The Price of Freedom

di Noel11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** È ora ***
Capitolo 3: *** Capisco... ***
Capitolo 4: *** Dritti alla meta e conquista la preda ***
Capitolo 5: *** Mi dispiace ***
Capitolo 6: *** Qual è la sua emergenza? ***
Capitolo 7: *** Non c'è altra scelta ***
Capitolo 8: *** Sei scappata dal Paese delle Meraviglie? ***
Capitolo 9: *** Non mi piacciono le cose facili ***
Capitolo 10: *** Festa di Halloween ***
Capitolo 11: *** 7 Giorni ***
Capitolo 12: *** Noelle ***
Capitolo 13: *** Black Mamba ***
Capitolo 14: *** Il gioco delle domande ***
Capitolo 15: *** The Ghost of you ***
Capitolo 16: *** Da soli insieme ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Dedicata a chi mi vuole veramente bene.

E alla mia persona speciale. Ti voglio bene.

 



Prologo

 
 
Correre.
Tutto quello che stava facendo era correre con una precisa meta in testa, la scogliera delle anime. Era conosciuta nella città come il punto più bello dove poter ammirare l'oceano. Ma questo prima dei numerosi suicidi avvenuti. Abbastanza alta da ucciderti e abbastanza isolata da non permettere a nessuno di fermarti. Così venne chiamata la scogliera delle anime per aver ospitato e dato una via d'uscita a quelle povere anime senza speranza.
Correva e sapeva che nessuno l'avrebbe fermata, e andava bene così.
Attraversò il bosco pieno di alberi secolari, nessuno ormai ci si avvicinava più da anni, ci si perde facilmente. Gli alberi sono tutti uguali e ai padroni di casa non fa piacere avere visite, ma non è difficile raggiungere la scogliera. Basta seguire il rumore delle onde infrangersi sugli scogli, l'odore inconfondibile della salsedine e il richiamo delle anime per arrivare a destinazione. Non serve ricordarsi la strada per tornare indietro, o lasciare segni per non confondersi, una volta arrivati nessuno ha bisogno di ritrovare la strada di casa.
Con il fiato corto e le gocce di sudore sulla fronte, la vede. Vede il vasto oceano stendersi difronte ai suoi occhi, nero come la pece e agitato come i sentimenti che ha dentro. La sola luce della luna le delinea il confine della scogliera, la sottile linea che separa la vita dalla morte, una linea grande quanto un passo in quel momento.
Era arrivata.
Ora immobile con le lacrime salate che si mescolavano a quelle dell'oceano sapeva che non poteva tornare più indietro. Sapeva che nessuno l'avrebbe fermata e sapeva che ormai non poteva più ripensarci.
Sospirò e un sorriso triste si dipinse sul volto << Ci siamo…>> sussurrò. Un passo e tutto questo potrebbe finire, un passo e tutta la sofferenza, tutto il dolore provato fino ad ora si mescolerà con le fredde acque dell'oceano, un passo e lei sarà finalmente libera.
Chiuse gli occhi << Libertà…>> e con un sorriso amaro sul volto allungò una gamba verso il vuoto e poi << Come siamo frettolose>> una voce dal buio, piena di ilarità colpisce il silenzio spezzato solo dalle onde.
Riaprì gli occhi di scatto, buttò tutto il peso all'indietro cadendo per terra e si guardò intorno trattenendo il respiro. Quella zona era sempre stata evitata da tutti, non c'erano case né fari, né baracche che ospitassero esseri viventi. Gli unici a popolare quella zona erano gli animali feroci che abitavano nel bosco ma che si tenevano ben lontani dalla scogliera. Lei si alzò lentamente da terra e si girò da dove era venuta la voce dando le spalle alla scogliera << Chi c'è?>> chiese stupidamente, sperando però di non ricevere una risposta, d'altronde era una ragazza sola, di notte, in un posto isolato dove nessuno l'avrebbe sentita gridare, quindi sperava veramente di essersi immaginata tutto a causa della paura o dell'adrenalina. Sembrarono passare minuti prima di sentire una risposta proveniente dal nulla << Non sei sola come credi piccola, e non è frutto della fantasia la voce che senti>>. Panico era quello che sentiva, misto a rabbia, rabbia verso quella voce che non aveva niente di buono o di rassicurante, rabbia perché non sarebbe morta per mano di qualcun altro, rabbia perché se doveva morire, almeno in quella vita voleva scegliere lei come ma soprattutto voleva essere lei a decidere quando mettere la parola fine.
<< Dove sei? E soprattutto che ci fai qui? Mostrati codardo!>> urlò l'ultima frase cercando di mascherare il tremolio della sua voce. Sentì il fruscio delle foglie provenire dal bosco << Ma che bel caratterino che abbiamo e quante domande! Sei una ragazza senza pazienza, questo è il tuo più grande difetto>> disse accompagnandolo con una piccola risata gelida che non aveva niente di autentico.
<< Se sei venuto qui a fermarmi sappi che è inutile! Ho già preso la mia decisione e né tu né chiunque altro potrà fermarmi.>>
<< Io invece credo di poterlo fare.>>
Uno spostamento d'aria, un battito di ciglia ed ecco presentarsi il proprietario di quella voce. Davanti a lei in quella scogliera che sembrava essere diventata troppo piccola per tutti e due.
La sua figura alta la copriva completamente, magro come uno stuzzicadenti, la sua pelle scura come il marmo nero lo confondeva con l'oscurità che li circondava, permettendogli di nascondersi almeno finché i fiochi raggi della luna non lo illuminarono. I suoi vestiti erano molto eleganti e il bastone da passeggio gli dava una certa aria, ma ciò che la stupì di più furono gli occhi. Notò che aveva gli occhi di colore diverso, uno nero come la pece nel quale non si riusciva a distinguere la pupilla dall'iride, così scuro da sentirti risucchiata fino ad affogarci dentro credendoti persa e spaventata, e l'altro di colore bianco, uno di quelli accesi, puri, ma che di puro ed innocente non trasmettevano niente ma solo freddo, tanto freddo.
Sorrise mostrando i denti bianchi come se fossero zanne: << Come posso aiutarti, oh dolce anima in pena che sceglie l'ultima delle più disperate soluzioni per risolvere i propri problemi?>> chiese fingendosi palesemente gentile.
<< Non ho bisogno del tuo aiuto e non mi saresti utile in nessun modo. Neanche mi conosci!>>
<< Ma guarda che coraggio! Oh meraviglioso, fantastico! Sapevo che saresti stata un ottimo investimento.>> disse con una particolare luce negli occhi.
<< Di che diamine stai parlando?!>> chiese allo stremo della pazienza.
<< Oh giusto lascia che ti spieghi piccola. Vedi sono settimane che ti osservo e sapevo che prima o poi saresti venuta qui, d'altronde mi sorprende che tu abbia resistito tutto questo tempo, devo farti i miei complimenti. Comunque ti ho osservato, ho visto come sei, cosa sei capace di fare e devo dire che mi soddisfa molto quello che vedo>> disse squadrandola da capo a piedi, girandogli intorno senza mancare neanche una sfumatura o un piccolo dettaglio << L'unica cosa che ti blocca dall'essere perfetta sono quei pesi, quelle catene che ti porti sempre appresso. Ti bloccano a tal punto da soffocarti, facendoti desiderare ardentemente l'unica cosa al mondo che sai che non potrai mai ottenere ma che vuoi anche al costo di rimetterci tu stessa.>>
<< Libertà>> sospirò, facendo volare quelle parole nel vento.
Lui sorrise << Esatto….>>
Lo guardò in faccia, allontanandosi da quello che sapeva sarebbe diventato fonte di guai << Tu sei pazzo!>> lo schernì << Sei solo un maniaco, uno stalker, uno schizzato uscito fuori dal nulla, ma ne ho già incontrati tanti come te e non mi fai paura.>> disse guardandolo con aria di sfida.
Lui impassibile rispose con tranquillità: << Ti sbagli piccola, io non sono come gli altri. Io posso darti quello che vuoi senza che tu paghi un prezzo così alto. E fidati se ti dico che ci perderei anche io se tu decidessi di buttarti da questa scogliera, aumentando il numero delle tante anime che ci sono passate prima di te. Io ti sto dando la possibilità di rinascere, di avere quello che più desideri!!>>
<< … saresti in grado di darmi la libertà che io voglio?>> disse titubante e stupita dalla sua stessa domanda. Non poteva credere che stava dando corda a quel pazzo.
<< Ma certo!>> rispose entusiasta, prima di ricomporsi e ritornare serio con lo sguardo dritto nel suo quasi come a scrutargli l'anima << Però piccola, come ben sai, tutto ha un prezzo.>>
Lei si morse la lingua a quella frase perché sapeva che ci sarebbe stata la fregatura, sapeva che non avrebbe mai potuto ottenere quello che voleva se non nel modo più drastico. Lui però sembrò capire subito i suoi pensieri e li interruppe: << Io ti sto dando una seconda opzione, la possibilità di scegliere, ti sto offrendo l'oggetto dei tuoi desideri ad un costo meno elevato di quello che tu hai scelto>> la fissò sicuro di aver ottenuto la sua completa attenzione, sicuro di aver visto la scintilla di desiderio e curiosità passare in quegli occhi colmi ora di speranza, e sorrise a quella vista << Ti offro la libertà. Quella che tu tanto desideri, senza imbrogli o inganni, niente trucchi e niente bugie, nessuna truffa.>> Fece una piccola pausa godendosi la reazione ottenuta da quella proposta << Ma quello che vuoi ha un prezzo e questo è il mio: sarai vincolata a me appena accetterai questo contratto, dovrai rispettare tutte le regole e non potrai non aderire ai tuoi doveri, sarà obbligatorio adempiere alle tue mansioni e una volta accettato non potrai più tornare indietro o modificare il contratto. Sarai libera! e non dovrai più tornare indietro a questa vita, rinascerai più forte e senza catene così da spiccare finalmente il volo! Così da diventare perfetta, da diventare quello che vuoi essere e ciò che veramente sei.>> Si avvicinò a lei lentamente con passi decisi. La prese per le spalle e la voltò lentamente verso il dirupo, in modo che tutto tornasse come prima che arrivasse lui. Il vuoto, il rumore delle onde che si infrangono e il passo che potrebbe cancellare tutto. Si avvicinò al suo orecchio e sussurrò << Oppure potresti rifiutare e scegliere la strada più facile ma che non ti permetterà di assaporare, se non per qualche misero secondo, l'oggetto dei tuoi sogni. Diventeresti un altro nome inutile sulla tabella dei suicidi di questa schifosa città e forse chissà, se la fortuna ti assiste, nella prossima vita sarai più libera, ma … ne dubito. Per non considerare poi lo spreco di perdere questa gemma preziosa.>> disse accarezzandogli il contorno del viso con un dito.
Si scostò subito da quel tocco che le fece bruciare la pelle e si girò di scatto risvegliandosi dalla trance in cui era caduta poco prima e lo guardò.
<< La decisione è la tua.>> disse allontanandosi e aspettando sorridente l'esito di quella battaglia interiore che lei stava affrontando, della quale lui sapeva già il vincitore.
Si girò di nuovo dandogli le spalle e guardò giù. Un passo e tutto sarebbe finito. Un passo e sarebbe stata finalmente libera. Spostò lo sguardo dal basso, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi. <<Libertà…>> sussurrò, non poteva tornare indietro. Sapeva che se fosse tornata indietro l'avrebbero uccisa, non aveva niente da perdere e quindi <<… accetto!>> disse aprendo gli occhi.
Non fece in tempo a voltarsi che se lo ritrovò ancorato alle sue spalle << Ottima scelta, piccola>> sussurrò al suo orecchio. Sorrise infilandole le mani dietro alla schiena all'altezza delle scapole e infilzandola con gli artigli. Lei urlò per il dolore, urlò quando sentì qualcosa venir strappato dentro di lei per poi essere buttato via, urlò e si gettò a terra contorcendosi su stessa mentre sentiva qualcosa crescere dentro di lei, desideroso di uscire, desideroso di nascere! La pelle bruciava, la testa esplodeva, e le mani sanguinavano a causa della troppa forza usata per strappare il terreno per cercare di distrarsi, invano, dal dolore che le mozzava il fiato. Aprì gli occhi, tenuti fino a quel momento serrati, li aprì e vide la faccia di lui estasiata e sentì la sua risata << Meraviglioso….>> disse leccandosi le labbra. Il dolore lasciò il posto a una grande debolezza, l'ultima cosa che ella vide prima di perdere i sensi, oltre a lui, fu una piuma nera.
Con quell'immagine e con il rumore dell'oceano a farle da ninna nanna, morì quella ragazza disperata, per dar vita a quella nuova creatura.
 




Angolo autrice

Questa è la prima storia che scrivo. Non mi sprecherò in chiacchiere, quindi vi dirò solo che come storia sarà abbastanza lunga e che cercherò di aggiornare ogni Domenica se possibile.
Per il momento il Capitolo 1 verrà postato Mercoledì, ma solo per questa volta.

Grazie a chiunque leggerà questa storia.
E.

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Capitolo 2
*** È ora ***


Capitolo 1
è ora

 
 


3 anni dopo
 
Sono passati tre anni da quella fatidica notte. Può dire di essere nata ufficialmente tre anni fa, anche se può essere considerata una pazzia visto il suo corpo da diciottenne. Ma non le importava perché con il tempo aveva imparato a sue spese che questo mondo era un manicomio popolato da pazzi che si fingevano sani. Sorrise a questa sua idea del mondo, perché alla fine era l'unica che conosceva e accettava.
Si alzò in piedi e si mise ai margini del cornicione. Guardò la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scosse la testa energicamente << No>> disse << è inutile pensare a un passato che non esiste>> e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospirò guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre << è ora di andare, si va in scena>>.
Chiuse gli occhi e si lasciò cadere a peso morto verso il vuoto, senza esitazione, senza paura, per poi aprire gli occhi di scatto e spalancare le ali prima di raggiungere terra. Sbatté le sue ali nere per prendere quota, quelle stesse ali che anche se hanno il colore della pece le hanno permesso di raggiungere il suo sogno. Certo, il prezzo da pagare non è tanto basso e neanche tanto facile da portare sulle spalle, ma tutto questo viene superato quando si trova nel cielo e sente il sapore della libertà e non più quello ferroso del sangue. Rabbrividì un po' al ricordo, ma si ricompose subito perché sapeva che era già tardi e lei aveva un orario da rispettare e una missione a cui non poteva rinunciare.
 
 
 
7:00 AM - 3 Ottobre
 
Ecco. Era in ritardo.
Si stiracchiò lentamente, cercando di far svegliare tutti i muscoli, indolenziti dalla sera precedente. Ricordava poco e niente, e per poco e niente si intendono luci accecanti, alcool, musica spacca timpani, alcool, erba e…l'ha già detto alcool?
Sdraiato lì in quella camera sudicia, con quelle pareti bianche che ha sempre odiato perché gli ricordavano gli ospedali e i mobili che cascano a pezzi, stava valutando le varie opzioni che gli si presentavano davanti, dopo aver preso numerose aspirine per placare quell'odioso mal di testa, e tutte portavano ovunque tranne dove sarebbe dovuto stare in quel momento cioè a scuola. Saltare un giorno in più o in meno non avrebbe cambiato la sua condotta o i suoi voti che erano decisamente più bassi delle sue condizioni economiche. Ma visto che sapeva che sua madre sarebbe rimasta a casa e che quel giorno non si sarebbe fatto niente, decise di vestirsi e andare a scuola, naturalmente secondo i suoi orari.
Prese dei vestiti a caso sparsi per la stanza, se quella poteva chiamarsi stanza, e andò verso la porta. Prima di uscire notò che sua madre era tornata e si era addormentata sul divano, distrutta dal lavoro che le permetteva a malapena di arrivare a fine mese, sospirò sconsolato prima di prenderla in braccio e portarla al letto e rimboccarle le coperte << Sei un bravo figlio Matty>> disse con voce assonnata << Stai lontano dai guai, per favore>> la guardò, ignara di tutto, e le lasciò un bacio sulla fronte che sapeva tanto di scuse per non essere quel figlio perfetto che tanto desiderava << Okay, ora dormi>> disse prima di uscire << Ti voglio bene>> biascicò tra il sonno e la veglia << Anche io>> sussurrò non sicuro che l'avesse sentito. Uscì fuori di casa chiudendosi la porta alle spalle e chiuse gli occhi.
Andare a scuola quel giorno sembrava la migliore delle idee.
 
Arrivò davanti alla classe alle 8:25. In ritardo per loro, in anticipo per lui. Sospirò prima di entrare, pronto a mettersi quella maschera che ormai indossava tutti i giorni e così spesso da non capire più quale fosse la sua vera personalità, il suo vero IO. Abbassò la maniglia ed entrò già sentendo le parole del Prof. Mazzi: un vecchio, scorbutico, narcisista e conservatore che non mancò l’occasione per umiliarlo davanti a tutti e infatti: << Oh, ma guarda un po'! Il signor Matteo ci ha onorato della sua presenza. Oggi è anche entrato in prima ora invece che in seconda, anche se con un leggero ritardo. Potrei commuovermi>> disse, conoscendo già la reazione del ragazzo che non si fece attendere: << No grazie, faccio a meno di vedere un vecchio piangere perché non è riuscito a fare quello che voleva nella vita e ora sfoga le sue frustrazioni su dei ragazzi, perché loro hanno una possibilità e lui no essendo un vecchiaccio. Ah e dovrebbe ringraziarmi per essermi presentato, potevo benissimo saltare la sua insulsa materia che, lo ammetta, non servirà a un cazzo nella vita!>>.
Il Professore non si curò più di tanto delle parole del ragazzo, ormai era una routine sentire quelle cose, come era routine mettergli una nota e farlo sedere solo per costringerlo ad ascoltare la lezione. Ma tutti e due sapevano che tanto non l'avrebbe fatto e che come previsto si sarebbe messo all'ultimo banco a dormire fino al suono della ricreazione, durante la quale sarebbe scomparso per un bel po' prima di ripresentarsi in classe.
E così successe. Al suono della campanella che annunciava la ricreazione, si catapultò fuori dalla classe e raggiunse il giardino dove sapeva già che il suo amico lo stava aspettando sotto il solito albero vicino al vecchio capanno degli attrezzi, ovviamente vuoto e usato per altri scopi. Appena lo vide lo salutò << Giorgio, brutto stronzo>> disse dandogli una sonora pacca sulla spalla << Teo! Figlio di una buona donna che ci fai qui a scuola? E che fine hai fatto ieri sera? Credo di non averti visto più dopo il settimo o decimo brindisi>> disse abbracciandolo. Giorgio era il migliore amico di Matteo dal primo giorno di asilo. Erano cresciuti insieme, ci sono stati sempre l'uno per l'altro nel momento del bisogno: lui c'è stato quando Giorgio si ruppe un braccio credendo di poter saltare dalla casa sull'albero senza farsi niente, l’altro c'è stato quando il padre di Matteo era sparito, andandosene e non lasciando più tracce abbandonando figlio e madre a loro stessi, lui c'è stato quando Giorgio era entrato in comunità per essere andato in overdose troppe volte in una settimana ma ora è pulito e fuma solo canne perché "Andiamo quella non è droga! È come fumarsi le sigarette, anzi è meglio delle sigarette, l'erba è una medicina e fa bene alla salute!". Ne avevano passate tante ma erano ancora lì insieme, nonostante tutto, nonostante la vita. << Beh sai com'è qualche volta voglio fare il bravo ragazzo e venire a scuola a seguire le lezioni>>. Si guardarono in faccia prima di scoppiare a ridere << Teo te lo ripeterò fino alla fine dei tuoi giorni, sei un pessimo bugiardo e un pessimo attore!>> disse mettendogli un braccio intorno al collo << Hey, non è vero!>> rispose in tono infantile << Secondo me la mia interpretazione di bravo ragazzo, romantico e galante con le donne è da oscar e alcune ragazze che hanno poco di casto potrebbero confermarlo>> rispose fiero di sé.
Giorgio scosse la testa, perché il suo migliore amico non cambierà mai, prese l'erba dal suo zaino e iniziò a preparare la prima canna della mattina << A proposito di ragazze, ne è arrivata un nuova>>
<< Ah si?>>
<< Sì è dell'ultimo anno. Si dice che abbia cambiato un sacco di scuole perché i suoi genitori si trasferiscono spesso a causa del lavoro, e a quanto pare l'unica che la conosce bene è Erica, credo sia la sua migliore amica, per il resto si sa poco e niente di lei>>
<< è fica?>>
<< Normale>> rispose l'altro finendo di rollare la canna.
<< Bene, allora presentamela!>> chiese quasi con troppa esuberanza.
<< Eh no, caro mio, te lo scordi! Valla a vedere con i tuoi occhi. Sono stanco di andare da ogni essere di sesso femminile per parlarle facendo finta di provarci, per poi dirle che sono fidanzato e presentarle il mio "fantastico, super dotato migliore amico che è single e fedele alle donne". Stavolta te la cavi da solo. Mi sento un verme verso Nastìa quando faccio così>> disse chiudendo il discorso e accendendosi la canna. Da quando si era fidanzato con Anastasia erano finiti i giorni di Giorgio puttaniere, sciupa femmine, ora per lui esisteva solo lei e vice versa. Lo capiva? No. Lo invidiava? Forse, non ne era ancora del tutto sicuro. Fatto sta che ora doveva cavarsela da solo << E va bene, rompi palle! Da quando stai con lei ti sei rammollito.>>
<< Attento a come parli…>> lo avvertì in guardia Giorgio.
<< Si, si, si… ora dimmi dove posso trovarla>> chiese senza perdere tempo.
<< Erica gli starà facendo fare il giro della scuola, trova Erica e troverai la ragazza>> rispose svogliatamente, l'effetto dell'erba si stava già facendo sentire.
<< Qualche indizio in più?>> chiese titubante, perché sì conosceva Erica ma non le aveva più rivolto la parola dalle medie, neanche la guardava più, e se avesse cambiato colore di capelli? Come l'avrebbe riconosciuta? Era da un po' che non veniva più a scuola quindi… ma Giorgio fermò subito i suoi pensieri
<< Gesù! Calmati. Erica indossa una maglietta dei Linkin Park, quindi la riconoscerai subito. La ragazza nuova è alta, ha i capelli castani, ricci e lunghi che le arrivano quasi fino alla vita, e ha gli occhi verdi. Non so dirti di più.>> concluse prima di riaccendere la canna che si era momentaneamente spenta.
<< Me lo farò bastare>> disse sorridendo.
<< Attento a quello che fai, non la conosci e la stai sottovalutando. Conta che è la migliore amica di Erica quindi non te la lascerà molto facilmente>> lo avvisò.
<< Correrò il rischio>> disse più determinato che mai.
Gli piacevano le sfide e ora come ora gli serviva proprio una distrazione dalla sua vita di merda.
Se solo lo avesse saputo prima come sarebbe andata a finire forse non sarebbe stato così determinato

Forse…





Angolo autrice

Ecco qui il primo capitolo. Come in tutte le storie, i primi capitoli saranno molto lenti. Ma vi assicuro che dopo le cose si faranno sicuramente più movimentate.
In questi primi capitoli presenterò i personaggi principali. Ci tengo molto a descrivere i personaggi nei minimi particolari, senza tralasciare niente, perchè ritengo che sia importante per capire meglio la storia.
Ringrazio ancora tutti quelli che leggeranno o recensiranno la storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo (Domenica).
E. xx   

 

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Capitolo 3
*** Capisco... ***


Capitolo 2
Capisco...
 


<< Questa è la sala LIM, lì ci sono i bagni, la presidenza e la segreteria sono al secondo piano, e… Okay basta, mi sono stancata di presentarti questo schifo di scuola, parliamo di altro>> disse Erica avvolgendole il braccio attorno alle spalle << Wow, mi dicono che ti piace la tua scuola insomma>> disse ridendo per poi scuotere la testa.
<< Hey! Dopo anni la mia migliore amica si trasferisce nella stessa città dove abito io e tu pensi che la prima cosa che faccia è parlargli di scuola? Senza tralasciare quei tre anni in cui non sapevo neanche se fossi ancora viva! Ero spaventata a morte sai?!>> finì la frase mettendosi in una posa melodrammatica con una mano a reggersi la fronte e l'altra posata sul cuore per assicurarsi di non avere un infarto.
<< Non sono io quella che si è trasferita in un'altra città prima dell'inizio delle medie>> sorrise guardandola con un sopracciglio alzato.
<< Touché>> rispose << Ma non mi hai ancora spiegato perché non ti sei fatta sentire in questi tre anni>> disse con voce seria e sguardo preoccupato.
Erica era stata ed era tutt'ora la sua migliore amica, nonostante la lontananza cercavano di sentirsi il più possibile. Erica era come una sorella, una persona speciale per lei e, come tale, sapeva tutto. Sapeva del suo passato, cosa aveva dovuto sopportare e quante volte fosse stata vicino a non farcela più, vicino alla morte. Ma lei non se ne era mai andata. Sapeva di non poterla aiutare nel modo in cui voleva, sapeva di non poterla proteggere sempre, però cercava sempre un modo di alleviare il suo dolore e farla sentire libera come voleva che fosse.
La città dove erano nate era ricoperta dall'oscurità anche quando il sole illuminava tutte le strade e i vicoli più nascosti, era marcia dentro ma era brava a nasconderlo. Le persone che ci abitavano erano considerate tutte rifiuti dell'umanità, buttati in quel posto per eliminarsi a vicenda facendo valere solo la legge del più forte e trasformando la vita di tutti giorni in una lotta alla sopravvivenza. Ma chi non viveva lì non poteva capire e soprattutto non poteva sapere del velo di falsa innocenza e perfezione che ricopriva la città. Per questo quando i genitori di Erica decisero di scappare da quel luogo pieno di falsità, la ragazza fu investita da sentimenti contrastanti. Era felice di poter abbandonare quel posto che non portava altro che sofferenze e segreti, ma sapeva che avrebbe lasciato qualcun altro indietro, una persona speciale che si era ripromessa di difendere. In quel momento tristezza, rabbia e sensi di colpa crearono una miscela potente dentro di lei. Sensi di colpa soprattutto perché aveva deciso di lasciarla indietro facendo prevalere il suo istinto di sopravvivenza. Perché un'occasione per uscire dall'inferno non poteva essere rifiutata.
<< Giuro che ci sentiremo tutti i giorni, e ti scriverò tante lettere e ti manderò le foto della scuola e i miei nuovi disegni. Sarà come se non ci fossimo mai lasciate>> disse con gli occhi pieni di sicurezza e un sorriso forzato sul volto, cercando di infondere speranza a lei e coraggio a se stessa.
<< …Si, supereremo la distanza>> disse dopo un lungo silenzio, con voce debole e tremante. Erica si chiese per un attimo se avesse mangiato quel giorno, o almeno i giorni precedenti.
<< Io…. Vorrei restare, vorrei portarti con me, ma non posso e non ce la faccio più a vivere in questa città, e- aspetta… potresti scappare! Certo, che idea! I miei genitori non sapranno mai niente. Ti nasconderai nel portabagagli per tutto il tempo, anche se sarà molto scomodo e durerà molto il viaggio, ma non fa niente perché non staremo più qui->>
<< Erica…>>
<< -e quando arriveremo tu dormirai insieme a me, nella mia nuova stanza, e faremo tutte le notti un pigiama party->>
<< Basta…>>
<< -e poi andremo ancora a scuola insieme, inizieremo un'altra vita insieme! Non puoi non->>
<< Erica!>> la interruppe bruscamente l'altra.
Sgranò gli occhi, cercando di riprendere fiato dopo tutto quel discorso e si immobilizzò aspettando che continuasse.
<< Vai>> alzo gli occhi incontrando quelli di Erica creando quel legame che solo loro avevano << Andrà tutto bene, ce la faremo>> e sorrise, con uno di quei sorrisi di cortesia, falsi, creati solo per darti un minimo di conforto.
<< Mi dispiace…>> sussurrò ormai con la vista appannata dalle lacrime << Anche a me>> rispose lei con il tono di chi si era già rassegnato. Si lasciarono così, con un abbraccio pieno di lacrime e scuse, mantenendo la promessa di sentirsi il più possibile, perché non poteva finire così, perché sarebbe andato tutto bene, perché ce l'avrebbero fatta anche quella volta.
Ritornò al presente, ritornò nella scuola dove in quel momento era di nuovo insieme alla sua persona speciale, come voleva chiamarsi Erica perché "migliore amica" era troppo infantile secondo i suoi gusti. La guardò e gli sorrise << Ci sono state… Complicazioni>>
Erica la guardò, scrutandola << Capisco…>> disse chiudendo lì il discorso, e lei penso che no, Erica quella volta non poteva capire, perché per la prima volta neanche lei sapeva cosa stava accadendo veramente e non doveva saperlo.
<< Beh sappi che sono cambiate molte cose, ma le uniche cose che sono rimaste invariate nel corso della mia breve vita sono: il mio amore incondizionato per la musica, il fatto che riesca a fare delle foto stupende anche avendo una fotocamera un po' ammaccata, il mio talento per la pittura che, modestia a parte, migliora di giorno in giorno raggiungendo quasi i livelli di Monet e il fatto che io non abbia ancora trovato un esemplare di maschio che soddisfi i miei standard>>
<< Hai mai pensato di abbassare i tuoi standard a un livello più decente, tipo a livello umano? Perché da quello che mi ricordo il tuo tipo ideale è un Dio greco oppure un miscuglio tra Aidan Turner e Tom Hiddleston>> disse punzecchiandola.
<< Hey! Se solo avessi il campione di DNA di tutte e due e potessi giocare a fare Dio sai benissimo che potrei creare il fidanzato/marito perfetto. Quindi io non mollo ancora, non mi accontenterò di qualche stupido ragazzo a caso>> disse sicura di se e delle sue teorie campate per aria.
<< Quanti gatti credi che riuscirai a tenere nella tua casa da zitella?>> chiese pensierosa, ricevendo poi una gomitata nelle costole come richiamo.
<< Non mi piacciono i gatti e lo sai bene!>> sputò quasi infuriata. Era per quello la gomitata o per la faccenda della zitella?
Rise, sentendosi completa ora che era con lei.
Durò tutto troppo poco, perché notò ancora come tutti gli occhi degli studenti la stessero studiando. Okay che era nuova, ma almeno potevano impegnarsi di più per nascondere il loro desiderio di Gossip, invece di squadrarla da capo a piedi. Troppa gente le faceva venire la nausea e la faceva sentire di troppo, e a quanto pare Erica sembrò accorgersene, come sempre, rassicurandola << Tranquilla, durerà solo 24 ore. Tempo di smaltire la novità del momento e poi finirai nel dimenticatoio, come la sottoscritta, diventando una come gli altri.>>
<< Rassicurante>> disse grattandosi la testa a disagio. C'erano troppi occhi ad osservarla, per una ragazza come lei abituata ad essere invisibile era un po' troppo. Si passava dalle ragazze che giudicavano i suoi vestiti, ai nerd che sembravano aver visto scendere la manna dal cielo, ai ragazzi, con un QI basso quanto i fondali oceanici, che controllavano la taglia delle sue tette e come fosse messa la mercanzia, per poi finire con le ragazze invisibili che non osavano guardarla o distoglievano subito lo sguardo per paura che potesse fargli qualcosa. Le dispiaceva per quelle ragazze, perché lei era sempre stata una ragazza invisibile, quindi sapeva cosa voleva dire avere paura delle persone.
<< Oh bene!>> disse Erica, sbuffando irritata << Sembra che tu sia nel mirino di qualcuno, purtroppo, di mia conoscenza. Se si avvicina giuro che…AHH!>> finì la sua minaccia con un grido di frustrazione. La guardò non capendo a cosa si riferisse, o meglio a chi, per poi spostare lo sguardo e vedere l'oggetto d'astio della sua amica.
Si incontrarono con gli occhi, verde contro marrone. Nonostante i numerosi studenti che affollavano il corridoio, bloccando molto spesso la visuale, riuscirono a studiarsi a vicenda. Non c'era lussuria nei loro occhi, non c'erano né buone né cattive intenzioni in quegli sguardi, si stavano semplicemente ammirando a vicenda senza osare distogliere lo sguardo per paura di spezzare quella specie di magia, di filo che li aveva connessi in una maniera ancora sconosciuta per loro. Lui fece un piccolo sorriso, non uno di quelli nati dall'imbarazzo o simili a quelli da ebeti, ma uno di quelli sinceri anche se piccoli. Si guardarono ancora per qualche secondo prima che la campanella li risvegliasse dal loro sonno e spezzasse l'incantesimo creato << Hey, bella addormentata! È finita la ricreazione, dobbiamo andare o faremo tardi>> disse Erica scuotendola per un braccio, per poi trascinarsela dietro << Okay…>> disse lei assorta nei suoi pensieri.
Matteo non si mosse da lì, neanche quando il corridoio rimase deserto, lasciandolo solo a fissare il vuoto lasciato da quella ragazza.
<< Wow…>> Sorrise ancora, scuotendo la testa << Ci sarà da divertirsi>> disse prima di prendere la sua sigaretta e tornare dal suo compagno che, a quest'ora, si sarà sicuramente addormentato
.

 





Angolo autrice

Eccoci qua.
Dopo aver presentato Matteo e Giorgio, ora è il turno di Erica e della ragazza con gli occhi verdi. Con aggiunta di un flashback molto interessante che ci rivela un po' di cose sul passato delle due ragazze. Dal prossimo capitolo le cose si faranno già più movimentate per i nostri ragazzi.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno o recensiranno la storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
E. xx 




 

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Capitolo 4
*** Dritti alla meta e conquista la preda ***


Capitolo 3
Dritti alla meta e conquista la preda


 
Aveva passato giorni ad osservarla da lontano per paura di essere colto in flagrante. Era veramente patetico quello che stava facendo, assomigliava sempre più a uno stalker o ad un maniaco, ma la colpa era di lei. La ragazza che ancora non aveva un nome, con quei suoi occhi verdi che lo catturavano e quelle labbra gonfie e rosee, per non parlare di quell’aria di mistero che la avvolgeva. << Hey guardone.>> lo richiamo Giorgio schioccandogli le dita davanti alla faccia << Hai finito di fissarla in modo molto inquietante? Cristo, sembra che tu non abbia visto una femmina da una vita.>> disse al limite della sopportazione << Devo trovare una strategia…>> sussurrò non distaccando gli occhi da lei.
Giorgio lo guardò con un sopracciglio alzato non capendo dove fosse il problema << Okay… ingannala e seducila con le solite cavolate e poi fattela nel capannone degli attrezzi. Così magari la smetti di fissarla come un idiota>> finisce lui.
<< No>> disse << Con lei i soliti giochetti non funzioneranno sono sicuro. O almeno non per ora. Ci sarà bisogno di qualcosa di nuovo>> disse ghignando.
Giorgio sbuffò scuotendo la testa, per poi ricomporsi e chiedere << Allora qual è il piano genio?>>
<< Mai sentito parlare di improvvisazione?>> si girò a guardarlo finalmente negli occhi con un sopracciglio alzato.
<< Stai scherzando vero?! Teo fai schifo ad improvvisare, non sai parlare senza che tu ti sia preparato un discorso prima. Per non parlare delle stupide barzellette che fai per attaccare bottone che, tra parentesi, ti pregherei di non usare>> finì congiungendo le mani a mo’ di preghiera cercando di far ragionare il suo amico.
<< Wow hai una grande considerazione nei miei confronti, sul serio non dire altro altrimenti mi commuovo>> sputò con una puntina di acidità nella voce.
<< Hey, a questo servono i fratelli giusto?>> si accese una sigaretta e tornò a guardarlo negli occhi << Seriamente Matteo, non fare cazzate. Quella ragazza è appena arrivata e neanche a messo piede in questa città che tu vuoi già rovinargli la vita? Abbi almeno un po' di cuore perch->> non riuscì a finire la frase che si ritrovò appiccicato al muro, sentendosi preso ai bordi della maglietta. Aprì i suoi occhi azzurri per incontrare quelli del suo amico che in poche occasioni lo aveva visto in quello stato. Con la mascella serrata e la bocca leggermente aperta per far vedere i denti, neanche fosse un animale, lo fulminò con i suoi occhi marroni che ora erano ricoperti da un velo nero di rabbia << Rovinargli la vita?! Abbi un po' di cuore?!>> digrignò ripetendo le stesse parole dell'amico. Era stanco. Stanco di sentirsi dire che lui portava solo guai, che era la pecora nera, che ovunque andasse portasse distruzione insieme a lui. Ma le persone continuavano a ripeterlo e così anche lui iniziò a crederci, e allo stesso tempo imparò ad essere egoista e a fregarsene delle conseguenze. << Chi ha detto che potrei rovinargli la vita?! Potrei essere la cosa migliore che gli sia mai capitata a quella ragazzina e se non fosse così sinceramente me ne sbatto!>> lasciò la presa sulla maglietta di Giorgio in modo troppo brusco, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio.
Giorgio cercò di risistemarsi la maglietta sgualcita da quella presa. Aveva usato le parole sbagliate e lo sapeva, non avrebbe dovuto dire quelle cose. Sapeva quello che aveva passato Matteo, ed i suoi attacchi di rabbia incontrollati erano la prova del loro passaggio. Vedeva come ogni giorno cercasse di reprimere tutto quello che sentiva, richiudendolo da qualche parte dentro di se, per poi non essere più capace di contenerlo e scoppiare, lasciandolo libero, nel peggiore dei modi. Con gli anni però aveva imparato a controllarsi, anche se non ci riusciva spesso. D’altronde non poteva tornare a casa sempre ricoperto di lividi perché non sapeva tenere le mani dentro le tasche o pensare prima di parlare.  
<< Okay, va bene. Ora calmati però>> disse mettendogli le mani sulle spalle, cercando di fargli regolare il respiro e far rilassare i muscoli tesi, preferiva non scatenare una rissa all’interno della scuola rischiando di essere espulso << Come farai con Erica? Non ti lascerà avvicinare a lei molto facilmente, lei ti odia ricordi?>> chiese cercando di farlo ragionare.
<< Una soluzione troverò. Farò in modo che mi aiuti ad avvicinarmi a lei.>> concluse pensieroso spostando lo sguardo su Erica, sfidandola a sua insaputa, per poi ritornare di nuovo sulla figura della ragazza << Dritti alla meta e conquista la preda*>> recitò prima di andarsene verso una destinazione sconosciuta, senza curarsi di aver lasciato Giorgio indietro.
Lo guardò allontanarsi e si chiese se questa volta non stesse correndo troppo, cocciuto come era sempre stato, rischiava di prendersi una sonora batosta. Si mise a guardare la ragazza che ormai era diventata preda del più cocciuto dei cacciatori << C'è aria di guai…finirà male>> disse, sapendo già l'esito di quella caccia ma non potendo fare niente se non guardare impotente ed osservare il naturale compiersi degli eventi.
 
 
Trovò Erica da sola all'ora di pranzo, insolito visto che le trovava sempre insieme. Erica sembrava essere diventata peggio di un bodyguard. Non lasciava avvicinare nessuno alla sua amica se non prima di averla scansionata, esaminata ai raggi X e poi fatta lasciare andare con il suo consenso. Si chiedeva perché si comportasse in quel modo, quasi come un angelo custode, ma non si preoccupò più di tanto, il motivo per cui era lì era un altro e non poteva sprecare altre occasioni. Si avvicino molto rapidamente con grandi falcate ad Erica e si sedé al suo fianco prima di circondargli le spalle con il braccio << Hey, come butta compagna delle medie?>> chiese con una tale confidenza, come se si fossero parlati fino all'altro giorno.
Erica lo guardò come se fosse pazzo << Ci conosciamo?!>> chiese allontanandosi da lui.
Roteo gli occhi al cielo, anche se infondo non poteva aspettarsi altra reazione << Ma quanto sei spiritosa. Che c'è, non si salutano più gli amici?>> disse lasciandogli un buffetto sulla guancia.
<< A-mici?! Da quando io e te siamo amici?!>> domandò con una faccia sconvolta.
<< Da quando tu mi servi come mezzo per arrivare al mio scopo che, guarda caso, è proprio la tua amica! A proposito, dov'è ora? State sempre insieme che fine ha fatto?>> chiese navigando con lo sguardo intorno al loro in cerca della sua preda.
<< Senza peli sulla lingua come sempre. Non è qui, lei non mangia con gli altri e non la troverai neanche il pomeriggio, ha altro da fare.>> disse dando un morso al panino << Comunque qualsiasi intenzione tu abbia con lei ti fermo subito, non la darò in pasto ad un morto di fica, senza cervello come te>> sputò velenosa.
<< Morto di fica? Io?! Hai la minima idea di quante ragazze mi sbavino dietro dentro questa scuola?>> chiese, sfoggiando il suo sorriso migliore.
<< Spero di non stare qui troppo a lungo per scoprirlo>> rispose speranzosa.
<< Presentami la tua amica!>> se ne uscì improvvisamente, deciso ad ottenere quello che voleva.
<< Cos-NO! Non ti entra in quella testa vuota?! Sparisci!>> disse al limite della sopportazione.
Lui d'altro canto non avrebbe mai accettato un No come risposta. Era troppo determinato, troppo cocciuto, per arrendersi. Avrebbe ottenuto quello che voleva in un modo o nell’altro, quindi cercò di spaventarla.
<< È un vero peccato Erica>> sospirò affranto << Sai, mi avresti reso le cose più facili e io di mio non avrei dovuto usare metodi poco ortodossi per avvicinarmi a lei>> la vide irrigidirsi e trattenere il fiato a quella sentenza, aveva fatto centro. Sorrise e continuò << Vorrà dire che dovrò fare tutto da solo a tua insaputa. Chissà magari la porterò a fare un giro in giardino e gli mostrerò il vecchio capanno degli attrezzi così lì dentro da soli potremmo conoscerci meglio. Potremmo diventare amici molto intimi non credi anch->> non riuscì a finire la sua frase, fu un attimo e si ritrovo la testa attaccata al tavolo. La fronte a contatto con il legno ruvido del tavolo lo infastidì. Il colpo non era stato tanto violento, ma abbastanza forte da assicurargli un bitorzolo sulla fronte. Cercò di rialzarsi ma sentì una presa al collo farsi più forte mentre i muscoli del braccio, che si trovavano dietro la sua schiena in una posizione non naturale in quel momento, tiravano facendogli fischiare le orecchie dal dolore. Boccheggiò e rivolse gli occhi verso chi l'aveva aggredito, non facendo altra resistenza perché anche se era uno stronzo insensibile non avrebbe mai e poi mai alzato le mani su una donna. Vide gli occhi di Erica riempiti di odio e rabbia.
A quanto pare a mamma orsa non era piaciuta la velata minaccia di fare del male al suo piccolo.
Erica tirò ancora più indietro il braccio in modo da avere la sua completa attenzione << Se provi solo a farle del male o a sfiorarla con un dito, giuro che non risponderò di me. Questo vale per te come per gli altri idioti che tu chiami amici. Non permetterò a nessuno di farle male ancora una volta. Ora che sono di nuovo con lei posso proteggerla veramente e nessuno potrà fermarmi. Matteo sei stato avvisato, stalle lontano!>> e dettò ciò lo lasciò andare. Avevano attirato troppa attenzione e ad Erica troppi occhi curiosi le davano la nausea. Prese le sue cose e se ne andò, non prima di lanciare un ultimo sguardo inceneritore verso il ragazzo.
Matteo si massaggiò il collo indolenzito con il braccio buono, passando il palmo della mano sulle mezze lune lasciate sul suo collo dalle unghie di Erica. Era stato messo alle strette da una ragazza, non aveva fatto una bella figura, ma poco gli importava, per una volta aveva seguito i suoi principi quindi andava bene così. Si mise a fissare il tavolo pensieroso, riascoltando mentalmente le poche informazioni ricevute da Erica. Qualcuno aveva fatto del male a quella ragazza, ma chi? C'era di mezzo un uomo? Un fidanzato troppo possessivo e violento? O c'era altro sotto? Infondo sapeva poco e niente di lei e del passato di Erica ne sapeva altrettanto. Guardò verso la direzione che aveva preso Erica << Cosa stai nascondendo Erica? Qual è il segreto che vi accomuna?>> si domandò non trovando nessuna risposta. Avrebbe chiesto a Giorgio dettagli sul passato di Erica più tardi, per ora doveva riacquistare la sua mascolinità e pensare ad un modo per entrare nella vita della ragazza dagli occhi verdi senza essere ucciso.
<< Non sarà facile>> disse sconsolato.

 
 





Angolo autrice
* Citazione del Capitan Jack Sparrow presa dal film "Pirati dei Caraibi" (adoro la saga....tranne l'ultimo, quello non mi è piaciuto) 
Ho un vero e proprio odio profondo per i capitoli di numero disparo. Mi trovo sempre in difficolta ogni volta per scriverli. 

Domenica prossima non sò se potrò aggiornare. Quindi, salvo imprevisti, cercherò di farlo Mercoledì.
Fatemi sapere cosa ne pensate della storia, se ci sono cose che vi piacciono o meno.
Ringrazio tutti quelli che leggerrano o recensiranno la storia.
E. xx


 

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Capitolo 5
*** Mi dispiace ***


Capitolo 4
Mi dispiace



Era pomeriggio inoltrato quando stava per finire di aprire l’ultimo scatolone. Era stressante aprire e chiudere la propria vita sapendo di non potersi fermare a lungo in un posto, ma alla fine a lei andava bene così. Non era nella sua natura rimanere ancorata in un porto sicuro, questo forse per spirito di avventura o forse perché alla fine lei un posto da chiamare casa non c’è l’ha mai avuto. Si concentrò sullo scatolone che aveva davanti, quello lasciato per ultimo di proposito, voleva godersi quel tuffo nel passato grande quanto una scatola di cartone. Iniziò togliendo alcuni libri da dentro, la lettura era la sua compagna fidata, non la lasciava mai, la seguiva di città in città senza chiedere niente in cambio. Era gelosa dei suoi libri e delle milioni di volte in cui le avevano dato la possibilità di essere protagonista di vite diverse, non tutte felici magari ma almeno tutte sue. Poi passò ai suoi diari di quando era piccola, la raccolta aumentava man mano che cresceva. Erano un tesoro inestimabile, là dentro in quelle pagine ingiallite, intrise di lacrime e qualche volta sangue, c’era lei. C’era la sua storia, la sua anima, tutte le cose belle e brutte che la vita le aveva fatto provare e che non poteva dimenticare, perché sarebbe stato ingiusto, perché era un peso che doveva portarsi dietro. Perché doveva ricordarsi da dove proveniva e come era arrivata ad essere così. Li guardò un attimo con uno sguardo pieno di tristezza, per poi abbandonare anche loro al freddo pavimento piastrellato. Esaminò preoccupata la pila di album musicali, sperando che durante il viaggio non si fosse rotto qualche disco. La musica. A lei più di una volta aveva salvato la vita. L’aiutava a sognare, a sentire con il cuore, l’aiutava a sentirsi meno sola, ma soprattutto l’aveva aiutata in quelle notti fredde, quando la sua anima era ridotta a brandelli e le lacrime non chiedevano altro che uscire come un fiume in piena. Sorrise alla sua piccola collezione di CD, nonostante fossero pochi e vecchi, erano stata l’unica cosa che era riuscita a conquistare da sola, senza dover chiedere aiuto o dover dare favori in cambio. Erano delle piccole vittorie a quei tempi. Lo scatolone era ormai quasi vuoto, l’unica cosa che rimaneva era l’album dei disegni di Erica e una loro foto insieme. Portarli sempre con se era come portare anche lei. Un sorriso vero nacque spontaneamente osservando la foto di loro due bambine, indossavano vestitini ridicoli ricoperti di sporcizia e fango, non potevano durare tanto con due maschiacci come loro due, e avevano un sorriso brillante, una mente spensierata e tutta una vita davanti. Due piccole mocciose che credevano di poter vincere su tutto, che non si lasciavano mettere i piedi in testa dai ragazzi cattivi del parco e che non avevano bisogno di cavalieri o di principi azzurri che le venissero a salvare, lo erano tra di loro. Sorrise ai ricordi dell’infanzia fatta di torte di fango e ginocchia sbucciate.
La magia fu rotta dallo squillare del telefono. Si alzo con la cornice ancora in mano e si diresse verso il tavolo da pranzo dove aveva lasciato il telefono. La vibrazione faceva tremare il tavolo come se in quel momento ci fosse un terremoto. Lo prese e rispose senza guardare lo schermo, sapeva già chi era e infatti << È ora di lavorare>> disse una voce dall’altro lato del telefono. Guardò fuori dalla finestra, era il tramonto e presto il sole sarebbe scomparso per dare spazio alla luna che avrebbe dato uno spiraglio di luce a chi non volesse essere risucchiato dall’oscurità della notte, sospirò spostando lo sguardo sulla foto prima di rispondere << Si, mi sto muovendo>> con fermezza nella sua voce. Attaccò e posò la cornice sul tavolo, più tardi l’avrebbe messa a posto, in un luogo più sicuro. Prese una giacca e uscì di casa consapevole che non sarebbe tornata se non la mattina dopo.
 
Aveva passato tutto il pomeriggio a fissare una crepa sul soffitto, cercando di allargarla colpendola con una pallina da tennis. Quella crepa lo infastidiva, gli ricordava troppe cose. Gli ricordava la crepa che si era formata nella sua famiglia, creando una voragine tra lui e quell’uomo che doveva chiamare “padre”. Gli ricordava la forma dei vetri rotti delle bottiglie che sua madre, ubriaca marcia e ferita nel profondo, buttava contro i muri di casa maledicendo la vita che non gli aveva dato niente di buono, neanche un figlio. Gli ricordava le strisce di cocaina che Giorgio si faceva sempre in camera sua, perché meglio lì da lui che per strada a farsi ammazzare da un poliziotto perché troppo fatto per capire le conseguenze delle proprie azioni. Gli ricordava lo schifo di casa in cui viveva e di come la madre si spaccasse la schiena ogni volta per permettersi un altro mese dentro quella catapecchia. E poi gli ricordava lui, gli ricordava di come era rotto dentro, di come la sua anima e il suo cuore si siano rotti anni fa senza più rimarginarsi. Così cercava sempre un modo per uccidere quelle parti restanti dentro di sé. Perché non è una bella vita se hai l’anima spaccata a metà e questa non riesce a vivere senza l’altra. Ma il tempo di cicatrizzazione è troppo lungo e lui cerca solo un modo per addormentare il dolore, tutto qua.
Fissò l’orologio attaccato dall’altra parte della parete. Le 22:30. È ora di svagarsi un po’, pensa. Smette di tirare la pallina abbandonandola sopra il cuscino del letto, e prima di uscire ed andare verso la porta si controlla allo specchio. Va bene che è un poveraccio, ma non per questo deve averne l’aspetto. Cerca il modo di sistemarsi quella chioma ribelle di ricci biondi. A lui non piacevano, li odiava perché quando era piccolo lo scambiavano sempre per una femmina, ma alle ragazze piaceva e lui rasato sembrava un buddhista quindi era meglio lasciare le cose così com’erano. Prese la giacca di pelle posata sulla sedia lì vicino, uscì dalla camera e si avviò verso la porta d’ingresso. Fu fermato prima ancora di mettere piede fuori casa << Matty, dove vai?>> chiese sua madre con un filo di preoccupazione, mentre finiva di prepararsi, << Vado con Giorgio e gli altri in un bar>> rispose atono senza guardarla in faccia, si sentiva troppo in colpa quando gli mentiva e se l’avesse guardata negli occhi non avrebbe saputo mascherare la menzogna. << Ma domani non c’è scuola? Tesoro non puoi fare troppo tardi, ti serve il sonno per stare bene e avere le forze per affrontare la giornata>> gli disse mentre cercava qualcosa nella sua enorme borsa. Sospirò, frustrato per quella situazione << Non ti preoccupare, non farò tardi>> bugia, e lo sapevano tutti e due, << Ma poi guarda da che pulpito viene la predica! Da quanto non dormi e stai facendo i doppi o i tripli turni all’ospedale?>> sputò velenoso. La madre era un’infermiera, lo stipendio sembrava non bastare mai quindi molto spesso per coprire tutte le spese doveva fare più turni di notte. Smise di scavare dentro la sua borsa e si voltò di scatto verso il figlio, rossa in volto per la rabbia << Non ti permettere di parlarmi così! Sono tua madre e mi sto spezzando la schiena affinché tu abbia tutto ciò di cui hai bisogno: un pasto al giorno, un’istruzione e un tetto sotto cui vivere. L’unica cosa che ti chiedo è che tu faccia il bravo e che non rincasi alle quattro di mattina facendomi preoccupare e facendomi prendere un attacco di cuore ogni volta che sento che in ospedale è arrivato un ragazzo quasi morto e ho paura che un giorno quel ragazzo possa essere TU!!>> finì il discordo con il fiatone e con gli occhi puntati in quelli del figlio. Si guardarono aspettando che uno dei due facesse la prima mossa. Lui afferrò la maniglia della porta << Mi dispiace…>> sussurrò non sapendo se si stesse scusando per averla trattata male o per il fatto di essere quello che era. Poco importava perché uscì senza ascoltare i richiami della madre scendendo e mischiandosi con l’oscurità della notte.  
Non aveva una meta, girava per la città in cerca di qualcosa, un posto a cui appartenere, dove potersi abbandonare a vizzi proibiti e peccati lussuriosi. L’idea era allettante, però c’era un’altra parte di lui che voleva restarsene da solo con i suoi pensieri. Ma lui aveva troppi pensieri e troppe emozioni che non riusciva a controllare, gli serviva un anestetico, una pausa da tutto questo. Girò subito l’angolo, lasciando il comando ai suoi piedi che conoscevano la strada a memoria e si infiltrò nel quartiere meno raccomandato della città. Non era brutto, anzi era pieno di casette normali, con giardini normali e cassette della posta normali. Era la gente che non era normale. Persone poco raccomandabili, a cui non dovresti neanche chiedere un favore se non lo vuoi pagare per il resto dei tuoi giorni o con la vita stessa. Almeno ti lasciavano scegliere, su questo non potevi dire loro niente. Camminava superando le villette lussuose con i giardini curati nei minimi dettagli, arrivando ai palazzi grigi che erano l’opposto di tutto quello che aveva visto fino a quel momento, trascurati e con la vernice che si stendeva a malapena sui muri dell’edificio. Sapeva dove andare e a chi doveva chiedere per avere quello che voleva. Una volta, quando lui si trovava in queste condizioni e aveva bisogno di queste cose, chiedeva a Giorgio, ma ora più lontano si trovava da questo posto, meglio era.
Si fermò di scatto sentendo un odore forte arrivargli alle narici. Si girò lentamente verso il vicolo buio da cui proveniva l’odore. Quel vicolo era sporco di piscio e altri liquidi corporei di cui non voleva saperne la provenienza e mischiati insieme davano vita ad un odore decisamente poco gradevole, ma quello che sentiva era un odore ferroso, quasi di ruggine. Si avvicinò lentamente al vicolo con passi incerti. Trovarsi nella zona malfamata in tarda sera non era una cosa da prendere con leggerezza. Superò i bidoni dell’immondizia e i vari scatoloni vuoti abbandonati lì, facendo attenzione a dove metteva i piedi, sentendo qualche volta il vetro di qualche siringa o bottiglia di alcool frantumarsi in altri piccoli pezzettini sotto il suo passo pesante. Continuò ad avanzare sentendo l’odore farsi più intenso, facendogli lacrimare gli occhi, che già vedevano poco e niente con quell’oscurità e questo non giocava a suo favore. Senza lampioni a fargli luce, decise di prendere il telefono dalla tasca del giacchetto di pelle e cercò di accendere la torcia del flash. La luce improvvisa lo accecò per alcuni secondi, essendosi abituato al buio della notte, si strofinò gli occhi per il dolore momentaneo e, riacquistata la vista, illuminò il terreno davanti ai suoi piedi. Stava per arrivare alla fine del vicolo, convinto che non avrebbe trovato niente e dandosi mentalmente dello stupido per essersi imbucato in un vicolo cieco solo per un odore strano, ma si blocco di colpo quando trovò qualcosa di strano per terra. Si accovacciò per vedere meglio, scoprendo che era una piuma nera. La prese in mano e la studiò, era molto grande come piuma per appartenere ad un corvo e notò come all’estremità fosse macchiata di sangue. Credendo di essere arrivato alla fine, puntò la torcia dritto verso di se trovando la fonte di quel tanfo. Dalla posizione accovacciata in cui si trovava prima, si alzò di scatto e mise istintivamente la mano alla bocca per bloccare un urlo o quell’ondata di vomito procurata da quella visione e da quell’odore ormai penetrato troppo in profondità per essere tolto. Davanti a lui, un uomo era steso a terra in una pozza di sangue. Sembrerebbe tutto normale visto il quartiere dove si trovava, poteva essere considerata una rapina. Beh… era una mezzo specie di rapina. Ma quale mostro pazzo ruberebbe mai il cuore di un essere umano?







Angolo autrice
Mi scuso per il ritardo. Avevo detto che avrei postato il capitolo Mercoledì, purtroppo per problemi tecnici (cane che si mangia il filo della connessione ad Internet) non mi è stato possibile. Show must go on, e quindi eccomi di nuovo qui. Nel prossimo capitolo incontreremo di nuovo il nostro angelo dalle ali nere.
Il capitolo verrà postato Domenica prossima. 
Ringrazio tutti quelli che legerranno o recensiranno la storia.

E. xx

 
 

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Capitolo 6
*** Qual è la sua emergenza? ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA: Le parti in corsivo sono di Matteo, mentre quelle scitte normali sono dell'angelo.



Capitolo 5
Qual è la sua emergenza?


 
 
Rosso. Rosso bordeaux, rosso ciliegia, rosso corallo, rosso magenta, rosso mattone, rosso scarlatto… rosso sangue.

Si allontanò immediatamente dal corpo e appena fu fuori dal vicolo vomitò l’anima. La causa era stata la visione di quel corpo martoriato, di quell’uomo privato del cuore, come se un’animale avesse scavato la sua pelle spezzando le ossa della cassa toracica per giocarci un po’ e in seguito abbandonarle per recuperare l’oggetto del suo desiderio. Un’altra ondata di vomito si presentò e non la trattenne. Finiti gli spasmi e asciugatosi la bocca con la manica del giacchetto, prese con dita tremanti il telefono e, senza sapere con quale coraggio o forza divina, compose il numero.

Tempo totale: 4 minuti e 30 secondi. Tempo di attirare la preda nella trappola, operazione facilitata dalla stupidità degli esseri umani e dalla loro tendenza a cedere alle passioni peccaminose e primordiali, 2 minuti. Tempo dell’operazione di recupero dell’organo, dopo aver messo a terra il soggetto e aver squartato la pelle per poi rompere la cassa toracica ed essere riuscita ad avere una via libera per recuperare l’obbiettivo, 2 minuti. Tempo avuto per scappare: 30 secondi. Avrebbe avuto più tempo per non lasciare tracce se solo qualcuno non si fosse messo a curiosare.

<< Polizia, qual è la sua emergenza?>> disse la voce, con un tono neutro, dall’altro capo del telefono. La bocca era secca e senza saliva a causa del vomito o della paura, non lo sapeva neanche lui, l’aria mancava nei polmoni e le mani non smettevano di tremare.
<< Qual è la sua emergenza?>> ripeté di nuovo la voce al telefono. Questo lo ridestò dal suo stato di panico e si concentrò per riuscire a parlare.
<< Un uomo->> rispose con il fiatone senza riuscire a completare la frase.
<< È in pericolo? Qualcuno la sta minacciando con un arma?>> chiese la voce che ora riconosceva essere di un uomo, un uomo molto vecchio vista la voce gracchiante.
 << No…no, io sto bene. È l’uomo che non sta bene!! È-È->> non riusciva a continuare, non riusciva a dire in che condizioni aveva trovato quel poveretto, ma doveva farlo. Dannazione non era un codardo! Prese un respiro profondo chiudendo gli occhi e poi un altro ancora finché non fu calmo abbastanza per parlare.
<< Quell'uomo è stato ucciso! Sembra che un'animale lo abbia attaccato e lo abbia smembrato per mangiarsi il cuore!>> sputò fuori tutto di un fiato.
<<… Mangiarsi il cuore?! È nella foresta in questo momento?>> chiese con tono scettico.
<< No! Sono nella parte malfamata della città, nel vicolo vicino ai palazzi grigi. C'è un pub irlandese di fronte al vicolo. Mandate qualcuno, non sto scherzando, vi prego!>> gridò terrorizzato al pensiero che non gli credessero o che, peggio ancora, la stessa persona o animale si trovasse ancora nei paraggi.
<< Okay calmati ragazzo! Vedrò di mandare una vettura lì da te, tu non muoverti e stai attento!>> concluse l'uomo prima di attaccare.
Doveva restare lì?! Con un cadavere a pochi passi di distanza dietro di lui?! Non sapeva cosa fare, ma tra poco sarebbe stato il suo istinto a decidere.

Il fatto che quel ragazzo gli avesse rovinato la tabella di marcia la infastidiva molto. E la chiamata alla polizia non aiutava a diminuire il suo disprezzo verso quel debole ragazzo. Ma ragionandoci bene questo avrebbe provocato il panico tra le persone e oltre quello anche la paura e il terrore di girare per strada. Il gioco sarebbe diventato più interessante, quindi alla fine non sarebbe stata una grande sconfitta. Però questo sarebbe stato l’unico errore che si sarebbe concessa. La prossima volta non avrebbe permesso a nessuno di interrompere il suo operato, mettendo in difficolta il completamento delle sue mansioni.

Non poteva farsi trovare lì, sulla scena del crimine. Avrebbero fatto domande a cui lui non avrebbe saputo rispondere, aumentando così i sospetti degli agenti e poi non lo avrebbero più lasciato in pace. Per non parlare del fatto che lo avrebbero riconosciuto tutti come “il ragazzo che girava di notte in un quartiere poco affidabile e che ha trovato accidentalmente, per puro caso, un uomo morto senza cuore”. No, non poteva succedere. Vide in lontananza le luci blu delle sirene della polizia, e in quel momento il suo istinto gli stava urlando di correre verso un luogo sicuro. E così fece.
 

01:00 AM

Era notte fonda e lui stava continuando a correre verso l’unica meta sicura che gli era venuta in mente.
Con il fiatone e il sudore ad appiccicargli i vestiti alla pelle, fece le scale che portavano al portone del condominio principale a due a due. Si fermò, una volta davanti alla porta e cercò tra i nomi il campanello da suonare. Una volta trovato si decise a premerlo, ma si dovette fermare subito. Era l’una di notte e tutto il mondo stava dormendo tranne lui, Giorgio non gli avrebbe mai aperto a quest’ora. Quindi si vide costretto a prendere una strada secondaria. In momenti disperati come questi servono maniere disperate. Fece il giro del palazzo evitando secchioni e immondizia sparsi ovunque, fino ad arrivare alla scala antincendio. Quella scala era arrugginita e per niente sicura, se fosse scoppiato un incendio si starebbe di più al sicuro tra le fiamme che su quella scala. Fece alcuni passi indietro per avere una maggiore visuale del condominio e inizio a contare le finestre partendo dal basso. La casa di Giorgio si trovava al 3° piano quindi puntò gli occhi sulla quarta finestra, avendo preso in considerazione il piano terra, e osservò le tende gialle piene di buchi dovuti alla cenere delle sigarette. Iniziò la sua scalinata verso la camera di Giorgio, pregando che la finestra non fosse bloccata. E almeno per quella notte qualcuno sembrò ascoltare la sua preghiera. Spinse la finestra verso l’interno e mise un piede dentro, cercando di fare il più silenziosamente possibile, ma lui silenzioso non lo era mai stato dalla nascita. Infatti fece cadere la sedia della scrivania producendo un grande tonfo e svegliando il suo amico...e qualcun altro.
<< Merda>> imprecò per tutto il casino fatto.
<< Giorgio, c’è qualcuno!!>> gridò una voce femminile. Giorgio accese la lampada vicino al suo comodino, pronto ad affrontare qualsiasi nemico insieme alla sua fidata mazza da baseball posata vicino al letto. Ma si fermò subito riconoscendo l’intruso.
<< Teo! Mi spieghi che cazzo ci fai qui alle…>> guardò di sfuggita la sveglia sul comodino << l’una di notte?! Spero tu abbia un valido motivo per entrare in casa mia come un ladro in piena notte oppure giuro su Dio che testerò per la prima volta questa mazza da baseball su di te>> prese la mazza puntandola verso di lui, minaccioso.
<< Giò calmati! Posa quella cosa!>> chiese spazientito con le mani alzate in segno di resa. Giorgio lo fissò per un po’ e lo accontentò abbandonando la mazza ai piedi del letto.
<< Grazie…>> disse sospirando dal sollievo per poi guardarlo in faccia e << Devo parlarti. È successo un casino>> pronunciò con voce ferma, che non ammetteva repliche.
Giorgio lo guardò per poi << Andiamo in salone>> ordinò, prima di girarsi e rivolgersi alla ragazza, ancora un po’ traumatizzata, seduta sul letto.
<< Amore devo aiutare un attimo Matteo. Tu continua a dormire>> disse dolce, lasciandogli un bacio sulla fronte.
<< Okay. Non metterci tanto>> gli sorrise per poi girarsi verso Matteo e << Tu! La prossima volta usa la porta! Altrimenti->> lasciò in sospeso le sue minacce.
<< Agli ordini, Anastasia. Sogni d’oro>> si mise sull’attenti come un soldato prendendola in giro e ricevendo uno sbuffo come risposta.
Lui e Giorgio si spostarono in salone e una volta arrivati lì si sederono intorno al grande tavolo di legno, uno di fronte all’altro.
<< Allora… cosa è successo?>> chiese Giorgio diretto. Matteo si morse un labro, prendendo un profondo respiro, non tanto sicuro di voler rivivere quell’esperienza attraverso le parole.
<< Ho trovato un uomo morto>> esordì senza emozioni. Giorgio lo osservò aspettando che continuasse a parlare prima di intervenire.
<< Ero andato verso i palazzi grigi, quelli che si trovano nel quartiere lontano pochi isolati da casa mia->> Giorgio se li ricordava bene, non serviva specificare dove si trovassero e il motivo per cui lui si trovasse lì, ma Matteo lo fece lo stesso << -ero andato lì per farmi dare qualcosa di forte e poi ho sentito un tanfo provenire da un vicolo buio, non la solita puzza di vomito e merda. No. Era un tanfo di ruggine, ferro->> si fermò, scosse la testa per cancellare quell’odore e per cercare di controllare la nausea << -sono andato a controllare e… non riuscivo a vedere niente perché era troppo buio ma la puzza aumentava quindi sapevo di essere vicino! Così presi il telefono e->> abbassò lo sguardo chiudendo gli occhi rivedendo il cadavere davanti a se << -L’ho visto, un uomo con il petto squarciato e senza cuore, come se fosse stato attaccato da un animale feroce!>> finì di raccontargli, con le mani che gli prudevano dal nervoso.
Giorgio rimase lì ad osservarlo per un tempo che sembrò infinito prima di uscirsene con << Beh, avete una cosa in comune voi due>> evidenziò con tranquillità.
Il biondo sgrano gli occhi, << Cosa?!>> chiese terrorizzato.
<< Mi sembra evidente. Siete tutti e due senza cuore>> rispose ridendo. Matteo lo guardò male, chiudendo le mani a pugno.
<< Oh ma vaffanculo, roscio del cazzo!>> ringhiò rabbioso, scatenando l’ilarità del suo amico per quella reazione. Sapeva che avrebbe dovuto picchiarlo quando ne aveva avuto l’opportunità.
<< Hai chiamato la polizia?>> chiese tutto a un tratto serio.
<< Si>> rispose << Ma me ne sono andato appena ho visto le volanti arrivare…. Non volevo essere collegato a tutta questa storia>> disse affranto.
<< Hai fatto bene. Dal mio punto di vista ora non hai nulla di cui preoccuparti. Ora devi solo tornare a casa, farti una bella dormita e tutto tornerà normale>> disse alzandosi e dandogli una pacca sulla spalla.
<< Dormire?! Dopo quello che ho visto è già tanto se riesco a mangiare!!>> esclamò esasperato con gli occhi sgranati dall’incredulità.
<< Oh andiamo, non fare la checca isterica!>> disse prima di andare verso un mobile, aprire un cassetto e scavare in mezzo a tutte le cianfrusaglie che conteneva prima di trovare quello che cercava. Gli tirò una bustina al petto per poi constatare che era semplice erba.
<< La migliore medicina al mondo!>> esclamò << Questo ti risolverà il problema del sonno e dell’appetito. Non mi devi niente per stavolta, offre la casa!>> disse sorridendo.
<< Grazie…>> rispose sussurrando. Non credeva veramente che avrebbe funzionato, ma era meglio di niente. Salutò Giorgio, ringraziandolo ancora, e scusandosi per l’intrusione.
<< Sempre presente per un fratello>> gli scompigliò i capelli e lo accompagnò alla porta.
Una volta fuori fu investito dalla fresca brezza della notte. Controllò il suo orologio. Le 02:00. Sua madre non l’avrebbe lasciato andare facilmente, sperò che tutto potesse essere rimandato alla mattina dopo.
Si avviò verso casa, non accorgendosi che un paio di occhi marroni lo stavano scrutando dall’alto.






Angolo autrice
Nuovo capitolo, nuovi colpi di scena. Non vedo l'ora di riaggiornare la storia perchè il prossimo capitolo è il mio preferito. Credo sia quello più interessante e bello di tutti, modestia a parte. Il prossimo capitolo sarà incentrato tutto sull'angelo e rincontreremo una nostra vecchia conoscenza.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno o recensiranno la storia.
E. xx
  


 

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Capitolo 7
*** Non c'è altra scelta ***


Capitolo 6
Non c'è altra scelta



Si tolse i vestiti, abbandonandoli a terra, per poi scansarli in malo modo con il piede. Entrò nella doccia in punta di piedi, come se avesse paura di interrompere quel silenzio così rilassante, così sicuro. Aprì la valvola dell’acqua mettendola verso l’acqua calda. Dopo ogni compito, una doccia era quello che si meritava ma soprattutto quello di cui aveva bisogno per cancellare le tracce.
Dopo aver sentito con una mano la temperatura dell’acqua ed averla regolata fino a raggiungere un calore piacevole, si immerse sotto il getto dell’acqua ad occhi chiusi, dandogli le spalle. Il rumore dell’acqua che scorreva nelle orecchie annientò il silenzio, così che iniziò a concentrarsi su quel rumore cercando di rilassarsi e immaginare di trovarsi ai piedi di una cascata o sott’acqua. Sott’acqua. Nell’oceano. Apri gli occhi, per poi prendere la spugna. Si girò, così che l’acqua le potesse colpire il petto dove iniziò a passare la spugna energicamente. L’acqua iniziò ad assumere un colorito roseo, tendente al rosso. << Ogni volta diventa sempre più difficile toglierlo>> disse esasperata, cercando di togliere il sangue, ovviamente non suo, ormai seccato sulla pelle.  Passo poi alle mani e agli avambracci. L’acqua purifica, cancella tutto e ti fa rinascere di nuovo. Non sei più sporca, ma per lei quella sensazione ha una durata effimera.
Continuò a sfregare la spugna sugli avambracci, assente con la mente che in quel momento ripercorreva l’incontro avvenuto poco fa.
 
Volò sopra la città, con la valigetta termica piena di ghiaccio tra le mani. Giurava che se avesse chiuso gli occhi avrebbe sentito ancora il cuore di quell’uomo battere dentro la scatola, senza bisogno dell’aiuto del suo proprietario. Trovò l’edificio in cui si era fissato l’incontro. Discese dal cielo con grande velocità per poi arrestarla con un solo, grande battito di ali ed atterrare su quel terrazzo di quell’edificio malridotto e abbandonato. Appoggiò la valigetta a terra e aspettò che Lui si mostrasse. Occupò il tempo guardando oltre il cornicione della terrazza. Guardava la città, come questa non andasse mai a dormire, guardava le persone che cercavano pace nell’oscurità e finì con il pensare a quel ragazzo. Sembrava così perso, si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Provava verso di lui sentimenti contrastanti, pietà e curiosità mista a un grande odio per essersi messo tra i piedi.
<< A cosa stai pensando?>>
Sgranò gli occhi e trattenne il respiro. Si girò di scatto con il braccio teso pronta a colpire l’intruso. Ma questo si scansò con una velocità impressionante << Piccola, stai perdendo colpi>> ghignò. Fece la sua comparsa così, si rimise in ordine il vestito e si mise a suo agiò seduto sul cornicione.
<< Cristo! Mi hai spaventata a morte!>> gli urlò contro.
<< Modera il linguaggio. Questo non sarebbe successo se tu non fossi così distratta>> la rimproverò prima di ritornare alla domanda di prima << Allora… a cosa stavi pensando? O forse dovrei dire a chi stavi pensando?>> la guardò con interesse.
Si senti messa all’angolo, senza via di fuga, ma aveva imparato a controllare le sue emozioni e soprattutto sapeva come sopravvivere nelle trappole.
<< Un piccolo imprevisto nello svolgimento dei miei compiti. Niente di più, niente di meno>> disse guardandolo negli occhi sperando che questo gli bastasse. E per il momento sembrò così.
<< D’accordo. L’importante è che non ti abbia visto, anche se potresti cancellargli la memoria vorrei evitare lo stesso questi squallidi problemi>> gli ricordò e cominciò ad accarezzargli le ali nere. Piuma per piuma.
<< Tranquillo, non mi ha vista>> si scostò da quel tocco gelido.
<< Bene. Torniamo agli affari>> disse scendendo e avvicinandosi verso di lei << Dov’è la mia commissione?>>
Lo fissò dritto negli occhi, volendo tenergli testa, per poi allontanarsi da lui ed andare a recuperare la valigetta. La lanciò verso di lui e lo vide muoversi per prenderla con estrema cautela per poi aprirla e osservare il contenuto con occhi famelici. << Sublime, delizioso…>> disse prima di far uscire uno degli artigli e conficcarlo dentro al cuore per poi staccarne un pezzo, come se fosse uno stuzzichino, e mangiarselo. Un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca, mentre la sua faccia si contorceva dal piacere per quel pezzetto di cuore che stava facendo gioire le sue papille gustative. Lei si girò disgustata da quella vista, non si sarebbe mai abituata a…quello.
<< Mh-Mh-Mh. Veramente eccezionale. Oh pardon>> si scusò prima di succhiare il sangue rimanente sul dito e pulirsi con un fazzoletto da taschino quel rivolo di sangue uscito dalla bocca prima che potesse sporcare il vestito. << Un ottimo lavoro. Come sempre dopo tutto.>> ripose la valigetta a terra, rivolgendo l’attenzione su di lei.
<< Spero che questo “piccolo imprevisto” non provochi altri problemi e che soprattutto non esponga a tutto il mondo questi “strani incidenti”>> si fermò per fare una pausa e sorridere << Ma è già successo vero? Lui non ha tenuto la bocca chiusa, non è così?>> chiese.
Lei sbiancò. Non poteva vincere contro di lui, non poteva ingannarlo come faceva con tutti. Lui era sempre un passo avanti a lei, sapeva tutto e avrebbe saputo tutto prima di chiunque altro. Si ricompose e si irrigidì al suo posto, mettendosi sull’attenti.
<< È così>> rispose << Ma non creerà altri problemi. In tal caso me ne occuperò personalmente. Quello che ha fatto è stato rendere la caccia solo più interessante>>
<< Non deve essere interessante, deve fruttare!>> gli ricordò << In ogni caso non mi interessa occuparmi di frivolezze, finché porterai a termine i tuoi compiti mi riterrò soddisfatto>> disse accarezzando con una mano la valigetta.
Annui. << C’è altro?>> chiese, infastidita da quella mezzo specie di predica.
<< Solo una cosa. Ricordati quello che devi fare prima che il tempo scada>> disse serio, la guardò in quegli occhi marroni cercando di assorbire il terrore e il dolore che trasparivano da essi, beandosene.
<< Non potrei mai scordarlo…>> sussurrò serrando gli occhi.
<< È tutto allora. Ci rivedremo per il prossimo compito, piccola>> sorrise prima di oltrepassarla e confondersi con l’oscurità.
Resto lì per qualche minuto. << Lo devo fare... non c’è altra scelta>> e lo sapeva che questa volta non ci sarebbe stata una seconda opzione.   
 
Si raccolse i capelli in un turbante fatto con l’asciugamano e passò una mano sopra lo specchio per togliere lo strato di vapore che lo aveva appannato. Si guardò, scrutando il suo corpo avvolto nell’enorme asciugamano che gli arrivava fino alle ginocchia. La sua pelle ora era bianca e non più rossa. Era di nuovo candida come la porcellana e pura, non c’era un graffio sopra di essa. Fissò i suoi occhi marroni trovando delle profonde occhiaie sotto. Era stata una giornata infinita, ma era passata così in fretta senza che neanche sapesse esattamente che ore erano. Il che era strano per una persona così precisa, controllata e fissata con il tempo come lei. Ogni ora, ogni minuto, ogni secondo doveva essere speso bene. Doveva sapere che il tempo stava scorrendo, così da avere almeno la certezza di star vivendo e di non essere bloccata in un limbo. Guardò l’orologio per togliersi i dubbi, erano le tre del mattino. Si meritava un po’ di riposo ora, prima che la giornata iniziasse di nuovo. Si asciugò i capelli in fretta e furia, non badando al fatto che fossero ancora umidi, e non preoccupandosi di poter prendersi qualche malanno. Si mise sotto le coperte e guardò il soffitto. Sperò almeno che per quelle poche ore riuscisse a dormire, senza nessun incubo su quei corpi martoriati, su quelle notti di tanti anni fa passate piangendo e gridando pietà e su quelle acque nere che l’avevano inghiottita tanti anni fa.
Neanche quella volta fu accontentata.
 
 
Erano le prime luci del mattino quando venne svegliato dai colpi alla porta della sua camera inferti da sua madre.
<< MATTY, ALZATI! NON MI INTERESSA SE NON HAI DORMITO E SEI RIENTRATO TARDI, TI AVEVO AVVISATO! È ORA DI ANDARE A SCUOLA!!>> continuò a picchiare sulla porta di legno.
La sua testa stava per esplodere, ogni colpo alla porta sembrava uno sparo di cannone. Decise di mettere fine a quell’agonia << OKAY, HO CAPITO! Ora mi vesto e vado a scuola, smettila di battere contro questa maledetta porta.>>
<< Ti dò dieci minuti. Se non sei pronto ti ci porto in pigiama>> lo minacciò.
Sbuffò per poi alzarsi, scalciando via le coperte e si posizionò di fronte allo specchio.
Aveva un aspetto orribile.
L’erba non era servita a niente, se non a renderlo più sveglio e paranoico. Sarà riuscito a dormire si e no mezz’ora per poi essere svegliato da quella rompi scatole di sua madre. La sera precedente quando era rincasato tardi lei si era addormentata sul divano, non era riuscita ad aspettarlo sveglio per la stanchezza. Così, come sempre, l’aveva presa in braccio e l’aveva messa a letto. Quella mattina avrebbe dovuto affrontarla, non poteva scappare per sempre.
Dopo essersi lavato e vestito, andò in cucina per mettere qualcosa sotto i denti. Sua madre era lì al tavolo che lo aspettava. << Prendi la colazione e siediti. Dobbiamo parlare.>> non ammetteva repliche, e lui fece quello che gli aveva ordinato sperando che finisse il più in fretta possibile.
<< Matteo dove sei stata l’altra sera?>>
<< Con Giorgio e gli altri al bar, te l’ho detto ieri.>> prese una cucchiaiata di cereali e se la portò alla bocca.
<< Balle>> sputò lei << Non saresti rientrato così tardi. Per l’ultima volta, dove sei stato l’altra sera?>> scandì ogni parola imprimendola con rabbia.
<< In giro per la città>> rispose atono. Non voleva che lei sapesse, non voleva ricordare, voleva dimenticarsi al più presto di quella maledetta sera.
<< In giro dove? Nel quartiere di drogati?! Matteo è pericoloso girare in città così tardi la sera. Sei solo un ragazzino e lì fuori ci sono persone che non si fanno scrupoli a far del male agli altri e io->>
<< Okay, ho capito! Imparata la lezione. Non fare più tardi la sera perché ci sono uomini brutti là fuori, ora per favore possiamo andare? Sto facendo tardi>> disse alzandosi e portando con se la ciotola di cereali ormai vuota.
<< Ma->>
<< Ti prego>>
Si guardarono ancora negli occhi. Tutti e due stanchi di quella situazione che sembrava non cambiare mai, come un copione già scritto.
Lei sospirò << Okay, andiamo. Sbrigati a prendere la roba, io ti aspetto giù>> prese la borsa, le chiavi e uscì fuori dalla porta.
Lui rimase qualche secondo lì fermo.
Non sentiva niente.
 
Nonostante il tragitto in macchina con sua madre silenzioso e la rottura di scatole da parte del professore perché “non si portano gli occhiali da sole in classe! Non siamo in spiaggia!”, quella giornata non era ancora entrata nella Top 5 delle sue giornate più schifose della sua vita. Non ancora.
Girava per i corridoi come uno zombie, senza una precisa meta, e con gli occhiali da sole sul naso. Aveva delle occhiaie profondissime e violacee, non era un bello spettacolo da vedere. Scansò tutte le persone ammucchiate intorno alla macchinetta e se ne andò verso il giardino dove forse sarebbe riuscito a dormire dentro il vecchio capanno degli attrezzi. Sperando che Giorgio e Anastasia avessero passato quella fase del “facciamo sesso in qualsiasi posto proibito” così da non trovarli avvinghiati e mezzi nudi lì dentro. L’ultima volta non era stata un’esperienza piacevole. Superata la bacheca della scuola avrebbe raggiunto la sua meta, ma si blocco. Lei era lì. Stava attaccano dei striscioni sulla bacheca. La ragazza con i capelli ricci e gli occhi verdi era lì, ma soprattutto era sola.
<< Dritti alla meta e conquista la preda>> non poteva sprecare questa occasione d’oro. Si tolse gli occhiali da sole per non dare l’impressione di uno che se la tirava, si passo la mano tra i ricci e iniziò a camminare a passo deciso verso di lei.
<< Ciao>> disse con il fiatone. Panico da prestazione, gli mancava solo questa.
<< Ciao>> rispose guardandolo << Belle occhiaie>> disse ridendo.
<< Neanche le tue sono male>> rispose, notando che non era l’unico a non dormire la notte.
<< Touché>> sorrise << Purtroppo a differenza tua, che a quanto sento passi le notti in discoteca a sballarti e in cerca di donne poco caste, io passo la notte lavorando per guadagnare qualche spicciolo in più come barista>> specificò all’ultimo per non essere fraintesa.
<< E tu sei il tipo di ragazza che crede alle voci che girano?>> chiese con tono scettico
<< No. Preferisco verificare di persona. Ma se lo dice Erica è tutt’altro conto>> sorrise compiaciuta.
Lui iniziò a sudare freddo, per poi schiarirsi la gola e ricomporsi << Ma Erica è di parte. Cioè lei mi odia a morte quindi può anche sbagliarsi, dico bene?>>
<< Sarà…>> disse finendo di attaccare l’ultimo poster che aveva.
<< Comunque, piacere, io sono Matteo>> si presentò, sperando che non se ne andasse da un momento all’altro o peggio ancora, che Erica comparisse all’improvviso.
<< Lo so, sei abbastanza famoso qui a scuola>> disse ridendo. Non capiva se fosse una presa in giro o una constatazione.
<< Beh, allora posso sapere il tuo nome?>> chiese nervoso, la ragazza misteriosa, quella dagli occhi verdi, la ragazza che ormai era diventato un punto fisso per lui stava per avere finalmente un nome.
Lei si girò e lo guardò in faccia con un sorrisetto sulle labbra.
<< Alice>> disse stringendogli la mano << Mi chiamo Alice>>
  






Angolo autrice
Io mi sono innamorata di questo capitolo, è stato bellissimo scriverlo. 
Ecco qui il ritorno del nostro angelo e di Lui. Ci sono mancati tanto dall'ultima volta ed era ora di farli apparire di nuovo. Inoltre, finalmente, abbiamo dato un nome alla ragazza dagli occhi verdi: Alice. 
Ci vediamo al prossimo capitolo.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno e recensiranno la storia.
E. xx


 

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Capitolo 8
*** Sei scappata dal Paese delle Meraviglie? ***


Capitolo 7
Sei scappata dal Paese delle Meraviglie?



Erica le aveva riempito le braccia di striscioni per la festa di Halloween che si sarebbe tenuta di lì a poco.
<< In quanto rappresentante d’Istituto devo sempre tenere informati gli studenti delle varie attività extrascolastiche ed essere disponibile per ogni loro richiesta o dubbio riguardo a quest’ultime.>> disse continuando a marciare dritto davanti a se verso la bacheca della scuola.
<< Interessante…>> sbuffò Alice << Ripetimi il motivo per cui ti sto aiutando e del perché io stia portando tutti questi cartelloni mentre tu, scansafatiche, hai le mani libere?>> chiese con voce irritata.
<< Beh mi pare ovvio>> rise come se avesse appena sentito la più stupida delle domande << In quanto migliore amica sei tenuta ad aiutarmi nel momento del bisogno, per non parlare del fatto che sei nuova qui e quindi sarebbe meglio che io mi assicurassi che tu ti stia ambientando bene.>>
<< Okay, facciamo che questa te la do per buona>> si rassegnò << e per gli striscioni invece? Che scusa hai?>> chiese alzando un sopracciglio.
<< Per quelli…>> iniziò grattandosi la testa, sentendosi colta sul fatto << Tu sei molto più forte di me e io ho le braccia di pollo!>> disse mettendogli in mostra le braccia.
<< Lo prenderò come un complimento. Credo.>> rise stando attenta a non farsi cadere niente dalle braccia.
Appena arrivate a destinazione Alice buttò tutto il materiale per terra così da sgranchirsi la schiena. Erica la guardò con un sguardo di rimprovero per aver lasciato così senza cura tutte le cose con il rischio che si potessero rompere, ma non ci pensò più di tanto.
<< Vediamo>> iniziò Erica scrutando tutti gli oggetti e facendo una lista mentale delle cose che avevano << Gli striscioni ci sono, i fogli di carta anche, la spillatrice è lì vicino i nastri e->> sgranò gli occhi << Cavolo! Mi sono dimenticata di prendere le forbici!>> sbuffò al pensiero di doversi fare tutto il viaggio di nuovo << Resta qui, io vado a prenderle. Intanto inizia ad attaccare gli striscioni e non ti distrarre!>>
<< Agli ordini, Capo!>> pronunciò con un tono militare.
<< Ecco brava>> e se ne andò.
Alice restò lì ad appendere quegli striscioni mentre vagava con la mente a tutto quello che era successo in poco tempo. Si trovava in una città nuova, non che questa fosse una novità, ma almeno questa a differenza delle altre si trovava poco distante dal mare. Gli ricordava un po’ la sua vecchia casa.
Aveva ritrovato Erica, dopo anni che non si vedevano il destino gli aveva dato un modo per ricongiungersi. E come lei aveva predetto era tornata di nuovo una ragazza invisibile, dopo essere passata sotto lo scanner di tutti gli studenti di quella scuola come “quella nuova” ora era semplicemente “quella”. Per alcuni forse poteva essere un male, ma per una come lei andava più che bene.
Guardò la scritta degli striscioni che recitava “Festa di Halloween! Invitati studenti ed esterni. Dress code: Maschere spaventose!”. Non le erano mai piaciute tanto le feste, non che fosse mai andata ad una vera e propria, ma sarebbe stato bello provare. Se poi pensava che ci sarebbe stata pure Erica ci sarebbe stato da divertirsi!
Sentì dei passi venire verso di lei. Si girò pensando di trovare Erica ma invece trovò un ragazzo. Non uno qualunque, ma lo stesso ragazzo su cui si era imbambolata il primo giorno di scuola.
Lo stesso ragazzo da cui Erica l’aveva avvertita di stare lontano. Ma lei non era mai stata brava ad ascoltare i consigli della gente, faceva sempre di testa sua.
Così quando lui la salutò, lei non poté fare altro se non sorride e ricambiare.
 
 
Era incredibile quanto la scuola gli sembrasse grande in quel momento. Dopo aver ripercorso per la seconda volta tutto il tragitto di prima per prendere quelle maledette forbici, ora si stava dirigendo ad aiutare Alice sperando che non avesse fatto uno dei suoi soliti danni.
Passò le macchinette piene di schifezze e li vide. Matteo stava parlando allegramente con Alice, e a quanto pare a lei non sembrava dare fastidio. Li guardò e sentì la rabbia crescergli in corpo. Cosa credeva di fare? Lei l’aveva avvertita, non sapeva quante volte, di stare lontana da quel tizio, le aveva detto che portava solo guai, e ora lei cosa stava facendo? Ci stava scherzando anche. Non seppe se prendersela con lei o con lui, ma visto che aveva delle forbici in mano e che il suo istinto omicida stava lentamente prendendo possesso del suo cervello, ignorando ogni piccolo spiraglio di ragione, decise di prendersela con lui e infilzarlo alla schiena come Bruto fece con Cesare. Strinse la presa sulle forbici, pronta all’attacco, rossa in viso dalla rabbia, quando venne riportata alla realtà da una voce << Rappresentante! Ho un problema con la festa di Halloween!>> disse uno studente, correndo verso di lei. Ora come ora non voleva sentire nessuno. Voleva andare verso quei due e dividerli il prima possibile, ma aveva i suoi doveri da rispettare e lei era una che manteneva la parola, quindi << Dimmi tutto, qual è il problema?>> chiese, mettendo un sorriso di cortesia sulla sua faccia piena di preoccupazione. Ascoltò tutto quello che quel ragazzo gli stava dicendo, ma qualche volta non poté fare a meno di buttare l’occhio verso quei due. Quello che stava vedendo non gli piaceva.
 
 
Alice. Alice. Alice.
Continuò a ripetersi quel nome nella mente, come se gli avessero appena rivelato il segreto per ottenere la vita eterna. Quel nome era riuscito a guadagnarselo e ora voleva imprimerlo nella sua memoria per paura di poterlo dimenticare. No, non poteva dimenticare quel nome e quegli occhi che continuavano a fissarlo, adesso però con un’espressione stranita. Si accorse che ancora stava tenendo la sua mano in quella stretta soffice, per paura di farle male << Puoi lasciarmi la mano ora, non scapperò lo giuro.>> disse lei ridendo. E forse aveva veramente paura che se avesse lasciato la sua mano lei sarebbe scivolata via da lui come sabbia tra le dita, o peggio che tutto questo potesse essere solo un sogno, un’illusione data dall’erba e che in quel momento lui stesse tenendo in mano le foglie di una pianta. Si ridestò subito lasciando la sua mano e mormorando delle scuse incomprensibili. Lei era ancora li. Questo era un buon segno perché voleva dire che era ancora lucido, inoltre non era neanche scappata via ed Erica non era ancora arrivata, perciò << Quindi ti chiami Alice, giusto?>> chiese, per poi vedere lei annuire alla domanda alquanto ovvia, allora continuò << Quindi sei scappata dal Paese delle Meraviglie?>> chiese cercando di metterla sul ridere, però non ottenendo ciò che voleva. Guardò come lei sgranò gli occhi dall’incredulità, e lui in quel momento voleva sotterrarsi dalla vergogna, cambiare nome, paese e iniziare una nuova vita come barista. Odiava ammetterlo e non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui, ma Giorgio aveva ragione. Aveva fatto una battuta pessima e improvvisando in questo modo aveva azzerato del tutto le poche chance che aveva con lei. Stava per andarsene quando vide che i lineamenti del viso di Alice erano più rilassati e che un lato delle sue labbra era rivolto verso l’altro in un ghigno quasi invisibile << Questa era veramente pessima.>> disse continuando a guardarlo, mettendosi poi una mano sulla guancia in modo da sostenere la testa.
<< Però ti ho fatto sorridere!>> le fece notare. Cercava un modo di salvare il salvabile.
<< Solo perché è molto stupida. Non credo tu abbia un futuro da cabarettista.>> disse rassegnata.
<< Giuro che ne ho di migliori.>> cercò di giustificarsi.
Si guardarono per poi scoppiare tutti e due a ridere per quella situazione veramente ridicola.
Puntò lo sguardo sugli striscioni della festa di Halloween e gli venne un’idea.
<< Non sapevo si festeggiasse Halloween in questa scuola, eppure sono cinque anni che sono qui.>> disse scherzando prima di << Ci andrai?>> chiedere speranzoso.
<< Sì>> rispose lei.
<< Sai già se andrai con qualcuno?>> chiese, torturandosi le mani.
<< Molto probabilmente ci andrò con Erica. Sono arrivata qui da poco, come ben sai, e non conosco ancora molte persone.>> rispose semplicemente.
<< Oh…>> non riuscì a pronunciare monosillabo migliore. Con il solo nome di Erica, tutti i suoi piani erano andati a farsi benedire. Non si perse d’animo però, era troppo testardo per farlo, così decise di sfruttare la situazione per avere maggiori informazioni su di lei. << Vi vedo sempre insieme a te ed Erica. Lei mi ha detto che vi conoscevate fin da piccole, cresciute insieme nella vostra città natale, e poi lei è dovuta andare via. Però mi sembra che vi siate tenuti in contatto, giusto?>> falso, tutto quello che sapeva era grazie a Giorgio e alle sue doti di detective. Che Dio benedica quella testa rossa.
<< Sì. Nonostante la distanza siamo riuscite a sentirci più o meno tutti i giorni, ed ora siamo nella stessa città. Non pensavo sarebbe mai successo.>> disse sorridendo.
<< Posso chiederti una cosa?>> domandò titubante, cercando il modo di formulare la domanda senza suonare troppo rude. Lei annui, rivolgendogli la sua più completa attenzione.
<< Ecco… Ho notato che Erica si comporta molto da, come posso dire, cane da guardia.>> non era il migliore dei termini con cui chiamare la sua migliore amica, ma era l’unico che gli era venuto in mente e l’unico che rappresentasse fedelmente Erica << E mi chiedevo perché facesse così.>>
<< Così come?>> sembrava non riuscire a capire, o forse voleva solo vedere fin dove spingersi a rispondere per far sì che si ritenesse soddisfatto.
<< Come se fosse il tuo angelo custode. Sta attenta a chiunque ti si avvicini e anche se gli permette di parlarti continua a stare in guardia e a tenerlo d’occhio. Per non parlare del fatto che non permette a nessun ragazzo di avvicinarsi a parlarti, me compreso. Mi chiedevo solamente perché facesse tutto questo.>> finì, studiando come il corpo di lei stava rispondendo inconsciamente a quella domanda.
Sembrò pensarci su un po’, imbambolata a fissare un punto indefinito del pavimento. Si stava torturando le dita della mano destra con l’unghia del pollice, mentre la sinistra era chiusa in un pugno.
All’improvviso alzò lo sguardo, guardandolo sorridendo << Erica è fatta così. Lo fa da quando siamo piccole. Cerca in ogni modo di proteggermi, nonostante io sia la più grande delle due. Io glielo lascio fare. Ma ora mi chiedo se si renda conto che adesso è lei ad aver più bisogno di aiuto.>> disse, per poi spostare il suo sguardo dietro le spalle del ragazzo e << Parli del diavolo>> sussurrò sorridendo << Buona fortuna!>> aggiunse infine.
Non capì in un primo momento. Sentì qualcuno schiarirsi la gola dietro di lui e il suo corpo si irrigidì solo al suono. Diventò bianco in faccia e iniziò a sudare freddo. Guardò come Alice cercava di nascondere le sue risate, mettendosi una mano davanti la bocca, per quella situazione. Non stava facendo una bella figura, ma se aveva indovinato chi ci fosse dietro di lui, questa volta ci avrebbe rimesso la vita. Sciolse i dubbi girandosi e incontrando gli occhi furenti di Erica. << Erica! Come stai? È da tanto che non ci si vede.>> disse cercando di sembrare il più naturale possibile.
<< C’è un motivo per cui non ci vediamo>> sputò acida << Matteo, non ti avevo già avvisato di stare lontano dalla mia amica?>> chiese furente.
<< Ooohh ma quindi dicevi sul serio. Pensavo che fosse solo uno scherzo.>>
<< Non stavo scherzando. Non dovresti neanche stare qua, ci sono le lezioni ancora. Ora vattene, prima che ti ficchi queste forbici nel petto.>> disse con voce ferma.
Sussultò vedendo luccicare il freddo metallo delle forbici davanti a lui.
<< Ti conviene andare, è armata.>> scherzò Alice, per poi scuotere la testa e mormorare delle scuse riguardanti la sua amica.
Si girò parzialmente con il corpo, perché non voleva dare le spalle ad un Erica potenzialmente pericolosa ed armata, ma il suo volto era completamente girato verso di lei. La guardò e le sorrise << Ci vediamo in giro, Alice>> disse facendole un occhiolino.
<< Ci vediamo>> disse lei sorridendo.
Riprese il suo cammino verso il giardino per raggiungere Giorgio. Aveva un sorriso ebete sulla faccia, ma non riusciva a toglierselo. Per una volta era riuscito a vincere e ora la strada si stava aprendo davanti a lui rendendogli le cose meno difficili. Matteo uno, Erica zero.
 
 
Continuarono a finire il lavoro con i cartoncini e i nastri in completo silenzio. Finché Alice non decise di mettere fine a quella stupida situazione. << Qual è il problema?>> chiese ad Erica. Lei si girò nervosa, come se avesse un diavolo per capello.
<< Qual è il problema?! Davvero?! Cristo, Alice ti avevo detto di stare lontano da quel ragazzo! Non mi fido di lui, mi sembra di averti descritto bene il tipo.>> spalancò le braccia, incredula del fatto che non l’avesse ascoltata.
Alice sbuffò << Ci ho solo parlato, non ho fatto niente di male! Non puoi pretendere che io non parli con nessuno perché hai paura che mi possano far del male. So difendermi da sola>> affermò sicura di se.
<< Invece NO! Perché tu non sai difenderti da sola. Se ne fossi capace non sarebbe successo tutto quello che è successo quando stavamo->> non finì la frase, bloccandosi subito e sgranando gli occhi, realizzando solo dopo quello che aveva detto.
Alice era lì, con gli occhi chiusi lo sguardo basso. L’unica cosa che si sentiva era il suo respiro pesante ma regolare.
Erica si mise una mano sulla bocca << Mi-mi dispiace tanto! I-i-io non volevo dire quella cosa, tu lo sai che io… insomma che quando->>
<< Erica>> la richiamò, interrompendo la sua parlantina senza senso << Non fa niente, tranquilla. Non parliamone più, per favore.>> le sorrise, guardandola negli occhi. Non c’era né rancore né rabbia in quegli occhi. Solo voglia di non ripescare il passato.
<< Okay>> sussurrò << Promettimi solo che starai attenta e che mi dirai subito se c’è qualcosa che non va>> disse allungano il braccio e chiudendo la mano a pugno lasciando solo il mignolo libero. Lo avevano sempre fatto da piccole, non era cambiato niente in quello.
Alice sorrise << Promesso>> dichiarò, legando il suo mignolo a quello di Erica.
Le promesse fatte con i mignolini si mantengono sempre.     
   
 

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Capitolo 9
*** Non mi piacciono le cose facili ***


Capitolo 8
Non mi piacciono le cose facili



Quando arrivarono a destinazione, la zona era già stata tracciata e chiusa al pubblico. Le transenne con i nastri segnaletici delineavano il perimetro della scena del crimine che davano il permesso di oltrepassare solo agli agenti e ai ragazzi della scientifica.
Scese dalla macchina insieme al suo collega. Quel quartiere non era abituato a vedere così tanti poliziotti in giro, era diventata all’improvviso una città fantasma. Riusciva però ad intravedere qualche persona affacciarsi alla finestra, chi nascondendosi dietro le tende cercando di non dare nell’occhio e chi invece si faceva vedere fregandosene di quello che avrebbero pensato o detto.
<< È un bel casino>> disse il suo collega Paolo.
<< Già>> diede un ultima occhiata in giro << Muoviamoci, non siamo i benvenuti qua e non abbiamo molto tempo>> e camminò per raggiungere la scena del crimine.
Prima di passare all’interno del vicolo furono fermati da due agenti chiedendo di identificarsi.
<< Colonello Marta Gaballo, sono qui insieme al mio collega, il capitano Paolo Fabbri, per l’indagine sull’omicidio avvenuto la scorsa notte.>> mostrò il distintivo, seguita poi dal suo collega che fece lo stesso.
Passarono i nastri e iniziarono ad incamminarsi nel vicolo. La luce del sole illuminava la maggior parte del luogo, però sembrò non bastare visto i cavi elettrici che ricoprivano il terreno, sicuramente avranno portato dei fari o qualche lampada per individuare tracce nascoste ad occhio umano. << Dio, che puzza!>> si tappò il naso con le dita Paolo. Lei d’altro canto cercava di non concentrarsi sul fetore, ma su ogni particolare che ricopriva quel luogo per fare una migliore analisi una volta raggiunto il cadavere, e non sembrava mancare poi così tanto visto la faccia del suo collega e dal forte odore che ormai aveva infastidito anche lei.
Trovarono gli uomini della scientifica, ricoperti con le tute e le apposite attrezzature, perlustrale l’aerea e isolare ogni oggetto che potesse costituire una prova. Tra tutti, uno solo spiccava per le sue capacità e infatti fu il primo ad accorgersi del loro arrivo e a dargli il benvenuto.
<< Marta e Paolo! È un piacere rivedervi.>> si avvicinò a loro.
<< Il piacere è tutto mio Patrick. Allora, che mi mostri di interessante oggi?>> chiese, tralasciando altri convenevoli inutili al momento.
<< Oh, una cosa molto interessante! Sicuramente questo ti piacerà. Ma adesso non perdiamoci troppo in chiacchiere, c’è una persona che muore dalla voglia di conoscervi.>> finì con una battuta macabra, ed era per questo che risaltava fra tutti, oltre al fatto che sapesse fare bene il suo lavoro, era l’unico che scherzava sempre su morti e cadaveri. Ma alla fine se hai a che fare con la morte quasi tutti i giorni, è meglio riderci sopra. Non trovate?
<< Sono elettrizzata tanto quanto lui. Parlaci un po’ del nostro nuovo amico, mh?>> chiese stando al suo gioco.
<< Uff, le informazioni di base sono quelle più noiose.>> disse sbuffando, per poi ricomporsi << L’uomo che abbiamo trovato è Carmine Nitti, 45 anni, conosciuto anche come “Il Piovra”. Pappone della zona, gestisce i traffici di prostitute e a quanto pare è proprietario di due strip club qui intorno che usa per vendere la merce, ma non solo, vende anche prostitute. Cioè diventano proprietà di chi le ha pagate, un vero e proprio mercato degli esseri umani.>> rabbrividì un po’ a quel pensiero.
<< È abbastanza conosciuto in centrale. Non abbiamo mai avuto abbastanza prove per incastrarlo, e dopotutto un pezzo come lui sembra essere intoccabile.>> ci mise rabbia in quella costatazione.
<< Vero. Ma a quanto pare qualcuno c’è riuscito.>> sorrise mostrandogli il cadavere.
<< Cosa gli è successo?>> chiese continuando ad osservare con occhi spalancati quel corpo.
<< Qualcuno gli ha rubato il cuore, letteralmente.>> ghignò alla sua battuta per poi continuare << La vittima non è stata trascinata in questo vicolo, c’è entrata di sua spontanea volontà visto l’assenza di scie di sangue sul terreno. Dopo di che gli è stata nastrata la bocca in modo che non potesse urlare o chiedere aiuto. È stato fatto un taglio partendo dalle clavicole per poi proseguire per tutto lo sterno, una precisione da chirurgo devo ammettere.>> guardò i fogli dove aveva segnato tutto quello che aveva scoperto e continuò << Dopo aver inciso e levato la pelle, l’assassino ha letteralmente spaccato le ossa delle costole, buttato fuori il polmone e preso il cuore. Tutto questo è stato fatto mentre la vittima era ancora cosciente, ma sicuramente avrà perso i sensi per il troppo dolore durante la rottura della gabbia toracica.>>
<< Indizi che ci possono dare un quadro generale sul pazzo assassino?>> Marta non credeva ai suoi occhi, chi poteva fare una cosa simile?
<< Nessuna traccia di DNA trovata sui vestiti della vittima. Niente.>> disse amareggiato.
<< Cosa? Com’è possibile?>> chiese stupito Paolo.
<< Non lo sappiamo. Le uniche cose che abbiamo trovato, oltre al polmone, sono state il coltellino con cui l’uomo ha cercato di difendersi inutilmente e questa.>> finì mostrando una piuma nera intrisa di sangue.
<< Una piuma? Seriamente? Tutto quello che avete è una piuma?>> chiese scettica Marta.
<< Già. Io e la mia squadra pensavamo fosse di un capo sintetico, come uno di quei boa di piume che si mette intorno al collo, ma non ne siamo convinti. La analizzeremo in cerca di qualcosa, magari ci rivelerà il DNA o magari scopriremo una nuova specie di uccello. Ho già un nome pronto in quel caso!>> disse emozionato come un bambino.
Marta sospiro, non avevano niente in mano se non una piuma. << Analizzate la piuma in laboratorio, e appena avrete i risultati mandateli direttamente in centrale. Giusto o no, qui c’è stato un omicidio ed è nostro dovere indagare anche su una vittima come lui.>> lo indicò con la testa, disprezzandolo, non volendo neanche pronunciare il suo nome << Esaminate ancora per un po’ l’area, angolo per angolo, non fatevi sfuggire niente e chiudete l’accesso a chiunque tranne che a noi.>>
<< Agli ordini, Capo.>> disse Patrick prima di raggiungere la sua squadra e ritornare al lavoro.
Marta e Paolo ritornarono indietro, uscendo da quell’angolo di morte e tornando dentro la loro auto.
<< Pensi che possa essere stata una delle sue prostitute ad ucciderlo?>> chiese ingenuamente Paolo.
<< Assolutamente no. L’hai visto?! Quale donna avrebbe così tanta forza da tenere fermo a terra un uomo grande e grosso come lui e disarmarlo per giunta?>> qualcosa non le tornava ed odiava non avere niente tra le mani. Guardò fuori il finestrino della loro macchina, osservando ancora quel vicolo. Come avevano fatto a trovare un cadavere lì dentro? Qualcuno doveva essere entrato per forza. << Da chi è stato dato l’allarme?>> chiese improvvisamente, girandosi verso Paolo.
<< Mh… Dai tabulati telefonici della polizia risulta che qualcuno ha chiamato da un telefono cellulare. E a detta dell’agente che era alla postazione quando è arrivata la chiamata, la voce era quella di un ragazzo.>> disse accendendo infine la macchina, pronti per ritornare in centrale.
<< Partiremo da lì allora.>> ora aveva una pista, qualcosa da cui iniziare.
<< Cosa faremo con la stampa? Ci hanno visto tutti entrare lì dentro, le persone parleranno e potrebbero inventare balle per attirare l’attenzione.>> strinse i pugni sul volante, mentre ricordava quante volte qualche idiota li faceva andare fuori pista dall’indagine per il solo gusto di avere dieci minuti di popolarità.
<< Gli diremo la verità. Faremo sapere all’assassino che ora siamo sulle sue tracce.>> disse con un tono di sfida. Chiunque avesse fatto tutto quello era uno psicopatico e, se non l’avessero fermato, l’avrebbe fatto ancora, magari la prossima volta a qualcuno di innocente.
 
 
<< Hai tu il sette bello?>> chiese Giorgio a Matteo. Erano stanchi di stare fuori in giardino sotto quell’albero a non fare niente, così le carte napoletane erano state di loro compagnia fino alla decima partita.
<< Credi che se ce l’avessi te lo direi? Tanto perderai comunque, imbroglione!>> si concentrò sulle carte, facendo calcoli mentali, pronto a vincere almeno quella partita.
<< Si certo, chi ha vinto le altre partite? Avanti Teo, muoviti così vinco pure questa.>> le ultime parole famose.
<< SCOPA!>> urlò Matteo, prendendo tutte le carte dal terreno e chiudendo la partita con una sudata vittoria << Ho usato anche il sette bello! Due punti per me, egocentrico del cavolo!>>
<< Guarda come esulta il bambino!>> disse Giorgio, tenendogli testa con le sue frecciatine << Stai così a secco che scopi solo giocando a carte.>> lo guardò sfidandolo.
<< AH-AH-AH. Ma come siamo spiritosi! Che c’è? La sconfitta brucia?>> riprese le carte per rimetterle a posto << E poi ho fatto progressi con lei.>>
<< Davvero? Io ero rimasto che ci avevi parlato solo quella volta quando non c’era Erica. E bravo il mio Teo, hai trovato il coraggio di affrontare un cane da guardia.>> gli diede una sonora pacca sulla spalla.
<< Già…>> iniziò a disagio << Non è andata proprio così.>> non poteva mentirgli a lui. Giorgio lo guardò con una faccia confusa, Matteo fece un sospiro ed iniziò a spiegare << Quella volta in cui abbiamo parlato non c’era Erica ed era per questo che ero riuscito ad avvicinarmi, ma le altre volte Erica mi vedeva. Parlavo con Alice e lei mi guardava con il solito sguardo pieno di odio, quindi come mi guarda da una vita. Il fatto è che lei non fa niente. Non mi minaccia di morte, non mi avvelena il cibo, mi fulmina con lo sguardo e basta.>> disse incredulo delle sue stesse parole.
<< E non è una buona notizia questa?>> chiese Giorgio.
<< Si…>> ripensava a quelle piccole conversazioni che aveva scambiato con Alice, si era avvicinato di più a lei e aveva scoperto cose interessanti. Primo che non era fidanzata, e questa era un’informazione fondamentale, non voleva cornificare qualche poveretto. Solidarietà maschile. Poi aveva scoperto che abitava a pochi isolati lontano da casa sua, e infine che, come aveva detto lei, lavorava come barista in un Night Club di cui non aveva mai sentito il nome.
<< Ma?>> si intromise Giorgio nei suoi pensieri, riportandolo alla domanda di prima.
<< Ma è strano. Come ha fatto Alice a fargli cambiare idea?>> domandò sia a Giorgio che a se stesso. Non fece in tempo a ricevere risposta che sentì dei passi sull’erba provenire alle sue spalle. Non si girò subito, preoccupato che fosse qualche professore che li avrebbe di nuovo rinchiusi in classe, ma dalla faccia sorridente di Giorgio capì che non era una minaccia. Si girò mettendosi subito una mano davanti agli occhi per ripararsi dal sole, per poi vedere meglio che la figura alle sue spalle era Alice.
<< Hey>> disse lei, sorridente e con dei quaderni in mano.
<< Ciao>> rispose lui << Che ci fai qui? Non c’è lezione ora?>> chiese, anche se non gli dispiaceva trovarla lì con lui senza Erica che lo fulminava continuamente.
<< Potrei farti la stessa domanda lo sai?>> lo guardò con un sopracciglio alzato per poi spostare lo sguardo sull’altro ragazzo << Ciao, io sono Alice.>> porse una mano per presentarsi a Giorgio, e visto che lui non era un ragazzo normale, non poteva presentarsi normalmente. Infatti da seduto si mise in ginocchio con una gamba, mentre prendeva la mano di Alice e gli lasciava sul suo palmo un delicatissimo bacia mano << Il piacere di conoscerti è tutto mio. Io sono Giorgio.>> disse guardandola negli occhi e sorridendole. Matteo non poteva credere ai suoi occhi, quel roscio lo stava facendo di proposito. Voleva farlo incavolare davanti a lei, mostrando la sua…. Gelosia? No, non poteva essere gelosia. Diciamo che non gli va a genio che qualcuno gli metta i bastoni tra le ruote.
<< Wow, un vero gentleman.>> sorrise Alice.
<< Purtroppo di uomini come me ne sono rimasti pochi al mondo.>> disse con aria sofferente. Matteo non poteva credere a quello che stava vedendo. << Oh ma che maleducato che sono. Siediti con noi, ci farebbe piacere la tua compagnia.>> Giorgio colpì il terreno vicino a dove stava lui, per offrirgli un posto e lei lo accontentò.
Matteo non riusciva a parlare in quel momento, voleva solo concentrarsi per non far esplodere la rabbia scaturita da quella scena.
<< Allora Alice, perché sei qui con i cattivi ragazzi? Pensavo che tu fossi una di quelle buone come la nostra amica Erica.>> chiese ghignando Giorgio.
<< Oh sì, lo sono. Ma io e latino non andiamo molto d’accordo, è meglio per tutti e due se ci prendiamo una pausa, le cose non possono funzionare tra di noi.>> finì ridendo.
<< Beh noi ce l’abbiamo con tutte le materie, quindi ti possiamo capire.>> gli mise un braccio intorno alle spalle. In quel momento Matteo iniziò a vedere rosso.
<< Giorgio ha una ragazza!>> sbottò così, uscendosene con quell’affermazione fuori contesto. I due lo guardarono confusi, ma Giorgio dopo ghignò, avendo ottenuto la reazione che cercava. Le cose si stavano facendo più chiare nella sua mente.
<< Sfortunatamente per te, mia cara, è vero. Il mio cuore appartiene solo ad una ragazza, l’ho donato a lei tempo fa e ora è in mani sicure.>> finì guardando nel nulla con aria sognante.
<< Sono felice per te Giorgio. Me ne farò una ragione non ti preoccupare, per il resto del genere femminile invece sarà un duro colpo.>> ammise scherzando, scuotendo la testa.
<< Bella, intelligente e anche munita di sarcasmo. Mi piace questa ragazza.>> disse Giorgio guardando il suo amico.
<< Non avevi da fare?!>> niente, non riusciva a trattenersi. Giorgio capì che stava per esplodere, quindi decise di accontentare il suo amico.
<< Hai ragione. Devo raggiungere la mia amata, e qui sono di troppo. Alice è stato un piacere conoscerti, spero di rivederti presto.>> disse facendogli l’occhiolino.
<< Non ho dubbi su questo.>> sorrise di rimando. Giorgio si allontanò non prima di lasciare una pacca sulla spalla al suo amico ed avergli sussurrato un << Non fare casini.>>
Rimasero soli, sotto quell’albero, con il vento che tagliava il silenzio appena creato dalla scomparsa di Giorgio.
<< È simpatico il tuo amico>> disse lei.
<< Già… quando non fa lo stronzo>> sorrise per quella verità, perché sapeva quanto il suo amico potesse diventare un grande stronzo.
<< Scommetto che avete un rapporto simile a quello mio e di Erica, non e vero?>> chiese alzando un sopracciglio.
<< Si, lo considero come un fratello. Su questo non ho dubbi.>> detto questo, rimasero in silenzio per un po’. Fu lui a romperlo questa volta con una domanda che gli girava in testa da un po’ << Non sei qua solo perché non ti piace latino, vero?>> chiese guardandola in quei occhi verdi, che con la luce del sole sembravano ancora più chiari e brillanti.
<< Vero>> ammise lei << Sono venuta qui perché volevo parlare con te.>>
<< Okay, spara.>> era agitato. Ogni volta che qualcuno gli diceva così, non erano mai buone notizie.
<< Vedi, la cosa è che sto litigando molto spesso con Erica. Il fatto che parliamo non le va a genio per qualche motivo a me sconosciuto, e sono stanca di ricevere occhiatacce da lei. Ma non voglio perderla e non voglio neanche litigare più con lei. E da quanto ho capito tu vuoi solo una sveltina con me, quindi facciamolo e basta.>> finì come se avesse detto la cosa più normale del mondo.
<< C-cosa?>> chiese strabuzzando gli occhi.
<< Dai, non fare il finto tonto. È palese che ti vuoi divertire e io ti trovo attraente. Quindi leviamoci questa cosa, ma non una parola con Erica!>> lo minacciò alla fine.
Lui non riusciva a parlare. La bocca gli si era seccata improvvisamente e il respiro era accelerato. Stava per ottenere quello che lui voleva, quello per cui si era fatto il culo tutte quelle settimane, ma era sbagliato.
Lei non ottenendo nessuna risposta, si avvicinò lentamente a lui. Ritrovandosi a pochi centimetri di distanza dal suo viso. Lui non riusciva a muoversi, era come se si fosse congelato sul posto, nonostante il caldo di quella giornata. Continuarono a guardarsi negli occhi, lei mise una mano sul petto di lui, all’altezza del cuore. Rise << Non essere così nervoso. Non è la prima volta, no?>> disse continuando ad avvicinarsi a lui, mettendo l’altra mano dietro al collo, arrivando a sfiorare i suoi ricci, accarezzandoli. Dentro la testa di Matteo, mille pensieri si stavano scontrando, ma solo una cosa era chiara, tutto quello era sbagliato. Si ridesto dal suo stato di trance, la prese per le spalle e l’allontanò bruscamente. Lei lo guardò con incredulità.  
<< No, grazie. Non mi piacciono le cose facili.>> si era sbagliato su di lei, tutto quello che aveva detto gli aveva fatto crescere la rabbia che aveva dentro << Non ti preoccupare per Erica, non ho intenzione di rivolgerti la parola dopo quello che hai detto.>> sputò velenoso. La spostò, prese le sue cose e se ne andò lasciandola lì da sola.
Alice si rimise seduta sotto l’albero, alzò lo sguardo per osservare il cielo. Odiava davvero tanto latino.







Angolo autrice (comunicazione importante)
Eccoci arrivati al capitolo 8. Questo capitolo resterà qui per un po' finchè non avrò tempo di riaggiornare. Purtroppo a causa di impegni vari e scuola (esame di stato gioia della mia vita..) non potrò più aggiornare ogni Domenica, quindi appena il tempo me lo permetterà scriverò un nuovo capitolo e riaggiornerò. Non ho nessuna intenzione di lasciare la storia incompleta e neanche di riagiornarla dopo anni, su questo voglio esssere chiara. Vi chiedo di avere pazienza e se volete di aspettare.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno e recensiranno la storia.
A presto.
E. xx

 

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Capitolo 10
*** Festa di Halloween ***


Capitolo 9
Festa di Halloween



 
<< Aspetta, cosa?>>
Era pomeriggio inoltrato e Matteo era al telefono con Giorgio da più di un’ora.
<< Hai capito bene, non farmelo ripetere.>> sbuffò, cercando la sua pallina da tennis per la camera mentre teneva il cellulare bloccato tra la spalla e l’orecchio.
<< Okay, allora fammi ricapitolare al posto tuo.>> iniziò Giorgio << La ragazza di cui sei ossessionato da non so quanto tempo viene a passare il tempo con noi, saltando le lezioni, scherzando e ridendo e tutto il resto.>>
<< Già, fino a lì credo che tu abbia capito perché c’eri anche tu.>> disse recuperando la pallina da sotto il letto.
<< Non mi interrompere!>> lo riprese Giorgio.
<< Okay, continua pure.>> mise il vivavoce al cellulare e si sdraiò sul letto iniziando a colpire il soffitto.
<< Bene. Come stavo dicendo, prima che tu mi interrompessi, lei si è seduta con noi. Poco dopo io me ne sono andato, lasciandovi soli, e chiedendoti di non fare casini. Da qui in poi quello che mi hai detto è che lei ti ha proposto una sveltina e tu hai rifiutato?!>> chiese Giorgio ancora più confuso di prima.
<< Devo rispondere oppure devo continuare a stare zitto?>> chiese stuzzicandolo.
<< Rispondi idiota! Ti avevo detto di non fare casini! Ma tu cosa fai? L’esatto contrario, mi pare ovvio!>> esclamò al limite dell’esasperazione.
Matteo sbuffò. Ne avevano parlato per un’ora e lui continuava a non capire.
<< Si mi ha proposto una sveltina, ma io ho rifiutato perché non mi piacciono le cose facili.>> ripeté per l’ennesima volta.
<< Sei un idiota.>> constatò Giorgio. A quel punto Matteo non ce la fece più.
<< Oh, andiamo! Se volessi una sveltina con una ragazza qualunque andrei in discoteca e me la farei nei bagni sudici del locale. Il bello di lei è che era una sfida, pensavo fosse diversa.>> marcò con rabbia le ultime parole.
<< Continuo a non capirti.>> sospirò Giorgio, si stava rassegnando.
<< Se Anastasia si fosse offerta a te subito, tu ci staresti insieme?>>
<< Cosa?! Non è paragonabile il contesto, è diverso e lo sai bene.>> disse Giorgio non capendo dove l’amico volesse andare a parare.
<< Rispondi e basta!>> prese il telefono in mano, stringendolo con più forza.
<< Teo non lo so, è diverso da tutta questa situazione. Eravamo nella clinica e poi c’eri anche tu e->>
<< Va bene, lascia perdere.>> sospirò, massaggiandosi gli occhi.
<< Hai visto il giornale?>> chiese Giorgio cambiando argomento. Matteo si irrigidì di colpo, aveva un brutto presentimento. Non rispondendo Giorgio continuò a parlare. << Parlano del cadavere che hai trovato quella notte. A quanto pare l’uomo che è morto era un gran bastardo e il mondo non sentirà la sua mancanza, ma comunque essendo un omicidio investigheranno.>> finì di dire Giorgio, posando il giornale di quella mattina sulla sua scrivania.
Matteo aveva il respiro pesante. La stanza gli sembrava diventata più piccola di quello che già era, le mani iniziavano a tremare, << Cercano testimoni, non è così?>> chiese titubante.
<< Sì.>> la sua voce era ferma << Ma non è detto che vengano da te. E poi tu non hai fatto niente di male Teo, hai dato solo l’allarme.>> disse Giorgio cercando di calmare il suo amico.
Matteo si passo una mano sulla faccia, improvvisamente più stanco del solito << Lo so. Solo che voglio rimanerne il più lontano possibile da questa storia.>> sospirò.
<< Hai ancora degli incubi?>> chiese Giorgio, sinceramente preoccupato per il suo amico.
<< Qualche volta.>> sussurrò.
<< Vuoi altra erba? O qualcosa di più forte?>> chiese, rovistando tra i suoi cassetti per cercare la sua scorta personale.
Per Matteo l’idea era allettante, ma << No, grazie.>> rispose << Per un po’ voglio restare lontano da quello schifo, mi farebbe più male che bene.>>
<< D’accordo.>> disse mettendo a posto il casino fatto. << Allora, hai già un costume per la festa di Halloween?>> chiese Giorgio, cambiando per la milionesima volta argomento.
Matteo scosse la testa ridendo << Scherzi, vero? Io non ci vado a quella festa.>> disse prendendo di nuovo la pallina da tennis.
<< Cosa?! Mi hai rotto le palle tutta la settimana per questa festa e ora tu ci vieni, okay?!>> disse con un tono che non ammetteva repliche.
<< Ma una settimana fa non era successo tutto questo, non ho motivo di andarci!>>
<< Non mi frega niente! Ora Anastasia ci vuole andare perché è il nostro ultimo anno quindi, visto che la colpa è la tua e delle tue idee geniali, ora tu verrai con noi. Anche se con Alice non->>
 
 
<<-non ci parli più?>> chiese Erica sorpresa. Alice aprì le ante del suo armadio mentre il telefono era abbandonato sul letto con il vivavoce accesso.
<< Già>> rispose con voce neutra << Ora smetterai di sprecare energie impegnandoti ad incenerirlo con lo sguardo.>> rise.
<< Bene… credo.>> disse insicura Erica.
<< Che c’è? Ti senti in colpa?>> chiese stupita, volgendo lo sguardo verso il letto dove c’era il telefono e avvicinandosi per prenderlo in mano.
<< No, è solo che…>> non riuscì a completare la frase, aveva come paura di aver combinato un casino.
<< Solo che…?>> la esortò Alice a continuare.
<< Tu… l’hai fatto a causa mia, e quindi->>
<< No, ti fermo subito.>> la interruppe, bloccando quel mare di parole che sarebbe uscito in poco tempo << Sono una persona capace di pensare e prendere le proprie decisioni. Tu non centri niente, okay?>>
<< Okay…>> rispose insicura.
Alice non voleva che Erica si sentisse in colpa per una cosa che non aveva fatto. Era stata lei a litigare con Matteo e a dirgli quelle cose. Non poteva permettere che Erica pensasse che fosse colpa sua o che pensasse di essere troppo protettiva. Non poteva però neanche dirle il perché per il quale loro due non si parlavano. Era sicura che se le avesse rivelato il motivo, avrebbero finito per litigare pesantemente questa volta.
Sentì un tonfo provenire dall’altro capo del telefono insieme a delle imprecazioni quasi inudibili.
<< Tutto bene? Ci sei ancora?>> chiese preoccupata.
<< Si, si.>> disse Erica mettendosi di nuovo in piedi << Sono caduta per colpa di questo stupido scatolone di costumi!>> e gli diede un calcio.
Alice cercò di contenere la sua risata il più possibile << Costumi? A che ti servono?>> chiese una volta ripresa dalle risate.
<< Per la festa di Halloween della scuola, ovviamente.>> sbuffò Erica prendendo di nuovo in braccio lo scatolone << Tu hai già trovato un vestito?>>
Alice rimase in silenzio, per poi schiarirsi la gola e dire << Veramente io…>>
<< Te ne sei dimenticata, non è vero?>>
<< Sì.>> ammise, vergognandosi della sua scarsa memoria.
<< Lo sapevo! Almeno ti ricordi che poi verrai a dormire a casa mia?>> chiese incredula.
<< Ma certo che quello me lo ricordo! Ho anche la giornata libera dal lavoro!>> rispose a tono << Parlando di lavoro>> Alice guardò il suo orologio e sgranò gli occhi << È tardissimo! Devo andare!>> disse prima di correre per la stanza e afferrare borsa e chiavi.
<< Okay, ci vediamo domani mattina a casa mia. Cerca di trovare una soluzione per il costume e non dimenticare di portarti il borsone per la notte!>>
<< Si, si, mi ricorderò tutto. Ora devo andare. Ti voglio bene, ciao.>> e attaccò prima ancora di ricevere una risposta.
 
 
La scuola era rimasta chiusa quella mattina per il giorno di Halloween, permettendo agli organizzatori di preparare il necessario per la festa. Decorando corridoi con striscioni, palloncini, fantasmi e scheletri. Portando fuori, nel giardino della scuola, i vari tavoli con le prelibatezze a tema horror come i biscotti a forma di osso e le dita moncate fatte di würstel e ketchup. Le casse erano state messe tutte intorno al giardino e il DJ era stato chiamato. Tutto quello che restava da fare era aspettare che si facesse sera e che gli studenti arrivassero con i loro travestimenti. E naturalmente anche le riserve di alcool.
<< Non è poi così male.>> affermò Giorgio guardandosi intorno.
<< Già, però potevano mettere della musica migliore.>> storse il naso Anastasia, ancorata al braccio di Giorgio.
<< E magari potevano anche portare dell’alcool.>> sbuffò Matteo. Già non gli andava di stare là, figuriamoci poi se doveva rimanerci anche da sobrio.
<< Ed è a questo che servono gli amici.>> attirò la sua attenzione Giorgio tirando fuori dal nulla una fiaschetta riempita di whisky e passandola nelle mani del suo amico.
<< Alla tua roscio.>> brindò prima di prendere un generoso sorso.
Giorgio ricevette una gomitata da parte di Anastasia, << Perché hai portato dell’alcool?! Sai che ci devo stare lontano. Per non parlare del fatto che Teo non regge bene.>> lo rimproverò fulminandolo con lo sguardo.
<< Ma, amore, lascialo bere. Il ragazzo ha il cuore spezzato.>> cercò di salvarsi in qualche modo.
<< Hey, Giorgio!>> urlò una voce familiare.
Ed ecco che tutte le paure di Matteo si materializzarono. Non voleva incontrarla, non voleva parlarci, ma soprattutto non voleva che vedesse in che stato era. Naturalmente non fu accontentato visto che lei continuò ad avvicinarsi a loro. Prese un altro sorso dalla fiaschetta e si mise a fissare il terreno sotto i suoi piedi, deciso a non alzare lo sguardo.
<< Alice! Che piacere rivederti!>> disse Giorgio, entusiasta di quella situazione.
<< Bel costume, Conte Dracula.>> si congratulò Alice guardandolo dalla testa ai piedi.
<< Grazie mille, mia cara. Ma lascia che ti presenti la mia Contessa, lei è Anastasia.>> presentò la sua ragazza come la più bella delle opere d’arte.
<< Oh, quindi tu sei la ragazza che ha in mano il cuore del nostro caro Giorgio. Ho sentito molto parlare di te, è un piacere conoscerti>> le strinse la mano, sorridendole.
<< Il piacere è tutto mio. Anche io ho sentito parlare molto di te.>> ricambiò il sorriso lei.
<< Spero siano state solo parole positive.>> rise Alice, un po’ nervosa.
<< Più o meno.>> disse guardando Matteo con un sopracciglio alzato. Lui continuò a guardare il terreno, fingendosi non interessato alla conversazione.
<< Alice, non ti sei vestita per la festa?>> chiese Giorgio confuso.
<< Oh, ma lo sono>> rispose lei per poi fare una piroetta su se stessa << Sono un assassino. Si confondono con la massa quindi è per questo che è difficile capire chi sono.>>
<< Davvero geniale.>> commentò Giorgio.
<< Mi piacciono molto i tuoi vestiti. Ti stanno molto bene.>> si complimentò Anastasia.
Matteo preso dalla curiosità diede una fugace occhiata, e dovette ammette che Anastasia aveva ragione. Non indossava niente di particolare, ma sembrava che a lei calzasse benissimo. Aveva degli skinny jeans neri che le fasciavano bene le gambe muscolose, mentre ai piedi aveva degli anfibi. Sopra aveva una maglietta nera le cui spalline si trovavano alle estremità delle spalle. Per completare il tutto aveva una cintura all’altezza della vita e un giacchetto di pelle nero che le dava un’aria da cattiva ragazza. Rimase quasi imbambolato a quella visione.
<< Beh, fai coppia con il nostro caro Teo. Ha avuto un’idea simile alla tua decidendo di mascherarsi da ladro!>> disse mettendo in mostra il suo amico prendendolo dalle spalle e facendolo girare verso Alice.
Lei sorrise << Già, l’avevo intuito dal giacchetto di jeans e dalla bandana legata al collo.>> continuò a guardarlo.
Matteo la guardò meglio, ora che era faccia a faccia con lei, e non voleva ammettere che gli era mancata un po’. Si ridestò e sciolse la presa del suo amico dalle spalle << Vado a prendere qualcosa da bere.>> disse scontroso, non degnandola neanche di una risposta.
Gli altri rimasero lì a guardarlo mentre andava verso i tavoli in giardino.
<< Gli passerà, Alice. Dagli tempo.>> la rassicurò Giorgio. Ma lei non rispose, troppo impegnata a fissare il punto in cui Matteo si era diretto.
<< Vado anche io a prendere qualcosa da bere. Voi volete qualcosa?>> chiese Alice, ignorando le parole di Giorgio.
A quel punto lui cercò di rispondere ma venne fermato da Anastasia << No grazie, siamo a posto. Vai pure Ali, ci incontreremo in giro.>> le disse, lasciandola andare per la sua strada.
Giorgio guardò la sua ragazza << Credi davvero che sia una buona idea?>> chiese pensieroso.
<< Non sono più bambini. E ho visto come la guarda Teo, riusciranno a risolversela da soli, serve solo una spinta.>> prese di nuovo la mano al suo ragazzo. Lui la guardò, per poi lasciare un casto bacio sulla sua guancia.
<< A proposito di spinta.>> iniziò guardando maliziosamente la sua ragazza << Quale di queste classi vuote vuoi onorare con lo spettacolo del nostro amore carnale?>> chiese Giorgio stringendosela più vicino.
<< Stupiscimi, mio adorato Conte>> gli sorrise, prima di essere trascinata in una delle classi vuote, più lontane dalla festa.
 
Era pieno di ragazzini del primo anno che si spingevano per afferrare la maggior quantità di cibo possibile. Si sentiva così vecchio in mezzo a tutti quei bambini. Li spostò bruscamente uno ad uno, incenerendo con lo sguardo chiunque osasse dire qualcosa, e si diresse verso la bacinella di succo che a quell’ora doveva essere già stata corretta con della vodka. Prese un bicchiere di carta e lo riempì.
<< Hey>> lo salutò lei, non ricevendo nessuna risposta << Hai intenzione di non rivolgermi più la parola?>> chiese infastidita.
<< Il piano è quello. Non era quello che volevi anche tu?>> chiese, continuando a non guardarla e a riempire vari bicchieri per tenere occupata la mente.
<< Senti, mi dispiace okay? Sono stata una stronza insensibile. Ma questo non vuol dire che quello che ho detto non è vero.>>
<< A cosa ti riferisci? Al fatto che tu mi consideri un puttaniere come tutti o al fatto che non ti sono indifferente?>> ghignò a quella domanda e bevve un sorso dal suo bicchiere. Il succo non era stato ancora corretto.
<< Facciamo tutti e due.>> disse lei senza peli sulla lingua.
Rimase sorpreso a quella affermazione, ma non si scompose più di tanto, voleva avere lui le redini della situazione.
<< Lo sai che quello che mi hai chiesto è stato davvero poco carino? Non so se ti perdonerò molto facilmente.>> posò il bicchiere e tirò fuori di nuovo la fiaschetta.
Lei spalancò completamente gli occhi, girandosi verso di lui e allargando completamente le braccia << Oh, ma andiamo! Ti ho già detto che mi dispiace, cosa vuoi ancora?!>> chiese al limite dell’esasperazione.
Fu un attimo, neanche il tempo di voltarsi che tutto successe velocemente. Un ragazzo le buttò un secchio di acqua addosso, e una volta finita con l’acqua un altro ragazzo gli butto un secchio pieno di serpenti e ragni di gomma che le si incastrarono su tutto il corpo, << Benvenuta nella nostra scuola, nuova arrivata!>> urlò quello battendo poi il cinque con il suo compagno.
Matteo non ci vide più e prese uno dei ragazzi per il colletto della maglia e lo tirò vicino a sé << Che cazzo state facendo, idioti?!>> disse prima di alzare un pugno per aria e stringere forte la presa sulla maglia del ragazzo, quando sentì un urlo di puro terrore. Alice stava urlando, scossa dai tremiti, con il respiro accelerato. Il ragazzo sfruttò la distrazione di Matteo per scappare insieme al suo complice, lui li lasciò andare, ci avrebbe pensato dopo. Ora doveva concentrarsi su Alice. Che però sembrava riaver acquistato la capacità di camminare, perché era scappata da lì.
<< Merda!>> imprecò per quella situazione. Subito dopo venne affiancato da Erica che lo incenerì ancora con lo sguardo.
<< Che è successo? Cosa le hai fatto?!>> chiese lei minacciosa.
Matteo si mise sulla difensiva, << Non ho fatto niente! È stato quello stronzo insieme al suo amico! Gli hanno buttato addosso dell'acqua e un secchio pieno di serpenti e ragni di gomma e quando mi sono girato lei->>
<< Aspetta, cosa? Ragni di gomma?>> lei sbiancò a quella informazione.
<< Si. Cosa c'è che non va?>> chiese, non capendo perché si stesse preoccupando per dei ragni finti.
<< Merda! Alice è aracnofobica!>> vide la faccia confusa di Matteo e si spiegò meglio << Ha il terrore dei ragni! Dobbiamo trovarla, prima che gli prenda una crisi. Aiutami e appena la trovi vieni subito da me, chiaro?>> le disse disperata.
Lui annui senza contestare e iniziò a cercarla per tutta la scuola. La cercò nei bagni, nei laboratori e in palestra, non la trovò da nessuna parte. L’unico posto che non aveva ancora controllato era il capannone degli attrezzi. Si precipitò di nuovo in giardino, superando la festa che si stava ancora tenendo, dove tutti i presenti erano ignari del senso di panico che stava attraversando Matteo e anche Erica.
Una volta davanti alla porta del capannone, l’aprì lentamente, spaventato di non trovarla neanche lì. Ma questa volta aveva fatto centro. La trovò rannicchiata sotto la piccola finestra che faceva entrare qualche raggio lunare, con le gambe tirate verso il petto e la testa nascosta tra esse, il suo corpo era percosso da tremiti e singhiozzi. Si avvicinò subito a lei accovacciandosi alla sua altezza.
<< Alice! Hey, Alice tutto okay? Che domanda idiota certo che no!>> la osservò, era bagnata dalla testa ai piedi e stava tremando come una foglia. Si sfilò la giaccia e gliela posiziono addosso in modo da coprirla tutta per farle sentire meno freddo, << Vado a chiamare Erica, tu resta qui okay?>> disse per poi provare ad alzarsi ma lei fu più veloce e gli afferrò un polso.
<< NO!>> urlò.
<< Cos->>
<< Ti prego, non andare via. Ti prego.>> chiese supplicandolo con gli occhi.
<< Okay, sto qua non mi muovo.>> cercò di tranquillizzarla, sedendosi accanto a lei.
Alice continuò a respirare pesantemente e a tremare, non sembrava riuscire a smettere.
<< Non ce l'ho più addosso, vero?!>> chiese, ancora tremando.
Lui la studiò un attimo per poi << Solo uno piccolo tra i capelli.>> rispondere semplicemente.
Lei afferrò con forza la mano di lui, presa dal panico, << TI PREGO TOGLIMELO!>> urlò.
<< Okay, stai calma ci penso io.>> la tranquillizzò togliendo il ragnetto dai suoi capelli, e indugiando più del dovuto, << Fatto. Ora non ce ne sono più.>> le sorrise, per poi rimettersi seduto accanto a lei.
<< Grazie.>> sospirò lei.
Le mani erano ancora intrecciate fra di loro, e a nessuno dei due sembrava dispiacere quel contatto.
Rimasero così per un po’ di tempo, con il solo sottofondo della musica e dei loro respiri. Fu lei poi a spezzare il silenzio, una volta calmata.
<< Grazie per essere restato ed avermi aiutato. Non eri obbligato a farlo dopo quello che ho fatto e detto l'altra volta.>> non lo guardò in faccia mentre glielo diceva, ma fissava dritta un punto davanti a sé.
<< Tranquilla sono abituato ad essere trattato male. Te ed Erica siete allergiche a me.>> fece un sorriso amaro. Lei finalmente si voltò a guardarlo, per poi abbassare la testa e guardare per terra.
<< Scusa…>> e questa volta lo intendeva sul serio.
E lui sorrise veramente questa volta, << Scuse accettate. Dovrei scusarmi anche io, mi sono avvicinato a te solo con l'intento di usarti.>>
<< Mh.>> è tutto quello che seppe dire lei.
Ritornò il silenzio fra di loro, ma le loro mani non erano ancora decise a separarsi.
Scosse la testa ridacchiando, attirando così l’attenzione di Matteo, << Dio che figura ridicola, urlare per dei ragnetti.>> rise amareggiata. Lui la guardò per un po’. Le sembrava così fragile in quel momento, e allo stesso tempo così piena di rabbia verso se stessa.
<< Tutti abbiamo le nostre debolezze.>> le fece notare, magari con lo scopo anche di farla sentire meglio.
<< Ma io non voglio essere debole!>> quasi urlò di rabbia. Lui strinse la presa sulla sua mano e le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio per attirare la sua attenzione.
<< Non c'è niente di male ad esserlo, siamo esseri umani.>> sussurrò, lasciando la mano ancora sospesa fra di loro. Lei lo guardò, non convinta di quello che il ragazzo le aveva appena detto.
<< Qual è la tua debolezza allora?>> chiese allora, con la curiosità di un bambino, riuscendo a spezzare quel momento che sembrava troppo intimo per una come lei.
Lui si riprese e rise, << Non si dicono queste cose in giro, qualcuno potrebbe usarle contro di te.>>
Lei sembrò rilassarsi, decisa ancora però a non mollare.
<< Non è giusto tu sai la mia, ora voglio sapere la tua.>> quasi piagnucolò nel dire quella frase.
Lui scosse la testa mentre ghignava, e si mise a fissare il soffitto di quel capannone. Era veramente malridotto e sudicio, ma nessuno si preoccupava di aggiustarlo. Troppo tempo e troppo spreco di denaro. Era un ottima metafora per descrivere il suo rapporto con le persone.
Doveva dirglielo? Poteva aprirsi con qualcuno di diverso da Giorgio ed Anastasia? Con una ragazza conosciuta da neanche due mesi? Poteva ignorare la domanda, ignorare tutto quello che era successo. Eppure, per una volta, non voleva più fingere.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e li riaprì, << Ho paura dell'abbandono. Sono terrorizzato all'idea di perdere le persone a me care.>> sussurrò continuando a fissare il soffittò.
Ci furono alcuni secondi, in cui il tempo sembrava essersi fermato. Ma poi riprese a scorrere nel momento esatto in cui lei strinse la mano di lui e iniziò ad accarezzarne il dorso con il pollice, formando dei piccoli cerchi invisibili. Lui strabuzzò gli occhi guardando prima la mano e poi lei.
Alice non lo stava guardando, stava fissando un punto dritto davanti a se, non gli stava facendo la carità con quel gesto, non stava provando pietà per lui. Quel gesto, quelle carezze, avevano tutt’altro significato. Sapevano di comprensione, del sapore di chi ci è già passato, e forse anche di marchio, di quelli che vogliono lasciare un segno, di quelli che si lasciano le persone al loro passaggio.
Si schiarì la gola, riportando tutti e due alla realtà, << Forse dovremo andare, Erica si starà preoccupando non trovandoti.>>
Lei gli lasciò subito la mano, come se si fosse resa conto solamente ora del danno che aveva fatto, << Già. Hai ragione.>> disse alzandosi velocemente.
Uscirono tutti e due da quel luogo, che aveva visto tanto delle loro debolezze, in religioso silenzio. Ritornarono all’interno della scuola cercando un posto più tranquillo, lontano dal rumore, lontano da tutti.
<< Eccoti qua!>> corse verso i due Erica, senza fiato per le numerose scale fatte, << La prossima volta se devi scappare e nasconderti, avvertimi!>> la sgridò, cercando di riprendere fiato. Poi spostò lo sguardo verso il ragazzo << Ti avevo detto di chiamarmi se la trovavi! Per colpa tua ho dovuto assistere alla scena di due vampiri che copulavano in una delle classi.>> disse rossa in viso per l’imbarazzo.
Matteo e Alice si guardarono negli occhi, scoppiando a ridere, sciogliendo un po’ di quel ghiaccio che si era formato nei loro occhi.
<< Oh, adesso stai bene?! E io che mi preoccupavo.>> sbuffò, incrociando le braccia. Alice si avvicinò alla sua amica abbracciandola per le spalle.
<< Su, non tenermi il muso. Non c’era niente di cui preoccuparsi, sono stata in buone mani.>> guardò Matteo mentre diceva l’ultima frase. Lui trattenne il respiro a quella affermazione.
<< Okay, allora porta il tuo culo in macchina che andiamo a casa. Mi sono rotta le scatole di questa festa.>> iniziò a marciare con passo spedito verso la porta. Alice la guardò mentre andava a prendere la macchina e sorrise a quella visione.
Si tolse il giacchetto di jeans, restituendolo al legittimo proprietario, << Grazie… per tutto.>> lo guardò negli occhi per poi superarlo e raggiungere Erica in macchina.
Si voltò a guardarla andare via. Ebbe un grande peso sullo stomaco. Non voleva lasciarla andare via, voleva assicurarsi che stesse veramente bene, voleva un altro momento simile a quello avuto in quel vecchio capannone. Un momento in cui lui non doveva fingere di essere qualcuno, non doveva più indossare maschere. Ma stava esagerando con tutti quei pensieri. In fin dei conti l’avrebbe vista il giorno dopo sempre in quella maledetta scuola. Sospirò, scuotendo la testa, e si accasciò contro la parete. Prese la fiaschetta dal suo giacchetto, e si mise ad aspettare Giorgio e Anastasia.
 
 
Alice sparì per tutta la settimana.







Angolo autrice 
I'm back again. Yeeessss. 
Mio Dio mi era mancato moltissimo scrivere, ma sopratutto aggiornare la storia. Mi dispiace di non averlo potuto fare prima, ma, hey, poteva andare peggio. Avreste potuto aspettare anche un mese (non ne sarei stata capace io. Amo troppo questa storia per non scriverla).
Come ho detto prima, ora non ci saranno giorni fissi in cui aspettare il nuovo capitolo. Quando avrò tempo aggiornerò.
Un ringraziamento speciale va a cecy_99 che scrive una recensione sotto ogni nuovo capitolo e segue la storia direi quasi con passione. Le tue parole e la tua curiosità mi scaldano il cuore ogni volta.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno o recensirano la storia.

A presto.
E. xx

 

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Capitolo 11
*** 7 Giorni ***


Capitolo 10
7 Giorni


 
1° Giorno
Andare il Sabato a scuola dovrebbe essere considerato illegale, soprattutto dopo una sbronza colossale presa la sera precedente. Purtroppo non lo era.
Strascicava i piedi per terra, non avendo neanche la forza di sfidare la gravità in quel momento per camminare. Gli occhi rossi e l’aspetto trasandato davano l’idea di qualcuno che avesse festeggiato tutto la notte, facendo After la mattina dopo, e in fin dei conti era la verità.
Matteo non aveva chiuso occhio tutta la notte, vuoi per la miriade di pensieri che ormai avevano preso fissa dimora nel suo cervello, o vuoi per le parole che non riusciva a dire ma che aveva vomitato liberandosene dopo essersele bevute tutte all’interno di una minuscola fiaschetta. In ogni caso lui non aveva chiuso occhio, ma aveva deciso comunque di andare a scuola. E tutto questo per lei. Per essere sicuro che stesse bene dopo quello che era successo la notte scorsa, per vedere ancora quegli occhi verdi non più oscurati dalla paura e dall’odio verso se stessi ma dalla vivacità e la lucentezza di cui nei giorni precedenti era riuscito a catturarne la bellezza. Tutto quello lo spaventava, perché voleva dire che lei si stava insinuando sotto la sua pelle. Si guardò le mani, prestando particolare attenzione a quella che l’aveva stretta e gli aveva dato forza, sia a lei che a lui. Forse era già troppo tardi, forse ormai lei lo aveva già marchiato.
Il rumore della campanella lo fece gemere dal dolore mentre cercava di attutire quel suono assordante, tappandosi le orecchie.
Una volta che tutti quanti furono usciti dalla classe anche lui si mosse per andare verso il giardino, lentamente, al passo di uno zombie.
<< Amico, sei uno straccio.>> disse Giorgio, mentre aveva in braccio Anastasia appollaiata contro il suo petto.
<< Mph.>> emise soltanto quel suono. E secondo lui, riassumeva tutto quello che Giorgio voleva sapere.
Si abbandonò malamente contro l’albero e chiuse gli occhi rivolgendo la testa verso l’alto. Alcuni raggi che passavano attraverso le fronde gli riscaldavano la pelle e facevano notare il pallore che non aveva mai avuto. Gli servivano soltanto 5 minuti di riposo, poi avrebbe affrontato il mondo e la sua merda.
Si addormentò, nonostante il chiasso che facevano gli altri studenti, e si risvegliò soltanto al suono fastidioso della campanella.
<< Meglio?>> chiese Giorgio, ancora con Anastasia in braccio. Non si era accorto che stesse dormendo anche lei, aveva un viso così sereno e rilassato, si sentiva al sicuro, protetta. Nelle mani di Giorgio lei si sentiva a casa.
Annuì leggermente con il capo e spostò lo sguardò assonnato e stanco verso Giorgio. Passarono alcuni minuti prima che mettesse a fuoco il capannone dietro di lui. Lo fissò. Ci mise un po’ a collegare il tutto, per via del suo cervello ancora addormentato, ma poi immagini della sera precedente lo travolsero come un’onda d’urto. La festa, i ragni, le grida, le lacrime, il capannone, i muri che crollavano, le mani intrecciate, il marchio ormai sulla sua pelle.
Alice.
Si alzò di scatto, iniziando a vedere tutti puntini neri per la rapidità di quella stupida mossa e si dovette reggere con forza al tronco dell’albero per non rischiare di ritrovarsi con il sedere a terra.
Scosse la testa e riaprì e chiuse gli occhi più volte, cercando di riacquistare la vista e l’equilibrio, e si girò verso Giorgio.
<< Hai visto Alice oggi?>> chiese con un po’ troppa enfasi nella voce.
Giorgio lo guardò strano << No.>> rispose tranquillo.
<< Sei sicuro?>> chiese, ora con una punta di preoccupazione nella sua voce.
<< Teo, sono stato tutto il giorno qui con Anastasia. Non l’abbiamo vista.>> lasciò un bacio sulla testa alla sua ragazza facendola mugolare e stiracchiare prima che si mettesse in una posizione più comoda ma sempre attaccata a Giorgio.
Si passò velocemente una mano fra i suoi ricci, frustrato da tutta quella situazione.
<< La sua classe sta al secondo piano, sezione E. Vedi se si trova in classe. Altrimenti vai da Erica, primo piano, sezione A.>> disse Giorgio, vedendo che il suo amico era nel panico.
Matteo lo fissò con la bocca aperta, per poi ringraziarlo e iniziare ad incamminarsi verso l’interno della scuola.
La scuola era abbastanza grande, comprendeva tre indirizzi diversi: classico, scienze umane ed istituto tecnico. 15 classi in tutta la scuola divisi in tre piani. In quel momento i corridoi erano deserti, segno che tutti stavano facendo lezione.
Salì le scale due alla volta, e percorse tutto il corridoio fino a trovarsi davanti alla sezione E. Con il fiatone e il cuore in gola bussò e senza aspettare una risposta aprì la porta. Non badò molto alla professoressa di turnò, si concentrò di più sulla classe, concentrato a trovare una testa riccia con un paio di occhi verdi. Quando vide un banco vuoto, la realtà lo colpì in pieno viso. Non c’era. Guardò la professoressa che ora si era avvicinato a lui, si scusò ed uscì di corsa diretto nella classe di Erica. Doveva sapere che Alice stava bene.
Scese le scale di corsa e davanti alla porta bussò un po’ troppo forte ed aprì, la fortuna non era dalla sua parte ancora un volta.
<< Oh, ma guarda chi si vede.>> sorrise il prof. Mazzi << Non dovresti essere a lezione?>> chiese, infastidendolo.
Matteo fece una smorfia, decidendo di ignorare completamente quella domanda << Sto cercando la rappresentante di Istituto, è urgente!>>
Il professore ghignò << Mi dispiace ma oggi è assente. È un vero peccato.>> Matteo strinse la presa sulla maniglia della porta, odiava essere preso in giro. << Torna in classe ora, la bidella si assicurerà che tu ci arrivi sano e salvo.>> sorrise ancora per poi sbattergli la porta in faccia.
<< Figlio di una buona->>
<< Non so quanto ti conviene dirlo con me accanto.>> constatò la bidella con le mani sui fianchi.
<< Ma tu non mi faresti mai finire nei guai perché mi adori, vero Betta?>> chiese con gli occhi da cucciolo. Era la bidella più simpatica di tutta la scuola, lo copriva sempre ed in più non lo trattava come un caso umano.
<< No, io ti sopporto. È diverso.>> scosse la testa e gli poggiò una mano sulla schiena, << Forza, ti porto in classe. Devi almeno imparare qualcosa in questa benedetta scuola per non diventare un barbone.>> disse incoraggiandolo a seguirla.
<< No, Betta ti prego. Starò buono e non dirò niente a nessuno, lo giuro.>> la pregò con una faccia da cane bastonato, sperando di convincerla.
<< Pff, levati quell’espressione dalla faccia. Almeno oggi imparerai qualcosa. Non ti voglio avere ancora in mezze alle scatole l’anno prossimo.>> continuò decisa, fino a portarlo davanti alla porta.
 << Oggi sei cattiva.>> mise il broncio. Solo con lei si permetteva di essere così infantile, sembrava un gioco che piaceva a tutti e due. Lui faceva i capricci e lei gli metteva la testa a posto.
<< Sono troppo buona invece.>>
<< Lo so, cosa posso fare per sdebitarmi? Prima che entri nell’inferno.>> chiese, circondandole le spalle con un braccio.
<< Sei impossibile.>> rise << Offrimi un caffè per il resto dei tuoi giorni e forse saremo pari.>> scherzò lei.
<< Detto fatto. Entrò in classe e tra 10 minuti esco e ci prendiamo quella pozza di acqua sporca alle macchinette che voi chiamate caffè.>> entrò subito in classe, senza sentire le proteste della bidella.
Si diresse verso il banco senza dire una parola ed aspettò.
Nessuna delle due ragazze era venuta a scuola quella mattina. Forse Alice sta male ed Erica da brava amica gli è rimasta accanto. O forse hanno voluto solo saltare scuola, come voleva fare anche lui del resto.
Si stava fasciando la testa prima ancora di rompersela. Era tutto okay. L’avrebbe sicuramene incontrata Lunedì.
 
3° Giorno
Erica era tornata a scuola.
Di Alice non ce ne era ancora traccia.
Si mise seduto sotto l’albero e sbuffò. Almeno una delle due era tornata.
Giorgio lo fissò per poi << Non credi di esserci entrato troppo in fissa?>> chiedere.
Matteo piegò la testa non capendo a cosa si riferisse.
<< Intendo con tutta questa situazione. Quella ragazza si assenta per due giorni e tu dai già di matto.>>
Provò a rispondere ma dalla sua bocca non uscì neanche un suono. Si mise a guardare per terra, tenendosi la testa fra le mani. Giorgio aveva ragione. Non stava facendo altro se non pensare ad Alice, se stesse bene e quando sarebbe tornata. Più della metà dei suoi pensieri era rivolto a lei. Si ricordava almeno a cosa pensasse prima che arrivasse Alice?
Tutto quello che era iniziato come un gioco, come una sveltina senza sentimenti, si era trasformato in tutto… quello. E con il passare del tempo sarebbe peggiorato. Perché ormai, doveva ammettere a se stesso, Alice l’aveva marchiato. L’aveva fatto diventare dipendente come le peggio droghe. Ma non poteva permetterselo. Si sarebbe fatto male, e lui era troppo stanco per farsene ancora.
<< Fanculo!>> sbottò all’improvviso << Hai dell’erba?>> chiese a Giorgio.
<< Credevo non ne volessi più.>> disse, ricordando le parole dell’amico.
<< Bisogna tornare alle vecchie abitudini.>>
Lui voleva ritornare a come era prima. Dimenticarsi di Alice, di quella notte, del marchio sulla sua pelle che continuava a bruciare. E l’unico modo per farlo era fare finta che non fosse mai cambiato niente.
Più di una volta aveva desiderato viaggiare indietro nel tempo per cambiare le sue scelte, e questa volta, più delle altre, voleva poter cancellare così tanto il suo ricordo che ora sapeva di abbandono.
 
4° Giorno
<< Matteo, ti vogliono in presidenza.>> disse Betta, svegliandolo dalla trance in cui era caduto.
<< Perché?>> chiese. Non era certo uno che rispettava le regole della scuola, o che seguisse le lezioni, ma non gli sembrava di aver mai creato un grande casino tanto da mandarlo in presidenza. Beh, forse qualcuno ha scoperto che i lividi che casualmente si trovavano sui due ragazzi che avevano attaccato Alice erano opera sua, eppure non aveva lasciato tracce. Sarebbe stato un pessimo assassino.
<< Non lo so. Ha detto che però devi andarci, e di corsa anche.>>
<< Okay, okay. Andiamo a fare quattro chiacchiere con il vecchio senza collo.>> rise, per poi alzarsi e dirigersi verso la presidenza.
<< Buona fortuna, Teo. Se ti serve un avvocato, chiamami!>>
<< Oh, taci Malpelo.>> si ritrovò a dire Betta, ricevendo un dito medio da Giorgio per quel soprannome.
 
La porta della presidenza era di legno duro. Perfetta in ogni particolare, scolpita con attenzione, e la targhetta d’oro con la scritta Presidenza rendeva il tutto ancora più perfetto. Poteva dire che tutti i soldi della scuola erano stati spesi solo per fare quella porta, e naturalmente anche l’interno della presidenza. Ci era stato poche volte, ma ricordava benissimo i divani in pelle, la TV al plasma e il tavolino di cristallo che adornavano il grande e spazioso ufficio del preside. Poco importa se nei bagni non c’è carta igienica o che le porte non si aprano bene e rischino di cascare ogni volta che c’è un soffio di vento, questo perché hanno il più bel ufficio di presidenza dell’intero pianeta. L’acqua con il calcare che esce dai rubinetti li rende più forti, dovrebbero ringraziarli.
Scosse la testa per poi bussare forte sul legno, ricevendo il permesso di entrare.
Appena entrato trovò il “grande” preside senza collo. Tutto l’Istituto si chiede ancora che fine abbia fatto il suo collo e come la sua testa possa reggersi da sola. Alcuni sostengono che sia il gemello segreto di Maurizio Costanzo. Lui si chiede se sia possibile che nascondi droga nel posto dove dovrebbe esserci il suo collo, non la troverebbe nessuno.
Il suo sguardò passa ai due poliziotti che gli stanno ai lati e improvvisamente sbianca. Non prometteva niente di buono. Si spostò lentamente verso di loro e si sedé sulla sedia davanti al grande tavolo di ebano lucido, più costoso della sua casa sicuramente.
<< Matteo, non preoccuparti. Non sei finito nei guai. Questi signori vogliono farti solo delle domande e poi potrai tornare in classe.>> lo rassicurò Preside senza collo. Lui annuì, ancora incerto e terrorizzato da quella situazione. << Vi lascio soli.>> si alzò dal suo grande trono e con passi pesanti quanto blocchi di cemento, cadenzava il tempo dei battiti del suo cuore, che ogni volta minacciava di fermarsi e sprofondare.
Una volta soli, la donna poliziotto si sedé e iniziò a guardarlo con un sorriso inquietante.
<< Ciao Matteo. Io sono il colonello Marta, e questo è il mio collega il capitano Paolo.>> disse indicando l’altro poliziotto. << Scommetto che ti starai chiedendo perché siamo qui e perché vogliamo parlare proprio con te.>>
<< Si, mi è passato per la testa questo pensiero.>> rispose, sollevato che almeno non fosse stato chiamato per aver colpito quei due idioti. Una sospensione in meno.
Marta sorrise. << Vogliamo farti solo alcune domande, e vorremo che tu fossi sincero con noi e che collaborassi. Lo faresti?>> chiede.
Lui annuisce, non sapendo se fosse pronto a quello che sarebbe venuto di lì a poco. Forse l’esame di maturità sarebbe stato meglio di questo interrogatorio. Forse.
<< Okay.>> prese un registratore dalla tasca, lo accese e lo poggiò sul tavolo << Mi puoi dire dove ti trovavi la notte del 26 Ottobre?>>
<< Ero in giro.>> rispose con voce ferma. Sapeva che avrebbero chiesto di quella maledetta notte.
<< Qualcuno può confermarlo? Eri da solo o con amici?>>
<< Mia madre mi ha visto uscire prima che andasse al lavoro. Ero da solo.>>
<< Dove stavi andando quella sera?>>
Si bloccò. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Mi trovavo in un quartiere famoso per lo spaccio, per prendere delle pillole che sono illegali, infrangendo la legge. Non avrebbe aiutato di certo la sua posizione, già abbastanza sfavorevole.
<< Non avevo una meta fissa, girovagavo così, tanto per fare una passeggiata.>> rispose cercando di essere il più vago possibile.
Il telefono del suo collega iniziò a squillare, provocando una smorfia sul viso di Marta. Lui si scusò ed uscì a rispondere. Rimasero solo loro due.
Prese un foglio dal nulla e glielo mise sotto gli occhi. Era pieno di numeri e scritte.
<< Riconosci questo numero?>> chiese, indicandone uno sottolineato, che si distingueva per l’ordine rispetto agli altri.
Deglutì pesantemente per poi annuire << È il mio numero di cellulare.>>
Marta sorrise, contenta forse della sua onestà. << Quella notte tu hai chiamato, e l’agente che era in servizio è stato interrogato come te. Vuoi raccontarmi cosa è successo precisamente? Come hai trovato il corpo?>>
Non voleva raccontarlo. Non voleva essere messo in mezzo a questa faccenda. Ma soprattutto, voleva dimenticare quell’immagine orribile. Sembrava che più provasse a dimenticare e più la gente cercava di impedirglielo.
Marta vide il suo stato e gli strinse la mano << Ehi, noi siamo qui per aiutarci a vicenda. Ti prometto che non ci saranno ripercussioni su di te, ti proteggeremo, ma ci serve che tu dica tutto quello che sai perché quella persona potrebbe far del male a qualcun altro.>> disse con un tono preoccupato.
Matteo prese un lungo respiro profondo e ricominciò a raccontare quello che già aveva detto a Giorgio. L’odore di ferro, la curiosità, la piuma trovata a terra e il corpo. No, non aveva visto nessuno entrare ed uscire da là. No, non aveva sentito grida provenire dal vicolo. Si, molto probabilmente era arrivato quando ormai era tutto finito, quello che ha fatto era stato solo dare l’allarme.
<< Perché non sei rimasto ad aspettare l’autorità quando hai chiamato?>> fece la fatidica domanda.
<< Perché non volevo essere collegato a tutto questo. Ma a quanto pare è stato inutile.>> rise amareggiato.
Marta spense il registratore e si avvicinò a lui << Non è stato inutile, hai aiutato a fare passi avanti con l’indagine. E non ti preoccupare, ne resterai fuori. Promesso.>> disse facendosi una croce sul cuore come giuramento.
In quel momento Paolo entrò come una furia, spalancando le porte dell’ufficio e avvicinandosi a passo svelto verso la collega.
<< Hanno trovato un altro cadavere. È successo ancora.>> sputò tutto d’un fiato. Matteo sbiancò a quella notizia, mentre Marta rimase impassibile, calma e controllata.
<< Dove?>> chiese soltanto.
<< In una provincia molto distante da qua. Ci vorrà un po’ di tempo per arrivarci.>>
<< Okay, dì alla polizia del luogo di perimetrare la scena del delitto. Voglio una volante insieme a noi, e avvisa i ragazzi della scientifica.>> ordinò, per poi girarsi verso Matteo e sorridergli << Grazie per la tua collaborazione, se ti venisse in mente qualcos’altro questo è il mio numero.>> gli passò un bigliettino da visita con sopra il suo nome e il suo numero << Stai tranquillo. Lo cattureremo.>> lo rassicurò lasciandogli una pacca sulla spalla e andandosene subito.
Si rigirò il biglietto fra le mani.
Sperava davvero di non dover usare di nuovo quel numero.
 
5° Giorno
Alice non era ancora tornata.
Sapeva che non doveva pensare a lei, ma visto che c’era stato un omicidio e di lei ancora non c’era traccia non poteva fare altro se non preoccuparsi fino a sentirsi male.
La cosa che lo faceva imbestialire di più era Erica. La sua migliore amica scompare e lei sembrava tranquilla, come se non fosse successo nulla.
<< Vacci a parlare.>> disse Giorgio, concentrato a rollarsi una canna.
<< Come scusa?>> chiese, non capendo a cosa si riferisse.
<< Hai capito cosa intendo. Se ti fa sentire più tranquillo, vacci a parlare e chiedile dove sta.>>
Matteo rise << Non me lo dirà mai. Lei vuole difenderla da me.>>
<< Provarci non costa niente. E poi scusa, da quando per te è un problema ottenere quello che vuoi? Dov’è finito il grandissimo testardo che non accettava un No come risposta?!>> chiese, enfatizzando la domanda.
Lui sospirò. Voleva sapere anche lui dove fosse finito. Comunque Giorgio aveva ragione, doveva ritornare quello di una volta, ma soprattutto doveva togliersi quel peso che aveva sul petto che solo la verità su Alice avrebbe potuto togliere.
 
Una volta che il cortile iniziava a diventare sempre più vuoto, lui prese per un braccio Erica e la trascinò fino al capannone, prima che entrasse in classe e senza ascoltare le sue proteste.
<< Dov’è Alice?>> chiese subito, una volta assicurato che non ci fosse nessuno.
<< Ciao Matteo, come stai? Anche per me è un piacere vederti, certo magari se non mi avessi trascinato per tutto il cortile sarebbe stato meglio.>> puntualizzò lei acida.
<< Dov’è Alice? Rispondimi!>> chiese spazientito.
Lei lo guardò con la bocca aperta, offesa dalle sue maniere. Scosse la testa e sbuffò << Non lo so.>>
<< Non mentirmi.>> non si fidava di lei.
<< Non ti sto’ mentendo. Non so dove sia, davvero.>> disse lei con tranquillità, guardandolo negli occhi per dimostrare la sua sincerità.
<< E non sei preoccupata a morte?!>> chiese stupito e infastidito da quella calma che circondava Erica.
<< No, perché non è la prima volta che lo fa.>>
<< Cosa?! Cioè sparisce senza dire niente a nessuno?!>>
<< Esatto, lo faceva anche prima. Tranquillo tornerà. Ritorna sempre.>> disse Erica, alzando le spalle.
<< Quando?>> chiese, sollevato dal fatto che almeno prima o poi sarebbe tornata.
<< Di solito sparisce per una settimana. Ma l’ottavo giorno ritorna come se niente fosse successo.>>
<< Perché?>> era tutto quello che si chiedeva. Sparire in quel modo e poi tornare. Non sapeva darsi una risposta e se non ce l’aveva Erica, non sapeva dove avrebbe potuto trovarla.
Erica poggiò la sua schiena sulle pareti del capannone e si mise a guardare il giardino ormai vuoto, se non per loro due. Fissò il terreno sotto ai suoi piedi, persa nei suoi ricordi. Lui aspettò, e sembrò passare più tempo del previsto per quella risposta che lo avrebbe rassicurato o forse l’avrebbe fatto preoccupare ancora di più.
<< Sai una volta gli feci la stessa domanda. Le prime volte che lo faceva non gli ho mai chiesto il perché, mi bastava che fosse tornata. Ma poi lei continuava a farlo ogni volta, e io ogni volta mi preoccupavo così tanto. Avevo il terrore che un giorno non tornasse.>> si strinse tra le spalle, non volendo pensare a quella possibilità che si era presentata troppe volte nella sua testa << Cosi glielo chiesi e lei mi disse: “Dio ha creato il mondo in sette giorni. Io in sette giorni devo ricreare il mio.” Non capì cosa intendesse quando diceva di “dover ricreare il suo mondo” e lei non me lo spiegò mai. Col tempo misi a posto i tasselli e capì che ogni volta che spariva, il giorno prima gli succedeva qualcosa di brutto, qualcosa che la distruggeva dall’interno e non solo dall’esterno. Quindi credo che lei voglia ricrearsi per farsi più forte, più perfetta. Almeno questa è la mia teoria.>> finì, facendo un sorriso tirato.
Rimase immobile, senza parole per tutto quello che aveva sentito. Molte volte anche lui era stato vicino all’andarsene, lasciare tutto indietro per non tornare mai più. Ma Alice aveva qualcosa che a lui mancava, coraggio e nulla da perdere.
<< Senti>> iniziò di nuovo Erica catturando di nuovo la sua attenzione << Sono preoccupata anche io, soprattutto dopo quello che è successo alla festa>> disse ricordandogli un’Alice vulnerabile e spaventata << Non so cosa sia successo, cosa tu abbia fatto per tranquillizzarla, ma ti ringrazio. Perché almeno ora sono sicura che anche se è sparita, lo ha fatto più tranquilla e sicura delle altre volte.>>
Matteo annuì, contento che lui ed Erica avessero per il momento sotterrato l’ascia di guerra per un bene comune.
<< Ora non ci resta che aspettare che ritorni.>> osservò, con un po’ di amarezza nella voce.
<< E tu lo fai sempre? Voglio dire, aspetti sempre che lei torni?>> chiese stupito.
Erica annuì.
<< E non ti stanchi mai?! Cioè, non ti viene mai voglia di mollare tutto e magari staccarti da tutto questo preoccuparsi e stare in ansia ogni volta che se ne va?>>
Erica rise << No>> rispose per poi girarsi e guardarlo in faccia << Perché so che per lei ne vale la pena.>>
Matteo rimase impietrito, di fronte a quella dimostrazione di affetto e fiducia che Erica provava verso la sua migliore amica. Non aveva dubitato nemmeno un secondo di lei, non sembrava pesargli il macigno che sicuramente aveva anche lei nel petto.
Erica si avviò verso la sua classe, senza neanche salutarlo. Non servivano parole.
Matteo guardò il capannone.
<< Lei ne vale la pena…>>
 
6°-7° Giorno
Quei giorni passarono lenti, ma colmi di speranza e sicurezza che Alice sarebbe tornata. Cercò quindi di occupare tempo e mente. Uscì con Giorno, passando più tempo fatto che lucido, e cercò di non pensare a lei, di ritornare alla vita che faceva prima che la incontrasse ma era difficile farlo se pensava che l’avrebbe rivista di lì a poco.
Aveva paura della speranza, pensava che fosse la bestia più infame di tutte. Ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi.
 
8° Giorno
Si svegliò per andare di corsa a scuola. Non aveva mai fatto così presto in vita sua, era arrivato in anticipo di dieci minuti al suono della campanella. Era sicuro che l’avrebbe incontrata solo a ricreazione, ma l’adrenalina non accennava a diminuire.
Le tre ore in classe, le passò guardando l’orologio. Ogni lancetta avanti, segnava un minuto in meno dal vederla.
Una volta arrivato fuori in giardino, si mise seduto vicino all’albero come al solito e aspettò. Continuava a guardare l’entrata sperando di vederla sbucare da un momento all’altro.
<< Sembri un cane che aspetta il ritorno a casa del padrone.>> scherzò Giorgio, ottenendo un’occhiataccia e un dito medio da parte dell’amico.
Forse aveva ragione, e sicuramente sarebbe sembrato ridicolo, ma non gli importava. In quel momento l’unica cosa che voleva era incontrarla e magari abbracciarla, così, tanto per assicurarsi che fosse reale e che non provasse a scappare più.
Sorrise a quella scena creata nella sua mente, ma i castelli che si era fatto si sgretolarono tutti insieme appena vide Erica da sola. Si alzò come una molla e corse verso di lei. Non poteva crederci, non poteva avergli mentito. Quando avrebbe imparato a non fidarsi più delle persone?
Ogni passo che faceva verso di Erica era un passo intriso di rabbia e dolore. E solo una volta davanti a lei si blocco del tutto, grazie solo al suono di due parole.
<< È tornata.>> disse Erica.
Quel macigno era ufficialmente sparito. Rilasciò il respiro, e giurò di non essersi mai sentito così leggero. Iniziò a vagare con lo sguardo per il giardino, cercando quella testa riccia, ma Erica lo fermò subito.
<< Non è qui. Mi ha detto che non se la sentiva di tornare a scuola e che quindi sarebbe tornata Lunedì.>> lo informò Erica, prendendo il suo panino.
<< Oh>> è tutto quello che riuscì a dire prima di riprendersi e tornare a guardare Erica << Grazie per avermelo detto.>> disse sorridendo.
<< Figurati. Non mi divertiva più vederti impazzire perché non sapevi dov’era.>> ghignò, segnando così di nuovo la rivalità fra i due. Magari questa volta meno accentuata.
Lui sorrise, e tornò da Giorgio un po’ deluso nel poterla vedere solo Lunedì.
Quindi si siede e… aspetta. Come ha sempre fatto Erica
 
Quel pomeriggio Giorgio lo obbliga ad andare in palestra perché “Non puoi fare l’ameba, devi muoverti, altrimenti ti crescerà il culo come quello della Minaj. E non in senso positivo.” Quindi aveva accettato e si era buttato in piscina per un’ora e mezza, continuando a fare vasche su vasche, eliminando così tutta la tensione, la rabbia accumulata in quella settima. Gli faceva bene, l’acqua che gli entrava nella orecchie, attutiva tutti i rumori esterni di un mondo troppo incasinato. E dopo essersi tolto quel macigno dal petto, sentirsi leggero e trasportato dall’acqua era una bella sensazione.
Una volta finito, si lavò e si cambiò nello spogliatoio, pronto per uscire.
Stavano attraversando il corridoio per andare al piano superiore quando delle urla di incitazione attirarono la loro attenzione. Si affacciarono verso quell’area di palestra e rimasero sbigottiti da quella visione.
Quella sala era dedicata alla Boxe, quindi era circondata da sacchi da boxe e vari manubri e pesi per potenziare i muscoli. Al centro della sala c’era un Ring enorme, ed era proprio lì che tutta la gente, più uomini che donne, si era radunata a guardare un incontro.
Si avvicinarono incuriositi da tutto quel baccano, chiedendo cosa stesse succedendo a uno dei ragazzi che si trovava lì.
<< Una ragazzina accetta tutti quelli che la vogliono sfidare e per il momento hanno tutti perso, sia uomini che donne.>> disse con un certo luccichio negli occhi.
Matteo e Giorgio si guardarono ancora più confusi e curiosi. Cercarono di avvicinarsi ancora un po’ di più al Ring, cercando di farsi spazio in mezzo a quell’ammasso di corpi, e quando videro chi ci fosse sopra, entrambi si immobilizzarono.
<< Matteo, quella non è->>
<< Alice!>> disse, quasi urlando.
Videro come Alice mise il suo avversario con il culo per terra con un calcio laterale dritto al petto, vincendo anche quell’incontro. Era sudata, e il paradenti gli permetteva di respirare poco alla volta, facendole venire il fiatone. Una volta finito l’incontro l’arbitro gli alzò il guanto per proclamare la sua vittoria << Vince Alice! 6 incontri su 6, signori!>>
Alice continuò a guardare dritto davanti a sé, finché l’arbitro non gli lasciò il braccio e lei si diresse all’angolo per prendere un sorso d’acqua.
<< C’è qualcun altro che vuole sfidarla?>> chiese, guardando uno per uno le persone raggruppate lì intorno.
Matteo alzò subito la mano.
<< Teo che cavolo fai?! Tu non sai combattere!!>> Giorgio cercò in ogni modo di abbassargli la mano, volendo evitare che il suo amico si facesse ammazzare, come il tizio precedente.
Matteo se lo scrollò di dosso << Non mi importa. Se non vuoi vedere esci.>> si avvicinò al Ring e salì superando le corde.
<< Sei sicuro di volerlo fare, ragazzino?>>
Matteo annui, serrando i pugni. << Mi manca solo l’attrezzatura.>>
<< Per quello non c’è problema.>> ghignò per poi rivolgersi al pubblico << Qualcuno dia un caschetto, dei guanti e un paradenti a questo coraggioso ragazzo.>> disse, ottenendo da qualcuno l’attrezzatura richiesta.
Guardò dall’altra parte del Ring e dopo una settimana incontrò di nuovo quei occhi verdi. Non sapeva cosa provasse in quel momento Alice nel vederlo lì. Sicuramente era sorpresa, ma per il resto i suoi occhi erano vuoti. Si era costruita un muro ancora più forte e lui non sapeva se sarebbe riuscito a sfondarlo.
Una volta messo tutto, si avvicinò al centro del Ring. L’arbitro iniziò a dire le regole << Ragazzi, gioco pulito. 1 Round da 3 minuti. Colpi sopra la cintura, dopo due colpi alle spalle c’è la squalifica. Vince l’ultimo che rimane in piedi.>> disse per poi << Alice, vacci piano con lui. Non fa Boxe.>> rivolgersi a lei, quasi supplichevole.
Lei continuò a guardare Matteo per poi fare un cenno con la testa. Quel cenno serviva solo a dire che aveva capito e non che aveva intenzione di andarci piano.
<< Pronti? Fight!>> annunciò l’inizio dell’incontro.
Matteo schivò subito un diretto sinistro, spostandosi leggermente all’indietro. Continuò con questa tecnica per un po’, non riuscendo a schivarli tutti e prendendosi un bel calcio circolare sulle costole e un montante all’altezza del plesso solare che l’aveva sicuramente lasciato senza fiato per alcuni minuti.
Passato il primo minuto, stanco di prenderle e basta, iniziò ad attaccare. I primi colpi andarono a vuoto, Alice sembrava capire i suoi movimenti, prevederli in anticipo e schivare di conseguenza. Poi era molto veloce e questo giocava a suo favore, sembrava che danzasse su quel Ring per quanto fosse leggera.
<< Avanti Teo! Trova un punto scoperto!>> urlò Giorgio.
Il problema era che Alice aveva un’ottima difesa, non c’erano punti scoperti dove poter colpire. Lui però non si arrese continuando a sferrare dritti e ganci sperando di riuscire a prenderla.
La sua occasione si presentò quando Alice provò a dargli un gancio, scoprendo la parte bassa del corpo. Lui si abbassò per schivarlo e, da quella posizione, gli diede prima un pugno alla bocca dello stomaco con un dritto e poi proseguì con un montante sul mento. La vide indietreggiare leggermente per il colpo ricevuto ma tornò subito in posizione di difesa.
<< 30 secondi!>> urlò l’arbitro.
A quel punto Matteo continuò a resistere e a provare ad attaccarla finché lei non gli diede un gancio destro, colpendolo tra la tempia e l’occhio, facendogli perdere l’equilibrio per il forte impatto e mandandolo a terra.
L’arbitro annunciò di nuovo la vittoria di Alice. E lui la guardò. Non c’era empatia in quei occhi, non c’erano sensi di colpa, ma solo rabbia. E per una volta lui rivide se stesso in lei.
Giorgio lo aiutò ad alzarsi << Amico, andiamo. Non racconterò in giro che sei stato battuto da una ragazza.>> rise per alleggerire la tensione.
Accettò la mano per poi scendere dal Ring. Si girò un ultima volta prima di uscire da lì. Alice non c’era più.
 
Si resse la testa con le mani mentre Giorgio stava pagando l’ora in piscina che avevano passato. Gli faceva male la faccia, ma non era niente in confronto ai continui pensieri che lo stavano mangiando.
<< Ehi.>> disse Alice, dopo essersi seduta vicino a lui << Tieni.>> gli passò una busta di ghiaccio. Lui la prese guardandola, senza parole. << Mettitela sull’occhio se non vuoi che ti venga un livido.>> disse senza guardarlo in faccia.
Lui abbassò lo sguardo e fece come aveva detto << Grazie…>>
Restarono un po’ in silenzio, lei che non voleva parlare e lui che non sapeva come iniziare. Gli sembrava una situazione stupida.
<< Sei tornata.>> disse soltanto, ricevendo un mugolio d’assenso << Dove sei stata?>>
<< In giro.>> rispose secca.
Si stava comportando in modo distaccato e scontroso. Cosa era successo a quella Alice che aveva conosciuto?
<< Perché?>> chiese soltanto. Quella domanda racchiudeva tutto quello che voleva sapere: perché se ne era andata, perché si stava comportando così e perché era stata così fredda sul Ring. Lei sembrò leggergli nel pensiero.
<< Sei mi stai chiedendo il motivo per cui me ne sono andata, sono fatti miei. Ma credo che Erica ti abbia già detto tutto, giusto?>> lui abbassò lo sguardo, sentendosi quasi un colpa per aver ficcanasato in fatti che non gli riguardavano. Era stato lui a chiederlo, solo lo aveva chiesto alla persona sbagliata. D’altra parte però lo aveva fatto perché l’ansia e la preoccupazione lo stavano mangiando vivo.
<< Se ti chiedi perché ti ho fatto un occhio nero, beh quello è perché così impari la lezione. Solo perché sono una femmina non vuol dire che sono debole, delicata e innocente. Quando stiamo sul Ring, siamo tutti uguali e l’unica legge che esiste è quella del più forte.>>
Lui la guardò allibito, non pensava si fosse accorta del fatto che stava evitando in ogni modo di colpirla per paura di fargli male. E ora però lui ci aveva rimesso un occhio nero.
Rise scuotendo la testa << Hai ragione. Mi dispiace.>>
Lei sorrise << Hai imparato la lezione.>> disse fiera di sé. Regalandogli quel sorriso che da troppo tempo non vedeva.
<< Sono contento che sei tornata.>> la guardò, felice di aver detto quelle parole e di poter di nuovo bearsi di quei occhi.
<< Già…>> rispose lei << Ora devo andare. Ci vediamo a scuola.>>
Non fece in tempo a protestare che lei si era già alzata e se ne era andata, sparendo dietro una porta bianca. Giorgio lo raggiunse, lasciandogli una sonora pacca sulla spalla << Eh, Teo. Donne. Non potrai capirle, ma non puoi neanche vivere senza di loro.>> rise.
Uscirono fuori dalla palestra e una volta arrivata davanti a casa di Matteo, che si trovava più vicino, Giorgio lo prese per le spalle << Stasera ti porto a bere, così magari ti diverti un po’.>> gli fece l’occhiolino.
Matteo scosse la testa. Non se la sentiva di ubriacarsi e di stare a contatto con delle persone << Stavolta passo, amico. Stasera ho altri piani.>>
Giorgio sbuffò << Okay, basta che non ti butti da un palazzo. Non voglio raccogliere il tuo piccolo cervello spappolato per strada.>> scherzò, ricevendo una spinta e un insulto nato dal cuore.
 
Una volta arrivata sera prese giacca, portafogli e chiavi. Si diresse verso la più vicina fermata degli autobus ed aspettò. In casi come questi, voleva stare da solo, lontano da tutti, libero di pensare, e c’era solo un posto in grado di calmarlo.
Il mare distava a 20 minuti con i mezzi e conosceva un pontile mezzo rotto dove nessuno lo avrebbe disturbato.
 
Su quello stesso pontile una ragazza con le ali nere contemplava il mare, non sapendo che di lì a poco avrebbe incontrato la sua più grande debolezza.







Angolo autrice
Chiedo venia per il ritardo, non era mia intenzione riaggiornare dopo così tanto tempo. Ma guardate il lato positivo, i capitoli sembrano diventare sempre più lunghi!
Di questo capitolo non ne sono pienamente soddisfatta a dirla tutta. Anche se sono stata fino alle 3 di notte a scriverlo. Beh, pazienza. In fin dei conti penso che non sia malaccio. 
Ringrazio tutti quelli legeranno o recensiranno la storia.
A presto.
E. xx


 
 

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Capitolo 12
*** Noelle ***


Capitolo 11
Noelle


 

Appena arrivò a destinazione scese alla sua fermata. Sentì le porte dell’autobus chiudersi dietro di lui e quel vecchio rottame ripartì con un rumore infernale che infranse il silenzio di quel luogo.
Chiuse gli occhi ed inspiro profondamente. L’odore della salsedine si insinuò all’interno delle sue narici, facendo rilassare tutti i muscoli. Sorrise.
Riaprì gli occhi per osservare il mare davanti a lui, non cristallino come si presentava di giorno, ma scuro e misterioso, l’unica macchia chiara era creata dalla schiuma che si formava all’infrangersi di quelle piccole e deboli onde. Gli piaceva quel lato del mare. Quel lato che era troppo scuro da studiare, troppo buio, troppo profondo e troppo pericoloso. Un aspetto che solo pochi riuscivano ad apprezzare, perché le cose pericolose e buie piacciono solo a quelli che non hanno paura di immergersi nel vuoto.
Si infilò le mani nelle tasche del giacchetto e iniziò a camminare verso il suo posto segreto.
Il lungomare era quasi deserto, durante il tragitto avrà incontrato si e no una decina di persone, ma con l’inverno che si stava facendo strada non pretendeva di incontrarne di molta. Ed era meglio così.
Continuò la sua camminata fischiettando o canticchiando qualche motivetto di una canzone sentita in radio di recente, anche se la musica migliore era quella dell’infrangersi delle onde e il silenzio interrotto solamente da qualche gabbiano ancora sveglio. Entrò all’interno di una spiaggia libera e lo vide illuminato da una sola luce di un lampione: il pontile.
Quel pontile una volta era l’orgoglio di quella cittadina, il punto che ti metteva a stretto contatto con il mare. Era sempre pieno di persone o di turisti, quindi lui aveva smesso di andarci per il troppo casino che la gente creava. Tutti impegnati sui propri cellulari o a chiacchierare per contemplare in silenzio quello che la natura gli aveva donato. Un giorno una mareggiata aveva spaccato a metà il ponte, rendendo impossibile il passaggio dall’altra parte. Il comune non voleva sprecare soldi per ricostruire un ponte che molto probabilmente sarebbe stato di nuovo distrutto da Madre Natura, così lo abbandonarono. Un vero peccato pensò Matteo.
Arrivato al margine del pontile guardò verso il basso. Le tavole del vecchio pontile erano ancora lì sotto, alcune puntate verso l’alto, spaventose e minacciose con quell’oscurità.
Prese le due tavole di legno, che nascondeva sempre accanto al parapetto, e le appoggiò all’estremità. Erano abbastanza lunghe da poter raggiungere l’altra parte del ponte ed abbastanza solide e robuste da poter reggere lui senza che rischiasse di cadere. Mise un piede davanti all’altro, allargando le braccia come un equilibrista e, una volta raggiunta la meta, ritirò le tavole per non rischiare che cadessero.
Un sorriso spontaneo nacque sul suo volto. Era arrivato nel suo posto speciale, non poteva non sentirsi bene.
Continuò a camminare volendo raggiungere il grande spiazzo che si affacciava al mare, ma più si avvicinava e più aveva un brutto presentimento. La luce del lampione antico posizionato alla fine del pontile illuminava, con la sua fioca luce, una figura. Strinse gli occhi cercando di capire chi fosse, e come avesse fatto ad arrivare lì, ma tutto quello che vedeva era una forma indistinta e nera.
Rallentò la sua camminata, cercando di essere il più silenzioso possibile, ma una volta al limite decise di fermarsi e soddisfare la sua curiosità.
<< Ehi!>> urlò per farsi sentire bene. La figura davanti a lui sembrò irrigidirsi di colpo, quasi avesse paura di muoversi. << Come hai fatto ad arrivare qui? Il ponte è rotto.>> gli fece notare, avvicinandosi sempre con lentezza e cautela.
Dalla figura misteriosa nacque una leggera risatina, quasi come se non fosse riuscita a trattenerla, << Facile, ci ho volato sopra.>> rispose, come se fossero ovvie e ragionevoli le parole che aveva pronunciato.
Lui si fermò. Aveva appena detto che ci aveva volato sopra? No, non se l’era immaginato, aveva detto proprio così. Ma perché tutti i matti capitavano a lui?
Si mise una mano alla tasca, tastando il cellulare, pronto a chiamare i soccorsi se necessario.
Non sapendo cosa fare, decise di assecondare la misteriosa figura. D’altronde i pazzi vanno sempre assecondati, giusto?
Si lasciò sfuggire una risata nervosa, per poi << Ah, davvero? E come hai fatto? Hai tipo uno di quei zaino jet tipici degli agenti segreti?>> chiedere, non riuscendo a nascondere il sarcasmo di quella domanda.
La figura rise ancora, quasi come se tutta quella situazione fosse esilarante.
<< Vuoi davvero saperlo?>> gli domandò, una volta finita la ridarella.
<< Certo.>> si ritrovò a rispondere lui << Illuminami.>> ghignò.
La figura restò un po’ in silenzio, per poi << D’accordo>> dire e scendere dalla balaustra, girandosi completamente verso di lui. Fece alcuni passi, abbastanza perché la luce del lampione potesse illuminarla e si fermò, mostrando i suoi denti bianchissimi in un leggero sorriso di scherno.
Fu in quel momento che la vide.
Sgranò gli occhi, indietreggiando lentamente e con passi incerti, cercando di allontanarsi il più possibile da lei. Non credeva a quello che stava vedendo, non era possibile che quell’essere fosse vero.
Inciampò su un asse di legno non fissata bene, ritrovandosi con il sedere per terra. Si dipinse una smorfia di dolore sul suo viso e portò la mano dalla tasca alla zona colpita con l’intento di allievare il dolore. Lei rise a quella scena, una risata strana, a tratti quasi troppo alta per i suoi gusti.
Ritornò a studiare l’essere davanti a lui.
Poteva essere considerata una normale ragazza se non fosse stato per le due enormi ali nere che le uscivano dalla schiena. La faccia era coperta da una maschera nera, con decorazioni di pizzo intorno agli occhi e che gli arrivava fino a coprirgli la fronte, lasciando così la bocca scoperta. I suoi capelli erano legati in una treccia che partiva dall’inizio della cute e gli cadeva leggera su una spalla. L’abbigliamento era semplice. Indossava un gilet di pelle nera, che metteva in mostra le sue braccia esili ma allo stesso tempo muscolose, con la zip chiusa quel tanto necessario per coprirsi. Aveva degli anfibi neri ai piedi e i leggings neri si confondevano con il tutto. La cosa che lo fece trasalire era il cinturino attaccato alla coscia sinistra dove si poteva vedere benissimo il fodero di un pugnale. E la cintura legata larga alla vita che vantava quattro dardi cinesi su un fianco e un coltello, molto più piccolo rispetto al pugnale, posizionato sul fianco destro.
Deglutì a vuoto davanti a tutto quello. Improvvisamente l’aria si fece più rarefatta e il rumore del mare sembrava essere diventato troppo distante.
Lei si avvicinò a lui, con il ghigno ancora stampato sul volto, per poi accovacciarsi alla sua altezza.
Da quella posizione, Matteo poté vedere meglio il suo viso anche se ricoperto dalla maschera. Notò come gli occhi di lei fossero scuri. Un marrone scuro, intenso, però con qualche scaglia dorata intorno alla pupilla, come una sorta di fonte luminosa in quel marrone così tendente al nero.
Lei si alzò di scatto.
Lui trasalì a quell’azione improvvisa ma cercò di non farlo vedere. Lei mosse una mano verso di lui, offrendogliela.
Non sapeva se poteva fidarsi di lei, ma visto che fino a quel momento non lo aveva attaccato decise comunque di accettare il gesto gentile. Gli afferrò la mano e lei lo tirò su con uno strattone.
<< Grazie.>> disse in un sussurro quasi inudibile. Lei sorrise ancora.
Lui concentrò il suo sguardo sulle sue ali. Gli sembrava impossibile quello che stava vedendo. Eppure, anche se pauroso, tutto quello gli pareva bellissimo. Alzò una mano nella sua direzione, provando a toccare quelle ali così magnetiche per lui, ma lei si ritrasse in fretta mettendosi in posizione di difesa, scrutandolo con uno sguardo quasi offeso per aver anche solo pensato di poterla toccare.
Rimase per qualche secondo con la mano nel vuoto, ma quando si accorse di quello che aveva fatto la riabbassò, puntando poi lo sguardo per terra.
<< Scusa.>> mormorò. Lei sembrò ancora sulla difensiva, tesa e pronta all’attacco.
Aveva sbagliato a fare quella mossa azzardata. Era stato come avvicinarsi ad un animale bellissimo ma selvaggio e pretendere di toccarlo quando quest’ultimo non lo conosceva. Doveva trovare il modo di tranquillizzarla, di farle capire che non le avrebbe fatto niente. Anche perché quello disarmato era lui non lei.
Si sedé per terra di nuovo, incrociando le gambe e guardandola sorridendo. Lei lo guardò con una faccia stranita, non capendo le sue intenzioni, ma almeno non era più tesa come prima. Le sue spalle si rilassarono e lentamente riunì i piedi, abbandonando quella posizione di difesa, che era pronta a scattare in qualsiasi momento.
<< Mi chiamo Matteo.>> si presentò lui, cercando di conquistare la sua fiducia. Lei annuì, però continuò a stare in silenzio.
Lui rise << Sai>> iniziò << In questi casi le persone si presentano, dicendo i loro rispettivi nomi, e poi tipo si parla di cose a caso come: Qual è il tuo film preferito? Preferisci mare o montagna? O—>>
<< Mare.>> rispose lei subito.
Lui sorrise << Buono a sapersi.>>
Rimase ad osservarla ancora per un po’. E dopo aver capito che la maggior parte della conversazione doveva farla lui si mise all’opera, cercando di trovare le domande giuste (o almeno così crede che siano).
<< Allora>> batté i palmi delle mani sulle sue ginocchia << Se non mi vuoi dire il tuo nome, posso almeno sapere cosa sei? Sono abbastanza sicuro che l’ultima volta che mi sono controllato la schiena questa non aveva delle gigantesche ali nere ad abbellirla.>>
Lei ridacchio, scuotendo la testa, lo guardò dritto negli occhi << Sono un angelo.>> disse seria.
Lui apri la bocca a formare un Oh silenzioso, sorpreso da quella risposta.
<< Ma tu hai le ali nere. Essendo un angelo non dovresti avere, tipo che ne so, ali bianche e pure come la neve e un aureola?>> chiese stupidamente.
<< E magari dovrei avere anche un arpa e una tunica bianca, giusto?>> chiese, prendendolo in giro per i suoi stereotipi.
Matteo arrossì vigorosamente. Cosa ne poteva sapere lui? Per quanto riguardava la sua conoscenza sulle creature soprannaturali (cioè il niente assoluto) poteva benissimo scambiarla per un arpia. Peccato che sembrasse più una ragazza che una creatura per metà donna e per metà uccello.
<< Sono un angelo caduto.>> rispose semplicemente.
<< Quindi… Non sei un vero e proprio angelo.>> osservò.
<< Non ho mai detto di esserne uno.>>
La faccia di Matteo fu ricoperta da un’espressione di pura confusione. Non stava capendo più niente.
Lei sospirò << Sono un angelo, ma non quello che tu pensi. Non sono al servizio di ‘Dio’, anzi tutto il contrario, ho disubbidito, ribellandomi contro di lui. Per questo le mie ali non sono bianche ma nere. Ed è per questo che sono un angelo caduto, perché sono decaduta dal suo stato di grazia.>> spiegò, cercando di essere il più chiara possibile.
Era la frase più lunga che gli avesse sentito dire da quando l’aveva incontrata. Notò come la sua voce fosse profonda e roca, come se non fosse abituata a parlare così spesso, ma la trovava allo stesso tempo armoniosa e a tratti delicata.
Voleva chiedergli cosa avesse fatto per non rientrare nelle grazie di Dio, ma la risposta lo colpì in faccia quando riguardò con attenzione le sue piume.
Erano molto simili, se non identiche, a quella trovata in quel vicolo. L’uomo era stato aperto con una precisione chirurgica sorprendente, e lei aveva un coltello e un pugnale capace di fare questo.
Iniziò a sudare freddo, passando lo sguardo freneticamente dalle sue ali ai pugnali che si ritrovava sul corpo, deglutì, cercando di inumidirsi la bocca ormai secca.
<< Sei tu che hai ucciso quell’uomo quella notte?>> chiese, sperando che non si notasse il tremolio nella sua voce.
Lei rimase in silenzio per un po’, osservandolo, per poi piegare il capo di lato e sorridere, mostrando i suoi denti bianchi.
<< Si.>> rispose semplicemente, come se non fosse niente. << Hai paura ora?>> chiese sempre mostrando il suo sorriso, quasi a segno di sfida.
Lui chiuse le mani in due pugni, cercando di fermarne il tremolio, facendo diventare le nocche quasi bianche per la forza messa e ignorando il simbolo delle mezze lune che si sarebbe formato sul suo palmo.
Aveva davanti a lui l’assassino di quell’uomo. Davanti a lui c’era la causa delle sue notti insonni
, per non parlare del fatto che fosse una creatura pericolosa capace di fare le stesse cose anche a lui.
Prese un respiro profondo.
<< Mentirei se ti dicessi che non ne ho.>> sorrise nervosamente << Ma so che tu non mi farai niente, quindi posso stare tranquillo.>> finì, guardandola dritto negli occhi cercando di reggere il suo sguardo.
<< Ne sei sicuro?>> chiese avvicinandosi lentamente a lui.
Lui trattenne il respiro ma si costrinse comunque a parlare << Si. Altrimenti non starei ancora qui a parlare con te ma sul fondale del mare a fare compagnia ai pesci.>>
Lei rise di gusto << Giusto.>> si fermò davanti a lui << Hai molta fantasia, oltre che fegato.>>
Lui rilassò le spalle, sentendo tutto lo stress e l’adrenalina abbandonare tutti i muscoli del suo corpo.
Lei si inumidì le labbra, raggiungendolo alla sua altezza. << È un vero peccato, mi sarebbe piaciuto parlare ancora con te. Ma ormai sai troppo.>>
Lui sgranò gli occhi e non fece in tempo ad aprire la bocca per chiedere spiegazioni che lei gli avvinghiò una mano dietro al collo e l’altra si strinse in una presa ferrea sul mento. Matteo cercò in tutti i modi di ribellarsi, ma sembrava che lei avesse una forza sovraumana, non riusciva a muoversi neanche di un centimetro. Si fece uscire un verso di lamento dalla bocca, dato da quella impotenza, e poi tutto successe in fretta.
Lei gli infilò quello che a lui sembravano artigli dietro al collo, scavando sotto la pelle, e poi lo costrinse a guardare i suoi occhi, che in quel momento erano diventati di colore oro brillante. Cercò di distogliere lo sguardo ma lei lo teneva troppo stretto a se, decisa a completare quello che aveva iniziato.
Un gemito di dolore uscì dalla sua bocca quando gli artigli di lei abbandonarono il suo collo. Abbassò la testa, non avendo le forze per reggerne il peso, e si portò istintivamente la mano verso la zona colpita. Quando se la mise davanti agli occhi notò come questa fosse ricoperta da strisce di sangue. A quella visione alzò di scatto la testa verso di lei, guardandola con espressione impaurita.
<< Cosa mi hai fatto?!>> chiese nel panico.
Lei sbuffò infastidita da tutta quella melodrammaticità << Tranquillo, non è niente. Ho solo cancellato la memoria del nostro incontro.>>
<< Cosa?!>>
<< Appena ti addormenterai la mattina dopo non ti ricorderai di questa serata e non ti ricorderai di me.>> spiegò, pulendosi il sangue dalle dita.
<< Ma io non voglio dimenticare. Non puoi farlo!>> disse alzandosi in piedi e avanzando qualche passo verso di lei.
<< Si che posso. E tu non hai scelta.>> lo guardò per poi aprire le ali e con uno slancio andare via da lì volando, confondendosi con l’oscurità della notte.
<< Aspetta!>> urlò aggrappandosi all’estremità del pontile << Merda.>>
Si passò ancora una volta la mano dietro al collo per poi lasciarla lì.
Se si fosse addormentato avrebbe dimenticato tutto, quindi tutto quello che doveva fare era restare sveglio.
La domanda era: Quanto avrebbe resistito prima di crollare a terra?
 
 
La centrale era in subbuglio.
Fogli che volavano da una parte all’altra, persone che correvano per andare da stanza a stanza ignorando e spingendo ogni individuo che si trovava nel loro cammino, telefoni che non la smettevano di squillare.
Tutto questo perché era successo di nuovo.
Si massaggiò le tempie con le dita per allievare, almeno di poco, quel grande mal di testa che le era venuto. Rinchiusa nel suo ufficio, Marta stava ricontrollando per la milionesima volta il verbale della stazione di polizia nella provincia dove era stato trovato il cadavere.
Sospirò pesantemente, abbandonandosi allo schienale della poltrona guardando il soffitto e pensando.
La vittima questa volta era una ragazza, giovane da quanto aveva potuto costatare. L’assassino aveva usato lo stesso Modus Operandi* anche per questa vittima. Niente tracce lasciate nel luogo del delitto, niente segni di corde intorno ai polsi o alle caviglie della vittima. Anche lei aveva seguito il suo assassino di sua spontanea volontà. Si coprì gli occhi con i palmi delle mani, premendo più forte del dovuto. Quella ragazza stava per essere identificata di lì a poco grazie all’aiuto del suo collega e della sua squadra, eppure non capiva come le vittime potessero essere così sciocche da fidarsi del loro assassino. Che il colpevole sia una persona di loro conoscenza e di cui si fidano ciecamente? No, non era possibile. Le due vittime non avevano rapporti di nessun genere, e il delitto è avvenuto in due posti abbastanza lontani fra loro.
La porta si aprì di scatto facendola trasalire sul posto per la sorpresa.
<< Non si usa più bussare?!>> sputò acida lei.
Paolo arresto la sua marcia all’interno dell’ufficio e si fece piccolo fra le sue spalle, pentendosi di quello che aveva fatto.
Marta scosse la testa, esausta da tutta quella situazione << Avanti, parla. Cosa c’è?>>
Paolo si riscosse immediatamente sfoderando un sorriso eccitato << Ho delle novità sull’omicidio.>>
Marta si alzò di scatto, e si incamminò verso la porta superandolo << Voglio tutta la squadra in sala riunioni. Adesso!>> disse prima di abbandonare il suo ufficio.
Si ritrovarono dopo cinque minuti nella minuscola sala riunioni. I due agenti, Camilla ed Antonio, si erano già sistemati intorno al tavolo con le loro tazze di caffè. Camilla, persona precisa ed ordinata quale era, si era portata un block notes per prendere appunti, più due penne stilografiche nere (nel caso la prima si fosse scaricata di colpo oppure non scrivesse nel modo perfetto che esigeva lei) posizionate ai lati, nella posizione perfetta, allineate con la direzione del block notes e con i tappi ancora inseriti.
Dall’altra parte Antonio si stava gustando il suo caffè tranquillamente, accompagnandolo con un pasticcino guarnito di cioccolato fondente e posizionato sulla sedia in una posa quasi da spiaggia.
Quei due era gli opposti l’uno dell’altro, ed era per questo che insieme funzionavano bene.
Paolo aprì di nuovo la porta, per poi poggiare i fogli che aveva precedentemente visto nel suo ufficio e posarli sul tavolo per prendere la sua tazza di caffè.
<< Ci siamo tutti?>> chiese Marta, ricevendo un muto assenso << Bene. Cominciamo.>> disse sedendosi a capotavola e lasciando la parola al suo collega.
Paolo si schiarì la voce << Come sappiamo sono successi due omicidi in questo periodo che hanno attirato la nostra attenzione e quella dei media. La prima vittima, Carmine Nitti, come sapete non aveva una buona reputazione. È stato ucciso in un vicolo, non ci sono segni di aggressione quindi supponiamo che la vittima abbia seguito il suo aggressore, fatto ciò gli è stato aperto il petto ed estratto il cuore. Non si sono trovate tracce di DNA e l’unico indizio trovato sulla scena del crimine è stata una piuma nera.>> attaccò delle foto che raffiguravano il cadavere di una ragazza giovane << Il secondo omicidio è avvenuto poco tempo fa in una provincia abbastanza lontana da qui. Anche in questo caso il Modus Operandi è stato lo stesso, la vittima è stata trovata di nuovo senza cuore.>>
<< Sono state lasciate tracce questa volta?>> chiese ingenuamente Antonio.
Paolo scosse la testa << Anche questa volta l’unica cosa che è stata trovata è stata la piuma nera, rinvenuta nel primo omicidio.>>
<< Abbiamo un’identità per questa nuova vittima?>> chiese Marta, assorta con lo sguardo a studiare le foto attaccate al tabellone.
<< Il nome è Simonetta Giuseppini. Studentessa di 20 anni. Ha avuto qualche guaio con la legge per furtarelli nei negozi e guida in stato di ebbrezza. Ma la cosa più grave è la denuncia fatta da parte di una famiglia nei confronti della ragazza per istigazione al suicidio. A quanto pare lei e altre ragazze, ma soprattutto lei, se la prendevano con una ragazza più piccola torturandola sia psicologicamente che fisicamente. Si dice che più volte la ragazza abbia dato alla povera sfortunata strumenti per aiutarla a commettere il suicidio come pillole, taglierini e dandogli anche consigli su come e dove farlo.>> Paolo rabbrividì per un secondo, chiudendo gli occhi per togliersi quell’immagine dalla mente << Inutile dire che la ragazza ci ha provato ma fortunatamente è stata soccorsa prima che fosse troppo tardi. L’accusa però è stata archiviata per mancanza di prove e quindi la ragazza se l’è cavata senza andare in prigione.>>
<< Abbiamo una sorta di giustiziere.>> rise Antonio.
Marta lo fulminò con lo sguardò << Qui non si parla di giustizia, qui si sta parlando di vendetta e massacro.>> sibilò, facendo rimpicciolire Antonio nella sua sedia.
<< Per quanto riguarda la piuma.>> continuò Marta rivolgendo l’attenzione di nuovo su Paolo << Che mi dici su quella, la scientifica ha trovato qualcosa?>>
Paolo si riscosse dal suo stato di trance e si mosse per prendere il telefono << Ehm, diciamo di sì. Ti metto in comunicazione con Patrick, sta sull’altra linea.>> disse alzando la cornetta e premendo il tasto del vivavoce così che tutti potessero sentire la sua voce.
<< Salve, signori. Ottimo giorno per catturare cattivi, non trovate?>> la voce metallica di Patrick prodotta dal telefono si disperse nella stanza.
<< Lo dico tutti i giorni anche io Patrick.>> disse Marta sorridendo << Allora, che novità sai darmi su questa fantomatica piuma?>> chiese appoggiando le mani sul tavolo, in trepidante attesa della scoperta.
<< Ho il nulla.>> rispose semplicemente Patrick.
Marta trattenne il respiro per poi << Cosa significa?!>> chiedere agitata.
<< Che ho analizzato la piuma più e più volte, in diverse posizioni e modi e tutto quello che mi è uscito è il nulla. Non appartiene ad un uccello e non appartiene neanche ad un capo sintetico. Il nulla.>> disse sottolineando il concetto.
Marta sospirò << Okay, grazie lo stesso. Ottimo lavoro.>>
<< Di nulla, Capo>>
<< Tienimi aggiornata in caso scoprissi qualcosa in più sul nuovo cadavere.>>
<< No problem.>> rispose per poi attaccare ed interrompere la comunicazione.
Nella sala piombò di nuovo il silenzio, interrotto a volte solo dall’incessante scrivere di Camilla.
<< Ci sono testimoni per il secondo cadavere?>> chiese, dopo aver finito di scrivere sul suo block notes.
Paolo la guardò per poi scuotere la testa << Nessuno ha visto niente. Le uniche chiamate ricevute sono state quelle per l’avvistamento del cadavere.>> finì, sconsolato di non avere niente tra le mani. Neanche uno straccio di prova.    
Marta batté la mano sul tavolo con forza << Cosa sono questi musi lunghi?! È vero che non sappiamo ancora chi è stato ma almeno abbiamo qualche indizio. Sappiamo come opera l’assassino e sappiamo che le vittime prescelte sono quelle che hanno dei peccati nelle loro vite.>> disse per poi rivolgersi a Camilla << Voglio che mi tu mi dia un iniziale tratto psicologico dell’assassino, voglio sapere come pensa e perché sceglie proprio quelle vittime. So che ti sto’ chiedendo tanto visto le scarse informazioni che abbiamo, ma credo che tu ce la possa fare.>> le sorrise, ottenendo così un cenno di assenso da parte di Camilla.
Spostò il suo sguardo poi verso i due uomini << Voi due! Voglio una lista delle persone con la fedina penale più sporca che esista. Una volta è un caso, due è una coincidenza e la terza volta è una pista, e noi non ci possiamo permettere un altro omicidio. Dobbiamo giocare di anticipo.>> i due annuirono, decisi e speranzosi in quella nuova carica data dal loro capo << La ricerca deve coprire questa citta e le province più vicine. Chiunque potrebbe essere il prossimo, quindi state attenti.>>
Guardò di nuovo le foto di quella ragazza, soffermandosi sul viso ormai pallido e privo di vita << Io mi occuperò di tenere buona la stampa. Voglio tutte le energie concentrate su questo caso, intesi?>>
<< Si, Capo.>> risposero all’unisono.
<< Perfetto.>> disse alzandosi << La caccia è iniziata.>>
 
 
<< Perché hai due tazze giganti di caffè fra le mani?>> chiese Giorgio studiando l’amico.
Aveva evitato quella domanda il più possibile, e cioè due giorni.
48 ore di veglia continua, senza chiudere occhio.
Le cose sembravano facili le prime ore, non sentiva uno straccio di sonno e i suoi occhi non erano aperti ma spalancati. La sua mente lavora ancora più in fretta di prima e poteva o non poteva aver pensato di poter correre anche una maratona in quelle condizioni.
Ma ora che era Martedì ed erano quasi tre giorni che non dormiva, iniziava a sentire sul suo corpo l’assenza delle ore di sonno.
<< Perché non posso dormire.>> rispose svogliato Matteo a Giorgio.
Giorgio lo guardò con un cipiglio strano.
<< Perché non puoi— No, non voglio saperlo. Fai come ti pare, basta che non ti ammazzi.>> disse Giorgio alzando le mani e arrendendosi davanti alla pazzia del suo amico.
Da una parte era sollevato che non gli avesse chiesto il perché. Non poteva raccontargli di quell’incontro, altrimenti tutta quella fatica sarebbe stata vana.
Un dubbio gli assali in quel momento e non poté tenere a bada la sua lingua.
<< Secondo te quanto tempo si può stare senza dormire?>> chiese a Giorgio.
<< Teo… non ne ho la minima idea, non mi sono mai fatto queste domande! È così importante questa cosa per te?>>
Matteo annui lentamente, prendendo un sorso di caffè e implorandolo con lo sguardo di aiutarlo.
Giorgio emise un verso frustato << Non fare quella faccia da cucciolo con le occhiaie che ti ritrovi! Non funziona!>> Matteo abbassò il capo guardando il suo caffè, abbattuto da quella risposta.
Giorgio sospirò << Ohh, e va bene! Andiamo in sala informatica, su Internet troveremo qualcosa.>>
Matteo si risvegliò di scatto e si precipitò a buttare le braccia intorno al collo di Giorgio con i caffè ancora in mano, pronunciando una serie infinita di grazie.
<< Teo, basta! Guarda cosa guadagno ad aiutarti.>> disse fingendosi scocciato.
Matteo mollò la presa, finì i suoi due caffè in un unico sorso e si diressero insieme verso la sala d’informatica.
 
<< Hai trovato qualcosa?>> chiese Matteo mentre si stropicciava gli occhi, cercando di non chiuderli.
<< Beh>> iniziò Giorgio << Qui dice che il record raggiunto da una persona senza dormire è stato 11 giorni. Tu a che giorno sei?>>
<< Quasi al quarto.>> disse con una pizzico di speranza alla scoperta di quella notizia.
<< Oh, quindi stai solo all’inizio.>> rise Giorgio, ricevendo una spinta dal suo amico.
<< Cercami i modi per rimanere sveglio mentre io vado in bagno, tutto quel caffè mi sta facendo scoppiare la vescica.>> si portò una mano allo stomaco.
<< D’accordo. Vedi di non addormentarti sulla tazza del cesso!>> gli urlò Giorgio mentre stava uscendo.
Percorse tutto il corridoio alla ricerca di un bagno decente e con la porta funzionante. Mentre camminava si mise a fissare le mattonelle, perso nei suoi pensieri.
Erano passati tre giorni dall’incontro con quella creatura. I segni dietro al collo erano spariti già la mattina dopo, non lasciando neanche una cicatrice. Era tornato al pontile quella sera e la sera dopo, cosa inutile visto che non l’aveva trovata. Ma lui non voleva mollare, non voleva dimenticare quella creatura, però non sapeva quanto sarebbe potuto resistere. E con lei che non si faceva trovare sicuramente poco tempo. O almeno fino ad 11 giorni. Crede.
Assorto nei suoi pensieri andò contro a qualcosa, ritrovandosi presto a terra.
Si massaggiò la schiena dolorante per poi alzarsi per vedere contro cosa era andato a sbattere. O meglio chi.
<< Alice!>> esclamò, sbarrando gli occhi per la sorpresa. La vide massaggiarsi il collo e vagare con lo sguardo intorno a lei, tra tutti i fogli che la ricoprivano.
Si affrettò ad inginocchiarsi e ad aiutarla a raccoglierli << Mi dispiace, non stavo guardando dove camminavo ed ero sovrappensiero e—>>
Lei rise << Tranquillo Matteo, gli incidenti capitano.>> disse raccogliendo gli ultimi fogli.
Lui sorrise. Era da tanto che non sentiva la sua risata e non si rivolgeva a lui con così tanta naturalezza, senza astio. Passò i fogli che aveva raccolto alle sue mani << Che cosa ci devi fare con tutta questa roba?>> chiese notando la montagna di fogli che aveva in mano.
<< Oh, la prof. di Italiano. Mi ha detto di fare tutte queste fotocopie e di mettere a posto i compiti della scorsa settimana. Credo mi odi.>> constatò alla fine.
<< Cavolo, deve essere una rottura. E fidati io ne so qualcosa.>> l’immagine del prof. Mazzi gli si manifestò davanti agli occhi, facendolo rabbrividire.
<< Nah, il sentimento è reciproco.>> ghignò, per poi << Grazie di avermi aiutato a raccogliere i fogli.>> dire indicandoli con un cenno del capo.
Matteo diventò rosso, ricordandosi della figura appena fatta << Di niente. Anzi scusa ancora per esserti venuto addosso.>>
<< Ci vediamo, allora.>> lo salutò per poi continuare il suo cammino verso l’aula professori.
Lui restò lì impalato per qualche secondo, indeciso sul da farsi, per poi << Fanculo!>> dire e seguirla << Alice, aspetta.>> la chiamò per attirare la sua attenzione << Posso aiutarti?>> chiese
<< E in che modo, di grazia?>> chiese con un sopracciglio alzato.
<< Fidati, ho le mie conoscenze.>> rispose, facendole un occhiolino.
 
<< Tu sei in debito con me a vita.>> sussurrò Betta mentre stava ancora lavorando con la fotocopiatrice.
<< Lo so, lo so. Però non ti faccio annoiare, no?>> sorrise passandogli un altro foglio.
<< Taci! Piuttosto>> si avvicinò ancora di più a lui per non farsi sentire da Alice che si trovava poco distante da loro << Chi è quella ragazza? E perché la stai aiutando?>> chiese indicandola con un cenno del capo.
<< Oh, lei è Alice. È nuova di qui.>> disse guardando la ragazza << E la sto aiutando perché sono una persona altruista, che aiuta sempre il prossimo in questa società di egoisti.>>
Betta sbuffò fuori una risata << Certo, e io sono la regina d’Inghilterra Elisabetta. Non sarà una delle tue bravate da una notte e via vero? Ne voglio restare fuori da queste cose.>>
<< Assolutamente no, vostra maestà.>> disse inchinandosi al suo cospetto.
<< Piantala. E sparisci dalla mia vista.>> gli diede una leggera botta con il pacco di fogli per poi consegnarglieli.
Matteo li prese e lasciò un bacio sulla guancia a Betta << Sei sempre la migliore!>> urlò per avvicinarsi ad Alice e consegnargli le ultime fotocopie.
Alice lo guardò con gratitudine e sollievo << Grazie mille. Ci avrei impiegato tutta la giornata se non fosse stato per te.>> sorrise.
<< Di niente. Almeno ora tu non ce l’hai più con me per quel fatto.>> disse gongolandosi sul posto.
La faccia di Alice si tramutò completamente da felice a pensierosa, e lui fu sicuro di rivedere innalzarsi quel muro. Provò a dire qualcosa ma Alice lo bloccò sul nascere << Scusa, ora devo andare. Ti consiglio di dormire un po’ hai un aspetto terribile.>> e se ne andò via, dritta verso la sua classe.
Matteo rimase lì a guardarla impotente, non sapendo cosa fosse successo o dove avesse sbagliato.
Betta gli si avvicinò studiando meglio la sua faccia << Non ha tutti i torti la ragazza.>> le fece notare.
Matteo sospirò. Era stanco.
 
Giorgio aveva trovato degli utili consigli su Internet. Come quello di ascoltare musica metal o vedere film horror così da essere sicuri di non poter chiudere occhio nemmeno un secondo per la paura. A scuola era Giorgio a guardarlo, a tenerlo occupato e a scuoterlo se per caso stava per addormentarsi. Erano passati sette giorni senza sonno e lui voleva solamente morire, perché almeno così avrebbe dormito (per un bel po’ almeno). Era andato tutti le notti al pontile, senza trovarla. Ogni volta restava lì fino a tardi finché non sentiva le palpebre farsi pesanti e allora doveva muoversi per tornare di nuovo sveglio.
Dopo tutto quel tempo aveva deciso che se neanche quella sera si fosse presentata, avrebbe mollato. Non sapeva se lo intendeva veramente perché non gliela voleva dare vinta, ma di questo passo sarebbe stato il suo corpo a decidere per lui.
Così, arrivata la sera, prese chiavi, portafoglio e iPod e si avviò verso il suo posto segreto, che ormai non era più solo suo.
Durante il viaggio giurò di aver sentito delle persone chiamarlo più volte e di aver visto la coda di una sirena tra le onde del mare, ma arrivati a quel punto doveva aspettarsele le allucinazioni date alla mancanza di sonno. O almeno sperava fossero allucinazioni e non fosse diventato matto tutto insieme.
Arrivato al pontile mise le tavole di legno in riga e le attraversò con non poca difficoltà, rischiando di cadere sotto più di una volta.
Attraversò il resto del pontile a testa bassa, sicuro di non trovarci niente come le altre sere. Ma appena vide delle piume toccare terra iniziò a correre pregando che non fosse un’allucinazione.
<< Ehi!>> urlò, come la priva volta.
La creatura si girò di scatto, portandosi una mano verso i dardi, per poi sbarrare gli occhi riconoscendo la persona.
<< Tu…>> sussurrò così piano che sembrò essere solo il rumore del vento per pochi secondi.
Matteo scoppiò a ridere, una risata isterica, un misto tra felicità e pianto << Non posso crederci! Ti ho trovata, dopo tutte queste notti. E non sei neanche un’allucinazione!>> iniziò ad ululare come i lupi per la gioia, saltando da una parte all’altra.
Lei scese dalla balaustra avvicinandosi lentamente a lui, scioccata da quella scena << Tu ti ricordi di me?>> chiese incredula, con un tremolio presente nella sua voce.
<< Oh Dio, certo che sì!>> le sorrise.
<< Come puoi—>>
<< Non ho dormito per sette giorni! Non ho chiuso occhio perché non volevo dimenticare.>> rise nervosamente, non credendo ancora ai suoi occhi.
<< Tu sei matto.>>
<< No, sono solo un ragazzo che vuole conquistare la tua fiducia.>> si fermò per poi << Che potrebbe essere considerato anche un sinonimo di matto, ora che ci penso.>> continuare, passandosi una mano nervosa tra i ricci biondi.
<< Perché?>> chiese semplicemente stupita. Poche parole, ma quelle giuste.
Lui si guardò intorno per poi sorridere << Non lo so. Forse sono solo curioso di scoprire il tuo mondo o forse sono semplicemente matto o forse non ho niente da perdere o forse voglio solo conoscerti meglio perché sei una creatura meravigliosa.>> si accorse solo dopo di cosa aveva detto, arrossì scosse la testa e continuò deciso a convincerla << Non ho detto a nessuno di te e del nostro incontro, non sono andato dalla polizia e cavolo, non ho dormito per sette giorni pur di ricordarmi di te. Dici che adesso sono degno della tua fiducia? Posso avere il mio ricordo indietro?>> la pregò, guardandola negli occhi con sincerità e una muta richiesta di accettarlo dopo tutto quello che aveva fatto.
Lei chiuse gli occhi per poi inspirare ed espirare pesantemente. Iniziò a percorrere avanti e indietro quel pezzo di pontile, portandosi le mani a stringere le braccia spasmodicamente alcune volte. Sembrava stesse affrontando una battaglia interiore e tutte e due le fazioni sembravano essere abbastanza forti.
<< Ti prego…>> sussurrò, non riuscendo più a reggere quella tensione, e magari aiutandola a prendere la decisione giusta.
Lei si fermò di colpo, abbandonando le braccia lungo i fianchi con i pugni serrati e le spalle rigide dalla tensione. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per rilassarsi.
Puntò di nuovo gli occhi verso di lui e si avvicinò lentamente.
Matteo non si mosse, era pronto, qualsiasi fosse stata la sua decisione. Si fermò a poca distanza da lui. Lo guardò, ed aprì le ali di scatto. Prese una piuma nera staccandola, facendo nascere un gemito di dolore e poi la chiuse fra i due palmi delle mani in una presa stretta a pugno. Chiuse gli occhi, e dopo un tempo che parve infinito, li riaprì mostrando l’oro che ormai si era impadronito dell’iride come la prima volta. Fissò il palmo della mano, per poi aprirlo scoprendo un piccolo cumolo di polvere nera, somigliante quasi alla cenere. Lo guardò negli occhi e glielo soffiò in faccia.
In un primo momento si ritrovò spaesato, ma la polvere non gli diede fastidio. Anzi sembrava fargli più che bene.
<< Fatto. Ti ho ridato il ricordo del nostro incontro. Non farmene pentire.>> finì.
Lui sorrise mostrando tutti i denti << Grazie…>> mormorò, prima di cadere sulle sue ginocchia e vedere tutto nero. Il suo corpo non aveva retto più.
 
Si risvegliò la mattina dopo, con il sole abbastanza alto nel cielo e con la schiena poggiata al freddo legno del pontile. Aprì gli occhi lentamente, schermandoli con la mano a causa della luce del sole troppo forte. Si alzò lentamente sentendo ogni osso scricchiolare, producendo dei sonori pop a mano a mano che si metteva in piedi.
Si guardò intorno riconoscendo il pontile. Portò una mano alla faccia per strofinarsi gli occhi e immediatamente si rese conto di quello che era successo. Aveva dormito, ma si ricordava ancora tutto.
Sorrise, alzando le braccia al cielo in segno di vittoria. E fu in quel momento che notò che un bigliettino era rinchiuso fra le sue mani.
Lo aprì trovandoci dentro una sola parola, scritta con una calligrafia molto elegante e raffinata.
Noelle





 
*Modus Operandi (a volte usato nella sua forma abbreviata M.O.) è una locuzione latina, traducibile
approssimativamente come "modo di operare" o "modalità operativa".
Il termine, il cui plurale è modi operandi, viene utilizzato in numerosissimi contesti, in particolare lavorativi, per indicare delle specifiche modalità operative relative a procedure o a generiche operazioni di lavoro, oppure a modi di agire.L'espressione viene a volte usata ad esempio nel lavoro dei poliziotti per descrivere i tratti caratteristici e lo stile di operazione di un criminale.

 
Angolo autrice
Salve, è da un po' che non ci si vede. 
Oltrepassando le scuse per lo spaventoso ritardo, spero che il capitolo sia di vostro gradimento perchè a me in primis soddisfa molto. Finalmente abbiamo il primo incontro fra l'angelo e Matteo e inoltre veniamo a conoscenza del suo nome.
Perdonatemi nel caso troviate errori di distrazione o simili, ho avuto poco tempo per riguardarlo.
Ringrazio tutti quelli che legeranno o recensiranno la storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
A presto.
E. xx

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Capitolo 13
*** Black Mamba ***


Capitolo 12
Black Mamba



Erano tre settimane che andava in quel luogo ormai. La incontrava il sabato sera e restavano lì a parlare, soprattutto lui, di qualsiasi cosa, oppure restavano in silenzio a godersi la bellezza del paesaggio di notte. Non sapeva mai quanto potesse durare il loro incontro. Era lei a deciderlo. A volte durava 10 minuti, altre mezz’ora e altre ancora potevano durare 2 ore, fatto sta che era lei a decidere di mettere la parola fine alzandosi e volando via, senza dire niente. E a lui andava bene così. Non l’avrebbe mai costretta a fermarsi più del voluto, soprattutto se non voleva, sarebbe stata lei a deciderlo. Con il tempo si sarebbe fidato di lui. O almeno sperava.
Quella mattina, come tutte le altre da lì a tre settimane, era raggiante, spensierato e, se poteva osare, anche felice. Tutto quello gli stava facendo bene. Anche se non sapeva come avrebbe potuto chiamare quello, comunque si sentiva bene e questo era l’importante. Peccato che una punta di amarezza c’era sempre, e quegli attimi avevano un solo nome e un volto con incastonati due smeraldi verdi al posto degli occhi: Alice.
Non capiva cosa le prendesse. Un minuto prima era carina con lui, scherzava e rideva come se fossero amici di vecchia data che non si vedono da un sacco di tempo, e il minuto dopo ritornava silenziosa, fredda e schiva, innalzando quei muri che Matteo era stanco di vedersi puntati in faccia, quasi come si prendessero gioco di lui e della sua incapacità di superarli.
Era sdraiato sul banco, con il braccio proteso verso il vuoto, mentre faceva finta di ascoltare ‘l’interessante’ lezione di economia del professore. Le lancette dell’orologio appeso alla parete facevano un rumore infernale, facendo pesare a Matteo ogni secondo della sua prigionia in quel luogo. Sbuffò, tirando fuori il telefono dalla tasca, stando attendo a non farsi beccare.
 
A Roscio
Mi annoio. Ci vediamo tra cinque minuti in giardino.
 
Inviò il messaggio, ricevendo subito la risposta dal suo migliore amico.
 
Da Roscio
Roger! Stai attento a Batman che gira nei corridoi.
 
Sorrise nel leggere quel messaggio. Batman non era altro che il suo odiosissimo professore di matematica, il prof. Mazzi, e lui naturalmente era Joker. Aveva un’insana passione per quel fumetto. Fin da piccolo non gli era mai piaciuto Batman, come tutti i bambini normali. No, lui andava per il Joker, per il cattivo di turno. Non se ne spiegava il motivo, ma la sua pazzia, il suo senso della giustizia e dell’ordine dell’universo lo affascinavano. Soprattutto dopo l’interpretazione straordinaria di Heath Ledger, si era innamorato ancora di più di quel personaggio. E, come Joker, anche lui aveva il suo Batman. Certo forse non ricco e più spelacchiato di quanto dovrebbe essere, però nessuno si sceglie i propri nemici.
Alzò la mano e chiese al professore di uscire, inscenando un finto mal di pancia e passò per i corridoi, controllando più volte che la via fosse libera. Non fu abbastanza fortunato però. Era quasi arrivato al giardino quando vide il suo Prof. intento ad attaccare alcuni fogli alla bacheca della scuola.
<< Questa non ci voleva…>> sussurrò nascondendosi meglio dietro l’angolo della parete. Quella era l’unica via per arrivare a destinazione, e se l’avesse beccato l’avrebbe sicuramente rispedito in classe. Era così concentrato nel pensare su come passare inosservato che non si accorse di quello che gli stava accadendo intorno.
<< Perché ci stiamo nascondendo?>> sussurrò una voce.
Matteo si portò una mano al cuore, saltando per aria per la sorpresa, spaventato dal constatare che non era solo come credeva. Quando i battiti del suo cuore furono tornati normali e il suo sguardo focalizzò la figura che si trovava davanti, intenta a trattenere malamente una risata con la mano, tirò un sospiro di sollievo.
<< Alice. Mi hai fatto prendere un colpo.>> parlò piano, continuando a tenersi la mano sul petto per lo spavento.
<< Lo so, scusa, ma non ho potuto resistere.>> rise di nuovo.
Matteo scosse la testa, prima di sporgersi e vedere se il nemico li aveva sentiti. Fortunatamente non era successo.
<< Allora…>> riprese Alice << Perché ci stiamo nascondendo?>>
Matteo sospirò, scansandosi e invitando Alice a dare un’occhiata al suo problema. Lei si avvicinò lentamente, rimanendo sempre nascosta e diede un’occhiata per poi girarsi verso di lui.
<< Oh, capisco. Tu vuoi andare fuori ma se il Prof. ti becca niente più libertà. Corretto?>> chiese cercando la conferma alla sua teoria.
<< Esatto. Non so come spostarlo da lì o passare senza che lui mi veda.>> disse affranto.
Alice restò in silenzio, per poi controllare un’altra volta la situazione e << Ci penso io, tu aspetta il mio segnale.>> dire, senza lasciare il tempo a Matteo per protestare che già si era diretta verso il professore.
<< Mi scusi Prof!>> urlò quasi Alice.
<< Dimmi, mia cara.>> disse il professore con un sorriso viscido sul volto.
Alice iniziò a stringersi tra le spalle, passando il peso da un piede all’altro, sollevando ed abbassando più volte lo sguardo, quasi come non riuscisse a reggere quello di lui o si vergognasse solo a guardarlo in faccia.
Matteo spalancò la bocca a quella scena. Stava recitando la parte della ragazza dolce e indifesa? Lei? La stessa ragazza che aveva steso 7 persone, compreso lui, in un combattimento corpo a corpo? Non poteva credere ai suoi occhi. Quella ragazza recitava pure bene! Troppo bene per i suoi gusti.
<< Non vorrei disturbarla, so che è molto impegnato, ma ho bisogno di lei. Può aiutarmi?>> chiese con quell’aria da finta innocente.
<< Ma certo! Cosa ti serve?>>
<< Ecco il fatto è che… devo prendere delle cose nella sala professori per conto della mia professoressa. Ma, essendo nuova di qui, non so dove sia. Potrebbe accompagnarmici?>> domandò con occhi da cucciolo bastonato.
Gli avrebbero dovuto consegnare l’Oscar per la miglior interpretazione di ‘bambina innocente’.
<< Nessun problema. Seguimi mia cara.>> disse precedendola.
Alice si girò verso Matteo facendogli segno con la mano di uscire fuori e muoversi.
<< Lei non sa che grande favore mi stia facendo.>> continuò a parlare, cercando di non destare sospetti.
Matteo corse verso l’entrata che dava al giardino, per poi mimare un “grazie” ad Alice, che gli rispose con un occhiolino.
Forse quel giorno era uno di quei giorni buoni per lei, si mise a pensare Matteo.
 
 
<< Ce ne hai messo di tempo.>> constatò Giorgio, già sdraiato sotto l’albero.
<< Lo so, scusa. È stato più difficile del previsto.>> sbuffò, prima di sedersi vicino al suo amico.
<< Joker ha vinto ancora però.>>
Sorrisero entrambi.
Rimasero per un oretta buona a non fare niente. Godendosi le ultime giornate di sole e di caldo, prima che arrivasse l’inverno a rovinare le loro uscite. Anche in quel caso avrebbero avuto un posto dove nascondersi e perdere tempo, ma niente batteva le giornate passate sotto a quell’albero stupendo.
<< Sabato vado in un locale, il Black Mamba, ho un tavolo riservato.>> disse tranquillamente, con gli occhi ancora chiusi e il volto rivolto verso l’alto.
Matteo lo guardò stupito. Il Black Mamba era uno dei locali più famosi della città, era raro che si trovasse posto e ancora più raro ottenere un tavolo lì, vista anche l’esigua somma che serviva per ottenere anche solo un posto.
<< Come fai a permetterti un tavolo lì?!>> chiese infatti ancora sconvolto dalla notizia.
<< Infatti non ho mai detto di averlo preso io. E stato Johnny a prenderlo e mi ha invitato.>>
 Johnny era il loro nuovo pusher. Quello vecchio Matteo non voleva neanche considerarlo, il viscido aveva fatto troppi danni. Soprattutto a Giorgio.
<< Perché ti ha invitato?>> chiese curioso Matteo.
Giorgio alzò le spalle e sbuffò << Non lo so. Ha detto che voleva festeggiare qualcosa, non sono andato a fondo nei particolari, e mi ha chiesto se volessi festeggiare con lui e io ho accettato.>>
Matteo annuì. Chiuse gli occhi e si appoggiò di nuovo al tronco, credendo che quella conversazione fosse finita. Si sbagliava.
<< Tu vieni con me, vero?>> chiese Giorgio, con un tono che non la faceva sembrare una vera e propria domanda ma solo una conferma del fatto che lui venisse.
Matteo lo guardò, aprì la bocca per rispondere ma non riuscì ad uscirne nessun suono. Così Giorgio lo precedette.
<< Se mi dici ancora che non puoi ti spacco la faccia.>> iniziò il suo amico, delicatamente. Si girò verso di lui e lo guardò dritto in faccia con quegli occhi di ghiaccio << Senti Teo, sono tre settimane che non esci con me, sparisci e non ti degni nemmeno di dirmi dove cavolo passi tutti i Sabato sera facendomi preoccupare come un dannato! Direi che almeno un’uscita me la merito, no?!>>
Matteo si ritrasse leggermente, visto l’avvicinarsi di Giorgio dato lo sfogo del momento. Si inumidì le labbra con la lingua << Io… Io non posso dirti dove vado. Non posso. Davvero.>> iniziò titubante << Però se vuoi che io venga va bene, verrò a questa festa.>>
Giorgio lo squadrò per qualche minuto, per poi ritornare alla sua posizione iniziale, ritenendosi soddisfatto della risposta. Intanto Matteo era immerso nel suo mondo di pensieri. Se fosse andato alla festa non avrebbe incontrato Noelle quella sera. Come avrebbe fatto ad avvisarla che non ci sarebbe stato? E se poi non si fidasse più di lui? Dall’altra parte il suo amico aveva anche ragione. Era quasi un mese che non usciva più con lui, sparendo quasi dalla sua vita se non fosse stato per la scuola. Sospirò, capendo che bisognava rinunciare a qualcosa qualche volta, e per questa volta scelse di rinunciare a lei.
Un pensiero attraversò la sua mente, fulminandolo.
<< Ehi, a questa festa viene anche Nastia vero?>> chiese con un particolare luccichio negli occhi.
<< Ovvio.>> rispose Giorgio semplicemente.
<< Quindi… si possono invitare altre persone, corretto?>> chiese ancora, non riuscendo a nascondere il suo entusiasmo per quella situazione.
<< Credo di sì.>> Giorgio lo squadrò da capo a piedi << Teo, cosa—>>
<< Perfetto. Devo solo chiedere ad Alice di venire con me.>>
Giorgio alzò gli occhi al cielo << Perché non mi sorprende il fatto che pensassi a lei adesso?>> chiese ironicamente.
<< Devo solo trovarla e chiederglielo, semplice. E poi oggi sembra uno di quei giorni in cui sembra andargli tutto bene, quindi le mie probabilità di successo sono molto elevate.>> continuò, non prestando minimamente attenzione al suo amico.
<< Certo! Direi che non vede l’ora di uscire con te, visto come sono andate le ultime settimane, per non parlare di Erica che— EHI! Dove stai andando?!>> gridò Giorgio, vedendo il suo migliore amico correre all’interno della scuola.
<< Vado a compiere l’impossibile.>>
Giorgio scosse la testa. Si accese una sigaretta e guardò verso la direzione che aveva preso precedentemente il suo amico << È troppo impulsivo quel ragazzino!>> disse prima di prendere un tiro e soffiare fuori una nuvola di fumo che si disperse trasportata dal leggero venticello di fine Novembre.
 
 
Si trovava davanti alla sua classe, continuando a fare avanti e indietro, sparlando e provando più volte il modo in cui avrebbe chiesto ad Alice di uscire.
<< “Ehi Alice! Senti il mio pusher festeggia qualcosa, non chiedermi cosa ma è qualcosa, e mi ha invitato. Vuoi venire?” Assolutamente no, non verrebbe mai.>> si passò una mano sulla faccia << “Alice, l’amico di Giorgio, il quale è un pezzo di pane, una persona dall’animo nobile, pulito come il miglior cristiano, ha un tavolo in un locale e mi ha detto di portare qualcuno. Vieni con me?” Ma no! Dio santo, mi rifiuterei anche io se sentissi queste parole. Pensa, Matteo, pensa!>> disse iniziando a tirarsi i ricci, frustrato dalla sua incapacità. Eppure lo aveva già fatto prima. Aveva già chiesto a milioni di ragazze di uscire con lui e non aveva dovuto fare nessuno sforzo. Ma Alice…. Era Alice. Era diverso, non sapeva in cosa, ma ci teneva a fare le cose per bene.
<< Se continui a tirarti i capelli così diventerai calvo, lo sai?>> scherzò Alice, che in quel momento si trovava dietro di lui.
<< Invece tu dovresti smetterla di spuntare così dal nulla facendomi prendere dei mini infarti, lo sai?>>
<< Oh, mi dispiace tanto, ma sai stavo cercando di salvare le chiappe ad un amico per incoraggiare il suo oziare giornaliero.>> disse incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
Matteo rise << Il tuo amico nulla facente ti ringrazia molto.>>
<< Non c’è di che. Ora, dovrei entrare in classe. Quindi ti lascio al tuo monologo tormentoso e alquanto masochista.>>
<< Aspetta.>> disse, prendendola per il polso e trattenendola dalla sua fuga << Devo chiederti una cosa.>>
Lei guardò prima il suo polso e poi lui, con una faccia abbastanza confusa. Poi si girò completamente verso di lui, incoraggiandolo a continuare.
Matteo lasciò la presa su di lei, e iniziò a sfregare le mani fra di loro. Evidenziando quanto fosse agitato.
<< Ecco… il fatto è… quello che voglio chiederti…. Insomma…>> iniziò in modo pessimo.
La faccia di Alice diventò ancora più confusa. Matteo voleva prendersi a schiaffi in faccia da solo. Era solo una ragazza! Lo aveva già fatto altre volte, e continuando così avrebbe solo fatto la figura dello scemo.
<< Oh, fanculo!>> imprecò prima di << C’è una festa ad un locale, Giorgio ed Anastasia ci vanno e hanno invitato anche me, e mi chiedevo se ti andrebbe di venirci… con me.>> chiedere tutto d’un fiato.    
In un primo momento vide un’espressione sorpresa dipinta sul volto di lei, ma sparì in pochi secondi senza dare neanche a Matteo l’idea di pensare se avesse fatto la cosa sbagliata, così gli rispose.
<< Hai il tuo cellulare qui?>> chiese Alice.
Matteo rimase interdetto davanti a quella domanda ma una volta metabolizzate le parole prese a frugare dentro la tasca dei suoi pantaloni e gli porse il suo cellulare.
Alice lo prese sorridendo per poi sbloccarlo e iniziare a digitarci sopra qualcosa. Una volta finito glielo restituì sorridendogli.
Matteo guardò prima il telefono e poi lei, non sicuro di quello che fosse appena successo.
<< Ti ho lasciato il mio numero di telefono. Verrò alla festa.>> disse, pregustando la faccia felice di Matteo che venne però interrotta subito da quelle poche parole che lei disse << Ma, verrò solo ad una condizione, che venga anche Erica e che gli trovi un accompagnatore.>> ghignò.
Matteo spalancò gli occhi dall’incredulità << Cosa?! Cioè, Erica può venire per quanto questo mi faccia “piacere”.>> si sforzò per rendere l’ultima parola veritiera, cercando di nascondere il più possibile il suo sarcasmo << Ma come faccio a trovargli qualcuno? È tipo impossibile! Lei allontana chiunque, non riuscirò mai a trovare quello che vuole.>> disse gesticolando preso dal panico. Era come essere vicino alla linea della vittoria ma non riuscire a raggiungerla nonostante lui continuasse a correre, come uno di quei incubi in cui non riesci mai a scappare dal mostro che intanto si avvicina sempre di più a te.
Alice rise << Suvvia, un ragazzo come te sicuramente ci riuscirà.>> gli diede una pacca sulla spalla per poi voltarsi e << Avvisami quando l’hai trovato.>> gridare al nulla.
Matteo restò lì ancora impalato a guardare il suo cellulare, nel panico più totale per quella sfida che sembrava quasi impossibile.
<< Ah>> si voltò di nuovo Alice << Se ha gli occhi azzurri o è moro, hai fatto jackpot.>> per poi andarsene definitivamente.
Quella cosa non lo aveva rassicurato per niente. Si rimise il telefono in tasca, pensando al grande tesoro che adesso conteneva.
Non era così difficile, doveva solo trovare qualcuno che volesse uscire con una ragazza. Se poi quella ragazza fosse Erica, quello era un dettaglio che poteva essere benissimo trascurato.
Aiuto aveva bisogno di aiuto.
 
 
Ad Alice
Ehi Alice, sono Matteo. Ho trovato il nostro uomo. Non sono riuscito a trovare il principe azzurro, ma non ho neanche preso un ranocchio. Questo vuol dire che adesso tu dovrai venire con me alla festa.
 
Da Alice
Wow, complimenti! Devo dire che infondo ci speravo che ci riuscissi, mi sarebbe dispiaciuto non venire.
 
Ad Alice
Ora il mio piccolo cuore non è più spezzato. Mi merito una ricompensa per il mio impegno?
 
Da Alice
VedremoCredi di riuscire a convincermi?
 
Ad Alice
Certo che sì! Voglio dire, hai visto la mia faccia?! Le donne ci vanno pazze.
 
Da Alice
Narcisista. Mi chiedo come ho fatto a resistere fino ad ora…
 
Ad Alice
A fare cosa? A non saltarmi addosso?
 
Da Alice
Che scemo. A non prenderti a pugni in faccia!
 
Ad Alice
Uh, violenta. Mi piace!
 
Da Alice
Devo andare ora. Ci vediamo alla festa, mandami l’indirizzo. Notte Teo.
 
Ad Alice
Notte Ali.
 
Matteo spense il telefono, con un sorriso idiota sul volto. Non sapeva il perché di quella reazione, ma per il momento sembrava andare bene. Non era importante ora. Forse lo sarebbe stato più tardi.
 
 
<< Forse ha deciso di non venire all’ultimo. Ho fatto qualcosa di sbagliato ne sono sicuro!>> si tormentò Matteo, continuando a fare avanti e indietro davanti ai suoi amici.
Anastasia rise, mentre Giorgio sbuffò scuotendo la testa << Oppure ci sta mettendo tanto perché c’è un sacco di traffico stasera o forse perché, non lo so, non conosce il locale perché si è appena trasferita qui?!>> urlò dall’esasperazione.
Matteo continuò a muoversi avanti e indietro, dando segno di non aver ascoltato nessuna delle parole dette dal rosso. Giorgio, stufo, lo prese per una spalla e lo girò bruscamente verso di lui, incatenandolo in una presa ferrea << Teo, calmati! Gesù, sembri una donna con il ciclo. Tu sei Matteo, okay? Nessuna ragazza resiste al tuo bel faccino e ai tuoi riccioli d’oro, okay?!>> chiese conferma Giorgio.
Matteo annuì lentamente, acquistando più sicurezza, ma soprattutto calma.
Lo sguardò di Giorgio si spostò oltre le sue spalle e sorrise << Non avevo dubbi. Buona fortuna amico!>> lo fece girare per poi congedarsi dandogli una pacca sulla spalla e raggiungendo la sua metà.
Matteo rimase paralizzato nella sua posizione, vedendo Alice ed Erica venire verso di loro.
Alice era vestita con un paio di stivali neri di pelle con il tacco che gli arrivavano fino al ginocchio, degli shorts bianchi e una camicia nera. Mentre Erica era molto più delicata nell’abbigliamento. Aveva scelto dei jeans stretti, con una camicia a fiori elegante e delle zeppe.
Una volta che furono arrivate salutarono tutti, poi Alice andò verso di lui e lo salutò.
<< Ciao.>>
<< Wow…>> fu tutto quello che riuscì a dire, senza neanche accorgersene
Alice rise << Bene, cercavo proprio questa reazione.>> disse ammiccando.
Matteo ghignò << Beh, stai molto bene questa sera.>> disse guardandola da capo a piedi.
<< Grazie. Anche tu non sei male. Adoro le camicie a quadri.>>
Prendere nota, pensò Matteo. Poi porse il braccio verso di lei e << Andiamo dentro?>> incoraggiò con lo sguardo. Alice annuì e prese il suo braccio.
Una volta dentro furono investiti dalla musica a palla del locale. Il buio era spezzato dalle luci stroboscopiche che si accendevano e spegnevano a tempo della musica. L’aria era calda, visto l’ammasso di corpi che si trovava in pista, e le loro urla rendevano l’aria più elettrizzante.
Giorgio si avvicinò ad un ragazzo, forse il buttafuori o forse il proprietario, non lo sapeva, non riusciva a vederlo bene. Gli disse qualche parola all’orecchio e poi li condusse al loro tavolo.
Si sederono sulle poltrone. Anastasia e Giorgio al centro, da un lato si trovavano Matteo ed Alice mentre dall’altro si trovavano Erica e il ragazzo che aveva trovato Matteo, Luca.
Alice si avvicinò verso il suo orecchio << Chi è il ragazzo che sta con Erica?>> chiese cercando di sovrastare il volume della musica.
<< Si chiama Luca, è il cugino di Giorgio. E come puoi aver notato, ha gli occhi azzurri.>> disse sorridendogli.
Alice sorrise e si avvicinò pericolosamente alla sia faccia, per poi sussurrare al suo orecchio << Mi stai convincendo a darti una ricompensa.>> per poi allontanarsi e fargli l’occhiolino.
Matteo sgranò gli occhi, trovandosi improvvisamente la gola secca. Alice dopo gli mimò con le labbra un “non abbastanza però” e girarsi verso gli altri.
Matteo si passò una mano fra i capelli ridendo. Vicino, ma mai abbastanza. Lo stava sfidando forse?
Non vedendo ancora arrivare Johnny si fecero tutti due giri di shottini, stranamente anche Erica lo fece. Forse era per allentare la sua tensione, percepibile a tutti, o per non rimanere esclusa. Matteo non lo capì.
Ad un certo punto però non si trovò più Alice accanto, ma la ritrovò in mezzo alla pista, insieme ad Erica, a ballare.
Dopo un po’ Erica si allontanò lasciando Alice da sola, e la musica iniziò ad essere più lenta, riempita con i suoni dei bassi e delle vibrazioni. Lui continuò ad osservarla, come si muoveva lentamente in mezzo a tutti, incrociando il suo sguardo qualche volta, mentre altre lo ignorava del tutto, troppo immersa nella musica. Lui non riusciva a togliere lo sguardo da quello spettacolo, che sembrava come se lei lo stesse facendo per lui. La magia si spezzò quando vide più di un ragazzo avvicinarsi a lei. All’inizio rimase calmo, cercando di regolare i respiri, controllando attentamente ogni loro mossa, assicurandosi che nessuno si avvicinasse troppo a lei. Ma quando uno di loro gli mise le mani sui fianchi lui non ci vide più e partì sparato a razzo verso di lei, ignorando chiunque gli capitasse davanti, spintonandolo se necessario.
Una volta arrivato davanti a quel branco di allupati, allontanò quel ragazzo e avvicinò Alice al suo fianco che, sorpresa, si dovette ancorare bene a lui per non cadere. Li guardò uno ad uno, fulminandoli con lo sguardo per poi ghignare e << Scusate ragazzi. Ma qui non c’è niente per voi, sparite!>> stringere ancora di più Alice verso di lui, con la mano che premeva possessivamente sul suo fianco.
Gli altri sbuffarono e se ne andarono, imprecando qualcosa sotto i denti.
Una volta che il campo fu libero, guardò Alice che nel frattempo non si era spostata di tanto da lui. Lei gli sorrise e si avvicinò al suo orecchio << Ce ne hai messo di tempo.>>
Matteo ghignò, mimando uno “scusa” con le labbra. Lei mise le sue braccia attorno al suo collo e lui le posò, delicatamente questa volta, sui suoi fianchi. Iniziarono a ballare, dimenticandosi chiunque ci fosse intorno a loro, disturbati solo dal rumore della musica e dei bassi che facevano tremare il pavimento. I loro occhi erano connessi fra di loro, verde contro marrone. Anche con tutto quel buio e quelle luci accecanti, riuscivano lo stesso a guardarsi. Lo spazio fra di loro era diminuito di parecchio, mancava veramente poco che i loro petti si toccassero.
<< Matteo!>> urlò Johnny.
Alzò gli occhi al cielo, imprecando. Non poteva scegliere momento peggiore. Johnny si frappose fra di loro dando un caloroso abbraccio a Matteo.
<< Johnny! È bello vederti amico, grazie per l’invito.>> guardò con gli occhi Alice, dispiaciuto per l’interruzione.
Johnny seguì il suo sguardo puntandolo verso Alice << Oh, chi è questa graziosa ragazza? Ti sei finalmente incatenato a qualcuno, bravo il mio Teo!>> gli diede un pugno sulla spalla, per poi girarsi e presentarsi ad Alice.
Si massaggiò la parte colpita, sorridendo imbarazzato per quello che aveva appena detto. Lui ed Alice non stavano insieme, ma quel pensiero sicuramente non gli era dispiaciuto.
Si riscosse dai suoi pensieri e prese Alice per mano, rivolgendosi poi a Johnny << Vieni! Ti porto da Giorgio.>> e si fece strada tra la folla, stringendo ancora di più la presa sulla mano di Alice.
Appena arrivarono davanti al tavolo lo sguardo leggermente alticcio di Giorgio si illuminò, alzandosi appena li vide arrivare << Johnny, vecchio bastardo. Grazie per la bellissima serata!>> brindò alzando il suo cocktail e dando poi un bacio appiccicoso ad Anastasia.
<< Giorgio! Non c’è di che. Sono contento che siate venuti tutti qui per festeggiare questo momento insieme a me.>> disse sorridendo guardando tutti.
Matteo lo guardò confuso e finalmente chiese quello che tutti ormai volevano sapere da un po’ << Che cosa festeggiamo?>>
Johnny rise rumorosamente, mettendosi una mano sullo stomaco per quanto stava ridendo. Una volta calmato si raddrizzò e con un sorriso a trentadue denti disse << La mia donna è incinta!>> rimasero tutti in silenzio per qualche secondo, poi urla e schiamazzi si diffusero per tutto il tavolo. Ognuno si congratulò con lui, soprattutto Matteo e Giorgio che ancora non potevano credere alla sua notizia.
<< Grazie a tutti! Oggi festeggio anche il mio ritiro dallo spaccio. Appena nascerà il bambino non voglio più avere a che fare con questo giro, mi dispiace ragazzi. La famiglia prima di tutto.>>
Giorgio sgranò gli occhi, iniziando a balbettare cose senza senso, preso dal panico per aver perso la sua fonte principale di divertimento.
Johnny lo vide e lo rassicurò << Tranquillo Giò. Starò in giro ancora per qualche mese.>> gli sorrise per poi cercare dentro la tasca qualcosa e tirarne fuori delle bustine con erba e alcune con qualche pillola o acidi << Intanto divertiti. Oggi è un giorno di festa!>> Giorgio si tranquillizzò vedendo quella roba e così anche Matteo. Era felice per il suo amico, ma aveva paura per Giorgio. Non voleva che tornasse dal suo vecchio spacciatore, almeno aveva alcuni mesi per trovare qualcuno che potesse sostituirlo.
La sua attenzione venne colta da Erica che sbatté le mani sul tavolino, si alzò e andò verso l’uscita di corsa. Alice gli lasciò la mano e lui si sentì immediatamente perso. Non ci pensò due volte e le seguì fuori.
Una volta aperta la pesante porta di metallo, il vento freddo della notte lo investì, facendo congelare il sudore sulla sua pelle e facendo bruciare i polmoni per l’aria pulita.
<< Non ci posso credere! Lo sapevo! Non sarei mai dovuta venire qui.>> urlò Erica in preda alla rabbia.
<< Erica, aspetta! Ti giuro che non lo sapevo, non avrei mai—>> Alice cercò di raggiungere la sua amica, ma Erica la precedette marciando spedita contro di lei.
<< Non mi interessa! Alice c’è un motivo per cui me ne sono andata dalla nostra città natale ed è perché non voglio avere più niente a che fare con roba simile. Non voglio più vederla quella merda!>> gli urlò contro, riversando tutta la rabbia contro di lei.
Alice rimase lì a prendere tutto il suo odio, boccheggiando, non trovando niente da dire.
Erica sospirò e guardò verso l’alto, come se fosse sul punto di piangere << Io torno a casa.>> e si girò verso il primo taxi che vide arrivare.
Matteo si avvicinò a lei, mettendole le mani sulle spalle. Lei al contatto si girò di scatto, fulminandolo con lo sguardo << Perché non me l’hai detto?! Un tuo amico eh?!>> urlò chiudendo le mani a pugno, facendo sbiancare le nocche per la forza messa.
Matteo indietreggiò di un passo << Io non credevo…>>
Alice scosse la testa, facendo fuoriuscire una risata gelida << Senti>> iniziò << A me non interessa niente di quella roba, ci sono abituata. Ma Erica… Lei non è come me.>>
Matteo cercò di avvicinarsi ma lei si allontanò ancora di più.
<< Devo andare con lei. Non può tornare a casa da sola.>> disse freddandolo con lo sguardo. Si girò e seguì Erica, fermando il taxi, salendo e sparendo dalla sua vista.
Matteo rimase lì, da solo, ferito, e molto, molto incazzato. Una pessima miscela.
Scalciò via un sasso che trovò per terra e rientrò subito nel locale con una sola meta in testa. Si sedé su uno dei sgabelli del bar e richiamò subito l’attenzione del barista sventolando un po’ di soldi con la mano.
<< Che ti porto?>> gli chiese mentre lucidava quel pezzo del bar.
<< La cosa più forte che hai. E fammelo doppio.>> pronunciò con un tono che non ammetteva repliche, sbattendo i soldi sopra il tavolo.
 
Era ubriaco. Deve essersi fatto fuori una bottiglia intera di tequila, insieme a un paio di shot con dentro chissà cosa. Ed ora era in piedi a ballare con una ragazza che gli si strusciava addosso, di cui non sapeva il nome e francamente non poteva interessargli di meno. Aveva un bel corpo, anche se forse era troppo magro per quel vestito che invece doveva risaltare le sue forme. Un’altra ragazza si era unita insieme a loro, cercando di attirare la sua attenzione. La musica ormai gli arrivava al cervello come un eco lontano, le forme erano indistinte e tutto sembrava quasi muoversi al rallentatore.
Una delle due ragazze gli prese il volto con le mani e gli ficcò la lingua in bocca senza tanti complimenti. Lui chiuse gli occhi rispondendo al bacio, mentre l’altra continuava a strusciarsi contro di lui. Non gli importava più niente, aveva fatto tutto sbagliato, non riusciva a tenersi le persone vicino e presto avrebbe dovuto fare da babysitter a Giorgio, controllando che non cadesse di nuovo nella trappola del suo ex spacciatore. Stava andando tutto male e lui voleva dare solo una fine di merda a una serata di merda. La bocca di quella ragazza era amara, pungente, segno che anche lei aveva bevuto come lui, se non di più. Mentre aveva gli occhi chiusi vide due occhi verdi puntare su di lui. Li riaprì di scatto, allontanandosi dalla ragazza con il fiatone.
<< Tutto okay? Vuoi che andiamo in un posto più appartato?>> chiese continuando a stargli attaccato, sistemandogli il colletto della camicia.
Matteo si guardò intorno. Si sentiva perseguitato da quel paio di occhi verdi, li vedeva dappertutto. Lei era dappertutto. Guardò di nuovo la ragazza che gli stava davanti, aveva gli occhi azzurri. Troppo azzurri, non erano come i suoi.
Iniziò a respirare a fatica, alla ricerca di aria, ma in quel buco di locale non ce n’era abbastanza. Prese per le spalle la ragazza allontanandola bruscamente da lui e andando dritto verso la porta posteriore del locale, seguito dallo sguardo preoccupato dei suoi amici.
 
Una volta uscito iniziò a tossire. L’aria fredda che gli entrava nei polmoni bruciava come il peggio liquore, e il vento lo fece rabbrividire al punto da sentire ogni vertebra della sua schiena congelarsi.
Si appoggiò al muro, guardando verso il cielo sorprendentemente pulito, senza nuvole, che metteva in risalto una luminosa luna piena.
Prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. Non c’era più il verde. Li riaprì e si staccò dal muro.
Barcollante iniziò a camminare ma delle voci attirarono la sua attenzione. Un gruppo di ragazzi si trovava più in fondo nel vicolo in cui si trovava e stavano parlando di qualcosa come droga o prostitute, insomma niente di nuovo che lui già non conoscesse. Si avvicinò a loro, senza preoccuparsi di nascondersi o di fare il meno rumore possibile. Voleva che loro lo sentissero e fu accontentato.
Si girarono tutti ad osservarlo, e lui mise la sua miglior faccia da Joker, sorridente fino alla fine.
<< Che vuoi? Sparisci da qui.>> urlò uno di loro.
Matteo rise << Fate veramente schifo a nascondevi se vi ho beccato perfino io che sono ubriaco come una spugna.>> li istigò.
<< Cerchi guai amico?>>
Matteo rise ancora più forte << Noooo. Mi dispiace di aver disturbato il vostro incontro segreto dove parlate di diete, vestiti e ragazzi. Dio santo, siete proprio delle checche!>>
Uno di loro iniziò ad avvicinarsi verso di lui << Attento a come parli!>>
<< Altrimenti? Sono sicuro che senza la tua dose giornaliera di coca ti stendo in un colpo solo, pappamolle.>> ghignò divertito.
Il primo ragazzo si scagliò contro di lui assestandogli un pugno sullo zigomo. Matteo cadde a terra, per poi alzarsi toccandosi la parte colpita.
<< Così impari, ragazzino! Andiamocene.>> disse agli altri ragazzi, dandogli le spalle.
<< Wow! Spero che tu scopi meglio di come fai a botte, altrimenti ti credo che poi la tua donna ti mette le corna.>>
Il ragazzo si fermò di colpo, girandosi vide Matteo che si stava mettendo in piedi e stava ghignando.
<< Ripetilo ancora una volta se hai le palle.>>
Matteo chiuse una mano a pugno sollevando però il mignolo e piegandolo leggermente, si mise una mano davanti << Oops...>> disse, schernendo la virilità del suo avversario.
Il ragazzo non ci vide più e lo caricò come un toro, sbattendolo a terra. Matteo cercò di liberarsi e di dare qualche pugno, ma all’iniziò fu il suo avversario ad avere la meglio. Continuava prendere pugni in faccia e sul petto. Poi lanciò della polvere sulla faccia del ragazzo e invertì le posizioni, ripagandolo della stessa moneta. I suoi amici, vedendolo in difficoltà, presero Matteo per le braccia e lo sollevarono, trattenendolo, mentre lui continuava a scalciare al vuoto.
<< Lasciatemi vigliacchi! Quattro contro uno, eh? Da solo il vostro amico non ce la faceva contro di me vero?!>> si zittì quando ricevette un pugno dritto al suo stomaco, che lo fece contorcere su se stesso e sdraiarsi a terra in posizione fetale.
L’energumeno si pulì la bocca dal rivolo di sangue << Vediamo se impari a stare zitto.>> e iniziò a dargli calci sullo stomaco, insieme agli altri che seguirono il suo amico.
<< EHI, QUALCUNO HA BISOGNO DI AIUTO! SONO QUI, PRESTO.>> urlò una voce all’inizio del vicolo.
<< Merda!>> imprecò uno di loro << Per stavolta te la cavi ragazzino.>> gli sputò addossò prima di guardare gli altri ragazzi e << Andiamo via!>> ordinare, sparendo nel buio.
Matteo continuò a contorcersi su se stesso. Non era stata una buona idea quella di provocare quelle persone, ma lui non aveva mai avuto buone idee.
Sentì il rumore dei tacchi e vide una persona piegarsi davanti a lui, tastandolo sulle braccia.
L’occhio si stava per gonfiare, lo sentiva chiaramente, quindi si sforzò di vedere con quell’altro che non era stato colpito.
Una volta messa a fuoco la figura davanti a lui, riuscì a spalancare anche l’altro occhio per la sorpresa.
<< Alice…>> sussurrò.
<< Idiota!>> gli urlo << Che ti è saltato in mente?! Volevi farti ammazzare?!>>
<< Perché sei qui?>> domandò confuso, ignorando le precedenti domande.
Alice borbottò parole incomprensibili per poi << Giorgio mi ha chiamato. Non ti vedeva più e aveva paura che ti fosse successo qualcosa, non riusciva a trovarti. Così sono tornata, e quando sono arrivata ho sentito la tua voce provenire da qui e il resto è storia.>> rivelargli prima di mettere un suo braccio intorno alla sua spalla, << Ora sbrighiamoci, prima che si accorgano che non c’è nessuno e sono solo io.>>
Matteo si alzò, cercando di non poggiare tutto il peso su Alice, anche se questo doveva dire ricevere delle fitte tremende a livello delle costole, e si avviarono verso un taxi.
<< Dove andiamo?>> chiese Matteo poggiando la testa sui sedili e chiudendo gli occhi per il dolore.
<< A casa mia.>> disse, prima di dare l’indirizzo al tassista.
 
 
Aprì la porta del suo appartamento e buttò le chiavi in una ciotolina lì vicino. Iniziò a tastare il muro alla ricerca dell’interruttore e appena lo trovò abbandonò Matteo alla parete e si diresse verso il corridoio, per poi entrare in una stanza.
Matteo rimase lì immobile, con un braccio a coprirgli lo stomaco e a stringersi sulle costole, ed esplorò con lo sguardo l’appartamento. Non era tanto grande, ma nemmeno molto piccolo. Sembrava bastare per una persona sola. Notò i CD e i libri sulle mensole, l’unico segno personale dentro quella stanza che avrebbe dovuto essere il salone. Una cornice catturò la sua attenzione. Si avvicinò lentamente, attento a non cadere, e la prese in mano. Era una foto di Erica ed Alice da piccole. Un sorriso spontaneo nacque sulla sua faccia, vederle così piccole e spensierate gli metteva una certa allegria. Assottigliò lo sguardo sulla figura di Alice e vide come il suo piccolo braccino fosse ricoperto di cerotti e segni rossi. Okay, forse era una bambina molto vivace, ma quei segni erano più di una caduta, e alcuni erano più freschi rispetto ad altri. Appena sentì il rumore dei passi di Alice rimise apposto la foto e si girò verso di lei.
Ritornò con una valigetta del pronto soccorso, da quello che doveva essere il bagno, lo prese per mano e lo avvicinò all’enorme tavolo da pranzo che si trovava in salone.
<< Sali sopra.>> lo invitò con un cenno del capo.
Matteo si sollevò delicatamente con un braccio, sedendosi sul tavolo, e Alice si mise subito in mezzo alle sue gambe ad ispezionare la sua faccia. Le sue dita erano fredde a contatto con la sua pelle bollente. Gli girò più volte il capo e poi sparì per pochi secondi in cucina per andare a prendere un po’ di ghiaccio.
<< Tieniti questa sull’occhio sinistro, altrimenti si gonfierà parecchio.>> gli mise la sua mano sul ghiaccio e poi lo mise sopra l’occhio, lasciandogli il compito di tenerlo.
Poi passo le sue mani sulla sua camicia ed afferrò il primo bottone prima di guardarlo e chiedere << Posso?>>
Lui arrossì, parecchio, e lei se ne accorse. Infatti si sbrigò a chiarificare << Devo vedere se hai qualche costola incrinata, o rotta.>> disse guardando per terra, chiaramente a disagio anche lei ora.
Lui ingoio a vuoto per poi << Okay.>> rispondere semplicemente.
Alice iniziò a sbottonargli la camicia e una volta aperto tutti i bottoni, iniziò a tastargli le costole. Brividi attraversarono tutto il suo corpo, facendogli venire la pelle d’oca. Lei se ne accorse e rise per smorsare la tensione << Scusa, ho le mani sempre fredde.>> disse continuando a concentrarsi.
No, non era per le mani fredde. Era lei che gli faceva quest’effetto, solo lei ci riusciva. Come faceva?
Continuò a guardarla operare con l’occhio buono, incantato dalla sua delicatezza e dalla sua precisione.
<< Okay, sembra niente di rotto. Ti compariranno solo un po’ di lividi domani mattina, poteva andarti peggio.>> gli comunicò per poi prendere la valigetta ed estrarre batuffolo con disinfettante e << Ora cerchiamo di sistemare quel taglio sopra il sopracciglio. Farà un po’ male.>> avvisarlo, bagnando il batuffolo con un po’ di disinfettante.
Premette sul taglio e lui si scostò subito sentendolo bruciare a contatto con il liquido, distorcendo la sua faccia in una smorfia di dolore. << Scusa.>> disse, prima di ricominciare la stessa procedura, cercando di essere più delicata possibile. Matteo si perse ad osservare il suo volto concentrato, dalle rughette che le si formavano sulla fronte alle sue labbra che si stava torturando, mordendole continuamente. Si soffermò di più sulle sue labbra, rimanendo rapito dalla loro forma e dalla loro grandezza. Osservò come stessero diventando rosse a causa dei morsi di lei, e desiderò essere l’artefice di quel rossore. Si chiese che sapore avessero, se fosse amaro come quello di quella ragazza del locale o pungente come la sua personalità.
<< Voglio baciarti.>> sussurrò abbastanza forte per farsi sentire da lei.
Lei sembrò bloccarsi un attimo, ma non lo diede tanto a vedere. Continuò con il suo operato, per poi abbandonare il cotone da una parte e mettersi alla ricerca di un cerotto dentro la valigetta.
<< Sei ubriaco. Non è quello che vuoi.>> gli fece notare, trovando il cerotto e liberandolo dal suo involucro.
Matteo ghignò << È vero.>> poi lei si girò e la guardò negli occhi << Ma domani sarò sobrio e vorrò lo stesso baciarti. E il giorno dopo vorrò sempre baciarti. E il giorno dopo ancora. Finché non riuscirò ad assaggiare le tue labbra e a capire che sapore abbiano.>>
Lei gli mise il cerotto sul taglio per poi allontanarsi di poco da lui e guardarlo impotente con le braccia lungo i fianchi.
<< Posso baciarti?>> chiese ingenuamente Matteo.
Alice sussultò quando lui la prese per mano e l’avvicinò a se. Le gambe di Matteo si strinsero di più intorno alla vita di Alice, e gli occhi continuarono a viaggiare dai suoi occhi alla sua bocca. Appoggiò il palmo della sua mano sulla sua guancia, sentendola trattenere il respiro al contatto. Lei porto la sua mano libera dietro al collo di lui, accarezzandogli i ricci biondi. E poi successe.
Le loro labbra si incontrarono in un bacio lento e dolce. Labbra che si assaggiavano per la prima volta, respiri che si mischiavano tra loro. Le labbra di lei erano dolci, sapevano di pesca in quel momento. Forse era la vodka. Non erano per niente come le labbra sottili di quella ragazza, quelle erano più morbide e piene. Aumentò la presa sul suo viso cercando un contatto maggiore. Però per lei sembrò troppo. Tirò i suoi ricci per allontanarlo e si stacco da lui ansante.
Si guardarono per la prima volta senza maschere. Verde contro marrone. Poi lei dissolse lo sguardo e iniziò a mettere a posto la valigetta del pronto soccorso.
<< Ti preparo il divano. È tardi, non puoi tornare a casa da solo. Soprattutto in questo stato.>> constatò per poi sparire di nuovo nel corridoio, lasciandolo di nuovo da solo.
Si tastò le labbra con le dita della mano e sorrise. Aveva fatto una mossa avventata, ma l’alcool che circolava ancora nel suo sangue non lo faceva pentire di niente. Ci avrebbe pensato razionalmente la mattina dopo, ora voleva solo godersi il momento e sentire ancora il sapore di lei sulle sue labbra.
Ritorno con un cuscino ed una coperta e glieli passò. Durante lo scambio si sfiorarono le mani e lei per la prima volta fu lei ad arrossire.
<< Buonanotte.>> gli auguro, guardando il pavimento.
Lui sorrise, si avvicinò a lei e gli lasciò un bacio sulla guancia, lasciando le sue labbra più del dovuto sulla sua pelle.
<< Buonanotte.>>
Iniziò a sistemare il divano, preparandosi per la notte. Si sdraiò e una volta che sentì la porta della camera di Alice chiudersi, chiuse anche lui gli occhi.
Per la seconda notte di fila, si addormentò con il sorriso in volto.  
    







Angolo autrice
Salve, è da un po che non ci si vede :)
Vorrei scusarmi per il mio ritardo nell'aggiornare la storia. Per scrivere questo capitolo ci ho messo un mese, tra imprevisti ed impegni non ho trovato tempo di scrivere.
La verità è anche che non è un periodo particolarmente luminoso nella mia vita. Ma... show must go on.
Ringrazio tutti quelli che legeranno o recensiranno la storia.
A presto.
E. xx



 

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Capitolo 14
*** Il gioco delle domande ***


Capitolo 13
Il gioco delle domande



Correva.
Correva da quelli che sembravano minuti, ore. La salivazione assente rendeva la sua bocca secca e ogni boccata d’aria che respirava faceva bruciare la sua gola, come se ci fossero impiantati dentro degli spilli che pungevano sempre più a fondo ogni volta che aveva bisogno di ossigeno.
Le gambe non rispondevano più ai suoi comandi ma come automi continuavano a muoversi senza un preciso motivo. I ricci biondi erano ormai diventati una massa informe e sudaticcia attaccata alla sua fronte e gli occhi iniziavano a bruciare per il costante sforzo.
Si girò per vedere se quell’ombra lo stesse ancora seguendo. Con sollievo notò che non era più così e si permise di rallentare la corsa, fino a farla diventare una camminata malforme finché le sue gambe non cedettero, ritrovandosi così in ginocchio e poi a terra.
Continuava a respirare, a cercare di calmare i battiti del suo cuore che ora sentiva anche nelle orecchie. Strisciò faticosamente fino ad un muro, cercando di girarsi lentamente per mettersi con la schiena poggiata sopra di esso. Chiuse gli occhi, una volta riuscito nella sua impresa, e si passo lentamente le mani sulle cosce doloranti.
Un’ombra minacciosa l’aveva seguito. Aveva le sembianze di un uomo, ma con la differenza che non c’erano caratteristiche in quel corpo. Era solo un’ombra. Con gli occhi bianchi e vuoti, privi di iride e pupilla.
Rabbrividì al pensiero e cercò di levarselo più in fretta possibile dalla testa. Ora era al sicuro. Quell’ombra era sparita, aveva smesso di seguirlo, ora doveva solo raccogliere le forze e-
Un gemito strozzato.
Aprì gli occhi di scatto a quel suono.
Rumore ferroso di qualche attrezzo che veniva a contatto con qualcosa di morbido e viscido, poi… un odore acre. Quell’odore che ormai sapeva distinguere bene perché troppo insediato nella sua testa, nella sua memoria, nei suoi ricordi. Quell’odore che sentiva sempre anche quando non era presente nelle vicinanze.
Un ringhio di dolore.
Non smettevano. Quei rumori continuavano ad esserci. E la paura dell’ignoto l’avrebbe continuato a divorare e a torturare finché non fosse stato lui a sconfiggerlo.
Si issò in piedi, con le gambe ancora doloranti per la lunga corsa, e si appoggiò ancora di più alla parete, concentrandosi su tutti i suoni che riusciva a percepire, attento a ogni minimo particolare.
Una risata leggera volò nell’aria, rimbombando in quel silenzio assordante.
Deglutì, mentre le sue mani tremavano, strette fra di loro, con sempre più forza. Prese un paio di respiri profondi, cercando di calmarsi ma soprattutto cercando il coraggio per guardare oltre quel muro, in quel vicolo così familiare, il creatore di quei rumori. Il padrone di quella risata agghiacciante.
Si sporse lentamente con la testa, cercando di vedere in quel buio pesto ma non riuscendo nel suo intento.
Doveva avvicinarsi.
I rumori continuavano ad esistere. Metallo, risata, gemiti di dolore e ringhi di rabbia mal trattenuti. E l’odore diventava sempre più intenso, sempre più forte. Passo dopo passo.
La luce del lampione si accese a scatti, accecandolo per la fonte di luce improvvisa in quell’immenso luogo che prima era fatto interamente di oscurità.
I suoi occhi bruciarono per il contatto diretto, e iniziò a vedere sfocato. Puntò lo sguardo verso il basso vedendo due figure. Una sovrapposta all’altra. Apri e chiuse gli occhi più volte cercando di mettere a fuoco meglio quello che stava succedendo. Riusciva a vedere i colori. Viola, marrone, verde, nero… rosso. Tanto rosso.
Si portò una mano alla bocca, cercando di trattenere il vomito davanti a quella scena.
Una delle due persone aveva le ali nere e si trovava sopra all’altra, a cavalcioni sul bacino, bloccando ogni sua via di fuga, intrappolandola come un’animale in una gabbia. La preda indifesa e debole ormai nelle mani del crudele cacciatore.
La persona con le ali aveva un coltello in mano e continuava ad alzarlo ed abbassarlo, ripetutamente. Una volta. Due volte. Tre volte. Quattro volte. Ogni colpo centrava il suo bersaglio. Ogni colpo finiva al centro del petto della vittima. Sembrava che non le importasse che il sangue stesse sgorgando dall’apertura sul petto e stesse formando una pozza di sangue intorno a loro, e sembrò non importargli neanche il fatto che alcuni schizzi le arrivassero addosso, macchiando i vestiti e la faccia.
La ragazza, aveva constatato visto i lunghi capelli e le forme abbastanza femminili, continuava a ricevere colpi senza ribellarsi. Stava lì, facendo alcune smorfie di dolore, come se non la stessero trafiggendo ripetutamente, come se quello che gli stessero facendo fosse dargli fastidio con alcuni pizzicotti. E questo sembrò infastidire la figura con le ali, perché si fermò e la guardò con disgusto e rabbia.
Tutto si fermò. Il tempo non sembrava più scorrere, e tutto sembrava essere immobilizzato. La ragazza respirava lievemente, come se non riuscisse ad incanalare dentro di lei troppo ossigeno. La figura angelica invece respirava affannata, data la forza messa ogni volta per trapassare la carne della vittima. Poi sorrise, spalancando gli occhi. La faccia di una che aveva vinto, di una che avrebbe preso quello che aveva agognato da tempo. Una faccia di chi aveva visto tutto e che voleva tutto.
Alzò in aria il coltello, impugnandolo con entrambe le mani strette fra loro e con uno scatto repentino fece uno squarcio lungo sul petto della vittima. Da lì in poi si sentirono solo urla e risate.
La ragazza stava urlando a pieni polmoni, questa volta cercando di liberarsi da quella morsa letale, ma senza risultati. La figura fece un altro squarcio, però in verticale questa volta. La ragazza, se possibile, urlò ancora più forte di prima, inarcando la schiena per la ferita appena ricevuta e digrignando i denti per quel dolore così forte e così nuovo per lei.
E poi girò la testa.
Matteo scosse la testa. Iniziò ad indietreggiare ma cadde sui suoi stessi passi, trovandosi direttamente a contatto con il suolo. Chiuse gli occhi all’impatto ma appena li riaprì se ne pentì subito. Lei era lì.
<< Alice…>> sussurrò quasi senza forza.
I suoi occhi verdi erano puntati su di lui, fissi, spalancati per il dolore ma mai chiusi. Erano rivolti verso di lui e non riuscivano a spostarsi neanche di un centimetro, nemmeno quando la creatura gli aprì il petto, lei continuò a guardarlo.
Voleva distogliere lo sguardo da quello scenario così macabro e cruento ma non ci riusciva. Alice lo teneva incatenato con i suoi occhi. Quegli occhi verdi che sembrava stessero chiedendo una silenziosa richiesta di aiuto. Chiedevano di essere salvati in un modo o in un altro. L’importante è che fosse lui a farlo.
La creatura angelica prese il cuore di Alice in mano e lo osservò. Ad Alice scappò una lacrima da quei occhi ormai diventati lucidi.
Matteo si riprese dallo shock e cercò di alzarsi il più velocemente possibile per raggiungerla, cadendo più volte e trovandosi a gattonare per non perdere tempo.
La creatura sorrise gelida davanti all’organo ancora pulsante della ragazza e poi, con un solo colpo, lo trafisse.
Un urlò stozzato uscì dalle labbra di Alice, prima che lasciasse un ultimo respiro e poi chiuse gli occhi.
Matteo arrestò la sua ormai inutile corsa e si accasciò a terra. Gli occhi gli pizzicavano e lacrime iniziarono a rigare le sue guance. Si prese i ricci fra le mani e iniziò a tirarli frustrato e arrabbiato davanti a tutto quello, davanti alla sua incapacità nel salvarla, davanti al suo ennesimo fallimento. Non riusciva a togliere lo sguardo dal corpo esanime di Alice, tutto ricoperto di sangue e terra. Non avrebbe mai più visto i suoi occhi verdi, non l’avrebbe mai più sentita ridere, non l’avrebbe vista più arrabbiarsi senza motivo o fare una delle sue osservazioni taglienti. Non avrebbe mai più potuto assaporare di nuovo le sue labbra.
La creatura si alzò, soddisfatta, dal corpo inanimato della sua vittima. Buttò il cuore con ancora il pugnale a trapassarlo da una parte, non curandosene troppo.
Lo notò.
Si girò verso di lui, mostrando finalmente la sua intera figura, la sua faccia ormai dissetata dal sangue e dalla carneficina.
Matteo credé che qualcuno lassù lo stesse prendendo in giro. Non poteva credere a quello che stava vedendo.
<< Noelle.>> urlò, arrabbiato e allo stesso tempo impaurito da quello che sarebbe successo poi.
Lei sorrise, occhi marroni puntati su di lui, e si pulì una macchia di sangue sulla maschera con la mano.
Matteo scosse la testa, premendosi i palmi delle mani sugli occhi. Tutto quello non poteva essere vero, non poteva essere reale.
Si avvicinò lentamente a lui, portando la sua mano sulla coscia, prendendo il coltellino di riserva e impugnandolo saldamente alla mano destra.
Gli si bloccò il respiro vedendola avanzare. Cercò di allontanarsi il più possibile, ma la paura, il panico, la rabbia, lo ancoravano a terra con pesi di cemento legati intorno alle sue caviglie.
Noelle arrestò la sua avanzata. Lo guardò sorridendo e alzò lentamente il braccio con in mano il coltello.
Era troppo lontana per fargli qualcosa, non avrebbe mai potuto attaccarlo o centrarlo da quella distanza.
Il braccio si fermò all’altezza della spalla e con la lama lucida e tagliente, indicò un punto imprecisato dietro le spalle di lui.
Matteo si girò lentamente, senza però lasciare il campo visivo verso di lei, continuando a fissarla finché la torsione non fosse del tutto completa e allora avrebbe dovuto abbandonarla con lo sguardo.
Una volta voltato si ritrovò davanti di nuovo degli occhi bianchi. Trattenne il respiro e si girò di nuovo verso Noelle ma quando lo fece lei non c’era più. Il corpo di Alice non c’era più. Era sparito tutto.
Era ricoperto dall’oscurità di quell’ombra. Iniziò a sussurrargli diverse parole, in diverse lingue. Tutte le voci provenivano da posti diversi e lui compariva prima da una parte e poi da un’altra, spostandosi sempre più velocemente. Continuò a girarsi velocemente, perdendo l’orientamento, non riuscendo più a distinguere destra da sinistra. Tutta quell’oscurità lo stava opprimendo e le voci iniziarono a diventare sempre più forti e cercarono sempre di più di entrare dentro la sua mente.
Si ritrovò con le ginocchia a terra e i palmi delle mani a spingere forte sulle orecchie, in un vano tentativo di trovare silenzio in tutto quel caos.
Poi tutto diventò silenzioso.
Alzò lo sguardo lentamente e l’ombra davanti a lui si mise alla sua stessa altezza, guardandolo negli occhi, scrutando la sua anima, imprigionandola in quel solo sguardo.
<< Tempo scaduto.>>
Il buio.
 
<< NO!>> urlò Matteo, alzandosi di scatto e svegliandosi.
Annaspò in cerca di aria, la sua fronte era imperlata di sudore e gli occhi viaggiavano frenetici da una parte all’altra della stanza.
Si passò le mani sul tutto il corpo per vedere se fosse tutto a posto e una volta costatato, chiuse gli occhi ed emise un profondo sospiro. Era al sicuro.
Una fitta forte alla testa lo riportò di nuovo alla realtà. Immagini e suoni della sera precedente si ripresentavano confusi e disordinati davanti ai suoi occhi. Non era a casa sua, di questo ne era certo, e dalla schiena leggermente dolorante capì che aveva dormito su un divano.
Girò la testa verso il tavolino da caffè in legno, dove in quel momento si trovavano un bicchiere d’acqua e un’aspirina. Rimase a fissarli per qualche minuto, ancora con il corpo intorpidito, non ancora del tutto sveglio e ora pesante dopo la scarica di adrenalina ricevuta poco prima.
Spostò finalmente la coperta dal suo corpo e si avvicinò alla bustina, aprendola. Il suono frizzante della medicina che si scioglieva nell’acqua gli faceva ricordare quanto avesse bevuto, e quanto poco sopportasse quei risvegli fatti da mal di testa martellanti e udito così sensibile che anche il cinguettio di un passerotto aveva lo stesso impatto di una trombetta da stadio puntata nel suo orecchio. Si infilò le scarpe velocemente, e poi cercò il suo telefono nelle sue tasche. Lo trovò e guardò che ore fossero.
Le dieci e mezza. Aveva dormito davvero poco per i suoi standard. Scorse i vari messaggi e le varie chiamate perse. Aveva cinque chiamate perse e un messaggio minaccioso da sua madre con solo due parole “Dove sei?”. Una volta a casa avrebbe dovuto subirsi l’ennesima ramanzina. Sperava che sua madre fosse a lavoro. Rispose velocemente a sua madre con un “Sto bene. Torno tra poco.” E poi passò ai messaggi lasciati da Giorgio. Erano tutti una massa confusa di “Che fine hai fatto?” e “Spero di ritrovare il tuo culo ancora vivo domani mattina”. Mandò un messaggio per rassicurare anche lui e poi ripose di nuovo il telefono all’interno della sua tasca.
Prese il bicchiere e ingoiò tutto d’un fiato la sostanza amara, facendo una smorfia di disgusto per il pessimo sapore. Si passò una mano sulla faccia, ma la allontanò all’istante appena passò sopra il livido sullo zigomo. Faceva male, tanto male.
L’odore di caffè gli entro prepotentemente dentro le narici, distogliendolo dai suoi pensieri e ricordandogli che non era da solo in quella casa. Si alzò lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile, per paura di disturbare quella quiete così rassicurante e pacifica. Seguì l’aroma fino a trovarne l’origine, la cucina. Appoggiò la spalla sullo stipite della porta, guardando con occhi ancora stanchi l’immagine che gli si presentava davanti.
Alice era girata di spalle, mentre spengeva il fuoco sotto la macchinetta del caffè. Indossava una tuta troppa grande per il suo corpo, e i capelli ricci erano raccolti in una coda disordinata. Sorrise. Avrebbe potuto abituarsi ad un risveglio così tranquillo, fatto di silenzi armoniosi e non di urla spacca timpani.
<< Buongiorno.>> disse lei senza girarsi << Dormito bene?>> chiese, mentre versava il caffè dentro una tazzina.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso di come avesse potuto capire che era dietro di lei. Forse non era stato tanto silenzioso.
Si schiarì la voce, con evidente imbarazzo, << Si. Grazie per avermi fatto restare qui.>>
<< Nessun problema.>> prese un cornetto da un sacchetto e lo poggiò sopra un piatto. Posò la loro colazione sul tavolo e poi si sedé al suo posto.
Matteo rimase ancora fermo sulla soglia della porta, sentendosi pietrificato, come se fosse circondato in un campo di mine ed ogni passo potesse essere quello letale. Alice lo guardò, gli sorrise, e lo invitò a sedersi con un cenno del capo. Lui si staccò finalmente dal suo posto e lentamente, con gesti coordinati alla perfezione, si mise seduto sulla sedia opposta a lei.
Rimasero in silenzio per i primi minuti. Lei a sorseggiare il suo tè e lui a mangiare il suo cornetto al cioccolato. Fu lei, come al solito, a prendere l’iniziativa.
<< Come va la testa? Ieri sera devi aver bevuto molto.>> disse tranquillamente, con la bocca coperta leggermente dalla tazza di tè che teneva stretta delicatamente fra le sue mani.
Lui si grattò la testa a disagio e poi immagini della sera prima si presentarono di nuovo inevitabilmente nella sua mente. Non aveva bevuto abbastanza per dimenticarsele, purtroppo. << Sto meglio, grazie all’aspirina che mi hai lasciato. E… ricordo tutto della sera prima.>> rivelò, leggermente imbarazzato.
Alice sembrò preoccupata all’inizio, ma cercò di mascherarlo al meglio che poteva con uno dei suoi sorrisi di cortesia. << Oh, bene.>> posò la tazza delicatamente davanti a sé e poi riprese ad osservarlo ma questa volta con un sorriso divertito sul volto << Allora, potresti raccontarmi come hai fatto a finire nei guai con quel gruppo di ragazzi, no?>>
Matteo rise, sentendo la tensione abbandonarlo leggermente << Non ho fatto niente di che. È solo che quando bevo faccio cose stupide. Molto stupide.>> sottolineò alla fine. Alice sembrò essere d’accordo e poi il silenzio regnò di nuovo sovrano in quella piccola cucina.
<< Posso chiederti una cosa?>> sbottò lui improvvisamente, mentre raccoglieva le briciole della sua colazione.
Alice piegò la testa da un lato sorridendogli << Dipende. Io che ci guadagno?>> disse sfidandolo.
Matteo ghignò << Facciamo il gioco delle domande. Io faccio una domande a te e tu me ne fai una a me. Puoi chiedermi qualsiasi cosa.>>
Alice sembrò pensarci su, indecisa e preoccupata da quel gioco che doveva sembrare così innocente. Ma la curiosità prese e il sopravvento e si ritrovò ad accettare.
Matteo iniziò per primo. << Dove sono i tuoi genitori? Non li ho visti ieri sera e neanche questa mattina. E, francamente, mi aspettavo di essere cacciato da un momento all’altro da un padre furioso.>>
Alice sorrise << Io non ho genitori, sono orfana fin dalla nascita.>> rispose semplicemente.
Matteo spalancò gli occhi, sentendosi improvvisamente in colpa per aver proposto quel gioco. Ma Alice sembrò rassicurarlo con lo sguardo, facendogli capire che non aveva problemi a parlagliene e infatti continuò << Sono stata in orfanotrofio per un po’. Non ho idea di chi siano i miei genitori e, sinceramente, mi interessa poco e niente. Ora che ho raggiunto la maggiore età non ho bisogno di nessuno, ma fino a tre anni fa avevo chi si prendeva cura di me. Però ora io mi trovo qui e loro da un’altra parte.>>
Matteo annuì, non aggiungendo altro per paura di fare qualcosa di sbagliato, attento in ogni suo piccolo gesto e registrando ogni parola, ogni informazione che riguardava lei. << Tocca a te.>> disse, passando la parola a lei.
<< Giorgio. Perché sei preoccupato per il ritiro del vostro spacciatore di fiducia?>> chiese a bruciapelo, senza mostrare esitazione nella voce.
<< Ho paura che Giorgio ritorni dal nostro vecchio spacciatore. Elios, quel bastardo greco, ha fatto cadere Giorgio nella dipendenza da cocaina. Lui gli vendeva la peggior roba in circolo. Giorgio è ricco, o meglio i suoi genitori lo sono, e il fatto che spendesse solo pochi spiccioli per dell’erba o delle pasticche fece infuriare Elios. Quindi trovato un pollo da spennare, approfittando del fatto che Giorgio stesse male in quel periodo, gli ha fatto provare altro. E Giorgio non si tirò indietro, a quella testa rossa piaceva quella merda. Ogni volta sempre di più, sempre più dosi e Giorgio gli dava tutti i soldi che aveva pur di averne sempre a disposizione. Una volta si faceva solo nei weekend. Mi aveva detto che non era una dipendenza, che lui non ci sarebbe cascato e lo faceva solo per divertirsi.>> chiuse gli occhi e strinse i pugni al ricordo delle parole del suo amico << Ma non era vero. La sniffata del weekend divenne anche quella del lunedì, poi si passò al due giorni sì e uno no, fino ad arrivare al punto che non si sentiva più il naso per quanta ne tirava su tutti i giorni. Sono riuscito a portarlo via da lui e i genitori lo hanno rinchiuso in un centro di disintossicazione. Ora sono 6 mesi che è ‘pulito’, a parte qualche pasticca e qualche canna, non ha più toccato coca da allora.>>
Matteo restò a fissare il fondo della tazzina vuoto. Tutto quello gli aveva fatto ricordare che aveva poco tempo per trovare un sostituto. Giorgio si era disintossicato, questo era vero. Ma ci sarebbe potuta essere una ricaduta in qualsiasi momento. La tentazione è come una sirena, ti attira con il suo canto melodico e celestiale ma quando ti avvicini a lei, ti trascina giù facendoti affogare insieme a essa.
<< È il tuo turno.>> lo avvertì Alice, cercando di distrarlo dai suoi pensieri.
<< Ieri, quando Erica se n’è andata, lei ha detto che non voleva avere più niente a che fare con questa roba perché era per quel motivo che si era trasferita. Per roba immagino si riferisse alla droga. Quindi la mia domanda è: da cosa è scappata Erica? Cosa aveva la vostra città natale di così spaventoso?>>
<< La nostra vecchia città non l’abbiamo mai considerata come un luogo da chiamare 'casa'. Era piccola, nascosta da tutti, con pochi abitanti. Un mucchietto di casa ammassate insieme con la peggior gente che ci potesse mai abitare, lo scarto dello scarto. Passava inosservata a tutti, anche le cose che accadevano all’interno non le notava nessuno, o si faceva finta di non notarle. Erica e i suoi genitori hanno avuto l’opportunità di scappare, senza avere ripercussioni. Io a quel tempo, non mi era permesso e rimasi lì, finché non riuscì ad andarmene. In un modo o nell’altro.>> Alice si strinse nelle spalle, improvvisamente infreddolita dai ricordi << Erica è scappata dalla malavita di quel posto, dalla falsità, dall’ingordigia, dalla sete di denaro e potere. E giustamente non vuole più saperne niente. Lei è stata svezzata prima, era ancora una bambina quando se n’era andata, io invece ho dovuto crescere ancora in mezzo a quello schifo. È per questo che a me non fa né caldo né freddo, ci sono abituata.>> si alzò e racimolò le tazze sporche per metterle nel lavandino. Restò ancora girata, dandogli le spalle, con le spalle ancora tese. La tensione nell’aria si poteva tagliare con un coltello.
<< Perché Anastasia non beve mai alcolici? Sembra che voglia ma che si trattiene dal farlo. E pare molto infastidita quando Giorgio la porta a feste dove ce ne sono a quintali.>>
<< Anastasia è un alcolista. O meglio era. Buffo no? Due dipendenti che si mettono insieme. È proprio vero quando dicono che bisogna trovare qualcuno che sappia giocare bene con i tuoi demoni.>> scosse la testa ridendo.
Alice finalmente si girò, guardandolo confusa.
<< Anastasia e Giorgio si sono conosciuti in riabilitazione grazie a me. Io facevo da tramite perché si trovavano in reparti diversi, visto i loro problemi diversi. Parlavo ogni giorno a Giorgio di Anastasia e viceversa. Una volta fuori dal quel luogo promisero l’uno all’altro di rimanere puliti e di non lasciarsi mai. Insomma una di quelle cose che si vede nei film sdolcinati.>> rise, contagiando anche Alice così.
<< Ho visto una foto tua e di Erica di quando eravate piccole in salone. Hai un braccio ricoperto dal polso fino alla spalla di tagli di varie lunghezze e spessore. Perché hai tutti quei tagli sul braccio? Chi te li ha fatti?>>
Lo sguardo di Alice da spensierato divenne improvvisamente più cupo, << Nessuno. Ero una bambina molto avventurosa e sconsiderata, mi facevo male spesso.>> rispose in modo gelido, fermo e deciso.
Matteo scosse la testa << Balle.>> disse senza paura, sentendosi preso in giro con quella bugia. Aveva accettato di giocare a quel gioco, ora doveva dire la verità e non prenderlo per il culo.
<< Non è possibile che tu ti sia fatta male sullo stesso braccio più di una volta, per non parlare del fatto che alcuni sembrano più freschi degli altri. Alice dimmi la verità.>> la guardò serio negli occhi verdi, sostenendo il suo sguardo gelido.
<< Te l’ho già detta. Ero una bambina vivace. Questo è tutto.>> sibilò incrociando le braccia al petto, per segnare la fine di quel discorso.
Matteo si alzò di scatto dalla sedia e la fronteggiò << Balle. Smettila di mentirmi Alice. Voglio la verità, sono stato sincero con te fino ad ora, adesso è il tuo momento di ricambiare il favore.>>
<< Io penso che tu ora debba andare.>> lo avvisò sgusciando fuori dalla cucina in un muto invito a seguirlo alla porta. E Matteo non se lo fece ripetere due volte, ma non lo fece per accontentare lei, lo fece perché almeno questa volta voleva vincere lui.
<< Vuoi cambiare domanda?! Perfetto! Perché ieri sera hai risposto al mio bacio?>> chiese, alzando forse troppo il volume della sua voce.
Alice si fermò sul posto e si girò di scatto, presa alla sprovvista da quella domanda << Eri ubriaco.>> rispose semplicemente, prima di incamminarsi di nuovo verso l’ingresso.
Matteo rise di gusto << Certo che lo ero! Ma tu no! Era qualcosa da cui non ti sei tirata indietro. Tu lo volevi tanto quanto me.>>
Alice aprì la porta d’ingresso di scatto e si girò di nuovo verso di lui << Okay, ci siamo baciati. E allora? L’hai detto persino tu che quando sei ubriaco fai cose stupide. Ora vattene, per favore.>>
Matteo sospirò e si incamminò verso l’uscita ma si fermò all’ultimo per girarsi ancora una volta verso di lei.
<< Pensi davvero che sia stata solo una cosa stupida?>> chiese Matteo.
Alice guardò a terra, non volendo guardarlo in faccia mentre gli rispondeva << Si. Eri ubriaco, non voleva dire niente.>>
Matteo si irrigidì di colpo a quelle parole. Non poteva crederci che lo pensasse davvero. Chiuse le mani a pugno lungo i fianchi e iniziò a respirare pesantemente. Mille pensieri gli stavano passando per la testa in quel momento, così tanti che credeva sarebbe scoppiata da un momento all’altro.
<< Oh, al diavolo!>>
Prese il volto di Alice fra le mani, lo alzò e poi la baciò.
Anche questa volta lei era rimasta sorpresa dal gesto, ma non si tirò indietro. Sentì il corpo di Alice lentamente rilassarsi sotto la sua presa e poggiare le braccia intorno al suo collo. Una volta appurato che non si sarebbe allontana spostò anche lui le mani sui suoi fianchi, stringendoli leggermente. Continuarono a baciarsi lentamente, esplorando l’uno la bocca dell’altro. Quando Matteo decise di approfondire ancora di più il bacio questa volta Alice non si tirò indietro, al contrario, lo tirò ancora più vicino a se. Indietreggiarono, senza staccarsi da quel contatto tanto cercato, finché Alice non toccò la porta con la schiena, trovandosi così intrappolata, con il corpo di Matteo ormai a ricoprirla interamente. Matteo sentì ancora una volta il sapore di pesca sulle labbra di Alice. E, come una dipendenza, ne voleva sempre di più.
Decisero di interrompere quella danza fatta di lingue e morsi quando si ritrovarono senza più fiato nei polmoni.
Ansimanti si guardarono negli occhi, lucidi di passione, e Matteo poggiò la fronte contro quella di lei.
<< Pensi ancora che sia qualcosa di stupido?>> chiese flebilmente.
<< Io…>> iniziò Alice, non trovando le parole per continuare. Si morse il labbro con forza e cercò di allontanarsi da lui il più possibile, allontanarsi da quella stretta che ormai la stava facendo sentire claustrofobica. Il suono del citofono fece sobbalzare tutti e due dalla sorpresa. Alice chiuse gli occhi con forza, infastidita da quel rumore assordante, prese l’apparecchio in mano per poi premere due pulsanti contemporaneamente.
<< Sali, Erica.>> disse atona.
Matteo rise per l’ottimo tempismo di Erica, sempre pronta a salvare la sua amica. Sospirò, scuotendo la testa capendo che era ora di sparire. Si avvicinò ad Alice frettolosamente e gli lasciò un veloce bacio sulla guancia.
<< È meglio che vada. Ci vediamo.>> disse senza aspettare risposta da lei, percorrendo le scale e accingendosi a lasciare il più in fretta possibile quell’edificio. Sfortuna volle che incontrò proprio la persona che non voleva incontrare. Per poco non si scontravano per la fretta che avevano tutti e due.
Gli occhi di Erica si posarono freddi e accusatori sopra la figura di Matteo, iniziando a formulare ipotesi sul perché lui si trovasse lì in quell’edificio, lo stesso dove abitava la sua migliore amica. Le coincidenze della vita. Ma non disse nulla, rimase lì a fulminarlo con lo sguardo. Però lui aveva assolutamente bisogno di uscire e di andare nel suo posto speciale.
<< Erica. Mi dispiace per ieri, non credevo che quelle cose ti dessero fastidio. E prima che mi blocchi qui a parlare, o nel tuo caso ad insultarmi, ti devo chiedere la cortesia di lasciarmi perdere e farmi andare il più lontano possibile da qui. Una vittoria per tutti e due, no?>>
Erica non proferì parola, si limitò ad accontentarlo e a procedere la sua scalinata verso l’appartamento di Alice. Per una volta Matteo gliene fu grato.
 
 
Buttò le chiavi di casa sul mobiletto vicino alla porta e si passò una mano fra i capelli. Si diresse lentamente e controvoglia verso la sua camera, tempo di riposarsi e poi ripartire verso il mare. Non fece caso a niente, troppo stanco per tutto, anche per accorgersi che non era solo.
<< Dove sei stato?>> chiese sua madre, con un tono di voce troppo calmo vista la situazione.
Matteo continuò a dargli le spalle, deciso a non girarsi, non voleva rimanere tutto il pomeriggio a spiegare a sua madre perché la sua faccia era diventata improvvisamente un disastro viola e giallo, con un bel taglio sul sopracciglio.
<< Sono qui adesso, no?>> rispose. Non aveva voglia di parlare con sua madre, voleva solo dormire.
<< Matteo Bianchi rispondimi subito!>> alzò di più la voce questa volta.
Matteo strinse i pugni lungo i fianchi, strizzando gli occhi per il fastidio. Lo aveva chiamato in quel modo. Se gli avesse dato una pugnalata alla schiena avrebbe fatto meno male.
<< Non chiamarmi mai più in quel modo. Io non voglio più avere niente a che fare con lui.>> digrignò i denti, furioso al solo pensiero di avere il suo stesso sangue. Quel cognome lo legava in modo irreparabile all’uomo che più disprezzava sulla faccia della terra.
Sua madre sembrò pentita, per qualche secondo, ma non perse il pugno di ferro e decisa si avviò verso di lui.
<< Sono tua madre, pretendo un minimo di rispetto quando ti parlo. Quindi guardami in faccia e dimmi dove—>> si bloccò quando prese per una spalla suo figlio e lo girò con troppa violenza, forse, ma la faccia del suo bambino la lasciò senza parole. Si portò immediatamente una mano sulla bocca, per fermare le sue labbra tremolanti, mentre Matteo continuava a fissare il pavimento senza osare alzare lo sguardo verso di lei.
Sbatté più volte le palpebre, gli occhi ormai lucidi, pronti al pianto. Allungò una mano verso il mento di suo figlio, cercando di farglielo alzare e ispezionare meglio quell’orrore che si ritrovava sul volto, ma Matteo si tolse bruscamente dal suo tocco. Non voleva essere toccato, non voleva che qualcuno lo riparasse o provasse pietà per lui.
<< Chi ti ha…. Cosa è…?>>
<< Sto bene mamma, davvero. È stata solo una lite di poco conto.>>
Sua madre scosse energicamente la testa, ormai le lacrime che sgorgavano dalle sue guance << No Matteo, tu non stai bene. Non stai bene per niente! Hai bisogno d’aiuto! Lo so che tutto quello che ti è successo, che ci è successo, è stato pesante, ma io ora sto bene e credo che ora è il tuo momento per->>
<< Non ho bisogno di aiuto.>> bugia << Sto bene.>> bugia << Tutto quello di cui ho bisogno ora è di andare in camera mia a riposarmi.>> mezza verità. Poteva ancora migliorare, magari un giorno avrebbe detto solo ed unicamente la pura verità. Un giorno.
Sua madre allungò la sua mano di nuovo, nel tentativo di accarezzarlo, di aggiustare qualche pezzo, ma si fermò a metà strada rimanendo con la mano sospesa nel vuoto, non più sicura di cosa fare. Matteo gli diede le spalle e si avviò nella sua camera chiudendo con attenzione la porta, cercando di fare il meno rumore possibile. Il cuore spezzato di sua madre era ormai un rumore troppo potente e costante nelle sue orecchie.
 
 
Si svegliò di nuovo alle sei di pomeriggio, intorpidito e ancora con la faccia dolorante. Sembrava che non fosse successo niente, che tutto quello fosse stato solo un brutto sogno. Ma non era così.
Si stropicciò gli occhi, cercando di mandare via quella pesantezza data dal sonno, e iniziò a guardare intorno alla sua camera. Era un vero casino. Vestiti e fogli ovunque nella stanza. Non era mai stato un tipo ordinato lui, questo doveva ammetterlo, ma non era arrivato mai fino a quel punto, aveva cercato sempre di tenere una certa decenza per quella camera, tanto per far vedere che qualcuno ci viveva. Negli ultimi anni si era lasciato andare, non gli importava più niente di niente. Si spogliò, buttando i vestiti della notte precedente nel mucchio di panni che puzzavano, e si mise alla ricerca di qualche capo pulito in mezzo a quel casino. Una volta trovati, prese portafoglio e cellulare. Uscì piano dalla sua camera. Tutto era silenzioso all’interno della sua casa, segno che sua madre era andata a lavoro. Prese di corsa le chiavi di casa e si diresse correndo verso la fermata degli autobus, sperando di non perdere la corsa.
 
Si ritrovò al pontile troppo presto. Non c’era nessuno oltre a lui, nemmeno lei. Forse era stato stupido a sperarci, visto che si incontravano solo il Sabato sera e quel giorno era Domenica, ma il sole non era ancora calato e non aveva posti in cui andare quindi. Restò lì seduto per terra a godersi il tramonto, con il mare leggermente mosso e il vento che gli scompigliava i ricci biondi. Chiuse gli occhi, poggiando la testa su una delle travi di quel vecchio pontile. Si fece cullare dal suono delle onde e sentì ogni muscolo sciogliersi e ogni osso fargli meno male. Era senza pensieri in quel momento. Era in pace in quel momento. Tutti i problemi non potevano raggiungerlo nel suo posto speciale, la realtà non poteva raggiungerlo lì. Poteva considerarlo il suo Paese delle Meraviglie, senza conigli bianchi o regine di cuori urlone, senza lepre marzolina o cappellaio matto, e senza Alice. Beh, forse un giorno avrebbe portato un’Alice nel suo posto speciale. Forse.
<< Devo essermi persa un bello spettacolo se sei ridotto così.>>
Matteo aprì gli occhi di scatto e alzò la testa troppo velocemente, finendo per sbatterla sopra l’altra trave di legno.
Noelle rise, mentre lui era intendo a massaggiarsi la testa e a controllare che non se la fosse rotta per quel forte impatto.
<< Quando sei arrivata? Che ore sono?>> chiese ancora stordito. Doveva essersi appisolato senza accorgersene. Notò che il sole era andato via da un pezzo e che ormai la notte aveva prevalso nel cielo.
<< Sono le otto e mezza. Sono qui da dieci minuti. Ti ho trovato addormentato e quindi pensavo di aspettare che ti svegliassi. Ma poi mi stavo annoiando così ho accorciato i tempi.>> finì sorridendogli innocentemente.
Matteo si rimise in piedi e poggiò i gomiti sulla balaustra, vicino a dove Noelle si era seduta. Non gli era mai stata così vicino. Poteva vedere con la coda dell’occhio ogni particolare delle sue ali, quasi quasi riusciva anche a contarle visto la vicinanza.
Si schiarì la voce << Mi dispiace se ieri sera non sono venuto, ho avuto da fare.>> disse a mo’ di scusa.
<< Ha a che fare con la tua faccia martoriata?>>
<< Più o meno.>>
Noelle rise, considerandolo forse solo un debole essere umano.
<< Non c’ero neanche io la scorsa notte. Anche io ho bisogno di riposo qualche volta.>> disse semplicemente.
Matteo annuì, come se avesse capito, ma alla fine non sapeva come potesse funzionare il suo corpo. Insomma erano a metà Novembre e lei indossava una canottiera! E non aveva neanche un brivido di freddo!
Scosse la testa ridendo. Aveva ancora tanto da imparare su di lei.
Come tutti gli incontri rimasero lì a guardare la vastità del mare che gli si presentava davanti agli occhi, in silenzio, godendosi l’uno la compagnia dell’altro.
Fu però in quell’oscurità che a Matteo venne di nuovo il mente il sogno fatto la sera precedente (o la mattina, dipendeva dai punti di vista). Ricordava il corpo di Noelle sopra quello di Alice. Ricordava il sangue. E in quel momento il suo cervello gli stava ricordando anche la domanda che si era posto per tutta la giornata.
<< Tu chi uccidi?>> chiese senza aver potuto frenare prima la sua maledettissima lingua.
Il corpo di Noelle si irrigidì di colpo, e si girò a guardarlo con un volto confuso e forse anche… offeso?
Matteo cercò di riprendersi alla bene e meglio << Cioè nel senso quali sono i tuoi criteri? Voglio dire, tutti gli assassini hanno i loro target, giusto? Avrai anche tu delle caratteristiche che accumunano tutte le tue vittime. Per esempio, magari lasci perdere le persone che hanno gli occhi chiari!>>
<< Non decido io.>>
Matteo rimase interdetto. C’era qualcun’atro dietro a tutto quel massacro? Lei era solo il mezzo, “l’arma”, per raggiungere il fine di qualcun altro.
<< Mi viene detto chi devo cercare. Lo trovo e lo uccido. È questo quello che devo fare.>> continuò, controllando il tono della sua voce, non facendo trasparire nessuna emozione. Come se non si stesse parlando di persone, di vite. Come se fosse una cosa da niente ‘prendere il posto di Dio’.
<< Hai detto che devi farlo. Quindi ti obbligano a farlo, non è vero?>> chiese, avvicinandosi lentamente verso di lei.
Noelle rimase lì a fissarlo, ancora più tesa di prima. Ogni suo senso era allerta, pronto a rispondere alla prossima mossa o a qualsiasi imprevisto.
<< Lo faresti lo stesso se non fossi obbligata?>> chiese posando una mano sulla sua.
Le sue mani erano fredde, tanto fredde. Eppure lei sembrava non sentirlo. Quel contatto creava un contrasto così forte che lo sentirono tutti e due. Arrivando fin dentro l’anima.
Riscaldò lei e congelò lui.
Noelle si alzò di scatto e con uno slancio volò via.
<< Aspetta! Scusa, non dovevo chiedertelo. Ritorna!>> urlò, sporgendosi sempre di più dalla balaustra verso il mare nero e ghiacciato.
Guardò freneticamente da una parte all’altra del cielo stellato, ma l’oscurità riusciva a nasconderla perfettamente.
Strinse con più forza il legno della balaustra, fino a farsi male alle mani. E poi urlò.
Buttò fuori tutta la rabbia, la frustrazione e la tensione accumulati fino a quel momento. Diede un calcio al lampione e poi senza pensarci due volte corse via da là.
Il suo Paese delle Meraviglie non gli bastava più.
Un anestetico. Aveva bisogno di qualcosa che mettesse ordine nel caos. Qualcosa che lo facesse sentire leggero.
Qualcosa che gli permettesse di volare e raggiungerla.







Angolo autrice
Fear of memories.
A presto.
E. xx


 

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Capitolo 15
*** The Ghost of you ***


Attenzione
In questo capitolo sono presenti scene rappresentanti uso di droghe e scene di violenza sessuale. Si sconsiglia vivamente la lettura a persone facimente influenzabili o impressionabili.
Detto questo, vi auguro buona lettura.




Capitolo 14
The Ghost of you



 
Bussò alla porta con forza. Tre colpi ben assestati, ripetuti abbastanza volte per far capire a chi abitava lì dentro che doveva sbrigarsi ad aprire. Che al di fuori di quella porta c’era un ragazzo impaziente e bisognoso di aiuto.
Il rumore di catenacci lo fece sobbalzare per la sorpresa. Dopo innumerevoli mandate di chiave la porta si aprì rivelando una figura illuminata a mala pena dal lampadario di quel posto.
<< Oh, ciao Matteo>> salutò la donna in vestaglia, evidentemente molto sorpresa dalla sua presenza in quel momento.
Si schiarì la voce, in evidente imbarazzo per essere piombato così a casa di qualcuno, ma in fondo credeva che lei se lo aspettasse. Non era la prima volta che succedeva.
<< Ehm, ciao Clara. Scusa se ti disturbo ma cercavo Johnny>> disse continuando a guardare per terra e alzando di rado lo sguardo su di lei.
Clara sorrise materna << Certo, te lo chiamo subito>> lo avvertì prima di spostarsi di poco e chiamare il suo ragazzo ad alta voce. Non avevano una casa grandissima e le mura erano molto sottili.
<< Grazie.>> disse << E congratulazioni per il bambino, sono molto felice per tutti e due. A che mese sei?>> chiese per non sembrare scortese e per occupare il silenzio prima che Johnny arrivasse.
Clara si accarezzò la pancia lentamente da sopra la vestaglia, guardandola con occhi luminosi << Grazie. Sono al terzo mese. Questo piccolo pesciolino dovrà nascere a Maggio>> gli comunicò, spensierata e felice.
Mentre lui in testa aveva solo il tempo rimanente per trovare una soluzione e ora aveva anche una linea di confine… Maggio.
Si riprese, mostrando il suo miglior sorriso. Un bambino non era una disgrazia e non lo sarebbe mai stato, neanche se questo complicava la sua situazione.
<< Spero che prenda tutto da te, perché se prende dal padre… avrai davvero molto di cui occuparti>> disse ridendo, contagiando anche lei.
<< Ehi non screditarmi davanti alla mia donna e al mio figlio non ancora nato. Ci tengo a mantenere la mia reputazione di uomo perfetto>> comparì, dando un bacio alla sua donna e poi passando una carezza sulla pancia, più accentuata rispetto ai mesi precedenti. Clara li lasciò soli, capendo di essere di troppo in quel momento, e se ne ritornò a dormire.
<< Allora piccolo Teo, che ci fai qui? Domani non c’è scuola?>> chiese poggiandosi sullo stipite della porta in attesa di una sua qualsiasi richiesta.
Matteo abbassò il capo, ricordandosi subito del perché si ritrovava lì in quel momento.
<< Ho bisogno di qualcosa Johnny. Deve essere roba forte perché ho un macigno sul petto.>>
Johnny lo guardò da capo a piedi. Gli dispiaceva per quel ragazzo così giovane, con ancora un futuro davanti, gli stavano simpatici lui e il suo amico. Non erano come i soliti clienti che avevano perso ogni traccia di umanità e decenza, loro ne avevano ancora. Per questo gli spezzava il cuore vedere quel piccoletto così sofferente, già stanco del mondo schifoso che lo circondava. Però a conti fatti era un’adolescente. Tutti facciamo sciocchezze a questa età, anche perché altrimenti non riusciamo a sopravvivere.
Si affacciò al corridoio del condominio, controllando che non ci fosse nessuno ad ascoltare e poi si rivolse di nuovo a lui.
<< Aspettami qui>> lo informò, per poi sparire di nuovo all’interno della casa.
Matteo rimase immobile per modo di dire. Passava il peso da una gamba all’altra, le sue mani erano sudate e prudevano per l’agitazione, e il suo sguardo slittava dal corridoio alla casa in cerca di movimenti sospetti.
Johnny ritornò in poco tempo con due bustine di plastica piccole contenenti delle piccole pasticche.
<< Sono abbastanza sicuro che tu non voglia dell’erba, quindi ecco qui>> gli porse i pacchetti, mostrandoli meglio a Matteo.
Lui deglutì il groppo di saliva che gli era rimasto bloccato in gola alla vista di quelle pasticche.
<< Cosa sono?>> chiese quasi sussurrando, timoroso e allo stesso tempo affascinato da quelle piccole capsule di felicità.
<< Queste>> disse alzando un pacchetto << Sono pasticche di Xanax, dovrebbero bastarti per una settimana, forse di più.>> finì, consegnando il primo pacchetto nelle sue mani << Mentre queste>> iniziò mettendo in mostra il sacchetto con all’interno meno pasticche << Si chiamano Diazepam, o più comunemente Valium, le devi prendere in caso lo Xanax non ti facesse effetto e una volta che le avrai finite>> concluse, consegnandoli anche l’altro pacchetto.
Matteo si mise a guardare le sue mani, ora piene di quella miniera d’oro, e sembrava che pesassero come macigni in quel momento. Tutta quella potenza racchiusa in delle piccole pasticche colorate, lo stupiva a tal punto da farglielo sentire direttamente sulla pelle fino ad arrivare alle ossa.
Serrò le mani in una presa possessiva e guardò Johnny << Grazie. Quanto ti devo?>> chiese sbrigativo, non vedendo l’ora di andarsene da lì per poter cadere in un limbo fatto di nebbia e oscurità.
<< Dammi 20 pezzi e siamo apposto>> rispose con sguardo leggermente divertito e allo stesso tempo preoccupato.
Matteo mise subito in tasca le pasticche e prese il suo portafogli velocemente, pagando quello che doveva, e sbrigandosi a rimetterlo apposto per poi andarsene.
Farfugliò dei saluti e delle congratulazioni per il bambino, pronto per andarsene il più lontano possibile da lì ma Johnny lo bloccò un’ultima volta.
<< Piccolo Teo, stai attento. Non prenderle tutte insieme e se senti di star per collassare, mettiti due dita in gola e vomita tutto. Ci tengo a rivedere la tua faccia>> disse sorridendogli preoccupato.
In quel momento gli sembrò molto di più che il suo spacciatore, cosa che qualche volta era pure stato, gli sembrò un vero amico, preoccupato per il suo benessere. Ma la natura del tossico non svaniva del tutto. Perché gli amici non ti aiutano a distruggerti. Lui i suoi soldi se li è presi, che Matteo viva o muoia non può interessargli più di tanto. Tutti e due hanno accettato il proprio destino nel momento dello scambio, quando il boia ha passato il coltello al condannato, quello che poi succederà sarà determinato dalle loro azioni.
Matteo gli sorrise, cercando di rassicurarlo e poi prese a scendere le scale di corsa.
Aveva bisogno di mettere ordine nel caos ora. Ne aveva un estremo bisogno.
 
 
<< Ti prego… Ti prego…>> continuava a singhiozzare con quella cantilena di parole dette a ripetizione.
<< Ti ho detto di stare zitta! Mi rovini il divertimento con questo tuo piagnisteo.>>
Non sapeva come ci fosse finita lì. O meglio. Non sapeva come fosse potuta cadere in uno dei trucchi più vecchi del mondo.
Eppure gli sembrava uno apposto quando lui si era avvicinato a lei con due cocktail in mano. Gli era sembrato un uomo tranquillo, educato, gentile. Eppure si era trasformato in quel mostro che la stava violando con le sue mani sudicie e appiccicose che scorrevano su tutto il suo corpo, tastando ogni centimetro di pelle, marchiandolo con strette violente e possessive.
Quando la droga che lui aveva messo nel bicchiere iniziò a fare effetto, capì di essere in pericolo. Le luci del locale erano diventate sfocate e la musica ovattata alle sue orecchie. Cercò di andarsene da lì il prima possibile, di allontanarsi da lui, ma le sue gambe erano diventate come gelatina e non riusciva a stare in piedi senza un appoggio. E quando lui la prese per un braccio per scortarla di fuori a “prendere aria perché così si sarebbe sentita meglio” avrebbe voluto urlare a tutte le persone che erano lì intorno di aiutarla, di salvarla, eppure le sue corde vocali non producevano nessun suono, la sua bocca formicava e riusciva a separare le sue labbra di poco, il necessario per far entrare un po’ di ossigeno. Ora si trovava attaccata al muro di un vicolo viscido, senza maglietta e con la testa che le scoppiava. Avrebbe voluto reagire, avrebbe voluto spingerlo via e scappare, ma i suoi muscoli non rispondevano ai suoi comandi. Però sentivano tutto. Sentiva la lingua di quell’uomo sul suo collo, sentiva le sue mani lavorare sul bottone dei pantaloni per slacciarli, sentiva la presa dolorosa sul suo seno. Avrebbe voluto essere incosciente invece di sentire tutto questo sporco, tutti questi tentacoli viscidi che si artigliavano sulla sua pelle, non facendola respirare.
I suoi occhi continuavano a buttare giù lacrime, ormai consapevoli che il peggio sarebbe arrivato di lì a pochi momenti.
<< Ti prego… Basta… Ti prego…>> sbiascicò, ormai priva di forze, di volontà di combattere. Diventando un guscio vuoto, privo di anima, sperando che avrebbe fatto tutto il più velocemente possibile.
<< Sei sordo? Ti ha detto basta.>>
Una voce, diversa da quella del mostro alle sue spalle. Qualcuno era venuto a salvarla, le sue preghiere non erano state vane. Per un momento, sentì una scintilla di speranza accendersi dentro di se.
Il mostro aveva ancora le mani ancorate su di lei, deciso a non far scappare la sua preda, e si girò impaurito verso la voce.
Scorse la figura di una ragazza poco distante da loro, niente di cui preoccuparsi pensava, poteva essere un’altra delle sue vittime. Ma in quel momento aveva già quello che gli serviva.
<< Sparisci, io e questo gioiellino ci stiamo solo divertendo. Niente che lei non voglia>> disse premendosi ancora di più sul suo corpo, sovrastandola del tutto.
La figura si avvicinò lentamente, con passi precisi e delicati, non spostando lo sguardo su di loro.
<< Viscido come i serpenti. E altrettanto velenoso>> continuò la sua marcia verso di lui, con gli occhi infuocati di rabbia, odio e risentimento.
Il mostro allentò la presa sulla sua vittima, vedendo la ragazza farsi sempre più vicina, ignorando il suo invito ad andarsene e a lasciarlo solo. Ma alla fine cosa si aspettava? Ciò che stava facendo non era “etico” secondo le persone normali. Si fece sfuggire una risatina di scherno.
<< Non sto scherzando dolcezza, potrei decidere di fare del male anche a te>> sorrise sinistro, leccandosi le labbra.
La ragazza fermò la sua avanzata e piantò bene i piedi a terra.
Il mostro la prese come una vittoria, perché ricominciò a stringere la sua vittima con più forza, volendo ricominciare da dove era stato interrotto. Ma il rumore che seguì dopo lo fece voltare di scatto e spalancare gli occhi all’inverosimile.
Due paia di ali gigantesche e nere uscivano dalle spalle della ragazza.
Lasciò la presa sulla sua vittima, facendola cadere a terra non avendo un oggetto dove reggersi, e si voltò completamente verso la ragazza, con la cintura slacciata, i pantaloni calati e un’erezione alquanto visibile. Cominciò a tremare, non credendo ai suoi occhi, e iniziò ad indietreggiare lentamente.
La ragazza ricominciò la sua camminata stavolta più velocemente. Il riflesso di una luce gli fece chiudere un attimo gli occhi per poi aprirli con fatica e puntarli sulla fonte.
La ragazza teneva fra le mani un pugnale bello grande, e sembrava sapesse come maneggiarlo.
Iniziò a respirare velocemente, guardandosi intorno in cerca di un’arma di fortuna, fregandosene completamente ora della presenza della sua vittima.
<< Cosa sei?>> iniziò urlando << Il diavolo? Uno scherzo della natura?>> continuò cercando di non far trasparire il terrore nella sua voce << STAI LONTANO DA ME DEMONIO!>>
Fuoco.
Fuoco era quello che stava sentendo in quel momento, e lo stava sentendo all’interno della sua gamba sinistra. Si buttò a terra urlano, tastando il pugnale che si era conficcato all’interno della coscia, facendo bruciare tutti i tessuti all’interno, sentendoli strapparsi uno per uno.
La ragazza prese un altro coltello e si avvicinò ancora di più a lui.
Lui prese a trascinarsi all’indietro, nel disperato tentativo di scappare, ma la sua fuga ridicola venne bloccata quando lei gli schiacciò la caviglia con il piede, facendolo urlare ancora di più.
La ragazza aveva una maschera addosso, che rendeva visibile solo le labbra e gli occhi. Occhi riempiti di fuoco, di rabbia, occhi che non avevano paura di lui.
Schiacciò ancora di più il piede sulla sua caviglia per attirare la sua attenzione.
<< Portafogli>> disse solamente.
Lui sembrò confuso in un primo momento, voleva dei soldi?
La pressione si fece un’altra volta più forte e allora lui si sbrigò a prendere il portafogli dalla tasca dei suoi pantaloni e a porgerglielo. Lei lo prese delicatamente e lo aprì. Prese la sua carta d’identità e butto il resto da un’altra parte.
Lui continuò a respirare, sempre più affaticato, vista l’ingente perdita di sangue dalla sua gamba che ora aveva iniziato a formare gocce di sangue sul terreno.
Lei studiò attentamente la carta d’identità << Mh… Non sei nella mia lista>> gli comunicò per poi spostare lo sguardo su di lui << Ma non credo che una persona come te mancherà a qualcuno.>>
Il respiro del mostro si bloccò e poi riprese più forte e veloce di prima. Cosa voleva dire? Quale lista? Cosa gli sarebbe successo?
La ragazza angelo impugnò il coltello conficcato nella sua coscia e cominciò a muoverlo in modo circolare. Il mostro si sentì morire, ogni tessuto, ogni legamento, si stava lacerando.
<< Vedi, tu non fai il parte del gioco. Quindi devi sparire senza lasciare tracce>> guardò in alto verso il cielo << E sono anche molto fortunata. Stasera c’è la luna piena>> spostò di nuovo lo sguardo su di lui << Ci penseranno i lupi a te>> finì sorridendo.
Cominciò a sudare freddo, brividi si diffusero per tutto il corpo, e l’adrenalina fece il resto. Si alzò di scatto cercando di andargli a dosso, prendendola di sorpresa, ma lei fu più veloce. Si spostò facendolo cadere con la faccia a terra, e poi gli ficcò il coltello dietro alla schiena, precisamente al centro.
Si aggrappò al terreno, continuando ad urlare << PUTTANA! IO TI AMMAZZO! AMMAZZO TE E TUTTE LE PUTTANE DI QUESTA TERRA!>>
La ragazza angelo estrasse il pugnale dalla gamba, facendo gemere di dolore il mostro, e si piegò fino al suo livello. Lo afferrò per i capelli e gli tirò su la testa per guardarlo negli occhi.
<< Non osare chiamarmi ancora in quel modo! Sono stanca di incontrare scarafaggi come te che non sanno usare bene la lingua>> digrignò dalla rabbia, mentre gli mostrava il coltello pieno di sangue e glielo passava davanti agli occhi. Gli prese la bocca gliela aprì e con un taglio netto gli stacco la lingua. Il sangue gli macchiò le mani e parte della faccia. Il mostro continuò a contorcersi come un verme per il dolore, fino a quando l’eccessiva perdita di sangue non gli fece avere le convulsioni, per poi lasciarlo lì immobile ed inerme a terra.
Noelle guardò quel corpo con disprezzo per poi togliere il coltello dalla schiena dell’uomo e rimetterlo nella fodera.
Sentì dei singhiozzi sommessi, ricordandogli che non era sola e che la ragazza non era ancora in grado di camminare. Si avvicinò lentamente a lei, cercando di non spaventarla, ma lei si chiuse ancora di più a riccio.
<< Ti prego… Non uccidermi…>> mormorò tra un singhiozzo e l’altro.
Noelle si avvicinò di più alla ragazza, posando delicatamente una mano sulla sua spalla. Al contatto sentì la ragazza ripiegarsi ancora di più su se stessa e lanciare un piccolo gridolino.
<< Non ti farò del male. Lo giuro.>>
La ragazza alzò piano il suo sguardo verso Noelle e vide che lei gli stava sorridendo comprensiva e la sua mano era posata delicatamente ancora sulla sua spalla, senza metterci peso sopra o forza, quasi come una presenza fantasma.
Le guance erano rigate e bagnate dalle lacrime e il naso colava leggermente. Noelle gli offrì un fazzoletto per asciugarsi e poi si allontanò di nuovo per prendere la maglietta della ragazza e ricoprirla con quella.
La ragazza si tranquillizzò, rivestendosi con mani tremanti e la testa che ancora scoppiava.
<< Vuoi dimenticare?>> chiese Noelle.
La ragazza la guardò confusa. Come poteva dimenticare tutto l’orrore, la paura e il viscidume di quel mostro? Quelle scene avrebbero albergato nei suoi incubi per anni a venire.
<< Mi dispiace per quello che ti è successo. Ma se vuoi io posso farti dimenticare tutto, come se tutto questo fosse stato solo un brutto sogno>> disse, facendo confondere ancora di più la ragazza << So che sembra impossibile, ma devi fidarti di me. Anni fa avrei pagato oro per avere l’opportunità di dimenticare…>>
La ragazza spalancò di poco gli occhi. Posò il suo sguardo a terra pensierosa, ma il dolore alla testa e al petto non smettevano di cessare, e se c’era solo una possibilità per dimenticare questo dolore l’avrebbe colta al volo. Riportò lo sguardo su Noelle e annuì impercettibilmente.
Noelle le sorrise e poi portò lentamente una mano dietro il suo collo. Infilò gli artigli dentro la carne e i suoi occhi si illuminarono del colore dell’oro. Vide tutte le scene, sentì tutte le sue emozioni: paura, rabbia, sensi di colpa, disgusto, dolore. Si prese tutta la sua sofferenza racchiusa nei suoi ricordi. Si fece carico di tutto e una volta finita la pulizia, lasciò andare la presa.
Chiuse gli occhi un paio di volte, respirando pesantemente, cercando di ritrovare il controllo e far sparire quelle scene dal suo campo visivo.
<< Grazie…>> sussurrò la ragazza prima di perdere i sensi.
Noelle le sorrise materna. Un ululato non troppo lontano gli arrivò alle sue orecchie e lei rimise quella maschera di indifferenza e apatia. Si girò verso il corpo martoriato del mostro, vedendo in lontananza degli occhi rossi e degli occhi azzurri, color del ghiaccio puro.
<< Siete proprio degli ingordi>> iniziò alzandosi in piedi dalla sua posizione << Ma la colpa non è solo vostra d’altronde>> disse riferendosi alla luna.
Prese la ragazza in braccio facilmente e poi si riferì alle due figure << Non lasciate tracce. Deve scomparire nel nulla. Niente ossa per terra, intesi?>>
Le due figure si avvicinarono al corpo esanime del mostro e lo trascinarono via, per poi dare un muto consenso a Noelle.
Lei una volta averli visti andare via con il corpo entrò nell’edificio con la ragazza, l’appoggiò a terra e chiamò uno dei suoi primi numeri per farla venire a prendere.
Aprì l’app delle note e iniziò a scrivere. Una volta finito lasciò il telefono e uscì da quell’edificio.
In quel vicolo tutto sembrava tornato alla normalità, come se niente fosse successo. Prese il portafoglio del mostro, lo guardò e lo butto dentro al cassonetto lì vicino. Poi riprese la carta d’identità. La guardò con attenzione. Osservo quel nome e quel volto, ora diventati anonimi, mai conosciuti. Prese un accendino e diede al fuoco il compito di purificare tutto, di cancellare la traccia di quell’essere dal mondo. Restò lì a fissarlo, affascinata, finché anche l’ultimo pezzetto di carta non si fosse carbonizzato riducendo tutto in cenere. Un’intera esistenza ridotta in polvere dall’elemento più puro e pericoloso al mondo.
Poi volò via.
 
Note
Ti è stata data una seconda possibilità. Non capita a tutti, quindi non sprecarla. Non fidarti di nessuno. Neppure di chi credi amico.
 
 
Buio.
Per sei giorni interi è stato solo questo. Niente sogni, rarissime volte allucinazioni, ma per il resto è stato tutta nebbia e buio.
Non era uscito dalla sua stanza per 6 giorni. Non era andato a scuola, non era uscito e non aveva risposto a nessun messaggio. Si era portato alcune bottiglie d’acqua e due pacchetti di patatine. Il massimo per sopravvivere. Le pasticche erano sempre vicino al suo letto. Lo Xanax era quasi finito, mentre il Valium era quasi intatto. Lo aveva preso insieme allo Xanax una volta perché pensava che non gli facesse effetto, e poi è entrato in black out per alcune ore. Tutto quello che fa è dormire, idratarsi, mangiare due patatine, prendere altre pasticche e riaddormentarsi. E per il momento a lui va bene così.
Sua madre ha provato a farlo uscire, ma trovando la porta della sua camera chiusa a chiave ci ha rinunciato dopo un po’. Sapeva che sarebbe uscito solo quando avrebbe voluto lui.
Dei colpi forti alla porta lo risvegliarono dal suo torpore. Socchiuse di poco l’occhio che non era attaccato al cuscino e iniziò a vedere la forma della porta leggermente sfocata. I colpi continuarono, sempre più forti.
Matteo cercò di mettere a fuoco la stanza in quel buio pesto. Che ore erano? Quanti giorni erano passati dall’ultima volta che qualcuno era venuto a cercarlo?
<< Teo, apri! Sono io, Giorgio.>>
Matteo grugnì per il frastuono che stava facendo. Cosa ci faceva lui lì? Era il suo migliore amico, era da giorni che non lo vedeva, era normale che si fosse preoccupato. Questo fece scaldare un po’ il cuore di Matteo. Ma non era comunque pronto ad uscire, non in quelle condizioni, non se poteva permettersi di non sentire niente per altri due o quattro giorni.
<< Vattene>> sbiascicò, cercando di alzare la voce per farsi sentire.
<< Oh no, caro mio. Non mi muovo da qui>> iniziò continuando a battere << Ora ci sono due possibilità: o mi apri la porta e mi fai entrare>> prese una pausa ad effetto, Matteo era convinto che stesse ghignando lo stronzo in quel momento << O ti rompo la serratura ed inizierò ad usare le maniere forti. A te la scelta>> finì ridendo.
Matteo grugnì ancora. Non aveva le forze per andare fino alla porta e sbloccarla, non sentiva più le gambe da quanto erano addormentate. Sentì sua madre urlare “Non rompete la porta altrimenti la ripagherete con i vostri soldi” e allora in quel momento decise di provarci. Non voleva sentire sua madre lamentarsi ancora di più di quanto già facesse. Poggiò i palmi delle mani sul materasso e cercò di alzarsi, ma il suo peso sembrava fosse diventato il triplo di quanto in realtà fosse. Il primo tentativo andò perso, così come anche il secondo, e a quel punto non gli rimaneva altro da fare se non spostare tutto il peso all’estremità del letto e cadere per terra, sperando che la botta gli dia una sonora sveglia al sistema nervoso. Si girò per cadere di schiena e chiuse gli occhi all’impatto con il pavimento gelato. Il dolore durò relativamente poco, visto che le pasticche erano ancora in circolo nel suo corpo. Cercò di aggrapparsi al letto per alzarsi, con una lentezza che non lo caratterizzava e una volta che fu quasi in piedi guardò per la prima volta la sua stanza dopo giorni dalla sua reclusione. Era una vera discarica. Un rumore alla porta lo riportò al suo problema iniziale.
<< Arrivo!>> sbiascicò ancora con la voce.
Si attaccò ad ogni mobile che trovava lungo il cammino verso la porta, che improvvisamente sembrava essere diventato più lungo di tutti i giorni, con le gambe che minacciavano di cedergli da un momento all’altro. Quando finalmente fu abbastanza vicino alla porta, mollo la presa sulla sedia e si buttò a peso morto sulla porta, afferrando saldamente la maniglia. Respirò profondamente per qualche secondo, dato tutto lo sforzo che aveva fatto per arrivare lì, e poi girò la chiave in due mandate per sbloccarla. Appena finì Giorgio spinse la porta per entrare e poi se la richiuse alle spalle, aiutato da Matteo che non aveva ancora lasciato la sua posizione.
Giorgio fece una smorfia vista la mancanza di aria fresca e l’odore di chiuso che non lo faceva respirare bene.
<< Dio santo, Teo. Come hai fatto a sopravvivere per tutto questo tempo qua dentro?!>> chiese, mascherandosi poi la bocca con la mano.
Matteo sbuffò, infastidito dal commento ipocrita del suo amico, ricordandosi in che stato pietoso lo trovava a lui quando era fatto di coca e non si lavava per settimane.
Provò a staccarsi dalla porta per ritornare a letto ma le gambe gli cedettero, esauste per lo sforzo fatto tutto in pochi minuti. Giorgio gli fu subito accanto però, lo prese per un braccio e lo buttò di nuovo sul suo letto.
Matteo si sentì subito meglio una volta che fu ritornato nel suo posto sicuro e comodo. I muscoli iniziavano di nuovo a sciogliersi e la testa ricominciò a riprodurre quel ronzio che anticipa il torpore. Quando Giorgio si sedette per terra vicino al suo letto, come faceva sempre, e iniziò a parlare.
<< Cosa ti ha dato Johnny?>> chiese come prima cosa.
Matteo lo fulminò con lo sguardo << Non ci provare. Sei sotto Metadone ancora, non puoi prendere altre merdate. Sei ancora in riabilitazione>> disse sbuffando.
Giorgio scrollo le spalle << Non voglio la tua roba idiota! Voglio sapere che ti sei preso per ridurti in questo modo.>>
Matteo roteò gli occhi << Pasticche di Xanax. E qualche Valium…>> la testa gli diventava sempre più leggera.
Giorgio gli diede alcuni schiaffetti sulla guancia << Resta con me, idiota. Dobbiamo parlare.>>
E in quel momento Matteo giurò di voler uccidere il suo amico, tra tutti i momenti che poteva scegliere per parlare, proprio quello in cui non capiva neanche in che universo si trovava?!
<< Devi smetterla con le pasticche e tornare a scuola Teo. È il nostro ultimo anno, stiamo per finire la scuola e io non voglio essere bocciato un’altra volta>> sospirò << Non voglio finire quest’avventura da solo e non voglio lasciarti indietro. Sei mio fratello Matteo>> lo guardò, pregandolo di farsi aiutare.
Matteo infossò il viso nel cuscino. Ora si sentiva una vera merda per quello che aveva fatto. Neanche le pasticche lo avrebbero fatto sentire meglio. C’era ancora chi si preoccupava per lui, e continuava a dimenticarselo. I sensi di colpa iniziarono di nuovo a mangiarlo. Continuava a fare del male alle persone che tenevano a lui, come facevano a restargli accanto?
Giorgio gli posò una mano sulla schiena, muovendola in movimenti circolari, per poi sorridere << Non ti lascio solo Matteo, rimango fino alla fine della corsa.>>
Oh, lui lo sapeva che non lo avrebbe abbandonato. Fino alla fine della corsa si erano promessi, finché uno dei due non esalava l’ultimo respiro. Macabra come idea forse, ma pur sempre migliore delle favole zuccherose e false.
Matteo spostò la faccia dal cuscino guardando Giorgio. Gli sorrise << Come sei romantico! Scommetto che lo dici a tutti i ragazzi!>>
Giorgio rise di gusto, dando un sonoro pugnò sul braccio di Matteo che lui naturalmente non riuscì a sentirne la piena potenza visto l’intorpidimento del suo corpo.
<< No, lo dico solo a quelli con una folta chioma bionda. Inoltre ho un debole per i ricci>> finì facendogli l’occhiolino.
Rimasero a ridere e a scherzare per un po’. Giorgio aiutò Matteo ad idratarsi e a portarlo in bagno per darsi una lavata, gli diede dei vestiti puliti e restò con lui anche quando si addormentò a causa delle pasticche. Verso sera ordinò una pizza per tutti e due e rimasero in camera sua continuando a parlare.
Erano lì sul suo letto, con dei tranci di pizza in mano, quando Giorgio non poté più trattenersi dal fare quella domanda.
<< Perché hai preso quelle pasticche stavolta?>>
Matteo trattenne il pezzo di pizza a metà aria, interrompendo la sua camminata verso la sua bocca, sorpreso e allo stesso tempo nervoso per quella domanda.
Cosa voleva dimenticare? Perché aveva ceduto? Perché le aveva prese? Per chi le aveva prese?
Matteo abbassò lo sguardo, torturandosi il labbro inferiore con i denti.   
<< Solita merda…>> rispose sul vago, sperando inutilmente che quello potesse bastare.
Giorgio annuì poco convinto << In mezzo c’è anche Alice?>>
Matteo voleva scomparire in quel momento. Il suo migliore amico lo capiva troppo bene, sarà forse per questo il motivo per cui non può resistere senza di lui?
Il problema era che non era solo Alice, ma anche qualcun altro. Ma quello doveva rimanere un segreto, lo aveva promesso.
Così iniziò a raccontargli tutto quello che era successo, dalla lite fuori dal locale, al bacio prima di scappare via e andare direttamente da Johnny. Anche se aveva omesso la parte del pontile, poteva già dire di sentirsi meglio. Giorgio ascoltò tutto, esaltandosi e sorridendo come un bastardo nel pezzo del bacio << E bravo Teo! Sei arrivato in prima base!>>
Matteo scrollò le spalle. Non puntava più ad arrivare a nessuna base, non c’era proprio nessun gioco da fare. Non con lei.
Quando incominciò a farsi tardi, Giorgio raccolse la sua roba e si preparò ad andarsene. Prima di uscire dalla stanza fissò le pasticche sopra il suo comodino e poi allungò la mano per prenderle.
Matteo scattò come una molla << Le butto io queste, non preoccuparti>> cercò di rassicurarlo come meglio poteva.
Giorgio lo guardò sospettoso, non sicuro di potersi fidare, dopotutto era un ex tossico, sapeva quando potersi fidare della parola delle persone. Però quella volta sembrò fare un’eccezione per lui, e provare a fidarsi del suo migliore amico. Questo fece sentire Matteo ancora di più uno schifo.
Si allontanò dalle pasticche e gli spettinò i capelli << Ti voglio vedere domani a scuola, altrimenti verrò qui a prendere a calci il tuo bel culetto.>>
Matteo lo rassicurò per l’ennesima volta, abbracciandolo prima di vederlo andare via da casa propria.
Tornò nella sua stanza e iniziò a raccogliere qualche panno da terra. Ora che aveva mangiato e che l’effetto delle pasticche era quasi svanito, si sentiva più energetico. Fece cambiare aria e preparò le cose per domani, volendo non fare tardi per una volta.
Una volta finito si stese sul letto, iniziò a guardare la crepa sul soffitto, immerso nei pensieri quando improvvisamente si ricordò cosa doveva fare.
La bustina con le pasticche riposava tranquillamente, fissandolo dal suo posticino sicuro.
Aveva detto a Giorgio che lo avrebbe fatto lui, che ce l’avrebbe fatta da solo, lui si era fidato delle sue parole. Non poteva deluderlo ancora, non poteva cadere così in basso!
Prese la bustina con un gesto violento e partì a passo spedito verso il bagno. Chiuse a chiave la porta ed aprì la tavoletta del water.
Guardò l’acqua sul fondo del gabinetto tremolare leggermente dalla foga e poi fissò la busta. Le pasticche che erano rimaste gli sarebbero bastate per alcuni giorni. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle pepite d’oro. Iniziò a respirare velocemente e pesantemente, saettando lo sguardo dalle pasticche al suo ‘inceneritore’. Strizzò gli occhi un paio di volte e con l’altra mano si tirò i ricci. Doveva farlo, lo aveva detto a Giorgio, non poteva tradire la sua fiducia, ci sarebbe riuscito da solo, non gli serviva nessuno, non gli serviva aiuto. Non gli serviva aiuto.
Prese dei respiri profondi, regolando il suo battito cardiaco, e tese il braccio in avanti tenendo le pasticche in una presa debole, così leggera che anche un soffio di vento le avrebbe potute far cadere.
<< Che spreco…>>
La tavoletta del water fece un fragore assordante una volta chiusa ma il rumore dello scarico riuscì a coprirlo bene.
Non aveva bisogno di aiuto, ce l’avrebbe fatta da solo, era tutto sotto controllo.
Si stese sul letto, nascondendo un sacchetto sotto il cuscino.
Nessuno l’avrebbe saputo.
 
 
Il banco tremò improvvisamente e lui alzò la testa così veloce da farsi venire le vertigini da seduto. Il professore e tutti i suoi compagni di classe le stavano fissando, soprattutto il prof che si trovava a due centimetri dalla sua faccia. Ed era una faccia molto brutta la sua e anche molto… arrabbiata? Con tutte quelle rughe sulla sua faccia non capiva se fosse arrabbiato, frustrato o se stesse avendo un attacco di cuore.
Il Prof. Rughe grugnì, facendo vibrare le sue corde vocali ormai lacerate e consumate dalle sigarette e dai sigari cubani.
<< Bianchi, se la lezione è così noiosa per te puoi anche andare fuori dalla classe!>> urlò troppo vicino al suo orecchio.
Matteo sbatté gli occhi un paio di volte e cercò di metabolizzare ciò che gli aveva appena detto. Poteva uscire? Ottimo.
Prese il suo zaino e si incamminò verso la porta per andare in giardino.
<< La prossima volta cerca di non allagare la classe con la tua bava>> e gli sbatté la porta alle spalle.
Si passò una mano sulla bocca, trovandola umida e appiccicosa. Che schifo.
Tasto la tasca del giubbotto per vedere se il sacchetto era ancora con lui. Un sorriso idiota gli comparse sul volto quando sentì che non se l’era perse e che si sarebbe divertito ancora un po’.
Se ne era presa qualcuna prima di entrare a scuola perché… beh sapeva che non sarebbe stata una buona giornata, e alla fine la sua teoria si dimostrò esatta. Alice lo aveva ignorato del tutto, non rivolgendogli neanche uno sguardo e andandosene via ogni volta che lui provava ad avvicinarsi.
Tutte quella giornata era iniziata da schifo e sarebbe finita da schifo.
Raggiunse il giardino e si appostò come al solito sotto l’albero. Si buttò a terra, con il viso rivolto al cielo, guardando le nuvole grigie minacciarlo con il loro passaggio e sentendo il vento forte scomporre le poche foglie rimaste sull’albero e muovere in maniera disordinata i suoi ricci ribelli. Fece una smorfia di fastidio quando iniziò a sentire dei crampi alle gambe. Sapeva come farli smettere. Prese il sacchetto, infilò una mano dentro e afferrò una pasticca. E la rigirò sulle punte delle dita, osservando, ammirando, la potenza racchiusa in quel piccolissimo oggetto. Lo sguardo passò accidentalmente verso la porta del giardino ed è lì che lo vide. Giorgio.
Stava venendo verso di lui, però si era fermato per salutare Anastasia che sarebbe andata in classe. Matteo entrò nel pallone. Aveva ancora le pasticche, non l’aveva buttare. Sgranò gli occhi e un senso di panico iniziò a prendere possesso del suo corpo. Lui l’avrebbe capito che non l’aveva buttate, che ce l’aveva addosso. L’avrebbe detto a sua madre, al preside, alla polizia. Sarebbe così infame da dirlo a qualcuno? E se poi se le prende lui e ricade nel giro della dipendenza, che stronzo non si frega la roba agli amici. Sarebbero stati ancora amici se Giorgio l’avesse scoperto? No, sicuramente lo abbandonerà perché è un casino lui, non importa la promessa che si sono fatti, lui lo abbandonerà come hanno fatto tutti. Rimarrà da solo. Morirà da solo.
Matteo fissò il pacchetto. 11 pasticche tra Valium e Xanax. In corpo ne aveva ancora 4 o 5 in circolo.
Non ci pensò due volte, prese tutte le pillole e se le ficcò in bocca. Afferrò lo zaino con violenza e lo aprì buttando via tutti i quaderni per prendere la sua bottiglietta d’acqua. Una volta trovata svitò il tappo e la tracannò tutta, come se fosse un nomade nel deserto e quella fosse l’unica fonte di salvezza. Sentì le pasticche scendere nella sua gola e una volta sicuro che non ce ne fosse più traccia si staccò dalla bottiglia con il fiatone, cercando di riprendere ossigeno da tutta quella ‘corsa’.
Giorgio si girò verso di lui e lo salutò con la mano, Matteo ricambiò sorridendogli come se nulla fosse.
Non c’era più niente. Era salvo. Per ora.
 
<< E allora poi la prof. mi prende il compito, perché crede che io abbia copiato e… Teo, ti senti bene?>>
Matteo continuava a guardare le foglie dell’albero, o meglio quelle che dovrebbero essere foglie, ma in quel momento lui riusciva solo a vedere vermi verdi che si mangiavano a vicenda. No, ora erano dita verdi con lunghe unghie affilate e i rami erano braccia muscolose e pelose. E il cielo non era più grigio ma era rosso fuoco e le nuvole ruotavano in cerchio come se si stesse formando un grande buco nero che avrebbe risucchiato tutto. Aprì la bocca secca in cerca di aria, mentre i suoi occhi schizzavano da una parte all’atra del cielo. Iniziava a sudare freddo e le mani non volevano sapere di smetterla di tremare.
<< Teo?>> lo richiamò di nuovo Giorgio. 
 Matteo puntò gli occhi su Giorgio, cercando di regolare il respiro. Si schiarì la gola e si alzò << Sto bene. Devo solo andare un attimo in bagno>> disse, cercando di apparire il più normale possibile e assicurando il suo amico.
Il corridoio era sfocato davanti ai suoi occhi. Nausea e vertigini iniziarono a presentarsi prepotenti facendolo sentire sempre peggio. Il battito del suo cuore era accelerato e l’aria continuava a mancargli nei polmoni, sembrava come se non ce ne fosse mai abbastanza in quel corridoio del cavolo.
Continuò a camminare verso il bagno, lentamente e stando attento a non cadere, e giurò di aver sentito le parole di Johnny in un loop continuo sussurrato nelle sue orecchie “Piccolo Teo, stai attento. Non prenderle tutte insieme e se senti di star per collassare, mettiti due dita in gola e vomita tutto. Ci tengo a rivedere la tua faccia”.
Doveva vomitare. Doveva togliersi tutta quella merda che si era ingerito mezz’ora fa e il più in fretta possibile.
Il battito del cuore da frenetico iniziò a rallentare pericolosamente, mentre i polmoni cominciavano a non collaborare più. Si buttò in un angolino a terra, non avendo più le forze per muoversi e arrivare al bagno, e si artigliò una mano alla gola, sentendola bruciare per la mancanza di aria.
Non poteva finire così! Non in questo modo! Ma infondo se l’era cercata, e allora che venisse rapida la fine. Sperò solo che nessuno lo trovasse, che nessuno vedesse come si era ridotto. Ma lassù avevano deciso che non era ancora arrivato il momento di chiudere il sipario.
Delle mani iniziarono a tastargli la faccia, mentre sentiva il suo nome ovattato alle orecchie. Cercò di mettere a fuoco la figura davanti a lui e la prima cosa che vide furono due meravigliosi occhi verdi.
<< Matteo, resta con me. Che succede? Che ti sei preso?>>
Alice iniziò a guardargli le braccia e il collo, ispezionandolo in cerca di buchi procurati da un ago. Non trovando niente si tranquillizzò leggermente, ma Matteo sembrava peggiorare di minuto in minuto.
<< Matteo ho bisogno che tu mi dica se ti sei preso qualcosa!>> il panico iniziò a pervaderla.
La gola di Matteo era secca, non riusciva ad articolare nessuna parola, eppure in qualche modo riuscì a sussurrare in un rantolo quasi inudibile una parola: ‘pasticche’.
Alice sembrò sentirlo e in meno di un secondo gli prese un braccio e l’avvolse attorno alle sue spalle per portarlo nel bagno.
Una volta davanti alle porte fu indecisa da che parte andare. Davanti ai suoi occhi c’era da una parte il bagno dei maschi e da una parte il bagno delle femmine. Restò lì per alcuni secondi, fino a che decise di mandare tutto al diavolo ed entrare nel bagno dei maschi.
Nella loro corsa verso il gabinetto Matteo vide il suo riflesso nello specchio di plastica. I capelli erano appiccicati per il sudore, eppure lui in quel momento stava tremando dal freddo, e la sua faccia era un lenzuolo pallido. Fortunatamente il bagno dei maschi era sempre meno affollato di quello delle ragazze e quindi nessuno lo vide.
Alice entrò in uno dei cubicoli, fece inginocchiare Matteo a terra, vicino al gabinetto, e chiuse la porta alle sue spalle. Lui abbracciò d’istinto la tazza, sentendo la ceramica fresca, rabbrividendo ancora di più a quel contatto. Lei si mise in ginocchio vicino a lui, gli mise una mano sulla schiena e poi prese con forza la sua faccia e la puntò verso il centro del water.
<< Devi vomitare Matteo! Devi liberarti, così dopo starai meglio.>>
Matteo iniziò ad avvicinare le due dita alla bocca e iniziò a portarle sempre più giù, fino a raschiare la giugulare con le unghie. Ci volle più di un tentativo ma alla fine ci riuscì. Vomitò davanti ad Alice che intanto gli massaggiava la schiena e gli teneva la fronte con una mano. Lui sentì le budella bruciare come lava incandescente e il fuoco nella sua gola, mentre lo stomaco diventava sempre più duro ad ogni conato e piccole lacrime iniziarono a scendergli dagli occhi. Si vergognava. Si vergognava per aver fatto assistere ad Alice tutto quello schifo, si vergognava per se stesso, per come era arrivato a ridursi.
Sputò un grumo di saliva e poi si accasciò sulla parete del cubicolo. Alice scaricò tutto lo schifo che aveva eliminato dal suo corpo e poi seguì il suo stesso esempio, stremata anche lei da tutta quella scena.
<< Mi dispiace. Non volevo che assistessi a questo>> disse con le guance che andavano a fuoco dall’imbarazzo.
Alice scosse la testa e rise per alleggerire l’atmosfera << Devi smettere con la droga Matteo. Se non fossi arrivata io… Sarebbe potuta andare peggio.>>
Matteo annuì, sentendosi in colpa per averla trascinata nel casino in cui lui si trovava. Per lei deve essere stato brutto ritrovarsi di nuovo a contatto con lo schifo della droga dopo averci passato tutta l’infanzia nella sua città natale.
<< Hai mai notato che io e te non ci incontriamo mai in situazioni normali?>>
Alice lo guardò strano, non capendo cosa volesse dire, così Matteo cercò di spiegarsi meglio.
<< Il tuo attacco di panico alla festa di Halloween, la mia rissa dietro al locale ed ora questo>> girò la testa di fianco per guardarla negli occhi << Non credi che sia strano che ci troviamo sempre quando uno dei due è distrutto? Quando è sull’orlo di mollare tutto?>> Alice trattenne il fiato, spaventata dalla portata di quelle parole. Matteo prese la mano di Alice e la strinse, nello stesso modo in cui aveva fatto alla festa << Forse siamo uno la salvezza dell’altro. Siamo quella cosa che ci impedisce di crollare a terra.>>
Alice spostò lo sguardo verso il pavimento, non riuscendo più a reggere lo sguardo di Matteo.
<< Devi allontanarti da me Matteo. Io sono un disastro, sono rotta, per il tuo stesso bene dovresti starmi alla larga.>>
Alice riportò gli occhi su Matteo e lo vide sorridere verso di lei, con occhi più luminosi, nonostante gli avesse appena detto di stargli alla larga.
<< Eppure>> iniziò Matteo << Mi stai stringendo la mano ancora più forte di prima.>>
Alice spalancò gli occhi, osservando la sua mano, non essendosi accorta di aver davvero rafforzato la presa sulla sua mano mentre diceva di doversi allontanare da lui.
<< Il tuo corpo la pensa diversamente dalla tua testa>> le fece notare.
Improvvisamente Matteo ricominciò a tossire forte, sentendo fitte incredibili alla gola. Alice si alzò subito, mettendogli una mano dietro la schiena per cercare di calmarlo. Vomitò ancora, questa volta solo acqua. E una volta finito si rimisero di nuovo alle posizioni di prima.
Matteo respirava affannosamente, cercando di riprendersi da tutto quello.
<< Vedi>> richiamò l’attenzione di Alice << Neanche io sono perfetto. Siamo due bei disastri io e te, non è vero?>>
Alice sorrise, prendendogli di nuovo la mano e appoggiando la sua testa sulla spalla di Matteo.
Si trovavano ancora in quel cubicolo stretto, mentre il mondo di fuori, caotico e violento, continuava ad andare avanti senza di loro, avendo però il timore che qualcuno potesse scoprirli e magari metterli nei guai. Eppure non si erano mai sentiti più al sicuro se non fino a quel momento.
Alice prese un profondo respiro e poi chiuse gli occhi.
<< Si, si lo siamo.>>







Angolo autrice
Salve a tutti. 
Ho affrontato argomenti molto delicati in questo capitolo ed è stato molto difficile per me descriverle, ma spero comunque di essere riuscita nel mio intento che è quello di trasmettervi un qualcosa. Emozioni, sentimenti, pensieri, qualsiasi cosa insomma.

Il titolo del capitolo, che mi ha anche fatto compagnia durante la stesura, è una canzone dei My Chemical Romance che vi consiglio vivamente di ascoltare.
Ringrazio tutte le persone che leggeranno o recensiranno la storia.
Al prossimo capitolo.
E. xx 
 

 

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Capitolo 16
*** Da soli insieme ***


Nota autrice: Volevo solo avere per un attimo la vostra attenzione per chiarire un punto. Noelle ed Alice sono due persone completamente diverse. Non sono la stessa persona. Chiarito questo, vi auguro buona lettura.
p.s per sentire la musica, premere le note presenti nel capitolo.

 


Capitolo 15
Da soli insieme


 
I giorni dopo furono quelli più difficili per Matteo. Anche se aveva fatto uso per poco tempo di quelle pasticche ne sentiva ancora il bisogno, e l’astinenza si faceva sentire, alcune volte più pesante di altre. Però non era rimasto solo nell’affrontarlo. Alice era sempre accanto a lui.
Dopo averla pregata di non dire niente a Giorgio per paura della sua reazione, lei accettò al solo compromesso che si facesse aiutare da lei a non toccare più quella roba. E tutti e due mantennero la parola data. Giorgio continuava a ridere e a scherzare con lui, ignaro di tutto, mentre Alice lo aiutava quando aveva delle crisi o quando si sentiva troppo giù.
Si richiudevano negli stanzini o, il più delle volte, nel vecchio capannone, e rimanevano lì per il tempo che serviva a Matteo per calmarsi. Restavano lì seduti, tenendosi per mano qualche volta, e iniziavano a parlare di tutto, senza avere paura del giudizio o della reazione dell’altro. In quei momenti Matteo si sentiva libero e capito per la prima volta nella sua vita. Certo, si sentiva in colpa quando pensava che Alice mollasse tutto appena lui la chiamava, e glielo disse più di un volta che poteva tirarsi fuori da quella storia quando voleva, ma il risultato era stato uno scappellotto sulla testa e una minaccia di non ripetere più quelle parole. Matteo anche se si sentiva ancora un peso, gli fu grato per averlo detto. Lei si era proposta di aiutarlo anche a casa ma lui rifiutò categoricamente, Alice faceva già troppo per lui. In più si vergognava leggermente dello stato in cui era messa la sua casa, ma quello era un’altra storia.
Erano seduti per terra all’interno del vecchio capannone, parlando del più e del meno, interrotti qualche volta solo dalle voci di altri studenti che uscivano per fumare o dallo sbattere dei rami dell’albero sul capannone quando il vento si alzava più del solito, quando Alice fece la fatidica domanda.
<< Tu non sei un tossico Matteo. Non hai quel bisogno viscerale di avere la roba a portata di mano, tu puoi vivere tranquillamente senza. Ma allora perché continui a prenderla?>>
Matteo aveva capito cosa volesse dire. Lui non era entrato fino in fondo nel tunnel, come Giorgio, lui poteva viverne senza perché non ne sentiva il bisogno. Non sentiva il bisogno di vendersi anche l’anima per avere quelle cose e non sentiva il bisogno di prenderle tutti i giorni e a qualsiasi ora del giorno. Lui poteva resistere. Certo quest’ultimo episodio non contava, visto come era messo, ma prima era tutto… diverso.
Ci pensò ancora per un po’, non sapendo in che modo rispondere, però alla fine trovò le parole giuste.
<< Sai>> iniziò lui, stringendo ancora di più la mano di lei, << Credo di essere più dipendente all’autodistruzione che alle droghe di per sé.>>
Il capannone si riempì di silenzio dopo le pesanti parole di Matteo. Il cuore di lui batteva così forte per quella verità così brutale che Matteo aveva paura che potesse scoppiare da un momento all’altro. Alice era ancora accanto a lui, con la mano ancora fortemente legata alla sua, e non sapeva se sarebbe rimasta ancora dopo quello che le aveva detto.
<< Non dovresti distruggerti>> disse Alice in tono serio.
Matteo rise spontaneamente davanti a quella frase perbenistica, sentita chissà quante volte nella sua vita. Sapeva che avrebbe detto così e non poté trattenersi dal continuare a ridere amaramente.
<< Davvero? E sentiamo, perché non dovrei?>> chiese, risultando più acido di quello che voleva far sembrare.
Ma poi Alice gli diede quella che secondo lui poteva essere interpretata come una risposta. Un’isola sicura in quel mare di dubbi.
Lei si levò velocemente dal loro intreccio di mani, per poi posizionare la sua mano dietro al collo di lui e tirarlo leggermente verso di lei e baciarlo.
Matteo rimase con gli occhi sbarrati per la sorpresa. Era stato tutti così veloce ed improvviso che non si accorse di nulla, quindi in un primo momento non rispose al bacio, ma continuando a sentire il contatto con le labbra di Alice decise di lasciarsi andare e godersi il momento.
Non era un bacio feroce o violento come quello che si erano dati in precedenza. Questo era più lento e dolce, dava il tempo a tutti e due di sentire quello che riuscivano a trasmettersi con quel contatto così intimo. La magia si ruppe quando Alice si staccò. Si guardarono per un po’ negli occhi, con le guance di Alice arrossate e le pupille allargate di desiderio di Matteo che voleva di più, non avrebbe mai voluto smettere di sentire tutte quelle emozioni e di assaporare le labbra di Alice che sapevano sempre di pesca.
Alice si alzò di scattò, sotto lo sguardò allarmato e confuso di Matteo, e uscì fuori dal capannone lasciandolo da solo a fissare il soffitto con un sorriso da ebete.
Intanto Alice si trovava appoggiata dietro il muro che dava all’ingresso del giardino, con gli occhi chiusi, il respiro leggermente accelerato e una mano a pugno posizionata al centro del petto.
<< Perché quello è compito mio…>> sussurrò.
Scosse energicamente la testa e riprese la sua marcia verso la sua classe.
 
 
Quando sua moglie, Maria, cercava di metterlo in guardia ogni volta che andava in quel quartiere povero, lui alzava sempre gli occhi al cielo. Lo faceva tutti gli anni, e, forse, questa volta avrebbe dovuto ascoltarla. Lui che vedeva del buono in tutti, anche nel più crudele essere umano, non si sarebbe mai immaginato di finire in quella situazione. Quindi quando, dopo aver finito il suo turno di lavoro per i preparativi per la grande cena di Natale alla mensa dei poveri, vide una ragazza impaurita e infreddolita sotto un lampione di notte, non poté fare altro se non avvicinarsi ed aiutarla in qualche modo. Era sempre stato così lui, aiutare gli altri prima di se stesso e fare sempre del bene al prossimo.
Quando poi la ragazza gli chiese se potesse accompagnarla a casa perché aveva paura di girare da sola di notte in quelle strade, lui non resistette a quella richiesta e l’accontentò.
Fu sorpreso di scoprire che quella dolce ragazza viveva in un vicolo sporco e freddo, ma d’altronde quel quartiere era popolato dalla povertà, però si sorprese ancora di più quando la ragazza si fermò di colpo al suo fianco. Non capendo quale fosse il problema si avvicinò a lei, posandogli una mano su una spalla, e cercò di scrutare il suo viso per capire se stava bene. E lei stava benissimo. Quel grande sorriso che aveva stampato sulla faccia quasi faceva paura per quanto era ampio.
Quando capì che c’era qualcosa che non andava, fu troppo tardi. Una forte fitta gli percorse tutta la gamba sinistra, facendolo cadere all’indietro non avendo più stabilità. Le mani accorsero subito a stringere il punto dolorante, in un vano tentativo di fermare gli spasmi, e gli occhi strabuzzarono alla vista di quel piccolo oggetto affilato che ora faceva parte della sua carne.
Alzò lo sguardo terrorizzato verso la ragazza, notando come stesse immobile a fissarlo, sempre con quel sorriso che non abbandonava mai il suo volto.
Una seconda fitta gli arrivò all’altezza delle costole, facendolo urlare, sperando che qualcuno lo avrebbe sentito. Ma sapeva benissimo che in quel quartiere nessuno avrebbe fatto niente per un estraneo che stava per essere ucciso, sarebbe stato solo un ennesimo cadavere di quelle strade, vittima della violenza, dell’odio e della povertà.
<< Ti prego non farlo!>>
Lo guardava. Guardava come si stesse contorcendo su se stesso credendo così di potersi difendere. La ferita che gli aveva inferto alla gamba lo aveva costretto a rallentare e a strisciare come un verme, l’altra, inferta alle costole, era solo l’inizio dell’apertura per arrivare al suo premio, il cuore.
Cercò di scappare il più velocemente possibile da lei, strisciando e aggrappandosi al terreno sporco. Quella che una volta era una ragazza ora era diventata un mostro con le ali. Lui non fu sicuro che quello che stesse vedendo fosse la realtà o un’allucinazione dovuta alla grande perdita di sangue e dalla adrenalina che ormai gli circolava potente per tutto il corpo.
Si avvicinò lentamente a lui, con il pugnale stretto nelle sue gelide mani pronto ad affondare nella morbida carne di quell’essere umano. Gli diede un calcio allo stomaco, per rallentare la sua inutile corsa, facendolo raggomitolare ancora di più su se stesso.
<< Perché mi fai questo?! Io non ti ho fatto niente!>> gridò alla ragazza.
<< Lo so>> rispose gelidamente << ma tu potresti fare qualcosa per qualcun altro e il mio compito è quello di impedirtelo.>>
Non capiva a cosa alludeva, ma era normale. Era un brav’uomo dopo tutto, aveva servito la comunità in modo impeccabile, aiutando i bisognosi e cercando di rimette sulla retta via le anime perse. E questo era il problema. Era buono in un mondo pieno di cattiveria, lui era l’errore, lui era di troppo, quindi andava eliminato.
L’uomo continuò a scappare, attaccato come era alla vita non avrebbe permesso a nessuno di togliergliela.
Noelle rise, rise di gusto per quella patetica scena, quindi decise di finirla subito.
Lo prese e lo girò in posizione supina, sovrastandolo e bloccandolo con la sua intera figura. Lo guardò negli occhi, scrutandolo, e lesse il terrore puro e l’odio per quel mostro che era lei. Gli occhi di quell’uomo gli mostrarono per l’ennesima quello che in verità era. Un mostro. Senza anima e senza pietà.
Chiuse gli occhi e ritornò alla realtà, al compito che doveva svolgere, e ricominciò ad essere la pazza omicida che era sempre.
Sorrise mentre alzava il pugnale verso l’alto, tagliando l’aria, pronto per andare nella sua nuova custodia. Il petto di quell’uomo.
<< No… no, ti prego!>> iniziò a divincolarsi vedendo nel riflesso di quel pugnale la parola fine per la sua vita.
<< TI PREGO! HO MOGLIE E FIGLI! NON VOGLIO MORIRE!>>
<< Neanche io>> il pugnale trafisse il petto dell’uomo.
Urla, urla e soltanto urla. Una musica a cui ormai doveva essere abituata, ma che cambiava da persona a persona. Ogni grido aveva un messaggio incastrato in quel suono così acuto che solo pochi riuscivano a decifrare. Nelle sue urla c’erano parole di scuse, scuse per non essere riuscito a cambiare il mondo e scuse per aver lasciato indietro le persone che amava. Quell’uomo continuò a pensare agli altri prima di se stesso fino all’ultimo respiro.
Una volta che il cuore fu preso, l’abitacolo diventò di nuovo silenzioso. E questo per Noelle era peggio delle urla. Le urla le permettevano di non pensare, di concentrarsi solo al suo lavoro. Ma una volta che la musica era finita, le restava solo il silenzio e i suoi pensieri che prepotenti ritornavano più forti di prima una volta terminato il lavoro.
Si pulì una macchia di sangue dal viso con la manica, e ripose il cuore di quell’uomo dentro la sua sacca. Staccò una piuma dalle sue ali e la lasciò cadere sul corpo ormai immobile di quell’uomo. Gli diede un’ultima occhiata priva di qualsiasi emozione e si girò, pronta per andarsene via dalla scena del crimine. Ma qualcosa che era ai suoi piedi attirò la sua attenzione. Era il portafoglio di quell’uomo. Non capì perché lo prese da terra e lo aprì, infondo a lei non interessavano i suoi soldi, ma qualcosa dentro di lei gli disse che doveva farlo, però fu una pessima scelta. All’interno c’era la foto di quella che una volta poteva considerarsi una famiglia felice. Una moglie e due bambini piccoli, che si chiederanno che fine abbia fatto il loro papà, perché non è tornato a casa da loro, perché li ha abbandonati.
La prese e la mise dentro la sua tasca. Sapeva a cosa sarebbe servito.
Volò via, verso la sua prossima meta, con in tasca il peso di un macigno. Il peso di una vita presa e una famiglia spezzata.
 
 
Sinistro, destro, gancio. Sinistro, destro, calcio. Destro, montante, calcio girato.
Era passata più o meno un ora da quando aveva finito le sue vasche giù nella piscina della palestra. E ora Matteo, dopo essersi cambiato, si era messo in un piccolo posto indisturbato dentro la sala Boxe ad osservare Alice allenarsi.
Voleva aspettare che finisse così avrebbero fatto la strada di ritorno insieme.
Era strano quanto si erano avvicinati dopo il bacio nel capannone. Un mese fa non avrebbe mai pensato che avrebbe passato così tanto tempo con lei, anzi, pensava che molto probabilmente non si sarebbero più rivolti la parola.
Eppure eccolo lì, ad aspettarla mentre lei finiva il suo combattimento. Lì al centro della stanza, all’interno del quadrato la potevano vedere tutti. Potevano vedere quanto si impegnasse nel vincere, quanto forza e determinazione metteva in ogni colpo, quanto veloce era nello schivarli e quanto fosse intelligente nel trovare subito una via di fuga e mettere K.O. il suo avversario.
La guardava con uno sguardo di ammirazione, ma sapeva di non essere il solo, e ogni volta che vedeva qualcuno puntare gli occhi su di lei, gli prendeva una forte stretta allo stomaco. Lo faceva sentire quasi male. Però cercava di ignorarlo, pensando che non fosse niente di importante, concentrandosi su di lei.
<< Sei ancora qui?>> chiese Giorgio, spuntando dal nulla.
<< Già>> sussurrò Matteo << Aspetto che Alice finisca.>>
Giorgio portò lo sguardo su di lei e poi di nuovo sul suo amico. La sua faccia aveva un’espressione davvero confusa. Matteo sapeva che tra poco sarebbero arrivate delle domande, e pure una piccola parte di lui sperava che Giorgio non chiedesse niente, che non gli mettesse dei dubbi in testa, che non rompesse quel delicato equilibrio che era finalmente riuscito a raggiungere insieme ad Alice. E invece…
<< Senti un po’>> iniziò Giorgio, sedendosi davanti a Matteo, guardandolo fisso negli occhi << Da quando voi due passate così tanto tempo insieme?>>
Matteo sospirò, sentendo le forze abbandonare il suo corpo. La verità era che non aveva una risposta a quella domanda – che ironicamente era la stessa che lui si ripeteva qualche volta nella sua testa – quindi non sapeva cosa rispondere al suo migliore amico. Ma sapeva che lui non si sarebbe accontentato del suo silenzio.
<< Allora?!>> lo riprese Giorgio, spazientito dal lentissimo tempo di reazione del suo amico per rispondere alla sua domanda.
Matteo si portò una mano dietro la testa e iniziò a grattarsi nervosamente i suoi ricci biondi << La verità è che non lo so, Giorgio.>> iniziò Matteo << È successo tutto così in fretta e stiamo semplicemente passando del tempo insieme, tutto qui.>>
Giorgio assottigliò lo sguardo, scrutando il viso di Matteo in cerca di qualche cedimento, di qualche piccolo tic nervoso che gli avrebbe mostrato che lui stava mentendo. Eppure sembrò non trovarli.
Con ancora gli occhi socchiusi, sempre pronti a rilevare qualsiasi atteggiamento sospetto, Giorgio parlò di nuovo << Siete una specie di amici?>>
Matteo rise davanti alla faccia sospettosa di Giorgio << Siamo amici Giorgio.>>
<< Sicuro?>>
<< Sì.>>
Giorgio allontanò lentamente il volto da quello di Matteo, poi si girò rapidamente verso Alice, la fissò, e ritornò a guardarlo con stampato in faccia un grande sorriso.
<< Facciamo che credo a questa sciocchezza che mi hai rifilato>> disse Giorgio soddisfatto, mentre si alzava dalla sedia << Infondo, si sa, che il primo passo che precede una relazione è l’amicizia. Come si dice sempre, prima amici e poi amanti.>>
Matteo sapeva che Giorgio avrebbe distorto tutto quanto, dando sfogo alla sua fervida immaginazione. Avrebbe voluto controbattere a quelle parole, ma Alice aveva finito e si stava avvicinando verso di loro. E anche se non voleva ammetterlo, Giorgio gli aveva insinuato in testa il tarlo del dubbio. Sapeva anche che non se ne sarebbe liberato in fretta di quel maledetto dubbio.
<< Ehi Giorgio, come va?>> chiese Alice una volta che li aveva raggiunti, sudata e con il fiatone.
<< A meraviglia>> rispose Giorgio << il mio caro amico qui non si è voluto muovere di un millimetro perché doveva aspettare che finissi. Non si è mosso neanche quando gli ho detto che gli avrei dato la mia Playstation per una settimana.>>
<< Lo so, gli ho detto a questa testa calda di non aspettarmi ma non mi ha minimamente dato ascolto>> fece notare Alice.
<< Oh, tranquilla. Con il tempo ti ci abituerai. Non sai quante volte io debba urlargli per—>>
<< Io sono ancora qui, se non vi dispiace>> alzò la mano fra di loro Matteo per farsi notare e farli smettere di parlare della sua “presunta cocciutaggine” come se lui non fosse presente.
Alice e Giorgio si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.
Matteo, nonostante le braccia incrociate e lo sguardo imbronciato in un finto tentativo di fingersi offeso, guardò Alice e non poté fare a meno di pensare che quando lei era rilassata, senza pensieri e preoccupazioni nella testa, e rideva, in quel momento poteva vedere la parte più bella e pura di Alice. Una parte di lei molto rara da vedere, e come ogni spettacolo che si presenta una sola volta nella vita, lui doveva coglierne appieno la sua bellezza in tutti i suoi particolari.
Alice lo ridestò dai suoi pensieri quando gli posò una mano sulla spalla << Mi dispiace Matteo, non volevamo prenderti in giro.>>
<< Parla per te, sorella>> disse Giorgio, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Matteo e un sorriso malcelato da parte di Alice.
<< Okay, va bene, ho capito. È meglio chiudere qui il discorso>> si alzò dalla sedia Matteo << Alice vatti a cambiare, ti do un passaggio a casa.>>
Alice rimase sorpresa dalla proposta, ma annui in risposta prima di andarsene e dirigersi verso gli spogliatoi.
Giorgio e Matteo si salutarono nel parcheggio, ma prima che Giorgio entrasse nella sua macchina fece dei pollici in su per il suo amico e mimò con le labbra un “Tifo per te!”, per poi sfrecciare via sotto lo sguardo privo di speranze di Matteo.
Sarebbe stato un lungo viaggio per tornare a casa. Eppure neanche viveva così lontano dalla palestra.
 
Erano dentro la sua macchina da 5 minuti e il silenzio regnava all’interno della vettura. Era un silenzio strano, forse anche un po’ teso, ma Matteo cominciava a sentirsi in imbarazzo, quindi decise di mettere fine a quel silenzio accedendo la radio.
I don't know where you're going 
But do you got room for one more troubled soul? 
 
La voce del vocalist dei Fall Out Boy riempì immediatamente l’abitacolo, facendolo rilassare, sentendo il peso della situazione scendere velocemente dalle sue spalle.
 
I don't know where I'm going but I don't think I'm coming home 
And I said I'll check in tomorrow if I don't wake up dead
 
Con la coda dell’occhio guardò Alice, che, con gli occhi chiusi ed il sorriso sulle labbra, era intenta ad ascoltare attentamente la canzone.
Un lampo nella sua mente gli fece ricordare la casa di Alice e tutti i CD che possedeva, unico tratto personale di quella casa vuota, insieme ai libri.
 This is the road to ruin 
And we're starting at the end
 
<< Ti piace?>> chiese Matteo, avendo trovato un argomento con il quale iniziare la conversazione.
Alice non rispose subito, restò ancora un po’ con gli occhi chiusi e poi si girò verso di lui, annuendo.
 
Say yeah 
Let's be alone together 
We could stay young forever 
Scream it from the top of your lungs 
 
Matteo sorrise, mentre concentrato guardava la strada, e si mise a pensare alle parole della canzone. Per lui descrivevano in modo perfetto quello che erano stati lui e Alice in quei giorni. Si erano ritrovati da soli insieme, e non poteva dire di essersi sentito tanto male. Anzi si sentiva forte in quei momenti. Con lei al fianco, svaniva tutto il mondo e la realtà. E lui ritornava ad essere un “giovane” senza pensieri.

 
Say yeah 
Let's be alone together 
We could stay young forever 
We'll stay young, young, young, young, young.
 
Una piccola parte di lui voleva pensare che anche lei si sentisse così. E non aveva tutti i torti, visto il modo in cui si erano avvicinati, e i baci che si erano scambiati.
You cut me off, I lost my track 
It's not my fault, I'm a maniac 
It's not funny anymore, no it's not

Quando ripensava a quei baci, oltre alla sensazione di fare la cosa giusta, ripensava anche alla paura che veniva dopo. Ogni volta che si sfioravano le labbra, anche con baci casti, il cui contatto non durava più di qualche secondo, aveva il terrore che Alice scappasse e lo evitasse come era successo altre volte.

My heart is like a stallion 
They love it more when it's broken 
Do you wanna feel beautiful? 
Do you wanna?

 
Eppure, fortunatamente, Alice era sempre rimasta al suo fianco. Forse per il senso del dovere, dopo avergli fatto quella promessa, non si tirava indietro e non scappava come avrebbe voluto. Qualsiasi cosa fosse Matteo la accettava, senza porsi molte domande e, come un codardo, evitava di affrontare l’argomento sulla questione “perché ci scambiamo baci di nascosto?” oppure “tutto quello che facciamo significa qualcosa?”
 
I'm outside the door, invite me in 
So we can go back and play pretend 
I'm on deck, yeah, I'm up next 
Tonight I'm high as a private jet
 
La voce di Alice che canticchiava sommessamente la canzone con le labbra chiuse lo distrasse dai suoi pensieri. Gli rallegrò il cuore sapere che quella canzone le piaceva.
<< Potrei passarti qualche disco di questa band, se vuoi>> disse con un tono di incertezza. Non conosceva i gusti di Alice.
<< Certo. Anche se l’Alternative rock non è esattamente il mio genere, ma posso provarci.>>
<< Quale sarebbe il tuo genere?>> chiese Matteo incuriosito.
Alice sembrò pensarci un po’ prima di rispondere << Credo il Pop. Sai artisti come Ed Sheeran, Lady Gaga, Beyoncé, Adele. Hai presente?>>
Matteo cercò di trattenere la sua risata, ma non ci riuscì. E sembrò accorgersene anche Alice.
<< Che c’è?>> chiese con un tono confuso e allo stesso tempo anche un po’ infastidito.
Matteo si schiarì la gola, sentendosi in pericolo sotto lo sguardo attento di Alice << No, niente. È solo che, visto che sei una tipa tosta, pensavo che ti piacesse musica altrettanto tosta, come i Queen, gli AC/DC, i Nirvana o i Guns N’ Roses.>>
Alice sorrise << Ci sono tante cose che non conosci su di me.>>
Matteo rimase colpito. È vero non la conosceva, non sapeva molto su di lei se non quelle piccole sfumature della sua vita che lei gli aveva concesso di vedere. Non sapeva cosa gli piacesse fare nel tempo libero, che sport amava vedere in Tv o semplicemente quale fosse il suo colore preferito.
Non sapeva niente di lei. Ma aveva voglia di scoprirlo.

I don't know where you're going 
But do you got room for one more troubled soul 
I don't know where I'm going but I don't think I'm coming home 
And I said I'll check in tomorrow if I don't wake up dead 
This is the road to ruin 
And we're starting at the end.
 
La canzone era finita, così anche come il loro viaggio. Alice si slacciò la cintura di sicurezza e prese il borsone che aveva tra i piedi, pronta per uscire dalla macchina. Posizionò la mano sulla maniglia, ma prima di tirarla, si girò verso di lui.
<< Facciamo così. Tu mi porti il CD di questa band e io te ne porto uno mio, a mia scelta. Affare fatto?>> chiese porgendogli la mano.
Matteo ghignò, gli porse la mano e la strinse con vigore << Affare fatto!>>
<< Bene>> Alice sorrise.
Successe tutto in un secondo. Alice tirò la sua mano, portando con se dietro tutto il suo braccio, e avvicinò i loro visi pericolosamente. Quando si ritrovarono così vicini da poter specchiarsi l’uno nelle pupille dell’altro, Alice inclinò lentamente il volto e gli lasciò un delicato bacio all’angolo della bocca. Quel contatto durò a lungo e poi, così come era arrivato, svanì, lasciandosi dietro solo una lieve traccia.
Alice lo guardò un ultima volta sorridendo << Grazie del passaggio, ci vediamo domani>> disse uscendo dalla macchina e correndo verso il portone di casa sua.
Matteo rimase imbambolato ancora per qualche secondo prima di capire cosa fosse successo. Okay, non era successo niente di che. Non lo aveva baciato, anche se avrebbe voluto, ma anche questo contava qualcosa, no? Insomma le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza dal baciarsi, e lei poteva benissimo baciarlo sulla guancia, anzi che sull’angolo della bocca, giusto?
Matteo sbuffo, scosse la testa e rimise in moto la macchina.
Durante il tragitto verso casa, aveva sul volto uno strano sorriso, che non voleva saperne di andarsene via. E forse Matteo non voleva che se ne andasse.
 
 
Si rigirava la piuma nera fra le dita della mano. La osservava, scrutando ogni centimetro di quel piccolo oggetto.
Dopo che Patrick aveva annunciato gli esiti degli esami per la piuma, risultati tutti negativi, lei aveva chiesto il permesso di prenderla, visto che non aveva più senso lasciarla in laboratorio.
E ora, nel suo ufficio, continuava a guardarla, passandosela da un dito all’altro. La luce del neon che si infrangeva sulla piuma, e si frapponeva tra loro due, la rendeva di un colore più scuro invece che chiaro.
Perché sentiva che quella piuma fosse così importante?
Non si era riusciti a capirne la provenienza e non avevano neanche trovato tracce di DNA sopra di essa, e allora perché si ostinava a tenerla con se e ad osservarla?
Sbuffò e il leggero spostamento d’aria fece muovere leggermente anche la piuma ancora stretta nella sua mano. Con uno scatto la posò sulla sua scrivania e prese il suo portatile.
Aprì il motore di ricerca e digitò qualche parola sopra, sempre buttando l’occhio sulla piuma nera che indisturbata se ne stava lì tranquilla, rilassata nel vederla così confusa.
Marta chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, doveva concentrarsi.
Un’ora dopo tutto quello che trovò fu solamente il nome di un grande volatile, l’Argentavi Magnificens, ormai estinto da milioni di anni. A Marta scappò una piccola risata. Sembrava che il “magnifico uccello argentino” non potesse essere il suo colpevole.
Il bussare alla porta la riportò nel presente, facendola sussultare all’inizio. Chiuse il portatile e prese la piuma per poi nasconderla in uno dei suoi cassetti. Si fermò per un secondo, prendendo un respiro profondo, e controllando che intorno a lei tutto fosse in ordine prima di dire << Avanti.>>
Il suo collega, Paolo, fece capolino dalla porta. Marta si sentì subito più rilassata e gli regalò un sorriso.
<< Paolo, dimmi tutto>> chiese, non avendo notato la faccia preoccupata del suo collega.
Paolo si schiarì la voce e, con un foglio in mano, si avvicinò alla scrivania del suo capo << Abbiamo ricevuto una chiamata poco fa da una donna>> iniziò, posando il foglio con tutte le informazioni sul tavolo << Non è la prima volta che chiama. Due giorni fa circa ha chiamato per dire che il marito non era tornato a casa e si era preoccupata perché non era da lui sparire senza avvisare.>>
Marta roteò gli occhi << Come se non avessi già sentito questa frase troppe volte. Mariti che spariscono e si rifanno una vita con un’altra donna>> disse acida, continuando però a leggere il foglio.
<< Avevamo pensato anche noi a questa possibilità>> rispose Paolo << Per questo non ci siamo allarmati subito. Ma questa mattina…>>
Marta distolse lo sguardo dalla sua lettura e cercò lo sguardo del suo collega, che aveva abbassato la testa e si stava grattando il polso nervoso.
<< Questa mattina…?>> ripeté Marta, incoraggiandolo a continuare.
Paolo fece saettare il suo sguardo ovunque nella stanza prima di prendere un respiro profondo per calmarsi e continuare.
<< Questa mattina ha chiamato di nuovo, in preda al panico, dicendo che qualcuno aveva lasciato davanti alla porta di casa sua la foto che raffigurava la loro famiglia piena di sangue.>>
Marta sbarrò gli occhi.
<< E c’è di più, ma quello che sto per dire è una mia pura teoria.>>
<< Vai avanti>> lo incitò ancora Marta. Molte volte le teorie del suo collega si erano rivelate giuste, e l’avevano aiutata a risolvere diversi casi. Era bravo a pensare e a collegare i vari punti di un mistero. L’unica sua debolezza era che si faceva sopraffare molto spesso dalle emozioni.
Paolo annuì << Questo episodio mi ha fatto creare un sospetto, così chiesi alla signora di dirmi dove fosse diretto suo marito quando era uscito quella fatidica notte>> si mise a cercare dentro la tasca un foglio e quando lo trovò, lo spiegazzò e lo fece vedere al suo superiore.
Sul foglio c’era scritto il nome di una via e il nome di un edificio. La mensa per poveri.
<< La via si trova nello stesso quartiere dove abbiamo trovato il primo cadavere>> concluse Paolo.
Marta sentì l’adrenalina pervadere il suo corpo alla scoperta di quel particolare, e si alzò di scatto. Paolo indietreggiò, preso alla sprovvista e seguì con gli occhi la figura del suo superiore che si muoveva verso la porta e afferrava il suo giaccone.
<< Chiama Camilla ed Antonio e mandali in quel quartiere a fare domande e ad interrogare il proprietario di quella mensa. Io e te andremo a trovare questa donna per fare chiarezza sulla faccenda.>>
Marta non poteva credere che potesse trattarsi dello stesso assassino, non poteva credere che avesse colpito ancora.
<< Voglio il fascicolo della persona scomparsa con la sua fedina penale>> Marta stava camminando con il suo collega al seguitò, quando un particolare attirò la sua attenzione.
Si mise a guardare il tabellone, che aveva in alto la scritta “Scomparsi”, e vide la foto di un uomo << È lui che stiamo cercando?>> chiese al suo collega dietro di lei, senza distogliere lo sguardo dalla foto.
<< No, è un altro. Un tipo che è scomparso settimane fa, la notizia è stata data dal proprietario dell’appartamento perché l’uomo non aveva pagato l’affitto. A detta del proprietario succedeva spesso visto che spendeva soldi in alcool e serate in discoteca.>>
Marta fissò ancora la foto. Quell’uomo è dichiarato scomparso, non morto. Non aveva tempo da perdere con lui, ora aveva a che fare con un cadavere e con una vedova. Perché il suo istinto le diceva che quell’uomo era morto ormai. E il suo istinto raramente sbagliava.
 
La casa era semplice. Muri bianchi e pavimento in legno, mentre i mobili erano pochi, quelli che servivano per la vita quotidiana. Niente di sfarzoso o troppo eccentrico, a parte forse una dozzina di crocifissi fatti con diversi materiali e immagini e statuette di santi posizionati ovunque.
Marta rabbrividì. Non era mai stata una persona religiosa, forse per colpa della sua infanzia, ma tutto questo era troppo estremo.
Maria si stava stringendo al petto la cornice con all’interno la foto del marito, mentre con l’altra mano stringeva un fazzoletto per asciugarsi le lacrime che ormai copiose scendevano dai suoi occhi azzurri.
Marta guardò il suo collega, e con un cenno del capo gli chiese di fare un giro per la casa, in cerca di un indizio o di qualcosa di sospetto. Paolo annuì e partì per la perlustrazione.
Marta si schiari la voce con vigore, per sovrastare i mugolii e i singhiozzi della povera donna davanti a lei, e riuscì ad attirare la sua attenzione.
<< Allora, Maria, mi dica tutto quello che sa e che è successo fino a quando non ha trovato la foto davanti a casa sua.>>
A Maria tremò il labbro inferiore, cercando di trattenersi di nuovo dal piangere, e con la mano tremante si spostò una ciocca che ribelle le era scappata dal suo perfetto chignon.
<< Lui…>> iniziò, tremolante, mentre guardava la foto del marito << È una persona buonissima, con un gran cuore, ed è per questo che mi innamorai subito di lui>> comparve un flebile sorriso sulla sua faccia, mentre i ricordi riaffiorarono nella sua mente << Infatti ogni anno va alla mensa dei poveri con un sacco di viveri e prepara una cena abbondante per chi non se la può permettere. Anche se a me quel quartiere non piace per niente e gli ho pregato più volte di non andarci, lui mi ha sempre tranquillizzato dicendomi che le persone che vivevano lì erano anime come noi che hanno solo perso la retta via, che si sono allontanate dal Signore>> scosse la testa, pensando a tutti quelle persone che non credevano nell’amore per il Signore e nella potenza di Dio << Molti dei senza tetto e dei tossicodipendenti che vivevano in condizioni disastrose sono stati aiutati da mio marito. È riuscito a fare breccia nei loro cuori, a cambiarli, dandogli una vita rispettabile e piena di fede.>>
Marta sorrise << Sembra veramente una persona meravigliosa.>>
<< Lo era!>> Maria si blocco di colpo, essendosi resa conto di aver parlato del marito al passato << Voglio dire… Lo è>> si ricorresse, mentre guardava il pavimento con un velo scuro sugli occhi.
<< Continui a raccontare, per favore>> disse Marta con un sorriso incoraggiante.
Maria si riscosse e continuò a parlare << La sera che mio marito è… sparito>> disse quella parola con difficoltà << Era andato in quel quartiere, alla mensa dei poveri per ultimare gli ultimi preparativi per la grande cena di Natale. Mi aveva chiamato rassicurandomi che stava ritornando a casa, ma le ore passavano e lui non tornava>> strinse la stoffa della sua gonna con vigore << Sono entrata nel panico, pensando che gli fosse successo di tutto in quel quartieraccio. Non sapevo cosa avrei potuto dire ai bambini se fosse successo qualcosa di grave al loro papà>> gli occhi ricominciarono ad inumidirsi << Ma dovevo mantenere la calma così mi presi una tazza di camomilla e mi rimisi a letto inutilmente, non riuscivo a chiudere occhio. Pregai tutta la notte e la mattina dopo, quando mi svegliai, lui non era ancora tornato. Così ho chiamato voi per denunciarne la scomparsa.>>
Marta annuì, presa ad ascoltare ogni singola parola detta dalla donna, cercando di non perdere nessun particolare.
<< Cosa è successo dopo?>> chiese Marta.
Maria si asciugò alcune lacrime sfuggite dal suo controllo e prese un respiro profondo << Ho aspettato e oggi qualcuno ha suonato alla porta. Pensavo che fosse tornato, quindi, dalla cucina, mi precipitai subito ad aprire la porta. Ma quando la aprì non c’era nessuno e ho trovato solo la foto abbandonata sullo zerbino davanti alla porta.>>
<< Potrei vedere la foto, se non le dispiace?>>
Maria annuì e, traballante, corse a prenderla dentro il cassetto di un mobile. Si mise a fissarla per un po’, stringendo le labbra in una smorfia, prima di consegnarla al Colonello.
Marta la prese, con la mano ricoperta dal guanto in lattice, e la osservò. Era una piccola foto, di quelle che si tenevano dentro le tasche o i portafogli, e rappresentava quella piccola famiglia.
Il sangue, ormai rappreso, ricopriva interamente la figura dell’uomo mentre i bambini e la donna erano puliti, se non qualche piccola traccia di sangue finita lì per sbaglio. Sembrava quasi come se qualcuno l’avesse fatto a posta a sporcare solo la figura dell’uomo. Come se qualcuno volesse mandare un messaggio, che Marta aveva ricevuto forte e chiaro.
<< Suo marito aveva dei nemici? Qualcuno che potesse fargli del male?>>
Maria si portò una mano davanti alla bocca per nascondere lo stupore e l’orrore causati da quella domanda << Oh cielo, no! Assolutamente no. Mio marito era ben voluto da tutta la comunità e non conosco nessuno che lo disprezzasse. Come le ho già detto, mio marito è una brava persona.>>
Marta le posò una mano sul ginocchio << Non lo dubito Maria, ma devo farle queste domande per non lasciare niente al caso>> disse, cercando di rassicurarla. Maria fece un sorriso tirato.
Paolo ritornò in salone, avendo finito di vedere la casa, e comunicò a Marta di non aver trovato niente.
Marta ne rimase sorpresa, non se lo aspettava sinceramente. Sperava che quell’uomo nascondesse qualche segreto, qualche vizio. Qualche peccato. Così sarebbe risultato come una potenziale vittima. E invece la sua fedina penale era pulita così come la sua casa e la sua vita.
Marta si alzò dalla poltrona << Maria la ringrazio del suo tempo, impiegheremo tutte le nostre risorse ed energie per trovare suo marito. Glielo assicuro>> le tese la mano per salutarla e per porre fine a quell’interrogatorio.
Maria si aggrappò alla mano del Colonello, con una stretta priva di forza << Vi prego>> disse con le lacrime agli occhi << Ritrovate il mio Giovanni, vi prego.>>
Marta rimase sorpresa, ma cercò di essere il più distaccata possibile emotivamente. Sapeva già che fine avesse fatto il marito, ma non poteva togliere anche quella piccola speranza che ancora le illuminava gli occhi. Quindi semplicemente annuì e uscì da quella casa che ormai era diventata troppo stretta.
Si diressero verso la macchina e Marta prese il posto del guidatore.
<< Porta quella foto al laboratorio, alcune tracce di DNA dovrebbero essersi salvate anche se Maria l’ha toccata.>>
<< Sai che è quasi impossibile che ci sia sopra qualcosa che non siano le impronte di Maria>> sentenziò Paolo sconcertato.
Marta sorrise << Non ti preoccupare, Patrick è un mago, riuscirà a trovare qualcosa>> detto questo inserì le chiavi ed accese il motore, pronta a partire per la centrale. Il telefono di Paolo squillò.
<< Pronto, sono Paolo>> rispose alla chiamata.
Marta lo osservò. Non sentiva cosa stava dicendo l’interlocutore a Paolo, ma dalla sua faccia poteva capire che non era niente di buono. La fronte del suo collega era corrugata e gli occhi erano spalancati. La sua bocca era aperta e faticava a deglutire.
<< Okay, ho capito. Riferisco subito>> chiuse la chiamata.
Marta rimase lì in attesa che il collega rivelasse tutto quello che aveva saputo in quel breve scambio di battute.
<< L’hanno trovato>> iniziò, girandosi poi verso Marta e guardandola negli occhi << Morto.>>
Marta strinse il volante mentre il motore della macchina ormai era diventato un lontano eco << Come?>> chiese secca.
<< Gli hanno strappato il cuore e per terra hanno trovato una piuma nera.>>
Marta schiacciò l’acceleratore.
 
 
Si guardò nello specchietto per l’ultima volta, controllando che tutto fosse a posto. La maschera gli ricopriva il volto, i capelli lisci erano sciolti e riposavano sulle sue spalle in maniera armoniosa senza un capello fuori posto e suoi occhi erano più scuri del solito. Non voleva essere lì. Aveva una brutta sensazione, soprattutto se era stato Lui a chiamarla.
Chiuse lo specchietto e frugò nella sua borsetta alla ricerca delle banconote per pagare il tassista.
<< Non mi deve pagare, signorina. Il suo conto è stato già saldato.>>
Alzò gli occhi e guardò quelli del tassista attraverso lo specchietto retrovisore << Da chi?>> chiese con voce dura.
Il tassista sorrise, mostrando i denti gialli e marci dal fumo e dal tabacco << Beh, da Lui.>>
Rabbrividì a quella scoperta. Se era arrivato a pagargli una misera corsa su un Taxi, la questione doveva essere davvero grossa. Chiuse la borsa e, con quella consapevolezza, scese dalla vettura.
Appena poggiò piede sul marciapiede, un vento gelido si impadronì del suo calore. Si strinse più forte l’orlo del giubbotto verso il petto, e si avviò verso il locale.
Paradise Lost
L’insegna al neon rossa e luminosa la incantò per qualche secondo. Quando abbassò gli occhi per guardare le porte davanti a lei, non poté resistere dal trattenersi nel mostrare un sorriso ironico. Lentamente e con passo deciso si avvicinò all’energumeno che fronteggiava l’ingresso.
<< Bene, bene, bene. Guarda un po’ chi si rivede>> iniziò Noelle ridendo << Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati, non sapevo ti avessero trasferito qui anche a te.>>
L’energumeno vestito di nero incrociò le braccia e grugnì, non contento di vederla.
Noelle rise << Oh andiamo, non tenermi il muso, mi pare di ricordare che ci siamo divertiti la scorsa volta. Almeno… io mi sono divertita.>>
Il Body Guard strinse ancora di più i pugni e la sua intera figura si tese al suono di quelle provocazioni.
Noelle sorrise e gli si avvicinò all’orecchio per sussurrargli << Allora mi fai passare senza storie o dobbiamo giocare ancora?>> e staccarsi subito dopo, sogghignando.
L’energumeno si portò istintivamente una mano davanti alla benda, che gli copriva l’occhio mancante, e grugnì.
Noelle alzò un sopracciglio e, dopo neanche un secondo, il Body Guard si spostò controvoglia per farla passare all’interno del locale.
Noelle rise e si incamminò verso la terra del peccato.


La musica Jazz inondò le sue orecchie, i suoi occhi furono riempiti dal colore rosso, presente in tutta la sala, in ogni parete, drappeggio e in ogni tessuto di ogni piccolo divano. In fondo al locale era incisa una scritta con lettere d’oro che recitava: “Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso.” Noelle sorrise, perché non poteva essere più d’accordo.
Da una parte c’era il Buffet, ricco di pietanze di ogni genere, preparato da i più bravi Chef, e pronti per soddisfare l’ingordigia di ogni uomo o donna che si presentava davanti a quel tavolo. Abbandonavano ogni tratto di umanità una volta che posano gli occhi davanti alle gustose pietanze, che emanavo un profumo così dolce e invitante, da far cedere anche il più salutista degli uomini. Noelle li guardava e quello che si presentava davanti agli occhi erano maiali, non esseri umani. Peccatori di gola.
Dall’altra parte della stanza, il tintinnio delle monetine che cadevano per delle vincite, e quelle che venivano buttate all’interno delle macchinette, la distraeva dalla musica. Sentire le urla di chi vinceva una grande fortuna, e scorgere i singhiozzi di chi aveva perso tutto ed era disperato. Sentire gli uomini sfidare la Dea bendata della Fortuna credendo di essere più forti di lei e volendo sempre il doppio di quello che ricevevano. Uomini che credevano di essere più forti del gioco stesso, padroni del mondo, ma che non avevano ancora capito di essere solo pedine. Peccatori di avarizia e superbia.
In un angolo più nascosto, soprattutto alla vista di una persona poco attenta, c’erano delle tende di velluto rosso con delle piccole cordicelle in oro ai lati. Si poteva intravedere da lontano solo l’oscurità della stanza, interrotta qualche volta da alcune luci stroboscopiche e dal bagliore irradiato dai pali da lap dance ogni volta che una luce ci finiva sopra. Lì era dove la coscienza e la ragione andavano a morire, dando libero sfogo all’animale primitivo presente dentro ogni singolo essere umano. Peccatori di lussuria.
<< Posso aiutarla, mademoiselle?>> chiese un cameriere che si era presentato davanti a lei.
Noelle lo guardò e fece diventare per un breve secondo i suoi occhi color dell’oro. Il cameriere di risposta, con un sorriso, fece diventare i suoi occhi completamente neri.
<< Da questa parte, prego>> disse, conducendola ancora di più verso l’interno dell’edificio.
Presero l’ascensore e salirono fino al piano superiore in completo silenzio. Il suono della piccola campana che segnalava l’arrivo al piano fece distogliere Noelle dai suoi pensieri, e il fermarsi dell’ascensore fece sussultare entrambi.
<< Il padrone è molto felice che lei abbia accettato il suo invito>> disse mentre attraversavano il lungo corridoio verso una grande porta verniciata di rosso.
<< Obbligata…>> sibilò Noelle.
Il cameriere sorrise e si fermò davanti alla porta. << Lasci a me i suoi indumenti, il padrone ha espressamente chiesto di volerla vedere con il vestito che le ha gentilmente offerto in dono.>>
Noelle ringhiò a quella richiesta così sfacciata, ma non poteva pretendere altro da Lui. Lentamente si slacciò il giubbotto e con particolare forza lo consegnò al cameriere, insieme alla sua borsetta.
<< Le auguro una buona permanenza>> disse a capo chino, prima di andarsene e lasciarla lì da sola davanti alla porta.
Prese un paio di respiri profondi per rilassare le sue spalle tese e, per tenere le mani occupate, spiegazzò il vestito.
L’indumento che gli aveva fatto recapitare non era niente di esagerato, si sarebbe aspettata di peggio, infatti era un abito elegante lungo, nero, con lo spacco sulla coscia sinistra e, sopra, uno scollo a V che terminava appena sotto la linea del seno. Le maniche lunghe coprivano le sue braccia per proteggerle dal freddo invernale, anche se una creatura come lei non sente mai freddo.
Posò la mano sulla maniglia e, con una presa decisa, aprì la porta.


La sala era enorme e luminosa. Dal soffitto scendeva un grande lampadario di cristallo, che lasciava solo qualche traccia d’ombra nelle parti più lontane della stanza, ma che dava comunque all’ambente un aspetto rilassante, sicuro, quando invece era tutto il contrario. Sembrava una di quelle sale da ballo vecchio stile, e lo poté confermare dalla presenza di un piccolo palco dove un cantante si stava esibendo. Lo guardò mentre si avvicinava al centro, riconoscendolo immediatamente. Davanti a lei l’ormai defunto Robert Johnson stava strimpellando una melodia con la sua chitarra, e la sua voce blues inondava la stanza di una certa malinconia. Noelle sapeva che l’artista non provava niente, essendo un contenitore vuoto, ed ebbe la conferma quando intravide i suoi occhi, spenti, privi di vita e senza anima. La stessa che si era giocato tanto tempo fa, vendendola a tipi come… Lui.
Poco vicino al palco, lo vide. Seduto ad un tavolo, con indosso uno smoking rosso, fatto apposta per lui- naturalmente, non risparmiava certo nell’apparire- mentre con il calice in mano, ascoltava ad occhi chiusi la melodia che riempiva la stanza. Noelle si fece più vicino, facendo rumore con i suoi tacchi, intromettendosi nell’equilibrio della melodia e ottenendo l’attenzione del suo diretto interessato.
I suoi particolati occhi, uno bianco ed uno nero, si posarono sulla figura di lei e si accesero di eccitazione.
<< Oh, il mio smeraldo>> mormorò l’uomo, posando il bicchiere ed alzandosi.
Prese il suo bastone da passeggio dove all’estremità era scolpita una zamba, simile a quella di un’aquila, con artigli robusti, affilati e ricurvi, che tenevano in una stretta quasi possessiva una palla di cristallo, e si avvicinò a lei. Con passi lenti e precisi, e ogni volta che riduceva la distanza il suo sorriso si allargava sempre di più. Le prese la mano con delicatezza, e posò sopra il dorso un dolce bacio. Noelle si irrigidì tutta a quel gesto, sentendo quella parte del suo corpo ora infetta.
<< Sei veramente magnifica. L’abito che ti ho comprato ti sta d’incanto>> la guardò negli occhi dal basso, con ancora la mano imprigionata nella sua e le labbra ancora vicine alla sua pelle.
Noelle ritirò la mano, non riuscendo più a sopportare il contatto, e spostò i suoi occhi intorno alla stanza, evitando il contatto visivo. Notò in quel momento come a tutti i lati della sala fossero presenti due di quelli che dovrebbero sembrare camerieri, ma lì dentro non tutto è quello che sembra in realtà. In fondo era sempre nel suo regno, la terra del peccato. Contò che ce ne fossero una decina in tutto lì dentro, e questo mise il suo corpo in allerta costante.
<< Vogliamo sederci? Sei mia ospite e vorrei riservare il miglior trattamento per il mio prezioso smeraldo>> disse, invitandola a seguirlo e spostandogli la sedia per farla sedere.
Noelle si mise al suo posto, accavallando le gambe, e vide Lui fare lo stesso. Lei spostò lo sguardo sul cantante Blues << Ti tratti bene>> disse riferendosi a Lui.
<< Solo la crème de la crème, è uno dei vantaggi di fare patti con la gente giusta>> rise << So che avresti voluto qualche altro artista del Club 27, ma ho voluto sorprenderti.>>
Noelle distolse lo sguardo e lo riposò su Johnson. Lui, come altri morti all’età di 27 anni, avevano fatto un patto con il diavolo. Più precisamente il demone degli incroci. Ognuno di loro aveva chiesto di avere un dono, di poter realizzare quello che più bramavano, e il demone accettava ogni volta ma solo in cambio della loro anima. Chi accettava sarebbe poi stato reclamato dal demone stesso nel loro ventisettesimo anno di vita per essere trascinato giù all’Inferno. Aveva sentito voci, di chi era riuscito a scappare o di chi era stato capace di annullare il contratto senza ripercussioni. Ma erano solo voci e lei stentava a crederci. I demoni erano astuti, malvagi e manipolatori, era impossibile che un umano riuscisse a sconfiggerli nel loro stesso gioco.
Sospirò << Azael>> disse il suo nome << Perché mi hai chiamato? Sappiamo tutti e due che non sono qui per una visita di cortesia.>>
<< Sempre impaziente. Non sei cambiata per niente dal nostro primo incontro, piccola>> ghignò, mentre si portava un bicchiere di vino alle labbra.
Noelle strinse il tessuto della tovaglia in un pugno << Allora dovresti sapere anche cosa succederà se non parli immediatamente.>>
Azael rise, e posò il bicchiere sul tavolo, rivolgendo l’attenzione completamente a lei << Ho bisogno che tu rimanga qui, nel periodo Natalizio, e che faccia un paio di lavori per me.>>
Noelle sgranò gli occhi, facendo uscire una risata forzata, pensando che lui scherzasse. Quando però si accorse della serietà della sua voce e dei suoi occhi, incredulità, rabbia e panico si impossessarono del suo corpo.
<< Sei impazzito?!>> disse afferrando i lati del tavolo con entrambe la mani e stringendoli forte per rimanere calma << Mi stai chiedendo di rimanere qui quando stiamo per entrare nel periodo più religioso e sacro al mondo, il quale effetto mi renderà debole e vulnerabile per il piacere di tutte quelle persone che mi vogliono vedere morta, e allo stesso tempo fare dei “lavoretti” per tuo conto?>> Noelle scosse la testa, non credendo alle sue stesse parole << Scordatelo!>>
Azael non si mosse di un millimetro, e la sua faccia non esprimeva né rabbia, né noia, né frustrazione, tutti sentimenti che dovrebbe avere una persona davanti ad un rifiuto. Però lui non era una persona, e soprattutto non sapeva cosa fosse il rifiuto.
<< Cosa ti spaventa tanto?>> iniziò mentre, distrattamente, passava lentamente un dito intorno all’orlo del calice << Da quello che mi ricordo, tu sei molto forte e molto abile. Dovrebbe essere una passeggiata per te, affrontare tutto questo.>>
<< Non in questo periodo, non ora che i maggiori capi religiosi si riuniscono per pregare e la luce è più forte delle tenebre.>>
Azael si passò una mano sotto al mento, scrutandola << Oh, capisco. La verità è che non dipende dal fatto che sarà Natale tra poco, la verità è che ti sei rammollita.>> sorrise maligno.
Noelle si sentì colpita e strinse ancora di più la presa sul tavolo. Azael schioccò le dita e uno dei camerieri, una ragazza, si incamminò verso di lui con una bottiglia di vino rosso e un calice in mano.
Noelle assottigliò lo sguardo << Sai che non è così. Perché mi dici questo?>> chiese, velenosa. La cameriera riempì il calice vuoto del suo padrone e posò il bicchiere davanti a lei.
<< Seguo ogni tuo movimento, e sto vedendo cose che non sembrano da te. Chiamalo sesto senso o intuizione, poco mi importa, quello che sento è che l’equilibrio non è più lo stesso.>> prese il bicchiere e bevve un sorso, mentre la cameriera stava riempendo quello di Noelle << Ma forse non è così. Dimostra che mi sto sbagliando, bambolina>> sorrise.
La bottiglia di vino si fracassò a terra, disperdendo pezzi di vetro ovunque e macchiando il pavimento. Noelle si girò, attirata dal forte rumore, e tutto successe velocemente. La cameriera sfilò un coltello da dietro la schiena e tirò un fendente. Noelle si scostò giusto in tempo, ricevendo solo un taglio superficiale sul braccio sinistro. Mise la mano all’interno dello spacco del vestito e prese, dal cinturino legato alla coscia e nascosto alla vista di tutti, il suo pugnale. Afferrò saldamente il braccio di lei e lo sbatté con forza sopra il tavolo, provocandogli dolore e facendogli perdere la presa sul pugnale. Subito dopo portò il braccio dietro la sua schiena e schiacciò il suo corpo, bloccandolo, sulla tavola. La faccia della cameriera era pressata contro il tavolo, Noelle la prese per i capelli e le girò il volto, mentre nello stesso tempo le puntò il pugnale alla gola. La cameriera digrignò i denti e la guardò, con i suoi occhi completamente neri. Era un demone che si era impossessato del corpo di quella ragazza.
<< Finisci il lavoro>> disse Azael, vedendo come lei stesse indugiando nel dare il colpo di grazia alla ragazza.
Noelle spostò lo sguardo da lui alla ragazza, e poi disse con tono deciso << Liberala dal demone.>>
Azael rimase impassibile e continuò a sfidare con lo sguardo Noelle.
Noelle grugnì e si avvicinò all’orecchio della ragazza. Sussurrò alcune parole in Latino e l’attimo dopo un fumo nero uscì dalla bocca della ragazza, scomparendo nel soffitto.
Noelle allentò la presa e vide la ragazza riprendersi lentamente. Il suo naso iniziava a sanguinare, data la forte botta data al tavolo, e il polso le si stava gonfiando. Era ritornata umana, non era più il contenitore di un demone.
Si guardò intorno, spaesata e impaurita. Quando si girò verso Noelle, iniziò a tremare, e i suoi occhi pieni di terrore iniziarono ad inumidirsi.
<< Vattene>> le ordinò gelida Noelle.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, e con passi malfermi si avvicinò velocemente alla porta che portava all’uscita. Però qualcosa andò storto. Prima che potesse afferrare la maniglia della porta, l’aria nei polmoni di quella ragazza mancò, e si ritrovò a respirare a fatica, i suoi occhi si rigirarono all’indietro mentre le gambe le cedevano e le ginocchia sbattevano a terra.
<< Lasciala andare!>> urlò Noelle ad Azael.
<< Ho detto, finisci il lavoro>> proferì gelido l’ordine che le aveva impartito precedentemente.
Noelle guardò la ragazza. La sua pelle era diventata di un colore rossastro, strisce di sangue uscivano dalle sue orecchie e sicuramente tra poco gli occhi le sarebbero usciti fuori dalle orbite. Stava facendo provare a quella ragazza il doppio della sofferenza, ed era tutta colpa sua. Si sentiva impotente.
Raccolse da terra il coltello con cui precedentemente la ragazza l’aveva attaccata, lo fissò e lo strinse fra le dita. Calcolò la distanza, prese la mira, e lo lanciò, trafiggendo il cranio della ragazza che si accasciò per terra, senza vita.
Silenzio e gelo calarono nella stanza, bloccando il tempo per qualche secondo. Sentì Lui continuare a bere il suo vino come se niente fosse, e Noelle a quel punto decise di muoversi di nuovo e continuare a respirare. Con il volto cupo, si avvicinò al tavolo, prese il tovagliolo che era rimasto intatto ed asciutto nella rissa, ci buttò sopra del vino e se lo legò intorno al taglio sul braccio. Fece una smorfia di dolore mentre con i denti stava stringendo il pezzo di stoffa. Se la ragazza avesse usato un’arma normale, a quest’ora il taglio si sarebbe già guarito da solo, sfortunatamente lì conoscevano la sua natura e quello che lei aveva usato non era un coltello semplice.
<< Il fatto che io non stia prendendo provvedimenti in merito ai tuoi comportamenti che, secondo il mio criterio, sono alquanto bizzarri, non ti dà sicuramente il diritto di elevarti al di sopra di me e dei miei ordini>> Azael posò il bicchiere, prese il suo bastone da passeggiò e si alzò. Quando era in piedi, Lui era molto più alto di lei, questo la costrinse ad alzare di qualche centimetro la testa per poterlo guardare dritto negli occhi.
<< Che ti piaccia o no, devi fare quello che ti ordino. Un patto è un patto>> camminò lentamente verso l’uscita e uno dei camerieri apri la porta al posto suo.
<< Credo che questo compito non ti farà altro che bene. Ricostruirai la tua scorza, più forte di quella che hai ora>> disse ridendo, prima di andarsene e lasciarla da sola in quella immensa sala da ballo.
Noelle rimase immobile, stringendo i pugni in una presa dolorosa, poteva sentire le unghie scavare lentamente nel suo palmo, facendo uscire qualche stilla di sangue. Spostò lo sguardo sul corpo esanime della ragazza e il suo petto si riempì ancora di più di rabbia.
Prese il tavolo e lo scaraventò per terra, producendo un rumore assordante, facendo infrangere a terra ogni oggetto che c’era sul tavolo trasformando il pavimento in un campo minato di vetri. Poi urlò, più forte che poté, così tanto che sentiva le corde vocali prendere fuoco e bruciare all’interno della sua gola. Urlò così forte che gli sembrò che le pareti tremassero per la forte onda d’urto causata dalla sua voce. Urlò perché si sentiva in trappola.
E come prima c’era il rumore, ora c’era il silenzio. E tutto ritornò come prima.
 
 
Seduto sotto l’albero del cortile, Matteo si stava godendo una di quelle giornate di Dicembre dove il freddo lasciava un po’ più di spazio al calore, riscaldando le guance che di solito erano congelate per il vento freddo. Con le cuffiette nelle orecchie stava passando la giornata lì, indisturbato, ad ascoltare alcune canzoni che Alice le aveva consigliato. Alla fine si erano scambiati gli album, lui le diede, come promesso, il CD dei Fall Out Boy e lei lo soprese dandogliene uno di Ed Sheeran. Non credeva che potesse piacergli quel genere di musica lenta e a tratti molto sdolcinata, ma quell’inglese lo aveva fatto ricredere. Per non contare che il cantante somigliava parecchio al suo migliore amico roscio, e questo gli dava dei punti in più.
Stava ascoltando una delle sue canzoni, doveva ammettere che con le parole ci sapeva fare l’inglesino, quando Giorgio gli strappo il telefono dalle mani portandosi dietro anche gli auricolari e facendo gemere di dolore Matteo per le maniere poco delicate del suo amico.
<< Cosa ti stai ascoltando?>> chiese retoricamente, mentre già stava guardando il titolo della canzone sullo schermo del telefono.
Oh no, pensò Matteo.
Gli occhi di Giorgio si allargarono all’inverosimile, e la sua bocca seguì l’esempio dei suoi occhi. Iniziò a saettare lo sguardo dallo schermo del telefono a lui, e viceversa, mantenendo sempre quell’espressione ridicola sul volto.
<< Come?>> iniziò Giorgio, con voce troppo isterica << Quando e perché?!>>
Matteo roteò gli occhi al cielo << Non farne un dramma come al solito.>>
Giorgio si portò una mano sul cuore, corrugò le sopracciglia, trasformando la sua faccia in un’espressione di pura indignazione.
Ora ricomincia, pensò di nuovo Matteo.
<< Quante volte ti ho chiesto di ascoltare questo cantante?>> chiese Giorgio.
<< Andiamo Giò, non iniziare con->>
<< Rispondimi!>> disse incrociando le braccia, più determinato che mai.
Matteo sospirò << Tante volte, all’incirca un miliardo di volte.>>
<< E quante volte mi hai dato ascolto?>> domandò Giorgio con un sopracciglio alzato.
Matteo si lasciò sfuggire una risata << Nessuna.>>
Giorgio assottigliò lo sguardo, sentendosi preso in giro << E allora adesso voglio sapere perché lo stai ascoltando e chi ti ha dato l’album. E non mi muoverò da qui finché non me lo dirai, ne va del mio orgoglio e dell’orgoglio del mio idolo.>>
Matteo sospirò pesantemente, avrebbe dovuto ascoltare la musica nelle mura sicure di camera sua.
<< Allora?>> chiese Giorgio, spazientito.
Matteo iniziò a grattarsi il retro della testa, a disagio, e puntò il suo sguardo al terreno << Me l’ha dato Alice. Abbiamo fatto uno scambio, io gli ho dato uno dei miei CD e lei uno dei suoi.>>
Intorno a lui regnava il silenzio, sembrava quasi che il suo amico fosse scappato a quella rivelazione. Così alzò lentamente lo sguardo da terra e l’ultima cosa che si aspettava era trovarlo in quello stato. Le braccia di Giorgio non erano più incrociate al petto, ma abbandonate senza forza lungo i fianchi. La sua bocca era leggermente aperta e si poteva leggere benissimo l’espressione di stupore presente sulla sua faccia.
<< Tu non ascolti mai niente di Pop, per te il Rock, la tua musica in generale, è sacra. Non hai mai voluto ascoltare un mio CD e non hai mai fatto avvicinare nessuno ai tuoi preziosi album>> si bloccò per qualche secondo Giorgio per pensare e schiarirsi le idee << E poi arriva quella ragazza, e cambia tutto.>>
Matteo non era sicuro di dove Giorgio volesse andare a parare. Da una parte sembrava ferito, tradito, quasi come se gli avesse dato una pugnalata al petto dopo quella notizia. Ma, dall’altra parte, sembrava sollevato e felice per quel che stava accadendo. Anche se Matteo non aveva idea di cosa stesse accadendo. Oppure era solo molto bravo a fare finta di non capire.
Negli occhi di Giorgio passò una scintilla, che fece diventare i suoi occhi ancora più luminosi appena disse le parole che lui aveva cercato di evitare per tutto quel tempo.
<< Lei ti piace.>>
Matteo trattenne il respiro davanti a quella affermazione. Non pensava fosse vero, pensava che Giorgio avesse colto male i segnali e si stesse creando tutto un film mentale come di solito faceva. Ed era anche pronto a dirglielo, pronto a dimostrare che non era vero, che quello che aveva detto era solo una bugia, una fantasia. Ma appena provò ad aprire la bocca Giorgio lo interruppe.
<< Non dirmi che non è così, non ti crederei mai. Solo tu puoi credere a questa tua stupida bugia>> Giorgio rise << Cavolo->> disse << Non ti vedevo così preso da una ragazza dai tempi delle medie con Claudia. Ne è passato parecchio di tempo.>>
Matteo si lasciò trasportare per un attimo dai ricordi. I ricordi della sua prima ragazza, di tutte le sue prime volte con lei, della sua prima relazione seria e di come finì male dopo tre anni.
<< So che può fare paura>> disse Giorgio risvegliandolo dai suoi pensieri << Anzi nel tuo caso direi che sei completamente terrorizzato>> risero entrami a quella affermazione << Ma non puoi mentire per sempre a te stesso, e non puoi perdere queste opportunità.>>
Matteo scosse la testa << Non si metterà mai con uno come me.>>
Giorgio sbuffò infastidito << Ma ti senti?>> disse afferrandogli una spalla << Tu non hai niente in meno degli altri, okay? Pensi veramente che ad Alice tu non piaccia? Ma hai mai visto come ti guarda? Come pende dalle tue labbra quando parli delle cose che ti piacciono? E ho notato anche che salta le ore di lezione per stare con te.>> Matteo rimase sorpreso << Che c’è? Pensavi che non me ne accorgessi? Vorrei solo sapere di che parlate quando state insieme per tutto quel tempo. Beh, non so se parlate o fate qualcosa in più.>>
Matteo divenne rosso in faccia, non era pronto per parlare di quello con Giorgio, anzi non lo sarebbe stato mai.
<< Senti>> Giorgio gli restituì di nuovo il suo telefono fra le mani << So che hai paura e pensi di non essere all’altezza e altre cavolate varie di cui il tuo cervello si riempie giornalmente. Ma vorrei che tu ci provassi di nuovo, voglio dire provarci davvero. Non è un male che tu senta di nuovo qualcosa per un’altra persona, anzi alla fine potrebbe anche piacerti la sensazione di lasciarsi andare completamente>> detto questo girò i tacchi e se ne ritornò all’interno della scuola.
Matteo rimase qualche minuto immobile a fissare il cellulare, nello schermo ancora la canzone che stava ascoltando “Give me love”. Lo sbloccò e aprì la casella dei messaggi.
 
Ad Alice
Vieni al capannone degli attrezzi.

Invio. 









Angolo autrice
Sono veramente, veramente dispiaciuta. È da tantissimo tempo che non aggiorno la storia, e non smetterò mai di scusarmi per il mio enorme ritardo. Purtroppo avevo il blocco dello scrittore e non riuscivo neanche a prendere il Pc fra le mani senza sfociare in un attacco isterico.
Alla fine sono riuscita a sbloccarmi e ne è uscito qualcosa di buono (e anche molto lungo).
Con il prossimo capitolo si arriverà a metà storia, cercherò di postarlo il prima possibile e di non farvi aspettare troppo tempo (scusate ancora). Per qualsiasi lamentela o domanda sulla storia potete contattarmi qui. In seguito cercherò modi più facili per mettermi in contatto con voi.
Ringrazio tutte le persone che leggeranno o recensiranno la storia.
(Scusatemi... di nuovo)
Al prossimo capitolo.

E. xx


 

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