I Can't Help Falling In Love With You

di aphrodite_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** That'll be the day ***
Capitolo 2: *** That's When Your Heartaches begin ***
Capitolo 3: *** The Great Pretender ***
Capitolo 4: *** Guess Things Happen This Way ***
Capitolo 5: *** Don't Be Cruel ***
Capitolo 6: *** Let The Good Times Roll ***
Capitolo 7: *** Sweet Little Sixteen ***
Capitolo 8: *** I've Changed My Mind A Thousand Times ***
Capitolo 9: *** Since I Don't Have You ***
Capitolo 10: *** All Shook Up ***
Capitolo 11: *** In The Still Of The Night / It's All In The Game (Cap. 11 - 12) ***
Capitolo 12: *** The Twelfth of Never ***
Capitolo 13: *** I'm Looking For Someone To Love ***
Capitolo 14: *** It's Only Make Believe ***
Capitolo 15: *** No One Knows ***
Capitolo 16: *** Maybe Tomorrow ***
Capitolo 17: *** Goodnight, Sweetheart, Goodnight ***
Capitolo 18: *** Interlude: Dreaming ***
Capitolo 19: *** Come Go With Me ***



Capitolo 1
*** That'll be the day ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

NOTE INIZIALI: La musica gioca un ruolo importante in questa fan fiction! Vi raccomando di ascoltare le canzoni menzionate. Inclusi i titoli dei capitoli (che vi daranno un’idea di ciò che accadrà)

Potrete trovare un playlist basata sulla fan fiction qui -> Playlist.

(Note finali alla fine del capitolo)
 
THAT'LL BE THE DAY
 
 “Sherlock, caro, è ora di alzarsi.” Udì bussare alla sua porta.

“MRS HUDSON!” Tirò il cuscino proprio accanto alla porta, ancora chiusa.

 “No, no, niente “Mrs Hudson” caro! E’ il primo giorno del tuo ultimo anno! Non puoi arrivare in ritardo!”

Capì che non c’era niente da fare. Doveva alzarsi. Era tempo di tornare con i piedi per terra…

“Caro… Non andrò via di qui fin quando non aprirai questa porta e mi assicurerò che sei sveglio!”

Sapeva che fosse vero. Si precipitò alla porta sbadigliando. Quando aprì il suo aspetto era simile a quello di uno zombie. Mrs Hudson lo salutò con un ampio sorriso sulle sue labbra. “Buongiorno, caro! Come ti senti oggi? Primo giorno, ultimo anno, non è emozionante?”
Sherlock aggrottò le sopracciglia, “Cosa c’è di emozionante nell’essere forzato ad andare in una nuova scuola, ottenere buoni voti ed essere disciplinato?”

 “Oh Sherlock, non vederla in questo modo. Pensa alla scuola come una nuova occasione per ricominciare, come un’occasione per lasciarti alle spalle tutti i problemi e farti nuovi amici!”

 “Amici… Noioso.”

 “Bene, allora niente amici, ma preparati in fretta! L’autobus passerà alle otto!”

“Ricordami perché devo prendere l’autobus per andare a scuola? Questo significa che dovrò stare a contatto con le… Persone.”

 “Perché tua madre e tuo padre non ti permetterebbero mai di metter piede di nuovo all’interno di un auto, soprattutto per guidarla, Sherlock. E se avessi un po’ di rispetto, non dovresti permetterlo nemmeno tu.”

 “Apprezzerei che non me lo ricordassi ogni maledetta volta!”

 “Non lo farò più, ma preparati adesso!”

 “Va bene, va bene! Mi preparo!” Mormorò non appena chiuse la porta ed iniziò a prepararsi. A dire il vero non lo fece, prese ed indossò soltanto dei jeans a caso, una maglia bianca ed il suo cappotto nero che adorava. Provò a domare i suoi capelli con del gel e questo fu tutto quello che gli servì per esser pronto.
Uscì di casa ed accese una sigaretta mentre si dirigeva verso la fermata del bus. Finalmente, dopo aver atteso un’interminabile attesa di minuti, l’autobus arrivò. C’era troppo rumore e le persone erano noiose, ragazze che non facevano altro che parlare di come Elvis aveva fatto quella sua mossa con i fianchi la scorsa notte, o il prossimo film con Brigitte Bardot, o il ragazzo di quel film, quello con la giacca rossa che era morto di recente, qual’era il suo nome? James… Qualcosa. Era tutto troppo noioso per Sherlock.
Dopo un tragitto che sembrò infinito, finalmente arrivò a scuola. La sua nuova scuola. Noiosa. Non appena scese dal bus prese un’altra sigaretta e l’accese, fumare controllava la sua ansia, il fumo mandava via le sue frustrazioni. Poco dopo averla accesa, qualcuno toccò la sua spalla. Si voltò per vedere chi fosse stato e vide un uomo con un’espressione seria, che all’istante prese la sigaretta di Sherlock e la buttò per terra, pestandola con il piede.

 “Tu devi essere il nuovo ragazzo.”

 “E lei avrà sicuramente una laurea.”

L’uomo ignorò l’atteggiamento di Sherlock e continuò a parlare, la sua espressione rimase seria. “E’ chiaro che tu non conosca le regole di questa scuola.”

 “E’ chiaro che lei non me le abbia illustrate.”

 “Fumare è vietato in quest’area. Assolutamente vietato. Fallo di nuovo e sarai punito. Sono stato chiaro?”
Annuì, guardando per terra. Non appena l’uomo andò via Sherlock si sentì pervaso dalla rabbia. Odiava la scuola, non voleva ritornare in quell’inferno.
La sua prima lezione quel giorno era storia. Entrò nell’edificio e prese un respiro profondo.

“Primo giorno in prigione.”


***

 “Johnny, è ora di alzarsi!”
John era sveglio già da un bel po’. Si svegliava sempre quando si trattava dei “primi giorni di scuola”, probabilmente per via dell’ansia. Le vacanze erano sembrate più lunghe del solito e gli mancava la sua classe, adesso avrebbe iniziato l’ultimo anno e non l’avrebbe sprecato. Tanto da imparare l’ultimo anno e poi l’università. Non aveva ancora idea di cosa fare, ma aveva un anno intero per scoprirlo.

 “Sono sveglio, mamma! Non preoccuparti!”

La madre salì al piano superiore e aprì la porta della stanza di John, il letto era sistemato, la stanza già pulita ed ordinata. “Ottimo tesoro, adesso finisci di prepararti e vieni in cucina, ho preparato dei biscotti, chiamerò Harriet nel frattempo!”
Circa quaranta minuti dopo era ora d’andare. John guidava, questa volta. Era la prima volta che guidava per andare a scuola, la sua macchina era il suo piccolo tesoro. Gli era costata cinque lavori estivi e due anni di suppliche ai suoi genitori, ed infine prese la patente, l’unica cosa che gli mancava per poter comprare la sua prima macchina: una Chevy Bel Air, 1954 bianca e rossa, bellissima.
Portava sempre Harry con sé ma le chiedeva gentilmente di non usare la radio. Questa volta rinunciò ad insistere ed Harry accese la radio. “Buddy Holly!” Urlò di felicità quando alzò il volume.

 “Oh, andiamo Harry! Ascolta della vera musica!”

 “E’ ciò che cerco di dirti!”

 “Andiamo, non puoi dirmi di preferire questo casino a… Beethoven o Bach!”

Harry ribatté. “Sfigato.”

 “Com’è che mi hai chiamato?”

Si voltò per guardarlo in faccia e pronunciò di nuovo quella parola. “Sfigato.”

 “Non lo sono. NON sono uno sfigato, Harry!”

 “Ascolta Buddy Holly, allora!”

“D’accordo, sai cosa? Ascolta ciò che ti pare!”

Per tutto il tragitto non parlarono. E Buddy Holly suonava più forte che mai in quell’auto. E John decise che non gli piaceva per niente.
Dopo venti minuti arrivarono a scuola. Non appena parcheggiò, Harry si precipitò fuori dall’auto.
“Clara! Ciao!”

John alzò gli occhi al cielo, aveva capito cosa stesse succedendo tra Clara e Harry, ma non si era mai azzardato a menzionare nulla a sua sorella perché sapeva che fosse un… Argomento delicato. Non appena riportò il suo sguardo sulla struttura scolastica, sentì un pizzico di eccitazione. Il suo ultimo anno. Dio. Gli sarebbe mancato tutto questo.
Prese i suoi libri. Uno di storia, la sua prima lezione quel giorno, e l’altro di biologia, che era la sua materia preferita, un altro ancora di chimica e pensò che probabilmente avrebbe partecipato al club quell’anno.

 “Woah! Attenzione con quelli! Vuoi aiuto, amico?”

Guardò oltre i libri e sorrise, passandone uno al suo amico, fermo di fronte a lui.

“Mike! Ciao! Come sono andate le vacanze?”

 “Bene, credo, anche se mi è mancata molto la scuola. E tu che mi dici? Dio! La tua macchina! Sembra fantastica!” Disse con tono eccitato voltandosi verso la macchina rossa e bianca di John.

 “Sì, sì. Finalmente. E’ il regalo di compleanno per me e Harry. O almeno questa era l'idea iniziale. Harry una volta stava tornando a casa da una festa, era troppo ubriaca e… Beh, ebbe un incidente coinvolgendo un'altra auto. Ricordo solo una telefonata e ambulanze, Harry stava bene ma l’altra persona a quanto pare no ed ora sono l’unico autorizzato a guidare.”

 “Oh, mi dispiace, John. Ma hey! Almeno puoi guidare!”

 “Sì.” John percepì un velo di amarezza nel ricordare quegli eventi avvenuti all’inizio dell’estate. Poco dopo sorrise appena e fecero la loro entrata a scuola.

Non appena entrarono, John sorrise e guardò Mike, prese un grande sospiro e sorrise. “Oh sì, il primo giorno di scuola!”


***


“Quale sarà la tua prima lezione, oggi?”

 “Storia. La tua?”

 “Inglese! Ci vedremo a pranzo, allora.” Mike si voltò un momento per salutare un suo amico per poi ritornare a John, tenendo ancora il suo libro di biologia in mano. “Oh, andiamo, ti aiuto a prendere il resto dei libri dall’armadietto.”

 “No, va bene così, ci riesco da solo.”

 “Sicuro?”

 “Sì, sì, vai, raggiungi i tuoi amici!”

 “Hey, sei il benvenuto, amico.”

 “No, no, va bene davvero. Andrò a prendere gli altri nell’armadietto e cercherò la classe così non arriverò in ritardo!”

 “Va bene allora, ma ci vediamo a pranzo!”

 “Certo, certo! Ciao.”

Non gli interessava molto del pranzo, ma Mike l’aveva invitato al tavolo con i suoi amici e andava bene così. Tranne per John, non aveva molti altri amici, non era molto bravo a socializzare e le  poche persone con cui parlava le aveva conosciute grazie a sua sorella. A dire il vero, non aveva bisogno di amici, aveva i libri ed erano tutto ciò che gli serviva.
Stava camminando tenendo i suoi libri, guardando a malapena il corridoio, ma si fermò d’un tratto perché aveva colpito qualcosa. O qualcuno. Abbassò i libri e vide un ragazzo molto alto e giovane che non aveva mai visto. Capelli scompigliati, jeans, maglia bianca e cappotto nero. Ottimo, proprio quello di cui aveva bisogno la scuola: un nuovo arrivato. Il ragazzo lo guardò corrucciandosi. “Mm… Mi dispiace.”

Tenne gli occhi fissi sul ragazzo più basso di lui. “Esatto, devi essere dispiaciuto.”

“E’ che stavo tenendo questa pila di libri e non riuscivo a vedere bene, quindi…”

 “Guarda meglio la prossima volta, sfigato, o riceverai un bel pugno in faccia. Chiaro?”

Non appena sentì quelle parole, tre ragazzi che stavano ascoltando, si guardarono tra di loro e sorrisero, uno di loro si avvicinò per guardare la scena e fissò il nuovo arrivato che stava immobile di fronte a John, colpendolo sul braccio con un ampio sorriso compiaciuto sulla faccia. “Heeey! Tu devi essere quello nuovo! Ben fatto! Io sono Jim e questa è la mia… Gang. Vuoi unirti a noi?”

Sherlock si accigliò. “Perché?”

Jim lo squadrò dalla testa ai piedi. “Perché tutti vogliono spassarsela con noi.”

 “Anche io, quindi?”

Jim si avvicinò e tenne fisso lo sguardo sul nuovo arrivato. “Oh sì, ovvio. Se vuoi essere qualcuno in questa scuola.

Sherlock si rilassò e sorrise leggermente. “Giusto.”

 “Perfetto, pranzeremo nel tavolo più grande della mensa, ci vediamo lì. Chiaro?”

 “Chiaro.”

Non appena andarono via, Sherlock tornò a guardare John, che teneva ancora i suoi libri guardandolo confuso. “Che cosa guardi, sfigato?”
John non rispose. Sherlock lo spinse.
John alzò gli occhi al cielo, dirigendosi verso l’armadietto e tentando di mandar via la rabbia. “Tipico.”


***


Erano quasi le nove quando John entrò in classe. Prese posto in prima fila e guardò alle persone con cui avrebbe condiviso l’aula, erano sempre le stesse e parlavano di cose che John non capiva, erano tutti ossessionati dal Rock n’ roll e buon Dio, si chiese che cosa ci fosse di sbagliato nella società. Dov’era Bach? E Mozart? Buddy Holly ed Elvis erano migliori di loro, apparentemente. Certo, come no.

Il professore arrivò. Un uomo sulla cinquantina. Quindi era nato prima della I guerra mondiale! Ed insegnava storia perché aveva vissuto quella storia! L’uomo salutò la classe, scrutandola. “Darò del tempo a chi deve ancora arrivare ma inizio col dirvi che in questa classe c’è una regola: o siete puntuali o andate via. La lezione inizia alle 9. Non un minuto dopo. Se arrivate in ritardo, per favore astenetevi dall’entrare. Chiaro?” La classe annuì.
L’uomo sistemò la cattedra dopodiché assegnò agli studenti un posto fisso, dove avrebbero dovuto passare il resto dell’anno e mentre tutti si lamentavano, a John andava bene, a meno che non dovesse sedere troppo lontano dalla lavagna ma per fortuna capitò in terza fila.
John prese il suo quaderno ed iniziò a prendere appunti in modo da non dimenticare nulla. Scrisse il nome del professore e le regole generali impartite dal professore. Dopo circa dieci minuti, qualcuno bussò alla porta che era già stata chiusa. Il professore, interrotto, andò ad aprire la porta.

“Mi scusi signore, mi sono perso.”

 “Oh, tu devi essere quello nuovo… Holmes, giusto?”

 “Sì, signore. Mi dispiace, solitamente non sono mai in ritardo.”

 “Va bene Holmes, ma che non accada più. Forza, siediti dietro Watson.”

Quando sentì il nome, John si voltò per guardare chi fosse questo Holmes, che gli stava passando accanto sospirando pesantemente.
Quando prese posto, Holmes avvicinò di proposito il banco suo a quello di John il quale sentì la rabbia tornare, nei confronti di quel ragazzo. Era stato un incidente non aveva di certo programmato di finirgli addosso! E non era colpa sua, perché i libri gli intralciavano la vista! E poi perché avrebbe dovuto essere l’unico a scusarsi? Dio, non gli piaceva per niente questo nuovo arrivato.


***


John pranzò con Mike ed il suo gruppo di amici. Erano simpatici, ma non si sentiva a suo agio e non sopportava questa sensazione. Voleva sentirsi parte del gruppo, ma non ci riusciva. Pensò che fosse il suo carattere e non poteva far nulla per cambiare, così quando finirono di pranzare John contò i minuti che mancavano per andare al club di chimica, non che fosse un fanatico ma stava considerando la possibilità di diventare dottore e doveva conoscere la chimica se voleva andare all’università.
Era ciò che stava pensando, ma i suoi pensieri furono interrotti dal nuovo ragazzo che gli passò accanto. Andò a sedersi accanto a Jim, Sebastian e Greg, che ridevano come degli idioti. John li aveva sempre odiati, ma non aveva mai prestato davvero attenzione a loro tranne da quando Holmes arrivò. Adesso li disprezzava entrambi: il ragazzo ed il gruppo. Restò fermo a fissarli pensando a quanto fosse arrabbiato.

 “John, cosa guardi?!

Si girò subito verso Mike che lo stava guardando con una certa preoccupazione. “Cosa? … No, niente è solo che lo odio.” Disse guardando Holmes, che non stava né mangiando né parlando, sembrava che non stesse prestando attenzione a nulla tanto meno a ciò che i ragazzi stavano dicendo.

 “Chi? Quello nuovo? Lo conosci?”

 “Beh, l’ho incontrato questa mattina ed è un idiota! Penso che abbia trovato il posto giusto in cui stare: con la gang dei senza cervello!”

 “Andiamo John, l’hai appena incontrato, magari ha avuto una brutta giornata.” Mike gli rispose sorridendo, John non riusciva a capire perché i suoi amici difendessero quel ragazzo.

 “No no no, te lo dico io cos’è. E’ maleducato, fastidioso e… Non ne voglio più parlare. Devo andare al club di chimica.” Disse alzandosi.

 “Oh, quindi partecipi?”

 “Sì, tu?”

 “No, a dire il vero. Non mi piace stare a scuola fino a tardi.”

 “Beh, per quanto mi riguarda è ciò che mi serve.” Ed era sincero. Non andava d’accordo con sua sorella, tornava a casa sempre ubriaca. Amava sua madre ed anche se aveva una vita perfetta, con un marito che l’amava e dei figli di cui prendersi cura, John era sicuro che lei non fosse felice, lei non era mai felice. In sostanza a lui non piaceva stare a casa, quindi rimanere a scuola era la soluzione più logica.

Dopo diversi minuti in silenzio guardò Mike e sorrise. “Devo andare.”

Sherlock guardò il ragazzo passargli accanto e ridacchiò affinché il resto del gruppo notasse John. Jim guardò il nuovo arrivato con un sorriso.

“Quindi… John Watson. Ottima scelta!”

Non appena John uscì dalla mensa, Sherlock guardò i suoi… Amici. “Chi?”

 “John Watson, è così che si chiama. Il povero sfigato vergine. Gli importa più dei voti che delle ragazze. Anzi, a dire il vero credo che non gli importi affatto delle ragazze.”
E quello era un argomento che metteva Sherlock a disagio, quindi non fece commenti. “Immagino sia un ottimo studente.”

 “Sì, lo è, e non capisco perché non l’abbiamo preso prima di mira che lo facessi tu.”

Sherlock aggrottò le sopracciglia. “Perché?”

 “’Perché’ cosa?”

 “Perché avreste dovuto prendere di mira lui se è un ottimo studente e non fa del male a nessuno?”

Jim assunse un’espressione seria. “Ce l’hai portato tu, Sherlock. Quindi perché l’hai scelto?

 “Perché è un idiota. Stamattina non stava guardando dove metteva i piedi, mi è finito addosso e mi ha colpito con i libri.”

 “Quindi ecco il motivo.”

 “Ma l’ha fatto a me, non a voi.”

 “La prima cosa che devi imparare riguardo il nostro gruppo: se crei problemi ad uno di noi, crei problemi a tutti noi.”

Sherlock sorrise ed annuì.


***

A John era davvero piaciuto il suo primo giorno al club di chimica ed anche se questa materia non gli piaceva molto, la capiva. Fece anche amicizia. Un’amica. Quello fu l’evento più sorprendente del giorno. Il suo nome era Molly Hooper. Era molto simpatica ed intelligente ed a John piaceva parlarle.
Erano quasi le cinque quando John andò via, e visto che Harry non era autorizzata a guidare era andata con Clara, e John adorava questi momenti di solitudine tra lui e la sua Chevy. Anche se quello era stato un viaggio davvero breve, gli era piaciuto.
Quando arrivò a casa non c’era nessuno. Sua mamma era probabilmente a casa dei suoi amici a giocare a bridge[1], l’unico sfogo che aveva per divertirsi. Suo padre era a lavoro, ed Harry, ovviamente, era con Clara. Sospirò ed andò nella sua stanza. Aveva ragione quando aveva detto a Mike che non voleva tornare a casa perché era noioso. E non si sentiva mai a casa.
Si mise sul letto, era molto stanco. Aprì il suo zaino e prese il libro di biologia, gli piaceva leggerlo. Non appena vide quel libro però, gli tornò alla mente ciò che era successo a scuola, e ricordò Sherlock che lo minacciava, spingendolo ed infastidendolo, ed era stato solo il primo giorno!, John prese un respiro profondo. “Stronzo. Dio, lo odio. Odio quel ragazzo.”
 


***********

NOTE:

[1] Il bridge è un gioco di carte, diffuso a livello mondiale, di cui si organizzano tornei, nazionali ed internazionali, campionati mondiali ed olimpiadi. È giocato da quattro giocatori che formano due coppie contrapposte. Il gioco è composto di due fasi, la dichiarazione e il gioco della carta vero e proprio. La dichiarazione termina con un contratto, vale a dire con l'impegno da parte di una delle due coppie di conseguire un determinato numero di prese (sottintendendo la base minimale di 6 prese), assumendo che un determinato seme sia assunto come briscola (atout) oppure che si giochi senza briscola (sans atout - sintetizzabile SA - o, in inglese, no trumps, scritto NT), in base al valore convenzionale dato alle singole carte. Maggiori spiegazioni: Qui.

[2]: L’autrice della fan fiction non è di madrelingua inglese, dunque ho riscontrato alcune difficoltà nel tradurre alcune espressioni! Ho fatto del mio meglio.

[3]: Questa è la mia prima traduzione, chiedo venia per errori e quant’altro. Spero di aver fatto un buon lavoro e spero vi appassioniate a questa storia perché è FANTASTICAAAA. I miei feels. Sono morti.

 
Buona lettura! xx

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Capitolo 2
*** That's When Your Heartaches begin ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé.

AUTRICE: johnandsherlocks
TRADUTTRICE: aphrodite_

Eccomi con il secondo capitolo! Cosa ne pensate? Vi piace questa storia? Ho già provveduto a tradurre gli altri tre e... Niente. Non vi faccio spoiler! AHAH.

 



THAT'S WHEN YOUR HEARTACHES BEGIN 
Riassunto: 
 
 “Oh John, il destino ha uno strano modo di presentarsi!”

*****

 
Era giovedì mattina e Sherlock voleva già abbandonare la scuola ma si impose di non farlo, aveva già causato molti problemi ai suoi genitori così decise che avrebbe terminato l’anno a scuola. Dopotutto era l’ultimo e dopo sarebbe stato libero. Ma la sua determinazione sembrò sparire quando la sveglia suonò alle 7 e Mrs Hudson lo andò a svegliare.
Odiava la nuova scuola, odiava i suoi… Amici e odiava prendere il bus. La gang con cui trascorreva il suo tempo aveva iniziato ad annoiarlo e gli mancava stare da solo. Non poteva stare solo un minuto senza che qualche ragazza non andasse ad infastidirlo o senza che uno dei ragazzi parlasse delle ragazze che si era scopato. Era tutto così stupido.

Ma doveva ammettere che ogni tanto servivano a qualcosa. Gli avevano procurato l’ultimo album di Bill Haley & His Comets ad un buon prezzo, per non dire illegalmente, ma non era importante. Si alzò dunque, prese il suo registratore e partì Rock around the clock. E le cose andarono meglio. Nonostante disprezzasse un sacco di cose, il Rock n’ Roll non faceva parte di quelle cose.
Di nuovo, come i giorni precedenti, doveva prepararsi in fretta affinché non perdesse il bus perché se l’avesse perso avrebbe dovuto camminare e se c’era una cosa peggiore del prendere il bus per andare a scuola era camminare per andare a scuola.
Quando fu sul bus una ragazza si sedette accanto a lui. Era circa un anno più piccola di lui, capelli biondi, indossava un vestito da polka [1]. Lui la guardò come se questa avesse perso la testa. Lei sorrise timidamente e mormorò un flebile “ciao” ma Sherlock si voltò verso il finestrino perché era molto meglio che parlare con quella ragazza. Ma lei non si arrese. “… Quindi tu sei quello nuovo, cosa ti ha portato qui?”

Lui alzò gli occhi al cielo, infastidito e si voltò di nuovo per guardarla, “per favore, non sentirti in dovere di iniziare le conversazioni, sei terribile nel farlo.”
Sorrise, con un’espressione confusa in faccia. Non sapeva nemmeno se stesse scherzando o meno. Ed ancora, non si arrese. “Sono Molly, Molly Hooper.”

Sherlock non voleva rispondere ma la ragazza le faceva pena così si addentrò nella conversazione. La sua espressione era indifferente. “Sherlock Holmes.” Borbottò.
La ragazza sorrise nuovamente. “Beh, ciao, è un piacere conoscerti, Sherlock Holmes.”

Mormorò qualcosa e tornò di nuovo a guardare il finestrino. Molly si sentì a disagio, ma gli aveva detto il suo nome dopotutto, quindi pensò ne valesse la pena provarci ancora. “Quindi, che lezioni avrai oggi?”

Sherlock non si voltò e rispose appena. “Storia, inglese e chimica.”

 “Oh, ti piace la chimica?”

Si voltò per guardarla, questa volta più infastidito dell’ultima volta. “Stai scrivendo un libro?”

Chiuse la bocca e guardò in basso, imbarazzata. A Sherlock dispiacque. Ma dopo si sentì peggio per essersi sentito in colpa per lei. “…  Sì, mi piace la chimica.”

Lo guardò e sorrise. “Oh, ma è fantastico! Io sono a capo del club di chimica e mmm… Mi stavo chiedendo… Ti andrebbe di partecipare? Le ammissioni sono ancora aperte, nel caso in cui volessi ma non devi…”

 “Lo so che non devo.”

 “Certo che non devi, ma intendo dire che se vorrai sarai il benvenuto. Ci riuniamo oggi ed ogni lunedì pomeriggio.”

Sherlock esitò, poi guardò la ragazza che teneva lo sguardo fisso su di lui in un modo che lo metteva a disagio. “Uhm, grazie? Ci penserò.”

 “Bene, bene. Fammi sapere. O no.”

Successivamente seguì un silenzio imbarazzante. E tutto ciò che voleva era scendere dal bus ed accendere una sigaretta ma dannazione! Non poteva fumare a scuola!
Finalmente il bus arrivò. Molly sorrise a Sherlock e dolcemente disse: “Ciao Sherlock, è stato un piacere incontrarti!”
Sherlock annuì e mosse due delle sue dita per simulare un saluto, lei sorrise ed andò via. La guardò di nuovo come se fosse totalmente impazzita. E forse lo era.


***


 Quando John arrivò alla lezione di storia Sherlock era già lì, seduto (o meglio, rilassato) con i suoi piedi sul banco di John. Quando John lo notò, guardò incredulo il nuovo arrivato e questo lo ignorò. Finalmente, dopo essersi messo di fronte a lui e dunque al suo posto – occupato dai piedi di Sherlock – e dopo un minuto senza ottenere risposta, decise di parlare.

 “Ehm… Ciao?” John disse alzando il tono della sua voce con lo sguardo fisso sul nuovo arrivato.

Sherlock lo guardò arcuando il sopracciglio. “Che cosa vuoi, sfigato?”

“Questo è il mio posto!” Disse indicando il banco.

 “Quale?” Rispose Sherlock.

 “Quello su cui hai messo i piedi!” Affermò gesticolando.

“Ah, è il tuo posto? Le mie scuse, credevo che sedessi accanto al professore, sai… Il suo segretario.”

John sorrise, ma non era quel genere di sorriso che affiora quando si è felici, era un sorriso di assoluta rabbia. “Il suo cosa?!”

 “Watson!” Udì il professore riprenderlo non appena entrò in classe e chiuse la porta. Dunque si guardò intorno e tutto erano seduti, lui era l’unico in piedi e stava ancora guardando Holmes con il volto paonazzo dalla rabbia. Si voltò per guardare l’insegnante. “Prendi posto, ora!” Il professore urlò.

 “Ma professore! Holmes è…” Si voltò per guardare il suo banco ma i piedi di Sherlock non erano più lì, quindi non c’era niente da dire. Il nuovo arrivato sorrise alla reazione di John.

 “E’ cosa, Watson?”

John sospirò. “Niente, signore. Le mie scuse.”

 “Che non accada più, chiaro?”

 “Certo.” Non appena si sedette, udì Sherlock ridacchiare alle sue spalle e doveva resistere alla tentazione di colpirlo in faccia. C’era una cosa che John non riusciva ad accettare, e quella cosa era il perdere la sua reputazione di fronte ai professori, ed Holmes aveva rasentato il limite quella volta. John non pensava che potesse odiare qualcuno tanto quanto odiava Sherlock.
Provò quindi a concentrarsi ed a dimenticarsi dell’accaduto.
 
Il professore dedicò gli ultimi minuti della lezione a spiegare il compito di fine corso. John prese appunti: consegna del saggio in due settimane (definire l’argomento di indagine, analisi storica, qualsiasi argomento) è in coppia (si spera coppie non decise dal professore). 2-3 pagine.

 “Essendo un lungo compito, vorrei che sceglieste voi i compagni con cui lavorare. Ma dovete farlo adesso visto che ho bisogno di coppie già definite.”
John si alzò immediatamente e camminò verso il professore. “Qualche problema, Watson?”

 “No, solo una domanda… Posso fare questo progetto da solo? Non ho nessuno con cui lavorare e penso che in classe siamo dispari quindi…”

Il professore contò. “32. Siamo pari.”

 “Bene… Ma vorrei farlo da solo.”

 “Watson, devo correggere approssimativamente 90 saggi. Permetterti di lavorare da solo significherebbe correggerne 91. Più lavoro per te e per me. La risposta è no. Assolutamente no.”

John stava ancora parlando con il professore cercando di convincerlo a cambiare idea, quando Sherlock interruppe John, ignorando che stesse parlando lui.

“Mr. Hikes, non ho con chi lavorare perciò mi chiedevo se potessi farlo da solo.”

L’uomo sorrise e John si sentì terrorizzato. “No, Holmes, non puoi farlo da solo, ma non preoccuparti. Watson non ha nessuno con cui lavorare, quindi lo farete insieme.”

Il nuovo arrivato spalancò i suoi occhi e guardò John che in risposta scosse la sua testa ed alzò gli occhi al cielo. “COSA?” Sherlock si girò per guardare il professore. “Signore, preferirei lavorare da solo. Odio lavorare con qualcuno, chiunque, quindi per favore, mi permetta di farlo da solo.”

Il professore scosse il capo e parlò ad entrambi. “Mi dispiace, come vi ho detto le regole della classe sono queste.  Sarà in coppie, quindi non c’è assolutamente verso che io cambi idea. Ed Holmes, dovresti iniziare a farti piacere il lavoro con altri, dovrai abituarti.”
 
Sherlock sbuffò e lanciò un’occhiataccia al professore. John rimase in silenzio, arrabbiato. Certo, tra tutte le persone nella classe doveva far coppia con quell’idiota. Sospirò. Non c’era niente da fare.


***


Non appena Mike guardò John, alla mensa, capì che qualcosa non andasse. “Ehy. John, che è successo? Sei rosso come un peperone!” E diamine, lo era, era così arrabbiato, era ingiusto perché non voleva fare coppia con nessuno per quel compito, perché doveva essere costretto a farlo con quello là?!

Guardò Mike con un’espressione seria. “Devo fare un compito di fine anno con quel tizio, Holmes!”

Mike ridacchiò e John percepì la sua rabbia aumentare: che c’era di divertente? “Cosa ridi?”

 “Oh John, il destino ha uno strano modo di presentarsi!”

Cosa? “Il… Destino?”

 “Sì, più lo odi, più sei destinato a stare con lui. E’ così che funziona, lo sai? Non c’è niente che tu possa fare.”

 “Ma Dio! Non voglio lavorare a questo progetto con lui!” Disse John guardando il suo pranzo, aveva perso l’appetito. “Come posso lavorare con lui senza finire con un occhio nero o con una costola rotta o con un pugno in faccia?”

 “Beh, allora gli mostrerai che non sei il tipico nerd debole!”

John sospirò. Anche se l’espressione di Mike era seria, poteva notare un piccolo sorrisetto nascondersi all’angolo delle sue labbra, pensava che la sua situazione fosse divertente. “Ma in che modo?”

“Mostragli che comandi sul progetto e che darai idee su come lavorare ma che non finirai per farlo da solo!”

 “Mmm… Mike, non lo so, penso che farei di meglio se lo facessi da solo. Non sembra molto intelligente lui!”

 “Non puoi saperlo, potresti essere sorpreso!”

 “Ne dubito.”


***


Dopo pranzo, John andò via dalla mensa per recarsi al club di chimica. Era a cinque minuti di distanza dalla mensa ed odiava essere in ritardo. Poi vide Sherlock, seduto su una delle sedie dell’ingresso a leggere un libro. Solo? Wow, sorprendente. Adesso che ci pensava era stato strano che Jim e compagnia fossero alla mensa senza Sherlock ed era infastidito per non averlo notato prima. Non era stato con loro neanche nei giorni precedenti. Guai in paradiso?
Ricordò ciò che Mike gli disse ed aveva ragione. Era opportuno mettere le cose in chiaro e non c’era occasione migliore di farlo se non mentre Sherlock era da solo ed i suoi amici non c’erano -dal momento in cui l’avevano preso di mira ed era colpa di Sherlock per quei dannati libri-.
Si avvicinò al nuovo arrivato, prese un respiro profondo e provò, ci provò davvero ad assumere un’espressione amichevole. Era la cosa migliore che potesse fare. Sherlock era incredibilmente concentrato, leggeva J.D. Salinger’s “The Catcher in The Rye” [2], era uno dei libri preferiti di John, ma pensò che fosse meglio intrattenersi il minor tempo possibile ed andare dritto al punto cosicché non sarebbe finito in una rissa o qualcosa del genere in cui John avrebbe sicuramente perso.
Si schiarì la voce ed avanzò imbarazzato e Sherlock alzò lo sguardo, sbuffando. John non cambiò espressione. “Ciao.”

 “Sì. Posso aiutarti con qualcosa?” Oh certo, adesso Sherlock non lo conosceva, ovvio che non lo conoscesse, adesso stava recitando la parte del “non ti ho mai visto prima”, e quindi? Anche John doveva fingere di non conoscere Sherlock? Come se non fosse abbastanza conosciuto da essere il nuovo ragazzo che aveva reso la sua settimana un totale inferno?

 “Oh andiamo, Holmes, smettila.”

Sherlock lo guardò perplesso. “Smettere di fare cosa?”

John gesticolò verso Sherlock, “Tutto questo! Tutto questo! … Ascolta, che ti piaccia o meno, abbiamo un compito da svolgere e non possiamo farci nulla. Quindi faremmo meglio a svolgerlo nel giusto modo.”

Sherlock chiuse il suo libro e si alzò. Era alto, molto più alto di John e si sentì così piccolo nei confronti del nuovo arrivato che sembrava così sicuro di se stesso. “Va bene, d’accordo.”

Oh, bene, era andata meglio di come l’aveva immaginato. Non appena John pensò ciò, Sherlock si voltò e andò via. “No, no, aspetta! Dove vai?” John dovette correre per inseguirlo, lo afferrò dal braccio e lo forzò a fermarsi. Quindi Sherlock si voltò verso John con un’espressione infastidita.

“Per l’amor di Dio, che altro vuoi, sfigato? Non era finita la nostra conversazione?” La situazione non prometteva bene.

 “No! Avevo appena iniziato.”

Sherlock alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente. John provò a ricomporsi ed riprese a parlare sollevando il viso così non si sarebbe sentito piccolo, debole e vulnerabile nei confronti dell’altro. Prese un respiro profondo. “… Dunque, quello che stavo dicendo è che dovremmo iniziare a pensare al progetto.”

 “Lo sapevo che sarebbe accaduto.” Disse Sherlock guardando John, perplesso.

“Che sarebbe accaduto?” ripeté le parole di Sherlock.

 “Che mi avresti infastidito e pressato per forzarmi a fare questo dannato lavoro per queste due settimane che si riveleranno un completo inferno!” John sentì la rabbia. Quel tipo di rabbia che percepiva quando Sherlock apriva bocca.

 “Senti, tutto ciò che voglio è prendere un buon voto!”

 “Prenderai un buon voto comunque, sfigato.” E si voltò di nuovo per andar via e John perse la pazienza.

Afferrò Sherlock dalla spalla per forzarlo a voltarsi, per affrontarlo faccia a faccia e lo prese per il colletto della sua giacca, avvicinandolo. Il ragazzo tenne il suo sguardo fisso su John, accigliato.

“Ascolta, non è un piacere per me lavorare con te ma è ciò che devo fare e lo farò, capito? Adesso voglio essere chiaro su una cosa: non ti aspettare che sia io a fare per intero il compito solo perché sono uno sfigato, un nerd o come diamine ti piace chiamarmi. Se vuoi che questa merda funzioni allora devi fare la tua parte. Ci riuniremo il prossimo lunedì per definire l’argomento. E ci sarai, mi hai sentito? Sono stato chiaro?”

Sorpreso dall’improvvisa determinazione di John, Sherlock annuì senza essere davvero sicuro su cosa stesse annuendo, non stava prestando attenzione a quel che John stava dicendo.

John lasciò la presa della giacca di Sherlock. “Bene.”

Si ricompose, fece scorrere una mano tra i suoi capelli e sistemò i suoi occhiali. “Adesso devo andare al club di chimica. Ci vediamo lunedì, chiaro?”
Sherlock sospirò e non disse niente. “… Bene, lo prendo come un sì. Ciao.” Si voltò ed andò via.

Sherlock afferrò il suo libro ed andò nella direzione opposta a John. Era sorpreso dal modo in cui il ragazzo aveva reagito, era stato inaspettato, tutta la situazione era inaspettata, John Watson in generale era inaspettato.



*********

 
NOTE:

[1] La polka o polca è un ballo a tempo binario. È un ballo veloce, di coppia, molto popolare sia tra gli amanti del ballo liscio (con passi camminati che ricalcano il ballo one step) che tra quelli del ballo folk. Divenuto ballo molto noto, ne esistono varie forme popolari oltre alle forme di musiche e danze da camera. Maggiori informazioni: QUI.

Il vestito indossato da Molly si rifà dunque a questo tipo di danza: Vestito Polka.

[2] Ho preferito lasciare il nome originale dell’opera di J.D. Salinger, l’equivalente in italiano sarebbe Il Giovane Holden; per chi non lo conoscesse, può leggere QUI la trama ed eventuali chiarimenti. 

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Capitolo 3
*** The Great Pretender ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé.

AUTRICE: johnandsherlocks
TRADUTTRICE: aphrodite_

 
THE GREAT PRETENDER
 
Riassunto “Vedi? Sappiamo essere civili!”

***

 
Era lunedì, le lezioni erano iniziate da due settimane e ad esser sinceri, John era già stanco. L’anno scolastico era appena iniziato, amava studiare ma i professori lasciavano un sacco di compiti, frequentava anche il club di chimica e sembrava che non avesse tempo di fare niente. Ma non avrebbe abbandonato il club. Non era il tipo di persona che si arrendeva.

A parte quello, il clima a scuola non era dei migliori. Per tutti quegli anni aveva dovuto lavorare sodo per mantenere un profilo basso, senza disturbare nessuno, senza causare risse, perché odiava quel genere di comportamento. Non voleva essere quel genere di ragazzo.
Si sentì solo più che mai. C’era Mike che sì, era suo amico, lo accettava nonostante tutto, ma non si fidava davvero di lui. Iniziava a sentirsi come se avesse bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno con cui aprirsi riguardo tutte le sue frustrazioni, qualcuno che avrebbe capito, qualcuno che avrebbe accettato. Ma non c’era nessuno. Nemmeno sua sorella avrebbe ascoltato, era troppo impegnata a pensare a Clara. Doveva trovare un amico. Ma come? Chi?
Odiava il fatto che la scuola stesse diventando un peso, quel posto che amava così tanto ed in cui si sentiva felice, era diventato il suo peggiore incubo.

Storia sarebbe stata la sua prima lezione quel giorno e non avrebbe aiutato perché non voleva vedere la faccia di Sherlock e adesso avrebbero dovuto studiare insieme per quel progetto di fine anno e lui era un idiota e John non sapeva cosa fare. Sorprendentemente il teppistello lo ignorò completamente. Completamente. Non guardò John, non aveva messo i suoi piedi sul suo banco, non l’aveva disturbato. Era strano.
Il professore alla fine delle due ore di lezione (che spesso passavano molto, molto lentamente e sembravano cinque) aveva ricordato agli studenti che la settimana successiva avrebbero dovuto presentare la bozza del loro progetto, e ciò ricordò a John che lui e Sherlock avrebbero dovuto incontrarsi quel pomeriggio per studiare sul progetto, e questo avrebbe solo peggiorato la sua giornata.
Non appena la campanella suonò tutti si alzarono e Sherlock si alzò così velocemente che John non ebbe neanche il tempo di ricordargli del loro incontro pomeridiano. Ma doveva, perché era probabile che non si sarebbe presentato. Prese il suo zaino e si precipitò fuori dall’aula. Quando raggiunse il corridoio della scuola vide Sherlock dinnanzi gli armadietti insieme ai suoi amici: Jim, Sebastian e Greg. John sospirò e si fermò per evitare di avvicinarsi troppo a loro.

Quando Jim vide Sherlock, sorrise. “Yo, Holmes! Com’è andata la lezione di storia?”

 “Terribile. Come sempre.” Disse Sherlock con sguardo serio, che si trasformò lentamente in uno sguardo confuso quando iniziarono tutti a ridere. Non aveva mica detto una barzelletta. Era vero. La storia era una tortura per lui, John lo stava guardando da lontano e sorrideva flebilmente.
Si prese di coraggio e mosse un passo avanti. Dopo verso il teppistello e la sua gang, prese un respiro profondo e non appena si voltarono verso di lui, dimenticò cosa doveva dire. Si sentì terrificato. Sherlock si avvicinò a lui. “Che vuoi, Watson?”

John si schiarì la voce e realizzò che Sherlock stesse aspettando una sua risposta. “Mm… Devo parlarti.”

Gli altri teppistelli guardarono John con sorpresa, risero un po’ e Sherlock li guardò perplesso. “Ti ascolto.”

 “In… Privato.”

Sebastian rise di gusto guardando John. “OH! Holmes, sbrigati. Il tuo ragazzo ti sta aspettando!”

Sherlock si voltò verso Sebastian e dopo, in uno scaltro movimento, afferrò il ragazzo dal colletto della sua giacca e lo spinse con la schiena contro l’armadietto esercitando un’incredibile forza contro di esso. La faccia del teppistello era rossa dalla rabbia, e stava guardando il ragazzo con uno sguardo omicida.

“Stai. Zitto. Sebastian!” Urlò, stringendo i denti. “La prossima volta te ne pentirai!” Disse mostrandogli il suo pugno pronto a colpirlo in faccia.

Sebastian si dimenò e provò a rilassare la sua espressione, ansimando ancora sotto la presa del teppistello che non sembrava volerlo lasciare andare. “Woah coglione, calmati! Era una battuta!”

Sherlock scattò ma poco dopo lasciò la presa della giacca di Sebastian, lasciandolo andare. Subito dopo Jim guardò Sherlock sorpreso. Poi, sorridendo, annuì al ragazzo. “Vai, Holmes. Puoi parlare a Johnny Boy. Ma fa attenzione a non rompergli gli occhiali.”

Sherlock sorrise (un sorriso molto, molto falso da ciò che John poté notare) e si avvicinò a John. Il teppistello lo fissava, penetrando il suo sguardo. Non appena furono abbastanza lontani dai suoi amici, Sherlock alzò gli occhi al cielo e guardò John, irritato. “Sì?”

John provò a non guardare Sherlock negli occhi – né a focalizzarsi troppo sulla sua voce – guardando il pavimento. “Hmm… Volevo solo ricordarti che oggi ci vedremo a pranzo per organizzare il progetto. Dobbiamo consegnare la bozza lunedì prossimo quindi…”

Sherlock sospirò. “Sì, lo ricordo.”

 “Bene, allora. Volevo solo esserne sicuro.”

 “Altro?”

 “Cosa? Ah sì… Una sola domanda… Dove ci incontriamo?”

Sherlock ridacchiò e guardo i suoi amici, distanti da lui. Alzò gli occhi al cielo nel guardarli e loro risero. John si sentì a disagio, Sherlock lo guardò ancora irritato come se parlare con John fosse la cosa più brutta del mondo. “Penso che tu lo sappia già.”

E senza dire una parola di più, Sherlock si rivolse ai suoi amici: “Andiamo. Potrei uccidere per una sigaretta e non mi interessa di essere espulso.” Risero ed andarono via con lui.
John sospirò, guardandoli andare via, era confuso, come poteva sapere dove si sarebbero incontrati?! Non conosceva affatto Sherlock Holmes. Come poteva capirlo? Non aveva idea di cosa fare. Decise che sarebbe stato meglio aspettare l’ora di pranzo per scoprirlo.

****

“Allora? Cosa voleva Watson?” Disse Jim guardando la sua sigaretta, rigirandosela tra le dita fin quando non arrivarono in un angolo alle spalle dell’edificio. I professori passavano raramente di lì e Sherlock doveva ammettere che fosse un ottimo posto per fumare. Finalmente i suoi… Amici erano stati utili a qualcosa, anche se doveva fumare ed interagire con loro.

“Hmm?” disse Sherlock aspirando.

Jim non tratteneva la sua curiosità. “Ho detto: cosa voleva lo sfigato?”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. Non era dell’umore di parlare, in realtà non lo era mai, ma Sebastian e Greg lo guardavano speranzosi e dopo aver fatto un altro tirò, iniziò a parlare.

“Ci hanno assegnato un dannato compito di storia in coppie.” Risero. Sherlock si accigliò perché non era divertente, ed erano tutti un pugno di idioti, ma continuò a parlare. “Quindi il professore mi ha messo in coppia con lo sfigato e devo studiare con lui, adesso. E come potrete immaginare, è un dito in culo.” Aspirò di nuovo.

 “Oh, e vi incontrerete o cosa?” Disse Jim.

 “Sì, a pranzo.” Disse Sherlock scocciato.

Greg si rivolse a Sherlock. “A proposito, Holmes, dove sei stato in questi giorni durante l’ora di pranzo? Ti conserviamo sempre il posto ma tu non vieni mai!”

 Sherlock rimase in silenzio per un momento. Poi guardò Greg e si inventò una scusa, qualcosa di meglio rispetto al perché siete fastidiosi e stupidi e non mi piace socializzare con le persone quindi preferisco prendere una sedia e leggere un libro invece di ascoltare le vostre terribili conversazioni. “… Sono stato impegnato con i compiti e roba del genere.” Pensandoci bene, sarebbe stato meglio dire la verità.
I tre lo guardarono con una buffa espressione. Sebastian sorrise. “Cosa? Tu? Quindi Sherlock Holmes preferisce fare i compiti piuttosto che spassarsela coi suoi amici! Che guastafeste!”

Sherlock sorrise imbarazzato quando gli altri risero di lui, ed ancora pensò che non ci fosse nulla di divertente e voleva finire la sua sigaretta più in fretta possibile così poteva andar via e smetterla di sprecare il suo tempo con quelli.
Il suo… Amico lo guardò e rise più forte. Greg disse: “Oh bene, questo compito di storia sarà divertente.”

“Cosa potrebbe esserci di divertente?”

Sebastian rispose ridendo. “No, no, non per te, per noi.” Jim era serio in viso, scettico, come se sentisse che qualcosa non fosse al suo posto, come se sapesse qualcosa che gli altri non sapevano. Non disse una parola. Era lì a finire la sua sigaretta.
Sherlock si accigliò quando pestò la sua sigaretta. Ottima scelta i tuoi… amici, Holmes.
Ben fatto! Guardati, sei popolare adesso, wow, guarda quanto sei felice! Sentì il bisogno di qualcuno, un vero amico nella sua vita, beh, questo era un inizio.

****

 “Devo andare, Mike.” Disse John alzandosi e mettendo via il suo vassoio. Aveva mangiato ad una velocità incredibile, ed era pieno, ma non gli andava di arrivare in ritardo anche se non sapeva neanche dove dovesse arrivare per incontrare Sherlock.

Mike guardò John confuso. “Davvero? Perché?”

 “Devo incontrarmi con Sherlock per il nostro progetto.” Disse John rassegnato, udendo la risata di Mike.

 “John, hai almeno provato a parlargli?”

 “Sì, ma non vuole sentir ragioni! E’ stato uno spreco di tempo. Comunque, devo andare. A dopo.” Disse andando via.

Mike sorrise. “Buona fortuna, amico.”

 “Grazie, ne avrò di bisogno.”

John andò via dalla caffetteria ed inconsciamente si diresse verso il corridoio che prendeva sempre per andare al club di chimica, e non appena girò l’angolo trovò il teppistello, seduto sulla stessa sedia del giorno prima, leggendo lo stesso libro incredibilmente concentrato. Nel momento in cui vide John sospirò pesantemente e chiuse il libro. John provò a sorridere un po’ e si impose di essere paziente.

Si mise davanti a lui e l’altro lo guardò con aria seccata. “Sì, lo so, lo so.” Il ragazzo aveva davvero un pessimo carattere.

 “Posso sedermi?”

Sherlock non rispose, si spostò appena cosicché John potesse sedersi accanto a lui. Dopo, non appena si sedette, il moro aprì il libro di nuovo e continuò a leggere senza prestare attenzione a John.

John sospirò. “Sh… Sherlock!”

 “Che c’è?”

 “Dobbiamo fare questo maledetto lavoro e dobbiamo consegnare almeno tre pagine entro lunedì! E ci serve una macchina da scrivere! Non abbiamo scelto neanche un argomento! Quindi se fossi in te la smetterei di comportarmi così ed inizierei a lavorare! Non devi parlarmi, non devi neanche guardarmi, ma per l’amor di Dio, facciamo questo lavoro!”

Sherlock chiuse il libro. “D’accordo.
Finalmente si era deciso.

 “Bene,” disse John andando dritto al sodo. “Che argomento ti piacerebbe analizzare?”

Sherlock guardò in basso e fece spallucce. “Non lo so.”

 “Beh, pensa a qualcosa,” John si ricordò di dover mantenere la calma, ma Dio, era così difficile essere pazienti con questo qui.

Sherlock si voltò per guardare John. “Non lo so. Odio la storia!”

John sospirò. “Non piace neanche a me, ma dobbiamo trovare un argomento!”

 “Davvero non lo so, Watson! Perché stai dando la responsabilità a me?!”

 “Andiamo! Ti sto solo chiedendo di scegliere un argomento!”

 “Un argomento sul quale baseremo tutto il semestre di storia! Quindi sì! E’ una fottuta responsabilità.”

 “Va bene, lo sceglierò anche io, ma puoi sbrigarti? Devo andare al club di chimica!”

Sherlock disse a bassa voce. “Nerd.”

John percepì un pizzico di rabbia, stava cambiando colorito, respirò e cercò di calmarsi. “Non sono qui per parlare di me, OK? Apprezzerei che conservassi gli insulti per dopo.”

Sherlock rimase in silenzio, e senza sollevare lo sguardo, disse quasi sussurrando: “… Che ne dici della chimica?”

Ma John lo sentì e guardò con aria confusa il moro.

“Chimica?”

Sherlock annuì.

 “Vuoi che l’argomento del progetto sia la chimica?”

Sherlock mantenne il suo sguardo fisso sul libro. “Mi piace la chimica.”

 “A te? A te piace la chimica?”

Sherlock guardò nuovamente John. “Sto iniziando a credere che anche se sei un nerd secchione, non sei poi così intelligente perché se ti ho detto che mi piace, non trovo utile che tu debba ripeterlo o che debba farlo io.”

John non si sentì offeso, anzi lo trovò divertente. Un mezzo sorriso affiorò sulle sue labbra, ma lo mandò subito via. “D’accordo, lo faremo sulla storia della chimica, che ne dici? Non è poi così lungo ed è un argomento che piace ad entrambi…”

Sherlock bisbigliò qualcosa, annuendo.

 “D’accordo, bene, mi piace. Vedi? Sappiamo essere civili.”

Il moro si alzò, prendendo il libro. “Come vuoi, nerd.”

John fece spallucce e si alzò, “Hey, aspetta! Quando lo trascriveremo? Io non ho una macchina da scrivere…”

 “Io ne ho una.” E Sherlock si pentì immediatamente di averlo detto. Non sapeva perché l’avesse detto, ma l’aveva fatto e non poteva farci più niente.

John annuì appena, spaventato da ciò che il moro avrebbe potuto dire. “Oh, OK… Quindi… Possiamo andare da te qualche giorno e farlo?” Era molto nervoso, ma il moro non reagì male, guardò John e basta.

 “Oh, adesso vuoi venire a casa mia?” Disse Sherlock sarcasticamente.

 “Stai zitto, Holmes! Ho solo bisogno di una macchina da scrivere! Farei anche un patto col diavolo pur di averla!”

E Sherlock sorrise, John lo notò e realizzò che fosse la prima volta che vedeva il moro sorridere, un vero sorriso. Provò a sorridere di rimando ma non ci riuscì, quindi rimase in silenzio per un momento. Un momento imbarazzante.

 “D’accordo. Ma io non posso guidare quindi… Dobbiamo andare con la tua macchina.”

 “Nessun problema.”

John si accigliò poco dopo, perplesso, guardò Sherlock. “Che c’è?”

 “Non puoi guidare?”

Sherlock divenne serio in viso. “Non siamo qui per parlare di me, Watson.”

 “Sì, sì, mi dispiace. Sì, OK. Quindi… Quando possiamo andare?”

Sherlock ci pensò per un momento. “Mm… Non so, spara un giorno.”

“… Venerdì?”

 “Sei pazzo? Non trascorrerò il venerdì sera a studiare con te!”

 “Giusto.”

 “Giovedì?”

 “Club di chimica.”

 “Non so davvero che giorno, allora. Mi sa che dovrai rinunciare al tuo prezioso club per un giorno.

La faccia di John si illuminò, come se avesse avuto un’idea brillante. “E se venissi da me?”

A giudicare dalla reazione di Sherlock, capì che probabilmente la sua idea non fosse poi così brillante. Il moro spalancò gli occhi, ed arrossendo disse. “COSA?”

 “No? Okay, era solo un’idea. Ho pensato che potremmo chiedere a Molly se può consigliarci alcuni libri o alcuni chimici da consultare…”

 “NON verrò al club di chimica!” Disse alzando la voce.

 “D’accordo, OK. Glielo chiederò da solo. Nessun problema. Ma l’incontro è alle quattro.”

Sherlock si calmò, il tono della sua voce non era più minaccioso come prima. “Aspetterò.”

Ed in quel momento John non riuscì a nascondere la sua confusione.

 “… Non che abbia altra scelta.”

John si schiarì la voce. “OK, OK. Proverò a non starci troppo tempo.”

 “Sarà meglio così, Watson.” Disse Sherlock con tono minaccioso, di nuovo, che causò un brivido lungo il corpo di John.

 “O… OK. Vado. Ci vediamo dopo.”

Sherlock stava già andando via. “D’accordo.”

E quando andò via, John pensò che quello era stato l'incontro più confusionario di sempre. Sherlock sembrava, infatti, diverso. Ed aveva sorriso. Almeno non gli aveva sferrato un pugno in faccia, quindi il loro incontro andò bene dopotutto. Ed avevano un argomento su cui discutere. Gli piaceva la chimica, beh, non era il tipico teppistello. Ed aveva sorriso, un sorriso genuino al 100%. E John sorrise al pensiero. Non è una brutta persona, dopotutto…
 
 
***

NOTE: Eccomi con il terzo capitolo. Sono contenta che alcune di voi abbiano lasciato delle recensioni positive e che apprezziate la traduzione. Sto contemporaneamente lavorando alla traduzione di un’altra storia, una sorta di horror con John, Sherlock, Mrs. Hudson ed una cittadina in cui c’è in giro un pazzo omicida. Non posso dirvi altro o vi spoilero il primo capitolo! E’ una sfida con me stessa perché quello è un ALTO livello d’inglese, molto dettagliato e particolare. Ognuno in fondo ha il suo modo di scrivere. Bando alle ciance… Buona lettura! xx

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Capitolo 4
*** Guess Things Happen This Way ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

  GUESS THINGS HAPPEN THIS WAY

*** 

 
I giorni successivi erano passati incredibilmente veloci e quando John realizzò che fosse giovedì… OH DIO! Era giovedì!

“Mamma?” Disse dalla sua stanza al piano di sopra.

 “Sì, caro?” Rispose sua madre dalla cucina.

John si schiarì la gola. “Tornerò tardi questa sera.”

 “Quanto tardi, John?”

 “Non lo so, spero non troppo!”

 “Perché?”

 “Oh, abbiamo un compito di storia in coppie… Lo faremo oggi perché dobbiamo consegnarlo lunedì.”

 “D’accordo, tesoro. Cerca di arrivare prima di tuo padre, per favore. Sai quanto odi arrivare e non trovarvi in casa.”

 “Ci proverò mamma, giuro che ci proverò”

E quando finirono la conversazione, sua sorella era davanti la porta, lo guardava con uno sguardo sospettoso. “Che c’è, Harry?”

 “Con chi sei in coppia? Cioè, chi vorrebbe averti come compagno di studio? Devono proprio essere idioti!”

John rispose senza esitazione. “Sherlock è il mio compagno per questo compito.”

Harry spalancò gli occhi e la bocca, dopo scoppiò a ridere. “Quello nuovo? Sherlock? Sherlock Holmes? E’ impossibile che abbia scelto te!”

John avrebbe potuto mentire, sorprendendo la sorella, avrebbe potuto dire sì, mi ha scelto, ma non poteva. “No, non mi ha scelto. Il professore ci ha obbligati a lavorare insieme.”

Harry scoppiò in una fragorosa risata, di nuovo. “Oh mio Dio! John sei un perdente!”

John la guardò corrucciando la fronte. Era abituato al comportamento di sua sorella, quindi non si sentiva offeso. Sapeva che Harry fosse così. “Oh, andiamo Harry, non iniziare.”

Lei sorrise. “Scusa fratellino, ma hai davvero, davvero bisogno di farti degli amici.”

John fece spallucce. “E me li farò, un giorno, forse. Possibilmente.”

Harry lo guardò. “D’accordo, lo spero, ma te lo sto dicendo così non sarai nuovamente obbligato a lavorare con quei tizi.”

 “Fortunatamente non dovrò più.”

 “Seriamente John, sta lontano da loro più che puoi. Dico davvero.”

Harry era seria, adesso, ed era strano perché un minuto prima era rilassata e John si preoccupò, le sue parole sembravano un vero avvertimento. E si chiese perché? Cosa intendeva dire? Era meglio non chiedere, giusto? Mandò via quei pensieri e la rassicurò. “Non preoccuparti Harry, non ho intenzione di essere amico di quella gente.”

Sorrise e si rilassò un po’. “Bene, sono contenta che tu abbia capito. Adesso andiamo, ma ti prego, lasciami accendere la radio oggi, OK?”

 “Va bene, ma non a volume troppo alto.”

Ridacchiò. “A volte mi chiedo come è possibile che io sia tua sorella.”

Sorrise. “Credo che se lo chiedno tutti, una volta tanto.” 

***

"Watson."

John si voltò e Sherlock era dietro di lui, lo fissava. Non sorrideva, ma non era neanche troppo serio, era meno sulla difensiva, più aperto. “… Sì?”

Neanche John sorrise, ma provò ad essere amichevole, anzi ci provava sempre ad essere amichevole con lui, altrimenti sarebbe sorta una rissa. “Volevo solo sapere se dovrò aspettare te e il tuo prezioso club.” Disse con tono disprezzante.

John sospirò, ogni volta che pensava che stesse facendo passi avanti con Sherlock, le cose tornavano nuovamente come prima e si stava stancando di ciò. “Sì. Cioè… Se ti va.”

Sherlock lo interruppe. “Non è che non voglio, è che non ho altra scelta, giusto?”

 “Giusto. Scusa. Neanch’io sono eccitato all’idea.”

Sherlock abbassò lo sguardo, evitando gli occhi di John, così penetranti, così grandi, così blu. Poi disse con calma: “… Ma possiamo provare a far funzionare la cosa.”
 
John sorrise appena. “Certo che possiamo, certo.”

Sherlock alzò lo sguardo, osservando il ragazzo di fronte a lui. “Bene, sarà meglio ottenere un buon voto. Ne ho bisogno.”

 “Tutti ne abbiamo bisogno, Sherlock.”

Sherlock diventò serio e minaccioso. “E' Holmes per te, Watson. Io non ti ho mai chiamato John.”

 “Non sapevo nemmeno che tu conoscessi il mio nome, ma se vuoi puoi chiamarmi John.”

 “Nah, preferisco ‘Watson’ o ‘Sfigato’. Ti stanno meglio.” Disse Sherlock con nonchalance.

Ed in quel momento, il professore entrò in classe, era in ritardo di due minuti, ed era molto strano da parte sua. John si sedette, e con sorpresa Sherlock non lo aveva infastidito. Adesso avrebbero dovuto concentrarsi su quel dannato lavoro, e l’avrebbero fatto così bene che il resto della classe li avrebbe invidiati a morte. Certo che possiamo far funzionare la cosa.
Il resto delle lezioni furono interminabili per John, che all’ora di pranzo era già incredibilmente stanco e voleva fare tutto tranne che andare a casa di Sherlock.  Non voleva saperne niente di storia, né di chimica, né del moro.
Soprattutto il moro.
Quando fu ora di andare al club, trovò Sherlock nella solita sedia, che leggeva, concentrato, ma stava leggendo un altro libro Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Diamine, un altro libro che John amava. Guardò il moro quando passò di lì, aspettandosi un saluto da parte di Sherlock, ma non guardò neanche. John sospirò e continuò a camminare.

***

 “WATSON, CHE PROBLEMI HAI, DANNAZIONE! SONO STANCO DI ASPETTARE!” Disse Sherlock entrando nella classe del club di chimica, aprendo bruscamente la porta ed interrompendo Molly, che stava parlando con John ed arrossì immediatamente. John guardò Sherlock sorpreso.
 
“Che problemi hai tu, Holmes?” Disse John alzando il tono della sua voce ed avvicinandosi a Sherlock, che stava aspettando accanto alla porta. Il resto della classe guardò il moro, stupiti dall’avere uno di quei tipi nella loro classe.

Sherlock non abbassò il tono della sua voce. “MI ANNOIO!” Disse muovendo le mani per aria.

 “Ti avevo detto che finivo alle 16! Sono solo le 15:10! Puoi essere paziente?! Dio, non devi prendere a calci porte e scandalizzare la gente!” John provò ad abbassare il tono della sua voce una volta dopo aver realizzato quanto fosse imbarazzante la situazione.

 “Sono stanco di aspettare.” Disse Sherlock ricomponendosi un po’. Probabilmente realizzò che fosse una scenata non necessaria.

“Beh, devi aspettare!”

Sherlock si accigliò, alzando la voce. “No, non devo!”

 “Bene, non mi aspettare allora, il lavoro lo farai da solo! Buona fortuna.” Detto ciò, John diede le spalle a Sherlock, e tornò al suo posto. Molly era immobile.

 “Esci da qui, Watson.” Disse Sherlock con calma. Pericolosamente calmo.

 “No.” Disse John, poggiando le braccia sul banco. “Non me ne vado.”

 “Watson. Esci. Da. Qui.” Disse Sherlock con decisione e John ebbe paura. Ovvio, Sherlock l’avrebbe preso a calci in culo. Ma non sarebbe andato via. No.

 “Ho detto che non uscirò da qui fin quando la dannata lezione non sarà finita!”

Sherlock stava per rispondere quando, in quel momento, uno dei ragazzi del club si alzò e li guardò, accigliato e chiaramente nervoso. “Potresti per favore smetterla di interromperci e lasciarci continuare? Grazie.”

Ma John era ancora seduto. Molly reagì ed andò al banco di John mentre Sherlock aspettava impaziente. Si avvicinò a John e sussurrò. “Penso che faresti meglio ad andare, John. Se ti serve qualcosa dimmelo, OK?”

John esitò. “Ma… Molly! Io voglio restare!”

 “Allora dici… Dici a Sherlock di smetterla di interromperci e che se si annoia così tanto può unirsi a noi.” Disse guardando il moro che non stava più guardando John, ma al pavimento, battendo appena  piedi su di esso. Ansia. Pensò John.

“Penso che andrò…” Disse John con espressione seria, prendendo il suo zaino ed alzandosi.

Sherlock sogghignò, sapendo che aveva vinto. John alzò gli occhi al cielo ed un brivido pervase il suo corpo, perché Sherlock era arrabbiato ed era maleducato e gli avrebbe spaccato il culo. “Andiamo, sfigato.”

John sospirò e guardò il resto della classe, chiudendo la porta alle su spalle.
John non disse una parola, perché sapeva. Sapeva che Holmes lo stava portando in un luogo nascosto dove poi l’avrebbe picchiato. Sherlock era qualche passo più avanti e non si stava voltando per assicurarsi che John lo stesse seguendo. Arrivarono sul retro dell’edificio e John si era già preparato per il pugno, così chiuse i suoi occhi, fermandosi. Ed aspettò. Non arrivò nulla.

 “Credo che tu abbia seri problemi, Watson.” Disse Sherlock, fumando la sua sigaretta.

Allora John aprì i suoi occhi non appena percepì l’odore del fumo. Merda, non vuole prendermi a pugni, vuole bruciarmi vivo!
Sherlock finì la sua sigaretta, era stato incredibilmente veloce e gettò il mozzicone sul prato, schiacciandolo col piede, mentre John lo guardava sorpreso / confuso / nervoso. “Bene, andiamo, sfigato.”

John rimase lì, incapace di articolare una frase di senso compiuto. Sherlock lo guardò con impazienza, sospirando ed alzando gli occhi al cielo. “Cosa? Che stai pensando? Andiamo! Prima andiamo, meglio è, Watson!”

Finalmente si sbloccò, mentre Sherlock lo guardava accigliato. “… Certo. Andiamo.”

***

 “Wow.” Disse Sherlock mentre guardava la Chevy di John, scrutandola attentamente, da destra a sinistra, da sopra a sotto. “Questa è ciò che io definisco ‘un razzo’.” Non riusciva nemmeno a nascondere la sua faccia sorpresa tant’era stupito.

John sorrise. “Grazie.”

E Sherlock moriva dalla voglia di guidarla. Non guidava e non saliva su una macchina da… Dall’incidente. E si era dimenticato di quanto amasse guidare. Si ricompose e morse le sue labbra non appena aprì lo sportello dell’auto mentre sedeva sul lato del guidatore.

 “Beh?” Disse John, voltandosi verso Sherlock, che stava fissando la macchina ancora con un certo stupore. Il moro reagì e tornò a guardare John, indossando nuovamente quella maschera che sembrava avesse mollato.

 “’Beh’ cosa?”

 “… Non so dove sia casa tua.”

 “Oh…” Disse Sherlock. “Vai via dal parcheggio della scuola intanto, ti farò strada io.”

“Va bene.” Disse John, mettendo in moto l’auto.

Sherlock si schiarì la gola. “Posso accendere la radio?”

 “Cosa?”

 “Ho detto se posso accendere la radio, Watson.”

John smise di guardare la strada per un secondo per guardare il moro. “Oh. Sì, credo. Ma non troppo forte.”

Sherlock lo derise. “Non essere idiota, Watson, se la musica non si ascolta ad alto volume non ha senso.” Disse alzando il volume, e John si sentì a disagio, visto che non poteva concentrarsi quando la musica era troppo forte e oh Dio quella musica. Avrebbe dovuto aspettarselo.

 “Cos’è questo casino?” Disse John alzando il tono della sua voce.

Sherlock lo guardò con espressione seria. “Non è casino, sfigato! E’ una canzone, una dannata canzone!”

 “E che canzone è, allora?”

 “Heartbreak Hotel.” Disse Sherlock cantando poi subito dopo un pezzo di canzone, e John lo trovò divertente.

 “Heartbreak che?”

Well, I’m so lonely, I get so lonely, I could die. John udì Sherlock cantare. Osservo per un attimo il moro e questo smise di cantare immediatamente per rispondere alla domanda di John. “Heartbreak Hotel. Elvis.”

 “Elvis?”

Sherlock guardò John incredulo. Non poteva essere serio. “Presley, Watson. Presley.”

John annuì. “Oh, giusto. Credo di aver sentito Harry parlar di lui. E’ di colore?”

Sherlock guardò John con espressione di accusa. “Vivi in una caverna? O sei solo stupido?”
 
John non si sentì offeso, aveva il diritto di non sapere chi fosse Presley. Non cambiò espressione, e tenne lo sguardo fisso sulla strada. “Deduco che sono solo stupido, Holmes.

Sherlock sospirò. “Beh, dovresti sapere chi è, sfigato. Lui è surreale!” Disse Sherlock con tono di eccitazione prima di sospirare ed alzare il tono della voce. “Per l’amor di Dio Watson! Potresti guidare più veloce! Andiamo! Accelera!” Disse sarcasticamente.

 “Hey! Dovresti ringraziarmi perché sto guidando con questo casino!”

 “Te l’ho detto! Non è casino!”

 “Lo è per me! E questa è la mia macchina, guido come mi pare e piace. Chiaro?”

Sherlock sospirò e si voltò verso il finestrino, abbassandolo completamente, il vento era caldo e piacevole. And you will be, you will be, you'll be so lonely, you'll be so lonely you could die. Udì ancora il moro cantare per il resto del tragitto, si fermava solo per dare indicazioni a John su dove girare o su quale strada prendere. Dopo qualche minuto senza dire una parola, John si voltò verso Sherlock, che fissava fuori cantando. E sorrise a quella vista.

***

 “E’ laggiù.”

John si fermò dinnanzi una casa grandissima, architettura classica, situata in uno dei quartieri più ricchi della città. Guardò Sherlock, sorpreso.

 “Che guardi, Watson? Piantala.”

John scosse la sua testa. “Sì, è che non mi aspettavo che tu… Vivessi qui.” Disse dando uno sguardo sulla casa.

Sherlock si accigliò non appena scese dalla macchina. “Che c’è di strano?”

 “Niente, è… E’ molto bella.”

 “Noiosa. Scontata.”

 “Non direi.”

Entrarono in casa, e l’interno fu ancora più sorprendente dell’esterno. Muri in legno, ed uno stile molto accogliente, John pensò che quello era più o meno il posto dei suoi sogni. Quando passarono dalla cucina, una donna li salutò. “Oh, caro! Com’è andata a scuola? Vedo che hai portato un amico!” Disse emozionata.

Non è un mio amico.” Disse Sherlock lanciando un’occhiata a John, che disse nello stesso momento: “Oh Dio no!”

“D’accordo, non siete amici, ma lasciamelo conoscere, almeno.”

Sherlock sospirò ma dovette obbedire. “Watson, Mrs. Hudson. Mrs. Hudson…” Il moro guardò John, infastidito. “… John Watson.”

John si avvicinò per stringerle la mano e guardò Mrs. Hudson. “E non siamo amici.”

Mrs. Hudson ridacchiò. “Ad ogni modo, vi cucino una torta. Ti piacciono le torte, John?” Disse, guardandolo.

 “Ovvio! A chi non piacciono?” Rispose sorridendo. Sherlock alzò gli occhi al cielo e andò verso le scale.

 “Non preoccuparti, ce n’è anche per te, caro!” Urlò Mrs. Hudson.

John le sorrise. “Grazie, è molto gentile da parte sua.”

 “Oh, adesso andate a divertirvi!” Rispose.

 “Ne dubito.” Disse John dirigendosi anche lui verso le scale.

John urlò dal primo piano della scala, prima di continuare a salirle.

 “Holmes! Dove sei?!”

 “Terza porta a sinistra.”

Ed il secondo piano era ancora più sorprendente del primo. Era grande, molto grande, con circa sette porte per lato, e John le guardò con sorpresa, non si aspettava minimamente che uno come Sherlock vivesse lì. Entrò nella terza porta a sinistra e non poté nascondere la sua faccia ancora sorpresa.
Quel posto era surreale e immenso: c’erano tre microscopi, carte accartocciate attorno al tavolo, le pareti erano piene di libri, libri ovunque, troppi libri. Accanto una pila di fogli c’era la macchina da scrivere. John si voltò verso Sherlock, seduto su una sedia. “E’ tutto… Tuo?”

 “Sì, questo è il mio laboratorio.” Disse Sherlock con nonchalance senza neanche alzare lo sguardo.

“Wow, quindi ti piace davvero la chimica.” Disse John con tono sorpreso. Sherlock si voltò verso di lui.

 “Stai scrivendo un libro, Watson?” Disse Sherlock annoiato.

 “Cosa?” John era distratto, stava ancora scrutando la stanza, sorpreso. Dopo rivolse la sua attenzione al moro.

 “No, no. No. Mettiamoci al lavoro.”

 “D’accordo.” Sherlock si alzò, prese uno dei suoi vinili e lo mise sul giradischi.

 “Oh no, no, no! Non riesco a lavorare con la musica!” Disse John muovendo le sue mani per aria.

Sherlock sorrise non appena la canzone (che John conosceva, era una canzone di Buddy Holly, maledetta Harry Watson) partì e senza guardare John, disse: “Impara a farlo, Watson.”

John alzò gli occhi al cielo e sospirò prendendo una sedia e posizionandola accanto al moro, che stava già inserendo i fogli nella macchina da scrivere, e stava iniziando effettivamente a scrivere. Non appena scrisse i nomi di entrambe, il nome della scuola e la materia e tutte quelle formalità varie, si voltò verso John e disse: “Portarmi i libri di chimica.”

John spalancò gli occhi. “Cosa? Tutti?”

 “Beh, quanti riesci a portarne senza inciampare e colpirmi.” Disse, deridendolo.

John si sentì arrossire cosa? Sto arrossendo? Dannazione! Si schiarì la gola. “Non posso assicurarti nulla.” Disse alzandosi e raggiungendo le mensole di libri, cercando un qualsiasi libro che potesse dirgli qualcosa riguardo le origini della chimica.
Erano pesanti, ed il tragitto libreria-scrivania sembrava infinito, quando in realtà l’uno dall’altro distanziavano 5-6 passi. John voleva provare che potesse portare quei 7 libri che aveva trovato. Ma non riusciva a vedere nulla. Cadde per terra ed assieme a lui, i libri, in un forte rumore. Sherlock si voltò e di nuovo, John arrossì. “Buon Dio, Watson. Qual è il tuo problema?!” Disse divertito ed annoiato al contempo, mentre si alzava.

Raccolse i libri ed offrì una mano a John, la quale guardò per poi prenderla e sollevarsi grazie ad essa. Guardò Sherlock, sistemandosi gli occhiali. “Mi dispiace.” Disse, imbarazzato.

Sherlock rise, una vera risata e John pensò che doveva farlo più spesso in quanto risaltava i suoi… Lineamenti. “Sei così debole, sfigato!” Disse senza smettere di ridere.

 “Hey! Quei libri sono davvero pesanti!”

 “Potevi portarne tre alla volta, intelligentone!”

 “Volevo provarti che potevo portarli senza colpirti o qualcosa del genere.”

Sherlock lo guardò, sorridendo. “E com’è andata, Watson?”

 “Zitto, Holmes.” Disse, sorridendo timidamente. La sua testa stava andando a fuoco, e senza dubbio, stava arrossendo.

***

Erano le 17:30 ed avevano già svolto la maggior parte del lavoro. Sherlock sapeva molte cose di chimica e lavorarono sorprendentemente bene insieme. Mrs. Hudson entrò nel laboratorio di Sherlock, portando con sé due bicchieri di latte e due fette di torta di mele. “Ciao, ragazzi miei!”

John sorrise e Sherlock non alzò neanche lo sguardo. “Salve, Mrs. Hudson… Giusto?”

 “Sì caro, Mrs. Hudson” rispose sorridendo. “Vi ho portato due fette di torta e del latte, così potrete fare una pausa!”

John si alzò e prese il vassoio. “Grazie mille, sembra delizioso.”

Mrs. Hudson chiese con curiosità. “Oh, nessun problema. Quindi… Come vi siete incontrati, tu e John?”

Sherlock continuò a scrivere senza prestare attenzione a Mrs. Hudson, alzò gli occhi al cielo ed alzò il volume del giradischi, fin quando non si sentiva più nulla se non Buddy Holly con That’ll Be The Day. “SHERLOCK!” Urlò Mrs. Hudson. Lui non si girò. “SHERLOCK!!!”

Il moro si voltò e la guardò. “Sì?”

 “ABBASSA IL VOLUME DI QUELL’AFFARE!” disse lei con un tono sorprendentemente autoritario che John non aveva mai pensato potesse essere parte di una persona gentile come lei. E Sherlock obbedì.

 “Grazie! Dov’eravamo rimasti?”

“Me e Sherlock… Ci siamo incontrati durante la lezione di storia. Era seduto un banco dopo il mio ed il professore ci ha forzati a lavorare in coppia per un progetto di fine corso. Non è stata una mia scelta far coppia con Sherlock…” Disse guardando Sherlock, che sembrava davvero non far parte di quel mondo, era ignaro di tutto ciò che stava accadendo attorno a lui. “… Ma abbiamo quasi finito, ed è un buon segno.”

“Beh, è la prima volta che porta un amico a casa, quindi deduco che lavoriate proprio bene insieme!” Disse con un sorriso. Non appena Mrs. Hudson affermò quella frase, Sherlock si alzò rapidamente, così tanto che John non ebbe neanche il tempo di rispondere. “Non sono suo amico” e Mrs. Hudson fu in grado di dire a malapena: “Vado a parlare con i tuoi genitori…”

 “Non sono tuo amico.” Disse John a Sherlock.

Sherlock lo guardò, accigliato. “E quindi? Pensi che ti correrò dietro per esser tuo amico o…?”

John scosse il capo provando a non guardare Sherlock, in quanto il suo sguardo blu/verde/grigio, era fisso su di lui. “No, no. L’ho detto per ribadirlo a Mrs. Hudson.”
 “Gliel’ho già detto! Non capisce!” Disse Sherlock, facendo spallucce.

“D’accordo. Facciamo una piccola pausa?” Disse John avvicinandosi alla scrivania per prendere una fetta di torta ed un bicchiere di latte.

Sherlock ritornò a sedere e riprese a scrivere, avevano già scritto due pagine e mezza. “Non faccio pause quando lavoro.”

 “Beh, prendi almeno una fetta di torta che Mrs. Hudson ha preparato per te.” Disse John mordendo la sua fetta. “… E’ deliziosa.”

 “Non mangio quando lavoro.” Il moro rispose senza staccare gli occhi dal foglio.

 “… Perché lavori spesso o…?

Sempre senza guardare, Sherlock rispose. “Ne saresti sorpreso.” “Davvero?” Disse John, confuso.

Sherlock scosse il capo e si alzò, di nuovo, guardando John con delle occhiate che riuscivano ad intimorire l’altro molto bene. “Non siamo qui per parlare di me. O sbaglio?”

John si schiarì la gola e sorseggio il suo latte. “Giusto, mi dispiace. Ma prenditi una pausa. Ti schiarirà le idee.” Il ragazzo sedette sul divanetto posto di fronte il giradischi, chiuse i suoi occhi, era esausto.

Sherlock si avvicinò al giradischi e prese un vinile. Lo mostrò a John, che aprì gli occhi non appena udì la voce del moro. “OK, Watson. Stai per ascoltare della vera musica, adesso.”

"Mozart?"

Sherlock rise di John, (non con lui, di lui) “Meglio.” Il moro inserì il vinile nel giradischi. “Adesso tappati la bocca e preparati.”

Il moro si stravaccò sul divanetto accanto a quello in cui era seduto John, chiuse i suoi occhi, sorridendo. John lo guardò e non poté fare a meno di sorridere, fin quando non partì la musica. L’assolo iniziale con la chitarra diede a John degli indizi, a. Non era meglio di Mozart e b. Non gli sarebbe piaciuto. Ma non pensò che gli avrebbe fatto così schifo, fin quando non sentì le parole. Era Roll Over Beethoven di Chuck Berry.
Roll Over Beethoven, tell Tchaikovsky the news… Sherlock cantò e guardò John, che lo stava guardando a sua volta con disprezzo. Non appena la canzone finì, Sherlock guardò John pieno di speranza. “Quindi?”, “Quindi cosa?” Disse John con tono serio. “Non puoi dire che Mozart o Beethoven siano meglio di questo! Questa musica li supera!”

 “Non sono d’accordo.”

 “No, non è vero.” Disse Sherlock, squadrando John dalla testa ai piedi.

 “Sì, è vero.” Disse John con calma.

Il moro si avvicinò a John, pericolosamente vicino, John pensò, e guardò dritto nei suoi occhi, senza distogliere lo sguardo.
John rimase immobile, scioccato. Sherlock scosse il capo ed abbassò il tono della sua voce. “Stai mentendo.”

 “No, non sto mentendo”, disse John, cercando di evitare la tensione di quel momento.

 “Oh, i tuoi occhi dicono altro.” Sussurrò Sherlock, lo stava ancora guardando ed era estremamente vicino. “Non ti vuoi lasciare andare con la musica, ma non puoi farne a meno, non è vero?”

John mantenne il contatto visivo ma non rispose, era troppo impegnato a parlare con se stesso per convincersi a non guardare le labbra di Sherlock, ma era così difficile. Rimasero in silenzio per un attimo, guardandosi reciprocamente negli occhi, senza muoversi.
Dopo un momento che era sembrato eterno, (ed a John non sarebbe dispiaciuto), Sherlock scosse nuovamente il capo. Poi si schiarì la gola. “Bene, dovremmo…”

 “Sì…” Disse John alzandosi e provando a scacciare via il pensiero degli occhi di Sherlock dalla sua mente. “… Dovremmo.”
Il moro sedette di nuovo e continuò a scrivere. John sospirò e sedette accanto a lui.

***

Erano le 19 ed avevano finalmente finito. John lesse il lavoro che avevano fatto e sospirò, sollevato. “Bene, mi piace.”

 “Bene.” Disse Sherlock.

 “Quindi è meglio che vada.” Disse John, prendendo il suo quaderno per metterlo dentro il suo zaino.

 “Dovresti, Watson.” Disse Sherlock, alzandosi.

 “Uhm… Mi dispiace per aver fatto cadere i tuoi libri.” Mormorò John e Sherlock sorrise appena.

 “Va bene.” Rispose Sherlock.

 “E ringrazia Mrs. Hudson da parte mia. La torta era buonissima.”

 “Sì.”

 “E ci vediamo domani.”

Sherlock sospirò ed alzò gli occhi al cielo. “Te ne vai o cosa?” E John pensò oh, bene, questo è lo Sherlock che conosco.

 “Sì! Ciao” Disse John precipitandosi alla porta.

“Ciao, John.” Disse Sherlock con tono di voce basso, ma forte abbastanza affinché John lo sentisse, infatti si girò verso di lui ed il moro sorrise.

Mrs. Hudson entrò nel laboratorio un minuto dopo. “Oh, John è già andato via? Lo stavo per invitare a cenare con noi!”

Sherlock si schiarì la gola mentre toglieva il vinile dal giradischi. “Sì. Sì, se n’è andato.”

 “Vedo che vi siete divertiti.”

 “Cosa?” Sherlock guardò Mrs. Hudson, lei sorrideva.

“Beh… Non ti ho mai visto sorridere così prima d’ora.” Disse con tono felice.

 “Arrivederci, Mrs. Hudson” Disse Sherlock chiudendo la porta.

***

John accese la macchina e non poté fare a meno di sorridere. Non sapeva cosa fosse accaduto esattamente, ma qualcosa era cambiato. E Sherlock non era il tipico teppistello, no. Era intelligente e simpatico e gli piacevano i libri e oh Dio perché ci sto pensando così tanto? John non voleva pensare a Sherlock, ma non riusciva a toglierselo dalla testa. Ma perché?
Prima di premere l’acceleratore, accese la radio, ed era nello stesso canale in cui Sherlock l’aveva lasciata. John alzò il volume e si lasciò andare. E decise che il rock’n’roll non fosse semplice casino, dopotutto.

***


NOTE: Questo capitolo è nbgjhkfnsdj. Li adoro! La parte in cui si stuzzicano con lo sguardo. Muoio. Ed il prossimo capitolo posso anticiparvi che ci sarà un avvicinamento... Buona lettura! xx

 

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Capitolo 5
*** Don't Be Cruel ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO:  “Stai mentendo.”
 

*** 
DON'T BE CRUEL 

 
 “Quindi, com’è andata ieri, John?” Chiese Harry mentre stavano andando a scuola. Accese la radio e c'era una canzone (che John non riconobbe) sui cani randagi. 

 “Eh?” Disse John distratto, i suoi occhi fissi sulla strada.

 “Non dirmi “eh?”! Mi hai sentito, com’è andata? Ti ha preso a pugni?”

 “No, a dire il vero è andata bene.”

Harry guardò John, con sospetto. “Perché stai sorridendo?”

John realizzò che stesse davvero sorridendo e si schiarì la gola prima di rispondere alla sorella. “Non sto sorridendo.”

 “Oh…” Disse Harry formando una grande ‘O’ con le labbra.

John la guardò accigliato e confuso. “Oh, cosa?”

 “Ti piace.” Disse con un sorrisetto compiaciuto.
 
Mi piace? NO, ASSOLUTAMENTE NO! “… No.”

 “Oh, invece sì, assolutamente sì. Wow, non avrei mai pensato che ti fossi innamorato di un teppistello, guardati, innamorato di un cattivo ragazzo…” Disse lei ironicamente.

 “No, Harry! Non mi innamorerei mai di uno come lui, OK?”

 “D’accordo.” Disse senza credere alle parole del fratello. “Solo… Stai attento, va bene? Te l’ho detto, questi tizi non sono così simpatici.”

 “Tu sei una di quei teppistelli, Harry.”

 “E non sono nemmeno simpatica.”

 “No, ovvio che non lo sei,” E non appena John disse ciò, Harry gli diede un piccolo pugno sulla spalla. “Ahi!”

 “Non prendermi in giro!”

 “Giusto, hai appena imitato Sherlock alla perfezione.” Disse John sorridendo.

 “Oh… Non riesci a togliertelo dalla testa, vero?” Disse sorridendogli.

 “Non sono… Innamorato di lui.”

 “Sì, certo, d’accordo. Buona fortuna.”

 “Grazie, anche a te con Clara.”

Harry lo guardò spalancando gli occhi, mordendosi le labbra. “Io no… Io non. Io non…”

 “Oh, lo so meglio di te, fidati.”

 “Tappati la bocca, John, un’altra parola a riguardo e ti prendo a pugni per davvero, sfigato.”

 “Ok-y[1].” Disse John ed Harry lo fissò.

 “Cos’hai detto?”

 “Niente.”

 “Hai detto ok-y. Ok-y. Oh mio Dio!”

 “Cosa?”

 “Qualcuno usa spesso questa parola.” Sorrise.

 “Davvero? Chi?” Disse John con nonchalance ma non funzionò, così tenne gli occhi fissi sulla strada.

 “Oh no no no! Non scherzare con me! SHERLOCK LO DICE! Wow. Ti ha proprio cambiato.”

 “Abbiamo parlato soltanto due volte, Harry!”

 “Eppure eccoti qui a dire “ok-y”. Cosa farai ora? Inizierai ad indossare le giacche che indossa lui…?”

 “No.”

 “Confermato."

 “Cosa?” Disse John guardando sua sorella, accigliato quando lei sorrise.

 “Solo… Confermato." E per il resto del tragitto non dissero altro.

***

John non avrebbe dovuto essere così su di giri visto che stava andando a scuola, non voleva ammettere che nella sua mente c’era solo un pensiero: Sherlock. Stava morendo per vederlo. Perché? Non ne aveva idea. Probabilmente era pazzo.
Arrivò in anticipo e guardò in giro, nessun segno del moro e dei suoi amici senza cervello. Prese il suo libro d’inglese dall’armadietto ed andò in classe sospirando.
Non appena sedette, udì la voce di una ragazza dietro di lui. “Ciao, John!”

Si voltò per guardarla e sorrise. “Ciao, Molly.”

 “Come stanno andando le lezioni?”

 “Bene, credo. Sto lavorando sodo. Davvero.”

 “Ottimo, e credo anche che tu andrai bene anche in chimica!” Disse con un sorrisetto. “Ce la stai mettendo tutta al club!”

John capì dove volesse andare a parare con quella conversazione e pensò che non voleva continuare. “Mm, sì.”

“A proposito di ieri…” Disse assumendo un’espressione più seria. Oh, eccola. “… Cosa significa?”

 “Cosa significa cosa?” Disse John leggermente più agitato.

"... Sherlock."

“Oh, stiamo lavorando ad un progetto insieme.”

 “Insieme? Cioè… Voi due?” Disse sorpresa con tono interrogativo.

 “Sì, noi due.” Disse tornando normale.

John realizzò che Molly avesse frainteso. “No, no, no!” Disse muovendo le mani per aria. “Non è ciò che intendevo! Non stiamo insieme. Non c’è un “noi”. No. Dio no. Siamo… Amici.” Blaterò, abbozzando un sorriso.

 “Oh!” Il viso di Molly si illuminò. “Bene! Mi dispiace di aver frainteso.”

John si sentì interessato al pensiero. Ma dopo scosse subito la testa come per cacciar via quel pensiero. “E’ tutto OK.”

 “Mm… Mi dispiace disturbarti, John, ma mi chiedevo… Sai se sta uscendo con qualcuno?”

John non ne aveva assolutamente idea. Non sapeva niente sul suo “amico” oh Dio, non era nemmeno suo amico! Era qualcuno che conosceva appena e che odiava! Lo ricordò a se stesso. “… No, Molly. Mi ‘spiace. Non lo so.”

 “Oh, va bene. Volevo solo chiederti un piccolo favore.”

 “Quale sarebbe?”

 “Ti dispiacerebbe dargli il mio numero di telefono?” Disse timidamente.

John si sforzò ad abbozzare un sorriso incredibilmente falso. “Certo, Molly. Ci proverò. Ma non posso assicurarti niente, Sherlock è molto imprevedibile, ma sai, ne vale la pena, giusto?”

Molly sorrise. “Sì! Credo di avere una piccola cotta per lui,” Disse lentamente, avvicinandosi a John.

Il pensiero di Molly e Sherlock invase la sua mente e non gli piaceva. “Oh, capisco.” Disse mentre lei gli passava un pezzo di foglio con qualche scarabocchio sopra.

 “Grazie John, grazie mille. Mm… Digli che semmai deciderà di chiamarmi, lo potrà fare tra le 5 e le 6, prima che mio padre arrivi a casa.

 “Certo, Molly, ma come ti ho già detto non ti assicuro niente.”

 “No, non preoccuparti. Grazie.”

E John guardò il bigliettino prima di metterlo in tasca.

***
 “Oh, quella è ciò che chiamo una bambola!” Disse Greg poggiando il suo fondoschiena contro lo sportello della macchina.

 “Chi?” Disse Sebastian guardandosi intorno.

 “La nuova ragazza! Guardala!”

 “Uhhh! E’ una bella topa.”
 
Sorrisero e lei fece loro l’occhiolino. Era davvero una bella ragazza, indossava il rossetto rosso, i suoi capelli erano mossi e lunghi, ed era vestita di nero dalla maglia alle scarpe. Si fermò e cambiò direzione, camminando verso la macchina.

 “Dannazione. Sta venendo!” Disse Greg. “Siate naturali.” Ma li ignorò, si diresse verso il ragazzo che stava accanto a loro.

 “Ciao.” Disse sorridendo e protendendo la sua mano. “Non penso ci siamo incontrati prima d’ora.”

Sherlock alzò lo sguardo ritrovandosi davanti una ragazza alta, magra con occhi verdi fissi su di lui. “Ovviamente.” Disse lui, impassibile.

 “Irene… Adler.” Disse sorridendo.

 “Mhm.”

 “Non mi dici il tuo nome?” Disse quando capì che Sherlock non avrebbe risposto.

La guardò. “Perché dovrei?”

 “Perché io ti ho detto il mio.”

 “Non te l’ho chiesto.”

Sorrise ancora di più e si avvicinò. “Oh, ma volevi chiedermelo.” Disse con estrema sicurezza, a suo agio con se stessa.

“No.” Disse Sherlock in tutta onestà.

 “Qual è il tuo nome? E non intendo chiedertelo di nuovo.”

Qualcosa nella voce di Irene avvertì Sherlock che non avrebbe dovuto.

 “Sherlock. Holmes.” Disse senza guardarla.

 “Che piacere, Sherlock.”

 “Devo andare in classe.” Disse Sherlock andando via da lì, Sebastian e Greg lo seguirono.

 “Non preoccuparti Sherlock, ci incontreremo di nuovo.” Disse ammiccando.

 “Certo che ci vedremo: studiamo nella stessa scuola.” Rispose Sherlock andando lontano da lei.

 “Amicoooo!” Disse Greg prima di entrare a scuola.

“Che?” Sherlock sembrava confuso e Greg non rallentava il passo.

 “Non sai chi è?” Disse Greg sorpreso.

 “Irene Adler. Me l’ha appena detto. C’eri.”

 “Sì! Ma lei è la nuova ragazza! Tutti vogliono stare con lei!”

 “Io no.” Disse Sherlock fermandosi e guardando sia Sebastian che Greg, il quale gli fece un sorrisetto divertito.

 “Bugiardo.” Disse Sebastian.

 “Non ti conviene perdere l’occasione con questa bambola!” Disse Greg emozionato.

Sherlock aggrottò le sopracciglia e camminò verso la sua classe.

***

John aveva appena finito la sua seconda lezione della giornata e stava uscendo dalla classe quando trovò Sherlock vicino gli armadietti, parlava con i suoi amici. Beh, non stava esattamente parlando, prestava appena attenzione a loro ed alzava gli occhi al cielo ogni volta in cui uno di loro faceva un commento stupido – ovvero ogni secondo, ma non sembrava che lo notassero, eccetto Jim che lo fissava.
John mise la sua mano in tasca e toccò il bigliettino che gli aveva dato Molly prima, ed anche se non voleva darglielo, pensò che almeno aveva una scusa per parlare con Sherlock.
Si avvicinò agli armadietti, prese un respiro profondo ed andò a parlare con il moro. “Sherlock.”

Il moro si zittì immediatamente e guardò John, sorpreso. Si accorse dopo che avesse detto “Sherlock”. Ooops. Sherlock si accigliò e guardò John, di fronte a lui, era così basso.

 “Devi chiamarmi Holmes, bambinetto.” Disse con un’espressione molto seria.

Bambinetto? Seriamente? Preferivo quando mi chiamava John. “Mi dispiace. Mm… Molly. Molly Hooper. Ricordi? La ragazza del club di chimica. Mi ha chiesto di darti il suo numero e lo sto facendo, per questo sono qui.” Disse, mostrando il bigliettino a Sherlock.

 “Oh!!! Sherlock si è trovato una fidanzata nerd!”

Sherlock rivolse a Sebastian uno sguardo omicida, che sembrò avere un intenso impatto sul ragazzo, che disse immediatamente “scusa”.

Sherlock alzò il sopracciglio e prese il bigliettino, fissandolo attentamente e John desiderò intensamente che al posto del numero della ragazza ci fosse il suo. “Quindi… La chiamerai?”

Guardò John, ancora accigliato. “Stai scrivendo un libro?” Disse rivolgendogli uno di quei suoi sguardi. Ed improvvisamente John si sentì il più grande idiota nel mondo per aver chiamato Sherlock Holmes il suo amico.

 “Mi dispiace. Dunque, ho finito: ti ho dato il suo numero. Decidi tu se chiamarla o meno.”

 “Altro?” Disse Sherlock scocciato.

 “No. Solo… Ciao.”

Sherlock non rispose. Si voltò e tornò dai suoi amici.

John rimase fermo per un istante quando capì cosa fosse accaduto ed andò via. Ovvio, Watson, niente è cambiato, idiota. Sherlock Holmes è il solito odioso, stupido, prepotente. E’ sempre stato così. Ed era furioso ma non sapeva per cosa lo fosse esattamente.
E si detestò per aver cambiato idea sul moro anche solo per un secondo.

***

Era ora di pranzo e John era ancora furioso e non sapere per cosa fosse arrabbiato, lo rendeva ancora più furioso. Mike sedeva accanto a lui, lo guardava con preoccupazione. “John, stai bene? Non hai toccato cibo.” Disse indicando il cibo intatto di John con la sua forchetta.

 “Sto bene! Sto bene! Non mi serve la tua preoccupazione né la tua pietà!” Disse John quasi rimproverandolo, senza volerlo.

 “Scusa amico, sono solo preoccupato.”

 “Non serve che ti preoccupi! Non serve che nessuno si preoccupi di me, d’accordo? Nessuno!”

 “Cristo John, calmati!”

John si alzò, davvero furioso e guardò Mike.

“Vado a prendere un po’ d’aria.”

 “Sì, fai bene.” Rispose Mike.

John non conosceva ancora il motivo per cui fosse arrabbiato - o almeno non lo conosceva prima di vedere Sherlock seduto sulla solita sedia di sempre. Dannazione. Percepì un’ondata di calore pervadere il suo corpo e capì che ancora una volta, alla base dei suoi problemi, c’era il moro.
Sospirò e camminò verso Sherlock, che stava leggendo con quella sua espressione attenta, sembrava essere in un altro mondo. Qualcosa che soltanto Sherlock riusciva a fare. E John sentì che in un certo senso, lo conosceva. Sherlock aveva molte facce. Perché mai John avrebbe dovuto fare la differenza? Perché John pensava che avrebbe avuto una chance per fare la differenza? Stupido, povero John.
Mantenne lo sguardo basso quando passò.
Ma Sherlock si alzò, chiuse il suo libro e chiamò “John”.
John si fermò chiedendosi se il suo nome provenisse da quella voce.
Sì, apparentemente. Non girarti, non girarti, continua a camminare. Disse John a se stesso, ma non poté farne a meno. Si girò.

Sherlock si alzò, lo guardò, serio, ma non era una serietà del tipo “ti scuoio vivo”, era amichevole e John non capiva. Una delle tante facce di Sherlock. “Cosa?” Disse John con apparente indifferenza.

 “Ho bisogno di parlarti.” Disse Sherlock, muovendo dei passi verso lui e John inconsciamente fece dei passi indietro, cercando di distanziarsi quanto più possibile dal moro.

 “Bene.” Disse John, poi si voltò e continuò a camminare. Era la sua vendetta. Sherlock lo aveva già fatto in passato.
Ma non appena camminò il moro lo afferrò per il braccio e lo spinse contro il muro. Dannazione, non poteva andare da nessuna parte, non poteva scappare, era costretto a guardare Sherlock negli occhi, quegli occhi penetrati - blu/verdi/grigi.

 “Ascoltami.” Disse Sherlock guardando John.

John sospirò. “D’accordo. Ma fa’ presto, i tuoi amici potrebbero vederti!”

 “Non essere sciocco. Volevo… Scusarmi.”

E gli occhi di John si spalancarono con sorpresa. Non se lo aspettava.

 “Scusarti?”

 “Non farmelo dire di nuovo.”

 “D’accordo. Ti scuso. Per cosa?” John guardava Sherlock con espressione seria, costringendosi a non guardare le sue labbra. Ma era così difficile.

 “Per il mio comportamento.” Disse Sherlock come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

 “Puoi spiegarti meglio?”

Sherlock alzò gli occhi al cielo e si fece sfuggire un sospiro. “Senti, mi dispiace di averti chiamato ‘bambinetto’ e mi dispiace di esser stato così cattivo con te.”

 “Perché?”

Sherlock era confuso. “Perché cosa?”

 “Perché ti stai scusando, non è una cosa che fai, non è da Sherlock Holmes, il ragazzo più popolare della scuola con i suoi zigomi fighi e la sua giacca figa.”

 “I miei… Zigomi?”

 “Beh sì, puoi tagliarci la carta con quelli,” Disse John rilassandosi appena.

E Sherlock sorrise e John amava quel sorriso.

 “Non chiamerò Molly, comunque. Tanto per fartelo sapere."

John si sentì sollevato. “Oh bene, lascia che aggiunga questa informazione al libro che sto scrivendo su di te.”

E Sherlock sorrise di nuovo.

John si prese di coraggio, e si impose di farlo perché doveva sapere.

“… Ascolta, so che non mi riguarda e davvero, non mi interessa, ma hai una ragazza?”

 “No.” Disse Sherlock senza esitazione.

 “Bene. Single. Proprio come me.”

 “Beh, è ovvio che tu sia single.” Disse Sherlock con calma.

 “Ovvio?”

 “Oh John, t’importa solo scrivere, studiare, e fare i compiti. E nonostante sia interessante, la vita non è fatta solo di questo.”

 “La mia sì.” Disse John con convinzione.
 
“Questo è quello che pensi tu. Ma devi vivere. Esci dalla bolla in cui stai. Fai esperienze.” La voce di Sherlock era quasi, quasi seducente.

E ci fu silenzio, ed eccoli di nuovo, quella tensione, quel contatto visivo, tutto accaduto il giorno prima e il moro era così vicino a John e l’avrebbe potuto baciare con molta facilità, ma riuscì a resistere e rimase lì, non appena notò che stesse fissando le labbra di Sherlock si impose di non farlo, ma continuò a fissarle e non riuscì a fare altrimenti.

 “Non puoi farne a meno, vero?” Disse Sherlock, con tono di voce basso.

E John scosse il capo. Senza sapere il perché.

Sherlock si lasciò sfuggire un sorrisetto. “Bene. Ci vediamo dopo John, hai ancora molto da imparare sul rock’n’roll.”

“Non mi piace il rock’n’roll,” Disse John scuotendo il suo capo, guardando Sherlock dritto negli occhi.

Sherlock si avvicinò (ancora di più) e John si irrigidì per un istante, pensando che il moro l’avrebbe baciato e come sarebbe stato. Ottimo, pensò. Ma poi Sherlock sussurrò contro l’orecchio di John: “Stai mentendo.”

John rimase in silenzio, scioccato, mentre percepiva il respiro di Sherlock contro il suo orecchio. Dopodiché il moro si allontanò e Dio, perché si era allontanato? Si chiese John senza aprire bocca perché era spaventato dal potersi fregare da solo.

Sherlock sollevò la sua mano e toccò il viso di John, e quel tocco era così caldo. John chiuse gli occhi. “Ciao, John.”

E la calda mano non c’era più quando John aprì gli occhi, l’unica cosa che poté vedere era la silhouette del moro perdersi nel corridoio. Respirò profondamente. Sherlock Holmes era pieno di sorprese e dannazione, si erano quasi baciati. Di nuovo! Cosa stava succedendo? Cos’era quel ragazzo? Cos’era quella sensazione che John aveva provato? Sospirò e sedette sulla sedia in cui Sherlock era seduto poco prima, coprendosi il viso con le mani, cercando di capire, ma non ci riuscì.

Quando si alzò, capì che non era più arrabbiato.
 
***

NOTE:

[1] La parola originale è “righto”, ma in italiano è semplicemente “d’accordo”, in inglese è RIGHT + O = Righto. Così ho pensato di tradurla con “Ok-y”, che tra l’altro io uso sempre haha. Altrimenti non avrebbe avuto senso il dialogo tra John ed Harry in cui questa gli diceva che John parlasse come Sherlock! Fatemi sapere cosa ne pensate. Ho amato il bipolarismo di Sherlock in questo capitolo, e non vedo l'ora che le cose cambino! Si stuzzicano troppo. 
A presto con il sesto capitolo! xx

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Capitolo 6
*** Let The Good Times Roll ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

WARNING: Linguaggio volgare - pesante in alcune parti.

***

RIASSUNTO: Harry? Harry Watson?

 
 
LET THE GOOD TIMES ROLL

 
 “Sh-boom!” Urlò Greg mentre Sherlock entrava nella mensa tenendo i suoi libri e cercando di nascondere un piccolo sorriso. Il moro si fermò immediatamente e guardò Greg, confuso.

“Sh-boom.” Disse Greg sorridendo.

 “Perché?” Disse Sherlock scuotendo il capo.

 “I Crew-Cuts! Hai ascoltato la canzone, no?”

 “Certo, mi sembra ovvio!” Imbrogliò Sherlock. “La domanda è perché mi chiami così?”

 “Perché… Ti sta bene!” Greg sorrise compiaciuto e Sherlock pensò quanto fosse stupido quel nomignolo, e sorrise appena, ma era un sorriso sincero. Tra tutti i suoi… Amici, Greg era l’unico con cui Sherlock si sentiva a suo agio, così sedette al tavolo della mensa, vicino Greg. “Dove sei stato?”

 “Che cosa vuoi, Greg?”

 “C’è una festa stasera, e siamo invitati!” Disse eccitato.

Sherlock non sapeva come sentirsi a quella notizia, era passato molto tempo dall’ultima volta in cui era andato ad una festa, l’ultima volta… Aveva avuto un incidente.
Ma non gli piaceva parlarne.

 “A che ora?”

 “Otto.”

“Dove?”

 “Da Clara.”

Non aveva idea di chi fosse Clara, non che importasse; ci sarebbe comunque andato.

 “Quindi vieni?”

Sherlock annuì. “Ma devi passarmi a prendere. Non posso guidare.”

Greg sorrise, si appoggiò allo schienale della sedia ed annuì. Sherlock trascorse il resto dell’ora libera in silenzio, pensando a John. No. Pensando alla festa a cui sarebbe andato.


***

Erano quasi e le 8:30 e Greg non era ancora arrivato e Sherlock voleva andarsene il prima possibile perché suo fratello sarebbe arrivato presto ed avrebbe scoperto che sarebbe andato ad una festa e non gliel’avrebbe permesso, ovviamente. Camminava avanti ed indietro per la sua stanza, quando udì un clacson suonare. Guardò dalla finestra e Sebastian, Jim e Greg erano arrivati. “Sto scendendo.”

Andò giù e Mrs. Hudson stava ascoltando la radio in cucina, aprì la porta ed andò via. A quanto pare non si accorse di nulla.

 “Ciao, uccellino!” Disse Jim con tono beffardo.

Sherlock sollevò il mento come saluto ed entrò nell’auto, dove Johnny Cash spaccava in radio. “Parti, muoviti, parti, mio fratello sta per arrivare!” E Greg accelerò.
Clara non viveva molto lontano da casa di Sherlock, ed in circa dieci minuti erano già arrivati. La casa era piena di gente. La musica era molto alta ed a Sherlock erano mancate serate del genere. Ma non ballare, parlare con la gente: gli era mancato ascoltare musica e guardare la gente andare e venire, ubriaca. Ciò lo rendeva felice.

Una ragazza li salutò non appena entrarono, e Sherlock dedusse che fosse Clara. “Le piacciono le ragazze. Che spreco.” Sussurrò Sebastian all’orecchio di Sherlock. Lui annuì alzando gli occhi al cielo. “ … Sta con una ragazza della scuola, Harry.”
 
Sherlock annuì di nuovo e poi i suoi occhi si spalancarono e guardò Sebastian sorpreso. “Aspetta, Harry? Harry Watson?”

 “Sì,” Sebastian annuì guardando le ragazze nella stanza. “Oh, se adesso puoi scusarmi… Ho trovato una bella bambola.” Disse sollevando il suo bicchiere, andando via.
 
Interessante. Pensò Sherlock. John gli aveva menzionato la sorella il giorno prima, mentre parlava di Elvis, peccato che avesse dimenticato che a. Fosse una ragazza e b. Le piacessero le ragazze. Molto, molto interessante.

“Pensieroso?”

Udì una voce alle sue spalle e si voltò per guardare la ragazza che aveva incontrato a scuola di mattina. Irene. Indossava un vestitino molto attillato che metteva in risalto le sue forme. Sorrideva e porse un bicchiere a Sherlock. Lo prese.

 “Irene.” Disse camminando lontano da lei.

 “Sherlock.” Disse lei, seguendolo.

Quando capì di essere seguito, si accigliò e si voltò guardandola. “Per l’amor di Dio, che vuoi?”

 “Niente. Solo parlarti, tutto qui.” Disse sorridendo.

 “Peccato. Sono occupato.”

 “Oh, non fare questi giochetti con me, non funziona – “

Sherlock la guardò e disse: “Senti, sono lusingato, ma non sono interessato. Va bene?”

“Oh!” Disse, sorpresa. “Capisco!” E Sherlock ebbe paura e si pentì d’aver parlato. “Quindi, ragazzi.”

Sherlock non capiva. “Ragazzi?”

Irene sorrise. “Ascolta, Sherlock, per rifiutarmi o sei gay o sei idiota. E so che non sei idiota. E’ ovvio che tu non sia idiota. Quindi… Rimane solo un’alternativa.”
 
“Non intendo parlarne con te, ciao.” Disse voltandosi, ma lei gli toccò la schiena, fermandolo.

 “Oh no caro, abbiamo appena iniziato.”

 “Smettila di insinuare… Qualsiasi cosa tu stia insinuando.” Disse Sherlock cercando di mantenere vivo il suo orgoglio ma poi realizzò che ciò che aveva detto suonava più come una supplica.

 “Non preoccuparti caro, le mie labbra sono serrate,” Disse avvicinandosi a lui.  “Dopotutto, a me non interessano solo i ragazzi.”

 “Cosa?” Disse Sherlock guardandola, spalancando gli occhi.

“Non mi piace avere l’esclusiva solo su determinate persone, Sherlock. Ci sono alternative, troppe alternative per sceglierne solo una.”

 “Vedi qualcuno d’interessante?” Disse, leggermente più rilassato.

 “Per te?”

 “No, non necessariamente.”

Lei sorrise. “Come si chiama?”

 “Che?”

 “Hai appena sorriso, quindi hai pensato a qualcuno. Come si chiama?”

 “Non c’è nessuno.” Disse Sherlock, sulla difensiva.

 “Oh, non ti credo.”
 “Faresti bene a farlo.” Disse Sherlock inespressivo.

 “Caro, carissimo Sherlock. Lascia che te lo dica: lo scoprirò presto.”

Sherlock non disse una parola di più. Prese il suo bicchiere e bevette d’un sorso ciò che c’era dentro, provando a scacciar via i suoi pensieri. Irene comprese che fosse meglio rompere il ghiaccio.

 “Clara. Sembra interessante.” Disse accarezzando il braccio di Sherlock.

 “Sta già con qualcuno.” Rispose Sherlock senza guardare Irene.

 “Oh davvero? Beh, non sarà un problema.” Disse Irene sorridendo ampiamente, guardando Sherlock.

 “Non provare a toccarla, Irene. Ha già una ragazza. La ferirai.”

 “Ma guarda un po’! Il cattivo ragazzo ha dei sentimenti!” Disse Irene con tono divertito.

 “Ne dubito.” Rispose Sherlock, fissando il bicchiere.

“D’accordo, d’accordo. Non farò niente.” Disse sorridendo. “Sarà difficile, ma farei di tutto pur di non farti incazzare.” Ed eccola lì, di nuovo a flirtare, e Sherlock non si sentiva a suo agio.

 “Che mi dici del tuo amico?” Chiese indicando Jim, che stava fumando una sigaretta.

 “Io… Non so nulla su di lui.”

 “Non importa, lo scoprirò da sola, grazie mille.” Disse alzandosi, poi diede a Sherlock il suo bicchiere, si voltò e toccò il suo viso. “Sherlock. Mio caro Sherlock. Non è finita qui. Ti avviso.”

Rimase indifferente. “Lo so, lo so.” Rispose bevendo un sorso dal bicchiere di Irene.

 “Buona fortuna col tuo ragazzo.” Disse facendogli l’occhiolino. Sherlock non guardò e bevette ancora.

 “Spero non ti spezzeranno il cuore, tesoro.” Disse Irene con un sorriso.

 “Mi hanno detto che non ce l’ho, un cuore.” Disse Sherlock, con serietà.

 “Vedremo.” Andò via, prese altri due bicchieri di birra ed aprì la porta per uscire in giardino, porgendo un bicchiere a Jim, sorridendo.


***
 
Dopo due ore Sherlock si sentiva già ubriaco fradicio. E odiava quella sensazione. Prima dell’incidente era solito reggere l’alcool, la parola limite non era nel suo vocabolario, beh non lo era tuttora, ma non riusciva più a reggerlo come prima. Ed era annoiato, molte ragazze sedevano accanto a lui e gli chiedevano di ballare ma lui scuoteva il suo capo continuando a bere. Si sentiva triste e non sapeva perché.

 “Hey tu, blocchi le scale!” Qualcuno urlò da dietro.

Si voltò e guardò in cima alle scale, vedendo una ragazza che teneva in mano un bicchiere, molto, molto ubriaca. “Harry?”
 
“Sherlock Holmes!” Disse eccitata, muovendo la mano libera per aria. “Come stai, cattivone?” Sedette accanto a lui, il suo sguardo era altrove; alcolizzata, pensò Sherlock immediatamente. E gli dispiacque molto per John.

 “… Bene?” Disse guardandola.

 “Bene, bene!” Disse annuendo, annuendo ed annuendo, e sorridendo. “Sto bene anche io. Hai visto Clara? L’ho persa… Credo di averla vista un’ora fa. Oh! Questa canzone!” Disse urlando. “AMO questa canzone!”

Elvis. Sherlock ricordò John ed il suo “Elvis di colore” e sorrise. Lui era molto diverso da sua sorella.

 “Tutti amano Elvis.”

 “Preferisco Buddy Holly ma sì, Elvis non è male,” Disse bevendo l’ultimo sorso di birra nel suo bicchiere. Poi guardò quello di Sherlock che era ancora metà pieno, lo prese e lo finì.

Gli dispiaceva molto, sembrava molto infelice.

 “Da quanto stai bevendo, Harry?” Disse seriamente.

Guardò il bicchiere. “Mio fratello…” Sherlock alzò gli occhi al cielo, non voleva parlarne. “… Non so cosa è successo ieri, Sherlock. Ma non l’ho mai visto sorridere così tanto.”

Sherlock spalancò i suoi occhi e si irrigidì, non fu in grado di dire nulla. Era ovvio che Harry fosse incosciente di ciò che stava dicendo, chiaramente troppo ubriaca per pensare ma era onesta?

 “Gli piaci. Gli piaci molto.” Disse annuendo incessantemente.

Sherlock non sapeva cosa dire.

 “E posso confermare che ti piace, e che lui ricambia.”

Sherlock sentì il bisogno di dire qualcosa. “Come lo sai?”

Protese il suo braccio e con il suo dito tremante indicò i suoi occhi. “Perché i tuoi occhi s’illuminano quando parli di lui.”

 “Sei ubriaca, Harry.” Disse Sherlock scuotendo il capo.

 “Anche tu!!!” Disse ridendo.

 “Vai al dunque.”

Harry assunse un’espressione più seria. “Te l’ho detto, Holmes. E sono la sorella maggiore di John quindi è il mio compito dirtelo e te l’ho detto.”

 “… Sì?” Disse Sherlock stanco di quella conversazione, perché Dio, Harry era ubriaca ma sentiva di essere interessato e ciò lo scocciava.

 “Non dargli false speranze. Non giocare con lui. Non spezzargli il cuore.” Disse parlando velocemente.

 “Io-“

“Zitto e lasciami finire! Se gli farai del male, Holmes, ti scuoierò vivo. Perché non sa, non ha mai provato nulla di simile prima d’ora, non ha idea di cosa sia l’amore.”

 “Non è innamorato di me, Harry.” Disse Sherlock, convinto.

 “Oh, ne saresti sorpreso.” Disse alzandosi e cadde, e Sherlock dovette aiutarla ad alzarsi. Annuì con un sorriso e salutò. Poi urlò: “CLARAAAAAAAAA!”


***

Era quasi mezzanotte e Sherlock non vedeva Harry da un’ora, era ancora seduto sulle scale, bevendo un altro bicchiere di birra (il settimo) cercando di pensare, quando un telefono squillò.

Clara rientrò dentro casa (neanche l’ombra di Harry) correndo ed urlando “METTETE IN PAUSA LA MUSICA E CHIUDETE QUELLA CAZZO DI BOCCA!”
Il jukebox si fermò immediatamente. E cadde il silenzio in un secondo.

Clara prese il telefono lentamente, e sbadigliò fingendo d’essersi appena svegliata. “… Pronto?”

Poi spalancò gli occhi. “- Sì, mamma.”

 “Ah, non…” La sua voce tremava. “Non rimani?”

 “Oh, OK, ci vediamo tra poco.”

Quando riattaccò cominciò a correre e gridare.

 “MERDA! MERDA MERDA MERDA!”

 “ANDATE VIA! ANDATE VIA! I MIEI GENITORI STANNO TORNANDO! MERDA, SARANNO QUI IN MENO DI UN’ORA!”

Ed in cinque minuti la casa era mezza vuota. Sherlock si alzò e trovò Greg in giardino. “Andiamo.”

In quel momento Clara raggiunse Sherlock e Greg, scuotendo il capo. “NON TI AZZARDARE! PULISCI QUESTO CAZZO DI CASINO!”

 “Cosa?” Disse Sherlock accigliato.

 “E’ stata una TUA idea!” Disse indicando Greg.

Sherlock guardò Greg. “E’ stata una tua idea?!”

Greg guardò in basso ed annuì. Clara era terrorizzata. “Muovete il culo e iniziate a pulire!”

Sherlock guardò Greg e protese la sua mano verso lui. “Dammi le tue chiavi.”

 “Col cazzo, sei ubriaco.” Rispose Greg scuotendo il capo.

 “DAMMI LE TUE DANNATE CHIAVI!”

 “Non te le darò, Sherlock! Placati e pulisci ed andremo via il prima possibile!” Disse Greg, andando poi dentro casa.

Merda. Pensò Sherlock.

Clara andò al piano di sotto. “Sherlock, dove cazzo è Harry?”

 “Perché dovrei saperlo?” Disse Sherlock facendo spallucce.

 “Vi ho visti parlare! Aiutami a trovarla!” Disse Clara. Era esasperata.

 “E va bene!” Disse Sherlock al primo piano.

 “SHERLOCK!” Urlò dopo un minuto. “MERDA, VIENI QUA!”

Andò al secondo piano ed entrò in bagno. Harry era priva di sensi sul pavimento. Dannazione. Era così ubriaca.

 “Merda.” Disse Clara avvicinandosi e toccando il polso di Harry per controllare il battito. “Harry, amore, stai bene?” Disse preoccupata. Nessuna risposta.
Si alzò e guardò Sherlock.

 “Che facciamo?”

 “Lasciala qui.” Disse Sherlock indifferente.

 “Mi prendi in giro? Sei pazzo? Non lascerò la mia ragazza qui sul pavimento! E poi i miei genitori non possono vederla qui! Non sanno nulla!” Iniziò a camminare avanti ed indietro nel bagno, toccandosi disperatamente la testa. “Merda. Non sanno niente. Merda. Stanno venendo. Devo fare qualcosa, ORA!”

 “Portala a casa sua.” Disse Sherlock, facendo nuovamente spallucce.

Pensò per un momento, e dopodiché urlò.

“GREEEEEEEEEEEEG!”

Greg salì al piano di sopra, correndo. “Che c’è?”

 “Porta Harry a casa, per favore.”

 “Non se ne parla, Clara! Dobbiamo ripulire e Jim non è qui e Sebastian è così ubriaco che non riesce nemmeno a tenere una scopa in mano!”

 “L’accompagno io.” Disse Sherlock, e poi spalancò gli occhi sorpreso, come se non sapesse perché l’avesse detto.

Clara sorrise. “Lo faresti davvero?”

 “… Sì.” Sherlock annuì.

Greg scosse il capo. “No, sei ubriaco.”

 “Posso guidare!” Disse Sherlock, infastidito.

 “Sei sicuro?” Disse Clara, cercando di sollevare Harry.

 “Sì, guido meglio quando sono ubriaco.”

 “Amico, non puoi guidare.”

 “Mi farai intestardire ancora di più se continuerai a dirlo.” Disse Sherlock.

 “OK, OK! Ti disegnerò una piccola mappa per indicarti casa sua. Grazie, grazie mille Sherlock!” Disse sorridendo e precipitandosi al piano di sotto.

 “Perché lo stai facendo?” Disse Greg, con tono serio.

 “Cosa?”

 “Accompagnarla a casa.”

 “Per nessun motivo.”

 “Non ti credo.”

 “Prestami la tua macchina.”

Greg scosse il capo. “No. Scusa amico, ma ho sentito dell’incidente. Non ti presterò il mio gioiellino.”

 “Fottiti.” Disse Sherlock; era furioso.

 “Puoi prendere la mia!” Disse Clara rientrando nel bagno, dandogli le sue chiavi. “Non se ne accorgeranno, molte volte la lascio a scuola. Ascolta, queste sono le direzioni. E’ facile. Dista solo cinque minuti da qui. Grazie Sherlock!”

Sherlock guardò Greg. “Almeno aiutami a portarla giù.”

Greg annuì e la presero, andando giù. Se non fosse stato per le parole incomprensibili che stava farfugliando, Sherlock avrebbe già pensato che Harry fosse morta. Dopo una certa fatica, riuscirono a metterla in macchina ed ancora, non reagiva!

 “Andrò a casa dopo averla accompagnata, ti porterò la macchina domani.”

Clara annuì. “Non preoccuparti, Sherlock. Per favore, stai attento a lei.”

Sherlock prese la mappa ed entrò in macchina. Il sedile del guidatore. Era passato così tanto tempo. Toccò il volante lentamente, godendosi quel momento. Fece retromarcia, era eccitato ma terrificato nel contempo. Cosa avrebbe fatto se fosse accaduto di nuovo? Cosa sarebbe successo se avesse fatto del male ad Harry? Cosa avrebbe detto a John? Scacciò via i suoi pensieri, premendo l’acceleratore. E la macchina iniziò a camminare.

***

Dopo aver seguito attentamente le indicazioni, Sherlock si fermò dinnanzi una piccola casa, le luci erano tutte spente. “E’ qui Harry, giusto?”

Harry non reagì. “Dio, sei inutile.”

Prese un respiro profondo e pensò di bussare alla porta, ma si fermò e pensò che fosse meglio non creare altri problemi. Prese un piccolo sasso dal giardino e lo tirò alla finestra alla sua destra, al secondo piano. “Harry, spero sia la finestra giusta perché se tuo padre si fa vivo giuro che gli dico che mi hai costretto tu a venire qui.” Harry non reagì. Ancora.
Nessuno rispose. Così cercò un sasso più grande, ancora spaventato che Mr. Watson potesse farsi vivo, piuttosto che John. Quel sasso colpì fortemente la finestra e per un momento Sherlock pensò di aver rotto il vetro. Una luce si accese ed un secondo dopo John aprì la finestra, con gli occhi mezzi chiusi, ma non appena vide il moro fuori casa, li strofinò e si sorprese. “Sh… Sherlock, che ci fai qui?”

Sherlock sorrise. “Ciao, John.”

 “Che è successo? Va tutto bene?” Urlò dalla finestra.

 “Vieni qui, per l’amor di Dio!”

John annuì, chiuse la finestra ed andò giù, non appena aprì la porta sorrise. Fin quando non realizzò di essere in pigiama. “Diamine… Sono in pigiama.” Disse guardando in basso.

Sherlock rise. “E’ OK, ti sta bene.”

 “Shhh! Se i miei genitori si svegliassero, probabilmente ti ucciderebbero! Penserebbero che sei un serial killer o qualcosa del genere."

“Quanto sarebbe figo?!” Disse Sherlock sorridendo.

John lo guardò e sorrise. “Sei pazzo, Sherlock? E perché sei qui?”

 “Giusto… Tua sorella, Harry.”

Il sorriso di John scomparve. “Che è successo? Sta bene?”

 “Sì, è in macchina. E’ svenuta nel bagno di Clara. Era troppo ubriaca.”

John si avvicinò ed odorò Sherlock. “Anche tu lo sei, a quanto pare.”

 “Non quanto lei. Giuro.” Disse Sherlock, cercando di sembrare più sobrio possibile.

 “Cristo, Sherlock! Hai guidato fin qui in questo stato? Sei fuori di testa?”

 “Beh, dovevo portare Harry qui.” E John gli rivolse un grande sorriso, e Sherlock pensò che non si sarebbe mai abituato di vedere quel sorriso. “Andiamo, dammi una mano a tirarla fuori.” Harry iniziava capire qualcosa ed a camminare da sola, farfugliando parole che né John né Sherlock capivano. Finalmente la portarono nella sua stanza, la sistemarono a letto, chiusero la porta ed andarono giù in cucina. “Andiamo, ti preparo del caffè.”

Sherlock capì la reazione di John quando aveva visto casa sua: quella di John era molto piccola, ma era carina ed accogliente.
Non appena sederono, John coprì il viso con le mani e si lasciò sfuggire un sospiro.

 “Mi dispiace.” Sherlock lo guardò, senza dire una parola.

 “A te? Perché?” Disse il moro, confuso.

 “Per mia sorella, cioè, io…”

“Alcolizzata.” Disse Sherlock, annuendo.

 “Beh, sì. E pensavo che riuscisse a controllarsi, che fosse solo una fase, e che con Clara sarebbe cambiata, ma guardala… Ed ai miei genitori sembra che non importi e io…”

 “John, non è colpa tua.”

 “E neanche colpa tua. L’hai portata fin qui.” Disse John, sembrava devastato e triste e Sherlock voleva vederlo sorridere di nuovo, ma non sapeva come fare.

 “Sono venuto qui perché volevo.” Disse sorridendo appena.

E John sorrise, un piccolo sorriso, accennato, ma era abbastanza per Sherlock che si immobilizzò a fissarlo mentre beveva il caffè. Non appena finì, si alzò. “Beh, meglio che vada.” Per poco non cadeva. Il caffè non l’aveva aiutato, era ancora ubriaco.

John si alzò per afferrarlo. “Sherlock! Non puoi guidare in queste condizioni.”

 “L’ho appena fatto.” Disse sorridendo.

 “Sì, ma solo perché non lo sapevo. Ora che lo so, non te lo permetterò.”

 “Non me lo permetterai?” Chiese Sherlock.

 “No.” Disse John, prendendo la tazza. “Ti accompagno a casa.”

 “No.” Disse Sherlock scuotendo il capo.

 “Ascolta, ti farei rimanere qui ma i miei genitori non sarebbero particolarmente contenti se sapessero che un ragazzo dalla stessa età della figlia rimanesse qui a dormire, la gente potrebbe parlare.”

 “Si farebbero comunque idee sbagliate, perché non sarei qui per la figlia.” Disse Sherlock, sorridendo.

John rise ma dopo la sua espressione tornò seria. “Ti accompagno a casa. E’ il minimo che possa fare, dopo tutto quello che hai fatto…” Lo supplicò.
“D’accordo. Ma se Mycroft dovesse vederti, dirò che mi hai costretto ad andare a quella dannata festa.”

“Io – Mycroft?” Disse John, perplesso.

Sherlock sbuffò. “Mio fratello. I miei genitori non sono quasi mai in casa, per questo lui si sente il Re.”

 “Il Re?”

“O Regina. Si preoccupa troppo. E’ fastidioso.”

 “Dovrebbe preoccuparsi! Sembro proprio un cattivo ragazzo!” Disse John, sistemandosi gli occhiali.

John prese le chiavi della macchina e disse: “Andiamo, guido io. Fa’ piano quando apri la porta, se i miei genitori dovessero svegliarsi, sarebbero furiosi! Ma per tua fortuna sono stati a cena da un amico di mio padre ed hanno bevuto un po’ quindi dormono come sassi.”

 “Per mia fortuna?”

 “Sì! Se si svegliassero penserebbero che mi hai corrotto e chiamerebbero tuo fratello o qualcosa del genere.”

“Oh, ma io ti sto corrompendo,” Disse Sherlock toccando il braccio di John, avvicinandosi sempre di più, ancora ed ancora alle labbra di John, ma quest’ultimo percepì l’odore dell’alcool e scosse il capo.

 “Sei troppo ubriaco, Sherlock.”

Sherlock sospirò. “D’accordo. Portami a casa, allora.”

Ed uscirono di casa.

***

NOTE: Questo capitolo mi è piaciuto molto! Sherlock ubriaco... Mi ha fatto ripensare alla 3x02, quando Sherlock e John erano ubriachi! Vi anticipo che nel prossimo capitolo John e Sherlock saranno di nuovo vicini. Grazie a chi sta seguendo questa traduzione, grazie per le recensioni! Un bacio e buona lettura. xx

PS. Vi lascio il link 
TUMBLR dell'autrice ed il MIO

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Capitolo 7
*** Sweet Little Sixteen ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

Riassunto:  “Non sono innamorato di lui!”
 
           SWEET LITTLE SIXTEEN

“Dio, John! Quando sono ubriaco sembra che guidi più lento del solito.” Disse Sherlock sospirando.
 
 “Hey! Sono le due del mattino, sono mezzo addormentato, sono uscito di casa senza dirlo ai miei e sto guidando una macchina non mia per portare un ubriacone a casa sua dove suo fratello probabilmente darà di matto! Pensi che guidare più velocemente sia una mia priorità?”

Sherlock fece spallucce. “Lo sarebbe per me.”

 “E’ per questo motivo che sono io a guidare e non tu.” Disse John con un sorriso.

 “Quanti anni hai? Ti è consentito guidare?” Disse Sherlock senza distogliere lo sguardo da lui, e ciò faceva sentire John a disagio.

John si schiarì la gola. “Ho sedici anni, Sherlock. E’ ovvio che io possa guidare, non starei guidando se non potessi.”

 “Giusto, tu e la tua assurda ossessione per le regole…”

 “Non fare il sociologo con me!” Disse John sorridendo. “Comunque, tu quanti anni hai?”

“Diciotto.”

 “Ed hai perso due anni o…?”

 “Hai visto la mia libreria. Pensi che io sia così stupido? Sono deluso.”

John si voltò per guardare Sherlock. “No, no, no… Intendo… E’ strano. Sei molto intelligente.” Sherlock sorrise, “ma avresti dovuto diplomarti un anno o due anni fa.”

 “I miei genitori viaggiano in giro per il mondo e prima mi portavano con loro. Non che non volessi, ma ero costretto. Non appena compii 16 anni, dissi loro che potevo fare quel che volevo e mi lasciarono qui con mio fratello. Non è il massimo, ma è meglio di vivere in mille parti diverse del mondo.”

 “A me piacerebbe.” John fece spallucce.

 “Lo dici perché non l’hai vissuto.” Sherlock si avvicinò per guardare meglio John, e ciò deconcentrò John dalla strada. “Non hai vissuto per niente, a dire il vero. Oh, dolce, piccolo, sedicenne[1].”

 “Smettila di fare riferimento a canzoni che non conosco!” protestò John.

 “Mi annoio, John!” Disse Sherlock scuotendo il capo.

John si voltò per guardarlo un attimo. Il moro era sdraiato sul sedile in un modo fantastico, poteva vederlo appena, ma riusciva a scorgere la sua incredibile silhouette. “E cosa vuoi che faccia?”

 “Guida più veloce.”

 “No, e non si discute.”

 “Dai, John…” Disse Sherlock sollevando la sua mano sinistra per raggiungere e toccare il collo di John che si immobilizzò al tocco e rimase in silenzio. “… Hai bisogno di vivere intensamente.”

John scosse il capo e Sherlock tolse la mano dal suo collo. Il moro tornò a guardare fuori dal finestrino. “Vivere più intensamente non significa rischiare un incidente.” Disse John.

 “A volte è così difficile avere a che fare con te, Johnny boy. Posso almeno accendere la radio?”

 “D’accordo, sì,” Disse John annuendo. Realizzò che fosse meglio non contraddire Sherlock, perché avrebbero discusso inutilmente ed il moro avrebbe indubbiamente vinto.

Sherlock sorrise e si avvicinò a John per accendere la radio, e diventò difficile per John tenere i suoi occhi fissi sulla strada. Il moro stava fingendo di suonare la chitarra al ritmo della canzone e John non poté fare a meno di ridere.
Non appena l’assolo finì, Sherlock si avvicinò maggiormente a John e sussurrò contro il suo orecchio: “Guarda! Dolce piccolo sedicenne! Ascolta le parole, Johnny boy, la ragazza della canzone vive più di quanto viva tu. Dovresti prender spunto da lei.”

John sorrise e rispose, sussurrando. “Dio, fammi concentrare sulla strada o giuro che rallento! Ti avverto!”

Non appena John disse ciò, Sherlock si spostò, accigliato, ma continuò a cantare. Non parlarono fin quando non arrivarono a casa del moro e John odiava che fossero arrivati.

 “… Bene.”

Sherlock fece spallucce. “… Sì.”

 “E’ ora di andare a casa!” Disse John indicando la porta di casa con il capo, sorridendo.

 “Non voglio.” Disse Sherlock, rimanendo immobile.

 “Cosa?”

 “Ho detto che non voglio andare. Mi sto divertendo qui e casa mia è noiosa.”

 “Sherlock, sono le due del mattino! Non staremo qui per tutta la notte.” Protestò John, ma Sherlock aumentò il volume della radio.
 
“Andiamo da qualche altra parte.” Disse guardando John e sorridendo, in modo quasi angelico, e John si era quasi convinto.

 “… No.” Disse John scacciando via quell’idea dalla sua mente. “No, Sherlock, sei ubriaco e tuo fratello sarà arrabbiato e sto facendo la cosa giusta lasciandoti qui.”

Sherlock guardò John. “Vedi, John? Questo è il tuo problema! Vuoi sempre fare la cosa giusta, per te infrangere le regole è qualcosa di impossibile!”

 “Le regole esistono per una ragione!” Disse John gesticolando. 

 “Sì! Per essere infrante!” Disse Sherlock, mordicchiandosi le labbra.

John rimase in silenzio per un momento. “No. Sherlock, no. Non oggi. Mi dispiace. Non posso. Ti ho promesso che ti avrei portato sano e salvo a casa ed eccoci qua. Voglio evitarti ulteriori problemi con tuo fratello e voglio evitare di deludere i miei genitori. Scusa.”

John era spaventato di come Sherlock avrebbe potuto reagire, forse sarebbe andato via e non avrebbero parlato mai più. Ma poi il moro iniziò a ridere e John lo guardò, confuso.

 “Oh John, ho così tante cose da insegnarti,” Disse Sherlock guardando John con un sorrisetto. Ma John era ancora più confuso.

 “Perché?”

Anche Sherlock era confuso. “Perché cosa?”

John non aveva idea di cosa chiedere, perché c’erano troppe cose d chiedere, troppe cose che voleva sapere. Rimase in silenzio per un momento e si voltò per guardare il moro, dritto negli occhi. “Perché io, Sherlock?”

 “Cosa intendi con ‘perché io’?”

John si schiarì la gola. “Intendo quel che ho detto. Perché tra tutte le persone che ci sono hai scelto la meno interessante e la più sfigata? Cosa c’è di bello in me?”

Sherlock si avvicinò. “Beh, la mia risposta sarebbe: “perché ti sottovaluti così tanto, John?” John non disse una parola.

Sherlock sollevò la sua mano e la poggiò sulla guancia di John e sentì – nuovamente – il suo calore e la morbidezza della sua pelle, e chiuse gli occhi. “John, sei più interessante di quanto credi. E credimi, per me tutto è noioso, stupido, prevedibile, ma tu, tu sei sempre imprevedibile. Non riesco mai a capirti, per quanto io ci provi. E non so mi piaccia non sapere, non capire, ma tu sei un mistero per me. E ciò mi confonde e mi affascina allo stesso tempo.”

 “Ma mi odi, Sherlock. Dal primo giorno. Ricordi?”

“Odio non capirti! Non essere in grado di dedurre! Capisco sempre tutto, tutto il tempo, ed ancora non riesco a capire te, John!”

 “E cos’è cambiato?”

 “Tutto, John. Tutto.”

 “Perché?”
 
Sherlock sospirò, era chiaro che fosse infastidito da tutte quelle domande, ma John doveva sapere.

“Perché, sto imparando a conoscerti. E ho capito che la ragione per cui non ti capisco è perché tu sei totalmente diverso da ogni persona che io abbia incontrato. Ed è diverso. Amo come tutto sia diverso con te. A partire dal rock’n’roll.” Disse sorridendo.

John avrebbe voluto avvicinarsi, insinuare le sue dita tra i capelli di Sherlock, e baciarlo ardentemente. Ma non poteva. Non sapeva se Sherlock provasse lo stesso, non poteva essere sicuro neanche di ciò che provava lui stesso, non l’aveva mai provato prima, ma in qualche modo sapeva che fosse ciò che voleva. Provò a prendersi di coraggio ed a farlo, ma si irrigidì. Non riusciva a muoversi, tutto ciò che riusciva a fare era concentrarsi sul tocco di Sherlock. Sollevò la sua mano e la poggiò sul viso di Sherlock, che lo guardò speranzoso. Pensò a cosa dire. Non riusciva a pensare, e quando aprì la bocca, fu sorpreso di ciò che disse. “Sei. Ubriaco. Non stai pensando, ed è OK, Sherlock. Va bene così. So che è tutto dettato dall’alcool. Davvero, va bene così.”
 
Sherlock si accigliò e John si chiese perché tra tutte le cose che potevo dire, ho detto proprio questo? Perché non voleva credere che fosse vero, perché era affascinante e terrificante allo stesso tempo, seducente ed impossibile. Non poteva essere. Sherlock non poteva essere innamorato di lui. E lui non poteva essere innamorato di Sherlock. Il moro mantenne la sua mano sulla guancia di John per pochi secondi, dopodiché la tolse e lo guardò con sguardo serio. “Non puoi credere che sia così, John.”

 “Ovvio! Ovvio che sia così! E’ l’alcool! E’ tutto OK, Sherlock, davvero, so che non sei così.”

 “Cosa? Perché stai dicendo queste cose?”

“Perché è così che deve andare. Io sono il ragazzo a cui importa solo dei voti e della scuola e tu, tu sei il popolare, il cattivo ragazzo che ascolta rock’n’roll e non segue mai le regole e fa quello che vuole ed è impossibile. Ecco cos’è.”

 “Non sono d’accordo.”

 “No, lo sai che non è corretto.”

Sherlock alzò il sopracciglio. “Che cosa?”

John muoveva le sue mani per aria e non smetteva di chiedersi perché, perché stesse continuando a parlare. Perché non si stava zitto e basta? Non poteva. “Io e te. Non può essere. Non sarà.”

Sherlock si avvicinò (ed era molto, molto vicino) e guardò John, dritto negli occhi. John non riusciva neanche a sbattere le palpebre. Non riusciva a pensare. Non quando Sherlock era così vicino a lui e quando i suoi occhi grigi/blu/verdi erano fissi su di lui. “Stai mentendo e lo sai. Perché è tutto ciò che vuoi, non è vero?” Sussurrò Sherlock.

John chiuse gli occhi ed annuì. Poi li aprì e scosse il capo. “No, non lo è.”

 “Smettila di mentire a te stesso, John!” Disse Sherlock.ù

John stava per rispondere, quando dalla porta di casa di Sherlock uscì un uomo. Sherlock lo guardò e spalancò gli occhi. “Dannazione!” Urlò.

L’uomo busso contro il finestrino e Sherlock alzò gli occhi al cielo. Dovette abbassare il finestrino, sorrise sarcasticamente, provando a nascondere la rabbia crescente in lui. Se Sherlock non gli avesse parlato di suo fratello, non avrebbe mai immaginato che fosse lui. Perché quell’uomo con un completo indosso alle due del mattino, sembrava il completo opposto del moro. “Salve, interrompo qualcosa?”

 “Sì, Mycroft, come sempre!” La voce di Sherlock sembrava quasi un grido.

 “Sherlock Holmes, dove diavolo sei stato?”

 “Che ti frega?”

 “Mi frega! Sono tuo fratello, per l’amor di Dio!”

 “Ero fuori.” Disse Sherlock, evitando il contatto visivo con suo fratello.

 “Davvero? Ma non mi dire.” Disse Mycroft sarcastico, poi guardò John, alzò il sopracciglio, come se si stesse chiedendo chi diamine fosse quel ragazzo che usciva con Sherlock. Anzi, con uno come Sherlock.

Ritornò a guardare Sherlock ed alzò il tono di voce, nonostante fosse incredibilmente calmo.

“DENTRO, ADESSO!”

 “No.” Disse Sherlock incrociando le sue braccia. John lo guardò, sorpreso.

 “Sherlock Holmes, ho detto DENTRO, ADESSO!”

“Ed io ho detto NO, Mycroft.”

Mycroft stava iniziando a perdere la pazienza e John si preoccupò. Qualcosa gli diceva che quell’uomo avesse molto potere e che sapeva bene come usarlo.
John guardò Sherlock e disse: “Sherlock, ascolta tuo fratello. Vai a casa e dormi un po’. Ci vediamo lunedì, va bene?”

Sherlock guardò John con sorpresa. “Ma John…”

 “Per favore, Sherlock. Fallo per me.”

E Mycroft guardò John cercando di reprimere una risata, che si trasformò in una grande sorpresa quando il moro aprì la portiera ed uscì dall’auto, sospirando.
Non appena entrò in casa, Mycroft si poggiò all’auto di John, guardandolo con aria di domanda. “Che?” Chiese John.ù

 “Non esce mai con persone come… Te. Chi sei? Perché Ti ha dato retta?”

 “Io… Nessuno. Non sono nessuno.”

Mycroft lo guardò con incredulità, e ciò forzò John a mantenere un contatto visivo. “Davvero, era solo tanto tanto ubriaco e l’ho riportato a casa. Tutto qui.”

Chiaramente il fratello di Sherlock non credeva a nessuna delle sue parole. “Beh, farei meglio ad andare.” Disse John mettendo in moto l’auto.

 “Spegni la macchina, John.” Disse Mycroft con un tono di voce che allarmò John. E così fece.

 “Qual è il tuo rapporto con Sherlock Holmes?” Chiese seriamente.

John schiarì la sua gola. “Non c’è nessun rapporto. Andiamo nella stessa scuola. Frequentiamo una lezione insieme. Tutto qua!”

 “Hai intenzione di continuare la tua relazione con Sherlock Holmes?”

“Senta, le ho detto che non c’è niente tra me e suo fratello, chiaro?”

 “Sei molto leale.”

 “Certo, leale. Come no. Devo… Andare.” Disse rimettendo in moto l’auto.

 “John.” Disse Mycroft.

 “Sì?”

 “Problemi di fiducia.” Disse Mycroft come se fosse una cosa normale da dire.

 “Cosa?”

 “Hai problemi di fiducia. Eppure mio fratello esce con te. Perché?”

 “Non saprei, forse è pazzo.”

 “Forse non è lui ad esser pazzo.” Disse Mycroft.

 “Forse no. Arrivederci.” Disse John accelerando.

Mycroft rimase lì e John andò via e che diamine era successo?

Non ne aveva idea, ma sorrise. Sherlock Holmes. Era molto più di un teppistello. Mike aveva ragione, dopotutto.

***

 “Che diavolo gli hai detto, Mycroft?!” Urlò Sherlock dalla cucina, muovendo le mani per aria e guardando il fratello dinnanzi la porta d’entrata, calmo come sempre.

 “Ciò che era necessario, Sherlock.”

 “Per l’amor di Dio! Mi ha solo riaccompagnato!” Disse Sherlock andando in salotto.

 “Sei ubriaco!”

Sherlock sbuffò. “Ma l’hai visto? Credi che sia stato lui a farmi ubriacare?”

Mycroft rimase in silenzio per un momento, poi alzò il tono di voce: “Ti dispiacerebbe dirmi almeno dove diamine sei stato?”

 “Non è un problema tuo!”

 “Certo che lo è, Sherlock! Sei mio fratello! Non puoi immaginare come si sia sentita Mrs. Hudson dopo aver scoperto che non fossi in casa, gli hai quasi fatto venire un infarto!" 

 “Stai cercando di farmi sentire in colpa? E’ questo che vuoi?”

 “No, Sherlock, non è quello che voglio! Ciò che voglio è farti rendere conto dei tuoi errori! Pensavo che quel dannato incidente ti avrebbe fatto capire qualcosa, ma sei ancora lo stupido moccioso che sei sempre stato. Che delusione.”

Sherlock guardò Mycroft. “Quando la smetterai di ricordarmi dell’incidente?!” Urlò. “Te l’ho detto, te l’ho detto mille volte, NON E’ STATA COLPA MIA!”

 “Eppure eri ubriaco e sei quasi morto. Sai, Sherlock, è proprio una vergogna che una persona intelligente come te non sappia usare correttamente la sua intelligenza.”

 “Cosa! Perché non sono sfigato come te? Ciò mi rende un idiota?”

 “Sì.”

Sherlock rimase in silenzio, Mycroft camminò verso la poltrona e sedette su di essa, mantenendo il suo sguardo fisso sul fratello. “Quindi… John Watson.”

Sherlock scosse il capo. “No.”

“Ti importa di lui,” Disse Mycroft con un sorrisetto. “Che peccato, crede di essere nessuno, ma chiaramente è qualcuno. Almeno per te.”

 “Ho detto che non parlerò di John con te!” Disse Sherlock dando le spalle al fratello e salendo le scale.

 “Sherlock Holmes, sto parlando con te!”
 
“Mycroft Holmes, non ti sto ascoltando! Non mi interessa. Sono stanco e fottutamente ubriaco quindi me ne tiro fuori. Lasciami in pace e non menzionare mai più, mai più John Watson. Non chiedermi di lui, non indagare su di lui, per una dannata volta, lasciami vivere la mia fottuta vita!”

 “Oh sì! Guarda dove ti ha portato ‘vivere la tua fottuta vita’, Sherlock!”

 “Non sono più un bambino, Mycroft. Non mi servono le tue maledette spie addosso!”

Mycroft non parlò, arcuò il sopracciglio e lo guardò. Sherlock aveva capito e spalancò i suoi occhi, che sembravano persi nel nulla considerando che il moro fosse ubriaco. “Oh. Ovvio! Sapevi dov’ero!”

 “So anche che hai guidato fino a casa di John mentre eri ubriaco – “ Disse Mycroft scuotendo il capo. “Che delusione, Sherlock, non impari mai.”

 “Lasciami STARE!” Urlò Sherlock.

 “Un giorno capirai che la ragione per cui lo faccio è perché tengo a te, caro fratello. Adesso dimmi, che tipo di relazione è la relazione che hai con John Watson?”

 “Chiedilo alle tue spie, magari lo scoprono.” Disse Sherlock schiettamente.

 “Oh, non preoccuparti, lo scoprirò sicuro. E’ solo che preferisco sentirlo dire da te, prima.”

 “Fatti da parte, Mycroft. E lascia John Watson fuori da tutto questo.”

 “E’ una minaccia?”

 “Ovvio che lo è. Buonanotte.”

 “Buonanotte, fratellino.”

***
Quando John arrivò a casa erano le 3:30 del mattino, i suoi genitori non avevano notato che fosse uscito e nemmeno Harry. Andò dritto a letto, era incredibilmente stanco.
Non appena provò ad addormentarsi, capì che quella era stata la cosa più incredibile della sua vita. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe scappato di casa in piena notte per portare un teppistello, un teppistello ubriaco, a casa sua e quasi l’aveva baciato, baciato!
Ed aveva incontrato suo fratello. Troppe cose per una sola notte.
Sherlock aveva ragione. Era eccitante. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa di essere scappato e di aver disobbedito ai suoi genitori, ma non si sentiva così, per niente. Doveva ammettere che si era divertito, vedere Sherlock mezzo addormentato, ascoltare quella musica che disprezzava…
E non aveva idea di cosa fosse quella sensazione allo stomaco ogni volta che pensava a Sherlock. Cos’era cambiato? Cosa c’era di così interessante? Poteva essere vero? Sherlock provava qualcosa, qualcosa per lui? Certo che no. Ed ecco perché non averlo baciato era stata la miglior cosa, perché era ubriaco e non stava pensando in modo giusto e per Sherlock, in quello stato, chiunque sarebbe andato bene per lui.  
Sospirò, sorrise e si addormentò.

***
Il mattino seguente Harry si svegliò tardi, la madre stava preparando la colazione per John. Non appena la sorella entrò in cucina, la madre diventò rossa in viso per la rabbia ed iniziò a gridarle contro. Harry non rispose, tenne solo la sua testa tra le mani, dopo-sbornia, pensò John.
Dopo quella che era sembrata una discussione infinita, che includeva tre settimane di punizione per Harry, durante le quali non sarebbe potuta andare a nessuna festa, la madre di John uscì ed Harry era esausta.

 “Nottata divertente, vero?” Disse John ad Harry mangiando il suo toast.

Gli lanciò uno sguardo omicida e continuò a massaggiare la sua testa. “Sto morendo… E non ricordo niente.”

 “Oh. Quindi non ricordi di essere svenuta nel bagno di Clara.” Disse John con nonchalance.

Harry spalancò gli occhi. “Merda. Davvero?”

John annuì mentre sorseggiava il suo caffè. “Tieni, bevine un po’, ti libererà la mente.”

Harry prese la tazza ed annuì. “E come sono tornata a casa?”

John si schiarì la gola. “Ehm… Sherlock ti ha portata qui.”

Fissò suo fratello, sorpresa. “Cosa? Lui mi ha portato a casa?!”

 “Sì! E mi ha visto in pigiama, grazie mille.”

Harry rise, e poi fece una strana smorfia, come se la sua testa stesse per esplodere. “Oh mio Dio. John, cos’è successo?”

 “Cos’è successo cosa?” Disse John alzandosi.

 “Non essere stupido! Cos’è successo con Sherlock?” Disse speranzosa e preoccupata allo stesso tempo.

 “Harry, non è successo niente. L’ho solo riaccompagnato a casa.”

 “Wow, wow, wow. L’hai riaccompagnato a casa?”

 “Sì.”

 “Quindi sei andato via di casa per portare un ragazzo a casa sua?”

 “Beh, sì. E’ quello che ti ho appena detto.”

“E’ qualcosa che MAI mi sarei aspettata da John Watson.”

 “Oh, e smettila!”

 “Ma seriamente John, a parte ciò, non è successo niente?”

John sorrise, molte cose erano successe, ma probabilmente per Sherlock erano niente. “Davvero, niente.”

 “Allora perché sorridi?”

“Eddai, Harry, non sono innamorato di lui.”

Lei sorrise. “No, certo che no.”

 
*** 

NOTE: [1] Ovviamente nel testo originale Sherlock dice "Sweet Little Sixteen", e John capisce che si sta riferendo alla canzone. 

Probabilmente vi regalerò il prossimo capitolo questa notte o domani, visto che poi mi prenderò una piccola pausa nelle prossime settimane a causa di esami! Bacini xx



 

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Capitolo 8
*** I've Changed My Mind A Thousand Times ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_




RIASSUNTO: “Mi dispiace. Per favore, credimi.”
 
I'VE CHANGED MY MIND A THOUSAND TIMES

La settimana sembrava durare un’eternità per John, che non riusciva a fare a meno di pensare a dove Sherlock fosse, a come stesse, il tutto seguito dalla seguente domanda: perché pensava così tanto a lui?
Ecco perché voleva che fosse lunedì, così poteva vedere Sherlock, e si poteva convincere del fatto che non ci fosse assolutamente nulla tra di loro e che niente sarebbe mai potuto accadere, mai. Aveva solo frainteso l’intera situazione, e doveva smettere di farsi strani pensieri.
Ed era convinto di ciò, fin quando quella mattina non vide Sherlock. Il moro indossava come sempre la sua giacca e la sua maglia bianca, strofinando le mani. John sapeva che era ciò che Sherlock faceva quando stava morendo per avere una sigaretta. Sorrise e realizzò che man mano sapeva sempre più cose di Sherlock, ma sapeva anche di avere ancora molte cose da scoprire su di lui.
Ma no. Doveva smetterla con tutto ciò, qualunque cosa fosse.
La sua prima lezione era storia. Non era d’aiuto. E la cosa peggiore era che John non si era mai sentito così emozionato per le sue lezioni tanto quanto lo fosse in quel momento per quella di storia, nemmeno per biologia succedeva! La storia per lui era noiosa, non gli piaceva, ma Sherlock la rendeva eccitante ed affascinante, misteriosa. Realizzò che quella lezione fosse la luce di quel giorno, solo perché avrebbe visto Sherlock.
Provò a nascondere il sorrisetto che aveva sulle labbra ed entrò in classe. Sherlock non era ancora lì. Non appena sedette, iniziò a sbattere i piedi sul pavimento, ma smise non appena realizzò perché lo stesse facendo: era ansioso perché doveva vedere Sherlock. Dannazione!
Il moro entrò in classe due minuti prima delle nove, guardò John e sorrise, e John non poté fare a meno di ricambiare quel sorriso, ed improvvisamente dimenticò perché doveva porre fine a tutto ciò, perché qualunque cosa fosse, rendeva John incredibilmente felice. Ed apparentemente anche a Sherlock.

 “Ciao, Johnny boy. Com’è andato il ritorno a casa?”

 “Com’è andata con la sbronza?” Disse John con un sorriso.

 “Non ne parliamo.”

John sorrise e guardò in basso, spaventato di guardare i suoi occhi. “Noioso. Non c’eri. Ma bene, cioè, almeno i miei genitori non hanno scoperto che sono uscito nel bel mezzo della notte ed il giorno dopo ho lasciato la macchina a casa di Clara ed a quanto pare i suoi genitori non si sono accorti della festa, quindi tutto è andato bene.”

Sherlock sorrise e si schiarì la gola. “Ascolta, John. Riguardo mio fratello…”

John scosse il capo. “Non preoccuparti, non ha oltrepassato il limite, ha soltanto fatto delle domande su me e te, ma è tutto ok. Ero solo preoccupato di ciò che avrebbe potuto di te a te, sembrava molto agitato!”

 “Oh, ci sono abituato. Abbiamo litigato, come sempre, gli ho detto di fottersi e di lasciarti in pace ed ha detto che sono la più grande delusione in famiglia.”

 “Non capisco.”

 “Cosa?”

 “Come può essere qualcuno come te una delusione? Tu sei incredibile.”

E Sherlock arrossì, arrossì. E John pensò che fosse la cosa più bella che avesse mai visto ed abbozzò un sorriso. Sherlock stava per rispondere quando Mr. Hikes entrò in classe, guardando il moro, in piedi di fronte il banco di John. Alzò gli occhi al cielo e sospirò, dirigendosi verso il suo banco.

 “Oggi – “ Mr. Hikes iniziò la lezione senza salutare, spiegò quel che avrebbero fatto quel giorno. “ – Parleremo della Seconda Guerra Mondiale. Essendo un evento molto recente, e voi siete troppo giovani per ricordare qualcosa a riguardo, ho deciso di rendere il tutto più interessante ed organizzare lavori in coppia. Aprite il vostro libro e completate le domande a pagina 148. Ne parleremo a fine lezione. Oh! Potete decidere il vostro compagno, l’importante è che lavoriate.”

Non appena finì di parlare, John sentì qualcosa colpire la sua sedia. Non era difficile da dedurre su cosa o meglio chi fosse, si voltò per guardare Sherlock che lo fissava con un sorriso in faccia. “Lavoriamo insieme, Johnny boy?”

E John avrebbe dovuto dire di no, avrebbe dovuto lavorare con qualcun altro, perché doveva distrarsi da Sherlock, ma l’eccitazione era più forte della sua volontà ed annuì, spostando il suo banco verso quello del moro. Non si fermò neanche a pensare se fosse una buona idea o meno.

 “Dunque, abbiamo molte cose da imparare oggi.” Disse Sherlock con nonchalance non appena John sedette accanto a lui. Mr. Hikes, seduto sulla sedia dietro la cattedra non sembrava infastidito dal casino in classe, e ciò permetteva a John e Sherlock di parlare senza alcun freno, e ciò era fantastico.

 “Oh, sì, sì, hai ragione. Iniziamo con la prima domanda? Le ultime sembrano più facili, ma se per te va bene – “

 “No, no, no.” Disse Sherlock scuotendo il capo velocemente. “Non parleremo della Guerra.”

John si accigliò. “E di cosa vorresti parlare?”

 “Del rock’n’roll ovviamente!” Disse Sherlock, emozionato.

“Cosa?”

 “Beh, visto che pensi che Elvis sia di colore… E che Mozart sia migliore di lui, ho deciso di condividere con te le mie conoscenze a riguardo. E’ la cosa migliore che possa fare per aiutarti a liberarti dall’ignoranza in cui sei intrappolato.”

John ridacchiò. “La mia ignoranza?”

 “Ovvio, John. Puoi anche sapere molte cose su tutto, ma sicuramente non sai nulla di musica.”

 “Davvero? E come pensi di insegnarmi qualcosa sulla musica?”

Sherlock si voltò e prese una serie di riviste dal suo zaino, posandole sul banco di John. Riviste musicali. “Queste aiuteranno.” Disse Sherlock sorridendo.

 “Sono… Sono tutte tue?”

 “Non mento quando dico di amare la musica, Johnny boy.”

 “E perché le hai portate?”

 “Beh, per te, ovviamente.”

John sorrise e prese una rivista e la aprì, curioso, ma Sherlock lo fermò e chiuse la rivista, indicando la copertina di quest’ultima. “Questo… Questo è Elvis.” Disse con voce calma, come se stesse insegnando l’alfabeto ad un bimbo di tre anni.

 “Wow! Questo è Elvis?! Non è come lo immaginavo!”

Sherlock rise. “Beh, lo immaginavi di colore…”

 “La smetterai mai?”

 “No, a dire il vero. Elvis di colore... E' stata la cosa più assurda che io abbia mai sentito.”

John sospirò, esasperato e mosse le mani per aria. “D’accordo, mi dispiace!”

Sherlock si accigliò e lo guardo con espressione seria. “Ti dispiace? Per cosa?”

 “Di essere così ingenuo!”

Sherlock rilassò l’espressione in viso e sorrise. “Non c’è bisogno che ti scusi, John. Sono qui per questo.”

 “Posso dire di essere leggermente terrorizzato?”

 “Per cosa?”

 “Di incasinare tutto di nuovo e trovare un altro pretesto per farti ridere di me per il resto della tua vita…”

Sherlock rise. “Beh, John, c’è sempre questo rischio. Ti prometto che non sarò duro con te, questa volta.”

John guardò Elvis in copertina. “Wow. Capisco perché ad Harry piace così tanto, e a lei non piacciono neanche i ragazzi!”

Sherlock sorrise ampiamente e trascorse il resto della lezione a parlare a John di nuovi artisti e canzoni ed LP, e John realizzò che non gli era mai piaciuta così tanto la storia tanto quanto in quel momento.

 “… E questo è Buddy Holly.”

 “Ah sì! Harry lo ama!”

Mentre parlavano di Buddy Holly, Mr. Hikes si alzò e passò tra i banchi, chiedendo alle coppie di mostrargli ciò che avevano fatto durante la lezione. John lanciò un’occhiata a Sherlock, che stava leggendo una rivista. “Dannazione. Sherlock!”

 “Cosa?”

 “Mr. Hikes sta controllando i lavori.”

 “Oh, fantastico, puoi insegnargli qualcosa sul rock’n’roll. Sembra che ne abbia bisogno.”

 “No, davvero, che facciamo?!”

 “Non c’è niente che possiamo fare, John. Non possiamo completare 25 domande in dieci secondi. Quindi ti consiglio di rilassarti e di comportarti normalmente quando arriva.”

Il problema era che per John comportarsi normalmente significava preoccuparsi dei voti e della scuola, quindi il consiglio di Sherlock non lo aiutava. Si voltò per guardare il moro, che stava leggendo la rivista, era così rilassato, come poteva non importargli?!

 “Mr. Watson e Mr. Holmes. Che coppia interessante. Fatemi vedere il vostro lavoro.” Disse Mr. Hikes, tenendo una penna in mano e guardando John, che tremava.

 “Hm… Noi – Ci dispiace signore, non abbiamo fatto niente.”

Mr. Hikes lanciò loro un’occhiata che terrorizzò a morte John. Il moro guardò John e sorrise. Tolse la rivista dal banco e si rivolse al professore. “Beh, ciò che John intendeva dire è che non abbiamo scritto nulla, ma abbiamo discusso sulle domande, infatti può chiederci tutto quel che vuole sull’argomento a riguardo e le sapremo rispondere. Solo perché non abbiamo scritto nulla non significa che non lo sappiamo.” Sherlock sembrava così sicuro di sé, e parlava in un modo così affascinante che John pensò che per un momento quella strategia avesse funzionato e che il professore non li avrebbe puniti. Ma si sbagliava.

Mr. Hikes rispose con molta calma. “Bel tentativo, Mr. Holmes. Ma non credo neanche ad una sua singola parola. Partendo dal fatto che stai leggendo qualcosa che non ha per niente a che fare con l’argomento di cui stiamo parlando oggi.”

Sherlock posò rapidamente le riviste nello zaino. “Ci dispiace.”

 “Sì. Vi dispiacerà di più questo pomeriggio, quando dopo pranzo pulirete i cancellini per le lavagne. E’ chiaro?”

Sherlock annuì ma John ribatté, “Scusi signore, non posso, devo andare al club di chimica.”

 “Beh, è un peccato Watson, avresti dovuto pensarci prima. Avrai modo di rifletterci durante la tua punizione.” John annuì.

Non appena il professore andò via, John guardò Sherlock, che riprese le riviste dallo zaino per continuare a leggerle. “Sherlock!”

 “Cosa?”

 “Abbiamo appena ricevuto una punizione!” Disse John come se fosse la cosa peggiore che ci fosse nel mondo.

 “Sì, l’ho sentito.”

 “Quindi cosa intendi fare?”

 “Riguardo cosa?” Disse Sherlock, infastidito.

 “E’ la prima volta che ricevo una punizione! Non ho mai pulito cancellini per lavagne! Dio! Mi mancherà il club di chimica.”

 “E’ eccitante, non è vero?” Disse Sherlock senza distogliere lo sguardo dalle riviste.

John si accigliò e guardò Sherlock, confuso. “Cosa c’è di eccitante?”

 “C’è sempre una prima volta per tutto, Johnny boy.”

 “Scusa, ma non ci vedo nulla di eccitante in una punizione.” Disse John, scuotendo il capo.

La campanella suonò e Sherlock si alzò, afferrando il suo zaino. Guardò John. “Vedrai. Ci vediamo dopo pranzo.” Disse, ammiccando.

***

John lasciò la classe pensando all’enorme sbaglio che aveva fatto, e quello era un campanello d’allarme, perché in una sola settimana aveva infranto le regole DUE VOLTE, ed era tutta colpa di Sherlock! Gli piaceva trascorrere tempo con il moro, ma la situazione gli stava sfuggendo di mano. Adesso, più che mani, doveva mettere un freno a tutto ciò.
Si convinse che avrebbe parlato a Sherlock dopo pranzo, gli avrebbe detto che anche se si divertiva con lui, non potevano più essere amici, o qualunque cosa fossero.
Stava camminando verso il corridoio della scuola, pensando a cosa dire al moro, quando qualcuno lo afferrò da dietro, con forza, John era sorpreso e realizzò che non poteva muovere le braccia, quindi chiunque lo stesse tenendo era incredibilmente forte. Stava per girarsi quando udì una voce familiare.

 “Non ti azzardare a scappare, sfigato.”

Era Jim. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. “Lasciami stare!”

Avvicinò il suo viso al suo orecchio, sorridendo. “Sebastian, spingilo contro gli armadietti.”

E Sebastian lo spinse, e John sentì la sua schiena dolorante, cadendo per terra, dopo Sebastian afferrò gli occhiali di John e li gettò per terra. John non vedeva niente. Niente. “Che cazzo?!” Disse cercando di alzarsi.

 “Oh Johnny boy, sei così patetico.” Disse Jim avvicinandosi a lui. “Stai morendo dalla voglia di essere uno di noi, vero?”

“No. Affatto.” Disse John in tutta onestà, ma la sua voce era flebile, probabilmente perché il dolore alla schiena ed alla testa era troppo forte. “Onestamente, non me ne frega.”
 
“Non ti credo.” Disse Jim scuotendo il capo. “Sai cosa penso? Penso che sei alla ricerca disperata di attenzioni, sei disperato perché vuoi essere qualcuno, disperato perché vuoi avere amici. Ma… Mi dispiace, non facciamo favori.”

 “Te l’ho detto, non mi interessa!”

“Lascia che ti dia un consiglio, Johnny boy. Smettila di intrometterti, lascia stare Sherlock, smettila di fingere di essere uno di noi, perché non succederà mai. Sarai sempre un perdente, e niente cambierà mai. Questo è solo un amichevole consiglio da parte di tutti noi.”

 “Amichevole?” Disse John guardando Jim, anche se in realtà non riusciva a vedere niente senza occhiali.

Sentì qualcuno avvicinarsi. E John sapeva che fosse Sherlock. Si sentì sollevato. Sherlock camminava lentamente verso Jim.

 “Stai attento, Jim.” Disse con tono serio.

Jim spalancò i suoi occhi. “Cosa? Adesso lo difendi?”

Sherlock sbuffò. “Non essere stupido. E’ che… Deve lavorare con me in questo progetto di storia ed ho bisogno del suo cervello intatto se voglio ottenere un buon voto.”

John si accigliò. Non riusciva a credere a quello che Sherlock aveva appena detto.

Jim arcuò il sopracciglio e guardò John, ancora per terra contro gli armadietti, massaggiandosi la schiena. “D’accordo. Volevo solo dargli un consiglio. Andiamo, Seb. Vieni, Holmes?”

 “Certo.” Disse Sherlock, ed andò via con loro, e John stava cercando di metabolizzare il tutto, il suo dolore (fisico ed emotivo), la sua rabbia, perché in quel momento era il sentimento più forte. Non nei confronti di Jim o di Sebastian, neanche nei confronti di Sherlock, ma nei suoi stessi confronti, per essere stato così stupido.
Era ancora per terra quando udì qualcuno correre verso di lui, alzò lo sguardo e vide Sherlock, sfocato, che sollevava il suo mento, esaminando il suo viso, guardandolo con attenzione. John afferrò la mano di Sherlock per toglierla e si alzò con le sue forze. Nonostante facesse male.

 “Stai bene, John?”

 “Sì.” Annuì, cercando di trovare i suoi occhiali ed evitando di guardare il moro.

Sherlock si chinò e prese gli occhiali, mettendoli con delicatezza sul viso di John. “Ecco, riesci a vedermi adesso?”

 “Puoi anche andare. I tuoi amici ti stanno aspettando.”

 “Gli ho detto di aver da fare. Ero preoccupato per te. Sicuro di star bene? Vuoi che ti porto in infermeria?”

Sherlock fissava John, era preoccupato, ma John scosse il capo. “No.”

 “Dimmi cosa posso fare, per favore.”

 “Lasciami solo! Lasciami in pace! E’ l’unica cosa che puoi fare per aiutarmi!” Urlò John, e Sherlock rimase lì a fissarlo, confuso.

 “Cosa? John, Io – “

 “Ascolta, lasciami in pace una volta per tutte. E’ tutto quello che mi serve: star lontano da te il più possibile!”

Dopo esser rimasto in silenzio per un momento, Sherlock guardò John e poggiò la sua mano sulla sua guancia e John tremò, dimenticò per cosa fosse arrabbiato e non avrebbe mai voluto che quella mano si spostasse. “Mi dispiace, John.”

Ma poi John capì di essere un completo idiota per aver creduto a Sherlock Holmes, per aver pensato che qualcosa potesse accadere tra loro due, per essersi fidato di lui, ed era di nuovo arrabbiato. Prese la mano di Sherlock e la tolse dalla sua guancia, guardandolo con sguardo serio. “Torna dai tuoi amici e lasciami solo.”

 “Ma John. Mi dispiace davvero. Per favore, credimi.”

 “No, non c’è niente di cui scusarsi. E’ vero. Tutto. Sarai sempre il teppistello ed io sono solo… John.”

 “Cosa significa?”

 “Che non c’è più spazio per l’amicizia, non c’è più spazio per niente per noi due. Ed è ok, è così che devono andare le cose.”

Sherlock era silenzioso, continuava a guardare John, e ciò rendeva le cose mille volte più difficili. Voleva afferrargli il viso, i capelli, le mani. Voleva stare con lui. Ma non poteva. Non avrebbe mai potuto. Si voltò ed andò via.

Ma Sherlock gli afferrò il braccio e fu costretto a voltarsi. “Mi dispiace, ma devi starmi a sentire, John.”

 “Cosa?”

 “Jim ti ha fatto male?” Sherlock esaminò ogni parte del corpo di John, e si sentì nudo ai suoi occhi, vulnerabile, piccolo.

John rispose, sospirando. “Te l’ho detto. Sto bene. E poi che t’importa?”

 “Mi importa.” Disse Sherlock.

 “Beh, non dovresti. Hai iniziato tu.”

 “Io… Cosa?” Il moro lanciò un’occhiata confusa a John.

 “Prima ero sempre tranquillo, mi preoccupavo solo delle lezioni, e non infastidivo nessuno. Questo fin quando TU non sei venuto a minacciarmi ed a rendere la mia vita un casino! E adesso tutti pensano che possono rendermi le giornate un inferno e prendermi a calci in culo. Ed è tutta colpa tua. Quindi non fingere che t’importi. Perché è tutta colpa tua.” John avrebbe dovuto lasciar perdere, ma era troppo doloroso.

Sherlock aprì la bocca per dir qualcosa, ma poi non disse nulla. La aprì nuovamente e guardò in basso. “Mi dispiace.”

 “Non dispiacerti. I teppistelli come te non si dispiacciono mai. Torna dai tuoi amichetti, gli mancherai di sicuro. Adesso lasciami in pace. Devo andare in classe. Addio, Holmes.”

Sherlock lasciò la presa e guardò John, incapace di dir qualcosa. John sistemò la sua felpa ed i suoi occhiali e continuò a camminare lungo il corridoio, costringendosi a non guardare Sherlock, che era immobile davanti gli armadietti. Il dolore alla schiena lo stava uccidendo. Ma almeno le cose erano state messe in chiaro. Non ci sarebbe più stato nulla, aveva messo un punto gigante tra lui e Sherlock ed era tutto a posto, eccetto la sua schiena e la sua testa. Doveva andare in quel modo tra loro due, giusto? E allora perché faceva così male?
Sospirò e continuò a camminare, chiedendosi se Sherlock fosse ancora dietro lui.

***

NOTE: PIANGOOOOOOOOOOOO. Ragazze, questo è un capitolo straziante. Quando l'ho letto ero tipo: ç________ç
Posso dirvi che ci sarà una svolta, la situazione non si risolverà presto... E poi, non so se sapete che questa fan-fic ha 50 capitoli! Io devo ancora finirla, sono al 38esimo capitolo e sono scioccata. Detto ciò, buona lettura e scusate il ritardo! Sono sommersa dallo studio! Baci xx

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Capitolo 9
*** Since I Don't Have You ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_



RIASSUNTO: “Vedrò sempre una facciata con te.”

 
SINCE I DON'T HAVE YOU


Sherlock non aveva mai avuto così bisogno di una sigaretta. Nemmeno quando litigava con Mycroft, nemmeno quando i suoi genitori fingevano di interessarsi di lui, nemmeno quando fu incolpato per l’incidente. Tutto quello era niente rispetto all’ansia che stava pervadendo il suo corpo, spingendolo a fumare. Doveva.
Arrivò all’angolo dell’edificio dove i professori non passavano quasi mai, e trovò Jim, Sebastian e Greg. Sia Jim che Sebastian stavano ridendo mentre Greg li guardava scocciato e fumava in silenzio. Sherlock sentì la rabbia aumentare, voleva prendere Jim a calci in culo. Perché era tutta colpa sua. Aveva rovinato tutto.
 
Sherlock considerò le varie opzioni, ed odiava interagire con quelle persone di merda che chiamava i suoi amici, ma aveva un disperato bisogno di una sigaretta.
 
Jim sorrise quando vide Sherlock ed era così calmo, e come faceva ad essere così calmo dopo aver colpito il ragazzo più incredibile della scuola? Pensò Sherlock.

“Hey! Perché ci hai messo così tanto? Avevi detto che saresti andato a prendere una cosa nel tuo armadietto…”

 “Che t’importa? Fatti da parte e lasciami vivere!” Disse Sherlock.

Jim rimase in silenzio, ma Sebastian si rivolse a lui. “Wow, qual è il tuo problema, amico! Gesù, calmati!”

Ma Sherlock non poteva calmarsi e quel che aveva detto Sebastian aveva reso le cose più difficili. Inoltre avrebbe dovuto fingere che fosse tutto a posto perché se non l’avesse fatto, le persone avrebbero iniziato a sospettare che il vero motivo della sua rabbia nei confronti dei suoi cosiddetti amici fosse John Watson. Era la base di tutti i problemi, di tutti i misteri. Ma ora era tutto perso, rovinato, ed aveva messo le cose in chiaro: “Fottiti. E lasciami stare.”
 
“Non c’è niente che non vada! Volevo solo fumare una cazzo di sigaretta senza la compagnia di tre idioti che non fanno altro che prendere di mira i più deboli per sentirsi più forti. Patetici.” Ooops. La sua rabbia era più forte della sua volontà.

 “Hey! Io non c’entro, non c’ero!” Si lamentò Greg.

Jim si voltò verso Sherlock e lo squadrò dalla testa ai piedi, prima di rispondere. “Non capisco perché ti impunti così tanto. Sei stato tu ad indicarci il ragazzo.”

Rimase in silenzio, chiedendosi perché diamine chiunque credesse che fosse tutta colpa sua. Ricordò le parole di John e realizzò che avesse ragione: stava bene fino a quando non incontrò Sherlock. Ovvio. Ovvio che fosse tutta colpa sua, e John aveva ragione. Non poteva succedere nulla tra di loro, qualunque cosa fosse, dovevano stare l’uno il più lontano possibile dall’altro. Era la cosa migliore da fare, l’unica cosa da fare.

 “… Esatto, Sherlock! Tu ci hai dato il via libera per prendere di mira quel tipo, adesso non venire qui a fingere di essere il suo salvatore!” Urlò Sebastian.

Sherlock gettò la sua sigaretta sul terreno perché era stanco. Guardò i suoi tre “amici”, pestò la sigaretta ed andò via, ma Greg urlò, fermandolo. “Aspetta, dove vai?”

 “Voglio stare solo, OK?” Disse Sherlock cercando di non sembrare scocciato e stanco e stressato e pieno di sensi di colpa, ma non funzionò.

 “Amico, calmati.” Disse Sebastian muovendo le mani per aria.

 “Voglio stare solo!” Disse sospirando.

 “Ma che cazzo? Qual è il tuo problema?” Disse Sebastian, chiaramente infastidito, stava per avvicinarsi a Sherlock quando Moriarty lo fermò, poggiando le sue mani sul suo petto.

 “L’hai sentito, lascialo solo.” Disse Jim calmo, fissando Sherlock.

Sherlock andò via; non era mai stato così arrabbiato con se stesso. Ovvio che fosse colpa sua, era stata colpa sua sin dall’inizio.

***

La schiena di John era ancora dolorante ed era ancora arrabbiato ma nonostante ciò non riusciva a togliersi il moro dalla testa. Sentiva ancora il calore della sua mano contro la sua guancia, la preoccupazione nella sua voce quando gli aveva chiesto se stesse bene, il modo in cui l’aveva guardato, ed era sembrato tutto così, così vero. Ma non era vero. Ovvio che non lo fosse. Lo Sherlock coglione e bullo e che aveva degli amici era il vero Sherlock, non il ragazzo simpatico che John pensava di aver conosciuto. Quello non esisteva. Era solo una maschera. Uno scherzo. Lui era questo per il moro: uno scherzo. E poi ricordò qualcosa che rese la sua giornata peggiore di quanto non lo fosse già: la punizione. Dannazione! Avrebbe dovuto i cancellini delle lavagne con Sherlock! Dopo quel che era successo quella mattina aveva un solo pensiero in mente: star lontano da lui il più possibile, lavorare insieme solo per il progetto perché dovevano, erano stati costretti, non perché volessero. La punizione non l’avrebbe aiutato.
Sospirò non appena prese il libro di biologia. Neanche la sua materia preferita l’aveva fatto sentire meglio, era triste, anzi, non proprio triste. Era arrabbiato, anzi, non proprio arrabbiato. Non riusciva a capire cosa fosse, ma poi capì: era solo deluso. E no, non da Sherlock. Era stato deluso da se stesso. Per aver permesso a Sherlock, quell’idiota, di entrare nella sua vita, di cambiarlo, di renderlo felice. No, non felice. Diverso. Irrimediabilmente diverso.
La lezione era finita e non aveva capito niente di ciò che il professore aveva spiegato, ma non gli importava (e ciò era un chiaro segno di come Sherlock lo avesse cambiato in così poco tempo) e dopo arrivò: la campanella. Pranzo. Un’ora prima della punizione. Era nervoso ma non aveva idea per cosa fosse nervoso. E dannazione. Non riusciva a togliersi Sherlock dalla testa.
 
Decise che la cosa migliore da fare fosse fingere che tutto fosse normale ed a posto e sorridere, anche se si sentiva uno schifo. Sedette con Mike ed i suoi amici al tavolo. Non riuscì a fare a meno di sbirciare il tavolo dei popolari, ovvero il tavolo del moro. Harry era lì, rideva. Probabilmente non aveva idea di cosa Jim avesse fatto al fratello, perché non l’avrebbe permesso. E poi c’era Jim. Serio, concentrato, non ascoltava nessuno. Sebastian lo guardava preoccupato, Greg stava mangiando senza far commenti. Nessun segno di Sherlock.
John sorrise, perché sapeva che quello era il momento in cui il moro trascorreva del tempo da solo a leggere i libri che gli piacevano, e sembrava sempre felice. Non sembrava mai felice quando stava con Jim, Sebastian e Greg. Solo quando era solo, o quando… Stava con John.
Ed un barlume di speranza si accese accanto al cuore di John, ma cercò di mandarlo via. Non voleva vedere Sherlock. Andò a quella dannata punizione solo perché doveva, ed era stata tutta colpa di Sherlock. Tutti i suoi problemi erano sorti per colpa di Sherlock.
Si trattenne dall’alzarsi e correre verso quella sedia che in qualche modo era diventato il posto d’incontro tra lui e Sherlock, perché gli mancava da matti. Strinse i pugni, e Mike guardò John preoccupato. “Amico, stai bene?”

“Sì, sì. Sono solo…” Triste? Col cuore spezzato? Deluso? “… Stanco.”

 “Lo siamo tutti. Ma stai calmo. La scuola è appena iniziata.” Disse dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.

E quel pensiero pervase la mente di John: era iniziata da meno di un mese e sembrava che avesse incontrato Sherlock una vita fa, il ragazzo che gli aveva stravolto la vita e che in quattro settimane gli aveva causato una marea di problemi. Diamine. “Sì è che… E’ troppo. Mike.”

 “Cosa?” Chiese Mike, perplesso.

“Tutto questo. La scuola, le decisioni, il futuro, la gente.” Sherlock, pensò. “E pensavo che avrei iniziato con tranquillità il nuovo ed ultimo anno e che tutto sarebbe stato chiaro, definito. Ma adesso sembra tutto perso, astratto, senza forma. Il futuro mi sembra così.”

 “Hey, non dire così!” Disse Mike gioiosamente, con il tono della sua voce voleva far star meglio John ma non funzionò. “Hai ancora molto tempo per capire tutto, ami la medicina, potresti essere un dottore.”

 “Non lo so, Mike. Non so neanche se mi piace o meno. Mi sento come se avessi perso tutti gli stimoli che avevo, e non posso tornare indietro,” disse giocando con il cibo, senza guardare Mike, e senza guardare il tavolo dei popolari, e senza guardare la porta, dove Sherlock forse lo stava aspettando? No. Certo che no. La campanella suonò e diamine. Sospirò e si alzò e si impose di esser forte, così da poter ignorare Sherlock. Era ovvio che Sherlock avrebbe fatto lo stesso. Ottimo.

Mike gli sorrise. "Ora di chimica, eh?”

 “No,” Disse John con un sorriso finto.

Mike si accigliò, “E di cosa, allora?”

 “Punizione.” Disse prendendo il suo zaino ed ignorando Mike, che lo guardava sorpreso.

 “Cosa?!” Disse Mike tra il terrore ed il divertimento.

 “Punizione.” Ripeté John senza guardarlo.

 “Posso chiederti cosa hai fatto, John Watson, per ricevere una punizione?”

Stava per rispondere quando si ricordò di Sherlock e di Jim e di tutto il resto e decise che fosse meglio non farlo. “Non puoi.” Disse sorridendo, un sorriso finto, ancora.

“Te lo spiego dopo. Non è una bella storia, comunque.”

 “Quindi andrai a pulire le lavagne…” Disse Mike ridendo.

 “La miglior cosa.” Disse John cercando di essere sarcastico e nascondendo il suo fastidio. “A dopo, amico.”

 “Hey! Riprenditi! E’ solo l’inizio.”

 “Ed è esattamente quello che mi preoccupa di più. Ciao.” Disse dirigendosi verso la porta. Udì delle risate provenire dal tavolo dei teppistelli non appena passò, ma decise che fosse meglio ignorarli, e continuare a camminare.

Girò l’angolo, quell’angolo e si prese di coraggio per guardare Sherlock. Era sulla sedia, ma il suo libro era chiuso, non stava leggendo, sembrava che stesse aspettando. John guardò da un’altra parte, mentre pensava non guardarlo, non guardarlo. Sherlock si alzò non appena vide il ragazzo, e corse verso lui. “John!”

Ma John continuò a camminare, ingorandolo. Sherlock si accigliò ed urlò più forte che poté, anche se era molto vicino al ragazzo. “JOHN!”

Non si voltò. Continuò a camminare. Il corridoio sembrava infinito.
Sherlock rimase lì fin quando non vide John sparire dalla sua vista.

***

 “Salve, signore.” Disse John non appena vide Mr. Hikes seduto, che correggeva i compiti che gli altri avevano consegnato durante la lezione.

Hikes guardò John e sorrise. “Oh, salve, Mr. Watson. Puntuale. Ottimo. Dov’è Mr. Holmes?”

 “Non lo so. Penso sarà qui a breve.” Disse seriamente.

“D’accordo. Ascolta,” Disse il vecchio uomo, alzandosi, dandogli una busta piena di cancellini da pulire. “Inizierete con queste. Sei in punizione perché devi sapere che ad ogni azione segue sempre una conseguenza e devi fare sempre le scelte giuste. Sempre. Sembri un ragazzo intelligente, ma devi fare le scelte giuste se vuoi arrivare da qualche parte.” John annuì.

Sherlock arrivò, entrò in classe calmo, a suo agio, rilassato, ovvero l’opposto di John. Aveva le mani dentro le sue tasche e sorrise (sorriso finto, e John lo capì subito) al professore, che guardò Sherlock ed annuì.
 
“D’accordo, adesso vi lascio lavorare. Verrò a controllarvi. Se avete bisogno di qualcosa, sarò nella sala professori.” Disse andando via. Eccola qui, la parte difficile. Pensò John, e non si stava riferendo al fatto che dovessero pulire i cancellini delle lavagne.
Non appena la porta si chiuse, Sherlock si avvicinò a John, ed erano così vicino, estremamente vicini, e John non poté evitare il contatto visivo, quegli occhi fissi su di lui. Provò a fare del suo meglio e a non reagire. “Ho bisogno di parlarti.”

“Non c’è niente di cui parlare, Holmes.” Disse John guardando in basso per evitare lo sguardo di Sherlock. Dopodiché si voltò e prese due cancellini ed iniziò a batterli insieme, iniziò subito a tossire. Ottimo, adesso non riesco a respirare e Sherlock Holmes è davanti a me e sto tossendo ed è così imbarazzante. Era l’unica cosa a cui John riusciva a pensare, ma poi l’attacco di tosse passò.

Sherlock prese i cancellini di John e sorrise, li mise via e protese le sue mani, afferrando quelle di John e John improvvisamente non ricordava come respirare, ma per una ragione totalmente diversa. “No, no, John. Devi aprire le finestre prima, o asfissieremo entrambi!” Disse sorridendo.

John guardò Sherlock per un momento, non fu in grado di dire nulla, tutto quello che voleva fare era guardarlo per sempre e tenere quelle lunghe, calde mani tra le sue, ma poi ricordò. “Ho bisogno del suo cervello intatto se voglio ottenere un buon voto.” Dannazione. Faceva male.
Si allontanò da Sherlock, e si voltò, il sorriso del moro svanì. “Bene. Le aprirò.” Disse John senza guardare Sherlock e camminando verso le finestre della classe.

 “John. Dico sul serio. Devo parlarti. Per favore, ascoltami.” Disse Sherlock con la sua profonda e seducente voce.

 “Ho altra scelta, Holmes?” Disse John guardando le finestre.

 “Smettila.” Disse Sherlock scuotendo il capo.

 “Smettere di fare cosa?”

John udì i passi di Sherlock, si stava avvicinando a lui, ma non si voltò, non reagì, si sentiva al sicuro accanto alla finestra. “Non chiamarmi Holmes. Lo sai che per te sono “Sherlock”, e per favore, lascia che ti spieghi.”

 “Non vedo perché dovrei chiamarti Sherlock, dal momento che lavoriamo solo ad un progetto insieme, sei solo un compagno di classe e nient’altro. Penso ti si addica di più ‘Holmes’”.

 “Io e te non siamo solo ‘compagni di classe', per citarti.”

 “E allora cosa sei?” Disse John guardando Sherlock. “Cosa sei per me, secondo te?”

Sherlock rimase in silenzio, confuso. “Il tuo… Amico?”

John sogghignò. “Il mio amico? E’ così che tratti i tuoi amici? No, grazie, passo!” Disse provando a nascondere il rancore e l’amarezza.

 “Ci tengo a te, John! Davvero. Non sei solo un classico amico per me, Johnny boy. Credimi.”

John scosse il capo, era rosso dalla rabbia. “No. Mi dispiace, ma non ti credo. Non ci credo che questo sia il vero te! Sai chi credo che sia il vero te? Quel ragazzo che è stato in silenzio senza far niente mentre venivo picchiato e spinto contro gli armadietti. Sì. Quello sembra proprio Sherlock Holmes.”

 “Cosa avrei dovuto fare?” Disse Sherlock esasperato, gesticolando.

 “Non lo so. Cosa fanno gli amici l’uno per l’altro?”

 “Non lo so, sei l’unico amico che ho.” Disse Sherlock con innocenza, sembrava così onesto, così sincero, che John sentì il bisogno di abbracciarlo, di toccarlo. Ma no.

Rimase in silenzio. “Beh, neanche io lo so. Quindi è meglio non avere amici, giusto?”

“No.” Disse Sherlock, afferrando John dal braccio. “Mi rifiuto, non voglio perderti. Non ti perderò. Non posso perderti. Mi rifiuto di lasciarti andare.”

 “Non vado da nessuna parte, sono ancora in punizione,” Disse John cercando di ignorare le mani di Sherlock che trattenevano il suo braccio, con delicatezza.

 “Sai cosa intendo, John. E non permetterò che accada. No. Non posso fingere di non averti mai conosciuto. Perché tutto è cambiato.”

 “Beh, penso che sia la cosa migliore che possiamo fare.” Disse John muovendo le sue braccia così da scansarsi dalla presa di Sherlock. “Solo compagni di classe. Com’è giusto che sia.”

 “Non voglio che tu sia solo un compagno di classe, John.”

 “E allora che vuoi da me?” Disse John guardando Sherlock negli occhi.

 “Non voglio niente da te, voglio TE!” Urlò Sherlock.
 
John rimase in silenzio, guardando il moro, sembrava così reale. Ma no. Ignorò quel che aveva appena sentito e disse a se stesso che ovviamente aveva sentito male.

“Abbiamo del lavoro da fare. Faremmo meglio a sbrigarci.” Disse riprendendo i due cancellini per terra.

Sherlock glieli tolse, di nuovo, e fissò John. “Mi hai sentito. Smettila di fingere di non averlo fatto.”

 “Ti ho sentito. Semplicemente non voglio rispondere. Quindi pulirò questi cancellini e starò zitto e tu farai la stessa cosa.”

Sherlock sorrise e squadrò John dalla testa ai piedi. “Non è un’opzione.”

 “Io credo che lo sia.”

Sherlock scosse il capo. “No. Ti rifiuti di rispondere perché sai che è esattamente come dico io, e sai che è esattamente quel che volevi sentire. Ed io te l’ho detto.”

 “Vedo ancora una sola facciata, Sherlock. Vedrò sempre una facciata con te. Non otterrò nient’altro.”

 “Non sono d’accordo.”

E Sherlock si avvicinò, così tanto che John riuscì quasi a sentire le sue labbra, e tra le sue mani aveva afferrato il suo viso e gli era mancato, stava diventando dipendente da ciò, e non poté fare a meno di chiudere i suoi occhi. Ma poi ricordò le parole, le sagge parole del professor Hikes: doveva fare la scelta giusta, ma qual’era? “Ho bisogno del suo cervello intatto se voglio ottenere un buon voto.” Ecco la risposta.

 “No.” Disse John togliendo le mani di Sherlock sul suo viso. “No, Sherlock, non posso.” Aveva paura che fosse la sua ultima occasione con Sherlock. Pensava che il moro sarebbe andato via e che avrebbe lasciato per sempre John.

Ma Sherlock fece solo spallucce. “Almeno mi hai chiamato Sherlock, Johnny boy. E’ già un inizio.” Disse facendogli l’occhiolino e John non poteva essere arrabbiato con lui. Era impossibile.

 “Stai zitto.” Disse John, sorridendo.

 “Fammici stare tu.” Disse Sherlock guardando John, parlando a bassa voce, con quel tono seducente, il bastardo sapeva come rimettere a posto le cose.
Ma invece di un bacio, John tirò un cancellino contro la sua giacca nera, e si sporcò di gesso bianco, e John stava tossendo mentre rideva e beh… La giacca di Sherlock era rovinata.

Sherlock spalancò i suoi occhi e guardò John. “La pagherai cara.”

E John ebbe un flashback: la prima volta che si erano incontrati. Pensò che il moro avesse recuperato la sua sanità mentale e si aspettava un pugno, ma invece di un pugno, gli tirò il cancellino in faccia. Ed era diventato cieco. Beh, c’era gesso sulle lenti degli occhiali.

John rise, si tolse gli occhiali e li pulì con la sua maglietta. “Possiamo comportarci come le persone normali, per favore?”

Sherlock sorrise mentre puliva la sua giacca, “Mi rifiuto di farlo come mi rifiuto di lasciarti andare.”

 “Mi sembra giusto.” Disse John, chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta o no.

***

NOTE: Duuunque, vi ho fatto questa piccola sorpresina pubblicando oggi il capitolo nuovo! Avrei voluto postare anche il decimo, ma non ho tempo al momento. Probabilmente riuscirò a postare dopodomani. Che ne pensate? Io dico solo che questo loro stuzzicarsi mi uccide. E voglio che si saltino addosso. HAHAHA.

Buona lettura creature! xx

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Capitolo 10
*** All Shook Up ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
RIASSUNTO: "... Eri tu!"
ALL SHOOK UP

 
Quando John e Sherlock finirono, erano quasi le 16, ciò significava che Mr. Hikes non ci avrebbe messo molto ad arrivare ed a lasciarli liberi di andare. Non che fossero annoiati, anzi, John pensò che non si divertiva così da molto. Dovevano pulire i cancellini, ma si fermavano spesso per tirarseli addosso, per poi pulirsi e ridere, parlarono molto, e John dimenticò completamente di esser stato arrabbiato con Sherlock qualche ora prima.

Stavano pulendo gli ultimi cancellini quando Hikes entrò. “Holmes, Watson. Sedetevi.”

John era terrorizzato dal tono di voce del professore.

Hikes prese il progetto di John e Sherlock e John prese un respiro profondo. Abbiamo perso. Non gli piace. Che faremo? Il suo cervello era inarrestabile.

 “… Ho letto il vostro compito.”

 “E?” Disse Sherlock, guardandolo speranzoso.

Hikes abbozzò un sorriso e disse: “Mi è piaciuto. Voglio congratularmi con voi. Mi piace l’argomento che avete scelto ed il modo in cui avete deciso di approcciarvi ad esso. Ottimo lavoro, devo ammettere che avevo i miei dubbi sulla riuscita di questo lavoro... E’ chiaro che facciate una bella coppia.”

John sorrise e guardò Sherlock, che gli fece l’occhiolino. John provò a fermare quei pensieri in cui stava annegando la sua mente dopo quell’occhiolino da parte del moro e cercò di ascoltare il professore. “… Avete sicuramente fatto progressi dalla prima bozza, tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare, ma se continuerete così, farete un lavoro eccellente.”

Sherlock sembrava più meravigliato di John. “Grazie, signore.” Mormorò il moro.

 “Potete andare adesso. Ma fareste meglio a lavorare la prossima volta in classe. Chiaro?”

John annuì, Sherlock non disse nulla, si alzò ed andò via.

Hikes si alzò e John fece lo stesso, e disse: “Arrivederci, signore. Grazie, e le porgo le mie scuse.”

Non appena andò via, subito dopo Hikes, realizzò che Sherlock fosse da qualche parte lì vicino. Si accigliò. Non aveva idea di come lo sapesse, ma quasi sapeva che il moro lo stesse aspettando agli armadietti. Si sentì deluso quando non lo trovò lì.

 “Cerchi qualcuno, Johnny boy?” Sussurrò Sherlock contro il suo orecchio e John si voltò per vedere chi fosse, quando vide Sherlock proprio dietro di lui. Come ci era riuscito?

 “Sì… Un ragazzo con cui devo studiare, ed è così fastidioso…” Disse John, sorridendo.

Sherlock si accigliò. “Ah, sì? Beh, pensa che il ragazzo con cui devo lavorare io è una vera rottura di coglioni.”

“Hey!” Protestò John, sorridendo.

 “Hai iniziato tu!” Ridacchiò Sherlock.

 “Quindi, abbiamo fatto un ottimo lavoro…”

 “Ovvio.”

 “Sei così sicuro di te stesso, Sherlock. Come fai ad essere sicuro di ogni dannata cosa? Come fai ad essere così rilassato? Non tutte le ciambelle riescono col buco!”

“Non esattamente, Johnny boy. Ma c’è una cosa che mi aspettavo che finisse bene, molto bene.”

 “Cosa?” Chiese John.

 “Hikes ha ragione, sai?”

 “Su cosa?”

“Io e te, lavoriamo molto bene, insieme.” Disse Sherlock con un sorriso.

John sorrise. “Non ne sarei così sicuro.”

 “Facciamo qualcosa per festeggiare.” Disse Sherlock d’istinto, voltandosi verso la porta.

John si sentì leggermente in soggezione, ma seguì il moro. “Tipo cosa?”

 “Caffè?”

 “Seriamente?”

Sherlock guardò John. “Che c’è di così assurdo nel voler prendere un caffè?”

 “Il bar è troppo lontano, Sherlock.”

 “Cammineremo.” Disse Sherlock, sorridendo.

 “Ma la mia macchina è parcheggiata qui, possiamo usarla.”

 “Voglio passeggiare con te. Ti sembra davvero così strano?”

 “Beh, sì. Ma sono abituato alle tue stranezze. Andiamo.”


***


Dopo una lunga camminata, arrivarono finalmente al bar che non era affatto nello stile di John. All’entrata, vi era una grande macchina dipinta sulla parete, rock’n’roll in sottofondo ed il pavimento era bianco e nero: una sorta di pista da ballo viste le persone che ballavano. Guardò Sherlock contrariato, ma il viso del moro si era illuminato. John sorrise.

 “Non preoccuparti, siamo qui solo per un caffè. Non appena li prenderemo, andremo via.” Disse Sherlock non appena vide l’espressione di John.

 “No, davvero, va bene. Possiamo restare, se ti va.”

 “So che non sei a tuo agio, Johnny boy. Magari ti porterò qui un altro giorno, quando ti piacerà il rock’n’roll.”

 “Odio deluderti, ma non penso che accadrà mai.” Disse John, scuotendo il capo, ed alzando il tono della sua voce perché la musica del jukebox era incredibilmente forte.

Sherlock sorrise ed ordinò due caffè, e non appena furono serviti, andarono via. John aveva capito – dall’espressione del moro, che volesse rimanere lì, ed era tentato di lasciarlo lì, ma voleva trascorrere quanto più tempo possibile con Sherlock.
Iniziarono a camminare verso scuola, bevendo i loro caffè, in silenzio. Stranamente non era un silenzio imbarazzante, anzi era piacevole, ma John sentì il bisogno di romperlo e dir qualcosa. “Potevamo restare, sai?”

 “Mh?” Disse Sherlock, voltandosi per guardarlo.

 “Potevamo restare lì, se volevi…”

 “Saresti rimasto?” Disse Sherlock, incredulo.

 “Beh, per te, lo farei.” John sorrise.

Sherlock sorrise e scosse il capo. “Ad esser sincero, avevo paura che te ne fossi uscito con qualcosa di stupido come il tuo Elvis di colore. Ecco perché ho deciso di non restare.” Disse Sherlock, ridendo di gusto.

John lo guardò, non era divertito tanto quanto lui. “Questa battuta è già diventata vecchia.”

 “Oh no, penso che tra cinquant’anni sarà ancora divertente.”

 “Pensò che tra cinquant’anni le persone non sapranno chi diavolo fosse Elvis.”

Sherlock spalancò i suoi occhi e ridacchiò. “Rimangiati tutto quello che hai detto, John Watson!”

 “No, Sherlock. Come la mettiamo?”
 
Ed in quel momento John realizzò quanto fossero cambiate le cose con il moro, due settimane prima non si sarebbe mai permesso di dire una cosa simile, ma adesso, in qualche modo, si fidava di Sherlock.
Il moro smise di camminare, forzando John a fare lo stesso, sorrise, poggiò i caffè per terra e si avvicinò a John, che lo guardò perplesso. Poco dopo sentì le dita del moro sul suo corpo ed iniziò a ridere: Sherlock gli stava facendo il solletico!

 “No! No! No!” Disse John mentre rideva. “Smettila, adesso! E’ un ordine!”

Anche Sherlock rise. “Non mi fermerò, soldato, fin quando non ti rimangerai quel che hai detto!”

John non riusciva a smettere di ridere. “No. Non me lo rimangerò!”

“Va bene, continuerò a farti il solletico, e potrei farlo per sempre.” Disse con un sorriso.

 “D’accordo, d’accordo!” Disse John ridendo, ancora. “Mi rimangio tutto!”

Sherlock smise di solleticargli i fianchi e John realizzò subito che gli mancava il tocco delle dita di Sherlock sul suo corpo, inoltre erano molto vicini e poteva sentire il suo petto poggiare contro quello dell’altro. “Cosa ti rimangi?”

John sospirò, “Mi rimangiò quel che ho detto su Elvis.” Disse, senza azzardarsi a guardare Sherlock negli occhi. Scelse, invece, di guardare il suo petto, quella camicia sotto la sua giacca di pelle, le sue clavicole e… “E’ una cicatrice?” Disse toccando la sua pelle, la cicatrice era appena percepibile al tatto, proprio accanto la sua clavicola.

Sherlock sobbalzò. John ritirò la sua mano immediatamente. “Scusa.”

 “No, non fa male. E’ che… La odio.”

 “E’ molto recente, Sherlock. Direi più o meno di due o tre mesi fa.”

Sherlock sorrise, guardando John. “Vedi? Saresti un ottimo dottore.”

 “Posso chiederti cos’è successo?”

 “Un incidente, Johnny boy. Qualcuno mi ha investito, stavo andando via da una festa, ma giuro, non ero ubriaco, e l’unica cosa che ricordo è che un paramedico mi ha portato via dalla macchina e sono stato portato in ospedale e mi sono svegliato due giorni dopo con questa cicatrice.”

 “Ma stai bene adesso, giusto? Ti fa male?”

 “Sto bene. Cioè… A volte ho dei dolori alla gamba, ma passeranno, prima o poi.”

 “Ecco perché non puoi guidare!”

 “Beh, i miei genitori dicono che sia stata colpa mia e che sono stato fortunato e bla bla bla. Quindi mi hanno tolto la cosa a cui tenevo di più: mi hanno proibito di usare la macchina.” Disse alzando gli occhi al cielo.

 “E da quando segui le regole?” Disse John con un sorriso.

 “Non lo faccio, ma ho paura ogni volta che mi avvicino ad una macchina. Perciò preferisco non sfidare il destino.”

John sorrise, ma improvvisamente spalancò gli occhi e guardò Sherlock accigliato, come se avesse appena capito qualcosa. “Aspetta. Sherlock, quando hai detto che è successo?”

 “Tre mesi fa.”

 “… E stavi andando via da una festa.”

 “Sì, era in città.”

John guardò Sherlock con sospetto. “Che macchina avevi, Sherlock?”

Sherlock guardò in basso, poi sospirò come se stesse per parlare di qualcosa di estremamente doloroso. “Oh. La mia macchina. Mi manca il mio gioiellino. Mi manca da morire. E’ stata il mio regalo di compleanno. Il mio sedicesimo compleanno. Una Cadillac! ElDorado, 1954. Era completamente inutile dopo l’incidente, così i miei genitori l’hanno fatta rottamare. Tra tutte le cose riguardanti l’incidente, ciò che mi fa più male è aver perso la mia macchina.”

Sherlock guardò John, e sembrava sommerso nei suoi pensieri. “Cadillac nera?” Chiese John.

 “Cadillac nera.” Disse Sherlock annuendo.

Ovvio che fosse una Cadillac nera. Quella Cadillac nera completamente distrutta tre mesi prima.
John chiuse i suoi occhi e poggiò la sua testa contro il petto di Sherlock mentre mormorò qualcosa che il moro non riuscì a sentire. Poi John alzò il tono della sua voce.

“… Eri tu!”

Sherlock era confuso. “Ero io cosa?”

John scosse il capo e continuò a ripetere: “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace Sherlock.”

 “Cosa? Di cosa ti dispiaci?”

John guardò Sherlock, sollevando il capo e disse: “E' stata Harry.”

 “Cosa?”

 “E’ stata Harry a causare l’incidente! Dio, mi dispiace, mi dispiace tanto. Eri tu quello nell’ambulanza. Dio, Sherlock. Ti ha quasi ucciso.”

John continuò a scuotere il capo e provò a cacciar via le lacrime che rigavano il suo viso. Perché ricordava, ricordava il momento in cui aveva ricevuto la chiamata dalla polizia ed erano arrivati sul luogo dell’incidente, dove c’era una macchina completamente distrutta, mentre la macchina di Harry sembrava in buone condizioni, e lei era così ubriaca che non riusciva neanche a ricordare il suo nome. Una delle prima cose che ricordava quando pensava all’incidente era la persona nell’ambulanza, con gli occhi chiusi, sanguinante, che sembrava che non ce l’avrebbe fatta. Ed in quel momento quei ricordi erano insopportabili perché era Sherlock, e l’aveva quasi perso ed era stata tutta colpa di sua sorella.
Sherlock afferrò John per le spalle e lo avvicino a sé. Il suo capo fu nuovamente poggiato contro il petto del moro, e si concentrò ad ascoltare il battito del suo cuore.

“Mi dispiace, mi dispiace…”

 “Hey!” Disse sherlock, accarezzando i capelli di John. “Va tutto bene. Non devi scusarti. Sto bene. Sono qui, sono qui con te.”

 “Sì, ma ti ho quasi perso senza neanche incontrarti, tutto per colpa di mia sorella!”

 “Non preoccuparti, John. Non hai fatto nulla di sbagliato. Non potevi comunque evitare che accadesse. Non è colpa tua.”

 “Io sono solo… Sono…” Le lacrime rigarono il suo viso, e John non riusciva a fermarle, bagnarono la camicia di Sherlock.

 “Shh… Shh… Va tutto bene.” Sussurrò Sherlock, rifiutandosi di lasciare andare John.

 “Sono stanco di tutto ciò. Ai miei genitori non importa nulla, e lei peggiora sempre di più ed io non posso aiutarla. E mi sento… Inutile.”

Rimasero lì per molto, ma quando John si sentì un po’ meglio, asciugò le sue lacrime e si scansò delicatamente dalla presa di Sherlock. Il moro lo prese per mano e disse: “Andiamo, torniamo a scuola.”

John annuì e continuarono a camminare.

***

“Sei sicuro di star bene?” Chiese Sherlock a John non appena arrivarono a scuola. John era stato in silenzio per tutto il tragitto e Sherlock lo guardava, preoccupato.

“Sei sicuro tu di star bene?” Disse John, guardando Sherlock.

Sherlock lo rassicurò, sorridendo ed annuendo. “Sto bene. E’ stato tempo fa, mi manca solo… Guidare la mia macchina, ascoltare rock’n’roll mentre guido, sentirmi invincibile. Ma sto bene.”

John guardò Sherlock. “Sherlock! Hai portato Harry a casa, ricordi? Perché l’hai fatto? Eri ubriaco! Sarebbe potuto accadere qualcosa…”

 “Lo so, lo so! Ma ero ubriaco e volevo vederti e non potevo farlo senza una scusa. Ero terrorizzato, ma alla fine mi sono sentito bene. Amo guidare, John. Davvero.”

John rimase in silenzio per un momento. “Andiamo.”

 “Dove?”

 “A prendere la mia macchina. Guiderai tu. Ma solo per questa volta, va bene?”

Il volto di Sherlock si illuminò dalla gioia. “Sei sicuro?”

 “Certo che sono sicuro.”

 “Ti fidi così tanto di me, Johnny boy?”

 “Certo che sì.”

Quando arrivarono al parcheggio, Sherlock spostò il suo sguardo su John. “Sei sicuro?”

John sorrise. “Me ne pentirò?”

 “Non credo proprio.”

 “Allora sì, sono sicuro. Adesso sali in macchina prima che cambi idea!”

 “Va bene, va bene!”

Entrarono in macchina. Sherlock sedette sul sedile del guidatore. Il sedile del guidatore. Di nuovo. Toccò il volante con delicatezza, e prese un respiro profondo. John lo fissò e sorrise, chiedendosi come potesse essere così fortunato da avere Sherlock Holmes nella sua macchina.

Sherlock la accese, accese la radio e guardò John. “Ti dispiace?”

John scosse il capo. “Affatto. Puoi fare quel che vuoi.”

 “Rock’n’roll, allora.”

Ed a John non importava, perché Sherlock era lì ed era con lui ed era incredibile.

 “Quindi, casa tua.” Disse John.

 “Ovviamente.” Disse Sherlock con un sorriso.

Dopo un lungo tragitto, John capì che quella non fosse la strada per andare a casa di Sherlock. “Aspetta, aspetta, aspetta. Sherlock! Dove stiamo andando?”

Sherlock sorrise. “Ci hai messo tanto per capirlo, Johnny boy!”

 “Dove stiamo andando? Diamine! Lo sapevo che avresti fatto qualcosa del genere!”

 “Ovvio che avrei fatto qualcosa del genere! Adesso zitto e goditi il tragitto senza chiedermi altro.”

 “Una sola domanda.”

Sherlock sospirò. “D’accordo.”

 “Stai per rapirmi?”

Sherlock rise. “Deducilo tu.”

***

John non poté fare a meno di sorridere non appena vide il luogo in cui Sherlock si fermò: MBE Records. Molta gente andava lì. “Lo vedi? Oh sì, John. Sono a casa.”

John lo guardò confuso. “Cosa facciamo qui?”

 “Faremo shopping!” Disse Sherlock, eccitato. Era la prima volta che lo vedeva così emozionato.

"Shopping?"

“Questo-“ disse muovendo le mani per aria non appena scesero dalla macchina. “- è il posto in cui compro tutto. Tutto. Hanno i vinili più fighi del mondo!”

 “Quindi mi hai portato qui affinché ti consigli nuovi artisti o cosa…?”

Sherlock camminò rapidamente ed entrò nel negozio. “No, no, Johnny boy. C’è un concerto oggi! Una nuova band! Ho visto la locandina oggi ed ho pensato ti potesse far piacere questa sorpresa. Che ne pensi? Ti va? Compriamo dei vinili ed ascoltiamo della buona musica?”

John guardò Sherlock con uno sguardo serio. “Oh, mi conosci così bene. Sai esattamente cosa voglio!”

“Sarcastico?”

 “Pensavo fosse ovvio.”

Sherlock prese un respiro profondo. “Oh, andiamo John! Sto cercando di scusarmi per ciò che è accaduto oggi.”

John stava per chiedergli cosa fosse accaduto “oggi” ma poi ricordò, ed immediatamente la sua schiena iniziò a fargli male. Il moro tenne lo sguardo fisso su di lui. “Non devi scusarti.”

 “No, ma voglio. Andiamo, ti prometto che ci divertiremo!” Disse Sherlock stringendo la mano di John per trascinarlo all’interno del negozio.

John provò ad ignorare i pensieri che stavano invadendo la sua mente mentre teneva la mano del moro, che non appena si avvicinò a dei ragazzi che guardavano degli LP, lasciò la presa. A John mancò subito il tocco di Sherlock, che sembrava essere leggermente a disagio.
E ciò rendeva John a disagio il doppio.

 “Possiamo andare, se ti vergogni.”

Sherlock scosse il capo. “Non mi vergogno. Sto solo portando un amico a comprare delle cose ed a vedere un concerto. Cosa c’è da vergognarsi?”

 Forse il fatto che hai appena detto ‘un amico’?

John arcuò il sopracciglio. “Niente. Hai ragione. Non c’è niente di strano. Stai solo portando un amico. Certo.”

 “Ti senti a disagio?”

John finse di non aver sentito la domanda perché non voleva rispondere e decise di rispondere con un’altra domanda. “Chi suonerà?”

Sherlock sorrise ma i suoi occhi stavano ancora osservando il luogo, senza guardare John.

“Mh?” Disse, chiaramente distratto.

John alzò gli occhi al cielo ma decise di rispondere con nonchalance. “Ti ho appena chiesto chi suonerà oggi.”

Sherlock lo guardò. Finalmente. Ma sembrava riluttante. Vergognato. Diverso. “Johnny Adams and the Nightcats.”

John rise. “I cosa?”

 “Sono bravi! Giuro!” Disse prendendo una sedia e sedendo ad un tavolo vicino al palco.

 “Mhm… Non ti credo.” Disse John scuotendo il capo, sorridendo e sedendo di fronte a lui.

Ed in un altro momento, in un altro luogo, in un’altra situazione, il moro avrebbe risposto diversamente, ma in quell’istante, quando dei fighettini passarono e guardarono accigliati John, Sherlock disse: “Come vuoi. Credi a quel che ti pare.”

Oh guarda chi è tornato! Sherlock Holmes il teppistello! Pensò John, sbuffando.

John si alzò immediatamente. Ne aveva abbastanza. Era stanco di tutto ciò. Di Sherlock e del suo essere lunatico e delle sue mille personalità.

Il moro lo guardò ed inclinò il suo capo. “Problemi?”

 “Dimmelo tu.”

Sherlock lo guardò per un momento e sorrise compiaciuto, sebbene fosse confuso. John si voltò e disse: “Ci vediamo dopo.”

Andò fuori dal negozio, era furioso. Davvero furioso. Sherlock Holmes era un idiota, un momento prima era la persona più incredibile nel mondo ed un momento dopo guardava John come se fosse uno strambo maniaco.
Ma non voleva discutere con lui. Non voleva essere arrabbiato con lui. Voleva solo stare con lui. Gli era piaciuto ogni singolo momento trascorso al suo fianco. Beh, più o meno. Non appena uscì dal negozio, rimase immobile, prese un respiro profondo, si calmò ed entrò in macchina, aspettando che Sherlock uscisse, perché sperava che il moro avrebbe realizzato di quanto fosse insensato discutere per poi scusarsi con John. E John non si sarebbe scusato, perché aveva tutto il diritto di lamentarsi. Giusto?

Ma si sbagliava. Il moro non lo capì.

***

NOTE: ODIO SHERLOCK. Non capisco. E' bipolare?! Povero John... Anche se a volte mi sembra abbastanza permalosino! AHAHA. Che ne pensate? 
Volevo ringraziare chi sta seguendo questa storia, sono davvero contenta. Scusate se a volte ritardo nel rispondere alle recensioni, ma sappiate che le leggo tutte e spesso non ho tempo per rispondere! Il vostro supporto significa molto. Grazie, appunto, anche per le recensioni, veramente. Mi impegnerò al massimo per portare avanti questa traduzione! Un abbraccio e un bacino, xx


 

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Capitolo 11
*** In The Still Of The Night / It's All In The Game (Cap. 11 - 12) ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_



RIASSUNTO: “Perché te ne sei andato?” (CAP. 11)
 
IN THE STILL OF THE NIGHT
 
Dopo aver aspettato per più di un’ora, John sospirò ed accese la macchina e la radio, sintonizzandola s’un canale di musica classica. Beethoven. Molto meglio di… Qualunque fosse quel tipo di musica. Mentre ascoltava la melodia, John si chiese cosa avesse nella mente nel momento in cui aveva “deciso” di provare qualcosa per Sherlock. Perché a quel punto non c’era motivo di negarlo. Provava qualcosa per Sherlock. Ma era sbagliato e stupido ed irrazionale e non sarebbe accaduto più niente tra di loro. Sì. John annuì convinto. Sarebbe andato oltre quella fase di stupidità.
La melodia era finita e lo speaker iniziò a parlare. Disse che erano le 19 in punto.
John spalancò gli occhi.  I suoi genitori l’avrebbero ucciso.

 “Se… Sette?!”

Le sette, ed era lunedì! Doveva fare i compiti! I suoi genitori pensavano che sarebbe andato solo al club di chimica! Che in teoria finiva alle quattro! Come gli avrebbe spiegato che si era perso l’incontro al club per via di una punizione e che aveva trascorso le ore rimanenti con un ragazzo che perlopiù aveva anche la colpa della punizione? Avrebbe fatto meglio a trovare una scusa, ed in fretta.
Ma era John Watson. Non poteva mentire ai suoi genitori. Non sapeva neanche come fare.

***

Non appena raggiunse casa, John vide Harry camminare in strada. Quando sua sorella vide la macchina, iniziò a corrergli contro, forzando John a frenare energicamente.

Mosse le mani per aria. “John! Dove diavolo eri?! La mamma ha chiamato tutto il vicinato! Ha anche chiamato il tuo amico! Quello cicciottello!”

 “Mike?” Chiese John.

 “Sì, sì, lui!” Disse aprendo la portiera della macchina, entrando all’interno di essa. John sospirò. “Adesso dimmi, dove sei stato?”

Pensa a qualcosa, John. Una bugia. Una bugia credibile.

 “… Punizione.” Riuscì a dire John dopo aver pensato per un po’.

 “Credi davvero che “punizione” sia una buona scusa?” Disse Harry ridendo. “Le punizioni non durano fino alle sette, stupido!”

 “Ma ho davvero ricevuto una punizione, Harry.” Disse John, preoccupato.

 “Lo so! Mike l’ha detto alla mamma. Non ne è felice. Io lo sono, invece. Finalmente hai fatto qualcosa di sbagliato, per una volta!” Disse, sorridendo.

 “Non è… Non è stata colpa mia.” Protestò John.

 “E allora di chi è la colpa?”

 “… Di Sherlock.”

Harry spalancò i suoi occhi. “Ecco con chi eri!”

 “Non ho detto che fossi con lui!”

 “Ma è ovvio! Che cazzo, John, davvero? Ti ho detto di stare alla larga da quel ragazzo!”

 “Io… Perché?”

 “Perché cosa?” Disse Harry guardando John.

 “Perché mi stai avvertendo?”

 “Perché… Perché sì! Non mi fido di lui! Non penso abbia una buona influenza su di te! Non lo conosco abbastanza, ma conosco Jim e lui porta solo guai. Immagino che il tuo Sherlock non sia diverso da lui!”

John sentì la rabbia pervadere il suo corpo, per via di Jim, di Sherlock, di Harry. Ricordava la cicatrice di Sherlock. E sua sorella, ubriaca, stava guidando la macchina. L’ambulanza si era fermata, le luci, il rumore, il sangue… Sherlock.

 “Zitta! Zitta e basta! Perché qualunque cosa sia, chiunque sia, non sarà mai peggiore di te!”

Harry sbatté le palpebre ripetutamente, sorpresa. “Cosa?”

 “Eri drogata, ubriaca, davvero non ricordi? Come puoi non ricordare… Come puoi non ricordarti di lui? Non ti fa male? Non ti senti in colpa? Perché mi sento più in colpa io? Non sono stato io a farlo! E’ stata colpa tua! Tu sei specializzata nell’arrivare e rovinare tutto, Harry! E ottimo lavoro, l’hai quasi ucciso!” Urlò John, muovendo le sue mani per aria. Non voleva essere troppo duro con sua sorella, ma non poteva farne a meno.

 “Di che diamine stai parlando?” Urlò sua sorella.

 “Sto parlando dell’incidente! Ti ricordi? O eri troppo ubriaca?”

Harry guardò in basso, come se il ricordo di quella notte la stesse distruggendo. Chiuse gli occhi, mordendo il suo labbro. “… Certo che ricordo, John! Mi tormenta!” Disse con calma.

 “Beh, tormenta anche Sherlock.” Disse John, fissando la sorella e chiedendosi perché stesse difendendo Sherlock quando avrebbe dovuto fare l’esatto contrario, non avrebbe neanche dovuto pensarlo.

Guardò John e socchiuse gli occhi. “Aspetta… Cosa?”

 “Lui era lì. Era la sua macchina. Hai investito lui.”

Scosse il capo. “Io – io…”

John prese un respiro profondo. “Ascolta – “

 “Mi dispiace, John.”

John sbatté le palpebre, non si aspettava quelle parole da sua sorella. “Va bene così. Cioè… Sono solo preoccupato per te, Harry.”

 “Non c’è niente che non vada in me!” Disse sulla difensiva.

 “Sei alcolizzata!”

Lo guardò attonita, provando a trattenere le lacrime che si stavano formando sui suoi occhi e non disse una parola. Aprì la portiera ed uscì dalla macchina, chiudendola violentemente. Il rumore fece sobbalzare John, ed accese nuovamente la macchina.

***

La porta di casa si aprì, e dall’entrata John vide sua madre, seduta in cucina, con le mani sulla testa, il telefono accanto a lei, aspettando notizie. Non appena entrò, lei corse verso il figlio. “John Hamish Watson, dove sei stato?” Disse, con tono furioso.

John rimase in silenzio provando a pensare a qualcosa da dire. Niente.
Sua madre lo abbracciò, lui rabbrividì e sospirò quando avvertì il dolore sulla schiena, dovuto alla rissa con Jim. Beh, non esattamente una rissa. Sua madre lasciò la presa e lo guardò, preoccupato, racchiudendo il suo viso tra le mani, fissandolo e controllando che non avesse lividi. “Cos’è successo, John? Qualcuno ti ha fatto male?”

John le rivolse un sorriso rassicurante e scosse il capo. “No, no, mamma. Sono… Sono solo stanco, tutto qui.”

 “Sono felice che tu stia bene perché mi devi delle spiegazioni!”

Diamine.

 “Punizione?” Disse portando le sue mani sui fianchi.

 “Io…”

 “Sono le 20.30! Ho mandato Harry a cercarti!”

 “Io…”

 “Hai idea di quanto fossi preoccupata? Ho pensato al peggio!”

 “Dov’è papà?” Chiese John, lanciando un’occhiata alla cucina.

Sua madre incrociò le braccia. “Non è ancora tornato.”

John sapeva cosa significasse.

Guardò John ed aggrottò le sopracciglia. “Devi ringraziare Dio che non sia tornato! Adesso spiegami tutto!”

John prese un respiro e si calmò. “Ok… Per prima cosa, la punizione non è stata colpa mia, tecnicamente…”

 “E di chi?” Sua madre lo guardò, sospettosa.

 “Ci arriverò. Secondo, Harry non tornerà per un po’.”

 “Perché?”

 “Mamma, mi lasci spiegare? Terzo, non stavo facendo niente di male, non preoccuparti.” Beh, non era una bugia quella. Era solo scappato con un ragazzo e dopo ci aveva discusso e non ci avrebbe parlato mai più. Il solo pensiero spaventò John.

 “Beh?”

 “Beh cosa?” Chiese John dopo esser stato zitto per un po’.

 “Sto aspettando delle spiegazioni…” Disse arrabbiata.

Certo, ovvio, la spiegazione.

***

 “Posso portarle qualcosa da bere?” Chiese la cameriera.

Sherlock non rispose. Era silenzioso, guardava il posto vuoto di fronte a lui e si chiedeva cosa fosse successo e perché John avesse fatto quella scenata. Scosse il capo e guardò la ragazza che aveva parlato poco prima. “Scusi?”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Ho detto se posso portarle qualcosa?”

 “Un caffè andrà bene.”

Johnny Adams and the Nightcats iniziarono a suonare, ed erano bravi, molto bravi. Ma Sherlock non stava prestando attenzione. La sua mente era altrove, e odiava ciò.
Era sicuro che fosse dovuto a quel che era successo quella mattina, e non aveva senso perché si era scusato un sacco di volte con John. Dopo che il ragazzo se n’era andato, il suo primo pensiero era stato quello di seguirlo e di parlargli, ma non lo fece. Doveva prima pensare al motivo per cui fosse accaduto ciò. John non aveva praticamente accettato le scuse che gli aveva fatto qualche ora prima, perché mai avrebbe dovuto accettarne altre? No. Non si sarebbe scusato questa volta. Non capiva cosa avesse fatto sbagliato.
Sospirò e sorseggiò il suo caffè. Il concerto finì alle otto e non ricordava neanche una canzone. John Watson era tutto ciò a cui riusciva a pensare.
Arrivò a casa e Mrs. Hudson lo accolse con un abbraccio. Gli offrì del cibo ed il moro rispose di non aver fame. E la cosa non sorprendeva Mrs. Hudson. Lui alzò gli occhi al cielo e si diresse direttamente verso la sua stanza. Mycroft non era ancora a casa. Si distese sul letto, guardando il soffitto ed ascoltando Think It Over di Buddy Holly. Sospirò e continuò a pensare.

***

 “… E quando ho visto l’ora, era tardi. Giuro mamma, ti avrei chiamato, ma eravamo così occupati, avevamo così tante cose da sistemare per il progetto e questo tizio, Holmes, non è un tipo con cui si può lavorare facilmente e non andiamo molto d’accordo ed è un teppistello e… E’ stata una lunga giornata.”

 “Beh, avete lavorato al progetto almeno?” Chiese sua madre, più tranquilla.

 “Sì mamma, spero che il professore ci darà un buon voto.”

 “E lui è lo stesso ragazzo con cui sei stato in punizione?”

John annuì distrattamente.

Sua madre sospirò. “Che non succeda di nuovo, John. Sei uno studente brillante. Questo ragazzo non ha una buona influenza su di te.”

Ed aveva ragione. John non aveva mai mentito prima di quella volta. Non così.

 “E dovresti star lontano da questo genere di amici.”

 “Lui non… Lui non è mio amico, mamma.” Disse John, scuotendo il capo.

E tecnicamente quella non era una bugia. Dopo quello che era successo quel pomeriggio non erano più amici. Giusto? John scacciò via i pensieri e sorrise, sua madre non era propriamente felice, ma non era neanche furiosa.

 “Dov’è Harriet?”

 “Abbiamo litigato.”

 “Perché?”

 “Il… Solito. Mi ha sgridato, l’ho sgridata. Tornerà quando sbollenterà.”

Ubriaca, probabilmente. Pensò John.

John era troppo stanco per fare i compiti e tutto ciò che voleva fare era andare a riposare. “Mamma, sono esausto. Davvero. Andrò a letto.”

 “Salterai la cena, tesoro?”

 “Non ho molta fame, ho mangiato da Sherlock.”

 “Oh, d’accordo. Dormi bene, tesoro.”

E mentre andava nella sua stanza, udì degli spari.

***

Mrs. Hudson bussò alla sua porta poco dopo, entrando nella stanza. “Sherlock, caro.”

 “Che?” Chiese infastidito, senza distogliere lo sguardo dal soffitto.

 “C’è una chiamata per te.”

Nella mente del moro ci fu un barlume di speranza, affinché fosse John. Scacciò via quel pensiero. John non aveva il suo numero, in più perché mai John avrebbe dovuto chiamarlo? Era un idiota.

 “Ho da fare.” Disse, guardando il soffitto.

 “Stai guardando il nulla, Sherlock!”

 “Sto pensando!” Disse sgarbatamente.

 “Penso che vorrai sentire cos’hanno da dire al telefono.”

Alzò gli occhi al cielo e scese giù.

Una voce familiare al telefono. Spalancò gli occhi, sorpreso. “Che c’è adesso?”

 “Omicidio. Duplice omicidio. Abbiamo bisogno di te alla stazione, adesso.”

Sherlock sorrise. “Arrivo.”

Dopo aver preso un taxi, Sherlock arrivò al commissariato, dove un uomo lo salutò e lo portò all’interno della stazione di polizia.

 “Quali sono i dettagli questa volta, ispettore?”

 “Non sappiamo molto – “ Rispose l’uomo, portandosi una mano sul capo, chiaramente preoccupato per quella situazione. “Tutto quel che sappiamo è che circa venti minuti fa, ci sono stati otto colpi di pistola ed il risultato sono due persone morte nella loro casa.”

Una pattuglia della polizia con Sherlock all’interno, parcheggiò dinnanzi la scena del crimine. Sherlock ansimò. John viveva in quella strada.

***

 “Mamma…?” Disse John cercando di respirare dopo lo shock iniziale. “… Erano spari, quelli?” Provò ad andare giù, ma era immobilizzato. Non riusciva a muoversi, era terrorizzato.

 “John?” Udì sua madre chiamarlo dal salotto. “… Stai bene? Non muoverti!” Disse spegnendo le luci della loro casa.

Udirono il casino fuori, le persone urlavano, le sirene della polizia, e finalmente fu in grado di muoversi appena per sbirciare dalla finestra, e realizzò che qualunque cosa fosse accaduta, era accaduta nella casa accanto la loro. Un omicidio. Oh Dio, i loro vicini erano morti.
Ignorò l’avvertimento di sua madre ed andò fuori, l’assassino non poteva di certo uscire allo scoperto proprio in quel momento per ucciderli, giusto? C’era caos in strada, ed un vicinato sempre tranquillo era diventato il centro d’attenzione dell’intera città. Il cuore di John stava per esplodere. La polizia stava recintando la scena del crimine. Alcune voci di corridoio dicevano che due persone erano state uccise.
Poi udì altre sirene, nel mezzo della confusione. John guardò le tre macchine della polizia che si stavano avvicinando alla strada, e continuò a guardare fin quando non vide i detective. La città era una città piccola e tranquilla, ed una cosa del genere era incredibile. “… Sherlock?!”

Il moro scese dall’auto sistemandosi la sua giacca e sospirò sollevato alla vista del ragazzo, che sembrava terrorizzato, ma non era ferito. John non riusciva a chiudere la sua bocca tant’era sorpreso. “Ciao, John.” Disse evitando di guardarlo negli occhi, cercando di parlare con nonchalance, poi si diresse verso la casa, mentre il ragazzo lo seguiva, tenendo i suoi occhi fissi su di lui.

 “Che ci fai qui? Ti hanno arrestato?”

Sherlock lo guardò. “Credi davvero che se mi avessero arrestato sarei potuto scendere da un’auto della polizia ed andare in una scena del crimine? Tu e la tua stupidità non fate una bella coppia, John, quindi non fare domande stupide.”

John alzò gli occhi al cielo. “Allora perché sei qui?”

 “Sto investigando.”

 “Potresti spiegare meglio?”

Sherlock oltrepassò il nastro che la polizia aveva piazzato attorno alla casa e guardò John. “Beh?”

John si guardò intorno, confuso. “Beh, cosa?”

 “Vieni o no?”

Indicò se stesso. “Io?”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Mi vedi parlare con qualcun altro?”

 “Perché?”

 “Perché ti piace la biologia. Vorresti diventare un dottore e ci sono due cadaveri che potrebbero esserti utili.” Rispose Sherlock.

 “Cosa?” Disse John scuotendo il capo. “Sherlock, i miei vicini sono morti e tu pensi che potrebbero essermi utili? Ti importa che siano morti, almeno?”

 “Se mi importasse resusciterebbero?” Disse Sherlock, accigliato.

"No."

 “Quindi conosci la risposta. Vieni o no?” Disse Sherlock dando le spalle a John ed entrando in casa.

John si sentì tentato di tornare in casa ed ignorare Sherlock, ma non riuscì a resistere.

“Dannazione!” Disse seguendo il moro.

Incontrarono l’ispettore, che guardava John con sospetto. “Chi è lui?”

 “E’ con me.” Disse Sherlock senza guardare l’ispettore.

 “Ma chi è?”

 “Ho detto che è con me!” Rispose Sherlock, poco garbatamente, ed entrò rapidamente in casa.

John rimase davanti la porta e guardò l’ispettore. “John Watson.”

 “Ispettore Dimmock.” Disse l’ispettore, annuendo.

John abbozzò un sorriso ed entrò in casa, il moro urlava. “John! Da questa parte!” Così il ragazzo andò al piano di sopra.

Ciò che vide fu incredibilmente triste. Una donna giaceva con una pallottola sulla fronte. C’era sangue ovunque e la sua testa era finita sulla macchina da scrivere.
John rabbrividì. Guardò Sherlock, che guardava la scena del crimine come quando stava seduto a leggere il suo libro, concentrato, perso in un altro mondo. Si avvicinò ed indossò i guanti, scostò i suoi capelli all’indietro, analizzò le ferite. Dopo averlo fissato per un po’, John decise di fargli delle domande. “Beh?”

Sherlock lo guardò. “Che?”

 “Ci sono state due vittime. Dov’è l’altra?”

 “Nello scantinato.” Rispose Dimmock.

 “Non andare lì, John. Potresti impressionarti.” Disse Sherlock.

E se l’aveva detto Sherlock, allora sarebbe stato meglio ascoltarlo. Ma siccome era arrabbiato con lui, decise di fare il testardo ed andarci. Sherlock sospirò, si alzò e seguì il ragazzo. “Sto tornando.”

 “Aspetta, dove vai? Dobbiamo trovare degli indizi, alla svelta!”

 “Ti ho detto che sto tornando!” Rispose Sherlock.

John andò al piano di sotto, e trovò un gruppo di dottori e fotografi non appena entrò nello scantinato, e dovette appoggiarsi al muro per evitare di svenire. La scena che si presentava era terribile. Le braccia dell’uomo erano legate ed il suo corpo mostrava chiari segni di tortura, uno due tre quattro cinque sei sette. John contò sette colpi di pistola. Era troppo impressionante per lui, c’era sangue ovunque, lividi ovunque. Si voltò e lasciò lo scantinato, cercando di trattenere le lacrime. Si fermò all’entrata, non riusciva a tornare al piano di sopra.

 “Te l’avevo detto di non andarci.” Sussurrò Sherlock al suo orecchio, togliendosi i guanti e tenendo la mano di John. Stava tremando.

John annuì. “Ho deciso di non ascoltarti.” Riusciva a malapena ad articolare una frase.

 “Perché?”

 “Perché sono stanco di fare quello che vuoi che io faccia.” Disse, tremando ancora.

 “No. Perché sei arrabbiato con me? Perché sei andato via?”

John si voltò per guardarlo. “Seriamente? Ne vuoi parlare adesso?”

 “Voglio distrarti.”

 “Distrarmi?”

 “Hai ancora in mente quell’uomo.”

John si scansò dalla presa di Sherlock sulla sua mano. “Ovvio! Era il mio vicino ed è morto! E’ stato torturato, sparato sette volte e Dio, è accaduto tutto accanto casa mia!”

 “Sette colpi di pistola?” Chiese Sherlock.

John annuì. Sherlock sogghignò.

 “Posso chiederti una cosa, su di loro?”

John scosse il capo, cercando di fermare il suo corpo che tremava in maniera incontrollabile. “Mi dispiace, non posso. Io… Non posso farlo, Sherlock. E’ troppo per me. Mi sento male.”

Sherlock baciò John sulla guancia. “Sei stato molto d’aiuto, John. Grazie.”

John lo guardò ed arcuò un sopracciglio. “Scherzi?”

 “Non scherzo mai quando si tratta di lavoro.”

 “Lavoro?”

 “Dovresti davvero diventare un dottore, John. Sei stato in grado di notare sette colpi di pistola più rapidamente degli altri che erano lì.” Disse Sherlock, con espressione seria.

John socchiuse gli occhi. “Sherlock, ho visto quel corpo e sto tremando e mi sento come se potessi vomitare da un momento all’altro. Non posso. Non potrò mai essere un dottore.” Disse, con delusione.

Sherlock afferrò il viso di John tra le mani. John guardava in basso. “John, guardami, guardami adesso.” Il ragazzo sollevò il viso e guardò gli occhi del moro, erano bellissimi, ed erano completamente concentrati su di lui. “Sei fantastico.” John scosse il capo. “E sei vivo. E stai bene e non puoi capire quanto io mi sia sentito sollevato quando ho visto il tuo viso una volta arrivato qui. E penso che tu sia migliore di quanto tu possa credere. Puoi andare adesso, se vuoi.” Disse Sherlock togliendo le mani dal suo viso e dirigendosi verso le scale.

 “Sì, voglio andare. Scusa.”

 “Non scusarti. Sei stato una perfetta compagnia.” Disse salendo le scale.

John uscì dalla casa e prese un respiro profondo, sedette sugli scalini, cercando di respirare, respirare, respirare, perché si sentiva vivo, ma in qualche modo aveva sperimentato la morte e non credeva che l’avrebbe mai fatto. Facendosi forza, si alzò ed andò verso casa sua, tremando.
Entrò in casa, non parlò con sua madre, andò direttamente a letto. Non dormì per niente quella notte.

***

RIASSUNTO: "Cosa c'è tra te e Sherlock? (CAP. 12)
IT'S ALL IN THE GAME

Sherlock non andò a scuola il giorno dopo, e John si sentiva strano. Non aveva dormito, e quei pochi minuti di riposo non erano serviti a niente perché aveva in mente il suo vicino, legato e torturato, che era come un incubo. Purtroppo, però, era accaduto davvero.
Aveva delle notevoli borse sotto ai suoi occhi e non riusciva a concentrarsi durante le lezioni, non poteva smettere di pensare all’omicidio. Beh, all’omicidio e a Sherlock. Era preoccupato per lui. Cosa ci faceva con la polizia? Lavorava con loro? Perché? Non sembrava una cosa da Sherlock, no? John pensò che forse non lo conosceva poi così bene.
Doveva essere furioso con lui, dopo quel che era accaduto al negozio di dischi, ma quando lo vide scendere dall’auto della polizia, la sorpresa e lo shock dopo quei colpi di pistola, erano più forti della rabbia.
Ma ciò che frustrava maggiormente John era il fatto che la scena del crimine aveva fatto capire a John che non avrebbe potuto conseguire una carriera nell’ambito medico, perché avrebbe fatto schifo. Vedere sangue e ferite l’aveva scioccato e l’aveva fatto star male. Come poteva essere un buon dottore se vedere un cadavere lo faceva vomitare?
Durante l’ora di pranzo, Mike guardava John preoccupato, non aveva toccato cibo ed era silenzioso, troppo silenzioso. I suoi occhi fissavano un punto morto ed era pallido, non aveva una bella cera. “Hey, John! Stai bene?”

John non rispose. Sembrava perso in un altro mondo.

 “John!” Ancora nessuna risposta.

“JOHN!” Urlò Mike, ed il nome fece eco nella mensa.

John sbatté le palpebre e si voltò verso Mike. “Eh? Cosa?”

Mike si accigliò, preoccupato per il suo amico. “Stai bene?”

 “Sì, solo… Sto bene, sì.”

 “Sei sicuro? Non hai mangiato niente!” Disse Mike indicando il pranzo di John con il coltello.

 “… Sì. Io… Ho bisogno di un po’ d’aria.”

 “Ti serve qualcosa?”

 “No. Sto bene, torno tra poco.” Disse John alzandosi. Mike annuì e continuò a parlare con i suoi amici, e sembrò dimenticarsi di John.

Non appena passò accanto al tavolo dei teppistelli, Greg si alzò, dicendo di dover andare in bagno e lasciò la mensa.
John andò all’entrata della scuola, prese un respiro profondo e provò a calmarsi. La sua mente era un via-vai di pensieri, preoccupazioni ed immagini. Aveva paura per sua madre, che era a casa con sua sorella, la quale la notte precedente era tornata ubriaca, così tanto da non ricordare il suo nome. Aveva sentito sua madre gridare ed il rumore della maniglia quando suo padre era tornato a casa, dopo sua sorella.
Quella mattina sentiva così tanto il post-sbornia che non riusciva nemmeno a sedersi perché sentiva che la sua testa sarebbe esplosa, non disse nulla a John e pregò la madre di farla rimanere a casa, e dopo aver insistito, accettò. John si sentì in colpa, dopotutto era tornata in quelle condizioni per colpa sua, ma offendersi per esser stata chiamata “alcolizzata” e reagire a ciò ubriacandosi non era la miglior idea che sua sorella avesse avuto.

Mentre stava pensando, John udì qualcuno chiamarlo. “Watson!”

John si voltò e vide Greg, che correva per raggiungerlo. Aveva paura, visto ciò che era accaduto il giorno prima, quando Jim e Sebastian lo avevano spinto contro l’armadietto. Si fermò, sperando di non essere picchiato. “Sì?”

Greg si guardò intorno, per vedere se ci fosse qualcuno. Era chiaro che non volesse esser visto mentre parlava con qualcuno come John, che alzò gli occhi al cielo e voleva finire quella conversazione il prima possibile.

 “Sai dov’è Holmes? Non l’ho visto e non era neanche a fumare fuori, prima…”

John fece spallucce, guardò Greg con espressione seria. “Perché dovrei saperlo?” Chiese, incuriosito.

Greg si schiarì la gola. “Beh… Sai… Avete trascorso molto tempo insieme… A causa del progetto di storia e tutto il resto…”

 “Tutto il resto?” Chiese John, accigliato.

 “Beh, la punizione.” Disse Greg con nonchalance.

 “Ah.” Disse John, sollevato.

 “Ecco. Quindi, l’hai visto? Sai se è malato o qualcosa di simile?”

John pensò che fosse gentile da parte di Greg preoccuparsi e stava pensando di dirgli la verità. Beh, non tutta, ma avrebbe voluto dirgli perché Sherlock aveva saltato la scuola e cosa stava facendo. Apparentemente, Sherlock però si fidava di lui. Scacciò via quel pensiero e decise che fosse meglio farsi i fatti suoi, probabilmente il moro non voleva che gli altri sapessero che stesse lavorando con la polizia per risolvere un omicidio. E solo John lo sapeva. Lo rendeva speciale? Scosse il capo e rispose a Greg, che lo guardava, speranzoso. “No, non lo so. Non ho motivo di saperlo, giusto?”

Greg guardò in basso. “No, suppongo di no.”

 “Beh, se vuoi scusarmi…” Disse John voltandosi, voleva andarsene.

 “Aspetta, Watson.” Il ragazzo si voltò.

 “Sì?”

 “Io… Ehm… Volevo scusarmi.” Disse Greg, schiarendosi la gola.

 “Scusarti?” Chiese John, confuso.

 “A nome dei miei… Amici. Per quel che è successo ieri.”

 “Oh.”

 “Volevo solo dirti che né io né Sherlock abbiamo a che fare con tutto questo. Era tutto un piano di Jim. Ma è un bravo ragazzo.”

 “Non sono d'accordo.” Disse John, scuotendo il capo.

Greg sogghignò. “Beh, penso che tu sappia che Sherlock non fosse d’accordo. Era furioso con loro.”

John annuì, non sapeva dove volesse andare a parare con quella conversazione.

 “Quindi… Scusa.”

 “Il passato è passato.” Disse John, facendo spallucce.

 “Posso farti una domanda? L’ultima.”

John sospirò. “Certo.”

 “Cosa c’è tra te e Sherlock?” Disse Greg, serio.

John percepì la paura raggiungere il suo corpo. Si schiarì la gola. “Che… Che intendi?”

 “Beh, passate molto tempo insieme, mi chiedevo se…”

John lo interruppe prima che potesse continuare. “Ovvio che passiamo molto tempo insieme, ma non perché vogliamo! Siamo molto presi dal progetto, vogliamo che sia perfetto, tu sei suoi amico, sai che è un perfezionista. Tutto qua. Non c’è altro.” Disse John, cercando di sembrare calmo, ma finì per parlare troppo rapidamente, e sembrava nervoso ed infastidito, e Greg l’aveva notato.

Greg annuì, non era molto convinto. “D’accordo. Scusa, ero solo… Curioso.”

John scosse il capo. “Non c’è niente di cui essere curiosi.”

 “Sì. Mh… Mi dispiace di aver insinuato che ci fosse altro.”

 “Perché?” Chiese John prima di maledersi.

 “Perché cosa?”

 “Perché hai pensato che ci fosse dell’altro?” Chiese nuovamente John, non sapeva perché, ma si fidava di Greg, sembrava affidabile. Un amico che Sherlock si meritava.

 “Oh.” Greg poggiò la sua mano sulla sua nuca e stava per dire qualcosa. “E’ che… Sherlock mi parla spesso di te, sembra molto… Felice.”

John abbozzò un sorriso ma poi tornò serio. “Ti parla di me?”

Greg annuì.

 “Beh… Siamo solo compagni di classe, Greg.”

 “D’accordo.” Disse Greg, non sembrando molto convinto.

 “Quindi… Io vado.”

 “Certo, sì.” John andò via, dirigendosi verso la porta dell’entrata.

 “Ah, e John?” Disse Greg e John dovette voltarsi di nuovo.

 “Sì?”

 “Non penso che tu sia solo un compagno di classe per Sherlock.” Disse sorridendo.

John sorrise appena ma non rispose. Non sapeva cosa dire. Fece spallucce e decise di tornare alla mensa. Non aveva fame, ma almeno si poteva distrarre.
Per lui, Sherlock non era solo un compagno di classe.

***

Dopo una giornata che era sembrata eterna, John tornò a casa. Odiava ammetterlo, ma gli mancava Sherlock, aveva bisogno di parlarne con qualcuno, e solo il moro l’avrebbe compreso. Odiava sentire la sua mancanza.
Quando tornò a casa, la strada era sbarrata dalle macchine della polizia, agenti e detective, lavoravano per risolvere il caso. Era incredibile che una cosa del genere fosse accaduta proprio lì. Sembrava più un incubo che la realtà.

Non appena parcheggiò la macchina e la spense, udì una voce dietro di lui. “Bene, bene, bene, guarda chi è tornato.”

Sorrise e si voltò per guardare Sherlock, che stava togliendo i guanti, sorridendogli. “Guarda chi non è andato a scuola.” Disse John, per stuzzicare Sherlock.

Sherlock fece spallucce. “Dovevo risolvere un crimine. Ho le mie priorità.”

"Sherlock?"

"Hm?"

John ricordò la conversazione che aveva avuto con Greg e sorrise. “Mi sei mancato oggi. Non ti azzardare a saltare ancora la scuola.”

Sherlock sorrise e guardò John negli occhi, con quello sguardo a cui John non sapeva resistere. “Mi sei mancato anche tu. Ho immaginato di parlare con te e di dirti cos’ho trovato sulla scena del crimine e ho parlato solo e tutti mi hanno guardato come se fossi pazzo.”

John ridacchiò. Poi si schiarì la gola, ricomponendosi. “Non possiamo ridere! Siamo sulla scena del crimine!”

Sherlock sollevò le braccia. “Beh, mi aiuta a passare tempo.”

 “Sei stato qui tutto il giorno?”

 “Tutta la notte e tutto il giorno, a dire il vero. Ho cercato indizi.”

“Beh, e cosa stai aspettando?”

 “Aspettando cosa?”

John sorrise. “Andiamo!”

 “Dove?”

 “Sulla scena del crimine! Voglio sapere cosa hai trovato!”

Sherlock guardò John e sorrise.

 “Da questa parte, dottore!” Disse Sherlock, con tono felice.
John sentì una sorta di eccitazione nell’udire quelle parole. Gli piaceva esser chiamato ‘dottore’. Voleva esserlo, e quello era un inizio, anche se era terrificante, sapeva che Sherlock sarebbe stato lì con lui per supportarlo. “Dopo di te, ispettore – detective.”

Sherlock scosse il capo. “No, no, no. Consulente investigativo.”

John lo guardò. Era confuso. “Consulente investigativo?”

 “L’unico al mondo!”

John sorrise e seguì Sherlock. “Non oso chiedere spiegazioni…”

***

Mentre camminavano dal garage di John alla scena del crimine, la curiosità di John era troppa. “Sherlock, mi dirai perché sei qui?”

 “John, lo farò. Dopo. Abbiamo molto lavoro da fare.”

John sospirò, era fermo dinnanzi l’ingresso della casa dove si era consumato l’omicidio. Sherlock lo guardò, preoccupato. “Sicuro di voler entrare, John?”

John chiuse gli occhi ed annuì. “Sì. Certo.”

 “Ma ieri – “

 “Lo so cos’è successo ieri!” Disse alzando il tono della sua voce. “E’ che… Senti, voglio diventare un dottore, Sherlock. Lo voglio davvero, e so che non sarà difficile, ma voglio provarci, perché vedrò cadaveri e corpi per il resto della mia vita.”

Sherlock strinse dolcemente la sua mano, l’avvicinò alle sue labbra e schioccò un bacio sul dorso di quest’ultima. John sorrise timidamente. “E sarai un dottore fantastico. Andiamo.”

Entrarono e John provò a non farsi prendere dal panico.

 “Che indizi hai trovato?” Chiese mentre passarono oltre i fotografi ed i detective che non chiesero a Sherlock né perché fosse lì, né perché lo fosse John.

 “Non molti, a dire il vero. La donna era una scrittrice, ed il marito un uomo d’affari. Abitavano in una grande città, ma si sono trasferiti dopo essere andati quasi in bancarotta. Lei ha ricevuto minacce circa cinque mesi fa, le ha denunciate, ma dopodiché non ne ha più parlato. La polizia ha investigato. Ma la cosa strana è: se era lei ad esser minacciata, perché il marito ha ricevuto una morte ben peggiore?”

 “Magari il marito era in debito con qualcuno?”

Sherlock scosse il capo. “No, no, a quanto pare non conoscevano nessuno. Questa città è molto piccola, John, compare appena sulle mappe. Il posto perfetto per nascondersi.”

John guardò Sherlock e sorrise. Sembrava così… Cresciuto, maturo. Sherlock lo guardò, senza dire altro.

“Perché mi guardi così?”

 “Perché sei incredibile.”

Sherlock arrossì, ed era un inizio. John ridacchiò. “Smettila di provarci con me! Siamo sulla scena del crimine!” Disse dando le spalle a John e salendo le scale.

 “Prendi questo.” Disse Sherlock, porgendo a John un camice da dottore, che non era suo ed era molto grande per lui, ma John obbedì e lo indossò. Sherlock lo squadrò dalla testa ai piedi. “Ti sta benissimo, Dottore.”

John scosse il capo e lo seguì. Prima di entrare nella stanza in cui la donna era stata uccisa, John afferrò il braccio di Sherlock cosicché si potesse voltare. “Sherlock. Cosa vuoi che faccia?”

 “Voglio che confermi la mia teoria.” Disse sorridendo.

 “Che sarebbe…?”

 “Che sei più intelligente di tutti gli altri dottori in questa stanza.”

 “Sei pazzo! Non posso!”

 “Certo che puoi, e lo farai.” Disse, facendogli l’occhiolino.

Uno dei detective li fermò all’entrata. “Hey! Aspetta! Cosa credi, che puoi entrare dovunque e con chiunque a sbirciare?”

 “E’ un uomo degno di fiducia. Ed è anche un dottore.” Disse Sherlock con tono serio che quasi convince John, che provò a non ridere.

 “Un dottore?”

Sherlock guardò John e gli diede una piccola gomitata, senza che il detective se ne accorgesse. John reagì e fece un passo avanti, aggiustando i suoi occhiali. Cercò di intonare una voce da adulto. “Hm… Sì. Sì. Dottor John H. Watson.”

Il detective lo guardò, arcuando il sopracciglio. “Non sei troppo giovane per essere un dottore?”

Anche Sherlock fece un passo avanti e disse: “Sta ancora studiando. Ma è irrilevante, sta per laurearsi. Io non ho terminato il liceo eppure sono qui, il caso è nelle mie mani.”

 “Possiamo togliertelo in qualsiasi momento, Holmes.”

Sherlock ghignò. “No, non potete. Avete bisogno di me.” Disse entrando nella stanza e facendo cenno a John di seguirlo.

Il detective si accigliò, ma non disse nient’altro.

La scena del crimine era intatta: la donna giaceva ancora con la testa sopra la macchina da scrivere, mentre la polizia tentava di scorgere quanti più indizi possibili. Sherlock era fermo dinnanzi il cadavere. “Sarà portata presto all’obitorio, ma per adesso, voglio che tu le dia un’occhiata. Da vicino. Dimmi cosa vedi.”

John si sentì terrorizzato, cercò di mettere in atto tutto quello che aveva appreso da ogni libro di biologia e medicina che aveva letto. Sospirò e si avvicinò per guardare la donna. C’era qualcosa che non andava.

Scostò i suoi capelli, guardò il suo viso, controllò le sue spalle, il collo e le ferite. Poi guardò Sherlock. “A che ora è stato udito il primo sparo, esattamente?”

“20:46.” Disse Sherlock, incuriosito.

“No.” Disse John.

“Cosa?”

“No. Quello non è stato il primo sparo. A giudicare dallo stato del sangue, credo sia morta prima di quell’ora. Direi… Alle 14.”

Sherlock lo guardò. “Che intendi dire?”

 “L’assassino l’ha uccisa prima. Poi ha ucciso il marito. Ma lei è stata uccisa nel pomeriggio.”

Sherlock corse verso le scale con un’espressione sorpresa. Tornò un momento dopo, controllando le prove della polizia, sorridendo. John lo guardò accigliato. “Vedi?”

 “Vedo cosa?” Disse John.

 “Hai appena confermato la mia teoria.” Sherlock sorrise e John non poté fare a meno di sorridere.

In quel momento, udirono qualcosa al di fuori della casa. John si voltò e guardò dalla finestra della stanza. “OH, Dio!”

 “Cosa?” Disse Sherlock, togliendo i guanti.

 “Mia mamma è qui…” Disse John. Si sentiva a disagio.

Sherlock rise. “Oh! La mammina ti sta cercando!” Disse, ridendo ancora.

John gli diede una gomitata. “Zitto! Oh Dio, è così imbarazzante!”

La situazione diventò ancora più imbarazzante, perché un dottore arrivò al piano di sopra con un sorriso sulle labbra. “Chi di voi è John Watson?” Disse l’uomo guardando entrambi i ragazzi.

Sherlock scosse il capo e rapidamente indicò John, che cercò di non arrossire. Guardò Sherlock come per dirgli “me la pagherai cara” e disse: “Sì, sono io.” Il dottore alzò gli occhi al cielo. “Ho detto a Dimmock di non portare bambini sulla scena del crimine! Tua madre ti sta cercando.” Disse, come se fosse la cosa più ridicola del mondo.

John provò a difendersi. “Abitiamo nella casa accanto – “

L’uomo sollevò le mani. “Non mi interessa. Vai, quella donna ci ha sgridati.” Disse un po’ divertito ed un po’ annoiato.

 “Mi dispiace.” Disse John, dirigendosi verso la porta.

 “Oh! Aspettami!” Disse Sherlock cercando di raggiungere John.

 “Che? Vuoi incontrare mia madre?” Disse John, sorpreso.

 “Beh, sarà sicuramente una donna amorevole.” Disse Sherlock cercando di nascondere il sarcasmo.

John guardò Sherlock. “Vuoi solo mettermi in imbarazzo, vero?”

 “Mi conosci troppo bene, Johnny boy.” Disse Sherlock ammiccando, sorpassando John e scendendo le scale.

“No, non ti conosco.” Disse John in tutta onestà, perché aveva ammesso che era vero. Magari tra tutte le persone a scuola, lui era l’unico che aveva potuto conoscerlo un po’ di più, ma non lo conosceva abbastanza, conosceva appena la punta dell’iceberg. C’era troppo, troppo mistero, e John voleva sapere tutto.
Sherlock lo ignorò e con un piccolo sorriso camminò verso la porta principale.

Fuori, una donna cercava di oltrepassare il nastro giallo, mentre due uomini la tenevano. E gridava: “Lasciatemi andare!”

John corse verso lei. “MAMMA!”

Corse anche lei verso John. “Oh John, sono contenta che tu stia bene! Queste scimmie non volevano lasciarmi!”

John annuì. “Sì, mamma. Sto bene. Come sapevi che fossi qui?”

Sua madre guardò l’auto, “… Sei arrivato da un po’ ma non sei entrato in casa. Non è stato difficile capire dove fossi, ma è stato preoccupante capirlo.”

 “Non preoccuparti, mamma. Stiamo aiutando la polizia.”

 “Stiamo?” Chiese sua mamma.

Stava per rispondere, quando il moro protese la sua mano per stringere quella della madre di John, con un grande (e diabolico, John pensò) sorriso sulle labbra.

“Sherlock Holmes, lei deve essere Mrs. Watson.”

Oh Dio. Non sarebbe finita bene.

***

NOTE: Sono le 01:10 e sto postando adesso. Per farmi perdonare vi ho unito il capitolo 11 e 12! Perché probabilmente adesso posterò tra una setttimana... Causa studio! Nulla di sicuro. Che dire, John dottore è BGNFDKKIJBN. Adoro. E questo è il loro PRIMO caso insieme! I miei feels ç_ç 
Un bacino, grazie per le recensioni, grazie per tutto. xx

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Capitolo 12
*** The Twelfth of Never ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
RIASSUNTO:  “E’ che… Tu fingi e fingi e fingi.”
 
THE TWELFTH OF NEVER
 
 “Oh…” Disse la madre di John non appena udì il nome di Sherlock e guardò John, che le rivolse un flebile sorriso. “Mio figlio mi ha parlato molto di te.” Disse cercando (senza successo) di nascondere la sua disapprovazione.

Sherlock arcuò il sopracciglio e guardò John, che evitò di guardare il moro ad ogni costo. “Oh! Davvero?”

 “Sì.” Disse sua madre. “Che ci fai qui?”

 “Ho… Accompagnato suo figlio. Voleva dare un’occhiata alla scena del crimine e… Un mio amico è ispettore e ci ha lasciati entrare.” Disse Sherlock con educazione, e John si accigliò, guardandolo incredulo. Voleva piacere a sua madre? No, ovvio che no.

 “E vi ha lasciati entrare?” Disse la madre di John con sarcasmo e poco convinta.

John e Sherlock annuirono contemporaneamente.

 “John, perché l’hai fatto? Avresti potuto metterti nei guai! E’ pericoloso!” Disse, guardando Sherlock, ed il moro la guardò di rimando e le rivolse uno dei suoi falsi sorrisi.

Sherlock stava per parlare e rispondere, ma John gli fece cenno di star zitto. Così fece, e John avanzò verso sua madre, guardandola. “Mamma, voglio diventare un dottore. Questo è il mio tirocinio!”

Sua madre era inorridita. “Sono i tuoi vicini! I tuoi vicini assassinati!”

 “E voglio aiutare gli investigatori a risolvere il caso!”

 “John! Sei solo un ragazzino! Non puoi andare in giro fingendo di sapere tutto sul corpo umano e pensando di poter risolvere un omicidio!”

In quel momento Sherlock fece un passo indietro e John lo guardò con preoccupazione, ma lo lasciò parlare. “Mi scusi, Mrs. Watson, lasci che le dica che suo figlio è stato fantastico, ed ha trovato un indizio molto importante per la polizia, quindi direi che sì, ha i requisiti giusti per risolvere l’omicidio.”

John provò a non arrossire, e ciò fu impossibile, perché arrossì ed annuì verso sua madre, che sospirava e faceva spallucce. “Beh, cosa posso fare per fermarti? Solo… Fate attenzione, capito?”

“Non si preoccupi, Mrs. Watson, mi prenderò personalmente cura di lui.”

La madre di John guardò Sherlock e lo squadrò dalla testa ai piedi, su e giù, poi arcuò il sopracciglio. “Come posso fidarmi di qualcuno che ha mandato mio figlio in punizione?”

Sherlock guardò John e socchiuse gli occhi, poi si voltò verso sua madre. “Cosa? Le ha detto così?”

Sua madre sembrava poco divertita. “Sì.”

 “Beh, mi lasci scusare, per prima cosa. Secondo, non sono stato io a mandare John in punizione! Anche io me ne sono beccata una!”
 
“Scommetto che trascorri molto tempo in punizione, giovanotto!”

Sherlock era ancora calmo, sorrideva, e cercava di sembrare il più possibile un bravo ragazzo. “Che ci creda o meno, Mrs. Watson, non è così. Sono uno studente brillante ed ho ottimi voti. Può chiedere a John.”

La madre di John si voltò per guardare il figlio, confusa, ma John annuì. “Che tu ci creda o meno, è vero.”

Sherlock sorrise e guardò Mrs. Watson. “E la punizione è stato un malinteso!”

La madre di John guardava il figlio con sospetto, dopodiché si voltò verso Sherlock ed alzò le mani verso l’alto. “D’accordo, ma per favore prenditi cura del mio ragazzo.”

John si sentì in imbarazzo. Sherlock era serio e disse: “Certo, lo farò, Mrs. Watson, non si preoccupi.”

La sua espressione cambiò non appena Sherlock rispose, sorrise e lo guardò. “Ti andrebbe una tazza di caffè?”

 “Oh, sarebbe fantastico!” Disse Sherlock, con entusiasmo.

 “Entra, allora.” Disse facendogli cenno d’entrare in casa.

Sherlock iniziò a camminare per seguirla in casa, quando John lo afferrò per il polso. “Aspetta, aspetta! Che pensi di fare?”

Sherlock sorrise e disse: “Bere una tazza di caffè!”

 “Sherlock. Dico sul serio.” Disse John poco divertito.

 “Voglio conoscere la tua famiglia!”

John scosse il capo. “Sei pazzo.”

Sherlock rise. “Se solo sapessero che sono già stato a casa tua, e che ho preso una tazza di caffè e che ti ho fatto guidare fino a casa mia perché io ero troppo ubriaco…”

 “Non ti azzardare, Sherlock!” Ridacchiò John.

 “Ovvio, non essere idiota!” Disse Sherlock, per poi entrare definitivamente in casa.

John sospirò ma sorrise.

***
Con sorpresa, l’incontro andò… Bene. Dopo una tazza di caffè ed una lunga chiacchierata, la madre di John aveva – o almeno così sembrava – completamente cambiato la sua opinione sul moro e sembrava accettarlo come amico del figlio. Sherlock era così… Affascinante, e John pensava che sarebbe potuto essere un ottimo attore. Il moro parlò della sua vita, dei suoi genitori, ed anche di suo fratello! E John pensò che sua madre conosceva già Sherlock meglio di lui. E ciò lo rese un po’ geloso. Ed era stupido, così cacciò via quei pensieri.
Finita la chiacchierata, Sherlock si alzò e sorrise in direzione della mamma di John. “E’ stato un piacere, ma abbiamo un omicidio da risolvere, Mrs. Watson!”

La preoccupazione sul suo viso. Ma annuì.

 “Dobbiamo andare alla stazione di polizia. Il mio amico mi ha chiesto di prendere delle prove che hanno lasciato lì.” Disse Sherlock guardando John.

 “Guiderò io, mamma.”

 “Fate attenzione, tesoro.” Disse dolcemente, baciando la guancia di John.

John arrossì di nuovo. “Mamma…!” Sherlock ridacchiò e John gli diede una gomitata.

 “Arrivederci, Mrs. Watson!” Disse Sherlock, sorridendo e dirigendosi verso l’entrata.

Non appena andarono via, Sherlock rise. John lo guardò. “Che c’è da ridere?”

Sherlock smise di ridere. “Oh, niente! Tua mamma è adorabile!”

John si sentiva ancora imbarazzato ma ignorò il moro e si diresse verso la macchina. Sherlock entrò all’interno di essa ed accese subito la radio. Guardò poi John.

“Pensa che non sei capace di farlo.”

John si accigliò ma poi annuì. “Niente è abbastanza per loro, deve essere tutto perfetto. Se non è perfetto, allora non ne vale la pena. E sai cosa? Non sarò mai perfetto. Non sarò mai abbastanza bravo, abbastanza capace, abbastanza intelligente per loro. Vorranno sempre di più. Hanno riposto tutte le loro speranze su di me. E pensano che io sia d’accordo con loro, ma probabilmente non lo sono. Anzi, non lo sono e basta.” Disse, prendendo un respiro profondo.
 
Sherlock poggiò una delle sue calde mani sul viso di John, e John si avvicinò. “E’ la tua vita, John. Non possono dirti cosa devi farne di essa. E’ la tua vita, non la loro. Vivila come vuoi viverla, e non come si aspettano che la vivi.”

 “E’ questo il problema, Sherlock. Non so come viverla. Io… Io non ho idea.”

 “Perché non ci hai mai pensato.”

 “Sì, forse hai ragione.” Disse cercando di nascondere la sua frustrazione. “E se mia madre avesse ragione? Se non potrò mai diventare un dottore? Cosa farò se non riuscirò mai salvare una vita? Cosa farò se non è ciò che voglio?”

Sherlock sorrise, voleva confortare John. “Ho visto il tuo volto illuminarsi quando ti ho chiamato ‘dottore’. Lo ami, John. Non permettere ai tuoi genitori di farti pensare che sia il contrario. Sei bravo abbastanza, sei più che bravo. E dopo esserti preparato per bene, sarai uno dei migliori dottore del paese!”
John sorrise di rimando perché non sapeva cosa dire, era solo felice e grato che Sherlock fosse lì, accanto a lui, per supportarlo, per capirlo. Era fantastico.
Rimasero in silenzio, ascoltando la musica e godendo l’uno della compagnia dell’altro.

***

Mentre erano diretti verso la stazione di polizia, John si rivolse a Sherlock: “Quindi, cosa prenderemo lì?”

 “No.” Disse Sherlock con nonchalance.

John guardò il moro. “No?”

 “No, non stiamo andando alla stazione di polizia.” Disse guardando attraverso il finestrino. “Gira qui.”

 “Cosa?” Disse John preoccupato.

 “Gira qui!!!”

 “E dove diamine stiamo andando?”

 “A prendere un milkshake.” Disse Sherlock come se fosse la cosa più normale nel mondo.

 “Un… Milkshake?”

 “Sì, conosco un bel posto qui vicino.”

John scosse il capo. “Sherlock! Abbiamo un omicidio da risolvere!”

 “Questo è più importante.” Sherlock continuava a guardare fuori dal finestrino.

Più importante?”

 “Sì. Più importante, adesso gira!”

John voltò. Parcheggiarono dietro al bar, ed era un posto davvero carino, di fronte c’era una foresta, ed era una vista meravigliosa. Sherlock uscì da lì con due milkshake, e John pensò che sembravano deliziosi.
Proprio mentre John pensava che il moro sarebbe entrato in macchina, quest’ultimo sedette sulla cappotta dell’auto e disse a John di raggiungerlo. John scosse il capo.

 “Andiamo, John! Il tempo è bellissimo!”

 “Ci sono circa 38 gradi!” Disse John scuotendo di nuovo il capo.

 “La temperatura perfetta per un milkshake.” Disse Sherlock, sorridendo.

John sospirò ed alla fine sedette anche lui sulla cappotta. “Non l’avevo mai fatto prima d’ora.”

 “Cosa? Prendere un milkshake seduto sulla cappotta della tua macchina, mentre ascolti rock’n’roll con me? Sì, ti credo.” Sherlock sorrise.

 “E’ bello.” Disse John, godendosi la vista. Poi guardò Sherlock. “Perché mi hai portato qui?”

Sherlock guardò John con serietà. “Perché eri arrabbiato con me ieri?”

John aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare perché fosse stato arrabbiato con Sherlock. Erano successe molte cose nelle ultime 24 ore. Poi ricordò. Giusto, il negozio di dischi. John realizzò che Sherlock lo stesse guardando con impazienza e non aveva ancora risposto. Il moro sospirò. “Ascolta, te l’ho detto, mi dispiace per quello che è accaduto con Jim, John! Pensavo che mi avessi perdonato! Tutto stava andando bene e d’improvviso ti alzi e te ne vai?”

John guardò Sherlock, incredulo. “Non hai davvero idea di quel che hai fatto?”

Sherlock scosse il capo. “No, per niente.”

 “Beh, questo è un inizio.” Disse John cercando di evitare ogni tipo di discussione.

Sherlock lo guardò con serietà. “Dimmi cosa ti ha innervosito.”

 “Io… Io… Cosa siamo noi, Sherlock?” Disse John, con esitazione.

 “Cosa siamo?” Disse Sherlock confuso, non si aspettava una domanda simile.

 “Sì.”

Sherlock rimase in silenzio.

 “… Perché ieri, al negozio, sei passato dall’essere fantastico, incredibile ed intelligente, all’essere il più gran coglione al mondo,”

Sherlock non parlò. Poi guardò John e sorrise. “Fantastico, incredibile ed intelligente?” Disse divertito. “E’ così che mi vedi?”

John scosse il capo. “No, no, no! Non cambiare discorso!”

Sherlock pensò per un attimo. “Uhm. Ascolta John, ti ho detto centinaia di volte che sei l’unica persona che mi conosce per quel che sono. Con gli altri è solo una facciata. Ma con te, non devo fingere, posso essere me stesso.” Disse con fierezza.

E quell’affermazione avrebbe dovuto essere abbastanza. Ma non lo era. “Non ti credo.” Disse John con poca gentilezza. Sherlock lo guardò confuso.

Sherlock, è come se non ti conoscessi affatto. Io… Io non riesco a capirti.”

Sherlock rimase in silenzio un attimo. Poi guardò John. “Non mi credi.”

 “No. Ti credo. Forse sono l’unica persona con cui ti sei aperto, e amo tutto questo. Ma semplicemente è come se non sapessi nulla di te e più trascorro del tempo con te, più ti vedo come un mistero. E odio questa situazione.”

John aveva paura che quella potesse essere la fine di qualunque cosa ci fosse tra di loro. Sherlock taceva. Quello era il silenzio più lungo che John avesse mai “sentito”.

Sherlock si voltò dall’altro lato, John lo fissava. “Sherlock, parlami.”

 “Di cosa?”

 “… Di te.”

 “Ti ho detto abbastanza su di me! Ti ho detto tutto ciò che dovevi sapere! Ho parlato di me anche a tua madre e pensi ancora di non conoscermi? Allora non credo che riuscirai mai a farlo. Semplice.” Disse Sherlock scendendo dalla cappotta dell’auto.

John cercò di restare il più calmo possibile. “Sherlock, voglio solo conoscerti meglio!”

 “Conosci già tutto!” Disse Sherlock sulla difensiva.

Forse Sherlock aveva ragione, forse sapeva anche troppo su di lui. Ma no, non era così. Cosa stava facendo Sherlock con la polizia la notte precedente? Perché continuava a mentire? Ed i suoi amici? John non lo conosceva affatto. “Forse hai ragione.”

 “Certo che ho ragione. Non c’è altro da dire, John! Nient’altro da dire su di me!”

John scosse il capo. “No. Forse non sarò mai in grado di conoscerti.”

E Sherlock si ammutolì.

 “Dopotutto hai permesso che mi pestassero…”

 “Sapevo che non mi avresti perdonato! Cosa avrei dovuto fare?” Disse Sherlock infastidito, muovendo le sue mani per aria.

 “E’ che… Tu fingi e fingi e fingi.” Disse John scuotendo il capo e chiedendosi perché il suo cervello non riusciva a coordinarsi con ciò che la sua bocca voleva dire. Sembrava amareggiato, indifeso. “… E se questa fosse solo un’altra delle tue bugie? Se io fossi solo un gioco per te?”

 “Le mie bugie?” Disse Sherlock, chiaramente offeso.

 “Le tue bugie. Ne abbiamo già discusso, ancora ed ancora ed ancora. Ed hai ragione. Forse non finiremo mai. Forse non ti conoscerò mai. Forse sarai sempre lo stupido teppistello che hai sempre finto di essere, e forse non mi starà mai bene, forse non lo capirò mai.”

 “Forse.” Disse Sherlock, diede le spalle a John. Non voleva guardarlo.

 “Sì, forse. Probabilmente. E’ possibile.”

 “… Certamente.” Disse Sherlock pungente, e sembrava così… Diverso.

John si schiarì la gola. “Sì. Certamente.” Cosa… Certamente? Tutto qui? No, non può essere. Non può essere finita… Qualunque cosa sia. No, non così. Di’ qualcosa, Watson. Risolvi la situazione. Andiamo, pensa! Non disse niente.
Neanche Sherlock parlò. Rimase in silenzio e non guardò John neanche per sbaglio.

John si schiarì nuovamente la gola. “Cosa ci rende tutto ciò, quindi? Cosa siamo?” John era terrorizzato, ma doveva chiederglielo. Doveva sapere.

Sherlock rispose dopo un po’. Si voltò verso John. “Niente. Non siamo niente.” Ed andò via, camminando.

***

Sherlock aveva sicuramente preso un taxi perché quando John arrivò a casa, lui era già fuori la casa dei suoi vicini e parlava con Dimmock. John parcheggiò la sua auto e si diresse verso loro, aspettando che Sherlock finisse di parlare con il detective.

Non appena finirono, Dimmock rientrò in casa. Sherlock guardò John ma s’incamminò verso la porta. John lo afferrò per il braccio. “Sherlock! Dobbiamo parlare!”

Sherlock arcuò il sopracciglio e nel suo viso si dipinse un’espressione infastidita - che sapeva fare benissimo, e John ebbe un flashback di due settimane prima, quando quell’espressione era l’unica cosa che conosceva di Sherlock. “Parlare di cosa?”

 “Di quel che è successo.”

“Cos’è successo, Watson?”

John guardò in basso e sospirò, deluso. La sua voce sembrava un sussurro. “Watson?”

 “Non c’è niente di cui parlare!” Disse Sherlock, scansandosi dalla sua presa. “Posso andare adesso?”

 “Gesù, Sherlock! Smettila di essere così testardo e ascoltami!”

 “Oh, quindi sono testardo, sono uno stupido teppistello, un coglione, cos’altro sono, secondo te?” Disse Sherlock, aggrottando le sopracciglia.

Meraviglioso, intelligente, incredibile… Un idiota? Pensò John, ma non disse altro. “Quindi ti arrendi così?”

 “Non mi sto arrendendo!”

“Allora è finita, torno ad essere Watson e tu torni ad essere Holmes e fingiamo che non sia successo nulla perché è questo quel che fai tu, giusto?”

Sherlock lo guardò in un modo che John riuscì a malapena a capire. Era un misto… Rabbia e dolore. Non disse niente. Poi tornò indifferente… “Non possiamo finire una cosa che non abbiamo mai iniziato.” Disse aspramente.

 “Davvero? Allora spiegami cosa intendevi quando mi hai detto “mi rifiuto di lasciarti andare”, perché sembra proprio che tu mi stia lasciando andare.”

Sherlock fece spallucce. “Forse era un’altra delle mie bugie. Com’è che le chiami? Giusto. Un altro dei miei giochi.”

 “Sherlock.” John cercò di calmarsi, abbassò il tono della sua voce e si avvicinò a Sherlock, ma c’era freddezza. “… Pensa per un secondo a ciò che stai facendo, a ciò che stiamo facendo. Non può finire così. Mi rifiuto di lasciarti andare.”

Sherlock prese un respiro profondo, poi guardò John negli occhi. “Beh, devi, Watson. Adesso se puoi scusarmi, ho un omicidio da risolvere.” E si diresse verso la porta.

 “Quindi è questa la tua risposta a tutto? Scappando via?”

 “Non sto scappando via. Ho solo rivisto le mie priorità.”

 “Sai cosa? Ho scoperto una cosa su di te.” Disse John ridendo sarcasticamente, quella risata era più dolorosa che divertente.

Sherlock arcuò un sopracciglio. “Ah, davvero?”

John annuì. “Scappi dalle cose che t’importano.”

Sherlock scosse il capo. “No. Ti sbagli. Scappo dalle cose che non m’importano.”

John lo guardò con incredulità. “Cosa?”

 “Addio, Watson.” Disse Sherlock, andando via.

 “Sherlock?” Disse John, senza credere a quel che era appena accaduto. Una stupida discussione era finita… Con la fine.

Di un qualcosa che non era mai iniziato.

***

NOTE: Angst. Troppa angst in questo capitolo. Il giorno dopo San Valentino non è il massimo... Quando questi due litigano da una parte mi sento una cheerleader, ma non so mai da che parte schierarmi, dall'altra voglio sotterrarmi. Voi che ne pensate? 

Baci xx

 

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Capitolo 13
*** I'm Looking For Someone To Love ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO: “Non sarebbe comunque finita bene.”
 
I'M LOOKING FOR SOMEONE TO LOVE

Il resto della settimana passò rapidamente. Sherlock non andò a scuola per tutta la settimana e John si chiedeva come mai suo fratello glielo permettesse. Ad ogni modo, si era abituato a vedere Sherlock ogni volta che tornava a casa, e sembrava che il moro conoscesse gli orari precisi di John, e che lo aspettasse... Per parlare? Per sistemare le cose? Certo che no. Lo faceva per ignorarlo e far sentire John una merda. E stava funzionando.
John entrò in casa, si costrinse a non guardare Sherlock e fece il possibile per ignorarlo, ogni giorno. A volte era facile, altre volte era difficile e non riusciva a resistere all’impulso di sbirciare dalla finestra, per vedere se fosse ancora lì, ad investigare.
La polizia sembrava persa, ci stavano mettendo troppo per risolvere il caso. Era Sherlock che li rallentava? John pensò che forse avrebbe dovuto andare per vedere se avesse ragione, o se Sherlock avesse bisogno di qualcosa, ma poi pensò e si convinse che fosse la peggiore delle idee.
John non poteva negare che quei giorni fossero stati infernali. Solo a scuola, solo a casa, solo, solo, solo. Percepiva il vuoto che Sherlock aveva lasciato, un vuoto che non sapeva riempire. E Sherlock sembrava così bello attraverso quella finestra, così brillante, intelligente, premuroso, attraente… Così vicino, ma molto, molto lontano da lui.

***

Era venerdì, Harry era seduta a tavola, accanto John, che la guardava con un sorriso dispiaciuto e lei, in risposta, sorrideva timidamente. John schiarì la gola. “Mi dispiace, Harry.”

Lei scosse il capo. “No, hai ragione. Hai ragione.” Quella era la prima volta in cui parlavano da quando John l’aveva chiamata ‘alcolizzata’.

 “Riguardo cosa?” Chiese incredulo, perché ultimamente non ne aveva azzeccata una.

“Sono un’alcolizzata.” Disse, facendo spallucce. “Ed ero arrabbiata, incredibilmente arrabbiata con te, ma poi ho capito che avessi ragione. Così sono andata via ed ho bevuto, tanto, e quella è stata una decisione stupida. Ma ho aperto gli occhi, credo. Quindi grazie. Ci proverò, davvero, lo farò.”

John sorrise. “Sarò sempre qui per supportarti, capito?”

Annuì, guardò in basso ed una lacrima le rigò il viso. L’asciugò con il dito velocemente, ma non abbastanza affinché John non lo notasse. “Hey, va tutto bene?”

Sollevò il capo, stava piangendo. John non aveva mai visto sua sorella piangere in quel modo. Era allarmante, strano. Scosse il capo. “Non è niente, sto bene.”

"Harry."

 “Io… Io sto bene.”

 “No, non è vero.” Disse John, guardandola.

 “Clara mi ha lasciato.” Disse all’improvviso, e sembrava un casino, ce l’aveva scritto in faccia.

John non disse nulla, così Harry continuò a parlare.

 “Ha detto di amarmi, ma che non può andare avanti in questo modo. Ha detto che sono un peso per lei. Un peso, ci credi? Ha detto che deve pensare, che ha bisogno di spazio. L’ho persa.” Disse perdendo il controllo delle lacrime che rigavano il suo viso.

 “Mi dispiace, Harry.” Disse John, perché davvero, non sapeva cos’altro dire. In quel momento non era la persona adatta per dare consigli d’amore.

 “Io… Devo andare in riabilitazione, e lo farò per lei. Lo prometto.”

John sorrise ed annuì. “Sono orgoglioso di te. E perdonami, ti prego.”

 “Certo, John. Almeno adesso posso guardarti senza darti un calcio sulle palle, e questo è un inizio.”

 “Grazie a Dio!” Disse John, abbozzando un sorriso.

Harry ridacchiò e ripulì le lacrime sul suo viso.

 “Dunque… Brutta settimana per l’amore, eh?” Disse John cercando di sembrare divertente, ma risultò malinconico.

 “Le cose non vanno bene?”

 “Non vanno bene.” John scosse il capo.

“Con il tuo teppistello?” Chiese Harry con nonchalance.

 “Per prima cosa, lui non è mio. Secondo, sì.”

 “Avete rotto?”

 “Per farlo avremmo dovuto avere qualcosa da rompere…”

 “Non sembrava così.”

 “Beh, lo è. Non c’è più niente. Abbiamo discusso. E’ furioso. Mi sta ignorando, e non posso biasimarlo. Ma è frustrante pensare che è qui, ad un passo da me, che si diverte, mentre io sto qui a pensarlo e…” Chiuse la bocca. Aveva detto troppo. E l’espressione di Harry lo confermava.

 “Cosa intendi con ‘non c’è più niente’?”

 “Non siamo niente e non c’è niente tra noi.”

 “Ma tu lo ami. No?”

Non aveva senso negarlo. Harry lo sapeva. L’aveva sempre saputo, lo sapeva ancor prima di John. “… Sì.” Disse esitante, ed arrossendo.

 “Allora c’è qualcosa. C’è l’amore. E l’amore è già qualcosa. E’ praticamente tutto.” Disse sorridendo.

 “Scusa, non ti seguo.” John scosse il capo.

 “Non rinunciare senza prima combattere, senza discuterne, John.” Disse Harry con convinzione.

 “Abbiamo discusso molte volte.”

 “Sai cosa intendo. Se ti piace davvero, allora non lasciarlo andare, non farlo. Non così.”

Aveva ragione. Aveva sempre ragione.

***

Centinaia di detective e giornalisti arrivarono nella casa accanto, ogni tanto si vedeva Sherlock, era molto serio. John pensò a come sarebbe stato bello esser lì con lui, in azione, concentrati. Era come uno show. Incredibile. Pensò alla conversazione che aveva avuto con sua sorella e decise che avrebbe lottato, non avrebbe lasciato perdere per una stupida discussione.
Vide Sherlock fuori, stava fumando una schifosa sigaretta. John indossò la giacca ed uscì di casa.
Prima di raggiungere la porta, prese un respiro profondo. Era nervoso. Pensò a cosa dire, ma non servì a nulla pensare. Aprì la porta. Sherlock stava fumando trepidamente. Aspirava, aspirava, aspirava, finì quella sigaretta troppo rapidamente e ne prese un'altra… Ok, John doveva parlargli subito.

 “Devo parlarti.” Disse John camminando verso Sherlock.

Senza guardarlo, concentrandosi sulla sua sigaretta, Sherlock rispose: “A meno che non debba parlarmi del progetto di storia, non sono interessato.” Gettò il mozzicone di sigaretta per terra, dopodiché lanciò un’occhiata a John, scuotendo il capo e dirigendosi verso la scena del crimine.

John lo afferrò rapidamente dal braccio, e lo riportò dov’era, ed improvvisamente Sherlock era molto, molto, molto vicino a lui, e Dio, gli era mancato quel profumo, quegli occhi, quel viso, quelle labbra. Smettila di fissargli le labbra! Si costrinse a guardare Sherlock in viso, ed incontrò i suoi occhi, gli occhi di Sherlock: fissavano le sue labbra. Era irresistibile.
Dopo un momento di silenzio, il moro guardò la mano di John e si scostò dalla presa muovendo violentemente il suo braccio. Guardò John con una strana espressione, con falsa ripugnanza. “Dammi un minuto.”

Sherlock sospirò ed alzò gli occhi al cielo con la sua espressione sherlockiana che ricordò a John i loro primi giorni. “D’accordo. Sputa il rospo.”

Scosse il capo. Sembrava inerme, disperato, ed odiava ciò. “Che stiamo facendo?”

 “Io sto investigando e tu mi stai interrompendo.” Disse Sherlock, fissando gli occhi di John.

 “No, tu stavi distruggendo i tuoi polmoni, ma lo sai già, e sai anche cosa intendo con quella domanda, quindi smettila di fingere e rispondi.”

 “Fingere, fingere, fingere. La parola della settimana.” Disse Sherlock con sarcasmo.

 “Rispondimi.”

 “Ti ho risposto.” Disse Sherlock, era pungente, senza cuore, serio.

John rimase immobile, cercando di comprendere. Non riusciva a trovare una risposta adatta alle sue parole. Fingere, forse era quello che stavano facendo.
Sherlock sospirò di nuovo. “Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati per studiare e mi hai chiesto di scegliere un argomento per il progetto di storia ed ho scelto Chimica anche se era un argomento che piaceva ad entrambi? Beh, stavolta è la tua scelta, John. Sta a te. Non sarò io a salvarci, questa volta. Scegli tu se farlo o no. Scegli quel che vuoi.” Sherlock si voltò.

 “Stammi a sentire.” Disse John alzando il tono della voce, e Sherlock lo guardò.

 “Ti ascolto.”

“Io… Mi manchi. Mi manchi da morire. Mi hai chiesto di decidere quel che voglio, e la risposta è semplice ed è la stessa che mi hai dato tu quando quel giorno ti sei scusato: io voglio te. Semplicemente. Ma ti voglio per quel che sei. Affascinante, intelligente, adorabile…”

 “… Teppista?” Disse Sherlock immobile, e John scattò. “Vedi? Non mi accetti per quel che sono!”

 “Non ho detto che non ti accetto!”

“Oh, ma per favore, i tuoi occhi dicono tutto quel che ho bisogno di sapere, John.” Disse Sherlock avvicinandosi, i loro visi si sfioravano ed entrambi si stavano guardando negli occhi. “… E se non mi accetti per quel che sono, allora no, grazie.”

 “Io…” John provò a parlare, ma non riuscì.

 “Non ti fidi di me, non ti fidi dell’altra parte di me. Lo vedo ogni volta che sto con te, hai sempre timore che io possa picchiarti, insultarti, o prenderti in giro. Tu non mi credi.”
 
 “Sherlock! Hai permesso che mi picchiassero! Pensi che io possa fidarmi così facilmente?!”
 
“Fai quello che vuoi.” Disse sgarbatamente. “Fai quel che vuoi ma lasciami in pace. Una volta per tutte. Basta creare false illusioni. Per te e per me. Non diventeranno mai realtà. Vedi?” Sorrise amaramente. “Ho scelto io per te. Ed è stata la scelta migliore.” Si voltò, ancora. “Adesso, se puoi scusarmi, sono occupato. Cose più importanti. Addio, Watson.”

John rimase lì, in silenzio, guardando Sherlock andare via. L’aveva lasciato solo una volta per tutte. Bella scelta. Eccetto una sola cosa: John non voleva, ma se era ciò che Sherlock voleva, allora doveva essere così. Sospirò, era arrabbiato, scioccato… Triste. Tornò a casa.

***

John sperava che le cose sarebbero cambiate almeno un po’ con la lezione di storia. Ma non fu così. Non appena entrò in classe, Sherlock era già lì e lo stava chiaramente ignorando. John pensò che preferiva quando Sherlock lo bullizzava, quando alzava gli occhi al cielo non appena lo vedeva, qualsiasi cosa, qualsiasi, sarebbe stata meglio dell’indifferenza. Prese il suo zaino e guardò Sherlock, che guardava il libro sul banco, stava leggendo o forse stava fingendo di leggere, John non ne era sicuro. Rimase lì a fissarlo e pensando a come fosse possibile che quel legame che avevano instaurato così meraviglioso, potesse essere finito, per poi fingere che non fosse mai accaduto. Non era giusto. Odiava ciò e voleva odiare Sherlock. Ma non ci riusciva.

Era ancora fermo lì, perso tra i suoi pensieri. Non sapeva da quanto fosse l, ma sicuramente da tanto tempo, perché il moro sollevò il capo e guardò John ed a John mancava da morire. “Ti serve qualcosa, Watson?”

John si schiarì la gola e si accigliò, non era abituato a sentirsi chiamare così da Sherlock. “La prima bozza del progetto deve essere consegnata tra due settimane. Dobbiamo metterci a lavoro.”

 “Dopo.”

 “No! Non può essere dopo! Non farò tutto all’ultimo minuto!”

 “Non so se lo sai, Watson, ma diversamente da te, io ho una vita al di fuori della scuola, e molte cose da fare. Ti ho detto che ce ne occuperemo dopo. Prendere o lasciare.”

John sospirò. “D’accordo. Ne parliamo dopo.”

 “Hm.” Sherlock annuì appena ed andò via, senza neanche salutare.

John sentì un groppo in gola. “Lascia stare, Watson. Lascia stare.” Disse a se stesso.

Doveva, in ogni caso.

***
Sherlock prese un respiro profondo e chiuse gli occhi non appena uscì dalla classe. Poggiò la fronte contro l’armadietto e rimase lì per un po’. Non si sentiva abbastanza forte per affrontare la giornata. Si odiava perché era così debole, perché permetteva al suo cervello di far spazio per John Watson.
Dio, aveva bisogno di una sigaretta. Da matti. Sperava con tutto se stesso che Jim & co. non fossero fuori a fumare, non voleva parlare con loro. Con nessuno. Con John.
Non appena arrivò al posto in cui solitamente fumava, accese la sigaretta ed iniziò a fumare con ansia. Odiava quando ne fumava una, e poi un’altra ed un’altra ancora ed un’altra ed il pacchetto era finito e non si sentiva per niente meglio. Era raro che accadesse. Depressione, attacco di panico, crollo psicologico. Suo fratello chiamava in diversi modi quella sensazione. Ma lui non si sentiva in quei modi.
Le lezioni erano terribili, trascorreva la maggior parte del suo tempo a cercare di concentrarsi effettivamente sulla lezione piuttosto che sui capelli di John, che voleva toccare in una maniera assurda, e sentire il suo profumo e Dio, quand’è che era accaduto tutto ciò? Quand’è che il gioco era diventato una cosa seria?
Pensò a quanto fosse stupido lasciare che sensazioni del genere pervadessero la sua mente per via di una persona. Una persona. Sentimento. Patetico. Era deluso da se stesso. Ma adesso si era svegliato. Si era tolto il velo dagli occhi, aveva realizzato quanto fosse inutile innamorarsi di qualcuno. Dannazione, no. Lui non si era innamorato di John. Si era sbagliato. Era fuori di testa, era pazzo.
Non voleva stare con John Watson, ovviamente.
Qualcuno si schiarì la gola, alle spalle di Sherlock, il quale si voltò immediatamente sperando che fosse John la persona dietro di lui, e si odiava per quel pensiero.

 “Bene, bene, bene, cosa abbiamo qui?”

Merda. Mr. Hikes.

Sherlock gettò via la sigaretta, la pestò. “Buongiorno, Mr. Hikes.” Disse sorridendo debolmente e cercando di sembrare quanto più convincente possibile.

 “Fumare a scuola? Che trasgressione, Holmes, che trasgressione.” Disse scuotendo il capo, chiaramente deluso.

 “Mi dispiace, Io… Ne sentivo il bis-“

 “Spero sinceramente che…” Mr. Hikes lo interruppe. “… Non ne sentirai il bisogno questo pomeriggio, durante la tua punizione.”

Sherlock smise di sorridere. “Punizione?”

 “Dovresti ringraziarmi perché non lo dirò al preside, Holmes.”

Sherlock chiuse la bocca immediatamente e realizzò che fosse meglio non contestare, perché Hikes aveva ragione e non poteva sopportare di essere cacciato via dalla scuola. Cosa che sarebbe sicuramente accaduta se il preside avesse scoperto quel che Sherlock aveva fatto. No. Doveva rimanere in quella scuola. Per John. Per nessuno. Per se stesso. Non per John, ovviamente. Annuì.

 “Bene. Ci vediamo in punizione. Adesso vai in classe.” Disse Hikes, con tono autoritario, dirigendosi verso l’entrata della scuola. Sherlock lo seguì, sospirando. Quante altre cose gli sarebbero andate male quel giorno?

***
L’ora di pranzò passò. Sherlock stava leggendo un libro, ‘On The Road’ di Jack Kerouac[1]. Stava aspettando pazientemente John, ma non c’era neanche l’ombra di lui, ed aveva senso, considerando che Sherlock gli avesse detto di farsi da parte e lasciarlo in pace. E la sua non-presenza era la risposta più razionale. Significava che avrebbe dovuto essere felice di ciò. Ma non lo era. Si sentiva infelice. E odiava quella sensazione.
Le persone andavano via dalla mensa e Sherlock sapeva che John quel pomeriggio avrebbe avuto l’incontro al club di chimica e sorrise perché John era così diverso da tutte quelle persone, da chiunque avesse conosciuto, era unico, speciale, intelligente…
John girò l’angolo e prese un respiro profondo. Sherlock sedette composto, chiuse il libro e lo guardò, senza sorridere, ma senza sembrare riluttante a conversare. John non lo guardò affatto, gli passo accanto, guardando dritto, senza neanche sbattere le palpebre, si stava chiaramente impegnando ad ignorarlo il più possibile. Sherlock aggrottò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore, e tutto ciò che poteva vedere in quel momento era la schiena di John. Camminava determinato, ed era di fretta, chiaramente diretto al laboratorio di chimica fin quando non si perse tra la folla. Sherlock sospirò e si alzò per andare in classe. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
Quando entrò in classe, trovò Irene che sbirciava dalla finestra. Mormorò: “Buon pomeriggio.”

Lei sorrise ampiamente. “Ciao, Sherlock. E’ un piacere vederti.” E gli fece l’occhiolino.

Sherlock sorrise debolmente, quando Hikes entrò in classe, avrebbero dovuto organizzarsi per pulire i cancellini che lui e John non avevano pulito. Quella era stata una punizione piacevole. Questa sarebbe stata… Noiosa.

Non appena Hikes uscì dalla classe, Irene sedette sulla cattedra ed accavallò le gambe. “Quindi… Cosa ti porta qui?”

“Mh?” Disse Sherlock, era distratto, non voleva prestare attenzione ad Irene e preferiva pulire i cancellini in silenzio, in quel caso. Gli mancava John.

 “Ho detto perché sei qui? Perché sei in punizione?”

 “Fumo.” Sherlock fece spallucce senza guardare la ragazza. “Tu?”

 “Mi hanno beccata mentre baciavo un tizio nel retro della scuola.”

 “Chi?” Chiese Sherlock, era curioso.

 “Jim.” Disse con uno stupido sorriso.

Sherlock fece di tutto per nascondere il disgusto che stava per prendere il sopravvento. “E perché lui non è qui?” Era ovviamente un sollievo che Jim non fosse lì.

 “Hikes ha pensato che Jim avrebbe potuto aiutare in mensa.” Disse ridacchiando.

Sherlock rise appena.

 “Quindi… Hai fumato. Che cattivo ragazzo!” Disse arcuando il suo sopracciglio.

 “Avevo bisogno di una sigaretta.”

 “Davvero? Perché?” Lo guardò con sospetto. Come diamine faceva a sospettare le cose così facilmente? Quella ragazza era intelligente!

Sherlock contrasse le sue labbra e non rispose. Guardò in basso e rimase in silenzio.

La ragazza formò una grande “O” con la bocca. “Il ragazzo!”

 “Chi?”

Rise. “Oh, ti ha spezzato il cuore, non è vero? Ti avevo avvertito a riguardo, ricordi? E non eri ubriaco, credo.”

Sherlock scosse il capo.

Lei sorrise. “Cos’è successo al ‘sono stato informato di non avere un cuore’?”

 “Non ce l’ho, infatti.” Disse Sherlock, era serio.

 “Oh, Sherlock, sei così dolce.”

Beh, quella era la prima volta; Sherlock era stato chiamato in molti modi in vita sua, ma non era mai stato definito “dolce”.
 
“Dolce?” Disse confuso.

 “Che è successo tra di voi?”

 “Abbiamo discusso.”

 “Ammetto che l’avevo previsto. Non sarebbe comunque finita bene.”

Irene aveva ragione.

 “Credo tu abbia ragione. Non sarebbe finita bene.”

Annuì e si avvicinò a Sherlock. “E’ qui?”

“Ci siamo solo io e te, qui.” Disse Sherlock con un’espressione rivolta ad Irene che recitava la frase: non essere idiota.

 “Intendo qui a scuola!”

Sherlock avrebbe dovuto dir di no. Mentire era la cosa più giusta da fare. Ma chissà come, non riuscì a farlo. Non riusciva a mentirle. Perché? Rimase in silenzio cercando di pensare.
Il suo sorriso divenne più ampio, si avvicinò ancora a Sherlock. E Sherlock realizzò che non gli piaceva che le persone si avvicinassero a lui, a meno che non fosse John a farlo. E buon Dio, perché continuava a pensare a John?!

Toccò la gamba di Sherlock e poggiò la sua mano lì. Poi sussurrò al suo orecchio: “Lo sai che posso aiutarti? Vuoi farlo ingelosire? Vuoi vedere quanto tiene a te?”

E Sherlock annuì. Non avrebbe dovuto farlo.

 “Chi è? Andiamo, Sherlock. Dimmelo. Chi ha spezzato il tuo cuoricino?”

Sherlock scosse il capo.

 “Allora mi dispiace, non ti aiuterò.”

 “Non ho mai chiesto il tuo aiuto.”

 “Ma ti serve.”

Ed ancora, Irene aveva ragione. Perché aveva ragione in tutto quel giorno? E se le persone avessero capito che Sherlock fosse innamorato di qualcuno? E se avessero capito che quel qualcuno fosse un ragazzo? No. Aveva una reputazione. E se l’avessero scoperto, avrebbero fatto del male anche a John. Era la scelta migliore, l’aiuto di Irene. Come aveva fatto a non pensarci prima?

 “Mi ‘spiace, non posso dirlo.”

“Mi ‘spiace, non ti aiuterò.” Disse Irene, con determinazione.

 “Irene… Ti prego?” Sherlock odiava pregare la gente.

 “Sono disposta ad aiutarti, Sherlock, ma prima vorrei sapere con chi ho a che fare! Sono solo curiosa.” Gli fece l’occhiolino.

 “Non lo so…” Sherlock stava esitando.

 “Andiamo, sai che riesco a mantenere i segreti, non ti fidi ancora di me?”

Sherlock sospirò. Rimase in silenzio per un attimo. “John Watson.”

Irene sorrise, sorrise divertita, e non sembrò sorpresa neanche per un secondo.

***

NOTE: [1] Sulla strada (titolo originale: On the Road) è un romanzo autobiografico, scritto nel 1951, dello scrittore statunitense Jack Kerouac, basato su una serie di viaggi in automobile attraverso gli Stati Uniti, in parte con il suo amico Neal Cassady e in parte in autostop. Maggiori info: QUI.

NOTE 2: AAAAAH. Irene. Quanto posso odiarla?! L’ho odiata come personaggio su Sherlock, e la odio anche qui in questa fan-fic. E’ insopportabile… E coprirà un ruolo importante in questa storia, quindi non scordatevi le sue parole! John che ignora Sherlock e Sherlock che si mangia le mani perché viene ignorato… Rido. Sembrano dei bambini, sono teneri. Cosa ne pensate voi? Spero vi sia piaciuto il capitolo, so che avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma purtroppo sono alle prese con lo studio! Oggi stesso inizierò a tradurre il prossimo. Buona domenica e buona lettura! Baci xx

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Capitolo 14
*** It's Only Make Believe ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO: “Sei patetico, lo sai?”

***

 
IT'S ONLY MAKE BELIEVE

 “… John Watson.” Ripeté Irene dopo un momento di silenzio, che sembrò durare un’eternità per Sherlock, che si stava chiedendo se avesse sbagliato a dirglielo e perché mai l’avesse fatto?
 
“Senti, dimentica ciò che ho detto. Non ne parliamo e puliamo questi cancellini. Non mi serve il tuo aiuto, non mi serve niente.” Disse prendendo dei cancellini dalla borsa e dirigendosi verso le finestre per aprirle. Aveva molti ricordi riguardo quella punizione. Ma in quel momento quei ricordi non erano d’aiuto.
 
“Oh no, mio caro. Ti aiuterò. Per quale motivo ti ha rifiutato?” Chiese con sorpresa.
 
“Non mi ha rifiutato!” Disse Sherlock sulla difensiva.

 “Quindi, vuoi che io finga di essere la tua ragazza?” Disse Irene, e Sherlock la guardò immediatamente.

 “Io… Io ho una reputazione. Non posso permettere che questo ragazzo arrivi e rovini tutto.”

 “Questo ragazzo di cui ti sei innamorato…” Disse Irene sorridendo.

 “Non mi sono innamorato di lui. E’ stato uno sbaglio! Io non provo questi… Sentimenti.”

“Uhm… Potresti essere davvero un ottimo attore. Non credo ad una singola parola!”

 “Possiamo parlare d’altro, per favore? Ed andarcene di qui il prima possibile?” Disse Sherlock, pulendo i cancellini di fronte Irene.

Lei sorrise. “Ok.” Disse tossendo e dirigendosi verso la borsa con i cancellini per prenderne alcuni.

Sbatté i cancellini l’uno con l’altro e rimase in silenzio. Fino a quando…

 “Aspetta! Ma tu sei arrivato qui quest’anno!” Disse Irene.

 “Anche tu, e hai già ficcato la tua lingua in bocca a Jim. Parli proprio tu!”

 “So che a Jim non importa-“ Disse avvicinandosi a Sherlock e sussurrando contro il suo orecchio. “- Se sto con te. Non siamo niente, dopotutto.”

 “Meglio per Jim.” Disse Sherlock cercando di ignorarla.

 “Ok.”

 “Ok cosa?” Chiese Sherlock, arcuando il sopracciglio.

 “Sarà divertente.” Disse sorridendo. “Mi piacerebbe vedere quel nerd odiarmi perché sto con te.”

“A me non piacerebbe.” Disse Sherlock scuotendo il capo.

 “Hai altra scelta?”

Sherlock sospirò. “D’accordo.”

***

Il tempo trascorreva. Irene e Sherlock stavano parlando appena mentre pulivano i cancellini (sporcandosi i vestiti) quando Mr. Hikes entrò in classe. “Potete andare adesso, ma vi avverto: la prossima volta che vi coglierò in flagrante ad infrangere le regole della scuola, riceverete conseguenze peggiori. Chiaro?”
Irene e Sherlock annuirono ed andarono via.
E John stava attraversando il corridoio nello stesso momento.
Sherlock deglutì sonoramente. Non riusciva a muoversi. Gli mancava John, da morire. Ma era per il loro bene. Sentì poi la mano di Irene tenere la sua, delicatamente. Distolse lo sguardo da John, che probabilmente non li aveva visti, perché era troppo lontano. Irene afferrò Sherlock dal colletto della sua giacca e lo avvicinò al suo viso.
Iniziarono a parlare sussurrando e davvero, Irene era un’ottima attrice, chiunque passava poteva dire che entrambi fossero pazzi l’uno dell’altra. Sherlock fece del suo meglio per sembrare spontaneo nei gesti e sorrise, forzandosi a non voltarsi per guardare John, che si stava avvicinando a loro.
Improvvisamente Irene ridacchiò a bassa voce, ma abbastanza da farsi sentire da chi fosse vicino a loro e Sherlock vide la schiena di John non appena passò accanto a loro, senza fermarsi, continuando a camminare lungo il corridoio. Vide la tensione concentrarsi sulle spalle di John.
Non appena la sua silhouette sparì, Sherlock si allontanò da Irene e sospirò, poggiandosi contro gli armadietti. Chiuse gli occhi. Quel che aveva fatto non era giusto. Sapeva di aver ferito John. E ciò lo stava uccidendo.

Irene si avvicinò a Sherlock con un sorriso. “Oh, saremo la coppia più bella della scuola.”

Sherlock si voltò per guardarla. “Non siamo una coppia.”

 “La gente non deve saperlo, Sherlock.” Disse sollevando il sopracciglio.

Sherlock sospirò.

***

Le ore al club di chimica passavano incredibilmente lente, e John non poteva fare a meno di pensare a Sherlock per tutto il tempo, e odiava tutto ciò. Odiava non essere in grado di toglierselo dalla testa, ed allo stesso tempo non voleva farlo, perché se l’avesse fatto, avrebbe posto fine a tutto ed ovviamente non era quel che voleva.
Sospirò non appena prese il suo zaino ed andò via dalla classe, salutando Molly. Voleva andare a casa il prima possibile, era stata una giornata davvero lunga.
Forse Sherlock sarebbe stato nella casa dei suo vicini, di nuovo, forse anche se non avrebbe potuto parlargli, poteva comunque vederlo attraverso la finestra, e sarebbe bastato. Beh, non abbastanza. Ma era qualcosa.
Per fortuna dovevano ancora lavorare insieme al progetto di storia.
Giunse al corridoio della scuola quando si fermò improvvisamente e spalancò gli occhi. Quello era Sherlock? Non riusciva ad inquadrare bene il moro, gli dava le spalle, ma era per certo con una ragazza: Irene.
John continuò a camminare senza guardare i due. No. Assolutamente no. Magari un po’… Solo un piccolo movimento con la testa, un piccolo, piccolissimo… Sì. Era Sherlock. Stava parlando con Irene ed erano incredibilmente vicini, come Sherlock faceva con John, lei stava tenendo la sua mano e ridevano e che cazzo? Sospirò e continuò a camminare, non si sarebbe più voltato a guardare. Farlo era stato un errore madornale.
Quando arrivò alla sua macchina sentì il bisogno di accendere la radio, per annegare i suoi sentimenti con Tchaikovsky, Beethoven e Bach… Accese la radio e… Merda. Rock’n’roll. Rock fottuto Roll ad alto volume e mille ricordi affollarono la mente di John, ed era così furioso che iniziò a prendere a pugni il sedile del passeggero perché era lì che si era seduto, poi spense la radio ma il rock’n’roll invadeva ancora la sua mente e continuò a dar pugni, ancora ed ancora. Ma non si sentiva meglio.
Niente andava meglio.
E ne ebbe la conferma non appena vide la coppietta felice camminare mano nella mano, sorridendo. Entrarono poi dentro la macchina di Irene (guidava lei) e sembravano così felici, e John aveva il cuore spezzato. Anche se non sapeva se effettivamente fosse quella la sensazione. Si sentiva… Vuoto. Sì, probabilmente aveva il cuore spezzato. O forse era un attacco cardiaco.
Accese nuovamente la radio, aveva bisogno di ascoltare Tchaikovsky. Ne aveva bisogno. Di nuovo il canale del rock’n’roll. Stava per cambiare quando Well, I’m so lonely, I get so lonely I could die… Diamine, ma Elvis Presley era un indovino?! Chiuse gli occhi, poggiò la sua schiena contro il sedile e prese diversi respiri profondi. Per quella volta non avrebbe cambiato canzone, avrebbe aspettato che la canzone sarebbe finita.
Non aveva mai cambiato, a dire il vero.

***

 “Cos’ha fatto John?” Disse Sherlock dopo esser stato in silenzio per diversi minuti contro l’armadietto.

“Lui… Si è fermato per un attimo per accertarsi che fossi davvero tu, era molto sorpreso, ma poi ha ripreso a camminare. Sicuramente non se l’aspettava.” Disse Irene, accanto lui.

 “Vado a casa.” Disse Sherlock dando le spalle ad Irene.

 “Sherlock, aspetta!” Disse alzando il tono della sua voce per farsi sentire. Sherlock si fermò e si voltò per guardarla.

 “Che vuoi?” Disse, sospirando.

 “Due cose: uno, smettila di fare il depresso. Due, ti accompagno a casa.” Disse abbozzando un sorriso.

 “Cosa?! Io non sono depresso!”

“Lo sei e non puoi! Se devi mentire, dovrai farlo bene, mi capisci?!”

Sherlock annuì, capendo a cosa si stesse riferendo.

 “Ottimo, andiamo.”

 “Dove?” Chiese Sherlock.

 “Qualcosa mi dice che John non è ancora andato via.” Disse ammiccando ed afferrando la mano di Sherlock, trascinandolo al parcheggio.

 “Adesso sorridi, come se stessi trascorrendo i momenti migliori della tua vita.” Sussurrò al suo orecchio, non appena raggiunsero il portone.

 “Non è così.”

 “Infatti ho detto ‘come se’!”

 “Non saprei. Sono un teppista, non un attore…” Disse Sherlock, facendo spallucce.

“Tu e la modestia non fate una bella coppia. Mmm… Pensa a te e John… Come se gli stessi tenendo la mano, come se lo stessi baciando…”

Sherlock sorrise per un momento, cercando di ricordare il tempo trascorso con John. Non disse ad Irene che non si erano mai baciati e che a malapena si erano tenuti per mano, ma il pensiero di John con lui rese le cose migliori.

Irene ridacchiò, guardando in basso e scuotendo il capo. “Sei completamente cotto! Per l’amor di dio, Sherlock!”

 “Basta parlare, andiamo.” Disse cercando di mantenere quel sorriso.

Irene, come al solito, aveva ragione. John era in macchina, ma quest’ultima era spenta. Sherlock non riusciva a vedere cosa stesse facendo, ma c’era qualcosa che non andava. Sentì l’impulso di andare da John e di dirgli che gli dispiaceva, e che lo amava, e non Iren… Merda. Lo amava?! No. No. Ovvio che no. Non amava John.

“Amore” era una parola troppo grande. Sorrise nuovamente e guardò Irene, iniziarono a parlare, e magari quella conversazione l’avrebbe svegliato dalla sua stupidità. Amore. Che battuta.
La voce di John gli ritornò in mente, ricordandogli il loro litigio. Se io fossi solo un gioco per te?
 
Se così fosse? La sua vita sarebbe molto più facile.
Entrarono nella macchina di Irene. “Io non posso guidare.” Disse Sherlock con tono serio. Beh, tecnicamente avrebbe potuto guidare, ma facendolo avrebbe pensato a John. Era meglio evitare ogni tipo di ricordo e perché ogni cosa che faceva gli ricordava John? Era stupido. Tremendamente stupido.

Irene sedette sul sedile del guidatore senza neanche chiedere. Lo guardò e disse: “Dove andiamo?”

 “A casa mia.” Rispose Sherlock senza esitazione, perché moriva dalla voglia di stare da solo, a casa, ad ascoltare Buddy Holly o Chuck Berry fin quando le cose non sarebbero andate meglio, ma niente andava mai meglio perché combinava sempre casini su casini. La scena del crimine avrebbe aspettato quella giornata.
Irene accese la macchina, ma notarono che John era ancora là. Stava bene? Sherlock non voleva tenerci, John e lui non erano niente, e lui non lo amava. Ma non poteva fare a meno di pensare.

Non appena arrivarono a casa di Sherlock, Irene si rivolse a lui. “Wow. Che reggia.”

 “Sì…” Disse Sherlock leggermente imbarazzato, perché la sua casa lussuosa non lo rispecchiava. “Ascolta, voglio chiederti una cosa.”

 “Ti ascolto.” Disse Irene.

 “Io… Beh… Perché mi stai aiutando?” Disse Sherlock, non essendo in grado di trovare altre parole per formulare la domanda.

Irene sorrise. “Oh…”

Si voltò per guardare Sherlock. “Amo stare in mezzo ai guai e trascorrere del tempo con te. Perché non dovrei aiutarti?”

 “Vuoi che ti paghi… O qualcosa di simile?”

Scosse il capo. “Sono offesa. Ovvio che no! Dico davvero, mi piace andare in giro per creare scompiglio, e questa sembra un’ottima occasione. Inoltre non è che non stia ottenendo nulla, al contrario, sto frequentando uno dei ragazzi più popolari della scuola! E ciò mi darà così tanto potere!” Disse Irene eccitata, come se fosse una cosa da tutti i giorni, dopodiché si avvicinò a Sherlock e baciò il lobo del suo orecchio.

 “Beh, qualunque sia la ragione, grazie… Per il tuo aiuto.” Sherlock aveva sempre difficoltà quando doveva ringraziare qualcuno.

 “E’ un piacere, Sherlock.”

 “Beh… Ciao, allora.” Disse Sherlock aprendo la portiera dell’auto. Mrs. Hudson uscì fuori di casa e si precipitò ad abbracciare il moro, il quale si sentì leggermente in imbarazzo mentre Irene rideva.

 “Aspetta! Non mi inviti in casa?” Chiese Irene, mascherando il sorriso sotto quell’espressione seria.

Era chiaro che non volesse farlo. Non permetteva a chiunque di entrare in casa sua. Era come se fosse il suo spazio privato, nel quale poteva essere se stesso, e si sentiva dannatamente vulnerabile quando permetteva a qualcuno di entrare in casa. Beh, non che l’avesse fatto, visto che l’unico ad esser entrato in casa era stato John, e non era finita bene. Stava cercando dei modi gentili per dirle di no.

Rimase in silenzio per un attimo, fin quando Irene non iniziò a ridacchiare. “Sto scherzando, Sherlock! A domani, caro!” Gli fece l’occhiolino ed andò via.

Sherlock si diresse verso la porta di casa, lasciandosi alle spalle una confusa Mrs. Hudson, si sdraiò sul suo letto chiedendosi se John fosse ancora a scuola, e se stesse davvero bene. E forse no, la scena del crimine non poteva aspettare.
Prese il suo zaino, sospirò ed andò fuori, aspettando un taxi.

***

Erano passati esattamente otto giorni da quando i vicini di John erano stati uccisi, e Jojn non si era ancora abituato a vedere tutti quei poliziotti e detective allo stesso momento. Apparentemente, Sherlock non era lì. John non poteva avvicinarsi troppo alla casa dei suoi vicini, quindi era difficile esser sicuri che Sherlock non ci fosse. Prese un respiro profondo e tornò in casa. Stranamente il rock’n’roll era stato un’ottima terapia. In qualche modo, si sentiva meglio.
Era andato in cucina, a bere del caffè per rimanere sveglio. Non aveva idea di quanto tempo avesse trascorso al parcheggio, guardando le persone passare di lì e cercando di trovar conforto in qualunque canzone merdosa in quel merdoso canale e provando a non pensare a Sherlock e siccome odiava quella musica, allora aveva una scusa per odiare anche Sherlock. Non era un ragionamento molto logico, ma per il momento, sembrava funzionare.
Prese i suoi libri ed andò al piano superiore, chiudendosi nella sua stanza. Anche la biologia era una buona terapia. Non avrebbe studiato storia. A volte era difficile concentrarsi perché c’era molto chiasso che proveniva dalla scena del crimine, pattuglie della polizia che andavano e venivano, la gente che parlava… Sherlock.
Ok, adesso aveva le allucinazioni: aveva davvero sentito la voce di Sherlock? Non aveva senso, probabilmente Sherlock era a casa di Irene, a fare cose… E quel pensiero fece contorcere lo stomaco di John. Udì nuovamente la sua voce.
Guardò attraverso la finestra, il moro stava parlando con Dimmock, e come sempre era così bello. John voleva andare giù per parlare del crimine, solo perché sapeva che Sherlock aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che lo aiutasse. Rimase lì a fissarlo, cercando di fermare i pensieri che galoppavano.
Era talmente perso nei suoi pensieri che in quel momento non realizzò che il moro spostò il suo viso verso la finestra di John e si stavano guardando ed il tempo si era fermato ed erano solo loro due e John non riuscì a distogliere lo sguardo. L’espressione di Sherlock era illeggibile, e non aveva ancora spostato lo sguardo altrove.
John avrebbe potuto giurare di aver visto il moro sorridere. Riconosceva i sorrisi di Sherlock, riusciva a distinguere quelli finti da quelli veri, e quello non era un sorriso maligno, era incredibilmente spontaneo, uno di quei sorrisi che riservava solo per John.
Ma John non riuscì a sorridere, non riusciva a fingere, non poteva sorridere a Sherlock, e resistette all’impulso di ritornargli il sorriso, scosse il capo, guardò in basso e quando tornò a riguardare dalla finestra, il sorriso di Sherlock non c’era più, e quel momento tra loro due era finito. Chiuse le tende e si buttò sul letto, continuando a studiare. Non ci riusciva, ogni volta che provava a concentrarsi, udiva la voce di Sherlock, e stava diventando difficile, molto difficile, ignorarlo.
Dopo una lunga giornata, finalmente poteva andare a dormire.

***

 “Wow!” Sebastian guardò Sherlock sorpreso. “Te l’ho detto! Quella voleva solo te!”

Sherlock abbozzò un sorriso. “Sì… Abbiamo capito che stavamo facendo gli stupidi e che non c’era alcuna ragione per non stare insieme.”

 “Ben fatto, amico! Morirei per scoparmi una come lei!”

Sherlock provò a nascondere l’espressione di disgusto. Aveva proprio dei fantastici amici.
Stavano aspettando contro gli armadietti che le lezioni iniziassero. Jim non c’era e Sherlock si chiedeva se lui fosse davvero d’accordo che stesse “frequentando” Irene. Greg era silenzioso. Guardava Sherlock, in silenzio.
La campanella suonò.

Sebastian sospirò. “Dio. Non sopporto più la scuola. A dopo.” Disse andando via.

Sherlock sorrise timidamente e si voltò per andar via quando Greg lo raggiunse. “Sherlock, aspetta!”

 “Che c’è?” Sherlock lo guardò.

Greg abbassò il tono della sua voce, anche se in quel momento non c’era quasi nessuno. “Che è successo?”

 “Che è successo cosa?” Disse Sherlock arcuando il suo sopracciglio.

 “Fai sul serio con Irene?”

Sherlock si mise sulla difensiva. “Che significa? E’ la mia ragazza!” E quelle parole erano davvero strane dette da Sherlock.

 “Oh, no, no! Non mentirmi, Sherlock. Che mi dici di John?”

Sherlock aggrottò le sopracciglia. “John chi?”

Greg sbuffò. “Cosa intendi con ‘John chi?’ John Watson, ovviamente!”

Sherlock fece spallucce. “Quel nerd?”

Greg lo guardò, era sorpreso. “Che è successo, Sherlock?”

Sherlock abbassò lo sguardo. Era ovvio che Greg sapesse, e non gli dava fastidio, a patto che non ne parlasse con altri, ma si fidava di Greg. Anche se probabilmente non avrebbe dovuto. Sospirò. “E’ andato via.”

 “Cosa? Da quando?”

 “Smettila di fare domande! Non voglio rispondere!”

 “Ma… Sherlock, sembravi così felice!”

Sherlock rimase in silenzio. Sembrava davvero così depresso?

 “Senti, non so cosa sia successo tra te e John, ma qualunque cosa ci sia adesso tra te ed Irene, beh… Non sembra vera. Come pensi che si possa sentire John a riguardo?”

 “Che cosa ne posso sapere?” Sherlock fece nuovamente spallucce. “Non m’importa di sapere come si sente quel nerd.”

 “Beh, lascia che ti dica che quel ragazzo prova qualcosa per te. E gli spezzerai il cuore.”
 
Sherlock provò a pensare ed a convincersi che non fosse come diceva Greg. “Beh, quelli sono problemi suoi, non miei. Ci vediamo.” Sospirò.
 
Greg alzò il tono della sua voce. “Sei patetico, lo sai?”
 
“Mi sento patetico, Greg. Ciao.” Disse andando via, senza guardare il suo amico.

***

NOTE: Eccomi con il nuovo capitolo! Spero che la storia vi piaccia e che non vi stia, in qualche modo, annoiando. So che aspettate tutte quante il fatidico bacio tra Sherlock e John, e purtroppo dovrete pazientare ancora un po'. Ma posso davvero assicurarvi che prima di ciò succederanno MOOOOLTE altre cose, e vi serviranno defibrillatori, pistole, smadonnamenti vari e fazzolettini. Ad ogni modo, mi auguro che questo capitolo vi piaccia. Se riesco ad esser costante, cercherò di postare ogni tre giorni. Come ben sapete i capitoli sono 50, perciò preferisco non farvi aspettare settimane per un capitolo nuovo. Detto ciò, buona lettura a tutte quante. <3

 

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Capitolo 15
*** No One Knows ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO: “Quindi… Fingiamo e basta?”
 
NO ONE KNOWS

Era mercoledì; dopo due lunghissimi giorni di scuola in cui tutto gli ricordava Sherlock e la felice coppia che faceva con Irene, John arrivò a casa. Prima di tutto ciò, preferiva mille volte rimanere a scuola piuttosto che tornare a casa perché si sentiva incredibilmente solo, ma adesso a scuola si sentiva ancora più solo e desiderava sempre e soltanto andare a casa e lasciarsi tutto alle spalle.
Parcheggiò la macchina, non aveva neanche acceso la radio durante il tragitto casa – scuola. Scese dall’auto e sua madre lo stava aspettando davanti la porta di casa, con le braccia incrociate, tenendo un foglio tra le mani. Stava anche piangendo. John pensò al peggio. “Ciao, mamma.” Si avvicinò a lei, guardandola preoccupato.

“Stai bene?”

Sua madre scosse il capo e lo guardò. “Puoi spiegarmi questo, per favore?”

Gli mostrò il foglio. Era la prima nota dell’anno. Aveva preso un’insufficienza in fisica.

Merda.

***

John si svegliò senza neanche ricordare a che ora si fosse addormentato. Ricordava di aver pianto, ricordava di aver avuto un brutto litigio con il padre, l’aveva chiamato ‘traditore bugiardo’ e ‘merda di padre’ e poi… Aveva un livido sulla spalla. Gli faceva male. John ne aveva abbastanza, era stanco di essere il ragazzo perfetto, di lavorare sodo per non deludere le aspettative dei genitori, sapendo che non avrebbe mai raggiunto il livello delle loro aspettative. Era tutto sottosopra.
Fecero colazione in silenzio ed una volta finito, lui ed Harry si prepararono per andare a scuola. Non appena entrarono in macchina, Harry accese la radio, sintonizzandola in quella merda di stazione radio rock’n’roll. In quel preciso istante, John perse la pazienza: “SPEGNI QUELLA MERDA!” urlò, e lei lo guardò. Non disse nulla, e spense la radio.
Rimasero per tutto il tragitto in silenzio. E poi John non aveva voglia di parlare.
John non aveva mai avuto bisogno di un amico così tanto come in quel momento. Ma non aveva nessuno. Mike non avrebbe ascoltato. O forse l’avrebbe fatto, ma John non voleva comunque dirgli nulla. L’unica persona al mondo di cui si fidava abbastanza, era Sherlock. O meglio… Il vecchio Sherlock. Quello che stava con John, quello che non era un idiota.
Sapeva che il vecchio Sherlock l’avrebbe trattenuto e gli avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene, che fosse intelligente, ed abbastanza forte ed incredibile, perché era quello che faceva il vecchio Sherlock. Ma non esisteva più. Il nuovo Sherlock se la stava sicuramente spassando con Irene prima dell’inizio delle lezioni.
La campanella suonò. Storia. Avevano storia. John sospirò. Avrebbe fatto qualsiasi altra cosa pur di non seguire la lezione di storia. Si fermò a pensare a quanto fosse cambiata la sua vita in così poco tempo (di nuovo!) prima odiava quella materia, poi era diventata la sua preferita, ed ora la odiava di nuovo. Prese i suoi libri dall’armadietto ed andò in classe.

***

Sherlock poteva giurare che ci fosse qualcosa di strano in John. Non si stava comportando normalmente, ed aveva anche senso considerati gli orribili trascorsi tra di loro, ma c’era qualcosa di… Diverso in John.
Sherlock era già in classe quando John entrò, e si costrinse a non guardarlo, ad ignorarlo il più possibile ma era fottutamente difficile, soprattutto perché John sembrava così… Triste? Non riusciva a capire. Durante l’intera durata della lezione, Sherlock trascorse la maggior parte del suo tempo a fissare il collo di John, i suoi capelli, la sua schiena, cercando di capire cosa fosse successo. John era completamente assente durante la lezione, e confermava la sua teoria! John era sempre partecipe alle lezioni. Non guardava il suo quaderno, prese a malapena appunti… La sua mente era sicuramente altrove.
Dal loro ultimo litigio, Sherlock si era detto che alla fine sarebbe ritornato tutto alla normalità, che avrebbe superato quella fase di stupidità e che avrebbe dimenticato John, ma era tutto il contrario: si pentiva giorno dopo giorno delle sue dannate scelte, ogni volta che vedeva John sentiva il bisogno di abbracciarlo, di tenere la sua mano, di baciarlo e di migliorare le cose, ma non poteva e non voleva. Sapeva di aver esagerato quel giorno, e John aveva ragione, era stata una discussione inutile, ed era stupido lasciare le cose così. Voleva fare la cosa giusta, ma non sapeva come.

***
John sapeva che la lezione di storia non avrebbe migliorato le cose, ma in qualche modo aveva la speranza che il professore li avrebbe costretti ad un qualche lavoro di gruppo, o che avrebbero discusso del progetto, così da poter trascorrere del tempo con Sherlock, anche se adesso fingevano di non essersi mai conosciuti. Ma aveva anche altro di cui preoccuparsi: fisica. Come avrebbe potuto ricevere una borsa di studio? Aveva toppato in quella materia. Era inaccettabile ed era tutta colpa di Sherlock. Tutto era colpa sua.
Rimase in silenzio, sapendo che incolpare Sherlock per tutto non l’avrebbe aiutato e fingere di odiarlo non l’avrebbe aiutato ad odiarlo per davvero. Non ci riusciva e non poteva. Per quanto ci provasse, non poteva.
Il resto della giornata trascorse rapidamente, ed era sorpreso quando la campanella suonò. Era l’ora di pranzo. John non voleva mangiare nulla, così pensò che la cosa migliore da fare fosse andare in biblioteca a studiare fisica, studiare avrebbe migliorato il suo umore. O almeno, così pensava.
Raggiunse il suo armadietto per prendere gli altri libri dall’armadietto, mentre gli studenti camminavano lungo l’androne. Prese i libri e sospirò, poi si voltò e provò ad andar via ma Sebastian si era già avvicinato a lui, spingendolo contro gli armadietti, e la prima cosa che percepì John fu la sua spalla contro il metallo dell’armadietto, ed il dolore s’intensificò, mentre il moro passò davanti a lui. I libri caddero per terra. “Guarda dove metti i piedi, sfigato!” Disse Sebastian, ridendo. Jim, dietro Sebastian, scoppiò a ridere.
Le persone continuavano a passare, ma John era ancora lì, con la schiena contro gli armadietti, toccandosi la spalla e cercando di raccogliere i libri. Era così furioso. E no, no, no, non stava piangendo e non avrebbe pianto. Non voleva piangere. Tuttavia, le lacrime iniziarono a rigare il suo viso. Non riusciva più a trattenerle, le aveva trattenute troppo a lungo. Il dolore alla spalla lo stava uccidendo, gli ricordava di quanto fosse fottuta la sua vita. Aveva tutte le ragioni del mondo per piangere. Si sedette per terra, con la schiena contro l’armadietto, e le lacrime che continuavano a scorrere sul suo viso. Chiuse gli occhi.

 “La vita è dura, non è vero?” Udì, dopo che qualcuno sussurrò quelle parole contro il suo orecchio. Si voltò immediatamente, togliendosi gli occhiali e sbattendo più volte gli occhi per assicurarsi che a parlare fosse chi aveva pensato. Sherlock era seduto accanto a lui, poggiato contro un armadietto.

John cercò di sembrare calmo. Si voltò a guardare altrove, non riusciva a sopportare di guardare Sherlock, in quel momento. “Che ci fai qui?”

 “Sei triste.”

 “E quindi?” Disse John cercando di cacciar via le lacrime.

 “Non lo sopporto. Non sopporto vederti triste.” Disse Sherlock con dolcezza.

 “Non preoccuparti per me. Adesso puoi andare, la tua ragazza ti starà aspettando.” Disse John, e quelle parole fecero più male del dovuto.

Sherlock scosse il capo. “Può aspettare. Qualunque cosa può aspettare. Che è successo?”

John scosse il capo ed abbassò lo sguardo, tentando d’ingoiare quel groppo in gola. “Niente. Sto bene.”

 “John…” Disse Sherlock, guardandolo con un’espressione seria. Dopodiché avvicinò le sue dita al viso di John, e tolse via una lacrima ferma sulla sua guancia. John indietreggiò, sapendo che fosse pericoloso.

 “E’ che-“ John prese un respiro profondo. “La mia vita è un casino. Ho litigato con i miei genitori, ho fallito in fisica e ciò significa che ho perso l’opportunità di entrare al college, sono un buono a nulla e ciò non cambierà mai.” Le lacrime ricominciarono a scorrere. “E poi ci sei tu…” John si zittì subito non appena realizzò ciò che aveva detto.

Sherlock si voltò per guardarlo. “Io cosa?”

 “Niente. Assolutamente niente.” Disse John, un po’ a se stesso, un po’ a Sherlock.

 “John…” Supplicò Sherlock.

John realizzò che quella era la prima volta dopo molti giorni in cui stava parlando con Sherlock. Doveva cogliere l’attimo. Inoltre Sherlock lo aveva chiamato ‘John’.

Avrebbero potuto avere una conversazione decente. Chiuse i suoi occhi, insicuro su cosa dire. “Perché… Perché non me l’hai detto che ti piaceva?” La sua voce era più un sussurro, mentre scuoteva il capo.

Sherlock rimase in silenzio, senza distogliere lo sguardo da John.

 “Mi avresti risparmiato così tanto tempo, così tante speranze, illusioni, pensieri… Dimmi perché, Sherlock. E’ tutto quel che mi serve.”

Sherlock non disse niente, abbassò semplicemente lo sguardo. Non avrebbe risposto. E John lo sapeva. “Sai cosa? Non voglio saperlo. Ho cose più importanti a cui pensare.” Disse guardando dovunque tranne che verso Sherlock.

 “Perché ti ha picchiato?” Disse, cambiando discorso e voltandosi così da osservare John, che non si azzardava a guardarlo.

“Chi?” Come cavolo faceva Sherlock Holmes a sapere sempre tutto?

 “Tuo padre, ovviamente.”

 “Mh… Mh…” Non riusciva a calmarsi, piangeva ininterrottamente. Respirò per un attimo, prendendosi di coraggio. Guardò Sherlock. “Abbiamo litigato.” Disse John, con voce spezzata. “E’ che… Si aspettano così tanto da me ed io sono niente, sono nessuno, sono inutile… Io sono…” Iniziò nuovamente a piangere.

Sherlock sollevò il suo viso dal suo mento, affinché fossero faccia a faccia. E per la prima volta dopo sei giorni, John guardava quegli occhi blu, verdi, grigi e rabbrividì. Ordinò al suo cervello di non guardare le labbra di Sherlock, perché non erano niente di che. “John, guardami.”

John lo guardò, lo guardò, e lo guardò. Non avrebbe mai voluto interrompere quel contatto visivo.

 “Quante volte devo dirti che sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto, che sei intelligente da morire e che diventerai il miglior dottore del paese? Perché la storia sta diventando vecchia.”

John abbozzò un sorriso e distolse lo sguardo da Sherlock, ma improvvisamente il braccio del moro circondò i suoi fianchi, lo stava abbracciando, e John aveva poggiato la sua testa contro la spalla di Sherlock e continuò a piangere, senza dire una parola. Raggiunse presto ad una conclusione: forse non stava piangendo solo per la sua famiglia, c’era molto di più.
 
Probabilmente non avrebbe dovuto farlo, sapeva che fosse sbagliato, ma aveva bisogno di Sherlock più che mai, aveva bisogno della sua presenza, dei suoi consigli, del suo aiuto, del suo supporto. Per tutti quei motivi si lasciò andare, e rimase immobile contro la spalla del moro, godendosi quell’abbraccio; tuttavia, si odiava per non riuscire a smettere di piangere.

 “Shh…” Sussurrò Sherlock contro il suo orecchio. Il moro strinse il corpo di John maggiormente a sé, poggiò le sue labbra contro la fronte di John, in un piccolo bacio. Aveva anche detto qualcosa che all’inizio John non aveva capito, ma poi capì… “Mi dispiace, John. Mi dispiace.”

John sapeva per cosa si stesse dispiacendo il moro, ma non voleva affrontare quella faccenda, voleva solo godersi quel momento, anche se era tutto così incasinato. Almeno qualcosa, sebbene temporaneamente, stava andando bene. Poi fu il turno di John: “Shh… Per favore, non dirlo più.”

 “Dico davvero. Mi dispiace per averci rovinati.” Disse Sherlock.

 “Non hai rovinato niente, e neanche io. Era destino. Lo sapevamo dall’inizio.”

 “Sì. Ma non pensavo che sarebbe finita così.”

John sollevò il viso e guardò Sherlock. Si sentiva leggermente meglio, non stava più piangendo, e si sentiva abbastanza calmo per affrontare il discorso. “E’ meglio così, no? E’ successo prima che ci affezionassimo troppo… Prima di innamorarci…”

“Hai ragione. Non avrebbe funzionato.”

John annuì e mise il broncio, incapace di dire qualcos’altro, le sue parole sarebbero state campate per aria.

“Quindi che facciamo adesso?” Disse Sherlock.

John fece spallucce. “Che possiamo fare?”

 “Quindi… Fingiamo e basta?” Chiese Sherlock, arcuando il sopracciglio.

 “No. Attenuiamo il dolore. E’ questo quel che faremo.”

 “Non credo sia così facile come dici.” Disse Sherlock, scuotendo il capo.

John fece lo stesso. “Pensi che sia facile per me? Sherlock, almeno tu hai degli amici, hai una ragazza, hai una reputazione. Tutto ciò che io avevo eri tu. E adesso non ti ho più.”

 “Potremmo… Essere amici.”

No. No. No. Era tutto quello che John riusciva a pensare. Non poteva essere solo il suo amico. Non erano mai stati solo amici, perché almeno per quanto riguardava John, Sherlock era diventato il suo tutto, partendo dal nulla. “Certo.”

 “Bene. E poi… Abbiamo ancora quel progetto di storia su cui lavorare.”

Merda. Come poteva ignorare Sherlock se avevano quel progetto su cui lavorare?

La campanella suonò. L’ora di pranzo era terminata. John e Sherlock si alzarono, John guardò Sherlock e sorrise appena, ma non mantenne il contatto visivo. Abbassò lo sguardo, mentre Sherlock fissava John. “Grazie… Per tutto. E non parlo solo di oggi. Solo… Grazie.”

Sherlock ricambiò il sorriso. “Grazie a te.”

E quando John sollevò il suo sguardo, quest’ultimo si incrociò con quello di Sherlock, e si fissarono a vicenda. Ed il tempo si fermò, e di nuovo, erano solo loro due, ed il mondo sarebbe potuto cadere a pezzi, ma non se ne sarebbero accorti. John sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta, quello era un addio. Anche Sherlock lo sapeva, ma non si azzardava ad ammetterlo.

 “Sherlock! Eccoti! Ti ho cercato ovunque, amore!” Disse Irene, dirigendosi verso di loro.

Quel contatto tra di loro si interruppe e John si schiarì la gola, guardando Irene accigliato. Vederla aveva riportato John alla realtà. Il suo sorriso svanì.
Irene diede un bacio a Sherlock, sulle labbra. In presenza di John, e John guardò altrove, perché era sbagliato, in ogni circostanza possibile, era troppo, troppo sbagliato. Dopo quel bacio, Sherlock si voltò per guardare John, che non si azzardò a guardarlo di rimando, piuttosto guardava gli armadietti. La sua espressione era illeggibile, ma Sherlock sapeva che John fosse ferito. E gli dispiaceva così tanto. Ma cosa avrebbe dovuto fare?

Il moro guardò Irene e sorrise, era un sorriso finto, ovviamente. “Andiamo, abbiamo molte cose da fare, ti farò guidare la mia auto, che ne dici?”

 “Certo.” Annuì Sherlock. Poi si voltò a guardare John, mentre Irene teneva la sua mano. “Ci vediamo dopo, ok?”

John non rispose. Fissava gli armadietti.

"John?"

"JOHN!"

Finalmente guardò Sherlock ed alla sua mano intrecciata a quella di Irene e non riusciva a togliersi dalla testa quel bacio, e non ci poteva fare nulla, si sentiva inutile, debole, e cos’è che aveva detto Sherlock? Oh, giusto, ci vediamo dopo. “Sì. Ciao.”

Prese i suoi libri, ed andò in classe. Sherlock rimase a guardarlo, fin quando non si svanì tra gli altri studenti.

Irene si voltò a guardare Sherlock, preoccupata. “Che diamine stavi facendo, Sherlock?”

 “Era triste.”

“E allora?” Irene fece spallucce.

“E allora è tutta colpa mia! E’ triste, ed è fottutamente colpa mia! Che ti aspettavi che facessi?! Volevo solo vederlo felice.”

 “Avresti dovuto dimenticarlo, non consolarlo!” Si lamentò.

 “Ma stava piangendo! Non sopporto vederlo piangere!”

Irene ridacchiò. “Piangeva? Che femminuccia!”

Sherlock le lanciò uno sguardo omicida. “Non ti azzardare, Irene. Non ti azzardare a dire altro su John Watson, cazzo!”

Sollevò le mani in segno di difesa. “Scusa, scusa.”

 “Ma voglio essere suo amico.” Borbottò Sherlock.

 “Sherlock! Non è così che funziona!”

 “Chi ti credi di essere per dirmi cosa devo e non devo fare?!” Disse Sherlock, sbottando.

 “Sono la persona che conosce il tuo segreto e che sta cercando di aiutarti a nasconderlo! Dovresti ringraziarmi!” Disse, alzando il tono della sua voce.

 “E’ che… Non so cosa fare, Irene.” Disse Sherlock, con più calma.

 “Sherlock, devi dimenticarlo. Tagliarlo fuori dalla tua vita. Più semplice di così.”

 “Non è facile! Qualunque cosa io debba fare, non è facile!”

 “… E non devi più vederlo.”

 “Cosa?” Sherlock la fissava incredulo.

 “Gli hai detto che vi sareste visti più tardi.”

“Davvero?”

Irene annuì. “Sì. E non vi vedrete. Non ti aiuterà.”

 “Ovvio che lo vedrò, andiamo nella stessa scuola ed abbiamo un progetto di storia da svolgere!”

 “Ma tutto questo non ti farà bene, Sherlock. Lo sai.”

 “Come fai ad esserne così sicura?”

“Perché non puoi tagliarlo fuori dalla tua vita e poi ritornare da lui e lavorare insieme! Non ne usciraimai, se continuerai a comportarti così.”

 “E se non volessi dimenticarlo?”

 “Beh, è un problema tuo. Ma io credo che lui voglia dimenticare.”

Irene aveva ragione, come sempre, e Sherlock odiava ciò. Non potevano continuare quel progetto insieme, ma Sherlock voleva davvero essere amico di John, non poteva tagliarlo fuori dalla sua vita all’improvviso, ma allo stesso tempo era esattamente quel che avrebbe voluto fare, ma non era facile, non poteva soltanto fingere che nulla fosse accaduto. “Odio questa situazione, Irene.”

Lei toccò la sua guancia. “Lo so, caro. Ma è il per il tuo bene, non credi?”

Aveva ragione. Era per il suo bene.

***

Il mattino seguente John non voleva andare a scuola. Era logico, la scuola era diventata un casino. Inoltre Sherlock ed Irene sarebbero stati lì e si sarebbero baciati e Sherlock sarebbe andato da John a parlargli, perché erano amici, ma poi sarebbe tornato da Irene, tornando ad essere il fastidioso teppista qual’era. E quel giorno non si sentiva di affrontare tutto ciò.
I suoi genitori erano delusi. Si sarebbero aspettati risultati del genere da Harry, non avevano mai avuto alte aspettative, ed era una cosa triste, perché neanche i suoi genitori credevano in lei! Anche sua sorella era triste. Clara la evitava per tutto il tempo a scuola, ed Harry provava sempre a parlarle, ma senza successo. Era stata sobria in quelle ultime settimane, ma avrebbe sicuramente avuto una ricaduta. E lì, neanche John riusciva ad avere speranze. Povera Harry.
Non gli piaceva vedere la delusione stampata sul viso di sua madre. Alla fine si fece coraggio, si disse che l’avrebbe fatto solo per lei, per sua madre, ed andò a scuola. Tutto quello che doveva fare era evitare Sherlock a tutti i costi. Certo, ovvio, incredibilmente facile, evitare il ragazzo più popolare della scuola.
Non aveva parlato molto con Mike a pranzo, perché non c’era nulla da dire. Beh, a dire il vero c’erano molte cose da dire, ma non voleva condividerle con lui. Sapeva di aver bisogno di un amico, ma né Mike né Sherlock rientravano in quella categoria: uno era meno di un amico, l’altro era più di un amico.
Sospirò non appena entrò a scuola e camminò verso gli armadietti. Si guardò intorno per accertarsi che né Sebastian, né Jim fossero lì, perché non avrebbe potuto sopportare di essere pestato di nuovo contro gli armadietti. Non quel giorno. Via libera, pensò John. Aprì quindi il suo armadietto ed un bigliettino cadde ai suoi piedi. Non appena vide la parola “John” riconobbe subito la grafia: Sherlock. Il suo cuore iniziò a battere rapidamente. Le sue mani stavano sudando e pensò a quanto fosse assurdo sentirsi così in ansia per uno stupido bigliettino, ma non era solo un bigliettino, era un bigliettino da parte di Sherlock. Lo aprì e lesse il messaggio:

Non ho tempo per il progetto di storia. Sviluppa tu le prime due pagine, io farò il resto, -SH.

John sospirò. Anche Sherlock aveva realizzato che non potevano essere amici.

***

NOTE: Ditemi perché. Perché Mr. Sherlock Holmes, l'essere umano più intelligente del mondo, si lascia abbindolare in questo modo da Irene?! Lei dice "A" e Sherlock fa "A". Lei gli dice di buttarsi dal balcone, e lui lo fa. OHH. Povero Johnny, vorrei abbracciarlo. Niente, basta. Comunque, eccovi il capitolo. Cosa ne pensate? 
Grazie a tutte, e un bacio! <3 

PS.: Chi di voi ha Twitter?

 

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Capitolo 16
*** Maybe Tomorrow ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
RIASSUNTO: “Non posso farlo da solo!”
 
MAYBE TOMORROW

John trascorse l’intera settimana a lavorare sul progetto di storia, maggiormente perché voleva provare a Sherlock che poteva benissimo farlo senza di lui. Lunedì gli avrebbe consegnato la bozza e Sherlock l’avrebbe potuta riscrivere con la macchina da scrivere. Non avrebbero avuto bisogno di parlarsi. Ed era una buona cosa. Giusto?
La polizia aveva tolto i nastri dalla scena del crimine accanto casa di John, perché apparentemente, avevano raccolto tutti gli indizi possibili, ma non avevano comunque risolto niente. John si era davvero interessato a quel crimine, non solo per Sherlock, ma perché erano i suoi vicini e perché li aveva visti in quello stato… Chiuse gli occhi, e l’immagine dell’uomo brutalmente assassinato gli tornò in mente. Lo impressionava ancora.
Ma c’era qualcos’altro che John non ammetteva; nello stare nella scena del crimine, aveva provato qualcosa di diverso. Aveva provato eccitazione. Aveva sentito il sangue pompare nelle vene, forse perché l’avevano chiamato “dottore” o perché Sherlock era al suo fianco, ma era eccitante, e terrificante allo stesso tempo. Proprio come il rapporto che aveva con Sherlock. Aveva.
Non appena vide la polizia togliere il nastro, sentì una leggera delusione, perché quello era l’unico modo per John per poter cogliere gli sguardi misteriosi di Sherlock, ed il suo cervello lavorava, e lavorava senza mai fermarsi. Quello Sherlock lì deduceva, era così diverso dallo Sherlock che vedeva a scuola. Amava quello Sherlock. Dannazione. Amava? Amava? Amare era davvero un parolone. Diciamo che… Provava affetto nei suoi confronti. Nient’altro. Amore. No. No. No. Non amava Sherlock. Non poteva amare qualcuno che non avrebbe mai potuto avere. Tuttavia lo amava. No. Non lo amava.
Sbirciò dalla finestra, e Sherlock non era lì. Più poliziotti entravano ed uscivano dalla casa, ma Sherlock non era lì. Probabilmente era con Irene e ciò non sarebbe dovuto importare a John perché Irene era la ragazza di Sherlock, ed aveva senso, ma era fottutamente geloso. Perché non aveva senso, in realtà. Solo due settimane prima erano felici e Sherlock teneva John per mano, ed aveva baciato le sue guance. E poi cos’era successo?
Aveva cose migliori a cui pensare. Cose meno… Tristi.

***

 “Harry!” Non si voltò.

Alzò il tono della sua voce in mezzo alla gente. “HARRY!”

Aprì l’armadietto e nascose la sua faccia dietro quest’ultimo. Stava cercando di ignorarlo. Sherlock non ci aveva pensato, ma probabilmente John le aveva detto che lui era quello nella Cadillac nera, la sera dell’incidente. Sherlock non era arrabbiato con lei, quella era acqua passata. Gli ci era voluto del tempo, ma si era messo l’anima in pace. E poi, Harry era la sorella di John. Non avrebbe potuto odiarla.

Sherlock si avvicinò all’armadietto e lo aprì, cosicché potesse vedere il viso di Harry. Lei sorrise timidamente. “Oh, Sherlock, non avevo sentito!”

 “Non ci provare, Harry. Lo so che mi stai evitando e so anche il motivo.” Disse, scuotendo il capo.

Lei abbassò lo sguardo, non era in grado di guardarlo negli occhi. “Sherlock, io…”

Lui sollevò la sua mano per farla smettere di parlare. “Non sono qui per parlare dell’incidente, so che ti dispiace. E mi va bene. Davvero. Sono qui per parlare di John.”

Harry aggrottò le sopracciglia. “Di John?”

 “Sì.” Annuì.

 “Perché non ci parli tu e basta?”

 “Ci ho provato, Harry. Ma non vuole parlarmi. E va bene così, lo capisco. Vuole starmi lontano il più possibile. Ma il fatto che non siamo più… John e Sherlock, non significa che io non tenga più a lui.”

 “Siete mai stati John e Sherlock?” Disse, abbassando il tono della sua voce.

 “Voglio credere che lo fossimo.”

 “Non sembrava.” Scosse il capo.

 “Perché dici questo?” Disse Sherlock, arcuando il sopracciglio.

Harry incrociò le braccia e lo guardò, con espressione seria. “Se ti fosse importato, come dici, non avresti lasciato che le cose andassero così. Non gli avresti spezzato il cuore, non avresti trovato qualcuno con cui rimpiazzarlo subito dopo il vostro litigio. No. Non è così che si fa. Non quando c’è qualcosa. Ecco perché dico che non sembrava che foste tali.”

 “Non era questo quel che volevo sapere, Harry.”

 “D’accordo.” Sospirò. “Che vuoi?”

 “Sta bene?”

 “Perché me lo chiedi?” Disse sulla difensiva.

“Perché non sembra che stia bene! Sembra triste, Harry. E non mi parlerà più. Per questo lo chiedo a te!”

“Credi che cadrà in depressione solo perché non siete più ‘John e Sherlock’ e che sarà depresso per il resto della sua vita? Non conti così tanto per lui, Sherlock. Smettila di essere così convinto.”

 “No. Non penso che il fatto che io non sia con lui possa renderlo depresso. Penso che il fatto che abbia una sorella alcolizzata, e dei genitori per cui contano solo i voti a scuola, ed un padre violento ed una madre infelice, possano renderlo depresso.” Non appena smise di parlare, Sherlock si rese conto di aver detto troppo.
Harry sembrava furiosa. “Fottiti, Holmes. Non sei nessuno per parlare della nostra famiglia.” Harry si voltò per andar via.

La rincorse e la afferrò per il braccio. “Scusami. Per favore. E’ che… Mi preoccupo per lui. Non avrei dovuto dirlo. So che sei in riabilitazione e che stai facendo del tuo meglio, perdonami.”

Alzò gli occhi al cielo. “Non dirlo mai a John. Lui non ti perdonerebbe.”

 “Non mi parlerà più! Sono serio, Harry!”

 “Non credo che sia colpa sua, credo che abbia reso consapevole John nel momento in cui hai iniziato a giocare a bingo nel sedile posteriore con Irene Adler! Quindi non venire qui a parlarmi come se tu fossi la vittima! Sei stato un bastardo, Sherlock!”

“Lo so che ho… E’ che… Voglio fare la cosa giusta. Ma non so come, Harry. Ho bisogno del tuo aiuto. Per favore. Per favore. Voglio che John stia bene. Voglio vederlo felice.”

 “Era felice quand’era con te. Ho provato a fermarlo, ma non ce l’ho fatta. Sembrava così felice, non l’avevo mai visto così felice prima…”

 “Quindi, mi aiuterai?”

 “Certo che no, idiota! Hai spezzato il cuore di mio fratello!”

“Ma voglio sistemare le cose!” Implorò, ed odiava farlo, ma era disperato. “Vuoi sapere come fare per sistemare le cose? Smettila di comportati da emerito stronzo, perché riesci a fare solo questo. E prova a parlargli. E infine, lascia la tua ragazza, perché è più che evidente che non l’ami affatto, considerando che non riesci a smettere di pensare a mio fratello.”

Sherlock fece spallucce. “Non so come fare tutte le cose che hai appena detto.”

 “John mi ha detto che sei un genio. Pensa.”

Sherlock percepì un brivido lungo il suo corpo. John aveva detto che era un genio. Un genio, detto dal ragazzo più intelligente della scuola. Sorrise e non appena lo fece, la campanella suonò. “Merda, non posso arrivare in ritardo in classe. Grazie, Harry.” Disse, andando via.

 “Sherlock, ascolta,” Disse raggiungendolo. “Due cose: uno, sono davvero dispiaciuta per il dolore che ti ho causato, e due, anche se sono molto incazzata con te per quel che hai fatto, credo che tu abbia il diritto di ottenere nuovamente la fiducia di John. Era davvero felice quand’era con te…”

Sherlock annuì. “Grazie.”

 “Oh! Un’ultima cosa. Se menzioni anche una sola parola di questa conversazione a mio fratello, ti prenderò a calci in culo. Chiaro?”

“Stessa cosa vale per te. Non dirgli niente. Ciao, Harry.” E corse verso la classe.

***

Arrivò in classe nello stesso momento in cui arrivò Mr. Hikes, quasi senza fiato, mormorò un ‘buongiorno’ riferito al professore e si precipitò al suo posto. John guardava il suo quaderno, che era chiuso. Sedette dietro lui e sorrise. Era sicuro che avrebbe sistemato le cose, questa volta. Ciò non significava che sarebbero ‘tornati insieme’, ma Sherlock non voleva escludere quella possibilità. Aveva bisogno di John, ne era sicuro. Ed apparentemente, John aveva bisogno di Sherlock.
L’ora passò e John, come faceva spesso ultimamente, ignorò totalmente Sherlock. Ma ciò sarebbe cambiato. Il moro ne era sicuro. Stava per diventare l’unica persona più importante della vita di John. Perché stava iniziando a realizzare che John era la persona più importante per lui.
Non appena suonò la campanella, John si alzò, prese la sua roba e si voltò per guardare Sherlock. Anzi, in realtà non guardò lui, ma il suo banco, lasciandoci sopra qualcosa. Sherlock lo prese, mentre John era ancora lì: Progetto di storia. Sul lato sinistro del foglio c’era un post scriptum.
Per favore, riscrivi il tutto con la macchina da scrivere. E’ tutto finito. Controlla se va bene.
Sherlock annuì, John prese il suo zaino per andare via quando il moro si alzò e lo chiamò. “John!”

John non si voltò. Si fermò per un secondo, ma poi riprese a camminare. Sherlock pensò, cerco di pensare rapidamente prima che John sparisse. “Ehm… Watson!” Urlò.

John si voltò e guardò Sherlock. “Che vuoi, Holmes?”

Sherlock scosse il capo. “E’ stupido. Mi puoi parlare, lo sai, no?”

 “Preferisco non farlo.” Disse John, terribilmente serio.

Sherlock stava pian piano perdere la speranza che aveva poco prima. “Per favore, John. Lascia che ti parli.”

Sospirò. “D’accordo. Ti ascolto.”

Sherlock si guardò intorno. La classe era vuota. Tutti erano andati via. Sherlock si avvicinò alla porta e la chiuse. John lo guardava accigliato. “Che stai facendo?”

 “Preferirei parlarti in privato.” Disse Sherlock, avvicinandosi a lui. Non vicinissimo, ma vicino.

 “Così i tuoi amici non ti vedono, giusto?” Sorrise sarcasticamente. “Non cambi mai, non è vero?”

 “Non posso farlo da solo.” Disse Sherlock, fissando gli occhi di John.

 “Fare cosa?”

 “Il progetto.”

John respirò rumorosamente. Sherlock non aveva capito se fosse un respiro di sollievo o di delusione. “Ho già fatto tutto. Tutto quello che devi fare è riscriverlo con la macchina da scrivere.”

 “Ho paura di rovinarlo.” Disse sherlock,

John guardò Sherlock con serietà. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Era così bello… Così diverso rispetto all’inizio dell’anno. “Non c’è possibilità di rovinarlo. Riscrivilo e basta.”

 “Ho bisogno del tuo aiuto, John.”

 “Per te sono ‘Watson’”. Disse John con decisione. La sua voce era ferma.

 “Hai detto che possiamo essere amici.”

 “Ho cambiato idea. Proprio come hai fatto tu.”

 “D’accordo, Watson. Come vuoi!” Disse Sherlock sollevando le mani in aria.

 “Per cosa ti serve il mio aiuto?” Disse John, esasperato.

“Non posso farlo senza di te. E’ un lavoro in coppia.”

 “Ti ho detto che ho già fatto tutto io!”

 “Non te l’ho chiesto io di fare tutto il fottuto lavoro! Ti ho detto che ognuno di noi avrebbe fatto la sua parte!” Disse, senza capire se fosse arrabbiato o disperato.

 “Beh, ti ho risparmiato del tempo. Dovresti ringraziarmi. Hai vinto. Vinci sempre.”

 “Non mi sento un vincitore, a dire il vero.” Sherlock morse il suo labbro e fissò John.

John si accigliò. “Stiamo ancora parlando del progetto o cosa?”

 “Dimmelo tu.”

 “Non sembra.” Disse John, abbassando lo sguardo.

 “Non sembra.” Concordò Sherlock.

“Che cosa vuoi, allora?” John continuò a guardare Sherlock con un’espressione seria. “E sto parlando del progetto, adesso.”

 “Voglio che mi aiuti.”

 “A fare cosa?”

 “Potrei aver bisogno di correzioni, e mi piacerebbe discuterne con te.” Sherlock stava provando disperatamente di cercare una scusa, una qualsiasi scusa.

“Puoi fare tutte le correzioni che vuoi.”

 “John, per favore.”

"Watson."

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Watson, per favore.”

 “Per favore cosa?”

 “Aiutami! Ascolta, non riscriverò niente di niente se non verrai a casa mia ad aiutarmi!” John spalancò gli occhi sorpreso e guardò Sherlock per un attimo. “E’ il nostro voto, ma è un problema tuo se lo riscrivi o meno.”

“Sai che non mi serve un buon voto per provare ai professori che sono intelligente.” Disse Sherlock, testardamente.

“Stai insinuando che a me serva?”

“No, lo sai. Solo… A me non interessa se non lo riscrivo. A te sì. Quindi dipende da te, Watson. O vieni da me e prendiamo un buon voto, o non vieni e prendiamo un’insufficienza.”

 “Hai vinto.” Disse John, incrociando le braccia.

 “Io vinco sempre.” Disse Sherlock, facendogli l’occhiolino.

John sospirò. “D’accordo. D’accordo. Verrò. Oggi. Ed ho l’incontro col club di chimica…” John sapeva quanto ciò infastidisse Sherlock, quindi poteva trarre vantaggio dalla situazione. “… Quindi, dovrai aspettare.”

Sherlock annuì. “Ti aspetterò.”

 “E guido io.” John provò a nascondere il sorriso che stava affiorando sulle sue labbra, ma non ci riuscì.

Sherlock lo guardò, sorpreso e pervaso da una serie di emozioni, e sorrise di rimando. “Guiderai tu.”

John annuì. “D’accordo. A dopo, allora.”

Sherlock lo guardò. “Non vedo l’ora.”

***

John non riusciva a fare a meno di esser pervaso da sentimenti non appena uscì dal club di chimica e vide Sherlock, seduto a leggere On The Road, incredibilmente concentrato, era una vista a cui non si sarebbe mai abituato, vederlo così preso, così perso nel suo mondo…
Era adorabile.
Il club di chimica era stato un’agonia. L’ultima volta che John era andato a casa di Sherlock, Sherlock lo aveva letteralmente trascinato via dalla classe; ma questa volta fissava continuamente la porta, aspettando Sherlock che entrasse forzatamente ed iniziasse ad urlare: “MI ANNOIO!” ma non accadde, e John era un po’ deluso perché avrebbe voluto che accadesse, perché si annoiava e Sherlock era eccitante ed era anche divertente fingere di essere arrabbiato con lui.
Fingere. Ovvio che stesse fingendo. Non poteva essere arrabbiato con Sherlock, come poteva? Soprattutto quando arrivava e faceva cose come quelle: aveva praticamente pregato John a stare con lui! E John desiderava essere abbastanza forte da dire “no”. Ma non aveva trovato quella forza, non quando il suo cuore stava per uscirgli dal petto, non quando gli occhi di Sherlock erano fissi su di lui. Non voleva stare con lui perché sapeva che non avrebbe mai funzionato ed entrambi erano d’accordo, e nulla sarebbe accaduto. Sherlock inoltre, stava Irene (anche se John sospettava che lui non l’amasse) e tra lui e John… Non sarebbe mai potuto succedere nulla.
Sarebbe stato un errore enorme. Ma come poteva lasciare lì Sherlock?
Era perso tra i pensieri quando realizzò che Sherlock aveva chiuso il libro e stava sorridendo in sua direzione. La cosa divertente era che Sherlock voleva fare la cosa giusta, voleva sistemare le cose, John poteva vederlo, il modo in cui sorrideva, come se fosse impaurito dalla sua reazione, come se potesse lasciare tutto in quel modo senza provarci neanche, il modo in cui gli parlava, dispiaciuto, il modo in cui lo guardava…
La sedia era vuota. Dov’era andato?
Quand’è che Sherlock si era avvicinato così tanto a lui?

John fece un passo indietro, cercando di aumentare la distanza tra loro il più possibile, Sherlock smise di guardare John ed abbassò lo sguardo. “Mi dispiace, ti ho spaventato?”

“Tu mi spaventi sempre.” Disse John abbozzando un sorriso. Dovrei essere arrabbiato con lui! Dannazione! Si ricompose, dopo quel pensiero.

Sembrava che Sherlock avesse capito che John stesse cercando di essere arrabbiato, per questo motivo sorrise. “Ho finito il libro.”

“Oh, sì… Grazie per aver aspettato. Credo. Almeno non ti sei precipitato in classe ad urlare…” John sorrise nuovamente, ma non voleva, e perché diamine lo stava facendo? Non c’era nulla per cui sorridere! Sherlock era un idiota. Un adorabile idiota.

Sherlock sorrise di rimando. “Sì. Mi dispiace, a proposito.”

 “No, l’incontro era particolarmente noioso quel giorno.”

 “Dunque… Faremmo meglio ad andare.”

John doveva chiederglielo. Doveva. E probabilmente non era una delle sue migliori idee, ma… “Perché lo stai facendo, Sherlock?”

 “Fare cosa?” Disse Sherlock, innocentemente.

 “Questo! Tutto questo! Cosa vuoi?”

 “Voglio completare il progetto di storia.” Sherlock fece spallucce.

 “Non hai bisogno di me per quello, ho già fatto la mia parte.”

 “No, non ho bisogno di te per quello. Ho bisogno di te e basta.
 
Cadde il silenzio tra i due. Si guardarono intorno, il corridoio era vuoto, ma non si azzardarono a guardarsi. John non si azzardava perché non voleva vedere il momento in cui Sherlock sarebbe scoppiato a ridere dicendo che fosse una battuta, perché era ovvio che lo fosse, e che il moro gli stesse dando false speranze e false illusioni. No. Non stava facendo niente. D’altro canto, Sherlock non si azzardava a guardare John perché non voleva vederlo scuotere il capo, abbassare lo sguardo ed andar via.
Ma Sherlock non scoppiò a ridere e John non andò via.
Finalmente i loro sguardi si incontrarono.

 “Sì? Beh, mi dispiace, ma devo andare. Riscrivi il lavoro, tutto qui. Non hai bisogno di me.” Disse John sospirando e voltandosi per andar via. Era la cosa migliore da fare. John non poteva permettere di lasciarsi abbindolare. Non di nuovo. No. No. No.

 “John?” Disse Sherlock, confuso.

John si voltò. “Per favore… Lasciami solo. Per favore.”

“No!” Disse Sherlock con determinazione.

 “Io… Ci devo pensare. Io… Non posso farlo. Non posso, Holmes.” Disse John abbassando lo sguardo per non guardare Sherlock.

Sherlock sospirò ed odiava quando John lo chiamava ‘Holmes’. “Non puoi cosa?” Chiese, alzando il tono della sua voce.

“Noi.” Disse, voltandosi nuovamente.

 “Non c’è nessun noi, o sbaglio? L’hai detto tu stesso!” Sherlock stava iniziando a perdere la pazienza.

 “Scusami? Sei stato tu ad iniziare! Quindi non incolpare me!”

Sherlock sospirò e scosse il capo. “Cosa c’è che non va in noi, John?”

Le labbra di John s’incurvarono in un piccolo, impercettibile, triste sorrise, e Sherlock lo notò.

“Molte cose non vanno.”

 “Perché continuiamo a farci questo?”

 “Perché siamo stupidi.” Disse John, mentre la sua rabbia stava già andando via, e sentiva quasi il bisogno di abbracciare Sherlock. Ma non l’avrebbe fatto.

 “Disse il miglior studente della scuola…”

 “Disse il consulente investigativo…”

Sherlock sorrise, perché John ricordava, ed era adorabile.

John sorrise di rimando. “Guido io.”

“Davvero?” Il viso di Sherlock s’illuminò di gioia.

“Ma siamo diretti a casa tua e per fare il progetto di storia! Chiaro?” Disse John, duramente.

 “Non avevo altre intenzioni.” Rispose Sherlock, offeso.

 “Oh, per favore, conoscendoti saremmo finiti in un fienile a fumare con Buddy Holly in sottofondo.”

 “Non faccio mai cose simili.” Disse Sherlock, cercando di restare serio.

 “No, certo che no. Hai ragione: sono io la brutta influenza per te.”

“Già, è la croce che devo sopportare.” Disse Sherlock, ridendo.

 “Andiamo, idiota. E’ tardi!” Disse John, afferrando Sherlock per il braccio e dirigendosi verso il portone.

 “Perché lo stai facendo, John?” Forse Sherlock non avrebbe dovuto chiederglielo, forse John si sarebbe infuriato di nuovo e gli avrebbe gridato contro, ma doveva saperlo.

John si fermò e guardò Sherlock. “Perché sono stupido.”

Sherlock sorrise e seguì John.

***

NOTE: Io non ho parole. Solo parolacce. HAHAHA SCHERZO. Niente, sono adorabili. E stupidi, meno male che lo sanno anche loro... Tuttavia vi dico di non smettere di trattenere il respiro. A voi i commenti!

PS. Scusatemi se non rispondo alle vostre recensioni, ma ultimamente sono presissima dallo studio! Al più presto risponderò a tutte. Un bacio, e un GRAZIE enorme! <3

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Capitolo 17
*** Goodnight, Sweetheart, Goodnight ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_


RIASSUNTO:  “Chi dice andrò via?”
GOODNIGHT, SWEETHEART, GOODNIGHT
 
 “Noioso. Noioso. Noioso!” Urlò quasi Sherlock mentre John guidava verso casa.
 
 “Cosa?” Chiese John, confuso.

 “Il modo in cui guidi! E’ noioso e sono annoiato ed odio annoiarmi.”

John sbuffò. “Beh, puoi sempre andare a piedi.”

Sherlock si muoveva incontrollabilmente sul suo sedile, fingendo di non aver sentito John. “Dannazione, ho bisogno di una sigaretta!”

 “Sherlock, no.” John scosse il capo. “Non nella mia macchina.”

 “Lo sapevo che non avrei dovuto smettere! Non avrei questo problema adesso, se non avessi mai smesso di fumare!”

“Hai smesso?” Chiese John, spalancando gli occhi.

Sherlock annuì. “A te non piaceva che io fumassi.”

 “Ma non ti ho mai chiesto di smettere. Sapevo che amassi farlo.”

Sherlock fece spallucce. “Beh, è una scusa per non parlare con i miei ‘amici’.”

 “Ma sono felice che tu l’abbia fatto. Per la tua salute.”

Sherlock non concordò. “Non mi può fregar di meno della mia salute.”

John alzò gli occhi al cielo, odiava quando Sherlock rispondeva in maniera scontrosa. Ed in quel momento era più scontroso del solito.

Sherlock alzava ed abbassava il finestrino in maniera incontrollabile. “Posso accendere la radio?”

John annuì. “Sì, per favore. Così stai zitto.”

 “Hey!”

 “Non riesco a concentrarmi quando fai così!”

 “Così come? Non sto facendo niente, niente di niente. Sono annoiato. Annoiato.”

 “Dannazione Sherlock, accendi la radio e smettila!”

Sherlock l’accese immediatamente ed alzò il volume, non appena sintonizzò la radio nel canale della musica rock’n’roll, sospirò e chiuse gli occhi. John lo guardò e sorrise.

 “Va già meglio.” Disse John, affettuosamente.

 “Stai zitto.”

“Zittiscimi tu.” Disse John e spalancò gli occhi non appena realizzò che avesse detto una cosa simile, perché quella non era una cosa da lui.
 
Sherlock spalancò i suoi occhi a sua volta, fissando John. Poi scoppiò a ridere.
E concentrarsi fu ancora più difficile per John. Cercò di mantenere i suoi occhi fissi sulla strada, cercando di non arrossire.

Percepì poi la mano di Sherlock sulla sua guancia, un tocco delicato, ma abbastanza da far aumentare la temperatura nell’auto. Il moro si avvicinò a John e gli diede un bacio sulla guancia. Poi sussurrò al suo orecchio: “Io amo quel John Watson.”

 “Quale John Watson?” Riuscì a dire John, a malapena.

 “Il John Watson che mi sorprende sempre.” Sherlock sorrise mentre le sue labbra erano ancora vicine al suo viso.

John provò a rilassarsi e prese un respiro profondo. “Due cose. Uno: se non vuoi che accada un secondo incidente nel giro di meno di sei mesi, ti suggerisco di spostarti e di smetterla di distrarmi, e due: sono ancora incazzato con te, idiota. Quindi non fingere che sia tutto a posto, perché credo che siamo d’accordo sul fatto che io e te non siamo niente, o no?”
Sherlock ritornò al suo posto. "Non lo chiamerei un accordo."
 “Oh, io sì. E lo rispetterò.”

 “Non mi piace, John.” Disse Sherlock, alzando gli occhi al cielo.

 “Che io segua le regole?”

Sherlock annuì testardamente. “Noioso. Noioso. Noioso.”

 “Stai zitto!” John alzò il tono della sua voce.

 “Zittiscimi!” Rispose Sherlock, alzando ancora di più il tono della sua voce, sorridendo.

John fissava la strada. Gli ci volle tutta la sua volontà per non guardare il moro. Semplicemente scosse il capo. “La prossima volta che lo dirai, ti giuro che ti prenderò a pugni in faccia, così ti starai zitto per davvero.”

Sherlock sbuffò. “Non è giusto! Ti ho appena dato un bacio per zittirti. Non puoi prendermi a pugni!”

 “Mettimi alla prova.” Disse John, senza sapere se fosse arrabbiato o divertito.

***

“Oh, John! E’ così bello rivederti!” Mrs. Hudson lo accolse in maniera molto affettuosa non appena aprì la porta. Lo abbracciò, e poteva anche sembrare imbarazzante, ma John lo trovò un gesto molto dolce.

 “Anche per me è bello rivederla.” Disse John, sorridendo.

 “Ben fatto, Sherlock!” Diede una pacca sulla spalla di Sherlock, dopo averlo attirato a sé per un abbraccio.

Sherlock aggrottò le sopracciglia. “Grazie…?”

 “Sono felice che siate tornati insieme!”

John spalancò i suoi occhi e guardò Sherlock, che non si azzardava a guardare John. “Mi scusi, cosa?”

 “Sherlock mi ha detto cos’è successo. Non mi fido della sua ragazza. Continuavo a chiedergli di te et voilà, sei tornato!” Sorrise.

John teneva gli occhi puntati su Sherlock, quando si voltò per guardare Mrs. Hudson. “No, no. Noi non stiamo insieme.”

 “Lo so, le persone possono essere fastidiose, ma non preoccuparti, a me non interessa…” E fece l’occhiolino ad entrambi.

Sherlock alzò gli occhi al cielo e si voltò verso le scale, John lo stava per seguire ma pensò che fosse maleducato nei confronti di Mrs. Hudson, che stava lì, a sorridere. In più, John era curioso.

 “Davvero, Mrs. Hudson, non stiamo insieme. Sono venuto qui solo per il progetto di storia…”

 “Certo, certo.” Disse la donna, poco convinta. “Ti credo.”

 “John!” Udì dal piano superiore. “Puoi venire, non vorrà sentir ragioni quindi è inutile cercare di convincerla!”

Mrs. Hudson stava ancora sorridendo. John ricambiò il sorriso e disse: “Beh, abbiamo un progetto da finire, quindi…”

La donna si spostò in cucina, ma prima disse: “Certo, divertitevi! Ma non troppo, per favore.” Disse con un sorrisetto.

John non voleva sapere cosa significasse. Salì al piano superiore.

***

 “Quindi, le hai detto cos’è successo…” Disse John non appena entrò nel ‘laboratorio’ di Sherlock, cercando di non sembrare divertito, anche se in realtà lo era.
Sherlock stava prendendo dei fogli per la macchina da scrivere, e senza guardare mormorò: “Hmm?”

 “Le hai detto che abbiamo litigato…”

 “Mi fido di lei.” Disse Sherlock senza distogliere lo sguardo dai fogli.

 “L’hai… L’hai portata qui…”

 “Sì.” Disse Sherlock, con nonchalance.

 “A lei non piace.”

 “Neanche a te.”

 “Perché lo sapevo.”
 
 “Lei anche lo sapeva. Ecco, i fogli sono pronti.”

 “Non sapevo che fossi così… Colpito.” Apparentemente, non avevano ancora finito di parlarne. E quella conversazione metteva Sherlock a disagio.

 “Colpito da cosa?”

 “Dal nostro… Litigio.”

Sherlock guardò John, confuso, mentre un piccolo sorriso spuntò sulle labbra del ragazzo.

 “Sentimenti.” Disse John, scherzosamente.

Sherlock scosse il capo. “No no no. Non è vero.”

 “Lo è.” John socchiuse gli occhi ed arcuò il sopracciglio.

 “No.” Sherlock sollevò finalmente il suo viso ed i suoi occhi incontrarono quelli di John.

John si avvicinò, senza distogliere lo sguardo da Sherlock. Baciò la sua fronte e rimase lì per un momento. “Penso che sia adorabile.”

Sherlock chiuse gli occhi. “No. E’ stupido.” Disse, scuotendo il capo.

 “Non devi sopprimere i tuoi sentimenti, lo sai, vero?”

 “I sentimenti non mi hanno mai fatto del bene, John. Preferisco evitarli.”

 “A volte non puoi scappare dai sentimenti.”

 “E tu ne sei la prova, vero?”

“Temo di sì.” John sorrise, spostandosi da Sherlock, perché perché continua a succedere? Ottimo. Sto arrossendo. Ben fatto, Watson.

Si schiarì la gola. “Non stiamo insieme. E gliel’ho detto.”

Sherlock sorrise. Non stava guardando John, stava guardando la macchina da scrivere. “Lei non ti crede, e ad essere onesti-“ si voltò verso John. “Neanche io ti credo.”

 “Beh, è vero.” John annuì, cercando di convincere se stesso. Ma non stava funzionando e Sherlock lo sapeva, ovviamente. Sherlock sapeva sempre tutto. Bastardo.

“Guardati! Neanche tu ne sei convinto! Adorabile!”

John arrossì, ma provò a difendersi. “Come possiamo stare insieme ed essere una coppia se tu stai già con qualcuno?” Non voleva sembrare ferito, perché John era convinto che Sherlock non amasse Irene.

Sherlock finse di non aver sentito John, diede le spalle al ragazzo ed iniziò a scrivere. “Dovremmo iniziare, si sta facendo tardi.” Disse con tono serio, cambiando completamente discorso.

John annuì. Non voleva parlarne. “Certo. Chiamo mia madre, le dico che sono qui prima che dia di matto.”

“Per favore, non dirle dove vivo, se è così brava da irrompere in una scena del crimine, può irrompere in un qualsiasi posto.” Disse Sherlock, tentando di rompere il ghiaccio.

John ridacchiò. “Non dirò una parola a riguardo.” Fece l’occhiolino a Sherlock ed andò al piano inferiore, dirigendosi verso il telefono.

***

Sua madre, sorprendentemente, si fidava di Sherlock. Non sapeva come, ma il giorno in cui il moro e la madre di John si erano incontrati, Sherlock era stato in grado di convincerla abbastanza nonostante il suo abbigliamento ed il suo atteggiamento. La donna non si faceva problemi quando John doveva andare da Sherlock, ed era felice che lui fosse suo amico. John sapeva che sua madre si preoccupasse molto riguardo la sua solitudine, ma la verità era che lui non si sentiva affatto solo. Non gli servivano amici, non gli interessava di avere qualcuno con cui parlare, poteva trovare le risposte nei libri. Almeno… Fin quando non incontrò Sherlock.
Rimase dinnanzi al telefono a pensare, a pensare quanto fosse cambiato, quanto Sherlock fosse cambiato, a quanto le cose stessero cambiando. Sorrise. Ma una forte rumore lo riportò alla realtà. Chuck Berry. Tornò al piano superiore, Sherlock era seduto sul pavimento, stava mimando un assolo con un’immaginaria chitarra. Dava le spalle a John, infatti lui non riusciva a vedere il suo viso. John ridacchiò e si schiarì la gola. Sherlock smise di muoversi e si voltò verso John, e stava arrossendo. John sorrise e Sherlock abbassò lo sguardo. “Non avresti dovuto vedere questo spettacolo…”

 “Beh, la prossima volta che pianifichi di metter su un teatrino del genere per conto tuo, non invitarmi a casa tua, allora.” Disse John, cercando di fare il serio.
Sherlock rise. “No, assolutamente no.”

John sedette accanto a Sherlock. La sua espressione era un po’ più seria, ed iniziò a scrivere, cercando di nascondere la vergogna. John gli accarezzò la spalla. “Non essere stupido, Sherlock. Puoi essere strambo quanto vuoi, con me.” Disse, sorridendo.

“E’ che… Io non sono così.” Sherlock si schiarì la gola. “Beh, almeno non con gli altri. Ma con te… Mi sembra… Normale.” Sherlock sembrava incredibilmente confuso.
John aggrottò le sopracciglia. “Lo so, mi sento allo stesso modo. Non mi spavento ad esser me stesso se sto con te.”

Sherlock riprese a scrivere mentre parlava con John ed ogni tanto si fermava per cantare una canzone e John lo guardava e sorrideva. Si stavano divertendo, e quando stavano per finire, Mrs. Hudson li chiamò per cena.

Andarono al piano inferiore, Sherlock guidava John che stava dietro di lui, quando Sherlock si fermò di colpo e John gli finì addosso. “Hey!” Disse, aggiustandosi gli occhiali, ma Sherlock non rispose. John non riusciva a vedere cosa avesse bloccato Sherlock, perché il moro gli copriva la vista.

 “No. Non esiste.” Sherlock scosse il capo.

“Buona sera anche a te, Sherlock.” John riconobbe la voce immediatamente e spalancò gli occhi. “Vedo che hai portato il tuo… Amichetto.”

 “Ciao, Mycroft.” Disse John con un cenno.

Mycroft guardò John dalla testa ai piedi prima di rispondere. “Ciao, John.”

Sherlock lo interruppe. “Adesso che abbiamo finito con i saluti, abbiamo altro da fare, ciao.” E si voltò, per tornare nella sua stanza.

 “No.” Disse Mycroft con determinazione. “Stiamo per cenare.”

Sherlock si voltò per affrontare suo fratello. “Se con ‘noi’ intendi tu e Mrs. Hudson, vi auguro una buona cena. Ciao.”

 “Sherlock…” Disse John con calma.

 “Non preoccuparti John, la ragione gli tornerà presto.” Disse Mycroft, guardando le spalle di Sherlock.

 “Oh, davvero? E cosa farai a riguardo?” Disse Sherlock.

 “Sono sicuro che sia una conversazione che non vuoi intraprendere, fratellino.”

 “Oh no, voglio sentire.” Disse Sherlock, avvicinandosi a Mycroft mentre John li guardava senza sapere cosa fare.

Mycroft parlò molto, molto lentamente. “Ne sei sicuro?”

“Sì.” Disse Sherlock annuendo. “Cosa farai se non ceno? Come mi forzerai, questa volta?” Ci volle uno sforzo disumano per John per capire cosa stesse dicendo Sherlock, perché parlava sussurrando, cosicché potesse sentire solo suo fratello.

 “Chiamerò mamma e papà, Sherlock.” Disse Mycroft, arcuando il sopracciglio.

Sherlock s’irrigidì. John non sapeva che espressione avesse Sherlock, ma era sicuramente un’espressione di disagio. “Non ho fatto niente.”
 
Mycroft iniziò a muovere l’ombrello. “Sono sicuro che saranno felici di sentire che hai portato un altro dei tuoi… Amici? E’ così che li chiami, vero? Sono sicuro che ricordi come abbiano reagito l’ultima volta…”

Sherlock rispose abbassando ulteriormente il tono della sua voce, e John non riuscì a capire.
Nel frattempo, John stava cercando di capire come intendesse Mycroft con ‘come abbiano reagito l’ultima volta’. Ma quale volta? Come avevano reagito? Amici?
Mycroft e Sherlock si guardavano. I loro occhi fissi l’uno sull’altro. John poteva sentire la tensione, e voleva scappare via, ma non poteva. Si schiarì la gola e sia Mycroft che Sherlock si voltarono per guardarlo, come se avessero dimenticato che lui fosse lì. “Sto morendo di fame, mi piacerebbe cenare, grazie.” Disse dirigendosi verso la sala da pranzo.

Sherlock si accigliò e guardò Mycroft. “Congratulazioni, Sherlock. Ne hai trovato uno intelligente, questa volta.”

Sherlock gli diede un’occhiata glaciale prima di andar via e seguire John. Mycroft mantenne un piccolo sorriso sulle sue labbra e seguì il fratello.
Cenarono in silenzio, tranne in quelle occasioni in cui Mycroft guardava John e gli chiedeva qualcosa su di lui. Gli chiese cosa avrebbe voluto fare dopo il diploma, cosa avrebbe studiato, come andava a scuola… John non sembrava infastidito, ma Sherlock lo era perché sapeva che suo fratello sapeva tutte le risposte a tutte le domande. Sherlock ne era sicuro, ed era sicuro che sin dal loro primo incontro, avesse ottenuto tutte le informazioni su John Watson. Odiava ciò.

“Ottima cena…” Disse Sherlock, senza aver mangiato un solo boccone, affermando che mangiare l’avrebbe ‘rallentato’, “Adesso John ed io abbiamo un progetto a cui lavorare. Vieni, John?”

John fissava Mycroft senza capir niente, mentre Mycroft guardava Sherlock confuso. John reagì quando udì la voce di Sherlock e si alzò. “Sì, certo.” Annuì. “Grazie per la cena.” Dopodiché si diresse verso Mrs. Hudson e sorrise. “Era deliziosa.”

 “Sono felice che ti sia piaciuta caro.”

Sherlock stava per andar via dalla sala da pranzo quando Mycroft si schiarì la gola. Si fermò e si voltò, alzando gli occhi al cielo. “Grazie per la cena, Mrs. Hudson.” Disse abbozzando un sorriso. Dopo guardando a Mycroft disse: “Contento?”

 “Va già meglio.” Mycroft annuì.

 “Non esser stupido caro, non devi ringraziarmi, sai che lo faccio con amore… Mi sarebbe piaciuto che avessi mangiato almeno un boccone.”

 “Mi dispiace, ma non ho fame, ed abbiamo molto lavoro da fare. E poi Mycroft potrà mangiare di più.”

Mycroft si accigliò e John provò a non ridere.

Mrs. Hudson fece spallucce e sorrise. Mycroft si alzò da tavola. Sherlock si voltò e disse appena: “Buonanotte, Mycroft. Per favore, non disturbarci.”
Mycroft annuì e John e Sherlock andarono al piano superiore.

Non appena erano nella stanza di Sherlock, il moro accese il giradischi ed il rock’n’roll era di nuovo lì. Solo… Più forte. John guardò Sherlock, accigliato. “Mycroft odia questa musica. Non ha niente a che vedere con te.”

 “Non dà fastidio a Mrs. Hudson?”

 “No. Lei è abituata.”

 “Da quanto vive qui?”

 “Cinque anni.”

 “Sembra che ti voglia molto bene.”

 “Lei è l’unica che mi sopporta.” Disse Sherlock, come se quella frase dicesse molto su di lui.

John sorrise. “Io ti sopporto.”

 “Andrai via un giorno. Lei no.”

 “Chi dice che andrò via?” Disse John, con sorpresa.

 “Andrai via, John. Non funzionerà, incontrerai qualcun altro, o forse io incontrerò qualcun altro. Tutto questo non durerà mai.” Disse Sherlock abbassando lo sguardo e pentendosi di ogni singola parola detta in quel momento. John non voleva ammetterlo, ma il moro aveva ragione. Non erano mai andati d’accordo. Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbero dovuto separarsi per davvero, e Sherlock sarebbe diventato solo un ricordo per lui. Era così che dovevano andare le cose. Era inevitabile. John si sentì sollevato perché Sherlock non stava aspettando una risposta.
Non parlarono per un po’.

***

 “D’accordo, quindi dobbiamo concludere-“ Disse Sherlock prendendo dei fogli dalla macchina da scrivere. “- e siamo a posto.”
John non rispose.

 “John!” Disse Sherlock, realizzando che John non fosse più accanto a lui. Alzò il tono della voce. “John!”

Si voltò e trovò John, disteso sul divanetto, profondamente addormentato. Sherlock sorrise alla visione di John, ed andò nella sua stanza a prendere una coperta per coprire John. Guardò l’ora, ed erano le 23. Dannazione. Com’è che il tempo era passato così in fretta? John non poteva guidare, non così tardi.
Andò giù e prese lo zaino di John. Prese il quaderno di chimica e guardò le informazioni di contatto su di esso. Il numero di casa sua era lì. Compose il numero e prese un respiro profondo. Se avesse risposto Mr. Watson, sarebbe stato fottuto.

 “Pronto?” Udì dall’altra parte del telefono. Una voce da donna. Harry. Dannazione. Sperava che fosse sua madre.

"Harry?"

 “Chi parla?”

"Sherlock."

Udì un lieve ansimo attraverso il telefono. “Holmes! Dov’è John? Sono le 23! La mamma è preoccupata! Ma non ha il tuo numero! Mi ha anche chiesto di venire da te. Se è successo qualcosa a John, giuro che ti prendo a calci in culo!”

 “John sta bene! Non preoccuparti!”

Sospirò di sollievo. “Dove diavolo è?”

 “E’ qui, si è addormentato ed è troppo tardi per farlo guidare fino a casa…”

 “No, no, no. Non rimarrà con te. No.”

 “Non esser stupida, non farò niente! E’ esausto, ha bisogno di riposare.”

Harry sospirò. “D’accordo. Lo dirò alla mamma. Deve andare a scuola domani o darà di matto! E farai bene a non mentire, Holmes. Se succede qualcosa a John…”

“Sì, sì, mi prenderai a calci… Ciao.” Sherlock riattaccò.

***

Sherlock ritornò al piano di sopra e vide John, che ancora dormiva. Sorrise. Odiava farlo, ma doveva svegliarlo e portarlo nella stanza degli ospiti, così avrebbe potuto dormire in un letto. Si avvicinò a lui e sussurrò al suo orecchio. “John…”

John si mosse appena. Ci provò di nuovo, accarezzando i capelli di John. “John…”

John si mosse un po’ di più e mormorò qualcosa che Sherlock non capì. “John, andiamo, ti porto a letto.”

John spalancò i suoi occhi. “No, no, devo andare a casa.” Disse scuotendo il capo, era mezzo addormentato.

 “No. Rimani. Ho già avvisato tua madre.”

 “Cos’hai fatto?!”

Sherlock sorrise. “Dopo tutti i casini…”

John lo colpì sul braccio. Era ancora tra le coperte e i suoi occhi si stavano chiudendo.

Sherlock prese la sua mano. “Andiamo, devi dormire su un letto.”

 “No, non vado da nessuna parte.” Mormorò.

“Andiamo, amore.” Sherlock realizzò ciò che avesse detto, e spalancò gli occhi, tappandosi la bocca.

John aprì un occhio e guardò Sherlock. Sorrise. “Come mi hai chiamato?”

 “In nessun modo.” Disse Sherlock, guardando altrove.

John sorrise maggiormente. Tolse i suoi occhiali e li poggiò per terra. Chiuse gli occhi e mormorò: “… Vieni.” Disse indicando la parte vuota del divanetto.

Sherlock lo guardò in silenzio. “Eh?”

“Dormi qui. Hai bisogno di dormire.” La voce di John era scura, ed era mezzo addormentato.

“No… Dobbiamo finire il lavoro…” Disse Sherlock riluttante, perché non voleva dir di no.

 “Il progetto è per martedì… Sei esausto…” John aveva gli occhi chiusi.

 “John, ho una stanza.” Disse Sherlock tenendo la mano di John.

 “Voglio che tu dorma qui con me.” Disse John con determinazione.

Sherlock non riuscì a resistere. Si sdraiò sul divanetto, accanto a John, cingendo la vita di John con il suo braccio. John sorrise contro il cuscino. “Grazie.” Disse John, poggiando la sua mano su quella di Sherlock.

Sherlock si avvicinò maggiormente, le sue labbra si poggiarono sul collo di John. “Grazie a te.” Non appena John si sarebbe addormentato, Sherlock avrebbe finito il progetto.

John era un po’ più sveglio. “Sherlock?”

 “Sì?”

 “Cosa intendeva Mycroft con ‘l’ultima volta’?” John doveva sapere.

“Shh…” Mormorò Sherlock. “Dormi, John.”

John si addormentò quasi subito. Sherlock non voleva, ma si addormentò anche lui, annegando nei suoi mille pensieri, quei pensieri che provava a dimenticare, mentre il profumo di John penetrava i suoi sensi.

***
NOTE: CIAUUUU. Sono qui! Con un nuovo capitolo. Non vedevo l'ora di postarlo, finalmente ho finito un libro e ho avuto il tempo di tradurre, o meglio di continuare a tradurre! Ho letto tutti i vostri commenti, e pian piano risponderò a tutte. Grazie per le recesioni, grazie per tutto. Un bacio, :*

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Capitolo 18
*** Interlude: Dreaming ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
Note iniziali: Ci sarà una sorta di parentesi adesso perché la storia si sta facendo lunga! Ma ad ogni modo, questo capitolo vi darà un contesto, in modo da comprendere meglio la storia, e cosa accadrà d’ora in poi. Non dovete leggere per forza se non volete, ma è una cosa che vi raccomando di fare. Sarà un bel salto nel passato!
D’accordo, adesso un piccolo annuncio: sono molto impegnata con l’università, quindi se posto con ritardo sapete già il motivo.

*** 
INTERLUDE: DREAMING
 
1952

 “Sherlock! Devi trovarti degli amici!” Disse sua madre con decisione.
 
 “Avere amici è noioso!” Disse Sherlock mentre coglieva dei fiori dal giardino. “Parlare con le persone è noioso! Le persone sono noiose!”
 
 “L’ha detto il dottore, Sherlock. E faremo ciò che dice, caro!”

“Chi ha detto che quell’uomo che è fedele al suo lavoro, ma che sta attraversando un divorzio e che non parla con suo fratello, dica cosa io debba o non debba fare?”

“E’ esattamente quello che sto dicendo! Non è normale, Sherlock. Dovresti giocare a football e socializzare, non provare ad indovinare cosa succede nelle vite delle persone come se fossi un indovino! Hai tredici anni! Sei solo un bambino!”

“Indovinare? Indovinare? Io non indovino, io deduco!” Disse Sherlock, chiaramente offeso.
 
 “Certo, d’accordo: deduci.” Disse sua madre, dubbiosamente.

Sherlock ridusse i suoi occhi a delle fessure e tirò i fiori per terra. “Non mi credi.”
 
“Ottima deduzione.”

Diede le spalle a sua madre, tornando in casa. “Quindi che farai adesso? Mi porterai in una clinica?”
 
 “Caro, sto cercando di evitarlo, ma voglio che tu stia bene.”
 
Sherlock mosse le mani per aria, chiaramente infastidito. “Sono in perfetta salute!”
 
“Non mangi, Sherlock!”
 
“Mangiare mi rallenta!” Disse con calma, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
 
 “Stai crescendo, hai bisogno di cibo!”
 
 “Mangiare è NOIOSO!”
 
 “Non usare questo tono con me, ragazzino!” Incrociò le braccia contro il petto.
 
 “Quindi cosa proponi? Cosa ti ha detto Mr. Maniaco del lavoro?”
 
Sua madre lo guardò, non voleva rispondere a Sherlock. “Un convento.”
 
Sherlock spalancò gli occhi. “No.” Si voltò per salire le scale.
 
"Sherlock..." Disse sua madre con calma.
 
 “No.” Continuò a salire.
 
"Tesoro..."
 
"NO!"
 
Andò al piano superiore cercando di scacciar via le lacrime che si stavano formando nei suoi occhi.
 
***

1953
 
Aveva trascorso la sua infanzia girando il mondo. Come poteva legare con le persone se le uniche persone con cui parlava erano i suoi genitori? In quel momento era in una stanza grigia, piena di stupidi ragazzini, a cui interessavano solo cose banali, come lo sport e le ragazze. Noioso, troppo, troppo noioso.
Nessuno gli parlava, non andava bene a scuola e Dr. Drivers affermò che Sherlock fosse depresso. Depresso. Come se lui riuscisse a provare cose simili.
Era Mrs. Hudson che prendeva gli appuntamenti a Sherlock, che lo incoraggiava a mangiare ed a prendere le sue medicine, e perché gli servivano le medicine? “Medicina” era l’eufemismo di “Sedativo”.
Solo quando Sherlock era troppo giù, silenzioso, e sempre assonnato, Dr. Divers ebbe paura e sospese la cura. E Sherlock ne aveva bisogno, aveva bisogno dei sedativi per sopravvivere a quella specie di scuola in convento. Aveva bisogno dei sedativi per vivere, in generale.
Viveva in costante sindrome di astinenza, e ciò incrementava la sensazione di solitudine. Ma no, non era solo, perché non aveva bisogno di amici. Non aveva bisogno di nessuno. Non aveva mai avuto bisogno di qualcuno.
Victor Trevor era il nuovo ragazzo della scuola, l’anno successivo. Attirò subito l’attenzione di Sherlock. Quando si presentò alla classe, disse che per lui tutto era noioso e stupido e che suo padre girava il mondo sulla sua nave, e lo vedeva raramente. Finalmente aveva qualcosa in comune con qualcuno della sua età.
Qualche anno dopo, Sherlock si sarebbe pentito di averlo salutato.
 
***
 
 “Ciao, sono Sherlock Holmes.” Disse dopo averci pensato per tutta l’ora di pranzo, avvicinandosi a Victor, che sedeva sul prato, guardando il suo pranzo.
Victor non lo guardò. Fece a malapena un “mhm”.
Sherlock sorrise. “Anche io sono annoiato. Ed anche io vedo raramente i miei genitori.”

Victor guardò, finalmente, Sherlock. “Non l’ho mai detto.”

Sherlock lo guardò. “L’hai detto.”

“No. Ho detto che non vedo mai mio padre. E tu hai insinuato che io non veda mai neanche mia madre.”

Sherlock si schiarì la gola. “Beh, è morta, non è vero?”

Pensò seriamente che Victor stesse per prenderlo a pugni, chiuse addirittura gli occhi perché si aspettava una reazione simile, ma non accadde nulla. Li riaprì e vide il ragazzo di fronte a lui, con il capo inclinato. “Come fai a saperlo? Com’è possibile?” Non sembrava arrabbiato, sembrava… Sorpreso.”

 “Riesco a dedurre facilmente le cose.” Sherlock fece spallucce.

Victor sorrise. “Lasciami indovinare… Sei stato portato qui per farti nuovi amici.”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Ovviamente.”

Victor ridacchiò. “Sherlock Holmes, mi sarai molto d’aiuto.”

Sherlock non sapeva cosa significasse, ma sicuramente significava qualcosa.
 
***

Improvvisamente Sherlock si ritrovò a casa di Victor, presentato come “amico”, ed aveva addirittura trascorso le vacanze a casa sua. La famiglia di Trevor sembrava sorpresa ed eccitata perché Victor avesse trovato un amico, e stranamente a Sherlock piaceva la sua compagnia. La loro amicizia diventò sempre più forte durante il corso dell’anno. Sherlock incontrò il padre di Victor durante le vacanze, ed avevano anche parlato dei suoi viaggi, di lingue e persone.
E lì, tra saluti e chiacchierate, Sherlock capì due cose:
Uno, anche Victor aveva un terapista. Aveva perso l’abilità di parlare con la gente dalla morte della madre per via dello shock, per questo motivo era andato in terapia. Anche lui prendeva dei sedativi, stava cercando di smettere, ed anche lui aveva riscontrato delle difficoltà.
Due, provava… Qualcosa per lui. E quanto era stupida come cosa? Ma forse era la verità: era stupidamente innamorato di Victor. Non aveva senso. Sapeva che non avesse senso. Dovevano piacergli le ragazze, non i ragazzi. Doveva sposarsi, metter su famiglia, mantenere il nome della sua famiglia… Come potevano piacergli i ragazzi? C’era qualcosa di sbagliato in lui?
Forse gli piaceva Victor come amico. Sì, ovviamente. Non era innamorato, no. Lo ammirava e basta. Non sapeva cosa si provava ad avere un amico, quindi probabilmente aveva confuso i sentimenti.
 
***

O forse no. Sherlock si era ritrovato ad interrogarsi sui suoi sentimenti più e più volte. Ma perché ci stava pensando così tanto? Perché non poteva accettare il fatto che avesse un amico e che fosse felice a riguardo?
Forse perché voleva qualcos’altro, oltre l’amicizia.
Confermò i suoi pensieri, una notte, durante l’ultimo giorno a casa di Victor. L’estate era quasi finita, e Sherlock sarebbe tornato a casa. Victor l’aveva guardato per tutto il tempo. Quando erano di fronte il camino, leggendo libri seduti sul tappeto, il ragazzo non aveva tolto gli occhi di dosso a Sherlock. Sherlock era terrorizzato. Ovvio che sapesse, ovvio che Victor Fottuto Trevor sapesse. Sherlock si alzò dopo un po’, chiudendo il libro e dandogli la buonanotte, quando la mano di Victor afferrò il suo polso e lo fermò. Victor si alzò, e baciò Sherlock. Un casto, rapido e nervoso bacio. In quel momento Sherlock non pensò a niente. Ricambiò il bacio. E man mano i baci diventarono sempre più bramati. Dio, si sentiva così bene.
Infine saluto Victor ed andò nella sua stanza.
 
***

Apparentemente erano una coppia. Non l’aveva previsto. Ma gli andava bene. Le persone non dovevano sapere, ma Mycroft lo sapeva. Lo sapeva già, quando aprì la porta di casa per far entrare Sherlock, dopo esser tornato dalle vacanze. Lo squadrò dalla testa ai piedi, accigliato. Sherlock fece spallucce e salì al piano superiore. Entrambi sapevano che l’altro sapesse, e quello era il modo in cui i fratelli Holmes comunicavano. A Mycroft andava bene così. O almeno così sembrava, visto che non aveva mai menzionato la cosa.
Ma nessun altro poteva sapere, perché l’avrebbero rifiutato. Quindi dovevano tenere tutto segreto. Era bello avere dei segreti. Era il loro piccolo segreto.

***

Victor era cambiato. Dopo un po’ di tempo, presentò a Sherlock i suoi nuovi… Amici. E non sembravano affatto bravi ragazzi. Victor era diverso, iniziò ad indossare giacche di pelle, ad ascoltare strana musica, quel tipo di musica che tutti odiavano, e si comportava in modo strano. Ma era ancora il suo Victor. Suo, suo, suo.
Un giorno in particolare, mentre Sherlock era a casa di Victor, guardando il soffitto, e mormorando incessantemente “mi annoio, mi annoio…”, Victor poggiò il palmo della sua mano sul viso, alzando gli occhi al cielo, chiaramente infastidito da Sherlock. Si voltò per guardarlo.

 “Potresti fare i compiti, lo sai.”

“Fare i compiti è noioso.”

“Allora cosa vuoi fare Sherlock? Per l’amor di Dio, deciditi.”

“Voglio smettere di annoiarmi.”

Victor si alzò, prese un respiro profondo ed andò in bagno. Tornò con una piccola scatola tra le mani, guardando Sherlock. “Cos’è?” Chiese Sherlock.

“Hai preso le tue medicine?” Disse Victor, sollevando il sopracciglio.

“Non esser stupido, Victor. Sai che sto cercando di smettere.” Rispose Sherlock, con serietà.

 “Ovvio. Ma non è facile, vero?”

“Perché me lo chiedi? Lo sai che non lo è.”

“Il mio terapista mi ha dato delle nuove medicine…”

“Sedativi, Victor. Questi sono sedativi.”

“Beh, sì e no. E’ qualcosa di più forte. E’ buono. Ha detto che mi avrebbero aiutato a smettere con le altre pillole ed aveva ragione. Non mi servono più. Queste sono meglio, molto meglio.”

Mostrò la scatola a Sherlock, era bianca e c’era scritto ‘Laboratorio Sandoz”.
Sherlock guardò Victor, confuso.

“E’ la mia nuova terapia. LSD, loro la chiamano così.”

Loro chi? Si chiese Sherlock. Oh, certo, giusto. I suoi… Amici.

“E?”

“E cosa?”

“Qual è la differenza tra queste e le altre?”

“Oh, tutto è diverso. Queste mi rendono… Felice. Per davvero.”

“Per davvero?”

“Sì, e possono rendere felice anche te.”

“Ne dubito.”

“Provale.” Disse Victor porgendo la scatola a Sherlock.

“Non so, Victor.”

“Ti aiuteranno a smettere. Ti renderanno felice. Che c’è di male?”

Sherlock prese una delle pillole e la mise sotto la lingua.

E vide le stelle.
 
***

1954
 
 “Lasciami stare, vai via.” Ripeté le parole di Victor singhiozzando. Era seduto all’angolo della sua stanza, con le ginocchia contro il petto. Si sentiva così vulnerabile, ma non gli importava, niente importava più, neanche che Victor non fosse più con lui. Le cose tra loro erano finite. L’aveva drogato e l’aveva cacciato via da casa sua.
Non sapeva come fosse arrivato a casa. Non gli importava.
Le sue pupille erano dilatate, le sue mani tremavano. Era come se il suo cervello fosse altrove, riusciva a malapena a parlare, la sua bocca era asciutta, ma la sua faccia era bagnata. Lacrime, lacrime, lacrime… Victor. No. Victor. Non lasciarmi!

 “Sei un fottuto disastro, Sherlock! Seriamente, pensavo che riuscissi a reggere più di così.”

“Zitto e baciami.”

“Abbiamo già scopato due volte! Che altro vuoi?”

“Voglio che tu mi dica che tutto andrà bene. Voglio che tu mi dica che resteremo sempre insieme. Sempre.”

“Non esiste il ‘per sempre’, non essere stupido.”

“Prometti.”

“Non posso prometterti cose non vere.”

“Ti amo. E questo credo sia vero.”

“Quasi vero.”

“Quasi vero?”

“Un’altra pillola, Sherlock?”

 “Ti prego.”

“Non ti ho mai chiesto di amarmi, pensavo di esser stato chiaro. Quel che era, lo sapevi dall’inizio.”

“Era?”

“Dovresti andare.”

“No.”

“Sherlock!”

“NO! So cosa significa! Stai rompendo con me!”

“Non sto rompendo niente! Ci sei solo tu, ti costruisci illusioni che non renderò mai realtà perché io non ti amo! Preferisco scopare con te, amo scopare con te. Ma amare te? Per favore.”

“Pensavo che tu…”

“Pensavo che fossi intelligente.”

“Ti prego, non lasciarmi.”

“Addio, Sherlock.”

“No, per favore. Ti prego.”

“Un’altra?”

“Ti prego.”

Gli diede un’altra pillola. La terza da quando era arrivato a casa.
La sua stanza era scura. Si addormentò mormorando “non lasciarmi…” di continuo.
 
***

Sapeva che non sarebbe durato a lungo senza Victor, non appena lo vide al bar, lo pregò, lo pregò e lo pregò. Riluttante, Victor annuì e lo spinse contro il muro, baciandolo con passione. Fecero sesso nel bagno.
Sherlock ripeteva “mio, mio, tutto mio” più volte che poteva, per assicurarsi che Victor fosse suo. Victor prese dalla sua tasca due pillole gialle, e le mise in bocca a Sherlock per zittirlo. Sherlock sorrise.
Era la sua quarta pillola quella notte.
 
***

1955

“FOTTITI! FOTTITI!” Sherlock andò via dalla festa, mandando via le lacrime. Victor lo rincorreva, alzando la zip dei suoi pantaloni ed aggiustandosi la cintura.

“Non sapevo che saresti venuto.” Disse Victor con calma dopo aver raggiunto Sherlock.

“Da quanto?” Sherlock si fermò e si voltò, chiudendo i suoi occhi, la sua voce tremava.

“Da quanto me la scopo o da quanto mi scopo qualcun altro che non sia tu?” Sherlock lo fissò, scuotendo il capo alle sue parole.

“L’ho incontrata oggi, rilassati. Per quanto riguarda gli altri…”

“STAI ZITTO!”

“Sherlock, non so quale sia il problema. E’ solo sesso dopotutto.”

“A te importa solo del sesso, vero? Non te ne fotte un cazzo di me, non te n’è mai fottuto niente di me!”

“Ti ho avvertito, Sherlock. Te l’ho detto mille volte, eppure sei ancora qui. E mi perdonerai, e tornerai, perché è questo che fai. E’ questo che siamo.”

Tirò fuori una pillola dalla sua tasca e la mise in bocca. Dopodiché indico Sherlock. “La vuoi una?”

Sherlock scosse il capo, piangeva ancora.

“Oh, andiamo Sherlock!” Disse Victor, avvicinandosi ed afferrando il braccio di Sherlock. “Lo sai che sarà sempre così. Tu lo ami, tu mi ami.”

E si avvicinò per baciare Sherlock e Sherlock voleva andar via ma non riuscì.

“Io… Sono stanco di tutto questo, Victor.”

“Non puoi vivere senza di me, Sherlock.”

Ed era vero. Diamine, da quando la vita di Sherlock era diventata un tale casino?

Scosse il capo. Victor sorrise. “Lo immaginavo… Tieni, prendine una.”

Mise la pillola in bocca a Sherlock. Non appena la inghiottì, Victor lo baciò di nuovo. Dopodiché lo strinse tra le sue braccia e Sherlock scoppiò a piangere. “Bene… Sapevo che avresti scelto me. Sono felice che tu abbia capito. Hai bisogno di me. Lo sai. Moriresti senza di me.”

Sherlock annuì, stringendosi a Victor.
 
***

Sapeva quanto Mycroft odiasse che Sherlock portasse gente a casa. Non succedeva spesso, ma gli amici di Victor trascorrevano del tempo a casa sua di tanto in tanto, specialmente perché casa sua era vuota (c’era solo Mrs. Hudson) e potevano prendere tutte le pillole ed il liquore che volevano.
Stava con Victor da due anni, due anni di… Felicità. Indossava giacche di pelle, perché Victor gli aveva detto che con quelle giacche fosse eccitante, ascoltava rock’n’roll. Iniziò anche a fumare, era una sorta di terapia, ma non era potente come le pillole. Dio, le amava.
Non parlare con suo fratello per due motivi: 1. Perché lo vedeva a malapena. Mycroft era sempre troppo impegnato con la sua carriera e 2. Perché sapeva che Mycroft avrebbe saputo tutto. Ovvio che avrebbe saputo, e voleva evitare che lo scoprisse. Non era spaventato di deluderlo. Voleva solo evitare la discussione, i suoi genitori, una nuova scuola e separarsi da Victor. Non si sarebbe separato da Victor. No. Non sarebbe successo. Suo fratello non poteva scoprirlo.
La sua vita era sicuramente cambiata dopo aver iniziato a prendere quelle medicine. Non era felice, ma aveva dimenticato la tristezza ed era abbastanza. Dimenticò i suoi genitori, la scuola. Era solo lui, la sua musica, Victor e lui. Il suo cervello funzionava anche in maniera più rapida. Lo amava. Davvero.
I loro amici erano andati via. Mrs. Hudson era al piano inferiore, preparava una zuppa. Sherlock avrebbe dovuto ricordare. Come aveva potuto dimenticarlo? Stupido.

“Tesoro, siamo qui.” Sua madre e suo padre aprirono la porta, Mycroft era dietro loro.

Sherlock era a letto con Victor. La scatola di pillole era vuota. Ritornò alla realtà.
Avrebbe dovuto ricordare che fosse il compleanno di Mycroft prima di portare Victor a casa.

***
Victor era andato via. Sherlock era in salone. I suoi genitori di fronte a lui, le braccia incrociate, lo fissavano. No. Stavano parlando. Sì? Sherlock non sentiva niente. Era perso nei suoi pensieri. Loro non erano nei suoi pensieri. Erano altrove. Poteva giurare di aver visto Mycroft sorridere.

“Sherlock, mi stai almeno ascoltando?”

di suo padre. Avrebbe dovuto rispondere, per fargli sapere che stava bene. Aprì la bocca, ma nessun suono fuoriuscì. Rise. Non poteva fare a meno di ridere.

“Dovremmo portarlo in ospedale.” Ovvio, perché quella era sempre la fottuta soluzione, vero?

“No!” Oh, guarda, può parlare!

Suo padre lo afferrò per il braccio. “Andremo in ospedale.”

“NO!” Disse Sherlock, scansandosi dalla presa. I suoi pensieri si stavano ricomponendo.

“Sherlock!” Disse sua madre, con tono da rimprovero.

“Non avete mai pensato che non sono io quello a cui servono terapie? Non avete mai pensato che forse non sono depresso? Non avete pensato che forse sono solo infelice? Non avete mai pensato che fosse colpa vostra? Non avete mai pensato che chiudete la porta in faccia all’unica persona capace di darmi qualcosa? O di rendermi felice?”

“Sherlock! Stavi facendo sesso con un altro ragazzo in casa nostra mentre eri drogato e dici di non aver bisogno di terapie?” Disse sua madre alzando il tono della voce.

“Sto bene.” Rispose Sherlock.

“No, non stai bene.” Mycroft si alzò dal divano e camminò verso il fratello. I suoi genitori lo guardarono, come se avessero dimenticato che lui fosse lì.

“Ciò non ti riguarda.” Disse Sherlock voltandosi.

“Ovvio che mi riguarda! Sei mio fratello.”

“Oh, adesso sono tuo fratello. Dove sei stato per tutta la vita?”

“Sherlock, smettila!” Disse Mycroft esasperato.

“Altrimenti?”

Mycrot lo guardò in maniera provocatoria.

“Come mi forzerai?”

“Smettetela, tutti e due!” La loro madre si mise tra di loro. “Mycroft, va nella tua stanza, ORA!”

“Sono deluso, fratellino.”

“Oh, no. Ti ho deluso. Che farò adesso?!” Disse Sherlock, sarcasticamente.

“VIA!” Mr. Holmes urlò prima che Mycroft potesse rispondere.

“Sherlock, guardami.”

 Con una strana sensazione nella sua mente, Sherlock guardò sua madre.

“Non vedrai più quel ragazzo.”

Improvvisamente la voce di sua madre era lontana, molto lontana. Sollevò la sua mano e toccò la sua guancia. Era bagnata. Stava piangendo? Forse. No. Non provava certe cose. Un’altra lacrima. Stava piangendo.

“… Tornerai con noi. Viaggerai insieme a noi.”

Sentiva la voce da lontano. “No…” Mormorò. Si sentiva debole.

“Non era una domanda, era un ordine, Sherlock.”

“Non voglio andar via, mamma.”

“Te la sei cercata. Ti abbiamo dato la libertà, e l’hai gettata via. Ti sei rovinato!”

“IO. STO. BENE!”

“Guardati, Sherlock!” Disse sua madre disperatamente, piangendo.

“Ti senti davvero bene, tesoro?” Disse sua madre, toccandogli la guancia.

Chiuse gli occhi e scosse il capo, piangendo ancora ed ancora.

“Immaginavo.”

“Non voglio andare dal terapista.” Disse con fermezza.

“Non ci andrai. Ma verrai con noi. Capito?”

Sherlock annuì. Aveva altra scelta?

***

Ciao, tesoro. Come va? Immagino che tu sia impegnato. Riguardo la scorsa lettera, scusaci se non abbiamo risposto, ma Sherlock ha avuto una ricaduta, anche se non si è mai ripreso effettivamente, ma la settimana scorsa è stata particolarmente difficile. Siamo stati svegliati dalle sue urla, continuava a ripetere il nome di quel ragazzo, pregandolo di non andar via e non appena l’abbiamo svegliato, ha lasciato la stanza singhiozzando, e non l’abbiamo più visto per tre giorni.
Non abbiamo avuto tempo per cercarlo, ma alla fine è tornato, non devi essere un genio per sapere cosa abbia combinato in quei tre giorni. Per questo abbiamo deciso di mandarlo in una clinica. E’ stato più difficile di quanto pensassi, ma a quanto pare l’ha accettato. Non ci parla, ma non l’ha mai fatto. Il dottore ci ha detto che gli piace ascoltare musica ad alto volume e che sembra felice, anche se la musica che ascolta è orribile. Non socializza, ma non ha cercato di scappare o di prendere pillole, ed è un buon segno. Non faremo nulla per la vigilia di Natale. Abbiamo dovuto rimandare il viaggio a Roma, almeno fin quando Sherlock non si riprende. Puoi rispondere a questo indirizzo.
Buon Natale, mio caro Mycroft.
Con amore,
Mamma.

***

1956

 “Ciao, Sherlock.”

Gli ci era voluto un lungo anno in giro per il mondo, mesi di riabilitazione e molte, tante pillole per dimenticare quella voce. Ma scoprì di non aver mai dimenticato. Quella voce seducente, adorabile. Bella, bellissima voice.
Sherlock si voltò. La vista di Victor lo fece star male. Sentì qualcosa in lui rompersi, una sorta di vecchia ferita che pensava fosse guarita. Merda, aveva bisogno di una pillola.
Aveva superato una dipendenza, ma superarne due era troppo.
Dopo aver pregato i suoi genitori, suo padre riluttante aveva accettato di far ritornare Sherlock in città. A condizione che fosse costantemente monitorato dalla polizia. Polizia. Come se fosse un criminale. Iniziò ad aiutarli. All’inizio non credevano alle sue ipotesi, ma quando le confermarono, Sherlock Holmes diventò il miglior ‘acquisto’ della polizia locale.
Gli piaceva aiutarli. Sembravano persi senza il suo aiuto, in ogni caso.
Aveva smesso di prendere le pillole un mese prima. Era diventato bravo a resistervi. Aveva disperatamente bisogno di provare qualcosa. Lavorare con la polizia, risolvere omicidi ed allenare la mente gli permetteva di provare qualcosa.
Victor Trevor gli faceva provare tutto.
Dimmock gli aveva chiesto di andare sotto copertura ad una festa per controllare lo spaccio di allucinogeni, per vedere quali prodotti venissero spacciati, chi li vendeva e chi li comprava. Sherlock sapeva che sarebbe stata una sfida, e voleva affrontarla, voleva superare il suo bisogno per le pillole.
Avrebbe dovuto sapere che Victor sarebbe stato lì. Ovvio. Era ovvio che Victor sarebbe stato lì.

“Victor.” Annuì. Non sapeva come aveva fatto a non batter ciglio.

“Non ti ho visto in giro, ultimamente.”

“Ero fuori città.”

“Mi sei mancato.”

“Bene.”

“Sei stato in riabilitazione, vero?” Victor scoppiò a ridere.

“Vaffanculo.”

“Oh, quindi è così che vuoi giocare?”

“Non sto giocando, e non farò il tuo gioco. Non con te, non ancora.”

“Scommetto che anche io ti sono mancato.”

“Ne dubito.”

“Ne sei sicuro?”

“Certo che sono sicuro.”

“Allora scommetto che ti sono mancate queste.” Mostrò la scatola a Sherlock, la stessa scatola che gli aveva mostrato tre anni prima. Sherlock leccò le sue labbra istintivamente. Dannazione, gli mancavano, e gli mancava Victor. Doveva andar via.
La prima pillola non gli fece effetto. La seconda nemmeno. Ne prese cinque e dopo iniziò a sentire l’effetto di esse. Voleva solo dimenticare Victor. Ma com’era possibile farlo quando la lingua di Victor era nella sua gola? Aspetta. Quand’era successo? Com’era possibile che fosse accaduto?
Sherlock tornò alla realtà momentaneamente, ma si distrasse nuovamente non appena sentì le mani di Victor sul suo corpo. Victor, Victor, Victor.
Victor, colui che l’aveva reso un drogato.
Victor, colui che aveva spezzato il suo cuore.
Victor, colui che era andato via.

Sherlock poggiò una mano sul petto di Victor e lo spinse via. “No!”

Victor lo guardò con uno sguardo omicida. “Zitto, piccolo Sherlock.” Dopodiché si avvicinò nuovamente e baciò Sherlock sul collo.

“Smettila!”

“Che diavolo credi di fare?”

“Non voglio più giocare con te!” Disse Sherlock.

“Oh, Sherlock, smettila di fingere. Tu mi ami.”

“Ti ho amato.”

“Mi ami ancora.”

“Sei andato via, mi hai lasciato da solo. Ero solo. Mentre soffrivo, mentre ero in riabilitazione. Mentre cercavo di rimettere a posto i pezzi del mio cuore, tu sei sparito.”

Sherlock sembrava così ferito, ma non voleva mostrare le sue debolezze.

“Ti piangerai addosso per il resto della tua vita? Che ti aspetti da me?”

“Beh, non ci cadrò di nuovo.”

“Non puoi scappare via, Sherlock. Non sei mai stato in grado di farlo.”

“Guardami.”

Prese un’ultima pillola ed andò via, quasi correndo.

“Te ne pentirai, Sherlock. Tornerai, torni sempre e lo sai anche tu!” Udì Victor gridare mentre saliva in macchina, correndo via.

***
L’ultima cosa che sentì erano delle braccia che lo portavano fuori dall’auto. Dalla sua auto. La sua rocket. Dovettero togliere lo sportello per tirarlo fuori. Si sentiva confuso, ma era una confusione piacevole, quella confusione che provava solo con le pillole. Nove pillole, per l’esattezza.
Poteva percepire il sangue scorrere lungo il suo viso.
Battito: lento. Respiro: irregolare. Se avesse perso i sensi, sarebbe morto. Concentrati sul respiro. No. Non su Victor. Sul respiro. Inspira ed espira.
I suoi occhi si chiusero non appena vide le luci, ed udì l’ambulanza. Le persone attorno a lui parlavano e parlavano. Smettetela! Smettetela!
Gli diedero l’ossigeno, e capì che non era una buona cosa… Non chiudere gli occhi.
Le porte dell’ambulanza si aprirono. Con l’ultimo briciolo di coscienza, guardò il suo amato regalo di compleanno dopo aver rotto con Victor. ElDorado. La sua rocket, la sua compagna, distrutta. Stava per svenire. Chiuse gli occhi. Poi una voce.

“Oh dio, mamma, lei sta bene?”

Qualcuno si avvicinò all’ambulanza. “Dio, Harry. No.”

La sua voce tremava. “Starà bene?” L’infermiera spinse la barella dentro l’ambulanza. “Per favore, mia sorella non è un’assassina. Per favore.”

Sherlock aprì appena gli occhi e lo vide. “Per favore, ditemi che lui si riprenderà. Vi prego, ditemi che sopravvivrà.”

Che voce dolce. Che voce delicata.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.

***

NOTE: Ce l'ho fatta! Oggi sono tornata a casa per il fine settimana, e sono LIBERA. Almeno fino a domenica. Quindi ho pensato di tradurre e postare il capitolo, perché avete aspettato fin troppo. Adesso vi chiedo: esiste qualcuno più odioso di Irene? Sì. La risposta è: VICTOR. Stronzetto, dovrebbe scendere dal piedistallo. Ha rovinato Sherlock, ma sappiamo bene che il nostro Sherlock è forte... Quanto basta. 
Spero vi piaccia il capitolo, leggermente diverso dagli altri, essendo una sorta di capitolo di 'pausa'. Tra l'altro le note iniziali sono le note della scrittrice, e le ho volute lasciare perché valgono anche per me! Un bacio, spero di postare presto anche se vi avviso: lunedì ritorno a Catania per l'università, e sabato parto per cinque giorni quindi non ci sarò il fine settimana. Se riuscirò, posterò prima di sabato, altrimenti vi posterò il prossimo capitolo dopo giorno 30. Non me ne vogliate! Mi farò perdonare. Vi abbraccio, :*

 

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Capitolo 19
*** Come Go With Me ***


DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
COME GO WITH ME

 “Sherlock! Sherlock, svegliati!”
 
Sherlock aprì gli occhi, era esausto. Di fronte a lui c’era John, i loro nasi erano così vicini che quasi si toccavano, mentre il moro sorrideva. Sospirò, sollevato. Era vivo, era lì e stava bene. Poi la realtà lo travolse e quasi cadde dal divano, e si alzò più veloce che potesse, raggiungendo il lato opposto della stanza, mentre John lo fissava.

“Stai bene?”
 
Improvvisamente la sua mente lo portò a quella notte, e poté quasi sentire il suo corpo colpire il terreno, l’odore del sangue, il chiacchierio delle persone, le luci dell’ambulanza, la voce di John…

Fino alla scorsa notte, Sherlock riusciva a ricordare ben poco dell’incidente; ricordava di esser andato ad una festa, ricordava Victor, la sua macchina, l’impatto e dopodiché… Il buio. Non aveva ricordato le pillole, le nove pillole…
Era stata colpa sua, era stata tutta colpa sua.
 
Una terribile sensazione pervase il suo corpo, la sua mente era altrove, e John era lì, guardava Sherlock preoccupato. Cosa avrebbe fatto se John fosse stato in macchina con lui? Se l’avesse ucciso? Il solo pensiero era insopportabile.

Non poteva fare questo a John.

John si avvicinò e toccò la guancia di Sherlock, che teneva i suoi occhi fissi sul ragazzo ma non disse nulla, sembrava perso altrove. Reagì istantaneamente quando percepì la mano di John sul suo viso. Era più che un tocco, era un messaggio, per dirgli che fosse vivo, che John stava bene, che erano entrambi sopravvissuti, compresa Harriet.


“Sherlock, che hai?”

“Niente, sto bene.” Sorrise e guardò gli occhi di John.

“Ne sei sicuro?” Chiese John, nervoso. Non riuscì a fare a meno di pensare che Sherlock stesse reagendo in quel modo perché la notte precedente avevano dormito insieme, e adesso avesse dei ripensamenti. John si sentì terrorizzato all’idea, ma non poteva fare molto.

Sherlock annuì, mantenendo il sorriso sulle sue labbra e provando a scacciar via quei pensieri che invadevano la sua mente.

“Beh, allora-“ John si avvicinò a Sherlock e gli diede un bacio sulla guancia. “Buongiorno.” Disse, sorridendo.

Sherlock guardò John per un momento che sembrò durare un’eternità, senza riuscire ad articolare una frase, ed il panico di John si intensificò. Fin quando Sherlock decise di ritornare al mondo dei vivi e sorridere in maniera rassicurante: “Buongiorno a te, John.”

John sorrise e prese un sospiro di sollievo. Poi guardò l’orologio.

“Presto, dobbiamo andare a scuola!”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Non voglio andare a scuola!”

“Lo sai che dobbiamo.”

Il moro sospirò. “D’accordo.”

John si tolse il maglione ed al di sotto indossava una maglia bianca. Sherlock lo guardò abbozzando un sorriso, mentre i suoi occhi scrutavano il corpo di John, il quale ricambiò lo sguardo. “Oi! Smettila di sbirciare!”

Sherlock si voltò e sorrise. “Non sto sbirciando!”

John ridacchiò, ma poi si sentì imbarazzato riguardo ciò che stava per chiedere a Sherlock ed abbassò lo sguardo. “Sherlock, mi chiedevo se magari… Se magari avessi qualcosa che io possa indossare per andare a scuola… Mi vergognerei ad indossare nuovamente gli stessi vestiti che ho indossato ieri…”

Sherlock sorrise e guardò la felpa di John, era davvero, davvero orribile. “Non ho nulla che faccia al caso tuo,” disse assumendo un’espressione divertita che fece ridere John, ed improvvisamente gli occhi di Sherlock s’illuminarono e guardò John con un sorrisetto. “Oh!”

John realizzò cosa volesse dire Sherlock e spalancò gli occhi, scuotendo il capo continuamente. “No.”

Sherlock alzò il sopracciglio.

John scosse più intensamente il capo. “NO. Non esiste, non indosserò una delle tue giacche di pelle per andare a scuola! Sei pazzo? Vuoi che mi prendano a calci?”

Sherlock sospirò in disaccordo ed incrociò le braccia. “Ti starebbe bene.”

John sorrise. “No, non è vero. E poi, tu hai tre taglie in più della mia, finirei per essere un involtino tra la tua giacca!”

Sherlock rise. “Beh, o la giacca o niente.”

“Bene, andrò con la mia maglia e basta.”

Sherlock lo guardò nuovamente e disse, con un sorrisetto malizioso: “Non preoccuparti, anche questa ti dona.”
 
E John arrossì.

*** 

La colazione fu ancora più strana. Fortunatamente per John, Mycroft era andato via, perché non era a tavola con loro, ma gli sguardi che gli lanciava Mrs. Hudson lo facevano sentire a disagio.
Non appena entrò in cucina, dicendo “buongiorno”, lei lo guardò sorpresa e sorrise. Ed era strano, perché se stava pensando ciò che John pensava che lei stesse pensando, allora non avrebbe sorriso… Quindi, che cosa stava pensando Mrs. Hudson?

“Wow, John, non mi aspettavo di vederti qui questa mattina, che meraviglia!”

“Grazie…?” Rispose John, confuso.

“Quindi… Hai ‘dormito’ bene?” Disse, facendogli l’occhiolino.
 
Ed eccolo lì, John stava arrossendo di nuovo. Ma annuì. “Sì, ho dormito molto bene! Grazie!”

“Ne ero sicura.” E nuovamente, gli fece l’occhiolino, e non c’era cosa più strana.

Rimasero in silenzio per un momento. Ma poi John si rivolse alla donna, con tono serio, ma a bassa voce. “Mrs. Hudson, è giusto che lei sappia che non è successo niente con Sherlock.”
 
Lei annuì. “Certo, certo. Non è successo niente.”

“Sono serio!”

“Vivi e lascia vivere, questo è il mio motto! Adesso andate a tavola, vi porto dei pancakes.”

John sospirò e si voltò verso la porta per andar via, voleva finire quella conversazione il prima possibile.

*** 

Sherlock era più lento del solito. La sua mente non stava lavorando correttamente e si ritrovò tra il presente ed il passato. Odiava pensare a quel passato, perché era cambiato, era cambiato maledettamente, ma sapeva che sarebbe stato perseguitato dai ricordi di ciò che era.
 
“Sherlock, muoviti, dobbiamo andare!” Qualcuno bussò alla porta mentre stava facendo la doccia. In quel momento capì di aver trascorso troppo tempo in bagno e ricordò di dover andare a scuola. Diamine, dovrei dire a Victor di saltare scuola con me…
 
Merda.
 
John. John. John! Dovrei dirlo a John! Non a Victor, a John.
 
Aveva cercato di mantenere Victor lontano dai suoi pensieri dalla notte dell’incidente, ma la domanda di John aprì il vaso di Pandora, e non riusciva più a fare a meno di chiedersi cosa gli fosse successo.

Non che gli importasse, era solo curioso. Era sicuro di non provare più niente per quel ragazzo, e dopo l’incidente non aveva più provato niente per lui, e si era chiesto se effettivamente avesse mai provato qualcosa. Infatti giunse ad una conclusione: non aveva mai amato Victor, si era solo abituato a lui e sentiva il costante bisogno di star con lui come se fosse una droga, non era amore.

Dannazione. Amore? Davvero? Sherlock Holmes era davvero in grado di amare qualcuno? “Amare” era una parola troppo grande, e di sicuro non amava John.
 
O sì?
 
Altrimenti cosa provava per lui?

Era qualcosa di nuovo. Ne era sicuro.

***
 
Uscirono di casa più rapidamente possibile, perché il moro aveva trascorso almeno un’ora sotto la doccia e adesso erano in ritardo, ma Sherlock si bloccò quando vide la macchina di John.

Il sangue, l’ambulanza, la sua voce.

Ogni ricordo attraversò la sua mente e si sentì instabile perché era stata colpa sua e quella era la stessa macchina ed era tutto sbagliato. Rimase immobile, mentre John si preoccupava.
 
“Sherlock, stai davvero bene?”

La casa, l’ossigeno nei suoi polmoni, quella delicata voce, John.

Annuì. “Sì, sto bene. Ovvio che sto bene, andiamo!”

John sorrise, era un po’ più calmo. “Vuoi guidare?”

“NO!” Urlò Sherlock.

John sollevò le sue mani, in difesa. “D’accordo, d’accordo. Ho solo chiesto. Dio, Sherlock, calmati!”

Sherlock provò a rilassarsi. “Non so cosa intendi, sto bene. Sono calmo.” Disse con voce quasi meccanica.

John lo guardò con aria sospetta. “Okay, allora. Andiamo.”

Sherlock non accese la radio e per tutto il tragitto rimase in silenzio. E ciò terrorizzò John.

***
 
Non appena John parcheggiò e Sherlock scese dall’auto, gli occhi di tutti si puntarono immediatamente sul moro, ed erano tutti sorpresi. Sherlock realizzò il fatto in ritardo ed entrò a scuola, ignorando gli sguardi e le chiacchiere di tutti. Non era facile per John, che non solo era arrivato a scuola con Sherlock, ma indossava anche una maglia bianca che non rappresentava il suo modo abituale di vestire. Provò ad ignorare quel che dicevano le persone, ma si sentiva osservato, e si sentiva terribilmente a disagio.

Entrò a scuola, aveva le guance rosse e cercava di atteggiarsi da figo, ma la maschera cadde non appena vide qualcosa nel corridoio: Sherlock ed Irene.

***

Percepì una mano afferrare il suo braccio e trascinarlo in un angolo, e poi, dopo lo shock iniziale, si ritrovò Irene davanti, una furiosa Irene.

“Dove credi di andare, Sherlock?” Sussurrò.
 
“Che intendi?” Disse Sherlock, aggrottando le sopracciglia.

“Mentre cerco di difendere la tua reputazione, tu vai in giro con quello ed addirittura arrivi a scuola con lui! Sei fuori di testa?! Hai idea di cosa succederà alla mia reputazione? Dovresti stare con me, non con quel nerd.”

Sherlock chiuse gli occhi e parlò con calma. “Non. Chiamare. John. Stupido.”

Lei sospirò. “Sherlock, dovresti esser fidanzato con me!”

“Non ho mai voluto stare con te! Non ti ho mai chiesto di aiutarmi, sei stata tu a decidere che sarebbe stata una buona idea e sai cosa? Sono stanco. Stanco di chi prende decisioni per me, farò il cazzo che mi pare!” Disse alzando il tono della sua voce, contenendo appena la sua rabbia.

“D’accordo, come vuoi. Sai cosa? Sono stanco di aiutarti. Risolvitela da solo, la questione. Buona fortuna per il tuo coming out.” Disse furiosamente, mentre andava via.

Sherlock la guardò andar via e mentre si dirigeva verso l’aula, si ripeté: “Lasciami in pace, vai via da qui.” Sbatté le palpebre e ritornò alla realtà, non stava litigando con Victor, stava litigando con Irene.
Merda, aveva davvero bisogno di dormire. O di una pillola.

*** 

John provò a concentrarsi sulle lezioni senza pensare a tutto quello che era successo nelle ultime ore. Più che altro, era confuso. Da quando Sherlock si era svegliato, era strano, silenzioso, il suo cervello non lavorava bene e adesso era anche con Irene. Non doveva essere un genio per capirlo: Sherlock si era pentito della notte precedente e stava avendo dei ripensamenti su John e voleva sistemare le cose con Irene. Ovvio.
 
Sherlock non sapeva cosa voleva, ma apparentemente dormire con John gli aveva fatto capire che non volesse stare con John, e non sapeva come dirglielo. Ma John lo sapeva, lo sapeva.
 
Doveva solo evitare Sherlock ad ogni costo.

*** 

Sherlock aveva bisogno disperatamente di una sigaretta, quindi andò all’angolo dell’edificio, sapendo che in quell’ora Mr. Hikes avrebbe avuto lezione. Era confortante, in qualche modo…
 
Provò a bloccare i pensieri riguardo Victor, e dopo lo shock della scorsa notte a causa del sogno, riuscì a riportare il suo cervello nel presente, ed era un’ottima cosa, perché non voleva ricordare il passato, lo psicologo, le droghe, la sofferenza, la riabilitazione, l’incidente… Era troppo.
 
Trascorse il resto delle ore cercando di evitare di esser scoperto dai professori, spostandosi da un posto ad un altro. Aveva bisogno di pensare, aveva bisogno di chiarezza, e dopo un bel po’ di sigarette ed una passeggiata, ebbe le idee chiare. Realizzò che non era stato particolarmente difficile, ed aveva fatto le sue scelte tempo prima, precisamente da quel pomeriggio, seduto sul divanetto ad ascoltare Roll Over Beethoven mentre John cercava di nascondere il suo sorriso. Lo sapeva, ma non era in grado di vedere.
 
Aveva combinato un casino, l’aveva risolto ed ora tutto sembrava andare bene. Non avrebbe rovinato nuovamente tutto. Non importava nient’altro, voleva stare con John e voleva dirglielo. Finalmente l’aveva chiarito a se stesso.
 
Doveva trovare John.

***
  
John guardava ogni angolo del corridoio prima di aprire il suo armadietto, poco prima dell’ora di pranzo. Non voleva affrontare Sherlock, doveva concentrarsi sulla scuola, sulle lezioni e –
 
“Ciao, Johnny Boy.” Una voce sussurrò alle spalle di John.

John rimase immobile. Riconobbe alla perfezione quella voce, quel tono giocoso ed ironico, che odiava. Si voltò.

Jim si avvicinò. Squadrò John dalla testa ai piedi. John cercò di rimanere fermo il più possibile, il suo viso senza espressione. Jim sbuffò. “Onestamente, non capisco cosa abbia visto Sherlock in te. Non vedo fascino.”
 
John non rispose.
 
Jim iniziò a camminare attorno a John, guardandolo. “Ti ho avvisato John, te l’ho detto. Ed hai deciso di non ascoltarmi…” Disse, con tono divertito.

John chiuse gli occhi ed ancora non rispose.

“Te l’ho detto che ci sarebbero state conseguenze, o no?” Fece spallucce. “Oh beh, è stata una tua scelta, Johnny boy. Sono stanco di fare il carino con te.”

Ed in quel momento, John non poté fare a meno di sbuffare di rimando. “Il carino?”

Jim arcuò il sopracciglio, sorpreso dalla risposta. Si avvicinò e sussurrò contro l’orecchio di John. “Non hai visto l’altra parte di me, così come non hai visto quella di Sherlock…” Disse, con un sorriso.

John lo guardò confuso. “Perché, tu sì?”

“Oh, John… Io vedo tutto.” Fece l’occhiolino a John. “Ma non preoccuparti, lo vedrai anche tu, molto, molto, presto.”

John lo fissava in silenzio.

“Prendi questa piccola conversazione come un assaggio di ciò che sta per accadere. Non credere che sia finita.”
 
Si voltò ed andò via.
John sospirò e realizzò che le sue mani erano strette a pugno e le sue unghie erano quasi conficcate contro il palmo della sua mano. Era completamente teso, nonostante il timore che Jim gli aveva messo.
 
“John!” 

Merda, doveva nascondersi da Sherlock. Il corridoio era vuoto, visto che tutti erano in mensa, non ci aveva pensato. Ma adesso aveva reagito ed aveva voltato le spalle a Sherlock, rimettendo i libri dentro l’armadietto. Apparentemente Sherlock non recepì il messaggio perché stava rincorrendo John.

“John!” Disse con entusiasmo e speranza, ma John non si voltò.
 
Sherlock si accigliò, confuso. “C’è qualcosa che non va?”

John mantenne gli occhi fissi sui libri e disse con calma: “Non preoccuparti, non devi dirmi nulla. Lo so già.”

Lo sa. Sherlock trattenne il respiro. “Sai cosa?”

“Ti prego, Sherlock,” Disse guardandolo, ed era doloroso guardare il moro negli occhi. “Ti ho visto stamattina, appena sveglio. Ho visto la tua faccia. Ma va bene. Davvero. Non c’è altro da dire.”

Sherlock rimase in silenzio per un attimo. John chiuse l’armadietto e si voltò per andar via, ma Sherlock lo afferrò per il braccio.
 
John sospirò. “Che c’è?”

“Di cosa stai parlando?”

John guardò Sherlock con serietà, cercando di non mostrare la sua amarezza. “Hai deciso di non voler stare con me. L’hai capito la scorsa notte e non sai come dirmelo, e ciò che volevi davvero era sistemare le cose con Irene. Vi ho visti parlare, e lo capisco. Abbiamo detto mille volte che tra di noi non avrebbe funzionato e va bene così. Ho capito male?” 

Sherlock rise. John si sentì confuso. “Che ridi?” Disse, arrabbiato.

Sherlock si placò e guardò John. “John, non hai capito niente!”

John si sentì ancora più confuso. “Cosa?”

“Non stavo tornando con Irene…” Si avvicinò a John e John guardò con tentazione le labbra di Sherlock. “La stavo lasciando!”
 
“Tu…” All’improvviso John realizzò. “… Oh.”

“Sì.” Disse Sherlock divertito.

“Quindi voi due…”

“No.” Scosse il capo.

“E tu…”

“Sì. Tu.”

John non riuscì a nascondere l’enorme sorriso che affiorò sulle sue labbra. Ovvio che avesse capito male! Ovvio.
 
Sherlock fissò John, abbozzando un sorriso. Dopodiché si guardò intorno: “Ho un’idea…”

“Sì?”

Sherlock prese John per mano e sussurrò al suo orecchio: “Corri! Adesso!”
 
John iniziò a correre, ma Sherlock era più alto e riusciva correre più veloce e non appena percepì i polmoni balzare fuori dal suo corpo, si fermarono… Di fronte la macchina di John. John si guardò intorno nervoso. Scosse il capo. “No… No…”
 
“Oh, andiamo… Sarà divertente!” Disse Sherlock affannato.
 
“E’… Pericoloso!”

“E allora?”

John lo fissò e dovette ammettere che era tentato dall’idea.
“Te l’ho detto… Mille volte… John! E’ tempo di vivere!”

John considerò la sua idea, ed in un momento di pazzia probabilmente, prese le chiavi dell’auto dalla sua tasca ed aprì le portiere. Sherlock sorrise. John stava per sedersi al posto del conducente, quando il moro lo bloccò. “Per favore. Posso? Solo per questa volta.”

John annuì. Sherlock era terrorizzato, ma doveva affrontare le sue paure. Era l’unico modo per lasciarsi il passato alle spalle.

“Posso accendere la radio?”

“Certo. Certo che puoi.” Disse John sorridendo.

Lasciarono che la musica coprì il silenzio, ma poi John ruppe quel momento e chiese: “Dove stiamo andando?”

“Non risponderò alla tua domanda!”

“Mi hai rapito?”

Sherlock rise. “Se avessi voluto rapirti, l’avrei fatto molto tempo fa, John.”

John rise insieme a lui.

***

Arrivarono in un posto in mezzo al nulla. Era la cima di una montagna e ci volle un’ora per arrivare, ma John non aveva idea di dove fossero. “Andiamo, siamo arrivati.”

“Qui?” Chiese John, confuso.
 
“Sì.”
 
“Sherlock, adesso credo davvero che tu possa rapirmi, ad essere onesto.”

Sherlock rise. “Non esser stupido, John. Se avessi voluto rapirti, non ti avrei portato qui. Probabilmente ti avrei portato in uno scantinato. Mi sembra un posto più consono per nascondere una persona.”

“Devo aver paura?”

“Forse.”
 
John sorrise. “Dove siamo, comunque?”

“A Dewer’s Hollow.”

John guardò Sherlock. “Dewer’s Hollow?”

“Il mio posto preferito al mondo. Venivo qui quand'ero piccolo, davvero, davvero piccolo, quando scappavo dai miei genitori ed un giorno ho smesso di venire qui. Non so perché…”

“E’ bellissimo. Davvero.”

“Grazie. Mi piace la vista.” Sherlock sorrise.

John si voltò, ed in effetti la vista era incredibile. Era senza parole, poteva vedere l’intera città da lì, il sole stava per tramontare, creando un paesaggio fantastico. “Wow.”

“Lo so.” Sherlock annuì, dirigendosi verso la macchina per aumentare il volume della radio. Dopodiché prese la mano di John. “Dai, sediamoci qui.”

Guardarono insieme il panorama. John poggiò la sua testa sulla spalla di Sherlock, e rimasero in silenzio. Poi una canzone: Come Go With Me.
 
Sherlock iniziò a cantare, avvicinandosi all’orecchio di John cosicché potesse ascoltare. Amami, amami tesoro, vieni via con me… (Love, love me darling, come and go with me...)

Ed in quel momento, quelle parole, fecero capire a John che fosse completamente perso di lui. Forse lo sapeva già, ma non l’aveva ammesso a se stesso. Amava Sherlock. Non sapeva quand’era accaduto o come, non sapeva neanche cosa si provava ad amare qualcuno, sapeva solo di provare quel sentimento come se l’avesse già provato altre mille volte prima. Ed eccolo lì, quel pazzo, incredibile ragazzo che sembrava fuori dalla sua portata, così diverso da lui, e lo stava stringendo, stava cantando con lui, e John lo amava. Ho bisogno di te, tesoro, quindi vieni via con me…
 
John aveva da sempre vissuto una vita che non sentiva sua. Aveva sempre vissuto per compiacere le aspettative degli altri, per rendere gli altri felici, ma non aveva mai pensato a se stesso. Se fosse felice. E realizzò che non lo fosse. Beh, almeno fin quando non incontrò Sherlock. Da quell’incontro, tutto era cambiato in maniera drastica. Era diverso. Era John Watson quando era con Sherlock. Non era il ragazzo a cui interessavano i voti a scuola, ma un ragazzo assetato d’amore, di vita, un ragazzo che voleva uscire dalla gabbia. Ti prego, dimmi che non mi lascerai mai…

Ed era quello il motivo per cui trovava Sherlock così seducente, perché lui era tutto ciò che John non era. E John lo vedeva come una sfida, un mistero, come il ragazzo più incredibile che avesse mai conosciuto. Che gliene fregava di quel che diceva la gente? Avrebbe amato Sherlock Holmes a tutti i costi, e poteva sembrare assurdo. Ma in qualche modo aveva senso. Funzionava. Dimmelo, dimmi che non ci separeremo mai, ho bisogno di te, quindi vieni via con me…

Sherlock guardò John con curiosità, avvertendo un momento di panico, pensando che John potesse alzarsi ed andar via in qualunque momento e rompere quell’incantesimo tra di loro. Sentì il bisogno di parlare. “John, io-“

Quello che sentì dopo fu la punta delle dita di John sulle sue labbra, un tocco delicato, che gli causò diversi brividi lungo la schiena. Il moro socchiuse gli occhi. “No. Zitto, per una volta.” Disse John, ma non sorrideva, i suoi occhi fissavano le sue labbra, le labbra perfette di Sherlock.

Sherlock rimase in silenzio, guardando John a bocca quasi aperta. In quel momento il moro realizzò che tutto ciò che aveva bisogno per rimanere ancorato al presente era John. E Sherlock non sapeva se fosse stupido o debole, ma importava davvero? No. Tutto quel che importava era John, John, John.

John, che lo fissava.
 
John, la sua luce.
 
John, colui che lo faceva ragionare.

Sherlock sorrise, e John pensò che fosse fantastico, pazzo, brillante. Il suo brillante teppistello. Lasciati andare, Watson, lasciati andare.
 
E lo fece. Ciò che sentì dopo, furono le labbra di Sherlock sulle sue, si stavano baciando e John non riusciva a pensare, non riusciva a reagire, tutti i pensieri della sua mente si ridussero ad una sola parola: Sherlock, Sherlock, Sherlock. Amava Sherlock Holmes ed era tutto quello che gli importava.
Era il primo bacio di John, avrebbe dovuto sentirsi strano, imbarazzato, deluso. Ma in qualche modo, fu perfetto. Erano solo lui e Sherlock e si sentì completamente a suo agio. E non importava se non era un buon baciatore. Ciò che importava era che stesse baciando Sherlock Holmes! Com’era successo?

Sherlock prese il viso di John tra le mani, rifiutandosi di lasciarlo andare. Il bacio era caldo, dolce, e si sentiva bene, come se tutti i pezzi del suo cuore fossero tornati al loro posto.
Come se John avesse trovato ciò che stava cercando. Era ridicolo. Più che ridicolo. Non avrebbe mai funzionato. Ma non voleva pensarci, perché lì, in quel momento, erano insieme.

Quando interruppero il bacio, Sherlock poggiò la sua fronte contro quella di John. Entrambi sospirarono. “Non hai idea di quanto volessi farlo, John.”

“E tu non hai idea di quanto io lo volessi, Sherlock.” Disse John sorridendo. Dopodiché John poggiò nuovamente la fronte sulla spalla di Sherlock. John sentì la musica in sottofondo e pensò che non aveva mai amato così tanto Mozart o Beethoven e nemmeno Bach tanto quanto stesse amando quella canzone in quel momento.

***

NOTE: AHHHHHHHHHHHHHHH! CE L'HO FATTA E CE L'HANNO FATTA. FINALMENTE SI SONO BACIATI! Sono felice di aver tradotto il capitolo prima della mia partenza, così non dovete aspettare mille anni. Cosa ne pensate di questo capitolo?! Su, su! Fatemi sapere. Grazie a tutte/i ed un bacio! :*



 

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