Nelle mani del Diavolo

di SmileGiveMeFive
(/viewuser.php?uid=252097)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


PROLOGO



“Ci rivediamo, Mycroft. Non mi sorprende che tu abbia capito come ho fatto. D’altronde sei tu il fratello più intelligente. Banale, ma arguto.”
 
“Ti ringrazio, James. Per questa volta farei a meno dei sacrosanti convenevoli inglesi. Puoi immaginare il motivo della mia visita.”
 
Discussero a lungo e dettagliatamente sulla rientrata in scena di James Moriarty; il quando, il come e il dove curati in modo quasi maniacale.
 
“Il video, l’hackeraggio delle reti TV… quanta ostentazione! Non posso certo lamentarmi, anzi. E’ la motivazione ad essere un tantinello stonata. Un sibilo nei timpani. Salvare Sherlock da una missione mortale... quanto altruismo, quanto amore,” Moriarty strascicò l’ultima parola. “Dare la tua vita in cambio della sua è un sacrificio alquanto nobile. Ma anche molto stupido!” concluse gridando.
Scosse la testa e riservò ad Holmes uno sguardo carico di pena e compassione. Una recita coi fiocchi. Così spietatamente realistica che per un fugace attimo Mycroft si sentì in sua balia.
E Jim ne approfittò. Ormai Holmes era innocuo e poteva giocarci quanto voleva, senza rischio alcuno.
Riprese a parlare: ”Sai che ho accettato questo scambio unicamente per riscaldarmi un po’, vero? Tu sei solo l’antipasto prima della portata principale. Sherlock si dannerà l’anima per trovarti, sta’ tranquillo. Forse riesco pure a fargli scappare qualche lacrimuccia se mi metto davvero d’impegno. Ti piacerebbe? Vederlo straziato per te? Ma non voglio svelarmi troppo, né distruggere la tua dignità prima del dovuto. Dopotutto sei sempre stato un ostacolo di un certo calibro.”
Un pensiero raccapricciante illuminò lo sguardo del Napoleone del crimine. Mycroft lo tradusse e gli si gelò il sangue, fino all’ultima molecola di colesterolo.
 
“Quando potrò ritirare il pezzo da novanta?” chiese Jim.
 
“Quando le acque si saranno completamente calmate. A settembre potrebbe andare. Preavvisami del giorno in cui passerai, farò in modo di allontanare la sicurezza” rispose Mycroft, serio.
 
“Spero che la nostra chiacchierata non ti abbia annoiato troppo. Ti garantisco che la prossima volta ci divertiremo di più.”
 
Sancirono l’accordo con una stretta di mano. Mycroft Holmes aveva appena fatto un patto col diavolo.










******

Sproloquio d'autrice:
Ipotetica quarta stagione, molto distante da quella presentataci nel trailer perchè pensata e scritta ben prima che venissero fuori i primi spoiler. Moriarty è vivo, sì, ma non mi sono curata di inventare una scusa credibile per la sua resurrezione perchè non è rilevante per la storia.
Spero di avervi incuriositi!

Alla prossima,
SmileGiveMeFive

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


I GIORNO


Era una giornata uggiosa e malinconica quando Mycroft  uscì dalla sua villa  scortato da due scimmioni in giacca e cravatta
Prima di venire incappucciato e costretto a salire sul taxi in sosta, alzò gli occhi al cielo, rassegnato all’idea che sarebbe stata l’ultima immagine priva di sangue che avrebbe visto.
Chinò la testa e sorrise amaramente quando si ricordò che non avrebbe più rivisto neppure… Non importava. Era anche per lui che lo stava facendo. Avrebbe voluto confidare nei suoi uomini, in suo fratello, ma questa volta Jim Moriarty era stato più furbo, più silenzioso.
Secondo i suoi calcoli, non lo avrebbero salvato in tempo. E, di solito, aveva maledettamente ragione.
 
Quando la macchina frenò Mycroft sapeva perfettamente dove si trovava. Gli tolsero il cappuccio solo dopo aver attraversato molti corridoi e aver sceso molte scale. La stanza in cui lo avevano portato era ampia, umida e disseminata di scatoloni rosicchiati.
 
“Il magazzino dell’ex centro commerciale Debenhams, ottima scelta” disse Mycroft abbottonandosi la giacca. Si accomodò sull’unica sedia presente.
Ad un cenno di Jim un uomo alto e prestante lo legò alla sedia, forzandogli le mani dietro lo schienale e legando anch’esse. La corda era robusta e ruvida. Gli ricordò una delle poche missioni finite male nei suoi tempi d’oro. Trattenne un conato di vomito. Altro che il trattamento dei Serbi su Sherlock. 
 
“Moran, lasciaci soli.” La voce di Moriarty spezzò la tensione, netta come un’accoltellata.
 
Il subordinato obbedì.
 
“Per oggi ho chiamato uno specialista. Ho pensato che per il debutto ci volesse qualcosa di speciale, non voglio certo deludere le aspettative del nostro pubblico.” Jim ghignò compiaciuto quando tirò fuori dal cassetto della scrivania un laptop munito di webcam. Accesa ed ora puntata su Mycroft.
 
“Il gioco è cominciato.”


******



Greg stava sorseggiando del caffè in ufficio, le scartoffie sparpagliate ovunque in un vano precedente tentativo di riordinarle. Il cellulare vibrò e pregò intensamente non si trattasse di Sherlock. Era troppo presto e troppo sovrappensiero per gestire l’infante. Sbloccò il cellulare e un video si riprodusse autonomamente. La scritta “Live” lampeggiava nell’angolo del display. Dopo un paio di secondi realizzò.
E smise di respirare. Le vene dei polsi dolenti.
 
La scarica elettrica lo attraversò brutalmente, ustionandolo dall’interno. Stringeva spasmodicamente i pugni, le unghie corte si conficcavano nel palmo fino a spellarlo. Il sistema nervoso portato allo stremo. Ogni singola cellula del corpo di Mycroft era in fibrillazione. Richiamava con tutto se stesso l’autocontrollo esercitato per anni,ma lamenti disperati gli sgomitavano in gola e nulla poté per trattenerli.
 
Quando le prime grida riecheggiarono distorte nell’ufficio, Gregory recuperò abbastanza lucidità da chiamare Sherlock. Entrambi potevano udire il sottofondo straziante nell’altra linea.
 

******


“Sei un idiota!”

“Scusi, è stato un error-“

“Non voglio scuse! Se muore ti faccio squartare vivo!” Moriarty era livido di rabbia. Per una scarica di volt sbagliata Mycroft aveva rischiato l’arresto cardiaco. “Moran! Fa’ sparire questo incapace”, ordinò James furioso.
 
Una delle equipe mediche più qualificate del Paese stava tentando di rianimare Holmes. E a motivarli, oltre al giuramento di Ippocrate,  erano le grida strozzate dell’esperto della sedia elettrica.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


X GIORNO


“Una mostra d’arte sui ragni, e tu credi davvero che Moriarty non c’entri nulla?”, Sherlock si alzò dal divano e continuò: “E’ da troppo tempo che non si fa vivo. Reclama attenzioni ed è un bene, significa che mio fratello è ancora vivo.”

John lo studiò in silenzio. Sherlock non poteva sapere con certezza se si trattasse di Moriarty, tantomeno se Mycroft fosse ancora vivo.

“Se lo avesse ucciso mi avrebbe sbattuto in faccia il suo cadavere prima che si decomponesse. Moriarty è un sadico, ma troppo raffinato per una mossa così volgare. Sono passati dieci giorni dal video, avrebbe dovuto agire ancora giorni fa.”

John pensò alle decine di modi esistenti per conservare un cadavere. E pensò anche che Sherlock li conosceva tutti, senza dubbio.

“John.”

“Sì?”

“Smetti di pensare.”
 

******


Nel pomeriggio John e Sherlock si recarono alla mostra. I quadri e le sculture dedicate agli aracnidi erano incredibilmente un’infinità. John stava osservando una scultura in marmo di una donna con zampe di ragno, attorcigliata in una ragnatela, quando si sentì toccare una spalla.

“Ciao, John” lo salutò Lestrade con evidente fastidio.

“Ah. Ciao Greg.”

“Anche voi qui?” chiese il DI con falsa ingenuità. Un sopracciglio alzato che invitava il povero John ad una scusa più o meno credibile.

Il dottore, dal canto suo, non poteva certo dirgli che Anthea aveva costretto lui e Sherlock a non coinvolgerlo nelle indagini.

“Anthea è con me,” riprese Greg in aiuto all’amico. “Abbiamo raggiunto un compromesso, devo girare perennemente con la scorta.” Sbuffò e sarebbe andato avanti a protestare se Sherlock non li avesse raggiunti.

Quest’ultimo si rivolse a Lestrade: “Scorta?”

“Eccome.”

“C’è anche Anthea?”

“Da qualche parte ad osservarci.”

“Ottimo, potremmo aver bisogno di finanze.”

Un fragore di applausi dalla sala aste li interruppe. Il quadro che stava per essere presentato raffigurava un’enorme ragnatela rossa dipinta su una tela bianco latte. Gregory non sapeva se fosse per il bianco innaturalmente candido o per il soggetto raffigurato, ma trovava l’opera raccapricciante.

“Questo pezzo unico di Vincent Cast è stato dipinto solo ieri. Per chi non lo sapesse, l’autore utilizza sangue di suino per dipingere, ovviamente trattato da degli esperti e il tutto secondo le norme. L’inusuale tela di polistirolo è alta un metro e cinquanta e larga due metri” declamò il battitore con voce nasale.

Sherlock deglutì. Mandò un messaggio ad Anthea e ordinò a John e Lestrade di sedersi e aspettare. In cinque minuti l’intero edificio fu evacuato. Uomini armati sorvegliavano le entrate, mentre un equipe di scienziati maneggiava il  quadro.

“Penso,” iniziò Sherlock. “Penso che il sangue utilizzato su quel quadro non sia di suino.”

Anthea sospirò e si avvicinò agli scienziati, lasciando Greg e John ad assimilare la notizia.

“Vuoi dire che quel sangue è di,” Gregory deglutì. “E’ di Mycroft?”

“Potrebbe essere, sì” rispose il detective.

Lestrade si abbandonò su una poltrona. Fissò la ragnatela dipinta e ne tracciò ogni riga con lo sguardo.
Ogni pennellata era un taglio sulla sua pelle, lo scricchiolare del polistirolo un osso spezzato. Pregò non si trattasse del sangue di Mycroft, ma di un tipo qualsiasi, un disgraziato a caso su sette milioni. Si sentì un verme a provare sollievo a quell’idea.

“Porteremo il quadro nei nostri laboratori. Vi avviserò appena avremo i risultati. Ora andate a casa, una macchina vi sta aspettando davanti all’uscita” disse Anthea.
 

******


Nella berlina i tre uomini stavano in silenzio. L’autista fischiettava mentalmente un motivetto. Osservava di soppiatto i passeggerei; loro non potevano saperlo ma avevano l’onore di essere il suo primo incarico.
L’uomo dai capelli ricci, che zigomi perbacco! stava sicuramente pensando a qualcosa di complesso. Guardava fuori dal finestrino. La fronte corrugata, lo sguardo corrucciato. Si trattava del fratello di Mycroft Holmes, uno dei soggetti che doveva proteggere a costo della vita. Sherlock Holmes stava sicuramente soffrendo, ma il suo corpo non parlava lo stesso linguaggio dell’anima.
John Watson era irrequieto. Si torturava le mani, si asciugava la fronte da sudore immaginario. E controllava come stesse Sherlock. Era preoccupato, stava pensando a come aiutarlo. Un buon amico. Anche lui ne aveva conosciuto uno così quand’era ragazzo. Forse un po’ gli somigliava pure. Purtroppo era scomparso da parecchi anni.
Più tardi avrebbe dovuto riportare parte di quelle informazioni in una relazione, ma non poté.
Un camion gli tagliò la strada e lo costrinse ad un violento testacoda. Il Ragno aveva deciso che era ora di giocare.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Gregory fu il primo a scendere dalla macchina. Entrò in casa e si sedette sul divano.
Rimase a fissare il pavimento per parecchi minuti. Come poteva essere realtà ciò che stava accadendo? Il giorno stesso in cui aveva ricevuto il video della tortura di Mycroft, Anthea si era presentata a casa sua con alcuni agenti che avevano piazzato numerose telecamere in ogni stanza. La donna gli impose di non indagare e di restare sbarrato in casa fino a nuovo ordine. Lestrade si ritrovò a dover gestire stupore e dolore al contempo.
Quando Anthea gli spiegò che il suo capo le aveva lasciato di recente ordini ben precisi da attuare in caso d’emergenza, Greg le chiese il perché, come se avesse Mycroft di fronte a sé. Gli occhi gli pizzicavano e provava un velo di rabbia. Conosceva benissimo il perché, ma il fatto che non potesse chiederlo direttamente a Mycroft lo faceva arrabbiare.
Anthea gli sorrise comprensiva e si congedò con un cenno del capo, lasciando l’Ispettore solo, ad annegare nei suoi pensieri. Gli stessi pensieri che ora, nel soffocante silenzio della stanza, riemergevano violentemente.
Voleva bene a Mycroft, insensatamente troppo per le poche volte che si erano visti. Era bello parlare con lui; anche se toccavano argomenti impegnati non lo trattava come un idiota, a differenza del fratello minore.
Qualche sfumatura di sufficienza o superbia faceva capolino tra una frase e l’altra, certo, ma Mycroft era l’uomo che era, non si cambia a cinquant’anni. Inoltre trovava buffa la sua pungente ironia. Dentro vi era tanta verità da spaventare il filosofo più curioso, e Greg se la rideva.
Si alzò dal divano per guardare fuori dalla finestra. L’eccessiva illuminazione dei lampioni, come ogni notte, si era portata via le stelle.
Preso da un attacco d’ira strinse la mano a pugno e la sbatté con forza contro il vetro. L’oscurità inghiottì ogni cosa. Case, macchine, persone. Un black-out stava nascondendo un isolato di vita. Lestrade guardò la mano ancora stretta a pugno con un misto di colpevolezza e soddisfazione. Ma fu un attimo.
Nel buio più totale udì una violenta frenata in lontananza. Susseguirono rumori di clacson, ferro che sbatteva con altro ferro e grida spaventate.
Greg realizzò la gravità della situazione e raccolse tutto l’autocontrollo di cui era dotato. La luce tornò.
Ma non fece in tempo a voltare la testa che un catenaccio gli avvolse il collo.

“Rilassati”, gli soffiò una voce roca nell’orecchio.

Rabbrividì.
Tentò di divincolarsi, ma invano poiché la presa dello sconosciuto si faceva sempre più decisa. La sensazione di soffocamento annebbiò le altre percezioni. Tutto d’un tratto si sentì esausto. Non riusciva più a reagire. Provava un certo sollievo all’idea di arrendersi. Per una gelida frazione di secondo invocò la morte, ché gli risparmiasse il marciume che ancora non aveva conosciuto del mondo.

“Il sangue di Myc ha un buon sapore, sai?”

Quella voce disgustosa, però, fu provvidenziale. Nella mente di Lestrade fece capolino il ricordo più bello che avesse di Mycroft, su cui il sangue si espanse a macchia d'olio. Dal completo elegante al volto sorridente. Mycroft Holmes era ridotto ad uno straccio implorante.
Lo strangolatore, perplesso dall’eccessiva inerzia dell’uomo, si distrasse. Greg ne approfittò. Gli fece perdere l’equilibrio e si liberò dalla presa. Lo colpì ripetutamente e senza pietà. Lo afferrò per la maglia e gli sputò in faccia che avrebbe salvato Mycroft e condotto all’inferno Moriarty.  
L’assassino, dal canto suo, non era tanto più alto di Lestrade, ma abbastanza tonico da incassare i colpi e sbattere la testa dell’ispettore contro uno specchio, frantumandolo.

“Muori, vecchio.”

L’uomo venne freddato prima che potesse infliggere il colpo di grazia a Greg. Cadde a terra, esanime, con le cervella di fuori.
Gregory, steso a terra semicosciente, udì una serie di passi e una voce maschile sconosciuta che lo chiamava. Cercò di alzarsi, ma una dolorosa emicrania lo costrinse sul pavimento.


******


“Io salverò Mycroft e manderò Moriarty dritto all’inferno!”

Le immagini non erano nitide, ma Mycroft distinse perfettamente il viso dell’uomo a cui apparteneva la voce. La mente lavorava per i suoi occhi stanchi. Trattenne un sussulto quando vide una mano prendere la testa di Greg e sbatterla con violenza sullo specchio.
Jim spense il video.

Si rivolse ad Holmes: ”E’ ora di fare la nanna, Myc. E’ stata una luuunga giornata.”

Sorrise in modo malato.
Quanto quell’uomo fosse cattivo lo si poteva intuire dagli occhi. Ma era il sorriso, a cui ultimamente si lasciava andare spesso, a svelare la sua indole depravata.

Stava per uscire dalla stanza quando Mycroft lo richiamò: “James,” quest’ultimo si fermò, continuando a dargli le spalle. “Cosa è successo a,” dovette riprendere fiato, sentiva i polmoni bruciare. “A Sherlock e al dottor Watson?”

Jim scoppiò in una risata isterica: “E’ proprio vero che sei un passo avanti al tuo fratellino.”

Lo lasciò così.
Appena la porta si chiuse Mycroft si rilassò. Espirò profondamente e riversò la testa all’indietro. Sentì le cuciture delle ferite tirare. Di stare ulteriormente seduto non se ne parlava. La spina dorsale implorava pietà.
Avendo le mani legate dietro la schiena si alzò con la sola forza delle gambe. Ma queste cedettero e Mycroft si ritrovò riverso a terra, esausto. Gemette sofferente a causa dell’impatto poco gentile.
Il pavimento odorava di sangue, il suo sangue. Le chiazze cremisi sulle piastrelle gli ricordarono che in quel momento era al pari di una bestia al macello.
Gli tornò in mente il rumore della frenata che aveva udito nel video girato dal sicario. John e Sherlock si trovavano in quella macchina e i suoi uomini a comando di Anthea erano intervenuti. Altrimenti non si sarebbe spiegato come nessuno avesse impedito l’aggressione nei confronti di Gregory. Qualcosa di importante doveva averli distratti.
Si girò sulla schiena con molta fatica, ma dimentico di un profondo taglio sulla scapola sinistra quasi gridò. Soffocò la sofferenza in un gemito roco. Udì la porta aprirsi con un cigolio. Si mise a gambe incrociate, ignorando il dolore immenso con cui pagava ogni movimento troppo brusco.
Portò i suoi occhi in quelli sanguinari di Moran. Quest’ultimo gli si avvicinò e tagliò la corda che gli immobilizzava le mani. Mycroft non potè evitare un flebile sospiro di sollievo. Percepì i grossi nodi che gli avevano scorticato i polsi staccarsi dalla pelle con debole resistenza. Si sentì toccare l’avambraccio. Un tocco deciso. La mano di Sebastian si soffermò per pochi attimi. Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Mycroft ne fu disgustato. Raccolse le poche forze che aveva in corpo e strappò con ferocia il lembo di stoffa su cui Moran aveva posato la sua sudicia mano. Gli risultò semplice data la condizione pietosa cui era ridotta la camicia.
Ripensò al video, all’aggressione. Provò a mangiare un boccone di pane, ma dovette bere dell’acqua per ammorbidirlo. Il pensiero dell’ispettore agonizzante a terra, col volto insanguinato, gli violentò la fame.
Si sdraiò con cautela e prima che se ne rendesse conto stava già dormendo, col bicchiere ancora stretto tra le dita.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***





La strada era un inferno di fumo e lamiere. John aprì gli occhi a fatica.
Vide Sherlock accanto a sé, privo di sensi, la testa poggiata sul finestrino. Tirò un sospiro di sollievo. Era vivo. Raccolte le forze controllò anche lo stato dell’autista. Il polso era assente.
La berlina era pressata tra due macchine schiantatesi su ambedue le fiancate. Guardò a fatica tra le crepe del lunotto posteriore. Macchine e camion ammassate come autoscontri, persone in preda al panico, che tossivano a causa del fumo denso.
Dei lampeggianti stavano sfrecciando a tutta velocità verso quel disastro, ma John non sapeva dire se si trattasse di un’ambulanza o della polizia. Le immagini gli risultavano sempre più offuscate ed un ronzio persistente copriva il resto dei suoni. Si sentiva la comparsa di un film muto di pessima qualità.
Istintivamente si buttò su Sherlock, facendo da scudo col suo corpo, quando una macchia indefinita, con tutta probabilità un furgoncino, travolse il veicolo lampeggiante scaraventandolo contro di loro.
Malgrado il ronzio, il botto, John, lo sentì forte e chiaro.
 

*****


Mycroft stava dormendo da un paio d’ore quando Moriarty entrò nella stanza, provocando un gran fracasso.

“Ben svegliata, Elsa. Dormito bene?”

Il politico sorrise a labbra strette e, senza aspettare la richiesta, si sedette sulla sedia. Già. La sedia. Ne aveva memorizzato ogni scheggia ed imperfezione. Durante le interminabili ore di tortura o di insonnia si concentrava su di esse per mantenere un minimo di lucidità.

Jim fece per parlare, ma Holmes lo precedette: ”Non mi aspettavo di vederti prima di domani. Di solito preferisci non rischiare di sporcarti con gli schizzi di sangue. Ti sei deciso a fare un po' di lavoro sporco o sei troppo impegnato a far finta di essere più intelligente di mio fratello?”

Mycroft alzò il mento, altezzoso e sfacciato lo sfidò con lo sguardo. Iridi di ghiaccio s’infransero contro un muro color petrolio, che vacillò.

Moriarty gli si avvicinò con furia e gli sibilò all’orecchio: ”Ucciderò il tuo orgoglio. Farò a pezzi la tua mente e ti ridurrò ad un insignificante omuncolo… Quando avrò finito con te non resterà più niente dell’arrogante Mycroft Holmes. Anche se dubito interesserà a qualcuno la tua dipartita.”

Il fiato di James era caldo, a differenza della stanza. Il corpo reagì allo sbalzo di temperatura e Mycroft si ritrovò a rabbrividire inconsultamente.
Si sentì leccare il collo. James si portò davanti al suo viso e gli strinse con forza le spalle. Sorrise apertamente, osservando la sua vittima sforzarsi di dissimulare il dolore. Si rivolse compiaciuto verso Moran.

”E’ ora di aprire le danze” cantilenò.


*****





XI GIORNO


L’ospedale era gremito di persone ed Anthea dovette sgomitare per raggiungere la stanza n° 53.
Entrò e si chiuse la porta alle spalle, con delicatezza. Il rumoroso vociare del corridoio divenne un sussurro, un qualcosa di estraneo a quella stanza.

“Come sta, dottor Watson?” sorrise gentilmente la donna.

In quel momento non era necessaria la freddezza imposta dal suo ruolo lavorativo.

“Non c’è male per uno che ha vissuto un grave incidente dodici ore fa,” rispose John un po’ sofferente, sistemandosi meglio sul lettino. “Mi passerebbe il cuscino?”, le indicò dove prenderlo.

“Ma smettila, John, non ti sei fatto niente” intervenne Sherlock.

“No, infatti. Hai ragione. Come sempre, d’altronde. Siamo solo stati sbattuti a destra e a manca in un sandwich di macchine e per poco non venivamo travolti da un’ambulanza. Già: niente” rispose il medico, combattendo l’impulso di strozzarlo.

“Esatto, per poco. A quanto pare non sono l’unica prima donna qui dentro.”

Erano felici di essere vivi, assieme. Ogni pretesto era buono per parlare, per sentire la voce dell’altro ed assicurarsi, per l’ennesima volta, che stesse bene.

John ammonì Sherlock con un’occhiata, poi si rivolse ad Anthea: ”Qual è il bilancio?”, fece un cenno del capo per indicare la realtà che li avrebbe travolti una volta riaperta la porta.

“Nove morti e tredici feriti.”

Calò il silenzio, o quasi. Non vi era altro da dire. Nessuno voleva vi fosse altro da dire. Gli occhi dei tre si posarono sul lettino in cui Gregory Lestrade dormiva da otto ore e il cui respiro rendeva quel silenzio meno definitivo.

“Mycroft ci ucciderà per questo” disse Sherlock, rivolgendosi ad Anthea con un mezzo sorriso.
 

*****


Il primo pugno gli fratturò una costola.

Ancora dormi?

Mycroft boccheggiò alla ricerca d’ossigeno.

Svegliati.

Il secondo, ancor più violento, gli fratturò lo zigomo destro.
Sebastian era mancino.

Svegliati, idiota!










 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


“Meno male che ti sei svegliato, George. John era già pronto a darti per morto sul suo blog, sappilo.”

Greg rivolse al dottore uno sguardo carico di disappunto.

“Ma-ma come diavolo potete pensare che avrei mai fatto una cosa del genere!” si difese John offeso.

“Oh, andiamo. Ammetti che se mai dovessi scrivere qualcosa a riguardo mi affibbieresti minimo un trauma cranico” ribatté il detective distratto, intento a leggere la cartella clinica di Gregory.

Watson corrugò la fronte, indignato da quelle accuse; Gregory non sarebbe stato toccato, ma con Sherlock… oh sì, col suo personaggio si sarebbe divertito. E molto. Gli avrebbe fatto fare la figura che meritava.

“Lestrade, sappi che Mycroft ha assistito all’aggressione. Hanno trovato una microspia addosso all’uomo che è entrato in casa tua.”

“Sherlock, glielo dici così?! E’ uscito dal coma solo qualche ora fa!” lo rimproverò John.

“Questo significa che tuo fratello è vivo.” L’ispettore chiuse gli occhi, esausto, e si lasciò scappare un sorriso.

“E ti dirò di più. L’uomo di Moriarty aveva in tasca un biglietto in cui c’era scritto cosa doveva dirti. Quindi, Lestrade, quell’uomo non ha mai toccato Mycroft in realtà” concluse Sherlock in tono rassicurante.

Gregory annuì e si rilassò fino a cadere in uno stato di torpore.

“Anche mio fratello ti vuole bene, se mai te lo stessi chiedendo,” aggiunse il detective, impegnato a frugare nell’armadio. “E vi do la mia benedizione “ bisbigliò tra sé e sé con noncuranza, tirando fuori da un cassetto un paio di maglioni e studiandone le fantasie improbabili.

“Cosa?” Greg, suo malgrado, lo aveva sentito.

“Niente,” ribattè Sherlock in fretta. “Parlavo… con i maglioni di John. Siano benedetti i maglioni di John, sempre e comunque.”

*****




XII GIORNO


Sul pavimento giaceva ancora il bicchiere che Sebastian gli aveva portato il giorno prima. Era rimasto lì, dimenticato, assieme agli scatoloni ingialliti.
Mycroft era stanco. Inspirava l’aria a piccoli sorsi, maledicendo in ogni lingua la costola fratturata. Oramai seduto o disteso non faceva differenza, si trattava comunque di un dannatissimo inferno.
Moriarty gli aveva fatto portare un secchio pieno d’acqua ed un asciugamano, che ora era più sangue che stoffa.
L’odore nella stanza stava diventando insopportabile.
Per quella notte gli era stato addirittura concesso un materasso.
La fine del gioco era vicina, James voleva evitare ancora per un po’ che il suo prigioniero tirasse le cuoia.
Ventuno morti e nove feriti. Ventuno vite sacrificate per quel teatrino.
Mycroft, invece, era vivo. Non per molto, probabilmente, ma ancora respirava.
Il suo cuore, finché non avesse smesso di pompare sangue, avrebbe alimentato il piano perverso di Moriarty.
E nel frattempo altre vite sarebbero finite. Altri cuori spezzati.
A causa sua.
Che lagna. Aveva davvero voglia di sentirsi rinfacciare ogni giorno una solfa simile? Oltretutto da insignificanti funzionari del governo che facevano del cercare pretesti per tagliarlo fuori dalla politica la loro vita?
Mycroft si alzò dal materassino.
Pochi passi barcollanti e si chinò allungando il braccio.

Gli tornò alla mente un ricordo molto caro, avvenuto all’incirca un anno prima. In quell’occasione si era piegato sulle ginocchia alla ricerca della fede nuziale che da qualche giorno teneva in tasca, nella speranza, appunto, di perderla accidentalmente.
Quell’anello era l’unico testimone di una pazzia giovanile ed estremamente tragica al cui ricordo, dolente e nolente, doveva ammettere non riuscire a separarsi, nonostante fossero passati decenni.
Aveva bisogno di non ritrovarlo più.
Per anni era stato fonte di sollievo, gli ricordava che essere una persona migliore era possibile. Da quando si era reso conto che fosse troppo tardi per tornare ad esserlo, la vista di quell’oggettino lo infastidiva soltanto.
Accucciato nel bel mezzo del marciapiede, fortunatamente poco frequentato, venne urtato e perse l’equilibrio.
Memore della caduta vacillò, ma riuscì ad afferrare il bicchiere e a rialzarsi.
Quel giorno, invece, fu l’ispettore Lestrade ad aiutarlo a rimettersi in piedi, non prima di aver realizzato che Mycroft Holmes se ne stava sul marciapiede con espressione inebetita. Gregory rise e per scusarsi lo invitò a prendere un caffè.
Non era stato il loro primo incontro in assoluto, ma fu il primo senza tensione e silenzi imbarazzanti.
Qualcuno, poi, andò a recuperare la fede per conto di Mycroft. Non era riuscito a rinunciarvi, com’era giusto che fosse, ma guardarla non gli provocava più fastidio.

Il ricordo sfumò e lasciò spazio ai pezzi del bicchiere che Mycroft aveva lasciato cadere a terra.
Raccolse un pezzo di vetro e si sedette sulla sedia. Chiuse gli occhi.
Quando il vetro trapassò la carne del braccio, le fitte alla costola e allo zigomo passarono in secondo piano.









*****

P.s.:
Chiedo scusa per la lunga assenza e spero, nonostante la brevità, che il capitolo sia di vostro gradimento.

Con affetto,
SmileGiveMeFive

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3607867