Willy Wonka/Johnny Depp

di SantaStyles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Lumpalandia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2-Il provino ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3-Charlie Bucket ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - I Biglietti D'oro ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Il Primo Febbraio ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6-Il Re Del Cioccolato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


«Pensi davvero che sia stata io a rubare le tue ricette segrete?»Domandò Theresa con tono poco calmo.

«Non ho detto questo!»Ribatté il cioccolatiere, camminandole davanti con fermento.

«Ma lo hai sottinteso!»Replicò lei, rabbiosa.

«Non è colpa mia se sei apparsa in quel maledetto filmato!»Sbottò lui, fermandosi di botto.

«Cosa? Tu hai visto solo quello che la rabbia ha voluto farti vedere!»S'impuntò Theresa, difendendo le sue ragioni.

«Davvero? E dimmi, saputella, cosa avrei dovuto vedere?»Le chiese lui, evidentemente più arrabbiato di lei.

«La realtà! Io stavo solo litigando con Slugworth e non gli stavo affatto dando le tue ricette segrete!»Rispose Theresa, furiosa.

«Eppure in mano avevi una busta bianca, con su scritto SECRET in rosso.»Disse il Signor Wonka, stizzito.

«Ascolta, Willy: ero uscita fuori perché avevo visto Prodnose rubare qualcosa, ma quando l'ho raggiunto lui è andato via e io sono rimasta sola con Slug...»

«BASTA COSÌ!»Urlò egli, interrompendola.

«Bene! Visto che è questa la conclusione...»La ragazza gli diede le spalle, facendo marcia indietro.

«Dove vai?»Le chiese il cioccolatiere, costernato.

«Via da qui!»Rispose lei con astio.

«Theresa, aspetta!»Questa volta era lui ad andarle dietro.

«No, non venirmi dietro! Continua pure a sperimentare nuove cose, che io mi tolgo di torno!»Disse Theresa, trattenendo a fatica le lacrime.

«Cosa vorresti dire?»All'istante, il cioccolatiere la fermò per un braccio.

«Che me ne vado.»Lei abbassò lo sguardo.

«Perché?»Le chiese il Signor Wonka, agitato.

«Perché così non ti sarò più d'intralcio né causerò altri guai.»Theresa cercò di dimenarsi, ma invano.

«E io? Cosa pensi farò senza di te?»Ferito, il cioccolatiere le lasciò il braccio capendo di starle facendo male.

«Quello che facevi prima che c'incontrassimo.»Non riuscendo più trattenere le lacrime, Theresa le lasciò cadere, afflitta.

«Io non voglio che tu vada via.»Lui si addolcì.

«È meglio così, credimi.»Theresa si allontanò da quell'uomo, logorato dalla rabbia, a testa bassa.

«Theresa!»La chiamò, ma non ebbe risposta né lei si voltò.

Continuò a camminare per quel corridoio fino al raggiungimento di una porta circolare con al centro un pulsante, che schiacciò. La porta scorse di lato e lei entrò in una delle tante stanze che condivideva con Willy Wonka, il miglior cioccolatiere del mondo.

La stanza era bianca, ma di fantasia non mancava. I peluche erano sparsi un po' qua e un po' là, tanti cuscini sul letto e mille decorazioni alla Doraemon sulle pareti: quello era uno dei cartoni animati preferito da entrambi, tant'è che il Signor Wonka regalò a Theresa addirittura un peluche di esso. Aveva un sorriso rosso e largo quanto il rotondo faccione bianco, contorno blu e baffi neri, un'elica gialla sulla testa e una manina bianca che salutava. Ma non era il caso di pensare a Doraemon...

Afflitta e con le lacrime agli occhi, Theresa tirò fuori dall'armadio due valigie, che riempì con alcuni abiti. Il cuore continuava ad implorarle di restare, di provare a capire quella rabbia che li aveva circondati, che li aveva spinti a tanto, eppure i pensieri le suggerivano che quella era la cosa giusta da fare... Ma lo era?

Prima che Theresa potesse avere una risposta, sistemò nella valigia l'ultima maglia bianca con una loro foto stampata sul davanti, sorridenti, e la chiuse, adagiandola giù dal letto assieme all'altra. Indossò un giubbotto pesante, si asciugò gli occhi con le mani e uscì infine dalla stanza, imbattendosi nello stesso corridoio di poc'anzi e passando davanti ad una porta aperta, senza fermarsi a salutare quell'uomo distrutto dalla rabbia, seduto sul cancelletto azzurro della Stanza delle Noci.

Una botta al cuore arrecò mille brividi lungo il corpo del cioccolatiere appena scorse le valigie in mano alla sua bimba, spingendolo ad uscire dalla stanza con fermento e fermarla prima che andasse per sempre via dalla sua vita.

«Non andrai via sul serio?»Le chiese allibito.

«Invece sì!»Affermò Theresa con decisione.

«Non puoi andartene! Aspetta che mi sia calmato e chiariremo tutto!»Il cioccolatiere le trottò dietro con più fermento.

«Willy, per favore...»La ragazza si fermò a guardarlo negli occhi un'ultima volta.

«Per favore cosa?»L'apostrofò lui, piccato.

«Lasciami andare.»

«Non posso farlo.»

Il Signor Wonka cercò di abbracciarla, di far pace, ma il suo gesto fu vano perché Theresa si spostò.

«Willy, tu mi vuoi bene?»Gli occhi inondati di lacrime.

«Io ti amo.»La voce del cioccolatiere apparve soffocata.

«Allora, se mi ami per davvero, lasciami andare.»

E così fu.

Una lacrima solcò gli occhi blu del cioccolatiere intanto che l'ombra della sua amata Theresa scompariva dietro la porta di ferro. Le ruote delle valigie  lasciarono il segno sulla neve. Il miglior cioccolatiere di Cherry Street si precipitò fuori, in lacrime, vedendola chiudersi alle spalle il piccolo cancelletto della fabbrica, incastrando -seppur da lontano- i propri sguardi nelle catene invisibili della sofferenza. Poi arrivò un taxi, Theresa lo prese e andò via, lasciando che il silenzio divorasse quel momento da cancellare, quel giorno da riscrivere.

«È finito tutto ormai.»Sussurrò il cioccolatiere al vento.

Il taxi sparì oltre due curve. Il cioccolatiere rientrò in fabbrica battendo forti colpi alle pareti, furioso, lasciandosi andare, poco dopo, ad un pianto smorzato sotto al getto d'acqua, ravveduto di aver inveito contro colei che non c'entrava niente con i furti delle ricette segrete. Infine si diresse in camera con un vuoto allo stomaco mai provato prima, scoprendo che la stanza appariva priva di fantasia senza la presenza di Theresa, senza il suo andirivieni per trovare qualcosa di adatto da indossare. Ed eccolo, in secondo momento, sorridere nel mentre si avvicinava al letto per prendere tra le mani il peluche della sua bimba, Doraemon: l'aveva scordato alla fabbrica, che stupida!

«Mei-Chan ha scordato il suo gattone.»Sorrise egli, mettendosi a letto e stringendo forte a sé il peluche: odorava di Olio D'Argan, il prodotto più usato dalla sua piccola principessa.

La notte si preannunciò lunga, fredda. Le ore scorrevano lente come i minuti e il mago del cioccolato non riusciva ad addormentarsi. Si girava e rigirava nel letto, decidendo in seguito di alzarsi per andare nella Stanza delle Invenzioni per distrarsi da quelle fottute lancette che insistevano nel fare tic tac.

Davanti al tavolo degli esperimenti cercò di inventarsi qualcosa o di farsi venire qualche idea per un nuovo dolce, ma la mente pensava a tutt'altro: aveva i pensieri offuscati dal loro ricordo; e qualcosa lì nella sua testa lo spinse così tanto nell'andare a rivedere quei maledetti filmati di servizio esterno, che alla fine si decise a scoprire la verità; con sé portò il peluche della sua amata.

«Vediamo di vederci chiaro, Doraemon.»Disse, parlando -come Theresa- col gattone di peluche. «La sua mancanza mi porta ad essere scemo...»Parlò ancora col peluche. «Sono scemo per davvero, se parlo con te!»E finalmente si decise a mettere da parte Doraemon.

Prese la cassetta dalla telecamera che s'affacciava sulla strada dalla finestra, la inserì in un videoregistratore e schiacciò il tasto play del telecomando, attendendo con ansia il caricamento...

 

 

«ALLORA SEI TU!»Urlò Theresa nel filmato a qualcuno che, evidentemente, aveva fatto qualcosa.

«Senti, ragazzina, non ho tempo da perdere appresso alle tue idiozie.»Le fu detto da Slugworth.

«Ho sempre detto a Willy di riguardarsi da te e non mi sbagliavo!»Protestò Theresa, stizzita.

«Gné gné! Levati dalle scatole!»Disse l'uomo con tono sprezzante.

«NO! DAMMI QUELLA RICETTA SEGRETA!»Urlò la ragazza, cercando di strappare dalle grinfie di Slugworth quel pezzo di carta molto importante per il cioccolatiere.

«VATTENE VIA, MOCCIOSA!»

«LASCIA!»

«ADESSO BASTA, RAGAZZINA!»Slugworth la scaraventò a terra con facilità, calpestandola pesantemente sullo stomaco. «Non osare metterti contro di me!»

Ringhiò prima di scomparire oltre il grande muro di cinta.

 

 

«Oh, no! Ho combinato un casino!»Costernato, il cioccolatiere fece un balzo da dov'era seduto, alzandosi col cuore martellante forte contro il petto.

Si diresse in piena corsa nella loro stanza, prendendo il suo cellulare tra le mani e digitando in fretta il numero della ragazza. Stava stringendo forte a sé quel peluche che ancora li univa, però dal cellulare usciva solo la voce della segreteria telefonica. Ma Willy Wonka era troppo duro di testa per arrendersi e continuò a provare e riprovare, finché...

«Willy, per favore, lasciami...»

«Piccola, mi dispiace per il casino che ho combinato!»Zittì la ragazza. «Mi sono comportato da idiota...»

«A cosa ti stai riferendo adesso?»Questa volta fu lei ad interromperlo.

«Ho appena rivisto il filmato e... Amore, per favore... per favore, ritorna!»Quella dolce voce cioccolatosa risultò come un amaro singhiozzo sommesso.

«Questa cosa fa più male a me che a te.»La voce di lei era spenta, smorzata.

«Cosa?»Chiese lui.

«Dal primo momento in cui ti ho visto, ho sognato di essere felice al tuo fianco, di stare insieme per sempre. Sapevo che mi avresti fatto stare bene ed è stato così fino ad oggi, ma...  Tuttavia, il destino ha voluto separarci e io lo accetto anche se a malincuore.»Confessò Theresa, l'anima logora, spenta.

«Possiamo rimediare... posso ancora rimediare!»Provò a convincerla lui.

«No, Signor Wonka, è tardi ormai.»Theresa pianse... di nuovo!

«Theresa...»Disse lui, ma lei aveva messo giù.

Erano due anime separate in due mondi completamente diversi: lui in fabbrica, lei in un taxi; lui al caldo, lei al freddo; lui solo, lei sola. Tutto era finito... la loro felicità era finita!

Il giorno seguente giunse rapido e senza preavviso. Il Signor Wonka indossò un completo spento, proprio  come i suoi occhi, un cilindro sulla testa e degli occhiali scuri a coprirgli le occhiaie di una notte insonne dovuta alla mancanza di qualcosa, qualcosa che era lei. I suoi operai erano in attesa dell'apertura del cancello principale della fabbrica per entrare e mettersi a lavoro, ma tutto era silenzioso, fermo. Il cioccolatiere uscì dalla porta di ferro con in mano un microfono, dando loro una pessima notizia:

«Chiudo la mia fabbrica di cioccolato... per sempre... mi dispiace.»

E sparì a testa bassa oltre la porta di ferro che si chiuse alle spalle.

Le ciminiere smisero di fumare e tutto ebbe fine prima ancora di cominciare...

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Lumpalandia ***


CAPITOLO 1

LUMPALANDIA



Era passato un mese dalla chiusura della fabbrica e Willy Wonka non era intenzionato a riaprirla. Passava tutto il suo tempo a letto, ed era una settimana circa, ormai, che non toccava cibo. Difatti era dimagrito parecchio, quasi non sembrava più lo stesso: non passava più ore ed ore a sperimentare nuove cose né faceva su e giù per pensare né cercava ispirazione tra i corridoi della fabbrica, perché ormai quella era andata via colpa sua.

Stringeva forte a sé quel peluche ogni istante, quasi fosse un tesoro prezioso. Ma improvvisamente, suggerito dal suo alter ego, fu scosso da qualcosa e, alzatosi dal letto, prese posto dinanzi al computer, cercando un sito che forniva numeri di telefono, inclusi gli indirizzi di casa; riuscì a rintracciare la ragazza: il numero era quello che già aveva sul telefono -salvato come la mia bimba- e la città sempre la stessa, ovvero Cherry Street.

L'abitazione di Theresa era un po' distante dalla fabbrica e, come il cioccolatiere, passava il suo tempo stesa sul divano a contemplare l'alto soffitto bianco. Vari pensieri confusionari le offuscavano la mente ogni Giorno, quando una chiamata anonima in arrivo causò la vibrazione del suo cellulare, portandolo quasi a cadere dal tavolino in vetro chiaro sistemato nel salotto.

«Spero che non sia lui.»Sospirò la ragazza. «Pronto?»

«Non chiudere! Fatti trovare pronta per andare insieme in una giungla!»Le disse rapidamente il cioccolatiere.

«Hai detto... giungla?»Chiese lei intimorita.

«Sì, passo a prenderti col mio Jet privato.»Rispose il suo maestro, dando le spalle a quel computer nero appena spento.

«Tanto tu non sai dove abito.»Disse Theresa con boriosità, troppo convinta di sé.

«Via Cherry, numero 10, Cherry Street*.»Recitò lui.

«Tu... come...?»Biascicò sconnessa e sbalordita Theresa.

«Basta chiacchiere, bimba, e va' a prepararti!»

«Willy, ti avevo detto...»

«No, non ti lascerò andare!»La interruppe immediatamente il cioccolatiere col cuore in gola, chiudendo in fretta la chiamata per non dargliela di nuovo vinta: era stanco di passare intere giornate senza abbracciarla almeno per un secondo.

Theresa sbuffò e allo stesso tempo rise, perché Willy Wonka non si era affatto dimenticato di lei come aveva creduto.

Quindi andò a prepararsi. Il suo appartamento non era molto grande né particolarmente lussuoso. Anzi, non lo era affatto! C'erano solo due camere da letto, un piccolo bagno, cucina e salotto nell'entrata; fuori un balcone che le permetteva di ammirare il tramonto ogni sera, illuminando la fabbrica in lontananza. L'affitto era stato pagato con i soldi che il suo maestro cioccolatoso le aveva dato in quei tre anni passi insieme nonostante ella non avesse lavorato molto per volontà del cioccolatiere; gli mancava...

Comunque, nel suo zaino mise solo dell'acqua e del cibo da mangiare durante l'arco della giornata, quando...

«CHE SUCCEDE?»Si spaventò.

Una folata di vento entrò in casa con violenza, facendo volare via le tende color arcobaleno dalla finestra. Un assordante rumore risuonava tagliente nell'aria, come delle eliche che giravano veloci per tener sospeso nel cielo un elicottero. Tale fu la sorpresa quando la stessa Theresa uscì sul balcone per vedere cosa fosse quel baccano e vide il cioccolatiere sbucare dal suo Jet: era andato a prenderla sul serio.

«Cosa ci fai qui?»Gli domandò spiazzata.

«Sono venuto a prenderti, no?»Lui le sorrise come se la cosa fosse ovvia.

«Willy, io...»

«Shh! Sali!»La zittì, porgendole una mano.

«No!»Theresa indietreggiò.

«Theresa Collins, non costringermi a prenderti in peso!»Disse il cioccolatiere, che di coraggio ne aveva da vendere.

«Perché?»Chiese lei rattristandosi.

«Perché voglio che tu venga con me!»Rispose lui, porgendole un sorriso forzato, un sorriso che mascherava la più grande delle tristezze mai provate prima.

«No, mi riferisco al perché non mi lasci andare?!»Lo corresse la ragazza.

«Perché tu hai la mia anima, come io ho la tua.»Rispose il cioccolatiere, serio, la voce smorzata da un pianto trattenuto.

Theresa rimase in silenzio perché le parole le morirono in gola, perdendosi nel fitto labirinto blu di quei due occhi spenti che presero a scrutarla senza che ci fosse un domani. Ed era proprio in quegli istanti che Willy e Theresa riuscivano a completarsi senza che se ne rendessero realmente conto, perché troppo ciechi per capire di essere ancorati a quell'amore che non lascia via di scampo per liberarsi. E loro non volevano liberarsi, per questo finivano sempre sulla stessa strada... la strada del volersi per sempre.

«Vieni con me?»Le richiese il cioccolatiere, la mano ancora tesa.

Il vento le frustava il volto, violento, facendole capire che doveva andare. Theresa sospirò. Senza neanche prendere lo zaino che aveva preparato, afferrò la mano del maestro Wonka e salì a bordo. Il cuore le batteva così forte contro il petto da arrivarle in gola; il cioccolatiere s'allontanò da casa sua.

Il cielo era limpido, sereno. Non era molto coperto dalle nuvole, anzi, era simile agli occhi della ragazza: un bel verde mare una volta acceso e ora spento, contornati da una sottile sfumatura azzurro Oceano.

Ma nel Jet Wonka non c'era la stessa serenità che dominava fuori, sulla natura esterna. Al contrario, c'era silenzio, tensione. Theresa era poggiata con la fronte contro il finestrino. Ammirava il panorama dall'alto e allo stesso tempo soffocava il dolore in gola: lui non la lasciava andare...

«Tieni!»Il Signor Wonka le porse una tavoletta Cioccocremolato Wonka al Triplosupergusto.

«Cosa me ne faccio?»Chiese Theresa, accettando il cioccolato.

«Potrai colmare le tue pene.»Rispose lui, pilotando con attenzione il suo Jet: non voleva metterla in pericolo di vita... non se lo sarebbe mai perdonato! Per la sua bimba sarebbe arrivato ad ammazzare anche qualcuno, se fisse stato necessario; addirittura aveva voglia di ammazzare se stesso per averla indotta ad andare via!

«Con del cioccolato?»Theresa lo guardò sbigottita.

«Il cioccolato, bambola, ha la proprietà di scatenare il rilascio di Endorfine e...»

«...e dà la sensazione di essere innamorati, cosa che noi siamo già!»Concluse la sua bimba, interrompendolo.

«Mi dispiace...»Disse il cioccolatiere, smettendo di guardarla e volgendo lo sguardo in avanti.

«Non è colpa tua.»Disse Theresa, consapevole del fatto che la colpa era sua, che doveva dare tempo a quella dannata rabbia di assopirsi, che doveva aspettare prima di fare una simile sciocchezza.

Poi silenzio. Ecco cosa accadde dopo: solo silenzio.

«Dove siamo diretti?»Chiese all'improvviso la ragazza.

Si ritrovarono a cambiare discorso per non piangere, per non annegare in quel dolore che li aveva circondati da giorni.

«In Lumpalandia, bimba.»Le rispose il maestro Wonka, ammiccando un sorriso forzato.

«Lumpalandia? Ehi, mi prendi in giro? Quel posto non esiste!»Theresa ne rimase alquanto basita.

«Perché no?»Le domandò egli, porgendole un breve sguardo prima di tornare a guardare davanti a sé.

«Perché non appare in nessuna cartina.»Rispose Theresa, indecisa su cosa dire.

«Siccome un posto non appare in nessuna cartina geografica, non vuol dire che non debba esistere.»Il cioccolatiere le insegnò un'altra cosa.

«Sì, ma per telefono mi avevi parlato di una giungla.»Gli rammentò la sua bimba.

«Lumpalandia è una giungla infatti.»Le sorrise il Signor Wonka.

Sospirando, a Theresa scappò un breve sorriso perché sapeva che con quel pazzo d'un cioccolatiere c'era ben poco da fare, visto la testa bacata che brulicava di stranezze. E il silenzio cadde di nuovo su entrambi, rotto l'attimo dopo da un profondo abbraccio rassicurante scappato alle gesta di uno dei due: lui.

Il Signor Wonka le fece poggiare il capo contro il suo petto martellante e, intanto che ella ascoltava quel pazzo cuore battere a ritmi irregolari, atterrarono al suolo, ritrovandosi immersi tra i folti alberi di una giungla infestata da animali pericolosi. Al cioccolatiere il brivido piaceva, per questo scese dal Jet entusiasta ed invitò la sua amata a fare lo stesso, che, al suo contrario, era terrea in viso.

«Willy... oh!»Theresa si zittì da sola, perché il suo uomo stava sguainando di già una spada, aveva uno zaino sulle spalle e una borraccia d'acqua appesa al fianco, pronto per affrontare i pericoli celati tra quegli alti alberi cespugliosi.

«Bene, andiamo!»Disse egli, camminandole davanti; Theresa sospirò.

«Prima di morire qui, caro Signor Wonka, è mio dovere informarvi che voglio diventare un'attrice, non carne da macello.»Puntualizzò la ragazza con esasperazione mista alla paura.

«Ti assicuro che già lo sei.»Le disse il maestro, immergendosi guardingo tra gli alberi.

«Davvero?»Theresa si guardava intorno spaventata.

«Davvero! Stai fingendo che tutto va bene, quando di bene non va niente!»Spiegò il cioccolatiere, poi un cespuglio cominciò a muoversi.

«CHE COS'È? VUOLE ME?»Theresa, come Rapunzel, si gettò a capofitto sulle spalle del Signor Wonka. Ma non c'era alcun pericolo: era solo uno scoiattolo sbucato dal cespuglio con in mano una ghianda.

«Sta' calma, altrimenti potrebbe sbranarti.»Le sussurrò il suo uomo con fare scherzoso.

«OH, SMETTILA!»Le guance di Theresa assunsero un color rosa acceso: doveva essere sempre così idiota?

«Dio, quanto sei bella.»Lui le sfiorò il volto con una mano, ammaliato.

«Dai, cosa ci facciamo qui?»La sua bimba cambiò discorso per non cedere all'impulso di baciarlo.

«Cerchiamo nuovi sapori per i miei dolci!»Fu la risposta del cioccolatiere, esultando e riprendendo a camminare.



 

«È pazzo?!»Pensò Theresa sbigottita.





 

Esasperata al massimo e senza altre scelte se non quella di seguirlo, decise di andargli dietro. Entrambi si stavano addentrando sempre di più tra gli alberi, quando qualcosa li colse impreparati. Si voltarono e videro un enorme e terribile animale, con ali grandi e due occhi sporgenti, volargli dietro per divorarli.

Insieme presero a correre tenendosi per mano con l'intento di salvarsi, ma l'animale persisteva. Era di un viola opaco misto al nero, con una coda lunga e massiccia. Poi il Signor Wonka, affrontando quel brivido che solo lui sapeva affrontare (Theresa si chiedeva come), le si parò davanti come uno scudo e sguainò prontamente quella spada appesa al proprio fianco, dividendo in due quell'essere con un colpo secco.





 

TU-TUM! TU-TUM! TU-TUM!







 

«Ho avuto tanta paura.»Involontariamente, Theresa lo abbracciò da dietro.

«Tranquilla, ci sono io con te.»Le disse egli, voltandosi ed accogliendola nelle proprie braccia per tranquillizzarla.




 

«Sto cedendo... Non devo cedere... NON DEVO CEDERE




 

«OH, SMETTIAMOLA, OKAY?! E FERMIAMOCI A PENSARE! ANZI, FERMATI A PENSARE: PENSI DAVVERO CHE QUI, IN QUESTO SCHIFO DI POSTO SPERDUTO NEL MONDO, TU POSSA TROVARE NUOVI SAPORI PER I TUOI DOLCI?»Urlò la ragazza, mettendo fine al loro contatto con uno spintone aggressivo.

«Con me non riesci a fingere urlando in questo modo, e lo sai. E comunque io credo di sì. Intanto... proviamo questo!»Disse il cioccolatiere, facendo riferimento ad uno strano liquido violaceo lasciato sulla spada da quell'orripilante creatura dagli occhi a palla.

«Grazie, ma lasciato a te l'onore.»Disse Theresa con riluttanza.

Il cioccolatiere fece spallucce, avvicinando -piano- la spada alla bocca. Con la lingua assaporò il liquido appiccicoso, disgustandosi e contorcendosi il volto in una strana e buffa smorfia che fece ridere la ragazza.

«Disgustoso?»Gli chiese divertita.

«Abbastanza, ma il tuo sorriso è già un ottimo risultato.»Disse lui, bevendo un sorso d'acqua.

Theresa rimase zitta, con un leggero sorriso ad incresparle le labbra, incapace di trarre qualche argomento che potesse interessargli. Ma era lei il suo interesse... questo era il punto di tutto!

«Vieni!»Le disse il cioccolatiere, riprendendo a camminare per la giungla che via via diveniva sempre più fitta, più cupa.

Ormai avanzare era diventato impossibile. Le frasche selvatiche impedivano alle loro gambe di proseguire il cammino, per questo il cioccolatiere aiutò entrambi con la spada, spazzando così via ogni ostilità. Poco dopo si ritrovarono immersi in una stretta radura popolata dagli Umpa-Lumpa, ovvero piccole persone amanti dei chicchi di cacao, che in quel posto erano assai difficili da trovare. Un Umpa-Lumpa poteva dirsi fortunato se ne trovava tre o quattro all'anno; il capo degli Umpa-Lumpa invitò i due in una delle tante tane circolari appese agli alti alberi, offrendo loro un disgustoso pasto a base di bruchi verdi dal sapore rivoltante.

«L'assaggi tu, vero?»Bisbigliò Theresa al Signor Wonka.

«No, questa volta l'assaggiamo entrambi!»Rispose quest'ultimo, vendicandosi di Prima, quando ella gli aveva fatto assaporare quella cosa disgustosa da solo.

«Non puoi farmi questo!»

«Sei sotto la mia tutela, quindi posso!»

«E va bene.»Theresa si rassegnò all'idea di non avere altra scelta: quella era una ripicca bella e buona.

Quindi il Signor Wonka prese tra le mani -coperte da guantoni neri- la ciotola di pietra nera e insieme osservarono il contenuto tutto appiccicoso e viscido. Con un po' di riluttanza e sorrisi forzati, presero coraggio ed assaggiarono il pasto: disgustoso! Il cioccolatiere ebbe anche un conato, che soffocò in un piccolo ruttino, mentre, invece, l'Umpa-Lumpa sorrise compiaciuto.

All'improvviso...

«Mi è venuta un'idea!»Esclamò il cioccolatiere, gli occhi lucidi.

Theresa rimase a guardarlo nel mentre cominciava a gesticolare con le mani strane parole che, evidentemente, il capo degli Umpa-Lumpa comprese. Gli occhi roteavano dall'uno all'altro, sbalorditi, chiedendosi cosa mai il cioccolatiere stesse dicendo all'Umpa-Lumpa.





 

«Venite a lavorare con me alla mia fabbrica. Potete avere tutti i chicchi di cacao che volete. Vi pagherò lo stipendio con dei chicchi di cacao, se preferite





 

L'Umpa-Lumpa sgranò gli occhi, afferrando il dito del Signor Wonka per stringere l'accordo, deciso a seguirlo assieme alla sua tribù. E con dietro l'intera popolazione Lumpalumpese i due fecero ritorno al Jet Wonka, salendo a bordo e volando alla volta di casa N°10: era giunto il momento di salutarsi...

«È stata una bella giornata?»Le chiese il Signor Wonka, turbato.

«Lo è stata!»Affermò la sua bimba, cercando di non far trasparire troppo la tristezza.

Nessuno dei due era pronto a lasciarsi, nessuno dei due voleva separarsi. Non ora, non adesso...

«Ti rivedrò ancora?»Le chiese speranzoso il cioccolatiere.

«No!»Rispose lei con decisione -quasi.

«Perché no?»Gli occhi del cioccolatiere divennero lucidi.

«Perché sarà meglio per noi allontanarsi.»Disse Theresa, abbassando lo sguardo per non affogare in quegli occhi e lasciarsi convincere a rivedersi ancora: avrebbe ceduto...

«Ma io ti amo.»Disse il Signor Wonka, facendo un passo avanti perché sapeva che la stava perdendo.

«Per favore, Signor Wonka...»Theresa gli diede le spalle.

«Vuoi proprio dirmi addio?»Una lacrima rigò il volto dell'inventore di cioccolato.

«Per sempre!»Esclamò la sua bimba.

«Il motivo?»Le chiese egli con voce smorzata.

E in quel momento la ragazza andò in cerca di una scusa.

«Mi piace un altro ragazzo!»Mentì.





 

TU-TUM! TU-TUM! TU-TUM!





 

«Bene!»Il fabbricante di dolciumi indietreggiò verso il suo Jet con una strana rabbia che gli ribolliva nel sangue: dopo tutto quello che aveva fatto per lei... «Buona fortuna, Theresa Collins!»

Andò via con l'anima ridotta in macerie, una lacrima già pronta a rigare il volto di entrambi.
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*Via Cherry, numero 10, Cherry Street è stato inventato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2-Il provino ***


CAPITOLO 2

IL PROVINO



Non era stato affatto facile, per Theresa, dimenticarsi di quella persona che amava tanto, che gli mancava ogni istante, ogni ora della sua giornata infinita. Ma nonostante tutto, nonostante la fatica e per quanto le risultasse difficile, si fece forza e, armandosi di coraggio, cominciò a vivere lungo una strada ad ostacoli parallela alla strada della felicità. Era una strada in salita e lungo questa sua salita c'era un teatro che apriva i casting per il film Walt Disney: Rapunzel-L'intreccio della torre.

Parlava di una principessa rapita per via del potere magico custodito nei suoi lunghi capelli dorati, acquisito grazie ad un fiore nato da una goccia di sole che aiuterà la regina a guarire da un terribile male. La ragazza, per diciotto anni, è stata rinchiusa in una torre nascosta al resto del regno, fin quando un ladro ricercato, che ha rubato la corona della principessa scomparsa, la trova per puro caso e insieme scappano dalla torre perché ella ha un sogno: vedere le lanterne che appaiono in cielo solo il giorno del suo compleanno. Ma la matrigna, colei che vuole avere il poter del fiore tutto per sé, ostacolerà la sua strada.

Theresa decise di provarci, sia perché le ricordava il suo passato prigioniero degli abissi, sia perché le serviva un lavoro per vivere (anche se era consapevole del fatto che, non dimenticatosi di lei, il cioccolatiere continuava a versarle denaro sufficiente su quella carta di credito ricevuta tre anni prima per consentirle di andare avanti), ma anche perché quello era un passo per raggiungere e realizzare il suo sogno; e non aveva neanche nulla da perderci, visto che aveva perso tutto perdendo lui.

Quindi legò ad un palo la sua bicicletta con una catena rossa ed entrò nel teatro, presentandosi davanti ad una donna mingherlina e con grossi occhiali tondi sul naso, che scrisse il suo nome su un foglio e che in seguito le porse un copione da imparare, per quanto le fosse possibile in quel momento disperato.

Il palcoscenico era in legno mogano tirato a lucido, illuminato da fari bianchi e colorati: il cioccolatiere vestiva spesso colorato, affermando di amare i colori accesi, pensò Theresa; il sipario era formato da due enormi tende rosso scuro, quasi color sangue, e si apriva a destra e a manca: anche quello della fabbrica era così...

A tutti i presenti al casting era stato inserito un piccolo microfono nero sulla maglia e quando i ragazzi udivano il proprio nome dovevano incamminarsi oltre una tenda scura per raggiungere il centro del palcoscenico, il quale sarebbe stato la loro casa, la loro fornitura di sogni e speranze per quel futuro troppo incerto da svelare. Il tempo aveva deciso di scorrere rapido, il momento si stava avvicinando...

«Theresa Collins!»Fu annunciato dopo un quarto d'ora.






 

«Tocca già a me?!»Theresa andò in preda al panico.






 

S'incamminò, come una scena a rallentatore, sul palcoscenico con lo sguardo basso e timorosa di non farcela. Il faro bianco, accompagnato dalla fioca luce di quelli colorati, la illuminò dall'alto in basso, permettendo al suo sguardo di focalizzare l'immagine del regista del film, seduto comodo accanto ad una ragazza addetta ai casting.

«Che parte vorresti recitare?»Le fu chiesto.

Theresa non aveva mai pensato a quale ruolo volesse recitare in un film. Per lei erano solo stereotipi, perché ogni ruolo aveva un suo perché. Non aveva importanza essere la protagonista, la co-protagonista oppure tante varianti: l'importante era divertirsi e fare bene il proprio lavoro.

«Mi sta bene comparire anche come semplice comparsa.»Rispose la ragazza dopo averci pensato qualche secondo: un ruolo non male per iniziare.

«Semplice comparsa, eh? Dimmi un po', cara Theresa, cosa ti sta affliggendo in questo momento?»Le chiese il regista, spiazzandola con quel semplice quesito.

«Nulla... solo... solo...»Theresa tacque per mancanza di risposte efficienti.

Come aveva fatto egli a capirla con un semplice sguardo? Era così evidente che stava soffrendo? Le lacrime trattenute, a sua insaputa, erano già scese lungo le guance senza che se ne accorgesse?

«Sai, spesso il palcoscenico è considerato un luogo di sfogo. Perché non provi a renderlo tuo, questo piccolo angolo di rilascio?»Le consigliò il regista.

«Io...»Theresa sospirò. «Vede, signore, non è così facile come può sembrare... Non ci sono neanche parole per descrivere come mi sento... Posso solo dire che fino a poco tempo fa ero la ragazza più felice del mondo, questo perché al mio fianco c'era una persona speciale, che mi ha insegnato a crescere, a credere nei miei sogni... Con dolci parole mi ha portata via dal baratro della sofferenza, rubandomi dalle grinfie dell'Anoressia che stava uccidendomi... E mi ha protetta... sempre! Però il destino si è intromesso... e ci ha messi alla prova, solo... solo non siamo stati in grado di superarla... Forse sono stata io a non superarla... perché lui mi ha cercata... io, invece, l'ho mandato via con una menzogna... gli ho detto che amavo un altro ragazzo, ma continuo ad amare lui... SOLO LUI!»

Ecco!

Theresa non ne poté più e si lasciò andare. Non aveva trovato la forza e il coraggio necessario per continuare a sopprimere le lacrime, quel giorno. Ciò accadde perché era la prima volta che divulgava in pubblico le proprie emozioni, e non seppe dirsi se fu un bene o un male.

«Vedi, Theresa, le prove dure del destino spesso ci aiutano a maturare, a non commettere gli stessi errori, e alla fine siamo sempre ripagati di un qualcosa che realmente desideriamo. Se il tuo amore è stato vero così come dici, vedrai che l'ostacolo sarà abbattuto anche sulla sconfitta subita.»Il regista si era alzato e, parlando, le si era avvicinato.

«E noi, signore, saremo pronti ad affrontare questa sfida?»Chiese Theresa, abbassandosi all'altezza del regista. «Perché io non credo di averne la forza...»

«Questo dipende da voi.»Sorrise il regista. Silenzio. Sguardi. «Presentati domattina alle dieci per le prove: la parte di Rapunzel è tua!»

«Ma signore, non ho né cantato né recitato un solo paragrafo del copione...»Disse Theresa aggrottando la fronte, sgomenta.

«Ti assicuro che hai recitato benissimo la tua parte.»Le sorrise cordialmente l'uomo giù dal palcoscenico.

«Signore?»Chiese lei non comprendendolo.

«Hai solcato una lacrima con un sorriso recondito più forte della tristezza, lasciandoti andare senza troppe storie o giri di parole per nascondere la realtà sotto mentite spoglie.»Le fu spiegato. «Hai fatto tuo questo piccolo spazio di rilascio.»Le sussurrò il regista. «Puoi andare!»

Sgomenta e guardandosi spesso indietro per l'incredulità, Theresa andò via, perplessa, con un mix di emozioni che non riusciva a spiegarsi: cosa erano?

«Si rende conto, Signor Nathan, che lei ha appena assegnato una parte importante senza valutare le capacità della ragazza?»Domandò la ragazza addetta ai casting: toccava a lei scegliere, ma...

«Ho valutato le sue capacità...»Nathan fece una pausa. «... nel momento in cui è apparsa sul palco: aveva il capo chino, ma l'ha alzato facendosi forza da sola. Quella Theresa Collins, è una delle ragazze più forti al mondo e il ruolo di Rapunzel le calza a pennello: come lei, anche il personaggio del film si arma di forza per sopravvivere ai giorni bui senza mai neanche un solo giorno di felicità.»

«E avrete senz'altro notato che era...»

«L'Oceano di persona in cui Willy Wonka affondò la propria anima, innamorandosene.»La interruppe Nathan, meditabondo. «Andiamo avanti!»

Intanto Theresa era tornata a casa alquanto spaesata. Insomma, aveva ottenuto la miglior parte del film solo rendendo suo quel palcoscenico in legno mogano...  possibileEra davvero accaduto tutto quanto? E comunque restava sempre il fatto che adesso doveva darsi da fare, perché l'attendeva per davvero una dura strada ad ostacoli da scalare con le sue sole forze per riuscire a realizzare il suo sogno. Ma in tutto ciò, il suo sciocco Signor Wonka le mancava...




 

«Chissà cosa sta facendo, quell'idiota?»Pensò.




 

*



 

Quella domenica mattina,  Theresa si era presentata a teatro come le aveva ordinato il Signor Nathan, il quale le insegnò a moderare la voce per cantare bene le canzoni scritte nel copione ed eliminando ogni eventuale lacuna o stonatura; le insegnò a suonare anche il pianoforte -che era lo strumento che la ragazza preferiva più degli altri- cominciando dalle scale musicali, anche se erano noiose; le insegnò addirittura a prendere confidenza con le telecamere: bastava far finta che non ci fossero ed essere se stessi, così tutto sarebbe stato più facile e naturale; Nathan dimostrò di avere quella stessa pazienza che aveva avuto Willy Wonka nell'istruire la ragazza, e qualcosa lasciò presagire che il fabbricante di dolciumi più venduti al mondo sarebbe stato presente anche quella volta...

Le prove e le riprese si alterarono nei giorni della settimana a seconda della disponibilità dei ragazzi. Spesso erano mancate perché Theresa stava mangiando poco e niente e durante le varie scene di canto si era sentita male, così era stata costretta a riposo; dopo la guarigione tutto era tornato alla normalità e quest'ultima, messa sotto tortura dalla sua assistente, ricominciò a mangiare normalmente.

In breve tempo il film Rapunzel-L'intreccio della Torre divenne il successo del momento. Durante le varie riprese de film, senza contare tutti gli errori fatti dai vari attori che dimenticavano le battute ed improvvisavano, divertendosi, e senza i giorni di riposo per consentire la guarigione all'attrice principale, Theresa aveva imparato così tante cose da non capirci più nulla: il suo personaggio aveva scalato le classifiche dei migliori film Walt Disney, regalando sorrisi e sogni alla gente.

Theresa Collins ce l'aveva fatta, finalmente. Era diventata un'attrice di successo anche se il  tempo era stato breve. La più brava a mascherare la tristezza sotto un manto di finti sorrisi e, quando le veniva chiesto, posava anche per varie riviste di moda: i suoi occhi erano così rari da catturare l'attenzione di gente importante.

La sua vita stava ricominciando da capo. L'affetto dei fans, durante il giorno, l'aiutava a non pensare a lui, anche se la sera i pensieri si accatastavano l'un dietro l'altro, impedendole di sorridere perché non era al suo fianco. E quel giorno, quando si diresse ai premi Awards per ricevere il primo premio come miglior attrice dell'anno, gli occhi le annegarono in un blu notte che arrecò un vortice di emozioni alla sua anima: Willy Wonka era presente alla premiazione proprio come le aveva suggerito il suo ego.

Indossava un cappuccio scuro per non essere riconosciuto, ma come il cuore di Theresa era riuscito a riconoscere quegli occhi in cui si rifugiava ogni giorno per non soffrire ancora proprio non lo sapeva. Ma forse lo aveva riconosciuto perché erano stati proprio quegli occhi a salvarle la vita...

La terra sotto ai piedi prese a mancarle. Theresa ritirò in fretta il premio, ringraziò i suoi fans e dopo qualche foto decise che era giunto il momento di scappare via, trascinandosi dietro Ana, la sua migliore amica nonché assistente.

Con una mano reggeva sia il premio che l'abito rosso che indossava, mentre con l'altra stringeva il polso della sua povera amica, rimasta alquanto sgomenta. I capelli, raccolti prima da un lato, si sciolsero per ondeggiare nell'aria assieme al vento che tentò di spazzarle via quelle lacrime salate che le stavano di già imperlando il viso. La scena sembrava esser riprodotta a rallentatore, senza suoni né voci. C'era solo il silenzio di un battito di cuore sofferente. E lei... lei correva veloce, ma la sua anima restava ferma nello stesso posto: nel cuore del suo cioccolatiere.

«Perché stiamo scappando?»Le chiese Ana.

«Perché dobbiamo allontanarci da qui!»Rispose Theresa con fermento.

«Che è successo?»Le chiese l'amica allarmata.

«Willy!»Esclamò frettolosamente Theresa.

«Willy cosa?»Ana era impaziente di sapere.

«Niente! Andiamo via e basta!»Concluse Theresa, trascinando Ana nella sua limousine.





 

«Oh, no! Mi ha riconosciuto!»Il cuore di Willy Wonka perse il controllo, proprio come le sue gesta che lo indussero a correre da lei.






 

«Aspetta, Theresa!»La fermò per un braccio prima che ella potesse andare via una terza volta.

«Va' via, ti prego!»Gli supplicò lei, frustrata.

«Devi prima ascoltarmi!»Supplicò lui, scombussolato, ferito.

«Ti prego, Willy, lasciami spiccare il volo!»

Una lacrima cadde dagli occhi del cioccolatiere al suono di quelle parole. Ma la lasciò andare, incapace di impedirle di inseguire i propri sogni anche se questo comportava la distruzione dei suoi.

I paparazzi, intanto, saettarono in avanti per scattare foto e fare domande al cioccolatiere su quella rottura improvvisa, ma Willy Wonka, che aveva perso inspiegabilmente il cappuccio, sembrava aver perso l'udito: non avvertiva più un suono né una parola. Non riusciva neppure il suo cuore battere... Forse perché era a pezzi, forse perché era il rimorso di averla trattata male.

Ma ormai era troppo tardi per piangersi addosso, pensò poco dopo, perché lui era lontano da lei proprio come lei era lontana da lui.
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Nota: Rapunzel-L'intreccio della torre è stato diretto da Nathan Greno Byron Howard e mandato in onda dalla Walt Disney.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3-Charlie Bucket ***


CAPITOLO 3

CHARLIE BUCKET



Il cielo si era oscurato e l'odore del cioccolato fondente si sparse per aria col passare delle ore: la famosa fabbrica Wonka aveva ripreso a funzionare.

Nel suo interno, le teglie rettangolari si riempirono di cioccolato, lasciando che degli stampi gli dessero la forma di piccoli quadratini Wonka. Infine le tavolette andavano ad adagiarsi su piccole mongolfiere bianche, cadendo l'attimo dopo su un lungo tavolo dove gli involucri di carta erano già stati sistemati per avvolgerle.

Nel bel mezzo di questo lavoro, una mano coperta da un guanto viola di gomma poggiò su alcune tavolette dei biglietti d'oro. Era cinque con esattezza, e quando i macchinari vennero riaccesi dopo esser stati fermati i biglietti d'oro furono coperti dagli involucri intorno alle tavolette, cadendo negli scatoloni già aperti e pronti al sigillo e che, in seguito, furono caricati su alcuni furgoncini rossi firmati Wonka per raggiungere la destinazione a loro assegnate.

Charlie Bucket vide passare in strada i furgoncini rossi dai vetri così scuri da non vedere nessuno alla guida. Fuori c'era vento e, lentamente, della candida neve cadeva dal cielo ingrigito a causa del mal tempo. Charlie era accostato ai bordi di un marciapiede innevato, quando poi attraversò la strada di corsa e raggiunse casa sua.

Egli era un bambino come tanti altri. Non era il più veloce o il più intelligente tra tutti gli altri bambini. La sua famiglia non era né ricca, né potente, né influente, a dire la verità avevano a malapena di che mangiare. Charlie Bucket, che viveva con la sua famiglia -madre, padre e nonni compresi- in una casetta alla periferia della città, era il bambino più fortunato del mondo, ma non lo sapeva ancora.



 

*



 

Col calare della sera il vento e la neve erano divenuti più fitti, completando il loro intento di ricoprire la città di bianco. Quando il Signor Bucket fece ritorno a casa, chiudendosi di fretta la porta alle spalle, salutò la propria famiglia.

«'Sera a tutti!»

«Buonasera!»Salutarono i quattro Nonni, stesi al calduccio nel loro lettone matrimoniale: due da capo e due da piedi.

«Ciao, papà!»Salutò Charlie, distogliendo per un breve attimo i pensieri dallo studio.

Il signor Bucket gli strofinò affettuosamente i capelli, avvicinandosi poi a sua moglie, che s'allontanò dal fornello per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia ghiacciata.

«La zuppa è pronta, tesoro!»Gli disse. «Non c'è nient'altro da mettere lì dentro, vero?»Chiese, ma suo marito smosse negativamente il capo, dispiaciuto. «Oh be', il cavolo sta benissimo con il cavolo

E divise in due un secondo cavolo, aggiungendolo alla zuppa di cavoli quasi in ebollizione: il loro povero pasto...

Il Signor Bucket sedette a tavola, porgendo a Charlie dei tappi di dentifricio non buoni all'uso, presi dalla locale fabbrica di dentifricio in cui lavorava: i turni erano lunghi e la paga misera, eppure, ogni tanto, c'erano sorprese inaspettate.

«Era quello che mi serviva!»Sorrise Charlie alla vista di un tappo di dentifricio a forma di tuba.

«Che cos'è, Charlie?»Gli domandò nonno Joe.

Charlie tirò fuori da un mobile un modellino della fabbrica Wonka fatto interamente di tappi di dentifricio. L'ultimo servì per completare la testa a Willy Wonka.

«L'ha trovato papà! Il pezzo che mi serviva!»Spiegò il bambino.

«Di che pezzo si tratta?»Domandò incuriosito nonno Joe.

«La testa per Willy Wonka!»Fu la risposta di Charlie.

«Oh, è magnifico!»Disse ammaliata nonna Josephine.

«E devo dire che gli assomiglia.»Aggiunse nonno Joe.

«Tu credi?»Charlie lo guardò intensamente negli occhi.

«Se lo credo? Io lo so! Io ho visto Willy Wonka con questi miei occhi: lavoravo nella sua fabbrica!»Rispose nonno Joe con serietà.

«Davvero?»Charlie strano gli occhi, stupito.

«Davvero!»Rispose nonno Joe.

«Davvero!»Affermò nonna Josephine.

«Davvero!»Affermò nonno George.

«Ah, sì, l'uva mi piace!»Affermò a vanvera nonna Georgina.

«Naturalmente, a quei tempi, io ero molto più giovane di adesso. Willy Wonka aveva cominciato con un solo negozio a Cherry Street, ma tutto il mondo voleva i suoi dolci.»

Nonno Joe ebbe un flashback...




 

Flashback





 

Il negozio Wonka era il più amato dai cittadini di Cherry Street. Nel suo interno si potevano trovare dolci di ogni forma, di ogni tipo e di ogni colore: tavolette Wonkabombolonichewin-gumcaramelle... Willy Wonka si trovava tra i suoi operai, oltre uno sportello di vetro colorato, e fu lì che lo raggiunse nonno Joe.

«Signor Wonka!»Esclamò quest'ultimo, allarmato e con con in mano una tavoletta Wonka.

«Sì?»Chiese il cioccolatiere, sfiorando il vetro colorato con le mani ricoperte da guanti di gomma rossa e immerso nelle sue fantasie dolciarie.

«Non ci sono più tavolette Wonka e gli uccellini di cioccolata sono finiti!»Lo informò nonno Joe.

«Finiti? Finiti! Ah be', allora bisogna farne degli altri! Ecco!»Offrì a nonno Joe un ovetto di cioccolato azzurro con puntini blu. «Ora apra!»

Nonno Joe si ritrovò appollaiato sulla lingua un uccellino di cioccolato cinguettante. Il Signor Wonka rise come un ebete e Theresa, seduta alla cassa, era talmente ammaliata da quell'uomo che permise alle sue labbra di increspare un sorriso che sfumò nel presente...




 

Fine flashback




 

«Quell'uomo era un genio!»Esclamò nonno Joe con enfasi. «Lo sapevi che ha inventato un nuovo modo di fare il gelato al cioccolato senza il bisogno di metterlo nel freezer? Puoi anche lasciarlo sotto il sole di una giornata calda e non si scioglie.»

«Ma è impossibile!»Esclamò Charlie.

«Ma Willy Wonka l'ha fatto!»Esclamò nonno Joe. «Non passò molto tempo dopo che costruì una vera fabbrica di cioccolato. La più grande della storia. Cinquanta volte più grande di qualunque altra!»

Nonno Joe e nonna Josephine, nel lontano flashback del passato e nel momento in cui il Signor Wonka tagliò il nastro rosso e i cancelli della fabbrica Wonka si aprirono per la prima volta, si baciarono. Intorno a loro, la folla esplose in un fremito di emozione e i paparazzi immortalarono ogni secondo di quel momento ormai lontano.

«Non si fanno quelle cose, nonno!»Scherzò Charlie.

«Raccontagli la storia del Principe Indiano, quella gli piacerà!»Suggerì nonna Josephine, sorridendo.

«Vuoi dire il Principe Pondicherry?!»Nonno Joe si schiarì la voce. «Be', il Principe Pondicherry scrisse una lettera al Signor Wonka, chiedendogli di andare da lui fino in India per costruirgli un colossale Palazzo tutto fatto di cioccolato

La risata di nonna Georgina si perse nel ricordo di quel flashback ambientato in India...




 

Flashback 




 

«Avrà cento stanze e ogni cosa sarà fatta di cioccolato fondente o al latteDisse il Signor Wonka, poggiando sul tavolo il progetto grafico del Palazzo al cioccolato; al suo fianco c'era il Principe Pondicherry.

Gli operai del Signor Wonka erano alle prese con la costruzione del colossale Palazzo: i mattoni erano di cioccolato, così come lo erano il cemento, i soffitti, i quadri, i mobili e tutto il resto. Addirittura dai rubinetti, invece dell'acqua, fuoriusciva un bel getto di cioccolato.

«È perfetto da ogni punto di vista!»Commentò il Principe una volta all'interno del Palazzo cioccolatoso.

«Sì, ma non durerà molto!»Lo avvertì il Signor Wonka. «È meglio che lo mangi subito!»

«Oh, sciocchezze! Non mangerò il mio palazzo! Io intendo... viverci!»E sedendo sul trono fatto di cioccolato, il Principe Pondicherry leccò il dito della propria mano, convinto e gustandosi il tutto.

Ma il Signor Wonka aveva ragione.

In un giorno caldo e dal forte sole rovente, il Principe Pondicherry vide afflosciarsi davanti agli occhi il proprio Palazzo di cioccolato, restando basito alla vista della cioccolata che andò a macchiare le bellissime colline verdi dell'India.

Ma si poteva vivere in un palazzo fatto di cioccolato?




 

Fine flashback




 

«Il Principe inviò un altro telegramma richiedendo un nuovo palazzo, ma Willy Wonka aveva i suoi problemi.»Stava raccontando nonno Joe. «Gli altri produttori di cioccolato, vedi, erano invidiosi del Signor Wonka, e cominciarono ad inviare delle spie per rubare le sue ricette segrete.»

«E rubarono anche la felicità a due persone, non scordarlo!»S'intromise nonno George con quel suo tono severo.

«Che significa?»Domandò Charlie, incuriosito.

«Willy Wonka era innamorato di una ragazza, Charlie, la più bella che avesse mai amato.»Rispose nonno Joe, lo sguardo perso nei ricordi lontani.

«Dici sul serio, nonno?»Chiese il bambino sbigottito.

«Ricordo come se fosse stato ieri quel giorno in cui Theresa venne in negozio per chiedere lavoro...»

Nonno Joe tornò indietro nel tempo, proprio a quel giorno in cui Theresa mise piede a Cherry Street...




 

Flashback





 

Theresa si trovava da sola per strada. Era in cerca di un lavoro che fosse in grado, nel suo piccolo, di mantenerla e, guarda caso, arrivò proprio davanti al negozio di dolciumi più famoso della città, dove sulla porta era stato affisso da poco un annuncio. Avvicinandosi ad esso, sentì una donna leggere:




 

«Cercasi addetta alle pulizie»





 

Decise di entrare: era la sua occasione per ricominciare.

Si avvicinò, imbarazzata, alla cassa e chiese ad una persona di mezza età di poter lavorare come addetta alle pulizie, esattamente come diceva l'annuncio sulla porta del negozio. L'uomo le sorrise gentilmente.

«Un momento, ne parlo col Signor Wonka.»Disse, e si diresse oltre un'allegra tenda fatta di finte caramelle colorate.

Theresa, invece, prese a guardarsi intorno. Le pareti erano tutte decorate a caramella, gli scaffali erano colmi di dolciumi e c'era gente allegra che entrava e usciva dal negozio per comprare i dolci più buoni al mondo. Poi l'uomo tornò indietro e le disse che il Signor Wonka desiderava parlarle di persona. La ragazza sorrise e si avviò oltre la tenda di finte caramelle, avvicinandosi ad una porta in legno crema e bussandoci sopra con la propria mano scheletrica, consumata da una terribile malattia che lei stessa ignorava di avere.




 

Toc toc!




 

«Avanti!»Disse una dolce voce dall'altro lato della porta.

Theresa spinse la porta di lato, entrando nel meraviglioso mondo Wonka per mai più uscirne. Credeva, inoltre, che egli fosse un uomo sulla quarantina, ma invece si ritrovò davanti uno splendido ragazzo poco più grande di lei, seduto al centro di un'allegra scrivania in vetro doppio e verde scuro che le porse un sorriso, arrecandole strane emozioni mai provate prima di allora.

L'ufficio del Signor Wonka era allegro come il resto del negozio. Sulle finestre erano state messe le stesse tende di finte caramelle come quelle viste all'altro lato della proprietà; le pareti erano dipinte di bianco, magari con qualche cerchietto colorato qua e là; le mensole, esattamente come le altre, erano colme di barattoli con dentro dolci Wonka e, alla destra di Theresa, era presente un comodo, confortevole divano rosso.

«Avvicinati, bambolina!»Le fu ordinato dal Signor Wonka.

Alle mani portava fini guanti di gomma rossa e indossava un allegro completo viola con camicia bianca a pallini colorati accurata sotto al gilet violaceo. Era un bellissimo ragazzo, pensò Theresa, con un sorriso contagioso e due splendidi occhioni blu notte in cui annegare; al contrario, lei era una misera ragazzina mingherlina. Aveva i capelli biondo platino, spenti; gli occhi erano meravigliosi: verde mare con sfumature azzurro dell'Oceano. Ma questo il Signor Wonka lo notò solo quando la ragazza si fu avvicinata alla sua scrivania, arrecandogli un vortice di battiti agitati che mai nessuna ragazza era riuscita a trasmettergli.

«Siediti, cara!»Le disse con dolcezza e Theresa obbedì. «Mi è stato riferito che sei interessata al lavoro delle pulizie, confermi?»

A Theresa, stranamente, risultò subito simpatico, ma questo era ancora da vedere.

«Sì, signore!»Confermò, sentendosi a proprio agio, cosa che con gli altri non accadeva mai.

«Come ti chiami?»Le chiese il Signor Wonka sorridendo.

«Theresa Collins, signore!»Rispose Theresa, di già persa in quel mare blu di due iridi lucenti.

«E quanti anni hai, Theresa?»

Il Signor Wonka continuava a sorriderle... perché?

«Sedici, signore!»

Theresa abbassò lo sguardo per via di una strana emozione che prese possesso del suo stomaco.

«Dimmi un po', piccola, per quale motivo cerchi lavoro? Una ragazza della tua età non dovrebbe esser immersa nei libri per studiare e diplomarsi?»Le domandò il Signor Wonka che, al suo contrario, riusciva a sopportare tutte quelle nuove emozioni.

«In verità... io non ho mai potuto studiare, signore. Mamma e papà non mi hanno voluta e per sedici anni ho vissuto a casa dei miei zii, che di recente sono venuti a mancare. Nell'ultimo periodo sono stata affidata ai miei nonni, ma appena ho rifiutato di prostituirmi loro... loro mi hanno buttata fuori dalla loro vita e... e inoltre io non so né leggere né scrivere... Posso solo pulire!»

Stranamente, Theresa aveva spiegato la sua posizione senza provare alcun tipo d'imbarazzo, senza scappare come spesso aveva fatto quando cercava lavoro e cominciava a sentirsi a disagio e fuori luogo.

«Sai almeno di che malattia sei sofferente, tesoro?»Chiese il Signor Wonka dopo averla scrutata dall'alto in basso.

«Signore?»Fu la risposta spaesata e sgomenta della ragazza.

«Sei così magra, piccina, e di certo questo non è normale.»Sorrise il cioccolatiere, ma i suoi occhi brillavano di preoccupazione.

«Ma signore, avete voglia di scherzare? Io sono grassa, mica magra! Magari lo fossi...»Theresa ironizzò una risata.

«Mmh!»Fece il Signor Wonka. «E di conseguenza sei Anoressica!»

«Cos'è l'Anoressia?»Domandò Theresa, ora laconica.

«È una terribile malattia che ti danneggia dentro, che ti impedisce di essere te stesso. Ad esempio: ti guardi allo specchio e proprio non riesci a piacerti. E sai perché? Perché la tua mente visualizza l'immagine opposta di ciò che sei realmente. Se tipo sei magra, allo specchio rifletti la tua immagine al contrario, ovvero ti credi grassa, brutta, inutile. Ti rifiuti addirittura di vivere, preferendo morire e scomparire dal mondo piuttosto che continuare a lottare.»Le spiegò in modo semplice il Signor Wonka, senza confonderla o arrecarle altri strani pensieri. «A te succede più o meno questo, vero?»

Theresa non rispose. Abbassò semplicemente lo sguardo, sentendosi impotente davanti a quello l'uomo che gli stava davanti.

«Cosa nascondi sotto ai polsini?»

Cavolo! Li aveva notati...

«Niente, signore!»Mentì spudoratamente Theresa, ma tanto lui, non credendo a quell'affermazione evasiva, le si avvicinò con decisione.

Sedette sulla scrivania senza perderla di vista un secondo. Lei cercò di ignorarlo, di far finta di niente, ma si ritrovò col polso nella sua morbida mano, che con delicatezza mise via quel polsino logoro, trovandosi davanti agli occhi una benda zuppa di sangue che nascondeva profondi tagli incisi su carne viva.

«Sei... un'autolesionista...»Il Signor Wonka ne rimase shockato.

Sentendosi impotente, distrutta e logorata dal dolore, Theresa si abbandonò alle grinfie di un pianto silenzioso che andò a pizzicarle gli occhi: perché glielo aveva lasciato fare?

«Ma perché lo fai? Non serve a niente farlo!»Le disse severamente il cioccolatiere, tamponandole il braccio con un suo fazzoletto di stoffa.

«Io mi sento sola...»Biascicò la ragazza.

Il cioccolatiere si fermò a guardarla, indeciso sul da farsi. Poi prese nelle proprie mani anche l'altro polso, trovandole inciso sul braccio una parola che gli lasciò l'amaro in bocca: ALONE!

«Dio! Smettila di farti del male... SMETTILA!»Le urlò con decisione, prendendo un altro fazzoletto di stoffa dalla scrivania e tamponandole il braccio.

«Non posso... io sono sola... SONO SOLA!»

Per la prima volta, Theresa si abbandonò al dolore nelle braccia di qualcuno che le aveva urlato di smettere di farsi del male, qualcuno che l'aveva accolta in un abbraccio protettivo come un bocciolo non ancora sbocciato e che neppure conosceva.




 

«Devo prendermi cura di lei: è quella giusta!»Pensò mentalmente il Signor Wonka.





 

«Non sei sola, amore mio, perché da oggi ci sono io con te.»Le disse il cioccolatiere, stringendola forte a sé.

«Chiedo solo... di poter lavorare.»Singhiozzò Theresa.

«Io chiedo solo di poterti salvare.»E da quel momento cambiò tutto.

Il Signor Wonka non diede a Theresa il lavoro delle pulizie. Anzi, non le permetteva assolutamente di lavorare tranne se ella insisteva a tal punto da convincerlo, cosa che accadeva spesso, visto che il cioccolatiere, col passare dei giorni, si ritrovò ad insegnarle il proprio mestiere. Le insegnò anche a leggere e a scrivere, e grazie a questo suo prezioso aiuto Theresa si diplomò in letteratura, dimenticandosi dei tagli e della sua fissa per il cibo.

Il maestro Wonka la stava guarendo dall'Anoressia con piccoli gesti e semplici metodi da ignorante qual era; altresì i tagli divennero solo un lontano ricordo.

Theresa adesso sorrideva, scherzava, sognava. Spesso si fermava a chiacchierare e giocare con gli operai del Signor Wonka, soprattutto con nonno Joe, colui che l'aveva presentata al suo angelo custode. Le consegne a domicilio le permisero di socializzare con i cittadini di Cherry Street, ma quel giorno l'attese una sorpresa inaspettata in negozio: Willy Wonka la fece salire sulla bilancia per pesarla...

«Cinquantasei chili... un ottimo risultato, no?»Sorrise il cioccolatiere.

«Se non fosse stato per lei, Signor Wonka, non ci sarei mai riuscita.»Theresa si specchiò in quei due occhi blu: non era né grassa né magra, semplicemente era una ragazza normale.

«Io penso che il tuo vero io aspettava solo il momento giusto per uscire allo scoperto.»Sorrise lui, colpendole affettuosamente il naso. «E ti dirò: così sei più bella di prima!»

Il cioccolatiere le strappò un sorriso.

«Grazie!»Disse Theresa, stritolandolo in un abbraccio spaccaossa.

«Non devi ringraziarmi, cucciola mia.»Le sussurrò il cioccolatiere.

«Non credo di averci mai fatto caso, ma voi profumate di noccioline, il che mi piace.»Questa volta strappò lei un sorriso a lui.

«Quando ti deciderai a darmi del tu?»Domandò il Signor Wonka, il quale mise fine all'abbraccio per guardarla negli occhi.

«Quando la finite e fate silenzio!»Scherzò la ragazza; lui rise.

«Ehi, birichina, vuoi aiutarmi con un progetto?»Cambiò discorso il cioccolatiere.

«Quale progetto?»Sorrise la ragazza.

«Vieni!»Il Signor Wonka la fece scendere dalla bilancia per farla accomodare sulle proprie ginocchia. Un suo braccio le avvolse il busto, mentre con la mano destra le mostrò il progetto di una fabbrica di cioccolato. «Ho preso in considerazione l'ipotesi di far  costruire una fabbrica di cioccolato, ma ti confesso che questa scelta mi mette in serie difficoltà: se non ne fossi all'altezza?»

«Voi mi avete insegnato che le difficoltà ci aiutano a crescere, e se lei vuole maturare assieme a questo suo progetto, allora deve lottare per realizzarlo nonostante la paura.»Disse Theresa, aggiungendo: «E poi potreste creare un praticello commestibile

«E una cascata di cioccolato!»S'illuminò il cioccolatiere.

«Cascata...?»Theresa inarcò le sopracciglia.

«L'unica fabbrica al mondo con una cascata di cioccolatosmack!»Il cioccolatiere mandò un bacio al vento.

«Be' , del resto il progetto è vostro.»Sorrise Theresa.

«No, è nostro, perché io voglio che questa fabbrica sia mia quanto tua.»La corresse il maestro, e non ammise repliche.

Poco tempo dopo il progetto prese vita. Al centro di Cherry Street fu costruita un'enorme fabbrica di cioccolato e il Signor Wonka non si era dimenticato affatto di Theresa. Anzi, fu la prima persona, dopo di lui, a mettere piede in fabbrica e fu lì che cominciò a coltivare i propri sogni per il futuro. Uno tra questi era diventare un'attrice di successo, anche se fu solo a San Valentino che il suo vero sogno si realizzò.

Il Signor Wonka la portò con sé nel proprio ascensore di vetro (anche se Theresa detestava gli ascensori perché una volta vi rimase intrappolata dentro) e intanto che guardavano le stanze dove avrebbero dormito e giocato, prese coraggio e le circondò il volto con le mani, avvicinandosi dolcemente alle sue labbra e baciandola.

Le labbra del cioccolatiere erano soffici, calde, carnose come quelle della sua amata. I loro respiri s'incontravano, spesso si univano. I loro cuori battevano forte contro il petto, gli sguardi s'intrecciarono l'attimo dopo per mai più lasciarsi.

«Non ti chiedo di accettare subito, ma concedimi l'onore di averti al mio fianco ogni giorno... e di proteggerti!»Il suo sguardo era lucido, sincero.

«Sempre?»Theresa sorrise radiosa.

«Sempre, amore mio!»Le promise egli, e questa volta fu lei a baciarlo. 





 

Fine flashback





 

«Ma per colpa delle spie, Charlie, il loro amore finì prima ancora di cominciare.»Concluse nonno Joe, facendo ritorno alla realtà.

«Cosa ha distrutto il loro legame?»S'interesso Charlie.

«Una delle spie rubò l'ennesima ricetta segreta e Theresa volle a tutti i costi riprenderla per consegnarla al Signor Wonka, il quale fraintese il gesto e s'infuriò con lei senza permetterle di spiegarsi. Tutto finì in poche ore e la fabbrica fu chiusa per sempre.»

Il silenzio regnò nella casa dei Bucket.

«Ma non ha chiuso per sempre!»Esclamò Charlie. «È aperta adesso!»

«Sì, a volte, quando i grandi dicono sempre, intendono per tanto tempo.»Gli sussurrò sua madre.

«Per esempio: mi sembra di mangiare zuppa di cavoli da sempre!»Si lamentò nonno George.

«Su, papà!»Lo riprese il Signor Bucket.

«La fabbrica chiuse davvero, Charlie.»S'intromise nonna Josephine.

«E a tutti sembrò che sarebbe rimasta chiusa per sempre, invece, un giorno, vedemmo del fumo uscire dalle ciminiere: la fabbrica aveva ripreso a funzionare.»A nonno Joe vennero gli occhi lucidi.

«E tu hai riavuto il lavoro?»Chiese Charlie.

«No! Nessuno di noi!»Rispose nonno Joe; ancora silenzio...

«Ci sarà pure qualcuno che ci lavora.»Insistette Charlie.

«Pensaci bene, Charlie: ti sei mai accorto di qualcuno che sia entrato in quella fabbrica o che ne sia uscito?»Lo fece ragionare nonna Josephine.

«No... i cancelli sono sempre chiusi.»Fu la risposta del bambino.

«Esatto!»Assentì nonno Joe, mettendo da parte il proprio piatto.

«Ma allora chi fa andare le macchine?»Chiese ancora Charlie, perplesso.

«Nessuno lo sa, Charlie!»Rispose sua madre.

«È certamente un mistero!»Aggiunse suo padre.

«Nessuno lo ha chiesto al Signor Wonka?»Charlie non demorse.

«Nessuno lo vede più. Non esce mai da lì. L'unica cosa che esce da quel posto sono i dolci, già impacchettati e con l'indirizzo. Darei qualunque cosa per poterci entrare ancora una sola volta e vedere che ne è stato di quella magnifica fabbrica.»Confessò nonno Joe, nostalgico.

«Ma non ci andrai! Perché non puoi! Nessuno può! È un mistero e per sempre rimarrà un mistero! Possiamo guardare il tuo modellino, Charlie, ma non entrare nella fabbrica vera!»Esclamò severamente nonno George.

«Avanti, Charlie, è ora di lasciare che i nonni dormano un po'!»Lo congedò sua madre.

Charlie salutò i suoi nonni con un bacio affettuoso sulla loro guancia ossuta e dopo aver ascoltato la frase di nonna Georgina: «Niente è impossibile, Charlie!» salì in camera.

La sua stanza non era grande né lussuosa. Era piccola e stretta, composta da un singolo letto affiancato da un mini comodino; la parete rovinata era decorata con le carte di tavolette di cioccolato Wonka e mentre s'infilava ed ammirava la fabbrica avvolta dal buio, l'impossibile si stava già realizzando.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - I Biglietti D'oro ***


CAPITOLO 4

I BIGLIETTI D'ORO



La notte era tranquilla, il cielo sereno. I lampioni illuminavano le strade innevate della città, compresa la fabbrica, di cui i cancelli si aprirono e mini uomini su motorini rossi firmati Wonka uscirono in strada per incollare ai pali dei volantini importanti.

Improvvisamente, poi, si fece giorno e, nonostante nell'aria ci fosse la fredda bruma mattutina e piccoli fiocchi di neve sfuggivano al cielo, qualche raggio di sole riuscì ad illuminare i volantini, attirando l'attenzione dei cittadini che ben presto si affollarono intorno allo stesso palo.

Anche Theresa, giunta in quella zona per posare in un book fotografico invernale, fu attratta da quella gente e si avvicinò a loro per guardare il volantino: era di Willy Wonka... il suo Willy Wonka!

«Chissà cosa si è inventato adesso?»Pensò tra sé e sé, leggendo poi il volantino.





 

«Cari abitanti del mondo, io, Willy Wonka, ho deciso di permettere a cinque bambini di visitare la mia fabbrica. Inoltre, uno dei cinque bambini riceverà un premio speciale che va oltre ogni aspettativa




 

«Ma non si smentisce mai?!»Esclamò Theresa ad alta voce.

«Cosa vorresti dire?»Le chiese un bambino.

«Nulla, pensavo ad alta voce, scusami tanto.»Si scusò la ragazza

Lei e il bambino, al quanto mingherlino e smunto, si guardarono negli occhi e quello sguardo fu abbastanza denso che il ragazzo la riconobbe subito.

«Ma tu se... Theresa Collins!»

Il bambino aveva sgranato gli occhi per lo stupore; la ragazza sorrise e porgendogli la mano gli disse:

«Piacere di conoscerti.»

«Il piacere è mio, Theresa!»Disse il bambino, afferrando la sua mano con ilarità.

Nonno Joe gli aveva parlato già così tanto di Theresa, che adesso incontrarla era come un sogno che s'avvera.

«Come ti chiami?»

«Giusto, scusami!»Disse il bambino. «Sono Charlie Bucket!»

«Allora spero di rivederti presto, Charlie Bucket.»Si congedò Theresa.

«Lo spero anch'io!»Esclamò Charlie mentre Theresa andava via.

«Ma quella non era la piccola di Willy Wonka?»Si fece avanti una donna massiccia.

«Lo era, ma solo una volta.»Rise un'altra.

«Che sciocca, si è fatta scappare il meglio!»

«E per vivere s'è messa a fare l'attrice... Mah!»

«Solo? Quella lì, posa anche per varie riviste di moda!»

«Forse è quello che voleva...»Provò a difenderla Charlie.

«Io mi sarei tenuto Wonka!»L'apostrofò la donna massiccia.

Theresa, dal canto suo, udì bene quei mormorii sul suo conto, tant'è che, una volta in sella alla sua bici, s'avvicinò a quelle oche e le schernì:

«Mie care signore, prima di sparlare sul mio conto, informatevi bene sulla mia vita privata e forse, dopo, ne riparleremo con calma!»

«Mmh? E su cosa dovremmo informarci?»Chiese l'oca massiccia.

«Io e il Signor Wonka abbiamo litigato solo per un malinteso, e se non siamo tornati insieme è stato per mia scelta! E smettetela di parlare solo di interessi economici, perché io non mi sono innamorata di lui per questo, bensì perché quell'uomo mi ha salvata dall'Anoressia e non immaginate lontanamente quanto io stia soffrendo senza averlo al mio fianco! È un dolore tremendo, che spezza in due l'anima, che neanche un book fotografico riesce a mascherare! E comunque... se oggi sono diventata un'attrice è perché sognavo di esserlo. Buona giornata!»Concluse Theresa con astio.

Per un momento ci fu solo silenzio, finché...

«E per vostra informazione, quella ragazza ha omesso di dirvi che è stata vittima di bullismo nonché di autolesionismo.»Le canzonò Charlie. «Solo per farvelo sapere!»

Charlie corse a casa per raccontare tutto alla sua famiglia.

Raccontò loro dell'incontro emozionante con Theresa (nonno Joe sorrise: non la vedeva da tempo), di come aveva reagito alle critiche e dei biglietti d'oro che, guarda caso, in quello stesso momento i giornalisti stavano informando i telespettatori che le tavolette Wonka si trovavano sparse in ogni angolo del mondo; nonno Joe subito attizzò le orecchie e spalancò gli occhi, emozionato.

«Non sarebbe magnifico, Charlie? Aprire una tavoletta di cioccolato e trovarci dentro un biglietto d'oro!»Esclamò.

«Certo! Ma io ne ricevo solamente una... per il mio compleanno.»Gli ricordò il bambino.

«Il tuo compleanno è fra una settimana.»Disse sua madre, intenta a pulire il pavimento in legno logoro e irregolare della casa.

«Tu hai le stesse probabilità di chiunque altro.»Gli disse nonna Josephine.

«Baggianate!»Intervenne severamente nonno George. «Troveranno il biglietto d'oro quelli che possono permettersi tavolette di cioccolato ogni giorno, il nostro Charlie ne riceve una sola all'anno... non ha possibilità!»

Nonna Georgina stava uncinettando con la lana, ma convenne con lui.

«Tutti hanno una possibilità, Charlie!»Cercò di convincerlo nonna Josephine.

«Ricorda le mie parole: il primo che troverà un biglietto d'oro sarà grasso come un porcello.»Disse nonno George, e non si sbagliò mica!

Augustus Gloop fu il primo bambino a trovare un biglietto d'oro. Mangiava sempre cioccolato Wonka. Aveva un grosso faccione come il resto del corpo pasciuto, tappezzato qua e là da rotoloni di carne. Augustus Gloop era della Germania, parlava con gli accenti mosci, era biondo e con gli occhi azzurri; intanto che suo padre preparava salsicce, sua madre si mise in mostra con i giornalisti.

«Sapevamo che il biglietto d'oro l'avrebbe trovato lui.»Disse. «Augustus mangia tanto di quel cioccolato al giorno che era praticamente impossibile che non ne trovasse almeno uno!»

«L'avevo detto che era un porcello!»Affermò nonno George, guardando Augustus con la bocca piena di cioccolato e sua madre che sorrideva per il biglietto d'oro in tv.

«Ma che bambino orripilante!»Esclamò nonna Josephine con riluttanza.

«Restano solo quattro biglietti d'oro.»Disse Charlie con apprensione.

«Ora che ne hanno trovato uno, vedrete che impazziranno tutti.»Disse nonno Joe.

E in effetti, nei giorni a venire, in Inghilterra, una bambina aveva trovato il secondo biglietto d'oro. Il suo nome era Veruca Salt, una bambina mingherlina, capelli castani e occhi azzurri, incontentabile e viziata dal padre; ed era stato proprio quest'ultimo a trovarle il biglietto d'oro.

Il Signor Salt lavorava nel campo delle noci. Un giorno, invece di far sgusciare noci alle sue operaie, fece scartare loro la carta delle tavolette di cioccolato Wonka, strappando di mano il biglietto d'oro ad una dipendente che l'ebbe trovato.

«Papà, io voglio un altro pony!»Fu questa la risposta di Veruca appena ricevuto il suo biglietto d'oro.

«È anche peggio del bambino porcello!»Commentò nonno George con sarcasmo.

«Non credo sia giusto: non è stata lei a trovarlo!»Esclamò Charlie.

«Non preoccuparti, Charlie. Quell'uomo ha viziato sua figlia, e non è mai un bene viziare una ragazzina in quel modo.»Disse nonno Joe.

La porta di casa si aprì. Fuori era già buio ed aveva anche ripreso a nevicare. I coniugi Bucket ebbero appena fatto ritorno a casa, sorridenti, e dopo aver spento la tv poggiata sul vecchio tavolo della cucina diedero una bella notizia a Charlie.

«Charlie, la mamma e io pensavamo: vuoi aprire il tuo regalo di compleanno... stasera?»Gli chiese suo padre; Charlie sorrise.

«Ecco qua!»Fu sua madre a porgergli il regalo: una bella tavoletta Wonka avvolta in un'allegra carta da regalo.

Charlie rimase a guardarla come se si trattasse di un tesoro prezioso, gli occhi lucidi e il cuore in gola per la troppa incontenibile emozione.

«Forse dovrei aspettare domani...»Disse febbrilmente.

«Col cavolo!»Bestemmiò nonno George.

«Papà!»Lo riprese il Signor Bucket.

«Tutti insieme abbiamo trecentottantuno anni, che cosa aspettiamo a fare?»Lo convinse nonno Joe.

Tremante per l'emozione, Charlie prese a scartare lentamente la sua tavoletta di cioccolato, trovandosi tra le mani un Cioccocremolato Wonka al Triplosupergusto.

«La preferita di Theresa.»Sussurrò malinconico nonno Joe; Charlie sorrise.

Prese a mettere via le varie carte firmate Wonka, ma prima di strappare anche la carta stagnola sua madre disse:

«Charlie, non devi essere troppo deluso sai, se non... se non trovi...»

«Comunque vada ti resta sempre la cioccolata.»Aggiunse suo padre.

E così via!

Gli occhi di tutti si puntarono su Charlie, seduto al centro del letto matrimoniale in cui risiedevano i suoi quattro nonni ormai da anni. Tutti erano febbrili, ansiosi,  soprattutto nonno Joe, che stava per scoppiare di gioia più di tutti; Charlie aveva quasi scartato la sua tavoletta Wonka, quando d'un tratto esitò e poi strappò via l'ultima carta con decisione: nessun biglietto d'oro. Al suo posto c'era solo una bellissima e profumata stecca Wonka.

«Ah be', è andata così!»Si rassegnò nonno Joe, deluso come gli altri.

«La dividiamo!»Decise Charlie.

«Oh, no, Charlie! È il tuo regalo di compleanno...»Provò a convincerlo nonno Joe.

«È la mia cioccolata... e ci fatto quello che voglio!»Lo apostrofò il bambino, soffocando qualcosa di amaro e salato in gola: le lacrime.

Divise in parti uguali il suo regalo di compleanno, offrendo un pezzo di cioccolato a tutti e, anche se mascherava la sua delusione -in fondo desiderava da anni visitare la fabbrica Wonka- ne assaggiò anche lui un po', fatta eccezione per nonna Josephine, che preferì annusare il suo pezzetto.

Il giorno seguente, Charlie si trovava in giro: finalmente aveva smesso di nevicare. Le strade non erano molto affollate, ma quel qualcuno che passeggiava tranquillo si fermava ad ammirare le bici nella vetrina di un negozio vicino oppure leggeva il giornale. E parlando di giornale, Charlie ne raccolse uno appena buttato -nuovo- nella pattumiera per portarlo a casa, dove sua madre stava preparando la colazione, i nonni erano a letto e suo padre era immerso nella lettura.

«Bravo! Vediamo che hai trovato!»Esclamò euforico nonno Joe; Charlie consegnò il giornale a suo padre.

«Il terzo biglietto d'oro è stato trovato da Violetta Beauregarde.»

C'era scritto in prima pagina.

Violetta Beauregarde, dell'Atalanta, era una bestia di ragazzina dai capelli biondi a caschetto e gli occhi smeraldini. Come sport praticava il karate ed era, inoltre, campionessa mondiale di gomme da masticare. In tv aveva annunciato di stare masticando la stessa cicca da tre mesi; aveva steso due praticanti di karate ed era piena di sé, come sua madre, che si vantò coi giornalisti di aver vinto molti premi come majorette.

«Che bestia di ragazzina!»Esclamò con riluttanza nonna Josephine dopo aver visto il servizio.

«Davvero spregevole.»Convenne nonna Georgina.

«Non sai di cosa stiamo parlando.»Le bisbigliò George; la Signora Bucket lo fulminò seduta stante.

«Di libellule?!»Fu la risposta confusionaria di nonna Georgina.

Al notiziario fu annunciato anche che il quarto biglietto d'oro era stato trovato da Mike Tivù, Colorado, bambino mingherlino con occhi marroni e capelli castani. Non sembrava, tuttavia, felice di andare alla fabbrica...

Passava il suo tempo incollato alla televisione, a giocare con i videogames e a urlare: ‘Muori! Muori! Muori!’ Nell'intervista rivelò di aver trovato il biglietto d'oro con una sola tavoletta: aveva svelato un codice...

«E che sapore aveva?»Gli domandò un giornalista alludendo al cioccolato.

«Non lo so! Io odio il cioccolato!»Esclamò Mike con sarcasmo.

Quell'affermazione mandò in bestia nonno George, che inveì, imbestialito, contro la figura di Mike apparsa in televisione. Charlie, per via di suo padre che gli aveva tappato prontamente le orecchie, non sentì nulla, nemmeno una singola parolaccia; la tv fu spenta poco dopo e tutto tornò calmo.

«Papà!»Lo chiamò Charlie.

«Sì, Charlie?»Rispose suo padre.

«Perché non sei a lavoro?»

I coniugi Bucket si guardarono negli occhi, paralizzandosi.

«La... fabbrica di dentifricio mi ha dato del tempo libero.»Mentì il Signor Bucket.

«Come una vacanza?»

«Sì... qualcosa del genere.»

Il Signor Bucket abbassò lo sguardo verso il giornale; la Signora Bucket gli diede una dolce pacca sulla spalla.

In realtà non si trattava affatto di una vacanza: con l'incremento della vendita del cioccolato era aumentata anche la carie e, di conseguenza, la vendita di dentifricio. Con il denaro ricavato la fabbrica in cui lavorava il Signor Bucket decise di modernizzarsi, eliminando il suo lavoro e sostituendolo con una macchina avvita-tappi.

«Come faremo a sbarcare il lunario ora?»Chiese il Signor Bucket meditabondo.

Fuori c'era di nuovo il mal tempo e sembrava che, di lì a poco, avrebbe ripreso a nevicare.

«Troverai un altro lavoro!»Rispose sua moglie stendendo il bucato. «Nel frattempo io posso annacquare un altro po' la zuppa.»Sdrammatizzò, abbracciando da dietro suo marito. «Non preoccuparti, Signor Bucket, la fortuna girerà... ne sono sicura!»

Charlie aveva ascoltato Tutta la conversazione dalla piccola finestra della sua cameretta. Il suo sguardo era mesto, lucido, finché non udì la voce di nonno Joe chiamarlo, facendogli segno col dito di raggiungerlo di sotto.

«Il mio gruzzolo segreto.»Bisbigliò quando Charlie l'ebbe raggiunto, mostrandogli, entusiasta, una monetina d'argento. «Io e te faremo un altro tentativo per trovare l'ultimo biglietto.»

«Sei sicuro di voler spendere così i tuoi soldi?»Gli domandò Charlie.

«Sì che sono sicuro! Tieni! Vai! Corri al negozio più vicino e compra la prima tavoletta Wonka che vedi, portala qui e l'apriremo insieme.»

Charlie prese i soldi ed uscì di casa, correndo; suo nonno s'addormentò affermando che quest'ultimo era un bravo bambino. 


 

 

*



 

«Nonno!»Lo scosse Charlie; nonno Joe si svegliò di soprassalto. «Ti eri addormentato.»

«L'hai portata?»Nonno Joe andò dritto al sodo; Charlie gli mostrò la tavoletta Wonka. «Allora, come vuoi che l'apriamo?»

«Un colpo solo... come un cerotto!»

Nonno Joe assentì.

Entrambi chiusero gli occhi per non sbirciare. Quando la tavoletta fu completamente scartata dalle varie carte, Charlie e suo nonno guardarono: ancora nessun biglietto d'oro...



 

*



 

Charlie si trovava di fronte all'enorme fabbrica Wonka. Stava annusando l'aria intrisa di cioccolato fondente, quando gli occhi gli vennero lucidi perché udì dire a due uomini che l'ultimo biglietto d'oro era stato trovato da un bambino russo; menzogne!

Deluso, Charlie prese a camminare con lo sguardo basso lungo un marciapiedi innevato, quando, immersa nella neve, vide una banconota. Allora il bambino s'abbassò, la raccolse e, col sorriso stampato sul volto e spinto da una forte emozione inspiegabile, entrò nel negozio vicino e comperò una bella tavoletta al Cioccocremolato Wonka al Triplosupergusto, dove trovò l'ultimo biglietto d'oro.

Era successo tutto così in fretta...

«È un biglietto d'oro...»Commentò il commerciante del negozio; due clienti guardarono Charlie, agitati, l'aria tesa. «TU HAI TROVATO L'ULTIMO BIGLIETTO D'ORO... NEL MIO NEGOZIO!»

«Vendilo a me! Ti do cinquanta dollari e... e una bici nuova!»Tentò di convincerlo un uomo.

«MA COSA DICE? Io gli offro cinquecento dollari per quel biglietto!»Si fece avanti una donna. «Vuoi vendermi il biglietto per cinquecento dollari?»

«ADESSO BASTA! LASCIATE STARE IL RAGAZZO!»Li sgridò il commerciante, rivolgendosi poi a Charlie. «Senti, non devi darlo a nessuno. Portalo dritto a casa, hai capito?»

«Grazie!»Sorrise il bambino.

Prese il resto della banconota e corse a casa con lo stomaco aggrovigliato per l'emozione. Fuori era sceso di nuovo il buio e faceva molto freddo, ma a chi importava? Tutta quell'emozione era sufficiente a riscaldare l'intera casa Bucket, soprattutto il cuore di nonno Joe, che ebbe il biglietto tra le mani.

La sua vista, nonostante avesse grossi occhiali tondi sul naso, era offuscata, ma improvvisamente...

«YUPPYYY!!!»Balzò dal letto mettendosi a ballare il Tip Tap sotto gli occhi increduli della famiglia, porgendo poi il biglietto d'oro al Signor Bucket. «Tieni! Leggi ad alta voce! Sentiamo che cosa dice esattamente!»

La signora Bucket fece cadere per terra cavoli e legna, avvicinandosi poi a suo marito, che stava leggendo il biglietto d'oro con occhi sbarrati. Dopo aver letto anche l'ultima delle istruzioni, la mamma di Charlie disse:

«Il primo febbraio... ma è domani!»

«Non c'è un momento da perdere, Charlie!»Esclamò di fretta nonno Joe. «Lavati la faccia, pettinati i capelli, pulisciti bene le mani, lavati i denti, soffiati il naso, tagliati le unghie...*»

«...e togliti il fango dai pantaloni!»Completò nonno George.

«Dobbiamo tutti mantenere la calma!»S'intromise la Signora Bucket: si era creato troppo scompiglio. «La prima cosa da decidere è questa: chi andrà con Charlie alla fabbrica?»

«Ci vado io! Lo porto io! Lascia fare a me!»Si propose eccitato nonno Joe.

«Non credi, caro, che dovresti andare tu?»Domandò la Signora Bucket a suo marito.

«Be', nono Joe sembra saperne molto più di tutti noi e... sempre che, naturalmente, si senta bene!»Decise il Signor Bucket.

«YUPPYYY!!!»Nonno Joe si rivolse a Charlie, felice.

«No, non ci andremo!»Quest'ultimo li spiazzò. «Una donna mi ha offerto cinquecento dollari per quel biglietto... scommetto c'è chi pagherebbe di più! I soldi ci servono più del cioccolato...»

Tutti si fermarono (tranne nonno Joe perché ora troppo triste per fare altro) a guardare Charlie, silenziosi: la loro situazione non doveva costargli quell'unica chance di visitare la fabbrica.

«Giovanotto, vieni qui!»Gli ordinò improvvisamente nonno George.

Charlie fece il giro della stanza per raggiungerlo all'altro lato del letto.

«È pieno di soldi là fuori, sai? E ne stampano altri ogni giorno. Ma questo biglietto... NE ESISTONO SOLO CINQUE COME QUESTO IN TUTTO IL MONDO! E non ce ne saranno altri mai più! Solo uno scemo scambierebbe questo biglietto con una cosa comune come i soldi. Tu sei... uno scemo?»

«No, signore!»

«Allora togliti il fango dai pantaloni: la fabbrica ti aspetta!»
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*L'elenco di Nonno Joe è tratto dal libro originale di: ROALD DAHL.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Il Primo Febbraio ***


CAPITOLO 5

IL PRIMO FEBBRAIO



Theresa era stesa sul divano verdognolo di casa sua con un cuscino verde stretto tra le mani. Aveva le lacrime agli occhi e contemplava l'alto soffitto immersa nei vecchi tempi passati quando, improvvisamente, il suo cellulare prese a vibrare. Non aveva alcuna voglia di rispondere: voleva solo essere lasciata in pace. Ma non poteva, tuttavia, ignorarlo in eterno, anche perché era da tutto il giorno che non cessava di vibrare.

Quindi sospirò, tirandosi infine su ed asciugandosi gli occhi col dorso della mano. Mise da parte il cuscino che stringeva, prese tra le mani il suo cellulare e il cuore le balzò subito in gola alla vista del nome -e della foto- sulla schermata: Il Re Del Cioccolato.

Con gli occhi colmi di smarrimento, apprensivi più di tutto, Theresa schiacciò il tasto verde con mani tremanti e rispose a quella chiamata, chiedendosi cosa stesse cercando quel suo pazzo cioccolatiere.

«Pronto?»

«Finalmente! Sono ore che ti chiamo!»Si lamentò quest'ultimo.

«Direi da tutto il giorno...»Abbassò lo Sguardo Theresa.

«Appunto! Perché?»Le domandò il cioccolatiere con sarcasmo.

«Non volevo sentire nessuno.»Rispose la sua bimba mentre tornava a stendersi sul divano.

«Neppure me?»Biascicò il mago del cioccolato, arrecandole tenerezza.




 

«Speravo tanto di sentirti, amore mio, ma non posso cedere...»Si disse mentalmente la ragazza.





 

«Lascia perdere e dimmi che vuoi!»Tirò a corto lei.

«Almeno dammi uno straccio di risposta!»Esclamò il cioccolatiere costernato.

«Willy, cosa vuoi?»Inveì Theresa.

«Uff...»Sbuffò lui. «Volevo invitarti alla fabbrica domani.»

«Non hai già degli ospiti?»Gli chiese Theresa: aveva ascoltato tutto al telegiornale.

«Io voglio anche te.»

Il Signor Wonka abbassò lo sguardo, affranto: la sentiva schiva... distante!

«Ah, be'...»

La sua bimba apparve laconica... lo era!

«Non vuoi venire, eh?»Intuì deluso il cioccolatiere.

«No!»Ammise Theresa.

«Okay, ciao!»

La chiamata s'interruppe.

Theresa rimase immobile lì dov'era con il cellulare ancora poggiato vicino all'orecchio. Le sembrava di percepire ancora la sua voce, ma in realtà erano solo i suoi singhiozzi incontrollati, perché, frustrata, tornò a stringere forte a sé quel cuscino verde e bagnandolo sul bordo. E ancora una volta, a sua insaputa, il cellulare -che le era caduto- prese a vibrare.

Senza guardare chi fosse, Theresa lo raccolse e rispose alla chiamata.

«Pronto?»

«Sapevo che saresti scoppiata a piangere.»

Era ancora lui... e stava piangendo.

«Ho sbattuto la testa contro il muro e piango per dolore.»Mentì la sua bimba.

«Certo, e tu pensi di scaricarmi così?»Sorrise costernato il maestro Wonka.

«Sì!»Affermò la sua bimba, sincera con lui e, soprattutto, con se stessa.

«Quanto sei ingenua, tesoro!»Disse il cioccolatiere e aveva ragione: in fondo l'aveva curata lui. «Con me le bugie non attaccano: ti conosco meglio di me stesso.»

«Cosa ti serve adesso?»

Theresa cambiò discorso perché era una scappatoia più facile che restare lì a piangersi addosso.

«Volevo invitarti di nuovo alla fabbrica domani... Non accetto un no come risposta!»Mise subito in chiaro lui.

«Il mio no è irrevocabile, Willy!»

«Ma perché mi fai questo?»

«Perché domani vorrei soltanto riposare.»

«Tu vieni, poi dopo potrai riposare nella tua stanza.»

Il cuore martellava così forte nello stomaco di entrambi da percepirne ogni battito, ogni sofferenza attraverso un comune apparecchio.

«‘Mia’ stanza o ‘nostra’ stanza?»

Theresa stava soffocando qualcosa di pungente in gola... cos'era? Il dolore? Un groppo? No, era la mancanza di lui.

«Dove preferisci e... e poi qui c'è qualcuno che vuole rivederti!»Rispose febbrilmente lui.

«So bene che vuoi rivedermi tu, Willy, quindi basta.»Supplicò mestamente Theresa.

«Non solo io, tesoro.»

«Ti faccio sapere.»

Theresa stava per chiudere la chiamata...

«ASPETTA!»Le urlò il maestro.

«Cosa vuoi ancora?»S'arrabbiò Theresa: aveva una così matta voglia di baciarlo...

«Ti amo.»La spense il suo unico amore mentre una lacrima rigava il volto di entrambi. «E tu? Mi ami ancora?»



 

«Sì, ti amo ancora.»



 

«Addio, Signor Wonka!»Esclamò Theresa, mettendo fine alla chiamata.

«Theresa?... Ehi?... Ha riagganciato di nuovo? Dopo tutto quello che ho fatto... TU!»Il cioccolatiere inveì contro una foto della sua bimba da tre anni poggiata sul suo comodino. «TI STO ODIANDO CON TUTTO ME STESSO! PERCHÉ NON ESCI DALLA MIA VITA COSÌ COME CI SEI ENTRATA? ESCI DAI MIEI PENSIERI... perché ti amo e ti odio al tempo stesso... Senza di te mi sento uno schifo... e ogni giorno che passa affondo in un barlume di tristezza privo di una nuova speranza.»

Willy Wonka prese a singhiozzare per la prima volta in vita sua. Il dolore era troppo difficile da sopportare e solo in quel frangente se ne rese realmente conto: lo stava vivendo sulla propria pelle... e faceva male, molto. Come aveva fatto lei, per così tanto tempo, a sopprimerlo, a resistergli?

Intanto che cercava risposta tra le lacrime, Theresa si era alzata dal divano per aprire la porta, perché qualcuno, tipo la sua migliore amica, aveva suonato il campanello.

«Theresa!»Esclamò Ana tutta pimpante.

«Oh, ciao, Ana!»La salutò Theresa, facendosi da parte per farla entrare in casa.

«Ma cosa ti è mai accaduto?»Le chiese l'amica allarmata.

«Solo una cosa sconvolgente.»

Theresa finse un sorriso rassicurante mentre si chiudeva la porta alle spalle.

«Ne vuoi parlare?»

Entrambe sedettero sul divano.

Theresa rimase qualche secondo in silenzio, persa coi pensieri nel pavimento bianco che circondava casa sua. Infine si decise a parlare: con Ana non aveva segreti.

«Poco fa mi ha chiamata Willy.»Sospirò.

«COSA?»L'amica sgranò gli occhi.

«Mi ha invitata alla fabbrica domani... assieme agli altri.»

«Hai ricevuto un biglietto d'oro in particolare?»

Ana era visibilmente contenta: non sopportava più vederla in quello stato. Ormai erano mesi che fingeva di stare bene...

«No, penso che quella dei biglietti d'oro sia stata solo una scusa per vedermi.»

«E tu cos'hai risposto?»

«Che ci avrei pensato.»Rispose Theresa, alzandosi dal divano per andare in cucina. «Vuoi una tisana?»

«No, ma ci andrai alla fabbrica, vero?»Le domandò Ana, raggiungendola in cucina.

«No!»Fu la risposta secca di Theresa. «Sicura di non volere la tisana?»

«Fanculo tu e la tisana!»L'apostrofò Ana facendo, stizzita, ritorno in salotto.

«Che stai combinando?»Le raggiunse Theresa.

«Una cosa molto promettente, vedrai!»Ghignò la sua amica.

Ana, bellissima ragazza dai capelli lisci e neri, sorriso lucente e due grandi occhi verdi, prese il cellulare di Theresa dal tavolino e, frugando nella rubrica, riuscì a trovare quel che stava cercando: il numero del cioccolatiere. Ghignò.

Theresa, intuendo le sue intenzioni, le mimò un no col capo, ma Ana sghignazzò ed inviò la chiamata, attendendo quella risposta che, solo in secondo momento, l'avrebbe ammazzata seduta stante, perché l'amica era già pronta a strangolarla.

«Theresa?»Rispose speranzoso il cioccolatiere.

«No, Signor Wonka! Sono Ana, un'amica di Theresa.»Rispose la ragazza.

«Oh... le è successo qualcosa?»Chiese il Signor Wonka, distaccato: lui voleva sentire la sua bimba...

«Affatto! Anzi, Theresa ha accettato il vostro invito!»Mentì Ana; subito Theresa cercò di strapparle il cellulare dalle Mani, invano.

«Ah, davvero?»Domandò egli con scetticismo.

«Ma sicuro! Ora ve la passo!»Ana porse, ghignando, il cellulare a Theresa.

«Io ti uccido, eh!»Le mimò quest'ultima.

«Sì, sì! Però domani, visto che non ci sarai.»La prese in giro l'amica.

«Signor Wonka...»Disse Theresa, turbata.

«Penso che potresti anche smetterla con questa storia, no?»Sbuffò il cioccolatiere.

«Io... volevo solo...»

«... solo dirmi che Ana ha mentito e che domani non verrai!»La interruppe egli.

Quest'ultimo stava per chiudere la chiamata...

«NO!»Urlò Theresa; il tempo sembrò fermarsi per ascoltarla. «Io... io verrò domani!»

«Se lo stai dicendo per compassione, ti prego di smetterla: farai del male a te stessa più che a me.»Disse il maestro mentre la ragazza faceva ritorno in cucina.

«Willy, passa a casa mia e ne riparleremo con calma... ahi!»Esclamò, questo perché si era scottata un dito con la pentola della tisana.

«Che diamine hai combinato?»S'allarmò il cioccolatiere.

«Niente! Vieni o no?»Lo schernì la sua bimba.

«Dove abiti?»Le domandò esasperato il Signor Wonka, sospirando e anche divertito per quel suo comportamento: quella passerotta non era cambiata di una virgola.

«Dove mi hai lasciata l'ultima volta!»Agganciò Theresa.

Il cioccolatiere si ritrovò a grattarsi il capo, scocciato, mentre Theresa tolse la pentola della tisana dal fornello. Quimdi sedette a tavola con Ana, attendendo impaziente l'arrivo del suo cioccolatiere ed ignorando quello che le stava dicendo l'amica, perché prese a rimuginare su ciò che si sarebbe detta con quell'uomo che l'aveva salvata: forse avrebbero chiarito, forse avrebbero parlato di dolci, oppure avrebbero...

I pensieri furono interrotti dal campanello che suonò dopo solo dieci minuti: era stato veloce...



 

Ding Dong!



 

«Vado ad aprire io!»Esclamò Theresa.

Mise subito da parte la tisana per andare ad aprire la porta: non vedeva l'ora di vederlo, di risentirlo, di toccarlo anche solo col pensiero.

«Non consumarlo tutto, mi raccomando!»La prese in giro Ana.

«Sta' zitta, scema!»Le ringhiò contro Theresa.

«Sì, ti voglio bene anch'io!»Ribatté la sua amica.

Theresa era vicina alla porta. Sbirciò nell'occhiello mettendosi in punta di piedi -era più bassa rispetto a lui- e lo vide. Indossava un semplice jeans nero, una maglia bianca e una camicia rossa con quadri neri e bianchi.

Un abbigliamento insolito, pensò subito la sua bimba, aprendo la porta ed affogando in quei due occhi blu che presero a scrutarla come se non ci fosse un domani.

«Ciao!»Le disse il cioccolatiere per rompere il ghiaccio.

«Ciao!»Le guance di Theresa avvamparono. «Pensavo non venissi...»

«Invece sono qui!»Sorrise il maestro Wonka.

Silenzio. Sguardi. TU-TUM! incontrollati.

«A-accomodati!»Biascicò la sua bimba, facendosi da parte per farlo entrare in casa.

«Ti ho portato un po' di dolci.»Disse il cioccolatiere, porgendole un sacchetto colorato.

«Dovrei offrirti io qualcosa, visto che sei mio ospite, ma grazie per il pensiero.»Sorrise Theresa, sfiorando quella calda mano cioccolatosa per prendere il sacchetto ed avvertendo strani formicolii allo stomaco: cos'erano? «Vi-vieni, voglio presentarti Ana.»Biascicò di nuovo, portandolo con sé in cucina, dove la sua migliore amica aveva attizzato le orecchie, origliandoli. «Lei è Ana. Ana, lui è Willy.»

«Piacere di conoscerla, Signor Wonka.»

Ana gli porse una mano dopo essersi alzata dalla sedia.

«Il piacere è mio, cara.»

Il cioccolatiere ricambiò la stretta di mano.

«Non mi hai mai accennato il suo fascino.»Bisbigliò Ana a Theresa in provocazione.

«Non ci provare, che ti uccido sul momento!»Le ringhiò quest'ultima a denti stretti e con gli occhi offuscati dal fuoco.

«Gelosa, eh?»Sorrise Ana. «Be', mi piacerebbe moltissimo restare, ma ho tantissimo lavoro da sbrigare, senza contare gli impegni e il resto!»

«Strano...»Theresa simulò di pensare. «Non conosco persone che hanno impegni alle undici di sera.»

«Io sì, tesoro!»Ana la baciò sulla guancia. «Buon susseguirsi, Signor Wonka!»Disse, e prima di andarsene gli bisbigliò all'orecchio: «Se vuole portarsela a letto, lo faccia pure: la camera è sempre rassettata!»

Il cioccolatiere arrossì violentemente sulle orecchie.

«Ana!»La riprese Theresa; ella ghignò, uscendo poi dalla cucina.

La porta d'ingresso si aprì per poi chiudersi. In casa rimasero solo loro due povere anime imbarazzate. Lui guardava lei, lei guardava lui. L'aria era tesa...

«Siediti!»Gli ordinò Theresa, poggiando il sacchetto colorato sul tavolo ed avvicinandosi allo scolapiatti per prendere una tazza. «Ti vuoi una tisana?»

«No, sono qui per sapere se domani vieni o meno.»Le confessò il cioccolatiere, andando dritto al dunque.

«Se... se ti avessi chiesto di venire qui per me e non per l'invito alla fabbrica, saresti venuto ugualmente?»

«Sarei accorso da te in mezzo secondo! E ti confesso che volevo farlo da giorni, solo pensavo non fossi più qui.»La fece sorridere egli. «Ci sarai davvero domani?»

«Inizialmente ero contraria. Poi ci ho pensato... solo che Ana è stata più rapida di me!»

Fortuna che Theresa era di spalle...

«Mi stai dicendo la verità?»Indugiò lui.

«Sì... e anche no.»Rispose lei, sincera. «La vuoi una tisana?»

«No, e non mi convinci affatto!»Esclamò il Signor Wonka, restando sul suo argomento.

«Sono solo stanca, ecco tutto!»Confessò Theresa, versando la tisana in un'altra tazza nonostante il suo cioccolatiere non la volesse.

«Allora vado!»Disse il maestro, alzandosi.

Fu un attimo...

«NO!»Urlò la sua bimba; lui la guardò sbigottito. «La vuoi o no, questa dannata tisana?»

«Basta che non me lo chiedi più!»Sorrise il cioccolatiere, tornando a sedersi.

Theresa sedette al suo fianco, porgendogli poco dopo la tisana. Poi prese dal sacchetto colorato un paio di dolci e, anche se era stato lui a portarglieli, gliene offrì qualcuno, soprattutto un dolce in particolare: biscotti accatastati gli uni sugli altri con in mezzo cioccolato alla nocciola e sopra una bella spolverata di zucchero a velo.

Servendosi di un coltello per dolci, Theresa lo divise in due e ne mangiarono una parte ciascuno, lo zucchero a velo che volava dappertutto e la loro risata a riempire le quattro mura che li circondavano mentre rimasero a chiacchierare per un tempo indefinito, dimenticandosi dei loro problemi sentimentali.

Il Signor Wonka stava parlando a Theresa dei suoi nuovi dolci in sperimentazione, tipo le Toffolette alla violetta. Era ravveduto di aver insinuato cose inesatte, per questo mostrò alla sua amata le nuove ricette segrete scritte proprio quella mattina, chiedendole addirittura consiglio sulle varie forme o colori o sapori. Spesso faceva anche stupide battute che solo in quel frangente potevano far ridere, ma, loro malgrado, si fece tardi e Theresa cominciò a sbadigliare.





 

«Maledetta stanchezza...»Pensarono entrambi. 






 

«Bene, io credo che sia giunto il momento di andare.»Disse il cioccolatiere alzandosi dalla sedia.

«Vai già via?»Theresa s'alzò di scatto.

«Sì, tesoro!»

«Perché?»

«Perché voglio lasciarti riposare.»Le sfiorò dolcemente una guancia egli.

Theresa rimase a specchiarsi nei suoi occhi per molto tempo, poi abbassò lo sguardo e lo accompagnò alla porta per salutarlo. Lì il cioccolatiere stava per abbracciarla, ma prima che le sue braccia potessero circondarla forte e il suo calore avvolgerla si fermò. Theresa rimase ferma, gli occhi intenti a guardare, malinconici, quell'uomo che stava andando via di corsa. Quindi fece per entrare in casa, quando una salda presa la spinse verso un calore protettivo che per lei era vita.

Era stato un breve attimo sfuggito del tempo. Il cioccolatiere era a metà rampa di scale quando il cioccolatiere aveva deciso di tornare indietro e spinse la sua bimba contro il suo corpo, avvolgendola forte nelle proprie braccia per non lasciarla più andare: era sua... di nessun altro!

«Amo il Pino Silvestre.»Biascicò la ragazza.

«Lo so, per questo l'ho messo.»Confessò il cioccolatiere, portandole via un bacio dalla guancia.

«Vorrei che il tempo si fermasse...»

Entrambi stavano trattenendo le lacrime, a fatica.

«Devi essere tu a fermarlo.»Le sussurrò lui, ma Theresa non voleva farlo soffrire ancora.

«Scusami, ho sonno e vorrei coricarmi.»Mentì, separandosi da quell'uomo a capo chino.

«Dormi bene.»Disse il suo maestro, baciandole la fronte e correndo poi via, urlandole per le scale: «TI AMO!»

«Ti amo anch'io.»Sorrise Theresa, chiudendosi la porta di casa alle spalle.


 

*


 

Un nuovo giorno giunse alle porte. La sveglia sul cellulare di  prese a suonare alle otto in punto del mattino seguente. Gli occhi erano contrari a svegliarsi proprio come la voglia della ragazza, che però decise di alzarsi lo stesso dal letto: gli aveva promesso di esserci...

Addosso aveva ancora l'odore del suo cioccolatiere, ma non ci pensò molto e, preparandosi per quel grandioso e lungo giorno, si diresse in cucina per la colazione. Preparò cibo a sufficienza per due persone, perché, puntuale come un orologio, Ana andò a casa sua come ogni mattina, carica di buste ed energia che spruzzava da ogni poro.

«Fai shopping di prima mattina?»Le domandò Theresa con sguardo accigliato.

«Ovvio!»Assentì l'amica con aria boriosa.

«E cos'hai comprato?»

Theresa finse curiosità: conoscendola, sapeva già cosa ella aveva comprato.

«Qualcosa di carino per te: tà-dah!»
Ana le mostrò un bellissimo abito bianco avorio con corsetto cristallizzato, uno strascico non troppo lungo, una gonna lunga di seta morbida e una fascia semplice sulla vita; le scarpe erano del medesimo colore ma, più che un abito normale, quello sembrava...

«A me sembra un abito da matrimonio.»Le fece notare Theresa.

«Sei la futura moglie di Sir Willy Wonka, dopotutto!»Fece spallucce Ana: effettivamente quello era un abito da matrimonio.

«Non ti sembra di esagerare?»Chiese seriamente Theresa, mettendo da parte la colazione.

«Affatto!»Esclamò Ana sulla difensiva.

«Tu sei folle quanto Willy!»Concluse Theresa, dando le spalle all'amica: ogni cosa le ricordava lui... anche quell'odore che aveva addosso!

«Su, basta mangiare! Va' a farti una doccia veloce, che poi prendo a prepararti!»

Ana spinse la sua amica in bagno con così tanta fretta da farla sospirare: era più emozionata di lei... Cosa da non credere!

E non avendo altra scelta se non quella di obbedire, Theresa uscì dal bagno, qualche minuto dopo, con addosso un accappatoio giallo, lasciando che Ana le sistemasse i capelli in leggeri boccoli che le ricaddero morbidi sulle spalle. Il viso fu illuminato da un leggero trucco leggero che esaltava lo scintillio dell'abito; lo Chanel N°5 le profumava il collo.

«Sei perfetta!»Esclamò Ana ammaliata.

«Fin troppo direi...»Pensò Theresa nel mentre si guardava allo specchio, lì dove vi era riflessa l'immagine di una non-sposa avvolta dalla mestezza.

«Scommetto che quel fustacchione della sera scorsa spalancherà gli occhi appena ti vedrà!»Ana le diede una leggera gomitata. «A proposito: avete fatto l'amore insieme?»

«Non chiamarlo fustacchione e poi... vedi di farla finita!»Concluse Theresa, avvampando sulle guance.

Indossata una pelliccia lunga fino alla vita per ripararsi dal freddo e soprattutto per cambiare argomento, Theresa seguì Ana fuori casa, dove salirono in macchina (Ana era più grande rispetto a lei), uscirono dal parcheggio e s'inoltrarono sull'autostrada per raggiungere la fabbrica Wonka. Lì un raggio di sole dispettoso che fece notare ad Ana, per la prima volta, l'anello sul dito di Theresa.

«Quello cos'è?»Le chiese subito, quasi finendo contro un camion perché si fu distratta.

«Ehi, vuoi farmi morire?»Ringhiò Theresa.

«Certo che no! Devi prima sposarti col principe Wil... Aspetta! Quello cos'è?»Esclamò Ana; Theresa sospirò.

«Niente d'importante.»Mentì.

«Non mentirmi, Theresa Collins, e dimmi subito cos'è!»Pretese Ana: era proprio una gran rompiscatole.

«È l'anello che mi regalò Willy.»

Theresa abbassò lo sguardo: quante domande, quanti ricordi... quanta sofferenza.

«Perché lo porti ancora al dito?»

«Perché non riesco a dimenticarlo.»

Theresa tacque per tutto il resto del viaggio.

Un'ora e un quarto di strada circa, per via del traffico, finalmente le due amiche arrivarono alla fabbrica. Insieme, tenendosi per mano, s'incamminarono verso la folla di persone che occupava gran parte della strada: i cinque bambini e i loro accompagnatori erano già arrivati e attendevano l'apertura dei cancelli.

«Siamo sempre in ritardo!»Si lamentò Ana.

«Meglio così, no?»Sghignazzò istericamente Theresa, agitata fino alle unghie dei piedi, le gambe molli.

«Smettila di dire fesserie e vai!»

Ana la spinse nella fila dei cinque bambini e Theresa si ritrovò a chiudere la fila accanto al Signor Salt.

«Signorina, qui non può stare.»Le si avvicinò un poliziotto: era nuovo della zona e non conosceva ancora bene la loro storia.

«Giusto! Io ho ricevuto una chiamata dal Signor Wonka, che mi ha voluta qui oggi.»Spiegò Theresa, agitata.

«È Theresa Collins?»Domandò il poliziotto.

«Sì, purtroppo.»Theresa abbassò lo sguardo.

«Allora mi scusi.»Disse il poliziotto, tornando nella fila di sicurezza.

Sospiri. Sguardi. E...

«Oh, ciao!»Charlie la riconobbe subito.

«Ciao, Charlie! No, non ci credo!»Esclamò sorpresa Theresa. «Nonno Joe!»

Da quanto tempo non lo vedeva...

«Si ricorda ancora di me, signorina?»Le chiese nonno Joe, sorpreso e felice di rivederla dopo tanto tempo.

Era cambiata, sì, ma in cuor suo era rimasta sempre la stessa.

«E come dimenticarmi di quella persona che mi fece incontrare quel dannato pazzoide cioccolatoso!»Sorrise la ragazza.

«Charlie mi ha raccontato del vostro incontro, sapete! Come state?»Le domandò nonno Joe.

«Mi limito a tirare avanti.»Rispose Theresa, facendo ritorno alla destra del Signor Salt per non annegare nei ricordi.

Ma!

«Sei l'attrice, nonché cocca di Willy Wonka, di cui tutti parlano, vero?»Le chiese Veruca.

«Direi di sì.»A Theresa già stava antipatica: cocca di Willy Wonka? Lei era una ragazza normale come le altre...

«Non sei male.»Disse Veruca con aria di superiorità.

«Buon a sapersi.»Ironizzò Theresa, ma Veruca la ignorò.

«Papà, io voglio entrare lì dentro!»Protestò invece.

«Manca un minuto, tesoro!»Le sorrise dolcemente suo padre.

«FAI AFFRETTARE IL TEMPO!»Urlò lei, lasciando Theresa di sasso.

«Se lei è capace di affrettare il tempo, allora perché non prova a mandarlo indietro di qualche mese? Almeno fino a quel giorno...»Disse Theresa al Signor Salt.

«Quale giorno?»Le chiese quest'ultimo con scetticismo.

«Niente, lasci stare!»Tagliò a corto Theresa.

L'attesa era snervante, ricca di sguardi interminabili.

Theresa cominciò a sentirsi a disagio, tant'è che voleva citofonare al suo folle Wonka per entrare e nascondersi nelle sue braccia; però non le sembrò carino e per rispetto degli altri abbandono quella folle idea. Altresì si limitò solo a voltarsi verso la folla per guardare l'amica mimarle di stare tranquilla. Ma come poteva tranquillizzarsi se un improvviso scatto di serratura attirò la sua attenzione, facendole balzare il cuore in gola alla vista dei cancelli che si stavano aprendo?

«È il momento...»Si disse, il fiato corto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6-Il Re Del Cioccolato ***


CAPITOLO 6

IL RE DEL CIOCCOLATO




I giornalisti saettarono in avanti per le primissime foto del momento. La folla esplose in un fremito di eccitazione e gli ospiti di Willy Wonka corsero oltre il grande cancello della fabbrica perché egli aveva detto loro di entrare. Quindi si fermarono a qualche centimetro di distanza dall'apertura. Tutt'intorno era ricoperto di neve. Nella mente di Theresa presero a galoppare le immagini felici di quei tempi ormai lontani, dove tutto era perfetto, dove tutto era un sogno.

Spesso lei e il Signor Wonka, lì fuori in quell'enorme piazzale,  si sfidavano a palle di neve e, per far vincere la sua bimba, ne usciva sempre da perdente... Non sempre, a dire il vero, ma al sol pensiero di quei ricordi felici sulle labbra di Theresa si dipinse un sorriso nostalgico, e prima che una lacrima potesse rigarle una guancia e rovinare il trucco (Ana l'avrebbe ammazzata, se avesse pianto prima di vedere il suo uomo) una voce per lei unica nella sua pazzia disse:

«Venite avanti!»

Quindi gli ospiti cominciarono a camminare in avanti, eccitati e in completo silenzio, come se il vento e il gelo stessero portando via le loro voci.

Poi di nuovo la stessa voce...

«Chiudete i cancelli!»

...quella del cioccolatiere.



 

TU-TUM! TU-TUM! TU-TUM!



 

«Ti prego, non parlare con questa voce da cretino che ti ritrovi: mi viene voglia di baciartiSi disse mentalmente la ragazza, il cuore ormai fuori controllo.


 

Perché era proprio questo ciò che accadeva a Theresa ogni qualvolta che udiva la sua voce: il cuore cominciava a battere forte, ogni singolo pensiero andava in confusione e nello stomaco avvertiva una piacevole pesantezza che, ancora oggi, non era riuscita a darvi nome. Nemmeno le importava!

Ora, seguendo gli altri, Theresa cominciò a camminare con sguardo basso per l'enorme piazzale innevato, che circondava la fabbrica assieme alle alte mura di cinta. Gli ospiti si stavano guardando intorno, emozionati, curiosi; lei non ne aveva bisogno, perché conosceva tutto di quel posto e preferì sprofondare lo sguardo nella neve intanto che la stessa voce annunciava:

«Cari visitatori, è con immenso piacere che vi do il benvenuto nella mia umile fabbrica.»Ci fu una piccola pausa. «Chi sono io? («Uno stupido idiota, ecco chi sei!»Pensò Theresa, divertita anche solo per un po'.) Be'...»

Theresa e gli ospiti si fermarono davanti a degli scalini di pietra grigia situati prima dell'entrata della fabbrica. Le sue grandi porte di ferro scorsero di lato e un sipario rosso si aprì, mostrando bellissime marionette colorate intente a cantare una canzoncina allegra.

Alcuni l'apprezzarono, tipo Augustus e sua madre (chi sorrideva, chi ballava), gli altri, invece, rimasero sbigottiti, gli occhi e la bocca spalancati; Theresa si lasciò andare e rise: se l'aspettava una sparata del genere da quel pazzoide. 




 

Willy Wonka, Willy Wonka
Il Re Del Cioccolato.
Willy Wonka, Willy Wonka
da voi tutti sia acclamato.
È generoso e nobile
lui sa muoversi con stile.
Dal piglio irrefrenabile 
spesso poi non si contiene.
Si contien, si contien, si contieeeen.
Willy Wonka, Willy Wonka
è di gioia che ti incanta.
Willy Wonka, Willy Wonka
l'allegria per chi lo incontra.
Del cioccolato è il gran visir
è un mago che ti sa stupir.
Willy Wonka è questo quiii!!!




 

Apparve un trono rosso con una W dorata ricamata sul tessuto di velluto, ma Willy Wonka non sedeva lì. Le marionette, invece, poco dopo e ancora intente a cantare, si bruciarono per via dei fuochi d'artificio che apparvero dal nulla e il tutto cessò così com'era iniziato. E esattamente come gli altri, Theresa rimase shockata, basita, quando un applauso beffardo -accompagnato da una buffa risata di gradimento- irruppe nell'attenzione di tutti.

Il cuore le balzò immediatamente in gola, arrecandole turbamento, soffocamento di battiti impazziti mentre il fiuto avvertiva il dolce odore delle noccioline mischiato al Pino Silvestre. E senza riuscire a controllarsi, Theresa volse il capo alla sua destra, scontrandosi così con un uomo alto e con in testa una tuba, occhiali scuri sugli occhi e un bel cappottone nero a riscaldarlo: Willy Wonka, felice per il suo spettacolino a sorpresa; ne parlò entusiasta col Signor Salt intanto che un suo braccio cingeva i fianchi della sua bimba anche se per un breve attimo.

«Sono stato magnifico!»Esclamò; dei guanti viola gli coprivano quelle mani che stava battendo in maniera sfrenata. «Ero preoccupato che la parte centrale fosse un po' eccessiva, ma poi il finale... WOW!»

Felice e con la sua aria allegra che si era spenta in quei mesi bui -un po' mascherata, in quel momento-, Willy Wonka si separò da Theresa dopo averle baciato dolcemente una guancia, salendo gli scalini di pietra e volgendo la sua attenzione agli ospiti. In quel frangente cercò di dire qualcosa, di spiccicare parola, ma Violetta Beauregarde fu più Veloce e più rapida.

«Lei chi è?»Gli chiese.

«È Willy Wonka!»Esclamò ilarato nonno Joe.

«Davvero?»Domandò Charlie.

«Sì... è bellissimo!»

La bocca di Theresa, arida perché il freddo era riuscito a penetrare nell'interno spalancato, parlò in autonomia, perché ella era così persa ed ammaliata da quell'uomo da non riuscire a trattenersi oltre: il cuore aveva prevalso sul cervello.



 

«Tu sei bellissima, mia sposa adorata.»Pensò il cioccolatiere mentre se la divorava tutta con lo sguardo.



 

Aveva notato sin da subito il suo abito avorio, quando, di soppiatto, era sgattaiolato fuori dalla fabbrica da un'uscita secondaria e stava per cedere alla tentazione di rapirla per portarla con sé di là e baciarla a sazietà in ogni singola parte. Ma lì con lei c'era gente che attendeva qualcosa, tipo un discorso di benvenuto, e lui ancora non era riuscito a comunicare con gli ospiti... Almeno finché non ne sparò una delle sue.

«Buongiorno, stelle del cielo! La Terra vi saluta!»Esclamò, sbigottendo a priori.

«Ma guarda che idiota!»Scoppiò a ridere la sua bimba.

Gli ospiti presero a guardare il cioccolatiere in modo strano, mettendolo in imbarazzo. Ma uno sguardo da parte di Theresa, che riusciva sempre a rassicurarlo nelle avversità, gli fece capire che quello non era il modo giusto per comunicare con gente estranea e quindi, frugando nel suo cappottone, tirò fuori dei foglietti bianchi, che in seguito lesse con padronanza e sicurezza.

«Cari ospiti, salve! Benvenuti alla fabbrica, vi stringo calorosamente la mano.»Sorrise, porgendo la propria mano ai suoi ospiti; nessuno di essi si fece avanti per stringergliela. Al che voleva farlo Theresa, ma il coraggio le mancò e pertanto abbassò lo sguardo, ignorando che un groppo le stava bloccando la gola. Dal canto suo, il cioccolatiere ritirò la mano e, leggendo, aggiunse: «Mi chiamo Willy Wonka!»

Rise brevemente, strappando un sorriso anche alla sua bimba, la quale sollevò lo sguardo prima che le lacrime sfuggivano al suo controllo. E controllarle, quel giorno, sarebbe stata un'impresa davvero ardua: lui era lì... Come avrebbe fatto a resistergli ancora per molto, se già moriva dalla voglia di stringerlo forte a sé per mai più lasciarlo andare?

«Perché non è là sopra allora?»Gli chiese Veruca, indicando col dito il trono rosso alle spalle del cioccolatiere, interrompendo quei momenti carichi di ricordi.

«Be', non potevo di certo godermi lo spettacolo da là sopra, no, ragazzina?»Le rispose il Signor Wonka, al che Theresa lo schernì a modo suo.

«Certo che potevi!»

«Non cominciamo, eh!»

Messo in chiaro quel piccolo punto, allieva e maestro si abbandonarono a un breve sorriso d'intesa: solo un gesto o una parola e il tutto si comprendeva al volo. Ma questa volta fu nonno Joe ad interrompere quei momenti.

«Signor Wonka, io non so se lei si ricorda di me, ma io lavoravo qui nella sua fabbrica.»Disse agitato nonno Joe intanto che il cioccolatiere metteva via i foglietti bianchi.

Qualcosa scattò in quest'ultimo, il quale si irrigidì sul posto e, tutto d'un fiato, esclamò:

«Era una si quelle ignobili spie che ogni giorno cercavano di rubare il lavoro di tutta una vita per venderlo a quei parassiti che imitavano i miei dolci, e che mi hanno fatto perdere la donna che amo?»

«No, signore!»Rispose sgomento nonno Joe; Theresa sospirò, intromettendosi nella conversazione.

«Willy, è la stessa persona che ci ha fatti incontrare in negozio, quel giorno.»Gli ricordò; il maestro tornò a sorridere radioso.

«Allora è magnifico, ben tornato!»Sorrise. «Venite con me, bambini! Anche tu, principessa!»

A quell'ordine, il Signor Wonka volse le spalle agli ospiti per arrampicarsi lungo i gradini di pietra innevati della sua fabbrica, lasciando che gli altri, come le impronti impresse nella neve, lo seguissero all'interno dell'edificio, oltrepassando il tendone rosso e le marionette ancora crepitanti e fumanti.

«Ma non vuol sapere i nostri nomi?»Lo affiancò Augustus Gloop mentre, assieme alla troup, lo seguiva a ruota.

«Non vedo come possano importare!»Fu la piatta risposta del cioccolatiere, il quale esclamò: «Forza, svelti! C'è molto da vedere!»

«Io ho già visto tutto...»Si lasciò sfuggire Theresa, malinconica.

«Tu non hai visto ancora niente, e zitta!»L'ammonì il Signor Wonka, voltandosi brevemente per assicurarsi che ella non fosse scappata; ma non aveva alcuna intenzione di farlo: ormai era lì...

Oltrepassarono un secondo tendone, questa volta nero, ritrovandosi immersi in un lungo corridoio grigio dal soffitto ad arco e con al centro del pavimento un tappeto rosso simile a quelli dei red carpet per le celebrità; dei paletti con delle corde dorate e rosse facevano da separé ad entrambi i lati. In fondo al tappeto rosso vi era una porta chiusa, mentre sulla sinistra un altro corridoio che portava nelle altre stanze.

«Lasciate pure i cappotti dove capita!»Disse il cioccolatiere, buttando a terra il suo cappotto assieme agli occhiali da sole.

Quel giorno indossava una camicia colorata con sopra un gilet nero con catenine e una spilla dorata accurata sul colletto alto dell'indumento; i pantaloni erano in cotone scuro e, oltre alla tuba posta sul capo, indossava un cappottino -lungo fino alle ginocchia- color bordeaux. In mano, oltre ai guanti viola, reggeva un bastone colorato a mo' di caramella; gli occhi erano quelli di una volta: blu come la notte e lucenti come il giorno, i quali saettarono subito alla ricerca dell'Oceano sfumato di verde mare. Ma Theresa era di spalle.

Stava cercando di sfilarsi di dosso la pelliccia bianca e morbida con una spilla di cristallini finti adagiata al centro del collo alto, ma la fodera interna si era incastrata in un cristallino sul corsetto dell'abito...

«Oh, Willy!»Sussultò poco dopo, voltandosi di scatto perché il cioccolatiere le aveva sfiorato dolcemente un fianco, aiutandole a mettere via la pelliccia.

«Scusami, non era mia intenzione spaventarti. Volevo solo aiutarti, visto che sembravi in difficoltà.»Disse, poggiando la pelliccia della sua bimba su uno dei tanti paletti lì presenti: non ebbe il coraggio di buttarla a terra come aveva fatto col suo cappotto, perché dopo sarebbe stato come calpestarla.

«In effetti lo ero.»Ammise Theresa.

«Mi fa piacere averti qui.»Disse lui, lo sguardo ammaliato da lei, sorridendo appena.

Stava per accarezzarle il viso, lo stesso che da giorni gli era mancato di guardare, di sfiorare, di baciare anche solo per pochi secondi. Ma il Signor Tivù, come gli altri, voleva la sua attenzione e pertanto esclamò:

«Signor Wonka, certo che fa caldo qui!»

«Cosa? Oh, sì, tengo il riscaldamento al massimo qui, perché i miei operai sono abituati a un clima caldo. Non lo sopportano il freddo!»Si voltò il maestro dell'allieva Collins, per poi volgere di nuovo le spalle agli ospiti: Theresa era più importante.

Ma!

«I suoi operai chi sono?»Gli domandò Charlie; egli si rivoltò sorridendo.

«Ogni cosa suo tempo!»Rispose. «Allora...»

Prese a camminare lungo il corridoio spianato nel cammino di tutti, dritto e rigido, fermandosi all'improvviso con riluttanza: Violetta Beauregarde gli si era attaccata al busto.

«Signor Wonka, sono Violetta Beauregarde!»Si presentò la ragazzina mentre masticava la sua gomma trimestrale.

«Oh...»Il cioccolatiere restò a guardarla, esclamando in seguito: «Non m'interessa!»

«Dovrebbe interessarle, perché io sono quella che vincerà il premio speciale.»

«Sembri sicura e la sicurezza è fondamentale!»

Violetta si voltò e sorrise a sua madre, che approvò quel gesto; il Signor Wonka, ripreso il cammino, ebbe un altro improvviso scatto di riluttanza e si fermò.

«Io sono Veruca Salt! È un piacere conoscerla, signore!»Sorrise la ragazzina viziata, inchinandosi con regalità.

«Ho sempre pensato che la verruca fosse un tipo di porro che viene sotto ai piedi, ahah!»Rise il cioccolatiere, strappando un sorriso anche alla sua bimba sposa.

Invece Veruca sembrò minacciarlo con uno sguardo gelido e un muso lungo quanto il tappeto che stavano calpestando, e prima che il Signor Wonka potesse fare un altro passo e ignorarla completamente -quella postura rigida non lo aveva intimorito: era solo una bambina viziata-, il bambino porcello gli si parò davanti con la bocca piena e il suo accento moscio della Germania.

«Io sono Augustus Gloop e mi piace il cioccolato!»Disse e infatti stava mangiando una tavoletta Wonka.

«Questo lo vedo! Lo adoro anch'io! Non credevo avessimo così tante cose in comune!»Ironizzò il cioccolatiere e, prima di proseguire nei passi, si voltò verso gli altri, esclamando: «Tu!»Disse, riferendosi al Nerd dei videogiochi. «Tu sei Mike Tivù! Se il demonietto che ha decifrato il codice!»Una punta di sarcasmo si impossessò della sua voce; poi si rivolse all'ultimo bambino: «E tu sei già fortunato ad essere qui, vero?»; cambiò totalmente espressione mentre si rivolgeva agli adulti. «E voi dovete essere i loro p... p... p..»

Non riusciva a dire 'parenti', questo perché aveva subìto delle malefatte in quel passato che, accidentalmente, aveva dimenticato.

«Parenti?!»Suggerì il Signor Salt.

«Ecco! Mamma e papà... Già, papà...»Il Signor Wonka si rabbuiò, lì perso nei suoi ricordi d'infanzia ormai lontani e che, prima di rammentarli, li scacciò via con un finto sorriso: «Oh, allora... continuiamo il giro!»

Nel corridoio non si sentiva altro che i loro passi avanzare lungo il tappeto rosso. Nessuno parlava, nessuno borbottava e nessuno porgeva altre indiscrete domande o si vantava di qualcosa. Il Signor Salt era alle prese col guardarsi intorno, disgustato, mentre Augustus Gloop chiese a Charlie: «Vuoi del cioccolato?», e quest'ultimo rispose: «Sì!»

«Allora dovevi portartelo, aahh!!»Rise Augustus, riprendendo a camminare come fosse il padrone.

Al che Theresa si fece avanti e tirò fuori dalla fascia del vestito due caramelle alla frutta: il maestro Wonka gliele aveva date prima di separarsi da lei per guardare i suoi ospiti attraverso gli occhiali da sole.

«Tieni!»Gli disse sorridendo: non tollerava l'infamia.

«Grazie!»Le sorrise il bambino, dando una caramella anche a suo nonno, che adagiò in tasca come esso; Theresa, invece, si perse con lo sguardo nelle spalle del cioccolatiere: quanta voglia aveva di abbracciarlo...

Veruca Salt e Violetta Beauregarde, fianco a fianco, avevano un'antipatia reciproca, eppure si presero a braccetto fingendo di volersi già bene mentre i loro genitori avanzavano dietro di loro in silenzio.

«Siamo amiche, vero?»Le domandò Veruca, e prontamente Violetta le rispose: «Per la pelle!»

Sguardi sorridenti che, in seguito, divennero gelidi, carichi di sfide e ripicche.

E ancora stavano camminando lungo il corridoio che ad ogni passo si rimpiccioliva, quando poi si fermarono finalmente davanti a quella famosa porta scura abbastanza lontana dall'entrata fumante dietro ai tendoni.

«È importante questa stanza. Dopotutto è una fabbrica di cioccolato!»Sorrise il cioccolatiere, chinato come gli altri verso la porta.

«E perché la porta è così piccola?»Gli chiese Mike con scetticismo.

«Per tenere tutto il cioccolatoso sapore all'interno!»Rispose il Signor Wonka, ridendo, scontrando il proprio sguardo notte contro quello marino di Theresa.

Ignorando l'impulso di afferrarla, di bloccarla al muro e baciarla, si chinò verso la minuscola porticina -che fungeva da serratura- e inserì la chiave nella toppa facendola in seguito scattare, mostrando con un gesto della mano agli ospiti un paradiso appena scoperto ma anche già vissuto.

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