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Inizialmente
avevo scritto questo racconto anche per il contest "Stempunk
tendencies". Anche se, alla fine, ho deciso di non
partecipare più, le immagini che avevo scelto sono comunque
presenti nel testo. Eccole:
Quella mattina, erano
appena le cinque quando la principessa Fenna
–
secondogenita della famiglia reale KasdeProbas – si
svegliò pervasa
da una strana euforia. Il lenzuolo di seta era in parte scivolato
giù dal letto
a baldacchino, segno che aveva passato una notte di sonno movimentato.
La giovane si
alzò e andò a sedersi davanti al comò
in noce con
specchiera, poi passò una mano su una piccola fotocellula a
lato dello
specchio.
«Caro
diario», cominciò la principessa, parlando a bassa
voce
all’immagine riflessa davanti a sé. «Ho
fatto un sogno stranissimo.
Innanzitutto, vedevo me stessa agire dall’esterno. Ogni
parola proferita, ogni
cenno, ogni emozione era vicinissima, ma allo stesso tempo sembrava non
appartenermi.» Portò due dita alle tempie in un
gesto che sembrava voler
catturare reminiscenze lontane nella sua mente. «Sento che i
ricordi stanno già
iniziando a sfumare…»
Si fermò
qualche istante a fissare lo specchio. Quel grazioso
visino privo di rughe, che dimostrava meno anni di quanti ne avesse in
realtà,
ricambiò l’occhiata confusa. Nemmeno i capelli
argentati, che di solito
suscitavano l’idea di persona vissuta, riuscivano a farla
sembra più matura.
In basso,
nell’angolo destro della cornice dorata della grande
specchiera, lampeggiava una lucina rossa che indicava che la
registrazione era
in atto. Sospirò provando nuovamente a riordinare i ricordi;
non riuscendoci si
spazientì e decise di giocare il suo asso nella manica.
Prese la boccetta colma
di elisir che aveva distillato la sera prima, e che aveva lasciato
sopra il
comò guidata da una specie di presentimento; la
osservò per qualche secondo e
poi bevve tutto d’un fiato. Dopodiché
indossò un braccialetto rigido d’argento
con una grossa pietra azzurra incastonata al centro. La pozione fece
subito
effetto e lei si addormentò seduta sulla poltroncina e con
il capo adagiato sul
legno duro del mobile. La pietra del braccialetto che indossava
iniziò a
mandare bagliori ritmici; pian piano il suo pulsare si
sincronizzò con quello
della lucina rossa dello specchio, segno che il suo subconscio aveva
iniziato a
trasmettere.
Il sogno completo
restò impresso nella memoria interna del diario
della principessa. Una volta terminata la registrazione, la lucina che
segnalava la trasmissione si spense. Lo specchio restò
acceso per un altro
quarto d’ora prima di andare in stand-by. Poi, visto che
nessuno aveva più
cercato di comunicare con esso, si attivò un programma che
trasferì quanto
ricevuto in un archivio di sistema protetto da una password generata
automaticamente.
Quando, pochi minuti
più tardi, la principessa riprese conoscenza
si sentiva ancora pervasa da una piacevole euforia. Lei non lo sapeva,
ma la
pozione che aveva preparato aveva funzionato perfettamente: si era
venuto a
creare un collegamento fra il proprio subconscio e il dispositivo,
installato
nella specchiera, capace di leggere e tradurre le onde cerebrali.
Tuttavia, per
colpa di un effetto collaterale, Fenna
non
ricordava ciò che era accaduto dal momento successivo in cui
aveva bevuto la
pozione. Un po’ confusa riaccese il diario-specchio per
controllare gli ultimi
dati registrati, ma non trovò alcuna traccia recente.
Credette, quindi, che il
suo distillato avesse fallito e che il sogno fosse andato perduto per
sempre.
Si tolse il braccialetto e, con un gesto di stizza, gettò
via la boccetta vuota
di vetro che, al contatto con il pavimento, andò in frantumi.
Si rimise a letto
senza riuscire a chiudere occhio finché, alle
sette in punto, qualcuno bussò alla porta della camera. Era
il consueto
consigliere reale addetto alla colazione che, dopo averle dato il
buongiorno,
le annunciava di aver preparato un sano e nutriente spuntino.
La giovane
s’incamminò scalza verso la porta, la veste da
notte
che strusciava sul pavimento. Passò distratta davanti al
comò e finì per
ferirsi superficialmente un piede con una scheggia di vetro della
boccetta
rotta in precedenza. «Questa giornata inizia proprio a
meraviglia», commentò in
tono sarcastico rivolgendosi a se stessa.
Note autore:
Salve a tutti,
lettori e avventurieri.
Dunque, questo
capitoletto è un po' breve e lo sarà anche il
prossimo. Tendo a considerarli entrambi come anti-prorogo e prologo.
Consiglio
di proseguire la lettura per avere più chiara la situazione.
Mi è stato fatto
notare, e purtroppo sono d’accordo anch’io, che
questo prorogo rivela gran
poco. Per questo motivo, prima di pubblicare nel blog,
cercherò di revisionarne
i capitoli rendendoli tutti più o meno della stessa
lunghezza, e mettendo più
carne al fuoco, in modo da saziare anche i lettori più avidi.
Oltre
a ciò, vi svelo che il racconto ha bisogno di una
revisionata. L'ho scritto velocemente in modo da stare dentro ai tempi
(e al numero massimo di parole) del contest. Per cui non è
risultato proprio come avrei voluto. Ringrazio molto chi
deciderà di leggere e di lasciarmi una recensione.
---
Questo racconto
è un'opera di fantasia. I personaggi e le
situazioni presenti sono frutto dell'immaginazione.
DannickPascal
aveva trovato posto vicino al
finestrino; il treno veloce lo avrebbe condotto a destinazione in due
ore.
Amava guardare il susseguirsi di paesaggi naturali e antropici oltre il
vetro;
gli auricolari, sprofondati nelle orecchie ricoperte dai folti capelli
neri,
rimandavano canzoni tipiche del XXI secolo. Quella particolare musica,
per qualche
motivo a lui sconosciuto, gli ricordava immense metropoli in cui tutti
andavano
di fretta al proprio appuntamento d’affari. Nei suoi
trent’anni di vita,
tuttavia, di immense metropoli non ne aveva mai viste dal vivo.Seresix[1]sarebbe
stata la prima, non appena
l’avesse raggiunta.
Il
suo paese natale era una piccola cittadina di periferia
in cui la gente tendeva a non farsi mai gli affari propri e a giudicare
le
persone a partire da come si vestono. Il fatto che i passeggeri del
treno
veloce non badassero alla presenza diDannick,
era sintomo del fatto
che la tratta era frequentata soprattutto da gente di
un’importante città,
abituata a fregarsene degli altri. Nessuno, infatti, sembrava
interessarsi a
lui, eppure non era di certo un tipo che passava inosservato.
Dannickvestiva
con indumenti neri di
manifattura artigianale piuttosto usurati: pantaloni lunghi infilati
dentro a
un paio di stivali con lacci che gli arrivavano al polpaccio, una
giubba
pesante con un collo alto, rigido ed esageratamente spesso, che finiva
per
coprirgli il mento e la bocca appena abbassava lo sguardo. Sulle spalle
aveva
un lungo mantello scucito e strappato verso il fondo. Quello che di
solito
attirava maggiormente l’attenzione era, in ogni caso, il
fucile BP-laser a due
canne. Normalmente lo teneva su una spalla, ora invece era adagiato sul
sedile
dal lato del finestrino. E la blusfera,
un oggetto sferico che a tratti mandava bagliori azzurri, era tenuta al
riparo
nella tasca sinistra dei pantaloni. Contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, non si trattava di una sfera di cristallo da cui trarre
visioni, ma
più che altro uno scudo. Lablusferaaveva
la funzione di indirizzare le
facoltà mentali di un sensitivo verso strade sicure e di
schermare da eventuali
pericoli.Dannickin
quel momento ne aveva più bisogno di un tempo, visto che le
sue facoltà stavano
evolvendo in modo alquanto inusuale.
Si
stava avvicinando l’imbrunire. Il cielo era tinto di
colori caldi stesi a sprazzi: arancione, rosso e viola. Vaste
estensioni di
terreno, coperte da pannelli fotoelettrici accostati da culture di
piante
aliene a basso stelo, stavano lasciando gradualmente il posto a zone
sempre più
brulicanti di abitazioni. Sopra alla ferrovia ogni tanto passava
qualche strada
sopraelevata sorretta da maestosi pilastri a spirale, progettati per
sopportare
pesi enormi. Nel cielo, navette di rientro da altre zone
dell’universo
sbucavano dalle nubi lasciando una scia iridescente al loro passaggio.
Dal
treno su cui viaggiava,Dannickosservava
e registrava ogni cosa
esterna. Viveva l’ambiente a trecentosessanta gradi solo
guardandolo: sentiva
il vento fresco autunnale sulla sua pelle, la luce del sole morente
colpirgli
il viso e i rumori del traffico in lontananza. Il malinconico
automatismo con
cui tutto sembrava procedere gli apriva un varco nell’anima,
talmente profondo
che temeva potesse entrarci qualche demone; la vecchia musica che
ascoltava
serviva anche a questo, a tenerlo concentrato su qualcosa di piacevole
per
scongiurare il pericolo.
Sarebbe
arrivato a destinazione ormai a breve. ASeresixavrebbe
dovuto raggiungere una vasta
piazza che dava su una struttura grigia, circondata da
un’alta mura cosparsa di
torri a guglia. Lì sapeva che avrebbe avuto la prossima
visione.
Si
sentiva un po’ preoccupato, anche se non era la prima
volta che entrava in azione. Temeva sempre di non essere
all’altezza della
situazione e di fallire. Il suo punto debole era il dialogo: raramente
riusciva
a sostenere una conversazione senza essere frainteso. Che cosa sarebbe
successo
in quel caso? Se avesse fallito, per il disonore arrecato a quelli
della sua
specie, avrebbe dovuto andare in esilio. Al pensiero poggiò
il capo sul
finestrino e si abbandonò al cullare placido del treno sulla
piattaforma
magnetica.
Nota:
1-Il
nomeSeresixvorrebbe
ricordare la Repubblica
Serenissima, ovvero un antico Stato italiano con capitale Venezia.
L’immagine
che avevo scelto per il contest “Steampunktendencies”
mi ha ricordato molto quest'ultima città. La potete vedere
nel link del primo
capitolo. Nel seguito del racconto potrete cercare di riconoscerla
nelle
descrizioni (mi auguro di aver fatto un buon lavoro).
Per Fenna
de KasdeProbas quello era un giorno
triste. Era iniziato male dalla mattina, quando aveva constatato di
aver creato
l’ennesima pozione fallimentare e si era accidentalmente
ferita un piede con
una scheggia di vetro. Ora il graffio iniziava a farle di nuovo male a
causa della
calzatura troppo stretta che indossava. Inoltre, la ghiaia del cortile
del
Sacro Memoralium
non le
era per nulla d’aiuto.
Dopo colazione i consiglieri
le avevano rammentato del funerale, anche non ce n’era
bisogno, d’altronde come
poteva dimenticarlo. Quel giorno avrebbe dovuto dire addio per sempre a
suo
fratello, prossimo erede secondo la linea di successione della famiglia
reale.
Più riesaminava le
circostanze in cui era avvenuta la sua morte, più il fatto
le sembrava
surreale. Stava rientrando da una visita politica all’estero;
era a circa cento
chilometri da Seresix
quando, durante l’ultima sosta,
un pazzo gli aveva sparato uccidendolo.
I pensieri di Fenna rimbalzarono
da cosa all’altra, da un ricordo all’altro senza un
nesso logico. Ad un certo
punto pensò a di avere ancora diciott’anni, mentre
in realtà ne aveva venti,
compiuti proprio il mese scorso. Non si rendeva conto di essere sulla
soglia di
una crisi, tanto più che dall’esterno
dava l’idea di
essere sempre la stessa; erano
solo certi suoi pensieri a essere anomali.
Con una mano si aggiustò
una
spallina dell’abito che era scesa un po’ troppo. A
corte esisteva un
consigliere per ogni cosa. Ce n’era uno che consigliava
persino che cosa
indossare per uscire dal castello. A lei, per la triste occasione, era
stato suggerito un abito in tessuto riflettente argentato. Era un
modello
scollato
con le spalline cadenti, più stretto in vita e con una gonna
molto ampia e
lunga fino a terra. Lo aveva trovato un modello molto bello, ma troppo
provocatorio per
essere indossato a quell’evento. «Sembra che io
stia andando a un ballo», aveva
detto. E il consigliere aveva ribadito: «La stoffa retivish è indicata per i
lutti. Andrà benissimo, non
vi preoccupate principessa. E poi si abbina perfettamente ai vostri
capelli
d’argento».
Fino al momento prima di
rivedere il fratello, Fenna
non aveva ancora preso
coscienza della realtà dei fatti. Nella sua mente lui era
ancora vivo. Quando
si era trovata di fronte a quella figura immobile, in una bara ornata
internamente di un tessuto color crema, per lo shock aveva stentato a
riconoscerne i lineamenti famigliari. Il suo volto
pallido, le labbra esangui, le mani bianche intrecciate sul petto: nel complesso
sembrava un
manichino coperto da un trucco di scena ideato per uno scherzo macabro.
La
ferita del proiettile che lo aveva colpito al cuore era nascosta
dall’abito
regale. Fenna
arrivò alla conclusione che quella
fosse una riproduzione abbastanza fedele di suo fratello, ma non
perfetta. Sì,
sicuramente quello era un fantoccio travestito e il vero erede al trono
era a
godersi la vita da qualche altra parte. Aveva lasciato a lei tutti gli
oneri di
corte solo perché, preso da un moto di ribellione, aveva
deciso che ne aveva
abbastanza degli impegni reali e avrebbe cercato la pace e
l’anonimato in
qualche paradiso remoto. Quasi le venne da ridere immaginandosi la
scena, ma
riuscì a trattenersi evitando una pessima figura.
Un attimo dopo,
concentrandosi sul fatto che comunque non lo avrebbe più
rivisto, si commosse.
Mentre la bara veniva deposta nella cripta del santuario e sigillata,
osservò
la regina piangere disperatamente sorretta da suo padre, il re,
anch’egli
alquanto scosso. Mentre i sovrani erano sconfortati perché
lo
credevano veramente
morto, Fenna si
ritrovò a singhiozzare perché sapeva che
le sarebbe stato impossibile raggiungerlo, ovunque fosse il posto in
cui aveva
deciso di stabilirsi. Pensò che tutti recitassero molto bene
la loro parte e
improvvisamente si sentì fuori luogo. Si asciugò
subito gli occhi e rivolse lo
sguardo altrove; la folla, al di fuori del Sacro
Memoralium,
era immensa e raccolta in un
rispettoso silenzio. Ma la calma era destinata a finire presto.
Al termine della cerimonia
di addio, prima di uscire dal cancello, un soldato in armatura
affiancò la principessa
obbedendo a un cenno del re.
«Non capisco»,
disse Fenna,
«che cosa potrà mai succedermi?»
Il soldato non rispose. Era
sicuramente uno di quei nuovi rharmé[2],
robot-soldati da difesa privi di un vocabolario mentale e di un sistema
vocale
per rispondere. Fu Thesel,
uno dei consiglieri
più fidati della giovane, a chiarire il dubbio.
«Vostro
fratello era molto amato dal
popolo. La notizia che abbia subìto un attentato, proprio
mentre veniva a
rendere omaggio al vostro fidanzamento ufficiale, potrebbe provocare
reazioni
impreviste.»
Già, il fidanzamento
ufficiale: una tappa obbligatoria che l’avrebbe condotta al
matrimonio il mese
prossimo.
Fenna non disse nulla, ma dentro di
sé pensò che il destino
le stesse giocando un'enorme beffa. Nemmeno lo voleva un fidanzato:
al
compimento del suo diciottesimo anno aveva firmato qualche carta e,
inconsapevolmente, aveva anche accettato come futuro marito un tale,
figlio di
importati imprenditori che intrattenevano affari con colonie
extrasolari. I
suoi genitori l’avevano ingannata evitando di specificare
tutte le clausole e
questo la faceva stare ancora peggio.
Nota:
2-Rharmé è una
parola inventata da me per indicare dei robot-soldati. Il neologismo
è nato
dalla fusione di “R” (che nei racconti di Isaac
Asimov sta per “robot”) e
“armata” francesizzato.
La stazione era un luogo magnifico:
la struttura,
coperta da un tetto trasparente, ospitava una trentina di piattaforme
magnetiche. Da una parte, tre grandi archi dall’apparenza
antica conducevano la
gente appena sbarcata nell’atrio e poi verso
l’uscita. Sopra ognuno di essi
c’era una scritta che fungeva da indicatore per lo
smistamento dei viaggiatori.
Uomini e donne d’affari dovevano passare sotto il portale di
sinistra, i
turisti dovevano andare a destra, tutti gli altri dovevano passare al
centro.
Una tale magnificenza e
organizzazione
lasciavano a bocca aperta.
Dannick Pascal conosceva
l’utilizzo dei portali di smistaggio
solo teoricamente. Aveva letto che nelle più grandi
metropoli erano stati
ingaggiati dei majimensis, manipolatori di realtà, che
costruivano sistemi per stimolare le percezioni sensoriali delle varie
classi
sociali. Sembrava che, così, la vita in città
proseguisse più serena e che i
reati punibili capitalmente diminuissero in modo significativo.
Si chiese che cosa sarebbe
successo se per caso qualcuno avesse attraversato la porta sbagliata, e
subito si
maledisse per ciò che gli era venuto in mente.
Poiché non aveva tra le mani la blusfera
a fare da schermante tra lui e la realtà, i suoi
pensieri divenivano subito parte del presente. Sentì delle
urla sofferte
provenire dall'arco di sinistra. Una voce metallica diede un annuncio
al megafono:
«Si pregano gentilente i viaggiatori presenti di attendere
fermi sul posto.» La
voce ripeté il messaggio diverse volte. Dannick aspettò
con lo sguardo rivolto al pavimento, infilò una mano in
tasca
e strinse forte la
blusfera sforzandosi di
non pensare ad altro.
Non esistevano episodi
documentati di altri sensitivi a cui capitasse una cosa del genere: non
era
normale ragionare mentalmente su qualcosa e vederla avverarsi un attimo
dopo.
Questo era un altro motivo per cui teneva spesso gli auricolari con
musiche del
secolo XXI: quelle melodie gli tenevano la mente occupata evitando di
fare
danni.
Fuori dalla stazione, alla fine del
marciapiede, quando
Dannick alzò
lo sguardo per decidere la direzione da
prendere, rimase piacevolmente sorpreso. La città di Seresix
era un dedalo di palazzi a più livelli disseminato di
strette viuzze. Non
c’erano strade, come quelle che era abituato a vedere nel suo
paese, ma grandi
canyon artificiali, le cui pareti erano formate da palazzi dai colori
pastello costruiti
uno sull’altro.
Naturalmente sapeva grazie ai libri
che cosa avrebbe
visto una volta arrivato, ma vederlo di persona faceva tutto un altro
effetto.
Tirò fuori dalla tasca
la blusfera e, guidato
da mille sensazioni, imboccò una viuzza
laterale poco frequentata.
Dopo una ventina di minuti
di camminata si ritrovò di fronte a una piazza
affollatissima. Al lato est si
ergeva quello che sembrava a tutti gli effetti un palazzo reale, mentre
a ovest
– oltre il mare di gente – c’era un campo santo o,
come lo chiamavano da quelle parti, Sacro Memoralium.
Riconobbe quest'ultimo come la struttura grigia, circondata da
un’alta mura cosparsa
di torri a guglia che aveva visto nella sua visione.
Tornò a guardare verso
il
palazzone enorme a est, cercando di carpirne più particolari
possibili. Si
trattava di un edificio imponente a cinque o sei livelli.
L’architetto aveva
mescolato abilmente lo stile bizantino a quello delle culture
mediorientali. La
mole dei primi due piani era sorretta da esili colonnati intarsiati che
davano
l’impressione di potersi spezzare da un momento
all’altro.
Nei piani superiori si
aprivano diverse file di finestroni in stile arabo. Tutta la facciata
tendeva a
un colore rosato ed era impreziosita, qua e là, da mattoni
bianchi che
formavano disegni geometrici.
Guidato dall’istinto, ad
un
certo punto decise di farsi largo tra la folla irrequieta;
arrivò, dunque, in
prossimità dei cancelli del Sacro Memoralium
che erano
appena stati aperti. Davanti al corteo di nobili c’era una
ragazzina che, a
partire dal vestito che indossava, sembrava letteralmente una bambola
di
porcellana. La folla iniziò a gridare parole di disprezzo e
a lanciare frutta e
verdura andata a male. Era chiaro che il bersaglio principale a cui
miravano
era lei. Al suo fianco un soldato tutto bardato la proteggeva con lo
scudo e la
avvolgeva in parte con il suo mantello rosso.
Constatò che quella
scena
era esattamente ciò aveva visto nella sua ultima
premonizione.
A quel punto, Dannick si aspettava che la
prossima visione gli si sarebbe
rivelata da un momento all’altro, permettendogli
così di riflettere sulla
prossima mossa da compiere. Mentre aspettava, ascoltò con
più attenzione gli
insulti urlati dal popolo e, dopo una prima difficoltà a
cogliere alcune parole
a causa del particolare accento del posto, capì che la
ragazza era di sangue
reale.
In testa al corteo, la principessa Fenna avanzava, a passo misurato
con il capo chino, protetta
dal suo rharmé.Dannick la seguiva con
lo sguardo, rapito da tanta
compostezza nonostante la situazione quasi insostenibile. Quella
giovane
emanava un’energia indecifrabile: sembrava un vulcano pronto
a esplodere, per questo,
quando lei sollevò il capo puntandogli occhi
addosso, percepì un brivido. In
quel momento successe qualcosa: Dannick
si rese conto
che la visione non sarebbe venuta e al contempo si sentì
strano: in lui si
agitava un mix di eccitazione e smarrimento.
Aspettò immobile,
finché la
principessa e tutto il suo seguito ebbero attraversato la
piazza e varcato
il
portone del palazzo reale. Rimase lì anche
dopo che la folla
iniziò a diradarsi fino a lasciarlo completamente solo. Si
sedette a terra a
gambe incrociate e attese qualcosa che forse non sarebbe mai arrivato.
Le
ombre delle torri del
Sacro Memoralium si
erano allungate e coprivano
tutta la piazza. Stava per scendere la notte e lui non aveva nemmeno un
posto
in cui andare.
Dopo un po', il
grande portone in ferro battuto del palazzo si riaprì e ne
uscirono due rharmé
che gli andarono in contro. Non fu troppo sorpreso quando si accorse
che i due sembravano
cercare proprio lui: gli si affiancarono e, senza dare spiegazioni, lo
condussero all’interno della residenza reale.
Note
autore:
Ringrazio i lettori che mi seguono. Come vedete i
capitoletti si stanno leggermente allungando. Spero che non vi sia
dispiaciuta questa suddivisione ineguale di parole.
Mi farebbe molto piacere ricevere i vostri pareri. ;-*
Nel cortile interno del palazzo
reale, un uomo sulla
quarantina vestito con una tunica verde ordinò alle guardie
di andare. Era una
figura alta e slanciata, con i capelli brizzolati e un viso che
ispirava
saggezza e bontà d’animo.
«Dovrete momentaneamente
separarvi
dalla vostra arma», disse l’uomo in tono cordiale,
fissando le due canne del
fucile BP-laser che sbucavano alle spalle di Dannick.
«Non è consentito portare armi quando si
è convocati pacificamente da un membro
della famiglia reale.»
«A che cosa devo questo
onore?», chiese mentre consegnava l’arma.
In risposta, l’altro gli
fece cenno con la mano di seguirlo verso un’ampia scalinata
che conduceva ai
piani superiori.
In una stanza con le pareti
completamente tappezzate di stoffa a motivi floreali c’era
lei ad aspettarlo,
la giovane principessa Fenna.
Stava seduta su un
divanetto rosso e aveva un vestito diverso da quello che
l’aveva vista
indossare prima, durante il corteo: era un abito color panna con
rifiniture di
pizzo nero.
Appena la porta si aprì,
lei
volse lo sguardo verso Dannick
che per un attimo
percepì la stessa sensazione che aveva avvertito
all’inizio, quando si era sentito scrutato nel mezzo della folla.
L’uomo che lo aveva
accompagnato fin lì fece un breve inchino e se
andò.
«Sei un sensitivo,
vero?»,
iniziò la principessa invitandolo ad avvicinarsi con un
gesto delicato.
«Sì nota
tanto?», rispose
lui sorridendo e fermandosi a qualche passo dal divano.
«Ho letto moltissimi
libri
sui sensitivi, vi ammiro molto. Però mio padre e mia madre
non vogliono che io
pensi a quelle cose, quindi devo procurarmi nuovi libri di nascosto. Thesel, l’uomo che ti
ha accompagnato da me, è il mio
consigliere più fidato.» Fece una breve pausa e
poi continuò con tono
divertito: «Abbiamo consiglieri per tutto. Dimmi una
qualsiasi cosa ti venga in
mente, la più stupida, noi abbiamo un consigliere anche per
quella.»
Dannick si sentì stuzzicato
dall’improvvisa confidenza che si
era venuta a creare e decise di stare al gioco: «Avete un
consigliere per
decidere che cosa mangiare a colazione?»
«Certo! E ne abbiamo uno
anche per il pranzo, per lo snack pomeridiano e per la cena!»
Dannick rise, si sentiva a suo agio con
lei, tanto che senza
pensarci iniziò a darle del tu. «E se ti viene
fame a mezzanotte?»
Fenna si alzò e, ignorando
completamente quella domanda,
gliene pose un’altra: «Qual è il tuo
nome?»
«Dannick
Pascal. Ma puoi chiamarmi Dan.»
«Io sono Fenna
de KasdeProbas.»
«Posso chiamarti solo Fenna?», chiese lui.
La principessa rise in modo
composto, con una mano posata delicatamente davanti le labbra. Lo
studiò per un
attimo con sguardo malizioso e poi disse: «Se ti rivolgessi a
qualunque altro
reale come stai facendo con me, credo che ti bandirebbe dal paese per
almeno
qualche anno.»
«Se ho mancato di
rispetto,
chiedo perdono», si affrettò a scusarsi lui.
«Non fa niente. Non mi
sono
mai piaciute le norme di galateo che accentuano le differenze
sociali», lo
rassicurò. Poi proseguì: «Preferirei se
mi chiamassi Fen.
Tre lettere per tre lettere, così siamo pari.»
Dopodiché, cambiando
totalmente argomento, lo invitò a sedersi e gli chiese:
«Posso vedere la tua
sfera magica?».
Dannick tirò fuori dalla tasca
la blusfera
e gliela porse.
«Puoi prevedere qualcosa
per
me?», continuò Fenna
tradendo un certo entusiasmo.
Il sensitivo per un attimo
fu incerto su cosa risponderle. Evidentemente, se gli poneva una
domanda simile,
doveva avere le idee un po’ confuse, nonostante avesse letto
molti libri. «Uhm…
in realtà non funziona così»,
iniziò. «Questa mi serve come scudo e come
incanalatore. Le premonizioni avvengono dentro la mia mente, senza che
io possa
decidere quando.»
«Vorrei tanto poter avere
anche io i poteri di un sensitivo», disse la giovane con aria
sognante. «Ti
prego prevedi qualcosa per me! Ti prego, ti prego, ti
prego!», insisté,
dimostrando di non aver ascoltato ciò che Dannick
aveva tentato di spiegarle.
Il ragazzo stava per
replicare, ma Fenna gli
fece cenno di stare in
silenzio, improvvisamente preoccupata per qualcosa che doveva trovarsi
oltre la
parete che separava la stanza in cui si trovavano dal corridoio.
«Sta per arrivare il
consigliere della cena e preferirei che non ti vedesse»,
disse. «Parlerò io al
re e alla regina della tua presenza qui. Intanto puoi nasconderti nella
mia
camera da letto.»
Detto questo si alzò, si
aggiustò il lungo vestito con
una mano e con l’altra indicò a Dannick la porta
della sua camera. Qualche secondo dopo aggiunse: «Non ti
preoccupare, ti farò
arrivare qualcosa da mangiare». Il ragazzo obbedì
ed entrò nell’altra stanza.
Riteneva che Fenna
fosse parecchio strana. Non aveva
più l’aria della principessa che deve mostrarsi
controllata e composta agli
occhi del popolo. Sembrava che, almeno in parte, avesse liberato
l’energia che
aveva dentro diventando più autentica.
Nella stanza da letto della
principessa le pareti
erano coperte di stoffa blu con disegni di costellazioni, sistemi
planetari e
nebulose. L’ampio letto a baldacchino era impreziosito da
preziosi drappi ed
era rivolto verso un’immensa libreria. Nella parete ovest,
invece, c’era un
comò in noce sovrastato da un bellissimo specchio dalla
cornice dorata.
Dannick si
avvicinò incuriosito al mobile-libreria e lesse alcuni
titoli dei volumi lì
raccolti. Fu alquanto sorpreso di trovare anche quello che lui aveva
cercato
inutilmente per mesi e mesi: il Majimentalis, un testo
scritto dai primi studiosi della
manipolazione della realtà. Fece per prenderlo in mano, ma
quando lo inclinò
verso di sé si attivò un meccanismo nascosto. Si
udì un click netto tipico di
una vecchia serratura; una porta segreta si era aperta poco
più in là, tra il
comò e una poltroncina.
Fenna tornò in camera seguita
da due inservienti che
portavano con loro un carello con delle pietanze. Aspettò
che i due uomini
fossero usciti e poi si sedette sul letto. Dannick non
poté fare a meno di
notare che la giovane aveva un’aria affranta.
«Qualcosa non
va?», le
chiese.
«Quella è la
tua cena.
Mangia e poi lascia il palazzo», disse secca.
Era chiaro che il re e la
regina non lo volevano avere attorno, ma non sapeva per quale motivo.
Il ragazzo ringraziò per
il cibo e, mentre cercava una
soluzione al quesito, si avvicinò al carello e
assaggiò qualche vivanda.
«Cosa devo fare per
chiedere
un’udienza ai sovrani?», chiese poco dopo.
La
sua domanda colse di sorpresa Fenna che sbarrò gli occhi e
poi scosse la testa. «Non
è una buona idea. Se la prenderanno con me.»
«Se la
prenderanno con te, perché? Non hai fatto niente di
male», replicò il sensitivo.
«Loro non vogliono che
perda
tempo con certe
cose», riprese la ragazza, «e hanno ragione. Sono la futura
governante della metropoli. Devo
concentrare le mie energie per cercare di intraprendere una saggia
politica di
pace e legalità. Se ti presenti a loro come sensitivo
capiranno che ho mentito
per tutto il tempo riguardo i miei veri interessi.»
Dannick si convinse che quelle non fossero
parole che nascevano
dal cuore della giovane, bensì dalla bocca dei due sovrani.
Da quello arrivò
alla conclusione che i genitori dovevano averle appena fatto una
ramanzina. Ora
era indeciso sul da farsi: andarsene senza opporre resistenza, o
cercare di
ottenere un’udienza con il re. I sovrani di qualsiasi regno,
dopotutto, non
potevano negare a un sensitivo il desiderio di parlare con loro.
C’era una
regola, e lui la conosceva bene, che prevedeva che a quelli della sua
specie
dovesse essere concesso sempre il permesso di essere ascoltati. Certo,
avrebbe
potuto lasciare il palazzo reale e tornarsene da dove era venuto, ma se
la sua
ultima premonizione lo aveva condotto fino a lì, lui era
convinto che dovesse
esserci un motivo
serio. Non
poteva lavarsene le mani da un momento
all’altro.
Provò, dunque, a far
ragionare Fenna
partendo da un altro punto. «Ho visto
che possiedi un raro libro scritto dai primi manipolatori della
realtà», disse.
«Sì. Ma come
avrai potuto
notare, possiedo molti più libri sull’arte del
governo», rispose lei insistendo
a voler soffocare la voce del suo cuore.
«Io scommetto che
preferisci
il Majimentalis e
ciò che sta nascosto oltre la porta
segreta», la provocò il ragazzo, scrutandola con
sguardo severo.
«Hai frugato tra le mie
cose!», proruppe lei con una certa irritazione.
«Devi andartene. Anche se
ottenessi di parlare con i sovrani, che cosa avresti da
dire?»
Dannick sospirò. Quella ragazza
sapeva essere molto testarda.
«Fen,
sono arrivato a Seresix
guidato da una premonizione
che ti riguardava, ok? Mi aspettavo che ne sarebbe seguita
un’altra, ma non è
stato così. In compenso tu mi hai fatto entrare a palazzo,
perché? La risposta
mi pare ovvia: a te piace la scienza della sensitività e
vorresti imparare. Se
ora ci troviamo entrambi faccia a faccia, sono sicuro che
c’è un
motivo più profondo di quanto
si possa immaginare, qualcosa che non possiamo ignorare
perché collegato alla
trama del destino.»
A quelle parole la
principessa non replicò e rimase per qualche attimo assorta
nei suoi pensieri,
poi annuì.
All’inizio
Fenna non era
molto convinta di quello che stava facendo, temeva che i suoi
l’avrebbero
punita, ma non poteva sopportare di perdere un’occasione che
probabilmente non
le si sarebbe più ripresentata. Era la prima volta che
parlava direttamente con
un sensitivo, ma Dannick
sembrava una brava persona:
sebbene lo conoscesse da pochissimo, in qualche modo si sentiva
già legata a
lui. Così aveva finito per raccontare al re e alla regina
della sua presenza
corte. Non l’avevano rimproverata in modo diretto per aver
accolto uno
straniero entro le mura del palazzo, ma lo sguardo severo del re era
già
abbastanza intimidatorio anche senza parole. Sua madre, la regina,
aveva
espresso un singolo pensiero: «Proprio oggi che ho perso mio
figlio dovevi
portare a corte un sensitivo.»
Fenna non capì che cosa
volesse dire, ma il tono
amareggiato che aveva usato l’aveva fatta sentire abbastanza
in colpa.
Poco dopo, raggiunse di
nascosto il soppalco della sala delle udienze –̶ una
specie di loggione
situato sopra la porta principale –
pronta
a osservare
l’incontro tra Dannick
e i sovrani. Presenziavano
all’evento anche alcuni dei principali consiglieri: erano
disposti a
semicerchio ai lati dei due troni, pronti a intervenire fornendo al re
suggerimenti.
Come Dannick
aveva previsto, i reali di corte non avevano potuto negargli
un’udienza. Quando
l’orologio a pendolo della sala scoccò le dieci e
mezza di sera, il re e la
regina si accomodarono nella sala e il sentivo fu condotto al loro
cospetto.
I sovrani sedevano
su due troni affiancati posti sopra un piccolo palchetto tappezzato di
rosso.
Indossavano entrambi l’abito nero del lutto. La regina aveva,
posato sui
capelli color cenere, un diadema, anch’esso di colore nero.
Il re, invece,
teneva l’elaborata corona dorata sul capo, con atteggiamento
fiero; il suo
linguaggio non verbale sembrava voler sottolineare la sua
nobiltà e potenza.
Dannick era piuttosto teso e questo non
gli era per niente
d’aiuto. Sapeva che se non avesse trovato le parole giuste
avrebbe rischiato di
essere frainteso e cacciato. Fece un breve inchino e, quando gli fu
concessa la
parola, prese un profondo inspiro prima di cominciare. Si
rivolse a entrambi:
«Vostre Maestà, giungo a Seresix
guidato da una
premonizione che riguarda vostra figlia, la principessa Fenna. Io credo che ella abbia
dentro di sé delle capacità nascoste che
potrebbe sviluppare, per
guidare al meglio il regno. Se mi darete il permesso, le
farò
io stesso da
maestro. Se deciderete di non assecondare la premonizione, io me ne
andrò, ma la
trama dei fili del destino non permetterà a questo paese di
vivere serenamente
il prossimo futuro.»
Si interruppe, rendendosi
conto che l’ultima frase poteva apparire leggermente
intimidatoria, se mal interpretata, ma ormai il
danno era fatto. Si augurò che i sovrani non intendessero
male.
Uno dei consiglieri si
avvicinò al re e gli disse qualcosa all’orecchio.
Il sovrano, però, sembrava
alquanto irritato e alzò una mano per dirgli di stare zitto.
«Signor Dannick
Pascal, lei entra nella dimora d’altri e si permette di
dettare condizioni»,
disse quasi urlando.
«Non era mia intenzione,
io…»
Non riuscì a terminare
la
frase perché il re proruppe ancora più alterato.
«Basta! Non tollero una tale
mancanza di rispetto! Ma non si dica mai che il sovrano di Seresix
non fu magnanimo. Le do cinque settimane per insegnare quello che deve
a mia
figlia. Se Fenna
avrà imparato per tempo, lei se ne potrà andare,
se non avrà imparato, non
lascerà più il paese e sarà
giustiziato
in piazza per oltraggio alla nobiltà del paese!»
La principessa
rabbrividì
dal suo nascondiglio segreto sul soppalco della sala, protetta dal
parapetto in
legno stuccato d’oro. Si raggomitolò e si
abbracciò le ginocchia, per quanto
l’ampia gonna le permettesse. La sensazione
d’impotenza che si era intrufolata
nella sua mente le fece pensare alle cose peggiori. Si sentì
responsabile,
perché era stata tutta colpa sua se Dannick
era
finito in quella situazione.
All'inizio aveva pensato che
chiamarlo a palazzo fosse una buona idea, ma non poteva tenere testa
alle obbiezioni dei suoi genitori. Avrebbe dovuto insistere, essere
irremovibile nel
suo desiderio di cacciarlo di corte. Prima lo invitava e poi lo
cacciava: era un controsenso, ma non ci poteva fare nulla. Per quanto le sarebbe dispiaciuto
vederlo
andar via, almeno gli avrebbe salvato la vita.
Udì la porta principale
della sala richiudersi sotto di lei e il vociare confuso farsi sempre
più debole, finché
non si ritrovò da sola, in completo silenzio.
La sera stessa, dopo
la fallimentare udienza di Dannick
con i sovrani, Fenna lo
aveva cercato nella stanza che gli era stata assegnata, ma lui si era
barricato
dentro e non sembrava intenzionato a voler aprire. Ben presto la
principessa si
era resa conto che era preoccupata per lui, che provava affetto nei
suoi
confronti e desiderava stargli vicino. Si accucciò fuori
dalla porta, le
movenze un po’ ingombrate dall’ampio abito
principesco. Poi iniziò a parlare
senza essere certa che lui la ascoltasse.
«È
stata colpa mia», iniziò
esitante. «Se non ti avessi fatto chiamare ora non saresti
qui, accusato da mio
padre di oltraggio, non dovresti preoccuparti di trovare una soluzione
per
uscirne vivo e, soprattutto, non avresti a che fare con
un’incapace come me».
«Prometto
che troverò una
soluzione, anche se non dovessi riuscire a insegnami. Comunque ne
uscirai vivo,
non permetterò che ti succeda niente.»
Pronunciò le ultime parole quasi in un
sussurro, poi si rialzò e si spostò poco
più in là, davanti a una grande finestra.
Lì, si mise a osservare le luci della città al di
là delle mura di cinta del
palazzo. Seresix era
uno spettacolo quando calava la
notte. Le luci delle abitazioni, ammassate una sull’altra,
formavano una
cortina magica: sembravano tante stelle incastonate poco più
in alto dell’altezza
dell’orizzonte.
In quel momento Dannick aprì la
porta, uscì e si affiancò alla principessa.
Lei sorrise e senza girarsi a guardarlo annunciò:
«Stai tranquillo, ho un buon
presentimento.»
«Inizieremo
proprio da
questo», dichiarò lui.
Fenna non era sicura di
aver
capito. «Da che cosa inizieremo?»
«Tu hai
chiaramente una
sensibilità fuori dal comune. Ti sei accorta di un sensitivo
in mezzo a una
folla di migliaia di persone, inoltre percepisci certe cose prima che
accadano.
Insieme cercheremo di sviluppare queste tue capacità,
così…» Per qualche motivo
s’interruppe, lasciando la frase a metà, come
colto
da un improvviso ricordo che
lo aveva portato con i pensieri altrove.
La giovane si giro
verso di
lui. Erano entrambi più o meno della stessa altezza.
«Mi puoi
raccontare la
premonizione che ti ha condotto qui?», gli chiese.
Visto che
l’altro non
accennava a voler rispondere, Fenna
sospirò e buttò
lì alcune ipotesi: «Hai visto la mia morte per
mano di qualcuno? No? Almeno
potresti dirmi se ci sono vicina o se sono completamente fuori strada!
Cosa hai
visto? Cadrà un meteorite sopra la città?
Scoppierà una guerra per causa mia?»
«Fen!
Nulla di tutto questo», la bloccò il ragazzo.
«Ti ho vista uscire dal Sacro Memoralium
accerchiata dall’odio del popolo. Mi è sembrato
che la tua anima urlasse “ci sono anch’io”[3].
La verità è che gli altri, in realtà,
non ti vedono. Guardano solo un’immagine costruita di
te.»
Il volto della
principessa s'illuminò in un sorriso pieno di calore.
Osservò il
volto di Dannick
e, improvvisamente, gli sembrò che non ci fosse niente di
più bello al mondo.
Desiderò di abbracciarlo, ma si limitò a
sfiorarlo
con la mano per poi dargli la
buonanotte.
«Ci vediamo
domani nel
rifugio segreto», disse lui. «Buonanotte
principessa Fen.»
La mattina seguente, Fenna si diresse nel laboratorio
dove il sensitivo gli
aveva dato appuntamento. Con “rifugio segreto” era
certa che lui intendesse proprio
quello.
Il laboratorio era
uno
spazio di circa una ventina di metri quadrati con il pavimento
piastrellato. Le
quattro pareti erano coperte da imponenti mobili in legno, con ante in
vetro che
lasciavano intravedere al loro interno una miriade di provette e vasi
decorati.
Per arrivare al laboratorio bisognava percorre un angusto corridoio con
dei muri spogli di
rozzo cemento.
L’accesso
era segreto: per
poter aprire la porta che conduceva al passaggio bisognava far scattare
un
meccanismo scegliendo un preciso volume della libreria nella camera da
letto
della principessa. A quanto le risultava, quella era l’unica
via d’accesso: per
questo, quando entrò, fu sorpresa di trovare Dannick
già lì, seduto oltre il tavolo di marmo al centro
della stanza. Aveva un’aria
spossata, quasi come se non avesse mai chiuso occhio durante la notte.
Stava
per chiedergli spiegazioni, ma il ragazzo iniziò a parlare
per primo facendole
dimenticare ciò che voleva dire.
«Eccoti.
Visto che ho solo cinque
settimane di vita, non ti dispiacerà sapere
che ho
già iniziato la stesura del tuo percorso
formativo», disse con un certo tono
autocommiserativo. Senza aspettare risposta si mise ad aprire varie
vetrine e a
scegliere accuratamente alcuni dei recipienti. Con un contagocce
estrasse da
ognuno un po’ di liquido che andò a posizionare in
altrettanti calici di vetro,
sopra al tavolo centrale di marmo.
«È
un laboratorio ben
fornito», commentò.
Fenna sorrise e
iniziò a
spiegare: «I sovrani non sanno che io conosco
l’accesso a questa stanza. Due
anni fa c’è stata una ristrutturazione: il palazzo
è così grande che la
gestione dello spazio è lasciata a una cinquantina di
consiglieri. Sono
riuscita a far affidare questa zona alla supervisione di Thesel,
mio fidato amico, oltre che un capace consigliere. L’hai
conosciuto anche tu.
Te lo ricorderai di sicuro, è l’uomo che ti ha
portato da me.»
Dannick annuì.
«Nella
nuova planimetria,
questo spazio è indicato come costruzione di sostegno per i
piani superiori»,
continuò lei. «Nessuno si sognerebbe mai di
entrarci. Praticamente i miei
pensano che il vecchio laboratorio sia stato smantellato.»
«Ogni
settimana mando Thesel
al mercato centrale in modo da non farmi mancare mai
niente. Fa piacere sentirsi dire da un vero sensitivo che il proprio
laboratorio è ben fornito.»
Si
avvicinò a Dannick
e si accinse a osservare quello che avrebbe creato
con le sostanze che aveva preparato ma, contrariamente alle sue
aspettative, il
sensitivo si girò verso di lei.
«Che cosa
hai imparato a
distillare finora?», le chiese.
«Nulla di
che. Ho provato a
creare il Kuinto, ma
devo aver sbagliato qualcosa.»
Il ragazzo
sembrò sorpreso.
«E dimmi, qual è l’effetto del Kuinto su chi lo
beve?»
Fenna sembrò
incerta. «Ehm, apre
l’accesso al subconscio, se non ricordo male.»
«Più
precisamente crea un
collegamento tra mente conscia e subconscio. È un trucco per
incanalare la
propria energia psichica in una regione cerebrale normalmente esclusa.
Un
elisir di quel tipo agisce sul sistema primitivo simpatico e disattiva
le
sinapsi amnesiche. Perché hai creato questa
pozione?»
«Che
importanza ha? Tanto
non ha funzionato», rispose Fenna.
«Dunque conosci
anche le tecniche dei majimensis?»
L’altro la
guardò di
sottecchi mentre si apprestava a mettere in ordine i calici che aveva
davanti.
«I manipolatori della realtà non usano mescolare
pozioni. Loro sono più dei
tecnici: creano strutture in grado di trasmettere particolari onde
invisibili che
influenzano la mente umana.»
«I
portali!», esclamò Fenna.
«Esatto. I
sensitivi,
invece, sono più dei salutisti che amano creare intrugli
mescolando sostanze
naturali», le fece l’occhiolino. «Ti
interessano molto i portali?»
Fenna annuì
pensierosa.
«Allora
metto nel tuo
percorso formativo un’uscita scolastica per visitare i
portali della stazione.»
«I sovrani
non mi lasceranno
mai uscire», disse la principessa.
«Tranquilla,
loro non devono
necessariamente sapere.»
«In ogni
caso la gente mi riconoscerà
e succederà il caos», replicò lei.
Dannick sospirò
e,
mentre iniziava
a distillare una nuova pozione, continuò a parlare.
«Ovviamente ti cercheremo un
travestimento in modo che nessuno capisca chi sei. Potresti essere un
po’ più
collaborativa? Non è che adesso, a ogni cosa che dico, te ne
salti fuori con un
problema irrisolvibile?»
Fenna sorrise e
continuò a
osservare quello che faceva il ragazzo. Stava mescolando diverse
sostanze
colorate nello stesso calice. Riconobbe subito quello che veniva
chiamato succo
di Pascafòlia,
dal caratteristico colore rosso vivo,
e l’essenza di acqua vergine, un liquido trasparente che a
tratti mandava
riflessi bluastri.
«Che cosa
stai
preparando?», chiese incuriosita.
«Il Proferatio», rispose,
come se fosse stata una cosa ovvia. Poi, visto che la ragazza lo
squadrava con aria confusa, aggiunse:
«È una pozione che
favorisce la manifestazione di eventuali capacità di
preveggenza. Ho quasi
finito e dopo potrai assaggiarla.»
Prese tra le dita il
gambo
del calice e, con un movimento dolce del polso, fece roteare il liquido
nella
coppa. Dopodiché lo porse a Fenna
che all’inizio,
tentennante, assaggiò un piccolo sorso e poi bevve tutto.
«Ha un buon
sapore»,
commentò.
Dannick sembrava
soddisfatto. «L’unico
difetto di questa pozione è che risulta inutile nel caso in
cui una persona
abbia il dono di fare sogni premonitori. Comunque ci metterà
un po’ per fare
effetto. Dunque mentre aspettiamo potremo realizzare il tuo
travestimento per
la visita ai portali.» Le fece di nuovo
l’occhiolino e la ragazza rispose con
uno sguardo complice.
«Hai degli
abiti che non
usi più?», s’informò lui.
«Ho
qualcosa di meglio»,
rispose lei con tono accattivante.
Nota:
3-“Ci sono
anch’io”
è un riferimento al titolo della canzone scelta per il contest.
Fenna de KasdeProbas
disponeva di un guardaroba molto assortito. Aveva, tra le varie cose,
anche indumenti
tipici di popolazioni extrasolari: vesti elaborate confezionate con
stoffe
pregiatissime e introvabili sulla terra. Le indossava durante le visite
di
ambasciatori di altri mondi, quando questo serviva a mostrare rispetto
per la
cultura straniera. Non aveva messo nessuno di quegli abiti per
più di una
volta, il che per lei era un peccato, perché certi erano
veramente molto belli.
Decise di mostrare i
suoi
preferiti a Dannick per
vedere se uno di quelli
poteva essere adatto da usare come camuffamento.
Durante la prova
degli
abiti, Dannick si era
fatto silenzioso e la osservava
con uno sguardo serio.
«A che cosa
stai
pensando?», gli chiese Fenna
a un tratto, volteggiando
leggiadra per la stanza.
L’altro si
scosse come
appena risvegliato da un sogno. «Mi piacerebbe vederteli
indossare tutti»,
disse. Poi, rendendosi conto che il suo desiderio poteva apparire fuori
luogo, si
schiarì la voce e aggiunse: «Credo che il marakasha
blu scuro che stai indossando sarà perfetto per
l’occasione. Il velo avvolto
attorno alla testa a coprire parzialmente il viso può
tornarci utile.»
«Allora
indosserò quello.
Sarò una marakashiana
in visita sul pianeta terra accompagnata
da un sensitivo.» Rise coprendosi le labbra con una mano e
osservando Dannick con
sguardo accattivante.
L’altro
rispose al sorriso
e poi cercò con gli occhi un orologio nella stanza.
«La pozione che hai bevuto
dovrebbe iniziare a fare effetto. Ti senti in qualche modo
diversa?», le chiese.
La principessa fece
un giro
su stessa e constatò che si sentiva sempre uguale. Nulla era
cambiato in lei. Poi
si aprì a una specie di confessione. «Sono felice
di averti conosciuto», disse.
«Non sapevo che cosa fosse la felicità prima che
tu entrassi a palazzo. Per il
resto non mi sembra sia cambiato molto.»
Il ragazzo le si
avvicinò e
la abbracciò, affondando il capo tra capelli argentati di
lei e respirandone il
profumo. Il gesto, per quanto inaspettato, apparve così
naturale che Fenna non
poté far altro che assecondarlo e sprofondare tra
le sue braccia calde.
Durante le due
settimane
seguenti, ogni tentativo di far sorgere nella principessa qualche
abilità
percettiva fuori dal comune era miseramente fallito. Niente visioni,
né
premonizioni. Fenna
continuava a dire di avere un
buon presentimento, ma questo non si concretizzava mai.
Nemmeno Dannick
era riuscito ad avere nuove premonizioni, dopo l’ultima
sperimentata prima di
partire; per questo era abbastanza preoccupato. Era arrivato al punto
di
pensare di aver perso il suo dono. La notte dormiva pochissimo, passava
gran
parte del tempo in laboratorio a studiare la composizione di un nuovo
elisir
per la principessa. Il tempo passava inesorabilmente e lo scadere della
quinta
settimana si faceva sempre più vicino.
Quando
arrivò il giorno previsto
per la visita ai portali, Fenna
voleva tirarsi
indietro. I sovrani non sapevano niente del loro piano, sarebbe stato Thesel a farli uscire di
nascosto dal palazzo. Era tutto
pronto, eppure Fenna al
pomeriggio, senza un motivo
apparente, si era improvvisamente incupita: non aveva più
voglia di muoversi e
sembrava depressa.
L’amico
sensitivo andò a cercarla
in camera. La trovò stesa a faccia in giù sul
letto con addosso il marakasha
blu scuro che doveva indossare per camuffarsi. Il
velo da portare in testa era scivolato sul tappeto.
Le si
avvicinò e notò che
era scossa dai sussulti: stava piangendo. Si sedette vicino a lei nel
letto.
«Fen,
ti va di parlare? Che cosa è successo?»
«Non posso
uscire», disse cercando
di frenare i singhiozzi. La faccia premuta contro il materasso impediva
alle
parole di risultare perfettamente chiare.
Dannick le
accarezzò la testa.
Morbidi ciuffi di capelli argentati gli scorsero tra le dita e fu
assalito dal desiderio.
Scacciò subito il pensiero cercando di concentrarsi sulla
situazione di disagio
che provava la giovane.
«Fen,
non posso vederti così. Tirati su e dimmi che cosa
c’è che non va!»
La ragazza
obbedì e
lentamente si risollevò e si sedette sul letto. La lunga
veste le si
attorcigliò alle gambe. Si schiarì la voce e
cercò di spiegare: «Sono arrivata
a una conclusione: io non ho nessun dono e non vale la pena che tu
perda tempo
con me. Thesel ti
farà uscire dal palazzo senza di
me. Sarai libero di fuggire e avrai salva la vita.»
«Ma
perché hai cambiato
idea improvvisamente? Nei giorni scorsi sembravi entusiasta di vedere i
portali
e ripetevi di avere un buon presentimento…»
Fenna non rispose e Dannick si mise a riflettere. Da
ieri a oggi non era
successo nulla di significativo; la principessa, come ogni giorno,
aveva parlato
con i suoi genitori solamente durante l’ora del pranzo e
della cena.
«I sovrani
ti hanno detto
qualcosa?», indagò.
«Hanno
fissato il giorno
del mio matrimonio», disse con un filo di voce.
Il volto di Dannick si rabbuiò.
«Se non
lo vuoi dovresti ribellarti!»
«Ma ho
firmato un
contratto…»
«Te
l’hanno fatto firmare
con l’inganno!», replicò lui infuriato.
La principessa gli aveva raccontato
tutto: un giorno in cui si erano rinchiusi in laboratorio a studiare,
ad un
certo punto, lei aveva sentito la necessità di condividere
il suo tormento con
lui.
«Non posso
permettere che
tu sposi un altro», sentenziò il ragazzo. Detto
questo le prese il viso tra le
mani con delicatezza, poi le si avvicinò e la
baciò. Per un attimo ebbe il
timore di aver commesso una sciocchezza, ma sentì le labbra
della ragazza
cercare le sue e ricambiare il contatto. La passione che aveva cercato
di
soffocare si stava manifestando più potente di prima. Le
mani cercarono con
urgenza i nodi del corpetto che indossava la giovane; li
slacciò uno dopo
l’altro, mentre Fenna
non tratteneva gemiti
d’eccitazione. Dannick
sentì proprio il corpo
percorso da un brivido. Interrompendo l’atto di spogliarla,
abbandonò il capo
sul suo seno, la attirò vicino a sé e la strinse
forte.
«Dan»,
la principessa
sussurrò il nome del sensitivo con un tono che sembrava
voler dire “perché ti
sei fermato?”
«Non voglio
complicare ancora
di più la situazione», fu la risposta di lui. Ma
mentre lo diceva le mani
avevano ripreso a insinuarsi tra le vesti della giovane e il suo
respiro era
diventato irregolare. Fenna
si abbandonò sul letto costringendo
Dannick a seguirla. Si
ritrovarono, così, uno sopra
l’altra. Il mantello nero sulle spalle del sensitivo li
copriva entrambi. Le
diede un altro bacio soffermandosi dolcemente sul labbro inferiore, poi
si
rialzò e si allontanò dal letto.
«Hai
ragione tu, me ne devo
andare», disse continuando a guardarla con desiderio
immutato. «Non voglio
obbligarti a uscire da palazzo se hai cambiato idea»,
sospirò e si mise a
riflettere.
«Ma avevi
detto che se ci
siamo incontrati c’era un motivo, qualcosa di collegato al
destino», disse Fenna.
«Sì,
è così. Ma forse non è
il momento giusto...», rispose.
La principessa Fenna si alzò, il suo
sguardo ora sembrava deciso. Mentre
si avvicinava al ragazzo con passo leggero, lasciò che
l’abito che indossava
scivolasse sul pavimento rivelando il suo corpo perfetto dalla
carnagione pallida.
Aveva improvvisamente dimenticato tutti i suoi timori e ora appariva
sicura e determinata
come non mai. Si portò a qualche centimetro da Dannick,
allungò una mano dietro il suo collo e, con un gesto
delicato come una carezza,
gli tolse il mantello.
«Lasciamoci
guidare dal
destino», gli disse in un sussurro vicinissimo al viso. Poi
lo trascinò nuovamente
sul letto.
Nota
autore:
Salve cari lettori,
questo
capitolo trattava la parte leggermente lime di cui avevo parlato nelle
note
dell’introduzione. Si era capito, vero?
Spero
che fin qui la
storia sia stata di vostro gradimento. Ormai mancano solo due capitoli
alla
fine di questa avventura. Se vi va di scrivermi un commento ne sarei
felice.
Due
figure sinistre si
stavano aggirando tra i sobborghi di Seresix
con aria
furtiva. Uno era vestito completamente di nero, l’altra
indossava un abito blu
pieno di veli che le coprivano anche il viso, rendendola
imperscrutabile.
Fenna,
dopo il momento di
indecisione, si era convinta a visitare i portali. Dopo cena Thesel li aveva condotti di
nascosto verso un’uscita
secondaria, quella che doveva essere usata in caso di evacuazione del
palazzo.
Prima di lasciarli andare, aveva trattenuto la principessa per
raccomandarle di
fare attenzione e Dannick
si era intromesso in modo
raggiante: «Non succederà niente a Fen finché
starà
con me.» C’era da dire che dopo essersi fatto
restituire il fucile BP-Laser si
sentiva ancora più forte e sicuro.
I
due si erano allontanati fianco a fianco a passo svelto in direzione
dell’intrico di viuzze, palazzi e pontili che si diramavano
per tutta la città.
Il sole stava calando e, quindi, tra gli edifici più alti la
luce già non
arrivava più, lasciando il percorso in penombra. Quando
furono abbastanza
lontani dal palazzo, Dannick
si fermò e si rivolse a Fenna:
«Sai come si arriva alla stazione?»
Si
era sentito uno sprovveduto ponendo quella domanda. Fenna,
comunque, si limitò a scuotere la testa. Continuava a
guardarsi in giro con
aria affascinata come se non fosse mai uscita dal palazzo in vita sua.
Dannick
tirò fuori dalla tasca la blusfera.
Considerando che si
erano infilati in un percorso diverso da quello che lo aveva condotto
lì
all’inizio, doveva fare affidamento esclusivamente nelle sue
percezioni.
Imboccarono
una viuzza laterale tra due edifici altissimi: il passaggio era
così stretto
che dovettero camminare uno dietro l’altra. Alla fine,
sbucarono in uno dei
grandi canyon artificiali tipici di Seresix,
in cui
le pareti erano i palazzi stessi ammassati uno su l’altro: un
parapetto in
ferro battuto proteggeva i due avventurieri dal vuoto.
«Questo
posto è bellissimo», commentò Fenna. «Avevo sempre
sentito parlare delle fondamenta di Seresix,
ma dalle
descrizioni non riuscivo a immaginarmele bene.»
Dannick
si girò a guardarla sorpreso e lei continuò:
«Le fondamenta sono tratti di marciapiede
che costeggiano i canyon, come questo. Si dice che durante il solstizio
d’estate, se il cielo è sereno, guardando in basso
si possono vedere dei canali
pieni d’acqua cristallina.»
«Non
sei mai uscita dal palazzo prima d’ora?»,
s’informò il ragazzo.
Fenna
rise. «Certo che sono
uscita dal palazzo! Sono stata al Sacro Memoralium
e poi
sono andata con i sovrani a qualche visita politica estera. In quei
casi, però,
usavamo sempre l’eliporto reale. Non ho mai percorso queste
strade comuni.»
Dannick
si sentì meglio sapendo che i suoi genitori
l’avevano portata con loro
all’estero. Per un attimo aveva temuto che
l’avessero sempre tenuta segregata.
«Ora
che stiamo andando ai portali dovresti sentire crescere una certa
energia in
te», le disse. «Riesci a imbrigliarla in modo da
capire in che direzione
andare?»
Fenna
guardò prima destra e
poi a sinistra. In quest’ultima direzione le abitazioni
diventavano più scure,
la parete era piena di tubi metallici e di recipienti che sembravano
serbatoi.
Alcune valvole sbuffavano un fumo nero e denso che aveva impregnato
l’intonaco
dei palazzi fino a un’altezza di qualche piano.
Dall’altra parte, l’aria
sembrava più pulita: la parete era bianca e spiccavano le
vetrine lucide di
alcuni negozi. Tuttavia, la ragazza non sentiva l’impulso di
andare in nessuna
delle due direzioni. Si guardò in avanti e, oltre il vuoto
al di là del
parapetto, la sua attenzione fu subito catturata da due vetrate a mezza
luna
che facevano parte di un elaborato edificio in stile barocco.
«Credo
che dovremo trovare un ponte e passare dall’altra
parte.»
«Penso
che tu abbia ragione», disse Dannick
dopo aver
cercato conferma nella blusfera.
Il
fatto che la principessa avesse intuito la strada giusta lo mise ancor
più di
buon umore. Considerò quello un segno propizio: forse il
dono di Fenna si stava
finalmente manifestando.
In
meno di mezz’ora si trovarono di fronte al piazzale della
stazione. La sera era
ormai calata e i finestroni illuminati dello stabile davano
l’impressione di
celare un luogo caldo e accogliente.
La
giovane prese la mano del sensitivo e la strinse. Nelle viuzze
secondarie, che
avevano percorso fino a un momento fa, non avevano incontrato molta
gente, ma
lì c’erano fiotti di persone che andavano e
venivano.
Dannick
cercò di tranquillizzarla: «Probabilmente non si
accorgerebbero di te nemmeno
se andassi in giro vestita con l’abito principesco. Sono
così impegnati nei
loro affari che per distrarli servirebbe un terremoto.»
«Forse
hai ragione», si convinse la ragazza.
Assieme
entrarono nell’atrio. In fondo si vedevano già i
tre portali e Fenna fu
colta da un entusiasmo crescente.
Poiché
erano obbligati a passare sotto i tre grandi archi solo coloro che
entravano in
città, era difficileavvicinarsi
a essi.
Il flusso di persone in arrivo era impossibile da contrastare. Andare
contro
corrente sarebbe stata un’impresa.
Dannick
si mise a cercare indicazioni per capire da che parte andare per
raggiungere le
piattaforme magnetiche, ma ad un certo punto si distrasse. I suoi
pensieri si
spostarono su Fenna,
che nonostante l’eccitazione per
aver raggiunto la meta, gli stava appiccicata e sembrava intimorita
dalla
confusione del luogo. Pensò che finora era andato tutto bene
e che a breve
avrebbe dovuto ricondurre la principessa verso il palazzo. In cuor suo,
però,
non aveva voglia di tornare. Gli baluginò nella mente una
scena: Fenna
smascherata che doveva fuggire saltando su un treno
assieme a lui. Non appena ebbe formulato il pensiero qualcuno
calpestò il lungo
velo del marakasha che
la ragazza indossava. Dannick
la vide barcollare all’indietro e riuscì ad
afferrarla appena in tempo, evitandole una brutta caduta. Tuttavia, la
stoffa
leggera che gli copriva il capo e parte del viso era stata strappata
dal colpo,
rivelando la sua vera identità. Fenna
assunse
un’espressione spaventata. Durante gli interminabili secondi
in cui cercò di
recuperare il velo, nessuno sembrò accorgersi di lei.
Ciò
che i due non sapevano era che nella stazione c’erano
telecamere a circuito
chiuso, programmate per il riconoscimento facciale di chiunque entrasse
o
uscisse da lì. Quasi certamente nessuno dei viaggiatori
avrebbe fatto caso a
lei, impegnati com’erano a raggiungere le proprie
destinazioni, tanto più che molti
di essi venivano da fuori e non la conoscevano. Ma quando il software
delle
telecamere riconobbe i tratti del viso della principessa,
cercò tra i dati un
permesso che giustificasse la sua presenza nel posto e, non trovandolo,
attivò
l’allarme. Per qualche istante i due restarono imbambolati
senza capire ciò che
stava succedendo. Poi a Dannick
parve di scorgere
delle guardie farsi largo tra la folla verso di loro, allora prese Fenna per mano e la costrinse a
correre: impresa alquanto
complessa con l’abito lungo che lei si ritrovava addosso.
Alla
fine, il ragazzo trovò un varco tra la confusione e la
condusse nella zona
delle piattaforme magnetiche dove si fermò per permettere
alla giovane di
riprendere fiato.
«Magari…»,
iniziò Fenna
tra una boccata d’aria e l’altra,
«l’allarme non era per me».
Deglutì e prese un altro profondo respiro. «Infine
non abbiamo fatto nulla di male.»
«È stata colpa mia», disse il ragazzo.
«In
che senso?», gli lanciò un’occhiata
confusa.
«Ti
spiegherò tutto più tardi. La nostra via di fuga
se ne sta andando senza di
noi», disse ricominciando a correre e trascinando la ragazza
con sé. Un treno
merci su una piattaforma magnetica vicina si era appena messo in
movimento. Dannick
aiutò Fenna
a salire la
scaletta che conduceva sul tetto del mezzo e poi si
arrampicò a sua volta prima
che il convoglio prendesse velocità.
La
principessa Fenna si
portò le mani in testa e si
scompigliò i capelli argentati. «Che pasticcio!
Non potrò più tornare a casa.»
Dannick
la guardò: tremava per colpa dell’aria fredda che
sferzava la
notte e che sul tetto del treno in corsa veniva amplificata. Le si
avvicinò e
le offrì un rifugio sotto al suo mantello. Dopo essersi
accomodata su di lui
continuò: «Spero che Thesel
non si senta in obbligo
di confessare e che nessuno si sia accorto dell’aiuto che ci
ha dato a uscire
dal palazzo.»
Il
ragazzo sospirò pensando alla situazione in cui si erano
messi.
«Probabilmente penseranno che ti ho rapita», disse.
«Alla prossima stazione ti
farò scendere e tu potrai raccontare di essere fuggita. Ho
già un’accusa di
oltraggio alla nobiltà sulla testa. Non sarà
difficile convincerli che ero un
pazzo che aveva pianificato tutto per rapire la principessa.»
Fenna
non disse niente, anzi, mise il broncio e il suo volto
s’incupì.
Era chiaro che quella soluzione non le piaceva. Ripensò al
fidanzato che non
voleva e che aveva visto solo in foto, e al suo imminente matrimonio.
La
prospettiva di passare la notte tra le braccia di qualcuno a cui voleva
veramente bene, su di un treno diretto chissà dove, le
sembrava molto più
avvincente. Tuttavia, qualcosa le impediva di prendere una decisione.
Quando
il treno si fermò alla stazione successiva, Dannick scese e tornò
poco dopo con due coperte che aveva
recuperato in un negozio che si affacciava alla ferrovia.
Raccontò che le aveva
barattate in cambio della lettura della mano, riuscendo a far sorgere
un
sorriso sul viso di Fenna,
che commentò: «Potevi farti
dare anche due crediti per il prossimo treno, no?»
«Purtroppo
pare che abbiamo imboccato una tratta commerciale. In
queste stazioni passano solo treni merci che non hanno posti per
passeggeri»,
si giustificò lui.
«Mi
sono informato anche sul percorso di questo treno e ho
scoperto che è diretto allo spazioporto»,
aggiunse. «Adesso sta a te decidere
che cosa fare.»
Protetti
dall’oscurità della notte riuscirono a passare
inosservati a tutte le stazioni in cui il treno sostava. Ogni volta Fenna trovava una scusa per
restare a bordo fino alla
fermata successiva.
Durante
il viaggio Dannick le
spiegò
perché dopo che era suonato l’allarme alla
stazione aveva detto che era stata tutta
colpa sua. Le parlò di come, in certe occasioni, i suoi
pensieri finivano per
tramutarsi in realtà a breve termine. Una
facoltà, questa, che finora non si
era mai rivelata in nessun sensitivo e perciò destava in lui
preoccupazione.
Mentre
il ragazzo parlava, Fenna
si
strinse la coperta addosso pensierosa, poi sollevò lo
sguardo verso l’alto e
subito si sentì piccola e insignificante rispetto
all’immensità del cosmo.
Attese
che lui finisse di parlare e poi prese la parola: «Sai, tu
sei l’unico che finora è riuscito a capirmi.
Quella cosa che mi hai detto… che
quando mi hai vista la prima volta ti è sembrato che la mia
anima urlasse “ci
sono anch’io”… beh, è proprio
così! Il re e la regina non mi hanno mai presa in
considerazione, tutte le loro attenzioni erano rivolte a mio
fratello.» Fece
una pausa, durante la quale si avvicinò di più a Dannick
che le cinse le spalle con un braccio. Gli si rannicchiò
contro in cerca di calore
e poi riprese: «Nella mia vita ho collezionato un sacco di
domande rimaste
senza risposta, tutto perché i miei mi impedivano di
interessarmi a qualsiasi
cosa che non fosse la politica.[4]»
«Ma
perché non ti sei mai ribellata», le chiese Dannick.
La
ragazza non sapeva che cosa rispondere e tra i due calò
momentaneamente
il silenzio. Probabilmente non si era ribellata perché
pensava di mancare di
rispetto ai suoi, o forse perché si era abituata talmente
tanto a quella situazione
che le sembrava la normalità.
Accanto
a lei, Dannick, si mise
a
maneggiare in modo irrequieto la sua sfera azzurra; i bagliori che
emanava
illuminavano il volto di lei e i suoi capelli argentati mossi dal
vento.
Sebbene la luce le recasse un po’ di fastidio, non lo
rimproverò e si limitò ad
affondare il capo sotto la coperta. Lo stress delle ultime ore
l’aveva spossata
e così finì per assopirsi. Quando si
risvegliò le sembrò di aver già
vissuto
quel momento. Il movimento cullante del treno, la notte, il vento
freddo, la blusfera tra
le mani di Dannick:
le sembrava che tutto avesse senso e che lei si trovasse nel posto
giusto.
«Ti
sei svegliata», le disse dolcemente il sensitivo,
sistemandole
un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. Anche quel gesto
destò in lei la
sensazione di aver già vissuto quei momenti.
«Appena
ho riaperto gli occhi ho avuto un déjà-vu: tu
dicevi
esattamente quelle parole accarezzandomi i capelli», gli
confidò.
Dannick
sorrise. «Quando andavo a scuola, la mia maestra di
cartomanzia
mi diceva che i déjà-vu sono frammenti di sogni
premonitori dimenticati. Non ho
mai capito se lo dicesse sul serio.»
La
ragazza sospirò ricordandosi di quella volta che aveva
provato
a registrare un sogno nel suo diario-specchio. La pozione del Kuinto che aveva creato
l’aveva solo fatta addormentare e i
fumosi ricordi del sogno erano spariti del tutto.
All’improvviso le venne
un’idea assurda. Provò a esprimerla solo per il
gusto di avere ancora qualcosa in
cui sperare.
«Non
avevi detto», iniziò «che la pozione del
Proser…
profer…»
«Proferatio?», le
andò in aiuto Dannick.
«Esatto,
quella per rivelare particolari capacità! Avevi detto che
non ha effetto se il mio dono è quello di avere sogni
premonitori, giusto?»
Dannick
corrugò la fronte assumendo un’espressione
perplessa. «Sì, in
effetti, il Proferatio
ha questa caratteristica»,
confermò.
«Questo
spiegherebbe tutto!», esultò Fenna.
«Probabilmente è questa la mia capacità
da svelare. Che ne pensi?», chiese.
Il
ragazzo la osservò incerto. «Penso che non
dovresti illuderti.
Se poi scoprissi di non avere effettivamente nessun dono particolare,
che cosa
faresti?»
Il
volto della principessa si rabbuiò. Quella cruda
osservazione l’aveva
rattristata. Si rese conto, però, che Dannick poteva
avere ragione. La vista le si appannò per le lacrime e si
morse un labbro per
costringerle a restare nascoste. Da tre settimane tentava inutilmente
di
risvegliare le sue presunte facoltà senza successo e si
sentiva sempre più
un’inetta. Doveva essere impazzita a salire clandestinamente
a bordo di un
treno merci. Per fare cosa poi? Fuggire dalla città con un
sensitivo conosciuto
appena tre settimane prima?
Dannick
si accorse poco dopo di aver toccato un tasto dolente e di
essersi espresso forse in modo un po’ duro, dunque
cercò di rimediare. Appoggiò
momentaneamente la blusfera
tra suoi piedi, in modo
che non rotolasse giù a causa del dondolio del treno, poi
prese dolcemente Fenna
per mano e intanto con l’altra tolse dalla tasca
interna della giubba una piccola fialetta di vetro.
«Assaggia
questa. È una nuova soluzione benefica che ho da poco
distillato. Deve essere perfezionata, ma sicuramente un po’
ti farà stare
meglio. L’ho chiamata Fen,
anche se sarebbe stato più
corretto Proferatio II,
dato che è un tentativo che
ho fatto di perfezionare il primo distillato.»
La
ragazza strinse la sua mano. «Non pensi più che io
abbia una
sensibilità fuori dal comune?», chiese con tono
avvilito.
«Certo
che lo penso! Mi sono solo espresso male. Ti chiedo scusa.»
La
principessa lo osservò titubante per qualche istante, poi
prese
la fiala che le porgeva e bevve un sorso.
In
quelle poche settimane di tempo che aveva avuto per conoscerla
meglio, Dannick aveva
assistito ai suoi sbalzi
d’umore e ascoltato certi suo ragionamenti sconclusionati che
spesso la
facevano apparire sulla soglia della pazzia. Aveva imparato ad amarla e
ad apprezzare
il suo carattere complesso anche nei momenti in cui poteva sembrare
esasperante. Quando non era impegnato a cercare d’insegnarle
come incanalare
l’energia nel modo corretto, lavorava sulla creazione di un
elisir che potesse
aiutarla a vedere le cose da un’altra prospettiva.
Praticamente, in un modo o
nell’altro, ogni suo pensiero era dedicato a lei.
D’altronde da lei dipendeva
il suo futuro.
Dannick
si ripeteva spesso che, comunque sarebbe andata, non era colpa di
nessuno se era finito in quella situazione. Lui non era bravo a
parlare, Fenna era
soggiogata dall’educazione reale e le
premonizioni erano sempre state imprevedibili come il vento estivo.
Questo
aveva creato i presupposti perché si arrivasse a quel punto.
Almeno,
nella libreria della principessa, aveva potuto trovare sollievo
leggendo rari volumi introvabili. Le conoscenze che possedeva riguardo
la mente
umana erano già molto vaste, con quei nuovi libri le aveva
ampliate ancora di
più e aveva provato a metterle in pratica creando un
perfezionamento del Proferatio:
la soluzione che aveva appena offerto a Fenna.
Improvvisamente
la principessa cambiò espressione, sembrò
risvegliarsi da una sorta di torpore e Dannick
capì
che il suo intruglio stava facendo effetto.
«Dan!
È fantastico!», disse la giovane alzandosi in
piedi e
guardando il cielo con le braccia rivolte verso l’alto.
«Fai
attenzione, ricorda che siamo sul tetto di un treno in
corsa»,
disse pronto ad afferrarla in caso di pericolo. Tuttavia Fenna
era concentrata altrove e non aveva nemmeno udito le sue parole. Poco
dopo aver
bevuto l’elisir la sua mente aveva elaborato fantastici mondi
inesplorati,
paradisi di pace in cui placide sorgenti d’acqua pura
sgorgavano dalle pendici
di monti striati di venature d’oro.
«Che
cosa vedi?», le chiese lui incuriosito, ma Fenna non rispose
perché la visione era già cambiata. Ora
era impegnata a guardarsi dall’esterno, e quello che vide non
fu piacevole: una
principessa corrotta dall’apatia e dagli agi di corte che
preferiva invecchiare
nella noia, piuttosto che decidere da sola della propria vita.
Quell’immagine
di lei, come un essere evanescente che passa per caso sulla terra senza
fare
nulla di buono, le provocò un moto di disprezzo nei propri
confronti. Si voltò
di scatto verso il ragazzo con una voglia pazzesca di dare una svolta
alla sua
vita. Gli si inginocchiò vicino e lo fissò per un
istante con una luce strana
negli occhi.
«Scompariamo
per sempre!», gli disse.
«Scomparire?»,
chiese Dannick, un
po’
confuso perché non si aspettava una tale reazione.
«Sì,
sento che è la cosa più giusta da fare! Voglio
passare una
notte all’addiaccio nei sobborghi malfamati di una
città aliena! Voglio vedere
dove vanno a finire le stelle cadenti! Voglio esplorare un quadrante
sconosciuto dell’universo! E lo voglio fare assieme a
te!»
Tornò
a sedersi a fianco del sensitivo e poi gli si avvicinò
all’orecchio con fare sensuale, come per raccontargli un
segreto che neanche il
vento doveva sentire. «Ho ricordato una cosa. Ti ho sognato
ancora prima di
incontrarti. Adesso so con certezza che il mio posto è
vicino a te.»
Più
o meno nello stesso momento, al palazzo reale di Seresix era giunta dalla
stazione dei treni la segnalazione
dell’avvistamento della principessa Fenna.
Lo
stralcio del video che stavano rivedendo mostrava chiaramente la
principessa e
il sentivo che si tenevano per mano.
Il
re, furibondo, avrebbe voluto mettere una taglia sulla testa di
Dannick Pascal. Ma,
infine, sotto suggerimento dei
consiglieri, i sovrani si preoccuparono di inviare una risposta in cui
spiegavano
che doveva esserci un errore. Dissero che la principessa era al palazzo
e che
probabilmente le telecamere avevano ripreso una persona che aveva
indossato una
maschera del volto di loro figlia, per il gusto di creare un
po’ scompiglio.
Speravano
che questa dichiarazione potesse tenere calma la stampa in
modo da scongiurare uno scandalo.
Fenna,
dunque, avrebbe potuto stare serena: ci sarebbe voluto un bel
po’ prima che a corte elaborassero un piano per andarla a
recuperare. Anche
perché, in realtà, i sovrani confidavano sul
fatto che sarebbe tornata di sua
spontanea volontà.
Il
consigliere Thesel, che
era l’unico informato
sulla fuga, si finse del tutto estraneo e si curò di non
raccontare nulla del
loro piano. Aveva sempre sperato che la principessa riuscisse, prima o
poi, a
imporsi e a ribellarsi dall’oppressione dei sovrani che le
toglievano la gioia
di vivere. Certo, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo
così presto e
in questo modo. In ogni caso, per nulla pentito di avere aiutato i due
fuggitivi, si augurò che la giovane riuscisse finalmente a
realizzare i propri
sogni.
Nota:
4-
La frase vuole
essere un riferimento alle seguenti strofe della canzone “Ci
sono anch’io”:
“[…]
Io di
risposte non ne ho
mai avute
mai ne avrò
di domande ne ho quante ne vuoi […]”
Fine.
N.d.A
Ci
tengo a ringraziare chi mi ha lasciato una breve recensione, Najara per
aver indetto il contest, e CaptainKonnyche
–
senza conoscermi –
si è letta
nove capitoli tutti d’un fiato, e mi ha fatto gentilmente
notare le cose che
non le tornavano della trama.
Dopo
questa storia ho intenzione di prendere una pausa. Prima di pubblicare
cose nuove, devo
prima revisionare ciò che ho già scritto. Il mio
spirito perfezionista mi
perseguita. Intanto riprenderò, forse, a pubblicare qualche
breve poesia.