Lanterne in legno

di Efei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uomini in rosso ***
Capitolo 2: *** Routine ***



Capitolo 1
*** Uomini in rosso ***


Lanterne in legno


Capitolo 1: Uomini in rosso

Un boato.
La camera trema, il letto si è spostato di qualche millimetro e nel buio intravedo mio fratello ancora dormiente con la testa che penzola fuori dal letto.
Cerco di capire cosa stia succedendo: penso ad un terremoto, ma le scosse sono intermittenti e sembra quasi seguano un ritmo, come se una canzone fosse stata sparata ad alto volume nel bel mezzo della notte. Non voglio accendere la luce, non voglio che mio fratello si svegli e si spaventi, per ora è meglio lasciarlo vivere nella sua innocente incoscienza.
Con l’indice punto la finestra e lentamente sposto la mia mano verso l’alto, per far sì che le persiane si sollevino: mi sorprendo quando improvvisamente vengo invasa da una luce accecante che non dovrebbe essere presente a quest’ora della notte. Strizzo gli occhi, infastiditi dalla luminosità del mondo esterno, e mi sporgo poco più avanti in cerca di una spiegazione. Più mi avvicino, più inizio a distinguere sagome e man mano che i miei occhi si abituano alla nuova luce le immagini diventano più nitide, i colori più accesi e i volti più chiari.
Persone in cerchio, si sono posizionate attorno alla mia casa e con violenza battono a terra dei particolari bastoni circondati da un candido bagliore che mi dà quasi i brividi malgrado il suo rassicurante colore: il ritmo che scaturisce da questo movimento segue un format fisso che continua a ripetersi, a riecheggiare, facendo tremare la mia stanza, facendo quasi cadere dal letto mio fratello.
Non capisco se mi stiano fissando o meno dato che il loro viso è coperto da maschere scarlatte che delineano delicatamente i punti salienti del viso, come il naso e le labbra, gli occhi però sono coperti da un leggero velo dello stesso colore; sono tutti uomini vestiti da sera, i loro abiti sono rossi e avvitati, difficili da non notare.
Intuisco di aver attirato la loro attenzione quando una folla scarlatta si posiziona davanti la mia finestra e impassibile continua con il frastuono che, se all’inizio poteva infastidire, adesso era diventato quasi sopportabile. Mi rendo conto che mentre con la mano destra maneggiano abilmente il bastone, nella sinistra sorreggono per un manico un oggetto che non riesco a distinguere, perché emana una luce accecante; ogni uomo ne ha uno ed intuisco che quell’aggeggio è la causa dello strano bagliore che mi ha stupita qualche minuto prima.
Con l’indice ancora puntato verso la finestra, provo ad alzare di ancora un po’ la serranda, in modo da poter provare ad intuire cosa stia succedendo senza dare eccessivamente nell’occhio: non so cosa vogliano da me, non so se siano qui per me o per mio padre, o mia madre, o mio fratello. Non siamo mai stati una famiglia rilevante, non abbiamo mai fatto parte della vita politica, mio padre era un semplice scienziato e mia madre un medico generale: nessuno aveva mai provato a farci del male, non abbiamo mai avuto “nemici”.
Riesco ad alzare la persiana in modo da creare uno spazio grande a sufficienza da permettermi di vedere con entrambi gli occhi senza dovermi sporgere eccessivamente: quelle misteriose fonti di luce si rivelano essere delle lanterne.
In un periodo come quello in cui viviamo, in cui la scienza continua a progredire, informarsi, in cui la tecnologia si cimenta nel creare l’utile e distruggere il futile, vedere delle lanterne è un’esperienza rara. Se le persone avessero voluto andare in giro di notte, avrebbero potuto portare con sé un milione di cose, ma sicuramente non una lanterna.
Inoltre, quest’ultima era stata proibita nel nostro stato, in quanto in passato fu utilizzata come simbolo per la propaganda del precedente governo, con cui gli attuali capi della nostra nazione avevano avuto uno scontro non poco sanguinoso che aveva portato a molteplici guerre civili.
Ad interrompere i miei pensieri, nel frattempo ci pensa un uomo che, una volta avvicinatosi al portico della mia casa fa un leggero segno con il capo facendo cessare il frastuono; punta il dito verso la mia finestra e con un movimento elegante e sinuoso, la fa aprire lentamente rivelando al resto del “pubblico” la mia presenza.
Mi rendo conto di non essere al sicuro così scoperta e cerco di abbassarmi o perlomeno di girarmi e correre via, portando mio fratello con me, ma non riesco a muovermi.
L’uomo mi fissa, so che mi fissa, il suo sguardo, anche se coperto, mi penetra gli occhi quasi da farmi sentire dolore alla testa; mi sento impotente e in pericolo, il mio respiro si ferma e sento un nodo alla gola che continua a stringersi bloccando il passaggio dell’aria.
La testa mi scoppia e ho tanta paura, ma non voglio distogliere il mio sguardo da quello nascosto di quell’uomo, voglio sapere il suo nome, chi è e cosa vuole, voglio gridare per svegliare mio fratello e farlo scappare.
Sono stata stupida, sono stata testarda, avrei dovuto svegliare la mia famiglia e chiedere aiuto ai miei genitori. Ma non l’ho fatto, perché sono egoista e curiosa e non so affatto controllare i miei impulsi da finta investigatrice.
Adesso ho paura e sono sola, sento le lacrime che rigano il mio viso e lancio uno sguardo ricolmo di terrore nella direzione dell’uomo che mi inquieta così tanto, sperando in un atto misericordioso, ma lui in cambio sposta la testa leggermente verso destra, come se fosse incuriosito da me, o da qualcosa alle mie spalle.
Vorrei sapere se mio fratello sia sveglio o meno, se sta ancora dormendo o se è lui che sta attirando l’attenzione dell’uomo; cerco di concentrarmi il più possibile sui suoni intorno a me e riesco ancora a sentire il suo respiro calmo e assonnato, anche se impercettibile.
Rivolgo nuovamente la mia attenzione nei confronti della misteriosa folla e sposto il mio sguardo sull’uomo che si era avvicinato più degli altri: aveva qualcosa di diverso, qualcosa in più rispetto al resto.
La cravatta era dorata e la maschera aveva i lineamenti evidenziati da una linea sempre in oro, il suo bastone era molto più lavorato e in cima aveva un pomello, ovviamente aureo, con incisi dei disegni, o delle lettere, ma non riuscivo a distinguere cosa stessero a simboleggiare.
La lanterna, invece sembrava uguale alle altre: era in legno, ma il fuoco al suo interno non la bruciava.
Questo non aveva il suo naturale colore, era bianco, e fiammeggiava fino a toccare il legno della lanterna, ma non la bruciava ne rovinava.
L’uomo interrompe i miei pensieri nuovamente schioccando le dita, come se si fosse accorto del fatto che mi trovavo sovrappensiero: volevo analizzarlo, conoscerlo e lui se n’era accorto e forse non voleva.
Si china e poggia la lanterna davanti la mia finestra, mi volta le spalle e si avvicina ai suoi compagni che, girandosi a loro volta iniziano a camminare nella direzione opposta alla mia casa.
L’uomo esita prima di seguire il gruppo e getta uno sguardo verso di me, che resto ancora immobile, bloccata completamente dalla paura. Con una mano guantata solleva la sua maschera fino all’altezza del naso, rivelando parte del suo viso. Le labbra sono sottili, per quello che riesco a distinguere da questa distanza, e sulle guance cresce ben curata una barba scura. Lo vedo sorridere beffardo e diventare serio nella frazione di un secondo, come se quella risata fosse un gesto proibito, come se se ne fosse pentito immediatamente.
La sua espressione è indecifrabile non solo perché metà del suo viso è coperto, ma anche perché continuava ad alternare sorriso e serietà, come se qualcosa dentro di lui lo fermasse dal fare ciò che davvero voleva.
Adesso si gira completamente verso di me, con la maschera ancora a coprire gli occhi e inaspettatamente, sussurra il mio nome con fare spavaldo:
Saoirse
Sorride di nuovo, mi volta le spalle e si dirige nel senso opposto alla mia casa, raggiungendo i suoi compagni.

Riprendo coscienza del mio corpo, muovo le braccia, le gambe e il respiro torna ad essere regolare, gli occhi continuano a far fuoriuscire lacrime, le domande si accalcano nella mia testa che continua a pulsare e non riesco neanche a pensare, sento solo un forte dolore che cerco di calmare premendo le mani sulle tempie, alla ricerca di un po’ di sollievo.

Un grido mi riporta alla realtà, un grido di una donna, una voce familiare che grida un nome. Le sue urla sono troppo vicine alle mie orecchie, provengono sicuramente dalla mia stessa stanza e stanno aumentando la mia emicrania; mi volta per capire chi sta parlando e cosa sta succedendo.
Mia madre è in ginocchio davanti al letto di mio fratello e grida il suo nome talmente tante volte che non ha più fiato, la vedo passare dalla disperazione più totale alla rassegnazione, quando la vedo sibilare Ewan dopo averlo gridato molteplici volte. Sento mio padre correre e agitarsi per la casa, lo sento sussurrare una miriade di No ripetuti in continuazione ogni volta che varca la soglia di una stanza.

Ewan, mio fratello, non era più nel suo letto.
Non era più nella sua casa.

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Capitolo 2
*** Routine ***


Lanterne in legno

Capitolo 2: Routine

12 anni dopo

Sono tre volte che rimando la sveglia: cliché.
Se non lo facessi non sarei me stessa, se non mi alzassi imprecando non mi riconoscerei, se non impostassi la macchinetta del caffè la sera prima in modo che possa avere la mia dose di energia giornaliera pronta per le 06:43, non sarei Saoirse.
Che poi per quando mi sono alzata il caffè è sempre un po’ freddo, dato che rimando la sveglia di continuo, però non fa niente, mi piace il caffè. Mi piace amaro e dolce, non faccio distinzione. Mi piace il sapore amarognolo che lascia in bocca indipendentemente dalle zollette di zucchero che ci hai messo, e l’odore inebriante che di prima mattina sveglia i sensi nel più dolce dei modi.
Il caffè è il mio unico Dio e unica religione: unico mio Salvatore.
Questo però non mi salva dal lavoro a cui sono in ritardo praticamente ogni giorno ma, grazie al Dio Caffè, il capo ha un debole per me, dice che sono intelligente e indispensabile per l’ufficio, quindi me la prendo sempre un po’ comoda, forse un po’ troppo, ma non mi interessa. Sto lavorando in quel buco solo per pagarmi gli studi, i miei genitori si rifiutano di mandarmi all’università, dicono che dopo quello che è successo a Ewan devo rimanere nell’ombra il più possibile.


Due anni dopo la sua scomparsa abbiamo trovato i pantaloni del suo pigiama appesi ad un ramo di un albero accanto al Tamigi. Tutti lo hanno dato per morto, alcuni hanno anche gridato allo stupro, ma nessuno ha insistito nel cercarlo, ne la polizia ne la mia famiglia.
Il trauma psicologico subito da mia madre al pensiero del figlio di 8 anni stuprato e ucciso l’ha lasciata su una sedia a fissare il vuoto da ormai dodici anni; non ascolta ne me ne mio padre, non risponde neanche ai suoi stimoli e a volte ci ritroviamo a doverle imboccare il cibo o a dover pulire i suoi escrementi, dato che non si alza per andare al bagno quando ne ha bisogno.
Mio padre invece combatte il tutto riempiendosi le giornate; va a lavoro al mattino e torna la sera, poi si siede davanti al camino e legge un libro, o ne scrive uno, oppure legge il giornale, cucina per il giorno dopo o chiama qualche amico per invitarlo a prendere un sorso.
Ha ingaggiato un Karel che stia dietro a mia madre, questo la porta al bagno quando necessario esaminando i suoi valori corporei, le prepara da mangiare e la imbocca, la mette a letto quando pensa sia arrivato il momento e la sorveglia fino a quando non riapre gli occhi: poi ricomincia la routine.


I Karel sono degli automi specializzati nel seguire i malati, costano un patrimonio, ma sono i meno inquietanti e i più efficienti, l’unico difetto visivo che potrebbe disturbare un essere umano sono gli occhi: sono molto simili a quelli umani, certo, ma questi androidi non sbattono mai le palpebre, fissano il malato sempre, senza una sosta o altro, i loro occhi sono puntati costantemente sul paziente.
L’unica fortuna è che il diretto interessato non se ne accorge, ma noi sì.


Quella mattina il caffè era più buono del solito, forse perché sta volta ero arrivata alla macchinetta leggermente prima del normale, quindi la bevanda era ancora un po’ calda. Incredibile come un semplice bicchierino di una sostanza densa e marrone riesca a dare la giusta energia al mio corpo.
Poggio il bicchiere nel lavandino, avrei lavato tutto dopo, come al solito, e mi dirigo verso il bagno; appena apro la porta, la dolce voce del mio Botmate mi augura buongiorno.
L’ho impostato in modo che non inizi a parlarmi appena sveglia ma solo appena entro in bagno, una chiacchierata mentre sono sotto la doccia non fa mai male, anzi, comincia a svegliarmi i sensi.
I Botmate sono come dei coinquilini, solo che non rompono le palle e sono molto servizievoli: sono loro che accendono il riscaldamento nel bagno nell’esatto istante in cui apri gli occhi, sono loro che stirano e lavano i tuoi panni e come se non bastasse, se sei così pigro da programmarli anche per questo, ti lavano anche i piatti. Non sono corporei, grazie a Dio, non potrei sopportare un automa in giro per il mio appartamento che mi fissa mentre mi faccio la doccia; sono semplicemente delle voci da te scelte, che parlano e rispondono a qualsiasi tua richiesta. La miglior invenzione del secolo, se posso permettermi.
Sono di ottima compagnia se imposti il loro carattere a tuo piacimento, altrimenti il loro comportamento standard, ossia una voce maschile che si limita al saluto e al “Grazie”, è quello che trovi nei negozi, o nelle grandi aziende.
Il mio Botmate ad esempio ha la voce di una donna sulla ventina come me, è sarcastica, divertente, comprensiva e molto, molto intelligente, ma quest’ultima credo sia una prerogativa generale.
Buongiorno, Saoirse la sua voce è armoniosa al punto giusto, per essere un androide.
La adoro.
Buongiorno, Echo rispondo con uno sbadiglio. Ho deciso di chiamarla Echo perché alla fine non è nient’altro che quello: un’eco. Ma diciamo anche che mi è sempre interessato il mito greco della ninfa che porta il suo nome che si innamora perdutamente di un bastardo egocentrico, appunto Narciso, e che muore per amore.
La mia di Echo non morirà mai per amore però, è un robot, non ha un cuore.
Per fortuna.
Ho impostato l’acqua a 31°C continua con la sua voce soave Spero ti vada bene, non sono dell’umore per sentirti gridare sta mattina, Saoirse. Il fatto che alla fine di ogni frase ripeta il mio nome mi fa tornare in mente che è un robot e non un essere umano, altrimenti sarei rimasta a casa ogni giorno senza ricercare contatti umani; purtroppo la tecnologia può essere vista come un miglioramento o come una rovina, sta a noi decidere.
Credo vada bene, grazie Echo mi levo la maglia e la lancio in un angolo e faccio lo stesso appena abbasso i pantaloni, spostandoli verso la porta con il piede. Vedo con la coda dell’occhio gli arti meccanici di Echo scendere da delle aperture nel soffitto e prontamente sollevare i miei abiti da terra, ispezionarli per notare macchie o cattivi odori e piegarli perfettamente, poggiandoli sulla mensola del bagno.
Entro nella doccia e tiro un sospiro di sollievo, l’acqua è perfetta e mi accarezza dolcemente la pelle. Chiudo gli occhi nel tentativo di rilassare i muscoli del mio corpo, ma una voce mi riporta alla realtà.
E’ vero che non sono un essere umano e non ho bisogno di dormire, quindi forse non so di cosa abbiano bisogno gli uomini Echo interrompe il mio stato di trance Ma sono abbastanza intelligente da poter confermare che nessun essere vivente, nemmeno il più sporco su questa terra, riuscirebbe a vivere per più di un giorno nella tua stanza, Saoirse
Non ricordavo di averti programmata così stronza, Echo sentenzio e sento una delle sue risate meccaniche ma quasi umane riecheggiare per il bagno.
Dovresti stare più attenta agli aggettivi che utilizzi quando programmi un Botmate, “sarcastico” potrebbe essere frainteso, Saoirse
Che stronza, penso fra me e me, lasciandomi scappare una risatina.
Se fossi umana saresti la mia migliore amica, lo sai? Sei fantastica le dico con un sorriso in faccia, mentre cospargo il mio corpo di bagnoschiuma.
Oh sì, lo so mi risponde con tono saccente So di essere fantastica, come so che sarei potuta essere la tua migliore amica continua con lo stesso fastidioso tono E so anche che tu non saresti stata la mia, merito di meglio, non trovi, Saoirse?
Sì, sei proprio stronza rispondo alle sue offese ridendo.
Sì, so anche quello, Saoirse controbatte, anche lei con tono divertito.
E finalmente, cala il silenzio.
 


Mi avvolgo in un asciugamano che ha un delizioso odore di ammorbidente e mi reco verso la mia stanza che, sì, forse Echo aveva ragione: fa veramente schifo.
Mi sposto lungo la camera saltellando e evitando abiti buttati a terra; avendo programmato Echo a mio piacimento, ho cercato di rimuovere l’estrema attenzione a ciò che succedeva per la casa, volevo ancora avere il completo controllo della mia vita e delle mie cose, volevo ancora far vedere alla pigra me stessa, che molto spesso aveva la meglio, che anche senza alcun androide pulitore, avrei potuto tenere sotto controllo la casa e, soprattutto, avrei potuto tenerla in ordine.
Mi sbagliavo.
Ma non mi importa, alla fine nel disordine di quella stanza continuo a trovare sempre tutto quello di cui ho bisogno, senza alcuna fatica. Però dovrei iniziare a portare qualche vestito a Echo, almeno può lavarlo, dato che si rifiuta di raccoglierli da terra.
Dopo vari saltelli e esercizi fisici che avrei potuto evitare se solo fossi poco più ordinata, arrivo al bordo del letto e mi siedo, alla ricerca della divisa lavorativa, fino a quando non ricordo di averci fatto cadere la maionese sopra ieri sera, perché ero troppo stanca per cucinare un piatto decente, quindi mi sono limitata a mettere un po’ di pollo precotto nel microonde e condirlo con una spruzzata di maionese. Mi dispero, perché è vero che il capo mi adora, però non posso esagerare in tutto, è comunque un ambiente professionale e la mia dose mensile di denaro. Denaro indispensabile.
Guardo a terra spostando tutti i vari asciugamani raggomitolati alla rinfusa sul pavimento fino a quando, arresa, non butto indietro la testa e mi lascio cadere sul letto.
Al primo tocco con il materasso sento la presenza di qualcosa di duro che mi colpisce la schiena: un notebook poggiato sopra dei vestiti piegati che emanavano lo stesso odore di ammorbidente che proveniva dal mio asciugamano.
Mi giro e avvicino lo sguardo allo schermo, strizzo gli occhi e leggo Senza di me saresti persa per sempre, Saoirse. Ovviamente, firmato Echo.
Dio mio, se ha ragione, penso fra me e me.
Faccio uno scatto e lancio a terra l’asciugamano, facendo sì che anche questo raggiunga i suoi altri compagni ormai dimenticati sul pavimento, prendo la divisa e la indosso.
Mi avvicino allo specchio per dare un tono alla mia presenza, un po’ di trucco e una coda, niente di più.
Mentre sistemo i capelli allo specchio il mio sguardo cade alle mie spalle.


Era molto tempo che non la guardavo, quella lanterna. La fiamma ancora splendeva e, anche se a volte poteva rivelarsi una luce fastidiosa, spesso mi ritrovavo con lo sguardo perso fra le dolci curve disegnate da quel fuoco dal colore così particolare.
E’ vero, mi riporta alla mente ricordi terribili ogni volta che il mio occhio la sfiora, ma allo stesso tempo mi fa dimenticare qualsiasi cosa terribile della mia vita: la scomparsa di Ewan, la malattia di mia madre e la sua indifferenza nei miei confronti, l’assenza di mio padre, la mia vita passata da sola con un robot. Tutto svanisce nel più dolce dei modi, le mie iridi verdi si tingono di bianco e un piccolo sorriso mi dipinge il viso, ogni volta.
Due giorni dopo il rapimento di mio fratello, uscirono manifesti sia sullo schermo che nelle strade su un certo gruppo di ribelli chiamati Le Lanterne.
Il loro simbolo era una lanterna in legno con una fiamma bianca, sorretta da un uomo mascherato e vestito cremisi. Erano loro, non c’era dubbio.
Ogni volta che mi dirigevo verso scuola e vedevo quei manifesti avevo degli scatti di rabbia incontrollabili che mi facevano sembrare una pazza agli occhi altrui: mi lanciavo contro i muri e strappavo quei terribili cartelli che mi portavano ad avere solo notti insonni, oppure prendevo a pugni nella direzione della lanterna, facendomi male alla mano, gridando a pieni polmoni.
Qualche mese dopo decisi di documentarmi; andai alla ricerca di testimoni, cercai sulla rete e chiesi a persone in giro per il mio quartiere cosa sapessero su quei bastardi.
Cercare testimoni si rivelò essere molto semplice, in quanto abitassi in un quartiere poco raccomandabile della mia città; la mia famiglia era molto ricca, ma aveva sempre avuto un certo sdegno per gli attuali governatori del nostro paese, quindi ha sempre cercato di allontanarsi il più possibile dall’occhio del governo.
I testimoni e le varie “voci di corridoio” si rivelarono i più utili, dato che la rete era ormai controllata dal governo, qualsiasi cosa si fosse potuta rivelare deleteria per la loro politica, era stata automaticamente eliminata.
Venni a sapere di tutto e di più: sono degli assassini, sono dei rapitori, rapiscono bambini e poi chiedono il riscatto una signora anziana mi disse facendomi ridere, perché noi avremmo avuto i soldi per riavere mio fratello, peccato che nessuna somma ci sia mai stata offerta.
Messe però da parte le parole insensate di varie persone anziane che non avevano la minima idea di cosa stessero parlando, sono venuta a conoscenza di notizie inimmaginabili: a quanto pare hanno preso mio fratello in protezione, e non come ostaggio. Sanno della nostra relazione con la politica attuale e, secondo alcuni automi che lavorano per loro che hanno visto nel futuro, mio fratello sarebbe stato in pericolo in quanto primogenito maschio di una famiglia di ribelli. Sta di fatto che primo, non siamo dei ribelli, secondo, non si prende in protezione una persona in questo modo. Però c’era qualcosa in me che voleva crederci, volevo credere che mio fratello fosse vivo, che loro lo stessero proteggendo, ma come avrei potuto farlo?
Ho scoperto il significato della lanterna, ossia luce perpetua, occhio sempre sveglio che guarda su tutta la città e veglia o punisce quando necessario. Il fuoco bianco, la purezza, l’occhio vitreo che guarda e non fa distinzione gerarchiche sui suoi protetti o sui suoi nemici. Una lanterna che sta per uguaglianza, che controlla e si fa giustizia da sola quando la realtà politica di questo periodo chiude più di un occhio, più di una volta. Pedofili scagionati anche davanti a testimonianze delle vittime perché potenti, perché figli di politici; rapitori e assassini, messi in prigione per soli due anni dopo aver sconvolto per sempre le vite di più famiglie, solo perché hanno pagato profumatamente giudici e giuria; politici corrotti e corruttori che vendono i corpi delle proprie mogli o delle proprie figlie a colui che dovrà poi guidare la sentenza.
La feccia della faccia risiedeva e tutt’ora risiede sui piani alti, ma feccia era la parola indirizzata a noi dei quartieri più nascosti e dimenticati.
E ora Le lanterne erano qui per giudicare e giustiziare i veri criminali, quelli ricoperti di oro, e per aiutare e scagionare gli innocenti dimenticati.
Da qualche parte sentì dire che si ispirarono agli Illuministi francesi e alla loro sete di giustizia che ha poi alimentato la Rivoluzione che ha segnato la Francia. Se anche loro vogliano portare sommosse non si sa, ma perlomeno sono sicura che moltissime persone parteciperanno a quest’ultime, e magari vedremo anche noi un cambiamento nel nostro paese.
Riporto la mia mente alla realtà e guardo con la coda dell’occhio l’orologio e vedo con grande sollievo che sono in orario, ma non in orario lavorativo, diciamo che sono In orario Saoirse.
Prendo il mio lungo impermeabile e avvolgo una sciarpa intorno al viso, il freddo in questo periodo dell’anno è pungente e mi lascia sempre le guance più rosse del dovuto.
Infilo i miei libri universitari nella borsa, nel pomeriggio sarei dovuta correre a lezione e non potevo assolutamente permettermi ritardi in quel posto, non avevo conquistato la simpatia di nessuno, lì.
Apro la porta e mormoro un saluto a Echo che mi risponde immediatamente, augurandomi buona giornata.
Scendo dalle scale e nell’esatto momento in cui varco la soglia della porta di casa, una forte ventata mi colpisce facendomi barcollare: abitare nei posti dimenticati di una città grande come Londra aveva i suoi svantaggi oltre che i suoi vantaggi.
Diciamo che la vista era meravigliosa: il Tamigi ci separava dalla Londra dei ricchi, la Londra splendente e pulita e ogni notte giochi di luci illuminavano le strade dei nostri quartieri bui.
Diciamo anche che le strade erano disastrate e sporche, buche ovunque, gli scarichi delle fabbriche avevano dato alla “nostra” parte di Tamigi un colorito violaceo e l’odore emanato era quasi nauseabondo.
Mentre cammino verso l’ufficio, fisso il pavimento con distrazione, persa nei miei pensieri mentre canticchio una canzoncina di una qualche pubblicità probabilmente, non so neanche io, fino a quando il mio occhio non cade su un manifesto ormai staccato e calpestato da diversi modelli di scarpa.
Il manifesto dice JOIN THE LANTERNS. Un uomo vestito in rosso con una maschera dello stesso colore nello sfondo che sorregge una lanterna lignea che contiene una splendente fiamma bianca; sotto la lanterna una frase che cita EQUALITY MEANS JUSTICE.
Leggere quella frase mi fa sfuggire un sorriso e distrattamente rivolgo lo sguardo verso il cielo, inspirando profondamente alla ricerca di aria fresca senza alcun risultato.
Rassegnata, rivolgo nuovamente il mio sguardo al manifesto e mantengo il sorriso che mi era scappato poco fa e fisso quell’uomo in rosso, domandandomi chi ci sia a capo di tutto questo.
Una folata di vento mi fa indietreggiare e mi riporta alla realtà, scuoto il capo e dirigo il mio sguardo alla strada, ricominciando a camminare.
Il mio lungo impermeabile scarlatto sfiora il manifesto in terra e un brivido mi percorre la schiena.
Fra poco lo scoprirò, rispondo al mio quesito.



NOTE:
Salve a tutti, è la prima volta che mi cimento in scrittura originale, quindi se trovate qualcosa che non quadra o qualche errore (qualsiasi tipo di errore) per favore, riferite! Inoltre, sono aperta a qualsiasi tipo di commento o critica, vorrei imparare a conoscere il mondo della scrittura originale e anche di questo genere. Ho iniziato a scrivere "Lanterne in legno" dopo aver letto qualche libro di Asimov e quindi sono entrata nel girone, haha.
Ripeto, sono aperta a qualsiasi tipo di commento e se volete/potete darmi una mano sono apertissima anche a quello! 
Grazie per aver letto, 
Efei

 

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