Otto in condotta

di ___Page
(/viewuser.php?uid=663813)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kaboom ***
Capitolo 2: *** Tre molto lunghe ore di punizione ***
Capitolo 3: *** Appunti e lezioni ***
Capitolo 4: *** Ispirazione ***
Capitolo 5: *** Punti di vista ***
Capitolo 6: *** Provaci ancora, prof. ***
Capitolo 7: *** Un pomeriggio davvero molto interessante ***



Capitolo 1
*** Kaboom ***


Image and video hosting by TinyPic







Raftel High School – Secondo piano – Corridoio Est
Ore 13.01
 
Trafalgar Law era un tipo poco socievole e questo lo sapevano tutti.
A differenza di quello che però si poteva pensare, e di fatto in molti pensavano, Law non era un emo senza ciuffo, non era un serial killer e nemmeno un misantropo.
Semplicemente era un ragazzo riservato, con pochi amici ma buoni e una mastodontica interrogazione alle porte. Doveva studiare.
Non aveva importanza quanto si fosse ammazzato già nei giorni precedenti. Fino a venerdì doveva studiare come se il mondo dovesse finire quel giorno e la sola cosa che potesse salvarlo fosse assimilare tutto lo scibile umano sulla chimica. Doveva studiare anche se in quel momento sarebbe dovuto essere in mensa a mangiare insieme a Pen, Shachi, Bepo e Jean Bart. Doveva studiare come se il destino dell’universo dipendesse dal voto che Vergo gli avrebbe dato.
E Law sapeva che Vergo lo avrebbe fatto penare per una sufficienza. Anche quando la sua preparazione risultava ben più che sufficiente Vergo trovava il modo di farlo apparire ignorante e abbassargli la media. Ma non questa volta. Questa volta Law era fermamente e radicalmente deciso a non dare a Vergo la soddisfazione di umiliarlo, tanto che stava studiando su un testo universitario, ogni istante libero della propria giornata. Compresa la pausa pranzo.
Il punto era trovare un luogo silenzioso per concentrarsi e abbastanza isolato perché quel ficcanaso di Hannyabal non lo scoprisse e lo obbligasse ad andare in mensa insieme a tutti gli altri.
Socchiuse la porta e sbirciò all’interno. Ironia del destino, sembrava veramente quello il luogo perfetto. La giusta penombra per nasconderlo a una sbirciata indiscreta, se si metteva abbastanza in fondo alla stanza, ma non troppa per impedirgli di studiare, nessun rumore molesto e la garanzia che Hannyabal non sarebbe mai entrato lì a pulire perché aveva il terrore di bruciarsi la faccia con qualcosa. 
Perfetto.
Sogghignò soddisfatto e sgusciò dentro al laboratorio, dirigendosi a passi lenti al più lontano dei lunghi tavoli, quello su cui era posato il distillatore. Con delicatezza estrasse il tomo e lo posò sul tavolo facendo tintinnare le ampolle appese in precario equilibrio sui loro appositi ganci, per poi avvicinare uno sgabello e immergersi nella lettura. Era molto più materiale e molto più complesso di ciò che sarebbe stato tenuto a sapere ma ne valeva la pena. Per fregare Vergo e come investimento futuro. Tanto al primo anno di medicina avrebbe dovuto studiare comunque tutta quella roba.
Roteò il collo per scioglierlo un po’ e stappò una lattina di RedBull che aveva introdotto a scuola di straforo, pronto ad affrontare il capitolo sugli attacchi nucleofilo/elettrofilo.
Questa volta l’avrebbe avuta vinta lui.
 

§


Raftel High School – Secondo piano – Corridoio Est
Ore 13.13
 
Si guardò intorno per assicurarsi che il corridoio fosse sgombro. Non che a quell’ora ci fosse il rischio di trovare qualcuno in giro, a meno che qualche professore non avesse dimenticato il registro in qualche classe o che altri studenti stessero vagando per la scuola durante la pausa pranzo, proprio come lui.
Di incontrare Hannyabal non c’era rischio, non da quelle parti, visto che il bidello aveva un sacro terrore del laboratorio di chimica e ci stava lontano almeno quanto gli studenti a Magellan quando il vicepreside aveva una delle sue crisi da colica intestinale.
Furtivo, scivolò dentro la stanza e si guardò intorno alla ricerca di suo fratello. Okay, lui e Ace non erano fratelli di sangue ma questo aveva poca importanza per Sabo. E qualunque cosa fosse successa, ovunque si trovassero, sapeva che l’uno sarebbe accorso sempre e comunque quando l’altro avesse chiamato. In fondo era proprio quello il motivo per cui Sabo si trovava lì in quel momento.
«Ehi! Psss! Sabo!»
Il biondo si voltò, richiamato dalla voce sussurrata di Ace, intento a maneggiare qualcosa vicino a uno dei grandi tavoli.
«Ohi! Che succede?» domandò con lo stesso tono di voce, mentre si avvicinava in fretta. «Quando ho visto il tuo messaggio pensavo fossi rimasto chiuso qui dentro.»
«Che?!» Ace sollevò per un attimo la testa per guardarlo. «Ma va! Nessuno si preoccupa mai di chiudere il laboratorio.» lo liquidò, tornando a trafficare sul tavolo. Gli lanciò un’occhiata di striscio, sorridendo cospiratore. «Devo farti vedere una cosa.» mormorò, esaltato.
«Sai, immaginavo che non mi avessi chiamato qui solo per fare due chiacchiere.» lo schernì Sabo.
«No, infatti credevi che fossi rimasto chiuso dentro. Comunque, stanotte non riuscivo a dormire, mi sono messo a cazzeggiare su internet e ho scoperto come fare una cosa fighissima.»
«Ovvero?»
Ace si girò verso di lui con un palmo rivolto verso il soffitto, vi accostò un accendino, lo accese e sulla sua mano le fiamme presero a divampare come se Ace fosse in gradi di maneggiare il fuoco senza scottarsi.
Sabo sgranò gli occhi incredulo. «Porco Roger! Che figata!» esclamò, curandosi sempre di mantenere il tono basso. Ace sorrise soddisfatto e soffiò per spegnere le fiamme. «Come hai fatto?!»
Ace gli fece segno di avvicinarsi. «Polvere di mica. È isolante.» spiegò, indicando una scodellina contenente una polvere tra l’ocra e il rosato, dall’aspetto brillante, posata accanto a delle lamelle di materiale solido dello stesso colore. «Ne metti uno strato sulla mano poi ci spremi sopra un po’ di gel igienizzante per le mani che è infiammabile, gli dai fuoco e il gioco è fatto!»
Sabo lo fissò per un attimo con tanto d’occhi. Per essere un cazzeggiatore della peggior specie, era incredibilmente bravo ad applicarsi in certe cose. «Dai dai, fa provare!» esclamò, avvicinandosi di più alla postazione. Fu solo in quel momento che si accorse che c’era qualcun altro nel laboratorio oltre a loro due. Seduto al tavolo sul fondo della stanza, una lattina di RedBull posata davanti a un libro troppo grande per essere uno qualunque dei loro manuali di testo, talmente immerso nella lettura da non dare alcun segno di essere consapevole della loro presenza. «E lui?» chiese cauto, indicandolo con un cenno del capo.
Ace seguì la traiettoria indicata e si strinse nelle spalle. «Era già qui quando sono arrivato. Sta studiando e non ho voluto disturbarlo. Tanto non lo dice a nessuno, lo sai che non parla.» 
Sabo spostò lo sguardo da Law a Ace un paio di volte prima di posarlo definitivamente su suo fratello. «Anche secondo te è muto?» 
«Beh io non solo non l’ho mai sentito parlare ma non l’ho mai nemmeno visto aprire fisicamente la bocca.» ribatté Ace, sbriciolando un altro po’ di mica per Sabo. «Perché? Tu cosa pensi?»
«Non lo so.» ammise Sabo, tornando a guardare Law con una punta di curiosità. «Non ho mai avuto corsi con lui però è uno degli studenti migliori dell’istituto. Se non parla come fa con le interrogazioni?»
«Secondo me usa il linguaggio dei segni.» annuì convinto Ace, prima di girarsi verso di lui con un sorriso complice. «Ecco qua! È pronto!»
Anche Sabo sorrise, gli occhi che brillavano di eccitazione. Permise a Ace di mettergli un misurino di polvere sul palmo e poi agitò appena la mano per sparpagliarla un po’, aggiunse una spruzzata di gel e prese l’accendino che suo fratello gli stava tendendo.  Cauto ma senza esitare lo accostò alla mano, fece scattare la rotella e voilà! Piccole fiamme divamparono sul suo palmo, scoppiettando allegre e lambendogli la pelle senza scottarla.
«Ace sei un genio!» affermò, lo sguardo rapito dal fuoco. Il meccanismo era geniale perché la mica si fondeva facilmente con il colore della pelle e il gel era trasparente e difficile da rilevare, soprattutto una volta incendiato. «Rufy impazzirà quando lo vedrà!»
«Impazzirà perché vorrà sapere come facciamo e provare a farlo anche lui.» precisò Ace, ridacchiando.
«Ripensandoci, non so se è una buona idea farglielo vedere.» considerò Sabo.
«Non avevo comunque intenzione di dirglielo. Non subito almeno.» 
«Lo sai che sarebbe capace di darsi fuoco alla mano pur di provarci, vero?»
«Basterà distrarlo con del cibo e se lo dimenticherà dopo cinque minuti. Comunque anche tu ti dai fuoco alla mano se lo tieni troppo, pugno di fuoco.» lo avvisò Ace e Sabo si riscosse dalle proprie riflessioni riguardo loro fratello minore. 
Agitò la mano nell’aria per spegnere le fiamme e rimase qualche minuto in contemplazione del proprio palmo, valutando un paio di idee che gli frullavano in testa. «Potremmo passarcelo di mano in mano.» disse, senza guardare la reazione di Ace che, però, aveva un’idea anche migliore.
«Potremmo anche lanciarcelo.» ghignò il moro, attirando l’attenzione di Sabo.
«Come?!» chiese, più perplesso che mai.
«Mettiamo tutti e due la mica sul palmo, pressandola così si fissa, il gel e poi io accendo il fuoco sulla mia mano e afferro un pallina di un materiale infiammabile che brucia relativamente in fretta. Ti lancio la pallina che durante il volo si consuma, tu la afferri e quella finisce di bruciare nella tua mano che si accende eeeee… ci siamo lanciati il fuoco!» concluse trionfante.
L’espressione di Sabo virò rapidamente dal perplesso all’esaltato e un sorriso per niente rassicurante si dipinse sui volti di entrambi.
«Allora? Che ne dici?» insistette Ace, con una faccia che era tutto in programma perché in cuor suo sapeva benissimo cosa Sabo avrebbe risposto.
E dovette attendere solo un paio di millisecondi per averne conferma.
«Dico che è l’idea più brillante che tu abbia mai avuto, fratello!»

 
***
 
 
Raftel High School – Tra il primo e il secondo piano – Scale
Ore 13.21
 
Salì gli ultimi gradini senza preoccuparsi di controllare che non ci fosse in giro nessuno. A quell’ora erano tutti in mensa, i prof. in aula professori e l’unica persona che rappresentava un concreto rischio era Hannyabal che stava ben lontano dal laboratorio di chimica.
Ora, perché stesse andando al laboratorio di chimica, Koala non lo sapeva. O meglio, sapeva che ci stava andando per parlare con Sabo ma cosa Sabo ci facesse nel laboratorio di chimica era un mistero.
D’altronde non era come se Sabo le avesse detto di raggiungerlo lì. Lui si era limitato rispondere al suo “Dove sei?” con “Sto andando al laboratorio di chimica”, probabilmente anche sovrappensiero, e Koala avrebbe anche potuto aspettare la fine della pausa pranzo per discutere con lui di quel piccolo ma potenzialmente rognoso problema, che rischiava di ritardare la pubblicazione del successivo numero del One Piece. Ma per quel pomeriggio aveva bisogno della lista completa degli articoli e quella non era questione che potessero risolvere in cinque minuti prima delle attività extracurriculari, che quel giorno li vedeva separati. Ergo, era meglio parlarne subito.
Tornando al laboratorio di chimica, Koala cominciava a essere anche curiosa. Era nella sua natura esserlo, amava indagare ciò che non comprendeva e approfondire ciò che già rientrava nella sua sfera di conoscenza.
Grazie a questa sua attitudine era diventata caporedattrice del giornalino scolastico e Sabo, essendo il più anziano della redazione oltre a lei, le faceva da vice e braccio destro. Il che significava che praticamente faceva tutto da sola ma la cosa non le pesava. Era una persona organizzata, aveva metodo e comunque Sabo era più che disponibile quando c’erano da discutere questioni importanti, come l’argomento dell’editoriale, l’organizzazione di un numero speciale, l’etica di un articolo troppo di parte. E sì, era vero, consegnava i suoi articoli sempre all’ultimo minuto e sul filo del rasoio ma i suoi pezzi non avevano mai bisogno di grosse correzioni.
Perciò, insomma, andava bene così.
Ora quello che voleva scoprire era cosa stesse facendo Sabo nel laboratorio di chimica durante la pausa pranzo. Che stesse studiando era impossibile, neppure nei suoi sogni più reconditi e fantasiosi Sabo avrebbe aperto un libro a stomaco vuoto. La possibilità che stesse scappando da Hannyabal era già più concreta ma difficilmente in quel caso le avrebbe risposto al messaggio.  Si augurò che non stesse preparando quell’intruglio puzzolente con cui, un mese prima, aveva appestato tutto il secondo piano pur di far saltare la lezione di calcolo, quel giorno che proprio non aveva voglia.
Nessuno lo aveva scoperto, tutti avevano dato la colpa a Magellan e che lui fosse il vero colpevole lo sapevano solo lei, Ace, Marco e Caesar, l’assistete di laboratorio del professor Vergo, che lo aveva trovato estremamente divertente. Se lo augurava più che altro perché ormai era a pochi passi dalla porta del laboratorio e avrebbe preferito evitare che i suoi vestiti continuassero a puzzare di uovo marcio fino al quarto lavaggio in lavatrice.
Annusò l’aria e, constatato che di odori strani non ce n’erano, afferrò la maniglia e tirò verso di sé. Non capì esattamente cosa fosse successo. Riconobbe Ace e Sabo, vide qualcosa volare nell’aria e poi un rinculo micidiale la rispedì all’indietro nel corridoio mentre un boato riecheggiava per tutto il piano.
Scarmigliata come se una tromba d’aria l’avesse appena investita, Koala si rimise in piedi e si precipitò di nuovo verso la porta del laboratorio di chimica, prima ancora di aver pienamente realizzato cos’era appena accaduto. Spalancò la porta e, appurato che nulla era in fiamme, entrò decisa calpestando schegge di vetro e di legno che ricoprivano il pavimento su cui era riverso ciò che restava di tavoli, ampolle, fogli di carta, nonché liquidi e polveri di ogni sorta.
Era esploso. Il laboratorio di chimica era esploso. Il laboratorio di chimica era esploso con dentro Sabo e Ace!
Merda!
«Sabo?! Ace?!» chiamò, agitata, ma non dovette nemmeno aspettare di ricevere una risposta. Quando il fumo si diradò Koala riuscì finalmente a vedere che solo metà della stanza era saltata in aria e che, per fortuna, Sabo e Ace si trovavano nell’altra metà, scarmigliati quanto lei ma illesi.
Non fece nemmeno in tempo a provare sollievo sopraffatta dall’assurdità della scena che stava osservando. Metà del laboratorio era ridotto in poltiglia, l’altra metà presentava gli stessi segni del passaggio di un esercito unno, anche se gli oggetti che erano stati investiti dall’onda d’urto avevano ancora una forma definita e vagamente riconoscibile, Sabo e Ace guardavano verso dove l’esplosione aveva avuto origine, non sconvolti e nemmeno spaventati ma semplicemente sorpresi, e, seduto su uno sgabello all’unico tavolo che non si era ribaltato, con una lattina di RedBull in mano, i capelli in aria e l’espressione impassibile, Trafalgar Law guardava verso Sabo e Ace.
Come tutti quei pezzi si incastrassero tra loro era troppo persino per la sua fervida immaginazione, soprattutto quando arrivava a Law che sorseggiava la RedBull, ma una cosa Koala la sapeva con certezza. Era più che legittimo dubitare che l’esplosione fosse stata accidentale.
Ma siccome si era spaventata e due dei suoi più cari amici avevano appena rischiato la vita, tutto ciò che Koala si limitò a dire fu: «Ma che diavolo è successo?!»
E fu tutto ciò che Koala si limitò a dire perché prima che uno chiunque dei presenti potesse rispondere la porta, che per un qualche strano fenomeno fisico difficilmente spiegabile era rimasta intatta e incardinata, si aprì di nuovo.
Nessuno di loro se ne accorse. Nessuno di loro lo vide entrare.
Seppero di essere nella merda solo quando riconobbero la sua voce.
«Portuguese, Monkey, Trafalgar e Surebo.» mormorò Vergo, calmo e atono. «Punizione.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Tre molto lunghe ore di punizione ***


Image and video hosting by TinyPic






Raftel High School – Primo piano –Tra il corridoio Est e il corridoio Sud
Ore 13.49
 
Law sapeva di potercela avere solo con se stesso per la situazione in cui si trovava.
Certo non era stato lui a giocare al piccolo piromane in un luogo pieno di materiale infiammabile ma aveva capito sin dal primo momento, solo vedendo l’espressione che Portuguese aveva dipinta sul volto quand’era entrato nel laboratorio, che non sarebbe potuta finire che male.
Quando poi si era aggiunto anche Monkey all’equazione aveva capito, perché la matematica non è un’opinione, che il risultato sarebbe stato una mastodontica cazzata. E la serie di eventi gli aveva anche regalato un ultimo spiraglio per fuggire, quando i due imbecilli avevano iniziato a lanciarsi una pallina di fuoco, ma lui, cocciuto, lo aveva ignorato.  
Ma come avrebbe potuto prevedere o immaginare mai nella vita che di tutti i professori, inservienti e tecnici di laboratorio, che si aggiravano per la scuola, proprio Vergo li avrebbe beccati e messi in punizione proprio quel pomeriggio che, guarda caso, la guardia in aula punizione la faceva lui? Perché ovviamente, se l’unica nota positiva della punizione era che avrebbe avuto molto tempo e molto silenzio per proseguire con lo studio, la presenza di Vergo rovesciava completamente la medaglia. Semplicemente non poteva farsi vedere dal professore di chimica mentre preparava l’interrogazione di chimica su un testo che non era quello ufficiale, che suddetto professore di chimica aveva oculatamente scelto per i propri alunni. Lo avrebbe usato contro di lui e lo sapeva.  
Law non era tipo da credere al fato ma in quel momento non poté non pensare che la sfiga ci vedeva davvero bene e forse si era pure un po’ affezionata a lui.
Rassegnato, svoltò l’angolo ma si arrestò in cima al corridoio quando vide che i suoi tre compagni di prigionia erano già in attesa davanti all’aula punizione.
Non li conosceva di persona ma Ace e Sabo potevano vantare una fama che li precedeva, costruita faticosamente bravata dopo bravata, punizione dopo punizione, sospensione dopo sospensione. Fama che, tra l’altro, loro fratello minore sembrava già intenzionato a eguagliare e possibilmente superare, con l’aiuto del suo gruppo di amici, nonostante avessero appena iniziato il primo anno. Ora, non si fosse trovato lì per il motivo per cui si trovava lì, Law non avrebbe permesso al pregiudizio di condizionarlo. Ma dal momento che si trovava lì precisamente per il motivo per cui si trovava lì, era piuttosto incline a credere alla conclusione prevenuta a cui era giunto a causa delle voci su di loro, cioè che Ace e Sabo fossero due imbecilli senza speranza. Due imbecilli senza speranza con cui si apprestava a trascorrere le successive tre ore.
Trattenne un sospiro e riprese ad avanzare, l’espressione impassibile.
Koala era tutt’altra faccenda. Anche lei la conosceva solo di vista e di fama, perché caporedattrice del One Piece, ma un’idea sulla sua persona non aveva mai avuto modo di farsela. Se avesse dovuto giudicare da ciò che vedeva in quel momento sembrava una che sapeva il fatto suo, perché dal basso del suo metro e sessanta riusciva a risultare incredibilmente imponente mentre ascoltava Sabo e Ace spiegarle qualcosa, le mani sui fianchi e la disapprovazione, mista a incredulità, negli occhi.
«Quindi vediamo se ho capito bene…» la sentì commentare, ormai a portata d’orecchio. «Voi due vi siete lanciati una pallina in fiamme nel laboratorio di chimica che, notoriamente, contiene ogni genere di sostanza infiammabile e/o potenzialmente esplosiva che rientri nei limiti della legalità.» ricapitolò Koala, la voce carica di ironia. «Magari domani potete provare a correre bendati nel campo di atletica durante l’allenamento di lancio del giavellotto.»
Law dovette farsi violenza per non ghignare.
«Tu non capisci il punto Koala!» ribatté Sabo, ancora pompato dal delirio di onnipotenza. «Noi quelle fiamme le abbiamo tenute in mano, senza scottarci! Abbiamo letteralmente giocato con il fuoco!»
Koala sgranò appena gli occhi e il suo sguardo divenne lievemente vitreo. Unito al sorriso che le stirava le labbra, l’insieme le dava un’aria vagamente psicotica e non che Law non potesse comprendere la sua apparente ma del tutto plausibile voglia di omicidio. Prese un profondo respiro, chiaramente per calmarsi, prima di ricominciare. «Sabo…»
«Ehi Koala!»
Con una calma che non poteva essere un semplice dono innato ma che Law immaginava avesse affinato alle riunioni di redazione, di cui facevano parte alcuni tra i soggetti più ingestibili del liceo, Koala si girò verso Ace.
«Dimmi.»
«Ti hanno mai detto che sei davvero un capo molto koalificato?!» le domandò, sorridendo con aspettativa.
Lo stomaco di Law si ribellò con violenza. Non aveva mai desiderato così tanto che qualcuno gli tirasse una botta in testa e ponesse fine alle sue sofferenze ma al tempo stesso era curioso di vedere come Koala l’avrebbe presa. E fu con infinita delusione che si accorse che l’espressione della ragazza si era improvvisamente addolcita fino a diventare quasi sognante.
«Oh Ace! Grazie!» mormorò coinvolta.
Law non riusciva a concepire come le fosse potuta piacere quella freddura. A meno che non soffrisse anche lei di quello strano male per cui il novanta per cento delle ragazze della Raftel si scioglievano in mollicciosi ammassi rosa al profumo di fragola di fronte al sorriso di Portuguese D. Ace. Che in parole povere si poteva tradurre con “altro che tosta, questa è fessa”.
«Ora mi sanguinano le orecchie ma grazie! Grazie per avermi ricordato perché mi rifiuto di farti presenziare alle riunioni di redazione!»
“O forse no…”
«In quanto a te.» tornò seria, abbandonando il tono svenevole e puntando minacciosa il dito contro Sabo. «Ti rendi conto di cosa significano queste tre ore di punizione, vero?»
Sabo si strinse nelle spalle. «Che Vergo non capisce la nostra epicità?!»
Koala si irrigidì, ormai a un passo dal perdere il controllo. «Significa che non potrò mandare la lista degli articoli a Cora-san entro le quattro di oggi e quindi, grazie a te, tutto il mio ammazzarmi di settimana scorsa per uscire in tempo sarà stato vano perché tanto comunque dovremo ritardare la pubblicazione del prossimo numero! Che dal momento che Febbraio ha solo ventotto giorni, significa che saltiamo il mese!»
 Sabo sussultò e sgranò gli occhi, tornando finalmente sul pianeta terra e ricordando che c’erano tante altre cose oltre al laboratorio di chimica, la polvere di mica e il fuoco. Portò una mano alla nuca e sorrise con malcelato imbarazzo. «Ah. Ehmmm… eheh… Beh mi spiace ma immagino che non sia così grave no?» commentò, ritrovando la propria baldanza. «Possiamo sempre uscire con due numeri a Marzo!» propose, con l’aria di uno che aveva appena pensato una genialata.
Koala fu scossa da un fremito. «Non è così grave, eh?» domandò con calma, riflettendo sulle parole dell’amico. Poi, senza alcun preavviso, la ragazza si lanciò contro il compagno e lo afferrò per i baveri della camicia, scaraventandolo schiena al muro, preda di una spaventosa metamorfosi. «Lo è, dannato imbecille! Eccome se lo è! Non possiamo uscire con due numeri a Marzo capito?!?» lo aggredì, scuotendolo con forza inaudita. «E sai perché?! Perché se usciamo a Marzo due volte il giornalino diventa bimensile ma siccome è registrato come mensile non potremmo venderlo senza un permesso speciale! E tu pensi che di questi permessi si occupi Cora-san?! Mh?!?!»
«S-scommetto di no…» ribatté Sabo con voce strozzata, dal momento che Koala aveva preso a premere le mani, ancora strette intorno ai baveri della sua camicia, contro la sua trachea.
«No esatto! Se ne occupa Magellan di questi permessi speciali e indovina un po’ chi, nel caso, dovrebbe andare a parlare con Magellan?!? Prova a indovinare!!!»
«Cora-s… Cora-san?»
«Io, Sabo!!!»
«K-Koala mi s… stai soff… focando…»
«Ma va?! È proprio quello l’obbiettivo! Te lo faccio vedere io cos’è giocare con il fuoco!»
«Surebo, lascia andare Monkey o ti spedisco dal preside.» mormorò una voce atona, annunciando l’arrivo di Vergo, che si apprestò ad aprire la porta con tutta calma, come se nessuna delle sue studentesse stesse tentando di perpetrare un omicidio ai danni di uno dei suoi studenti ad appena due passi da lui, il che la diceva lunga sull’equilibrio mentale del professore, o forse solo sulla sua etica.
«Quanto tempo mi lascia per valutare l’offerta, professore?» chiese Koala a denti stretti, senza accennare a lasciare andare Sabo.
«Tre secondi.»
1…
2…
3…
Per un attimo Law credette che Koala avrebbe scelto Sengoku. Ma Koala non poteva permettersi di finire dal preside con un richiamo formale, fattole mentre aspettava di iniziare una punizione. Sengoku forse non l’avrebbe sospesa, perché Koala, nonostante il suo otto in condotta, rimaneva una delle migliori studentesse della Raftel, ma sollevarla dalla direzione del giornalino per almeno due settimane, per non azzardare un mese intero, sarebbe stato il minimo. E Koala non poteva lasciare il One Piece nelle mani di Sabo neppure per un giorno, figuriamoci un mese.
Così, con uno sbuffo e una certa riluttanza, Koala mollò la presa e si allontanò da Sabo che si affrettò a immettere quanta più aria nei polmoni poteva per recuperare. 
«Che hai da sogghignare, Trafalgar?»
Law, che nemmeno si era accorto di stare ghignando, si voltò vero Vergo, il volto tornato una maschera di serietà, con uno sguardo carico di disprezzo che rifletteva quello dell’insegnante per lui.
Senza una parola, entrò in aula punizione e si diresse a una coppia di banchi in fondo alla sala, trucidando Vergo con gli occhi mentre si sedeva ed estraeva il libro di storia. Oltre al fatto che sul loro manuale di chimica non c’era niente da studiare che non sapesse già a menadito, mai e poi mai avrebbe dato a Vergo la soddisfazione di farsi vedere preoccupato per l’imminente interrogazione. Aveva già aperto al capitolo sulla Guerra dei Vertici che la sedia del banco gemello del suo fu scostata con una certa violenza quando Koala si sedette accanto a lui.
Law si girò a guardarla, nascondendo il proprio stupore, e gli bastò un’occhiata per capire che l’obbiettivo di Koala era essere lasciata in pace. Con lui a destra, l’armadio a sinistra e il muro dietro se anche qualcuno si fosse seduto di fronte a lei non avrebbe potuto importunarla in alcun modo perché, essendo quella l’aula punizione, chi voltava le spalle alla cattedra non passava inosservato come accadeva durante una lezione normale. Eppure Sabo sembrava dell’idea di volerci provare comunque, o almeno così sospettò Law quando il biondo si sedette proprio nel banco di fronte a quello di Koala. Fece una panoramica della stanza, vide che Ace aveva optato per un banco a metà aula vicino alla finestra e tornò alla propria lettura.
Resistette solo pochi secondi prima di cominciare a sentirsi a disagio. Percepiva lo sguardo di Vergo puntato addosso e si irrigidì per un attimo prima di imporsi la calma e smuovere le spalle per scaricare la tensione. Non avrebbe perso le staffe comprandosi un biglietto di sola andata per la sospensione, non gliel’avrebbe data vinta. 
 Sollevò la testa di scatto quando Vergo tamburellò rumorosamente con le dita sulla cattedra, pronto a rimangiarsi la parola. Ma Vergo, una volta tanto, non ce l’aveva con lui e Law si bloccò nel bel mezzo di qualunque poco rispettosa reazione il suo cervello gli avesse appena suggerito. Il professore stava guardando l’orologio, in attesa, e, dopo circa mezzo minuto o poco più, spostò lo sguardo sull’uscio, attese ancora una manciata di secondi e fece per alzarsi in piedi. Proprio nel momento in cui la porta dell’aula punizione si apriva, lasciando entrare, ore quattordici in punto, l’ultima studentessa attesa per quel pomeriggio.
Stivaletti stringati, parigine a righe bianche e nere, maxi maglia scura con maniche a tre quarti che cadeva giù da una spalla, capelli rosa, rossetto ciliegia, espressione perennemente scocciata.
Dalla posizione svaccata in cui era, Ace si raddrizzò di scatto sulla sedia. Perona li osservò uno ad uno, con disgustata incredulità, prima di sospirare rassegnata. «Magnifico.»
 

 
§

 
Raftel High school – Primo piano – Aula punizione
Ore 14.28
 
A Vergo il turno di guardia in aula punizione non faceva né caldo né freddo, come quasi tutto nella vita. Era diventato insegnante seguendo il flusso degli eventi che lo avevano portato a diventarlo, non per vocazione. Di conseguenza tutte le supposte gioie della docenza, come trasmettere alle nuove generazioni i valori importanti, prepararle alla vita, aiutare ciascuno a trovare la propria strada, lui non le provava. Fortunatamente, allo stesso modo, tutti gli inconvenienti che la professione implicava, fra cui appunto il turno in aula punizione, non gli arrecavano alcun fastidio.
La sola cosa che forse riusciva a smuoverlo, e non in positivo, era la mancanza di rispetto e in particolare il vizio di alcuni allievi di non rivolgersi a lui con l’appellativo “professore” completo. E se già faticava a giustificare quelli del primo che non lo sapevano o quelli affetti da ADHD che lo dimenticavano, quando il discorso verteva su studenti che di proposito non gli tributavano il rispetto a lui dovuto, per provocarlo, Vergo non faceva segreto che avrebbe volentieri reintrodotto le punizioni corporali. Ma purtroppo per lui era nato in un’epoca troppo civilizzata, che mal tollerava le punizioni corporali, e così Vergo si vendicava a modo suo.
Al contrario di quel che si sarebbe potuto pensare conoscendo questo suo lato più sadico, quando sorvegliava gli studenti in punizione Vergo non era affatto rompiscatole. Non per un ritorno di coscienza né per pigrizia ma per semplice consapevolezza che per chi finiva in quell’aula era già una punizione più che sufficiente essere lì. La fauna di quel pomeriggio ne era uno splendido esempio.
Portuguese era notoriamente iperattivo, dover stare seduto per tre ore avrebbe rasentato la tortura per lui, perciò tutto ciò che Vergo doveva fare era assicurarsi che non si addormentasse. Surebo odiava non poter disporre del proprio tempo come meglio credeva senza contare che, da quanto aveva capito, quella punizione sarebbe costata la mancata uscita del suo tanto adorato rotocalco scolastico. Mihawk provava un malessere quasi fisico a respirare la stessa aria del resto del mondo e, dopo l’intera mattinata a scuola, non poter finalmente rifugiarsi nella solitudine di camera sua per altre tre ore avrebbe messo a dura prova la sua sanità mentale. Monkey era l’unica incognita ma, francamente, non gli interessava; avere il fratello minore che si ritrovava era già una punizione a vita di per sé. Il pezzo forte, però, era Trafalgar. Potergli affibbiare personalmente una punizione, nel giorno in cui era il suo turno di sorveglianza, tre giorni prima della sua interrogazione di chimica era quanto di più piacevole e soddisfacente Vergo non provasse da anni.
Ora, qualcuno avrebbe potuto dire che Vergo odiava Law e quel qualcuno non avrebbe sbagliato. Vergo odiava quel ragazzino arrogante, indisponente, irrispettoso e pieno di sé con ogni cellula, atomo e quark del proprio corpo. Odiava chi ne tesseva le lodi e l’intelligenza ed era intimamente convinto che la professoressa Scarlet non fosse in grado di intendere e di volere da quello scrutinio in cui si era impuntata per salvarlo dal sette in condotta.
Vergo odiava Law ed era risaputo che si trattava di un odio reciproco ma c’era poco da fare, perché era lui il professore, lui che teneva in mano la penna, lui che compilava il registro e nulla raddrizzava la sua giornata come abbassare la sua media assurdamente alta, soprattutto se si considerava quante poche ore studiava al giorno e quanta poca attenzione prestava in classe, o scombinargli i piani.
E, dal momento che i piani glieli aveva scombinati eccome, per quel giorno aveva fatto la propria parte e quindi poteva anche rilassarsi. O meglio, avrebbe potuto se Portuguese non fosse stato così molesto.
«Portuguese, vuoi finirla di muoverti, agitarti, cercare di non farti vedere mentre provi ad attirare l’attenzione di tuo fratello e, possibilmente, respirare ed esistere?»
Ace si girò verso la cattedra con il sorriso spalmato su tutta la faccia. «È che prof…» cominciò. Vergo si irrigidì. «…essore devo studiare storia dell’arte e sono una capra in quella materia.»
«Solo in quella?» domandò Vergo, tono ed espressioni neutre, ignorando volutamente lo sbuffo di risa sfuggito a Monkey.
Ace posò un gomito sullo schienale della sua sedia e piegò il capo di lato. «Più che in altre. Avrei proprio bisogno di una mano.»
«Studia altro.» lo liquidò Vergo prima di tornare a leggere il thriller poliziesco che si era portato da casa.
«Non ho portato altri libri.» si strinse nelle spalle Ace.
Vergo tornò a scrutarlo da dietro le lenti fumé dei suoi occhiali da vista, valutando. Portuguese poteva essere una bella spina nel fianco quando si impegnava e lui non voleva farsi rovinare quelle tre ore di rilassante lettura da un ragazzino che non sapeva mai quando era bene fermarsi. Era certo che Portuguese avesse con sé altri libri e stesse facendo la scena ma valeva davvero la pena spendere energie a discuterne?
No, decisamente no.
Comunque se pensava che ci sarebbe cascato e gli avrebbe permesso di trascorrere quelle tre ore a “studiare” insieme a suo fratello, aveva capito male.
«Surebo…»
«Non ci penso proprio.» ribatté Koala, senza nemmeno lasciar finire l’insegnante e senza tantomeno sollevare la testa da quale che fosse il testo che stava studiando. «Sono qui per causa sua, non lo aiuto nemmeno se mi paga.» affermò caparbia, voltando una pagina.
Vergo prese un profondo respiro, che si poteva interpretare come un tentativo di imporsi la calma, esasperazione, rassegnazione e che in realtà era semplicemente un profondo respiro, posò gli occhi su Monkey che fingeva disinteresse verso quanto stava accadendo e tornò a immergersi nella propria lettura.
«Mihawk, aiuta Portuguese.»
Vergo non sollevò il capo quando Perona emise un suono strozzato, tra lo scioccato e l’arrabbiato, e se lo avesse sollevato avrebbe beccato in pieno Ace che esultava.
Ma Vergo non sollevò il capo e continuò a non sollevarlo nemmeno quando Perona protestò. «Perché io?!»
«Mi dicono che sei molto brava in storia dell’arte e sei l’unica che posso affiancare a Portuguese, dal momento che Surebo si rifiuta. Ora datti una mossa se non vuoi un altro richiamo formale con conseguente sospensione.»
Perona sgranò gli occhi profondamente indignata, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, indecisa se valesse la pena o meno incassare una sospensione e rischiare il sette in condotta per rispondere a tono a quel despota di Vergo, serrò le labbra, gonfiò le guance, mugugnò stizzita e sbuffò, prima di decidersi ad alzarsi e sedersi nel banco attaccato a quello di quell’imbecille dal cranio vuoto e sorriso mozzafiato, noto ai più come Portuguese D. Ace.
Sorriso mozzafiato che, per altro, le stava rivolgendo.
Perona lo fissò basita qualche secondo, il viso contorto in una smorfia un po’ schifata.
«Ehi, ciao.» la salutò lui, ammiccante e suadente.
Perona mandò gli occhi al cielo.
Sarebbero state due ore e mezza molto lunghe.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Appunti e lezioni ***


Image and video hosting by TinyPic







Angolo dei chiarimenti: 
Buooooooongiorno a tutti, gente! 
Mi prendo solo un momento veloce per precisare che i disturbi dell'apprendimento citati nel capitolo non vogliono ferire la sensibilità di nessuno nè sono da intendersi come un elemento sminuente. I personaggi a cui li ho attribuiti sono genuinamente imbecilli di loro e i DSA in questione sono stati introdotti solo per giustificare alcuni dettagli che sarebbero altrimenti risultati incongruenti. 
Grazie mille a tutti coloro che mi seguono e buona lettura!
Page.  














Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 14.52
 
Koala ci aveva provato. Sapeva che sarebbe stato inutile ma ci aveva provato lo stesso. Quando aveva visto Law sedersi nel banco di destra della coppia di banchi all’estrema sinistra, aveva pensato a un segno divino.
Ma anche mentre prendeva posto accanto al ragazzo più taciturno e intimorente di tutto il liceo, senza che questo la turbasse in nessuna misura, aveva saputo che Law, l’armadio e il muro, così come anche un bunker dentro una catacomba dentro un labirinto nel cuore della foresta di Shandora, non sarebbero mai bastati per far desistere Sabo dalla modalità stalker.
Voleva solo sapere che era tutto a posto. Con quel preciso intento si era seduto di fronte a lei e, se doveva esser sincera, era molto sorpresa che avesse resistito quasi un’ora prima di cominciare a voltarsi a intermittenza per provare a intenerirla con il suo sguardo da cucciolo ferito. Inutilmente.
Sì, voleva solo sapere che era tutto a posto e a Koala sarebbe bastato dirglielo e se lo sarebbe levato di torno. Ma Koala era troppo arrabbiata per dargliela vinta, senza contare che sapeva fin troppo bene che a preoccupare tanto Sabo non era la loro amicizia. Non che Sabo non ci tenesse, ovviamente. Semplicemente non era nella sua indole preoccuparsi là dove non aveva senso e Sabo sapeva, tutti sapevano, che Koala gliele perdonava sempre tutte, prima o dopo.
A questo giro, però, era essenziale che il perdono arrivasse prima piuttosto che dopo perché c’erano dei bisogni impellenti che Sabo non poteva ignorare né rimandare.
«Koala. Psss. Ehi, Koala.» la chiamò in un sussurro. «Eddai! Guardami, per favore!»
«Sta’ zitto.» lo ammonì lei, continuando a leggere imperterrita.
«Se avessi immaginato che stavi arrivando, non avrei mai fatto niente del genere!»
Koala si limitò a lanciargli una rapida occhiata che si poteva tradurre con “Ma fammi il piacere” e poi tornò a dedicarsi al libro.
«O… Okay va bene, forse l’avrei fatto comunque! Ma non era mia intenzione metterti nei casini! Devi credermi!»
Ancora niente.
Questa volta l’aveva fatta davvero grossa. Con un moto di autentico panico, Sabo sbirciò verso la cattedra e, appurato che Vergo era immerso nella lettura, decise di sfidare la sorte e si girò completamente verso la compagna.
«Koala, per favore, dimmi solo che me la darai ancora! Ti prego!» la implorò sottovoce.
Il tempo si fermò per un attimo. Koala si congelò sulla sedia e vide con la coda dell’occhio Law che perdeva focus sulle pagine del libro di storia e poi sollevava piano la testa per girarla verso di loro.
Non. Era. Possibile.
Quando andava in panico, Sabo non era bravo con le parole. Sbagliava a scriverle, pronunciarle e, come aveva appena dimostrato, sceglierle. Ma una cosa tanto ambigua e imbarazzante, in presenza di un quasi sconosciuto e che la coinvolgeva in primissima persona era troppo anche per Koala.
Si voltò brevemente verso Law, che, per la prima volta da che lo aveva incrociato in corridoio durante la seconda settimana del primo anno di liceo, esibiva un’espressione decifrabile. Divertimento. Velato e ammirato divertimento.
Koala sapeva perché. Sapeva cosa stava pensando. Sapeva cosa sembrava. E sapeva per colpa di chi.
Tornò a guardare Sabo, che non si era minimamente accorto della gaffe, troppo impegnato a imitare Demon, il gatto di casa Monkey, quando voleva disperatamente qualcosa. Piegò il busto verso di lui, appiattendosi sul banco. «No, non ho nessuna intenzione di darti la tesina di storia!» rispose avvelenata. Calcò il tono su “tesina di storia” e, tanto per stare tranquilla, lanciò un’altra occhiata in tralice a Law per verificare che avesse sentito bene. «E nemmeno gli appunti di letteratura né la ricerca di scienze! Non prima che questo numero del One Piece abbia visto la luce!» aggiunse.
Non c’era niente da fare. Sabo riusciva sempre a spuntarla con lei, soprattutto in questioni scolastiche, facendo leva sul naturale altruismo dell’amica e sulla propria dislessia. In realtà, e non era un segreto né per Koala né per nessun altro, se aveva una sufficienza tirata in tutto, compresa la condotta, non era perché dislessico e disgrafico ma perché patologicamente pigro.
Ma a lasciarlo senza nemmeno un appiglio Koala si sentiva come se lo stesse abbandonando. E un appiglio era, a quanto pareva, tutto ciò di cui Sabo aveva bisogno. Rilassò i muscoli del viso e sorrise a trentadue denti, sollevato. Se ottenere gli appunti di Koala dipendeva dalla data di uscita del One Piece, allora avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per accelerare l’uscita del One Piece.
Si sarebbe messo a disposizione di Cora-san, sarebbe andato a parlare con Magellan, avrebbe reclutato Rufy e i suoi amici per velocizzare l’assemblaggio dei numeri. Gli serviva tutto più o meno per il venti di Marzo. Ce l’avrebbe fatta senza problemi e, consapevole di questo, fece per girarsi di nuovo verso la cattedra, gongolante di soddisfazione.
«C’è qualche problema Monkey?»
Vergo era tornato dal suo viaggio a Thriller Bark.
Con una rapidità degna di un trasformista o di un attore premio oscar, Sabo mise su un’espressione dispiaciuta e condita con una minuscola punta di sofferenza nel lasso di tempo necessario per finire di girarsi. «Ho urgente bisogno del bagno, professore.» ammise e tutti lasciarono perdere le proprie letture per voltarsi a guardarlo.
Era perfettamente credibile. O meglio lo sarebbe stato per chiunque tranne che per i presenti in quell’aula, Vergo compreso.
«Non puoi uscire.» tagliò corto il professore.
«So che sarebbe contro il regolamento dell’aula punizione ma non glielo chiederei se non fosse urgente.»
Vergo staccò a fatica gli occhi dal libro e poggiò un braccio sulla cattedra. «Non riesci a tenerla, Monkey? Quanti anni hai?»
Sabo sospirò con finto dispiacere. «Lo spavento per l’esplosione mi ha fatto avere un calo di zuccheri e per recuperare ho bevuto due coca cola. L’ho fatta anche prima di entrare ma devo andare un’altra volta. Lo sa che trattenere l’urina è poco salutare?»
Koala non riuscì più a trattenere uno sbuffo incredulo, metà scocciato metà divertito, anche se non lo avrebbe ammesso mai.
Vergo grugnì, gli occhi incollati all’alunno, nella speranza, purtroppo vana, di incenerirlo.
«Se avessi con me una bottiglietta vuota mi arrangerei. Escludo di farla fuori dalla finestra perché ci sono gli allenamenti al campo e credo sarebbero atti osceni in luogo pubblico e dal momento che io sono minorenne e lei l’adulto responsabile presente non finirebbe molto ben…»
«Vai al bagno Monkey. E datti una mossa a tornare.» lo interruppe Vergo, monocorde, prima di tornare a leggere il proprio romanzo.
E questo era il motivo per cui, nonostante la dislessia, la disgrafia e la totale incapacità di gestire il proprio vocabolario quando si impanicava, nessuno dubitava che Sabo sarebbe riuscito a diventare avvocato.
Sabo sorrise, con quel sorriso che quando lui e Rufy ce l’avevano dipinto in faccia non si poteva non capire che erano fratelli, di sangue loro due. Quel sorriso ereditato da papà Dragon, che però papà Dragon mostrava così raramente, rendendolo ancora più prezioso.
Molleggiando per la soddisfazione, la seconda in un lasso di tempo così breve, Sabo si alzò e si diresse verso la porta, scambiando un’occhiata complice con Ace che gli mostrò il pollice alzato da dietro la schiena di Perona.
«Monkey.» lo richiamò Vergo quando raggiunse la porta.
«Mh?» rispose Sabo sovrappensiero, notando subito come l’insegnante si era irrigidito. «Volevo dire… Mi dica professore.»
«Hai cinque minuti.»
Sabo aggrottò le sopracciglia. Solo per raggiungere il bagno ci volevano due minuti da lì. «Ma…»
«Falla in fretta.»
Sabo non si mosse né parlò per un paio di secondi, poi annuì e uscì dall’aula.
Prese un profondo respiro a occhi chiusi dopo essersi richiuso la porta alle spalle.
Che passassero cinque minuti o due ore, Vergo non si sarebbe mai preoccupato di andare a cercarlo.
Riaprì gli occhi e sorrise cospiratore.
Era libero.

 
***

 
Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 15.05
 
«E quindi come mai sei qui?»
Perona schioccò la lingua esasperata. «Ti vuoi concentrare? Che problema hai?» sbottò sottovoce.
«Sindrome da deficit dell’attenzione.» rispose Ace, continuando a sorridere imperterrito.
Perona ammutolì, presa in contropiede. Non era difficile crederci, probabilmente era vero ma a Perona bastarono cinque secondi per recuperare e trovare una risposta abbastanza acida da nascondere il breve attimo di senso colpa e salvarsi la reputazione. «Eppure mi sembra che sull’importunare me tu sia ben concentrato da quando sono entrata.»
Ace le sorrise di nuovo e Perona quasi ringhiò. Che aveva da essere tanto felice? Se era una tecnica di seduzione, stava solo perdendo il suo tempo. Lei non era come la maggior parte delle ragazze della Raftel.
«Oh credimi, lo so.» soffiò il moro e Perona rimase interdetta per la seconda volta nell’arco di un minuto.
Aveva parlato ad alta voce?
«La maggior parte delle ragazze della Raftel non finiscono in punizione. Per quello sono così curioso di sapere che hai combinato.»
Perona lo fissò atona prima di decidere di ignorarlo e controllare quali opere avrebbero dovuto analizzare nella pagina seguente. Sapeva che Ace era un tipo testardo ma di certo non poteva esserlo più di lei. Le bastava continuare a trattarlo con distacco per farlo desistere. Aveva funzionato con tanti di quei ragazzi, avrebbe funzionato anche con lui.
«Facciamo così, se tu mi dici perché sei finita in punizione io ti dico perché ci sono finito io.»
O forse no…
«Lo so benissimo perché sei in punizione, Ace! Lo sa tutta la scuola!» ribatté Perona, sollevando la testa di scatto.
Ace ammiccò. «Girano in fretta le voci.»
«Avete fatto saltare in aria un laboratorio!»
«Mi piace quando mi chiami per nome.»
E tre.
Perona sbatté rapidamente le palpebre per cinque interminabili secondi e poi prese un profondo respiro.
«Okay, ecco com’è la questione. Ci sono due opzioni. O ci dai un taglio con il terzo grado, ti concentri e io ti aiuto a studiare oppure me ne torno al mio banco là dietro e se Vergo mi dice qualcosa mi faccio sospendere piuttosto che tornare qui. Allora cosa scegli?!» chiese, sibilando velenosa.
Si diede dell’illusa per aver sperato che la minaccia sortisse un qualche effetto quando Ace si accigliò, sinceramente incuriosito. «Perché hai così paura che la gente possa capire che hai in testa?»
Lo stomaco di Perona fece una piccola capriola che la ragazza ignorò prontamente prima di ribattere: «Senti Portuguese.» calcò pesantemente il tono sul cognome. «Io non ho paura proprio di niente e quello che ho in testa sono solo cavoli miei e di nessun altro. Se non me ne sono ancora tornata al mio posto è perché non mi faccio certo sospendere per colpa tua ma questo non significa che sono disposta a farti da cavia nei tuoi tentativi di seduzione per le prossime due ore.»
Confuso, Ace sgranò gli occhi e sollevò le mani ai lati del viso. «Ehi, no! Stop! Fermi tutti! Wowow! Sedurti?! Di che stai parlando?»
Perona inarcò le sopracciglia. «So che tutti mi considerano strana ma strana non significa idiota, Ace.» ribatté e subito si morse la lingua per averlo chiamato di nuovo per nome.
Non che lui se ne fosse accorto. Era troppo impegnato a guardarla interdetto.
«Io non voglio sedurti! Cioè… Se dovesse succedere non mi tirerei certo indietro, voglio dire tu sei… sei…» ripeté, cercando inutilmente un termine adatto a esprimere ciò che pensava mentre la indicava con entrambe le mani. «Wow, sei wow, davvero però io non… Voglio solo conoscerti.»
Una risata sfuggì alla bocca di Perona, rapidamente soppressa quando Vergo si girò verso di loro giusto una frazione di secondo. Una risata priva di divertimento, amara quasi. «Ma fammi il piacere!»
«È la verità!» protestò Ace.
«E vorresti conoscermi perché?» lo sfidò caparbia, incrociando le braccia sotto il seno.
Non era perché le importasse. Voleva solo metterlo alle strette, fargli ammettere la bugia. Non era minimamente interessata a sapere se davvero lui voleva conoscerla e perché. Non era assolutamente quello.
«Io… Beh io…» cominciò Ace, in difficoltà.
Perona sollevò un sopracciglio. Sapeva che non sarebbe stato in grado di rispondere. Sapeva che lo aveva detto per salvarsi il culo. Lo sapeva e quindi no, non era delusa. Non era affatto delusa. Proprio per niente.
«Devo per forza avere un motivo?» si sbloccò Ace, a sorpresa, con tanto di alzata di spalle. «Da quel che ricordo ho sempre voluto conoscerti.»
Perfetta. Quella risposta era assolutamente perfetta.
E quello che Perona aveva appena provato alla bocca dello stomaco non era assolutamente uno sfarfallio. Uno spasmo semmai. Ecco sì. Uno spasmo di allerta.
Perché la risposta di Ace era decisamente troppo perfetta per poterci credere, soprattutto se detta da un seduttore seriale come lui, e Perona non era affatto scema né il tipo da cascarci.
Con una gelida occhiata, Perona spinse il libro di storia dell’arte verso di lui e indicò con un dito curato il ritratto che occupava la metà superiore della pagina sinistra. «Dama con tre occhi di Mont d’Or.» annunciò.
L’immagine raffigurava una giovane ragazza dai lunghi capelli castani, raccolti in un’elaborata acconciatura che le lasciava scoperta la fronte a rivelare il suo terzo occhio, simbolo di appartenenza a un’antica civiltà ormai estinta, originaria del Mar Meridionale. Lo sguardo perso nel vuoto, il mento posato sulla mano, era da tutti considerata un’esemplare di rara bellezza e il quadro trasmetteva un senso di serenità, smorzato solo dall’inquietante creatura gelatinosa sulla spalla della giovane che invece guardava dritto verso lo spettatore, rompendo la quarta parete.
«Olio su tela, proviene dal Regno di Goah. Data l’incongruenza tra le chiare origini della ragazza e il suo abbigliamento, si pensa che la giovane sia stata adottata da piccola da una famiglia benestante del regno. Qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che si trattasse di un dipinto ad opera di un esploratore giunto nel Mar Meridionale con le spedizioni di Noland, per via anche del blob sulla spalla della ragazza, e che la famiglia di Goah a cui era stato poi donato avesse chiesto a Mont d’Or di coprire gli abiti indigeni con un abbigliamento più… diciamo consono per l’epoca. Ma da un confronto con altri dipinti di quel genere, come per esempio “Musse prima del sacrificio”…» Perona sfogliò rapida le pagine alla ricerca del ritratto in questione. Come aveva iniziato a spiegare la tensione l’aveva abbandonata. Quello era il suo pane quotidiano e non sarebbe potuto capitarle un capitolo più adatto di quello dedicato ai ritratti di donne nelle varie epoche. Da aspirante artista e donna fiera di essere tale non poteva immaginare argomento che la coinvolgesse di più. Tutto sommato poteva anche dirsi contenta di trascorrere così la punizione. «Ecco. Come vedi la posa di Musse è molto più naturale, meno impostata, mentre quella della Dama con tre occhi è coerente con lo stile rappresentativo dell’epoca per quanto riguarda i ritratti e…»    
Peccato solo per l’allievo.
«Oh ma dai! Come hai fatto a sbagliare?! Quel tiro lo prendeva anche mia nonna!»
Incredula, Perona si voltò verso Ace che, ben lungi dal prestarle attenzione, stava seguendo con un certo coinvolgimento l’allenamento della sua squadra di lacrosse, i Moby Dick. Difficile dire da quanto per altro, con ogni probabilità non aveva sentito una sola parola.
«Ace!» protestò la ragazza e il moro sobbalzò, facendo traballare la sedia.
Si girò verso di lei, un sorriso colpevole sul volto. «Scusa…»
«C’è qualche problema lì?»
Perona avrebbe risposto di sì, lo sapeva Ace. Lo vedeva nel suo sguardo offeso, offeso dalla sua mancanza di rispetto nei confronti degli sforzi che stava facendo per aiutarlo. Avrebbe detto che Portuguese non collaborava e di poter tornare al proprio posto.
Si era appena giocato la sua miglior occasione per instaurare un rapporto con lei e non credeva di conoscere abbastanza insulti da auto-appiopparsi per essere stato così coglione.
«No professore, va tutto bene. A quanto pare la storia dell’arte non appassiona solo me.»
Ace sgranò gli occhi incredulo nel sentire la risposta della ragazza ma tornò subito alla sua solita espressione sorridente e suadente, condita con una punta di gratitudine, quando Perona si voltò di nuovo verso di lui. Avrebbe voluto dire qualcosa ma sapeva che a sto giro era meglio stare zitto, così dopo aver incassato l’occhiata di rimprovero della compagna di scuola, abbassò lo sguardo sul libro di arte e corrugò le sopracciglia.
«Ehi! Ma sta ragazza somiglia un casino a Pudding!» bisbigliò.
Anche Perona si accigliò. «Intendi la proprietaria della cioccolateria qui vicino a scuola?»
«Esatto!»
Perona osservò il ritratto qualche istante, focalizzandosi una volta tanto solo sui tratti somatici della ragazza, provando a immaginare il terzo occhio coperto da una folta frangetta. «Ma sai che hai ragione?»
«Magari c’è qualche antico legame di parentela.» suggerì Ace. «Dovremmo provare a chiederglielo.»
«Dovremmo?» Perona sollevò un sopracciglio e Ace riportò gli occhi su di lei.
«Sì.» confermò, senz’ombra di imbarazzo. «Che so… magari oggi pomeriggio, dopo la punizione?» propose e Perona trattenne suo malgrado il fiato perché quello suonava proprio come un invito a uscire, un appuntamento e Portuguese D. Ace non era noto per essere tipo da proporre appuntamenti. Da quel che sapeva di solito le ragazze che gli interessavano non le portava in cioccolateria ma da tutt’altra parte.
Ma quello che sapeva dipendeva dalle voci di corridoio, le stesse voci di corridoio che dicevano cose assurde e a volte anche offensive su di lei, e che più false di così non sarebbero potute essere.
E se anche quelle su Ace fossero state false? Se si fosse fatta un’idea sbagliata su di lui?
Scosse la testa, decisa a non pensarci, almeno non per il momento, né alle voci di corridoio né all’invito.
«Fin dove hai sentito della spiegazione?» cambiò radicalmente discorso.
Ace fissò alternativamente lei e l’immagine del quadro per un paio di volte prima di cominciare, dosando bene le parole: «Dunque… Uhm… Olio su tela… Dama con tre occhi… di… Mmmmh… Carte d’Or?» tentò e bastò l’espressione di Perona come risposta. «No eh? Mmmmh…  Se… Se me lo ripeti ti giuro che faccio l’impossibile per non distrarmi a sto giro.»
Perona lo fissò scettica e mandò gli occhi al cielo per dissimulare il sorriso che le stava salendo alle labbra. «Okay.» acconsentì, mettendo su un’espressione severa. «Ma dopo questa non te lo rispiego più.»
Ace annuì con un unico convinto cenno secco del capo.
«Allora, dicevo, il ritratto proviene da Goah ma c’è un’incongruenza tra…»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ispirazione ***


Image and video hosting by TinyPic







Raftel High School – Piano terra – Corridoio Ovest
Ore 15.17
 
Avanzò lungo il corridoio, le mani infilate in tasca, guardandosi intorno alla ricerca d’ispirazione.
Okay, era riuscito a uscire ma senza Ace né Rufy si annoiava. Non sentiva la mancanza di Koala solo perché sapeva che se fosse stata lì avrebbe cercato di finire ciò che aveva iniziato prima che Vergo la fermasse, ma avrebbe fatto volentieri anche due chiacchiere con lei.
La morale era che non aveva nulla da fare, ad andare a casa senza aspettare Ace e Koala si sentiva un traditore e tornare in aula punizione non era contemplabile. Sarebbe stato uno smacco troppo grande, senza contare che ormai aveva sforato abbondantemente i cinque minuti e Vergo in qualche modo gliel’avrebbe fatta pagare per non aver obbedito.
Rallentò fino a fermarsi più o meno a metà corridoio, percependo delle voci ovattate uscire da una delle aule del piano. Si accostò cauto alla porta e sbirciò all’interno dalla piccola finestrella. Una quindicina di ragazzi osservavano attenti la lavagna su cui era proiettata una diapositiva e accanto alla quale un loro compagno stava gesticolando nello spiegare qualcosa.
Incuriosito, Sabo cambiò leggermente angolazione fino a mettere a fuoco una complicata equazione sotto la quale erano indicate quattro altrettanto incomprensibili risposte. Doveva essere la squadra dei Matleti e Sabo scosse appena il capo, allontanandosi dall’uscio. Non ci capiva una cippa di matematica. Fosse stato il gruppo di dibattito avrebbe potuto prendere in considerazione di infiltrarsi e partecipare. Sarebbe anche stato uno spasso se si fossero accorti che lui non c’entrava niente.
Riprese a camminare e, come in risposta alle sue preghiere, la bacheca su cui erano affissi gli orari delle attività extracurriculari entrò nel suo campo visivo. Si avvicinò e le studiò attentamente, lanciando un’occhiata all’orologio per coordinarsi.
Scartò subito teatro con il prof. Kumadori, sinceramente di deprimersi non aveva voglia. Il glee club poteva essere un’idea se solo non ci fosse stato il rischio che il professor Kyros lo cominciasse a tampinare perché ci entrasse definitivamente, come faceva con tutti. La lezione di kendo no, il corso di botanica no, il laboratorio di scienze… No, considerato quello che era successo due ore prima, meglio di no. 
L’ultima opzione per lui papabile era andare a vedere l’allenamento dei Moby Dick. Anche se il campo di lacrosse era perfettamente visibile dell’aula punizione, dubitava che Vergo avrebbe staccato il naso dal suo romanzo. Era decisamente un’ottima idea e, con rinnovata voglia, Sabo riprese a camminare, svoltando l’angolo che portava al corridoio Sud, dove si trovava lo studio di Hannyabal, proprio vicino all’ingresso del liceo.
Quello era l’ultimo ostacolo da affrontare. Che passasse da dentro o da fuori, doveva passare per forza davanti al piccolo ufficio del bidello e di sicuro Hannyabal sapeva bene che sarebbe dovuto essere in aula punizione e non lì a girare liberamente per l’istituto. Su quelle cose era sempre aggiornatissimo.  
Ma Sabo non era tipo da farsi frenare da un ostacolo del genere e nemmeno da farsi beccare così facilmente. Schiena ritta e testa alta, si avviò verso le porta a vetri, come se fosse perfettamente normale per lui trovarsi lì in quel momento e fu con un sollievo che mai avrebbe ammesso di aver provato che si accorse che Hannyabal non c’era.
Certo, poteva essere un’arma a doppio taglio.
Sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro, spuntando dal corridoio Est, di fronte a lui, o, peggio, da quello a Ovest alle sue spalle e in quel caso sarebbe stato fregato. Abbandonò l’andatura calma e noncurante e accelerò per uscire il più rapidamente possibile per poi bloccarsi proprio sul limitare della porta.
Aveva un certo languorino e le macchinette erano a pochi metri di distanza. Una parte del suo cervello provò a ricordargli che evitare a tutti i costi Hannyabal era più impellente ma non era come se Sabo fosse un tipo prudente. E poi doveva solo raggiungere l’angolo tra il corridoio Sud e quello Est e a quel punto, se anche Hannyabal fosse spuntato a sorpresa, avrebbe avuto ben tre vie di fuga.
Tornò sui propri passi e si girò verso la propria meta ma si immobilizzò quando si accorse che c’era già qualcuno alle macchinette. Non che fosse strano a quell’ora del martedì ma gli bastò un’occhiata per sapere che non l’aveva mai vista prima. E lo seppe perché gli bastò un’occhiata per essere certo che se mai l’avesse vista prima non se la sarebbe certo dimenticata.
Grandi occhi cioccolato, viso regolare, labbra perfette, capelli azzurri lasciati liberi sulle spalle, espressione innocente.
Il primo pensiero che attraversò la mente di Sabo fu che era bellissima.
Il secondo che, a giudicare da come si guardava intorno, era spaesata.
E chi meglio del cavaliere in armatura scintillante per venire in soccorso della principessa in difficoltà. Lanciò un’occhiata al proprio sbiadito riflesso nel vetro della porta. I capelli erano a posto, si era sciacquato bene da tutte le macchie di fuliggine post-esplosione e non aveva buchi nei vestiti. Sistemò i baveri della camicia e controllò l’alito tanto per stare tranquillo, prima di avviarsi verso le macchinette.
Il piano era avvicinarsi fingendo noncuranza, attardarsi a scegliere uno snack e fingere di notare solo dopo qualche secondo il suo spaesamento per chiederle se fosse tutto a posto e offrirsi di aiutarla. Era perfetto. Sarebbe risultato galante senza essere invadente, disponibile ma non supponente.
Certo quello che non si era aspettato era che la ragazza sorridesse radiosa nel vederlo arrivare e si alzasse appena sulle punte dei piedi come se non vedesse l’ora di potergli parlare. Trattenne a stento un’espressione perplessa, mentre copriva gli ormai pochi metri che li separavano.
«Ciao.» la salutò con uno dei suoi migliori sorrisi. Non uccidevano come quelli di Ace ma una buona quantità di mancamenti l’aveva collezionata anche lui. Solo i suoi occhi tradivano la sorpresa che provava.
«Sei arrivato!» esclamò la “principessa”.
Sabo sgranò appena gli occhi incredulo, senza smettere di sorridere. La sua buona stella aveva deciso di dare il meglio di sé quel giorno. «Eh sì! Eccomi qua!» rispose, allargando appena le braccia all’esterno.    
La principessa fece un passo verso di lui, accorciando ancora di più la distanza tra loro, e gli tese la mano.
«Io sono Bibi! È un vero piacere conoscerti Kobi!»
Sabo si fermò con la mano a metà tragitto per raggiungere quella di lei, preso in contropiede.
«Ah? K-Kobi? No, io non sono Kobi, sono Sabo.» le disse ma subito se ne pentì quando il sorriso si spense sul volto di Bibi.
«Oh.» mormorò accigliandosi e ricominciando a guardarsi intorno. «Che strano. Doveva incontrarmi qui alle tre per farmi fare il giro della scuola ma non si è ancora visto nessuno. Queste sono le uniche macchinette al pian terreno, vero?» s’informò, preoccupata di aver sbagliato il luogo scelto per l’incontro.
Sabo non ebbe neanche bisogno di pensare. «Oh cavolo! Vuoi dirmi che non ti ha avvisato?» Non l’aveva mai vista e doveva fare il giro della scuola, ergo era una studentessa nuova e questo era tutto quello che gli serviva sapere. «Io sono rimasto sorpreso perché Kobi mi ha detto che ti avrebbe avvisato con un messaggio! Si vede che si è dimenticato. Purtroppo ha avuto un contrattempo e ha chiesto a me di accompagnarti al posto suo.» s’inventò di sana pianta, pregando che Kobi o Hannyabal non si facessero vedere proprio in quel momento. Esultò interiormente quando il viso di Bibi si distese fino ad illuminarsi di nuovo in un sorriso.
«Ah ecco!» esclamò prima di aggrottare di nuovo le sopracciglia. «Spero niente di grave.»
«Oh no, figurati! Solo una riunione straordinaria dei rappresentanti di istituto. Ordinaria amministrazione.» minimizzò con un gesto della mano.
«Capisco.» commentò Bibi, le mani sui fianchi. «Quindi deduco che tu non sei un rappresentante d’istituto.»
«Chi, io? No, io preferisco stare dall’altra parte della barricata, osservare e avere la libertà di dire la mia su tutto e tutti. Infatti sono vice caporedattore del giornalino scolastico.» Non era necessario specificare che in pratica lo era solo di nome e che si occupava degli articoli sportivi. Anzi… «Però si può dire che sono il reporter ufficiale del corpo di rappresentanza degli studenti.» le disse con tono confidenziale, chinando il busto verso di lei, le mani in tasca.
Bibi sorrise divertita e lasciò vagare per un attimo gli occhi sul suo volto. Si rese conto di quanto erano vicini quando si accorse che riusciva a vedere molto bene un piccola cicatrice da scottatura sul bordo del suo sopracciglio sinistro, nonostante i peli biondi la nascondessero piuttosto bene. Arrossì e sobbalzò appena, per poi schiarirsi la gola e abbassare lo sguardo. «Dunque… da… da dove iniziamo?»
Sabo la guardò stranito per mezzo secondo prima di riprendere il filo del discorso. «Ah giusto!» si rimise dritto ed estrasse una mano dalla tasca dei pantaloni. «Beh di solito si va in ordine di importanza ma, hai già visto dove sono le macchinette quindi…» scherzò e Bibi non trattenne una risatina divertita. «…la segret…» fece per girarsi verso il corridoio Sud e invitarla a incamminarsi verso il blocco di uffici tra cui quello del preside, del vicepreside e appunto la segreteria studentesca, che un suono molto molto brutto raggiunse le sue orecchie, facendogli rizzare i capelli sul coppino.
«Cammina! Ti porto dritto da Sengoku e gli diremo che anche se il professor Magellan ti ha dato il permesso di sostituire il glorioso simbolo dell’istituto con quella tela macchiata io, Hannyabal, non permetto a nessuno di arrampicarsi sull’asta della bandiera nella mia scuola!»
«Non è una tela macchiata! È il mio Jolly Roger!» protestò lo studente finito nelle grinfie del bidello e Sabo si irrigidì.
Merda! Non bastava quel maniaco di onnipotenza di Hannyabal! Ovvio che la vittima dovesse essere Rufy!
«E poi non è vero che il professor Magellan mi ha dato il permesso!»  
«Ma ripensandoci…» Sabo si rigirò verso Bibi, nascondendo a stento l’urgenza nella propria voce. «… meglio approfittare del sole per mostrarti il giardino, che ne dici? Tanto la segreteria non va da nessuna parte e così puoi dare anche una sbirciata ai vari allenamenti.»
Bibi rifletté sulle sue parole per tre secondi, durante i quali Sabo lanciò quattro occhiate oltre la propria spalla, tanto più agitato quanto più le voci di Hannyabal e Rufy si avvicinavano, crescendo in intensità.
«Come vuoi tu. Sono completamente nelle tue mani.» rispose Bibi e la scelta di parole provocò un piacevole spasmo allo stomaco di Sabo.
«Magnifico! Allora prego, signorina, da questa parte.» la invitò, indicando il fondo del corridoio Est dove si trovava l’uscita sul retro per raggiungere il cortile. «Ma dimmi di te? Tu vorresti entrare in qualche squadra?» le domandò, mentre camminavano fianco a fianco lungo il corridoio.
«Pensavo più al gruppo di dibattito.» rispose Bibi, portando una ciocca azzurra dietro l’orecchio.     
«Ah! Interessante!» Sabo sorrise. «Molto interessante.»
 

 
***

 
Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 15.23
 
Koala non era il tipo di persona che credeva nel mal comune mezzo gaudio. Non le faceva piacere che altre persone fossero finite in punizione solo perché così non doveva trascorrerla da sola. Odiava le ingiustizie,  non tanto quando venivano fatte a lei quanto quando erano gli altri a subirle. Se si trattava di se stessa faceva tutto il possibile per farsele scivolare addosso ma non poteva chiudere gli occhi, fingere o non lasciarsi fomentare quando assisteva a un torto ingiustificato.
In più di un’occasione era finita dal preside per essersi azzuffata con i bulli della scuola, momenti nei quali ringraziava mentalmente nonno Hack per averla iniziata alle arti marziali già da bambina, o per aver risposto con troppa veemenza a un professore che abusava della propria autorità.
Come il semestre scorso quando si era intrufolata di nascosto in aula professori per recuperare il diario segreto di Cosette, che il professor Vinsmoke le aveva sequestrato per pura cattiveria, solo perché la ragazza si era agitata e non aveva risposto alla sua improvvisa domanda. Quando suddetto professore l’aveva beccata con le mani nel suo armadietto e le aveva suggerito di imparare a farsi gli affari propri o avrebbe fatto una brutta fine nella vita, Koala non era riuscita a trattenersi dal rispondere che piuttosto che preoccuparsi di che fine avrebbe fatto lei nella vita si sarebbe dovuto preoccupare del fatto che su cinque figli gliene erano usciti tre deficienti e uno pervertito. Per non parlare della volta in cui per difendere uno del primo anno dagli atti di bullismo di Lucci e Jabura aveva accidentalmente colpito in piena faccia il professor Spandam, fratturandogli il setto nasale e obbligandolo a girare per un mese con un’assurda fasciatura in faccia che pareva una maschera da cannibale. Gli studenti lo prendevano ancora in giro per l’accaduto e Spandam non l’aveva ancora perdonata e probabilmente non lo avrebbe fatto mai, non che per Koala fosse un problema.  
Quando era diventata capo del giornalino c’era chi aveva temuto che lo avrebbe trasformato in una rivista di propaganda e denuncia ma Koala era più equilibrata di così e quando aveva il dubbio di stare esagerando e di non essersi fermata in tempo c’era sempre Cora-san disponibile, a cui chiedere un parere. Di sicuro con i suoi articoli il mensile era diventato più adulto e maturo, trattava temi delicati oltre che frivoli, gli uni e gli altri nella giusta misura, e aveva attirato nuovi studenti, desiderosi di potersi alzare in piedi ed esporre la propria opinione sui più svariati argomenti.
Con l’inizio dell’ultimo anno di liceo e l’elezione a caporedattrice le nuove responsabilità di Koala e la mole di studio non le lasciavano più il tempo per scrivere con la stessa prolificità degli anni precedenti. Le sue due principali occupazioni ormai erano scrivere l’editoriale e pianificare il resto del giornalino e la cosa le andava assolutamente a genio. Era soddisfacente e le lasciava tempo per studiare e avere una vita sociale, senza rinunciare alle arti marziali.
Per l’uscita del numero di Marzo però – da intendersi come il secondo numero di Marzo visti i recenti sviluppi su quello che sarebbe dovuto essere il numero di Febbraio – Koala aveva altri piani. Non si sarebbe mai e poi mai lasciata sfuggire un’occasione come il bicentenario della Liberazione di Marijoah per scrivere un articolo sull’abuso di potere e le lotte intraprese per combatterlo. Quello era pane per i suoi denti e il solo pensiero di poter scrivere un simile articolo, tra lo storico e l’attuale, la esaltava da morire.
Peccato che, per quanto l’idea la esaltasse e l’argomento l’appassionasse, non riusciva proprio a concentrarsi sul capitolo del suo libro di storia riguardante appunto la guerra di Marijoah e la liberazione degli schiavi.  
Gli occhi scorrevano sulla pagina senza realmente leggere le parole stampate nero su bianco. Un elenco di nomi, pochi dei quali accendevano una lampadina nella mente della ragazza, come Fisher Tiger o Saint Roswald. Nomi e fatti che conosceva a memoria sin dall’infanzia, sempre per merito di nonno Hack, tanto da aver affrontato, l’anno precedente,  quella parte del programma di storia con ottimi risultati senza quasi aprire il libro.
Scosse la testa cercando per l’ennesima volta di focalizzarsi su ciò che doveva fare, la penna in mano, pronta a scrivere sul blocco degli appunti. Non bastavano nomi e fatti, doveva approfondire. Le ragioni che avevano spinto i Guerrieri del Sole a mettersi sia contro i Draghi Celesti che contro quella frangia di governo a loro avversa, pur di agire senza più tergiversare. Le storie personali di alcuni di loro, così come quelle degli schiavi superstiti. I meccanismi e le motivazioni che avevano spinto le alte sfere a cercare un accordo con i Tenryuubito nonostante le ingiustizie da loro perpetrate verso innocenti esseri umani fossero sotto gli occhi di tutti.
C’era molto da fare e la Liberazione di Marijoah era solo uno dei fatti storici che avrebbe portato come esempio nel proprio articolo, anche se sarebbe stato il principale.
E allora perché, per tutti i kami, non riusciva a concentrarsi? Perché lei non sarebbe dovuta essere lì, ecco perché!
Non era per la punizione in sé, non era tanto perché era bloccata lì. Era che, semplicemente, questa volta ci credeva di più nel mal comune mezzo gaudio. Questa volta che Sabo fosse riuscito a darsela a gambe le dava fastidio, perché alla fine era solo colpa sua e di quell’altro imbecille se lei era lì e non a casa a fare quello che avrebbe dovuto fare.
Quindi sì, per quel pomeriggio e quel pomeriggio soltanto, aveva voglia di essere egoista, le era sembrato più che giusto che Sabo scontasse la pena esattamente come lei che non c’entrava niente e pensava di avere tutto il diritto di essere contrariata per la sua riuscita evasione.
Al punto da non riuscire a concentrarsi nemmeno sul suo articolo, porca miseria!
Gliel’avrebbe fatta pagare, eccome se gliel’avrebbe fatta pagare! Altro che tesina di storia, appunti di letteratura e ricerca di scienze!
E per di più Vergo non sembrava minimamente turbato dal fatto che il ragazzo non fosse ancora rientrato, non certo perché fosse stupido ma perché proprio non gliene fregava niente.
«Non posso credere che Vergo gli permetta di farla franca così. Parla solo per dare aria alla bocca!» sibilò, guardando di sottecchi l’insegnante che non sembrava intenzionato a farsi distrarre dalla propria lettura neppure da una bomba, un incendio o un qualsivoglia disastro naturale, foss’anche stato di dimensioni apocalittiche.
Non si rese conto di quanto fosse velenoso il suo tono. Non si rese conto di aver parlato ad alta voce.
«Puoi stare certa che se fossi stato io mi sarebbe venuto a cercare. Anzi, se fossi stato io non mi avrebbe lasciato uscire neppure se avessi rischiato di dissanguarmi, lo stronzo.»
Koala girò lentamente il capo verso destra. Law guardava Vergo di sottecchi proprio come lei, ma con molto più odio negli occhi e aveva sibilato come lei ma con molto più veleno nel tono.
Il rancore, la rabbia, il fastidio scivolarono via da Koala per lasciare spazio a pura e autentica incredulità.
Percependo il suo sguardo addosso, anche Law si girò verso di lei e si accigliò quando vide la sua espressione, così sorpresa da sfociare nello scioccato. Attese qualche secondo poi, un attimo prima di riuscire a chiederle neanche troppo gentilmente cos’avesse da fissarlo a quel modo, Koala si riscosse.
«O mio dio…» mormorò. «… ma tu… tu parli!»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Punti di vista ***


Image and video hosting by TinyPic







Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 15.25
 
«Tu parli!»
Law la guardò senza parole e si affrettò a dissimulare con un’espressione accigliata. Sapeva che qualcuno a scuola lo credeva muto ma quando il mito veniva sfatato di solito chi assisteva al miracolo di sentire la sua voce non dava a vedere la propria sorpresa e nascondeva il fatto che lo aveva creduto appunto muto fino a poco prima, per poi allontanarsi il più in fretta possibile e sottrarsi al suo sguardo truce.
La ragazza sembrava non sapere cosa fosse la soggezione. 
«C-certo che parlo.» ribatté monocorde Law e che la sua voce avesse tentennato era nient’altro che un’impressione. Non aveva affatto tentennato. Non aveva affatto dovuto reprimere l’impulso di esclamare e lasciar perdere il suo piglio sempre impassibile. E no, non era colpito. Proprio per niente.
Sorpreso semmai. Sì ecco, era solo sorpreso perché davvero Koala era senza filtri e perché non riusciva a capacitarsi che una come Koala potesse davvero credere che fosse muto. Insomma, gli era sembrata intelligente, anche se frequentava Monkey e Portuguese.
«Beh sì, certo che parli.» commentò Koala, più calma e a voce più bassa ma sempre a mitraglia. «Voglio dire, ho sempre saputo che non potevi essere muto ma sentire effettivamente la tua voce, questo è… un evento! Sai come nell’ordine degli eventi catastrofici tipo l’eruzione di un vulcano. Sai come dovrebbe essere, puoi immaginare il calore che sprigiona ma se ci assisti è tutta un’altra cosa. Scioccante aggiungerei.»
Law sgranò gli occhi, incredulo e basito. Gli sembrava di essere lui quello che stava assistendo all’eruzione di un vulcano. Letteralmente, perché Koala non accennava  a smettere.
«Ma lo sai che a scuola dicono di tutto di te? Che comunichi tramite frasi scritte su fogli volanti tipo Sibilla di Yuba, che usi il linguaggio dei segni…» Law mandò gli occhi al cielo, ripensando allo scambio di battute tra Sabo e Ace, nel laboratorio, qualche ora prima. «… c’è persino una bisca clandestina per scommettere se il tuo mutismo è vero oppure no.»
«Che cosa?!»
«Cora-san ha scommesso sul vero.»
Law la fissò in silenzio qualche istante, trattenendo un grugnito. Era circondato da un branco di deficienti.
«E tu su cos’hai scommesso?» s’informò, scettico.
Koala sorrise e si strinse nelle spalle. «Io non ho scommesso. Ho sempre saputo che sei perfettamente in grado di parlare, solo non mi aspettavo che avresti parlato con me.» ammise, con disarmante onestà, prima di accigliarsi appena. «Ti sembro il tipo che punterebbe soldi su una cosa così imbecille?»
Law inarcò un sopracciglio e lanciò una fugace occhiata verso l’altra coppia di compagni, proprio nel momento in cui Perona strattonava Ace dal lobo dell’orecchio per richiamarlo all’attenzione dopo che il moro si era distratto per l’ennesima volta a guardare l’allenamento di lacrosse.
«Senza offesa, tu, Monkey e Portuguese fate trio fisso dal primo anno.»
Koala incrociò le braccia sotto il seno. «Della serie “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”?»
Law rispose con un ghigno, mentre svitava il tappo della bottiglietta dell’acqua. «Esatto.» confermò prima di prendere una sorsata.
«Allora sarai felice di sapere che a gestire la bisca sono Shachi e Pen.»
Vergo sollevò lo sguardo quando un tossicchiare e sputacchiare lo allertarono che forse uno dei suoi studenti stava rischiando di morire soffocato e lo riabbassò immediatamente una volta constatato che lo studente in questione era Trafalgar. A parte il fatto che fosse anche morto non gliene sarebbe importato un fico secco, Surebo stava già provvedendo con la classica manovra delle pacche sulla schiena, ragion per cui il suo intervento era del tutto superfluo.
«Tranquillo.» lo rassicurò Koala con una nota di scherno nella voce, sfregando il palmo tra le sue scapole. «Non penso male di te perché giri con due soggetti dall’intelligenza discutibile.» si riappoggiò allo schienale della sedia, il gomito sul banco, il mento sulla mano, mentre Law finiva di tossicchiare e riprendeva possesso dei propri polmoni, gli occhi un po’ arrossati e lucidi. Le lanciò un’occhiata in tralice, si asciugò la bocca e poi si girò a guardarla apertamente.
«Non volevo dire che penso male di te perché giri con loro.»
«No, ti stai solo chiedendo cos’abbiamo in comune io, Ace e Sabo e se non è che mi usano per gli appunti e basta e se io non sono troppo buona per accorgermene.» Law si irrigidì e Koala seppe di aver fatto centro. «Siamo amici dalle elementari, non c’è nessuno che io conosca bene come loro e che mi conosca bene come mi conoscono loro. Ci sono sempre per me. E in comune abbiamo l’otto in condotta. Scusa se è poco.» sgranò appena gli occhi indaco per sottolineare il concetto.
«Touché.» mormorò Law con un lieve cenno del capo e un sorriso, sempre storto, ma un po’ diverso dal ghigno sghembo che esibiva di solito.
Con un ultimo sorriso, Koala si rimise dritta e provò nuovamente a concentrarsi sul libro di storia. Non è che avesse più tutta questa voglia di studiare e prendere appunti ma Law era un tipo riservato, era già tanto avere avuto quella breve conversazione e non voleva disturbarlo oltre.
«Non è un po’ vecchio come argomento?»
Ancora più sorpresa, se possibile, di pochi istanti prima, quando Law le aveva rivolto la parola per la prima volta in cinque anni, Koala si girò verso di lui. Il fatto era che non aveva affatto l’aria di uno che voleva prenderla in giro. Non aveva nemmeno l’aria di uno che voleva davvero discutere sul programma di storia, a essere onesti, ma di sicuro aveva l’aria di uno che aveva voglia di parlare.
Sbatté le palpebre, colta alla sprovvista, ma le bastarono un paio di secondi per recuperare e rispondere: «Sì ma lo sto rivedendo per il mio prossimo articolo. Sai per il bicentenario della Liberazione. Oddio in realtà è un argomento che conosco a memoria ma ci tengo che questo pezzo sia perfetto in ogni sua parte.»
«Articolo storico?»
Koala mosse il capo come a dire “più o meno”. «Una via di mezzo. Tra lo storico e l’attuale. Sarà sull’abuso di potere nel passato e nel presente e su come le lotte per combatterlo siano cambiate da allora ma siano sempre attuali.»
Law sollevò le sopracciglia, colpito. «Ti servirà parecchio materiale.»
«Già. Parecchio è un eufemismo. Vorrei dargli un taglio umano quindi mi servono testimonianze, fatti di vita vera… E non solo su Marijoah, voglio parlare di altri avvenimenti di questo tipo.»
Per una manciata di secondi Law non rispose e Koala pensò che la conversazione fosse ormai giunta al termine proprio quando l’espressione del ragazzo cambiò da attenta e riflessiva, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. «Sai io credo di avere qualcosa che potrebbe fare al caso tuo.»
«In che senso?» si accigliò Koala.
«Un mio antenato faceva parte dei Guerrieri del Sole. E se non sbaglio un paio di anni fa, pulendo la soffitta sono saltati fuori degli antichissimi documenti, tipo pagine di diario e… stai bene?» le chiese quando vide l’espressione attonita di Koala.
«Stai… scherzando?» soffiò.
«No. Ti interessano?»
«Adesso stai davvero scherzando! Certo che mi interessano! Oh mio dio! Non ci posso credere! È una cosa pazzesca! Grazie!» squittì sottovoce, lanciandosi verso di lui per circondargli il torace con le braccia. Law si pietrificò, lo sguardo congelato e fisso nel vuoto e la gola secca.
Non era un tipo da abbracci, Law. Anzi non era proprio un tipo fisico, a dirla tutta, tranne quando si trattava di Bepo e del suo perenne senso di colpa. Ma c’erano solo tre donne nella sua vita che mai avessero avuto quel privilegio. Sua madre, Lamy e la sua personale, psicopatica, patologica stalker, al secolo Baby Five. E quell’unica volta che Baby, in un mal pianificato tentativo di sedurlo dettato dall’alcool, lo aveva abbracciato non era finita molto bene. Ma questa volta era completamente diverso. Law avrebbe osato definirlo quasi piacevole. E profumava di frutta. 
Si augurò che non glielo si leggesse in faccia quando, tre secondi dopo, Koala lo lasciò andare e si rimise dritta, sorridente, le guance arrossate per l’entusiasmo e nessuna traccia di imbarazzo sul volto, a differenza sua. Law si schiarì la gola e riprese, come se niente fosse: «E se ti interessa mio nonno è uno dei sopravvissuti del Massacro di Flevance. Non ho documenti ma lui adora raccontarlo a chiunque lo ascolti, perciò se vuoi incontrarlo basta organizzare.»
«Santo Roger.» mormorò Koala. «Voi Trafalgar sapete come lasciare il segno in tutte le epoche e in tutte le situazioni.» continuò con un sorriso che era tutto un programma e che Law si accorse troppo tardi di stare ricambiando.
Scosse il capo e s’impose di tornare serio. «Comunque non immaginavo fossi appassionata di storia.» commentò, tanto per dire qualcosa. Erano bastati venti minuti per scoprire che avevano in comune più di quanto immaginasse e ora Law si stava chiedendo perché in cinque anni non avessero mai parlato prima.
«Sono appassionata di alcuni argomenti storici, che mi riescono meglio di altri.» precisò Koala.
Law la osservò per un paio di secondi e non riuscì a trattenere un ghigno. «Come quello della tesina? A giudicare da quanto era disperato Monkey, è un argomento in cui devi essere davvero molto brava.» 
«Perché, hai bisogno di ripetizioni?» chiese Koala. L’espressione e la voce erano del tutto innocenti ma a Law non sfuggì lo sguardo malandrino che aveva negli occhi. E, per la prima volta, Law era senza una risposta. E questo non accadeva da tempo immemore e, per quanto non fosse il ragazzo altezzoso che molti credevano, Law rimaneva pur sempre una persona orgogliosa. Ragion per cui fu il suo turno di girarsi verso il libro di storia e rimettersi a leggere, o almeno a fingere di leggere, ponendo fine alla conversazione. 
Dubitava che sarebbe riuscito a cavare un ragno dal buco, ormai, ma doveva almeno provarci, per tenersi impegnato. Mancava ancora un bel po’ alle cinque, rischiava di morire di noia.
«Perché la gente lo fa?»
Law si girò istantaneamente verso di lei che, lo sguardo di fronte a sé e la fronte aggrottata, sembrava presa a riflettere su una ben difficile faccenda.
«Cioè, premesso che io e Sabo parlavamo di una vera tesina di storia, perché secondo te la gente sente il bisogno di trovare nomi alternativi per il sesso? Voglio dire è una cosa naturale!»
Law si accomodò meglio sulla sedia, lasciando perdere di nuovo il manuale di storia.
Mancava ancora un bel po’ alle cinque. Per fortuna.

 
§

 
Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 15.34
 
«Ouchouchouch! Molla! Perona molla!» protestò il moro girando il capo verso la compagna, che lo strattonava dal lobo premurandosi di metterci più forza che poteva.
Perona si limitò a lanciargli uno sguardo di fuoco, prima di abbassarlo sul libro di arte. La serigrafia che rappresentava Violet Riku, icona del cinema e del flamenco del secolo precedente, a opera di Diamante e che portava come titolo un semplice “Violet” la fissava dalla pagina nelle sue variopinte varianti. Perona sospirò. C’era ancora molto da dire ma le informazioni essenziali, quelle perché Ace potesse strappare almeno un sei all’interrogazione, le avevano già sviscerate tutte e con estrema fatica da parte del moro. Inutile torchiargli il cervello più del necessario perciò tanto valeva passare al dipinto successivo. «Okay, questo è il “Ritratto di Wa…»
Un suono raschioso, per niente bello a sentirsi, li distrasse dalla loro lezione. Si voltarono all’indietro, verso Law che, la bottiglietta dell’acqua aperta in mano, stava rischiando di sputare fuori le corde vocali e Koala che gli batteva la mano sulla schiena per aiutarlo a riprendersi dal soffocamento. Vergo sollevò a malapena gli occhi dalla propria lettura per tornare ad immergercisi immediatamente.
Appurato che Law non stava per stramazzare per mancanza d’aria lì in aula punizione, Perona voltò nuovamente le spalle ai due compagni, imitando Ace che si era già rigirato. «Dicevo…»
«Senza di me sono persi.» sospirò Ace e Perona si congelò sul posto.
Contò fino a cinque prima di sollevare lentamente la testa e constatare, come d’altra parte aveva immaginato, che Ace stava guardando fuori dalla finestra verso il campo di lacrosse. Di nuovo. 
Lo osservò scuotere il capo sconsolato, picchiettando con le unghie sul banco, prima di schiarirsi rumorosamente la gola. Ace sobbalzò, manco Perona avesse appena sparato un colpo in aria, e si girò per incrociare il suo sguardo truce. «Dicevo.» affermò dura, indicando con tanta veemenza il dipinto da rischiare di trapassarlo con l’unghia curata. «Ritratto di Wanda Zou di Kanjuro.» riprese, senza staccare gli occhi da Ace per essere sicura che non si girasse di nuovo a controllare l’allenamento dei Moby Dick.
Continuò a fissarlo quando abbassò gli occhi sul dipinto. Continuò a fissarlo quando corrugò le sopracciglia e socchiuse gli occhi. Continuò a fissarlo quando piegò il capo di lato chiaramente perplesso. E a un certo punto non sapeva più da quanto lo stava fissando e come fare a smettere di fissarlo perché Ace aveva un profilo perfetto, sembrava scolpito nel marmo con il naso dritto e la mascella squadrata, e tutte quelle lentiggini lo facevano sembrare un bambino e creavano uno stupendo contrasto con l’espressione seria e adulta che aveva in quel momento, dovuta alla concentrazione e che gli donava tanto, così tanto che…
Perona sgranò gli occhi, bloccando il flusso di pensieri, e smosse le spalle mentre distoglieva lo sguardo da lui. «Olio su tela, proveniente da Wano C…»
«Ma è orrendo!»
Perona lo guardò sconvolta. E anche lievemente sollevata che Ace l’avesse interrotta visto che la sua voce non era per niente stabile. Ma soprattutto sconvolta. «Prego?» domandò a occhi socchiusi.
«Oh ma andiamo! È un obbrobrio! Non vedi che ha un occhio sulla guancia?»
«Mai sentito parlare di Cubismo?» chiese Perona, incrociando le braccia sotto il seno. «Frammentazione della realtà? Sovrapposizione dei punti di vista?»
«Mancanza di talento?» imitò il suo tono e Perona separò appena le labbra su cui era rimasto solo un residuo pigmento rosso. «Dai Perona, guardalo bene! Sembra dipinto da un ipovedente senza mani appeso a testa in giù! E che guarda il soggetto attraverso un vetro rotto!» aggiunse dopo un’ultima rapida occhiata al ritratto.
La ragazza spostò gli occhi dal dipinto a Ace, al dipinto, a Ace, incredula. «Perché, tu sapresti fare di meglio?» lo sfidò.
«Non è che ci voglia molto!»
«Vediamo allora.»
Ace sostenne il suo sguardo ancora qualche istante e poi si chinò sul proprio zaino per estrarre un quaderno e una matita. Lo aprì su una pagina bianca, si chinò, tracciò poche rapide righe e lo allungò a Perona, più che mai perplessa che avesse già finito. Lo afferrò e guardò l’opera di Ace, che aveva disegnato un omino di quelli dell’impiccato ma con i capelli un po’ ondulati e una fiamma in mano.
Perona si dovette mordere il labbro inferiore e sollevò il quaderno per nascondere la risata che le stava salendo alle labbra.
Che scemo che era!
«Scusa…» si fermò per reprimere di nuovo la risata. «Questo qui sei tu o è Sabo?»
Ace mise su un’espressione che significava “Non è ovvio?” prima di rispondere: «Sabo naturalmente! Come vedi niente lentiggini. E poi io sono molto più bello.» 
«Okay, cosa stai cercando di dimostrare?»
«Che sono più bravo io di questo qui. Infatti tu hai capito subito chi era il soggetto.» affermò trionfante.
«Veramente un dubbio lo avevo.»
«Perché non hai guardato bene. Scommetto che nemmeno Wanda Zou s’è riconosciuta quando ha visto quel coso lì.»
Un suono cristallino riecheggiò nell’aria. E quando Perona portò una mano alla bocca per soffocarlo era troppo tardi, stava già ridendo. Stava ridendo e il modo in cui gli occhi si Ace si accesero quando sentì la sua risata le fece venire voglia di ridere ancora di più solo per continuare a vedere quell’espressione sul suo volto.
«Okay, okay.» agitò una mano nell’aria, calmandosi ma senza smettere di sorridere. «Facciamo che Kanjuro lo vediamo un’altra volta.» decise, senza neanche rendersi conto delle implicazione della sua frase, implicazione che però fece rizzare le orecchie a Ace. Ma non ebbe tempo di commentare con una battuta e un sorriso suadente, quando Perona finì di voltare la pagina.
Ace aveva già capito che i ritratti non erano disposti in ordine cronologico in quel capitolo ma ormai non si aspettava più di vederla. E invece eccola lì, a occupare l’intera pagina di sinistra, simmetrica alla foto della tela di Ryuboshi, ricoperta di foglie di corallo, raffigurante Othoime Ryuugu, conosciuta anche come la “Donna Sirena”.
Ma Ace non aveva alcun interesse per la sfarzosa quanto certosina tecnica con cui Ryuboshi aveva immortalato Othoime Ryuugu, per l’eternità, perché lei era probabilmente il solo dipinto che avesse mai attirato la sua attenzione, era bellissima, era…
«La “Ragazza con l’orecchino di perla”.» annunciò Perona e dal suo tono un po’ sognante Ace comprese che non era l’unico appassionato di quel quadro.
«Di Van der Decken, olio su tela, conosciuta anche come la “Ragazza col turbante”.»
Quanto mai sorpresa, Perona sollevò gli occhi dalla pagina per posarli su Ace, che invece continuava a fissare rapito il dipinto.
«L’occhio viene attratto subito dal riflesso della luce sulla perla che in realtà sono solo due pennellate discontinue che il cervello completa, dando all’occhio l’illusione che l’orecchino sia dipinto intero.»
Perona sbatté le palpebre interdetta. «Credevo fossi una capra in storia dell’arte.» mormorò ma Ace non accennò a sollevare gli occhi su di lei.
«È un’eccezione. Lo conosco a memoria perché alle medie passavo tutte le ore di arte a guardarlo. Per ore e ore.» raccontò senza vergogna. «È bellissima.» continuò con il tono di uno che non si era accorto che stava pensando ad alta voce. «Ti somiglia così tanto.»
Il cuore di Perona si fermò per un attimo e poi riprese a battere al doppio della velocità a cui un cuore umano dovrebbe battere. Senza fiato, cercò di metabolizzare quello che aveva appena sentito, imponendosi di restare con i piedi per terra.
Ace era talmente in contemplazione da essersi estraniato completamente, quindi poteva anche essere che non stesse parlando di lei. E comunque non avrebbe fatto nessuna differenza, non è che per due complimenti detti bene e al momento giusto lei…
«Non tanto il viso, c’è solo una vaga somiglianza con quello. Sono gli occhi. Ha i tuoi stessi occhi, Perona. Così grandi e scuri che ti ci perdi dentro. E quando la guardi non puoi fare a meno di chiederti a cosa sta pensando.»
Perona strinse saldamente il bordo della sedia.
Stava parlando di lei.
Stava parlando di lei e, porca miseria, sì che faceva differenza! Faceva tutta la differenza del mondo e lei… lui…
“Da quel che ricordo ho sempre voluto conoscerti.”
Lui…
“Alle medie passavo tutte le ore di arte a guardarlo.”
“Ti somiglia così tanto.”
«Ho risposto male alla professoressa Jora!» buttò fuori così di colpo che Ace sobbalzò prima di girarsi a guardarla, interrogativo.
«Che cos…»
«Ho detto che secondo me Kanjuro è un incapace che si è approfittato dell’ondata del Cubismo per affermarsi e lei mi ha dato della ragazzina saccente e irrispettosa e di non parlare se devo dire solo idiozie e io le ho risposto che è sempre meglio essere ragazzine saccenti  e irrispettose piuttosto che delle vecchie megere incompetenti e frustrate e che quanto meno la mia voce è piacevole da sentire anche se dice idiozie.» spiegò tutto d’un fiato, lasciando Ace interdetto.
Nessuno dei due parlò per alcuni secondi poi Ace si aprì piano in un sorriso. «Okay.» mormorò, assurdamente felice, senza staccare gli occhi da quelli di Perona. «Ora però respira.»
Perona si rese conto che stava ancora trattenendo il fiato e sorrise a sua volta. Non sapeva dire quanto tempo avessero passato a guardarsi così, entrambi con un’espressione ebete sulla faccia, quando tornò in sé.
Inspirò a pieni polmoni mentre Ace si schiariva la gola. «Allora… continuiamo con il prossimo dipinto?»
«Come vuole lei, prof.» scherzò Ace, la voce roca.
Ci misero ancora qualche istante per riuscire a distogliere gli occhi l’uno dall’altra e riportarli sulla pagina del libro.
«Okay. “Ritratto di Othoime Ryuugu”, olio e corallo pressato in foglie su tela…»















Angolo dell'autrice
Mi sono dimenticata, un paio di capitoli fa, di chiedere scusa a Leonardo da Vinci e alla sua "Dama con l'ermellino", da me impunemente presa e stravolta. Ma siccome il buon vecchio Leo non mi bastava, mi vedo costretta a scusarmi con altri pittori e opere in questo nuovo capitolo. In particolare con Andy Warhol e la sua serigrafia di Marilyn, il "Ritratto di Adele Bloch-Bauer I" di Gustav Klimt, Pablo Picasso (non lo penso davvero, non penso che sia come Kanjuro) di cui ho usato come ispirazione il "Ritratto di Dora Maar" e per finire Jan Vermeer di cui ho lasciato intoccato il dipinto ma a cui ho appioppato l'identità di Van der Decken. Si staranno rivoltando tutti nella tomba e io, incurante di ciò, proseguo imperterrita e sorridente a ringraziare tutti voi che siete giunti fin qui.
Pace e bene a tutti!
Page.  

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Provaci ancora, prof. ***


Image and video hosting by TinyPic






 
Angolo dei chiarimenti:
Prima che qualcuno di mia conoscenza e che accoppia anche i sassi si metta a pensare male, Reiji e Fukaboshi sono qui citati insieme solo ed esclusivamente in qualità di "colleghi" essendo due dei rappresentati d'istituto della Raftel. No ship intended! 
Buon weekend e buona lettura a tutti! 
Page. 







Raftel High School – Giardino
Ore 16.08
 
Era passata quasi un’ora e a Sabo erano sembrati cinque minuti. Il suo cuore stava danzando di gioia e trionfo perché Bibi sembrava apprezzare davvero molto la sua compagnia. Non si era nemmeno annoiata durante la sosta che avevano fatto al campo di lacrosse, dove Marco aveva avuto l’arguzia di capire che Sabo se l’era data a gambe dall’aula punizione e zittire Satch prima che lo sputtanasse davanti alla ragazza. Anzi, Bibi aveva gestito con classe e un appena accennato rossore sulle guance la pioggia di complimenti che i compagni di squadra di Ace le avevano fatto, dando anche a Sabo la possibilità di sfoggiare le proprie qualità da gentiluomo e cavaliere dei tempi moderni, quando era intervenuto per dare una regolata agli atleti. 
A posteriori, non era stata una mossa così geniale dal momento che aveva attirato l’attenzione del Coach Smoker, fino a pochi istanti prima troppo impegnato a sbraitare dietro al gruppo 5 della squadra per prestare attenzione al gruppo 1, capitanato da Marco, che poi era il capitano dei Moby Dick in generale, che non richiedeva normalmente la sua supervisione. Quando l’uomo, sigaro perennemente in bocca e sguardo truce, avevo preso ad avvicinarsi a grandi passi per capire cosa stesse distraendo i suoi titolari dall’allenamento, Sabo si era visto costretto a sparire prima di subito perché se c’era qualcosa in cui il Coach Smoker, da ex militare qual era, credeva sopra ogni altra cosa quella era la disciplina. Il che non spiegava come Ace potesse essere il suo giocatore di punta ma questa era un’altra storia.
Le probabilità che il Coach non sapesse che Sabo sarebbe dovuto essere in quel momento in punizione erano le stesse, se non inferiori, a quelle che Zoro vincesse la prova di orienteering.
Così, con la scusa che si stava facendo tardi e dovevano ancora fare il giro dentro alla scuola Sabo aveva trascinato via Bibi alla velocità della luce lungo il sentiero che riportava verso l’istituto ed erano a pochi passi dall’ingresso della scuola quando lo vide. Sabo si sarebbe volentieri defilato, e si stava effettivamente apprestando a farlo, se non che nell’accendersi la sigaretta il professore diede accidentalmente fuoco al cordino della sua felpa senza rendersene minimamente conto. Sabo tentennò, un piede già dentro l’edificio, e piegò la schiena all’indietro in attesa che il Prof si accorgesse e spegnesse la fiamma. Invano, ovviamente.
«Sabo, qualcosa non va?!» chiese Bibi, un po’ stranita.
Con un grugnito, Sabo mandò gli occhi al cielo e tornò di corsa sui propri passi. Il Prof non lo vide nemmeno avvicinarsi e si accorse di lui solo quando Sabo cominciò a picchiarlo sul petto con entrambe le mani per spegnere il fuoco che, intanto, aveva già divorato metà cordino, facendosi strada verso il cappuccio e i capelli biondi dell’insegnante di musica.
«Ohi, ehi, ohi!»   
«Cora-san ti sei dato fuoco alla felpa!» protestò Sabo, dandogli due ultime pacche.  
Cora sgranò gli occhi e li portò sul cordino mezzo carbonizzato, stupito di trovarlo in quello stato. «Ma tu guarda! Grazie, Sabo!» esclamò con un radioso sorriso.
«Ehi è tutto a posto?» intervenne la voce di Bibi e i due biondi si voltarono verso di lei.
«Oh sì, è solo…»
«Una nuova studentessa!» la accolse Cora e Sabo chiuse gli occhi rassegnato mentre l’incubo diventava realtà. Cora era il professore più amato della Raftel. Era entusiasta, comprensivo, pieno di iniziativa e voglioso di aiutare, al punto che arrivava a coprire ogni tanto anche le malefatte dei propri studenti, se non erano troppo gravi.
Nessuno stupore che tutti lo amassero, che fosse il capo-tutor e che si fosse offerto volontario come docente responsabile del One Piece quando tutti gli altri insegnanti disponibili si erano tirati indietro. Tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti e far sì che ogni studente della Raftel riuscisse a sentirsi a proprio agio a scuola e a trovare la propria strada era la sua missione di vita.
E nulla lo entusiasmava come fare la conoscenza di un nuovo studente.
Ora, non sarebbe stato un così grosso problema se solo Sabo non avesse raccontato una gigantesca balla a Bibi e se Cora fosse stato un pelo più arguto ma, per come stavano le cose, Sabo vedeva bene cosa rischiava di arrivargli addosso e travolgerlo con la stessa forza di uno tsunami.
«…rtari, dovrei cominciare settimana prossima.» gli strinse la mano Bibi, gli occhi che brillavano e non solo perché aveva il sole contro. Sabo provò uno spasmo di disappunto alla bocca dello stomaco. Perché lui, esattamente come il resto dei propri compagni, adorava Cora-san ma era inevitabile per lui, esattamente come per tutti i suoi compagni maschi, non provare una certa invidia sull’effetto che il biondo insegnante faceva ad ogni singola studentessa, senza mai mancare un colpo.
Sabo aveva pienamente compreso il potenziale del professore il giorno che persino Koala si era sciolta di fronte al suo sorriso – e nonostante le idiozie che lasciavano puntualmente la sua bocca –, rubando il primato a Ace.
E, anche se non aveva nulla da temere da Cora-san, perché intanto il prof non era certo un pervertito e poi, soprattutto, la scuola al completo sapeva benissimo che era innamorato di Natsuki, la dottoressa dell’infermeria della Raftel, il suo ancestrale istinto cacciatore gli rese impossibile resistere all’impulso di marcare il territorio. Prima ancora di rendersene conto era al fianco di Bibi con una mano appoggiata sulle sue reni, più vicino di quanto fosse realmente necessario. 
«Infatti le stavo mostrando la scuola.» s’intromise con un sorriso che, lui non se ne rendeva conto, ma non aveva nulla da invidiare a quello del Prof. Almeno non secondo il parere di Bibi che, per altro, non si era mossa di un centimetro.
«Che gentiluomo il nostro Sabo.» commentò Cora, dando una paterna pacca alla spalla del ragazzo.
«Assolutamente!» confermò subito Bibi, voltando il capo verso Sabo per sorridergli, le guance appena arrossate. «E poi accettare di sostituire Coby così all’ultimo minuto solo per mostrare la scuola a me è stato anche più che gentile.»
Il campanello d’allarme che prese a suonare nel suo cranio passò inosservato a Sabo, troppo impegnato a provare a magnetizzare gli occhi di Bibi solo guardandola, almeno finché la voce di Cora non penetrò di piatto tra i suoi pensieri.
«Coby deve aver avuto un contrattempo davvero grande per venire meno ai propri impegni. Non è proprio il tipo che delega, posso supporre ancor meno quando si tratta di scortare una così incantevole signorina.» commentò Cora, chinando appena il busto verso di lei.
Bibi ridacchiò suo malgrado e si portò una ciocca di capelli turchini dietro l’orecchio. «Ubi maior, minor cessat. Dubito di essere più importante di una riunione straordinaria dei rappresentati d’istituto.»
Sabo s’irrigidì, pietrificato dal terrore, quando Cora corrugò le sopracciglia, perplesso. Sapeva, lui sapeva.
«Riunione straordinaria?»
«Sì! È per questo che ha dovuto chiedere a Sabo di occuparsi di me.»
«Ma non mi pare ci fosse una riunione dei rappresentati. Cioè ho visto prima Reiji e Fukaboshi che…» cominciò, indicando alle proprie spalle verso il campo di atletica.
«Beh Cora-san, se è straordinaria è proprio perché non era prevista!» lo interruppe Sabo, un po’ troppo in fretta e un po’ troppo nervosamente.  
«No ma quello che intend…»
«Ehi ma hai sentito del laboratorio di chimica?!» sbottò senza controllo Sabo, dicendo la prima cosa che gli venne in mente.  Inorridì quando si rese pienamente conto di avere appena attirato l’attenzione sull’unico evento che sarebbe dovuto rimanere intoccato. Se Cora sapeva nel dettaglio cos’era successo quella mattina al secondo piano non ci avrebbe messo molto a fare due più due e realizzare, anche se a scoppio ritardato, che Sabo non sarebbe dovuto essere lì.
«Cavolo sì!» esclamò Cora, dimenticandosi all’istante di Reiji e Fukaboshi e della finta riunione straordinaria. «È un miracolo che nessuno si sia fatto male sul serio. Non ho ancora ben capito chi è stato a combinare il danno, nei corridoi ho sentito di tutto.»
Sabo lo fissò interdetto un paio di secondi, non riuscendo a credere alla propria fortuna, prima di rispondere: «Idem.», stringendosi nelle spalle.
«Beh basterà aspettare l’articolo di Usopp nel prossimo numero per scoprire nel dettaglio cos’è successo. Si occupa della rubrica degli avvenimenti interni alla scuola.» spiegò subito, rivolgendosi a Bibi con gentilezza, sempre accorto a non far sentire nessuno tagliato fuori. «L’esplosione di un laboratorio sarà come un maxi-scoop per lui.»
«E-esplosione?» Bibi sgranò gli occhi, spostando lo sguardo da Sabo a Cora un paio di volte ma, se il primo aveva tutto l’interesse di ignorare la sua domanda, il secondo non l’aveva proprio sentita.
«Oh cavolo!» esclamò picchiandosi la mano sulla fronte. «Non dovevo rivelarti il suo nome! Usa lo pseudonimo Sogeking per scrivere sul giornalino, solo quelli della redazione conoscono la sua vera identità. Mi raccomando, se mai dovessi conoscerlo fai finta di niente eh!» le disse a mitraglia, lasciandola ancora più interdetta, prima di girarsi di nuovo verso il ragazzo mentre prendeva una boccata di tabacco dalla sigaretta. «A proposito, Sabo…» si fermò un istante, controllando rapidamente il proprio cellulare. «Tu sai se Koala ha avuto qualche imprevisto o non sta bene? Non mi ha mandato la lista degli articoli e la cosa è parecchio strana. Così saltiamo l’uscita questo mese.» aggiunse, chiaramente dispiaciuto.
Sabo era certo che lo spasmo allo stomaco non fosse senso di colpa. Perché, anche se il suo cervello gli stava urlando in ogni modo di non farlo, Sabo stava davvero per dire ciò che stava per dire e sapeva che quando Koala lo avesse scoperto lo avrebbe fatto a pezzi talmente piccoli che neppure l’impronta dei suoi denti sarebbe stata di alcun aiuto per identificare il suo cadavere. Ma bastò una rapida occhiata a Bibi per sapere che non aveva altra scelta. La ragazza lo aveva completamente rapito in poco più di un’ora. Non gli era mai capitato e non c’erano scuse che tenessero.
«Che strano!» mise su la sua migliore finta espressione sorpresa. «Stamattina era scuola e che io sappia non aveva nessun impegno particolare oggi pomeriggio.»
Sabo era certo che lo spasmo allo stomaco fosse autentico terrore. Koala gliel’avrebbe fatta pagare.
«Peccato.» esalò Cora insieme a una nuvoletta di fumo. «Senza contare che ero davvero curioso di leggere il tuo articolo. I Moby Dick sono stati fenomenali nell’ultimo incontro!»
«I Moby Dick?» domandò perplessa Bibi. «Come la squadra di lacrosse?» chiese, voltandosi una frazione di secondo verso il campo sportivo da cui si erano da poco allontanati.
«Precisamente mia cara.» s’inchinò quasi Cora, rischiando di dare fuoco a una ciocca azzurra di Bibi se solo Sabo non l’avesse tirata indietro in tempo. «Sono l’orgoglio della Raftel e Sabo è il loro reporter ufficiale. È la punta di diamante della rubrica sportiva del nostro giornalino.»
Bibi si girò verso Sabo, le sopracciglia corrugate. «Ma io avevo capito che…»
«Se vuoi te ne mando una copia domani alla tua email!» esclamò Sabo, piazzando le mani sui fianchi di Bibi per spingerla verso l’ingresso della scuola. «Ora però dobbiamo proprio andare o non riusciamo a vedere tutto entro le cinque! Mi spiace, Cora-san.»
«Oh no, no ma figuratevi! Andate pure, io finisco la sigaretta e poi ho delle cose da fare, quindi…» li incoraggiò, gesticolando.
Sabo non se lo fece ripetere due volte e si precipitò dentro all’edificio, tenendo Bibi davanti a sé ma, non riuscì a fare due passi nel corridoio che, attraverso le porte a vetri dell’ingresso, vide Cora capitombolare giù dagli scalini, inciampando in chissà cosa, probabilmente i suoi stessi piedi, e schiantarsi sonoramente di faccia. Con un sospiro rassegnato e non poca riluttanza, Sabo mollò i fianchi della futura compagna di scuola, e possibilmente non solo, e tornò rapido verso la porta bloccata in posizione aperta.
«Cora-san, tutto bene?!» chiamò e dovette aspettare alcuni secondi che il Prof disincastrasse la faccia dal cemento per girarsi verso di lui e rispondere.
«Tutto a posto, vai tranquillo!» gli sorrise, alzando due dita a formare una V, nonostante il sangue da naso. «Ora vado un salto in infermeria!»
 Sabo annuì, prima di tornare sui propri passi e verso Bibi. «Non è il caso di accompagnarlo.»
«Oh, puff, no.» Sabo minimizzò con un gesto della mano. «Gli succede sempre. E poi sono sicuro che Natsuki non vede l’ora di prendersi cura di lui.» ammiccò complice mentre si infilava le mani in tasca e un brivido piacevole lo percorse quando Bibi gli regalò un nuovo radioso sorriso. La conosceva da pochissimo eppure adorava già quel sorriso e sentiva che difficilmente si sarebbe mai stancato di vederlo.
«Bel soggetto.» ridacchiò l’azzurrina, indicando con un cenno del capo verso l’esterno dell’istituto.
Sabo scosse impercettibilmente la testa per tornare in sé. «Puoi dirlo forte.» le fece l’occhiolino, adorando come le guance le si colorarono di un rosa più acceso. «Ma comunque…» riprese, avvicinandosi e chinandosi appena verso di lei. «…noi dov’eravamo rimasti?»
 

 
***

 
Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 16.12
 
«Cocco?!»
Law sollevò un sopracciglio con sfida. Che problema c’era se gli piaceva il cocco? Non aveva fatto commenti sulla sua collezione di monete commemorative e ora aveva da ridire sul cocco?
«Ti facevo più tipo da cioccolato fondente al novantanove per cen…» fece per spiegarsi Koala ma si zittì quando vide la sua espressione. «Che hai da guardarmi così?»
«No dico. A te piace il latte condensato con le fragole. Insieme.» rispose con tono piatto.
Koala si lasciò andare, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Punto numero uno, non era una critica. Punto numero due, il latte condensato con le fragole devi provarlo prima di dare giudizi.» ribatté, sollevando prima l’indice e poi il medio. «Io faccio una specie di cheesecake buonissima con il latte condensato e le fragole. Cioè non è una cheesecake, ovviamente, perché non c’è il formaggio ma è tipo cheesecake per la base e tutto. Comunque… Ehi! Potrei portarla quando vengo a casa tua!»
Law sobbalzò appena, preso in contropiede. Quella ragazza era veramente ingestibile. Chi aveva mai parlato di andare a casa sua?! Quando l’aveva invitata?! Si era parlato di farle incontrare nonno Ray, non aveva mai detto che il luogo sarebbe stato casa sua!
Ma doveva ammettere, per quanto gli costasse, che quella era decisamente la soluzione più logica e sensata. Koala non si stava autoinvitando. Pensava solo, come era del tutto comprensibile, che andare a casa di suo nonno sarebbe stato decisamente troppo invadente ma che incontrarlo in una caffetteria sarebbe stato alquanto strano. E, d’altro canto, se sua mamma fosse venuta a saperlo lo avrebbe di sicuro rimproverato per la scortesia nei confronti della compagna e la poca ospitalità dimostrata.
Sì, era più che ovvio che l’incontro si sarebbe tenuto a casa Trafalgar. Meno ovvio e decisamente inaspettato che a Law la cosa andasse più che a genio. Non capiva cosa gli prendesse. Persino Shachi, Bepo e Jean Bart avevano avuto libero accesso a casa sua non prima della metà del secondo anno di liceo e Pen era un’eccezione solo perché lo conosceva dall’asilo. E ora improvvisamente gli stava bene che una persona con cui non aveva mai nemmeno parlato fino a meno di un’ora prima invadesse così il suo spazio privato, armata di cheesecake.
Quell’interrogazione di chimica gli stava proprio friggendo il cervello ma ci avrebbe pensato più tardi.
«Ti converrà portare una penna, quando vieni a casa mia. Lamy vorrà farti autografare ogni numero del One Piece che ha tenuto da parte.»
Koala sollevò le sopracciglia sorpresa. «Lamy è tua… sorella?» tentò e il moro annuì subito in risposta. «Perché mai dovrebbe volere il mio autografo?» chiese poi, accigliandosi.
«Ti adora. Adora i tuoi articoli. È all’ultimo anno di medie e non fa che ripetere che l’anno prossimo entrerà anche lei nella redazione del giornalino e che vuole diventare caporedattrice come te e seguire le tue orme. Sono due anni che compro lo One Piece solo per lei. Una volta ero a casa con l’influenza il giorno che avete venduto e ho dovuto chiedere a Pen di prenderne una copia in più.»
Law sgranò gli occhi quando si rese conto di avere appena detto al capo del One Piece che, non fosse stato per sua sorella, non gli sarebbe fregato un accidente del One Piece ma riguadagnò la propria compostezza prima di subito. In fondo era la verità e lui non era noto per essere il principe del tatto. Senza contare che Koala non sembrava averlo nemmeno sentito o comunque non aveva l’espressione che si sarebbe aspettato se lo avesse sentito. Un misto di incredulità e affetto, con una punta di intenerimento.
«Non vedo l’ora di conoscerla, davvero.» mormorò con dolcezza prima di tornare al suo tono solare e scanzonato. «O e non preoccuparti. Ti darò qualche giorno prima di cominciare a tampinarti per sapere quando posso venire da te, così da lasciarti il tempo di documentarti e fare almeno finta di avere mai letto anche solo un paragrafo dei miei articoli.» concluse con una scrollata di spalle e un’esagerata espressione della serie “Guarda quanto sono magnanima.” e che lo fece ghignare sghembo.
Stava per risponderle che era disponibile a documentarsi anche quella sera stessa ma non fece neanche in tempo ad aprire bocca. Per fortuna, perché non era affatto sua intenzione dirlo. Figuriamoci, non era stato nemmeno sua intenzione pensarlo. Ma il supposto colpo di fortuna si trasformò presto in una botta di sfiga quando si accorse che a parlare e interromperlo era stato Vergo. Si girò omicida verso il docente.
Che cosa voleva adesso?!
«No professore, nessuna chiacchiera. Io e Law stiamo solo ripassando insieme storia.»
Un brivido di fastidio percorse la schiena di Law quando Vergo posò il romanzo sulla cattedra e appoggiò entrambi gli avambracci al ripiano, intrecciando le dita. Sapeva bene cosa significasse quel gesto, glielo aveva visto fare fin troppe volte.
«E qualcuno vi ha forse detto che potevate aiutarvi a ripassare?» domandò con il suo solito tono monocorde ma nei suoi occhi si poteva leggere distintamente soddisfazione. Soddisfazione all’idea di poter imporre il proprio volere senza che nessuno potesse protestare. Soddisfazione nel mettergli i bastoni tra le ruote ancora una volta.
Law strinse i pugni e sentì l’autocontrollo venire sempre meno. Sarebbe esploso, lo sapeva. Stavolta non c’era modo di evitarlo.
«Mi era parso favorevole alla collaborazione tra studenti quando ha imposto a Perona di aiutare Ace.» ribatté Koala, arginando per un pelo la furia del moro.
«A differenza tua, quando ho chiesto a te di aiutarlo.»
«Ho esposto chiaramente le mie ragioni e lei le ha accettate. Non è colpa di Law se sono in punizione.»
«Il punto è che Trafalgar non ha bisogno di ripetizioni.»
Koala corrugò le sopracciglia perplessa. «E questo chi glielo dice?»
«Lo dico io.» rispose lapidario Vergo.
Nel silenzio più assoluto, Law continuò a trucidare l’insegnante con lo sguardo, imponendosi la calma. Non aveva senso mettersi nei casini anche se l’atteggiamento di Vergo lo faceva sragionare. In fondo, mancava poco alle cinque.
Certo, non che il punto fosse quello. Il punto era che Vergo gli avrebbe negato un aiuto se anche fosse stato realmente in difficoltà. Ma dal momento che in fin dei conti non era affatto vero che stavano ripassando non c’era ragione di rischiare una sospensione e ancor meno che la rischiasse Koala, ragion per cui era contento che la ragazza avesse gettato la spu…
«Mi scusi, sicuramente ho capito male io, ma ho l’impressione che lei stia deliberatamente utilizzando due pesi e due misure sulla sola base dello studente coinvolto, professore.»
Law si voltò verso di lei, scioccato dal tono indignato e furente e per niente rispettoso che Koala aveva usato e che a Vergo non era ovviamente sfuggito. Una scintilla d’ira balenò dietro le lenti fumé degli occhiali.
«Prego?»
«Non ha alcuna autorità per decidere se Law ha o non ha bisogno di ripetizioni di una materia diversa dalla sua.» continuò imperterrita.
«Ma ho autorità in quest’aula per decidere se tu puoi o non puoi dargli ripetizioni della materia in questione, Surebo.» cominciò a perdere la calma il professore.
Ace e Perona avevano ormai abbandonato il libro di arte e spostavano gli occhi dalla compagna al docente, come se stessero seguendo una partita di ping-pong.
«Perciò mi sta dicendo che Portuguese può ricevere aiuto e Trafalgar no?»
«Precisamente!»
«E questo non ha niente a che fare con la sua supposta antipatia nei confronti di Law, vero, professore?» domandò Koala e Vergo si irrigidì sulla sedia, le narici dilatate per il fastidio. «Perché, se così fosse, temo proprio che si potrebbe considerare un abuso di potere. E se così fosse, sarebbe l’esempio perfetto che stavo cercando per il mio articolo a dimostrazione di come gli abusi di potere siano ancora assolutamente attuali nella società odierna e nei luoghi più disparati, nelle più svariate forme e misure.» argomentò con spaventosa calma, prima di accomodarsi meglio contro la propria sedia e lanciare un’occhiata a Law, le braccia conserte. «Sengoku non vede l’ora di leggere il mio articolo per il Bicentenario, te l’ho detto?»
Law sbatté le palpebre più volte, al di là dell’incredulità.
Poteva essersi sbagliato, forse aveva anche preso un colpo in testa ma, se quello a cui aveva appena assistito era tutto vero, allora Koala aveva appena minacciato un professore.
No, non era esatto. Non “un professore”. Koala aveva appena minacciato Vergo.
Koala… aveva appena… minacciato Vergo…
Stava ancora cercando di metabolizzare pienamente la cosa quando Koala distolse lo sguardo dal suo e lo riportò sull’insegnante, che pareva una statua di cera seduta alla cattedra.
La domanda inespressa rimase sospesa nell’aria dell’aula-punizione. Vergo doveva rispondere. Era obbligato a rispondere se voleva difendere la propria cattedra e la propria inesistente etica professionale che, però, purtroppo per lui, doveva fingere di avere.
«Nessun abuso.» rispose, tornando al suo solito tono composto e atono. «Mi dicono che Trafalgar è parecchio intelligente e particolarmente bravo in storia, Surebo.»
Koala sorrise a fior di labbra. «Ne convengo. E di conseguenza immagino sarà d’accordo se Law finisce di spiegarmi alcuni passaggi della Guerra dei Vertici che non mi sono chiari, vero, professore?»
Se Vergo pensava di avere mai provato odio prima, si rese conto in quel momento di non essersi mai sbagliato tanto. E, ironia del destino, Surebo era nella classe di chimica di Monet.  Trattenne per un attimo il fiato mentre metabolizzava tutte queste informazioni e poi, con consumata nonchalance, riprese il libro, si riaddossò allo schienale e ricominciò a leggere come se nulla fosse successo.
Con un scrollata di spalle e un sorriso più ampio, Koala riavvicinò il busto al banco e lanciò un’occhiata a Law che non le aveva ancora staccato gli occhi di dosso, anche se nel frattempo aveva recuperato il proprio self-control ed era tornato alla sua solita imperscrutabile espressione.
«Non era necessario.» commentò quando Koala si voltò a guardarlo apertamente.
«Detesto le ingiustizie.» fu la tranquilla e ferma risposta di Koala.
Law la scrutò qualche istante e poi, senza aggiungere altro, allungò il braccio verso il manuale di storia e lo trascinò nel punto di giunzione dei due banchi mentre, contemporaneamente, avvicinava la sedia a quella di Koala e chinava il busto verso di lei. Sorpresa da quel gesto, Koala sgranò appena gli occhi ma non riuscì a impedire a un sorriso malizioso di crepitare sulle sue labbra.
«Cosa fai?» chiese in un soffio, alzando lo sguardo verso quello grigio di Law, acceso dal ghigno sghembo e suadente che le stava rivolgendo.
«Pensavo di doverti spiegare la Guerra dei Vertici.»
«Ah.» commentò Koala, una luce malandrina negli occhi, chinando ulteriormente il busto in avanti per avvicinarsi ancora di più a lui. «Sono tutta orecchi, prof..» 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Un pomeriggio davvero molto interessante ***


Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 16.48
 
Aveva sbagliato da qualche parte, ne era certo.
Non era stato permettere a Monkey di uscire, sapeva che non sarebbe tornato comunque. Non era stato nemmeno interrompere la chiacchierata tra Trafalgar e Surebo dopo quasi un’ora. Era arrivato a un passaggio del romanzo troppo saliente per non finirlo prima di intervenire e comunque gli importava solo di infastidire Trafalgar, missione in cui sarebbe anche riuscito se solo la paladina della giustizia non avesse pensato bene di mettersi in mezzo. Ma da qualche parte aveva sbagliato perché, su cinque studenti in punizione sotto la sua custodia, quattro di loro non avevano l’aria di essere scocciati o infastiditi o al limite della sopportazione.
Anzi, tutto il contrario.
Sembravano tutti perfettamente a loro agio, rilassati, finanche contenti. Come se avessero appena passato un pomeriggio di svago e relax, altro che punizione.
Di Monkey non c’era nemmeno modo di conoscerne l’ubicazione, figuriamoci lo stato.
Da sopra il bordo del romanzo e degli occhiali, Vergo lanciò un’occhiata verso la coppia vicino alla finestra. Che avessero mai Portuguese e Mihawk da sorridere tanto gli sfuggiva. In realtà Portuguese sorrideva sempre, non si sarebbe dovuto stupire, era capace di fingere divertimento anche solo per non dare la soddisfazione al professore di vedere che la punizione aveva sortito qualche effetto. Ma Mihawk che era la misantropia incarnata non aveva proprio nessun logico o valido motivo per essere tanto felice.
Eppure lo era e Vergo sapeva fin troppo bene che non stava fingendo.  A lei non era mai importato di nascondere il proprio fastidio verso le punizioni, il corpo docenti e l’umanità in generale. Tanto bastava per sapere che nemmeno Portuguese stava simulando.
Perciò sì, per quanto gli costasse ammetterlo, aveva sbagliato da qualche parte. Di tempo per rimediare, però, ormai non ce n’era più e Vergo scrollò via, insieme alle spalle, qualsiasi vaga punta di contrarietà che aveva cominciato a provare. Non si sarebbe fatto rovinare il resto della giornata e il relax letterario da un gruppo di marmocchi così poco educati da non avere nemmeno l’accortezza e il buon gusto di mostrarsi un minimo provati dopo tre ore di punizione. Tanto più che erano tutti all’ultimo anno e mancavano tre mesi scarsi alla fine della scuola.
Ancora centotredici giorni e non li avrebbe rivisti mai più, almeno sperava. Di certo le probabilità giocavano a suo favore. In molti anni di docenza aveva visto solo pochi alunni tornare alla Raftel non più come studenti ma come insegnanti. Tashigi per esempio, che insegnava matematica, e la stessa Monet, la sua ex allieva più brillante. Nonostante ora fossero colleghi, quei pochi lo chiamavano ancora professore. 
Ora, analizzando la fauna presente nella stanza, l’unico rischio concreto era Surebo, che avrebbe potuto benissimo decidere di cambiare il mondo attraverso la formazione di giovani menti e che era troppo affezionata al professor Cora per non temere che seguisse le sue orme, anche se in una materia differente. Ma, se la fortuna lo assisteva, c’erano buone probabilità che diventasse una giornalista o un’assistente sociale.   
No, non valeva veramente la pena di sprecare energie per loro. Anzi, non valeva la pena di sprecare anche solo un altro minuto del suo inestimabile tempo a causa loro.
Ripose con cura il segnalibro nel romanzo prima di riporlo nella propria borsa di pelle nera e chinarsi ad aprire il cassetto sotto alla cattedra. Ne estrasse un blocchetto di fogli gialli di carta copiativa alternati a fogli bianchi di carta normale e afferrò la penna per completare il primo con grafia curata ed elegante.
Nessuno dei presenti in aula si accorse neanche lontanamente delle manovre del professore, a dimostrazione di quanto poco gli importasse sia di essere in punizione che di potersene tornare a casa. Vergo aveva l’impressione che se ne sarebbe potuto andare lasciandoli lì e nemmeno ci avrebbero fatto caso. Probabilmente si sarebbero resi conto dell’ora troppo tardi, quando Hannyabal li avrebbe chiusi dentro e, per un attimo, ventilò l’ipotesi di farlo per davvero.
Ma non aveva voglia di subire un richiamo formale e dare spiegazioni a Sengoku che avrebbero richiesto l’uso di frasi più lunghe di un sintagma semplice. La vita era troppo breve e l’ATP troppo preziosa per sperperarle così.
«Surebo.» chiamò e l’occhiata che Koala gli lanciò era così genuinamente innocente, come se non lo avesse minacciato appena mezz’ora prima, come se anzi non fosse proprio in grado di minacciare nessuno, che per un attimo il fastidio minacciò di tornare alla carica.
«Sì, professore?»
Vergo contò fino a cinque e poi staccò il foglietto giallo dalla cima del blocco per appoggiarlo sulla cattedra e farlo strisciare fino al bordo opposto della cattedra.
«Consegna questo a Monkey quando lo vedi. E ora prendete la vostra roba e sparite dalla mia vista.»
Koala si scambiò un’occhiata con Ace e con Law mentre il professore intrecciava le dita e posava le mani sulla cattedra, in attesa. L’orologio alle sue spalle diceva che mancavano ancora dieci minuti alle cinque ma il fatto che Koala fosse così avversa alle ingiustizie non la rendeva particolarmente ligia alle regole, così come non lo era nessuno dei suoi compagni in quel momento presenti. In meno di dieci secondi i quattro studenti avevano raccolto i propri effetti personali e si stava rivestendo, infilandosi giacche e cappelli dei più svariati tipi, stampe e colori.
Fuori il sole aveva cominciato a scendere verso l’orizzonte ma c’era ancora molta luce e l’aria sembrava tiepida e croccante come in un giorno di inizio estate. Per un secondo Koala ammise con se stessa che, se fosse tornata a casa all’ora prevista così da poter inviare l’elenco a Cora-san, non avrebbe mai notato  quanto le giornate si stessero allungando e gli alberi riempiendo di gemme. Avrebbe finito di fare tutto ciò che doveva per l’ora di cena, ben dopo il tramonto.
Quel pomeriggio non si era rivelato poi tutta quella punizione alla fine e non solo per il sole. Ma questo a Sabo si sarebbe guardata bene dal dirlo. Recuperò la giacca del suo migliore amico mentre Ace si caricava in spalla il suo zaino insieme al proprio e si avviarono in processione per lasciare l’aula, Perona già sulla porta spalancata, la maniglia stretta in mano, in attesa che loro, o qualcuno in particolare di loro, la raggiungessero.
Con un sorriso, Koala recuperò il foglietto giallo dalla cattedra ed esclamò un “buona serata, professore!”  così cortese da risultare appena tollerabile per Vergo. I corridoi erano ancora vuoti e immersi nel silenzio quasi totale, a parte per i suoni ovattati che provenivano dall’aula dove si teneva il Glee Club, unica attività extracurriculare che non aveva luogo al piano terra, in palestra o in giardino.  
Per un attimo i quattro ragazzi ebbero un assaggio di quello che sarebbero stati i corridoi durante i giorni in cui avrebbero dovuto sostenere i loro esami di fine liceo e, senza tutto lo stress e la tensione che li avrebbe inevitabilmente accompagnati e con il sole che bagnava il pavimento, le pareti e gli armadietti, si sentirono padroni della scuola e delle loro vite, liberi di fare tutto ciò che avrebbero voluto, pronti a spaccare il mondo.
Senza parlare, raggiunsero l’uscita che dava sul giardino frontale. Quando il tepore del sole li investì in pieno senza più il filtro delle ampie finestre di vetro, si fermarono sul patio di pietra grigia per godersi per un attimo quella splendida sensazione.
Fu Ace a rompere il silenzio, le mani in tasca e un’alzata di spalle. «Questo decisamente vale la pena di un otto in condotta.»
 

 
***

 
Raftel High School – Giardino
Ore 16.55
 
«Mi spiace che il secondo piano fosse inagibile.» mormorò Sabo, passandosi una mano sul coppino mentre camminava con Bibi verso una delle panchine della zona del giardino adibita a mensa all’aperto. Data l’impossibilità di accedere al secondo piano dove si trovavano tutti i laboratori, il giro all’interno era risultato paradossalmente molto più rapido e breve di quello all’esterno.  
«Non preoccuparti.» lo rassicurò subito la ragazza, accomodandosi e lisciando distrattamente le pieghe della gonna, gli occhi puntati sul futuro compagno di scuola a regalargli un ampio sorriso. «Alla fine se è esploso il laboratorio… Comunque mi sono fatta un’idea della scuola.» 
Sabo rimase in contemplazione alcuni secondi, riflettendo l’espressione di Bibi ma risultando, per qualche misteriosa ragione, decisamente ebete. Sobbalzò appena nel rendersene conto e si affrettò a raggiungerla sulla panca, sedendosi molto più vicino del necessario. Fu con una piacevole stretta allo stomaco che constatò che, pur avendone lo spazio, Bibi non si mosse di un centimetro per allontanarsi da lui.
«Allora dicevi che dovresti cominciare lunedì prossimo.» mormorò sotto voce, le ciocche turchine della ragazza che gli solleticavano il naso e la guancia.
Bibi gli lanciò una timida occhiata di sottecchi e prese un respiro a labbra schiuse, a corto di fiato. «Sì, i-infatti. Esatto.»
«Ti sei traferita da poco a Raftel?» provò a indagare il biondo, curioso di capire le ragioni di un trasferimento in un momento così casuale del semestre.
«Ahmmm… no, non esattamente. Io… Uh?!» Bibi sgranò gli occhi quando un aeroplanino di carta gialla atterrò lieve sulle sue gambe. Perplessa quanto Sabo, lo prese tra le dita per esaminarlo prima di spiegarlo con cura e leggere in silenzio cosa dicevano le scritte, vergate in elegante corsivo.
L’espressione di Bibi virò a una di stupore mentre le sue guance si arrossavano appena. Si schiarì la gola quando ebbe finito di leggere e tese il foglietto a Sabo, guardandolo con la coda dell’occhio. «Credo sia per te.» affermò mentre si portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio con la mano libera.
Accigliato, Sabo afferrò ciò che gli veniva offerto e lo studiò a sua volta, gli occhi socchiusi. Un campanello d’allarme prese a suonare immediatamente nella sua testa, riconoscendo il pezzo carta come qualcosa di famigliare e negativo. E, sebbene non avesse alcun problema a decifrare la precisa grafia con cui era stato compilato il foglio, Sabo ci mise un bel momento, probabilmente perché il suo cervello di rifiutava di prendere coscienza della cosa,  a realizzare pienamente che teneva in mano la copia di un avviso di sospensione, che quella era la scrittura di Vergo e che nelle riga dedicata al nome dello studente c’era segnato il suo nome, così come in alto a destra la data del giorno corrente.
Sgranò gli occhi inorridito. Merda, merda e ancora merda!
Okay, non era come se non sapesse che correva quel rischio, non era come se una piccola e remota parte di lui se lo fosse aspettato. Ma, punto numero uno, non ci stava più pensando, tanto che realizzò solo in quel momento che non aveva con sé giacca e zaino, e, punto numero due, Bibi avrebbe capito, anzi probabilmente aveva già capito, che le aveva raccontato balle per quasi due ore.
Ma chi era lo stronzo che aveva pensato bene di lanciare l’aeroplanino di carta sulle gambe di Bibi anziché consegnare il foglio direttamente nelle sue mani?!
Arrabbiato, sollevò la testa per individuare il colpevole ma non c’era nessuno in vista. A meno che…
«Visto che lancio ad effetto?!»
Sabo si girò di scatto verso sinistra. L’aeroplanino era arrivato da destra ma non si stupì quando vide Ace fingere di lucidarsi le unghie contro il giubbotto di ecopelle, in un gesto di vanto. Suo fratello era un mostro in tutte quelle cose un po’ inutili ma anche inevitabili della vita, come il lancio degli aeroplanini di carta appunto, la pisciata in lungo e il birra-pong.
«E poi si chiedono perché sono la punta di diamante dei Moby Dick.» aggiunse il moro, ammiccando verso Perona, che mandò gli occhi al cielo.
«Vergo vi ha fatti uscire prima.» constatò stupito e accigliato Sabo, osservando il quartetto mentre si avvicinava.
«Per dieci minuti.» puntualizzò Koala, fermandosi davanti a loro. «Te, ti ha fatto uscire due ore fa.» gli ricordò mentre porgeva una mano e un sorriso a Bibi. «Piacere, io sono Koala. Studentessa nuova?» 
«Sì. Mi chiamo Bibi, piacere.» annuì l’azzurrina, afferrando la mano di Koala.
«Benvenuta!» la salutò Koala con un sorrisone che venne subito ricambiato da uno più lieve di Bibi. Koala piegò appena il busto verso di lei. «Spero che Sabo sia stato educato e non abbia dato troppo spettacolo mentre era in tua compagnia.»   
«Senti da che pulpito!» esclamò subito il chiamato in causa, sulla difensiva. «Non sono io ad aver rotto il naso a un professore!»
«Non sono io ad aver fatto saltare in aria un laboratorio.» ribatté Koala, le mani sui fianchi.    
Sabo sgranò gli occhi e deglutì a vuoto, lanciando una rapida occhiata a Bibi. «Non so di cosa tu sti…»
«Dacci un taglio, lo sa tutta la scuola che siete stati tu ed Ace. Lo avrebbe scoperto comunque il suo primo giorno qui alla Raftel.» intervenne Perona, indicando Bibi con un cenno del capo.
Si fissarono alcuni secondi prima che Sabo si lasciasse andare a un sospiro rassegnato ma anche, in qualche modo, liberatorio. Portò una mano alla nuca, troppo in imbarazzo per girarsi a guardare Bibi e chiederle scusa. Fortunatamente suo fratello venne in suo soccorso senza volerlo, cambiando bruscamente argomento prima che la finestra di tempo per le scuse si chiudesse.
«Parlando di spettacoli comunque, non sai cosa ti sei perso!» esclamò Ace, raggiungendo il fianco di Koala in una falcata. «Ha affrontato Vergo come una vera pro! Avresti dovuto vederla, la nostra piccola rivoluzionaria!»
Perona si irrigidì suo malgrado quando Ace passò il braccio intorno alla spalle di Koala e le schioccò un bacio tra i capelli. Koala sorrise con un misto di imbarazzo e soddisfazione e posò una mano sul pettorale di Ace, mentre lui le pizzicava una guancia.
Lo stomaco di Perona si contrasse in un fastidioso e pungente spasmo. Forse era lei che era irrazionale, forse era che a causa della propria misantropia non sapeva come classificare le relazioni altrui ma dal suo punto vista sembrava un gesto parecchio intimo per due semplici amici. Strinse i pugni lunghi i fianchi, concentrata per rimanere impassibile. Non avrebbe rischiato di dare a nessuno, men che meno a quel casanova di Portuguese, l’impressione che fosse delusa.
Anche perché non era vero, non era affatto delusa, non le importava niente, a lei, della vita privata di Ace e delle sue relazioni. Che si comportasse come gli pareva, che si facesse chi meglio credeva, a lei importava meno di zero. Non era come se fosse caduta vittima del fascino di Mr. Lentiggine, lei non era come tutte le altre ragazze della Raftel, non sarebbe stata solo un numero nella sua testa o una tacca sulla testata del suo letto o…
Il filo dei suoi pensieri si spezzò di netto quando qualcosa si incastrò tra le dita della sua mano sinistra. Sorpresa, girò il viso nella stessa direzione e il suo stomaco si esibì in un doppio salto carpiato nel ritrovarsi accanto Ace, con la mano intrecciata alla sua. A occhi sgranati, Perona abbassò lo sguardo sull’intreccio delle loro dita, così incredula da non riuscire nemmeno a protestare.
«Comunque ragazzi, è tutto molto bello ma ora devo salutarvi perché è arrivato il momento di offrire una cioccolata a questa splendida creatura qui accanto a me.» cominciò a congedarsi Ace, con fare teatrale, bloccando con il proprio pollice quello di Perona così da impedirle di sfilare la mano dalla sua.
Quando Perona riportò gli occhi sul viso di Ace il cuore le perse più di un paio di battiti. Nonostante il suo immancabile atteggiamento da playboy, Ace la stava fissando serio, con una muta domanda negli occhi mista a speranza e Perona si diede della deficiente per essersi agitata tanto un attimo prima e per aver pensato davvero che lo scambio con Koala fosse il gesto più intimo che un ragazzo potesse fare con una ragazza.
Non era niente, assolutamente niente, rispetto al modo in cui Ace le stava tenendo la mano. Deciso ma delicato, pronto a lasciarla andare se solo lei avesse voluto ma con tutte le evidenti intenzioni di marcare il territorio e mettere le cose in chiaro almeno davanti ai presenti.
«Giusto.» si riscosse Perona dopo un periodo indefinito, staccando a fatica gli occhi da quelli di Ace. «Noi dobbiamo andare a parlare con Pudding. Anche se io non ti avevo ancora detto di sì all’invito.» aggiunse sottovoce, in modo che solo lui potesse sentirla.
«Sei ancora in tempo a tirarti indietro, se vuoi.» le fece notare il moro con un sorriso, ma c’era una punta di tensione nella sua postura, tensione che si dissolse quando Perona, per tutta risposta, cambiò posizione alla mano per incastrarla meglio con la sua.
«Pudding?» domandò Bibi, corrugando le sopracciglia. «Che strano nome.»
«In realtà si chiama Charlotte. Sono i suoi fratelli che l’hanno sempre chiamata Pudding e sono tipo in ventordici. Quando lei ha cominciato il primo anno di elementari aveva un fratello in ogni classe dalla seconda elementare all’ultimo anno di liceo e così si è trascinata il soprannome fino alla maturità. E siccome poi ha aperto una cioccolateria qua dietro la conoscono ancora tutti così.» spiegò Koala, stringendosi nelle spalle.
Bibi portò una mano alla bocca a coprire elegantemente una risata.
«Ma vuoi dire che non sei mai stata alla sua cioccolateria?» chiese Sabo e Bibi, ancora sorridente, scosse il capo. «Bisogna porre immediatamente rimedio!» affermò il biondo, aprendo appena le braccia. «Tipo ora? Che ne dici?»
«Beh…» cominciò Bibi, chiaramente emozionata dalla proposta.
«A meno che Portuguese e Perona non avessero in mente un appuntamento intimo.» fece presente Law, il tono sempre un po’ strascicato.
Incredulo, Sabo si girò verso di lui e lo fissò alcuni secondi prima di cercare Koala con gli occhi. «Lui parla!» esclamò indicando il compagno di scuola che, braccia incrociate al petto, roteò gli occhi esasperato. «Parla!» ripeté Sabo, voltandosi verso Ace dal momento che Koala si era limitata ad arcuare le sopracciglia.
«Eh già!» rispose Ace, dando una non apprezzatissima pacca sulla spalla a Law. «Pazzesco vero? Comunque se volete aggregarvi non c’è problema, tanto io e Perona andiamo al cinema domani sera.»
Perona gli lanciò un’occhiata indignata. «Ho danza domani sera!»
«Davvero?! Devo essermi confuso, è dopodomani allora.» recuperò subito Ace, con un sorriso da prenderlo a schiaffi.
«La smetti di decidere tutto da solo?!»
«Perché?! Non vuoi andarci?»
«Io… Io… Oh vai al diavolo, Ace!» esclamò la rosa, senza però accennare ad allontanarsi da lui né a separare le loro dita.
Ace la fissò perso un paio di secondi prima di tirarle gentilmente il braccio. «Dai sbrighiamoci che se no finiscono tutti i tavoli.» propose, parlando con tutti ma fissando lei.
Sabo si affrettò a mettersi in piedi, infilare giacca e zaino e porgere il braccio a Bibi che, un po’ titubante, lo agganciò e prese a camminare al suo fianco e dietro a Ace e Perona, diretti verso l’uscita. Koala li seguì a ruota ma si fermò dopo appena pochi passi, girandosi interrogativa verso Law.
«Che fai lì impalato?»
Law sollevò scettico un sopracciglio. «Non so se voglio passare il resto del pomeriggio a sentire esclamazioni su quanto è pazzesco che io parli.» considerò, indicando con il mento Ace e Sabo.
Koala, le mani nelle tasche della giacca di ecopelle, sorrise saputa. «Ne vale la pena per la cioccolata al cocco che fa Pudding. E poi, puoi sempre ignorare loro e parlare con me.» aggiunse con un interessante guizzo negli occhi.
Law non lo avrebbe ammesso mai ma una voce nella sua testa, chiaramente non sua, non poteva essere sua, esultò all’idea di quella prospettiva. E allo stesso modo chiunque fosse dentro la sua testa doveva aver preso possesso delle sue facoltà fisiche perché non era stato lui a ordinare alle proprie gambe di mettersi in moto e affiancarla. Eppure eccolo lì e non era come se volesse essere da qualche altra parte.  
Accelerarono per raggiungere gli altri, che se ne stavano andando senza tanti complimenti, ma una colonna di studenti attraversò il giardino in direzione perpendicolare alla loro, rischiando di investirli. Fu troppo forte l’istinto, per Law, quando vide Koala fare un passo di troppo, afferrarla per la vita e trascinarla indietro, appiccicandosela al torace.
Si irrigidì quando realizzò pienamente ciò che aveva fatto ed ebbe quasi paura ad abbassare lo sguardo per incrociare quello di Koala, quando la sentì chinare il capo all’indietro per guardarlo. Ma Koala si limitò a sorridere, non fece commenti e si separò spontaneamente da lui quando la strada fu di nuovo libera.
Law la raggiunse di nuovo in due falcate, l’espressione impassibile e le mani in tasca. Camminarono senza una parola, finché il chiacchiericcio degli altri studenti non divenne solo un lontano e ovattato sottofondo e il silenzio cominciò a infastidire Law. Il che era un evento più unico che raro perché a Law il silenzio piaceva, e tanto.
«Spero non faccia anche la cioccolata al latte condensato.» commentò senza riuscire a trattenere un ghigno.
Koala si girò a guardarlo quasi indignata.
Sì, il silenzio gli piaceva tanto ma forse gli piaceva di più parlare con Koala.
«Oh ma dai!» protestò Koala, tirandogli un pugno sul braccio e scoppiando suo malgrado a ridere. «E comunque io la cioccolata la bevo normale! Al massimo con la panna.» mise in chiaro mentre recuperavano finalmente gli amici e si accodavano dietro a Sabo e Bibi.
«Ah-ehm.» Sabo si schiarì la gola proprio in quel momento, guardando dappertutto tranne che la ragazza agganciata al suo gomito. «Bibi, io volevo scusarmi per… insomma per…»
«Per avermi detto che sei il reporter dei rappresentati d’istituto e invece ti occupi dello sport? O per avermi fatto credere che Coby ti avesse chiesto di sostituirmi e in realtà eri scappato dall’aula-punizione? O per aver fatto finta di niente riguardo all’esplosione del laboratorio?» venne in suo soccorso Bibi e Sabo si sentì andare a fuoco mentre pregava di venire inghiottito seduta stante dal marciapiede.
«Io non…»
«Non preoccuparti!» lo interruppe Bibi con un sorriso che brillava come il sole. «Ho capito subito che mi stavi raccontando frottole. C’è da dire che ti è andata male. Coby non ha il mio numero di cellulare e poi Cora-san si è lasciato sfuggire quel dettaglio riguardo al tuo articolo… Per quel che riguarda il laboratorio ho fatto due più due e tirato a indovinare.»  si strinse nelle spalle Bibi. «Ma mi stavo divertendo e quindi ho fatto finta di niente. Purché non sia un tuo brutto vizio ovviamente.» mise in chiaro, parlando sempre dolcemente e lasciando Sabo interdetto.
Ace fischiò tutta la sua approvazione, guardandola da sopra la propria spalla. «Fratello, ti ha fregato per bene!» esclamò al colmo del divertimento. Poi un pensiero lo colpì e aggrottò le sopracciglia. «Come mai ti trasferisci alla Raftel a proposito, Bibi? Sei nuova in città?»
«A… A dire il vero no…» tentennò l’azzurrina. «Andavo all’Alubarna prima.»
«La scuola privata nel quartiere di Alabasta?» chiese conferma Koala.
«Sì, quella.»
«E come mai vuoi cambiare?»
«Ace!» lo ammonì subito Perona. «Magari è una cosa personale.»
«No beh, cioè sì in un certo senso sì ma… ecco dubito di poterlo tenere nascosto per molto, comunque.» considerò, tirandosi indietro i capelli dal viso con una mano «Non è che voglio cambiare. È che mi hanno espulsa per aver aggredito verbalmente una professoressa che stava mettendo pressione a una mia compagna di classe durante un’interrogazione.» confessò per l’ammirazione di Ace, Perona e Koala e il genuino shock di Sabo.
Law ghignò divertito, avvicinandosi un po’ di più a Koala. «Questo semestre si fa sempre più interessante.»









Angolo dell'autrice: 
Ebbene sì! E' finita ma non è finita! 
E' finita perchè le tre ore di punizione sono finalmente giunte al termine ma potrei mai abbandonare questi sei cioccolatini al loro destino? No, non credo. 
Quindi intanto io ringrazio molto più che di cuore Jules, Zomi, Anna, Daimler e Momo per le recensioni. Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, preferito e letto la storia. E spero di ritrovarvi presto con il seguito. 
Pace e bene e baci a tutti! 
Page. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3641885