe picchiato qualcuno come un pazzo maniaco, senza vie di mezzo, perciò cercò di mettere ordine ai suoi pensieri e di mantenere la voce calma: -Resta lì, chiamo la polizia e vengo.
-No, non la polizia!- scattò Nick, come se il colpevole della sparizione di Ron fosse lui e avesse paura degli agenti in divisa blu –Chiama i Simo. Bogo, al massimo.
Perché volesse Bogo, questo Judy non lo sapeva, ma obbedì. Spiegò velocemente la situazione a Rocky e scoprì che il capitano era già lì a casa dei due cani, decise che quello non era il momento di fare domande. Una ventina di minuti dopo erano tutti a casa di Nick, che faceva avanti e indietro davanti al suo letto mangiucchiandosi gli artigli. Era tanto preso da quello che era successo che aveva persino dimenticato di indossare una maglietta.
-Chi può essere stato?- chiese Adrien, preoccupata tanto quanto la volpe.
-Lui- rispose secco Nick lanciando un’occhiata al sigaro –Chiunque sia, lui. Quello che ha lasciato un sigaro davanti la mia porta questo pomeriggio, quello che ha picchiato mio padre nel padiglione, quello che l’ha ucciso. È stato lui.
-Come fai a saperlo?- chiese Judy.
-Non lo so!- sbottò lui –Non lo so, so solo che è stato lui.
-Una cosa è certa- disse Rocky sbucando in quel momento dal salotto con  il pomello di una porta in mano –E cioè che ieri pomeriggio non è stato qua solo per lasciarti quel regalino. Ha manomesso la serratura, pensavi di aver chiuso la porta per la notte, ma lui è potuto entrare senza fare troppo rumore.
-Quindi il campo si restringe ai mammiferi capaci di manomettere serrature e che probabilmente vedono al buio- concluse Bogo con tono ironico –Siamo a buon punto.
-Mi viene in mente Edward Ipkiss- buttò là Adrien. Questi era un procione la cui fedina penale era paragonabile a quella di Nick e che era molto famoso tra i membri della polizia di Zootropolis, nonché di quella internazionale. Nick e Judy avevano avuto modo di conoscerlo tempo prima, se il loro incontro fosse stato piacevole o meno, questa è un’altra storia.
                -Quel tipo trent’anni fa ciucciava ancora il latte dalla tetta della mamma- borbottò Nick a denti stretti –E comunque non avrebbe motivo di rapire Ron. In fin dei conti è un alleato.
                -Lui è un alleato- ripeté Rocky –ma avrai pure dei nemici che lo farebbero, no?
                -Nemmeno questo restringerebbe il campo, Rocky- commentò la volpe riprendendo a camminare avanti e indietro. In ogni caso chi avrebbe saputo di Ron? Era stato visto in giro col passeggino, forse qualche malintenzionato l’aveva adocchiato. Dubitava che Finnick avesse parlato: era uno stronzo, ma non gli avrebbe fatto questo solo per soldi, dopotutto avevano vissuto insieme per tanti anni e non erano stati solo partner, ma amici.
                Sospirò passandosi una zampa fra le orecchie, in preda all’angoscia. Teneva ancora stretto tra le dita il sigaro, lo osservò per alcuni secondi e corrugò le sopracciglia. Senza dire una parola si diresse in cucina lasciando gli altri in camera e confusi, aprì tutti i cassetti e vi frugò dentro – tagliandosi con un coltello, infilò il dito in bocca in cui sentì il sapore del proprio sangue – finché non trovò due pacchi di fiammiferi, gettò alle sue spalle quello vuoto e ne afferrò uno in cui ne erano rimasti tre, il primo che grattò sul piano cottura si spezzò, lui ringhiò e grattò l’altro che si accese e che utilizzò per accendere il sigaro. Sotto gli occhi stupiti di Judy, che l’aveva raggiunto, e digrignando i denti per il fastidio che gli dava, diede un tiro e tossì subito dopo, ma annusò l’aria attorno a lui.
                Inspirò a fondo.
                Gli venne la nausea.
 
                Bussano alla porta, guardi l’orologio: è presto perché torni papà. Va ad aprire mamma, da quando papà è tornato conciato in quel modo, tre giorni fa, ti hanno entrambi proibito di aprire la porta. Guarda dallo spioncino, anche quella è un’abitudine che ha preso da quel giorno. Mamma resta immobile per qualche secondo, poi si gira lentamente e guardando per terra, in un soffio, ti ordina: -Vai in camera tua e non uscire finché non te lo dico io.
                Tu obbedisci, non osi fare il contrario dopo quello che è successo, ma hai il terrore che papà si sia di nuovo fatto male, quindi accosti la porta della tua stanza e cerchi di vedere il più possibile dallo spiraglio. Hai la vista sul tavolo della cucina.
                Senti mamma aprire la porta e mormorare un secco: -Che ci fai qui?
                -Quale accoglienza, mia cara- non è la voce calda e rassicurante di papà: è quella di un maschio, ma è sottile e pungente, affilata come un coltello, hai l’impressione che possa tagliarti le orecchie –Non mi inviti a entrare?
                -Potrei impedirtelo?
                -Conosciamo entrambi la risposta- la sua calma e docile sicurezza ti mette addosso un’inquietudine che non ti dà pace dalla prima parola che ha pronunciato. Li vedi entrare ma non sedersi al tavolo, restano là in piedi davanti ai tuoi occhi, lui ha le zampe lungo i fianchi, lei le tiene incrociate sul petto. È una volpe e tu vorresti sbagliarti, ma è identico a papà.
                -Dov’è Robin?- chiede il nuovo arrivato guardandosi intorno con movimenti lenti e calmi.
                -Sei stato tu- quella di mamma non è una domanda e tu sai che si riferisce a chi ha fatto del male a papà
                -A fare cosa?- sta sorridendo, lo senti dal suo tono di voce.
                -Lo sai. Tre giorni fa. Al padiglione.
                -Conosci anche la risposta a questa domanda, Marian- si limita a dire lui –Dimmi, piuttosto: tu come stai? E il pargolo?
                -Come fai a sapere di Nick?- ora mamma sembra allarmata.
                Lui si fruga nella tasca del cappotto nero e ne esce una scatolina, la apre per prendere un sigaro uguale a quelli che fuma papà e lo accende. Non ci vuole molto perché il suo odore, così fastidioso in confronto a quello dei sigari di papà, ti giunga alle narici con insistenza.
                -Le notizie girano, Marian- risponde la volpe con sufficienza –E non pensare che non mi informi su di voi.
                -Ci spii?
                -Non io. Qualcuno. Per me. Ma non devi avere paura, dolcezza- lo vedi allungare una zampa verso il muso della mamma, ma lei si scansa –Non ne hai, vedo. Sei cambiata, sei più sicura di te. Saresti disposta a sfidarmi per salvare tuo marito o tuo figlio. E la cosa non mi piace.
                -Impara a fartela piacere, Thomas. Non sono più una ragazzina.
                -No, certo. Ma sai, io non mi accontento, se voglio una cosa devo averla a tutti i costi. Questo lo capisci, Marian?
                -Cosa vuoi? Non sono più alla tua mercé- la voce di mamma non trema come quando è preoccupata.
                -No, non te. Non più. Non in quel senso.
                Nessuno dice altro, cala il silenzio, senti Thomas tirare su col naso e dirigersi alla porta. Mamma non lo segue per aprirla, prima di chiudersela alle spalle la volpe aggiunge: -Ma arriveremo anche a questo.
                Mamma resta sola. Solo adesso si accascia su una sedia e si prende il muso tra le zampe, disperata.
Vorresti sapere cosa sta succedendo, vorresti tranquillizzarla.
Lo vorresti davvero tanto.
 
Nick sbatté ripetutamente le palpebre e guardò Judy, che gli si era avvicinata, poi gli altri tre, che chissà da quanto lo osservavano.
-Stai bene?- chiese la coniglietta, preoccupata –Hai fissato il vuoto per alcuni secondi e non mi hai risposto più.
-So chi è- sillabò con voce tremante.
-Come?
-So chi è stato. Ad uccidere mio padre e rapire Ron. Dobbiamo andare- agguantò una felpa blu lasciata su una sedia e corse verso la porta di casa, gli altri quattro lo seguirono senza proferire parola. Judy sapeva che questa volta c’erano arrivati. Se lo sentiva, sapeva che Nick non poteva avere torto: se diceva di saperlo, potevano star certi che fosse così.
Seguendo le indicazioni della volpe, Judy guidò fino al padiglione in periferia, durante il tragitto lei, Bogo e i Simo si fecero spiegare cosa gli fosse preso.
-Si chiama Thomas- cominciò Nick –Ma non conosco il cognome. Mia madre lo conosceva, ecco perché non ha voluto che le indagini terminassero, sapeva che è stato lui a uccidere mio padre.
-Era un amico di famiglia? Un parente?- chiese il capitano.
-Non si direbbe. O almeno, non ne ho idea, ma di certo non andavano d’accordo.
-Come fai a saperlo?- domandò Judy senza staccare gli occhi dalla strada.
-Il sigaro. L’odore mi ricordava qualcosa, ma non sapevo cosa. Ero troppo piccolo, è come quando riconosci un odore ma non sai quando e dove l’hai sentito. Risentirlo con la stessa intensità di quella volta che Thomas è venuto a casa mia ha come risvegliato in me il ricordo che avevo cancellato.
-Il Montecristo cubano?- chiese Adrien.
-Era questo il dettaglio che mi sfuggiva- riprese la volpe –Nel rapporto avevate scritto che il sigaro trovato sulla scena del crimine era cubano ed era così, giusto?
-Certo.
-Io ero convinto aveste fatto un errore, perché mio padre fumava il non cubano. Ma mi sbagliavo, il sigaro ritrovato era di Thomas, non di mio padre.
-Nick- intervenne Judy.
-Che c’è?
-Non sai perché tua madre abbia lasciato che Thomas l’avesse vinta. Deve esserci un motivo.
-Lo scoprirò oggi- tagliò corto lui. Judy decise di non insistere: era troppo determinato a finirla là.
-Sono certo che abbia lui Ron Ron e che sia al padiglione- continuò –È quello che vuole, attirarmi lì. Non so perché, ma è il momento di capirlo.
Quando arrivarono, lui fece per entrare di corsa, ma Rocky lo trattenne per la spalla.
-Non facciamo mosse avventate- disse –Se è qui e ha il cucciolo di certo non ha buone intenzioni.
Entrarono cautamente, Bogo per primo, poi Judy e Nick e infine Rocky e Adrien, le pistole strette tra le zampe. L’aria era fredda e odorava di vecchio, ma si percepiva anche un leggero residuo dell’odore del sigaro.
-Thomas!- chiamò Nick –So che sei qui. Volevi me, hai fatto di tutto per attirarmi qui. Ora ci sono. Vieni fuori!
Nessuno rispose, ma il silenzio venne interrotto dal verso strozzato di un cucciolo: -?
Nick trattenne il fiato e così fece anche Judy.
-Ron Ron?- esclamò la coniglietta –Ron Ron, dove sei?
-Ah, è così che si chiama, allora- disse una voce graffiante che risuonò nel rimbombo del grande spazio. I cinque puntarono le pistole in punti diversi, all’erta.
-Che nome buffo, avrei detto glielo cambiassi in “Robin”- continuò la voce. Nick sapeva che era quella di Thomas.
-Fatti vedere!- quasi ringhiò Nick –Dove hai messo Ron?
-Oh, lui sta bene- rispose Thomas –Io mi preoccuperei per te.
Thomas sbucò con la sua andatura molleggiante dall’impalcatura su cui era salito Nick il giorno prima e quando lo videro, a quattro metri da terra, a Judy e Nick gelò il sangue nelle vene: lui pensò che era identico a suo padre; lei che era identico a Nick.

__________________________________________________________________________

Cabina del Capitano:
E il premio per la categoria suspense va a... Berry Depp!
*Applausi*
Grazi, grazie, troppo buoni. Dico davvero, Dio solo sa quanto ancora dovrete aspettare per sapere come continua la storia, data la mia fama per la pubblicazione sconnessa. Eheh. Mi sento in colpa.
Comunque, che ve ne pare? Ricordi, flasback, colpi di scena... come trovate che sia il ritmo, adeguato? Fatemi sapere, io cercherò di non tenervi sulle spine troppo a lungo, visto che ormai... *rullo di tamburi* ...ci siamo.
Olè. Ci si legge. Cià.
BD

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3534913