Hunger Games Galeniss

di alessia20000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quando mi sveglio, l'altro lato del letto è freddo. Allungo le dita per cercare il calore di Prim, ma trovo solo la tela grezza della fodera del materasso. Avrà fatto un brutto sogno e si sarà infilata nel letto della mamma. Ma certo. Oggi è il giorno della mietitura.
Mi sollevo su un gomito. Nella stanza c'è abbastanza luce per vederle. Prim, la mia sorella minore, è sdraiata su un fianco, rannicchiata contro il corpo di nostra madre, le guance vicinissime. Nel sonno la mamma sembra più giovane, un po' consumata, ma non troppo male in arnese. Il viso di Prim è fresco come una goccia di pioggia e incantevole come la primula da cui ha preso il nome. Una volta anche mia madre era bellissima. O almeno così dicono.
Seduto, di guardia accanto alle ginocchia di Prim, c'è il gatto più brutto del mondo. Naso schiacciato, un orecchio mozzo, occhi color purè andato a male. Prim l'ha chiamato Ranuncolo perché dice che il suo pelo giallastro ha lo stesso colore di quel fiore. Mi odia. O almeno non si fida di me. Anche se sono passati anni, credo che si ricordi ancora di quando Prim lo portò a casa e io cercai di affogarlo dentro un secchio. Un gattino rognoso, la pancia gonfia di vermi, pieno di pulci. L'ultima cosa che mi serviva era un'altra bocca da sfamare. Ma Prim iniziò a implorare e si mise anche a piangere e dovetti farlo restare. Alla fine fu meno peggio del previsto. Dopo che mia madre l'ebbe sverminato, scoprimmo che era un cacciatore di topi di prima categoria. Ogni tanto prende anche qualche grosso ratto. Certe volte, quando pulisco la preda, lascio a Ranuncolo le interiora. E lui ha smesso di soffiarmi contro.
Interiora e niente soffi. È la cosa più vicina all'amore che ci sarà mai tra noi.
Sollevo le gambe dal letto e scivolo direttamente dentro gli scarponi da caccia. Pelle morbida che si è adattata ai miei piedi. Mi infilo pantaloni e maglietta, ficco la lunga treccia scura dentro il berretto e prendo la borsa del foraggio. Sul tavolo, sotto una ciotola di legno, per proteggerlo da topi e gatti affamati, c'è una forma piccola e perfetta di formaggio di capra avvolta in foglie di basilico. È il regalo che mi ha fatto Prim per il giorno della mietitura. Mi infilo in tasca il formaggio e sgattaiolo fuori.
La nostra parte del Distretto 12 è detta "il Giacimento" e di solito a quest'ora brulica di minatori diretti al turno della mattina. Uomini e donne con le spalle curve e le nocche gonfie. Molti hanno rinunciato da tempo a grattarsi via la polvere di carbone da sotto le unghie rotte e dai volti rugosi. Oggi, però, le strade nere sono deserte. Le persiane delle tozze case grigie sono chiuse. La mietitura non inizierà prima delle due. Tanto vale dormire. Se ci riesci.
La nostra casa è quasi sul confine del Giacimento. Devo superare solo qualche cancello per raggiungere lo squallido campo che tutti chiamano "il Prato". A separare il Prato dai boschi - e, di fatto, a circondare tutto il Distretto 12 - c'è un'alta recinzione di rete metallica sormontata da filo spinato. In teoria dovrebbe essere elettrificata ventiquattro ore al giorno, come deterrente per i predatori che vivono nei boschi - branchi di cani selvatici, qualche puma, orsi - e che in passato minacciavano le nostre strade. Ma dato che, se ci va di lusso, abbiamo solo due o tre ore di elettricità verso sera, di solito la si può toccare tranquillamente. Io, in ogni caso, impiego sempre qualche secondo per controllare se si sente o no il ronzio della corrente. Al momento è muta come un sasso. Nascosta da una macchia di cespugli, mi butto pancia a terra e striscio sotto mezzo metro di rete che è allentato da anni. Ci sono altri punti deboli nella recinzione, ma questo è così vicino a casa che passo sempre da qui per entrare nei boschi.
Appena giunta tra gli alberi, recupero un arco e una faretra dalla cavità di un tronco. Elettrificata o no, la recinzione è riuscita a tenere i carnivori lontani dal Distretto 12. Nei boschi ne girano parecchi, e ci sono anche altri pericoli, come i serpenti velenosi e gli animali rabbiosi, e il fatto che non ci sono veri e propri sentieri da seguire. Ma c'è anche il cibo, se sai dove cercarlo. Mio padre lo sapeva, e mi ha insegnato qualcosa prima di essere fatto a pezzi dall'esplosione di una mina. Non è rimasto niente da seppellire. Io avevo undici anni. Ne sono passati cinque e mi sveglio ancora urlandogli di scappare.
Anche se andare nei boschi è illegale e il bracconaggio viene punito con il massimo della pena,
più gente sarebbe disposta a correre il rischio, se avesse delle armi a disposizione. I più non hanno il coraggio di uscire armati solo di un coltello. Il mio arco è una rarità. Mio padre ne ha fatti alcuni che tengo ben nascosti nei boschi, avvolti in teli impermeabili. Avrebbe potuto farci dei bei soldi, vendendoli, ma se gli agenti l'avessero scoperto sarebbe stato giustiziato pubblicamente per ribellione. La maggior parte dei Pacificatori chiude un occhio sui pochi di noi che vanno a caccia, perché hanno fame di carne fresca. Anzi, a dire il vero sono tra i nostri migliori clienti. Ma l'idea che qualcuno potesse distribuire armi nel Giacimento era del tutto inaccettabile.
In autunno qualche animo coraggioso sgattaiola nei boschi per raccogliere le mele. Ma senza mai perdere di vista il Prato, per tenersi sempre abbastanza vicino da poter tornare di corsa alla sicurezza del Distretto 12, in caso di guai. — Distretto 12. Il posto migliore per morire di fame in tutta sicurezza — bofonchio a mezza voce. Anche qui, in mezzo al nulla, hai sempre paura che qualcuno ti possa sentire.
Quando ero più piccola, spaventavo a morte mia madre con le frasi che sbraitavo sul Distretto 12 e su coloro che governano il nostro paese, Panem, dalla remota Capitol City. Alla fine ho capito che avrei soltanto attirato altri guai. Così ho imparato a tenere a freno la lingua e a trasformare la mia faccia in una maschera di indifferenza, in modo che nessuno possa leggere i miei pensieri. A fare il mio dovere in silenzio a scuola. A parlare solo di banalità al mercato pubblico. A parlare solo di affari al Forno, che è il mercato nero dove faccio la maggior parte dei soldi. Anche a casa, il posto dove sono più sguaiata, evito di parlare di questioni spinose. Tipo la mietitura o la scarsità di cibo o gli Hunger Games. Prim potrebbe ripetere in giro quello che ho detto e a quel punto dove andremmo a finire?
Nei boschi mi aspetta l'unica persona con cui posso essere me stessa. Gale. Sento i muscoli della faccia che mi si rilassano e il passo che accelera, mentre salgo le colline fino al nostro posto preferito, uno sperone di roccia che domina la valle. Un cespuglio di more la protegge da sguardi indiscreti. Vederlo lì che mi aspetta mi fa sorridere. Gale dice sempre che io sorrido solo quando sono nei boschi.
—Ciao, Catnip — dice Gale. Il mio vero nome è Katniss, ma quando glielo dissi per la prima volta lo sussurrai appena, così lui capì che mi chiamavo Catnip,che significa erba gatta. Poi, quando una lince pazza iniziò a seguirmi per i boschi nella speranza di rimediare qualche avanzo, Catnip divenne il mio soprannome ufficiale. Alla fine dovetti uccidere il gatto selvatico, perché spaventava la selvaggina. Un po' mi dispiacque, perché era abbastanza di compagnia. Ma con la sua pelliccia guadagnai una discreta sommetta.
—Guarda cosa ho beccato. — Gale solleva una pagnotta con una freccia conficcata dentro e io scoppio a ridere. È vero pane da fornaio, non una di quelle pagnotte piatte e dure che facciamo noi con le nostre razioni di cereali. La prendo tra le mani, tiro fuori la freccia e avvicino il naso al buco nella crosta, aspirando la fragranza che mi fa venire l'acquolina in bocca. Un pane come questo è per le occasioni speciali.
—Mmm, è ancora caldo — dico. Gale deve essere andato al forno all'alba per barattarlo. — Cosa ti è costato?
—Solo uno scoiattolo. Mi sa che stamattina il vecchio era in vena di sentimentalismi — risponde Gale. — Mi ha persino augurato buona fortuna.
—Oggi ci sentiamo tutti un po' più vicini, eh? — dico senza nemmeno fare lo sforzo di levare gli occhi al cielo. — Prim ci ha lasciato un pezzo di formaggio.
Il suo sguardo si illumina davanti a quella prelibatezza. — Grazie, Prim. È un vero banchetto. — All'improvviso Gale inizia a parlare con l'accento di Capitol City e rifa il verso a Effie Trinket, la donna che con un'insensata allegria viene una volta all'anno a leggerci i nomi della mietitura. — L'avevo quasi dimenticato! Felici Hunger Games! — Coglie qualche mora dal cespuglio attorno a noi. — E possa la buona sorte... — Lancia una mora che traccia un arco verso di me.
La prendo in bocca al volo e affondo i denti nella polpa delicata. — ... essere sempre a tuo favore! — termino io la frase con la stessa enfasi. Dobbiamo per forza scherzare su questa cosa, perché l'alternativa sarebbe impazzire di paura. E poi l'accento di Capitol City è così affettato che fa sembrare tutto divertente.
Guardo Gale tirare fuori il coltello e tagliare il pane. Potrebbe essere mio fratello. Stessi capelli neri lisci, stessa pelle olivastra, abbiamo persino gli stessi occhi grigi. Però non siamo parenti, almeno non stretti. Le famiglie che lavorano nelle miniere si somigliano un po' tutte.
È per questo che mia madre e Prim, coi loro capelli biondi e gli occhi azzurri, sembrano sempre fuori posto. Perché lo sono. I genitori di mia madre facevano parte del ceto dei piccoli commercianti che servono gli agenti, i Pacificatori e, ogni tanto, qualche cliente del Giacimento. Avevano una farmacia nella zona più bella del Distretto 12. Dato che quasi nessuno si può permettere un dottore, i farmacisti sono i nostri medici. Mio padre conobbe mia madre perché nelle sue battute di caccia ogni tanto raccoglieva erbe medicinali e le vendeva al suo negozio. Lei doveva proprio amarlo per lasciare la sua casa e venire a vivere nel Giacimento. Cerco di ricordarmelo, quando ormai vedo sempre e solo la donna che stava seduta con lo sguardo spento, irraggiungibile, mentre le sue figlie diventavano pelle e ossa. Cerco di perdonarla per mio padre. Ma, se devo essere sincera, non è che io sia troppo brava a perdonare.
Gale spalma sul pane il morbido formaggio di capra e mette con grande cura una foglia di basilico su ogni fetta, mentre io raccolgo le more. Ci sistemiamo in una rientranza della roccia. Da lì siamo invisibili, ma abbiamo una buona vista sulla vallata, che brulica di vita estiva, erbe da raccogliere, radici da estrarre, pesci iridescenti alla luce del sole. È una giornata magnifica, con il cielo azzurro e un venticello fresco. Il cibo è fantastico. Il formaggio penetra nel pane tiepido e le more ci esplodono in bocca. Sarebbe tutto perfetto, se questa fosse davvero una vacanza, se io e Gale potessimo andarcene in giro tutto il giorno per i monti a procurarci la cena. E invece dobbiamo presentarci in piazza alle due in punto per sentire i nomi.
—Potremmo farlo, sai? — dice Gale sottovoce.
—Cosa? — chiedo io.
—Lasciare il Distretto. Scappare. Vivere nei boschi. Tu e io potremmo farcela.
Non so cosa rispondere. È un'idea completamente assurda.
—Se non avessimo i bambini — aggiunge subito Gale.
Naturalmente non sono i nostri bambini. Però è come se lo fossero. I due fratellini e la sorella di
Gale. E Prim. E nel conto possiamo mettere anche le nostre madri, perché senza di noi come farebbero a vivere? Chi riempirebbe quelle bocche sempre affamate? Anche se noi due andiamo a caccia tutti i giorni, ci sono comunque sere in cui dobbiamo barattare le nostre prede con lardo o stringhe per le scarpe o lana. In quelle sere andiamo a letto con lo stomaco che ringhia.
—Non voglio mai avere figli — dichiaro.
—Io li vorrei. Se non vivessi qui — dice Gale.
—Però ci vivi — ribatto io irritata.
—Lascia perdere — sbotta lui.
Questa conversazione non ha né capo né coda. Potrei andarmene? E come potrei abbandonare
Prim, l'unica persona al mondo che sono sicura di amare? E anche Gale vuol bene alla sua famiglia. Non ce ne possiamo andare, e allora perché perdere tempo a parlarne? E anche se potessimo... anche se potessimo... da dov'è uscita fuori questa faccenda di far dei figli? Non c'è mai stato niente di romantico tra me e Gale. Almeno questo è quello che penso io perché quando ci siamo conosciuti io ero una dodicenne pelle e ossa, e lui, anche se aveva solo due anni più di me, sembrava già un uomo. Ci abbiamo messo un bel po' anche solo a diventare amici, a smettere di mercanteggiare su ogni scambio e a iniziare ad aiutarci.
E poi, se vuole dei figli, Gale non avrebbe certo problemi a trovarsi una moglie. È bello, è abbastanza forte per lavorare in miniera, e sa cacciare. Si capisce che le ragazze lo vogliono da come bisbigliano tra loro quando passa, a scuola. Io sono gelosa, sia per il motivo che la gente potrebbe credere anche se secondo me ci vorrebbero anni prima che ci facciamo avanti. Poi è anche perché un altro buon compagno di caccia è difficile da trovare.
GALE'S POV
Questa discussione non ha né capo né coda anche se a me piacerebbe avere dei figli con Katniss, ma non credo che lei mi veda in quel senso secondo me per lei sono solo un'amico. Soprattutto perché ci abbiamo messo molto solo per diventare amici quindi non so cosa succederà.
KATNISS'S POV
—Cosa vuoi fare? — chiedo. La scelta è tra cacciare, pescare o raccogliere frutta.
—Andiamo al lago a pescare. Poi lasciamo lì le canne e andiamo a cercare un po' di frutta nel bosco. Potremmo mettere insieme qualcosa di buono per stasera — dice. 

Stasera. Dopo la mietitura, in teoria tutti quanti dovrebbero festeggiare. E molti lo fanno, sollevati perché i loro figli sono stati risparmiati per un altro anno. Ma almeno due famiglie chiuderanno le persiane, sbarreranno le porte e cercheranno di capire come sopravvivere al dolore delle prossime settimane.
Ce la caviamo bene. I predatori ci ignorano: oggi le prede più facili e gustose non mancano. Entro la fine della mattinata abbiamo preso una dozzina di pesci, un sacchetto di erbe e, cosa migliore di tutte, un bel po' di fragole. Qualche anno fa trovai il posto dove crescono, e Gale ha avuto l'idea di recintarlo con una rete metallica per tenere lontani gli animali.
Sulla via di casa facciamo un salto al Forno, il mercato nero sorto in un ex deposito di carbone. Dopo che fu inventato un sistema per trasportare il carbone direttamente dalle miniere ai treni, il deposito è stato progressivamente occupato dal Forno. La maggior parte dei negozi sono chiusi, a quest'ora del giorno della mietitura, ma il mercato nero è ancora abbastanza frequentato. Scambiamo facilmente sei pesci con un po' di pane vero e altri due con del sale. Sae la Zozza, la vecchia ossuta che vende ciotole di zuppa calda presa da un gran pentolone, ci strappa di mano metà delle erbe in cambio di un paio di pezzi di paraffina. Da qualsiasi altra parte avremmo potuto ottenere di più, ma cerchiamo di mantenere dei buoni rapporti con Sae la Zozza. È l'unica su cui puoi sempre contare quando hai un cane selvatico da vendere. Non andiamo a cacciarli apposta, ma se ci attaccano e ne facciamo fuori uno o due... be'... la carne è sempre carne. — Una volta che la metti nella zuppa, diventa manzo — dice Sae la Zozza facendoci l'occhiolino. Nessuno di quelli che vivono nel Giacimento arriccerebbe mai il naso davanti a un bel cosciotto di cane selvatico. Solo i Pacificatori che vengono al Forno possono permettersi di fare un po' gli schizzinosi.
Quando finiamo i nostri affari al mercato, andiamo sul retro della casa del sindaco per vendere metà delle fragole: gli piacciono un sacco e ha abbastanza soldi per comprarsele. La porta ci viene aperta da sua figlia Madge. Fa il mio stesso anno, a scuola. Essendo la figlia del sindaco, si potrebbe pensare che sia una snob, invece non è male, tutto sommato. È una che si fa i fatti suoi. Come me. Dato che nessuna delle due ha una sua compagnia, a scuola ci troviamo spesso insieme. In mensa, sedute vicine alle assemblee, in coppia per le attività sportive. Parliamo poco, il che va bene a entrambe.
Oggi la divisa scolastica grigia è stata sostituita da un costoso abito bianco e Madge ha i capelli biondi raccolti con un nastro rosa. Abbigliamento da mietitura.
—Bel vestito — dice Gale.
Madge gli lancia uno sguardo per cercare di capire se è un vero complimento o se il commento è ironico. Il vestito è bello davvero, ma lei non lo metterebbe in un giorno qualsiasi. Stringe le labbra e poi sorride. — Be', se mi tocca andare a Capitol City, voglio farlo in pompa magna, giusto?
Adesso tocca a Gale essere confuso. Dice sul serio? O lo sta prendendo in giro? Credo la seconda.
—Non ci andrai, a Capitol City — osserva Gale senza scomporsi. I suoi occhi si posano su una spilletta tonda che adorna il vestito di Madge. Oro vero. Ben fatta. Potrebbe dar da mangiare a una famiglia per mesi. — Cosa avrai? Cinque nomine? Io ne avevo già sei a dodici anni.
—Non è colpa sua — intervengo io.
—No, non è colpa di nessuno. È così e basta — taglia corto Gale.
L'espressione di Madge si è fatta indecifrabile. Mi mette in mano i soldi per le fragole. — Buona
fortuna, Katniss.
—Anche a te — dico io, e la porta si chiude.
Ci avviamo in silenzio verso il Giacimento. Non mi va che Gale se la sia presa con Madge,
anche se è chiaro che ha ragione. Il sistema della mietitura è ingiusto e da quando è stato adottato i poveri se la vedono molto peggio degli altri. Diventi sorteggiabile per la mietitura quando compi dodici anni. Quell'anno vieni nominato una volta. A tredici anni, due. E così via, finché raggiungi i diciotto anni, l'ultimo anno in cui sei sorteggiabile, quando prendi sette nomine. E questo vale per tutti i cittadini di tutti i dodici distretti di Panem.
Ma c'è un trucco. Diciamo che sei povero e muori di fame, come noi. Be', puoi decidere di farti nominare più volte in cambio di tessere. Ogni tessera vale una piccola fornitura annuale di cereali e olio per una persona. Puoi farlo anche per gli altri membri della tua famiglia. Così io, a dodici anni, ho avuto quattro nomine. Una perché dovevo e tre per le tessere, per me, per Prim e per mia madre. L'ho dovuto fare tutti gli anni. E le nomine sono cumulative. Così adesso, a sedici anni, il mio nome comparirà venti volte. Il nome di Gale, che ha diciotto anni e ha aiutato - per non dire sfamato - da solo una famiglia di cinque persone per sette anni, sarà ripetuto per quarantadue volte fra quelli sorteggiabili.
Ecco perché una come Madge, che non ha mai corso il rischio di aver bisogno di una tessera, fa partire Gale per la tangente. Le possibilità che il nome di Madge venga estratto sono scarsissime rispetto a quelle che abbiamo noi del Giacimento. Non inesistenti, ma molto scarse. E anche se le regole sono state decise da Capitol City, e non dai distretti e neppure dalla famiglia di Madge, è difficile non avercela con quelli che non devono mai arrabattarsi per ottenere delle tessere.
Gale sa che la sua rabbia nei confronti di Madge è sbagliata. In passato, nel fitto dei boschi, l'ho sentito gridare che le tessere sono un altro strumento per devastare il nostro distretto; un modo per seminare l'odio tra i lavoratori affamati del Giacimento e coloro che, in linea di massima, possono sempre contare sulla cena; e un modo per assicurarsi che noi non ci fidiamo mai gli uni degli altri. — È nell'interesse di Capitol City tenerci divisi — gli capitava di dire, se a sentirlo non c'erano altre orecchie oltre alle mie. Se non era il giorno della mietitura.
Se una ragazza con una spilla d'oro e senza tessere non faceva quello che secondo me andava considerato solo come un commento innocente.
Mentre camminiamo, lancio un'occhiata al volto di Gale, ancora acceso sotto la sua espressione dura. I suoi accessi di rabbia mi sembrano insensati, anche se non glielo dico mai. Non che non sia d'accordo con lui. Lo sono. Ma a cosa serve sbraitare contro Capitol City in mezzo ai boschi? Non cambia niente. Non rende la situazione più giusta. Non ci riempie la pancia. Anzi, spaventa la selvaggina. Però lo lascio urlare. Meglio che lo faccia nei boschi piuttosto che in pieno distretto.
Io e Gale ci dividiamo il bottino: due pesci, un paio di pagnotte, le erbe, un po' di fragole, sale e paraffina, e un po' di soldi per ciascuno.
—Ci vediamo in piazza — dico io.
—Vestiti bene — raccomanda lui senza scomporsi.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


A casa trovo mia madre e mia sorella già pronte per uscire. Mia madre indossa un bel vestito che
risale ai tempi della farmacia. Prim porta il mio primo vestito da mietitura, una gonna con una camicetta tutta pizzi. Le sta piuttosto grande, ma mia madre gliel'ha adattata con qualche spilla da balia. Anche così, però, sulle spalle è un po' larga.
Mi aspetta una vasca di acqua calda. Mi gratto via lo sporco e il sudore dei boschi e mi lavo anche i capelli. Con mia grande sorpresa, mia madre ha preparato per me uno dei suoi vestiti migliori: azzurro con le scarpe in tinta.
—Sei sicura? — chiedo. Sto cercando di smetterla di rifiutare le sue offerte d'aiuto. Per un po' sono stata così arrabbiata che non le lasciavo fare nulla per me. Ma questa è una cosa davvero speciale. I vestiti del suo passato sono molto preziosi, per mia madre.
—Ma certo. E vediamo anche di sistemarti i capelli — dice. Lascio che me li asciughi con un telo e me li intrecci alti sulla testa. Mi riconosco a fatica nello specchio rotto appoggiato alla parete.
—Sei bellissima — sussurra Prim.
—Non sembro neanche più io — dico. Poi la abbraccio, perché so che per lei le prossime ore saranno terribili. È la sua prima mietitura. È quasi al sicuro, perché ha avuto una sola nomina. Non le avrei mai permesso di prendere nemmeno una tessera. Ma è preoccupata per me. Ha paura che possa succedere l'impensabile.
Cerco di proteggere Prim in tutti i modi possibili, ma non posso fare nulla contro la mietitura. L'angoscia che provo quando lei sta male mi riempie il petto e rischia di comparirmi sul volto. Mi accorgo che le è uscita la camicetta dalla gonna e mi costringo a restare calma. — Tieni dentro la coda, paperella — le dico mentre le rimetto a posto la camicia.
Prim ridacchia e mi rivolge un piccolo: — Quack!
—Quack a te! — dico con una risatina, di quelle che solo Prim riesce a tirarmi fuori. — Dai, mangiamo — dico piazzandole un bacetto sulla testa.
Lo stufato di pesce e verdure sta già cuocendo, ma lo mangeremo a pranzo. Decidiamo di tenere le fragole e il pane del forno per la cena, per farne un'occasione speciale, diciamo. Invece beviamo il latte di Lady, la capra di Prim, e mangiamo il rozzo pane di cereali della nostra tessera, anche se nessuna di noi ha molto appetito.
All'una esatta ci avviamo verso la piazza. La partecipazione è obbligatoria, a meno che non ti trovi in punto di morte. Stasera le guardie faranno il giro di verifica. Se hai detto il falso, vai in galera.
È una vera crudeltà che tengano la mietitura in piazza, uno dei pochi posti del Distretto 12 che possono risultare gradevoli. La piazza è attorniata dai negozi e, nei giorni di mercato, soprattutto se il tempo è bello, ha un'aria festosa. Oggi, invece, malgrado gli stendardi dai colori vivaci, l'atmosfera è opprimente. I cameraman, appollaiati come poiane sui tetti, accentuano l'impressione.
La gente sfila in silenzio e si registra. Per Capitol City la mietitura è anche una buona occasione per controllare la popolazione. I ragazzi dai dodici ai diciotto anni vengono radunati all'interno di zone delimitate da funi e contrassegnate a seconda dell'età, i più grandi davanti, i più piccoli, come Prim, dietro. I familiari si allineano tutt'intorno, stringendosi forte per mano. Ma ci sono anche altri, senza persone care in gioco o senza più preoccupazioni, che si intrufolano tra il pubblico scommettendo sui nomi dei due ragazzi che verranno sorteggiati. Si scommette sulla loro età, se saranno del Giacimento o commercianti, se crolleranno e si metteranno a piangere. I più cercano di evitare quei delinquenti, ma con molta, molta cautela, dato che quelli hanno la tendenza a fare la spia. E chi, in fondo, non ha infranto la legge o non ha qualcosa da nascondere? Io che vado a caccia potrei essere fucilata tutti i giorni, ma l'appetito di chi comanda mi protegge. Pochi altri possono dire lo stesso.
Comunque, io e Gale siamo d'accordo sul fatto che, dovendo scegliere tra la morte per fame e una pallottola in testa, la pallottola sarebbe molto più rapida.
Lo spazio si riduce sempre più, si fa claustrofobico a mano a mano che arriva la gente. La piazza è piuttosto ampia, ma non abbastanza per accogliere le circa ottomila persone che popolano il Distretto 12. I ritardatari vengono convogliati nelle strade vicine, dove alcuni schermi permetteranno loro di assistere all'evento trasmesso in diretta dalla TV di Stato.
Mi ritrovo in mezzo a un gruppo di sedicenni del Giacimento. Ci scambiamo un rapido cenno di saluto e poi concentriamo la nostra attenzione sul palco eretto davanti al Palazzo di Giustizia. Sopra ci sono tre sedie, una pedana e due grandi bocce di vetro, una per i maschi e una per le femmine. Fisso le striscioline di carta nella boccia delle ragazze. Venti riportano il nome di Katniss Everdeen scritto in bella grafia.
Due delle tre sedie sono occupate dal padre di Madge, il sindaco Undersee, un uomo alto che comincia a perdere i capelli, e da Effie Trinket, l'accompagnatrice del Distretto 12 appena giunta da Capitol City, il largo sorriso di un bianco allarmante, i capelli rosa e il tailleur verde primavera. Mormorano tra loro e guardano preoccupati la sedia vuota.
Non appena l'orologio cittadino batte le due, il sindaco sale sulla pedana e comincia a leggere. È la stessa storia ogni anno. Racconta di Panem, la nazione risorta dalle ceneri di un luogo un tempo chiamato Nord America. Elenca i disastri, le siccità, gli uragani, gli incendi, l'avanzare dei mari che inghiottirono buona parte della terraferma, la lotta brutale per le poche risorse rimaste. Il risultato fu Panem, una splendente Capitol City attorniata da tredici distretti, che portò pace e prosperità ai suoi cittadini. Poi vennero i Giorni Bui, la rivolta dei distretti contro la capitale. Dodici furono sconfitti, il tredicesimo distrutto. Il Trattato del Tradimento ci diede nuove leggi, per assicurare la pace e per ricordarci ogni anno che i Giorni Bui non dovranno più ripetersi, e ci diede anche gli Hunger Games.
Le regole sono semplici. Come punizione per la rivolta, ognuno dei dodici distretti deve fornire due partecipanti, un ragazzo e una ragazza, chiamati tributi. I ventiquattro tributi vengono rinchiusi in un'ampia arena all'aperto che può contenere di tutto, da un torrido deserto a una landa ghiacciata. Per varie settimane i concorrenti devono combattere sino alla morte. L'ultimo tributo ancora in piedi vince.
Prendere i ragazzini dai nostri distretti, obbligarli a uccidersi l'un l'altro sotto gli occhi di tutti... è così che Capitol City ci ricorda che siamo totalmente alla sua mercè. Che avremmo ben poche possibilità di sopravvivere a un'altra ribellione. Indipendentemente dalle parole che usano, il messaggio è chiaro. "Guardate come prendiamo i vostri figli e li sacrifichiamo senza che voi possiate fare niente. Se alzate un dito, vi distruggeremo dal primo all'ultimo. Proprio come abbiamo fatto con il Distretto Tredici."
Per rendere la cosa tanto umiliante quanto straziante, Capitol City ci costringe a considerare gli Hunger Games come una festa, un evento sportivo che oppone ogni distretto a tutti gli altri, un reality show come un altro. Una volta tornato a casa, l'ultimo tributo sopravvissuto avrà una vita agiata e il suo distretto sarà coperto di premi, soprattutto cibo. Per tutto l'anno Capitol City ostenterà le ricche forniture supplementari assegnate al distretto vincitore, cereali e olio e persino prelibatezze come lo zucchero, mentre il resto di noi combatterà contro la fame.
— È il momento del pentimento ed è il momento del ringraziamento — intona il sindaco.
Poi legge la lista dei passati vincitori del Distretto 12. In settantaquattro anni ne abbiamo avuti appena due. E soltanto uno è ancora vivo. Haymitch Abernathy, un uomo panciuto di mezza età che compare proprio ora urlando qualcosa di incomprensibile, barcolla fin sul palco e si lascia cadere sulla terza sedia. È ubriaco. Molto. Il pubblico reagisce con un applauso simbolico, ma lui è confuso, e cerca di abbracciare Effie Trinket, che riesce a evitarlo a malapena.
Il sindaco sembra angosciato. Poiché tutto viene trasmesso in TV, in quel momento il Distretto 12 è lo zimbello di Panem, e lui lo sa. Rapidamente tenta di riportare l'attenzione sulla mietitura, presentando Effie Trinket.
Vivace e spumeggiante come sempre, Effie Trinket trotterella sino alla pedana e si produce nel suo numero consueto. — Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! — I suoi capelli rosa devono essere una parrucca, poiché i riccioli le sono scivolati leggermente di lato dopo lo scontro con Haymitch. Continua a parlare ancora un po', dicendo quanto sia onorata di essere lì, anche se tutti sanno che sbava per essere promossa a un distretto migliore, dove i vincitori sono persone perbene e non ubriaconi che ti molestano davanti all'intera nazione.
Attraverso la folla scorgo Gale che si è girato a guardarmi con una parvenza di sorriso. Tra tutte le mietiture, questa almeno ha qualche nota comica. All'improvviso, però, penso ai quarantadue biglietti col nome di Gale nella grande boccia di vetro e a quanto la buona sorte non sia a suo favore. Non in confronto a quella di molti altri ragazzi. E forse anche lui sta pensando la stessa cosa, poiché il suo viso si rabbuia e lui si gira. Ma i biglietti sono migliaia, vorrei potergli sussurrare.
È il momento del sorteggio. Come sempre, Effie Trinket esclama: — Prima le signore! — e poi attraversa il palco per avvicinarsi alla boccia di vetro con i nomi delle ragazze. La raggiunge, tuffa la mano in profondità ed estrae una strisciolina di carta. Il pubblico trattiene il fiato e a quel punto si potrebbe sentir cadere uno spillo, e io ho la nausea, e spero con tutta me stessa di non essere io, non essere io, non essere io.
Effie Trinket ritorna alla pedana, liscia la strisciolina di carta e legge il nome con voce chiara. Non sono io.
È Primrose Everdeen

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Una volta, mentre ero nascosta su un albero e aspettavo immobile che un qualche tipo di selvaggina passasse da quelle parti, mi addormentai e caddi da un'altezza di tre metri, atterrando sulla schiena. La botta sembrò svuotarmi i polmoni della più piccola traccia d'aria, e io rimasi distesa lì, faticando a inspirare, a espirare, a cercare di sopravvivere.
È così che mi sento ora. Cerco di ricordare come si fa a respirare, sono incapace di parlare, frastornata, e quel nome continua a rimbalzarmi nella testa. Qualcuno mi ha afferrato per un braccio, è un ragazzo del Giacimento, forse stavo per cadere e lui mi ha tenuta.
Deve esserci stato un errore. Non è possibile che stia accadendo questo. Prim era solo un'unica strisciolina di carta in mezzo a migliaia di altre! Le probabilità che venisse scelta erano così remote che non mi sono nemmeno presa il disturbo di preoccuparmi per lei. Non ho fatto tutto il necessario, forse? Non ho preso le tessere rifiutando di lasciarle fare lo stesso? Un biglietto. Un biglietto fra migliaia di altri. La buona sorte era dalla sua parte. Ma non è bastato. In lontananza posso sentire il pubblico brontolare scontento, come fa sempre quando viene scelto un dodicenne, perché tutti pensano che sia sleale. E poi vedo lei, sbiancata in volto, le mani strette a pugno lungo i fianchi, che avanza rigida, a piccoli passi, verso il palco, passandomi accanto, e vedo che la camicetta le è uscita di nuovo sulla schiena e adesso penzola sulla gonna. È questo particolare, il lembo pendente della camicetta, che mi riporta alla realtà.
—Prim! — Il grido soffocato mi esce dalla gola e i miei muscoli ricominciano a muoversi. — Prim! — Non ho bisogno di sgomitare tra la folla. Gli altri ragazzi mi fanno subito largo, aprendomi una via diretta fino al palco. La raggiungo proprio quando sta per salire i gradini. Con un unico movimento del braccio la spingo dietro di me.
—Mi offro volontaria! — ansimo. — Mi offro volontaria come tributo!
C'è un po' di trambusto sul palco. Il Distretto 12 non ha un volontario da decenni e il protocollo si è arrugginito. La regola vuole che, quando il nome di un tributo è stato estratto dalla boccia, un altro ragazzo o un'altra ragazza che rispondono ai requisiti possono farsi avanti e prendere il posto del ragazzo o della ragazza di cui è stato letto il nome. In certi distretti, nei quali vincere la mietitura è considerato un grandissimo onore e la gente è impaziente di mettere a rischio la propria vita, offrirsi volontari è complicato. Ma nel Distretto 12, dove il termine tributo è quasi sinonimo di cadavere, i volontari sono praticamente inesistenti.
—Splendido! — dice Effie Trinket. — Però credo che prima si debba presentare il vincitore della mietitura e poi chiedere se ci sono volontari, e se qualcuno si offre, allora noi... — La sua voce si spegne. Anche lei non sa che fare.
—A che serve? — ribatte il sindaco. Mi sta guardando e il suo viso ha un'espressione addolorata. Non mi conosce bene, ma ha una vaga idea di chi sono. Sono la ragazza che gli porta le fragole. La ragazza di cui sua figlia potrebbe aver parlato, qualche volta. La ragazza che cinque anni fa gli stava di fronte, stretta alla madre e alla sorella, mentre lui le consegnava, in quanto figlia maggiore, una medaglia al valore. Una medaglia per suo padre, rimasto polverizzato nelle miniere. Se lo ricorda? — A che serve? — ripete con voce rauca. — Lasciate che venga.
Prim è dietro di me, e grida, isterica. Mi stringe come in una morsa con le sue braccine magre. — No, Katniss! No! Non puoi!
—Prim, lasciami andare — le dico in tono duro, perché sono sconvolta e non voglio piangere. Quando trasmetteranno la replica delle mietiture, stasera, tutti vedrebbero le mie lacrime e verrei considerata un bersaglio facile. Un soggetto debole. Non darò a nessuno questa soddisfazione. — Lasciami andare!
Sento che qualcuno me la stacca dalla schiena. Mi volto e vedo che Gale ha sollevato Prim da terra e lei si dibatte tra le sue braccia. — Va' su, Catnip — dice, sforzandosi di tener salda la voce, poi allontana Prim e la porta da mia madre. Mi faccio forza e salgo i gradini.
—Bene, brava! — si esalta Effie Trinket. — Questo è lo spirito del programma! — È compiaciuta di avere finalmente un distretto con un po' d'azione. — Come ti chiami?
Deglutisco a fatica. — Katniss Everdeen — rispondo.
—Mi sarei giocata la testa che quella era tua sorella. Non vogliamo che ci rubi tutta la gloria, vero? Coraggio, allora! Facciamo tutti un bell'applauso al nostro nuovo tributo! — trilla Effie Trinket.
A eterno merito della gente del Distretto 12 va detto che nessuno batte le mani. Nemmeno quelli con le ricevute delle scommesse in mano, quelli che di solito sono al di là della compassione. Forse è perché mi hanno conosciuta al Forno o hanno conosciuto mio padre o hanno incontrato Prim, a cui nessuno può fare a meno di voler bene. Così, invece di rispondere all'applauso, me ne resto lì immobile, mentre loro mettono in atto la più audace forma di disapprovazione di cui possono disporre. Il silenzio. Che dice che non siamo d'accordo. Che non perdoniamo. Che tutto questo è sbagliato. Poi accade qualcosa di inaspettato. O almeno sono io che non me l'aspetto, perché penso che il Distretto 12 non sia un luogo in cui ci si preoccupa per me. Ma qualcosa è cambiato, dopo che mi sono fatta avanti per prendere il posto di Prim, e adesso sembra che io sia diventata una persona cara. Prima uno, poi un altro, poi quasi tutti i componenti del pubblico portano le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra e le tendono verso di me. È un antico gesto del nostro distretto, un gesto che si usa di rado e si vede qualche volta ai funerali. Significa grazie, significa ammirazione, significa dire addio a una persona a cui vuoi bene.
Ora corro davvero il rischio di mettermi a piangere, ma per fortuna Haymitch sceglie proprio questo momento per attraversare il palco barcollando e venire a congratularsi con me. — Guardatela. Guardate questa qui! — urla mettendomi un braccio intorno alle spalle. È sorprendentemente forte, per essere un relitto. — Mi piace! — Ha il fiato che puzza di liquore ed è parecchio che non si fa un bagno. — Ha un gran... — Per un attimo non trova la parola. — ... fegato! — esclama trionfante. — Più di voi! — Mi lascia andare e si porta sul davanti del palco. — Più di voi! — grida, rivolto direttamente a una telecamera.
Parla agli spettatori o è così ubriaco da schernire davvero la capitale e chi comanda? Non lo saprò mai, perché proprio mentre apre la bocca per continuare il suo discorso, Haymitch precipita dal palco e perde i sensi.
È disgustoso, ma gli sono grata. Con tutte le telecamere allegramente puntate su di lui, ho il tempo di emettere il gemito che soffocavo in gola e ricompormi. Metto le mani dietro la schiena e guardo in lontananza. Riesco a vedere le colline che ho risalito stamattina con Gale. Per un attimo desidero ardentemente qualcosa... l'idea di andarmene dal distretto... farmi strada nei boschi... Ma avevo ragione a non voler fuggire. Perché chi altri si sarebbe offerto volontario per Prim?
Haymitch viene portato via in barella, ed Effie Trinket cerca di riprendere le redini della situazione. — Che giornata eccitante! — gorgheggia, tentando di raddrizzare la parrucca che è tutta storta verso destra. — Ma altre emozioni ci aspettano! È giunto il momento di scegliere il nostro tributo maschile! — Sperando evidentemente di evitare altri danni ai capelli, si piazza una mano sulla testa e si dirige verso la boccia che contiene i nomi dei ragazzi e afferra la prima strisciolina che le capita tra le dita. Torna velocissima alla pedana e non ho neppure il tempo di formulare il desiderio che non si tratti di Gale che Effie già sta leggendo il nome. — Gale Hawthorne.
Gale Hawthorne!
Oh, no, penso. Non lui. Non Gale ora le nostre due famiglie non avranno più niente da fare vivranno probabilmente solo durante gli Hunger Games, ma dopo credo che non riusciranno a sopravvivere per molto. Uno di noi due deve vincere ma non credo di riuscire a uccidere Gale se arrivassimo noi due alla fine. Lo amo, lo amo con tutta me stessa e so che ammetterlo a me stessa è un primo passo ma mi sono decisa ad ammettermelo troppo tardi ormai uno di noi non tornerà a casa o addirittura tutt'e due. Sale sul palco con calma e prende posto.
Effie Trinket chiede se ci siano volontari, ma non si fa avanti nessuno. 
Come ogni anno, a questo punto, il sindaco inizia a leggere il lungo e tedioso Trattato del Tradimento (è obbligatorio), ma io non ascolto una parola.
Perché lui penso. Poi cerco di convincermi che non ha importanza. Io e Gale ora siamo rivali anche se siamo amici e io vorrei che ci fosse di più. Ci siamo incontrati nel periodo peggiore. Mio padre era rimasto ucciso qualche mese prima nell'incidente alla miniera insieme a suo padre,e alcuni mesi prima nel gennaio più rigido che tutti ricordassero un ragazzo Peeta Mellark no aveva dato il pane e il giorno dopo subito dopo aver visto un dente di leone capii c'è dovevo ritornare a cacciare. Quindi pensai alle ore passate nei boschi con mio padre e seppi come saremmo potute sopravvivere.
Fino a oggi, non sono mai riuscita a dimenticare il collegamento tra Gale, Peeta e il pane che mi diede, la speranza e il dente di leone che mi ricordò che non ero condannata e grazie al quale alla fine ho incontrato Gale. 
Il sindaco conclude il monotono Trattato del Tradimento e fa cenno a me e Gale di stringerci la mano. La sua è solida e calda e mi da la forza di continuare a sperare nonostante tutto. Gale mi guarda dritto negli occhi e dà alla mia mano quella che credo dovrebbe essere una stretta rassicurante. Forse è solo una contrazione nervosa.
Ci giriamo verso il pubblico mentre suonano l'inno di Panem.
Oh, be', penso. Saremo ventiquattro. Ci sono buone probabilità che qualcun altro lo uccida prima che lo faccia io.
Di certo le probabilità non sono state molto benevole, ultimamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Finito l'inno, veniamo presi in custodia. Non voglio dire che ci abbiano ammanettato o roba simile, ma un gruppo di Pacificatori ci scorta attraverso il portone principale del Palazzo di Giustizia. Può darsi che in passato qualche tributo abbia cercato di scappare. Io, comunque, non ho mai visto niente del genere.
Una volta dentro, mi conducono in una stanza e mi lasciano sola. È il posto più lussuoso in cui sia mai stata: ci sono tappeti grandi e spessi, un divano e delle sedie foderati di velluto. So cos'è il velluto, perché mia madre ha un vestito con un colletto così. Mi siedo sul divano e non riesco a fare a meno di passare e ripassare le dita sul tessuto. Mi aiuta a ritrovare la calma mentre tento di prepararmi alla prossima ora. È il tempo concesso ai tributi per dire addio ai loro cari. Non posso permettermi di farmi sopraffare dell'angoscia, di uscire da questa stanza con gli occhi gonfi e il naso rosso. Piangere è inammissibile. Ci saranno altre telecamere alla stazione ferroviaria.
Le prime a venire sono mia madre e mia sorella. Tendo la mano a Prim e lei mi si arrampica in grembo, mi mette le braccia intorno al collo e poggia le testa sulla mia spalla, proprio come faceva quando era piccola. Mia madre mi si siede accanto e ci abbraccia tutt'e due. Per qualche minuto non parliamo. Poi comincio a spiegare tutto quello che devono ricordarsi di fare, ora che io non sarò più lì a farlo per loro.
Prim non deve prendere nessuna tessera. Se stanno attente, possono farcela con il latte e il formaggio della capra di Prim e con i piccoli commerci di farmaci che mia madre ha messo in piedi per la gente del Giacimento. Purtroppo non potranno contare sulla carne fresca perché sia io che Gale siamo stati estratti e non credo che i fratelli di Gale riuscirebbero a portare a casa abbastanza carne per tutti, ma raccomando loro di dare qualcosa a loro se arrivassero con della carne. Evito di consigliare a Prim di imparare a cacciare. Ho provato a insegnarglielo un paio di volte ed è stato un disastro. I boschi la terrorizzavano e, quando io colpivo un animale, le venivano gli occhi lucidi e cominciava a dire che magari potevamo curarlo se lo portavamo a casa subito. Però se la cava bene con la sua capra, quindi mi concentro su quello.
Quando ho finito di istruirle sul combustibile, sui baratti e sulla necessità di continuare la scuola, mi giro verso mia madre e la prendo per un braccio, stringendo forte. — Stammi a sentire. Mi stai a sentire? — Annuisce, allarmata dalla mia veemenza. Di sicuro sa già cosa sto per dirle. — Non puoi andartene di nuovo — dico. Gli occhi di mia madre incontrano il pavimento. — Lo so. Non succederà. Non riuscivo a evitare che...
— Be', stavolta devi evitarlo. Non puoi timbrare il cartellino di uscita e lasciare sola Prim. Non ci sarò più io a tenervi in vita, adesso. Non ha importanza cosa mi succederà. Qualsiasi cosa tu veda in TV, devi promettermi che lotterai per superarla! — La mia voce si è alzata in un urlo. Dentro ci sono tutta la rabbia, tutta la paura che provai quando la mamma ci abbandonò.
Libera il braccio dalla mia stretta. Adesso è arrabbiata anche lei. — Ero malata. Avrei potuto curarmi da sola, se avessi avuto la medicina che ho ora.
È possibile che fosse davvero malata. Da allora l'ho vista rimettere in piedi gente che soffriva di una malinconia paralizzante. Forse si trattava di una malattia, ma è una di quelle che non possiamo permetterci.
—E allora prendi la tua medicina. E abbi cura di Prim! — ribatto.
—Va tutto bene, Katniss — dice Prim, prendendomi il viso tra le mani. — Ma anche tu devi avere cura di te. Sei veloce e coraggiosa. Forse puoi vincere.
Non posso vincere. Nel profondo del suo cuore Prim deve saperlo. La competizione richiederà capacità che vanno ben oltre le mie. I ragazzi dei distretti più ricchi, per i quali vincere è un onore immenso, sono stati addestrati tutta la vita in previsione di questo. Ci sono maschi due o tre volte più grossi di me, femmine che conoscono venti modi diversi per ucciderti con un coltello. Oh, certo, ci saranno anche quelli come me, quelli da far fuori prima che il vero divertimento abbia inizio.
—Forse — dico, perché non posso certo raccomandare a mia madre di tener duro se io stessa mi sono già arresa. E poi non è nella mia natura cedere senza lottare, anche quando le difficoltà sembrano insormontabili. — Se succederà, diventeremo ricche come Haymitch.
—Non mi importa se saremo ricche. Voglio solo che tu torni a casa. Ci proverai, vero? Ci proverai sul serio, sul serio?
—Sul serio, sul serio. Lo giuro — dico. E so che dovrò farlo. Per Prim.
In quel momento un Pacificatore si presenta alla porta, avvertendoci che il tempo è finito, e noi ci abbracciamo così forte da farci male, e l'unica cosa che riesco a dire è: — Vi voglio bene. Voglio bene a tutte e due. — E anche loro dicono che mi vogliono bene, poi il Pacificatore le fa uscire e la porta si chiude. Affondo la testa in uno dei cuscini di velluto, come se servisse a far scomparire tutto quanto.
Qualcun altro entra nella stanza. Alzo gli occhi e sono sorpresa di vedere il fornaio, il padre di Peeta Mellark. Non riesco a credere che sia venuto a far visita a me. Ma un po' ci conosciamo, e lui conosce Prim ancora meglio. Quando vende i formaggi di capra al Forno, infatti, Prim gliene tiene da parte un paio, e in cambio lui le dà una generosa quantità di pane. Aspettiamo sempre che quella strega di sua moglie non sia nei paraggi, quando commerciamo con lui, che è molto più gentile. Ma perché è venuto a trovarmi?
Goffamente, il fornaio si mette a sedere sul bordo di una delle sedie eleganti. È un omone dalle spalle larghe, con cicatrici di bruciature per tutti gli anni passati davanti ai forni. 
Prende dalla tasca della giacca un pacchetto di carta bianca e me lo porge. Lo apro e trovo dei biscotti. Sono un lusso che noi non abbiamo mai potuto permetterci.
— Grazie — gli dico. Il fornaio di solito non è un gran chiacchierone, ma oggi non ha proprio le parole. — Ho mangiato un po' del suo pane, stamattina. Il mio amico Gale le ha dato in cambio uno scoiattolo. — Annuisce, ricordando lo scoiattolo. — Non è stato il suo affare migliore — aggiungo. Lui scrolla le spalle come se la cosa non avesse importanza.
A quel punto non riesco a pensare a nient'altro, perciò sediamo in silenzio finché un Pacificatore non lo chiama. Si alza e tossisce per schiarirsi la voce. — Terrò d'occhio la ragazzina. Mi assicurerò che mangi.
Alle sue parole, sento allentarsi un po' della pressione che ho sul petto. La gente tratta con me, ma è davvero affezionata a Prim. Forse ci sarà abbastanza affetto da mantenerla in vita.
Il mio ospite successivo è altrettanto inaspettato. Madge viene dritta verso di me. Non è né emozionata né evasiva, anzi, il suo tono ha un'urgenza che mi sorprende. — Nell'arena avrai il permesso di indossare una cosa che viene dal tuo distretto. Una cosa che ti ricordi casa. Vuoi portare questa? — Mi tende la spilla d'oro tonda che prima aveva appuntata sul vestito. Non l'avevo guardata con attenzione, ma ora vedo che contiene un piccolo uccello in volo.
—La tua spilla? — chiedo. Avere un portafortuna del mio distretto è praticamente l'ultimo dei miei pensieri.
—Vieni, te la metto, va bene? — Madge non aspetta la mia risposta. Si limita a chinarsi e ad assicurare la spilla con l'uccello al mio vestito. — Prometti che la metterai nell'arena, Katniss? — chiede. — Lo prometti?
—Sì — dico. Biscotti. Una spilla. Ricevo regali di tutti i tipi, oggi. Madge me ne dà un altro. Un bacio sulla guancia. Poi se ne va e io resto sola, pensando che forse Madge è stata davvero mia amica, in tutto questo tempo.
Alla fine, non arriva più nessuno. 
Dal Palazzo di Giustizia alla stazione il viaggio è breve. Non sono mai stata su un'automobile. Sono salita raramente persino sui treni merci. Nel Giacimento viaggiamo a piedi.
Ho fatto bene a non piangere. La stazione brulica di giornalisti e le loro telecamere simili a insetti sono puntate dritte sulla mia faccia. Ma ho molta esperienza nel cancellare le emozioni dal viso e così faccio anche adesso. Colgo un'immagine fugace di me stessa sullo schermo TV appeso al muro che sta trasmettendo in diretta il mio arrivo e mi sento soddisfatta nel notare che sembro quasi annoiata.

GALE'S POV 

Dopo che ci hanno portato nel palazzo di giustizia vengono a trovarmi poche persone.
All'inizio viene mia madre con i miei fratelli. Per riuscire a sopravvivere istruisco i miei fratelli su cosa fare soprattutto Rory, che sa cacciare anche se poco, gli dico di cacciare e se caccia qualcosa in più qualche volta lo deve portare alla famiglia di Katniss, non deve andare a vendere niente ai pacificatori e se caccia veramente tanto può andare al forno a vendere quello che avanza scambiandolo soprattutto con delle stoffe e filo o con dei vestiti. Vick deve andare a cercare dei frutti o delle erbe con Prim, lei sa quali sono curative e quali si possono mangiare e se trovano delle fragole devono provare a venderle al sindaco e dividere quello che dà tra le due famiglie. Appena ho finito di istruirli,arriva un pacificatore e li porta via. Passa un po' di tempo e entra Madge che mi da una spilla e mi spiega il significato. Poi se ne va e non arriva più nessuno fino a quando i pacificatori non vengono a prendermi per andare sul treno.
Quando vedo Katniss noto che "indossa" la maschera di sempre quindi non ha emozioni in volto, al contrario di me che in questo momento sembro un libro aperto perché si nota che sono un misto tra arrabbiato e triste.

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