flowers started growing

di darkrin
(/viewuser.php?uid=16041)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. intermezzo ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Note: 
- Breve storia triste di questa storia: l'avevo iniziata tutta contenta un giorno che ero a lezione e mi annoiavo un sacco.Avevo deciso di sistemarla e pubblicarla il giorno del compleanno di Peggy come regalo e sono andata a cercarla per finirla e la storia non c'era più. Era sparita, scomparsa, puff. Ho pianto un sacco con kuma_cla e l'ho ricominciata salvo poi ritrovare la versione originale due giorni fa dopo che avevo già riscritto questa e nclpf mai. 
- Comunque: sarà una raccolta di Persefone!Adam/Ade!Ronan aggiornata random e a caso.
- Anche se in ritardo, questo primo capitolo è tutto per Peggy. BUON COMPLEANNO. o/
- NO BETA quindi al solito segnalatemi ogni cosa, anche che puzzo, se serve. 

flowers started growing
 
 
 
«And I shall be useful when I lie down finally:
The the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.»
(I am vertical, Sylvia Plath)
 
 
 
Sua madre solleva appena il volto per guardarlo con tristezza, quando Adam si chiude la porta alle spalle. Non la sbatte perché sa che sarebbe peggio, che rafforzerebbe solo l’ira del padre, il suo desiderio di tenerlo chiuso in casa, di non farlo uscire, di non –
La donna è una ninfa ed è sempre stata ammirata e schiacciata dal potere di Robert. Non è da tutti attrarre lo sguardo di un dio, non è da tutti incantare il dio delle messi e della terra produttrice, figlio di Crono e Rea, al punto da esserne presa come sua consorte.
Robert è, secondo la moglie, un dio severo, ma giusto: abituato a spaccare la terra per far crescere i suoi frutti, a sradicare le erbacce per far spuntare i verdi boccioli che ricoprono i campi; ad arare il suolo per potervi deporre i semi migliori. Non è cattivo, Adam pensa, non può essere cattivo un uomo che gioisce tanto dell’operosità degli uomini, è solo che non ha capito che Adam è fatto di carne, seppur divina, e non della stessa sostanza della terra che Robert apre con le dita. È solo convinto che Adam sia un’altra delle sue spighe di grano e che quello – il sangue che gli bagna le labbra e le urla che gli fanno vibrare i timpani perché si parla con le piante, per farle crescere – sia l’unico modo per farlo fiorire forte e rigoglioso.
 
***
 
Ci sono pochi luoghi, su quella terra verde e rigogliosa, non toccati dal potere di suo padre che si espande, ricco e fertile, appena sotto la sottile coltre terrestre lungo invisibili linee di energia.
Adam ne ha scoperto uno quasi per caso: ci è inciampato, un giorno, mentre fuggiva dall’ira del padre e dalla sua voce che lo richiamava ordinandogli di stare in casa, di non fare un altro passo, di non osare. Vi è giunto guidato dal silenzio che avvolge quel bosco in cui ninfe e satiri non osano mettere piede.
Cabeswater, lo chiamano sussurrando in una lingua che Adam non conosce e che fa scorrere brividi lungo i profili degli alberi quando viene pronunciata ad alta voce. Cabeswater, dicono, è un luogo vecchio  ed animato da un potere che non appartiene a quella terra. Antiche divinità, dicono, creature bandite dalla terra e sepolte sotto strati di polvere allungano le loro dita scheletriche in quel bosco per rimanere ancorate alla nostra, bella, terra. È un luogo pericoloso, mormorano, in cui ogni cosa può accadere e Adam non ne dubita, non può farlo, non davanti ai pesci rossi che nuotano nelle scure pozze d’acqua o a fiori sconosciuti che fioriscono e muoiono davanti ai suoi occhi – e fioriscono e muoiono nel tempo di un pensiero, di un: vorrei che sbocciasse di nuovo. Non davanti all’energia che scorre descrivendo curve sinuose nelle fondamenta stesse della pietra su cui è sorta quella foresta e che è così diversa da quella di suo padre.
Non riconosce il potere che sente nella corteccia degli alberi che circondano il sentiero come antiche sentinelle e, in quel non riconoscimento, il respiro gli riempie di nuovo i polmoni.
È un luogo antico e cangiante, che sembra fatto della stessa sostanza di certi sogni, ma è l’unico luogo in cui Robert non possa toccarlo e Adam non si è mai sentito così al sicuro.
A volte pensa che vorrebbe potervi rimanere per sempre, vorrebbe non tornare mai più indietro.
A volte lo pensa così forte che gli viene mal di testa, che gli sembra di sentire le fronde degli alberi rispondergli, promettergli di accoglierlo fra di loro, di -
 
***
 
Non se ne accorge subito: il passaggio è così rapido e lui era così catturato dai suoi pensieri: dai suoi piani per fuggire dalla sua vita, dal suo disprezzo per le proposte di Gansey che dall’alto del suo Olimpo gli tende una mano misericordiosa e gli promette alloggio e salvezza. Gli promette di essere al sicuro da Robert e di nuovo dipendente da qualcuno.
I suoi occhi hanno bisogno di tempo per abituarsi all’oscurità che, improvvisa come una coperta calata sul mondo, lo avvolge non appena smette di pensare le ultime lettere di: -ndarmene.
L’aria di quel luogo è opaca e irreale come quella di un sogno e sembra pece quando gli entra in bocca e gli riempie i polmoni.
L’erba sotto i suoi piedi è scura e piena di minuscole lucine, simili a lucciole, ma prive di corpo, che lampeggiano là dove, sulla superficie, ci sarebbero fiori. Sullo sfondo intravede gli spigoli di un palazzo dal profilo tagliente come i denti di uno squalo che si erge in mezzo all’aria brumosa di quel luogo.
- E tu chi sei? –
Adam si volta rapidamente verso la voce alle sue spalle. Di fronte a lui si staglia una ragazzina con i capelli neri e spettinati, un abito verde stracciato in più punti e la fronte corrugata in un’espressione seccata e sorpresa.
Il ragazzo si chiede, distrattamente, come faccia a indossare così nettamente entrambe le emozioni sul volto.
- Non sei di qui – continua lei, senza permettergli di rispondere.
Adam comincia a sospettare di aver compreso dove si trova – ha sentito leggende su quel luogo: sulla notte che sempre lo avvolge e sui sogni che solcano i suoi cieli insieme agli spiriti dei morti – e un brivido gli scorre lungo la schiena.
La ragazza sembra notarlo perché inclina il capo di lato, abbozza un sorriso comprensivo agli angoli della bocca. Prima che lei possa parlare di nuovo, il grido di un corvo, impellente e deciso, squarcia il silenzio di quel luogo.
La ragazza solleva lo sguardo sull’uccello che vola sopra le loro teste. Guardandolo, gonfia le guance ed esala uno sbuffo pieno di quel fastidio che deriva da un affetto lungo di secoli.
- Sembra che tu sia stato convocato – afferma, scuotendo il capo per tutte quella inutile e pomposa burocrazia. – Sono Blue – si presenta. – E tu devi venire con me. –
Mentre si incamminano, ad Adam sembra di udirla borbottare un sentito: stupide divinità maggiori.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. intermezzo ***


Note: 
1. 
per quanto riguarda gli epiteti usati: 
  • A età preistorica risale l’attributo di padre universale espresso nella formula epica «padre degli uomini e degli dei», come pure la signoria sugli aspetti del ciclo meteorico («adunator di nembi e di tempeste»; inoltre ῎Ομβριος «Z. della pioggia», Κεραύνιος «Z. del fulmine» ecc.) e insieme sulla quercia (Ζ. Φηγωναῖος «Z. della quercia» a Dodona ecc.), associazione che si riscontra in altre divinità celesti indoeuropee (➔ Perun). secondo la Treccani
  • "dalle bianche braccia" è uno degli epiteti di Era secondo wikia 
  • Sempre secondo la treccani Dioniso è: "considerato l’inventore della vite, del melo, del vino, della birra; gli si attribuiva, inoltre, la crescita e il rinnovarsi della vita dei fiori e degli alberi."
2. per quanto riguarda i personaggi che compaiono in questo capitolo: 
  • Zeus!Gansey, Ecate!Blue, Cerbero!NightTerror, Parche!Maura,Calla&Persephone, Era!Helen, Dioniso!Declan, Arianna!Ashley
  • ci tengo a precisare che HO PROVATO a non inserire la Helen/Declan, CI HO PROVATO.
 
3. altro: 
  • secondo wikia l'oxygala faceva parte degli alimenti consumati nell'antica grecia; si pensa che essa avesse la forma di uno yogurt ed era di solito mangiata con il miele.
  • NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi cosa/svista/strafalcione. 
 



È difficile seguire lo scorrere del tempo in quel luogo che sembra fatto della stessa sostanza di un sogno. È come stare nascosti nel cuore di una quercia e sapere che i giorni passano, ma non sentirne il peso oltre lo spesso tronco che l’avvolge. Blue si chiede, distrattamente, quale tra gli alberi di quel giardino sotterraneo in cui si trova, seduta su una grossa pietra, alberghi quel che resta di suo padre. È un pensiero passeggero e distratto come l’affetto che un tempo ha provato per quell’uomo spaventato dalla magia che si è nascosto in una quercia pur di sfuggire al destino narratogli dalle Parche.
A volte Blue ha l’impressione che si conoscano da secoli, lei e quel dio adunator di nembi e di tempeste che regna nell’alto dei cieli. Quel dio a cui tutti guardano e che tutti ammirano. Quel dio che è emerso dalle ombre del passaggio, a cui un Incubo Notturno fa la guardia con i suoi tre becchi e i suoi artigli, e ora è in piedi davanti a lei, tra i fiori impossibili che solo in quel luogo possono fiorire.
- Ecate. –
Il padre degli uomini e degli dei la saluta con quel nome che solo lui ancora usa e Blue non riesce a trattenere una smorfia e un verso che non è lecito neanche tra le ombre più oscure dell’Averno.
- Gansey – risponde, leccando distrattamente le ultime tracce di oxygala e miele dalle dita. – Cosa ti porta qui? -
Lo sa. Lo sanno entrambi del ragazzo che è arrivato, trasportato dalle radici di Cabeswater, di quel malcelato segreto che Ronan vuole nascondere tra le ombre e le pietre del suo palazzo, tra le scritte in una lingua non ancora nata che dominano le porte del suo regno e i fantasmi che riempiono le strade del suo sogno.
Gansey inarca un sopracciglio, piega le labbra in un sorriso che Blue non dubita sia in grado di scatenare fulmini e smuovere interi continenti in superficie, ma che non può nulla in quel mondo.
- Adam – cede, infine, con un sospiro. – Robert è venuto a cercarmi. Adam è scomparso e non ci sono sue tracce sulla terra. Speravo di trovarlo qui.  –
Blue annuisce. Sente lo spostamento d’aria di Chainsaw che vola da qualche parte sopra le loro teste e non dubita che anche Gansey sappia che sono osservati.
- Ho sentito – risponde. - È stata una vera tragedia – conclude con un’espressione contrita sul volto.
Gansey deve mordersi la lingua per trattenere il sorriso che gli solleva comunque un angolo della bocca: sanno entrambi che sta mentendo, sanno entrambi che non sa farlo.
- Non è qui – afferma. – Ma ti faremo sapere se avremo sue notizie  – conclude la ragazza.
Le parole hanno il sapore di un congedo quando le lasciano le labbra, quando volano nell’aria che li separa e gli si attorcigliano contro le orecchie.
Parole.
A volte a Blue sembra che non esista altro oltre alle parole che le Parche le hanno mormorato mentre camminava nell’ombra di quel luogo; a volte le sembra che non esistano gli anni, i giorni, i secoli in cui lui è lontano da quel giardino, che tutto si limiti a quei momenti in cui Gansey è in piedi di fronte a lei e i fiori dell’Averno sbocciano lasciando ai loro piedi luci che sembrano quelle di una città nella notte.
- Blue – mormora e solleva un braccio come per toccarla, come per superare quella distanza di corteccia che li separa, come per –
Ma le parole delle Parche - la mano di Calla sulla spalla, il sorriso di Maura e lo sguardo vacuo di Persephone.
Gansey abbassa il braccio, serra la mano a pugno lungo il fianco; le labbra gli si sollevano in un abbozzo di sorriso.
- Non posso chiedere di più – mormora ed è di nuovo il giusto padre di tutti gli dei, il sovrano che conosce i limiti dei suoi sudditi e non chiede mai più di quello che possano dare.
Non c’è più alcuna traccia di debolezza nella sua voce, alcun desiderio nelle sue dita. C’è sulle sue labbra solo un sorriso, leggero come i nembi che nascondono l’Olimpo, quando si volta per andarsene.
A volte a Blue sembra che non esistano neanche quei momenti.
 
***
 
- C’è una cosa che non capisco. –
La voce leggera di Helen è la prima cosa che lo accoglie quando i suoi piedi varcano la soglia limpida dell’Olimpo. La donna è distesa su una poltrona reclinata, indossa un abito chiaro che le lascia scoperte le caviglie, adornate da eleganti sandali, e le braccia bianche. Accanto a lei, su un basso tavolino a tre gambe, c’è una ciotola d’uva – unico segno che lui sia passato a trovarla - da cui Helen stacca distrattamente un chicco. Lo poggia contro le labbra prima di sollevare il capo e guardare il fratello con un’espressione pensosa sul volto.
- È per lei o per lui che cogli ogni scusa per recarti nell’Averno? – domanda.
Un sorriso sottile come il tronco di certe viti le si fa strada sulle labbra rosse come l’uva che stringe tra le dita, come il vino che Declan fa sgorgare dalla terra e per cui le sue menadi, bionde e leggere, danzano, come le dita della donna – Ashley – che Declan ha trovato su un’isola e che da allora lo accompagna dovunque vada tranne che sull’Olimpo, quando il dio del vino e del melo viene a portare offerte all’unica regina che non potrà mai avere.
- O è per entrambi? Fratellino sono quasi ammirata – continua, con le labbra socchiuse in un sorriso che sa di uva e della stessa terra su cui Helen non ha mai messo piede, accontentandosi di guardare dall’alto dell’Olimpo gli uomini che la abitano e le vite che vi trascorrono.
Gansey sente la nuca pizzicargli per il desiderio di voltarsi, lasciare quel luogo, tornare indietro.
- È per Adam – risponde.
La risata tintinnante di Helen lo segue anche quando Gansey lascia la stanza. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3584133