La principessa e il sensitivo

di Monique Namie
(/viewuser.php?uid=106217)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***



Capitolo 1
*** I ***


1.uno

Racconto IV classificato al contest "È una storia sai...", indetto da Najara sul forum di EFP:

Prompt:

Canzone 11: Il pianeta del tesoro: "Ci sono anch'io"

Immagine A: Guard, by wlop


Inizialmente avevo scritto questo racconto anche per il contest "Stempunk tendencies". Anche se, alla fine, ho deciso di non partecipare più, le immagini che avevo scelto sono comunque presenti nel testo. Eccole:

Personaggio: diamante.

Ambientazione: n. 13




LA PRINCIPESSA

E IL SENSITIVO

1.

Quella mattina, erano appena le cinque quando la principessa Fenna – secondogenita della famiglia reale Kasde Probas – si svegliò pervasa da una strana euforia. Il lenzuolo di seta era in parte scivolato giù dal letto a baldacchino, segno che aveva passato una notte di sonno movimentato.

La giovane si alzò e andò a sedersi davanti al comò in noce con specchiera, poi passò una mano su una piccola fotocellula a lato dello specchio.

«Caro diario», cominciò la principessa, parlando a bassa voce all’immagine riflessa davanti a sé. «Ho fatto un sogno stranissimo. Innanzitutto, vedevo me stessa agire dall’esterno. Ogni parola proferita, ogni cenno, ogni emozione era vicinissima, ma allo stesso tempo sembrava non appartenermi.» Portò due dita alle tempie in un gesto che sembrava voler catturare reminiscenze lontane nella sua mente. «Sento che i ricordi stanno già iniziando a sfumare…»

Si fermò qualche istante a fissare lo specchio. Quel grazioso visino privo di rughe, che dimostrava meno anni di quanti ne avesse in realtà, ricambiò l’occhiata confusa. Nemmeno i capelli argentati, che di solito suscitavano l’idea di persona vissuta, riuscivano a farla sembra più matura.

In basso, nell’angolo destro della cornice dorata della grande specchiera, lampeggiava una lucina rossa che indicava che la registrazione era in atto. Sospirò provando nuovamente a riordinare i ricordi; non riuscendoci si spazientì e decise di giocare il suo asso nella manica. Prese la boccetta colma di elisir che aveva distillato la sera prima, e che aveva lasciato sopra il comò guidata da una specie di presentimento; la osservò per qualche secondo e poi bevve tutto d’un fiato. Dopodiché indossò un braccialetto rigido d’argento con una grossa pietra azzurra incastonata al centro. La pozione fece subito effetto e lei si addormentò seduta sulla poltroncina e con il capo adagiato sul legno duro del mobile. La pietra del braccialetto che indossava iniziò a mandare bagliori ritmici; pian piano il suo pulsare si sincronizzò con quello della lucina rossa dello specchio, segno che il suo subconscio aveva iniziato a trasmettere.

Il sogno completo restò impresso nella memoria interna del diario della principessa. Una volta terminata la registrazione, la lucina che segnalava la trasmissione si spense. Lo specchio restò acceso per un altro quarto d’ora prima di andare in stand-by. Poi, visto che nessuno aveva più cercato di comunicare con esso, si attivò un programma che trasferì quanto ricevuto in un archivio di sistema protetto da una password generata automaticamente.

Quando, pochi minuti più tardi, la principessa riprese conoscenza si sentiva ancora pervasa da una piacevole euforia. Lei non lo sapeva, ma la pozione che aveva preparato aveva funzionato perfettamente: si era venuto a creare un collegamento fra il proprio subconscio e il dispositivo, installato nella specchiera, capace di leggere e tradurre le onde cerebrali. Tuttavia, per colpa di un effetto collaterale, Fenna non ricordava ciò che era accaduto dal momento successivo in cui aveva bevuto la pozione. Un po’ confusa riaccese il diario-specchio per controllare gli ultimi dati registrati, ma non trovò alcuna traccia recente. Credette, quindi, che il suo distillato avesse fallito e che il sogno fosse andato perduto per sempre. Si tolse il braccialetto e, con un gesto di stizza, gettò via la boccetta vuota di vetro che, al contatto con il pavimento, andò in frantumi.

Si rimise a letto senza riuscire a chiudere occhio finché, alle sette in punto, qualcuno bussò alla porta della camera. Era il consueto consigliere reale addetto alla colazione che, dopo averle dato il buongiorno, le annunciava di aver preparato un sano e nutriente spuntino.

La giovane s’incamminò scalza verso la porta, la veste da notte che strusciava sul pavimento. Passò distratta davanti al comò e finì per ferirsi superficialmente un piede con una scheggia di vetro della boccetta rotta in precedenza. «Questa giornata inizia proprio a meraviglia», commentò in tono sarcastico rivolgendosi a se stessa.






Note autore:

Salve a tutti, lettori e avventurieri.

Dunque, questo capitoletto è un po' breve e lo sarà anche il prossimo. Tendo a considerarli entrambi come anti-prorogo e prologo. Consiglio di proseguire la lettura per avere più chiara la situazione. Mi è stato fatto notare, e purtroppo sono d’accordo anch’io, che questo prorogo rivela gran poco. Per questo motivo, prima di pubblicare nel blog, cercherò di revisionarne i capitoli rendendoli tutti più o meno della stessa lunghezza, e mettendo più carne al fuoco, in modo da saziare anche i lettori più avidi.

Oltre a ciò, vi svelo che il racconto ha bisogno di una revisionata. L'ho scritto velocemente in modo da stare dentro ai tempi (e al numero massimo di parole) del contest. Per cui non è risultato proprio come avrei voluto. Ringrazio molto chi deciderà di leggere e di lasciarmi una recensione.

---

Questo racconto è un'opera di fantasia. I personaggi e le situazioni presenti sono frutto dell'immaginazione.





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono  riservati © Monique Namie

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


2.


Dannick Pascal aveva trovato posto vicino al finestrino; il treno veloce lo avrebbe condotto a destinazione in due ore. Amava guardare il susseguirsi di paesaggi naturali e antropici oltre il vetro; gli auricolari, sprofondati nelle orecchie ricoperte dai folti capelli neri, rimandavano canzoni tipiche del XXI secolo. Quella particolare musica, per qualche motivo a lui sconosciuto, gli ricordava immense metropoli in cui tutti andavano di fretta al proprio appuntamento d’affari. Nei suoi trent’anni di vita, tuttavia, di immense metropoli non ne aveva mai viste dal vivo. Seresix[1] sarebbe stata la prima, non appena l’avesse raggiunta.

Il suo paese natale era una piccola cittadina di periferia in cui la gente tendeva a non farsi mai gli affari propri e a giudicare le persone a partire da come si vestono. Il fatto che i passeggeri del treno veloce non badassero alla presenza di Dannick, era sintomo del fatto che la tratta era frequentata soprattutto da gente di un’importante città, abituata a fregarsene degli altri. Nessuno, infatti, sembrava interessarsi a lui, eppure non era di certo un tipo che passava inosservato.

Dannick vestiva con indumenti neri di manifattura artigianale piuttosto usurati: pantaloni lunghi infilati dentro a un paio di stivali con lacci che gli arrivavano al polpaccio, una giubba pesante con un collo alto, rigido ed esageratamente spesso, che finiva per coprirgli il mento e la bocca appena abbassava lo sguardo. Sulle spalle aveva un lungo mantello scucito e strappato verso il fondo. Quello che di solito attirava maggiormente l’attenzione era, in ogni caso, il fucile BP-laser a due canne. Normalmente lo teneva su una spalla, ora invece era adagiato sul sedile dal lato del finestrino. E la blusfera, un oggetto sferico che a tratti mandava bagliori azzurri, era tenuta al riparo nella tasca sinistra dei pantaloni. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si trattava di una sfera di cristallo da cui trarre visioni, ma più che altro uno scudo. La blusfera aveva la funzione di indirizzare le facoltà mentali di un sensitivo verso strade sicure e di schermare da eventuali pericoli. Dannick in quel momento ne aveva più bisogno di un tempo, visto che le sue facoltà stavano evolvendo in modo alquanto inusuale.

Si stava avvicinando l’imbrunire. Il cielo era tinto di colori caldi stesi a sprazzi: arancione, rosso e viola. Vaste estensioni di terreno, coperte da pannelli fotoelettrici accostati da culture di piante aliene a basso stelo, stavano lasciando gradualmente il posto a zone sempre più brulicanti di abitazioni. Sopra alla ferrovia ogni tanto passava qualche strada sopraelevata sorretta da maestosi pilastri a spirale, progettati per sopportare pesi enormi. Nel cielo, navette di rientro da altre zone dell’universo sbucavano dalle nubi lasciando una scia iridescente al loro passaggio.

Dal treno su cui viaggiava, Dannick osservava e registrava ogni cosa esterna. Viveva l’ambiente a trecentosessanta gradi solo guardandolo: sentiva il vento fresco autunnale sulla sua pelle, la luce del sole morente colpirgli il viso e i rumori del traffico in lontananza. Il malinconico automatismo con cui tutto sembrava procedere gli apriva un varco nell’anima, talmente profondo che temeva potesse entrarci qualche demone; la vecchia musica che ascoltava serviva anche a questo, a tenerlo concentrato su qualcosa di piacevole per scongiurare il pericolo.

Sarebbe arrivato a destinazione ormai a breve. A Seresix avrebbe dovuto raggiungere una vasta piazza che dava su una struttura grigia, circondata da un’alta mura cosparsa di torri a guglia. Lì sapeva che avrebbe avuto la prossima visione.

Si sentiva un po’ preoccupato, anche se non era la prima volta che entrava in azione. Temeva sempre di non essere all’altezza della situazione e di fallire. Il suo punto debole era il dialogo: raramente riusciva a sostenere una conversazione senza essere frainteso. Che cosa sarebbe successo in quel caso? Se avesse fallito, per il disonore arrecato a quelli della sua specie, avrebbe dovuto andare in esilio. Al pensiero poggiò il capo sul finestrino e si abbandonò al cullare placido del treno sulla piattaforma magnetica.





Nota:

1- Il nome Seresix vorrebbe ricordare la Repubblica Serenissima, ovvero un antico Stato italiano con capitale Venezia. L’immagine che avevo scelto per il contest “Steampunk tendencies” mi ha ricordato molto quest'ultima città. La potete vedere nel link del primo capitolo. Nel seguito del racconto potrete cercare di riconoscerla nelle descrizioni (mi auguro di aver fatto un buon lavoro).





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


3.

 

3.

 

Per Fenna de Kasde Probas quello era un giorno triste. Era iniziato male dalla mattina, quando aveva constatato di aver creato l’ennesima pozione fallimentare e si era accidentalmente ferita un piede con una scheggia di vetro. Ora il graffio iniziava a farle di nuovo male a causa della calzatura troppo stretta che indossava. Inoltre, la ghiaia del cortile del Sacro Memoralium non le era per nulla d’aiuto.

Dopo colazione i consiglieri le avevano rammentato del funerale, anche non ce n’era bisogno, d’altronde come poteva dimenticarlo. Quel giorno avrebbe dovuto dire addio per sempre a suo fratello, prossimo erede secondo la linea di successione della famiglia reale.

Più riesaminava le circostanze in cui era avvenuta la sua morte, più il fatto le sembrava surreale. Stava rientrando da una visita politica all’estero; era a circa cento chilometri da Seresix quando, durante l’ultima sosta, un pazzo gli aveva sparato uccidendolo.

I pensieri di Fenna rimbalzarono da cosa all’altra, da un ricordo all’altro senza un nesso logico. Ad un certo punto pensò a di avere ancora diciott’anni, mentre in realtà ne aveva venti, compiuti proprio il mese scorso. Non si rendeva conto di essere sulla soglia di una crisi, tanto più che dall’esterno dava l’idea di essere sempre la stessa; erano solo certi suoi pensieri a essere anomali.

Con una mano si aggiustò una spallina dell’abito che era scesa un po’ troppo. A corte esisteva un consigliere per ogni cosa. Ce n’era uno che consigliava persino che cosa indossare per uscire dal castello. A lei, per la triste occasione, era stato suggerito un abito in tessuto riflettente argentato. Era un modello scollato con le spalline cadenti, più stretto in vita e con una gonna molto ampia e lunga fino a terra. Lo aveva trovato un modello molto bello, ma troppo provocatorio per essere indossato a quell’evento. «Sembra che io stia andando a un ballo», aveva detto. E il consigliere aveva ribadito: «La stoffa retivish è indicata per i lutti. Andrà benissimo, non vi preoccupate principessa. E poi si abbina perfettamente ai vostri capelli d’argento».

 
Fino al momento prima di rivedere il fratello, Fenna non aveva ancora preso coscienza della realtà dei fatti. Nella sua mente lui era ancora vivo. Quando si era trovata di fronte a quella figura immobile, in una bara ornata internamente di un tessuto color crema, per lo shock aveva stentato a riconoscerne i lineamenti famigliari. Il suo volto pallido, le labbra esangui, le mani bianche intrecciate sul petto: nel complesso sembrava un manichino coperto da un trucco di scena ideato per uno scherzo macabro. La ferita del proiettile che lo aveva colpito al cuore era nascosta dall’abito regale. Fenna arrivò alla conclusione che quella fosse una riproduzione abbastanza fedele di suo fratello, ma non perfetta. Sì, sicuramente quello era un fantoccio travestito e il vero erede al trono era a godersi la vita da qualche altra parte. Aveva lasciato a lei tutti gli oneri di corte solo perché, preso da un moto di ribellione, aveva deciso che ne aveva abbastanza degli impegni reali e avrebbe cercato la pace e l’anonimato in qualche paradiso remoto. Quasi le venne da ridere immaginandosi la scena, ma riuscì a trattenersi evitando una pessima figura.

Un attimo dopo, concentrandosi sul fatto che comunque non lo avrebbe più rivisto, si commosse. Mentre la bara veniva deposta nella cripta del santuario e sigillata, osservò la regina piangere disperatamente sorretta da suo padre, il re, anch’egli alquanto scosso. Mentre i sovrani erano sconfortati perché lo credevano veramente morto, Fenna si ritrovò a singhiozzare perché sapeva che le sarebbe stato impossibile raggiungerlo, ovunque fosse il posto in cui aveva deciso di stabilirsi. Pensò che tutti recitassero molto bene la loro parte e improvvisamente si sentì fuori luogo. Si asciugò subito gli occhi e rivolse lo sguardo altrove; la folla, al di fuori del Sacro Memoralium, era immensa e raccolta in un rispettoso silenzio. Ma la calma era destinata a finire presto.

 
Al termine della cerimonia di addio, prima di uscire dal cancello, un soldato in armatura affiancò la principessa obbedendo a un cenno del re.

«Non capisco», disse Fenna, «che cosa potrà mai succedermi?»

Il soldato non rispose. Era sicuramente uno di quei nuovi rharmé[2], robot-soldati da difesa privi di un vocabolario mentale e di un sistema vocale per rispondere. Fu Thesel, uno dei consiglieri più fidati della giovane, a chiarire il dubbio. «Vostro fratello era molto amato dal popolo. La notizia che abbia subìto un attentato, proprio mentre veniva a rendere omaggio al vostro fidanzamento ufficiale, potrebbe provocare reazioni impreviste.»

Già, il fidanzamento ufficiale: una tappa obbligatoria che l’avrebbe condotta al matrimonio il mese prossimo.

Fenna non disse nulla, ma dentro di sé pensò che il destino le stesse giocando un'enorme beffa. Nemmeno lo voleva un fidanzato: al compimento del suo diciottesimo anno aveva firmato qualche carta e, inconsapevolmente, aveva anche accettato come futuro marito un tale, figlio di importati imprenditori che intrattenevano affari con colonie extrasolari. I suoi genitori l’avevano ingannata evitando di specificare tutte le clausole e questo la faceva stare ancora peggio.

 

 

Nota:

2- Rharmé è una parola inventata da me per indicare dei robot-soldati. Il neologismo è nato dalla fusione di “R” (che nei racconti di Isaac Asimov sta per “robot”) e “armata” francesizzato.





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


capitolo IV

4.


La stazione era un luogo magnifico: la struttura, coperta da un tetto trasparente, ospitava una trentina di piattaforme magnetiche. Da una parte, tre grandi archi dall’apparenza antica conducevano la gente appena sbarcata nell’atrio e poi verso l’uscita. Sopra ognuno di essi c’era una scritta che fungeva da indicatore per lo smistamento dei viaggiatori. Uomini e donne d’affari dovevano passare sotto il portale di sinistra, i turisti dovevano andare a destra, tutti gli altri dovevano passare al centro.

Una tale magnificenza e organizzazione lasciavano a bocca aperta.

Dannick Pascal conosceva l’utilizzo dei portali di smistaggio solo teoricamente. Aveva letto che nelle più grandi metropoli erano stati ingaggiati dei majimensis, manipolatori di realtà, che costruivano sistemi per stimolare le percezioni sensoriali delle varie classi sociali. Sembrava che, così, la vita in città proseguisse più serena e che i reati punibili capitalmente diminuissero in modo significativo.

Si chiese che cosa sarebbe successo se per caso qualcuno avesse attraversato la porta sbagliata, e subito si maledisse per ciò che gli era venuto in mente. Poiché non aveva tra le mani la blusfera a fare da schermante tra lui e la realtà, i suoi pensieri divenivano subito parte del presente. Sentì delle urla sofferte provenire dall'arco di sinistra. Una voce metallica diede un annuncio al megafono: «Si pregano gentilente i viaggiatori presenti di attendere fermi sul posto.» La voce ripeté il messaggio diverse volte. Dannick aspettò con lo sguardo rivolto al pavimento, infilò una mano in tasca e strinse forte la blusfera sforzandosi di non pensare ad altro.

Non esistevano episodi documentati di altri sensitivi a cui capitasse una cosa del genere: non era normale ragionare mentalmente su qualcosa e vederla avverarsi un attimo dopo. Questo era un altro motivo per cui teneva spesso gli auricolari con musiche del secolo XXI: quelle melodie gli tenevano la mente occupata evitando di fare danni.


Fuori dalla stazione, alla fine del marciapiede, quando Dannick alzò lo sguardo per decidere la direzione da prendere, rimase piacevolmente sorpreso. La città di Seresix era un dedalo di palazzi a più livelli disseminato di strette viuzze. Non c’erano strade, come quelle che era abituato a vedere nel suo paese, ma grandi canyon artificiali, le cui pareti erano formate da palazzi dai colori pastello costruiti uno sull’altro.

Naturalmente sapeva grazie ai libri che cosa avrebbe visto una volta arrivato, ma vederlo di persona faceva tutto un altro effetto.

Tirò fuori dalla tasca la blusfera e, guidato da mille sensazioni, imboccò una viuzza laterale poco frequentata.

Dopo una ventina di minuti di camminata si ritrovò di fronte a una piazza affollatissima. Al lato est si ergeva quello che sembrava a tutti gli effetti un palazzo reale, mentre a ovest oltre il mare di gente c’era un campo santo o, come lo chiamavano da quelle parti, Sacro Memoralium. Riconobbe quest'ultimo come la struttura grigia, circondata da un’alta mura cosparsa di torri a guglia che aveva visto nella sua visione.

Tornò a guardare verso il palazzone enorme a est, cercando di carpirne più particolari possibili. Si trattava di un edificio imponente a cinque o sei livelli. L’architetto aveva mescolato abilmente lo stile bizantino a quello delle culture mediorientali. La mole dei primi due piani era sorretta da esili colonnati intarsiati che davano l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro. Nei piani superiori si aprivano diverse file di finestroni in stile arabo. Tutta la facciata tendeva a un colore rosato ed era impreziosita, qua e là, da mattoni bianchi che formavano disegni geometrici.

Guidato dall’istinto, ad un certo punto decise di farsi largo tra la folla irrequieta; arrivò, dunque, in prossimità dei cancelli del Sacro Memoralium che erano appena stati aperti. Davanti al corteo di nobili c’era una ragazzina che, a partire dal vestito che indossava, sembrava letteralmente una bambola di porcellana. La folla iniziò a gridare parole di disprezzo e a lanciare frutta e verdura andata a male. Era chiaro che il bersaglio principale a cui miravano era lei. Al suo fianco un soldato tutto bardato la proteggeva con lo scudo e la avvolgeva in parte con il suo mantello rosso.

Constatò che quella scena era esattamente ciò aveva visto nella sua ultima premonizione.

A quel punto, Dannick si aspettava che la prossima visione gli si sarebbe rivelata da un momento all’altro, permettendogli così di riflettere sulla prossima mossa da compiere. Mentre aspettava, ascoltò con più attenzione gli insulti urlati dal popolo e, dopo una prima difficoltà a cogliere alcune parole a causa del particolare accento del posto, capì che la ragazza era di sangue reale.

In testa al corteo, la principessa Fenna avanzava, a passo misurato con il capo chino, protetta dal suo rharmé. Dannick la seguiva con lo sguardo, rapito da tanta compostezza nonostante la situazione quasi insostenibile. Quella giovane emanava un’energia indecifrabile: sembrava un vulcano pronto a esplodere, per questo, quando lei sollevò il capo puntandogli occhi addosso, percepì un brivido. In quel momento successe qualcosa: Dannick si rese conto che la visione non sarebbe venuta e al contempo si sentì strano: in lui si agitava un mix di eccitazione e smarrimento.

Aspettò immobile, finché la principessa e tutto il suo seguito ebbero attraversato la piazza e varcato il portone del palazzo reale. Rimase lì anche dopo che la folla iniziò a diradarsi fino a lasciarlo completamente solo. Si sedette a terra a gambe incrociate e attese qualcosa che forse non sarebbe mai arrivato.

Le ombre delle torri del Sacro Memoralium si erano allungate e coprivano tutta la piazza. Stava per scendere la notte e lui non aveva nemmeno un posto in cui andare.

Dopo un po', il grande portone in ferro battuto del palazzo si riaprì e ne uscirono due rharmé che gli andarono in contro. Non fu troppo sorpreso quando si accorse che i due sembravano cercare proprio lui: gli si affiancarono e, senza dare spiegazioni, lo condussero all’interno della residenza reale.




Note autore:
Ringrazio i lettori che mi seguono. Come vedete i capitoletti si stanno leggermente allungando. Spero che non vi sia dispiaciuta questa suddivisione ineguale di parole.
Mi farebbe molto piacere ricevere i vostri pareri. ;-*





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


5.

 

Nel cortile interno del palazzo reale, un uomo sulla quarantina vestito con una tunica verde ordinò alle guardie di andare. Era una figura alta e slanciata, con i capelli brizzolati e un viso che ispirava saggezza e bontà d’animo.

«Dovrete momentaneamente separarvi dalla vostra arma», disse l’uomo in tono cordiale, fissando le due canne del fucile BP-laser che sbucavano alle spalle di Dannick. «Non è consentito portare armi quando si è convocati pacificamente da un membro della famiglia reale.»

«A che cosa devo questo onore?», chiese mentre consegnava l’arma.

In risposta, l’altro gli fece cenno con la mano di seguirlo verso un’ampia scalinata che conduceva ai piani superiori.

In una stanza con le pareti completamente tappezzate di stoffa a motivi floreali c’era lei ad aspettarlo, la giovane principessa Fenna. Stava seduta su un divanetto rosso e aveva un vestito diverso da quello che l’aveva vista indossare prima, durante il corteo: era un abito color panna con rifiniture di pizzo nero.

Appena la porta si aprì, lei volse lo sguardo verso Dannick che per un attimo percepì la stessa sensazione che aveva avvertito all’inizio, quando si era sentito scrutato nel mezzo della folla.

L’uomo che lo aveva accompagnato fin lì fece un breve inchino e se andò.

«Sei un sensitivo, vero?», iniziò la principessa invitandolo ad avvicinarsi con un gesto delicato.

«Sì nota tanto?», rispose lui sorridendo e fermandosi a qualche passo dal divano.

«Ho letto moltissimi libri sui sensitivi, vi ammiro molto. Però mio padre e mia madre non vogliono che io pensi a quelle cose, quindi devo procurarmi nuovi libri di nascosto. Thesel, l’uomo che ti ha accompagnato da me, è il mio consigliere più fidato.» Fece una breve pausa e poi continuò con tono divertito: «Abbiamo consiglieri per tutto. Dimmi una qualsiasi cosa ti venga in mente, la più stupida, noi abbiamo un consigliere anche per quella.»

Dannick si sentì stuzzicato dall’improvvisa confidenza che si era venuta a creare e decise di stare al gioco: «Avete un consigliere per decidere che cosa mangiare a colazione?»

«Certo! E ne abbiamo uno anche per il pranzo, per lo snack pomeridiano e per la cena!»

Dannick rise, si sentiva a suo agio con lei, tanto che senza pensarci iniziò a darle del tu. «E se ti viene fame a mezzanotte?»

Fenna si alzò e, ignorando completamente quella domanda, gliene pose un’altra: «Qual è il tuo nome?»

«Dannick Pascal. Ma puoi chiamarmi Dan.»

«Io sono Fenna de Kasde Probas

«Posso chiamarti solo Fenna?», chiese lui.

La principessa rise in modo composto, con una mano posata delicatamente davanti le labbra. Lo studiò per un attimo con sguardo malizioso e poi disse: «Se ti rivolgessi a qualunque altro reale come stai facendo con me, credo che ti bandirebbe dal paese per almeno qualche anno.»

«Se ho mancato di rispetto, chiedo perdono», si affrettò a scusarsi lui.

«Non fa niente. Non mi sono mai piaciute le norme di galateo che accentuano le differenze sociali», lo rassicurò. Poi proseguì: «Preferirei se mi chiamassi Fen. Tre lettere per tre lettere, così siamo pari.»

Dopodiché, cambiando totalmente argomento, lo invitò a sedersi e gli chiese: «Posso vedere la tua sfera magica?».

Dannick tirò fuori dalla tasca la blusfera e gliela porse.

«Puoi prevedere qualcosa per me?», continuò Fenna tradendo un certo entusiasmo.

Il sensitivo per un attimo fu incerto su cosa risponderle. Evidentemente, se gli poneva una domanda simile, doveva avere le idee un po’ confuse, nonostante avesse letto molti libri. «Uhm… in realtà non funziona così», iniziò. «Questa mi serve come scudo e come incanalatore. Le premonizioni avvengono dentro la mia mente, senza che io possa decidere quando.»

«Vorrei tanto poter avere anche io i poteri di un sensitivo», disse la giovane con aria sognante. «Ti prego prevedi qualcosa per me! Ti prego, ti prego, ti prego!», insisté, dimostrando di non aver ascoltato ciò che Dannick aveva tentato di spiegarle.

Il ragazzo stava per replicare, ma Fenna gli fece cenno di stare in silenzio, improvvisamente preoccupata per qualcosa che doveva trovarsi oltre la parete che separava la stanza in cui si trovavano dal corridoio.

«Sta per arrivare il consigliere della cena e preferirei che non ti vedesse», disse. «Parlerò io al re e alla regina della tua presenza qui. Intanto puoi nasconderti nella mia camera da letto.»

Detto questo si alzò, si aggiustò il lungo vestito con una mano e con l’altra indicò a Dannick la porta della sua camera. Qualche secondo dopo aggiunse: «Non ti preoccupare, ti farò arrivare qualcosa da mangiare». Il ragazzo obbedì ed entrò nell’altra stanza. Riteneva che Fenna fosse parecchio strana. Non aveva più l’aria della principessa che deve mostrarsi controllata e composta agli occhi del popolo. Sembrava che, almeno in parte, avesse liberato l’energia che aveva dentro diventando più autentica.

 

Nella stanza da letto della principessa le pareti erano coperte di stoffa blu con disegni di costellazioni, sistemi planetari e nebulose. L’ampio letto a baldacchino era impreziosito da preziosi drappi ed era rivolto verso un’immensa libreria. Nella parete ovest, invece, c’era un comò in noce sovrastato da un bellissimo specchio dalla cornice dorata.

Dannick si avvicinò incuriosito al mobile-libreria e lesse alcuni titoli dei volumi lì raccolti. Fu alquanto sorpreso di trovare anche quello che lui aveva cercato inutilmente per mesi e mesi: il Majimentalis, un testo scritto dai primi studiosi della manipolazione della realtà. Fece per prenderlo in mano, ma quando lo inclinò verso di sé si attivò un meccanismo nascosto. Si udì un click netto tipico di una vecchia serratura; una porta segreta si era aperta poco più in là, tra il comò e una poltroncina.






"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


sesto

6.

 

Fenna tornò in camera seguita da due inservienti che portavano con loro un carello con delle pietanze. Aspettò che i due uomini fossero usciti e poi si sedette sul letto. Dannick non poté fare a meno di notare che la giovane aveva un’aria affranta.

«Qualcosa non va?», le chiese.

«Quella è la tua cena. Mangia e poi lascia il palazzo», disse secca.

Era chiaro che il re e la regina non lo volevano avere attorno, ma non sapeva per quale motivo. Il ragazzo ringraziò per il cibo e, mentre cercava una soluzione al quesito, si avvicinò al carello e assaggiò qualche vivanda.

«Cosa devo fare per chiedere un’udienza ai sovrani?», chiese poco dopo.

La sua domanda colse di sorpresa Fenna che sbarrò gli occhi e poi scosse la testa. «Non è una buona idea. Se la prenderanno con me.»

«Se la prenderanno con te, perché? Non hai fatto niente di male», replicò il sensitivo.

«Loro non vogliono che perda tempo con certe cose», riprese la ragazza, «e hanno ragione. Sono la futura governante della metropoli. Devo concentrare le mie energie per cercare di intraprendere una saggia politica di pace e legalità. Se ti presenti a loro come sensitivo capiranno che ho mentito per tutto il tempo riguardo i miei veri interessi.»

Dannick si convinse che quelle non fossero parole che nascevano dal cuore della giovane, bensì dalla bocca dei due sovrani. Da quello arrivò alla conclusione che i genitori dovevano averle appena fatto una ramanzina. Ora era indeciso sul da farsi: andarsene senza opporre resistenza, o cercare di ottenere un’udienza con il re. I sovrani di qualsiasi regno, dopotutto, non potevano negare a un sensitivo il desiderio di parlare con loro. C’era una regola, e lui la conosceva bene, che prevedeva che a quelli della sua specie dovesse essere concesso sempre il permesso di essere ascoltati. Certo, avrebbe potuto lasciare il palazzo reale e tornarsene da dove era venuto, ma se la sua ultima premonizione lo aveva condotto fino a lì, lui era convinto che dovesse esserci un motivo serio. Non poteva lavarsene le mani da un momento all’altro.

Provò, dunque, a far ragionare Fenna partendo da un altro punto. «Ho visto che possiedi un raro libro scritto dai primi manipolatori della realtà», disse.

«Sì. Ma come avrai potuto notare, possiedo molti più libri sull’arte del governo», rispose lei insistendo a  voler soffocare la voce del suo cuore.

«Io scommetto che preferisci il Majimentalis e ciò che sta nascosto oltre la porta segreta», la provocò il ragazzo, scrutandola con sguardo severo.

«Hai frugato tra le mie cose!», proruppe lei con una certa irritazione. «Devi andartene. Anche se ottenessi di parlare con i sovrani, che cosa avresti da dire?»

Dannick sospirò. Quella ragazza sapeva essere molto testarda.

«Fen, sono arrivato a Seresix guidato da una premonizione che ti riguardava, ok? Mi aspettavo che ne sarebbe seguita un’altra, ma non è stato così. In compenso tu mi hai fatto entrare a palazzo, perché? La risposta mi pare ovvia: a te piace la scienza della sensitività e vorresti imparare. Se ora ci troviamo entrambi faccia a faccia, sono sicuro che c’è un motivo più profondo di quanto si possa immaginare, qualcosa che non possiamo ignorare perché collegato alla trama del destino.»

A quelle parole la principessa non replicò e rimase per qualche attimo assorta nei suoi pensieri, poi annuì.

 

All’inizio Fenna non era molto convinta di quello che stava facendo, temeva che i suoi l’avrebbero punita, ma non poteva sopportare di perdere un’occasione che probabilmente non le si sarebbe più ripresentata. Era la prima volta che parlava direttamente con un sensitivo, ma Dannick sembrava una brava persona: sebbene lo conoscesse da pochissimo, in qualche modo si sentiva già legata a lui. Così aveva finito per raccontare al re e alla regina della sua presenza corte. Non l’avevano rimproverata in modo diretto per aver accolto uno straniero entro le mura del palazzo, ma lo sguardo severo del re era già abbastanza intimidatorio anche senza parole. Sua madre, la regina, aveva espresso un singolo pensiero: «Proprio oggi che ho perso mio figlio dovevi portare a corte un sensitivo.»

Fenna non capì che cosa volesse dire, ma il tono amareggiato che aveva usato l’aveva fatta sentire abbastanza in colpa.

Poco dopo, raggiunse di nascosto il soppalco della sala delle udienze ̶ una specie di loggione situato sopra la porta principale pronta a osservare l’incontro tra Dannick e i sovrani. Presenziavano all’evento anche alcuni dei principali consiglieri: erano disposti a semicerchio ai lati dei due troni, pronti a intervenire fornendo al re suggerimenti.

Come Dannick aveva previsto, i reali di corte non avevano potuto negargli un’udienza. Quando l’orologio a pendolo della sala scoccò le dieci e mezza di sera, il re e la regina si accomodarono nella sala e il sentivo fu condotto al loro cospetto.

I sovrani sedevano su due troni affiancati posti sopra un piccolo palchetto tappezzato di rosso. Indossavano entrambi l’abito nero del lutto. La regina aveva, posato sui capelli color cenere, un diadema, anch’esso di colore nero. Il re, invece, teneva l’elaborata corona dorata sul capo, con atteggiamento fiero; il suo linguaggio non verbale sembrava voler sottolineare la sua nobiltà e potenza.

Dannick era piuttosto teso e questo non gli era per niente d’aiuto. Sapeva che se non avesse trovato le parole giuste avrebbe rischiato di essere frainteso e cacciato. Fece un breve inchino e, quando gli fu concessa la parola, prese un profondo inspiro prima di cominciare. Si rivolse a entrambi: «Vostre Maestà, giungo a Seresix guidato da una premonizione che riguarda vostra figlia, la principessa Fenna. Io credo che ella abbia dentro di sé delle capacità nascoste che potrebbe sviluppare, per guidare al meglio il regno. Se mi darete il permesso, le farò io stesso da maestro. Se deciderete di non assecondare la premonizione, io me ne andrò, ma la trama dei fili del destino non permetterà a questo paese di vivere serenamente il prossimo futuro.»

Si interruppe, rendendosi conto che l’ultima frase poteva apparire leggermente intimidatoria, se mal interpretata, ma ormai il danno era fatto. Si augurò che i sovrani non intendessero male.

Uno dei consiglieri si avvicinò al re e gli disse qualcosa all’orecchio. Il sovrano, però, sembrava alquanto irritato e alzò una mano per dirgli di stare zitto.

«Signor Dannick Pascal, lei entra nella dimora d’altri e si permette di dettare condizioni», disse quasi urlando.

«Non era mia intenzione, io…»

Non riuscì a terminare la frase perché il re proruppe ancora più alterato. «Basta! Non tollero una tale mancanza di rispetto! Ma non si dica mai che il sovrano di Seresix non fu magnanimo. Le do cinque settimane per insegnare quello che deve a mia figlia. Se Fenna avrà imparato per tempo, lei se ne potrà andare, se non avrà imparato, non lascerà più il paese e sarà giustiziato in piazza per oltraggio alla nobiltà del paese!»

La principessa rabbrividì dal suo nascondiglio segreto sul soppalco della sala, protetta dal parapetto in legno stuccato d’oro. Si raggomitolò e si abbracciò le ginocchia, per quanto l’ampia gonna le permettesse. La sensazione d’impotenza che si era intrufolata nella sua mente le fece pensare alle cose peggiori. Si sentì responsabile, perché era stata tutta colpa sua se Dannick era finito in quella situazione.

All'inizio aveva pensato che chiamarlo a palazzo fosse una buona idea, ma non poteva tenere testa alle obbiezioni dei suoi genitori. Avrebbe dovuto insistere, essere irremovibile nel suo desiderio di cacciarlo di corte. Prima lo invitava e poi lo cacciava: era un controsenso, ma non ci poteva fare nulla. Per quanto le sarebbe dispiaciuto vederlo andar via, almeno gli avrebbe salvato la vita.

Udì la porta principale della sala richiudersi sotto di lei e il vociare confuso farsi sempre più debole, finché non si ritrovò da sola, in completo silenzio.






"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


7.

 

La sera stessa, dopo la fallimentare udienza di Dannick con i sovrani, Fenna lo aveva cercato nella stanza che gli era stata assegnata, ma lui si era barricato dentro e non sembrava intenzionato a voler aprire. Ben presto la principessa si era resa conto che era preoccupata per lui, che provava affetto nei suoi confronti e desiderava stargli vicino. Si accucciò fuori dalla porta, le movenze un po’ ingombrate dall’ampio abito principesco. Poi iniziò a parlare senza essere certa che lui la ascoltasse.

«È stata colpa mia», iniziò esitante. «Se non ti avessi fatto chiamare ora non saresti qui, accusato da mio padre di oltraggio, non dovresti preoccuparti di trovare una soluzione per uscirne vivo e, soprattutto, non avresti a che fare con un’incapace come me».

«Prometto che troverò una soluzione, anche se non dovessi riuscire a insegnami. Comunque ne uscirai vivo, non permetterò che ti succeda niente.» Pronunciò le ultime parole quasi in un sussurro, poi si rialzò e si spostò poco più in là, davanti a una grande finestra. Lì, si mise a osservare le luci della città al di là delle mura di cinta del palazzo. Seresix era uno spettacolo quando calava la notte. Le luci delle abitazioni, ammassate una sull’altra, formavano una cortina magica: sembravano tante stelle incastonate poco più in alto dell’altezza dell’orizzonte.

In quel momento Dannick aprì la porta, uscì e si affiancò alla principessa. Lei sorrise e senza girarsi a guardarlo annunciò: «Stai tranquillo, ho un buon presentimento.»

«Inizieremo proprio da questo», dichiarò lui.

Fenna non era sicura di aver capito. «Da che cosa inizieremo?»

«Tu hai chiaramente una sensibilità fuori dal comune. Ti sei accorta di un sensitivo in mezzo a una folla di migliaia di persone, inoltre percepisci certe cose prima che accadano. Insieme cercheremo di sviluppare queste tue capacità, così…» Per qualche motivo s’interruppe, lasciando la frase a metà, come colto da un improvviso ricordo che lo aveva portato con i pensieri altrove.

La giovane si giro verso di lui. Erano entrambi più o meno della stessa altezza.

«Mi puoi raccontare la premonizione che ti ha condotto qui?», gli chiese.

Visto che l’altro non accennava a voler rispondere, Fenna sospirò e buttò lì alcune ipotesi: «Hai visto la mia morte per mano di qualcuno? No? Almeno potresti dirmi se ci sono vicina o se sono completamente fuori strada! Cosa hai visto? Cadrà un meteorite sopra la città? Scoppierà una guerra per causa mia?»

«Fen! Nulla di tutto questo», la bloccò il ragazzo. «Ti ho vista uscire dal Sacro Memoralium accerchiata dall’odio del popolo. Mi è sembrato che la tua anima urlasse “ci sono anch’io”[3]. La verità è che gli altri, in realtà, non ti vedono. Guardano solo un’immagine costruita di te.»

Il volto della principessa s'illuminò in un sorriso pieno di calore. Osservò il volto di Dannick e, improvvisamente, gli sembrò che non ci fosse niente di più bello al mondo. Desiderò di abbracciarlo, ma si limitò a sfiorarlo con la mano per poi dargli la buonanotte.

«Ci vediamo domani nel rifugio segreto», disse lui. «Buonanotte principessa Fen

 

La mattina seguente, Fenna si diresse nel laboratorio dove il sensitivo gli aveva dato appuntamento. Con “rifugio segreto” era certa che lui intendesse proprio quello.

Il laboratorio era uno spazio di circa una ventina di metri quadrati con il pavimento piastrellato. Le quattro pareti erano coperte da imponenti mobili in legno, con ante in vetro che lasciavano intravedere al loro interno una miriade di provette e vasi decorati. Per arrivare al laboratorio bisognava percorre un angusto corridoio con dei muri spogli di rozzo cemento.

L’accesso era segreto: per poter aprire la porta che conduceva al passaggio bisognava far scattare un meccanismo scegliendo un preciso volume della libreria nella camera da letto della principessa. A quanto le risultava, quella era l’unica via d’accesso: per questo, quando entrò, fu sorpresa di trovare Dannick già lì, seduto oltre il tavolo di marmo al centro della stanza. Aveva un’aria spossata, quasi come se non avesse mai chiuso occhio durante la notte. Stava per chiedergli spiegazioni, ma il ragazzo iniziò a parlare per primo facendole dimenticare ciò che voleva dire.

«Eccoti. Visto che ho solo cinque settimane di vita, non ti dispiacerà sapere che ho già iniziato la stesura del tuo percorso formativo», disse con un certo tono autocommiserativo. Senza aspettare risposta si mise ad aprire varie vetrine e a scegliere accuratamente alcuni dei recipienti. Con un contagocce estrasse da ognuno un po’ di liquido che andò a posizionare in altrettanti calici di vetro, sopra al tavolo centrale di marmo.

«È un laboratorio ben fornito», commentò.

Fenna sorrise e iniziò a spiegare: «I sovrani non sanno che io conosco l’accesso a questa stanza. Due anni fa c’è stata una ristrutturazione: il palazzo è così grande che la gestione dello spazio è lasciata a una cinquantina di consiglieri. Sono riuscita a far affidare questa zona alla supervisione di Thesel, mio fidato amico, oltre che un capace consigliere. L’hai conosciuto anche tu. Te lo ricorderai di sicuro, è l’uomo che ti ha portato da me.»

Dannick annuì.

«Nella nuova planimetria, questo spazio è indicato come costruzione di sostegno per i piani superiori», continuò lei. «Nessuno si sognerebbe mai di entrarci. Praticamente i miei pensano che il vecchio laboratorio sia stato smantellato.»

«Ogni settimana mando Thesel al mercato centrale in modo da non farmi mancare mai niente. Fa piacere sentirsi dire da un vero sensitivo che il proprio laboratorio è ben fornito.»

Si avvicinò a Dannick e si accinse a osservare quello che avrebbe creato con le sostanze che aveva preparato ma, contrariamente alle sue aspettative, il sensitivo si girò verso di lei.

«Che cosa hai imparato a distillare finora?», le chiese.

«Nulla di che. Ho provato a creare il Kuinto, ma devo aver sbagliato qualcosa.»

Il ragazzo sembrò sorpreso. «E dimmi, qual è l’effetto del Kuinto su chi lo beve?»

Fenna sembrò incerta. «Ehm, apre l’accesso al subconscio, se non ricordo male.»

«Più precisamente crea un collegamento tra mente conscia e subconscio. È un trucco per incanalare la propria energia psichica in una regione cerebrale normalmente esclusa. Un elisir di quel tipo agisce sul sistema primitivo simpatico e disattiva le sinapsi amnesiche. Perché hai creato questa pozione?»

«Che importanza ha? Tanto non ha funzionato», rispose Fenna. «Dunque conosci anche le tecniche dei majimensis

L’altro la guardò di sottecchi mentre si apprestava a mettere in ordine i calici che aveva davanti. «I manipolatori della realtà non usano mescolare pozioni. Loro sono più dei tecnici: creano strutture in grado di trasmettere particolari onde invisibili che influenzano la mente umana.»

«I portali!», esclamò Fenna.

«Esatto. I sensitivi, invece, sono più dei salutisti che amano creare intrugli mescolando sostanze naturali», le fece l’occhiolino. «Ti interessano molto i portali?»

Fenna annuì pensierosa.

«Allora metto nel tuo percorso formativo un’uscita scolastica per visitare i portali della stazione.»

«I sovrani non mi lasceranno mai uscire», disse la principessa.

«Tranquilla, loro non devono necessariamente sapere.»

«In ogni caso la gente mi riconoscerà e succederà il caos», replicò lei.

Dannick sospirò e, mentre iniziava a distillare una nuova pozione, continuò a parlare. «Ovviamente ti cercheremo un travestimento in modo che nessuno capisca chi sei. Potresti essere un po’ più collaborativa? Non è che adesso, a ogni cosa che dico, te ne salti fuori con un problema irrisolvibile?»

Fenna sorrise e continuò a osservare quello che faceva il ragazzo. Stava mescolando diverse sostanze colorate nello stesso calice. Riconobbe subito quello che veniva chiamato succo di Pascafòlia, dal caratteristico colore rosso vivo, e l’essenza di acqua vergine, un liquido trasparente che a tratti mandava riflessi bluastri.

«Che cosa stai preparando?», chiese incuriosita.

«Il Proferatio», rispose, come se fosse stata una cosa ovvia. Poi, visto che la ragazza lo squadrava con aria confusa, aggiunse: «È una pozione che favorisce la manifestazione di eventuali capacità di preveggenza. Ho quasi finito e dopo potrai assaggiarla.»

Prese tra le dita il gambo del calice e, con un movimento dolce del polso, fece roteare il liquido nella coppa. Dopodiché lo porse a Fenna che all’inizio, tentennante, assaggiò un piccolo sorso e poi bevve tutto.

«Ha un buon sapore», commentò.

Dannick sembrava soddisfatto. «L’unico difetto di questa pozione è che risulta inutile nel caso in cui una persona abbia il dono di fare sogni premonitori. Comunque ci metterà un po’ per fare effetto. Dunque mentre aspettiamo potremo realizzare il tuo travestimento per la visita ai portali.» Le fece di nuovo l’occhiolino e la ragazza rispose con uno sguardo complice.

«Hai degli abiti che non usi più?», s’informò lui.

«Ho qualcosa di meglio», rispose lei con tono accattivante.


 

Nota:

3-     “Ci sono anch’io” è un riferimento al titolo della canzone scelta per il contest.






"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII ***


8.

 

Fenna de Kasde Probas disponeva di un guardaroba molto assortito. Aveva, tra le varie cose, anche indumenti tipici di popolazioni extrasolari: vesti elaborate confezionate con stoffe pregiatissime e introvabili sulla terra. Le indossava durante le visite di ambasciatori di altri mondi, quando questo serviva a mostrare rispetto per la cultura straniera. Non aveva messo nessuno di quegli abiti per più di una volta, il che per lei era un peccato, perché certi erano veramente molto belli.

Decise di mostrare i suoi preferiti a Dannick per vedere se uno di quelli poteva essere adatto da usare come camuffamento.

Durante la prova degli abiti, Dannick si era fatto silenzioso e la osservava con uno sguardo serio.

«A che cosa stai pensando?», gli chiese Fenna a un tratto, volteggiando leggiadra per la stanza.

L’altro si scosse come appena risvegliato da un sogno. «Mi piacerebbe vederteli indossare tutti», disse. Poi, rendendosi conto che il suo desiderio poteva apparire fuori luogo, si schiarì la voce e aggiunse: «Credo che il marakasha blu scuro che stai indossando sarà perfetto per l’occasione. Il velo avvolto attorno alla testa a coprire parzialmente il viso può tornarci utile.»

«Allora indosserò quello. Sarò una marakashiana in visita sul pianeta terra accompagnata da un sensitivo.» Rise coprendosi le labbra con una mano e osservando Dannick con sguardo accattivante.

L’altro rispose al sorriso e poi cercò con gli occhi un orologio nella stanza. «La pozione che hai bevuto dovrebbe iniziare a fare effetto. Ti senti in qualche modo diversa?», le chiese.

La principessa fece un giro su stessa e constatò che si sentiva sempre uguale. Nulla era cambiato in lei. Poi si aprì a una specie di confessione. «Sono felice di averti conosciuto», disse. «Non sapevo che cosa fosse la felicità prima che tu entrassi a palazzo. Per il resto non mi sembra sia cambiato molto.»

Il ragazzo le si avvicinò e la abbracciò, affondando il capo tra capelli argentati di lei e respirandone il profumo. Il gesto, per quanto inaspettato, apparve così naturale che Fenna non poté far altro che assecondarlo e sprofondare tra le sue braccia calde.

 

Durante le due settimane seguenti, ogni tentativo di far sorgere nella principessa qualche abilità percettiva fuori dal comune era miseramente fallito. Niente visioni, né premonizioni. Fenna continuava a dire di avere un buon presentimento, ma questo non si concretizzava mai.

Nemmeno Dannick era riuscito ad avere nuove premonizioni, dopo l’ultima sperimentata prima di partire; per questo era abbastanza preoccupato. Era arrivato al punto di pensare di aver perso il suo dono. La notte dormiva pochissimo, passava gran parte del tempo in laboratorio a studiare la composizione di un nuovo elisir per la principessa. Il tempo passava inesorabilmente e lo scadere della quinta settimana si faceva sempre più vicino.

Quando arrivò il giorno previsto per la visita ai portali, Fenna voleva tirarsi indietro. I sovrani non sapevano niente del loro piano, sarebbe stato Thesel a farli uscire di nascosto dal palazzo. Era tutto pronto, eppure Fenna al pomeriggio, senza un motivo apparente, si era improvvisamente incupita: non aveva più voglia di muoversi e sembrava depressa.

L’amico sensitivo andò a cercarla in camera. La trovò stesa a faccia in giù sul letto con addosso il marakasha blu scuro che doveva indossare per camuffarsi. Il velo da portare in testa era scivolato sul tappeto.

Le si avvicinò e notò che era scossa dai sussulti: stava piangendo. Si sedette vicino a lei nel letto.

«Fen, ti va di parlare? Che cosa è successo?»

«Non posso uscire», disse cercando di frenare i singhiozzi. La faccia premuta contro il materasso impediva alle parole di risultare perfettamente chiare.

Dannick le accarezzò la testa. Morbidi ciuffi di capelli argentati gli scorsero tra le dita e fu assalito dal desiderio. Scacciò subito il pensiero cercando di concentrarsi sulla situazione di disagio che provava la giovane.

«Fen, non posso vederti così. Tirati su e dimmi che cosa c’è che non va!»

La ragazza obbedì e lentamente si risollevò e si sedette sul letto. La lunga veste le si attorcigliò alle gambe. Si schiarì la voce e cercò di spiegare: «Sono arrivata a una conclusione: io non ho nessun dono e non vale la pena che tu perda tempo con me. Thesel ti farà uscire dal palazzo senza di me. Sarai libero di fuggire e avrai salva la vita.»

«Ma perché hai cambiato idea improvvisamente? Nei giorni scorsi sembravi entusiasta di vedere i portali e ripetevi di avere un buon presentimento…»

Fenna non rispose e Dannick si mise a riflettere. Da ieri a oggi non era successo nulla di significativo; la principessa, come ogni giorno, aveva parlato con i suoi genitori solamente durante l’ora del pranzo e della cena.

«I sovrani ti hanno detto qualcosa?», indagò.

«Hanno fissato il giorno del mio matrimonio», disse con un filo di voce.

Il volto di Dannick si rabbuiò. «Se non lo vuoi dovresti ribellarti!»

«Ma ho firmato un contratto…»

«Te l’hanno fatto firmare con l’inganno!», replicò lui infuriato. La principessa gli aveva raccontato tutto: un giorno in cui si erano rinchiusi in laboratorio a studiare, ad un certo punto, lei aveva sentito la necessità di condividere il suo tormento con lui.

«Non posso permettere che tu sposi un altro», sentenziò il ragazzo. Detto questo le prese il viso tra le mani con delicatezza, poi le si avvicinò e la baciò. Per un attimo ebbe il timore di aver commesso una sciocchezza, ma sentì le labbra della ragazza cercare le sue e ricambiare il contatto. La passione che aveva cercato di soffocare si stava manifestando più potente di prima. Le mani cercarono con urgenza i nodi del corpetto che indossava la giovane; li slacciò uno dopo l’altro, mentre Fenna non tratteneva gemiti d’eccitazione. Dannick sentì proprio il corpo percorso da un brivido. Interrompendo l’atto di spogliarla, abbandonò il capo sul suo seno, la attirò vicino a sé e la strinse forte.

«Dan», la principessa sussurrò il nome del sensitivo con un tono che sembrava voler dire “perché ti sei fermato?”

«Non voglio complicare ancora di più la situazione», fu la risposta di lui. Ma mentre lo diceva le mani avevano ripreso a insinuarsi tra le vesti della giovane e il suo respiro era diventato irregolare. Fenna si abbandonò sul letto costringendo Dannick a seguirla. Si ritrovarono, così, uno sopra l’altra. Il mantello nero sulle spalle del sensitivo li copriva entrambi. Le diede un altro bacio soffermandosi dolcemente sul labbro inferiore, poi si rialzò e si allontanò dal letto.

«Hai ragione tu, me ne devo andare», disse continuando a guardarla con desiderio immutato. «Non voglio obbligarti a uscire da palazzo se hai cambiato idea», sospirò e si mise a riflettere.

«Ma avevi detto che se ci siamo incontrati c’era un motivo, qualcosa di collegato al destino», disse Fenna.

«Sì, è così. Ma forse non è il momento giusto...», rispose.

La principessa Fenna si alzò, il suo sguardo ora sembrava deciso. Mentre si avvicinava al ragazzo con passo leggero, lasciò che l’abito che indossava scivolasse sul pavimento rivelando il suo corpo perfetto dalla carnagione pallida. Aveva improvvisamente dimenticato tutti i suoi timori e ora appariva sicura e determinata come non mai. Si portò a qualche centimetro da Dannick, allungò una mano dietro il suo collo e, con un gesto delicato come una carezza, gli tolse il mantello.

«Lasciamoci guidare dal destino», gli disse in un sussurro vicinissimo al viso. Poi lo trascinò nuovamente sul letto.




Nota autore:

Salve cari lettori, questo capitolo trattava la parte leggermente lime di cui avevo parlato nelle note dell’introduzione. Si era capito, vero?

Spero che fin qui la storia sia stata di vostro gradimento. Ormai mancano solo due capitoli alla fine di questa avventura. Se vi va di scrivermi un commento ne sarei felice.





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX ***


 

9.

 

Due figure sinistre si stavano aggirando tra i sobborghi di Seresix con aria furtiva. Uno era vestito completamente di nero, l’altra indossava un abito blu pieno di veli che le coprivano anche il viso, rendendola imperscrutabile.

Fenna, dopo il momento di indecisione, si era convinta a visitare i portali. Dopo cena Thesel li aveva condotti di nascosto verso un’uscita secondaria, quella che doveva essere usata in caso di evacuazione del palazzo. Prima di lasciarli andare, aveva trattenuto la principessa per raccomandarle di fare attenzione e Dannick si era intromesso in modo raggiante: «Non succederà niente a Fen finché starà con me.» C’era da dire che dopo essersi fatto restituire il fucile BP-Laser si sentiva ancora più forte e sicuro.

I due si erano allontanati fianco a fianco a passo svelto in direzione dell’intrico di viuzze, palazzi e pontili che si diramavano per tutta la città. Il sole stava calando e, quindi, tra gli edifici più alti la luce già non arrivava più, lasciando il percorso in penombra. Quando furono abbastanza lontani dal palazzo, Dannick si fermò e si rivolse a Fenna: «Sai come si arriva alla stazione?»

Si era sentito uno sprovveduto ponendo quella domanda. Fenna, comunque, si limitò a scuotere la testa. Continuava a guardarsi in giro con aria affascinata come se non fosse mai uscita dal palazzo in vita sua.

Dannick tirò fuori dalla tasca la blusfera. Considerando che si erano infilati in un percorso diverso da quello che lo aveva condotto lì all’inizio, doveva fare affidamento esclusivamente nelle sue percezioni.

Imboccarono una viuzza laterale tra due edifici altissimi: il passaggio era così stretto che dovettero camminare uno dietro l’altra. Alla fine, sbucarono in uno dei grandi canyon artificiali tipici di Seresix, in cui le pareti erano i palazzi stessi ammassati uno su l’altro: un parapetto in ferro battuto proteggeva i due avventurieri dal vuoto.

«Questo posto è bellissimo», commentò Fenna. «Avevo sempre sentito parlare delle fondamenta di Seresix, ma dalle descrizioni non riuscivo a immaginarmele bene.»

Dannick si girò a guardarla sorpreso e lei continuò: «Le fondamenta sono tratti di marciapiede che costeggiano i canyon, come questo. Si dice che durante il solstizio d’estate, se il cielo è sereno, guardando in basso si possono vedere dei canali pieni d’acqua cristallina.»

«Non sei mai uscita dal palazzo prima d’ora?», s’informò il ragazzo.

Fenna rise. «Certo che sono uscita dal palazzo! Sono stata al Sacro Memoralium e poi sono andata con i sovrani a qualche visita politica estera. In quei casi, però, usavamo sempre l’eliporto reale. Non ho mai percorso queste strade comuni.»

Dannick si sentì meglio sapendo che i suoi genitori l’avevano portata con loro all’estero. Per un attimo aveva temuto che l’avessero sempre tenuta segregata.

«Ora che stiamo andando ai portali dovresti sentire crescere una certa energia in te», le disse. «Riesci a imbrigliarla in modo da capire in che direzione andare?»

Fenna guardò prima destra e poi a sinistra. In quest’ultima direzione le abitazioni diventavano più scure, la parete era piena di tubi metallici e di recipienti che sembravano serbatoi. Alcune valvole sbuffavano un fumo nero e denso che aveva impregnato l’intonaco dei palazzi fino a un’altezza di qualche piano. Dall’altra parte, l’aria sembrava più pulita: la parete era bianca e spiccavano le vetrine lucide di alcuni negozi. Tuttavia, la ragazza non sentiva l’impulso di andare in nessuna delle due direzioni. Si guardò in avanti e, oltre il vuoto al di là del parapetto, la sua attenzione fu subito catturata da due vetrate a mezza luna che facevano parte di un elaborato edificio in stile barocco.

«Credo che dovremo trovare un ponte e passare dall’altra parte.»

«Penso che tu abbia ragione», disse Dannick dopo aver cercato conferma nella blusfera.

Il fatto che la principessa avesse intuito la strada giusta lo mise ancor più di buon umore. Considerò quello un segno propizio: forse il dono di Fenna si stava finalmente manifestando.

 

In meno di mezz’ora si trovarono di fronte al piazzale della stazione. La sera era ormai calata e i finestroni illuminati dello stabile davano l’impressione di celare un luogo caldo e accogliente.

La giovane prese la mano del sensitivo e la strinse. Nelle viuzze secondarie, che avevano percorso fino a un momento fa, non avevano incontrato molta gente, ma lì c’erano fiotti di persone che andavano e venivano.

Dannick cercò di tranquillizzarla: «Probabilmente non si accorgerebbero di te nemmeno se andassi in giro vestita con l’abito principesco. Sono così impegnati nei loro affari che per distrarli servirebbe un terremoto.»

«Forse hai ragione», si convinse la ragazza.

Assieme entrarono nell’atrio. In fondo si vedevano già i tre portali e Fenna fu colta da un entusiasmo crescente.

Poiché erano obbligati a passare sotto i tre grandi archi solo coloro che entravano in città, era difficile  avvicinarsi a essi. Il flusso di persone in arrivo era impossibile da contrastare. Andare contro corrente sarebbe stata un’impresa.

Dannick si mise a cercare indicazioni per capire da che parte andare per raggiungere le piattaforme magnetiche, ma ad un certo punto si distrasse. I suoi pensieri si spostarono su Fenna, che nonostante l’eccitazione per aver raggiunto la meta, gli stava appiccicata e sembrava intimorita dalla confusione del luogo. Pensò che finora era andato tutto bene e che a breve avrebbe dovuto ricondurre la principessa verso il palazzo. In cuor suo, però, non aveva voglia di tornare. Gli baluginò nella mente una scena: Fenna smascherata che doveva fuggire saltando su un treno assieme a lui. Non appena ebbe formulato il pensiero qualcuno calpestò il lungo velo del marakasha che la ragazza indossava. Dannick la vide barcollare all’indietro e riuscì ad afferrarla appena in tempo, evitandole una brutta caduta. Tuttavia, la stoffa leggera che gli copriva il capo e parte del viso era stata strappata dal colpo, rivelando la sua vera identità. Fenna assunse un’espressione spaventata. Durante gli interminabili secondi in cui cercò di recuperare il velo, nessuno sembrò accorgersi di lei.

Ciò che i due non sapevano era che nella stazione c’erano telecamere a circuito chiuso, programmate per il riconoscimento facciale di chiunque entrasse o uscisse da lì. Quasi certamente nessuno dei viaggiatori avrebbe fatto caso a lei, impegnati com’erano a raggiungere le proprie destinazioni, tanto più che molti di essi venivano da fuori e non la conoscevano. Ma quando il software delle telecamere riconobbe i tratti del viso della principessa, cercò tra i dati un permesso che giustificasse la sua presenza nel posto e, non trovandolo, attivò l’allarme. Per qualche istante i due restarono imbambolati senza capire ciò che stava succedendo. Poi a Dannick parve di scorgere delle guardie farsi largo tra la folla verso di loro, allora prese Fenna per mano e la costrinse a correre: impresa alquanto complessa con l’abito lungo che lei si ritrovava addosso.

Alla fine, il ragazzo trovò un varco tra la confusione e la condusse nella zona delle piattaforme magnetiche dove si fermò per permettere alla giovane di riprendere fiato.

«Magari…», iniziò Fenna tra una boccata d’aria e l’altra, «l’allarme non era per me». Deglutì e prese un altro profondo respiro. «Infine non abbiamo fatto nulla di male.»

«È stata colpa mia», disse il ragazzo.

«In che senso?», gli lanciò un’occhiata confusa.

«Ti spiegherò tutto più tardi. La nostra via di fuga se ne sta andando senza di noi», disse ricominciando a correre e trascinando la ragazza con sé. Un treno merci su una piattaforma magnetica vicina si era appena messo in movimento. Dannick aiutò Fenna a salire la scaletta che conduceva sul tetto del mezzo e poi si arrampicò a sua volta prima che il convoglio prendesse velocità.





"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X ***


10.

La principessa Fenna si portò le mani in testa e si scompigliò i capelli argentati. «Che pasticcio! Non potrò più tornare a casa.»

Dannick la guardò: tremava per colpa dell’aria fredda che sferzava la notte e che sul tetto del treno in corsa veniva amplificata. Le si avvicinò e le offrì un rifugio sotto al suo mantello. Dopo essersi accomodata su di lui continuò: «Spero che Thesel non si senta in obbligo di confessare e che nessuno si sia accorto dell’aiuto che ci ha dato a uscire dal palazzo.»

Il ragazzo sospirò pensando alla situazione in cui si erano messi. «Probabilmente penseranno che ti ho rapita», disse. «Alla prossima stazione ti farò scendere e tu potrai raccontare di essere fuggita. Ho già un’accusa di oltraggio alla nobiltà sulla testa. Non sarà difficile convincerli che ero un pazzo che aveva pianificato tutto per rapire la principessa.»

Fenna non disse niente, anzi, mise il broncio e il suo volto s’incupì. Era chiaro che quella soluzione non le piaceva. Ripensò al fidanzato che non voleva e che aveva visto solo in foto, e al suo imminente matrimonio. La prospettiva di passare la notte tra le braccia di qualcuno a cui voleva veramente bene, su di un treno diretto chissà dove, le sembrava molto più avvincente. Tuttavia, qualcosa le impediva di prendere una decisione.

Quando il treno si fermò alla stazione successiva, Dannick scese e tornò poco dopo con due coperte che aveva recuperato in un negozio che si affacciava alla ferrovia. Raccontò che le aveva barattate in cambio della lettura della mano, riuscendo a far sorgere un sorriso sul viso di Fenna, che commentò: «Potevi farti dare anche due crediti per il prossimo treno, no?»

«Purtroppo pare che abbiamo imboccato una tratta commerciale. In queste stazioni passano solo treni merci che non hanno posti per passeggeri», si giustificò lui.

«Mi sono informato anche sul percorso di questo treno e ho scoperto che è diretto allo spazioporto», aggiunse. «Adesso sta a te decidere che cosa fare.»

Protetti dall’oscurità della notte riuscirono a passare inosservati a tutte le stazioni in cui il treno sostava. Ogni volta Fenna trovava una scusa per restare a bordo fino alla fermata successiva.

Durante il viaggio Dannick le spiegò perché dopo che era suonato l’allarme alla stazione aveva detto che era stata tutta colpa sua. Le parlò di come, in certe occasioni, i suoi pensieri finivano per tramutarsi in realtà a breve termine. Una facoltà, questa, che finora non si era mai rivelata in nessun sensitivo e perciò destava in lui preoccupazione.

Mentre il ragazzo parlava, Fenna si strinse la coperta addosso pensierosa, poi sollevò lo sguardo verso l’alto e subito si sentì piccola e insignificante rispetto all’immensità del cosmo.

Attese che lui finisse di parlare e poi prese la parola: «Sai, tu sei l’unico che finora è riuscito a capirmi. Quella cosa che mi hai detto… che quando mi hai vista la prima volta ti è sembrato che la mia anima urlasse “ci sono anch’io”… beh, è proprio così! Il re e la regina non mi hanno mai presa in considerazione, tutte le loro attenzioni erano rivolte a mio fratello.» Fece una pausa, durante la quale si avvicinò di più a Dannick che le cinse le spalle con un braccio. Gli si rannicchiò contro in cerca di calore e poi riprese: «Nella mia vita ho collezionato un sacco di domande rimaste senza risposta, tutto perché i miei mi impedivano di interessarmi a qualsiasi cosa che non fosse la politica.[4]»

«Ma perché non ti sei mai ribellata», le chiese Dannick.

La ragazza non sapeva che cosa rispondere e tra i due calò momentaneamente il silenzio. Probabilmente non si era ribellata perché pensava di mancare di rispetto ai suoi, o forse perché si era abituata talmente tanto a quella situazione che le sembrava la normalità.

Accanto a lei, Dannick, si mise a maneggiare in modo irrequieto la sua sfera azzurra; i bagliori che emanava illuminavano il volto di lei e i suoi capelli argentati mossi dal vento. Sebbene la luce le recasse un po’ di fastidio, non lo rimproverò e si limitò ad affondare il capo sotto la coperta. Lo stress delle ultime ore l’aveva spossata e così finì per assopirsi. Quando si risvegliò le sembrò di aver già vissuto quel momento. Il movimento cullante del treno, la notte, il vento freddo, la blusfera tra le mani di Dannick: le sembrava che tutto avesse senso e che lei si trovasse nel posto giusto.

«Ti sei svegliata», le disse dolcemente il sensitivo, sistemandole un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. Anche quel gesto destò in lei la sensazione di aver già vissuto quei momenti.

«Appena ho riaperto gli occhi ho avuto un déjà-vu: tu dicevi esattamente quelle parole accarezzandomi i capelli», gli confidò.

Dannick sorrise. «Quando andavo a scuola, la mia maestra di cartomanzia mi diceva che i déjà-vu sono frammenti di sogni premonitori dimenticati. Non ho mai capito se lo dicesse sul serio.»

La ragazza sospirò ricordandosi di quella volta che aveva provato a registrare un sogno nel suo diario-specchio. La pozione del Kuinto che aveva creato l’aveva solo fatta addormentare e i fumosi ricordi del sogno erano spariti del tutto. All’improvviso le venne un’idea assurda. Provò a esprimerla solo per il gusto di avere ancora qualcosa in cui sperare.

«Non avevi detto», iniziò «che la pozione del Proserprofer…»

«Proferatio?», le andò in aiuto Dannick.

«Esatto, quella per rivelare particolari capacità! Avevi detto che non ha effetto se il mio dono è quello di avere sogni premonitori, giusto?»

Dannick corrugò la fronte assumendo un’espressione perplessa. «Sì, in effetti, il Proferatio ha questa caratteristica», confermò.

«Questo spiegherebbe tutto!», esultò Fenna. «Probabilmente è questa la mia capacità da svelare. Che ne pensi?», chiese.

Il ragazzo la osservò incerto. «Penso che non dovresti illuderti. Se poi scoprissi di non avere effettivamente nessun dono particolare, che cosa faresti?»

Il volto della principessa si rabbuiò. Quella cruda osservazione l’aveva rattristata. Si rese conto, però, che Dannick poteva avere ragione. La vista le si appannò per le lacrime e si morse un labbro per costringerle a restare nascoste. Da tre settimane tentava inutilmente di risvegliare le sue presunte facoltà senza successo e si sentiva sempre più un’inetta. Doveva essere impazzita a salire clandestinamente a bordo di un treno merci. Per fare cosa poi? Fuggire dalla città con un sensitivo conosciuto appena tre settimane prima?

Dannick si accorse poco dopo di aver toccato un tasto dolente e di essersi espresso forse in modo un po’ duro, dunque cercò di rimediare. Appoggiò momentaneamente la blusfera tra suoi piedi, in modo che non rotolasse giù a causa del dondolio del treno, poi prese dolcemente Fenna per mano e intanto con l’altra tolse dalla tasca interna della giubba una piccola fialetta di vetro.

«Assaggia questa. È una nuova soluzione benefica che ho da poco distillato. Deve essere perfezionata, ma sicuramente un po’ ti farà stare meglio. L’ho chiamata Fen, anche se sarebbe stato più corretto Proferatio II, dato che è un tentativo che ho fatto di perfezionare il primo distillato.»

La ragazza strinse la sua mano. «Non pensi più che io abbia una sensibilità fuori dal comune?», chiese con tono avvilito.

«Certo che lo penso! Mi sono solo espresso male. Ti chiedo scusa.»

La principessa lo osservò titubante per qualche istante, poi prese la fiala che le porgeva e bevve un sorso.

In quelle poche settimane di tempo che aveva avuto per conoscerla meglio, Dannick aveva assistito ai suoi sbalzi d’umore e ascoltato certi suo ragionamenti sconclusionati che spesso la facevano apparire sulla soglia della pazzia. Aveva imparato ad amarla e ad apprezzare il suo carattere complesso anche nei momenti in cui poteva sembrare esasperante. Quando non era impegnato a cercare d’insegnarle come incanalare l’energia nel modo corretto, lavorava sulla creazione di un elisir che potesse aiutarla a vedere le cose da un’altra prospettiva. Praticamente, in un modo o nell’altro, ogni suo pensiero era dedicato a lei. D’altronde da lei dipendeva il suo futuro.

Dannick si ripeteva spesso che, comunque sarebbe andata, non era colpa di nessuno se era finito in quella situazione. Lui non era bravo a parlare, Fenna era soggiogata dall’educazione reale e le premonizioni erano sempre state imprevedibili come il vento estivo. Questo aveva creato i presupposti perché si arrivasse a quel punto.

Almeno, nella libreria della principessa, aveva potuto trovare sollievo leggendo rari volumi introvabili. Le conoscenze che possedeva riguardo la mente umana erano già molto vaste, con quei nuovi libri le aveva ampliate ancora di più e aveva provato a metterle in pratica creando un perfezionamento del Proferatio: la soluzione che aveva appena offerto a Fenna.

Improvvisamente la principessa cambiò espressione, sembrò risvegliarsi da una sorta di torpore e Dannick capì che il suo intruglio stava facendo effetto.

«Dan! È fantastico!», disse la giovane alzandosi in piedi e guardando il cielo con le braccia rivolte verso l’alto.

«Fai attenzione, ricorda che siamo sul tetto di un treno in corsa», disse pronto ad afferrarla in caso di pericolo. Tuttavia Fenna era concentrata altrove e non aveva nemmeno udito le sue parole. Poco dopo aver bevuto l’elisir la sua mente aveva elaborato fantastici mondi inesplorati, paradisi di pace in cui placide sorgenti d’acqua pura sgorgavano dalle pendici di monti striati di venature d’oro.

«Che cosa vedi?», le chiese lui incuriosito, ma Fenna non rispose perché la visione era già cambiata. Ora era impegnata a guardarsi dall’esterno, e quello che vide non fu piacevole: una principessa corrotta dall’apatia e dagli agi di corte che preferiva invecchiare nella noia, piuttosto che decidere da sola della propria vita. Quell’immagine di lei, come un essere evanescente che passa per caso sulla terra senza fare nulla di buono, le provocò un moto di disprezzo nei propri confronti. Si voltò di scatto verso il ragazzo con una voglia pazzesca di dare una svolta alla sua vita. Gli si inginocchiò vicino e lo fissò per un istante con una luce strana negli occhi.

«Scompariamo per sempre!», gli disse.

«Scomparire?», chiese Dannick, un po’ confuso perché non si aspettava una tale reazione.

«Sì, sento che è la cosa più giusta da fare! Voglio passare una notte all’addiaccio nei sobborghi malfamati di una città aliena! Voglio vedere dove vanno a finire le stelle cadenti! Voglio esplorare un quadrante sconosciuto dell’universo! E lo voglio fare assieme a te!»

Tornò a sedersi a fianco del sensitivo e poi gli si avvicinò all’orecchio con fare sensuale, come per raccontargli un segreto che neanche il vento doveva sentire. «Ho ricordato una cosa. Ti ho sognato ancora prima di incontrarti. Adesso so con certezza che il mio posto è vicino a te.»

Più o meno nello stesso momento, al palazzo reale di Seresix era giunta dalla stazione dei treni la segnalazione dell’avvistamento della principessa Fenna. Lo stralcio del video che stavano rivedendo mostrava chiaramente la principessa e il sentivo che si tenevano per mano.

Il re, furibondo, avrebbe voluto mettere una taglia sulla testa di Dannick Pascal. Ma, infine, sotto suggerimento dei consiglieri, i sovrani si preoccuparono di inviare una risposta in cui spiegavano che doveva esserci un errore. Dissero che la principessa era al palazzo e che probabilmente le telecamere avevano ripreso una persona che aveva indossato una maschera del volto di loro figlia, per il gusto di creare un po’ scompiglio.

Speravano che questa dichiarazione potesse tenere calma la stampa in modo da scongiurare uno scandalo.

Fenna, dunque, avrebbe potuto stare serena: ci sarebbe voluto un bel po’ prima che a corte elaborassero un piano per andarla a recuperare. Anche perché, in realtà, i sovrani confidavano sul fatto che sarebbe tornata di sua spontanea volontà.

Il consigliere Thesel, che era l’unico informato sulla fuga, si finse del tutto estraneo e si curò di non raccontare nulla del loro piano. Aveva sempre sperato che la principessa riuscisse, prima o poi, a imporsi e a ribellarsi dall’oppressione dei sovrani che le toglievano la gioia di vivere. Certo, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo così presto e in questo modo. In ogni caso, per nulla pentito di avere aiutato i due fuggitivi, si augurò che la giovane riuscisse finalmente a realizzare i propri sogni.

Nota:

4- La frase vuole essere un riferimento alle seguenti strofe della canzone “Ci sono anch’io”:

“[…] Io di risposte non ne ho

mai avute mai ne avrò
di domande ne ho quante ne vuoi […]

Fine.

N.d.A

Ci tengo a ringraziare chi mi ha lasciato una breve recensione, Najara per aver indetto il contest, e CaptainKonny che senza conoscermi si è letta nove capitoli tutti d’un fiato, e mi ha fatto gentilmente notare le cose che non le tornavano della trama.

Dopo questa storia ho intenzione di prendere una pausa. Prima di pubblicare cose nuove, devo prima revisionare ciò che ho già scritto. Il mio spirito perfezionista mi perseguita. Intanto riprenderò, forse, a pubblicare qualche breve poesia.

Alla prossima. :-*






"La principessa e il sensitivo
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3613693