La lettera

di antares_78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La morte cambia tutto ***
Capitolo 2: *** Gregory ***
Capitolo 3: *** Il tizio in coma ***
Capitolo 4: *** Paul ***
Capitolo 5: *** Là dove tutto è iniziato ***



Capitolo 1
*** La morte cambia tutto ***


La lettera - Cap 1 - La morte cambia tutto

Il mio personale tentativo di sistemare l'impossibile... Ambientato dopo il finale dell'ottava stagione. Qui 'Everybody Dies' segue 'Bombshells' solo di qualche mese, ma comunque dopo che House ha passato sei mesi in prigione per essersi schiantato con l'auto contro la casa di Cuddy. Stessi eventi della serie (la rottura tra House e Cuddy, il matrimonio con Dominika e tutte le cag*** che sono venute dopo, incluso il cancro di Wilson).

    

 

LA LETTERA

...

 

Capitolo 1 - La morte cambia tutto

 

 

"È... è morto" sussurrò appena sentì la sua voce dall'altro capo del telefono.

Cuddy rimase immobile.

"C-cosa?" Disse, mentre quella parola quasi soffocava nella sua gola.

"Ehm... c'è stato un incendio e lui era là... e... ehm..."

La voce di Wilson si incrinò.

"So che non faceva più parte della tua vita ma... non è stato neanche possibile riconoscerlo, Cuddy, e... ehm... scusa, questo.... questo non c'entra in questo momento... Il funerale è domani alle quattro... Ho pensato che dovessi saperlo..."

Non rispose. Nessun suono provenne dall'altro capo del telefono, e per un attimo pensò che fosse caduta la linea. Finché non sentì la voce di Arlene in sottofondo.

... Lisa?

... tesoro, che succede?

Non avrebbe saputo dire con certezza cosa successe dopo. Suoni ovattati. Il suo respiro affannoso. Poi, la linea cadde.

 

...

 

Era sicuro che Cuddy sarebbe stata là. Cristo Santo, era morto! Ma non era là...

Guardò quella sedia vuota. Tutti erano lì. Tutti quelli che avevano lavorato con lui erano lì. Persino l'infermiere Jeffrey.

La sua squadra. La vecchia vicino alla nuova.

 

Park e Adams.

... mi ha assunta quando non l'avrebbe fatto nessun altro...

... mi ha fatto licenziare. Mi ha dato il coraggio di farmi licenziare...

 

Masters. Taub. Tredici. E Cameron. E Chase.

... mi ha dato il coraggio di dimettermi...

... mi ha reso un genitore migliore, che lo volesse o no...

... era disposto a uccidermi. E gli sarò riconoscente per sempre...

... non era sempre facile avere a che fare con lui ... ma da qualche parte, nel profondo... sapeva amare...

 

E Foreman.

... è stato il mio capo. E un mio dipendente. E in entrambi i casi... ho imparato qualcosa da lui...

 

Tutti erano lì. Quelli che l' avevano odiato erano lì... accanto a quelli che l'avevano amato.

 

Sua madre. Persino Stacy e... Dominika.

... era un bravo figlio...

... era... un fidanzato difficile da sopportare... ma... non ha mai smesso di amarlo ...

... è stato davvero mio marito. Non ho potuto fare a meno di amarlo...

 

 

Era...

Era suo amico. E uno stronzo. Uno stronzo che salvava vite, ma comunque uno stronzo.

Prendeva in giro chiunque... pazienti, colleghi, la sua cerchia di amici sempre più ristretta. Tutti quelli che non erano all'altezza dei suoi folli ideali di integrità. Diceva di essere all'eroica ricerca della verità, ma la verità era che era un triste idiota a cui piaceva rendere infelici le persone. E l'aveva dimostrato, morendo da egoista, annebbiato dai narcotici, senza pensare a nessun altro. Un tradimento verso tutte le persone che gli volevano bene.

 

Eppure... erano tutti lì. Tutti. Tutti tranne l'unica persona che lui avesse davvero amato.

 

Tutti avevano parole per lui. Ma... neanche una parola da lei. Non da Cuddy. E questo era strano. Nonostante gli eventi degli ultimi mesi lui era stato una parte importante della sua vita. E la morte cambia tutto! Era davvero così infuriata con lui da non rendergli neanche un ultimo omaggio?

 

Strinse la mano di Blythe, guardandola per un breve istante mentre lo guardava a sua volta. Non le rimaneva niente. Non aveva la stessa compostezza che aveva visto al funerale di suo marito. Nessuna madre dovrebbe vedere la morte del proprio figlio. La guardò mentre guardava fisso di fronte a sé. Gli occhi pieni di lacrime, mentre l'azzurro degli occhi azzurri di suo figlio la fissavano dalla foto vicino all'altare. Gli occhi che non avrebbe visto mai più.

 

Nessuna madre dovrebbe partecipare al funerale del proprio figlio.

 

...

 

"Gregory!"

 

"Gregory, andiamo! Smetti di nasconderti. Dove sei?"

 

Si chinò per guardare sotto alla scrivania, ma lui non c'era.

 

"Giuro su Dio che l'uccido con le mie mani, non appena lo prendo!" Sibilò a bassa voce, parlando tra sé e passandosi una mano sulla fronte "Accidenti! In realtà sua madre mi ucciderà con le sue mani!" Disse sospirando, mentre camminava lungo il corridoio, aprendo porte e chiamando il suo nome di tanto in tanto, chinandosi qua e là per cercarlo sotto ogni scrivania e sotto ogni sedia.

 

Blythe House la guardò e non poté evitare che un piccolo sorriso comparisse sulle sue labbra. Quante volte aveva fatto lo stesso con il suo Gregory?! Scosse la testa leggermente mentre un nodo le chiudeva la gola a quel pensiero, e sospirò, lanciando un'occhiata all'orologio della sala d'attesa e poi tornando a guardare la rivista che teneva tra le mani. Non che la stesse leggendo in realtà. Guardava a malapena le figure. Perché tutto le ricordava suo figlio. Dalla colorata pubblicità dei Cheerios a fondo pagina al vecchio col bastone seduto di fronte a lei in quel reparto di Ortopedia del Massachusetts General Hospital di Boston.

 

Passò solo un minuto prima che un urto sotto alla sedia di plastica su cui era seduta catturasse la sua attenzione. Si chinò e non poté fare a meno di sorridere alla vista del piccoletto rannicchiato sotto a quella stessa sedia. Più o meno due anni. Si copriva il viso con entrambe le manine, pensando ovviamente che nessuno potesse vederlo se lui non lo vedeva.

 

"Gregory, vero?" Gli chiese gentilmente, sorridendo mentre lo guardava.

 

"L'infe-miera è b-utta. Vo-io la mia mamma", disse, non togliendosi le manine dal viso.

 

"Possiamo andare a cercare la mamma, tesoro" disse, continuando a guardarlo "Va bene?"

 

Annuì, abbassando la testa mentre sgattaiolava fuori, alzandosi poi in piedi e allungando la mano verso Blythe, incontrando il suo sguardo.

 

Il sorriso sparì dal suo viso e lo guardò negli occhi come se stesse guardando un fantasma.

 

"Andiamo a ce-care la mia mamma?" Gli chiese.

 

Blythe deglutì e annuì, inspirando profondamente mentre si alzava in piedi. Di sicuro la sua mente si stava prendendo gioco di lei. Eppure, non poté fare a meno di pensare al suo Greg mentre prendeva quella piccola mano e camminava con lui lungo il corridoio. Era troppo piccolo per sapere dove potesse essere sua madre, e quella povera donna stava certamente impazzendo non sapendo dov'era il suo piccolo, quindi  l'unica cosa che poteva fare era portarlo dalle infermiere dell'accettazione al piano terra.

 

Guardò la porta chiusa dell'ascensore che si apriva lentamente. Le due donne all'interno erano impegnate in una discussione e per un attimo non prestarono attenzione a lei, né lei a loro, troppo concentrata su quel bambino che teneva la sua mano.

 

Si bloccò non appena alzò lo sguardo e il verde dei suoi occhi incontrò il grigio-azzurro di quelli di fronte a lei. Si guardarono l'un l'altra per un momento, senza parole, prima che un 'mamma!' le distraesse, facendole guardare in giù al bambino. Lui lasciò la mano di Blythe e buttò le braccia attorno alla gamba di sua madre.

 

Blythe guardò per un attimo ancora la sua stessa mano prima di guardare di nuovo la donna di fronte a lei e il bambino che adesso era tra le sue braccia, le sue piccole braccia intorno al suo collo. Ancora una volta, come se stesse guardando un fantasma.

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Capitolo 2
*** Gregory ***


La lettera - Cap 2 - Gregory

Capitolo 2 - Gregory

 

 

... Lisa?

...tesoro, che succede?

 

Arlene guardò sua figlia. La sua mano tremava ed era così pallida che sembrava che stesse per svenire.

 

Perché... era così.

 

"Oddio... devi sederti" disse mentre il telefono cadde dalla mano di Cuddy, rimbalzando sul pavimento e poi aprendosi a metà mentre la batteria rotolava sotto al tavolino.

 

Quasi non percepì la mano di sua madre sul suo braccio mentre la guidava verso il divano, facendola sedere. Chiuse gli occhi, cercando di controllare l'affanno del suo respiro.

 

"Lisa?" Provò di nuovo, guardando con uno sguardo preoccupato la mano appoggiata sulla sua pancia "Chi era?"

 

Non aprì gli occhi, sussurrando a fatica solo un 'House'.

 

"Giuro su Dio che lo mando di nuovo in prigione, se solo cerca di avvicinarsi a te o ai bambini" sibilò, sedendosi accanto a sua figlia, che di nuovo non rispose.

 

"Lisa, devi calmarti" Disse ancora, mettendo a sua volta una mano sulla sua pancia e guardandola mentre una smorfia di dolore compariva sul suo viso e si portava l'altra mano sulla fronte, mentre la sua pancia si induriva sotto alle sue dita.

 

"Per favore... dimmi che non è vero" sussurrò, ancora con gli occhi chiusi "Oh mio Dio, mamma... non può essere vero..."

 

Non riusciva a respirare. Si sentiva come se avesse un macigno sul petto.

 

Arlene la guardò con uno sguardo ancora più preoccupato.

 

"Cosa non può essere vero?" Le chiese.

 

"È... è morto" sussurrò "Il padre di mio figlio è morto"

 

...

 

Due anni erano passati da quel giorno.

 

La sua vita era finita in quel momento. E cominciata di nuovo in quello stesso giorno. Perché la morte cambia tutto! E una parte di lei era morta con lui in quello stesso giorno. Aveva cercato di convincersi che non lo amava più, ma più ci provava più si rendeva conto che non era vero. Sarebbe sempre stata legata a lui. Quello che aveva fatto, schiantarsi con l'auto contro casa sua, era qualcosa di talmente grave che non poteva comportarsi come se nulla fosse successo, doveva proteggere se stessa e Rachel, ma la verità era che non lo biasimava davvero tanto quanto fingeva di biasimarlo. Era colpevole, quanto lei. Non l'aveva aiutato come avrebbe dovuto fare. Sapeva della sua dipendenza. Sapeva che non poteva biasimarlo per quello e per la sua debolezza di fronte a quello. Sapeva che doveva incolpare se stessa tanto quanto incolpava lui. Perché se l'amore è sostenersi a vicenda e confidare l'uno nell'altro... beh, in questo aveva fallito.

 

Ma il destino aveva giocato sporco.

 

Aprì il cassetto e si sedette sul letto, rigirando quella lettera tra le mani. Quella era per lui, ma lui non l'aveva mai letta. Il postino l'aveva ributtata nella sua buca delle lettere un paio di giorni dopo quella telefonata. Un 'Destinatario non trovato. Restituito al mittente' stampato sulla busta.

 

Non aveva mai saputo. Non aveva mai saputo della vita che cresceva dentro di lei. Aveva trascorso tante notti sveglia, pensando a cosa fare. A come dirgli la verità. Era stata così determinata nel tenerglielo nascosto all'inizio! Ma poi i mesi erano passati... e ogni calcio del piccolo dentro alla sua pancia le faceva pensare a lui. Trasferirsi in Massachusetts non era stato abbastanza. Quelle quasi 300 miglia non erano abbastanza, e sapeva che nemmeno tremila miglia sarebbero state abbastanza. Aveva cercato di andare avanti... cambiare lavoro e... vita, ma non aveva funzionato. Per niente. E ogni tempesta tiroidea che vedeva come Primario di Endocrinologia le faceva pensare a lui... a lui che bussava alla sua porta nel mezzo della notte, fingendo di aver bisogno di un consulto. Ecco perché, alla fine, aveva deciso di scrivergli quella lettera.

 

Aprì la busta e guardò quel foglio mordendosi il labbro, guardando il soffitto mentre la sua vista si appannava. Non poteva farne a meno. Le mancava. Talmente tanto che a volte il dolore era quasi un dolore fisico. Guardò di nuovo quella lettera, in cui qua e là l'inchiostro era sbiadito per colpa  delle sue stesse lacrime cadute così tante volte su quello stesso foglio in quei due anni.

 

Riusciva a malapena a leggere per via delle lacrime che le riempivano gli occhi, ma ormai la conosceva a memoria.

 

House,

Se stai leggendo significa che almeno non hai buttato questa lettera nella spazzatura non appena hai letto il mittente sulla busta, quindi... è già un passo.

Vorrei dirti non so perché lo sto facendo, ma la verità è che... lo so. Ho provato. Dio solo sa quanto ci ho provato. Ho provato a dimenticarti. Ma non ci sono riuscita. E mi manchi. Mi mancano i tuoi occhi, mi manca il tuo modo di prendermi in giro e di prenderti gioco di me, mi manca tutto di te. Mi manchi tu. Mi manca il tuo essere tu. E come pensavo di volere che  fossi... solo... il tuo essere tu.

Ho provato. Ho provato con tutta me stessa... ma non riesco ad odiarti. Non ci riesco. Non sono riuscita ad amarti e non sono riuscita a odiarti.

Quindi... Dio, House, cosa c'è che non va in me? Cosa c'è che non va in noi? Mi hai fatto del male in tutti i modi in cui qualcuno poteva farmi del male... e ti amo ancora. E non posso fare a meno di chiedermi: "Mi ha mai amata davvero?"

Pensavo che mi amassi. Pensavo davvero mi amassi. Voglio credere che mi amassi! E allora... continuo a chiedermi: "Perché?". Ci ho pensato così tante volte. So che non volevi uccidermi. L'ho pensato, in un primo momento. Ecco perché sei andato in prigione, ed ecco perché sono andata via, lontano dal mio lavoro, dai miei amici, dalla mia vita. Lontano da te. Non ha funzionato. Tu mi perseguiti. Ogni notte, da quel giorno. Ma sai una cosa? Mi hai ucciso. Quel giorno, l'hai fatto davvero. E a volte mi sento come se fossi solo il fantasma di me stessa. Ora so cosa significa essere te. So cosa significa essere infelici. Fingo di essere felice, ma non riesco nemmeno a ricordare cosa voglia dire essere felici... e mi chiedo se sarò mai felice di nuovo.

Scusa... Non è pietà quello che voglio da te. Né farti sentire ancora più miserabile. Né farti sentire più in colpa di quanto non sappia che già ti senti.

Ecco, adesso posso quasi sentire la tua voce che mi prende in giro e mi chiede "Allora? Cos'è che vuoi da me, Cuddy?"

Vorrei fosse facile rispondere a questa domanda. In realtà lo è. Per me lo è. Ma... le cose non sono mai state facili tra noi, vero?

So che forse mi sto rendendo ridicola, ma non posso fare a meno di pensare "Mi ama ancora come lo amo io?" ...Perché, beh... So che ti ho ferito quanto tu hai ferito me... quindi... non posso biasimarti se non è così... se sei andato avanti...

So da Wilson che vivi ancora nel tuo appartamento e, beh, conosci Wilson, ovviamente ha sentito il bisogno di dirmi anche che Dominika se n'è andata. So della tua nuova squadra al Plainsboro. So del tuo nuovo capo. Beh, in effetti penso di sapere troppo per qualcuno che vuol far credere che non le importi.

Mi dispiace, House! So che diresti che è a causa del mio ebraico senso di colpa... ma mi dispiace. Davvero. Mi dispiace di non essere stata là per te. Mi dispiace per le parole che non ci siamo detti. Mi dispiace non averti detto quello che sentivo dentro di me e... di non averti dato modo di dirmi quello che sentivi dentro di te. Il tuo "Vuoi sapere come mi sento, Cuddy?" continua a girare nella mia mente insieme a quel "mi sento ferito". E sì, mi sento in colpa. Perché quello era il momento esatto in cui avremmo potuto cambiare le cose. Non potrò mai perdonarmi per averti lasciato andare via dopo quello scontro. Né per averti lasciato andare via dopo che mi hai riportato quella dannata spazzola.

So cosa stai pensando in questo momento, e... no. Non meritavi la prigione, House! E ancora di più... la prigione non era quello di cui avevi bisogno. Avevi bisogno di me. E se ti avessi amato anche solo un quarto di quanto io so di averti amato, avrei dovuto essere lì. Per te.

Perché è così facile scriverti queste cose adesso? Perché invece è così difficile dire le stesse cose ad alta voce?

Ci sto provando, House. Sto cercando di non fare di nuovo gli stessi errori.

Quindi, beh... non c'è un modo semplice per dire quello che ho da dire. Voglio solo che tu sappia che non ti sto chiedendo nulla. Non ti sto forzando a fare niente. E... mi conosci abbastanza bene da sapere che non sono qui, a scriverti, per questo. Penso solo che tu abbia il diritto di sapere. Di sapere che in poche settimane un bambino guarderà il mondo per la prima volta.

Il nostro bambino, House. Nostro.

Quindi, beh... ho mentito. Ho mentito quando ti ho detto che non sono qui a causa sua. Perché... ognuno dei suoi calci mi fa pensare a te. E... non posso. Non è qualcosa che posso nasconderti. Non ti sto chiedendo di essere suo padre. Ma sei suo padre in ogni caso. Mi chiederà di te. Un giorno, mi chiederà di te. Che cosa devo dirgli, House? Cosa vuoi che gli dica?

Di nuovo, non ti sto chiedendo nulla. Non voglio forzarti in qualcosa che è più grande di te, ma... beh, l'unica cosa che voglio che tu sappia è che non ho intenzione di tenerlo lontano da te.

Non so cosa gli dirò quando crescerà. So solo che non ho intenzione di mentirgli. È così sbagliato dirgli che è venuto dall'amore dei suoi genitori? Perché... è così, House.

Stavo quasi pensando di mandarti una foto della mia ultima ecografia, ma, sai, improvvisamente la tua voce è risuonata nella mia testa con un "È solo un feto. Come puoi essere così emotiva, Cuddy?" quindi ho deciso che effettivamente era una pessima idea.

Se vorrai, beh, ora sai dove trovarmi. Trovarci. Il mio indirizzo è sulla busta. Lavoro al Massachusetts General Hospital. Non cercare il Direttore Sanitario perché non sono più un Direttore. Sono tornata ad essere un dottore vero. Chi l'avrebbe mai detto?! Quindi... Endocrinologia. Dove tutto è iniziato.

Beh... penso che sia meglio che ti saluti adesso. La schiena mi fa male da impazzire, quindi riesco totalmente a mettermi nei tuoi panni in questo momento. Infelice e sofferente.

E innamorata di te.

 

Cuddy  

xxx

 

Guardò la sua stessa firma scarabocchiata sul foglio. E poi di nuovo quel 'e innamorata di te', e non poté evitare che un'altra lacrima cadesse sulla y del suo nome, trasformandola in una macchia grigia.

 

"No piange-e, mamma..."

 

Chiuse gli occhi, asciugandosi le lacrime dalle guance e inspirò ed espirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di se stessa, prima di guardarlo, accennando un sorriso alla vista del suo bimbo nel suo pigiamino azzurro.

 

"Va tutto bene, amore", disse in tono morbido, mentre lui si arrampicava sul letto e si rannicchiata tra le sue braccia "Non sto piangendo"

 

Lui mise le sue piccole braccia intorno al suo collo e lei seppellì il naso nei suoi morbidi capelli scuri, inalando il suo profumo. Adorava il suo profumo.

 

"Cosa c'è che non va, amore mio?" Gli chiese mentre col dito tracciava cerchi attorno ai piccoli dinosauri del suo pigiama.

 

"Vo-io dormire nel tuo letto g-ande" Disse aggrappandosi ancora di più a lei.

 

"Cos'ha che non va il tuo letto?" Gli chiese ancora, anche se poteva già prevedere la sua risposta.

 

"Non sei là" Rispose, mentre lei non poteva fare a meno di sorridere, tenendolo stretto tra le sue braccia.

 

"Quindi... vuoi lasciare Rachel là tutta sola?" Gli chiese, stuzzicandolo, ma spostando di lato il lenzuolo per fargli spazio.

 

"-Echel g-ande. G-ego-y piccolo" Disse appoggiando la testa sul cuscino e rannicchiandosi sotto alle lenzuola mentre lei sorrideva e gli baciava i capelli, sdraiandosi accanto a lui e stringendolo a sé.

 

"Già..." sorrise di nuovo al pensiero di quante R ci fossero in quella frase e nel suo nome, e quanto difficile fosse per lui essere capace di pronunciarlo "Sogni d'oro, mio dolcissimo cucciolo" sussurrò sui suoi capelli, accarezzandogli il braccio e assaporando il calore che si diffondeva dal suo piccolo corpo.

 

Gregory.

 

Non aveva ancora deciso un nome per il suo bambino. L'avrebbe probabilmente chiamato James, come suo padre, ma in realtà non aveva ancora deciso, nonostante le pressioni di sua madre. Sapeva che doveva decidersi in quelle poche settimane, ma pensava di avere ancora tempo.

 

"Oh mio Dio, mamma... non può essere vero ..."

 

"Lisa, devi calmarti" Disse ancora, mettendo a sua volta una mano sulla sua pancia e guardandola mentre una smorfia di dolore compariva sul suo viso e si portava l'altra mano sulla fronte, mentre la sua pancia si induriva sotto alle sue dita.

 

"Devo andare là, mamma", disse dopo qualche istante, alzandosi in piedi e ignorando sua madre "Devo vederlo"

 

"Vederlo?" Lei la guardò «È morto, Lisa. Non c'è niente che tu possa dire o fare. Non più. So come ti senti in questo momento, ma non posso lasciarti guidare per ore solo per..."

 

La prese per un braccio e Cuddy la fulminò con lo sguardo.

 

"Tu non puoi neanche lontanamente immaginare come mi sento adesso, mamma" Rispose, sostenendo il suo sguardo.

 

"Hai ragione! Ma non posso lasciarti guidare in queste condizioni. Guardati, Lisa! " Disse, indicando lo specchio di fronte a lei "Quelle che hai adesso sono contrazioni. Respiri a fatica. Vuoi forse partorire mio nipote sulla superstrada?"

 

Guardò sua figlia chiudere gli occhi e trattenere il respiro, tenendosi la pancia con una mano.

 

"Tesoro, sei sconvolta in questo momento. Hai ragione... Io non posso nemmeno immaginare quello che ti sta passando per la testa in questo momento... ma, per favore... hai già perso lui. Non puoi correre il rischio di perdere anche il suo bambino"

 

Quel che venne dopo era nebuloso... come se fosse avvolto nella nebbia...

 

Ricordava... dolore. Tanto dolore. Ma il dolore fisico non era niente in confronto a quello mentale. Due tipi di dolore legati insieme in modo tale che la morte sarebbe stata una liberazione. L'avrebbe accolta come una confortante sorella maggiore.

 

In quel giorno, era morta. E poi tornata a vivere in quello stesso giorno. Le lacrime scendevano lungo le sue guance mentre guardava il bambino che teneva tra le braccia. Il loro bambino. Il suo piccolo pugno avvolto attorno al suo dito e quegli occhi azzurri che la fissavano.

 

Gregory.

 

Sapeva che avrebbe vissuto per lui. Che sarebbe stata felice per lui. Che sarebbe stata là per aiutarlo a diventare l'uomo di cui anche suo padre sarebbe stato fiero. E che sarebbe stata là per dirgli ancora, e ancora e ancora, quanto suo padre fosse l'uomo più incredibile che avesse mai conosciuto.  

 

 

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Capitolo 3
*** Il tizio in coma ***


La lettera - Cap 3 - Il tizio in coma

Capitolo 3 - Il tizio in coma

 

 

"È incredibile, Mike! Avevi mai sentito niente del genere?"


"Cosa?" Il dottor Wyle guardò il suo collega e amico con uno sguardo annoiato prima di capire di cosa stesse parlando "Oh già,  il tizio in coma!"

 

Il dottor Anderson annuì, allungando la mano per prendere la sua bistecca con patate fritte dal bancone di fronte a lui, e mettendola sul suo vassoio.

 
"Già! Il tizio in coma!" Disse con uno sguardo leggermente infastidito "Sta meglio di me e te messi insieme e verrà dimesso nel giro di qualche giorno. Quel tizio è... non so! Apre gli occhi dopo quattordici mesi e nove giorni di coma e la prima cosa che dice all'infermiera Anne è che la sua voce è troppo rauca e che deve farsi vedere da..." 

 

Non finì quella frase e sospirò nell'istante in cui si rese conto che l'attenzione del suo amico non era più per lui, focalizzata su qualcosa di decisamente più interessante di quell'aneddoto. Beh, non che potesse biasimarlo!

 

"Scusa, Lisa" disse il dottor Wyle, guardando Cuddy, che accennò a sua volta un sorriso "Davvero non sa cosa significhi 'secreto professionale'..."

 

Cuddy sorrise, mordendosi leggermente il labbro. Quei due le ricordavano...beh, altri due della sua vita passata.

 

"Andrai al galà di beneficienza sabato sera? Stavo pensando che... magari potremmo andarci insieme" Disse, accennando un sorriso che  lasciava leggermente trasparire il suo disagio.

 

"Oh, beh... sì, ma... in realtà non so ancora se riuscirò ad andarci..." Disse, con un mezzo sorriso e un sospiro "Io... beh, devo prima trovare l'ennesima babysitter" precisò, con un altro sospiro.

 

Il dottor Wyle rise e, come risposta, lei lo fulminò con gli occhi.  

 

"Non ridere!" Disse mentre non poteva evitare però di ridere a sua volta "Non è per niente divertente!"

 

"Quindi... Gregory ha fatto scappare la babysitter?" Le chiese, stavolta trattenendo un'altra risata.

 

Cuddy si passò una mano sulla fronte e scosse la testa.

 

"Questa. E quella prima di questa. E quella prima di quella" Disse, guardandolo negli occhi e accennando un sorriso "Ma, se sono fortunata, riuscirò a lasciare lui e Rachel con sua nonna"

 

Il dottor Wyle annuì, guardandola con uno sguardo leggermente pensieroso Sua nonna? Non... di tutti e due?

 

"Quindi, tua madre è in città?" Le chiese.

 

Cuddy scosse la testa, guardando il suo stesso vassoio mentre vi appoggiava una mela e poi alzando gli occhi a guardare ancora lui.

 

"Ehm... no" Disse, scuotendo la testa "La madre del padre di Gregory. Le chiederò se i bambini possono dormire da lei"

 

Sorrise, guardandolo negli occhi mentre lui sorrideva a sua volta.

 

...

 

"Posso farlo da solo, grazie" Disse all'infermiera, che lo guardò e sorrise, uscendo poi dalla stanza. Appoggiò le mani sui braccioli della sedia a rotelle e si alzò lentamente in piedi, appoggiandosi al letto per sostegno, più per abitudine che perché ne avesse davvero bisogno.

 

Niente dolore.

 

Due gambe ancora troppo deboli per via di quei lunghi mesi immobile in un letto d'ospedale ma... niente dolore. Niente più dolore.

 

Non aveva una risposta per quello, né sapeva se sarebbe durato o se  avrebbe ricominciato ad avere dolore quando meno se l'aspettasse... ma non gli interessava. Non gli interessava non avere una risposta a quella domanda. Forse doveva solo ringraziare quel Big Joe per quello. Cosa diavolo credeva di fare? Ucciderlo? Come poteva uccidere un uomo già morto? Perché questo era. Un uomo morto. Non aveva più niente. L'unica donna che avesse mai davvero amato se n'era andata... a causa sua. Il suo migliore amico era morto. Sua madre... beh...

 

Si passò una mano tra i capelli. Tra quei capelli troppo lunghi.

 

Il suo 'Tu sei assolutamente perfetto così come sei' risuonò nella sua mente.

 

Non la meritava. E lei non meritava di avere un figlio come lui. Cosa poteva darle? Altro dolore? Altre delusioni? In realtà, era meglio per lei che restasse tutto così... che continuasse a piangere sulla sua tomba e andasse avanti... senza di lui.

 

Sospirò mentre camminava lentamente verso il bagno. Guardò la sua stessa immagine nello specchio e si passò una mano sul mento. Barba e capelli decisamente troppo lunghi. E troppi capelli grigi.

 

...

 

Scosse leggermente la testa, continuando a guardare la sua immagine nello specchio. Si passò una mano sulla pelle liscia del mento e delle guance, facendo poi scorrere le dita tra quei capelli ancora troppo lunghi. Beh... da qualche parte doveva pur cominciare, ed era già un inizio! Si passò di nuovo l'asciugamano sul viso prima di tornare in camera. I muscoli gli facevano male per via di tutte quelle ore di fisioterapia dopo troppi mesi di immobilità.

 

Un rumore catturò la sua attenzione nell'istante in cui si avvicinò al letto, e si guardò intorno nel silenzio di quella stanza. Un rumore sordo... come di una scarpa che sbatte contro una superficie di legno.

 

Come una piccola Nike bianca e blu contro la porta di legno del suo armadio.

      

"Riesco a vederti" disse nell'istante in cui aprì entrambe le porte dell'armadio e vide quel piccoletto nascosto lì dentro. Una maglietta bianca a maniche corte e un paio di jeans. Le piccole mani sul viso mentre ovviamente pensava che lui non potesse vederlo visto che lui non lo vedeva.  

 
"No, non p-oi" Una vocina rispose da dietro quelle mani.


Sospirò.

 

"Nessuno ti ha mai detto che il mondo non scompare solo perché tu non puoi vederlo?" Gli chiese in tono sarcastico e leggermente infastidito, mentre lui non si mosse di un millimetro "...ok, va bene... farò finta che tu non sia qui"


"Non sono q-i"

 
Sorrise. Testardo! Beh, gli piaceva la testardaggine! 


"Bene allora, perché in effetti non dovresti essere qui. Che ci fai nel mio armadio?"


"La mia mamma dice di non pa-la-e con -i sconos-iuti" Disse, sempre coprendosi il viso con entrambe le mani ma spiandolo attraverso le sue piccole dita.

 
"Giusto. Tua madre ha ragione! Quindi forse non dovresti nasconderti nell'armadio degli sconosciuti." Disse, non riuscendo ad evitare di accennare un sorriso.


Di nuovo non replicò, continuando a coprirsi il viso con entrambe le mani, ovviamente ancora convinto che così non potesse vederlo. Beh, dopotutto avrà avuto...cosa? Tre anni? No... due... al massimo due e mezzo. 


"Bene! Non sono il tipo da 'piacere di conoscerti'... ma... sono Greg" disse.


"No, io." Rispose, ancora da dietro le sue piccole mani.


"Cosa?" Gli chiese,  stavolta guardandolo con uno sguardo interrogativo.


"Io sono Gheg. Non p-oi -uba-e il mio nome"


Rise, più forte stavolta.


"Sono più vecchio di te. L'hai rubato tu." Disse, scuotendo la testa.

 

Spostò le mani dal viso e lo guardò storto. Uno sguardo che gli ricordò... no... Guardò quelli che gli sembrarono gli stessi occhi che lo guardavano dallo specchio da 52 anni... e quello sguardo che gli ricordava... NO... era assurdo! Probabilmente era solo uno scherzo della sua mente appena uscita dal coma. La sua mente era stata annebbiata per più di un anno e ora si stava chiaramente prendendo gioco di lui. La proprietaria di quello sguardo era in realtà l'ultima donna al mondo che avrebbe potuto chiamare suo figlio come lui.


"Ok. Tienitelo. Io sono House"


Gregory rise.


"È un nome buffo." Disse sorridendo.


"Ed è mio! Non puoi averlo, ok?" Disse con uno sguardo serio, trattenendo un sorriso di fronte al suo sorriso contagioso.


Gregory annuì.


"Ok... adesso non siamo più sconosciuti, Greg." disse, allungando la mano verso di lui e stringendogli la mano.


"Ghego-y" precisò


House non riuscì a non ridere.


"Cazzo, tua madre deve odiarti davvero molto... imparerai a pronunciarlo quando avrai almeno sei anni!" Disse, scuotendo la testa e guardandolo negli occhi mentre metteva improvvisamente il broncio.


"Quella è una b-utta pa-ola" Disse, lanciandogli un'altra occhiataccia "E... tu sei b-utto..." disse mettendo di più il broncio mentre i suoi occhi azzurri iniziavano a velarsi di lacrime "La mia mamma mi v-ole bene..."


Cazzo!

 

"Oh, andiamo! Non aprire le fontane adesso!" Disse passandosi una mano sulla faccia "Non sono bravo coi bambini! Dai andiamo! Mi dispiace..."  

 
Gregory lo ignorò e grandi lacrime iniziarono a scendere sulle sue guance.

 

Cazzo! Perché non poteva semplicemente smettere di essere uno stronzo?! Cristo Santo, aveva solo due anni!


"Dai... ok... scusa, piccolo! Certo che la mamma ti vuole tanto bene!" Disse "Beh... così tanto che ti ha perso" Non riuscì a evitare di aggiungere a bassa voce.

 

Gregory alzò gli occhi a guardarlo, pulendosi il naso con il palmo della mano, ma mordendosi il labbro a quelle parole.  

 

Ancora... cazzo! Aveva due anni, ma non era stupido... né tantomeno sordo.


"La mamma non mi ha pe-s-so" Disse, tirando su con il naso.


"Ok. Andiamo. Smetti di piangere. Va bene. Ti vuole bene. Ho capito."

 

"Vo-o bene alla mia mamma" disse, di nuovo tirando su con il naso.

 

House lo guardò. Tutto quell'amore gli stava facendo venire il diabete! E non poteva farci niente... era allergico a tutta quella dolcezza!


"Se le vuoi così bene perché le stai facendo venire un attacco di cuore?" Gli chiese, di nuovo dimenticando che stava parlando con uno di due anni.

 

Devo davvero essere pazzo! Sto davvero discutendo con un lattante?


"Vo-io mamma" Gregory disse, mettendo di nuovo il broncio e strofinandosi gli occhietti con i suoi piccoli pugni.

 

"Ok, piccolo" Disse, allungando la mano verso di lui e prendendolo in braccio, sedendosi sul letto e facendolo sedere sulle sue ginocchia "Ascolta. Chiamo un'infermiera così ti aiuterà a trovare la tua mamma, ok?" Disse, stavolta in tono più morbido, accarezzandogli la schiena.

 

"No!" Disse, scuotendo vigorosamente la testa "L'infe-mie-a è b-utta"

 

"Non è brutta per niente" Rispose con uno sguardo leggermente malizioso alzando un sopracciglio "Alla tua età dovrebbero ancora piacerti le tette. Beh, in realtà anche alla mia!" Aggiunse con uno sguardo malizioso mentre Gregory lo guardava.

 

"Quelle sono pe- i piccoli" Disse innocentemente "Mamma dice che non posso ave-le più pe-ché sono un bambino g-ande adesso"

 

House rise.

 

"Non preoccuparti! Le avrai ancora quando sarai davvero un bambino grande " disse, scuotendo la testa e ridendo "Beh, non quelle di tua madre..." aggiunse, facendo poi un gesto con la mano che era un 'ok, meglio non prendere questa strada adesso'

 

Gregory non rispose, e continuò semplicemente a guardalo con i suoi grandi occhi azzurri, ovviamente troppo piccolo per capire quella battuta.

 

"Quindi... non ti piacciono le infermiere" House disse con uno sguardo pensieroso mentre Gregory scuoteva ancora la testa facendo ondeggiare leggermente i riccioli scuri.

 

House continuò a guardarlo. Di certo non era un paziente. Forse uno dei suoi genitori era malato ed era lì in visita... ma, no, sarebbe stato là, non nascosto nell'armadio di uno sconosciuto. E non era un bambino che si era perso. Era troppo tranquillo, il che voleva dire che sapeva dov'era e anche come trovare sua madre se voleva.

 

"L'infe-mie-a dice che devo sta-e con i miei amici..." disse con uno sguardo serio "... ma lo-o sono così noiosi" precisò "Io vo-io mamma. No mi piace l'asilo"

 

"L'asilo dell'ospedale?" Gli chiese, guardandolo mentre annuiva "Quindi... tua madre lavora qui?" Gli chiese mentre Gregory annuiva ancora e apriva la bocca per rispondere.

 

Chiuse immediatamente la bocca appena la porta si aprì e si coprì di nuovo il viso con entrambe le mani, mentre l'infermiera alzava gli occhi al cielo.  

 

"Oh, sono davvero spiacente, signore" disse, avvicinandosi a loro "È un vero terremoto. Spero che non le abbia dato troppo fastidio" Disse mentre House la guardava e lei prendeva la mano di  Gregory.

 

"Perché ti piaccia così tanto questo reparto è davvero una cosa che non riesco a capire!" Disse, inginocchiandosi per legargli una delle scarpe e poi guardando in su, incontrando lo sguardo di House che continuava a guardarli  "Davvero non so cosa ci trovi di così interessante nella gente in coma"

 

"Non pa-lano e posso gua-da-e i ca-toni" Gregory rispose, guardandola dritto negli occhi e poi guardando ancora House, che sostenne il suo sguardo.

 

"Andiamo"  disse ancora l'infermiera, guardando Gregory mentre la sua manina cercava qualcosa nella tasca dei pantaloni e sussurrando ad House un'altro 'mi scusi'...

 

Lo guardarono entrambi mentre finalmente trovava quello che stava cercando, porgendolo poi ad House.

 

"Ciao" disse solo, facendo ciao con la manina e sorridendo, prendendo poi la mano dell'infermiera.

 

House guardò il lecca-lecca alla ciliegia nel palmo della sua mano, alzando poi ancora lo sguardo a guardare Gregory.

 

"Ciao, piccolo" Disse solo, mentre lui usciva dalla porta.

 

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Capitolo 4
*** Paul ***


La lettera - Cap 4 - Paul

Capitolo 4 - Paul

 

 

"Gregory! Andiamo!"

 

Gregory guardò la porta chiusa mentre poteva chiaramente sentire la voce di sua sorella che lo chiamava, ma non rispose, troppo concentrato su quello che stava facendo.

 

"Oh, sei qui!" Rachel disse aprendo la porta della camera da letto di sua madre "Cosa stai facendo? Dai, la mamma ci sta aspettando. Siamo in ritardo" Disse, avvicinandosi a lui e prendendolo per un braccio.

 

"Aspetta!" Disse, lanciandogli un'occhiataccia e mettendo invece un pennarello colorato nella sua mano "Sc-hivi 'Gua-isci p-esto. Ti vo-io bene'...'" Disse, guardandola negli occhi e poi sussurrando un lunghissimo 'ti p-eeeeeeeeego'

 

Rachel alzò gli occhi al cielo e sospirò, ma prese il pennarello e scrisse quelle parole sul foglio, accanto a quello che sembrava un uomo gigantesco vicino ad un uomo più piccolo con una testa enorme.  

 

"Dove hai preso questo foglio?" Gli chiese, restituendogli il disegno mentre lui alzava le spalle, piegando il foglio a metà e infilandolo dentro al suo zainetto dei  Paw Patrol.

 

Rachel alzò a sua volta le spalle mentre sentiva la voce di sua madre che li chiamava di nuovo dal piano di sotto.  Ovviamente non aveva tempo di aspettare una sua risposta.

 

"Andiamo" Disse ancora, prendendo la mano del suo fratellino e trascinandolo verso la porta.

 

"No, aspetta! Paul!" Disse ancora, lasciando la sua mano e correndo verso il letto mentre lei alzava gli occhi al cielo di nuovo. Paul. Il suo animaletto di peluche. Lo guardò mentre si arrampicava sul letto, ovviamente incurante del fatto di avere le scarpe addosso, e si passò una mano sul viso. Lo guardò mentre spariva sotto alle coperte e cercava il suo pupazzo tra le lenzuola, riemergendo finalmente con Paul in mano.  

 

"Sai? Sarebbe più facile se la smettessi di venire tutte le sere nel letto della mamma!" Disse in tono leggermente infastidito mentre lui le faceva la linguaccia e le passava accanto, correndo poi giù per le scale.

 

...

 

House sentì la sua presenza prima che parlasse, ma non si mosse, continuando a tenere gli occhi chiusi e fingendo di dormire. Tre giorni di fila. Ogni volta solo per pochi minuti prima che l'infermiera venisse a prenderlo per riportarlo al nido ma... si era ritrovato ad aspettare di vederlo spuntare da quella porta... e, beh, probabilmente gli sarebbe mancato.

 

Gregory si arrampicò sul letto e lo guardò.

 

"Stai do-mendo?" Gli chiese, toccandogli una guancia.

 

"In realtà... stavo! Passato!" Disse, aprendo un occhio solo per guardarlo con un finto sguardo infastidito  "Perché non sei a fare un pisolino anche tu?" Gli chiese.

 

Non rispose e continuò a esplorare il suo viso, muovendo le sue piccole dita dalla pelle liscia del suo mento, al suo naso, alla sua fronte e ai suoi capelli.  

 

"Cosa diavolo stai facendo?" Disse, spostando la sua mano dalla sua faccia e strofinandosi il naso che adesso gli faceva prurito.  

  

"Somi-ii un po' a mio papà" Disse annuendo "ma lui non ha que-tti capelli st-ani" disse, guardando i suoi capelli "e neanche quette -ighe qui" aggiunse, indicando le rughe sulla sua fronte e attorno ai suoi occhi  "e lui non è così liscio" Aggiunse ancora, questa volta indicando le sue guance.

 

"Wow! Due gocce d'acqua allora!" Disse, ridendo e guardandolo negli occhi mentre lui rideva a sua volta.

 

Lo guardò con i suoi grandi occhi.

 

"Vai via davve-o?" Gli chiese, mettendo il broncio.

 

House si mise seduto e lo prese sulle ginocchia.

 

"L'ospedale è per le persone malate, e io non sono più malato" Disse, guardandolo mentre annuiva e si mordeva il labbro.

 

"Puoi veni-e a di-mi ciao qualche volta?" Gli chiese, mentre i suoi grandi occhi azzurri diventavano ancora più grandi.

 

"Forse" rispose "Ma tu devi essere all'asilo o non sarò capace di trovarti" Aggiunse, spettinandogli i capelli mentre lui sorrideva e annuiva.

 

Lo guardò mentre scendeva improvvisamente dalle sue ginocchia e allungava la mano per prendere il suo zainetto vicino alla porta, arrampicandosi poi ancora sul letto. Continuò a guardarlo mentre cercava qualcosa nello zaino, perdendo poi la pazienza e girandolo a testa in giù, rovesciando l'intero contenuto sul letto mentre una parte rotolava sotto al letto.

 

"Pe- te" Disse, allungandogli il disegno e sorridendo "Vedi? Io e te e... ho sc-hitto il mio nome tutto da solo" Disse orgogliosamente.

 

House guardò quel disegno. Quel "ti voglio bene" e quel "GrEgoRy" scritto in lettere storte e sbilenche.

 

"Io sarei questo?" Gli chiese con un sorriso mentre lui annuiva con un sorriso a trentadue denti.

 

"Tu sei il più g-ande" precisò mentre House non poté fare a meno di sorridere.

 

"Beh, grazie allora" Disse guardandolo negli occhi "E... vedi? Sono già guarito. Sembra proprio che tu sia meglio di tutti i dottori che ci sono qua dentro" aggiunse.

 

Gregory sorrise ancora.

 

"No tutti" disse in tono serio, cominciando a rimettere le sue cose nello zainetto "La mia mamma è la dotto-essa più b-ava di tutto il mondo"

 

House lo guardò. No... non poteva essere... Di nuovo era probabilmente solo uno scherzo della sua mente... Anche perché... beh, a quanto pareva il Direttore di quel posto era un sessantenne con la barba. Ma... e se invece...?

 

"Come si chiama la tua mamma?" Gli chiese, guardandolo mentre scompariva sotto al letto, riemergendo dopo un paio di secondi per poi sparire di nuovo.

 

"Cosa stai cercando?" Gli chiese, continuando a guardarlo.

 

"Paul!" Rispose "Il mio b-accio è t-oppo co-to" Aggiunse, mettendo il broncio.

 

House trattenne un sorriso. Paul? Chi era Paul? Si inginocchiò e cercò sotto al letto, allungando poi il braccio per prendere quel peluche nero da sotto il comodino.  

 

"Gregory!"

 

House girò la testa verso l'infermiera ferma sulla porta e guardò il giocattolo nella sua stessa mano.  

 

Paul.

 

Si bloccò. I suoi occhi fissi su quel peluche nero e bianco.

 

Paul il pinguino.

 

Paul il pinguino della pace.

 

Guardò la piccola mano di Gregory mentre prendeva 'Paul' dalla sua mano, molto più grande della sua, e gli metteva poi le piccole braccia attorno al collo.

 

Rimase immobile, guardandolo mentre prendeva la mano dell'infermiera e gli faceva il suo solito 'ciao ciao' con la mano.

 

Guardò quella porta che si chiudeva. E la testa di Gregory che spuntò di nuovo da quella porta.

 

"Lisa" disse con un grande sorriso "È il nome della mia mamma" disse, facendogli poi ancora ciao-ciao con la manina e sparendo dietro la porta.

 

Non rispose, continuando a guardare quella porta ormai chiusa.

Com'era possibile? Era davvero figlio di Cuddy? Dopotutto Lisa era un nome molto comune... Non credeva alle coincidenze, giusto? Era davvero una coincidenza? O Wilson sapeva che lei si era trasferita lì quando aveva scelto Boston come ultima tappa del suo viaggio?

 

Non poteva essere solo una coincidenza. Era figlio di Cuddy. Suo figlio. Ecco perché lo guardava con lo stesso sguardo di Cuddy. Ecco perché lo guardava come lo guardava la sua stessa immagine riflessa nello specchio.

 

Come era potuto succedere che non avesse notato che fosse incinta? Sì, beh, non così tanto incinta ma... come era potuto succedere che non l'avesse capito solo guardandola negli occhi?

 

Guardò al disegno sul suo letto. A quello storto e sbilenco 'GrEgoRy'.

 

Perché l'aveva chiamato come l'uomo che avrebbe potuto uccidere lei e il suo bambino?

 

"Somigli un po' a mio papà" Gli aveva detto "ma lui non ha questi capelli strani...e neanche queste righe qui e lui non è così liscio"

 

Cosa stava succedendo? Cristo Santo, non era neanche venuta al suo funerale! Ma... aveva chiamato suo figlio come lui? Come 'papà'?

 

Si passò la mano sulla fronte e poi su tutta la faccia mentre un'improvvisa ondata di nausea gli chiudeva lo stomaco.

 

Cazzo! Non era là perché...

 

Non riuscì neanche a finire quel pensiero nell'istante in cui piegò quel disegno in due e i suoi occhi misero a fuoco quello che c'era dall'altro lato di quel foglio...

 

La calligrafia di Cuddy. La sua inconfondibile calligrafia. E una data. Solo pochi giorni prima di quell'incendio.

 

I suoi occhi si focalizzarono su quelle parole.

 

Mi manchi...  Ci ho provato... ma non riesco ad odiarti...

... e ti amo ancora. E non posso fare a meno di chiedermi "Mi ha mai amato davvero?"

... e mi chiedo se sarò mai di nuovo felice.

 

Il suo sguardo si soffermò su quel 'non posso fare a meno di pensare... Mi ama ancora come lo amo io?" ...Perché, beh... So che ti ho ferito quanto tu hai ferito me... quindi... non posso biasimarti  se non è così... se sei andato avanti...'

 

Dannazione, Cuddy! Quanto poco mi conosci? Chiuse gli occhi e sospirò. Perché una lettera? Perché una dannata lettera?

 

Non poté fare a meno di guardare quelle parole. Eccolo lì.

 

... non c'è un modo semplice per dire quello che devo dire... Penso solo che tu abbia il diritto di sapere. Di sapere che in poche settimane un bambino guarderà il mondo per la prima volta.

Il nostro bambino, House. Nostro.

 

Questa volta non poté impedire ad una lacrima di rotolare lungo la sua guancia, trasformando la 'N' di quel nostro in una macchia grigia. Toccò quella macchia con la punta del dito e chiuse gli occhi, guardando in su per evitare ad altre lacrime di cadere. Ecco cos'erano quelle macchie grigie su quel foglio. Le sue lacrime.

 

... ognuno dei suoi calci mi fa pensare a te...

... Che cosa devo dirgli, House? Cosa vuoi che gli dica?

... l'unica cosa che voglio che tu sappia è che non ho intenzione di tenerlo lontano da te...

...È così sbagliato dirgli che è venuto dall'amore dei suoi genitori? Perché... è così, House.

 

Girò istintivamente il foglio, cercando la parte mancante di quella lettera ma trovando ovviamente solo il disegno di Gregory. Non poteva sapere cosa venisse dopo ma quello era comunque abbastanza per lui. Abbastanza per sapere quanto entrambi avessero perso. Quanto tempo avessero entrambi perso.

 

Guardò ancora quell'ultima frase sul foglio.

 

Quel '... è venuto dall'amore dei suoi genitori...'

 

"Sì, Cuddy!" Sussurrò nel silenzio di quella camera da letto.

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Capitolo 5
*** Là dove tutto è iniziato ***


La lettera - Cap 5 - Là dove tutto è iniziato

Capitolo 5 - Là dove tutto è iniziato

 

 

"Grazie" disse nel ricevitore, alzando gli occhi e incontrando lo sguardo del Dott.Wyle, fermo sulla porta del suo ufficio.

 

Sorrise, guardandolo negli occhi e facendogli segno di entrare. Wyle si sedette di fronte alla sua scrivania, continuando a guardarla. Una camicetta nera coperta dal camice bianco, ma non abbastanza da nasconderne completamente la scollatura. Non poteva sentire la voce dall'altro capo del telefono ma poteva intuire dai suoi occhi che quella non era una telefonata di lavoro. I suoi occhi brillavano e il suo sorriso divenne più grande mentre abbassava di nuovo gli occhi sulla sua scrivania.

 

"Ti voglio bene anch'io, amore. Fa' il bravo bambino e da' un bacio a Rachel da parte mia, ok?"

 

La guardò mentre riagganciava, sorridendo a sua volta.

  

"Quindi, sei finalmente riuscita a trovare una brava babysitter?" Le chiese.

 

"La nonna di Gregory" Disse, chiudendo la cartella sulla sua scrivania "Mia... ehm... la madre del mio ex-compagno" Disse, accennando un sorriso e guardando Mike che annuiva.

 

"Non parli mai di lui" Disse guardandola negli occhi "Non è più nella tua vita né in quella di Gregory, vero?"

 

Cuddy continuò a guardarlo per un momento prima di scuotere la testa.

 

"È morto prima che Gregory nascesse" Disse, guardandolo negli occhi e poi abbassando di nuovo gli occhi sulla sua scrivania prima di guardarlo ancora.

 

"Oh... io... scusami... non volevo... davvero, Lisa... scusami" sussurrò guardandola mentre accennava un sorriso e si mordeva leggermente il labbro.

 

"Ehm... non importa" Rispose "Non preoccuparti. Non potevi saperlo" Disse, appoggiando una mano sulla sua e guardandolo mentre si rilassava a quel gesto.

 

Sapeva che aveva una cotta per lei. In realtà tutti in reparto lo sapevano. E piaceva anche a lei. Alto, occhi e capelli scuri. Era un bell'uomo e una brava persona. Divorziato, ma senza figli. E qualcosa nel modo in cui le chiedeva sempre di Gregory e Rachel le faceva pensare che forse gli mancasse il non essere padre. Eppure, non era abbastanza. A volte pensava che davvero qualcosa non andasse in lei. All'inizio aveva cercato di convincersi che fosse perché doveva gestire un neonato che assorbiva tutte le sue energie, e poi perché quello stesso neonato era diventato un piccoletto che assorbiva anche l'energia che non credeva di avere. Ma dentro di sé sapeva che non era solo quello. Non voleva, e non poteva, rischiare di portare di nuovo un uomo nella vita dei suoi figli. Era stata così dura con Rachel all'inizio. Darle risposte riguardo alla... ehm... partenza di House...  Era piccola, ma non così piccola. Eppure, ogni volta che ci pensava sapeva che stava mentendo a se stessa. Forse doveva solo... lasciarsi andare... e dare a se stessa la possibilità di essere di nuovo felice.

 

"Allora? Il tuo invito per sabato sera è ancora valido?" Gli chiese con un sorriso.

 

"Certo" Rispose, sorridendo a sua volta.

 

Continuarono a guardarsi negli occhi.

 

"Bene" Rispose con un sorriso, guardando poi l'orologio sul suo polso "Scusami... ma devo davvero andare a controllare il mio paziente se non voglio dover passare qui tutta la notte" disse ancora guardandolo negli occhi mentre si alzava in piedi e lui si alzava a sua volta "Ci vediamo domani, ok?" Aggiunse, mettendo una mano sulla sua spalla e sorridendo ancora.

 

Wyle annuì, guardandola negli occhi e sorridendo a sua volta, guardandola poi mentre si allontanava lungo il corridoio.

 

...

 

"Ho lasciato sulla sua scrivania i documenti che mi ha chiesto, Dott.ssa Cuddy" disse l'infermiera Laura uscendo dalla porta dell'ufficio di Cuddy, guardandola mentre si avvicinava.

 

La ringraziò con un cenno del capo e con un sorriso. Era così stanca che le facevano male tutti i muscoli, anche i più piccoli. Si passò una mano sul collo. Beh, almeno i bambini sarebbero rimasti da Blythe stanotte, quindi doveva solo raccogliere le sue cose e poi poteva andare a dormire. Erano già le 11 di sera. Almeno tre ore oltre l'orario previsto per la fine del turno, e sapeva che non era un caso. Non voleva andare a casa. Non voleva, perché senza i suoi bambini quella non era 'casa', ma solo le quattro mura in cui viveva. Ma stasera era così stanca che dubitava persino di potersi sentire da sola. Voleva solo fare una doccia e bere una tisana. Era troppo stanca per qualsiasi altra cosa. E quei documenti sulla sua scrivania potevano aspettare fino a domani. Qualcosa che non accadeva mai nella sua precedente vita. 

 

Lanciò un'occhiata alle cartelle sulla sua scrivania mentre si toglieva il camice, prendendo il bigliettino che era appoggiato in cima.

 

Cos'era? Un biglietto da visita?

 

Il biglietto da visita di un motel. L'Arbor Motor Inn Lodge. Un numero scritto a penna, probabilmente il numero di una camera. 

 

Il suo primo pensiero fu per Mike. Ma... no, non era assolutamente il tipo da darle il biglietto da visita di un motel! Non era di certo così spavaldo. Non c'era la minima possibilità che potesse essere da parte sua! Ci aveva messo più di due anni solo per chiederle di uscire! 

 

Lo rigirò tra le dita, solo per trovare un'altra scritta sul retro.


E il suo cuore saltò un battito a quelle parole.

 

... I wish I didn't, but I can't help it ...

 
"Vorrei che non fosse così, ma non posso farne a meno" sussurrò nel silenzio della stanza, mentre quelle parole risuonavano nelle sue orecchie come se fossero state pronunciate da un'altra persona.


Oddio...


Trattenne il respiro mentre lo leggeva ancora e ancora e ancora. 

 

Quella calligrafia. Dio... Era solo la sua mente che si prendeva gioco di lei? Era davvero la stessa calligrafia che era stata per anni su quella lavagna bianca? Poteva essere solo una coincidenza? ... n-non poteva essere...

Corse verso la porta aprendola con tale foga che l'infermiera Laura la guardò con uno sguardo a metà tra l'interrogativo e lo spaventato. 


"Sa chi ha lasciato questo nel mio ufficio?" Le chiese, talmente senza fiato che l'infermiera la guardò con uno sguardo preoccupato.



"Un paziente" rispose "Mi ha chiesto solamente di mettere quel biglietto sulla sua scrivania... io, ehm... qualcosa non va?"


"Ehm... no... è solo che... un uomo col bastone?" Le chiese sentendosi pazza per il solo fatto di pensarlo, e ancora di più per averlo detto a voce alta.

 
"No, dottoressa Cuddy. Nessun bastone" Rispose mentre Cuddy guardava di nuovo il biglietto tra le sue mani mordendosi il labbro "Ehm... alto, occhi azzurri e... oh, sì, penso che lei abbia sentito parlare di lui. Era quello in coma. Sa? Aveva ragione riguardo all'infermiera Anne. Carcinoma della laringe al primo stadio. Farà l'intervento la prossima sett-"

 
Guardò Cuddy mentre sbiancava improvvisamente...


E le parole del dottor Anderson le tornarono immediatamente in mente... 'Apre gli occhi dopo quattordici mesi e nove giorni in coma e la prima cosa che dice all'infermiera Anne è che la sua voce è troppo roca e deve farsi vedere da...'


"Dottoressa Cuddy, si sente bene?" Le chiese ancora.


"Ehm... sì" rispose, guardando ancora quel biglietto e alzando poi gli occhi a guardarla "Ehm... grazie" aggiunse.

 

...

Guidò lungo la superstrada seguendo la voce del navigatore. Anche senza di quello si sentiva come se avesse innestato il pilota automatico. I suoi occhi erano fissi sulla strada ma la sua mente era molto lontana da quel posto. 


Guardò l'insegna luminosa e girò a destra nel parcheggio di quel motel.
Arbor Motor Inn Lodge.

 

Guardò quel 'Arbor'... Porca vacca...  Era solo l'ennesimo brutto scherzo della sua vita? Ovviamente era un nome comune per un motel ma... non poté evitare che la sua mente pensasse inevitabilmente al 'Ann Arbor' che aveva cambiato la sua vita.


Si avvicinò alla reception, continuando a girare quel biglietto tra le mani.


"Ehm... devo incontrare un amico... stanza 108" disse, guardando il numero scritto in inchiostro blu su quel biglietto.


Non che avesse bisogno di controllare in realtà. Conosceva ormai a memoria ogni millimetro di quel biglietto da visita.

 
Il tipo alla reception si limitò ad annuire. 


"Certo, signora. Primo piano" Disse, facendo un gesto con la mano verso l'ascensore.


Era solo una sua impressione o c'era una vena di sarcasmo nel modo in cui aveva pronunciato quel 'signora'? E una velo di malizia nel modo in cui l'aveva guardata dalla testa ai piedi?


...


Guardò la porta di fronte a sé e poi il suo stesso pugno, prima di bussare.
Il cuore le martellava nel petto talmente tanto che pensava che sarebbe collassata prima che qualcuno potesse aprire quella porta.

 

Era davvero lui? E se sì... perché? Come doveva reagire? Abbracciarlo? Baciarlo? O... forse schiaffeggiarlo forte in faccia?


Se era reale... era più felice o più furiosa?

 

Tutte quelle domande e quei pensieri si azzerarono nell'istante in cui se lo trovò di fronte.


Nessun suono uscì dalle sue labbra. Rimase semplicemente lì. In piedi. Immobile. Ferma a guardarlo mentre lui guardava lei. Occhi che si muovevano, dai suoi jeans e camicetta di seta nera ai suoi pantaloni della tuta grigi e alla sua maglietta bianca. Nessuna parola. Solo... lo sguardo di uno fisso in quello dell'altro.



"Cuddy..."

 

Il solo suono del suo nome sulle sue labbra infranse lo stato di trance in cui si trovava come una bolla di sapone.


"Oddio... dimmi che è vero..." sussurrò, allungando la mano verso di lui e appoggiando il palmo al suo petto.


Non rispose, mettendo semplicemente una mano sulla sua e stringendola leggermente.


Non alzò gli occhi a guardarlo, continuando solamente a guardare la sua stessa mano e quella di lui sulla sua, sentendo il suo cuore martellare sotto alle sue dita, tanto quanto il suo.


"Lui... mi ha detto che eri m-morto" sussurrò mentre la sua voce si incrinava e le lacrime le riempivano gli occhi.

 

"Mi ha detto c-che... come ha potuto?" Disse, mentre le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance "Come hai potuto?" Precisò.

 

House allungò la mano verso la sua spalla, accarezzandola leggermente, ma lei lo spinse via.

 

"Come hai potuto farmi questo?" Urlò, colpendolo forte col palmo della mano sul torace mentre le lacrime scivolavano lungo le sue guance "Come hai potuto farci questo?" Ripeté ancora, colpendolo ancora forte sul petto. Ancora. E ancora. E ancora.

 

"Cuddy..."

 

La prese per i polsi e li tenne stretti mentre i suoi occhi pieni di lacrime incontravano i suoi. Il suo sguardo lo ferì più di quanto avessero fatto i suoi schiaffi.

 

"Come hai potuto..." Ripeté mentre la sua voce si incrinava del tutto, rimpiazzata dai singhiozzi mentre l'attirava a sé e la stringeva tra le braccia, lasciando che nascondesse il viso contro il suo petto e singhiozzasse nella sua maglietta.

 

"Mi dispiace così tanto" sussurrò nei suoi capelli, stringendola talmente forte che pensava di poterle fare male.

 

Rimasero così per quelli che avrebbero potuto essere solo secondi, o minuti, o ore. A nessuno dei due interessava. Lei voleva solo perdersi nel calore delle sue braccia e lui nel suo profumo.

 

"Mi disp-" Ripeté, continuando ad accarezzarle la schiena, non finendo quella parola mentre lei gli metteva le dita sulle labbra, accarezzando leggermente con il pollice il suo labbro inferiore.

 

La guardò mentre si mordeva il labbro, spostando poi la mano ad accarezzare la pella liscia della sua guancia, guardando la sua stessa mano.

 

"Io..."

 

Fece improvvisamente un passo indietro, lasciando cadere il braccio lungo il fianco, sospirando e scuotendo la testa, portandosi poi una mano sulla fronte. House guardò la sua mano che tremava e che adesso nascondeva l'azzurro dei suoi occhi, mentre lei faceva un altro passo indietro. Mentre il suo sollievo si trasformava in rabbia.

 

"Cuddy"

 

House allungò una mano verso il suo braccio nell'istante in cui la vide barcollare e perdere leggermente l'equilibrio, ma lei non gli permise di toccarla, ritraendo il braccio e allungandolo invece verso l'unica sedia di quella stanza, appoggiandosi allo schienale con la mano, ma senza sedersi, prima di guardarlo ancora.

 

"Hai fatto in modo che tutti credessero che fossi morto..." Sussurrò, in quella che era allo stesso tempo una constatazione e una specie di domanda. "Come hai potuto farlo, House? Come hai potuto farmi una cosa del genere?"

 

Non rispose, continuando semplicemente a guardarla dritto negli occhi. Per un momento fu tentato di sviare il discorso, di chiudersi a riccio come aveva fatto tante volte o, addirittura, di attaccarla, dicendole che il mondo non girava intorno a lei e che, per una volta, quello che aveva fatto non aveva niente a che fare con lei.  Ma non ci riuscì. C'era rabbia nei suoi occhi, ma soprattutto dolore. Lo stesso dolore che aveva sentito mentre leggeva quella lettera.  

 

"Non l'ho fatto a te, Cuddy" Disse, vedendo chiaramente le sue spalle che si irrigidivano leggermente al tono fermo e in parte secco della sua voce.

 

"Wilson..." Sussurrò in tono più morbido, guardandola mentre la confusione nei suoi occhi lasciava il posto alla consapevolezza e le sue labbra si aprivano leggermente a quella realizzazione.

 

House scosse la testa e distolse lo sguardo, guardandosi la punta dei piedi e inspirando profondamente prima di aprire la bocca per parlare ancora.

 

"È stato... non so, Cuddy... mi conosci... avevo fatto una cosa stupida e... per colpa del mio essere il peggior amico del mondo avrebbe vissuto i suoi ultimi mesi da solo... sarebbe morto da solo... io non avevo più niente, Cuddy. Solo lui. E lo stavo lasciando morire da solo. Per una volta ho fatto qualcosa di altruistico. Beh, almeno dal suo punto di vista..." Disse scuotendo la testa e passandosi a sua volta una mano sul viso.

 

"Wilson e Foreman... loro mi hanno visto in quell'edificio pochi minuti prima che crollasse per le fiamme. Non ero io. Il corpo che è stato ritrovato era quello di un povero tizio suicida. Io... io sono semplicemente rimasto a guardare mentre tutto crollava... come la mia vita... e... non so... ho solo colto l'attimo..."

 

 Si fermò per qualche secondo, guardandola ma non incontrando i suoi occhi. Il labbro serrato tra i denti e la sua mano stretta allo schienale della sedia di fronte a lei. 

 

"Qualche giorno dopo ho partecipato da lontano al mio stesso funerale. Tu non eri là, Cuddy. Neanche per un ultimo saluto. E quella era l'ultima prova di cui avevo bisogno per sapere di averti persa per sempre"

 

La guardò mentre un quasi soffocato 'oddio' sfuggiva dalle sue labbra, e sperò che decidesse finalmente di sedersi su quella dannata sedia. Non lo fece ovviamente. Testarda di una donna! Alzò semplicemente gli occhi, guardando dritto nei suoi.

 

"Io..." sussurrò ancora "... io non ero là perché..." Si portò una mano sulla bocca mentre la realizzazione di quanto il destino avesse giocato sporco con loro la investiva.

 

"Decidemmo semplicemente di godere di quello che ci restava. Morì quattro mesi dopo" disse, guardandola mentre si mordeva di più il labbro e i suoi occhi si riempivano di nuovo di lacrime "È stato lui a scegliere Boston per il suo ultimo respiro. Dopo la sua morte... beh, sono tornato in prigione. Mi conosci... più nemici che amici... e così... beh, in realtà io non ricordo nulla, ma pare che dopo solo poche ore di libertà un tizio detto Big Joe mi abbia spaccato la testa e ho riaperto gli occhi quattordici mesi dopo."

 

La guardò. La mano tremante ancora sulla bocca.

 

"Lui lo sapeva..." sussurrò senza guardarlo.

 

"Cosa?"

 

"Wilson sapeva che ero a Boston" Precisò, alzando gli occhi e incontrando il suo sguardo.

 

House scosse la testa e accennò un sorriso al pensiero di come Wilson fosse sempre stato Wilson...fino alla fine. E Cuddy scosse a sua volta la testa. 

 

"Quello che non sapeva era che io..." Lo guardò e si morse di nuovo il labbro, abbassando poi lo sguardo.

 

Non si mosse, ma lo ringraziò mentalmente per i pochi passi che fece verso di lei. Non avrebbe saputo dire se avesse sentito il brivido che il leggero tocco della sua mano sul suo braccio era stato sufficiente a scatenare, ma lei sentì rabbrividire lui nell'esatto istante in cui la sua mano trovò la sua, ancora stretta attorno al suo braccio. 

 

"Non puoi neanche immaginare che inferno sia stata la mia vita da quel giorno..." Sussurrò, sentendo immediatamente il suo senso di colpa a quelle parole mentre cercava di ritrarre la mano dal suo braccio. Ma non gli permise di farlo, stringendo la sua mano e tenendola ferma dov'era.

 

"Non mi perdonerò mai per quello che ti ho fatto, Cuddy. Non ho scuse per quello che ho fatto. E non ne avrò mai. E- "

 

"Sta' zitto, House" disse come aveva fatto tante volte in passato da dietro quella scrivania del Plainsboro. Il tono della sua voce in assoluto contrasto con il modo in cui il suo pollice accarezzava la sua mano ancora sul suo braccio.

 

"Non puoi neanche immaginare che inferno sia stata la mia vita da quel giorno... senza di te" Sussurrò ancora, allentando la presa della sua mano sullo schienale della sedia e voltandosi completamente verso di lui.

 

Cuddy guardò la sua stessa mano muoversi lentamente lungo il braccio di House finché le sue dita trovarono la sua mano, intrecciandosi con le sue.

 

"Non posso credere che per tutto questo tempo... Dio, eri solo a pochi passi da me. In realtà... eri sotto ai miei piedi visto che quel reparto è esattamente sotto al mio" Disse, scuotendo la testa e alzando lo sguardo, guardandolo dritto negli occhi.

 

La mano di Cuddy sfiorò la guancia di House. Sospirarono entrambi a quel contatto, che ricordò a entrambi l'ultima volta in cui lei aveva fatto lo stesso, quella volta accarezzando la sua barba. E le sue labbra trovarono quelle di lui. Le sfiorò con le sue, chiudendo gli occhi e assaporando quella sensazione. Il respiro di House si mescolò col suo, e la sua mano trovò a sua volta la sua guancia, accarezzandola con il pollice prima di far scivolare la mano lungo il suo collo e la sua spalla, avvolgendole poi leggermente la vita. Le loro labbra si schiusero leggermente e le loro lingue si trovarono l'un l'altra nel più dolce dei modi. Lentamente. E profondamente.

 

La strinse più forte a sé. Non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare via stavolta. Non che lei volesse essere in nessun altro posto comunque.

 

Cuddy sorrise mentre si separava da lui solo per prendere fiato, continuando a sfiorare le sue labbra.

 

"Come mi hai trovata?" Gli chiese, allungando ancora la mano verso la sua guancia e accarezzandolo.

 

House scosse la testa, e stavolta non riuscì a non accennare un sorriso.

 

"Non sono stato io a trovare te. Un piccoletto dagli occhi azzurri e più R nel suo nome di quante riesca a pronunciarne ha trovato me" Disse, mentre gli occhi di lei si spalancarono improvvisamente.

 

"Cosa...? ... G-Gregory?" Gli chiese incredula guardandolo mentre sorrideva all'espressione sul viso di lei.

 

"È... è... beh,  almeno ho fatto qualcosa di buono, Cuddy" Disse, guardandola negli occhi mentre il suo labbro iniziò a tremare.

 

"È sveglio" Disse ancora guardandola mentre sorrideva nonostante la lacrima che scivolò lungo la sua guancia "E... hai fatto un bel lavoro"

 

"È un terremoto" Replicò, mordendosi ancora il labbro.

 

"Ti aspettavi qualcosa di diverso?" Rise guardandola mentre una risata sfuggiva anche dalle labbra di lei nonostante le lacrime che le scendevano sulle guance.

 

Le baciò la fronte, prendendole il viso con entrambe le mani e asciugandole le lacrime con i pollici.

 

"Come puoi non essere arrabbiato con me?" Gli chiese. Il suo senso di colpa talmente tangibile che poteva quasi toccarlo come stava toccando le sue lacrime.

"Per non esserti disfatta dell'unica cosa buona che ho fatto?" Rispose, guardandola mentre si mordeva il labbro "Lui è il regalo più bello che potessi farmi, Cuddy" Aggiunse mentre lei distoglieva lo sguardo per un istante, incontrando poi ancora i suoi occhi e accennando un sorriso.

 

"Lui è il regalo più bello che tu potessi fare a me" Disse, accarezzandogli ancora la guancia.

 

Baciò ancora la sua fronte e prese la sua mano, accompagnandola vicino al letto e allungandole il disegno che era appoggiato sul comodino. Cuddy guardò quel foglio per un istante e poi alzò gli occhi a guardare lui... abbassando poi di nuovo lo sguardo a guardare quel 'Ti voglio bene. GrEgorY' mentre stavolta un turbinio di emozioni ebbe la meglio su di lei, obbligandola a sedersi sul letto. E chiuse gli occhi non appena realizzò cosa fosse quel foglio. E a cosa si riferisse quella frase sul biglietto da visita. Quel... 'Vorrei che non fosse così, ma non posso farne a meno' non era solo quello che lei gli aveva detto quella notte nel suo appartamento... Quella era la sua risposta al suo 'Mi ama ancora come io amo lui?'

 

"È vero, Cuddy?" Le chiese risvegliandola dai suoi pensieri e in pratica leggendole la mente "Mi ami ancora?" Precisò sedendosi sul letto accanto a lei.

 

"Oh Dio... sì" Rispose, mettendo una mano sulla sua e l'altra sulla sua guancia.

 

Le prese il suo viso con entrambe le mani e la guardò negli occhi, asciugandole un'altra lacrima con il pollice.

 

"Il postino me l'ha restituita" Disse, mordendosi il labbro "Nel... nella parte mancante ti dicevo dove potevi trovarci se... beh, poi, Wilson mi ha chiamata e... niente aveva più importanza. Io non... non ero là, House, al tuo funerale, perché ho... ho partorito nostro figlio cinque ore dopo quella telefonata" Sospirò, ma non distolse lo sguardo, continuando a guardarlo negli occhi "Mi dispiace così tanto..."

 

Fu lui a trovare le sue labbra stavolta, sfiorandole con le sue prima di approfondire quel bacio.

 

"Resta qui stanotte..." Sussurrò, appoggiando la fronte sulla sua e aprendo gli occhi incontrando i suoi.

 

"Stanotte..." Ripeté, continuando a guardarlo "E... cosa succederà domani, House?" Gli chiese, guardandolo dolorosamente negli occhi.

 

"Non lo so..." rispose, scuotendo leggermente la testa mentre lei annuiva e gli accarezzava ancora la guancia, non distogliendo gli occhi dai suoi.

 

"Cosa vuoi, Cuddy?" Le chiese, continuando a guardarla, assaporando la sensazione della sua mano sulla sua pelle.

 

Cuddy sorrise, scuotendo ancora leggermente la testa e guardando la sua stessa mano mentre lo accarezzava.

 

"Di nuovo la tua barba" Rispose con un sorriso mentre un sorriso compariva anche sulle labbra di lui.

 

"Beh... questo è già un inizio" Rispose, continuando a sorridere al suo tentativo di mantenere le cose su un piano leggero e guardandola negli occhi.

 

"Non voglio restare qui stanotte, House..." Disse ancora "So cosa vuol dire stare con te, e so cosa vuol dire stare senza di te e... l'unica cosa che voglio sei tu... stanotte e domani e la notte dopo..." Lo guardò dritto negli occhi "Ma non è questo il punto. Non ci sono più solo io. Il punto è... tu ci vuoi, House?" Abbassò lo sguardo mentre il suo pollice le accarezzava la guancia di nuovo, e sospirò "Io... io ti ho già perso una volta e Dio sa quanto non voglia perderti di nuovo ma..."

 

"Allora siamo in due, Cuddy" Rispose mentre lei alzava lo sguardo incontrando di nuovo i suoi occhi "Amo te. Voglio te. Non so cosa ne sarà della mia vita da adesso in poi, Cuddy, ma so che ti voglio nella mia vita. Vi voglio nella mia vita. Tutti e tre" Disse, accarezzandole ancora il viso "So che non può essere facile. Non ho neanche un lavoro... non ho niente..." disse, guardandola negli occhi e sfiorando le sue labbra con le sue.

 

"Hai noi" Rispose, mentre stavolta furono gli occhi di lui a velarsi di lacrime.

 

Annuì, mordendosi il labbro per evitare di essere travolto dalle emozioni, mentre la semplicità e, allo stesso tempo, la forza di quelle due parole lo spiazzarono come mai niente aveva fatto prima. Il pollice di Cuddy liberò quel labbro e lo sfiorò invece con le sue stesse labbra, assaporando la strana sensazione della morbidezza della sua bocca contro la sua. Una sensazione strana, ma non nuova. La stessa sensazione del loro primo bacio, tanti anni prima. Le loro lingue si trovarono l'un l'altra in un modo talmente naturale che non poterono fare a meno di lasciarsi semplicemente andare, perdendosi in quel bacio. Un bacio in cui più si perdevano, più ritrovavano se stessi. Erano così diversi adesso, eppure ancora così simili a quei due studenti. Nonostante gli eventi della buona e della cattiva sorte, erano di nuovo al punto di partenza.  

 

"Questo posto ti suonava in un certo senso familiare?" Sussurrò Cuddy, accennando un sorriso mentre continuava a sfiorare le sue labbra.

 

House sorrise a sua volta, sapendo esattamente a cosa si riferiva. All' 'Arbor' di quel 'Arbor Inn Motor Lodge'.

 

"Dove tutto è iniziato" Sussurrò a sua volta, succhiandole il labbro e mandandole stavolta un brivido nel basso ventre.

 

Il suono di un messaggio in arrivo sul cellulare di Cuddy spezzò l'incantesimo, ma continuò a indugiare sulle sue labbra per un momento prima di alzarsi in piedi e cercare il cellulare nella sua borsa, ancora abbandonata vicino alla porta. Sorrise a quel messaggio, alzando poi gli occhi e non potendo evitare di sentire il suo disagio e leggergli il pensiero.

 

"Non è quello che credi" Disse, sedendosi di nuovo accanto a lui e appoggiando la mano sul suo ginocchio.

 

"Non sono nato ieri, Cuddy" Replicò in tono ironico "Sei una bella donna. Sarebbe stupido da parte mia pensare che nessun uomo abbia piacevolmente esplorato la tua vagina in questi anni, facendoti gemere e urlare"

 

Una piccola risata sfuggì dalla bocca di Cuddy. Non l'avrebbe riconosciuto se non avesse usato una delle sue esplicite e colorite espressioni invece di chiederle semplicemente se stava o era stata con qualcuno.  

 

"Oh beh, in realtà qualcuno l'ha fatto" Disse, guardandolo mentre guardava la mano appoggiata sul suo ginocchio, evitando il suo sguardo "Sono sicura dei gemiti. Penso di aver urlato anche, ma a dir la verità non ricordo molto bene" disse, ripagandolo per la sua gelosia, ma prendendogli il mento perché la guardasse negli occhi "Ma non sono sicura che spingere qualcuno fuori dalla propria vagina possa essere annoverato come piacevole esplorazione." Disse accennando un sorriso all'improvviso cambio di espressione sul suo viso, passandogli contemporaneamente il cellulare. E House non poté fare a meno di sorridere a sua volta alla vista di quella foto.  Gregory, addormentato e rannicchiato contro un'altrettanto addormentata Rachel.

 

"È diventata grande..." Sussurrò solo, continuando a guardare la foto. Lo era davvero. E il velo di tristezza nella sua voce le fece stringere il cuore.

 

"Sono come la banda Bassotti a volte. Una volta è riuscito a convincerla a dormire sotto al mio letto. Con i sacchi a pelo e tutto il resto. Hanno aspettato che la babysitter si addormentasse sul divano. Ha quasi avuto un attacco di cuore quando ha trovato i loro letti vuoti e non riusciva a trovarli da nessuna parte" Disse sorridendo e scuotendo la testa, indicando poi la foto che era ancora sullo schermo "Ecco perché non riesco più a trovare una babysitter disponibile e perché adesso chi sta con loro mi manda ogni volta una di queste" Disse ancora, sorridendo al sorriso che comparve sul viso di House.

 

"Oh beh, l'ultima volta che te l'ho chiesto non è finita bene, ma... ti serve un babysitter?" Disse in tono scherzoso facendola ridere.

"Dipende..." Rise mentre un sorriso malizioso compariva anche sulle sue labbra "Fornisci servizi extra?" Gli chiese, guardandolo negli occhi e vedendolo sorridere a sua volta.

 

House si passò la lingua sulle labbra, facendo scivolare poi la mano dalla sua guancia al suo collo, baciandola leggermente sulle labbra e poi baciandole la guancia e il collo.

 

"Mettimi alla prova" Sussurrò nel suo orecchio, baciandola poi dietro l'orecchio e sentendola rabbrividire.

 

Non rispose, ma si strinse di più a lui, tenendogli ferma la testa mentre continuava a baciarle il collo, assaporando quella sensazione e sdraiandosi poi sul letto, tirandolo sopra di lei.

 

L'ultima volta che un uomo era stato sopra di lei l'aveva spinto via prima che avesse il tempo di slacciarle il reggiseno. Appena la sensazione del suo mento liscio contro la sua pelle l'aveva fatta tornare consapevole di chi fosse in realtà l'uomo che la stava baciando.

 

"Cosa c'é?" le chiese, sentendo la sua esitazione e alzando la testa per guardarla.

 

"Ti amo" Sussurrò, accennando un sorriso appena le sue labbra trovarono le sue e la sua mano accarezzò la pelle liscia della sua guancia "Ma... non stavo scherzando" Sussurrò, mordendosi il labbro "È passato tanto tempo dall'ultima volta che ho..."

 

"Per fortuna posso dire lo stesso, Cuddy. A meno che tu non stia pensando che abbia provato l'altra sponda..." Disse, guardandola negli occhi con uno sguardo malizioso "Sai? Ci avevo anche pensato ma il piccolo Greg non ne voleva affatto sapere del culo peloso e tatuato del mio compagno di cella. Per il tuo invece -"

 

La sua mano gli schiaffeggiò la spalla talmente forte che un 'ahia' rimpiazzò l'ultima parte di quella frase, prima che quella stessa mano trovasse la sua nuca obbligando House a chinare la testa e le sue labbra a trovare di nuovo le sue.  

 

"Sta' zitto e baciami, idiota" Sussurrò, incontrando per un istante il suo sguardo malizioso finché la sua lingua nella sua bocca le fece chiudere gli occhi e un gemito di piacere sfuggiva dalla sua bocca.

 

Le era mancata così tanto la sensazione delle sue mani sulla sua pelle... e adesso le sembrava così familiare.  Il suo corpo rispondeva alle sua dita come uno strumento suonato da un musicista esperto. E anche quello di lui. Non avrebbe mai pensato che avrebbe avuto la possibilità di sentirsi di nuovo così. Essere di nuovo una cosa sola con lei era qualcosa che andava oltre le sue aspettative. Non solo la bruciante passione che li aveva travolti così tante volte. I loro respiri affannosi riempirono la stanza. Non la bruciante passione che li aveva travolti così tante volte. Assaporarono ogni attimo, ogni carezza, ogni bacio, ogni gemito. Era amore. Solo amore.  

 

Guardò il suo corpo nudo stretto al suo e le accarezzò i capelli, ascoltando solo il suo respiro ormai tranquillo e baciandole i capelli, coprendo poi entrambi con il lenzuolo.  

 

Come riusciva a farlo sentire così? Era stato un uomo morto, ed era tornato ad essere un 'vivo' che si era sentito morto ogni giorno dal giorno della morte di Wilson... finché lei non aveva attraversato quella porta. Se avesse avuto ancora un mimino dubbio adesso non ne aveva più. Lei era la sua vita. E aveva intenzione di fare qualsiasi cosa per non incasinare tutto un'altra volta.

 

"Stando all'ordine restrittivo del tribunale, devo stare almeno a 180 metri da te " Disse ridendo, accarezzandole i capelli mentre la mano di Cuddy smetteva di accarezzargli il torace e alzava la testa a guardarlo.


"Oh beh, credo proprio che dovrò farla ritirare" Disse sfiorando le sue labbra con le sue e guardandolo con uno sguardo malizioso.

 

"Bene" Disse, guardandola con uno sguardo ancora più malizioso, mordendole leggermente il labbro inferiore e succhiandolo tra le sue stesse labbra "Anche se, Cuddy, in realtà non me ne frega un accidenti di dover stare 180 metri lontano da te..."  sussurrò, girandola di nuovo sotto di lui e accarezzandole l'anca "... se posso stare 18 centimetri dentro di te" disse, spostandosi sopra di lei mentre lei alzava gli occhi al cielo e sorrideva.

 

"Non cambierai mai, vero?" Disse, sorridendo sulle sue labbra e accarezzandogli i capelli sulla nuca.

 

"Lo vorresti davvero?" le chiese, succhiandole ancora il labbro e guardandola negli occhi.

 

"No. Assolutamente no" Rispose, trovando di nuovo le sue labbra in un altro lungo bacio.

...

FINE

...

Beh, questa è la fine di questa storia, così come l'avevo pensata all'inizio. Sono perfettamente consapevole che le cose non possano essere così semplici dopo un atto di violenza domestica, ma non posso fare a meno di cercare di dare a questi due il loro lieto fine.

Allo stesso tempo però questo non è davvero il finale della storia... Qualcuno mi ha già chiesto un epilogo quindi.... epilogo sia ;)

Saranno pochi capitoli che pubblicherò a parte. Una sorta di mini sequel. Alla fine non ho cambiato il rate di questa storia (mi dispiaceva che il cambio di rate impedisse magari a qualcuno di leggere la fine), ma il sequel sarà invece immancabilmente rosso! ;)

Quindi... a presto. Il sequel si intitolerà POST SCRIPTUM.

Vi aspetto là!



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