In Another Life~Anime Gemelle

di AvversarioCasuale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


-Sembri teso- disse Francis, dopo che Arthur era sussultato quando si era seduto sulla panchina nel parco della scuola accanto a lui.
-Lo sai perché- rispose Arthur scontroso -dovresti esserlo anche tu. Domani potrebbe essere il giorno più importante della tua vita-
Francis annuì, senza molta convinzione. Arthur si faceva assalire troppo dall'agitazione, ecco tutto. Il giorno seguente non sarebbe stato nulla di diverso dal solito: ne sarebbe uscito solo con un tatuaggio in più sulla pelle.
-Ti ho sempre fatto più romantico- commentò Arthur, adesso più rilassato. Il francese si strinse nelle spalle
-Vero. Io amo l'amore. Quello che non amo é un tatuaggio che mi dica chi amare- disse, voltandosi verso l'amico. Seguì un silenzio che minacciava di essere uno di quelli lunghi e carichi di imbarazzo. Invece Arthur scoppiò a ridere. -Non riesco a capire se quella era una delle tue solite cazzate o una cosa profonda-
Francis scosse la testa con fare drammaticamente ferito -Come puoi dire questo? Era ovviamente...una cazzata- Quando incominciò a ridere assieme ad Arthur si chiese quanto di quello che aveva appena detto fosse sul serio una "cazzata".

◇◇◇◇◇

Le lancette dell'orologio scorrevano troppo velocemente. Sul serio, qualcosa nell'orologio di Berwald doveva essersi rotto. I minuti ticchettavano via più veloci dei secondi, avvicinandolo al suo ineluttabile destino. Lo squillo acuto della campanella segnò la fine dell'ora e della giornata scolastica e i ragazzi iniziarono a riversarsi pigramente nel cortile e poi fuori dal cancello. Il ragazzo ricordava con nostalgia l'ultimo anno trascorso in quella scuola, ormai due inverni fa, prima che la sua vita diventasse così complicata. Così complicata, e solo per colpa di un piccolo tatuaggio....
-Berwald!...Ber!- la voce troppo acuta di Tino lo riportò alla realtà, come a sottolineare le cose complicate a cui pensava solo un attimo prima. Quel ragazzo era la fonte e la soluzione di tutti i problemi della sua vita. O meglio, ne sarebbe stato la soluzione se solo Berwald fosse stato meno codardo...
Tino era solo due anni più piccolo di lui, anche se sembrava esserci un divario di età molto maggiore. Be' a dire il vero non era solo colpa della corporatura smilza del minore: Berwald era una buona spanna più alto di ogni altro ragazzo e la sua espressione naturalmente corrucciata lo facevano sembrare molto più vecchio dei 20 anni che realmente aveva.
-Grazie per essere passato a perdermi- disse Tino -avevo proprio voglia di stare con te, oggi-
Berwald non disse nulla, ma lanciò al ragazzo uno sguardo interrogativo: non aveva mai amato adoperare le parole se non era strettamente necessario e ormai questo Tino lo aveva capito perché non fu affatto intimorito come chiunque altro dalla sua occhiata.
-Sai, domani riceveremo i nostri tatuaggi..-Tino si fermò, apparentemente insicuro su cosa dire -Visto che tu ci sei già passato, forse potevi raccontarmi come funziona. Cosa si prova-
Berwald si accigliò -Avresti potuto chiederlo a Mathias- sottolineò. Berwald e Mathias erano stati compagni di corso e avevano quindi la stessa età. Mathias tra i due era sempre stato quello più aperto, certamente più indicato per rassicurazioni di quel genere: sul piano emotivo e sentimentale Berwald combinava più guai di quanto fosse pronto ad ammettere perfino con se stesso e Tino ne era una prova. Se solo avesse potuto dirgli che il suo sogno più grande era quello che sulla pelle di Tino apparisse il segno indelebile che erano destinati a stare insieme, che il loro amore non fosse solo nella sua mente. No, non poteva certo permettersi di rassicurare qualcuno nello stato di angoscia in cui lui stesso versava.
Ma questo Tino non lo sapeva e lesse il suo commento come disinteresse, forse addirittura poca volontà di aiutarlo.
Le sue guance si tinsero di rosso mentre rispose -Mi dispiace averti disturbato. Certo, posso chiamare...Mathias-
All'esterno l'espressione di Berwald non cambio, ma il suo cuore sprofondo. Non era mai stato bravo con le parole né con l'esprimere i suoi sentimenti ma in qualche modo Tino aveva sempre compensato riuscendo ad intuire quello che pensava o provava. Be' quasi sempre. Mai aveva scoperto la verità sul tatuaggio che portava sul polso o dei sentimenti che nel profondo del cuore aveva sempre provato per lui. Ad ogni modo questa volta sentì che neanche Tino era riuscito a decifrare il suo codice di occhiate truci e parole contate, ed era stato frainteso. Berwald non era sicuro che sarebbe stato in grado di chiarire il malinteso e probabilmente avrebbe lasciato cadere la questione senza opporsi lasciando andare via Tino ancora una volta.
-A me- tentò, guardandosi le scarpe -non dispiacerebbe affatto parlartene ancora, anche te l'ho già raccontato moltissime volte, non è vero? -
Tino annuì, ogni traccia di tristezza sparita dal suo volto - sì, ma stavolta voglio sapere tutti i dettagli!-

Angolo Autrice
​Questa è la mia prima storia long e di tipo romantico, quindi sarei felicissima di leggere le vostre recensioni positive e negative! Ho messo il rating giallo ma penso che anche il verde poteva bastare, ma volevo essere sicura.
​Cercherò di aggiornare in modo abbastanza regolare, ma la scuola mi occupa molto tempo. Comunque i prossimi capitoli saranno più lunghi di questo.
​Spero vi sia piaciuta. Ciao a tutti!
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Camminare al fianco di Arthur verso casa non era mai stato così stressante: il ragazzo non faceva che borbottare e mordicchiarsi le unghie fino a farsi sanguinare le dita.
-Potresti smetterla, s'il te plaît ? - chiese lasciandosi sfuggire un frammento della sua lingua madre che trapelava raramente dal suo accento se non aveva intensione di mostrarlo. Con Arthur peró si sentiva libero di parlare senza particolari accortezze anche se, essendo un ragazzo nato e cresciuto in America e di ascendenza inglese, dubitava che capisse più di un paio di parole in francese.
-Scusa- rispose l'altro - è che non riesco ad essere stramaledettamene calmo come lo sei tu-
Francis scrollò le spalle.
-Non ne hai idea?- chiese  dopo qualche passo camminato in silenzio. Gli occhi verdi di Arthur lo scrutarono interrogativo per qualche istante. -Cosa intendi?-
-A proposito di domani- chiarificò - hai nessuna idea di chi sarà il nome?
Se solo tu provassi a concentrarti su dei possibili candidati, magari il responso di domani non sarà così inatteso-
Arthur scosse la testa -Il problema è esattamente questo, Francis! Io credo di sapere quale nome leggerò scritto da domani per tutti i giorni della mia vita-un momento di silenzio chiuse questa frase, periodo di tempo in cui Arthur riordinò i pensieri -e non sono sicuro che sia la persona adatta a me- lo sguardo di Arthur era fisso sul terreno e analizzava con interesse le crepe che incrociavano lungo la strada.
-E tu?- chiese per rompere il rumoroso silenzio che li divideva.
-Cosa ti ho detto, mon ami ? Non lascerò la mia vita decisa da sei lettere qualsiasi-
-Sei?- chiese l'altro d'un tratto partecipe.
-Dicevo per dire- si difese lui, affannandosi per trovare un modo per spostare il centro della conversazione lontano da lui. Il ragazzo sentiva ardere dentro di lui il desiderio di chiedere ad Arthur l'identità della persona che aveva menzionato prima ma sapeva che non avrebbe ricevuto una risposta.
-Perché credi che non sarebbe la persona adatta a te?- chiese allora, scoprendosi parimenti interessato anche a questa risposta.
Fu il turno di Arthur di stringersi nelle spalle. -Non penso di essere ricambiato, o che mai lo sarò. Penso che il suo genere di ragazzi siano più...be' più fichi di me- disse con un mezzo sorriso, nel tentativo di allentare la tensione.  Il breve silenzio fu rotto nuovamente dal ragazzo che salutò Francis e si incamminò lungo il vialetto di casa sua.
Il francese rimase ad osservare la direzione in cui era sparito, rimuginando sulla loro discussione e si ritrovò alla fine a parlare con il vento che era rimasto a fargli compagnia.
-Io ti trovo figo, Arthur-

 

-Facciamo una scommessa- propose Gilbert -altrimenti domani rischierò di annoiarmi a morte-
Francis sospirò. Era chiaro che lui non la prendeva affatto come una cosa seria. Lui e Gilbert, insieme ad Antonio e Lovino, erano stati grandi amici da quando il francese ricordasse, ma a volte il suo comportamento riusciva ancora a dargli fastidio.
E poi la scommessa che proponeva non sarebbe stata divertente visto il suo esito scontato.
-Andiamo Gilbert, lo sappiamo tutti che l'anima gemella di Antonio è Lovino- commentò suscitando l'ira del ragazzo che arrossì violentemente e iniziò ad urlare verso Francis. Antonio d'altro canto non fece che ridacchiare e allontanarsi leggermente da Lovino che, agitandosi e dibattendosi, rischiava inavvertitamente di colpirlo.
Gilbert si strinse nelle spalle, prendendo un altro sorso dalla birra che aveva di fronte.
-Lovino calmati- si intromise quindi Antonio -Non c'è motivo di arrabbiarsi: penso proprio che abbia ragione- quindi si piegò in avanti e, attento a non farsi colpire dagli arti del ragazzo che volavano in ogni direzione, gli lasciò un veloce bacio sulla guancia. Questo servì solamente a farlo arrabbiare ancora di più, cosa che scatenò le risate di tutti i presenti.
Lui e Antonio cercavano di divertirsi con i loro amici ma sentivano entrambi un'angoscia crescente per il giorno successivo che si avvicinava. All'inizio dell'ultimo anno scolastico, esattamente il primo sabato, tutti gli studenti in procinto di compiere 18 anni, e quindi che frequentavano l'ultimo anno, erano chiamati a partecipare ad una cerimonia. Cerimonia era un termine eccesivo secondo Francis che l'avrebbe definito qualcosa a metà tra un test e un'assemblea. Tutti gli studenti di quell'anno venivano radunati in una sala, solitamente la mensa, e uno per uno venivano ricevuti in privato da un medico che gli iniettava una particolare sostanza di cui lui ignorava la natura. Questa ad ogni modo reagiva con la pelle del soggetto innescando una reazione che portava alla formazione di una scritta -che appariva con un leggero bruciore come avevano affermato decine di volte Gilbert e Lovino- su una parte variabile del corpo in modo del tutto casuale, era infatti determinato alla nascita come poteva esserlo in neo, in cui si leggeva il nome dell'anima gemella di chi veniva testato: la persona cioè con cui si aveva più affinità, la persona migliore per lui e con cui quindi solitamente non si poteva evitare di innamorarsi. Qualunque cosa potesse sostenere con Arthur, non sarebbe mai riuscito a convincere se stesso che non fosse una cosa affascinante. Quello che Francis realmente odiava era l'idea che la persona che si sarebbe dimostrata perfetta per lui non fosse stato Arthur.   Non era sicuro di cosa avrebbe fatto in quel caso: sia stare con Arthur che stare senza di lui sembravano sembrate due ipotesi inconciliabili.
-Sei con noi, Francis?- si sentì chiamare da Antonio. Il suo sorriso non si era spento e di questo era grato: vedere Antonio sorridere in ogni circostanza spesso gli faceva venir voglia di sorridere a sua volta.
-Excuse-moi - rispose Francis -non stavo prestando attenzione-
-Lovino e Gilbert ci hanno chiesto se domani condivideremo anche con loro i risultati del test- riassunse il ragazzo castano -sai come hanno fatto loro con noi. Io penso sia una cosa carina, lo farò sicuramente. Dopotutto non ho segreti con il mio Lovino- disse, sporgendosi per ricevere un bacio che non ottenne. -E con il tuo Gilbert- commentò il ragazzo con i capelli bianchi, mimando il tono di voce decisamente troppo smielato di Antonio anche per i canoni di Francis.
-Si certo- rispose Francis a sua volta, spezzando le risposte di Lovino e Antonio e stringendosi nelle spalle -come volete, non ho problemi-
Gilbert e Lovino erano un anno più grandi di Francis e Antonio, quindi avevano fatto il test già l'anno precedente. Il motivo per cui si trovavano a studiare nello stesso corso dei due ragazzi più piccoli era che appena arrivati nella nuova scuola avevano scoperto la loro vocazione: il calcio. Si erano uniti alla squadra del liceo e avevano impiegato così tante energie e tempo da ritrovarsi a fallire l'esame finale dell'anno. Non che dopo quell'episodio abbiano abbandonato la squadra, è ovvio, ma con l'aiuto di Antonio e Francis erano sempre riusciti a passare per poco ogni verifica finale ed arrivare al quinto e definitivo anno non con pochi problemi perché erano stati introdotti anche loro alle meraviglie del pallone, diventando ben presto i quattro giocatori più bravi del liceo.
Appena avevano ricevuto i risultati del test, ad ogni modo, i quattro erano usciti insieme proprio come stavano facendo adesso -e come facevano quasi ogni sera per la verità-  e i due, dopo essere stati sfidati a farlo, avevano urlato nel locale il nome della loro anima gemella (dopo una gran dose rispettivamente di birra e vino per trovarne il coraggio). Tristemente nessuna Elizaveta aveva degnato Gilbert di una replica. Ben diversamente andò a Lovino che fin a qual momento si era comportato in modo normalissimo senza far trapelare alcun indizio, si alzò in piedi e urlò Antonio Fernandez Carriedo rimanendo poi impietrito in attesa della reazione del diretto interessato. I tre stavano ancora elaborando le parole che avevano appena udito, poiché solitamente appare solo il nome della persona designata e non anche il cognome, finché Antonio non si alzò a sua volta mormorando qualcosa a metà tra grazie a Dio ed era ora e lo baciò. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Anche se il cielo si era già fatto scuro da molto tempo Toris si trovava ancora a scuola. In meno di una settimana avrebbero disputato la prima partita del campionato studentesco e non poteva permettersi di rimanere indietro con le programmazioni. La fama dal loro liceo era si era sparsa per tutta l'America: si erano classificati nelle prime due posizioni in tutti i campionati fin da quindici anni prima. L'ultimo dei leader della squadra poi, che aveva finito la scuola due anni prima, era un vicino di casa e amico di Toris, Eduard, che lo aveva istruito su come riempire i moduli e le iscrizioni già da l'anno precedente, farcendo il tutto con incoraggiamenti e in generale una grande pressione per il torneo imminente. In più gli aveva fatto notare che avevano bisogno di fondi per spostarsi nelle trasferte e comprare le attrezzature, adesso che la scuola aveva deciso di iniziare a tagliare le spese partendo proprio dalla squadra. Ed era su questo problema che Toris continuava a interrogarsi da ormai molte ore, mentre controllava che le magliette per i giocatori fossero arrivate, che i moduli fossero stati compilati, il calendario degli incontri e un sacco di altre cose che ormai, grazie all'aiuto che Eduard gli aveva fornito, riusciva a fare meccanicamente.
-Potremmo organizzare una vendita di biscotti- borbottò, scartando subito l'idea -non siamo boyscout. Forse uno spettacolo teatrale, ma non avremmo tempo per provare tra gli allenamenti e la scuola....potremmo far pagare i biglietti agli spettatori forse-
-Non possiamo far pagare i tifosi, Toris- Il ragazzo sussultò, convinto di essere sempre stato solo nella stanza.
-Da quanto sei qui?-
-Dalla geniale idea dei biscotti- Ivan non era il tipo di persona che vorresti vederti spuntare dietro in una scuola deserta e buia, così di colpo. E nemmeno l'abitudine di vederlo ogni giorno poteva impedire a Toris di tremare e sbiancare. Ivan invece non perse il suo sorriso quando si avvicinò e prese la propria maglietta, osservandola.
-Hai u-un 'idea migliore?-domandò ancora spaventato ma anche desideroso di trovare tutto l'aiuto di cui poteva disporre. Si pentì di aver parlato perché ora i freddi occhi di Ivan, sempre così ridenti in modo inquietate, si posarono su di lui.
-Sponsor- disse, prima di esaminare gli scarpini che erano abbinati alla sua tenuta -troviamo un privato che ci finanzi- disse indicando il retro della maglia. -Ho controllato. Non è contro le regole-
-Tu hai- hai controllato?- chiese Toris stupito: non pensava che Ivan tenesse tanto alla squadra da prendersi un tale disturbo. Sorpreso o no, quella notizia arrivò gradita alle orecchie di Toris.
-Hm-hm- disse Ivan, annuendo con la testa. -L'ho fatto. Che ne dici? Ho anche pensato alla persona giusta: tra noi non corre buon sangue, ma potresti parlargli tu-
Gli occhi di Toris si illuminarono per la felicità, tant'è che si dimenticò anche di tremare -Certo, non è un problema per me, hai già fatto abbastanza. Come si chiama?-
-Sono sicuro che tu lo conosca, si tratta di Łukasiewicz- Ivan abbandonò la propria tenuta in maniera scomposta e si incamminò verso la porta -domani dovrebbe essere anche lui al test. Potresti parlagli lì-
Toris annuì. Sentendosi congedato, Ivan era già scomparso nelle tenebre del corridoio quando Toris lo chiamò.  Lui riapparve solo con la testa nel fascio di luce.
-Perché sei da solo stasera?- chiese, già pentendosi della sua curiosità -la sera prima della cerimonia si passa con gli amici-
-Anche tu sei da solo- replicò Ivan. Toris sembrò realizzare solo adesso che ciò era vero, tanto era preso dei preparativi. -Questi impegni erano improrogabili e non volevo annoiare nessun altro a morte con questa roba-
Ivan annuì. -Io invece non ho amici con cui passare la serata- disse Ivan in un tono casuale che non faceva trapelare, se la provava, la sua tristezza. Senza aspettare la replica si confuse ancora con le ombre del corridoio, i suoi passi appena udibili. Toris corse a sua volta verso la porta: il passaggio tra luce e ombra così repentino non aveva permesso ai suoi occhi di adattarsi ma sapeva che Ivan era andato verso destra.
-Aspetta!-urlò -non è un gran che ma puoi rimanere con me e darmi una mano se vuoi- propose alle tenebre.
La risposta di Ivan arrivò da nemmeno mezzo metro lontano da lui. Toris saltò indietro trattenendo a stendo uno strillo: perché Ivan doveva essere sempre così inquietante?
-Sì grazie- rispose semplicemente, regalandogli un largo sorriso meno spaventoso del solito.

◇◇◇◇◇

-Okay Berwald. Sembra facile- disse Tino, alla fine del racconto. Il maggiore annuì -Lo è. Non devi fare nulla se non lasciare che ti iniettino il siero e aspettare-
-Può succedere che il test non dia alcun risultato?-
Berwald annuì -E' molto raro. Ciò non vuol dire che non potresti comunque trovare una persona che ti ami e che tu ami. Devi solo arrivarci per la strada più lunga, senza indizi- Tino annuì ancora, ma non sembrava convinto. Berwald proprio non sapeva che fare per rassicurarlo: iniziava sul serio a crede anche lui che Mathias sarebbe stato una scelta migliore per Tino. Prese un respiro profondo e tentò quello che, secondo i suoi standard, era un discorso accorato.
-Sei una persona splendida Tino. Quando capirai questo, ti renderai anche conto che tutti amano le persone splendide, altruiste e solari come te. Dovrebbero essere stupidi se gli servisse un tatuaggio a capirlo sai? Comunque vadano le cose, per te domani non sarà un problema: chiunque sia la tua anima gemella lo troverai, lo troveremo insieme se servirà, e si innamorerà di te. E se non ne avrai una, allora te ne creerai una per conto tuo. Fidati di me, sono tuo amico, e non dico queste cose alla leggera. Non devi preoccuparti, andrà tutto bene-
Forse perché questo discorso era stato veramente troppo lungo per i canoni di Berwald o forse per le sue parole, Tino era rimasto a fissarlo. Berwald temette che troppa della sua asprezza fosse filtrata suo malgrado: tutto quello che aveva detto era vero, forse anche troppo, perché lui sapeva bene che non sarebbe mai stato il fortunato di cui Tino si sarebbe innamorato. Loro erano amici, lo aveva detto lui stesso. Ma nel profondo del suo cuore Berwald era convinto che andava bene così perché anche far parte della vita di Tino, vederlo ogni giorno, per Berwald era abbastanza- Ma questo non poteva impedirgli di soffrire del fatto che a breve avrebbe visto Tino andar via con qualcun altro, che magari neppure conosceva.
Hai iniziato tu questo gioco ricordò a se stesso mentendogli due anni fa.
-Grazie Ber-disse alla fine -per me significa molto-
Berwald si limitò a sorridere, avendo finito la sua dotazione giornaliera di parole.  I due stettero in silenzio così a lungo che la conversazione sembrava ormai terminata, e fu allora che Tino parlò di nuovo.
-Cosa hai provato quando hai avuto come risultato Mathias, ma hai scoperto che al contrario  la sua anima gemella era Lukas?  - colto alla sprovvista da questa domanda, Berwald impiegò del tempo a organizzare i suoi pensieri. Questa era la bugia di cui si pentiva di più: quando Tino gli aveva chiesto chi fosse la sua anima gemella, terminato il test, Berwald non aveva avuto il coraggio di dire la verità. Mentire dicendo che la risposta era il suo più vecchio amico gli risultò semplice, molto più semplice che correre il rischio di rovinare il rapporto per lui più importante al mondo. Ma Tino non gli diede il tempo di aprire bocca. -non deve essere facile per te, vederli insieme tutti i giorni e sapere che la felicità di Lukas ti è stata rubata, che quello è il posto che il destino aveva riservato per te.-
-Questi discorsi non sono da te, noi cinque siamo amici. E poi sapere che Mathias-Berwald si dovette fermare: il continuare con la sua farsa gli costava sempre più fatica. Sapere che tu sostituì mentalmente, per darsi la forza di continuare la frase. -Sapere che lui è felice per me è abbastanza. Amare non vuol dire forse volere che l'altro sia felice?-
Tino scosse la testa -Probabilmente hai ragione, eppure tu non sembri affatto felice, Berwald-
Berwald iniziava a sentirsi a disagio, e ciò non capitava mai con Tino. Ma queste domande era troppo incalzanti, troppo faticose.
-Non preoccupartene ora. Tu e Mathias, Lukas e suo fratello Emil siete la mia famiglia. Non mi importa perché so che Mathias mi vuole bene. Quando noi cinque siamo insieme mi sembra di non aver bisogno di niente di più -
-Sette- sottolineò Tino -dimentichi Mr.Puffin e Hanatamago-
Berwald annuì.
-Ad ogni modo quella che riceverai domani è solo un'indicazione. Sei libero di non seguirla se non è quello che vuoi e crearti la tua strada se non ti dovesse arrivare nessun indizio-
-Io lo spero- disse Tino. Il ragazzo appoggiò la testa sulla spalla di Berwald, sprofondando nel divano e chiudendo gli occhi.
-Vuoi che ti riporti a casa?- si offrì lui, sapendo che un passaggio in machina era preferibile al lungo tragitto che doveva fare a piedi ora che era già calata la notte. Tino annuì -restiamo così solo un altro paio di minuti-
Berwald non rifiutò. Prima aveva detto che i momenti in cui tutti e cinque -sette- erano insieme lo facevano sentire come se non avesse bisogno di nulla, ma sapeva bene che erano momenti come questo a renderlo veramente felice. Rimase così, seduto sul suo divano in silenzio per quelle che sembrarono ore ad ascoltare il respiro regolare di Tino, il peso della sue testa addormentata su di lui e il solletico che i suoi capelli facevano sulla sua guancia, non muovendo nemmeno un muscolo per paura di svegliarlo e di spezzare questo momento finché, nel cuore della notte, anche lui non cadde addormentato.

◇◇◇◇◇

Elizaveta aspettava ormai da mezz'ora e l'aria ancora calda e quasi estiva del giorno si era sostituita con quella più pungente della sera. Aveva provato a chiamare Roderich al telefono, ma non rispondeva. Avrebbe voluto dire che non era da lui fare tardi, che si stava preoccupando, ma non era vero. Sapeva troppo bene cosa era successo: il ragazzo si era dimenticato del loro appuntamento, affascinato dallo studio di un nuovo spartito appena trovato o dalla composizione di un concerto per piano. Roderich era un pianista abilissimo e questa bravura, oltre che con una predisposizione naturale, l'aveva guadagnata con duro lavoro e ore di pratica, che ancora oggi non erano diminuite.
Scherzando ripeteva spesso che la sua anima gemella sarebbe risultata essere il pianoforte il giorno seguente.
Certo, seriamente le sue speranze erano altre: lei amava Roderich ed era sicura che nel cuore di lui lei fosse al secondo posto -e ovviamente non poteva ingelosirsi di uno strumento musicale.
Pensando ciò si era incamminata verso casa di Roderich che non si trovava lontano dal parco dove si erano dati appuntamento.
Quando arrivò nelle vicinanze non poté che ridere, rendendosi conto di aver avuto ragione, sentendo la melodia che si liberava dalle mura. Forse un'altra ragazza si sarebbe arrabbiata, sarebbe entrata urlando nella stanza, ma lei si limitò ad aprire con delicatezza la porta che lui, sbadato come era, aveva lasciato aperta e camminò fino a trovarsi nel soggiorno, alle sue spalle, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalla melodia.
Fin da quando erano bambini ascoltarlo suonare era uno dei suoi passatempi preferiti. In un paio di occasioni Roderich le aveva tentato di insegnare a suonare, ma tutti questi tentativi si rivelarono fallimentari.
Quando il brano si concluse su un'ultima nota bassa che rimase come sospesa nell'aria, lei si decise a schiarirsi la gola per sottolineare la sua presenza nella stanza.
Lui  si voltò, con la bocca semi aperta a testimoniare la sua sorpresa finché non vide nei suoi occhi farsi strada la realizzazione di aver scordato qualcosa.
-Ho dimenticato il nostro appuntamento- disse. Non era una domanda ma una semplice considerazione. -Mi dispiace, Liz. Ma ho appena trovato questo brano, Dodici variazioni per pian...-
-Non c'è problema- lo interruppe lei prima che partisse nella descrizione dettagliata di quello che stava eseguendo- Mi piace sentirti suonare. E poi non avevo voglia di andare fuori, preferisco stare con te stasera, finché abbiamo ancora tempo-
-Perché parli come se avessimo i giorni contati, Liz? - chiese lui, riorganizzando i fogli.
-Non sappiamo cosa succederà domani. Non sappiamo se...- rispose lei.
-Si che lo sappiamo. Ci conosciamo da diciotto anni: tutta la nostra vita, Liz!- il ragazzo aveva perso ogni interesse nello spartito che aveva di fronte: alcuni fogli era caduti a terra senza che li degnasse di uno sguardo. -Ti conosco meglio di come conosca me stesso. Lo so che tu sei la persona che il destino ha in serbo per me, lo sento qui- disse toccandosi il cuore.
Era vero: Elizaveta conosceva Roderich da una vita. La sua musica, la sua calma, il suo modo di pensare facevano ormai parte della sua vita così come le sue stesse abitudini. Eppure non riusciva ad essere sicura come lo era lui, sentiva semplicemente che qualcosa era fuori posto. Cosa però, non riusciva a capirlo.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


-Arthur! Arthur!- Francis sgomitava tra la folla che si accalcava nel corridoio, tentando in vano di sovrastare il rumore con la sua voce. Arthur camminava pochi metri più avanti, assorto nei suoi pensieri, e sembrava diretto verso la mensa come da programma. Francis allora smise di affannarsi, sicuro che lo avrebbe raggiunto quando la maggior parte dei ragazzi fossero entrati nelle loro aule. Antonio lottava per rimanere vicino a lui, mentre di Gilbert e Lovino non ne vedeva traccia. I due avrebbero potuto rimanere a casa, visto che per il loro anno non erano previste lezioni quel giorno, ma erano venuti lo stesso per stare con loro e i rispettivi fratelli minori.
-Chi stai rincorrendo, Francis? Non riesco a starti dietro- si lamentò Antonio. Il ragazzo scosse la testa -Nessuno- rispose stringendosi nelle spalle, pensando tra sé e sé che il fatto che non riuscisse a tenere il suo passo era proprio quello che Francis voleva.
-Io ti ho sentito urlare Arthur !  Arthur amore mio, aspettami!- disse il castano ghignando. Come aveva fatto a sentire le sue parole in mezzo a tutto quel chiasso?
-Non sono sicuro che quelle fossero le mie esatte parole- sottolineò lui -e Arthur è un ragazzo che viene in classe con me. Devo restituirli il libro di matematica-
Antonio annuì, a quanto pare soddisfatto della risposta. Perché Francis non avesse mai parlato ai suoi amici di Arthur non lo sapeva bene: all'inizio voleva vedere come le cose si sarebbero evolute e poi, con il passare del tempo, sembrava troppo strano introdurre l'argomento. E poi, non aveva motivo di parlarli di un suo nuovo amico, giusto? Arthur si era trasferito in città da un anno e non aveva molti amici: al dire il vero ne aveva solo uno di nome Alfred, ma sembravano essere più vecchie conoscenze che amici. Litigavano ogni volta che si incontravano, sempre a bisticciare su qualche evento passato. Proprio dopo uno di quei litigi, Arthur era stato convocato dal preside per discutere della sua condotta, e fu dove incontrò Francis. Il primo a parlare fu il francese, curioso di sapere perché non lo avesse mai visto in giro. Scoprì che si era trasferito da poco e, anche se ad una prima occhiata non si sarebbe detto, non era nuovo a rimproveri del genere e a finire nei guai.
Francis raccontò a sua volta che si era trasferito dalla Francia molti anni prima e, mosso da un'empatia verso il ragazzo nuovo che gli ricordava tanto se stesso i primi tempi, quando non aveva ancora conosciuto Antonio, Gilbert e Lovino, gli propose di incontrarsi quel pomeriggio, per fargli conoscere la città. Da quel momento erano diventati grandi amici, anche se non mancavano mai di stuzzicarsi e litigare per ogni piccola cosa. A Francis non ci vollero che un paio di giorni per capire che si era innamorato del nuovo arrivato: un tipo dalla compostezza inglese, ma che se solo si lasciava andare lasciava trasparire la sua vera personalità tutt'altro che composta. Lui riusciva sempre a rendere le sue giornate interessanti, forse perché la pensavano sempre in modo opposto o forse perché adorava la sua espressione quando si arrabbiava. Non sapeva il motivo che lo aveva fatto innamorare, e non sapeva neppure il motivo che lo aveva spinto a tenerlo nascosto perfino ai suoi più stretti amici, cosa che non capitava mai. Solitamente tutti sapevano quando Francis si innamorava: che fosse per il suo fervore nel conquistare la fiamma di turno o la disperazione per l'essere stato rifiutato (accadeva troppo spesso per un ragazzo bello, divertente e carismatico come lui), nessuno ne poteva rimanere all'oscuro. Ma questa volta Francis sentiva qualcosa di diverso: non aveva voglia di lasciare che nessuno lo sapesse, né i suoi amici né Arthur. Lui stesso doveva ancora accettare a pieno i suoi sentimenti.

Stare seduto al tavolo della mensa gli metteva appetito anche se erano solo le otto di mattina. La sala non era molto affollata, essendoci solo un quinto degli studenti che avrebbe potuto ospitare, e in aggiunta i ragazzi erano anche più silenziosi del solito riempendo l'aria dei bisbigli dei pochi che invece non avevano problemi a chiacchierare. Arrivato nella sala non era riuscito a scorgere Arthur e, prima che potesse cimentarsi in un'indagine più approfondita, si era sentito chiamare da Antonio che non lo aveva lasciato di vista per un minuto in tutto il tragitto per i corridoi. Si era lasciato trascinare al tavolo lanciando un'ultima occhiata alla folla e infine rinunciando alla sua ricerca. Si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulla superficie piana di fronte a lui, fissando lo schermo del suo telefono cellulare.
Più che ansioso si sentiva annoiato: a quanto pare si erano verificati dei problemi con i macchinari e i test non avrebbero avuto luogo prima di trenta minuti e, anche una volta iniziati, avrebbe dovuto attendere un po' per il suo turno. E, oltre a ciò, aveva voglia di parlare con Arthur: non ci aveva fatto molto caso il giorno precedente, ma sembrava che qualcosa lo stesse preoccupando e non era certo che si trattasse solamente di una normale ansia pre-test.
Per coronare il tutto e far sentire Francis ancora più smanioso di alzarsi di lì Antonio e Lovino non facevano altro che bisbigliare, persi nel loro mondo privato: i due non erano una di quelle coppie smielate e romantiche (Lovino sembrava proprio odiare quel genere di cose), ma in momenti come questo erano così uniti che niente sembrava poter entrare nella loro piccola bolla. Quindi era rimasto in compagnia di Gilbert il quale però sembrava molto più interessato a urlare a suo fratello, seduto ad un tavolo vicino, quelli che potevano essere incoraggiamenti o prese in giro, il francese non riusciva a capirlo. Capiva però che, col silenzio che gravava nella stanza, i due erano diventati il centro dell'attenzione e il fratello, un ragazzo biondo di nome Ludwig, sembrava poter evaporare all'istante pur di togliersi gli sguardi di dosso, tanto era arrossito.
Francis scrutò i ragazzi radunati attorno a lui, cercando per lo meno di trovare qualche soggetto interessante. Vide l'amico di Arthur, Alfred, che nonostante l'ora stava divorando un cheeseburger in compagnia del fratello che Francis personalmente apprezzava molto di più, per quel poco che avevano parlato: Matthew aveva trascorso del tempo come studente in Canada e aveva imparato il francese quindi si era divertito un po' ad aiutarlo a fare pratica.  Non lo conosceva bene ma gli dispiaceva quasi per lui e per il modo in cui il fratello lo trattava, non degnandolo mai di uno sguardo. In qualche modo fu felice di constatare che Arthur non si trovava con loro.
La sua attenzione fu attratta da un gridolino stridulo proveniente dall'altro lato della stanza: Łukasiewicz, uno dei ragazzi più eccentrici della scuola, se ne stava nascosto dietro ad un altro ragazzo che, dal suo sguardo stupefatto, sembrava star passando di lì per caso. Lo sguardo del francese cercò la causa di quello spavento, che non tardò ad essere identificata: di fronte a lui si trovava Ivan Braginsky, sorridente ma in qualche modo più intimidatorio del solito e, di fianco, un tremante Toris, il leader della squadra di calcio di Francis. Li vide scambiarsi delle battute e separarsi in gran fretta. Si domandò di cosa avessero discusso ed era anche sul punto di alzarsi e andare da Toris  quando qualcosa di più vicino a lui attirò la sua attenzione.
Si voltò per vedere che Gilbert, nella sua discussione con Ludwig che non stava più ascoltando da un pezzo, aveva inavvertitamente colpito con la mano una ragazza che si trovava imprudentemente a passare di là, gettando a terra i libri che portava tra le braccia. Il suo amico si era limitato a fare spallucce e continuare a parlare senza nemmeno scusarsi (nulla di strano, ovviamente, non per Gilbert). Fu a quel punto che un amico della ragazza, che sembrava essere rimasto indietro, sopraggiunse.
-Che è successo?- chiese, chinandosi per raccogliere dei fogli che erano volati via dalle pagine -Tieni, Elizaveta- disse, passandole ciò che aveva messo insieme da sotto il tavolino. Prima che lei potesse replicare però Gilbert intervenne, d'un tratto interessato a ciò che stava accadendo intorno a lui. 
-Permettimi di aiutarti- si offrì, in un comportamento che non era affatto da lui. Raccolte le ultime cose e consegnate alla proprietaria esibì un largo sorriso -Quale era il tuo nome? Elizaveta, mi sbaglio?-
Sul suo volto si dipinse un'espressione interrogativa. -Si, perché lo chiedi?- Tra la confusione che trapelava nella voce una sottile nota di dubbio si iniziava a far strada, un'idea che la ragazza sembrava rifiutare con forza.
-Lo trovo un nome interessante- replicò lui. Lei si strinse nelle spalle, ricominciando a camminare -Sì, presumo tu abbia ragione- Lui mosse un passo verso di lei per bloccarle la strada.
-Io mi chiamo Gilbert. Gilbert Beilschmidt- disse lui di fretta -nel caso ti serva in futuro-
Lei non disse niente, ma da suo sguardo Francis poteva capire che dubitava -o sperava ardentemente- che una tale eventualità si potesse manifestare. Lo spinse di lato e se ne andò, seguita dal suo amico occhialuto.
Gilbert tornò a sedersi, il sorriso ancora stampato sul volto.
-Hai fatto una bella prima impressione- disse Antonio.
-Sicuramente l'ha colpita- aggiunse Lovino sogghignando. Lui gli lanciò un'occhiata truce.
-Almeno si ricorderà di me e saprà chi cercare- disse lui -non ci sono dubbi che sia lei questa Elizabeta- disse indicando il palmo della sua mano, dove il tatuaggio era comparso. -Lo avete visto anche voi no? Il modo in cui  mi guardava, è già pazza di me. E come non potrebbe, sono così eccezionale...vero Francis? Non sei d'accordo con me? Anzi, visto che non ci sono dubbi che risulterò essere la sua anima gemella, sarà meglio che vada da lei e che organizzi un appuntamento per stasera. Mi spiace ragazzi ma dovrò cancellare i nos...-
La bocca di Gilbert, da cui fino ad ora era uscito un fiume ininterrotto di parole rimase aperta e silenziosa, gli occhi sgranati erano fissi sulla ragazza, che avevano continuato a seguire per tutta la stanza fino al posto in cui si era seduta, e dove adesso si stava baciando con quello che, evidentemente, non era solo il suo inutile amico occhialuto.

◇◇◇◇◇

Seduto di fianco a Lukas, Tino non aveva idea di cosa dire.
Qualche metro più in là un ragazzo con i capelli così chiari da sembrare bianchi stava ridendo rumorosamente e ne fu grato perché l'attenzione dei due ragazzi si poteva soffermare su di lui senza troppo imbarazzo per il silenzio prolungato. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, desideroso di vedere un nuovo messaggio ma, come realisticamente si era aspettato, non ne erano arrivati. Aprì l'applicazione e scorse in basso la rubrica in una rapida ricerca fino a raggiungere la lettera B. Cliccò sul nome di Berwald e le parole Inserire un messaggio lampeggiarono sullo schermo. Tino pigiò con il pollice così da far comparire al loro posto un cursore verticale che aspettava l'immissione di caratteri che non arrivava. Poteva raccontare agli altri che voleva mandargli un messaggio perché si stava annoiando, ma quella scusa non reggeva anche con se stesso: se avesse solo voluto impiegare il tempo avrebbe potuto iniziare una discussione con Lukas in qualsiasi momento. Nemmeno lui era certo di cosa volesse chiedere a Berwald, o di cosa volesse sentirsi dire. L'unica cosa che sapeva con sicurezza era che aveva voglia di parlare con lui, stare con lui e farsi rassicurare ma allo stesso tempo aveva paura di farlo.
Lo schermo del telefono intanto si era oscurato, lasciandolo a osservare il proprio riflesso. Vide nei suoi stessi occhi l'angoscia che sentiva dentro di lui e si sforzò, con molta fatica, di mascherarla con un sorriso. Alzando gli occhi vide che il volto di Lukas, al contrario, era come sempre una maschera imperscrutabile. Lui lo guardò a sua volta, inarcando le sopracciglia in modo interrogativo.
-Qualcosa non va, Tino?-
In modo del tutto irrazionale sentì un'ondata di odio per il ragazzo di fronte a sé. Forse lui era così tranquillo perché era sicuro che questa giornata per lui sarebbe finita bene? Di cosa doveva preoccuparsi? Poteva contare sull'amore di Mathias e, se era sicuro dei suoi stessi sentimenti per l'altro, non aveva che un lieto fine per questa giornata.
Al contrario Tino non vedeva una via di uscita accettabile. Ne aveva parlato a lungo con Berwald il giorno precedente, ma tutti i suoi ammirevoli sforzi non erano bastati a rassicurarlo neanche un po': quello che veramente avrebbe voluto sentire da Berwald fin da due anni prima, ma che sapeva non era possibile che lui dicesse, era che si era verificato uno sbaglio con il suo test, che il nome di Mathias era stato solo uno sfortunato errore che accade una volta ogni mille soggetti, e che l'anima gemella di Berwald era proprio Tino.
Si ritrovò a sospirare e ad appoggiare la schiena contro la sedia, ritrovandosi ad rimpiangere i tempi in cui loro cinque erano legati da un'amicizia che non sembrava essere possibile spezzare e i loro cuori non erano ancora stati infranti.
-Sì, tutto bene- rispose, riuscendo a sfoggiare il suo miglior sorriso. Il momento di rabbia immotivato era svanito e ora riusciva a vedere Lukas per ciò che era: uno dei suoi più vecchi amici, un ragazzo che forse era stato più fortunato di lui ma che sicuramente non ne aveva alcuna colpa e uno che, con le sue teorie assurde su troll e strane creature raccontate con la sua seria espressione di sempre, riusciva sempre a tirarti su di morale, a suo malgrado.
Tino si voltò quando sentì un gridolino acuto provenire da dietro di lui. Vide un ragazzo biondo, che conosceva solo di vista, nascondersi dietro a uno studente sorpreso per farsi scudo da un tipo alto e leggermente inquietante. Poco interessato prese nuovamente in mano il cellulare e controllò se nel breve lasso di tempo trascorso erano arrivati messaggi ma, come era accaduto un altro milione di volte, non era successo.

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