Lo Spleen di New York

di Kitsunelulu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli anni ruggenti ***
Capitolo 2: *** L'estate è sempre troppo corta ***
Capitolo 3: *** Se chiudo gli occhi, il mondo esiste ancora? ***
Capitolo 4: *** A Parigi non c'erano frutteti dove giocare ***
Capitolo 5: *** Ho ricevuto una visita dall'inferno ***



Capitolo 1
*** Gli anni ruggenti ***


Capitolo primo: Gli anni ruggenti

L’odore del rum evaporava dai cristalli tintinnanti. Volute di fumo bianco decoravano lo spazio tra una persona e l’altra, e le graziose fanciulle tossivano appena. I borsalino erano poggiati sulle panche di velluto rosso, le giacche sbottonate e le cravatte allentate. La frenesia della musica induceva ad un movimento spontaneo, un’onda di uomini e donne che danzavano all’unisono senza alcun tipo di coordinazione. La guerra era finita: ora gli uomini combattevanono nella contesa della compagnia di una ballerina, il cui vestito nero svolazzava energicamente. Erano i primi anni 20, ed a New York si festeggiava. Siamo in un locale chiamato Little Paris. Tra la folla danzante spiccava un giovane dai capelli lunghi e l’aria intraprendente, che sembrava aver conquistato una giovanissima inglesina decisa a godersi la sua visita negli U.S.A.
Non troppo distante, ma con l’aria di essere completamente altrove, sedeva solitario un uomo dai capelli scuri, intento a sorseggiare il suo assenzio. Sembrava in attesa di  qualcuno, perché rifiutò la compagnia delle ballerine che provavano a svolgere il loro lavoro di coinvolgimento. Allontanatele, tornò a bere accigliato.
Torniamo ora al giovane dai capelli lunghi. –Siete meravigliosa, degna della fama che l’arte europea porta con sé-, sussurra alla bionda, che sorride divertita. –Mi chiedo se siate bravo a fare da guida quanto lo siete a fare l’adulatore!-.
-Vostro zio non si arrabbierà se ve ne andate in giro per la città con un uomo?-
-Mio zio è nell’età in cui qualsiasi emozione forte può essere letale. Non verrà a saperlo.-
-Le ragazze inglesi sono più audaci delle americane.-
-Allora vogliate portare questa inglese a fare una passeggiata per la New York notturna?-
-Mi farebbe immensamente piacere, ma c’è un amico che non voglio far attendere oltre. E’ già tardi, ormai.-
-Mi abbandonate sul più bello della notte, avete delle maniere terribili. Mi raccomando di essere puntuali per la visita di domani, almeno!-
-Sarò senz’altro puntuale.-
Detto ciò, la ragazza si mescolò ancora sorridente tra la folla finché non raggiunse le sue compagne, che divertite starnazzarono d’invidia per la conquista.
Il giovane casanova aggiustò il nodo della cravatta che aveva precedentemente allentato e con passo svelto si diresse al tavolo dell’uomo con l’assenzio. Quest’ultimo, senza dire niente, gli rivolse uno sguardo di disappunto.
-Dai, non essere noioso. E’ un ben ritrovato! E poi in questo posto dovresti divertirti.-
-Sono qui solo perché sei stato tu a chiedermi di venirci, per me è la cosa più lontana dal divertimento che ci sia.-
-Sei scortese nei confronti di tutte le donzelle che ti mangiano con gli occhi.-
-E tu sei fin troppo gentile.-
-Mi sei mancato, Charlie. Non sei cambiato di una virgola.-
L’uomo dell’assenzio sorrise per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro.
-Anche tu mi sei mancato, George, anche tu.-

 
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Salve a tutti! Non so come mai abbia deciso di iniziare questa storia, ma ormai ho buttato giù cinque capitoli tutti d'un fiato quindi mi dispiacerebbe lasciarli lì senza far nulla. Chiedo scusa in anticipo se ci saranno inesattezze storiche. Farò del mio meglio, ma le esigenze narrative avranno la precedenza. Il mio obiettivo è raccontare una storia di fantasia. Ce l'ho già tutta in mente! Se ci sarà o meno un lieto fine, questo però devo ancora deciderlo. Questo capitoletto iniziale è solo una piccola introduzione allo scenario in cui i personaggi si muoveranno. Spero che abbia suscitato il vostro interesse! Se così fosse, mi piacerebbe sentire cosa ne pensate.
Buona lettura! :)
Lulu

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Capitolo 2
*** L'estate è sempre troppo corta ***


Capitolo secondo: L'estate è sempre troppo corta


Lasciate che vi introduca i protagonisti di questa nostra storia.
Lo scorbutico signore dal cappello grigio, che sorseggia assenzio come se fosse la via di fuga dal luogo in cui si trova, è Charles Torrence. Venticinque anni d’età, cinquanta nell’anima. Giornalista da un anno dopo quattro da scribacchino in uno studio legale. Casa sua è una vera e propria fortezza ed egli si sente al sicuro circondato da tutti i libri, i dipinti e gli inutili gingilli accumulatori di polvere. Sguscia tra una stanza e l’altra nella sua vestaglia mentre sorseggia del caffè e, soddisfatto e appagato da tutta la materia che lo circonda, si tuffa nella poltrona rossa accanto al caminetto. La sua routine è questa, e prima di quel giorno non avrebbe mai  immaginato di potersi ritrovare in uno di quei locali dove prostitute e malfattori di ogni genere si fingono persone per bene. O almeno, lui pensava così.
Il giovane carismatico dai lunghi capelli color sabbia è George Hatkins. Coetaneo di Charles, almeno all’anagrafe. Non ha una professione, nonostante le rigide regole sociali impongano che i venticinquenni perbene siano già uomini occupati, e perciò si definisce “studente e poeta”.  In realtà non ha mai scritto poesie. Volteggia tra i salotti delle signore borghesi dai grandi cappelli all’antica, rapace di fanciulle da sedurre. Casa sua è una villetta trasandata ricevuta in eredità da uno zio defunto, che il nostro poeta-cacciatore definisce “un tugurio agghindato da appartamento”. Non avendo disponibilità economica sufficiente a cambiare residenza, George passa più tempo possibile lontano da quell’inquietante edificio. Per questo, la sera è solito frequentare i café in stile francese che illuminano le strade di Manhattan da qualche anno. Vi si sente a suo agio poiché, a suo dire, circondato da spiriti liberi, da intellettuali e donne interessanti. E da simpatiche ballerine in abiti svolazzanti.
Ma dunque, come mai in quella calda sera di maggio i nostri due, all’apparenza così lontani l’uno dall’altro, chiacchieravano in un locale notturno come i migliori degli amici?  Per spiegare come vi arrivarono, bisogna viaggiare indietro nel tempo di quindici anni o giù di li.
Era il 1906. Un’estate torrida, la cui afa incessante rendeva invivibile la città. L’asfalto, generalmente calpestato da frenetiche masse in cammino o ricchi magnate in automobile, si era fatto il grigio e bollente deserto di New York. Charles Torrence, detto Charlie, e la sua famiglia medio borghese, padre stimato medico e madre devota alla cura della casa, avevano lasciato la zona urbana per rifugiarsi nella fresca campagna del New Jersey. Era una consuetudine estiva delle famiglie benestanti. Possedevano tutti delle deliziose villette colme di prati, alberi da frutto ed ogni sorta di profumato tipo di fiore. I bambini, come Charlie, scorazzavano nei frutteti in calzoncini e camicette, sempre macchiati d’erba o terreno. L’estate era una stagione meravigliosa per loro, ed ogni anno l’attendevano impazienti di tornare a giocare insieme tra le foglie. Ogni tanto i vicini si proponevano di portare la compagnia al fiume, per una breve e rinfrescante escursione. Quell’estate, oltre a Charlie ed i suoi soliti amici estivi, al fiume apparve il volto di George per la prima volta. Lo scorsero che armeggiava con un rametto lungo la sponda opposta, e accorgendosi della sua età simile alla loro, urlarono per invitarlo a giocare insieme. Questi fuggì, senza dire una parola. Tornato al fiume di nascosto il giorno dopo, Charlie cercò di indagare su quel misterioso ragazzino solitario. Cosa ci faceva lì? Dove si trovava la sua villetta e come mai era fuggito? Avrebbe voluto porgli tutte queste domande, se solo l’avesse trovato. Ma George rimaneva nascosto tra le foglie color smeraldo, incuriosito a sua volta dal ragazzo, ma troppo timido per farsi vedere. Charlie tornò ancora, e ancora, finché per un caso fortuito scorse i capelli biondissimi della sua preda, e finalmente lo sorprese mentre giocava con delle biglie. “Ti ho trovato!” , disse, e George trasalì dallo spavento. Quello fu l’inizio di un’amicizia profondissima. I due si vedevano al fiume ogni giorno di nascosto ed ogni tanto si addentravano nei boschetti proibiti con gli altri bambini. Giocavano e si arrampicavano, lottavano e ridevano insieme, ogni giorno, ogni anno, da luglio a settembre. Tutto procedeva per il meglio, fin quando nell’estate dei loro 15 anni, nel 1911, i due si ritrovarono nuovamente al fiume dopo un anno di assenza, ed iniziarono la lunga chiacchierata di consuetudine. Si raccontarono delle noie scolastiche, della neve che c’era stata a dicembre, delle prime nuove esperienze di cui potevano vantarsi. George aveva baciato una ragazza per la prima volta. Charlie aveva seppellito Barbarossa, il suo Terrier amico d’infanzia. Il biondo una volta era scappato dalla lezione del maestro di matematica e non era stato scoperto. L’altro aveva ricevuto un premio per aver scritto una serie di componimenti. Fatti poco importanti, dall’ottica di un adulto, che rappresentavano il fulcro della vita per dei giovani così spensierati. Il mese scorreva tranquillamente finché un giorno Charlie decise di invitare George a casa sua. “Siamo amici da tanto tempo ma non ti ho mai presentato a mia madre”, disse. L’altro rifiutò categoricamente. Spiegò di sentirsi in imbarazzo di fronte agli adulti, che non sapeva come comportarsi, che non avrebbe voluto mettere in mezzo i genitori nella loro amicizia. “Di cosa ti preoccupi? I miei genitori conoscono tutti i miei amici, non sono cattive persone!” cercò invano di convincerlo l’altro. E l’estate passò con la costante di questi piccoli battibecchi. Il 10 settembre, nel momento di salutarsi, Charlie consegnò una lettera all’amico estivo. “Qui dentro c’è l’indirizzo di casa mia a New York. Dovresti scrivermi ogni tanto, così d’estate avremo più tempo per giocare e non dovremo raccontarci tutto quanto.” E George così fece. Per tutto l’inverno ci fu un intenso carteggio da parte di entrambi, che si divertivano a trattare l’altro come il proprio diario. Quando si rincontrarono a luglio la loro amicizia era cresciuta ancora. Ormai non c’era posto per nessun altro nella loro complicità, si conoscevano meglio di chiunque altro. Eppure, i loro incontri si limitavano a brevi escursioni nei frutteti, gite idilliche che non bastavano più a Charlie. Nessuno dei due aveva mai conosciuto la famiglia dell’altro, né George ne aveva mai voluto parlare. 

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Capitolo 3
*** Se chiudo gli occhi, il mondo esiste ancora? ***


Capitolo terzo: Se chiudo gli occhi, il mondo esiste ancora?


Nel 1914 Charlie non si presentò alla casa estiva. Precedentemente aveva scritto una lettera all’amico, spiegando che sarebbe rimasto in città poiché troppo impegnato nello studio del diritto. Aveva ricevuto la proposta di lavorare come apprendista per un avvocato, registrando i processi in tribunale. Ne era entusiasta, ed era molto energico nel suo primo incarico. Anche i genitori erano felici che approdasse nel mondo del lavoro, e speravano che fosse l’inizio di una brillante carriera come avvocato. Non ricevette risposta. Nel 1916 l’ormai ventenne Charles decise di andare a trovare George all’indirizzo dove aveva spedito le lettere per tutti quegli anni. Era una villa di campagna come tante ne aveva viste. L’aria bollente di agosto rendeva faticosi i movimenti. “Caro George, come ben saprai una grande guerra incombe sulle nostre giovinezze. L’Europa è ormai teatro di sangue, e tanti nostri compatrioti sono rimasti coinvolti nel conflitto a causa della follia tedesca. Di questo passo, e ti posso assicurare che se ne parla molto negli ambienti che mi è dato frequentare grazie al mio lavoro, anche la nostra America sarà costretta a rimanere coinvolta. La guerra non accenna ad arrestarsi. Io e te abbiamo vent’anni, capirai bene che siamo nell’età più pericolosa, poiché è possibile che ci sarà richiesto l’arruolamento in caso di intervento militare. E’ da molto che non ricevo tue risposte, perciò sono preoccupato che qualcosa possa esserti accaduto. Ho deciso che verrò a trovarti all’indirizzo dove spedisco queste lettere e se non ti troverò chiederò informazioni per poterti rintracciare. Con l’augurio che tutto stia andando per il meglio, tuo Charlie”. La casa era deserta. Il giovane riconobbe in un mucchio decine di lettere spedite da egli stesso, alle quali non aveva mai ricevuto risposta. Temette il peggio. Nessun modo di rintracciare l’amico. Lasciò tutto così com’era e scappò da quel posto dove faceva fatica a respirare. Presto arrivò il 1918. Charles aveva intrapreso una brillante carriera giornalistica. Erano anni di grandissimo fermento culturale, che la vittoria della guerra servì ad amplificare. Egli non aveva combattuto: potette prestare servizio civile negli uffici dell’esercito grazie alla sua posizione sociale. A partire per l’Europa erano stati soprattutto i giovani figli di famiglie operaie e contadine. George non si era fatto vivo, ma nel ragazzo la speranza di ritrovarlo era ancora forte. Era sempre stato ottimista. Nel frattempo, la famiglia di Charles auspicava che il ragazzo si trovasse una buona moglie. Egli non aveva mai mostrato interesse per l’altro sesso, tanto da suscitare preoccupazione nei genitori, rassicurati dalla solita scusa, “prima il lavoro”. Ma la realtà era diversa e Charles ne era consapevole: non aveva mai provato attrazione per le donne. Rifiutava con tutto se stesso l’idea che potesse essere attratto dagli uomini, ed infatti non lo era mai stato, per quanto potesse ricordare. “Chissà, magari non sono fatto per amare un’altra persona oltre me”, pensava.

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Capitolo 4
*** A Parigi non c'erano frutteti dove giocare ***


Capitolo quarto: A Parigi non c'erano frutteti dove giocare


Gennaio 1919. George Hatkins era appena tornato in America dalla Francia, dove aveva soggiornato per cinque anni. Lì aveva vissuto la guerra da vicino e l’esperienza aveva scalfito in lui un cambiamento irrimediabile. A diciotto anni, per volere del padre, George raggiunse suo fratello maggiore che lavorava a Parigi. Lì avrebbe studiato una disciplina seria sotto la sua tutela, lasciando perdere le futili ambizioni letterarie che aveva manifestato. Tuttavia, la città di Parigi sembrò incutere in lui l’effetto contrario: era uno scrigno di bellezza, continue meraviglie, fermento letterario e artistico. Si sentiva ispirato da quell’aria e non badava agli studi. Passava tutto il tempo nei cafè e divenne subito amato da tutti in quell’ambiente. Almeno fin quando la guerra non rese impossibile qualsiasi sentimento positivo. Vissuta in prima linea, era un’esperienza del tutto diversa da quella delle comode poltrone americane degli uffici in cui lavorava Charlie. A proposito di Charlie, George era convinto fosse morto, o fosse un totale cinico, tanto da averlo dimenticato. Aveva continuato a mandare lettere per tutto il tempo da Parigi, senza ricevere alcuna risposta. Quando anche suo padre morì (aveva perso la madre appena nato senza neppure conoscerla) e fu costretto a tornare in America, il suo primo pensiero fu “Troverò dov’è sepolto quel maledetto traditore e sputerò sulla sua tomba. Se è vivo, lo ucciderò”. Ma quando, tornato alla villa in campagna, si accorse di tutte le missive accumulate e l’ebbe lette tutte d’un fiato, le lacrime gli scorsero incessanti lungo le guance, e si pentì di aver pensato quelle cattiverie. Di suo padre non gli era mai importato nulla. Tra l’altro, ora che anche lui era morto ed il fratello era impegnato ad affrontare la minaccia comunista in Europa, avrebbe avuto tutta la libertà che desiderava. Si sarebbe dedicato agli studi letterari e con i soldi ricevuti in eredità avrebbe vissuto degnamente la stessa vita mondana a cui Parigi l’aveva abituato. New York era molto più viva, nonostante fosse reduce dalla guerra. Forse l’America era l’unica potenza che poteva dirsi davvero vincitrice. L’economia negli anni 20 rifiorì e le strade si illuminarono completamente. Le automobili iniziarono a diffondersi anche tra i borghesi. Il progresso sembrava, come sempre, inarrestabile. Quanto a Charlie, George era convinto che fosse ancora vivo. L’ultima lettera ritrovata alla villa risaliva al 1916, anno in cui entrambi avevano compiuto vent’anni. Chissà, forse da allora aveva perso le speranze e forse era troppo indaffarato nel lavoro per badare al fantasma del suo vecchio amico. Conoscendolo, probabilmente in quegli anni era diventato un uomo d’affari serio e diligente. Un avvocato oppure un giornalista, come aveva tante volte ammesso di desiderare. Si chiedeva che fine avessero fatto le lettere da lui spedite da Parigi. Malediceva costantemente ogni servizio di posta intercontinentale che avesse mai utilizzato. Nel marzo del 19, risolte tutte le pratiche burocratiche relative alla morte del padre, George decise di mandare una lettera al vecchio indirizzo dell’amico, che conservava gelosamente in quella prima lettera che si erano scambiati. La risposta che ricevette bastò a mandarlo su di giri per una notte intera.

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Capitolo 5
*** Ho ricevuto una visita dall'inferno ***


Capitolo quinto: Ho ricevuto una visita dall'inferno

 
Quando Charles fu chiamato dai genitori poiché era arrivata una strana lettera nella casa dove aveva abitato per tutta l’infanzia, fu come una rivelazione che apparse all’improvviso. George era vivo e lo stava contattando, ne era sicuro. Si recò immediatamente a ritirarla e l’aprì voracemente, posseduto dall’impazienza.
“Caro Charlie, sono il fantasma del tuo caro vecchio George. Sei riuscito a farmi piangere con delle lettere del 1916. Le ho trovate tutte nella villa in campagna, ormai disabitata. Tutti ci siamo trasferiti altrove: io a Parigi con mio fratello, mio padre all’inferno. Mia madre, per quanto non te l’abbia mai confessato, non c’è mai stata. Converrai che il servizio di posta intercontinentale è del tutto scadente. Se mai ti sono arrivate delle lettere, devono averlo fatto con estremo ritardo, perché non ho ricevuto alcuna risposta. Quando è scoppiata la guerra, poi, non sono più partite navi se non strettamente necessario, perciò non ho potuto più scrivere. La lettera in cui ti spiegavo del mio nuovo indirizzo e del trasferimento è andata sicuramente perduta. Probabilmente starai pensando che questa sia solo una storia fasulla per giustificare la mia mancanza negli ultimi cinque anni, ma ti prego di credermi. Avrò modo di mostrartene l’evidenza non appena ci saremo incontrati, ed auspico che ciò avvenga il prima possibile. Ti scrivo il mio nuovo indirizzo. Mi sono trasferito in città per esigenze di lavoro, nonostante la nuova casa mi faccia rabbrividire. L’ho ricevuta in eredità senza neanche conoscerne l’esistenza. La tua vita come procede, invece? Sei ancora il solito guastafeste? Sei sopravvissuto alla guerra? L’hai combattuta in prima linea? Sarebbe buffo! Se ciò fosse accaduto, saremmo stati molto vicini senza esserne consapevoli. Ma ne dubito: sono sicuro che sarai diventato un uomo di carriera in poco tempo. Non ti avrebbero mai mandato al fronte. Rispondimi al più presto, ho l’impressione che impazzirei di dolore se non lo facessi. Tuo, George”.
Pervaso da un’euforia che non provava da anni, ed ancora con le lacrime agli occhi, Charles iniziò a scrivere la lettera di risposta. No, iniziò a scrivere decine di lettere differenti: appena finita una, l’accartocciava per iniziarne una migliore. Aveva così tante cose da dire, così tante domande da fare, che neppure la sua dote innata per la scrittura bastò a darvi un ordine. Quando ebbe finito e fu abbastanza soddisfatto, la lettera recitava così:
“Caro George, non posso descrivere ciò che sta succedendo nella mia anima. Sono sveglio o sto sognando? Ho atteso così tanto un tuo segnale: ora che l’ho avuto, non riesco a credere a me stesso. Tra la nostra ultima corrispondenza e questa vi è stata una guerra di mezzo. Pensavo di averti perso per sempre, di aver perso il mio più caro amico senza neanche sapere come, o quando. Ed invece eccoti, ho una tua lettera proprio tra le mani. L’aver appreso della tua salvezza è una gioia immensa. Si, sono vivo e come hai ben immaginato sono agli esordi di una carriera splendida, per la quale sono sempre grato al mio primo tutore e datore di lavoro, il vecchio avvocato Sheperd. Grazie alle registrazioni dei processi di tribunale ho avuto modo di pubblicare brevi articoli di cronaca su diversi giornali. Ciò ha contribuito ad associare il mio nome ad una reputazione, e ben presto ho iniziato a lavorare come giornalista a tempo pieno in una vera redazione. Amo il mio lavoro. Come ben sai è sempre stato il mio sogno: la perfetta combinazione tra la mia innata curiosità ed il mio amore per la scrittura. E pensare che se non fossi stato curioso non ci saremmo neanche conosciuti. Saresti rimasto nei miei ricordi come quel timido bambino biondo che giocava sempre da solo dall’altro lato del fiume. Ed invece, ad oggi, sei uno dei miei più cari amici. Questi numerosi anni di assenza ricordano uno di quei lunghissimi inverni che durante l’infanzia, prima di iniziare il carteggio, ci tenevano separati. Rivedersi sarà come tornare fanciulli: avremo da chiacchierare per ore e ore, come quando sedevamo nel frutteto delle ville estive. Mi chiedo se in Europa hai trovato moglie e lavoro, se quella tua indole sbarazzina si sia placata con la fine dell’adolescenza. Mi chiedo così tante cose! Vediamoci al più presto. Rispondi a questa lettera con un appuntamento ed io ci sarò, non importa dove e quando. Tuo, Charlie”
L’uomo corse a spedirla e ricevette risposta il giorno dopo. L’appuntamento era segnato: ore 21.30 al Little Paris di Manhattan. 

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