Ercole - Storia di una leggenda

di Justice Gundam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** In fuga da Tebe ***
Capitolo 3: *** Così passano vent'anni ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Ercole - Storia di una leggenda

Note dell'autore: Eccomi qui, con un nuovo progetto che per molto tempo è rimasto in fase di sviluppo... e che ora ho deciso di mettere finalmente nero su bianco! Una storia epica ispirata a colui che forse è l'eroe mitologico più conosciuto di tutti - Ercole.

Come mai, vi chiederete voi, questa idea decisamente originale, e magari anche un po' fuori di testa? Beh... diciamo che ho sempre avuto una grande passione per i film peplum, i vecchi film di carattere storico e mitologico che andavano tanto negli anni Sessanta e Settanta... e così, dopo averne visto così tanti che ormai ne ho perso il conto, ho deciso di scrivere una storia che fosse una sorta di tributo a queste piccole perle del passato, film che si guardavano per passare qualche momento di spensieratezza e... perchè no, le ragazze magari li seguivano per rifarsi gli occhi con il fisico degli attori che recitavano in toga o a torso nudo!

Diciamo subito che mi prenderò parecchie libertà con la mitologia greca. Questa storia non vuole essere un trattato sulla mitologia, nè uno sfoggio di conoscenza, ma soltanto una storia avventurosa che mira a darvi un po' di emozioni! Quindi... non stupitevi se vedrete diversi elementi che non corrispondono a ciò che è avvenuto nel mito come lo conosciamo noi.

Dedico questa storia a tutti i miei amici, in particolare a f9v5, David Burger, Dark Legend Trainer, Seto Konowa, Farkas, Pikachu4Ever, ChibiRoby... e tutti gli altri! E una dedica la faccio anche agli attori che nel corso della storia dei peplum hanno interpretato, tutti con bravura, il noto personaggio della mitologia greca: Steve Reeves, Rock Stevens, Reg Park, Mark Forrest, Kirk Morris, Lou Ferrigno... e tutti gli altri che non posso elencare per mancanza di tempo e spazio!

A tutti i lettori, buon divertimento!  


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Introduzione

 

Lo Spazio che non è contenuto, ma che contiene tutto, è la personificazione primaria della semplice Unità. L'ignoto contenitore di Tutto, la causa prima sconosciuta.

Anticamente, nulla esisteva se non il Caos. Un vuoto senza forma, infinito, freddo, buio abisso, dove ogni cosa precipita senza fine e in ogni direzione, senza alcun possibile orientamento.

Dal Caos emersero i Protogenoi, le Divinità Primigenie: Gea, Dea della Terra;  Tartaro, un abisso sprofondato sotto la Terra; Nyx, Dea della Notte; Erebo, Dio del Buio; Etere, lo strato più alto e luminoso dell'atmosfera; ed Emèra, Dea del Giorno.

Gea generò un essere simile a lei, che la potesse avvolgere interamente - Urano, Dio del Cielo Stellato, che modellò l'universo come lo conosciamo. Da essi nacquero i primi esseri viventi - gli dei e i titani, coloro che avrebbero lottato per il predominio sull'universo.

Furono secoli di conflitto e di violenza, che proseguirono interminabili, finchè uno degli dei, il più forte, il più determinato, non prevalse. Zeus, figlio dei titani Crono e Rea, riuscì a sconfiggere i titani e a ricacciarli nel Tartaro.

I secoli a venire videro la nascita degli esseri umani. Creature piene di ingegno e di risorse nonostante la loro debolezza, essi riuscirono ad imporsi sugli animali e sulle bestie che popolavano il mondo, e divennero ben presto la razza dominante sulla Terra. Zeus e gli altri dei osservavano il progresso degli uomini, affascinati e al tempo stesso preoccupati. Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che gli uomini, orgogliosi del loro potere, decidessero di seguire le orme dei titani e di soppiantare gli dei?

Questa preoccupazione si trasformò in autentico timore quando il titano Prometeo rubò il fuoco agli dei, consegnandolo agli uomini. Zeus punì Prometeo, e fece dono agli uomini del Vaso di Pandora, una magica giara in cui erano contenute tutte le essenze negative nel cosmo...

Il Vaso di Pandora venne infranto, infliggendo ogni sorta di male al genere umano... ma un'essenza, diversa dalle altre, si sparse a sua volta. La Speranza, ciò che permetteva agli uomini di continuare a lottare e credere in un futuro migliore; oppure ciò che li ingannava ed impediva loro di abbreviare le loro sofferenze.

L'era a venire sarebbe stata sempre più oscura...

Ma gli dei non avevano intenzione di abbandonare le loro creature a loro stesse...

 

**********

 

Il Monte Olimpo, la più alta montagna di tutta l'Ellade, il luogo dove gli dei avevano stabilito la loro dimora. Sulla cima di quella montagna, nascosti agli occhi dei mortali da banchi di nuvole che non si diradavano mai, sorgevano gli aurei palazzi degli dei, i seggi da cui essi decidevano le sorti e i destini degli uomini

In quel giorno che avrebbe probabilmente cambiato il corso della storia, gli dei erano quasi tutti riuniti nella saga del congresso, un ampio salone di marmo bianco,  riccamente decorato con oro, argento, colonne in stile arcaico, e grandi finestre da cui entrava la luce del Sole, creando degli spettacolari effetti di colore. I seggi erano disposti in un ampio semicerchio attorno alla postazione da dove Zeus faceva i suoi discorsi... un elevato palco di marmo che permetteva di tenere sott'occhio l'intero uditorio. La sala era alta ed imponente, sovrastata da un'immagine traslucida della Terra che, fluttuando sopra gli scranni, ruotava lentamente su sè stessa, imitando il movimento vero e proprio del pianeta. Strane piante dalle ampie foglie decoravano ulteriormente la grande sala, nella quale tutti i partecipanti avevano già preso posto L'unico ad essere assente era Ade, il dio dell'oltretomba, che mai saliva sull'Olimpo.

Seduti sui cuscini di raso che rendevano ancora più comodi i gradoni del sinedrio, gli dei attendevano in rispettoso silenzio che il loro sovrano cominciasse la sua arringa... e dopo qualche minuto di attesa, Zeus prese il suo posto al centro del sinedrio, alzando solennemente lo sguardo verso le tribune. Immediatamente, quelle poche voci che ancora si sentivano nella sala si smorzarono fino a zittirsi del tutto. Soddisfatto, Zeus annuì tra sè e fece silenzio per qualche istante.

"Fratelli miei." disse il Signore dei Nembi con la sua voce possente. Nonostante i lunghi capelli bianchi, con i baffi e la barba dello stesso colore, potessero dare l'impressione di una persona anziana, Zeus aveva il fisico di un culturista, con possenti bicipiti, il torace ampio a malapena nascosto dall'immacolata toga bianco-azzurrina che indossava, e un paio di gambe sode e robuste, calzate di un paio di sandali dorati. Appeso alla sua schiena c'era il suo scudo, Aegis, e sulla fronte portava un cerchio dorato nel quale erano incastonate sette gemme azzurrine e luminose a forma di fulmine - le Sette Folgori, il simbolo del potere di Zeus sui cieli e su tutti gli dei.

"Il Vaso di Pandora si è infranto." continuò Zeus. "E le forze del Male imperversano sul mondo."

"E' come avevi auspicato tu, Zeus." rispose la moglie di Zeus, Hera, da uno dei seggi più vicini. La regina degli dei aveva l'aspetto di una donna di mezza età, ma ancora florida, bella ed attraente, con lunghi capelli neri ondulati, e gli occhi verdi e dall'espressione forte e decisa, con addosso una tunica bianca scintillante e un paio di calzari argentati. In una mano, teneva un ventaglio di piume di pavone, con la quale si faceva lentamente aria, con espressione arguta e arrogante. "Sei stato tu a fare dono agli uomini dei mali del Vaso, affinchè non potessero rendersi pari a noi."

Zeus restò in silenzio per un po', prima di dare la sua risposta. "Comincio a credere che sia stata la scelta sbagliata, moglie mia." rispose, suscitando qualche mormorio di stupore tra le altre divinità. Era raro che Zeus ammettesse un errore... "Ho agito lasciandomi guidare dalla paura, e non ho pensato alle conseguenze del mio gesto. Ma adesso, mi rendo conto che il mondo degli uomini si troverà ben presto di fronte ad un bivio. La loro scelta potrà portarli verso la salvezza... o verso la distruzione."

"E' giusto che i mortali vengano messi alla prova, Zeus." continuò Hera. "Essi devono dimostrarsi degni dei doni che noi dei gli abbiamo fatto. E devono scontare la trasgressione di Prometeo, che ha voluto disobbedire alle nostre leggi."

"Sì, Hera ha ragione. E' giusto che i mortali se la cavino da soli." affermò Ares, il dio della guerra, un energumeno alto e muscoloso in tunica ed armatura di bronzo, armato di una lunga lancia e di uno scudo ovale.

Ma qualcuno decise che era il caso di far sentire un'opinione contraria... ed Atena, dea della saggezza nonchè sorella di Ares, fu la divinità che parlò in proposito. "Ma le forze del male sono così potenti ed oscure... e potrebbe essere che l'equilibrio non sia stato stabilito." affermò la dea dagli occhi lucenti. Alta, statuaria ed algida al tempo stesso, Atena indossava un'armatura bronzea che la rendeva ancora più impressionante, e i suoi lunghi capelli castani incorniciavano un viso pulito e forte al tempo stesso. Sulla testa, indossava un elmo dorato con il pennacchio rosso, e accanto a lei era appoggiata una civetta che osservava con espressione acuta l'uditorio...

Si sentì lo stridio di un'aquila, e un maestoso rapace dalle piume nere volò nella sala, appoggiandosi sul braccio che Zeus le stava porgendo. Tenendo con sè l'aquila come se fosse un innocuo piccione, il re degli dei si sfregò il mento barbuto con la mano libera, riflettendo su ciò che aveva sentito. Hera ed Ares avevano la loro parte di ragione, ma Zeus aveva comunque l'impressione che ci fosse bisogno di un modo per riequilibrare le sorti del pianeta. Nonostante le loro mancanze e la loro Hybris, gli esseri umani erano le forme di vita più ammirevoli che lui avesse mai visto in tanti secoli, e Zeus era convinto che fosse indispensabile concedere loro una giusta chance.

"Vogliamo ancora concedere altro ai mortali? Non li stiamo coccolando un po' troppo?" esclamò Poseidone, il dio dei mari e il più anziano di tutti gli dei olimpi.

Efesto, il dio della fucina, si pronunciò a favore di Atena... se non altro per far indispettire Ares, che lui odiava cordialmente. "In realtà, io penso che Atena abbia ragione." rispose il dio zoppo e dal volto grottesco, vestito di una giubba di cuoio rattoppato e con una incolta barba nera su mento. "Che cosa ci costa, dopo tutto? Io dico, diamo agli umani la possibilità di dare prova di sè. Non ci perdiamo niente."

"E poi, sarebbe interessante vedere come faranno." intervenne il messaggero Hermes dai sandali alati. "Sì, anch'io sono d'accordo con Atena. Concediamo ancora un piccolo aiuto ai mortali."

Zeus annuì in direzione degli dei che avevano parlato, poi restò ancora un po' in silenzio ad ascoltare quello che gli altri avevano da dire. Le opinioni, tra le varie divinità, erano alquanto discordanti, e passò un po' di tempo prima che il re degli dei potesse farsi un quadro completo delle opinioni dei suoi fratelli... ma alla fine, dopo un po' di animate discussioni, Zeus battè con forza una mano sulla superficie del palco, in modo da far terminare il chiacchiericcio.

"Ho ascoltato i vostri pareri. Mi sembra che sia evidente." affermò Zeus. "La maggior parte di voi pensa che sia giusto che ai mortali venga concesso un aiuto, in modo da bilanciare le forze positive e quelle negative. Ma resta il problema di come fare. Qualcuno di voi... ha qualche suggerimento su come posso fare, in modo che le forze del Bene e quelle del Male si equivalgano?" Atena alzò una mano con decisione, e Zeus si voltò verso la sua figlia prediletta. "Che cosa mi proponi, Atena, figlia mia?"

"La mia idea è questa, padre mio." rispose Atena. "Se non vuoi concedere più potere a tutti gli uomini... allora perchè non concedere il potere ad uno soltanto di loro? In modo che egli possa combattere a nome di tutti gli altri?"

Zeus annuì lentamente, riflettendo sulla proposta di Atena. Anche gli dei che si erano pronunciati a sfavore degli uomini sembravano non avere nulla da dire su questa idea.

"Interessante..." disse Zeus, quasi sussurrando. "Già... questa potrebbe essere una buona idea. Un uomo che sia più forte e più coraggioso di tutti gli altri esseri mortali... un eroe."

Zeus alzò una mano, e una sfera di luce si formò nel suo palmo, brillando come un sole bianco in miniatura mentre fluttuava verso il soffitto del sinedrio. "Il suo corpo sarà forgiato nelle fornaci di mille soli... un corpo in grado di sopportare ogni sforzo... ogni fatica... un essere creato dalla più nobile di tutte le energie... la luce!" esclamò.

Il globo di luce, come se avesse capito le parole di Zeus, cominciò a muoversi rapidamente attorno alla sala, svolazzando come una sorta di lucciola impazzita vicino ai seggi delle divinità, che si ritirarono lievemente in una sorta di timore reverenziale... tranne Hera, che gettò alla sfera di luce uno sguardo che esprimeva antipatia e sospetto.

La sfera di luce si sollevò, passando attraverso l'alto e splendido soffitto della sala dei congressi, e sfrecciò verso i cieli più alti, passandoli e raggiungendo il luogo oltre di essi in cui nessun mortale era mai asceso...

"Luce." Zeus ordinò. "Scendi sulla Terra, come se tu stessa fossi vita, ed infondi le tue energie nel corpo di un neonato."

La sfera di luce obbedì, scendendo a tutta velocità verso il mondo dei mortali, e raggiungendo il luogo che all'epoca era conosciuto come Ellade.

Là, nella città di Tebe, sarebbe nato il bambino che sarebbe stato conosciuto come il più grande degli eroi che mai abbiano calcato la terra...

Un grande destino lo attendeva...

 

oooooooooo

 

CONTINUA...           

 

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Capitolo 2
*** In fuga da Tebe ***


Ercole - Nascita della grande leggenda

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Capitolo 1 - In fuga da Tebe

Tebe, l'Età del Bronzo. Tremila anni prima di Cristo. Una grande città, considerata un baluardo della civiltà, dalle grandi mura e dalle case sfarzose e ricche. Considerata un ancora di salvezza, un'isola sicura in un mondo ostile e pericoloso, Tebe era conosciuta anche come una grande potenza militare, seconda solo alla famigerata Sparta, e sotto il governo illuminato del re Anfitrione, era diventata la più forte ed estesa di tutte le città-stato dell'Ellade.

Era un giorno particolare per il sovrano di Tebe, che in quel momento era in piedi nella sua sala del trono, immersa in un silenzio pieno di attesa e di tensione, in compagnia unicamente di alcuni soldati della sua guardia del corpo personale che attendevano assieme a lui, senza quasi muovere un muscolo. Il sovrano di Tebe, un uomo sulla tarda ventina con un fisico robusto e lunghi capelli neri pettinati elegantemente dietro la schiena, indossava una tunica riccamente decorata e un paio di calzari ben tenuti, restava in piedi accanto al trono, mascherando abilmente la sua apprensione.

Oggi era il giorno in cui la sua regina, la sua amata Alcmena, avrebbe dato alla luce il loro primo figlio... e tutto quello che lui poteva fare, in quel momento, era affidarsi alla perizia dei medici e delle levatrici di corte. Sarebbe andato tutto bene? Il bambino e la sua amata moglie sarebbero riusciti a superare questo difficile momento senza problemi? Fin troppo spesso, anche nelle famiglie più agiate, le madri venivano portate via dalle febbri che sopraggiungevano dopo il parto...

Rivolgendo tra sè un'altra preghiera ad Artemide, protettrice delle partorienti, Anfitrione sedette sul suo trono, in modo che almeno, al momento di vedere cosa fosse stato di sua moglie e di suo figlio, le gambe fossero state in grado di reggerlo. L'attesa era snervante... ma si impose di restare freddo e controllato. Non era certo degno di un re farsi prendere dall'emozione...

Il silenzio nella sala del trono durò ancora per qualche minuto prima di essere infranto da un rapido rumore di passi proveniente dal corridoio, appena fuori dalle grandi porte d'ingresso. Immaginando che si trattasse di notizie di Alcmena, Anfitrione prese un bel respiro e si preparò a qualunque sorta di notizie si trattasse...

Un attimo dopo, le due guardie che si trovavano all'ingresso fecero entrare un'ancella dall'aria trafelata ma lieta, che si inchinò umilmente davanti al suo signore. Facendo del suo meglio per nascondere la sua ansia, Anfitrione si levò in piedi e fece cenno all'ancella di recare le sue notizie.

"Mio signore... le porto buone notizie della regina... e del suo bambino!" disse la serva, inchinandosi con profondo rispetto davanti al suo signore, il cui viso corrugato dalla preoccupazione sembrò illuminarsi. "La regina... la regina ha dato alla luce... un bellissimo maschietto, mio signore! Stanno bene... stanno bene tutti e due!"

"Sia lode a Zeus... e alla divina Artemide!" esclamò Anfitrione. L'atmosfera di tensione che si respirava nella sala del trono si distese quasi subito, e i soldati si scambiarono sorrisi e cenni affermativi. "E... sarà possibile andarli a vedere presto?"

"Sì, mio signore... anche subito, se lei desidera!" rispose l'ancella. "La prego... venga, le faccio strada! La regina... non vedrà l'ora di farle vedere suo figlio!"

Con passo misurato ma comunque deciso, il sovrano di Tebe seguì l'ancella fuori dalla sala del trono, ricevendo dei cenni di congratulazioni da parte dei suoi fedeli soldati, e nel corridoio che portava alla sala dove Alcmena aveva appena dato alla luce l'erede al trono di Tebe. Dei vagiti inconfondibili confermarono ad Anfitrione la buona notizia, prima ancora di entrare nella stanza dove la regina giaceva su un letto, esausta ma felice, con in braccio un bellissimo neonato avvolto nella seta.

"Mia regina..." disse emozionato Anfitrione, posando per la prima volta lo sguardo sul suo figlio primogenito. Già da una prima occhiata si poteva vedere che era un neonato sano e forte, un po' più grande della media e con una voce acuta e decisa! "Lui... lui è nostro figlio... il nostro primo bambino..."

"Sì... mio re..." mormorò la regina Alcmena, riprendendo fiato dopo il trauma del parto. "Lui... è il dono che gli dei ci hanno fatto... non è meraviglioso?"

Anfitrione non potè più trattenere i suoi sentimenti, e prese in braccio il suo piccolo urlante, mentre le lacrime di gioia cominciavano a scorrere lungo il suo viso. "Sì... sì, lo vedo, mia cara..." affermò. "Si chiamerà Alcide, e sarà uno splendido erede!"

"Benvenuto, Alcide..." disse Alcmena, alzandosi dal suo giaciglio quel tanto che bastava per accarezzare il viso di suo figlio...

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Dalle pendici del Monte Olimpo, da dove gli dei osservavano tutto quello che accadeva nel mondo dei mortali, Hera stava in quel momento assistendo alla nascita di colui che suo marito e gli dei che stavano dalla sua parte avevano designato come il più grande eroe che l'umanità avesse mai conosciuto. La potente regina degli dei sorrise maliziosamente tra sè - Zeus sembrava così sicuro che sarebbe andato tutto come lui voleva, ma non aveva fatto i conti con la sua determinazione.

"Mio caro marito... ho sempre detto che tu coccoli troppo i mortali." disse Hera con voce mielata, dietro la quale si percepivano intenzioni inquietanti. "Il tuo eroe è nato nel mondo dei mortali... ma lì a Tebe c'è già qualcuno che sta lavorando per eliminarlo. E presto... l'equilibrio sarà ripristinato."

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Qualche giorno dopo la nascita di Alcide...

Una figura losca e misteriosa scivolò abilmente nelle gallerie del santuario sotterraneo, confondendosi tra le ombre e le formazioni rocciose mentre si avvicinava all'ara dove era custodito ciò per cui era venuto. Lì, nel bel mezzo della grotta più grande, si trovava un altare in marmo finemente scolpito, affiancato da alcune statue di divinità, tra le quali spiccava per dimensioni e magnificenza una statua di Zeus, con un fulmine in una mano, e un grande scudo nell'altra. Ma per quanto spettacolare fosse la visione di quel luogo consacrato, all'intruso interessava ben altro, e muovendosi con attenzione tra i nascondigli naturali di quel posto, cercò di assicurarsi di non essere stato scoperto, e che il suo obiettivo si trovasse effettivamente lì.

Il suo unico occhio buono si spalancò leggermente, in un'espressione di feroce soddisfazione, quando riuscì a vedere che, infissa nel terreno davanti all'altare, si trovava una magnifica spada dalla lama in ferro - un metallo raro e prezioso, usato soltanto per forgiare le armi di più elevata qualità - la cui elsa sembrava fatta d'oro ed era decorata con simboli che rappresentavano le varie divinità olimpie. Non c'era dubbio... era quella la spada che la sua signora cercava.

Tuttavia, c'era prima un piccolo problema da risolvere... e più esattamente, le due guardie armate di lancia e scudo circolare, ciascuna con addosso un pettorale di bronzo, che montavano la guardia alla spada e all'altare alla luce delle torce appese ai muri. Con attenzione, l'intruso scelse una posizione da cui avrebbe potuto tenere d'occhio entrambe le guardie al tempo stesso e si sfilò dalla spalla un arco semplice ma ben costruito, incoccando una freccia e prendendo la mira verso la guardia più lontana da lui. Sapeva di non poter perdere tempo, e che la sua azione doveva essere rapida e decisa, quindi si concentrò, in modo da prendere bene la mira... incoccò una freccia e rilasciò la corda dell'arco! Con un sibilo sinistro, la freccia solcò l'aria e si piantò nella nuca del primo soldato, che si accasciò immediatamente a terra senza vita. Con un sobbalzo allarmato, il soldato rimasto impugnò le sue armi e si voltò verso il punto da cui era provenuto il letale dardo, ma non riuscì ad agire in tempo prima che l'intruso ricaricasse l'arco, e scagliasse una nuova freccia con precisione scioccante, trafiggendo la guardia al collo. Il secondo guardiano crollò a terra morto senza riuscire nemmeno a fare un grido, e dopo essersi assicurato che non ci fossero più guardie nell zona, il sacrilego annuì tra sè e si avvicinò all'altare... e in particolare, alla spada piantata nel terreno davanti ad esso.   

Con un pizzico di esitazione, l'intruso afferrò l'elsa della spada e la tolse da dove era piantata. Barcollò per un istante sotto il peso dell'arma, ma ci si abituò in fretta e si allontanò quanto più velocemente poteva, lasciandosi dietro il santuario silenzioso e i corpi senza vita delle due guardie...

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"Comandante Valcheo!" risuonò una voce nell'ufficio. L'uomo in armatura di bronzo dai capelli rossi e ricci, con tanto di corta barba dello stesso colore, che stava seduto alla scrivania alzò la testa di scatto quando si sentì chiamare da un soldato, che arrivò a passo rapido e si mise sull'attenti davanti a lui. "Comandante Valcheo! Porto delle notizie allarmanti!"

"Che succede, soldato?" chiese Valcheo, il comandante delle guardie del palazzo reale di Tebe. Il suo sottoposto si schiarì la voce e fece rapidamente il suo rapporto.

"La spada sacra è stata rubata dal santuario di Zeus, e le guardie sono state uccise!" riferì il soldato.

Valcheo ripiegò la pergamena che teneva in mano, alzandosi dal suo posto. "Un sacrilegio!" esclamò con tono allarmato ed indignato.

"Darò immediatamente l'allarme, e farò chiudere le porte della città finchè il colpevole non sarà stato catturato." continuò il soldato.

Il comandante Valcheo si piazzò davanti al soldato, in modo da dargli tutta l'attenziione che una questione così seria meritava. "Certamente, soldato. Hai già dato questa notizia a qualcun altro?" chiese.

"Lei è il comandante delle guardie di palazzo, signore." affermò il soldato. "Ho pensato di avvertire lei per primo, in modo che potesse decidere il da farsi."

Il comandante annuì. "Hai pensato giusto, soldato. Sei fedele, e Tebe ti ricompenserà." affermò... e un attimo dopo, con un fluido movimento del braccio, Valcheo sfoderò una spada di bronzo che teneva appesa al fianco e trafisse il soldato, che riuscì solamente a spalancare gli occhi in un'espressione di assoluta incredulità, prima di crollare a terra.

"Ecco la tua ricompensa." disse Valcheo con un ghigno. "Peccato che tu non abbia capito subito che era un complotto, povero stupido."

Una volta assicuratosi che il soldato fosse morto, Valcheo si voltò verso un corridoio laterale per chiamare qualcuno. "Principessa! Il momento è arrivato!"

"Ottimo lavoro, Valcheo. Il piano ha funzionato a meraviglia." rispose una voce femminile mielata dal corridoio, e una giovane donna emerse da esso, guardando Valcheo con i suoi acuti occhi azzurri - alta, dai lunghi capelli biondi leggermente ricci, era vestita di un abito blu riccamente decorato che faceva ben poco per nascondere le sue forme seducenti, un mantello nero lungo quasi fino a terra, sandali e schinieri dorati, e un cappuccio sulla testa. Portava sulla fronte un diadema dorato ornato con delle gemme blu, e al suo collo era appeso un medaglione dorato di forma triangolare, con tre zaffiri incastonati.

Dietro di lei, arrivò un uomo dall'aspetto anonimo e al tempo stesso poco raccomandabile, vestito in maniera rozza, con un corpetto di cuoio malamente rattoppato e una vecchia uniforme che sicuramente aveva visto giorni migliori. Aveva una benda di cuoio nero sull'occhio destro, e tra le mani portava la spada sacra trafugata dal tempio...

"Ora che il mio schiavo qui presente ha rubato la spada, possiamo passare alla fase finale." disse la donna bionda. "Una buona parte dell'esercito di Tebe è ormai passato dalla nostra parte. Se attacchiamo ora, coglieremo tutti di sorpresa, e non sarà difficile prendere il controllo della città. Tu diventerai re di Tebe, Valcheo... sarai il sovrano della più potente città dell'Ellade. A patto, ovviamente, che tu uccida il re e la regina stanotte. E ovviamente, anche il loro erede, il piccolo Alcide."

L'uomo con la benda sull'occhio annuì senza dire una parola, e Valcheo ghignò sinistramente, guardando la propria spada ancora gocciolante del sangue del soldato ucciso. "Di questo può essere sicura, principessa Arianna." affermò il traditore. "Per lei e per suo padre... la spada che doma il fuoco. E per me... il trono di Tebe!"  
   

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Prima che gli abitanti di Tebe potessero rendersi conto di quello che stava succedendo, la loro città si era trasformata in un tragico campo di battaglia. Arianna e i suoi seguaci avevano passato i mesi precedenti ad ingraziarsi diversi elementi dell'esercito tebano, con il risultato che, al momento dalla verità, soltanto una piccola parte dei soldati era rimasta fedele alla corona. I fedeli del re tentarono in tutti i modi di resistere, ma non ci fu niente da fare - ogni resistenza venne prontamente soffocata nel sangue, e nel giro di poche, drammatiche ore, i ribelli avevano praticamente occupato il palazzo...

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I suoni della battaglia e le urla di coloro che venivano trucidati riecheggiavano nei corridoi, mentre il re Anfitrione conduceva la sua regina, con il piccolo Alcide tra le braccia, verso quella che a quel punto era probabilmente l'unica via di fuga rimasta loro. I ribelli si stavano avvicinando, assetati di sangue... non c'era un istante da perdere. Affinchè ci fosse la speranza che la famiglia reale di Tebe sopravvivesse, dovevano a tutti i costi raggiungere l'uscita...

Anfitrione fece cenno alla sua regina di fermarsi, e indicò una sala che non era ancora stata raggiunta dai ribelli. Prese Alcmena per la spalla e la guidò all'interno della stanza, una sala vuota illuminata soltanto da un paio di torce a bitume appese alle pareti. Prima che la sua regina potesse chiedergli cosa volesse fare, Anfitrione raggiunse il muro dalla parte opposta della stanza e premette la mano su una tapparella in marmo... e un istante dopo, con un forte rumore di pietra che strideva sulla pietra, una parte del muro di ritirò, rivelando un buio passaggio segreto che si addentrava nel sottosuolo della città.

"Mia regina. Tu ed Alcide fuggite da qui." affermò il re, facendo cenno alla sua amata di entrare in quel buio corridoio. "Dovete sopravvivere... a qualsiasi costo!"

"E tu, mio caro? Che cosa ne sarà di te?" chiese Alcmena, tenendo stretto a sè il suo pargoletto urlante.

Un'espressione triste e solenne apparve sul volto di Anfitrione. "Io resterò qui. Cercherò di fermare i ribelli finchè potrò. Vi farò guadagnare tempo."

"Ma così morirai!" esclamò disperata Alcmena. "Non puoi sperare di fermarli! Ti farai uccidere!"

"Non c'è altro modo, purtroppo... come re di questa città, io ho il dovere di difenderla dai suoi nemici." rispose il coraggioso re. "Se devo morire, nessuno dirà che Anfitrione è morto da vigliacco. Ma tu... che almeno uno di noi sopravviva per il nostro piccolo Alcide. Un giorno... un giorno diventerà un grande uomo, lo sento. Quel giorno tornerà qui a Tebe, e farà in modo che queste ingiustizie vengano punite! Ma fino ad allora... dovete sopravvivere. Addio, mia cara... addio, mio piccolo Alcide. Che gli dei vi proteggano."

Alcmena mise a tacere le lacrime. "Faremo come desideri, mio amato. Addio... che gli dei proteggano la tua anima." si augurò. Il re e la regina di Tebe si scambiarono un ultimo bacio, ed Anfitrione si fermò giusto un attimo per accarezzare il suo bambino per l'ultima volta.

"Avrei voluto poter passare più tempo con te, piccolo mio... Avrei voluto vederti crescere, diventare l'uomo forte e coraggioso che sono sicuro diventerai. Ma il fato non ha voluto che fosse così. Addio, mio piccolo Alcide... tuo padre ti proteggerà sempre, ricordalo." pensò Anfitrione. Ormai i rumori della battaglia si avvicinavano sempre più... non era rimasto molto tempo.

Tenendo stretto a sè Alcide, Alcmena entrò nel passaggio segreto, continuando a guardare il marito mentre quest'ultimo premeva di nuovo la piastrella di marmo e l'ingresso al passaggio segreto cominciava a chiudersi...

Anfitrione annuì solennemente quando il passaggio segreto si chiuse del tutto... poi, deciso a far guadagnare quanto più tempo possibile alla sua famiglia, sfoderò la sua corta spada di bronzo e uscì dalla stanza, pronto ad affrontare chiunque si avvicinasse.

Era appena uscito nel corridoio, quando si vide arrivare incontro due soldati ribelli, armati di lance e scudi circolari, che non persero tempo ad attaccarlo - uno di loro prese la mira e scagliò la sua lancia, ma Anfitrione riuscì ad evitarla, e la letale asta si schiantò senza danni sul pavimento. Il ribelle sfoderò la spada, ma il re fu più veloce e lo raggiunse con un affondo, colpendolo a morte. Il secondo dei soldati ribelli cercò di scagliare a sua volta la sua lancia, ma il re si mosse con prontezza, raccolse la lancia del primo avversario, e la scagliò con rabbia e precisione, trafiggendo il ribelle al torace e facendolo crollare a terra con un'imprecazione strozzata.

"Traditori. Questa è la fine che meritate." ringhiò Anfitrione. Ma non ebbe il tempo di rilassarsi... qualcun altro stava già arrivando dall'angolo del corridoio, e Anfitrione corrugò la fronte quando Valcheo, l'uomo che fino al giorno prima era sembrato essere la sua guardia del corpo più fedele, apparve davanti a lui armato di spada e di uno scudo circolare.

"Siete rimasto qui fino alla fine, maestà." disse Valcheo, con il tono tranquillo di una persona che non vuole altro che fare un po' di conversazione. "E la vostra consorte, e il vostro figlioletto, dove li avete lasciati?"

"Non lo saprai mai, Valcheo, infame traditore." ringhiò Anfitrione. "Vuoi diventare sovrano di Tebe al mio posto, ma tutto quello che avrai sarà una morte ignominiosa!"

"E' quello che vedremo... maestà!" rispose Valcheo, facendo un passo in avanti per poi sferrare il primo attacco, eseguendo un fendente dall'alto verso il basso con la sua spada di bronzo. Il re si era aspettato questa mossa, e riuscì a schivare il fendente con uno scatto laterale, poi sferrò a sua volta un poderoso fendente che però rimbalzò senza effetto sullo scudo di Valcheo. Il traditore si fece avanti di nuovo, usando il suo scudo come arma contundente per colpire il suo sovrano e farlo barcollare con un grugnito di dolore, ma non durò a lungo - facendo appello a tutta la sua forza di volontà, Anfitrione sferrò un pugno in faccia a Valcheo, facendogli saltare via un dente!

Valcheo si allontanò con un breve grido di dolore, afferrandosi la mascella e sentendo il sapore disgustoso del sangue sulla lingua, e riuscì a malapena ad alzare lo scudo quando Anfitrione gli fu addosso. Il re sferrò un altro colpo con la sua spada, ammaccando lo scudo del suo nemico, e lo costrinse a retrocedere ancora.

"Sei tu il responsabile di questo complotto, vero?" esclamò Anfitrione, continuando ad avanzare verso il suo nemico. "Così sia, allora. I tuoi soldati mi uccideranno, ma almeno tu non riuscirai a realizzare le tue ambizioni!"

"Ugh... è quello che vedremo... maestà..." mormorò il traditore, ma si rendeva conto di essere in una brutta situazione... doveva cercare di uscirne il prima possibile, o tutti i suoi piani sarebbero terminati nel nulla.
Anfitrione fece un altro tentativo, e ancora una volta Valcheo riuscì a parare con il suo scudo... ma questa volta, il sovrano di Tebe sferrò un calcio che raggiunse il suo nemico al braccio sinistro e lo costrinse a mollare lo scudo! Si sentì un assordante clangore metallico quando lo scudo atterrò sul pavimento in marmo, e Valcheo strinse i denti con espressione di disappunto e rabbia impotente.

"Le tue ambizioni finiscono qui, Valcheo." sentenziò Anfitrione, alzando la spada per abbatterla sul traditore...

Ma il colpo non arrivò mai a segno. Un lampo di luce azzurrina illuminò il corridoio per una frazione di secondo, seguito da un raggio di dirompente energia che colpì Anfitrione al petto e lo trafisse, penetrando la sua armatura di bronzo come se fosse stata di cartone! Il raggio di luce fuoriuscì dalla schiena del re e si esaurì in lontananza, mentre Anfitrione cadeva in ginocchio, con un rivoletto di sangue che gli scendeva da un angolo della bocca. Nei suoi ultimi momenti, il re di Tebe guardò da dove era provenuto il raggio di energia che lo aveva colpito a morte... e riuscì a vedere una figura femminile vestita di blu che teneva una mano puntata verso di lui...

"Dovevo... immaginarlo... che eravate voi..." furono le ultime parole di re Anfitrione. Rivolgendo un ultimo pensiero alla sua amata e al suo figlioletto appena nato, il re di Tebe si spense, soddisfatto di essere per lo meno riuscito a proteggerli...

La corona di Tebe era stata rovesciata.


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"Mi aspettavo di meglio da te, Valcheo." disse Arianna con fare spocchioso, guardando l'ex-comandante delle guardie di palazzo che si rialzava dolorante. "Ti sei lasciato sopraffare come un dilettante alle prime armi. E non hai ancora ritrovato la regina e il piccolo Alcide."

Valcheo si spazzò via un po' di polvere dai vestiti. "Tsk... mi ha colto di sorpresa, tutto qui." affermò. "Immagino... che la regina e il  piccolo principe saranno diretti fuori dalle mura della città. Prenderò un gruppo di soldati e farò in modo di intercettarli. Non andranno lontano."

"Bene. Me lo auguro per te, Valcheo." affermò Arianna con tutta tranquillità. "Se per caso la regina e il principe Alcide dovessero sfuggirti, non credo che potresti più dormire tranquillo."

"Non ci sarà bisogno che lei si preoccupi..." affermò il malvagio usurpatore, ma nella sua voce si percepiva già un pizzico di ansia. "Faremo in modo che tutto vada secondo i piani."

Arianna annuì con fare arrogante, osservando Valcheo che se ne andava a passo svelto. In ogni caso, lei aveva già quello che voleva. Per quanto la riguardava, quello sciocco meschino e presuntuoso poteva anche tenerselo, il trono di Tebe...


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Alcmena continuava a correre, tenendo stretto a sè il piccolo Alcide che continuava a piangere, forse capendo per istinto che stava accadendo qualcosa di terribile. Il passaggio segreto era proseguito per un lunghissimo tratto, arrivando finalmente fuori dalle mura di Tebe... e sbucando a poche centinaia di metri dal grande fiume che scorreva a pochi chilometri di distanza da Tebe. La città, a quel punto, era solo un ricordo... i suoi grandi edifici, le sue strade e le sue piazze... lo stadio... la grande arena... tutto questo non c'era più, sosituito dall'aspra e selvaggia natura che la circondava. Le loro vite erano state stravolte nel giro di pochi istanti, ed ora era suo compito, come madre del piccolo, fare in modo che sopravvivessero entrambi.

Alcmena si fermò, guardando il piccolo Alcide che non aveva smesso di piangere e lamentarsi, e non riuscì ad impedirsi di piangere a sua volta, in ricordo del suo amato re che si era sacrificato per loro, e pensando alla vita difficile che sicuramente ora attendeva il suo bambino. Ma l'energia e la determinazione della donna fecero presto tacere le lacrime e i lamenti.

"Lo so che è difficile, tesoro... il papà non è più con noi. In questo momento, starà camminando nei Campi Elisi assieme agli eroi di tutte le ere." affermò. "Ma noi dobbiamo vivere per lui, dobbiamo farci forza e andare avanti. Un giorno... un giorno forse torneremo a Tebe, e faremo in modo che gli assassini di tuo padre paghino per quello che hanno fatto. Se questa sarà la volontà del sommo Zeus, faremo in modo che sia fatta."

Come se avesse capito quello che la sua mamma gli diceva, il piccolo Alcide si calmò almeno un pochino, e i suoi pianti si smorzarono fino a diventare dei vagiti sommessi... Alcmena sorrise tristemente, poi continuò ad affrettarsi verso le rive del fiume che scorreva lì vicino. Per colmo della fortuna, c'era una piccola barca attraccata ad un pontile di legno che dava sul grande fiume, e la corrente era abbastanza rapida da trasportarla lungo il fiume in tempo per seminare Valcheo e il resto dei cospiratori...

Senza perdere tempo, senza curarsi del fatto che non era certo un'esperta nel condurre un'imbarcazione, Alcmena salì sulla barca assieme al figlioletto, e sciolse le funi che la tenevano attraccata. Con un po' di difficoltà, spinse via la barca dal pontile e fece in modo che la barca venisse spinta via dalla corrente. Non ci volle molto tempo prima che la piccola imbarcazione fosse in viaggio verso una temporanea salvezza, lasciandosi dietro la città di Tebe e la spietata congiura che aveva rovesciato il suo saggio re...

E così, la barca che portava con sè la regina Alcmena e il principino Alcide venne trascinata via, in balia delle correnti. La giovane madre, pur avendo perso la cognizione del tempo, restava con gli occhi aperti e le orecchie tese, in modo da accorgersi se qualcuno degli uomini di Valcheo fosse sulle loro tracce. Tutto ciò che li circondava erano le rapide acque del fiume e la foresta che sembrava estendersi all'infinito attorno a loro, con i mille suoni e colori della natura... per fortuna, sembrava che i congiurati avessero perso le loro tracce.

Tuttavia, questo non la rendeva più tranquilla. Sapeva che era stato un grosso azzardo affidarsi a quella barca per fuggire da Tebe... e sapeva che il fiume nascondeva a sua volta mille insidie. Sperava soltanto di arrivare a valle senza problemi, anche se si rendeva conto che si trattava di una speranza davvero esigua...

E in tutto questo, Alcmena si teneva aggrappata al suo desiderio che il suo bambino sopravvivesse, e al dovere che lei aveva di mantenerlo al sicuro. Davvero un filo esile e fragile, ma era tutto quello che aveva in quel momento, e avrebbe cercato di fare l'impossibile perchè non si spezzasse...

Il tempo continuava a passare, e la barca scendeva lungo la corrente del fiume, con sempre maggiore velocità. Alcmena era stata costretta a togliersi il peplo e ad avvolgere Alcide in esso, in modo che il suo bambino non si bagnasse troppo... ma la barca diventava sempre più veloce, e Alcmena si preoccupava che la piccola e fragile imbarcazione si fosse imbattuta in alcune rapide...

Il fiume continuava ad ingrossarsi, e il rumore della corrente si fece sempre più opprimente, inghiottendo ogni altro suono. Alcmena si acquattò sul fondo della barca, usando il proprio corpo per proteggere il piccolo Alcide, che emise un vagito che poteva essere facilmente interpretato come un verso di preoccupazione... ed entrambi restarono più fermi che potevano sul fondo della barca, non potendo fare altro che sperare in bene...

Lungo il corso del fiume, una cascata si avvicinava sempre di più...

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In una delle grandi sale dell'Olimpo, la dimora degli dei, Zeus osservava con partecipazione gli eventi che si susseguivano nel mondo dei mortali, e vide che la barca che trasportava la regina Alcmena e il piccolo Ercole stava per raggiungere una cascata dall'aspetto letale. Se l'avessero raggiunta, le loro possibilità di sopravvivere sarebbero state talmente esigue da non poter essere nemmeno prese in considerazione...

A meno che, ovviamente, non intervenisse lui.

Non aveva potuto farlo quando sua moglie aveva messo in moto il suo complotto, ma adesso poteva benissimo farlo.

Il re degli dei raggiunse un catino pieno d'acqua che si trovava ad un angolo della grande sala e vi immerse una mano...

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...e nello stesso momento, nel mondo degli umani, una gigantesca mano emerse dal punto in cui il fiume si gettava nella cascata.

La barca sulla quale viaggiavano Alcmena e suo figlio raggiunse il punto in cui sarebbe caduta... e finì per atterrare delicatamente sul palmo dell'enorme mano, che la tenne al sicuro sopra la cascata.

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Zeus sorrise lievemente tra sè, soddisfatto del suo intervento. Ma il momento di essere fieri di sè stessi durò ben poco. Un familiare rumore di passi risuon nella sala, e il re degli dei, con la coda dell'occhio, vide arrivare sua moglie Era, con un'inequivocabile espressione di indignazione sul volto. Atena seguiva a ruota, cercando in qualche modo di placare la sua madre surrogata, ma senza eccessivo successo.

"Rimetti quella barca sul fiume!" ordinò Era.

Zeus non si scompose. Era più che abituato al caratteraccio di sua moglie, e soprattutto alle sue sfuriate quando lui faceva qualche scappatella con altre dee o donne mortali...

"Va bene." rispose tranquillo. "Come desideri."

Zeus mosse la mano nell'acqua del bacile, mentre Era emetteva un sospiro esasperato...

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La mano gigantesca che sorreggeva la barca si mosse per qualche istante, in maniera quasi impercettibile... e a bordo della fragile imbarcazione, Alcmena ed Alcide vennero avvolti da una tenue luce azzurrina, per poi essere trasportati in volo sopra la cascata e verso il terreno, mentre la mano gigante rimetteva la barca sul corso del fiume. Mezzo secondo dopo, la barca finì nuovamente oltre il bordo della cascata, e precipitò per diversi metri, andandosi a fracassare sulle rocce sottostanti con un tremendo schianto!

La luce che aveva avvolto Alcmena e il suo pargoletto si dissolse del tutto, e la giovane madre e suo figlio si ritrovarono sdraiati sul tappeto erboso, fradici ma illesi. Per un attimo, la donna si toccò incredula, pensando che forse erano già morti e si trovavano nei Campi Elisi... ma poi, con suo grande stupore, vide ciò che restava dell'imbarcazione su cui si trovavano, e si fece un'idea di quello che era successo.

"Gli dei... vegliano davvero su di noi, mio piccolo Alcide." disse la giovane madre, la cui speranza era stata rinnovata da quell'incredibile miracolo. Il bambino emise un vagito contento e agitò un po' le piccole mani in aria, quasi volesse salutare chiunque fosse stato a salvarli...

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Zeus sorrise rincuorato, vedendo il bambino e la madre al sicuro... mentre Era corrugò la fronte e guardò con rabbia verso il marito.

"Ma che hai fatto, Zeus?" esclamò la regina degli dei. "Hai messo la regina e suo figlio sulla terraferma, al sicuro!"

Zeus alzò le spalle. "Mi avevi detto di rimettere la barca sul fiume." disse facendo il finto tonto, e strappando un sorriso complice ad Atena. "Non mi hai detto nulla dei passeggeri."

Era strinse una mano a pugno, ma si rese conto che questa volta Zeus l'aveva giocata, e non c'era nulla che lei potesse fare se non rammaricarsene e imporsi di stare più attenta la prossima volta. Questo, aggiunse tra sè Era con un sorrisetto malizioso, sempre che ci fosse stato bisogno di una prossima volta.

Mentre Zeus estraeva la mano dal bacile e se la asciugava con tutta calma, Atena rivolse ad Era uno sguardo significativo, come per dirle che non avrebbe fatto bene a sottovalutare le risorse di coloro che volevano che il salvatore dell'umanità realizzasse il suo scopo. La regina degli dei, da parte sua, non si scompose e fece un cenno con la testa, prima di andarsene con passo sicuro e fare elegante, continuando a complottare tra sè.

"Zeus è astuto... e farà tutto quello che può per proteggere il piccolo Ercole." disse tra sè. "Ma non si rende conto che così l'equilibrio tra il bene e il male sarà spezzato. Ci penserò io a fare in modo che le due parti si equilibrino di nuovo."

Gli occhi  della dea si illuminarono per un attimo, emettendo una inquietante luce verde che svanì un istante dopo... e nel mondo dei mortali, qualcosa di orribile si risvegliò nel greto del grande fiume, i suoi occhi smeraldini che dardeggiavano avidi sotto il pelo dell'acqua, puntando contro Alcmena e il piccolo Ercole...

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Alcmena sapeva che non poteva restare ferma lì a lungo. Lei e il suo bambino erano a rischio ad ogni momento, e le guardie di Valcheo avrebbero trovato quel posto, prima o poi. Tuttavia, si fermò per un attimo per prendere il suo peplo, stracciarlo un po' e gettarlo sulle rocce affioranti... in questo modo, la donna sperava che se i loro nemici fossero arrivati fin lì, avrebbero pensato che lei ed Alcide fossero periti nel fiume. In questo modo, se non altro, ci sarebbe stato un problema in meno a cui badare...

Dopo aver gettato il suo abito sulle rocce, Alcmena corse a prendere in braccio suo figlio e fece per andarsene da quel posto... ma un rumore improvviso di acqua smossa, e un orrendo sibilo proveniente dal corso d'acqua la fecero fermare di colpo e voltare indietro, e la giovane madre vide emergere dal fiume un'orrida creatura che ricordava molto una sorta di mostruoso serpente marino, lungo non meno di dieci metri, con un corpo lungo e possente ricoperto di squame del colore del muschio e una testa affusolata, con un paio di diabolici occhi verdi dalle pupille ovali che guardavano con avidità le sue prede, e un paio di terrificanti zanne ricurve, gocciolanti di veleno, che sporgevano dalla mascella superiore! Il suo corpo grondava di acqua e piante acquatiche, dandogli un aspetto ancora più orribile... ed Alcmena, con un singulto di orrore, fece due passi indietro, inciampando su una radice sporgente e finendo per sedersi per terra, alla mercè dell'orrendo Ketos!

"N-no... NO!" esclamò la donna, alzando un braccio nell'inutile tentativo di proteggersi dalla creatura. Il Ketos guardò il bambino che la donna teneva tra le braccia e si mosse rapidamente verso di lui, spalancando le fauci per sferrare un morso letale...

Ma proprio quando sembrava che tutto fosse finito per loro, accadde qualcosa di assolutamente inaspettato!

Alcide portò avanti le braccia e afferrò la testa del mostruoso serpente, che si bloccò con un sibilo di sorpresa! Nonostante fosse un neonato, la presa di Alcide era come una morsa di ferro, e il Ketos si ritrovò bloccato da una forza alla quale non riusciva ad opporsi! Con un sibilo furioso, il mostruoso rettile cercò di liberarsi, ma il neonato, nonostante avesse solo pochi giorni di vita, lo teneva stretto e spostò le manine verso la gola del Ketos, cercando di stringerla. La rabbia del mostro si trasformò ben presto in stupore e paura quando Alcide cominciò a stringere la presa e a strozzarlo!

Alcmena non potè fare altro che guardare incredula mentre il suo bambino apparentemente indifeso continuare a stringere la presa sul collo del Ketos, che continuava a dibattersi sempre più disperatamente per sfuggire a quella morsa letale. Ma non durò a lungo - nel giro di pochi secondi, l'orribile rettile cominciò a perdere vigore, e i suoi movimenti spasmodici rallentarono sempre di più... fino a cessare del tutto, e il bagliore verde dei suoi occhi si spense rapidamente.

Quando fu sicuro che l'orribile creatura fosse morta, Alcide mollò la presa sul collo del Ketos, che cadde a terra come un sacco vuoto, ai piedi dell'incredula Alcmena. Per qualche istante, la giovane madre rimase in silenzio, a guardare il corpo senza vita del rettile che aveva cercato di divorarli... e poi il suo bambino, che adesso gorgogliava contento come se nulla fosse successo. Che prodigio era mai questo? Certo, aveva visto che il suo bambino era nato sano e robusto... ma questo non era certo possibile per un bambino normale! Doveva per forza essere opera degli dei...

"Quale... quale miracolo è mai questo?" boccheggiò Alcmena incredula. "Le... le tue mani, piccolo mio... possiedono la forza di Zeus..."

Il bambino emise un gorgoglio di gioia e battè le mani, senza rendersi conto del tutto di ciò che era successo. La giovane madre restò ancora lì, incredula, cercando di mettere un po' di ordine nei suoi pensieri, ma quello di cui era appena stata testimone era talmente incredibile che per diversi secondi non riuscì a muoversi nè a parlare... e anzi quasi non si accorse di un fruscio proveniente dalla boscaglia dietro di loro, e di una figura massiccia che usciva dalla vegetazione.

"Che cosa è successo qui?" chiese una profonda voce maschile. "E' da molto tempo che nessun essere umano si spinge così in profondità in questo luogo sacro ad Artemide... chi siete voi, e come mai siete qui? E... cosa significa quel mostro morto accanto a voi?"

Alcmena si voltò lentamente verso la figura che aveva appena parlato - si trattava di un centauro, una creatura la cui metà superiore era quella di un uomo muscoloso ed atletico, con i capelli neri, corti ed arricciati, e una corta barba ben tenuta; mentre la metà inferiore era quella di un cavallo, con il mantello castano e gli zoccoli solidi come l'acciaio. Teneva a tracolla un arco splendidamente intagliato, e portava una faretra piena di frecce legata sulla schiena.

Alcmena arretrò di un passo, evitando di poco il corpo senza vita del Ketos. "Noi... noi siamo fuggiti da persone che volevano ucciderci. Non sapevamo che... che questo posto fosse sacro... alla divina Artemide. Chi... chi sei tu?" esclamò, avendo già sentito che i centauri sapevano essere creature selvagge e violente. Quello sembrava essere abbastanza tranquillo, ma con quelle creature non si poteva mai sapere...

Il centauro corrugò la fronte, ma sembrò decidere che la donna e il suo bambino non erano una minaccia, e si presentò... non prima di aver dato una lunga occhiata al piccolo Alcide e al corpo senza vita del Ketos
"Il mio nome è Chirone, e vivo in questa foresta da molti anni ormai." affermò. "Voi siete di Tebe, immagino? Venite. Vi porterò nella mia dimora, e mi potrai raccontare tutto."

Alcmena annuì, sentendo che nonostante tutto, le cose iniziavano a migliorare...

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CONTINUA...                  

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Capitolo 3
*** Così passano vent'anni ***


Ercole - Nascita della grande leggenda

 

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Capitolo 2 - Così passano vent'anni

 

La dimora del centauro Chirone era alquanto modesta - niente più che una caverna arredata in maniera molto semplice, con un tavolo di legno duro, una sorta di panchina intagliata nella roccia, e il pavimento completamente spoglio, coperto soltanto da un pccolo strato di paglia. A fare luce c'erano solamente delle fessure scavate nella roccia dalle quali filtrava la luce del sole, e nel mezzo della caverna, c'era un cerchio di rocce all'interno del quale si vedevano ancora i resti di un falò e qualche osso. Dava ad Alcmena l'impressione di un luogo semplice ma comodo, e certamente lei non pretendeva più di tanto, dopo essere appena sfuggita ad un tentativo di assassinio.

"Io vivo qui." affermò Chirone. "Per adesso, sarete miei ospiti. Raccontami tutto. Forse io posso darti una mano."

"Grazie, o saggio Chirone." rispose Alcmena con un sospiro di sollievo. Sempre tenendo stretto il piccolo Alcide tra le braccia, la ex-regina di Tebe si sedette sulla panchina di pietra e represse un brivido. Ora che era al sicuro, tutte le emozioni che aveva represso dal momento in cui era stata costretta a scappare e salvare sè stessa e il suo piccolo stavano tornando in superficie con prepotenza. Alcmena si stava meravigliando di come fosse riuscita a restare così calma e presente a sè stessa, visto che in quel momento, tutto quello che voleva fare era piangere ed urlare.

"Il... il mio nome è Alcmena. E vengo... dalla città di Tebe. Fino... fino a poche ore fa... ero la moglie di Anfitrione, il re della città... e il mio bambino si chiama Alcide..." cominciò a dire. "Siamo dovuti fuggire... un generale dell'esercito di Tebe si è ribellato... ha portato dalla sua parte l'esercito della nostra città, e ci ha attaccati. Io... e il mio bambino... siamo stati costretti a fuggire... il mio sposo... è rimasto indietro per proteggerci..."

Alcmena fu costretta ad interrompere il suo racconto, singhiozzando disperatamente per alcuni momenti e stringendo a sè il piccolo Alcide, che emise un breve vagito che esprimeva confusione e preoccupazione. L'espressione severa di Chirone si addolcì un po', e il saggio centauro si avvicinò alla donna e le mise una mano sulla spalla, in segno di confronto. Lentamente, Alcmena si calmò, e accarezzò il suo figlioletto, che emise un altro vagito, questa volta di gioia e sollievo.

"Il mio cuore sanguina per la vostra perdita." disse Chirone.

"Ti ringrazio, saggio centauro." affermò Alcmena. Si asciugò gli occhi e cercò di riprendere il racconto. "Siamo riusciti... ad allontanarci da Tebe con una piccola barca, ma abbiamo rischiato di finire nelle rapide. Credo che... soltanto la mano del sommo Zeus ci abbia salvati." continuò, non immaginando quanto letterale potesse essere quell'espressione.

"Aaaah!" esclmò Alcide, agitando una piccola mano in aria verso il centauro, che guarò nella direzione del bambino e restò per un attimo a contemplarlo. Chirone non credeva proprio che Zeus sarebbe intervenuto per salvare una persona qualunque... chiunque fosse, quel bambino aveva qualcosa di molto speciale... e il fatto che quando li aveva trovati ci fosse un Ketos morto accanto al piccolo Alcide non faceva altro che rafforzare i suoi sospetti.

Chi, o che cosa, era quel bambino? Chirone stava avendo dei sospetti... e se si fossero rivelati fondati, beh... questo voleva dire che per il mondo stava per cominciare un periodo di grandi cambiamenti. Se quel bambino era davvero quello che lui  cominciava a sospettare... nulla sarebbe più stato lo stesso, da quel momento in poi.

"Questo bambino... possiede una forza che nessun essere umano potrebbe avere." pensò tra sè il centauro. Pensando che fosse inutile matenere il segreto sui suoi sospetti, Chirone decise di parlarne direttamente ad Alcmena.

"Nobile Alcmena, dimmi... è stato per caso questo bambino ad uccidere quel Ketos che ho visto lì, vicino al fiume?"

Alcmena disse di sì con la testa. "Sì, o Chirone... non riuscivo a crederlo io stessa, nonostante lo avessi visto con i miei stessi occhi. Non so perchè quel mostro fosse lì... comincio a pensare che dietro il complotto per ucciderci ci fosse qualcosa di più che un generale ribelle..." affermò. "Ma perchè... perchè qualcuno degli dei beati avrebbe dovuto inviare un mostro per uccidere me e il mio bambino?"

Chirone grattò il terreno con uno zoccolo. Alcmena ebbe l'impressione che il centauro stesse riflettendo su quello che aveva sentito, e il sospetto che si trattasse di qualcosa di veramente molto grave continuò a turbarla. In quel momento, stava cominciando a capire che era invischiata in qualcosa di molto più grande di quanto inizialmente non avesse immaginato.

Finalmente, Chirone guardò verso di lei e cominciò a parlare. "Nobile Alcmena, non vedo motivo per nasconderti la verità. Credo che tu e il tuo piccolo Alcide dobbiate restare qui. E' il posto più sicuro per voi... finchè Alcide non sarà diventato grande e la sua forza non si sarà rivelata."

"Ah, ah..." il piccolo Alcide emise un paio di vagiti, come se avesse capito il senso di quello che il centauro stava dicendo.

Alcmena, da parte sua, sgranò gli occhi con evidente stupore davanti a quella proposta. "La... la sua forza, o saggio Chirone? Che cosa vuole dire... che il mio Alcide...?"

"Sì... lui è un bambino speciale, come hai potuto vedere tu stessa." rispose Chirone in tutta serietà. "Il sommo Zeus non concede i suoi doni alla leggera. C'è sempre un motivo in tutto quello che lui fa. Anche se potrebbe non essere subito evidente, se il piccolo Alcide possiede una tale forza, è perchè è destinato ad avere un grande ruolo, nel futuro di questa terra e di tutti gli uomini."

Alcmena restò in silenzio per diversi secondi, sbalordita dall'enormità di quella rivelazione. Come temeva... questo le faceva vedere la ribellione di Valcheo, la morte del suo amato, la fuga da Tebe... sotto una luce diversa e per niente rassicurante.

"Sì... sì, capisco cosa vuoi dire, o saggio Chirone." rispose Alcmena dopo un po' di comprensibile esitazione. "Questo... cosa comporterà per me e per il mio piccolo?"

Alcide gorgogliò, quasi volesse porre anche lui la stessa domanda della sua mamma.

Chirone accarezzò l'infante sulla testa, e un sorriso bonario attraversò per qualche istante il suo volto segnato dall'età, dalle battaglie e dalle intemperie. "Non voglio nascondervi nulla, miei ospiti. Per voi, sarà una vita difficile. Questo bambino dovrà un giorno scegliere tra la strada della virtù e quella del vizio, e sarà una scelta che non riguarderà soltanto lui, ma l'umanità intera. In questo momento, mentre noi stiamo parlando... sull'Olimpo, gli dei beati stanno decidendo il futuro di tutti noi semplici mortali. Il nostro mondo... andrà verso la distruzione, o si salverà? Questa è la domanda che si stanno ponendo. E questo bambino sarà colui che potrà dare una risposta."

Il silenzio tornò nella caverna, e Chirone si allontanò di qualche passo, gli zoccoli che strisciavano sulla paglia che copriva il terreno. Ancora una volta, sembrava che stesse riflettendo prima di dare la sua risposta...

"Affinchè questo bambino possa assolvere al suo compito in futuro, avrà bisogno di qualcuno che lo guidi." disse Chirone. "Nobile Alcmena, sono sicuro che tu sarai per lui una madre esemplare. Ma Alcide dovrà anche imparare ad usare la sua forza nella maniera più giusta. Mi occuperò io di insegnargli... tutto quello di cui avrà bisogno in futuro. Gli dei ci hanno dato questo compito a cui dobbiamo assolvere... non possiamo rifiutarlo."

"Sì, capisco..." affermò Alcmena dopo qualche attimo di comprensibile esitazione. "Tutto torna, adesso... il mio piccolo è appena nato, e ha già tanti nemici che vogliono impedirgli di realizzare lo scopo per cui è nato. Va bene, saggio Chirone. Ci affideremo a te e alla tua saggezza. So che... con l'aiuto degli dei a noi propizi, saprai essere una buona guida per Alcide."

Il centauro guardò il neonato Alcide dritto negli occhi, e quando il bambino gli rivolse uno sguardo incuriosito, Chirone lo accarezzò gentilmente sulla testa. Non era soltanto questione di fare il proprio dovere... stava già cominciando ad affezionarsi a quel bambino. Chissà se sarebbe riuscito ad essere un buon padre per lui, oltre che un buon maestro?

"Aaaah!" Alcide fece un verso acuto simile ad una risata di gioia, e Chirone sorrise e fece un cenno con la testa.

La strada era già stata segnata. Ora toccava a loro fare in modo che quel futuro eroe potesse percorrerla al meglio.

 

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Quello che stava accadendo nel mondo dei mortali non poteva certo passare inosservato agli dei immortali... e anche a qualcun altro. In un luogo al di là dello spazio e del tempo, un posto dimenticato fin dai tempi del dominio dei Titani, una figura femminile osservava attentamente la scena di Chirone che accettava di diventare il maestro del piccolo Alcide... ovvero, di colui che un giorno sarebbe diventato Ercole, il più forte di tutti i mortali. Era una figura misteriosa, avvolta in un ampio mantello nero, con sulla testa un elmo dorato dalla forma peculiare, quasi sferico con delle strane "branchie" a raggiera che uscivano dai lati, e nonostante avesse un aspetto giovanile, un'occhiata più attenta avrebbe probabilmente fatto provare inquietudine piuttosto che attrazione. C'era qualcosa di strano nell'aspetto di quella donna, un sensazione indefinibile che la rendeva immediatamente riconoscibile come inumana.

Gli occhi acuti della donna si strinsero in un'espressione che mescolava curiosità e crudeltà. Inizialmente, non era stata per niente contenta che il futuro eroe si fosse salvato dal colpo di stato di Valcheo e dall'attacco del Ketos. Questo avrebbe complicato le cose, più avanti... tuttavia, quando il suo fedele complice le aveva parlato delle possibilità che qurl pargoletto avrebbe loro offerto in passato, aveva rapidamente compreso che forse, quella con cui avevano a che fare era un'occasione unica.

Effettivamente, in quel momento Ercole era loro più utile vivo. Era un piano un po' rischioso, questo lo doveva ammettere. Ma queste erano considerazioni per il futuro. In quel momento, forse sarebbe stato loro più utile lasciare che Ercole esprimesse il suo vero potenziale. Solo più tardi avrebbero eseguito gli ordini di Hera... e poi, ci avrebbero messo del loro, in barba a quell'arrogante donnetta che si dava tante arie soltanto perchè era la moglie di Zeus. A volte gli dei dell'Olimpo sapevano essere così miopi...

Con un sorriso appena accennato, la donna si voltò, dando un'occhiata al panorama innaturale che si estendeva davanti a lei. Si trovava in piedi su un grande piedistallo di roccia che emergeva da una massa di vapore bianco, sotto un cielo nero punteggiato da infinite stelle, e due lune bluastre che brillavano in lontananza. C'era qualcosa di irreale in quel luogo - se qualcuno si fosse trovato lì in quel momento, avrebbe percepito una sensazione di elettricità che si accumulava tutt'attorno, e un appena accennato odore di ozono che aleggiava in quell'aria ultraterrena.

La donna estese un braccio, rivelando che sotto il mantello indossava uno strano vestito rosato che copriva il suo corpo dal collo fino alle caviglie, aderendo al suo corpo in modo da non fare mistero delle sue forme. Le sue gambe erano protette da un paio di schinieri argentati, e ai piedi indossava un paio di strane scarpe metalliche, mentre un leggero pettorale luccicante copriva il suo torace. Si avvicinò ad una pietra che spiccava sull'isola di roccia, e guardò la strana arma che vi era conficcata... una corta spada che sembrava fatta di un ghiaccio che non si scioglieva mai, e la cui superficie era percorsa da bagliori rossi, verdi e blu che guizzavano su di essa, creando dei peculiari effetti di luce.

"No, non è ancora il momento. Dobbiamo avere pazienza. Abbiamo aspettato tanto a lungo, possiamo aspettare ancora un po', non credi?" disse, apparentemente rivolta alla spada. "Hera crede di avere la situazione sotto controllo... e per un po', non credo che farà altri tentativi di eliminare Ercole. Abbiamo tutto il tempo di prepararci."

Come se la spada stesse rispondendo alle parole della donna, i lampi di luce colorata che la attraversavano si intensificarono di colpo, e la lama di ghiaccio sembrò tremare lievemente per qualche istante, quasi che la strana arma non vedesse l'ora di essere estratta da lì. La donna misteriosa non ebbe alcuna reazione davanti a quello strano fenomeno, e si limitò ad annuire soddisfatta. Dopotutto, era abituata a questo strano spettacolo, e alle frasi che riecheggiarono nella sua mente qualche istante dopo, creando una spettrale eco che tuttavia soltanto lei era in grado di sentire...

"Fai tutte le preparazioni che servono, dunque. Questa potrebbe essere la nostra più grande occasione. Se la sprechiamo, dubito che ce ne capiterà un'altra tanto presto."

"Ovviamente. Per quando arriverà il momento della nostra riscossa, tutto sarà stato adeguatamente preparato. Non falliremo. Non possiamo permettercelo." affermò la donna. Con espressione allo stesso tempo calma ed inquietante, guardò verso lo strano cielo che la sovrastava... e per qualche secondo, vide apparire l'immagine di una meridiana dorata che fluttuava nel nulla, senza che ci fosse alcuna superficie sulla quale si potesse trovare... e subito dopo, delle visioni diafane di strane creature - un serpente con nove teste, un enorme cane a tre teste con una criniera fatta di serpenti vivi, uno stormo di uccelli dalle piume di metallo, un leone dallo sguardo infuocato...

"Nel frattempo... vedremo cosa saprà fare questo novello eroe." affermò. "Credo che i prossimi anni saranno molto divertenti."

 

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Nello stesso tempo, sul Monte Olimpo, Hera aveva osservato con fastidio quello che era accaduto. Il Ketos che aveva mandato per eliminare il piccolo Ercole aveva fallito - la dea non aveva immaginato che il neonato fosse già in grado di fare uso della forza incredibile che Zeus gli aveva donato. Questo complicava non poco le cose... e ora che Alcmena ed Ercole erano sotto la protezione di Chirone, uno dei più devoti seguaci di Zeus, ad Hera non era più permesso agire direttamente contro di loro. Si risolse di aspettare, almeno finchè non fosse venuto il momento in cui il fanciullo Ercole avrebbe appreso tutto di sè... ma per quanto la durata delle loro vite potesse misurarsi in ere geologiche, la pazienza non era una virtù di cui molti dei disponevano. Hera si rassegnò ad aspettare, ma l'idea le dava parecchio fastidio.

"Non capisco, Zeus... non capisco come mai tu conceda tanta benevolenza ai mortali." affermò Hera tra sè, sinceramente addolorata del fatto che i loro punti di vista divergessero così tanto su questo argomento. "Hanno fatto qualcosa per dimostrarsi degni dei nostri doni? Non fanno altro che provocare caos e disastri, e poi sperare in un aiuto dall'alto... se noi dei continuiamo a coccolarli in questo modo, non saranno mai in grado di reggersi sulle proprie gambe. E se non sarà così... forse è meno crudele da parte nostra abbandonarli al loro destino, piuttosto che permettere loro di continuare a vivere in una gabbia dorata."

"E' questo quello che pensi, moglie mia?" chiese la voce bonaria di Zeus. Hera guardò dietro di sè, verso l'arcata dalla quale il suo amato e odiato marito aveva appena fatto il suo ingresso nella grande sala. Il suono dei sandali dorati di Zeus sul pavimento di marmo splendente accompagnò quei brevi momenti, prima che Zeus la raggiungesse e appoggiasse delicatamente una mano sulla sua spalla. Hera storse il naso e guardò verso uno dei magnifici bassorilievi che ornavano quella sala, e che rappresentavano scene della Titanomachia, in particolare il momento in cui Zeus aveva sopraffatto Campe, l'orribile mostro a guardia del Tartaro.

Questa era una sensazione che irritava Hera, e che al tempo stesso le rendeva così irresistibile il suo rapporto con Zeus. Lei stessa non riusciva mai a capire come facessero ad avere un tale affetto l'uno verso l'altra malgrado litigassero così spesso, malgrado le scappatelle di Zeus con dee e donne mortali, e malgrado il carattere irascibile e vendicativo di Hera. Era un mistero anche per lei, eppure nonostante tutto, tornavano sempre l'uno dall'altra, e si amavano come il primo giorno...

"Lo sai come sono fatta, Zeus. Non ho mai preso in simpatia i comuni mortali. Perchè dobbiamo rendergli le cose facili invece che lasciare che se la cavino da soli?" chiese Hera, ancora convinta della sua scelta. "Che cosa ne guadagniamo, noi dei? L'universo non diventerà un posto migliore se lasciamo che gli umani continuino ad affidarsi a noi per ogni cosa."

"Non posso darti torto, mia cara." affermò Zeus, abbracciando la moglie con affetto. "Effettivamente, come dici tu, i mortali si affidano a noi dei per risolvere i loro problemi. E' una cosa della quale la razza umana non si è ancora liberata del tutto."

"Ma allora, perchè hai deciso di continuare ad aiutarli?" chiese Hera. "Perchè questa idea di un eroe che combatta per loro? Non li renderà ancora più dipendenti da noi?"

Zeus sorrise astutamente. "Non necessariamente, Hera. Tutto dipende da come sapranno accogliere questo dono che gli abbiamo fatto. Sapranno comprendere, tramite questa persona che cammina sulla strada che ha scelto lui, invece che essere manipolato dal Fato, che anche in loro c'è il potere di prendere la loro strada?" affermò, ed Hera corrugò la fronte con fare dubbioso. Cosa stava cercando di dire Zeus? Era forse una prova a cui lui stava sottoponendo i mortali, piuttosto che un semplice aiuto gratuito? A volte Zeus agiva in maniera così imprevedibile... e le dava un po' fastidio non capirlo al volo.
"Non possiamo pretendere che gli uomini camminino sulle loro gambe così presto, e soprattutto così all'improvviso, dopo che si sono affidati a noi per tutto questo tempo." continuò il Signore dei Nembi. "Noi dei dobbiamo cominciare a dare l'esempio, e cercare di guidarli sulla strada giusta. Dobbiamo fare in modo che comincino man mano a capire che non potranno affidarsi a noi per sempre... e tramite l'esempio di Ercole, avranno la possibilità di rendersi conto che anche in loro alberga un grande potere."

Hera non mostrò alcuna reazione, persa nei suoi pensieri. Comprendeva bene quale fosse il ragionamento del marito, e per certi versi ammirava il fatto che Zeus avesse tutta questa fiducia nei confronti del genere umano, e fosse così deciso ad aiutarli... ma lo stesso non riusciva a condividere il suo punto di vista. Gli uomini dovevano dimostrarsi degni di tutto ciò che gli dei avevano fatto per loro... non la pwensava così anche Zeus stesso, una volta?

Hera abbracciò il marito, sentendosi allo stesso tempo rilassata e frustrata, se una cosa del genere poteva avere senso... Per adesso, non c'era molto da fare, se non permettere che la situazione restasse quella. Forse, riflettè, non ci sarebbe stato davvero bisogno di fare nulla. I mortali stessi le avrebbero dato ragione. Davanti alla fragilità, alle contraddizioni e all'imperfezione dei comuni mortali, anche un cosiddetto eroe come Ercole avrebbe dovuto arrendersi all'evidenza e ammettere che i mortali andavano lasciati al loro destino...

 

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E così, passavano gli anni.

Quel bambino che assieme alla madre era riuscito per poco a fuggire da Tebe durante la rivoluzione... cominciava a crescere.

Dapprima, la sua crescita non era stata troppo dissimile da quella di un bambino comune. Il piccolo Alcide cresceva sano e forte, sotto gli insegnamenti del saggio Chirone, che fin dalla prima infanzia gli insegnava a cavarsela da solo, ad esplorare le terre selvagge, a combattere, a cacciare... In ogni lezione, il fanciullo mostrava grande abilità, determinazione e talento, e alle porte dell'adolescenza, il centauro doveva ammettere che stava superando ogni sua aspettativa. Non solo la sua forza fisica avweva tenuto fede a quella che aveva dimostrato il giorno in cui Chirone lo aveva incontrato... ma Alcide dava continuamente prova di notevole intelligenza e prontezza di pensiero. Il saggio centauro non poteva fare a meno di pensare che anche questo era un dono che il sommo Zeus aveva fatto all'uomo da lui prescelto per essere il più alto esempio di umanità...

Questo non voleva dire che il fanciullo fosse perfetto, certo che no. Anche lui, come tutti, commetteva i suoi errori. Anche lui aveva le sue debolezze, come ad esempio degli scatti d'ira in certi momenti in cui le cose non andavano come voleva lui... oppure, cosa che aveva sorpreso un po' Chirone, il fatto che a volte si lasciasse prendere dalla pigrizia dopo essere riuscito a fare qualcosa che aveva lasciato il suo insegnante a bocca aperta per lo stupore.

Tuttavia, non erano quei difetti a negare l'affetto e l'orgoglio che Chirone provava verso quello che stava rapidamente diventando il suo allievo prediletto. Nel corso degli anni, Chirone era diventato il padre che Ercole non aveva mai avuto, e il saggio centauro, che al contrario di molti altri membri della sua razza non aveva mai avuto particolare interesse verso le donne, aveva scoperto la meravigliosa sensazione di essere un padre e un maestro.   

Tra una lezione e l'altra, c'era sempre Alcmena che supportava entrambi con la sua dolcezza e il suo coraggio. Il legame tra madre e figlio era rimasto saldo nel tempo, e Alcide si era dimostrato un figlio devoto e rispettoso, oltre che amorevole. Nonostante le difficoltà di una vita condotta nel profondo della foresta, vivendo della caccia di Chirone e dei frutti della terra, il guerriero il cui nome sarebbe stato tramandato ai posteri come Ercole non avrebbe avuto dubbi nel dire che la sua infanzia era stata felice e piena.

Vent'anni erano passati in questo modo. Il bambino era diventato un ragazzo, e finalmente un uomo, bello e forte, con tutte le qualità che un guerriero avrebbe dovuto avere. La data fatidica si stava avvicinando. Molto presto, sarebbe venuto per Alcide il momento di sapere tutto sulla sua città... sulle sue origini... sul suo destino... tra non molto, non gli sarebbe più stato possibile proteggerlo dai suoi nemici. Poteva solo sperare che i suoi insegnamenti avrebbero dato frutto, e sarebbero stati sufficienti ad Alcide... anzi, ad Ercole... per realizzare ciò per cui era stato mandato nel mondo dei mortali.      

Quella mattina, erano questi i pensieri di Chirone mentre lui e il suo allievo prediletto attraversavano quel tratto di foresta. Un grande albero secolare era caduto durante la notte, ostruendo il sentierino fangoso che portava al fiume. Come se la cosa fosse un incidente di poco conto, l'uomo attraente e muscoloso che il suo allievo era diventato in quei vent'anni si era messo lì, accanto al tronco... e lo aveva sollevato a mani nude, con la sola forza delle braccia, e con uno sforzo davvero esiguo! Sollevando l'enorme tronco come se fosse stato niente più che un paletto di legno, Alcide lo tolse dalla strada e lo rovesciò dalla parte opposta, stando bene attento che non colpisse altri alberi.

"Le tue braccia... possiedono veramente la forza di Zeus, mio allievo." disse Chirone, sapendo di dire una cosa ovvia.     

Alcide annuì lentamente, e si voltò rivolgendo al suo maestro un sorriso un po' incerto. Negli anni, quello che Chirone aveva visto per la prima volta come un infante indifeso era diventato un uomo alto e muscoloso, con i capelli castani e leggermente ricci, e un viso chiaro e pulito, dagli occhi splendenti nei quali si riusciva a leggere tutta la forza di volontà che lo animava. Indossava una semplice tunica di colore neutro, con una cintura di cuoio alla quale teneva appesa una corta spada di bronzo, e un paio di sandali di cuoio lavorati in maniera un po' rozza ma funzionale - un modo di vestire che faceva subito pensare ad una persona semplice e pratica, e il cui fisico era quello di una persona abituata alla fatica e all'impegno costante.

"Lo so, maestro. Ma ancora non ne so il perchè." affermò Alcide, con voce chiara e sicura di sè, dalla quale traspariva giusto un pizzico di malinconia. "Ci deve per forza essere un motivo se il sommo Zeus, il padre di tutti gli dei, mi ha concesso una tale forza."

Questa, per Chirone, fu la conferma che lui aspettava. Ormai non si poteva più rimandare. Era il momento di rimettere in moto le ruote del fato. Era il momento che tutto andasse al suo posto... a cominciare dalla città di Tebe, che per troppo tempo aveva atteso qualcuno che la liberasse dalla tirannia di Valcheo.   

"Alcide, allievo mio prediletto." affermò Chirone dopo averci pensato su un po', e aver concluso che finalmente era il momento della verità. "Era da molto tempo che attendevo questo giorno. Vent'anni fa, quando incontrai te e tua madre sul greto di quel fiume... non avrei mai pensato che sarebbe stato per me l'inizio di un periodo così felice e pieno di soddisfazioni. Ma adesso... è giunto il momento che tu sappia il resto della verità su te stesso... e sul perchè di questa tua forza."

Alcide corrugò la fronte appena un po'. Quante volte aveva chiesto qualcosa sui misteri che circondavano la vita sua e quella di sua madre... e Chirone gli aveva sempre risposto, con rammarico, che queste risposte avrebbero dovuto attendere il momento giusto, quando lui fosse stato in grado di difendersi da coloro che lo avrebbero avversato. Forse quel momento era arrivato?

"Che vuoi dire, mio maestro?" chiese il giovane. "E' giunto forse il momento... di dare una risposta a tutte le domande che mi sono posto da così tanto tempo?"

"Vieni con me, mio giovane allievo." disse Chirone con un cenno della testa. "E' giusto che finalmente tu abbia delle risposte. Ma sappi che ti porteranno ad altre domande... e che quello che saprai su di te potrebbe non piacerti."

"Non importa." rispose Alcide con decisione. "So che potrebbe essere una verità che non mi piace. Ma solo così potro cominciare a trovare una risposta... a tutte queste domande... questi interrogativi, queste incertezze. Io... sono pronto a sapere, maestro."

"Mi fa piacere saperlo." rispose Chirone, con un cenno che esprimeva orgoglio e approvazione. Era davvero il momento giusto. Finalmente, si sarebbe potuto cominciare a trovare un po' di ordine in quel caos...    


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CONTINUA...    

Note dell'autore: E con questo, siamo riusciti a concludere la parte dedicata alle origini di Ercole. TRa non molto, Alcide/Ercole saprà tutto sulle sue origini, e soprattutto sul vile tradimento di Valcheo... finalmente è giunto per lui il momento di fare i suoi primi passi sulla sua strada eterna. 

Spero che la scena tra Zeus ed Hera non sia sembrata troppo forzata. Ho cercato di esprimere il fatto che il modo di pensare e di agire degli dei dell'Olimpo non è esattamente uguale a quello di un essere umano. So che è un po' difficile da spiegare, ma è il motivo principale per cui Hera prova questi sentimenti così contrastanti e allo stesso tempo irresistibili per Zeus, pur trovandosi così spesso in disaccordo con lui. Ma... lascio a voi decidere se sono riuscito ad esprimere bene questo concetto. 

Non ho molto altro da dire, quindi... alla prossima! :)             

 

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