Mind Over Matter

di Isbazia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quando Lincoln aveva accennato ad una breve vacanza in montagna nessuno lo aveva preso sul serio. Anya gli aveva riso in faccia e io mi ero limitata ad alzare un sopracciglio, senza proferire parola. Sul momento la cosa non sembrava l’ideale. Forse lavorare come personal trainer permette una vita poco stressante, soprattutto se sei il proprietario dell’intera palestra, quindi puoi prenderti tutte le ferie che vuoi. Tutto ciò non succede se lavori in un bar per conto della proprietaria, che si da il caso essere anche la tua coinquilina. Anya è innamorata del suo lavoro e di certo non si concede chissà quanto tempo fuori dal suo ‘rifugio sereno’, come lo chiama lei. Eppure, una settimana più tardi, con l’inverno quasi alle porte, qualche giorno sulla neve cominciava a sembrare una proposta accettabile.

Non sono mai stata un tipo troppo intraprendente, mi piace stare tra le mura di casa. Ovviamente l’ostacolo maggiore ero io. Lincoln non faceva altro che parlare di questo incredibile posto tra le montagne, di divertimento e relax, di come sarebbe stato interessante conoscere nuova gente, soprattutto gli amici di Octavia. Dio, quanto è ossessionato da questa ragazza. Forse ho ceduto per esasperazione, o forse perché alla fine anche Anya sembrava propensa a staccare un po’ da tutto. Non saprei, ma giusto il tempo di preparare valige e scorte di cibo spazzatura e mi sono ritrovata in macchina con due scemi che cantano a squarciagola tutte le canzoni che trovano. Sono scemi, sì, ma non so cosa farei senza di loro.
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Il viaggio in macchina è parecchio scomodo, ma almeno a turno ci diamo il cambio per guidare. Fortunatamente il tempo fuori non sembra essere male, una di quelle rare giornate autunnali con un sole che spacca le pietre. Questo clima mi ricorda tanto il periodo in cui vivevo con i miei genitori, intorno ai sette anni circa, e adoravo passare i pomeriggi fuori, era tutto così bello. Già, era. Alzo il volume della radio e cerco di concentrarmi sulla strada, non voglio rovinarmi l’umore già il primo giorno.

Quando arriviamo davanti al piccolo chalet dove Lincoln ha prenotato la nostra vacanza tiro un sospiro di sollievo e scendo svelta dalla macchina per potermi sgranchire le gambe. Mi accorgo subito del cambio radicale di temperatura rispetto alla città, avverto i brividi pervadermi tutto il corpo, e istintivamente incrocio le braccia contro il petto e stringo forte per farmi calore in qualche modo.

“Il cappotto funziona meglio, Squiddy” mi sussurra Anya, mentre mi passa accanto, facendomi l’occhiolino e dandomi un colpetto sulla spalla con il pugno.

“Odio quel soprannome, e lo sai!” le urlo mentre lei si allontana. Lo odio davvero. Nessuno ha mai preso sul serio la mia passione per i calamari giganti, è davvero così strano? Mi avvicino al sedile del guidatore, afferro il mio cappotto nero e lo indosso tremante.

Lincoln mi aiuta a scaricare i bagagli dall’auto, facciamo tutto in fretta, siamo abbastanza stanchi ed entrambi non vediamo l’ora di poterci sdraiare un po’. Io sinceramente spero di passare tutta la sera in camera, anche se in macchina credo di aver sentito una conversazione riguardo un qualche locale, gente, festa. Al solo pensiero mi viene voglia di morire seduta stante. Anche se, odio ammetterlo, avverto un po’ di senso di colpa nei confronti dei miei amici. Siamo arrivati da meno di dieci minuti e già penso di sabotare tutte le uscite insieme. Sono un disastro. E sono talmente assorta nei miei pensieri che quando Lincoln appoggia la sua mano sulla mia spalla quasi salto in aria.

“Ei, Lexa…voglio ringraziarti per aver deciso di venire, significa tanto per me. Ti prometto che non te ne pentirai” mi dice serio, guardandomi con occhi dolci e sfoderando uno dei suoi sorrisi più ammalianti. Molto scorretto.

Però le sue parole si fanno un po’ di spazio dentro di me e non posso fare a meno di sentirmi meglio. Sulla mia bocca si forma un accenno di sorriso. Lincoln mi osserva per un altro paio di secondi e poi si volta, afferra tutto quello che può e si dirige verso lo chalet. Io resto ferma alcuni minuti, mi guardo intorno, e in effetti il posto è meraviglioso. Lo chalet è tutto interamente fatto di legno, compresa la piccola scalinata che porta all’ingresso principale, ed è completamente circondato dalla natura. Ci sono delle bellissime cascate di edera che scendono dalle balconate, ci sono alberi altissimi (sicuramente degli abeti) che fanno capolino da dietro la baita, cespugli che ricoprono il perimetro della struttura e tutt’intorno una distesa di soffice neve bianca che copre tutta la zona antistante. Sembra un piccolo angolo di paradiso, riparato e intimo. Forse riuscirà davvero a piacermi questa piccola vacanza, forse riuscirò a liberare un po’ la mente, a non isolarmi, a godere del tempo che passo con i miei amici, senza dover per forza rovinare tutto. E forse, per una volta, mi voglio impegnare davvero affinché vada tutto bene.
//
L’interno dello chalet è ancora più affascinante e suggestivo. La cosa che mi colpisce subito è l’intenso odore di muschio e corteccia che percepisco non appena metto piede dentro la struttura. È pungente a primo impatto, ma diventa sempre più dolce e piacevole man mano che avanzo. L’ingresso è molto piccolo, occupato solamente da un massiccio bancone in legno scuro, decorato con un paio di animaletti intagliati, una paio di lanterne che emanano un’intensa luce arancione, diversi depliant dell’albergo e un cenno di decorazioni natalizie. Immagino che quassù alla gente non importi più di tanto il fatto che sia ancora novembre. Di certo il clima aiuta ad accelerare i tempi. Da dietro il bancone si erge una figura femminile, con le braccia dietro la schiena e un grosso sorriso stampato in faccia. Indossa quello che sembra essere un maglione bianco parecchio pesante, e una piccola targhetta metallizzata proprio all’altezza del cuore con scritto “Sienna”. Una sciarpa di un verde molto scuro le avvolge il collo, sollevandole leggermente i capelli dorati. Non posso fare a meno di notare che quel colore le risalta molto gli occhi, che per un attimo mi sono sembrati grigi, ma guardando con più attenzione ho notato le sfumature verdi, non appena un po’ di luce le si è posata sul volto. Forse si è accorta che la sto fissando e si avvicina.

“Prima volta a Mount Weather?” mi chiede sorridendo, inclinando un po’ il capo. Io annuisco un po’ imbarazzata, non me la cavo molto ad intrattenere una conversazione con un completo sconosciuto.

“Sono sicura che ti piacerà l’atmosfera di questo posto sperduto. Benvenuta al Trigeda Chalet”. La donna mi  sorride nuovamente e poi si volta, si allunga verso il bancone, afferra un depliant e me lo porge con gentilezza. Noto che sul polso ha un tatuaggio, non riesco ad identificarne la forma, ma sembra continuare anche sotto la spessa manica del maglione. La donna mi da un paio di indicazioni riguardo la struttura, mi augura una buona permanenza e mi lascia sistemarmi nella mia camera. Mentre varco la soglia della stanza mi chiedo che fine abbiano fatto Anya e Lincoln. Lascio cadere le valige ai piedi del letto e osservo un po’ l’ambiente. La camera non è troppo piccola, c’è un letto matrimoniale proprio di fronte la porta, appoggiato alla parete, sotto una bellissima finestra in vetro, e c’è anche un comodino proprio lì accanto, decorato con un vaso di fiori gialli e delle candele, mentre sulla sinistra dell’ingresso è appoggiata una piccola scrivania, con tanto di sedia e altre candele. Ottimo, adoro le candele. Non c’è un armadio, ma a destra del letto vedo un specie di comò, con tre cassettoni. Faccio un giro veloce e provo a sistemare più cose possibili. Odio il disordine che si è inevitabilmente creato sul letto. Non esiste che lasci una singola cosa fuori posto.

Per poco non mi viene un infarto quando sento una porta aprirsi di botto, seguita da una sorta di urlo misto a risatine convulse. “Bagno comunicante, Woods! Dio, questo posto è incredibile”. Anya. Non so se avverte tutto l’odio che sto provando per lei dopo aver seriemente rischiato un attacco di cuore.

“Mi hai fatto venire un colpo, accidenti a te” borbotto mentre torno a sistemare gli ultimi indumenti dentro i cassetti. Anya alza gli occhi al cielo e con molta tranquillità si avvicina al mio letto e ci salta su, guardandosi un po’ intorno.

“Però, devo dire che questa stanza sembra proprio perfetta per te” comincia in tono ironico. Io faccio finta di non ascoltare e continuo a darle le spalle. “Spero tu abbia intenzione di finire presto questo tuo rituale da casalinga ossessivo-compulsiva, stasera si esce baby”. Mi volto di scatto con espressione leggermente infastidita. Anya mi guarda con un sorriso malefico stampato in faccia. Ovviamente si aspettava quella mia reazione.

“Non fare quella faccia Woods, siamo appena arrivati, dovresti essere entusiasta. E poi, Lincoln ha appena parlato al telefono con Octavia e non vede l’ora di farci conoscere tutti i suoi amici” conclude lei, appoggiando le mani sul bordo del materasso e inclinando la testa in cerca del mio sguardo. So che non dovrei fare la guastafeste, neanche io a volte sopporto questo mio lato così asociale, però sento di stare già entrando in ansia. Non appena Anya ha accennato di uscire il mio stomaco ha cominciato a contorcersi istintivamente, è quasi come se ormai non controllassi più il mio corpo. So che Anya ha ragione, e so che le sue sono soltanto buone intenzioni, non cerca di convincermi per capriccio. Lei è l’unica persona al mondo che conosca da vicino i miei problemi relazionali, sa bene che deriva tutto da qualcosa di più grande, e non mi ha mai fatto nessun tipo di pressione, anzi ha sempre cercato di farmi affrontare tutto con la maggiore tranquillità possibile. Quasi mi sento in colpa a guardarla sempre male ogni volta che mi propone qualcosa di nuovo. Subito ripenso alle parole di Lincoln, e mando giù con forza un piccolo nodo che mi si era formato in gola. Posso farcela.

“Per che ora devo farmi trovare pronta?” le chiedo, incrociando le braccia e arrendendomi definitivamente.

“Ecco la mia Lexa” mi risponde lei, scattando in piedi con una smorfia di soddisfazione sul viso. “Cerca di farcela per le 9, usciamo subito dopo cena”. Con una pacca sul didietro mi saluta sorridente e sguscia fuori dalla stanza tramite la porta del bagno. Mi appoggio al mobile di legno che mi trovo dietro e sospiro pesantemente. Serata fuori, gente, persone sconosciute, caos.
 
È solo una serata come un’altra, Octavia e un paio di amici, ce la puoi fare Lexa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Jeans neri attillati, felpa extra-large grigio chiaro con un’enorme “Oxford” stampato sopra, semplice cappellino di lana nero in testa e uno sguardo confuso riflesso sullo specchio. Non ho proprio idea di come vestirmi. Questo abbinamento sembrava convincente fino a pochi istanti fa. Come lo sembravano gli ultimi tre che ho cambiato nel giro di dieci minuti. Non ce la farò mai a sistemarmi in tempo, manca poco alle 9 ormai e sono ancora immobile davanti allo specchio. Non so che tipo di serata sarà, non so in che locale andremo, non so nemmeno quanto freddo faccia realmente fuori. Esasperata mi volto verso il letto e sbuffo. Cerco di sgombrare la mente e rilassarmi. Inspiro. Espiro.

Sento bussare per la seconda volta. “Dieci minuti Woods!” mi avverte Anya dal bagno. Mi metto le mani nei capelli. Osservo la confusione di vestiti che sto per lasciare sul letto e cerco di scacciare via i brividi che stanno per farsi strada lungo la mia schiena. Sotto un paio di jeans chiari scorgo un bordeaux intenso, mi avvicino e afferro il maglione che mi aveva regalato Lincoln un paio di compleanni fa, allargandolo per bene davanti a me. Sembra ottimo. Mi cambio velocemente e sistemo nuovamente il cappello. Un ultimo sguardo allo specchio, controllo il trucco e credo di poter finalmente dire di essere pronta. L’insieme non sembra affatto male, il maglione è stupendo con questo scollo a barca, ma di sicuro mi terrà abbastanza calda per tutta la sera. Ho preferito non fare granché col trucco, giusto un filo di matita nera e un po’ di mascara, non ho intenzione di impressionare nessuno. Mi avvicino alla scrivania, afferro il lungo cappotto nero e la borsetta, soffio velocemente sulle ultime candele accese rimaste ed esco dalla stanza facendo un grosso respiro.
//
Nella mia vita ho visto tanti tipi di locali, anche alcuni molto strani, ma questo “Shrieking Bar” li batte tutti. Lincoln aveva cercato di spiegarci che tipo di posto fosse, che gente lo frequentasse, ma sinceramente non credevo che ‘locale alternativo’ e ‘gente alla mano’ fossero solo eufemismi. Appena ci avviciniamo all’entrata si sente già la musica risuonare all’interno, sentiamo risate ad alta voce e qualche sporadico colpo sordo che accompagna il tutto. Non a caso il nome Shrieking. All’inizio non sono molto convinta di voler scoprire il livello di caos che si nasconde dentro quel locale, ma non passa troppo tempo che già Anya mi prede sotto braccio e mi trascina con lei, ammiccando contenta.

“Sembra elettrizzante!” dice entusiasta. Apriamo la porta ed è tutta una gran confusione di suoni e rumori. La musica sembra voler fare esplodere gli altoparlanti disposti agli angoli delle pareti, il locale è pieno di gente, chi seduto ai tavoli e chi vicino al bancone. Tutti parlano più o meno ad alta voce, molti di loro ridono di gusto e altri urlano frasi incomprensibili prima di bere il loro shot e sbattere violentemente i bicchieri sui tavoli di legno. Cerco di fare chiarezza nella mia testa osservando con attenzione tutta la sala.

“Credo che tu abbia dimenticato di specificare quanto casino ci fosse in questo posto” cerco di farmi sentire da Lincoln, che mi sorride con espressione colpevole e fa spallucce. Inutile dire quanto vorrei che i suoi sorrisi non mi facessero effetto, ma non posso negare la tranquillità che mi trasmettono. Se avessi avuto un fratello maggiore, probabilmente lo avrei adorato come adoro lui.

“Avanti Lexa, buttiamo giù un po’ di carburante e diamo inizio a questa serata” mi risponde lui, mettendomi un braccio sulle spalle e guidandomi verso il bancone.

“Io credo che alla nostra Lexa non ne servirà poi molto, data l’ultima esperienza” commenta Anya, con un sorrisetto divertito, facendo l’occhiolino a Lincoln. Lui per tutta risposta scoppia a ridere e cerca vanamente di ricomporsi dopo aver visto il mio sguardo di ghiaccio.

“Molto divertente. Innanzitutto, quella serata era cominciata malissimo, e non c’è bisogno di ricordarvi il perché. E poi, il liquore fatto in casa di Nyko è più forte di quanto sembri” tento di spiegare con serietà, anche se le facce divertite dei miei amici non mi aiutano a tenere il broncio per molto.

“Lexa, quella doveva essere una semplice serata per risollevarti il morale dopo la batosta di ‘tu sai chi’, ma sono bastati un paio di bicchieri per trasformarla in un karaoke alcolico” ridacchia Anya, incrociando le braccia e inclinando leggermente la testa, in attesa di una mia risposta. Rendendomi conto di avere le spalle al muro mi limito a farle una smorfia e ad uscirle la lingua.

Davanti al bancone riusciamo a trovare solo un paio di sgabelli liberi, così io ed Anya ci accomodiamo (dopo un tipico atto di cavalleria da parte di Lincoln) e tutti e tre decidiamo cosa ordinare. Mentre Lincoln attira l’attenzione del barista io mi guardo un po’ intorno. C’è davvero gente di tutti i tipi, a partire da un gruppo di montanari cinquantenni barbuti che sorseggiano la loro birra direttamente dalla bottiglia, a coppie di svariate età che discutono davanti ai loro drink, a gruppetti di amici che ridono e si divertono sotto i fumi dell’alcol. Devo ammettere che l’atmosfera non è poi così male. Il posto è parecchio caotico, anche perché il locale non è grandissimo, però si respira aria di spensieratezza e divertimento. Il look da vecchio rudere in pietra e legno grezzo aiutano a calarsi completamente nell’ambiente tipico di montagna, grazie anche all’illuminazione non eccessiva, data soltanto da una serie di lanterne disposte sulle pareti in corrispondenza di ogni tavolo e da un paio di neon istallati dietro il bancone di legno. Noto anche un piccolo palco in fondo alla sala, ma non sembra molto praticato stasera.

“Birra per le signore e whiskey per lei” annuncia il barista, scuotendomi dai miei pensieri e facendomi voltare di scatto verso di lui. Sorrido timidamente e prendo la mia birra.

“A noi e all’inizio di questa nuova avventura!” propone Lincoln, alzando il bicchiere verso di noi. Annuisco sorridente e insieme ad Anya alziamo le bottiglie e brindiamo. La serata comincia.
//
Siamo seduti al bar da almeno una decina di minuti, ma di Octavia nemmeno l’ombra. Lincoln deve essersi slogato il collo a forza di guardarsi intorno alla ricerca di un viso conoscente. Sinceramente credevo che lei e i suoi amici fossero già nel locale quando siamo arrivati noi, ma a quanto pare non è gente molto puntuale. Questa cosa mi infastidisce non poco. Relax, Lexa.

“Dovrebbero arrivare a momenti” ci avverte Lincoln con un enorme sorriso stampato in faccia, guardando il cellulare. Davvero non vede l’ora di rivedere la sua ragazza. A volte penso che certe sue reazioni siano un po’ esagerate, però non l’ho mai visto così felice in vita sua, e devo dire che la cosa mi fa tanto piacere. E poi, ho avuto l’onore di conoscere Octavia per bene, e credo che non possa esistere ragazza migliore per lui.

“Lo spero bene, sto diventando vecchia su questo sgabello” commenta Anya con aria sostenuta, prendendo un sorso di birra.  Il tempo di scambiarci un’occhiata complice e vediamo Lincoln drizzare la testa verso l’entrata e agitare il braccio per farsi vedere. Io ed Anya ci sporgiamo leggermente per vedere chi si avvicina verso il bancone. Eccola lì, Octavia, in tutta la sua allegria e il suo splendore. Dietro di lei segue un gruppo di persone, tutte più o meno della stessa età. Riconosco Bellamy Blake, suo fratello, un ragazzo non altissimo, ma con un corpo massiccio e dei riccioli caratteristici che gli scendono sopra gli occhi. Tutti gli altri sono dei perfetti sconosciuti. Lincoln afferra la sua ragazza e la stringe in un abbraccio, mentre gli altri si raggruppano davanti a noi, e ora riesco a vederli meglio. Insieme ai Blake ci sono due ragazzi mingherlini, uno asiatico e l’altro con degli occhialoni da snowboard in testa, e due ragazze, una con tratti ispanici e l’altra biondissima con un paio di occhi azzurri stupendi. Che occhi…

“Ragazze, conoscete già Bellamy… ” comincia Lincoln, indicandolo di fronte a noi. Con un segno del capo annuiamo e rispondiamo con un sorriso, mentre Lincoln continua a presentarci il resto del gruppo. “Loro invece sono Monty, Jasper, Raven e Clarke”. In ordine comincio a stringere le mani a tutti e a ricambiare l’entusiasmo con un timido sorriso. Rimango un po’ spiazzata quando stringo la mano della bionda con gli occhi stupendi, Clarke. Non so dire cosa sia successo, ma una strana sensazione mi ha pervasa, ho avvertito un brivido lungo tutta la schiena e uno strano movimento allo stomaco. Credo abbia avvertito la mia temporanea assenza, perché si schiarisce la gola e mi rivolge un’occhiata interrogativa, accompagnata da un sorriso.

“Tutto bene?”. La sua voce… non so cosa, ma di sicuro qualcosa di strano mi sta succedendo. Colta un po’ alla sprovvista blatero un ‘sì’ e distolgo lo sguardo. Non riesco a mantenere il contatto visivo, è ipnotico, mi distacca completamente dalla dimensione reale. Che sensazione strana…

Decidiamo di accomodarci ad un tavolo appena liberatosi, proprio di fronte al bancone, attaccato alla parete di pietra. Ordiniamo nuovamente da bere. Ho bisogno di un’altra birra. Anya si siede accanto a me e sembra tranquillissima. Io invece mi sento leggermente spaesata e stranamente incuriosita da tutta questa nuova situazione. I ragazzi cominciano a parlare un po’ di loro, come si sono conosciuti, come hanno conosciuto Lincoln, cosa fanno nella vita e cosa ci fanno tutti insieme in questa Mount Weather. Sembrano tutti molto uniti, e devo ammettere che sono una compagnia piacevole. I due ragazzi, Jasper e Monty, sono sempre pronti con qualche battuta da fare, con qualcuno da prendere in giro, e Raven gli fa da ottima spalla. Octavia è una che sta al gioco, ma è quella più pacata nel gruppo. E poi c’è Clarke, lì di fronte a me, che beve la sua birra scura e tra una risata e l’altra mi lancia diverse occhiate. Sono sfuggenti, sguardi veloci, rubati. Forse me li sto solo immaginando. Forse l’alcol comincia a farsi sentire sotto forma di allucinazioni. Dovrei smettere di pensarci e godermi la serata.

“Allora, Lexa, tu invece cosa fai per vivere?” vengo riportata alla realtà da Jasper, che mi guarda sorridente in attesa di una mia risposta.

“Oh, ehm… studio letteratura. Saltuariamente aiuto Anya al bar dove lavora” rispondo un po’ impacciata.

“Al bar che Anya possiede, specifichiamo” mi corregge lei in tono di superiorità, punzecchiandomi il braccio con un dito. La reazione dei ragazzi è quella di un rumoroso ‘ooh’ seguito da alcune risate soffocate. Io alzo gli occhi al cielo, ma sorrido. Anya è sempre la solita.
 
La serata continua così, tra risate, altro alcol e ancora risate. Siamo quasi tutti abbastanza brilli, e le conversazioni si fanno sempre più strane e divertenti. Forse perché riusciamo a ridere per ogni singola parola che diciamo. Non passavo una serata così da un po’ di tempo, e la tranquillità che sento addosso è qualcosa di profondamente rilassante. Non faccio più molto caso a tutte le imperfezioni che mi circondano, non sento la necessità di preoccuparmi di quello che succede attorno a me, e forse per questa sera non devo farlo affatto. Eppure c’è una cosa di cui mi accorgo, una cosa che non posso fare a meno di notare: Clarke continua a guardarmi. Non so se sentirmi lusingata o intimorita. Non conosco questa ragazza, so solo quello che ha condiviso con tutti qui, attorno a questo tavolo. So che disegna di professione e che ama cantare, so che sua madre è un dottore e lavora in un pronto soccorso a Mount Weather per tutta la stagione sciistica, ed è per questo che lei si trova qui, e ogni inverno invita i suoi amici per passare le vacanze insieme. Non so altro. Anche se credo di volerlo scoprire.

“Dovreste venire a trovarci alla Sky Crew, abbiamo delle piste fantastiche, potete essere nostri ospiti” interviene Monty, col il supporto di un Jasper super sorridente accanto a lui. Il viso degli altri si illumina e cominciano una serie di ‘sì’ da parte di tutti, mentre Raven e Clarke si scambiano un’occhiata complice.

“Sarà divertente, è una zona turistica riservata, siamo tra amici, possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo” aggiunge Bellamy con un sorriso e battendo il cinque ad Octavia.
 
Non ho mai sciato in vita mia, ma ho fatto snowboard un paio di volte e l’ho adorato, credo che potrebbe essere divertente. Cerco lo sguardo di Anya, che mi guarda e annuisce contenta. Decidiamo di andare alla Sky Crew già la mattina seguente, e i ragazzi ci spiegano come raggiungere il posto e ci dicono di non preoccuparci per l’attrezzatura necessaria, ci forniranno tutto al loro centro noleggi. La serata continua tranquilla, in compagnia di un’atmosfera più rilassante, con della musica suggestiva di sottofondo, e tutto sembra sempre più piacevole. Uscire è stata proprio un’ottima idea, il posto mi piace, la compagnia mi piace… sinceramente, non vedo l’ora di conoscerli di più. Qualcuno più di altri.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Non appena apro gli occhi un forte mal di testa mi investe all’improvviso. Per un attimo non mi preoccupo nemmeno di capire dove mi trovo, né di sapere che ore siano. Tutto ciò che sento è la testa che mi pulsa, e inevitabilmente anche un leggero senso di vertigini. Cerco di mettere a fuoco tutto ciò che mi sta attorno e capisco di essere nella mia stanza d’albergo. La luce entra prepotentemente dalla finestra sopra la mia testa, rendendo tutto molto più nitido. Con un po’ di sforzo mi metto seduta e mi massaggio le tempie. Noto con sorpresa che indosso ancora i vestiti di ieri sera, e un lamento mi esce istintivamente dalla bocca. Credo proprio di dovermi dare una sistemata, magari iniziando da una doccia. Mi convinco a voler sapere l’orario e mi sporgo verso il comodino per afferrare il cellulare e controllare: 9.43. Tiro un sospiro di sollievo. Il viaggio organizzato per andare a trovare gli amici di Octavia è stato programmato per le 11. Un pensiero in meno. Con un po’ di coraggio mi alzo dal letto, mi stiracchio e mi fiondo in bagno.

“Gesù!” quasi urlo. Appena aperta la porta trovo Anya davanti al lavandino, intenta ad osservarsi allo specchio.

“Di solito mi chiamano Anya, tesoro” mi risponde lei impassibile, non distogliendo lo sguardo dalla sua immagine riflessa. Alzo gli occhi al cielo e cerco di far rallentare il cuore, giusto per assicurarmi di non avere un infarto. “Magari dovremmo metterci d’accordo sul bussare, che dici?” mi provoca lei con tono divertito.

“Avevo rimosso questa cosa del bagno comunicante” sbuffo.

“Hai un aspetto orribile, lasciatelo dire” mi informa, sghignazzando “Mi sorprende che tu abbia fatto colpo ieri sera”. Rimango di sasso. Devo essermi persa qualcosa.

“Di che stai parlando?” le chiedo sorpresa, avvicinandomi a lei e costringendola a voltarsi verso di me. Forse non mi accorgo di quanto sia cambiata la mia espressione dopo aver sentito le parole di Anya, ma lei scoppia a ridere non appena mi guarda.

“Dio, non dirmi che non ti sei accorta di niente!” mi dice, sgranando gli occhi e continuando a ridere. Sono un po’ confusa. Ricordo gran parte della serata, ricordo le risate, le battute, l’atmosfera, certe occhiate, ma non ricordo niente di più spinto. Che stia parlando davvero di Clarke? Allora non era solo nella mia testa? La mia faccia deve essere uno spasso, perché Anya si porta la mano davanti la bocca e continua a ridere di gusto.

“Diamine, Lexa, sei incredibile. Quella moretta non ha fatto altro che guardarti e parlottare con la sua amica per tutta sera” mi dice lei, scuotendo la testa e voltandosi nuovamente verso lo specchio. Aspetta un attimo…moretta? Ora sono davvero confusa. Cosa c’entra Raven? Aggrotto la fronte e cerco di fare mente locale e ripercorro gli eventi della notte passata. A parte l’inizio della serata, il resto è tutto molto confuso e indefinito. Però c’è una cosa di cui sono certa, gli occhi di Clarke sui miei, più e più volte. Non ricordo nessun tipo di attenzione da parte di Raven, ne sono sicura. Almeno credo. Tutto questo non fa che aumentare il mio mal di testa, e più ci penso, più mi sento confusa. È possibile che io non mi sia accorta minimamente degli sguardi di Raven? Fino a poco fa credevo di aver attirato solo l’attenzione di Clarke durante la serata, mentre ora scopro che ad osservarmi non era lei, ma la sua amica.

“Cos’è quella faccia lunga? Quella Raven è uno schianto. Ti becchi sempre le migliori”. Le parole di Anya interrompono i miei pensieri e mi riportano alla realtà. Cerco di non badare al suo ultimo commento trasudante esplosione ormonale (Anya non è il tipo da avere peli sulla lingua) e penso ad una risposta valida.

“Non metto in dubbio la bellezza di Raven… è solo che non è lei ad interessarmi” ammetto imbarazzata. Devo essere impazzita. Anya rimane di ghiaccio. Lascia cadere la mandibola e si volta a guardarmi stupefatta. Io mi sento alquanto a disagio, quelle parole hanno sorpreso un po’ anche me. Ho passato tutta la sera precedente a convincermi di avere le allucinazioni, di vedere quegli occhi azzurri stupendi sempre sopra di me, che tutto ciò indicasse un qualche interesse da parte di Clarke nei miei confronti, mentre forse ero proprio io a cercare continuamente quegli occhi, ero io a sorriderle, ero io quella interessata. Sono io. E ora mi sento una stupida…ho involontariamente creato una situazione talmente imbarazzante da voler passare il resto della vacanza chiusa nella mia stanza a nascondermi.

“Questa si che è una bomba!” commenta Anya, soffocando una risata “Sono davvero curiosa di vedere come andranno le cose oggi, quando saremo di nuovo tutti insieme” conclude con un ghigno, incrociando le braccia. Dannazione, avevo quasi rimosso la nostra gita alla Sky Crew. Il cuore mi galoppa nel petto e credo di non aver avuto mai tanta ansia addosso. So già che non sopravviverò a questa giornata.
//
Impieghiamo circa una decina di minuti ad arrivare nel punto indicatoci dai ragazzi. Dieci minuti passati interamente in preda al panico, cercando di scacciare via il pensiero di una possibile interazione con Raven, o tantomeno Clarke. Se solo ripenso alla conversazione avuta con Anya stamattina, mi vengono i brividi. Lei ovviamente non ha perso tempo e ha dovuto raccontare tutto a Lincoln non appena abbiamo messo piede fuori dallo chalet. Ancora se la ride sotto i baffi. Lui mi è sembrato altrettanto divertito dalla cosa, anche se ci ha fatto capire che non è rimasto molto sorpreso dalla notizia del mio interesse nei confronti di Clarke. Ha proprio detto “Si vedeva lontano un chilometro che ti piaceva”. Questo non mi aiuta affatto però, anzi, peggiora tutto. Se quello che dice Lincoln è vero, allora devono essersene accorti tutti, e la cosa mi mette ancora di più in imbarazzo. È stato già traumatico rendersi conto di aver flirtato con la ragazza sbagliata, ma sapere che se ne sono accorti tutti è abbastanza per sotterrarmi definitivamente.

Appena scendiamo dalla macchina, lo spettacolo che vedo è indescrivibile. Non penso di aver mai visto un panorama tanto bello. Se la gioca addirittura con la vista sull’oceano dalla vecchia casa al mare dei miei genitori. È tutto una distesa bianca di neve, da cui sbucano un paio di piccoli edifici in legno e dei gruppetti di alberi altissimi. Dal punto in cui sono io riesco a vedere la valle, che è tutta un miscuglio di colori, strisce indefinite di verde e marrone che si estendono fino all’orizzonte. Il cielo sopra di noi è limpidissimo, completamente sgombro di nuvole. In cima all’edificio più vicino a noi c’è un’enorme scritta che spicca per il suo colore blu acceso: Sky Crew Station. Non c’è dubbio che sia il posto giusto.

“Che meraviglia” commento istintivamente. Un sorriso si fa strada sul mio volto, e per un istante smetto di pensare, spengo il cervello e mi godo lo spettacolo che ho davanti agli occhi. La bellissima sensazione di tranquillità che invade il mio corpo ha però breve termine. Sento aprirsi di scatto una porta e la mia attenzione si sposta sull’edificio più lontano. Vedo uscire Clarke, con indosso un bellissimo abbinamento di pantaloni impermeabili neri e un giaccone da neve blu e bianco. Al collo ha i suoi occhialoni e porta con se una tavola da snowboard. Per un attimo il mio cuore cessa di battere, e poi all’improvviso parte all’impazzata. Mi accorgo di aver trattenuto il respiro tutto il tempo e scuoto la testa per cercare di riprendermi.

“Ecco, è proprio questo quello di cui parlavo”. Lincoln è proprio accanto a me e mi osserva con espressione soddisfatta. Mi rendo conto che parla con me solo quando mi da una leggera gomitata e si schiarisce la gola. Mi volto di scatto verso di lui, che già ride, e inevitabilmente arrossisco.

“Ei rubacuori, guarda chi si avvicina!” interviene Anya, che ci raggiunge e mi fa l’occhiolino prima di farmi cenno di guardare davanti a me. Mi volto e vedo avvicinarsi una Clarke sorridente che ci saluta agitando il braccio. Dietro di lei spuntano Raven e Bellamy, anche loro perfettamente abbigliati e interamente attrezzati. La gola mi si secca e in bocca credo di non avere più saliva. Cerco di mascherare il panico che torna a farsi strada dentro di me con un debole sorriso. I tre ragazzi arrivano davanti a noi e ci danno il benvenuto. Io cerco in tutti i modi di evitare il contatto visivo con Raven, ma il gomito di Anya che sbatte ripetutamente tra le mie costole mi fa capire che lei invece mi sta fissando. Per fortuna non stiamo fermi per molto. Bellamy ci invita a seguirli all’interno dell’edificio principale, una sorta di centro informazioni , con tanto di bar e negozio di souvenir, per registrarci come ospiti speciali, munendoci di pass per tutte le piste e mandandoci al centro noleggio. Lì troviamo Jasper e Monty che ci accolgono con un fragoroso ‘heey’, ci aiutano con l’attrezzatura e ci spiegano un po’ di regole di normale amministrazione. Manca solo Octavia, ma da quello che ho capito è già in pista, quindi la incontreremo strada facendo. La frenesia del momento riesce a distrarmi dai miei pensieri malsani, e comincio a sviluppare una leggera eccitazione per questa giornata. Ritornare su una tavola sarà emozionante.

 Ricordo ancora la prima volta che salii su una di queste. Avevo circa quindici anni, ero con i miei genitori, ed ero entusiasta. Ricordo di aver imparato subito le posizioni base di discesa e soprattutto di frenata. Ricordo mio padre che mi aiutava a stringere gli agganci ai piedi. Ricordo mia madre scattare centinaia di foto. Ricordo tutto di quella giornata. Ricordo persino quando sbagliai a ruotare la tavola nella mia primissima discesa, e la caduta rovinosa che ne seguì. Non dimenticherò mai come mio padre si precipitò verso di me, con la paura negli occhi, terrorizzato dal fatto che potessi essermi fatta male…come mi abbracciò e mi strinse a sé per tranquillizzare me, ma anche se stesso. Negli anni mi sono sempre detta che avere una buona memoria è una cosa positiva, perché aiuta a mantenere vivi quei ricordi che hanno portato gioia nel mio cuore. Il punto è che tutti quei ricordi sono legati ai miei genitori, e tenerli vivi nella mia mente non fa che ricordarmi la loro assenza fisica…

Non mi accorgo di quanto tempo passiamo a preparare tutta l’attrezzatura. Non mi accorgo nemmeno di quando usciamo dal noleggio. Mi ritrovo improvvisamente davanti ad un’immensa discesa che si snoda tra alcuni alberi e piccole rampe. Credo di essermi immersa talmente tanto tra i miei pensieri da non essermi nemmeno accorta di stare camminando.

“Questa è la nostra pista più breve, perfetta per iniziare” ci annuncia Jasper con tono soddisfatto, guardando sorridente davanti a sé, con le mani sui fianchi. “È una passeggiata anche per i principianti, credetemi” continua, cercando di rassicurarci.

“Se qualcuno di voi ha bisogno di un supporto, sono disponibile per qualsiasi cosa” interviene Raven con tono suadente, rivolgendomi lo sguardo e alzando un sopracciglio. Non so né come, né quando si sia avvicinata tanto da posizionarsi accanto a me. Per un attimo mi si raggela il sangue. Sento una risata soffocata alle mie spalle e capisco subito che si tratta di Anya. So che dovrei essere lusingata da tutte queste attenzioni, ma non riesco davvero a gradirle come dovrei, e mi dispiace davvero. Odio ferire le persone, soprattutto se non mi hanno fatto nulla di male. Però devo cercare di creare delle distanze, devo provare a farle capire da sola che non vale la pena continuare a provarci, non vale la pena invaghirsi di una persona che non ricambia. Già.

“Ti ringrazio, ma ho familiarità con lo snowboard da almeno otto anni, penso di potermela cavare” le rispondo, cercando di essere il più cortese possibile. La delusione sul suo volto è fin troppo evidente. Rimane in silenzio anche quando i suoi amici cominciano a ridere. Ne deduco che fossero tutti a conoscenza del suo interesse nei miei confronti. Inevitabilmente mi sento un po’ in colpa, ma spero abbia recepito il messaggio.

I ragazzi sono già pronti e cominciano a scendere, e mentre io cerco di sistemare gli ultimi agganci alla tavola, Anya si avvicina a me e mi osserva accigliata.

“Sai di aver appena perso un’ottima chance con Raven, vero?” mi chiede seria. Io mi prendo qualche secondo prima di alzare lo sguardo verso di lei e sorriderle maliziosa.

“Sì. Ma in questo modo tu puoi avere una chance con lei” le rispondo, facendole l’occhiolino. Lei rimane impietrita. Mi godo lo spettacolo della sua espressione per un ultimo istante e comincio la mia discesa, lasciandomi alle spalle una Anya che inveisce contro di me.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Stare a lungo con entrambi i piedi attaccati ad una tavola ha risvegliato alcuni muscoli che non ricordavo nemmeno più di avere. E lo sento ancora di più adesso che sono seduta sulla neve e mi concentro sullo spettacolo davanti a me. Chiudo per un attimo gli occhi e inspiro profondamente. Sapevo che quest’aria mi avrebbe fatto bene, sapevo che questo posto mi avrebbe stregata. Forse non ho voluto ammetterlo subito, ma mi conosco bene, mi innamoro troppo facilmente di cose belle come questa. Il panorama dal fondo pista non è di certo lo stesso che da lassù in cima, ma se mi guardo attorno riesco a percepire la bellezza di ogni singolo angolo nascosto, ogni albero, ogni uccello che vola tra un ramo e l’altro. Non sembra esserci nessuno in questa piccola radura che affianca la pista, e la cosa mi fa sentire ancora meglio. Ho sempre apprezzato la solitudine. Non posso fare altro che lasciare che tutto ciò mi pervada e mi ossigeni l’organismo. Sorrido.

“Ei, splendore” sento ad un tratto. Sobbalzo. Mi volto nella direzione da cui proviene la voce e vedo un ragazzo alto accanto a me che mi guarda con uno strano sorriso stampato in faccia. “Ti godi la vista tutta sola? Non ti dispiacerà se mi unisco a te, uh?” mi chiede, continuando a fissarmi. Non mi piace molto quel suo sguardo, ha un non so che di ambiguo, non riesco a capire se cerchi di guardarmi in modo suadente o sia annoiato a morte. Forse dipende dalla forma dei suoi occhi. Non so da dove sia spuntato, credevo non ci fosse nessuno nei paraggi. Non so se sia un membro della Sky Crew, o se abbia o meno il permesso di girovagare per queste piste, anche perché non sembra avere con sé né una tavola, né altro. Però c’è qualcosa in questo ragazzo che non mi convince molto. Non so quanto tempo passo a rimuginare sul suo aspetto discutibile, ma a lui non sembra importare molto che io non abbia ancora risposto.

“Immagino di no” commenta, accorciando la distanza tra noi e sedendosi accanto a me. Il suo sguardo si sposta dal mio viso alla vista di fronte a noi, e per un attimo mi sento sollevata.

“Non credo di averti mai vista da queste parti. Nuovo membro?” mi chiede imperterrito. Credo che stavolta si aspetti una risposta.

“Scusa, non penso di aver afferrato il tuo nome” gli dico seccamente. Non ho intenzione di intavolare una conversazione con qualcuno che non si degna nemmeno di presentarsi.

“Beh, perché non te l’ho detto” mi risponde lui con un sorriso malizioso. “Sembri un tipo che sa il fatto suo. Beh, in ogni caso, spero di poterti aiutare a visitare questo posto ridicolo” continua con tono quasi seccato. Non capisco dove voglia arrivare. Percepisco un po’ di acidità nelle sue parole, ma non riesco a capirne il motivo. Forse lui stesso è un membro, ma dal tono che usa non sembra esserne molto contento. L’atmosfera si è fatta alquanto imbarazzante e non ho intenzione di rimanere con lui ancora per molto. Voglio soltanto tornare dai ragazzi, si staranno chiedendo dove sono finita. Senza ulteriori indugi sgancio i piedi dalla tavola e mi alzo. Il ragazzo mi guarda sorpreso e scatta in piedi anche lui. Non appena mi muovo per fare un passo, lui mi afferra per un braccio e mi trattiene con un ‘hey’. In un primo momento rimango di ghiaccio mentre lo guardo accigliata, ma poi gli lancio un’occhiataccia e provo a scrollare la presa.

“Metti giù le mani, Murphy”. Entrambi ci voltiamo di scatto e vediamo Clarke comparire da un sentiero dietro gli alberi. Il mio cuore parte frenetico non appena sento la sua voce. Ormai credo sia un riflesso incondizionato, non so come contrastarlo.

“Ah, Griffin, ma certo” risponde il ragazzo, con una risata acida. Clarke non ha smesso un attimo di fissarlo dritto negli occhi, con sguardo tagliente. La sua serietà è molto convincente. Il ragazzo mi lascia andare e alza le braccia in segno di arresa. “È tutta tua” dice, ricambiando lo sguardo di sfida. Mi lancia un’ultima occhiata prima di allontanarsi, scuotendo la testa e sbuffando.

“Lexa, stai bene?” mi chiede lei, avvicinandosi e guardandomi preoccupata.

“Sì, tranquilla” rispondo leggermente imbarazzata, con un debole sorriso. Lei mi poggia una mano sulla spalla e stringe leggermente prima di lasciare la presa e ricambiare il sorriso.

“Vieni, raggiungiamo gli altri” mi dice allegra, facendomi strada verso il sentiero da dove era spuntata. Non so dire con esattezza cosa mi sia successo quando è arrivata. Appena ho sentito la sua voce mi sono annullata del tutto. Mi sono sentita leggera, tranquilla, al sicuro. Vederla è stato ancora più sconvolgente. Quegli occhi azzurri dicono tutto e niente. Quel suo sorriso è come una ventata d’aria fresca sul viso, una sensazione piacevole che si estende per tutto il corpo, un piccolo salto al cuore, che non smette di galoppare ogni volta che c’è lei nei paraggi. Non so come sia possibile tutto questo, ma la sua presenza mi stravolge, mi fa sentire come non mi sono mai sentita in tutta la vita. È una cosa stranissima, la conosco da appena due giorni, eppure riesce a farmi questo effetto. Ogni volta che i miei occhi incontrano i suoi è un po’ come vedere l’alba in riva al mare la prima volta, la sua vista ti cattura completamente e ti tiene sospeso in uno stato di ammirazione totale, e non puoi fare altro che bearti di quella vista. E più la guardi, più ti piace. La sua presenza mi attiva, mi fa sentire davvero viva.
//
Camminiamo da qualche minuto ormai, ma abbiamo deciso di comune accordo di non affrettare il passo e fare con calma. Clarke è molto gentile, mi spiega pazientemente tutto ciò che c’è da sapere su questo punto della montagna, mi racconta di come tanti anni prima i suoi genitori hanno partorito l’idea della Sky Crew e di come lei poi è riuscita a coinvolgere i suoi amici nell’attività. Mentre ne parla percepisco tutta la devozione che ha per loro e per quello che fanno insieme. Rimango piacevolmente sorpresa da questa cosa. I suoi occhi hanno una luce particolare. Traspare vera e propria gioia da quegli occhi azzurri come il cielo. Senza accorgermene, mi trovo completamente in balia della sua voce, delle sue parole, delle sue deboli risate, dei suoi sguardi. Sebbene lei ogni tanto cerchi di indicarmi punti non ben definiti tra gli alberi, o dritto davanti a noi, io mi distraggo troppo facilmente. Alle sue spiegazioni seguono alcuni istanti di silenzio, e io sono talmente affascinata dal suo modo di parlare che non prendo mai parola per prima. Aspetto sempre che sia lei a cominciare, a farmi domande.

“Per quanto riguarda l’incontro di prima…” comincia ad un tratto “Devi scusare Murphy. Non è molto bravo a farsi degli amici. Anzi, mi stupisco di come faccia Bellamy ad andare d’accordo con lui” continua, abbassando lo sguardo, come se in qualche modo si sentisse responsabile della situazione creatasi poco prima.

“Non preoccuparti” le rispondo, accennando un sorriso. “Ti ringrazio per il tuo salvataggio e l’ottimo tempismo, Clarke, ma me la sarei cavata” cerco di provocarla, fingendo un tono sostenuto. Lei alza un sopracciglio e soffoca una risata.

“Wow, come siamo fiduciose” mi risponde, continuando a ridere. La sua risata è qualcosa di meraviglioso, così melodica e contagiosa. Senza accorgermene ho cominciato a ridere anch’io e adesso lei mi guarda. Arrossisco all’istante e cerco di distogliere lo sguardo, mentre continuiamo a camminare lungo il sentiero verso la base. Sono stata talmente immersa nei miei pensieri e distratta dalla nostra conversazione che mi accorgo solo adesso che Clarke non ha con sé la sua attrezzatura. Siamo già in cammino da un po’, e deduco che la strada per la base sia abbastanza lunga. Se Clarke fosse stata su quella pista, accanto alla radura dove mi ero appartata, di certo non avrebbe lasciato la sua tavola incustodita da qualche parte. Doveva già essersi ritirata alla base prima di spuntare alle spalle di Murphy. Che sia tornata indietro per cercarmi? Sinceramente mi chiedo il perché. Di certo avrebbe potuto benissimo farlo Anya. È pur vero anche che nessuno di noi conosce queste montagne meglio di Clarke e dei suoi amici. Anya si sarebbe persa facilmente, non ha mai avuto un ottimo senso dell’orientamento. Però, pensandoci un attimo, con Bellamy all’edificio principale, Monty e Jasper impegnati al noleggio, ed escludendo a priori Raven, dopo il nostro breve e doloroso approccio di stamattina, rimaneva solo Clarke. Sì, effettivamente così ha senso. Dopotutto, immagino sia un’enorme responsabilità assicurarsi che i tuoi ospiti non si perdano in giro per la montagna.

“Ei, senti una cosa…” comincia d’un tratto, attirando nuovamente la mia totale attenzione. “Stasera ci sarebbe un falò, su alla base, organizzato da un paio di amici, ti andrebbe di venirci? Ne ho già parlato con gli altri, e ci farebbe molto piacere avervi con noi” continua in tono pacato, cercando il mio sguardo, in attesa di una reazione. Non ho bisogno di pensarci troppo a lungo, l’idea di passare un’altra serata in compagnia non mi mette più tanta ansia. Sarà che in realtà il solo pensiero di passare dell’altro tempo con Clarke mi elettrizza da morire. Mi sento un po’ ridicola, a dirla tutta, ma non posso non ammettere che questa ragazza mi sta completamente fottendo il cervello. Nonostante lei non abbia fatto nulla, non mi abbia mai mandato un segnale che potesse indicarmi un suo particolare interesse, non riesco a togliermela dalla testa.

“Sembra un’ottima idea, mi piacerebbe molto” le rispondo con un sorriso. Il volto le si illumina. Ricambia il sorriso e mi regala una leggera spallata, mentre continuiamo a camminare.
//
Arrivate alla base troviamo Lincoln, Octavia ed Anya ad aspettarci. Li intravediamo in uno spiazzo alle spalle dell’edificio principale, seduti su una panchina. Man mano che ci avviciniamo a loro noto che ci sono tante altre panchine, tutte disposte a cerchio intorno ad un braciere di pietra molto caratteristico. Deve essere proprio qui che hanno intenzione di fare il falò. I tre sono immersi in quella che sembra essere una piacevole conversazione. Octavia ed Anya ridono di gusto, mentre Lincoln le osserva a braccia conserte, scuotendo la testa. Appena ci vedono arrivare ci accolgono con un ‘heey’ e ci invitano a sederci insieme a loro.

“La missione di salvataggio è andata a buon fine, vedo” commenta Octavia con un largo sorriso, spostando lo sguardo da Clarke a me.

“Direi che hai usato le parole esatte, ho dovuto salvarla per davvero” le risponde Clarke, accomodandosi accanto a lei. Tutti mi rivolgono improvvisamente uno sguardo interrogativo e inevitabilmente arrossisco imbarazzata.

“Non mi dire che ti eri persa sul serio” mi dice Anya, soffocando una risata. Mi limito a lanciarle un’occhiataccia.

“No. Purtroppo Lexa ha avuto il piacere di incontrare Murphy” risponde subito Clarke, cercando uno sguardo complice da Octavia, che tempestivamente alza gli occhi a cielo e scuote la testa.

“Quel ragazzo è un coglione” commenta tranquillamente, avvicinandosi a Lincoln in cerca di un abbraccio. “Non capisco perché continui a venire in questo posto. Si percepisce a pelle che odia stare qui” continua lei, rivolgendosi a Clarke, che fa spallucce e non risponde.

“Come mai ha deciso di far parte dei membri della Sky Crew?” chiedo curiosa. Deve pur esserci un motivo per cui si trovi qui anche contro la sua volontà. C’è un attimo di silenzio. Clarke e Octavia si scambiano un’occhiata.

“Beh… non è stato proprio lui a decidere” comincia Octavia, non tanto sicura di cosa dire.

“Murphy non ha più i genitori. Vive con i suoi zii, che sono membri onorari da anni, e ogni inverno è costretto a seguirli qui” continua Clarke in tono serio. Avverto una nota di dispiacere nelle sue parole. Non posso biasimarla, nonostante la pessima idea che mi sono fatta di questo ragazzo, dispiace un po’ anche a me per lui. Nessuno meglio di me in questo momento può capire quanto sia difficile convivere col fantasma dei propri genitori, quanto la cosa possa sconvolgerti e cambiarti profondamente. Non posso fare a meno di sentire un pesante senso di tristezza farsi strada dentro di me, e di sicuro la cosa si nota dalla mia espressione. In meno di un secondo Anya è accanto a me e prontamente cambia argomento, raccontandoci di come ha accidentalmente fatto cadere quasi tutti i bambini che ha incontrato lungo la sua discesa. La cosa funziona, scappa una risata anche a me.

Decidiamo di ritirarci allo chalet poco dopo. Octavia è riuscita a convincere Lincoln a rimanere con lei. Clarke ha provato a fare altrettanto con noi, ma io ed Anya abbiamo proprio bisogno di una doccia e una bella sistemata, in vista di stasera. Perciò salutiamo tutti e ci dirigiamo verso il parcheggio. Clarke ci accompagna e ci augura buon viaggio.

“A stasera, allora” ci dice, appoggiandosi al finestrino e facendomi l’occhiolino. Ricambio con un sorriso e annuisco. Mettiamo in moto e Clarke si allontana, fin quando la sua figura sparisce in lontananza.

A stasera, allora” ripete Anya, facendole il verso.

“Ah, dai, smettila” le rispondo, scuotendo la testa.

 “E l’occhiolino poi! Quella lì non me la racconta giusta” commenta, sorridendo. Stavolta cerco di non badarle. So che lo fa solo per provocarmi, non merita neanche che io le risponda. Eppure, quell’ultimo sguardo aveva qualcosa… non lo so. Non voglio aggrapparmi a queste piccolezze. Ma se davvero può esserci qualcosa sotto, non vedo l’ora di scoprirlo stasera.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Siamo appena arrivate alla Sky Crew e già si sentono delle voci in lontananza. Deve esserci parecchia gente. Comincia a venirmi un po’ d’ansia. Lo sapevo. Quando Clarke mi aveva parlato della serata io ero completamente in un altro mondo, pensavo solo a quanto avrei voluto rivederla. Ma ora che sono qui, a pochi metri dall’epicentro della confusione, mi rendo conto che non sarà una cosa intima tra pochi amici. Immagino già decine di persone che non conosco, pronte ad osservarmi, ad approcciarsi. Dovevi restare calma, Lexa, Ricordi? Cerco di impedire al panico di farsi strada dentro di me e respiro profondamente. Anya è accanto a me e mi squadra.

“Tutto ok, Woods?” mi chiede con espressione preoccupata.

“Sì, sto bene” le rispondo, forzando un sorriso e tornando a guardare dritto davanti a me. Ci incamminiamo verso il bagliore di luce che fa capolino da dietro l’edificio principale e quando arriviamo davanti al falò rimango sorpresa. Il braciere è acceso, un paio di ceppi di legno al suo interno alimentano delle grosse fiamme, che ondeggiano sinuosamente verso l’alto, illuminando quasi l’intero spiazzo. Attorno a questo spettacolo, disposti sulle panchine, ci sono una decina di persone al massimo, tutti intenti a godersi l’atmosfera. La cosa che mi fa tirare un sospiro di sollievo è il fatto che tra queste persone solo tre siano dei completi sconosciuti: una ragazza bionda con gli occhi scuri, un ragazzo mulatto molto carino, e un ragazzo castano accanto a lui. Il mio cuore comincia a rallentare, d’un tratto mi sento molto più tranquilla. Non credevo affatto che tutte quelle voci e quelle risate potessero provenire da così poche persone. Improvvisamente credo che questa serata sarà fantastica. Squadro attenta la situazione, cerco di individuare tutti, ma i miei occhi cercano una persona in particolare.

“Lexa!” sento improvvisamente. Metto a fuoco, ed eccola lì. Clarke si è alzata in piedi e mi saluta entusiasta, ondeggiando il braccio per farsi vedere. È stata lei a trovarmi, a quanto pare. Il mio cuore ha deciso di gareggiare per i 100 metri e io quasi mi dimentico come si respira. Anya è costretta a prendermi sotto braccio e a trascinarmi verso i ragazzi, perché devo essere rimasta bloccata sul posto.

“Finalmente vi siete degnate di farvi vedere” ci dice Octavia, rivolgendoci un grande sorriso. Ci invita a sederci accanto a lei e a Lincoln, che nel frattempo le ha dolcemente messo un braccio sulle spalle.

“Dillo alla signorina qui accanto, ha passato letteralmente un’ora a decidere cosa indossare” le risponde Anya, indicandomi con un cenno del capo. Le due si scambiano un’occhiata d’intesa e io arrossisco.

“Aspettavate solo noi?” chiedo, un po’ intimidita, cercando l’attenzione di Lincoln.

“No, tranquilla, mancano ancora un paio di persone” mi risponde lui con uno dei suoi sorrisi. Octavia gli stringe la mano e gli da un bacio. Non posso che regalargli automaticamente un sorriso, sono la coppia più dolce che io abbia mai conosciuto. Anya ha deciso di interrompere il momento di romanticismo con uno dei  suoi commenti acidi e io decido di concentrarmi sul falò e godermi la sua incantevole vista. Il mio sguardo inevitabilmente si posa su Clarke, che dall’altro lato delle fiamme mi sorride. Quando vedo che si alza e si avvicina verso di noi, il mio cuore prova a saltare fuori dal petto e mi costringe ad incrociare le braccia. Appena ci raggiunge, ci da il benvenuto sorridente e ci offre un paio di birre.

“Sono davvero contenta che siate tutti qui” ci dice, prendendo un sorso dalla sua bottiglia. “Ci divertiremo. Abbiamo da bere, da mangiare, e abbiamo anche la musica” continua entusiasta. Con il pollice puntato dietro la sua spalla ci invita a guardare il punto in cui era seduta in precedenza, e noto con piacere un paio di chitarre appoggiate alla panchina. Accanto, a terra, vedo una specie di cassa di legno, con un’apertura circolare su una delle facce. Non ho idea di cosa sia, e a quanto pare nemmeno Anya, che non perde l’occasione di chiederlo immediatamente. Octavia prende subito parola, entusiasta per l’interessamento.

“Quello è il mio cajón. È una cassa per percussioni, si suona con le mani” ci spiega con un sorrisino orgoglioso.

“Sì, Octavia è la nostra batterista professionista” commenta Clarke, facendole l’occhiolino. Le due si battono il cinque e si scambiano un ‘yeah’. Per un attimo faccio finta che il nome di quello strumento non mi faccia ridere e mi godo la vista delle due che continuano a farsi smorfie. Dietro di loro intravedo Raven, che beve la sua birra e ci fissa intensamente. Ha uno sguardo strano, non riesco a capire bene a chi sia rivolto in particolare, ma non ho neanche il tempo di rifletterci troppo. In pochi secondi si è alzata e ci ha raggiunte con espressione sostenuta.

“Ecco la vera attrazione della festa” dice, rivolgendo il suo sguardo verso di me e sorridendo ambigua. Improvvisamente mi sento in forte imbarazzo, non capisco se il suo sia un ennesimo tentativo di provarci o se invece il suo fosse semplicemente sarcasmo. Resto un po’ interdetta, cercando una possibile risposta da darle.

“Dacci un taglio Reyes, ci sono tanti altri pesci nel mare” commenta Jasper, che si è appena avvicinato a noi e ha messo un braccio attorno alle spalle di Raven. Ci offre un largo sorriso e prende un sorso da una strana fiaschetta. Credo sia già un bel po’ brillo.

“Lo so bene” commenta lei, spostando lo sguardo su Anya e facendole l’occhiolino, prima di alzare i tacchi e tornare al suo posto, in compagnia di risatine soffocate da parte di Jasper e Monty. Ecco, questo non me lo aspettavo proprio. Sgrano gli occhi e non riesco ad evitare di rimanere a bocca aperta, anche se so che sto per scoppiare a ridere. Mi volto verso Anya e con una gomitata cerco di scuoterla dal suo evidente imbarazzo. Questo è decisamente un momento epico. Tutti hanno assistito a quest’interessantissimo scambio di battute, e ora i loro sguardi curiosi si sono posati su di noi. Octavia e Lincoln se la ridono sotto i baffi, mentre Clarke ha un’espressione decisamente confusa. Io non so se essere sconvolta o entusiasta. Sicuramente entrambe. Quando avevo detto ad Anya che le avevo lasciato la possibilità di provarci con Raven, di sicuro era stato un modo per provocarla e magari riuscire ad imbarazzarla, sapendo che apprezzava il soggetto. Ma vedere che un certo tipo di interesse è addirittura ricambiato sconvolge non poco. Anya non è affatto un tipo che si imbarazza facilmente, ma questa volta l’eccezione ha confermato la regola. Il suo volto ha preso colore, il suo sguardo evita sistematicamente quello di tutti noi.

“Devi dirci nulla?” la provoco, continuando a darle piccoli colpi col braccio.
“Falla finita, Woods” borbotta lei, rivolgendomi un’occhiataccia. Ridiamo tutti.
//
L’atmosfera si è riscaldata, i ragazzi hanno già cominciato a cantare un paio di canzoni e un altro paio di persone si sono unite alla festa. Murphy è stato il primo ad arrivare, ci ha rivolto un’occhiata di sfuggita e si è subito diretto verso Bellamy e gli altri ragazzi, che ho scoperto chiamarsi Miller e Brian. Dopo di lui sono arrivate un altro paio di persone, ma non le ho notate subito, ero troppo presa dalle performance dei ragazzi. Clarke e Monty suonano la chitarra, mentre Octavia tiene il ritmo con le percussioni. A cantare sono diverse persone, a turno o tutti insieme, a seconda della canzone. Sono tutti davvero bravi, è un piacere per le orecchie questa musica, ti coinvolge completamente, ti scuote. L’alcol va via a fiumi, e si vede. Siamo tutti abbastanza allegri, ridiamo con facilità, ci abbracciamo, improvvisiamo balletti imbarazzanti. Ci stiamo proprio godendo al meglio questa serata. Grazie al fuoco e all’alcol non avvertiamo più il diminuire della temperatura, man mano che si avvicina la notte. Tutto intorno è diventato ancora più buio, gli alberi sono delle sagome scure che si innalzano verso il cielo stellato, gli edifici sono solo delle ombre ormai, e la luna è l’unico faro che accompagna la luce delle fiamme. Questo posto mi stupisce ogni momento di più. Mi affascina, mi rapisce completamente.

“Clarke, perché non scegli tu una canzone?” propone d’un tratto Octavia, con espressione dolce. Ci siamo zittiti tutti e attendiamo una risposta, nella speranza che sia positiva. Clarke sorride e annuisce, sistemando la chitarra sopra la sua coscia e cominciando a suonare le prime corde con le dita, in una melodia stupenda. Finito il breve intro, comincia subito a cantare, accompagnandosi con alcune pennate sulla chitarra. La sua voce è molta profonda e calda, con un timbro leggermente graffiato. La tonalità sembra molto bassa, ma lei l’affronta alla perfezione, frase dopo frase, con una dedizione particolare. Credo di aver già sentito questa canzone, mi è familiare… la melodia, le parole, il ritmo. Con la mente cerco di fare spazio alla memoria e riuscire a ricordare, ma tutti i miei tentativi sono vani fin quando Clarke non comincia a cantare il ritornello, armonizzata da Octavia.

Maybe you should know that                                             forse dovresti sapere che
My mama don’t like you and she likes everyone                  a mia madre non piaci, e a lei piacciono tutti
And I never liked to admit that I was wrong                         e non mi è mai piaciuto ammettere di aver torto
And I’ve been so caught up in my job                                e sono stata così tanto presa dal mio lavoro
Didn’t see what’s going on                                                che non vedevo cosa stava succedendo              
But now I know, I’m better sleeping on my on                    ma ora lo so che è meglio se dormo per conto mio
‘Cause if you like the way you look that much                   perché se davvero ti piaci così tanto
Oh baby you should go and love yourself                          allora dovresti andare e amare te stesso
And if you think that I’m still holdin’ onto somethin’            e se pensi che io mi stia ancora aggrappando a qualcosa
You should go and love yourself                                       dovresti andare e amare te stesso”

L’intensità delle parole di questa canzone mi investe completamente. Non posso fare a meno di pensare a me e alla mia situazione. Questa canzone sembra descrivere passo dopo passo la mia prima ed unica storia d’amore. Una relazione durata anni, con una persona che sembrava adorabile, ma che via via si è dimostrata più attenta alla sua immagine nella società che a noi due. Ormai questo è un capitolo chiuso della mia vita, archiviato due anni fa, ma il riferimento con la canzone è troppo forte per non pensarci. Come è possibile che tra tutte le canzoni che esistono al mondo Clarke abbia deciso di fare questo pezzo? Che sia un’inquietante coincidenza? Ovviamente deve avere le sue ragioni, che magari sono uguali alle mie, chi lo sa. Però è davvero strano… se penso attentamente al significato delle parole del ritornello, avverto un forte senso di consapevolezza del fatto che la storia sia finita e un desiderio di spiegarne i motivi e le conseguenze. Se rifletto sulla mia storia, è proprio così che mi sento, rassegnata, ma tranquilla ormai. Clarke deve sentirsi allo stesso modo, a quanto pare. La cosa mi rattrista un po’, non immaginavo che una persona così allegra e solare potesse tenersi dentro un bagaglio emozionale tanto complesso. Non vorrei mai che qualcuno si sentisse come mi sono sentita io alla fine di quella relazione, e sapere che Clarke forse ha provato le stesse cose non mi fa stare bene.

Vengo riportata alla realtà da un improvviso applauso, che mi scuote dai miei pensieri e mi restituisce tutte le mie capacità motorie. Capisco di essere rimasta tutto il tempo con lo sguardo perso nelle fiamme del falò. Scuoto la testa e mi unisco all’applauso, ancora un po’ confusa. Clarke ci ringrazia e posa la chitarra, afferrando una bottiglietta d’acqua e bevendo a fondo. Il suo sguardo si posa su di me e mi regala un piccolo sorriso. Io mi sciolgo letteralmente, ricambiando il sorriso e mimando con la bocca un “molto brava”. Per tutta risposta lei sorride e scuote la testa, portandosi una ciocca dietro l’orecchio. È stupenda…
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Quando decido di spostare una panchina e allontanarmi leggermente dal falò, non è per un improvviso attacco di asocialità, ma per un semplice desiderio di guardare il cielo e apprezzare al meglio le stelle. Sin da bambina ho sempre amato osservare la volta celeste, individuare le stelle e le costellazioni principali. Mia madre era un’importante astronoma, mi aveva insegnato tutto quello che sapeva, e io avevo sempre custodito tutto con estrema gelosia. Quelle notti passate insieme a lei erano piene di magia, di fascino e fantasia, dei momenti unici. Lei si divertiva a raccontarmi un sacco di storie sui personaggi e sulle figure delle costellazioni, e io viaggiavo con la mente, immaginavo luoghi lontani, guerrieri, creature di tutti i tipi. Il silenzio della notte mi ha sempre aiutata a distaccarmi dalla mia vita terrena e a portarmi in altre dimensioni, come una specie di meditazione. Qui non c’è del tutto silenzio, i ragazzi hanno ripreso a cantare e ridere, ma il cielo è sempre lì, infinito e misterioso come sempre. Mi distendo sulla panchina e comincio ad osservare la meraviglia che sta sopra di me. Individuo subito la stella polare e la indico con un dito, cercando di aiutarmi a non perderla di vista. Avvisto il Grande Carro, percorro la sua figura, unendo le stelle con delle linee immaginarie che disegno con l’indice. Sposto leggermente il capo ed individuo la mia costellazione preferita.

“Cassiopea” sento d’un tratto. Quasi salto in aria per la presenza inaspettata di qualcuno alle mie spalle. “È quella che preferisco. Forse perché è la più semplice da trovare” continua Clarke, avvicinandosi alla panchina. Io mi metto a sedere e le rivolgo uno sguardo, leggermente intimidita. Mi ha completamente spiazzata, non mi aspettavo che qualcuno mi avrebbe seguita, tantomeno lei.

“Scusa, non volevo disturbarti… se preferisci, posso andarmene” mi dice con tono dispiaciuto. Forse la mia espressione l’ha un po’ demoralizzata.

“No, tranquilla. Resta” le rispondo, cercando di rimanere il più tranquilla possibile. Lei abbozza un sorriso e si siede accanto a me.

“Allora, era Cassiopea quella che stavi indicando prima, vero?”

“Sì, è la mia preferita. E non perché sia la più facile da trovare” le rispondo, rivolgendole uno sguardo provocatorio. Lei non riesce a trattenere una risata e si scusa. Restiamo un po’ così, con gli occhi rivolti verso il cielo e un sorriso stampato in faccia. La sua presenza mi piace, mi fa sentire rilassata. Mi sento come se la conoscessi da una vita, ma allo stesso tempo non so nulla di lei.

“Hai scelto una canzone molto bella” le dico ad un tratto, tenendo lo sguardo puntato verso l’alto. Lei si volta a guardarmi e mi ringrazia, tornando anche lei con gli occhi sul cielo.

“È un pezzo che sento particolarmente, soprattutto in questo periodo” comincia lei. Immagino stia per raccontarmi qualcosa di sé. “Sono reduce da una relazione di due anni con un ragazzo che si è rivelato una vera e propria delusione”. Alla parola ragazzo sento un morso allo stomaco. “Ci siamo conosciuti al mare, io ero in vacanza con amici e lui suonava in una band. Abbiamo passato dei momenti bellissimi insieme, soprattutto legati alla musica. Io lo presentavo alle mie serate e pian piano facevamo strada insieme. Poi lui ha avuto una proposta importante e mi ha fatto capire che preferiva il successo, piuttosto che stare bene con me. È finita circa un anno fa, ma ogni tanto lui continua a farsi sentire, a cercarmi, e io non ne posso più”. Sospira. Sento un nodo stringersi attorno alla mia gola e l’unica cosa che riesco a fare è metterle una mano sulla spalla e stringere leggermente. Lei si gira, mi guarda, e abbozza un sorriso. Senza pensarci troppo decido di condividere anch’io qualcosa di mio con lei.

“Tre anni fa ho chiuso la mia prima ed unica relazione con una persona che credevo la migliore mai incontrata. Si chiamava Costia, siamo state insieme poco più di un anno” comincio, distogliendo lo sguardo e perdendomi nelle ombre degli alberi di fronte a noi. “Ci siamo conosciute a scuola, e all’inizio non è stato facile vivere liberamente la nostra relazione. I suoi genitori erano contrari e gran parte dei suoi amici non la trattavano più nello stesso modo. Ci siamo fatte forza per tanto tempo, tra alti e bassi, e quando sembrava che le cose si fossero sistemate una volta per tutte, lei ha deciso di trasferirsi coi suoi genitori, per ‘evitare di compromettere la sua futura carriera’. Non abbiamo più avuto contatti da quel momento” concludo, deglutendo con forza. Sento la mano di Clarke che si posa sulla mia coscia e immagino che lei mi stia guardando. Lentamente mi volto verso di lei. Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo e avverto una strana elettricità nell’aria. I miei occhi si spostano per un momento sulle sue labbra e il cuore comincia a battermi freneticamente dentro il petto. Percepisco un’attrazione pericolosa e cerco in tutti i modi di trattenermi. Per fortuna è lei a rompere il silenzio.

“Grazie” mi dice con un filo di voce. Io rimango un po’ accigliata, non so a cosa si riferisca in particolare, e lei deve averlo notato. “Per esserti aperta con me, per aver voluto condividere la tua storia con me” mi spiega, accennando un sorriso.

“Grazie a te” le rispondo, ricambiando il sorriso.

Da lontano sentiamo delle voci che ci chiamano e capiamo di dover tornare dagli altri. Clarke si alza per prima e mi blocca appena tento di mettermi in piedi. Io sono un po’ confusa, non capisco il motivo di questo suo gesto.

“Goditi un altro po’ il cielo, li tengo impegnati io” mi dice, facendomi l’occhiolino. Io non riesco a trattenere l’enorme sorriso che mi si è stampato in faccia, soprattutto dopo che lei si abbassa verso di me, mi da un bacio sulla guancia e poi si allontana. Porto automaticamente la mano sul punto dove le sue labbra hanno toccato la mia pelle, che ora ha preso fuoco. Rimango immobile. 

Note:
Capitolo leggermente più lungo, per la felicità di qualcuno lol
Per il testo della canzone mi sono ispirata al brano "Love Yourself" di Justin Bieber, nella particolare versione di Conor Mainard (https://www.youtube.com/watch?v=6OtzUfSYiQ8)

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Non riesco a descrivere del tutto la strana sensazione che mi pervade non appena mi sveglio. I miei occhi non mettono subito a fuoco e a stento riesco a distinguere ciò che mi sta intorno. Provo a sbattere le palpebre più volte, ma non serve a molto, anzi, riesce soltanto ad acuire il leggero mal di testa all’altezza della fronte con cui mi sono svegliata, accompagnato da una pesante sensazione di spossatezza. Provo vanamente a sollevarmi, e sento che qualcosa non va. Il cuscino è diverso, le lenzuola sono diverse, il letto è diverso. Per un attimo mi faccio prendere dal panico. Non so dove sono. La prima cosa che mi riporta tutto alla memoria è l’intenso odore di ammoniaca nell’aria. All’inizio non ci avevo nemmeno fatto caso, per quanto mi sentivo intontita, ma ora lo avverto, so esattamente dove mi trovo. Sono in ospedale.

//

Qualche ora prima.

“Lexa, dobbiamo fare presto” mi ripete Anya con tono agitato, mentre fa avanti e indietro dal mio letto alla porta della stanza. Non riesco a biasimarla, sarei nel suo stesso stato (se non peggio) se la situazione fosse invertita. Mi sento una stupida per aver lasciato che succedesse tutto questo casino. Devo proprio smetterla di bere troppo.

Quando siamo tornati dal falò era decisamente tardi ed eravamo talmente stanchi che ci siamo diretti ognuno nelle nostre stanze senza nemmeno salutarci. Io ricordo di essere entrata nella mia camera, di aver tolto i vestiti e indossato subito il pigiama. Ricordo però di aver sentito dei fastidiosi morsi della fame mentre mi infilavo sotto le coperte, e credo proprio di essermi convinta a fiondarmi sulla valigia per vedere cos’era rimasto da mangiare dal viaggio in macchina. Ricordo la gioia nel vedere quel piccolo barattolo di marmellata sotto la busta di carta marrone dove tenevo il pane. Ricordo di aver tirato fuori il mio coltellino da campeggio dal cassetto del comodino e di aver mangiato almeno due fette di pane con il sorriso stampato in faccia. Ricordo la sensazione di benessere che mi ha pervasa in quel momento, mi sono sentita completa. Quello che non ricordo è di essermi addormentata all’improvviso, ma soprattutto, non ricordo di averlo fatto con il coltello in mano. Quando mi sono svegliata è passato un attimo dalla sensazione di totale confusione e pesantezza dovuti alla sbronza al dolore lancinante alla mano destra. Un taglio netto, lungo tutto il palmo della mano, non so quanto profondo. I miei lamenti hanno svegliato Anya, che si è precipitata nella mia stanza e mi ha trovata con la mano sanguinante, intenta a bloccare l’emorragia con una tovaglia. Deve aver preso un grosso spavento. Credo sia ancora particolarmente scossa.

“Lincoln ha trovato le indicazioni per l’unico ospedale che c’è da queste parti, non è molto lontano, stai tranquilla” mi informa lei mentre raggiungiamo svelte l’auto all’esterno dello chalet.

“Anya, respira. Sto bene, non è così grave” le dico con un sorriso, cercando di rassicurarla e rassicurare anche me stessa. Lei rimane impassibile, sa benissimo che le mie sono solo parole di circostanza. Mi fa entrare di fretta in macchina e mi raccomanda di tenere stretta la benda improvvisata che ho intorno alla mano. Il dolore non viene più con delle fitte sporadiche, ora è costante, ma sopportabile. Il battito è ancora un po’ accelerato, credo di avere dei residui di adrenalina in corpo dopo la sorpresa macabra di stamattina. Svegliarsi con la mano in una pozza di sangue non è di certo tra i migliori risvegli di sempre. Ammetto di essermi spaventata in un primo momento, è stata una cosa improvvisa e decisamente inaspettata. Ma dopo aver capito la situazione mi sono voluta concentrare solo sul pulire la ferita e tamponarla il più possibile. Se ripenso a quanto è stato sciocco mettersi a mangiare sul letto nel bel mezzo della notte, mi viene da prendermi a schiaffi da sola. Per una stupidaggine del genere potevo rimetterci una mano, e di certo ho abbondantemente compromesso la mia tranquilla e gioiosa vacanza in montagna.

Quando arriviamo davanti all’ospedale, comincia a girarmi un po’ la testa. Brutto segno. Prendo un respiro profondo e cerco di distrarmi guardandomi intorno. L’edificio non sembra grandissimo, ma appena varchiamo la soglia dell’ingresso la percezione cambia totalmente. L’ambiente principale è particolarmente ampio e spazioso, le pareti non sono del solito color bianco sterile, ma presentano diverse sfumature di colori pastello. La cosa mi sorprende e in qualche modo mi tranquillizza. La sensazione dura ben poco, perché non appena avverto l’odore pungente di ammoniaca, comincia a venirmi un po’ di nausea. Non ho neanche il tempo di rendermi conto di cosa sta succedendo, sento solo mancarmi l’aria e il battito del cuore che rallenta… poi, buio.
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I ricordi nitidi dell’accaduto mi ronzano in testa come una nuvola di moscerini iperattivi, il che non aiuta di certo ad alleviare l’intensità dell’emicrania. Non ho idea di che ore siano, e ora che ci penso non so neanche quando sia successo il tutto. Dopo aver scoperto di essermi ferita non ho badato ad altro, tantomeno all’orario. Sarà anche per questo che mi sento ancora un po’ disorientata. Quando provo nuovamente a sollevarmi sento subito la voce di Lincoln accanto a me che mi dice di fare piano, e subito dopo le sue braccia mi raggiungono e mi aiutano a mettermi seduta.

“Bentornata tra noi, Heda” mi dice, non appena rivolgo lo sguardo verso di lui e i miei occhi riescono finalmente a mettere a fuoco. Rispondo semplicemente con un sorriso e mi porto una mano sulla fronte, proprio sul punto dove mi fa più male, facendo una smorfia.

“Già… hai preso una bella botta quando sei svenuta. Ci hai fatti preoccupare” mi informa, notando la mia espressione di dolore e il mio evidente stato confusionale del momento. “Anya è andata a prendere qualcosa da mangiare, avrai fame”. Effettivamente sento lo stomaco particolarmente vuoto. Devo aver saltato un paio di pasti. Mi guardo un po’ intorno e mi rendo conto di essere attaccata a dei tubi. La cosa non mi entusiasma per niente. Tutto questo disturbo solo per un taglietto alla mano? Non capisco. Inevitabilmente il mio sguardo si sposta sulla fasciatura che mi ricopre tutta la mano e lascia scoperte solo le dita. Provo a muoverla, ma non ho molto successo. Il dolore non è forte, è come se sentissi tutto addormentato. Devo essere stata sedata.

“Come mai ho l’impressione di essere del tutto ricoverata qui?” gli chiedo alquanto scocciata.

“Perché ha un lieve trauma cranico, signorina Woods” sento d’un tratto. Mi volto verso la porta della stanza e vedo entrare una donna non molto alta con un camice bianco addosso, i capelli biondi raccolti, un paio d’occhiali da vista e una cartella in mano. “Lieve, ma pur sempre un trauma. Quando si tratta della testa, preferiamo assicurarci che non ci siano sorprese” mi spiega lei, regalandomi un sorriso rassicurante. Rimango senza parole e mi sento leggermente intimidita da tutta questa situazione, ma per fortuna c’è sempre qualcuno che rompe il ghiaccio e mi tira fuori da ulteriori imbarazzi. In questo caso, Lincoln.

“Lexa, questa è la dottoressa Griffin, un medico eccezionale. Si è occupata lei della ferita alla mano e delle analisi” mi comunica lui, sfoderando uno dei suoi sorrisi compiaciuti. Io mi schiarisco la gola e ringrazio gentilmente la dottoressa. “Ed è la mamma di Clarke” aggiunge lui di botto, rivolgendomi un sorrisetto strano. La mia mente si offusca all’improvviso e mi blocco. Cosa?? D’un tratto, come in un flashback, mi torna in mente la serata al bar, un momento in particolare, quello in cui Clarke aveva parlato un po’ di sé, raccontandoci che sua madre era un medico e lavorava in un pronto soccorso qui a Mount Weather. Ma certo, ora tutto ha un senso. Anche se la cosa non mi fa affatto sentire più sollevata, anzi, credo di essere anche arrossita. Non capisco il perché di questa mia reazione. È semplicemente sua madre, cosa c’è di male? Più cerco di dare spazio alla ragione e tranquillizzarmi, più sento il cuore combattere e contrastare ogni mio ragionamento lucido, facendomi sentire come un’adolescente in pieno sviluppo ormonale. Sarà perché fino a poco fa la mia mente era totalmente concentrata su altro, mentre è bastato il suo nome per rimbambirmi del tutto.

“Sei il solito adulatore” commenta la dottoressa, rivolgendogli un sorriso paziente “Faccio semplicemente il mio lavoro”. Lincoln ride e scuote la testa. Devono conoscersi da tempo, hanno una particolare confidenza.

“Lexa, giusto?” mi domanda lei. Annuisco e ascolto attenta. “Le analisi non hanno riportato alcun problema, ma sei stata incosciente per più di due ore, preferirei tenerti qui stanotte, per precauzione.” mi informa, un po’ dispiaciuta. Sia io che Lincoln annuiamo comprensivi, e dopo averci spiegato le ultime cose riguardo l’orario delle visite, si congeda ed esce dalla stanza.

Quando Anya torna in stanza, la aggiorniamo sulle disposizioni dateci dalla dottoressa Griffin e finalmente scopro che sono quasi le sette di sera. Decidiamo di mangiare tutti insieme e ci abbandoniamo a conversazioni frivole. Un po’ per sdrammatizzare e non farmi pesare troppo la mia permanenza in questo ospedale, e un po’ perché ci è sempre piaciuto fare questo tipo di conversazioni insieme. Man mano che parliamo, inevitabilmente arriviamo a parlare anche di Clarke, della serata al falò, del nostro momento sotto le stelle e di tutto quello che mi passa per la testa pensando a lei. Credo di stare ammettendo definitivamente ai ragazzi che provo qualcosa per lei, anche se non so cosa, dato che l’ho appena conosciuta. Ovviamente cerco di non badare ai commenti e alle provocazioni di Anya, che non perde mai l’occasione di stuzzicarmi, soprattutto ora che ha pane per i suoi denti. Per quello che posso, cerco di risponderle a tono, tirando fuori l’argomento Raven, e sembra che un po’ funzioni. Lincoln si diverte un sacco a vederci battibeccare, e non si mette mai in mezzo, semplicemente per potersi godere lo spettacolo il più a lungo possibile. Il tutto da fuori potrebbe sembrare pesante, fastidioso e stressante, ma noi siamo così. Ci vogliamo un bene dell’anima da anni, nonostante tutto. Io e Anya siamo praticamente cresciute insieme, e dopo la morte dei miei genitori lei si è presa cura di me sia fisicamente che psicologicamente. È sempre stata più di un’amica, è una sorella, una mamma, tutto insieme. Lincoln è arrivato non molto tempo dopo, ma c’è stata sin da subito quella connessione speciale che sentivo solo con Anya. Sono passati ormai più di cinque anni da quando ci siamo incontrati tutti per la prima volta, e ora siamo inseparabili, una vera e propria famiglia. Quando l’orario delle visite termina, se ne vanno entrambi con la promessa di ritornare l’indomani mattina, lasciandomi alla mia stanchezza. Di lì a pochi minuti mi addormento profondamente.
//
Una melodia fievole mi riecheggia nelle orecchie. È un suono debole, non molto fluido, ma particolarmente bello. Devo stare sognando. Anche se i miei occhi non vedono nulla, quello che sento è talmente suggestivo e coinvolgente che mi abbandono completamente alle note e mi lascio cullare dalla loro dolcezza. La mia mente vaga, spinta da quella sensazione di leggerezza che si avverte solo dentro ad un sogno, ma i miei occhi continuano a non vedere nulla. La cosa è un po’ frustrante. Tanta bellezza in una melodia delicata e non poterle dare un volto. Ad un tratto non sento più nulla, silenzio assoluto. Provo a sforzarmi, mi concentro il più possibile, credo mi scappi anche un piccolo lamento. Nella mia testa mi dispero, bramo il ritorno di quella melodia, desidero ascoltarla un’ultima volta, ancora un po’. Rimango fortemente sorpresa quando la musica riparte e lentamente le mie orecchie la trasformano in una voce. Una voce femminile che canta delle parole che non riesco a comprendere fino in fondo, seguendo la stessa melodia. Conosco questa voce.

A man may drink and not be drunk                    Un uomo può bere e non essere ubriaco
A man may fight and not be slain                        Un uomo può combattere e non essere ucciso
A man may court a pretty girl                                Un uomo può corteggiare una bella ragazza
And perhaps be welcomed back again                 E magari essere di nuovo il benvenuto
But since it has so ought to be                              Ma da quando è stato ordinato così
By a time to rise and a time to fall                       Che c’è un tempo per alzarsi e uno per cadere
Come fill to me the parting glass                          Vieni a riempirmi questo bicchiere d’addio
Good night and joy be with you all                      Buona notte a tutti e che la gioia sia con voi
Good night and joy be… Lexa.”
Mi sono messa seduta sul letto dell’ospedale, Clarke è di fronte a me, seduta su una poltrona, e ora mi fissa. Era lei… era lei per tutto il tempo. La melodia che sentivo era reale, non stavo sognando. Lei ha cantato tutto questo tempo e io non ne avevo la minima idea.

“Sei sveglia… mi dispiace, non era mia intenzione disturbarti” si affretta a dirmi, chiudendo il libro che aveva in mano e alzandosi imbarazzata. Io sono ancora un po’ sorpresa, ma la sua presenza mi tranquillizza abbastanza da sorriderle e farmi formulare delle frasi di senso compiuto.

“Cosa stavi cantando? Non ho mai sentito questa canzone” le chiedo un po’ accigliata. È vero che non conosco quelle parole, ma il tutto è stato così melodioso e affascinante che mi sono sentita davvero dentro ad un sogno. Lei abbassa il capo, fa un passo e si ferma ai piedi del letto, appoggiandosi alla struttura di metallo.

“È una canzone che mi cantava mio nonno da piccola, quando non riuscivo a dormire. Aveva lo strano potere di farmi addormentare quasi subito… ” mi spiega, abbozzando un sorriso, mentre continua a guardare un punto indefinito tra le lenzuola. “Mi raccontava sempre di quando lui e i suoi commilitoni la cantavano al ritorno dalle missioni”. Il suo volto ha cambiato espressione, sembra più seria, quasi assente.

“È davvero stupenda” le dico, provando a distrarla dai suoi pensieri. Deve aver ricordato qualcosa di poco piacevole e la cosa mi dispiace. Lei solleva lo sguardo, mi sorride e si avvicina lentamente.

“Allora… Heda?” mi domanda in tono provocatorio. Io rimango un po’ interdetta. Nessuno mi chiama così oltre ad Anya e Lincoln, e dubito che lei gliel’abbia sentito dire in questi giorni. A quanto pare, la mia espressione interrogativa deve essere particolarmente buffa, perché lei comincia a ridere e cerca di trattenersi per mantenere un tono di voce basso. “I tuoi amici ti hanno lasciato un paio di cose e lo hanno scritto sul biglietto” ammette lei, indicandomi una borsa sopra la poltrona dove era seduta poco prima.

“È un soprannome che mi ha dato Anya a scuola, per la mia attitudine a farmi rispettare” le spiego, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia. Lei alza un sopracciglio e si complimenta con me, prendendomi in giro.

“Tu cosa ci fai qui a quest’ora?” le chiedo ad un tratto, dopo aver smesso di ridere.

“Ogni tanto aiuto mia madre durante il turno serale. Sapevo che eri qui e sono passata a vedere come stavi” mi dice, sedendosi leggermente sul bordo del materasso, all’altezza delle mie ginocchia.

“A parte il mal di testa, per il resto sto bene, la mano non mi fa più neanche tanto male”. Alzo la mano fasciata per mostrarle la mia tranquillità nel muoverla liberamente. Lei sorride e scuote la testa.

“Sei l’unica persona che conosco che si sia potuta ferire per colpa di pane e marmellata” mi stuzzica lei, lasciandomi a bocca aperta. Come fa a saperlo? Credevo che coi ragazzi avessimo accordato di dire che si era trattato di un semplice incidente con un coltello, niente di più. La mia mente si ferma subito su un nome: Anya. Deve essere stata lei a raccontarle tutto. Giuro che l’ammazzo, appena la vedo.

“Ridi pure, me lo merito” le dico con espressione imbronciata. I nostri occhi si incontrano di sfuggita per l’ennesima volta e il tempo si ferma improvvisamente. Il mio viso va in fiamme, e spero con tutta me stessa che la luce fioca all’interno della stanza non lo mostri. Lei mi guarda intensamente, non parla. Io mi lascio rapire completamente da quegli occhi azzurri e tutto il resto sparisce nell’ombra. Deglutire è diventata un’impresa. Il mio cuore sta cercando di saltarmi fuori dal petto e raggiungere la fonte di tutte le emozioni che sto provando. L’unico rumore percettibile all’interno della stanza è un ticchettio di lancette. Vengo bruscamente riportata alla realtà e mi accorgo che alle spalle di Clarke, sulla parete di fronde a me, c’è un orologio. Dopo una svariata serie di ore di totale oblio, finalmente posso rendermi conto di che ore siano. Metto a fuoco e rimango sorpresa: mezzanotte e mezza.

“Wow, è parecchio tardi” mi lascio scappare. Clarke segue confusa il mio sguardo e dopo aver visto l’orologio rimane altrettanto sorpresa. Deve aver perso la cognizione del tempo tanto quanto me.

“Vuoi che vada? Un altro po’ di riposo ti farebbe bene” mi chiede lei, inclinando la testa in attesa di una mia risposta.

“Ti va di restare un altro po’?” mi azzardo a proporle, con la paura bloccata nello stomaco. “Potresti cantare ancora quella canzone, mi aiuterebbe ad addormentarmi” le spiego, cercando in cuor mio di convincerla. Il bisogno incontrollabile di averla vicina a me ancora un po’ mi divora. Come mi sta divorando il terrore di un possibile rifiuto. Lei rimane interdetta per un momento, di sicuro non se lo aspettava, ma subito dopo mi regala un enorme sorriso. Annuisce contenta e poggia la sua mano sulla mia. Io ricambio il sorriso e sento un brivido scorrermi lungo tutta la schiena non appena mi tocca. In poco tempo Clarke si alza, prende la poltrona di fronte al letto e la porta proprio accanto a me. Si siede, mi sorride nuovamente e apre il libro che aveva posato poco prima. Io faccio un respiro profondo e attendo che la sua voce mi raggiunga e mi accompagni nella braccia di Morfeo. Quando comincia a cantare, io ho già chiuso gli occhi e mi concentro solo sulla deliziosa melodia che le esce dalla bocca, mi lascio stregare dalle parole che accompagnano le note e mi rilasso del tutto. Poche cose al mondo hanno un suono così piacevole, e certamente la voce di Clarke rientra tra queste. Mi sento fortunata a poterne portare una parte con me, a potermi beare di tanta bellezza. Mi sento fortunata ad averla qui con me, almeno stanotte.

Good night and joy be with you all… “

Note:

Capitolo un po' più lunghetto (man mano che vado avanti mi accorgo di scrivere sempre di più lol), spero solo non risulti pesante.
Per la canzone mi sono ispirata al brano "The Parting Glass" di Ed Sheeran (https://www.youtube.com/watch?v=3kVVn80pFOc), che personalmente trovo estremamente rilassante,una sorta di ninna nanna sussurrata. Grazie per le recenzioni che lasciate, le apprezzo davvero molto. Scrivetemi per qualsiasi cosa, sarò felice di rispondere :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


“Come va la testa?” mi chiede Anya, mentre appoggio sul comodino le candele che ho appena acceso. È più o meno la centesima volta che me lo chiede, sta diventando alquanto stressante. Sono passati due giorni dall’incidente alla mano e dal ricovero al Mount Weather Medical Center, e le uniche cose che ho fatto finora sono state dormire troppo e rispondere alle domande assillanti da mamma iper apprensiva di Anya. Stavolta mi limito a rivolgerle uno sguardo omicida e lei sembra afferrare il concetto, alzando le mani in segno di resa. La mia attenzione viene attirata d’un tratto dal cellulare sul comodino che comincia a vibrare. Lo schermo si illumina e mi accorgo di aver appena ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto.

“Cena confermata per le otto. A stasera, Heda”

Rimango un po’ spaesata. Subito dopo ne arriva un altro.

“P.S. Sono Clarke, comunque. Lincoln è già qui e mi ha gentilmente dato il tuo numero”

Non so di preciso cosa sia a scatenare la tempesta di farfalle che mi scoppia nello stomaco. Se semplicemente il fatto che si tratti di Clarke, e ogni cosa che la riguarda mi manda in totale blackout, oppure soltanto il pensiero di lei che chiede appositamente il mio numero per contattarmi di persona. Non riesco a rifletterci troppo, devo risponderle qualcosa.

“Grazie per l’informazione, Sky Girl. A stasera xo”

Mi sento una perfetta idiota quasi subito dopo aver premuto ‘invia’. Da dove mi è uscito quel soprannome? Credo di aver perso gran parte delle capacità cerebrali da quando ho incontrato questa ragazza. Mi mordo il labbro inferiore e poso il telefono. I miei pensieri si spostano alla serata che ci aspetta. Che mi aspetta. Quando Clarke, per conto di sua madre, ha avanzato la proposta di passare la sera del Ringraziamento a casa sua, devo ammettere di essermi sentita alquanto sorpresa, per non dire anche un po’ imbarazzata. L’invito non era di certo rivolto soltanto a me, ma non ho potuto fare a meno di lasciarmi pervadere da una strana sensazione di disagio. Io e Clarke nella stessa casa. Io, Clarke e sua madre nella stessa casa. E per di più in occasione di una festività così intima e familiare come il giorno del Ringraziamento. In questi due giorni però, grazie anche alla potenza dei farmaci e alle lunghe dormite, sono riuscita a rilassarmi e convincermi che si sarebbe trattato di una semplice cena tra persone adulte, una serata tranquilla ‘per conoscersi meglio’ (da testuali parole della signora Griffin). Ad affrontare la cosa in maniera più leggera mi ha aiutata sicuramente sapere della presenza di Raven. Dopo la scottante rivelazione al falò del suo interesse nei confronti di Anya, non ho potuto non notare un cambiamento nell’aria, e la cosa mi ha fatto sorgere non pochi dubbi. Deve esserci qualcosa sotto e ho tutta l’intenzione di saperne di più.

Accendo l’ultima candela e mi siedo sul letto a gambe incrociate, proprio di fronte ad Anya, e comincio a fissarla curiosa.

“Che c’è?” sbotta lei in tono scocciato. Credo abbia capito benissimo di cosa voglio parlarle, e vederla così sulla difensiva non fa altro che confermare tutti i miei dubbi. Incrocio le braccia e sul mio volto si stampa una smorfia di soddisfazione.

“Lo sapevo!” quasi urlo, non appena vedo le sue guance prendere improvvisamente colore. Per tutta risposta lei alza gli occhi al cielo e scuote la testa, ma si lascia comunque scappare un debole sorriso. “Devi raccontarmi tutto” insisto entusiasta, con la curiosità che mi mangia viva.

“Non c’è proprio nulla da raccontare” mi risponde acidamente, cercando di ricomporsi. Continua ad evitare il mio sguardo.

“Potrei sempre chiedere a lei stasera, sai…” la provoco. La sua espressione cambia improvvisamente. Sa che ne sarei capace, e sa che Raven è il tipo di ragazza che non si fa problemi a rispondere a certe domande. Mi rivolge uno sguardo tagliente e infine sospira. Si prende di coraggio e comincia a raccontarmi ogni singolo dettaglio dalla sera del falò, dal momento in cui si sono scambiate i numeri, fino all’incontro che hanno avuto stamattina (di cui non sapevo niente). Mi spiega che è successo tutto molto velocemente, che tutte le birre bevute quella sera l’hanno aiutata a buttarsi in questa cosa senza doverci pensare troppo. Mi confessa di averla adocchiata subito la prima volta che siamo usciti tutti insieme, ma che, dopo aver visto l’interesse che Raven aveva manifestato nei miei confronti, non ha voluto illudersi oltre. La risposta ambigua data a Jasper al falò ha sorpreso tanto lei quanto tutti noi, e da quel momento ha deciso di non indugiare oltre e cogliere subito il chiaro invito a provarci. Mentre parla, non posso non notare la luce diversa che hanno i suoi occhi, e la cosa mi riempie il cuore. Negli ultimi anni ho sempre visto Anya dedicarsi totalmente al suo lavoro, giorno e notte immersa in inventari, ordini da fare, bollette da pagare, manutenzioni varie. L’unico tempo libero lo passava al bar, anche quando si trattava di flirtare e uscire con qualcuno. Da quando ha deciso di lasciare il college, il “TonDC” è diventato la sua vita, e da tale le prende tutto il suo tempo. Vedere che finalmente sta tornando a lasciarsi andare come una volta, che non vuole più rinunciare a determinate prospettive, è una vera e propria gioia.

“Meno male che non c’era nulla da raccontare” commento sarcastica, appena finisce di parlare. Lei alza gli occhi al cielo e mi spinge indietro col piede, facendo leva sul mio ginocchio. Per vendicarmi le tiro un cuscino e la colpisco dritto in faccia. Ridiamo entrambe come due bambine.
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Arriviamo davanti casa Griffin leggermente in anticipo. Controllo l’orario sul quadro del cruscotto almeno dieci volte prima di rendermi conto che forse dovrei calmarmi. Il mio cuore sembra voler a tutti costi fare la sua maratona verso l’universo a me fin troppo familiare dell’ansia, e io non so come impedirglielo. Mancano solo dieci minuti all’orario previsto ormai, ma né Anya né io sembriamo avere il coraggio di scendere dalla macchina. Siamo messe proprio bene.

“Ok, tutto questo è ridicolo. Alza quel culo e andiamo” sbotta lei dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzante. Apre la portiera subito dopo e scende velocemente dalla macchina. Io faccio un respiro profondo e la seguo, afferrando al volo la bottiglia di vino che abbiamo deciso di portare. La temperatura fuori si è abbassata parecchio dall’ultima volta che sono uscita dall’albergo, non mi ci vuole molto per cominciare a tremare. Cerco di combattere il freddo stringendomi nel cappotto e affondando il mento dentro la grossa sciarpa verde che ho al collo. Raggiungo Anya sul ciglio della porta e le rivolgo uno sguardo confuso. È rimasta immobile, con lo sguardo fisso sulla porta e un’espressione indecifrabile stampata in viso.

“Anya?” provo a chiamarla, alzando il sopracciglio, sempre più confusa. Lei sobbalza e scuote la testa.

“Ci sono, sì” risponde, prendendo un respiro profondo e tornando a guardare la porta. Con un paio di colpi decisi bussa. In pochi secondi sentiamo dei passi avvicinarsi e la porta si apre.

Clarke POV

Oggi è una giornata fantastica. Non faccio che ripetermelo da quando mi sono alzata dal letto e fuori dalla finestra ho visto che in cielo non c’era neanche una nuvola. Non c’è niente di meglio che una festività che cade in una bella giornata. Ho sempre adorato il giorno del Ringraziamento, sin da quando ero piccola. I miei genitori mi portavano con loro a fare la spesa, e riuscivamo sempre a riempire un carrello fino all’orlo. Era una sorta di tradizione: fare un’abbondante spesa, cominciare a preparare tutto nel pomeriggio, e cenare tutti insieme in compagnia della musica. Ad oggi il ricordo mi fa sorridere, anche se papà non c’è più da un po’. Mamma mi ha sempre detto di ricordarlo così, sorridendo, ed è quello che faccio sempre, soprattutto con questo tipo di ricordi.

“Clarke!” mi sento chiamare dal piano di sotto. “Hai meno di un minuto per scendere, dopodiché ti lasciamo a casa” mi informa Raven con tono quasi annoiato. Le urlo un ‘arrivo’, cercando di non cavarmi un occhio con il pennello dell’eyeliner. Uno sguardo veloce all’orologio e per poco non impreco. Prendo rapida il cappotto e volo giù dalle scale, fiondandomi verso l’uscita.

“Dovevamo uscire mezz’ora fa, sua maestà” commenta infastidita Raven appena salgo in macchina. “Per punizione stai dietro anche al viaggio di ritorno” mi annuncia, lanciandomi uno sguardo compiaciuto dallo specchietto retrovisore. Io soffoco una risata e alzo gli occhi al cielo.

Il viaggio verso il centro commerciale non dura molto. Raven però, come sempre, è riuscita a farlo sembrare eterno, con i suoi discorsi sul nulla e i commenti acidi ad ogni singola canzone che hanno mandato in radio. L’abilità di questa ragazza di parlare continuamente senza mai stancarsi è incredibile. Io e mamma ci scambiamo più volte uno sguardo disperato mentre facciamo il giro dei reparti e riempiamo il carrello con tutto quello che serve. Quest’anno sembra esserci più gente del solito in giro, il che è un bene per la missione “cibo spazzatura”. Tutti gli anni è la stessa storia, io e Raven cerchiamo di prendere di nascosto più schifezze possibili, e mia madre prontamente le individua tutte e le ripone negli scaffali senza farcene accorgere. La sorpresa l’abbiamo poi quando arriviamo alla cassa e scopriamo che non c’è quasi nulla di quello che avevamo tentato di prendere, e mamma se la ride vedendo le nostre facce sorprese e distrutte. Ma stavolta possiamo puntare tutto sul fattore confusione. Raven coglie subito le mie intenzioni e mi rivolge uno sguardo di sfida. Io le faccio l’occhiolino e mi posiziono accanto al carrello, mentre lei sta un paio di passi dietro mamma e ci segue attentamente.

“Questi nachos al chili sembrano buonissimi!” commento ad alta voce, fermandomi proprio davanti allo scaffale delle patatine. Ne prendo un pacco e lo poso dentro a carrello.

“Non se ne parla, Clarke, abbiamo già preso tre tipi diversi di patatine” mi risponde subito mamma, lasciando la presa sul manico e rimettendo di persona il pacco al suo posto. Accanto a noi passano diverse persone e svelta cerco lo sguardo di Raven, che ne frattempo ci ha raggiunte. Intravedo un ghigno formarsi sul suo volto. Qualsiasi cosa sia riuscita a prendere, ce l’abbiamo fatta. Tecnica collaudata, missione compiuta. L’espressione di mamma, una volta arrivate alla cassa, è stata meravigliosa. Assistere alla sua incredulità non ha avuto prezzo. Quest’anno il bottino è stato assai più cospicuo. Io e Raven ci siamo date il cinque e ci siamo sbeffeggiate di lei per tutto il viaggio di ritorno. Mamma cerca di fare l’arrabbiata, ma in fondo si vede che la cosa ha divertito anche lei. Dopo tanti anni deve essersi rassegnata.
//
Siamo arrivate a casa da dieci minuti e io e Raven stiamo già discutendo. Abbiamo aiutato mamma a sistemare la spesa e lei ha cominciato a lanciarmi i pomodori ad uno ad uno per metterli in dispensa, pur sapendo quanto io sia scoordinata con queste cose. Per tutta risposta io ho cominciato a rincorrerla per la cucina, cercando di bloccarla e fargliela pagare con un violento attacco di solletico. Mamma ha provato a calmare le acque con le parole, ma noi ci siamo ridotte a lottare sul pavimento, tra acrobazie impossibili e mosse di wrestling decisamente inventate sul momento. Saranno anche passati più di dieci anni, ma non abbiamo mai smesso di comportarci come delle bambine. Quando Raven è entrata a far parte della famiglia, avevamo entrambe dodici anni, e di certo a quell’età non si è molto inclini a cambiamenti radicali. Avevo vissuto tutta l’infanzia da figlia unica e inizialmente l’idea di avere un’altra persona in casa non mi andava granché a genio. Eppure, dopo averla incontrata la prima volta, ho subito avuto la sensazione che saremmo state amiche per sempre. Non c’è stato nemmeno bisogno di farmi convincere dai miei genitori, né mi sono lasciata condizionare dalla brutta storia che aveva alle spalle. Mi è bastato passare un’intera giornata con lei per sentirla subito parte di me. Sebbene fossimo coetanee, per me è sempre stata come una sorella maggiore, pronta ad infastidirmi per qualsiasi cosa, ma anche a darmi la metà più grande del panino. Mi ha sempre difesa da chiunque cercasse di mettermi in cattiva luce e mi ha protetta e confortata con tutta se stessa anche quando il suo mondo andava a rotoli. Crescere insieme ci ha rese dipendenti l’una dall’altra, anche nei momenti di massima tensione. Non dimenticherò mai il giorno in cui la notifica di “affido temporaneo” si è trasformata in “affido permanente”. E non c’è giorno in cui non ringrazi mia madre per averlo reso possibile.

“Va bene, principessina, hai vinto” mi dice ad un tratto, cercando di riprendere fiato. Io sono ancora sopra di lei e la tengo giù con il mio peso, bloccandole i polsi con una mano. Sorrido soddisfatta e mollo la presa. Lei chiude gli occhi e si spalma definitivamente sul pavimento, esausta.

“Puoi dirlo forte” commento, mentre mi alzo e mi sistemo i capelli in una coda di cavallo frettolosa. Mi ha fatta addirittura sudare. Le porgo un mano per aiutarla a sollevarsi, ma lei la rifiuta e rimane distesa per terra.

“La gravità sta avendo la meglio sulle mie forze, credo che morirò qui” borbotta, tenendo gli occhi chiusi. Le rivolgo un ultimo sguardo accigliato e le do un colpetto sul fianco col piede. Lei si lamenta e mi manda via con voce melodrammatica. Saltiamo entrambe in aria quando sentiamo suonare il campanello. Raven scatta in piedi curiosa e si fionda all’ingresso per andare ad aprire la porta. Curiosità batte gravità. Io la seguo prendendomi il mio tempo, e appena metto piede fuori dalla cucina vengo raggiunta da una voce profonda proveniente dalla stanza accanto.

“Ciao, Clarke” sento, non appena varco la soglia del salotto. Una figura alta e possente mi sorride.

“Lincoln! Che ci fai qui?” chiedo, sorpresa. È ancora presto per la cena, mi domando come mai abbia deciso di venire adesso, o se è qui solo di passaggio. Che sia successo qualcosa e sia venuto per disdire?

“Bell’accoglienza, Clarke. Non si è nemmeno tolto il cappotto” commenta Raven, facendomi notare la mia indelicatezza. Lincoln trattiene una risata e mi tranquillizza, notando l’evidente imbarazzo sul mio volto.

“Ho insistito per venire qualche ora prima ad aiutare Abby con i preparativi della cena” ci spiega lui, sfoderando un sorriso stupendo.

“Ok, cavaliere dall’armatura scintillante, la cucina è di qua” interviene Raven, afferrandolo per il braccio e trascinandolo verso la stanza adiacente.

“Dovrei avvisare le ragazze che sono qui e che la cena è confermata per l’orario stabilito” ci dice lui, infilando la mano nella tasca del cappotto e uscendo fuori il cellulare.

“Posso pensarci io, se vuoi” gli propongo. Mi sembra giusto fare gli onori di casa e occuparmi anche di informare i miei ospiti su eventuali aggiornamenti. Lincoln mi ringrazia e mi porge il suo telefono.

“Scrivi direttamente a Lexa, è più probabile che legga subito” mi suggerisce infine, mentre sparisce oltre la porta. Io tiro fuori il mio cellulare e mi siedo sul divano. Scorro velocemente la rubrica di Lincoln, intenta a controllare direttamente i numeri salvati alla lettera ‘L’. Ad un tratto mi fermo e sorrido. Heda. È senza dubbio lei, e la foto in miniatura accanto al nome lo conferma. Improvvisamente sento un forte calore sul viso e percepisco qualcosa di strano dentro di me. Sto arrossendo e non ho idea del perché. Che sia per il nome? Non è mica la prima volta che lo vedo, e di certo non è un nome imbarazzante. Anzi, trovo estremamente carino che Lincoln abbia voluto salvare il suo numero così. Sai benissimo il perché. Provo a scacciare via quest’ultimo pensiero e comincio a scrivere.

“Cena confermata per le otto. A stasera, Heda”. Invio.

Il cuore comincia a battermi freneticamente. Rileggo il messaggio più volte e ogni volta mi suona sempre peggio. Mi sento ridicola. Ci rifletto un po’ e mi rendo conto di doverle mandarle un altro messaggio dove le spiego che Lincoln è qui e ho preso il numero da lui. Non passa neanche un minuto e mi arriva la sua risposta. Fisso la scritta ‘un nuovo messaggio’ per non so quanto tempo prima di decidermi ad aprirlo. I battiti del cuore continuano ad aumentare, e dopo aver letto la risposta avverto un salto allo stomaco. Sky Girl… è la prima volta che qualcuno mi chiama così, e devo ammettere che mi piace molto. Sono abituata ad appellativi lusinghieri e a nomignoli stupidi (tutti partoriti dalla mente simpatica di Raven), ma questo è il primo vero soprannome normale che mi viene dato. Lo trovo addirittura dolce. Sorrido come un’ebete.

“Quando hai finito di sognare ad occhi aperti, ci servirebbe una mano di là” mi informa Raven, appena spuntata dalla porta del salotto. Io mi volto di scatto e cerco di ricompormi. Lei mi osserva e se la ride. Dannazione a me e a quando ho deciso di confidarle tutto.
//
Sono quasi le otto, la cena è praticamente pronta, la tavola è apparecchiata e la musica è accesa da un po’. Raven ha insistito per mettere qualcosa di diverso quest’anno, un genere decisamente lontano da quello che abbiamo sempre utilizzato per questo tipo di serate. Devo ammettere che anch’io negli ultimi tempi ho sviluppato una sorta di repulsione per la musica scelta da mia madre, però, passare da Tony Bennett a Rihanna mi sembra un tantino esagerato. Provare a discutere con Raven quando si mette una cosa in testa è praticamente impossibile, per cui abbiamo deciso di lasciarla fare, a patto che il volume resti basso. Non sono mancate le sue ripetute lamentele al riguardo, ma ormai io e mamma abbiamo imparato ad ignorarla. Controllo l’orologio troppo spesso, e credo che Lincoln l’abbia notato.

“Staranno sicuramente arrivando, non preoccuparti” mi dice sottovoce, facendomi l’occhiolino e bevendo un sorso di vino bianco. Io non so cosa rispondere e mi limito ad abbozzare un sorriso e annuire. Sento l’agitazione farsi strada dentro di me. Deve aver capito qualcosa. Oppure è solo una mia impressione? Magari mi sto lasciando prendere troppo dalla paranoia, sicuramente è tutto nella mia testa. Eppure non riesco a scacciare via questa sensazione di terrore che ho dentro. È già difficile per me rendermi conto di quello che mi sta succedendo, non credo sarei in grado di gestire anche il fatto che qualcun altro lo sappia. Raven è un’eccezione. Ho deciso di parlarne con lei perché io e lei parliamo di tutto, so che può capirmi e so che può aiutarmi ad affrontare questa cosa nel modo migliore possibile. Ma per me è tutto troppo nuovo, tutto così sconvolgente, mi sento come sperduta nel bel mezzo di una foresta in piena notte.

Toc, toc.

Mi si raggela il sangue. Sono arrivate. Smettono tutti di parlare e ci voltiamo automaticamente verso la porta d’ingresso. Anticipo mia madre e mi fiondo ad aprire. Faccio un respiro profondo e abbasso la maniglia. I suoi occhi sono la prima (e forse l’unica) cosa che vedo. Il loro stupendo colore verde brilla sotto la luce del portico, ed è accuratamente risaltato dalla sciarpa attorno al collo. Mi sento completamente rapita da tanta bellezza e per alcuni secondi non riesco nemmeno a muovermi. Quando un colpetto di tosse alle mie spalle mi riporta alla realtà, mi accorgo che Anya e Lexa sono ancora immobili sul ciglio della porta e mi fissano.

“Ok, oggi Clarke ha dimenticato le buone maniere. Prego, entrate pure” interviene Raven, prendendomi per un fianco e spostandomi per far passare le ragazze. Anya mi passa accanto con uno sguardo decisamente accigliato e io mi sento una completa idiota. Abbasso per un attimo lo sguardo e cerco di ricompormi. Quando incontro nuovamente gli occhi di Lexa il mio cuore comincia a fare i capricci.

“Clarke”

“Heda”

Note:
Vorrei cominciare ringraziando tutti coloro che spendono un po' del loro tempo per leggere questa storia, capitolo dopo capitolo. La cosa mi riempie di soddisfazione :) un ringraziamento particolare va anche a quelle persone che hanno il piacere di lasciarmi una recensione.
In questo capitolo ho deciso di dare un po' di spazio anche ai pensieri di Clarke, inserendo appunto un suo POV. Spero la cosa sia gradita!
Infine, per chiunque se lo fosse chiesto, la musica di Rihanna in questione è presa direttamente da ANTI, il suo nuovo album.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Clarke POV

Il suo outfit. I suoi capelli. Quegli occhi. La luce che c’è in questa stanza la mette in risalto completamente, in tutto e per tutto. Il completo nero che indossa è perfetto su di lei, semplice e leggero, come un velo che si posa dolcemente sulla sua pelle. Il capelli le cadono morbidi sulle spalle, contenuti in una strana rete di sottili treccine, che le danno un aspetto particolarmente intrigante. I suoi occhi brillano di un verde intenso alla luce delle candele che sono sparse per tutta la casa, e io cerco sempre di non fermarmi troppo su di loro, se non voglio perdermi del tutto in lei. Non mi capita spesso di passare così tanto tempo ad osservare una persona, ma è dalla serata allo Shrieking Bar che sento una strana forza spingermi verso questa ragazza sconosciuta.  Quella sera ho studiato attentamente ogni suo movimento, ogni sua azione, ho cercato in tutti i modi di trovare una spiegazione valida a questa connessione, senza arrivare ad una conclusione sensata. Come’è possibile che una ragazza mai vista in vita mia, non appena mi stringe la mano e mi guarda dritta negli occhi, mi faccia sentire così vulnerabile? Sin dal primo momento ho tentato di dissimulare la mia totale confusione con il mio solito atteggiamento, sorridendo e scherzando come sempre. Eppure il mio pensiero tornava sempre lì, e i miei occhi su di lei. Deve essersene accorta per forza. Raven mi ha spiegato che è una cosa normalissima, per quanto possa sembrare sconvolgente, ma io mi sento completamente spiazzata. Dice anche che è una cosa che è sempre stata dentro di me, anche se non si è mai manifestata, e la cosa mi confonde ancora di più. Ho sempre avuto una mente molto aperta, soprattutto vivendo a stretto contatto con Raven e i nostri amici, ma è difficile capirci seriamente qualcosa quando ci sei dentro in prima persona. Non mi sono mai sentita così, con nessuno, e la cosa mi spaventa un po’, devo ammetterlo.

La serata sta procedendo tranquillamente, c’è un’atmosfera decisamente positiva. Prima di metterci a tavola io e Raven abbiamo deciso di fare un breve tour della casa, mostrando tanto gli spazi interni quanto l’ esterno, con il porticato e il giardino. La cena poi è stata un vero e proprio successo, abbiamo tutti fatto i complimenti a mamma e a Lincoln. Raven ha avuto un sorriso enorme stampato in faccia per tutto il tempo, non credo di averla mai vista così allegra. I nostri ospiti sembrano gradire tutto, dal tipo di conversazioni alla musica che fa da sottofondo, all’atmosfera familiare che si respira. Mamma è entusiasta, credo si stia divertendo molto anche lei. Immagino che il vino la stia aiutando, come sta aiutando tutti noi. Ne abbiamo già fatto fuori un’intera cassa. Ci siamo spostati in salotto solo dopo aver insistito più e più volte per aiutare mamma a sistemare la cucina, ma lei non ha voluto sentire ragioni. ‘La notte è per voi giovani’ ci ha detto, quasi spingendoci di forza verso il salotto e chiudendosi la porta alle spalle.

“Propongo un gioco” sbotta d’un tratto Raven, con sguardo malizioso.

“Oddio no, ti prego” mi lascio scappare ad alta voce, trattenendo una risata e scuotendo la testa. La conosco troppo bene, di sicuro non sta pensando ad innocenti giochi da tavolo.

“Quanto sei noiosa, nonna” commenta lei, facendomi una smorfia. Si lasciano scappare tutti una risata. “È un’idea brillante per conoscerci meglio” spiega lei, sicura di sé.

“Qualsiasi cosa sia, io ci sto” interviene Anya, incrociando le braccia curiosa. Raven le fa l’occhiolino e le regala un sorrisetto. Mi sorprende un po’ vedere questo scambio d’intesa, ma fondamentalmente Raven è sempre la solita, sfacciata come poche persone al mondo.

“Mai sentito parlare del ‘Non ho mai…’?”. La guardiamo tutti un po’ sorpresi. Spero stia scherzando. È uno stupido gioco che facevamo al tempo del liceo per ubriacarci, non può fare sul serio. Conoscendola, ha qualcosa in mente, e non promette nulla di buono. Annuiscono tutti, ma restano comunque altrettanto stupiti nel vedere che Raven ha tutta l’intenzione di giocare seriamente.

“Ognuno dice una cosa che non ha mai fatto e se c’è qualcuno che l’ha fatta, deve bere, giusto?” chiede Lexa. Raven annuisce soddisfatta e poi rivolge lo sguardo verso di me, alzando un sopracciglio. Deve aver notato la mia indecisione e in qualche modo sta cercando di convincermi. Ci sarà pur un motivo se ci tiene così tanto a fare questo gioco. Forse vuole sapere qualcosa in più su Anya, ma non ha molto senso, le basterebbe uscire con lei per chiederle tutto quello che vuole. Forse invece vuole solo mettermi in imbarazzo, che sia per dettagli imbarazzanti della mia vita, o per come divento quando bevo troppo. Con un movimento quasi impercettibile del volto noto che strizza leggermente gli occhi e mi sorride, quasi a volermi dire di stare tranquilla e fidarmi di lei. So che me ne pentirò, ma decido comunque di annuire e darle il via per cominciare. Arrivata a questo punto, sono proprio curiosa di sapere dove vuole andare a parare.

“Direi di fare le cose per bene e aprire il vino che ci avete portato” propongo, rivolgendo lo sguardo prima verso Anya e poi verso Lexa, che mi osserva attenta. Sento un leggero calore salirmi lungo la schiena e depositarsi dietro le mie orecchie. Distolgo prontamente lo sguardo e mi alzo per andare ad aprire la bottiglia. Riempio i bicchieri a tutti e mi siedo, pronta per iniziare.

“Comincio io. Qualcosa di facile, per iniziare in maniera tranquilla” dice Raven entusiasta. Sta già aumentando la mia voglia di bere.

“Non ho mai… bevuto così tanto da star male”. Ecco, cominciamo bene. Sa benissimo che a me è successo. Ci guardiamo tra di noi per un attimo, e proprio mentre alzo il braccio e avvicino il bicchiere alla bocca, intravedo un movimento di fronte a me. Lexa sta bevendo. Svuoto il calice e intercetto lo sguardo di Raven, che mi sorride e alza un sopracciglio. Oh… Ora comincio a capire. Sta utilizzando la scusa del gioco per smascherare i segreti di Lexa, e lo sta facendo per me. Furba e spietata.

“Tocca a te, Lincoln” gli dice, voltandosi verso di lui. Seguendo questo giro, io sarò l’ultima. Ottimo.

“Non ho mai… provato attrazione per un ragazzo”. Gli argomenti si fanno più interessanti. Io e Raven siamo le uniche due a bere. Anya e Lexa si sono scambiate un’espressione imbarazzata. Questa sì che è una notizia rilevante. A questo punto mi chiedo se Lincoln abbia capito di essere l’unico decisamente etero in questa stanza. Se solo penso che sono riuscita ad avere quest’informazione senza dovermi trovare a chiederlo di persona, mi scoppia quasi il cervello dall’eccitazione. Le bollicine del vino mi elettrizzano, mi sto riscaldando, sento l’adrenalina che si fa strada nel mio corpo. Non passa troppo tempo che Anya prende la parola.

“Non ho mai… rischiato di tagliarmi una mano per aver dormito con un coltello”. Scoppiamo a ridere tutti. Lexa è rimasta a bocca aperta e le ha prontamente risposto con una gomitata. Per quanto sia contrariata, non può far altro che bere. Provo a cercare lo sguardo di Raven, ma lei non ha smesso di togliere gli occhi di dosso ad Anya. La stiamo decisamente perdendo. L’atmosfera si sta riscaldando. Tra un paio di bicchieri potrebbe addirittura saltarle addosso.
“Lexa, tocca te” interviene Lincoln, cercando di estinguere le risate. Lei si sporge in avanti e appoggia i gomiti sulle ginocchia. Guarda un punto fisso sul pavimento, davanti a lei e si prende qualche secondo prima di parlare.

“Non ho mai… fumato”. Semplice e concisa. Per un attimo ho avuto il terrore che se ne uscisse con qualcosa di altamente compromettente, ma per fortuna non è nulla di che. Anche se non so a cosa si riferisca nello specifico, fumo occasionalmente qualche sigaretta, per cui bevo tranquillamente. Anya e Raven mi seguono, mentre Lincoln scambia un’occhiata con Lexa e fa spallucce. Il tempo di lasciare scorrere il vino nelle vene e comincio a concentrarmi su ciò che devo dire io. Non riesco a pensare a nulla di troppo spietato, la mia mente è leggermente offuscata.

“Non ho mai… fatto un tatuaggio” dico infine. Mi guardo intorno curiosa e noto che tutti e tre i nostri ospiti alzano i bicchieri e bevono. Interessante. Adesso sono proprio curiosa di scoprire quali tatuaggi nasconde Lexa. E dove. Forse la mia mente sta correndo un po’ troppo, e l’alcol non mi sta aiutando a contenermi. Se penso che la serata non è ancora finita, mi viene il terrore che possa fare o dire qualcosa di sconveniente. Purtroppo ne sarei anche fin troppo capace.
//
Non so se sia stata colpa del gioco, del vino, o di entrambi, ma ci siamo trovati a ridere di cuore per qualsiasi cosa. Abbiamo tutti acquistato un evidente colorito rosso in viso, e alcuni di noi hanno pure rischiato di soffocare bevendo. Io personalmente credo di aver sputato del vino per cercare di trattenere una risata. Per fortuna non c’è il rischio di disturbare nessuno, anche se si è fatto parecchio tardi. Mamma è stata chiamata dall’ospedale per un’emergenza, ed è dovuta correre via nonostante fosse il suo giorno libero. Essere il primario di chirurgia generale è una responsabilità enorme, e di certo è un campo pieno di imprevisti. Fortunatamente mamma è abituata a qualsiasi cosa, e adora talmente tanto il suo lavoro che quasi preferisce passare più tempo col camice che con tuta e pantofole. Non posso assolutamente biasimarla, la medicina affascina tanto anche me, grazie anche a tutto ciò che mi è stato insegnato fino ad adesso. Sebbene io abbia deciso di prendere una strada totalmente diversa da quella di mia madre, darle una mano al lavoro mi entusiasma.

“Credo di aver bisogno di una sigaretta” esordisce d’un tratto Anya, alzandosi in piedi e afferrando il cappotto dalla sedia accanto a lei.

“Da quando hai ricominciato a fumare?” le chiede sorpresa Lexa.

“Colpa tua, Woods. Mi hai proprio fatto venire una gran voglia”. Anya le fa spallucce e le sorride con la sigaretta già in bocca. Non possiamo che trattenere una risata di fronte a questo breve teatrino.

“A chi lo dici” commento di getto, mentre mi alzo dal divano. Improvvisamente sento gli occhi di tutti puntati su di me e per un attimo mi sento spaesata. Noto che Raven si è portata una mano alla bocca e si sta trattenendo dal ridere. D’un tratto le mie parole mi risuonano in testa e capisco. Arrossisco inevitabilmente. “Di fumare!” specifico terribilmente imbarazzata. Distolgo lo sguardo e mi dirigo verso l’ingresso. Mentre cerco frenetica il mio pacchetto nelle tasche, Anya mi si para davanti e mi allunga una delle sue sigarette. Le rivolgo uno sguardo sorpreso e la ringrazio con un enorme sorriso. È la prima volta che io e lei interagiamo così da vicino e la cosa mi fa molto piacere. Ho sempre avuto la sensazione di non andarle granché a genio, mi sono sempre sentita un po’ a disagio sotto il suo sguardo. Forse perché ho notato il tipo di rapporto che ha con Lexa, e mi ricorda tanto il rapporto che abbiamo io e Raven. Credo che entrambe faremmo di tutto per proteggerle da qualsiasi cosa, anche la più innocente. La rispetto molto per questo.

“Hai da accendere, vero?” mi chiede appena arriviamo in veranda. Si è portata dietro il calice e ha lasciato dentro l’accendino. Mi sa che l’alcol sta giocando brutti scherzi anche a lei. Io la guardo, sorrido e mi sporgo verso il davanzale esterno della finestra del salotto, dove sta una delle tante candele che illuminano il portico. Accendo la mia sigaretta e la passo ad Anya, che mi ringrazia e mi porge la sua. Accendo anche quella, appoggio la schiena al muro e faccio il primo tiro. Sento il fumo graffiarmi un po’ la gola, ma la sensazione che ne segue mi rilassa completamente. Chiudo gli occhi per un momento e mi lascio travolgere da un piacevole senso di leggerezza che mi pervade da capo a piedi.

“È stata una bella serata, devo ammetterlo” sento d’un tratto. Apro gli occhi  e davanti a me trovo Anya che si porta la sigaretta alla bocca e mi rivolge un debole sorriso.

“Sono contenta che vi stiate divertendo” le rispondo leggermente imbarazzata.

“Sai, io e Lexa non siamo abituate a ricevere inviti di questo tipo. Eravamo un po’ preoccupate di sentirci eccessivamente a disagio, soprattutto in un contesto familiare” mi spiega lei, stringendosi nel suo cappotto. Le sue parole mi sorprendono un po’, anche se capisco perfettamente cosa vuole dire. Da quel poco che ho potuto capire di Lexa, non mi sembra un tipo molto estroso, anzi, credo che la timidezza e la riservatezza siano delle caratteristiche predominanti in lei. Eppure, quelle brevi conversazioni che abbiamo avuto non mi sono sembrate per nulla forzate, o in qualche modo faticose da affrontare. La cosa mi rallegra. Se con me riesce a tranquillizzarsi al punto di non avere difficoltà ad aprirsi, allora vuol dire che in qualche modo è anche merito mio. Forse l’alcol sta giocando brutti scherzi anche a me ormai, ma in questo momento non me ne importa niente. Il pensiero di poter essere una persona che fa la differenza per qualcun altro è alquanto soddisfacente.

“Non andate a molti eventi di famiglia, immagino” commento, un po’ curiosa di sapere come mai tanta ansia per una semplice cena del Ringraziamento.

“Siamo noi la nostra famiglia” mi risponde, distogliendo lo sguardo e prendendo un sorso di vino. Non credo di aver capito appieno il significato delle sue parole. Deve aver notato la mia espressione confusa, perché prende un respiro profondo e comincia a parlare in tono serio. “Sono andata via di casa molto giovane, non ho mai avuto un buon rapporto con i miei genitori. Lexa invece adorava i suoi, non avrebbe mai voluto perderli…” mi spiega, con voce grave. Per un attimo credo di sapere cosa sta per dire, e mi si stringe un nodo in gola. “Ci conosciamo da quando eravamo bambine, non ho esitato un secondo a prenderla con me dopo l’incidente”. Ecco, temevo proprio questo. “Sebbene io abbia diversi parenti, lei è l’unica famiglia che sento di avere davvero. E inevitabilmente è così anche per lei, anche se da qualche anno c’è anche Lincoln con noi” conclude lei, prendendo un altro sorso dal calice. Io mi sento del tutto sopraffatta da mille emozioni diverse. Le parole di Anya mi hanno messo un po’ di malinconia, ma allo stesso tempo sento anche un po’ di rabbia, mista a dolore e sorpresa. Non so bene come reagire a tutto questo, e l’alcol che mi gira in corpo non è per nulla d’aiuto. Vorrei dire qualcosa di confortante, ma allo stesso tempo mi sento un’idiota nel volerlo fare. Passano almeno un paio di minuti in totale silenzio.

“Come mai me ne hai parlato?” le chiedo infine. Lei si volta verso di me, mi scruta, e prende un ultimo tiro dalla sua sigaretta.

“Ho notato come ti comporti quando si tratta di lei. Tutte le occhiate al bar, il tuo offrirti volontaria per andarla a ripescare in mezzo al bosco, le visite notturne in ospedale, persino questo invito a cena. Per qualche motivo inspiegabile lei ti sta particolarmente a cuore, e sento di potermi fidare del tuo giudizio” mi spiega. Il cuore ha cominciato a galopparmi furioso nel petto, sento il viso in fiamme. Anya fissa il cielo in silenzio adesso e io mi sento totalmente senza parole. Come diavolo ha fatto? Non credevo che le mie attenzioni fossero così facilmente riconducibili a questo strano interesse che ho nei confronti di Lexa. Questo cambia ogni cosa. Presto o tardi se ne accorgeranno tutti (se non l’hanno già fatto), e non ho idea di come affrontarlo. Finisco la sigaretta in fretta con due lunghi tiri e cerco di calmare il panico che cerca di farsi strada dentro di me.

“Poche cose mi sfuggono, sappilo” puntualizza, rivolgendomi lo sguardo e alzando le sopracciglia. Io sono sempre più terrorizzata, e deve vedersi benissimo dalla mia faccia.

“Non glielo dirai, vero?” provo a chiederle. Lei strizza un po’ gli occhi e fa finta di pensarci su.

“Facciamo così, io non le dico nulla se tu tieni la bocca chiusa con Raven. Tua sorella dovrà sudare per avere certe informazioni” mi propone, abbozzando un ghigno. Io mi lascio scappare una risata e accetto la sua proposta.

“Non posso sapere cosa ti frulla in quella testa, ma sappi che non potrai nasconderlo per sempre”. Avverto una nota di dispiacere nella sua voce. Cerco di evitare il più possibile il suo sguardo e sospiro. So che ha ragione, anche se trovo difficile ammetterlo. Inconsciamente annuisco e abbozzo un sorriso malinconico. Anya mi mette una mano sulla spalla e ricambia il sorriso. Ad un tratto sentiamo battere freneticamente sul vetro della finestra e ci voltiamo per trovare una Raven saltellante che entusiasta mi fa segno di ascoltare. Ha aumentato notevolmente il volume della musica e riesco a riconoscere subito l’intro della canzone che è appena cominciata. Il mio volto si illumina in un largo sorriso e mi fiondo verso la porta per raggiungere il salotto. Anya mi segue un po’ perplessa, ma curiosa di sapere quale problema mentale ci affligga. Io raggiungo Raven, muovendomi a ritmo delle parole, e cominciamo a cantare a turno, con tanto di gesti e smorfie.

“I come fluttering in from Neverland
Time could never stop me, no, no, no, no
I know you try to
I come riding in on a pale white horse
Sending out ice to less fortunate
I do advise you…”

Adoriamo questa canzone. Adoriamo Rihanna. E devono essersene accorti tutti, che ci guardano divertiti, ma anche un po’ imbarazzati. Noi siamo troppo impegnate a ballare in modo a dir poco ridicolo al centro del salotto per badare al disprezzo che si cela nei loro pensieri. L’alcol ha finalmente il suo libero sfogo.
//
“Grazie per la serata, Clarke, siamo state benissimo” mi ripete Lexa sul ciglio della porta, abbozzando un sorriso timido.

“Mi fa davvero piacere” le rispondo, abbassando lo sguardo imbarazzata. Sento parecchio caldo, nonostante fuori ci siano non più di cinque gradi.

“Lexa, ti aspettiamo in macchina. Buona notte, Clarke” ci dice Anya, passandoci accanto, e salutando con un cenno della mano. Ricambio il saluto e dietro di me sento Raven sospirare rumorosamente e poi cominciare a ridere. Io e Lexa ci scambiamo uno sguardo interrogativo, ma non ci badiamo molto. Passano un altro paio di secondi così, in silenzio, con sporadici sorrisi imbarazzati e sguardi sfuggenti.

“Ok, allora ci sentiamo domani?” mi chiede lei. Io annuisco e lei mi si avvicina per lasciarmi un bacio sulla guancia e augurarmi la buona notte. Il mio volto va subito in fiamme e il mio battito comincia ad accelerare. Mentre la guardo allontanarsi verso la macchina sento il bisogno di chiamarla. Lei si volta sorpresa.

“Fammi sapere quando arrivate in albergo, ok? Il mio numero l’hai” le dico, senza nemmeno pensare. Lei mi sorride e annuisce. La seguo con lo sguardo fin quando l’auto sparisce alla fine del vialetto. Mi chiudo la porta alle spalle e mi appoggio esausta. Chiudo gli occhi e sospiro. Mi scappa un sorriso al pensiero del suo saluto inaspettato.

“A te cosa è successo?” mi chiede Raven, incuriosita dalla mia espressione.

“Mi ha dato un bacio sulla guancia” le rispondo con un fil di voce, con i muscoli degli zigomi che tirano per il  sorriso che non accenna a sparire dal mio viso. Sento un ‘pff’ provenire dal divano.

“Perché, a te che è successo?” le chiedo in tono acido, incrociando le braccia.

“Principiante. Io la mia l’ho baciata”

Note:
Questo capitolo è stato un po' più complicato da sviluppare, dato che si tratta unicamente di un Clarke POV, ma spero che il risultato sia comunque soddisfacente :) 
Per quanto riguarda il testo della canzone che cantano Clarke e Raven (Consideration, di Rihanna ft. SZA https://www.youtube.com/watch?v=y0YA_F6n5_4) non ho aggiunto la traduzione perché non volevo soffermarmi sul significato delle parole, ma semplicemente volevo far capire di che canzone si trattasse.
Un ringraziamente speciale va a tutti quelli che seguono questa storia e nuovamente a chi continua a lasciarmi delle recenzioni! XO

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Clarke POV

Octavia è in ritardo, come sempre. Nonostante le abbia specificato di essere puntuale stavolta, non si è ancora fatta vedere. Jasper e Monty sono riusciti a raggiungermi quasi subito, e fortunatamente non ho dovuto aspettare tutto questo tempo da sola. Raven ha pensato bene di sgusciare via di casa stamattina presto, non lasciandomi altra scelta che raggiungere il bar a piedi. Tutto per correre dalla sua preziosa conquista e fare colazione con lei. Credo che ormai l’abbia preso come un appuntamento fisso. ‘Te la caverai benissimo anche senza di me’ mi ha urlato mentre usciva di corsa da casa. Per quanto vorrei poterla odiare, non posso che invidiarla. Quello che sta facendo è tra le cose più spontanee e dolci che le abbia mai visto fare, per cui credo che la cotta che si sia presa sia bella forte. Non posso nemmeno incolpare Anya, non dopo l’interessante scambio che abbiamo avuto. È una ragazza fin troppo seria, e credo che a Raven faccia parecchio bene starle accanto. La verità è che sono nervosa, e so bene da cosa dipenda. Ultimamente comincio a sentirmi in difficoltà, più tempo passo da sola a pensare e più mi sento persa, e la colpa posso darla solo a me stessa. Se avessi affrontato le mie paure e avessi preso in mano la situazione prima, molto probabilmente potrei avere le mie colazioni romantiche fuori anche io, a quest’ora. Sono passati praticamente due giorni dalla sera del Ringraziamento, e l’unica cosa che sono riuscita a fare è stata mandarle un paio di messaggi e proporre cose che poi non ho avuto il coraggio di fare. Ho passato due giorni a fare di tutto pur di distrarmi e non dovermi trovare faccia a faccia con la realtà. E ora mi mangio le mani. Lexa Woods, che diavolo mi stai facendo…

“Clarke?”. Sobbalzo per un momento. Monty mi osserva con espressione interrogativa. Improvvisamente mi rendo conto di essermi persa nei miei pensieri. L’intenso odore di caffè nell’aria e la confusione di sottofondo mi ricordano che sono allo Shrieking Bar e che sono seduta a questo tavolo da almeno mezz’ora. Se Octavia non arriva entro i prossimi cinque minuti rischio di esplodere dall’ansia.

“Scusa, hai detto qualcosa?” gli chiedo spaesata.

“Ti chiedevo se fosse tutto a posto. Hai fatto a pezzi quasi tutti i tovagliolini del tavolo” mi spiega, quasi a bassa voce. Abbasso lo sguardo e con sorpresa noto un cumulo di pezzetti di carta sotto le mie mani. Sbuffo.

“Scusatemi, non mi sono alzata bene stamattina. Sono un po’ nervosa” cerco di giustificarmi, scuotendo la testa. Prima che Jasper possa replicare, veniamo attirati da un mezzo urlo, seguito da un ‘eccomi!’, provenire alle mie spalle. Mi volto di scatto e vedo Octavia raggiungerci in fretta. Ha il fiatone. Si lascia cadere sulla sedia accanto a me e tenta di riprendere fiato.

“Bell mi ha lasciata a piedi stamattina, l’ho dovuta fare tutta di corsa” riesce a dire, tra un respiro profondo e l’altro. I ragazzi se la ridono e la prendono in giro. Io mi sento completamente estraniata da tutto. Il mio cuore batte frenetico. Ora che Octavia è qui dovrei essere più tranquilla, ma la cosa non sembra funzionare più di tanto. Anzi, ora che ci ha raggiunti, è arrivato il momento di spiegare perché ho chiesto loro di incontrarci urgentemente. Sento di avere la gola secca. Per nascondere il panico convinco i ragazzi ad ordinare subito la colazione e la conversazione si sposta inevitabilmente sul cibo. Io ho lo stomaco totalmente chiuso che penso che potrei vomitare qualsiasi cosa provassi a mangiare. Ordino solo un cappuccino, giusto per avere un po’ di zucchero in corpo.

“Che mi sono persa di interessante?” chiede Octavia mentre addenta il suo cornetto, guardandoci curiosa.

“Nulla di che, dicevo a Monty che il mio liquore dovrebbe essere pronto a giorni” risponde Jasper entusiasta. Il viso di Octavia si illumina e le si allarga un enorme sorriso. I due si scambiano il cinque. “Ah, e Clarke ha sterminato un’intera famiglia di tovaglioli innocenti per il nervosismo” aggiunge lui, rivolgendomi uno sguardo. Ho tutti i loro occhi puntati su di me adesso, e la cosa non mi fa stare meglio. Octavia prende un altro morso e mi guarda accigliata.

“Effettivamente non hai una bella cera. Che ti è successo?” mi chiede, con la bocca ancora piena. Io rimango in silenzio per un attimo. Prendo un gran respiro e comincio.

“Devo dirvi una cosa”. Hanno tutti cambiato espressione. Da semplice curiosità, ora leggo solo preoccupazione sui loro volti.

“Non dirmi che Finn si è fatto risentire proprio oggi, perché stavolta giuro che…” comincia Octavia con tono serio. Colgo subito il suo riferimento alla giornata di oggi, ma la interrompo prontamente e scuoto la testa per rassicurarla. Per una volta, la mia ansia non ha nulla a che vedere con il ’27 novembre’. Octavia sembra leggermente sollevata, ma resta comunque in agguato.

“Ho conosciuto una persona” riesco a dire, abbozzando un debole sorriso. Il battito cardiaco aumenta, così come la temperatura. Jasper e Monty si scambiano un’occhiata sorpresa e mi sorridono. Octavia ha sgranato gli occhi e ha tirato un sospiro di sollievo. Anche lei ora mi sorride. Prendo un sorso dal mio cappuccino e tento di rimanere concentrata. Ormai la bomba è stata sganciata, non posso più tirarmi indietro. Prima ne parlo con loro e prima potrò capirci qualcosa di più. Prima lo affronto e prima potrò sapere come muovermi.

“Scommetto che si tratta di quel nuovo istruttore” interviene Jasper con un ghigno, alzando ripetutamente le sopracciglia. Lui e Monty si scambiano un cinque e io non posso che osservarli accigliata. È davvero il primo collegamento che riescono a fare? Io e quel belloccio del nuovo istruttore? Credevo di avere standard migliori.

“Che idioti, come si vede che non ne capite niente” commenta Octavia con un leggero tono di disprezzo “Quel biondino è tutto palestra e steroidi, non arriva nemmeno a metà del livello di Clarke”. Mi rivolge un sorriso e mi fa l’occhiolino. Io trattengo una risata, ma l’ansia torna a farsi strada dentro di me quando mi rendo conto che il momento di vuotare il sacco si sta avvicinando.

“Beh, nessuno dei ragazzi che bazzicano qui a Mount Weather è un granché” commenta Monty, portandosi la mano sul mento e assumendo un espressione pensierosa.

“Magari è un uomo più grande” gli risponde Jasper, palesemente a corto di alternative. Monty gli rivolge un’espressione disgustata e Octavia si copre il volto con una mano, tristemente imbarazzata per lui. Sta diventando tutto talmente ridicolo che quasi mi diverto a vederli fantasticare su questa cosa.

“Beh, se non è un ragazzo di qui, né un vecchietto, allora è un turista!” tenta nuovamente lui, voltandosi verso di me speranzoso.

“… Magari una turista?” gli dico. La sua faccia non ha prezzo. Segue un silenzio di tomba. Bomba sganciata ed esplosa.
//
Sono esausta. All’inizio, l’idea di fare la strada del ritorno con Octavia sembrava buona. Una lunga passeggiata avrebbe dovuto schiarirmi le idee e tranquillizzarmi un po’. Invece mi sono ritrovata davanti casa totalmente distrutta e ancora più confusa. Con mia enorme sorpresa, i ragazzi hanno preso eccessivamente bene la notizia del mio sbandamento totale per Lexa, e hanno passato tutta la mattina a tempestarmi di domande. Il loro entusiasmo mi ha spiazzata del tutto. Devo ammettere che mi ha alleggerito parecchio il cuore vedere la loro reazione. Credevo che l’ansia mi avrebbe inghiottita del tutto, ma la loro spontaneità nell’affrontare l’argomento mi ha tranquillizzata, e sono anche riuscita a ridere alle battute oscene di Jasper. Si sono tutti congratulati con me, ma mi hanno giustamente fatto notare che dovrei fare qualcosa al riguardo, non me ne posso stare ferma ad aspettare. Sulla strada del ritorno Octavia ha cercato di farmi riflettere sulla cosa più importante: il prossimo fine settimana Lincoln, Anya e Lexa saranno di ritorno in città. La cosa mi ha demoralizzata del tutto, anche se sapevo che prima o poi sarebbe successo. Quello che mi fa più rabbia è la mia stupidità. In questi giorni mi sono lasciata frenare dalla paura e ho rinunciato a fin troppe occasioni di provare almeno a conoscerla meglio. E adesso sento il peso del tempo gravarmi addosso. Se ripenso a quando sono andata a ripescarla in mezzo al bosco, o a quando abbiamo guardato le stelle insieme, mi rendo conto di quanto fosse tutto così istintivo e spontaneo. Forse a quel tempo non avevo ancora realizzato quale potesse essere il motivo di questa strana attrazione nei suoi confronti, e starle vicino era decisamente più facile. A cambiare tutto è stato sapere all’improvviso che era finita in ospedale. Ricordo di aver avvertito una pesante ondata di terrore investirmi in pieno quella mattina. In quel preciso istante mi sono resa conto che quello che sentivo non era normale, per essere una semplice persona conosciuta un paio di giorni prima. In quell’istante ho realizzato che non vorrei mai che le succedesse qualcosa di brutto, e per assicurarmene voglio essere io a prendermi cura di lei.

Dopo una lunga e attenta riflessione sul poco tempo che mi resta per fare un passo avanti, Octavia è riuscita a convincermi a scrivere un messaggio a Lexa, suggerendomi di approfittare di questa giornata particolare per vederci stasera. Appena sono arrivata a casa, mi sono chiusa in camera e ho passato almeno dieci minuti su letto a scrivere e cancellare il testo del messaggio. Avanti, Clarke. Provo a calmarmi con un po’ di musica. Afferro il telecomando e accendo il lettore cd, senza nemmeno sapere cosa ci sia in riproduzione. Riconosco subito i primi accordi. Ed Sheeran. Perfetto, direi. La sua musica è tra le poche che preferisco in assoluto, e i suoi testi sono particolarmente di ispirazione. Magari riesco a rilassarmi e pensare a qualcosa di non troppo ridicolo da scriverle.

“Ciao, Heda. Ti andrebbe di accompagnarmi in un posto stasera?”

Inviato. Lancio il cellulare ai piedi del letto e mi porto le dita alla bocca. L’impazienza comincia a farsi strada dentro di me e non riesco a respingere l’impulso di mangiarmi le unghie. Oggi è il ’27 novembre’, anniversario della morte di mio padre, e come da tradizione, la sera mi piazzo in cima alla valle col suo vecchio pick-up, in uno dei suoi punti preferiti, e brindo al suo spirito, mentre osservo il cielo. In cinque anni non ho mai portato nessuno con me, oltre a Raven, ma stavolta è diverso. Non riesco a spiegarmelo neanche io, ma sento di volere condividere questo momento con Lexa, sento di avere bisogno della sua presenza. Forse è una mossa un po’ azzardata, non so nemmeno se definirla una vera e propria uscita, data la situazione particolare. Chissà cosa si aspetta. Forse avrei dovuto specificarlo subito. Magari invece avrei dovuto aspettare fino a domani, optando per un pranzo fuori, o qualcosa del genere. Ecco, mi sento un’idiota.

“Certo. Posso chiederti dove andremo?”

Ha risposto quasi subito. Il mio volto si illumina. Allargo un sorriso e sospiro sollevata.

“Un posto in montagna. Passo a prenderti alle 10?”

“D’accordo, ragazza misteriosa. A stasera”

È fatta. Ha accettato il mio invito, nonostante non abbia idea di cosa faremo. Devo ammettere di aver temuto un rifiuto, ma non ho fatto che sperare che andasse tutto bene. Tra le svariate sensazioni che avverto in questo momento, per un attimo sento la mancanza. Sono passati due giorni dall’ultima volta che l’ho vista e… mi è mancata. Nell’attimo in cui lo realizzo mi rendo conto di quanto ormai sia senza speranze. Ho assolutamente bisogno di vederla, c’è poco da fare. Chiudo e gli occhi e sospiro. Ora sì che posso entrare nel panico totale.
//
Lexa POV

Anya è appena tornata dalla sua ennesima colazione fuori e non fa che sorridere. Questa cosa le sta proprio facendo bene, non credo di averla mai vista così rilassata. Sono davvero felice per lei, non potevo sperare di meglio. L’unica cosa che mi infastidisce un po’ è la sua quasi totale riservatezza sull’argomento. Ogni volta che provo a farle qualche domanda in più lei mi fa il verso e cambia discorso. Sa bene che sono molto curiosa, e questo suo atteggiamento non fa che peggiorare la mia condizione. Ultimamente ho notato anche uno sviamento tattico del discorso ogni volta che le chiedo dei pareri più specifici su Clarke, e sinceramente non ne capisco il motivo. Giorni fa era addirittura lei a tartassarmi di domande. Dopo la cena del Ringraziamento è diventato tutto troppo strano. Anya ha cominciato a passare più tempo fuori e a evitare determinati argomenti, Clarke si è fatta sentire sporadicamente, ma è come se fosse sparita. L’unica persona normale in tutto questo casino sembra essere Lincoln, che continua a comportarsi come ha sempre fatto. Cerca sempre di non passare troppo tempo in giro, magari portando Octavia allo chalet per stare anche un po’ con noi. Apprezzo molto questo suo senso di generosità nei nostri confronti, è sempre molto attento a non farci mai sentire sole o a disagio. Per fortuna che c’è lui a portare un po’ di equilibrio nelle nostre vite, perché altrimenti io e Anya finiremmo per prenderci per i capelli, soprattutto in questi giorni.

Al momento vorrei solo tornare a dormire. Non so perché, ma stamattina non mi sono svegliata molto bene. Credo anche di aver avuto qualche incubo stanotte. Non ricordo quasi nulla, solo il terribile rumore di uno schianto e un forte mal di testa. Ho ancora addosso una bruttissima sensazione. Quando mi sono svegliata ho cercato subito Anya, ma ho scoperto che era uscita presto per vedersi con Raven. Lincoln è stato con me tutto il tempo, abbiamo fatto colazione al bar dello chalet, e ci siamo dedicati alla programmazione del viaggio di ritorno, nonostante sia ancora un po’ presto per pensarci. Ci siamo resi conto che abbiamo un budget decisamente ridimensionato e abbiamo ancora una settimana da passare qui. In più abbiamo provato a farci un’idea dei turni di guida, e abbiamo calcolato un viaggio di ritorno decisamente più lungo, in quanto saranno solo Lincoln e Anya a guidare (a causa della mia mano) e faremo sicuramente più soste. Forse è davvero troppo presto per preoccuparsi di queste cose, ma la mia sindrome ossessivo compulsiva si fa sentire di più quando sono particolarmente ansiosa. Organizzare e ordinare le cose mi tranquillizza.

Da quando è tornata, Anya ha deciso di piazzarsi nella mia stanza, e il mio pisolino è andato a farsi benedire. Insieme a Lincoln abbiamo deciso di ordinare il pranzo in camera e adesso siamo tutti accampati sul mio letto, tra confezioni di cibo cinese e tovaglioli ovunque.

“Come diavolo hai fatto a trovare un ristorante cinese in questo posto sperduto?” chiede Anya, con la bocca ancora piena.

“Ho i miei contatti” risponde Lincoln, sogghignando.

“Allora ringrazia Octavia da parte mia. Non mangiavo pollo alle mandorle da troppo tempo” gli dice lei, riempiendosi nuovamente la bocca di cibo. Lincoln ride e io mi godo la conversazione, mangiando in silenzio. Devo ammettere che è passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che abbiamo mangiato cinese, e trovare un posto in questo paesino di montagna è stata una piacevolissima scoperta. Mentre mi godo i miei spaghetti di soia, sento il cellulare vibrare accanto a me. Poso lo sguardo sullo schermo e leggo ‘Sky Girl’. Il mio cuore scatta furioso. Afferro il telefono e apro il messaggio. Inevitabilmente sorrido.

“Qualcuno ha messo via il broncio” mi stuzzica Anya, abbozzando un ghigno. “Qualcosa mi dice che si tratta di Clarke”. Provo a zittirla con un colpetto sul ginocchio e mi concentro su cosa rispondere.

“Buone notizie?” chiede Lincoln, guardandomi sorridente.

“Clarke mi ha chiesto di andare con lei in un posto stasera” spiego velocemente, mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo.

“Visto? Sapevo che era lei” commenta Anya in tono saccente, finendo la sua porzione di cibo. Non le presto troppa attenzione e scrivo di getto una risposta. Non so cosa aspettarmi da questo invito e dopo questi giorni di quasi totale silenzio non sono nemmeno sicura di cosa possa significare, ma non posso nascondere l’incredibile voglia che ho di vederla. In questi giorni sono arrivata persino ad avercela con lei, fondamentalmente senza motivo. Mi ritrovavo a rileggere i suoi messaggi, passando dalla gioia alla frustrazione in meno di un secondo. Perché si interessa a me in questo modo? Cosa sta cercando? Perché è sparita per due giorni dopo avermi detto ‘ci vediamo presto’? Forse sto un po’ esagerando, forse mi sto facendo troppi film nella mia testa, ma io sono sicura di aver percepito qualcosa la sera del Ringraziamento. Così come ho sentito qualcosa anche in ospedale. Eppure non è mai successo nulla. Questa cosa mi sta facendo impazzire totalmente.

“Quindi è una specie di appuntamento?” chiede Lincoln curioso. Arrossisco visibilmente.

“Non lo so… non credo” rispondo, un po’ imbarazzata. Ed è vero, non ho idea di cosa possa essere.

“Aw, la nostra Squiddy ha un appuntamento” sbotta Anya in tono fastidiosamente sdolcinato. Mi limito a guardarla torva e torno a concentrarmi sul cellulare. Verrà a prendermi alle 10. Bene, posso ufficialmente entrare in panico.
//
L’aria è totalmente ferma. È la prima sera “calda” da quando siamo arrivati a Mount Weather. La temperatura si è alzata notevolmente, e devo ammettere che la cosa non dispiace affatto. Nonostante questo sia un posto fantastico, comincio a sentire un po’ la mancanza di casa e del clima mite della città. Questa sera mi ricorda una delle tante sere autunnali a cui sono abituata da anni. Forse è proprio questo a farmi sentire più rilassata. O forse è il fatto che Clarke mi ha finalmente spiegato dove siamo e come mai siamo qui. Quando si è presentata davanti allo chalet con questo vecchio pick-up nero, per un attimo ho temuto che la nostra destinazione fosse una qualche festa poco raccomandabile. Mi sono sentita una persona orribile per averlo pensato, soprattutto dopo aver saputo il vero significato di tutta la serata. Sono stata sopraffatta da un turbine di emozioni contrastanti, tra la tristezza dell’argomento in sé, il senso di compassione, la felicità nel realizzare il fatto di essere stata scelta per una cosa così intima, e la preoccupazione che ne è scaturita per la responsabilità enorme che inconsciamente mi è stata addossata. È una cosa talmente personale, che basterebbe un solo commento inappropriato per rovinare tutto.

Clarke si è fermata su un promontorio particolarmente sgombro di vegetazione. A parte qualche macchia d’erba, il terreno è totalmente sterrato, non ci sono né alberi né cespugli. Credo che la scelta del posto sia del tutto funzionale alla vista che si propone davanti a noi. Il fondovalle è un gioco di deboli luminescenze che illuminano la notte. Da questo punto si riescono a vedere diversi nuclei di luci (probabilmente paesi vicini) e lo spettacolo è qualcosa di surreale. Il padre di Clarke aveva tutti i motivi per ritenerlo il suo posto preferito.

“Bello, vero?”. Mi volto di scatto e trovo Clarke appoggiata all’estremità del cassone del pick-up, con le braccia incrociate e uno strano sorriso.

“È stupendo” le rispondo, ricambiando il sorriso.

“Da quassù è ancora meglio” mi dice, dando un colpetto al pick-up e facendomi l’occhiolino. In pochi secondi si sposta sulla fiancata laterale, mette un piede sulla ruota e con uno slancio si catapulta all’interno del cassone. Rivolge lo sguardo su di me e mi fa segno di seguirla. Mi posiziono di fronte la vettura e prontamente trovo la sua mano ad aiutarmi. La rifiuto gentilmente e mi arrampico senza problemi.

“Ho portato della birra” mi informa, chinandosi su una cassa di plastica ai suoi piedi. “Ma se preferisci, ho un’intera cassa di vino”. Per un attimo resto confusa, ma non appena si volta verso di me, noto il suo sguardo provocatore e capisco che mi sta prendendo in giro.

“Molto divertente” le rispondo acida, con sguardo torvo. Lei scoppia a ridere e torna dedicarsi alle birre. “Non l’ho mica bevuto tutto io quel vino, Rihanna dei miei stivali…” borbotto. L’espressione sul suo volto è indescrivibile. Un misto tra incredulità e totale sconvolgimento le si stampa in faccia, e io non riesco a trattenere una risata.

“Che stronza” commenta, alzandosi in piedi e scuotendo la testa. Si avvicina a me e strizza gli occhi, arricciando un po’ le labbra. Io continuo a ridere silenziosamente. “Questo è stato un colpo basso, Heda. Saprò vendicarmi” mi dice, fingendo un tono autorevole e porgendomi una delle due birre che tiene in mano. Io annuisco noncurante e afferro la bottiglia.

L’ansia è quasi totalmente sparita. L’atmosfera si sta facendo particolarmente piacevole. Clarke sembra tranquilla, il motivo per cui siamo qui non sembra affatto buttarla giù e trascinarla verso la tristezza. Sono sorpresa di vedere il modo in cui sta affrontando tutto, la sua è una forza particolare. Non so se al posto suo riuscirei ad essere così estrosa e allegra. Ora che so come passa ogni ’27 novembre’, sono felice di poter essere qui con lei, sono grata di poterle fare compagnia. Mi sento fortunata ad assistere a tutto questo. Più mi guardo intorno e più mi rendo conto del fatto che non vorrei essere da nessun’altra parte. Sapere di dover condividere questa serata con Clarke mi elettrizza da morire. Siamo io e lei da sole, in un punto sperduto della montagna, circondate dal silenzio più totale, sotto un cielo incredibilmente stellato e davanti ad una vista spettacolare. Non credo di essermi mai trovata in una situazione più romantica di questa. Se non fosse che io e Clarke siamo delle semplici conoscenti ad una specie di rituale funebre non convenzionale. Non dovrei farmi troppe illusioni, non dovrei affatto pensarci. Ma la cosa diventa definitivamente impossibile quando sento le dita di Clarke intrecciarsi con le mie. Non respiro.

Note:
Mi scuso per l'enorme lasso di tempo trascorso tra il precedente capitolo e questo, ma sono in piena sessione estiva all'università, ed è già un miracolo che io abbia avuto la possibilità di pubblicare oggi lol
Il capitolo è leggermente più lungo degli altri, come avete visto c'è un doppio POV e si torna a guardare il mondo con gli occhi di Lexa.
Ringrazio tutti voi per la pazienza e per la dedizione che avete nel seguire questa storia.
Vi anticipo che avrò un altro esame a breve, per cui ci sarà da aspettare anche per il prossimo capitolo (sorry). XO.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Nonostante la temperatura sia notevolmente bassa, comincio a sentire parecchio caldo. Deglutisco con difficoltà. Istintivamente ho rivolto lo sguardo verso la mia mano e quella di Clarke, l’una nell’altra, e una sensazione di terrore mi ha pervasa. Non ho il coraggio di alzare lo sguardo. Respira, Lexa.

“Vieni, sediamoci qui” mi dice lei, trascinandomi verso l’inizio del cassone. Ci sono delle coperte già sistemate sotto di noi. Lascia la presa sulla mia mano e ci sistemiamo l’una accanto all’altra. Prende un sorso di birra e sorride. La osservo con curiosità. Per un attimo ho creduto di sognare. Sentire la sua mano nella mia così all’improvviso mi ha letteralmente spiazzata. Non posso negare di essere un po’ confusa dal suo gesto, da tutto il suo comportamento. Questa ragazza mi sta mandando completamente in tilt. Comincio a chiedermi nuovamente come mai abbia deciso di chiedere proprio me di venire qui con lei, tra tutte le possibilità che aveva. Forse fantastico un po’ troppo con la mente, ma il fatto che io mi trovi qui con lei significa qualcosa. Deve significare qualcosa.

“Sono contenta che tu sia qui” mi dice ad un tratto, catapultandomi bruscamente nella realtà. Mi si ferma il cuore per un secondo. Arrossisco e abbozzo un sorriso.

“Beh, offri cieli stellati e birra” provo a risponderle ironicamente, prendendo un sorso dalla mia bottiglia. Lei si volta verso di me, alza un sopracciglio e trattiene una risata.

“Guarda che hai accettato prima di sapere dove ti avrei portata” puntualizza lei, gongolando.

“Mi sono voluta fidare” le rispondo, dandole un colpetto con il gomito e cercando di evitare il più possibile il contatto visivo. Clarke si volta verso di me, ma io mantengo decisa lo sguardo fisso sull’orizzonte. Se penso a tutto quello che mi è passato per la testa quando mi è arrivato quel suo messaggio, non riesco neanche io a capire cosa sia stato davvero a spingermi ad accettare subito il suo invito. Forse la curiosità, forse davvero la fiducia. Magari invece è stata semplicemente l’incredibile voglia di vederla, e quindi tutto il resto è passato in secondo piano. Questo però non posso di certo dirglielo.

“Speravo tanto che accettassi, sai? Avevo voglia di vederti” dice ad un tratto, in un fil di voce. Ed ecco che riesce a sorprendermi ancora una volta. Resto quasi senza respiro. Mi volto verso di lei e la trovo sorridente, intenta a prendere un altro sorso di birra. Il mio cuore comincia a correre impazzito. Ha proprio detto quello che ho sentito?  Tutto questo non fa che confondermi ancora di più. Prendo un lungo sorso di birra anch’io, al momento è l’unica cosa che può aiutarmi a non dare di matto. Non riesco a trattenere un sorriso, nonostante dentro di me si sia insediata una fastidiosa sensazione di terrore. Terrore di sbagliare, di fraintendere i suoi gesti, le sue parole, le sue intenzioni. Non ho assolutamente intenzione di spaventarla, di spingerla troppo oltre il limite, ma non so davvero cosa pensare ormai, non so nemmeno quale sia il suo limite. Clarke ha sempre avuto questo comportamento un po’ ambiguo nei miei confronti, ma non riesco a capire quanto possa esserci di consapevole nel suo atteggiamento. Appoggio la testa sulla parete della cabina del pick-up, con lo sguardo perso verso il cielo che si estende fino all’orizzonte, e sospiro pesantemente.

“Posso farti una domanda?” le chiedo cauta. La sento annuire e immagino mi stia guardando in attesa delle mie parole. “Come mai hai chiesto a me di accompagnarti?”. Le parole mi escono di getto, ma con non poca difficoltà. So di stare allungando un po’ il passo così facendo, ma questa curiosità mi tormenta da tutto il giorno. Ora so che aveva voglia di vedermi, ma avrebbe potuto farlo in qualsiasi altra occasione. Sono sicura che a Raven non sarebbe di certo dispiaciuto accompagnarla qui stasera. La sento sospirare. Passano alcuni secondi di totale silenzio prima che risponda.

“Se devo essere sincera, non so come sono arrivata a considerare l’idea di proporlo proprio a te. Sarei potuta venire qui da sola, come faccio spesso… ma questa volta ho pensato molto a mio padre, a quanto lui amasse venire qui e perdersi nel cielo, e non ho potuto fare a meno di pensare a te. Ci conosciamo da poco, è vero, ma… mi sono voluta fidare”. Queste sue ultime parole mandano una scarica elettrica lungo tutta la mia schiena. Mi volto verso di lei e la trovo con il capo leggermente inclinato, un accenno di sorriso, e gli occhi particolarmente luminosi. Non credo di aver mai visto nulla di più bello. Ha un’espressione così serena, così dolce. Il blu dei suoi occhi riesce a farsi notare e apprezzare anche nel buio quasi totale che ci circonda. Comincio a sentirmi strana. D’improvviso avverto una folata d’aria fredda che mi fa venire i brividi e mi fa stringere nella coperta che ho addosso. Una ciocca dei capelli di Clarke si sposta sul suo viso, e prima che lei possa fare qualsiasi movimento, la mia mano è già sul suo volto. Lei abbassa per un attimo lo sguardo, e mi ringrazia con un sorriso.

“Ho delle coperte in più se dovessi…”. Non le lascio terminare la frase. Nella mia testa un blackout totale. Mi sporgo verso di lei e la bacio.

Le mie labbra si sono poggiate sulle sue e il tempo si è fermato. Forse non la stavo nemmeno ascoltando. Forse ho solo perso la ragione. Devo essere del tutto impazzita, ma non sono riuscita a controllarmi. Il calore della sua pelle a contatto con la mia mano mi ha provocato una strana sensazione. Il desiderio di avvicinarmi a lei è stato talmente forte da convincermi a buttarmi del tutto. Non so neanche cosa possa pensare Clarke di questo gesto così avventato, ma in questo momento non riesco nemmeno a preoccuparmene. L’unica cosa a cui do importanza è il fatto che non si sia ancora tirata indietro. Anzi, sembra proprio che non abbia intenzione di farlo tanto presto. Il bacio è molto lento è innocente, mi ci perdo completamente. La mia mano si sposta alla base del suo collo e con un movimento leggero la avvicino a me, quasi come se avessi paura che scappi da un momento all’altro. E forse è così, ho paura. Ho paura dal giorno in cui l’ho conosciuta. E ora che l’ho qui davanti a me, a nessun centimetro di distanza tra le nostre labbra, non mi sembra neanche vero. Forse ora stringo un po’ troppo. Le nostre labbra si separano. Mi impietrisco.

“Non voglio mettere in dubbio la tua forza, Heda, ma non serve. Non vado da nessuna parte” mi dice sottovoce, allontanandosi di pochi millimetri. Non posso che lasciarmi scappare una debole risata nervosa. Anche lei sorride, e la cosa mi tranquillizza. Sto per controbattere, quantomeno per scusarmi o giustificarmi, ma Clarke non me ne lascia il tempo. Stavolta è lei a baciarmi e, beh… è tutta un’altra storia.

//

Non so bene che ore siano quando mi risveglio, né riesco a capire quando mi sia addormentata di preciso. Ricordo soltanto Clarke che mi aiuta a sedermi sul sedile del pick-up per riportarmi in albergo, ma è tutto un po’ sfocato e confuso. Non ho mai avvertito così tanto la stanchezza addosso come questa sera. Sono bastate un paio d’ore sotto il cielo stellato e un’ottima compagnia per farmi rilassare totalmente. Stare sdraiate sotto un paio di coperte pesanti ha di sicuro contribuito. Per fortuna, però, parlare mi ha tenuta sveglia e vigile, soprattutto quando Clarke mi ha chiesto di spiegarle il mio amore per le stelle e di conseguenza il rapporto che avevo con mia madre. È stato sorprendentemente piacevole e in qualche modo liberatorio riuscire a parlarne con lei. Finora non avevo mai trovato l’occasione giusta per affrontare il discorso con altre persone al di fuori di Anya e Lincoln. Sono rimasta molto sorpresa dalle domande che mi ha fatto, ma ancora di più dalla facilità con cui ho saputo dare una risposta sincera. È strano, ma Clarke è sempre riuscita a farmi questo effetto. Riesce ad infondermi una serenità che non credo di aver mai avuto negli ultimi anni, e questa cosa per me significa molto. Il suo modo di fare, la sua attenzione per i dettagli, la cautela con cui si introduce in questo tipo di conversazioni, sono tutte cose che ho avuto modo di osservare e apprezzare in questi giorni. E forse è stata proprio la tranquillità che c’era nell’aria a rilassare tutti i miei muscoli e farmi crollare. Credo di aver dormito per tutto il viaggio di ritorno, perché quando Clarke mi sveglia con un leggero strattone mi sento totalmente spaesata.

“Ei, dormigliona… siamo arrivate” mi dice a bassa voce, sorridendomi. Mi guardo intorno ed è buio pesto. Le uniche luci nelle vicinanze sono quelle del portico dello chalet, a qualche metro da noi. Per curiosità controllo velocemente l’orario: è l’una di notte. Mi lascio scappare un ‘wow’ e accanto a me sento Clarke ridacchiare.

“Scusa, non devo essere stata molto di compagnia nell’ultima mezz’ora” le dico dispiaciuta, abbozzando una smorfia.

“Figurati, è stato interessantissimo sentirti parlare ne sonno” mi risponde lei, con un ghigno malefico stampato in faccia. In meno di un secondo mi irrigidisco e comincio a sentire caldo. Devo aver spalancato gli occhi in maniera alquanto evidente, perché Clarke se la ride di gusto. “Tranquilla, era tutto alquanto incomprensibile, sembrava una lingua sconosciuta” cerca di tranquillizzarmi. Ma non ci riesce affatto, anzi. Non è la prima volta che mi viene detta questa cosa. Diverse volte Anya ha sostenuto di avermi sentita parlare una sorta di strana lingua nel sonno. Io ho sempre creduto che esagerasse, ma l’ultima volta, qualche settimana fa, è anche riuscita a registrarmi e ho potuto sentire con le mie orecchie frasi intere pronunciate proprio da me, con parole specifiche che si ripetevano come se fosse un vero e proprio discorso di senso compiuto in una lingua diversa. Questa cosa mi ha turbata allora, e mi turba ancora di più adesso. Ma a Clarke la cosa non sembra tangere più di tanto, per fortuna.

“Mi sa che devo proprio andare allora” le rispondo, cercando di sdrammatizzare e sviare il discorso. Le rivolgo un debole sorriso. Lei annuisce e ricambia il sorriso. L’imbarazzo nell’aria è decisamente innegabile. Dopo il bacio di stasera abbiamo subito cambiato discorso e ci siamo concentrate sul cielo. Eravamo così prese dai nostri discorsi che non abbiamo avuto né il tempo, né il coraggio di affrontare il discorso. È stato tutto così improvviso e spontaneo che non abbiamo avuto il modo di processare il tutto come si deve. Sotto quelle coperte siamo state vicinissime, riuscivo a percepire tutto il suo calore, e nei momenti di silenzio totale riuscivo a sentire addirittura il suo battito. Le nostre mani si sono sfiorate più volte, ma nessuna delle due è riuscita ad andare oltre a delle semplici carezze. Forse è stato troppo da digerire in una sera, forse abbiamo entrambe bisogno di dormirci su e realizzare cos’è davvero successo, cosa significa tutto ciò, cosa abbiamo intenzione di fare. Da parte mia so solo che non ho mai voluto nient’altro di più al mondo.

“Buonanotte, Heda” mi dice, quasi sottovoce, non interrompendo mai il contatto visivo. Ecco di nuovo il suo sguardo ipnotico.

“Buonanotte, Sky Girl” le rispondo in un fil di voce. I suoi meravigliosi occhi blu continuano a brillare. Faccio decisamente fatica a resistere all’impulso di sporgermi verso di lei e darle un bacio. Ma devo farlo, devo contenermi. Sposto lo sguardo e mi volto per aprire la portiera e scendere dal pick-up. L’aria fuori è gelida e istintivamente mi stringo il più possibile dentro il cappotto. Mentre sono di spalle e cammino verso l’entrata dello chalet, sento mettere in moto e non resisto all’impulso di voltarmi e guardarla un’ultima volta. I miei occhi incontrano i suoi e il mio cuore si ferma. Ma la cosa che lo rimette in moto e lo fa correre come un pazzo è il sorriso che Clarke mi regala prima di sgusciare via dal vialetto. Un giorno di questi rischio di ritrovarmi ancora una volta su un letto d’ospedale. A questo punto non so se riuscirò a prendere sonno tanto presto, anche perché so cosa mi aspetta, una volta arrivata in camera, sebbene io speri che a quest’ora Anya si sia stancata di aspettare e stia già dormendo. Non credo che riuscirei a sopravvivere alla sfilza di domande che vorrà sicuramente farmi. Non in questo momento, non in questo stato.
Quando metto piede nella mia camera, mi trovo davanti l’ultima persona che potessi mai immaginare.

“Cristo santo, Raven!” quasi urlo. Rischio seriamente di morire stasera. Raven è in piedi accanto al mio letto, e mi guarda terrorizzata.

“Lexa! Scusami, non volevo spaventarti” mi dice subito con sguardo dispiaciuto, avvicinandosi a me preoccupata.

“Che ci fai qui?” le chiedo in tono un po’ infastidito. Sono ancora parecchio scossa, la tachicardia ci mette un po’ a lasciarmi andare.

“Ehm, Anya ha detto che potevo prendere una delle sue magliette che tieni tra le tue cose. Contavo di metterci qualche secondo, ma non ricordo in quale cassetto mi ha detto di guardare” mi spiega lei, portandosi una mano dietro la nuca, con un’espressione colpevole sul volto. Rimango a fissarla confusa per un paio di secondi, poi mi sposto verso il comò e dal primo cassetto esco una vecchia maglietta con il logo del TonDC. Gentilmente gliela porgo e lei mi ringrazia imbarazzata. Mentre continua a scusarsi, sento una voce avvicinarsi dal bagno.

“Ei, genietto, sei riuscita a… oh, Lexa”. Come previsto, Anya spunta dal bagno. Si blocca sulla porta e mi guarda con evidente imbarazzo. Per abitudine le lancio uno sguardo omicida e lei comincia a cercare aiuto negli occhi di Raven.

“Sì, mi ha aiutata a trovare questa” interviene lei, alzando visibilmente la maglietta che tiene in mano. In meno di un paio di secondi la raggiunge e poi si volta verso di me, mi augura la buona notte e sparisce verso la camera accanto. Non posso che trarre le mie conclusioni, come se non fossero ovvie sin da subito. Inevitabilmente mi lascio scappare un ghigno. Ora è Anya a guardarmi male. A quanto pare la cosa tra di loro si sta facendo sempre più interessante, e a me sono già venute un paio di domande che voglio assolutamente farle.

“Non ci provare, Squiddy. Non è di me che si parla stasera” mi frena subito lei, puntandomi il dito contro. Conosce troppo bene il mio sguardo indagatore. Ha incrociato le braccia e ora sia avvicina lentamente al letto, non staccandomi mai gli occhi di dosso. Lo sapevo. Ho sperato fino all’ultimo di potermi salvare dal suo terzo grado, ma non si da mai per vinta.

“Hai davvero intenzione di far aspettare la tua ragazza per parlare di me?” le chiedo, sperando nel suo buonsenso.

“Si da il caso che la mia ragazza sia stata ben informata sul mio modus operandi ogni volta che hai un appuntamento” mi risponde lei in tono saccente, con un’espressione odiosamente soddisfatta stampata in faccia.

“Non era un appuntamento” taglio corto, voltandomi verso il comò e cominciando a prepararmi per mettermi a letto.

“Di’ quello che vuoi, ma una ragazza che viene a prenderti dopo cena e ti porta chissà dove per tre ore, riportandoti anche a casa, è chiaramente un appuntamento” insiste lei, sedendosi sul bordo del letto. Io continuo a non guardarla, e a concentrarmi sui vestiti che devo togliermi e quelli che devo mettere per dormire. Mi limito a scuotere la testa e sbuffare, o a fare spallucce. Ad ogni domanda che fa, cerco di essere il più concisa possibile, limitandomi a risposte negative o vaghe. Anya mi segue anche in bagno, chiedendomi particolari della serata mentre mi lavo i denti. Il mio limite di sopportazione sta per raggiungere il massimo e rischio seriamente di ucciderla stasera. Ad ogni teoria assurda che mi propone, cercando di indovinare i fatti realmente accaduti, io ripasso mentalmente tutte le mosse di autodifesa che ho imparato in palestra da Lincoln. Solo che stavolta le userei per attaccare, e anche violentemente. Quando finisco con il bagno, torno in camera e decido di darci un taglio.

“Ascolta, Anya, sono piuttosto esausta, non vedo l’ora di mettermi a letto e riposarmi” la interrompo. “Di là hai una ragazza che ti aspetta, dovresti fregartene della mia serata e goderti questo tempo con lei”. Credo di essere riuscita a farmi ascoltare. “Domani è un altro giorno, e avremo tempo per parlare di tutto, sia di me che di te. Però, ti prego, per stasera basta” concludo, cercando di risultare più stanca di quanto già non sia. Anya mi guarda in silenzio per un attimo e poi sospira. Mi regala un debole sorriso e si avvicina per darmi un bacio in fronte.

“D’accordo, tesoro, allora buona notte” mi dice in tono particolarmente dolce. Ecco l’amorevole Anya che si vede fin troppo raramente. È questo il tono che adoro di lei. Il modo in cui mi parla, il modo in cui mi fa sentire ogni volta che usa un appellativo tutt’altro che scherzoso, riesce sempre a rilassarmi. Mi ricorda tanto tutte quelle volte che è stata lì a consolarmi dopo la morte dei miei genitori, e mi ha fatta sentire protetta, al sicuro. Ora mi sento un po’ in colpa per aver immaginato di spaccarle i denti con una gomitata. Ricambio il sorriso e le auguro la buona notte. Lei annuisce e si incammina verso la sua stanza. Sospiro soddisfatta e mi infilo sotto le coperte.

“Tanto lo so che l’hai baciata, ci scommetto!” sento urlare in lontananza. Per un attimo rimango spiazzata. Ma non ho la forza di risponderle a tono, quindi lascio perdere. Scuoto la testa e mi sistemo per bene dentro al letto. Mi sporgo per spegnere la luce sul comodino e sento vibrare il cellulare. Per un attimo ho il terrore che si tratti di Anya e di una sua nuova teoria, ma appena poso gli occhi sullo schermo mi si azzera la salivazione. È Clarke. Deglutisco con difficoltà e prendo un grosso respiro.

“Grazie per stasera, ha significato molto per me.”

Lo rileggo più o meno tre volte prima di cominciare a pensare a cosa risponderle. Non voglio risultare troppo banale e ripeterle le stesse cose, né voglio liquidarla con un semplice saluto. Ma qualcosa devo pur scriverla, e vorrei anche non metterci troppo.

“Sono felice che tu sia stata bene, è stato un piacere passarla con te”

Forse è un po’ troppo formale, o forse invece è troppo spinto. Credo che potrei impazzire a stare qui a fare ipotesi. Decido di mettere giù il cellulare e concentrarmi invece sulla stanchezza che ho in corpo. Ho seriamente bisogno di dormire, perché al momento è l’unica cosa che mi può impedire di continuare a mandare messaggi a Clarke, rischiando di dire qualcosa di troppo, o di fare qualche stupidaggine. Mi conosco, ne sarei fin troppo capace. Stavolta voglio riuscire a non lasciarmi scappare l’occasione che ho con lei, perché adesso so di averla. Non voglio sbagliare, non voglio rovinare tutto. Clarke è diversa. Lei è speciale.

Note:
Questo capitolo è stato alquanto difficile da portare a termine, causa università, esami e tanto stress, ma finalmente ce l'ho fatta. Spero non deluda le vostre aspettative.
Ci tengo molto a questa storia e sono ben determinata a portarla a termine (non troppo presto lol).
Ringrazio tutti per la pazienza e per l'interesse costante, spero di ricominciare a pubblicare costantemente ;) XO

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Oggi comincia ufficialmente la nostra ultima settimana qui a Mount Weather, ed è forse la prima volta che io e i ragazzi non abbiamo idea di cosa fare. Anya non fa che lamentarsi della noia che l’ha travolta non appena si è svegliata, e stavolta non posso darle tutti i torti. A quanto pare, stamattina Raven è dovuta scappare via di corsa, per raggiungere Clarke e dare una mano agli altri alla Sky Crew. Nuova settimana, lavoro intensivo. Questo ha demoralizzato un po’ anche me, dato che speravo di poter piantare in asso Anya e il suo interrogatorio, e farmi trarre in salvo da Clarke in qualche modo. Tutto ciò però è sfumato in un attimo, dato che è proprio Clarke a mandare avanti l’intera baracca lì, per cui la valanga di domande di Anya mi ha travolta completamente, e bloccata per l’intera mattinata. Più volte ho provato a divincolarmi con una qualsiasi scusa, ma non sono mai riuscita ad allontanarmi abbastanza dall’albergo per poter scappare definitivamente. E ora sono qui, nella hall dello chalet, a farmi tormentare da una Anya parecchio assillante, mentre Lincoln ci fa compagnia e tenta di concentrarsi sulle sue parole crociate.

“Potevi dire alla tua ragazza di lasciare libera Raven oggi, dato che tecnicamente lei non lavora lì” ricomincia lei, punzecchiandomi con il piede, dalla poltrona accanto.

“Non è la mia ragazza” rispondo automaticamente, più esasperata che infastidita, ormai.

“Come vuoi, Miss Pomiciata…”. Non posso non rivolgerle uno sguardo omicida. Lei se la ride, e di fronte a me noto un Lincoln altrettanto sorridente, che tenta di nascondersi dietro la sua rivista. Arrossisco irrimediabilmente. Purtroppo ormai dovrò farci l’abitudine. Anya non smetterà mai di stuzzicarmi su questo, non dopo aver avuto tutti i dettagli della mia serata fuori.

“Se Clarke l’ha chiamata, avrà avuto i suoi buoni motivi” tento di spiegare, cercando di placare l’imbarazzo.

“Sai che ti dico? La vado a reclamare” sbotta Anya, dopo alcuni secondi di rilassante silenzio. Io e Lincoln ci voltiamo verso di lei, entrambi palesemente sorpresi e un po’ confusi. “Che c’è? Sto facendo il fosso su questa poltrona, non ho intenzione di passare tutta la giornata chiusa qui” ci spiega lei, in risposta alle nostre espressioni interrogative.

“E che intendi fare, appostarti là fuori? Se sta lavorando, dubito che abbia la libertà di staccare tutto e andare via” tento di farle capire. L’unica sua risposta è un’infantile alzata di spalle e uno stupido sorrisino stampato in faccia. Mi limito ad alzare gli occhi al cielo e a scuotere la testa.

“Lexa ha ragione, oggi hanno avuto il pienone di prenotazioni per tutto il mese. Credo che saranno sommersi di lavoro” interviene Lincoln, poggiando la sua rivista sul tavolinetto di fronte a noi. Con espressione estremamente grata lo ringrazio per il supporto. Anya sbuffa pesantemente.

“Quella Raven ti ha proprio mangiato il cervello, non riesci a stare senza di lei” la provoco, cogliendo l’occasione per vendicarmi delle sue torture. Lincoln trattiene una risata.

“Io almeno cerco di passare più tempo possibile con la persona che mi piace, invece di starmene con le mani in mano e aspettare l’illuminazione divina” mi risponde lei in tono acido. Rimango muta. So che è stata solo una risposta a tono, ma l’incredibile verità di quelle parole mi coglie del tutto impreparata e mi travolge completamente. Il mio volto cambia totalmente espressione, mi stringo nella mia poltrona e rivolgo lo sguardo fuori dalla finestra sopra di me. Un silenzio imbarazzante è calato nell’intera stanza. Sento Anya schiarirsi la gola, ma non segue nessuna parola. Immagino che Lincoln sia tornato alle sue parole crociate, perché sento chiaramente lo sfogliare delle pagine. Per quanto vorrei non badare alle parole di Anya, queste continuano a girarmi in testa. È vero, da quando ho messo gli occhi su Clarke non ho fatto altro che sperare in qualcosa, aspettare che questo qualcosa arrivasse da solo. In tutto questo tempo sono rimasta immobile, in attesa di un prima mossa che non è mai partita da me (a parte il raptus del bacio). E continuo a farlo, continuo ad aspettare che tutto si muova attorno a me e vada esattamente come voglio io. Per la prima volta mi rendo conto di quanto tutto questo sia ridicolo. È assurdo che io me ne stia qui a non fare nulla per ciò che voglio, per chi voglio. Più velocemente di quanto immaginassi, mi alzo dalla poltrona e corro in camera. Afferro le chiavi della macchina sulla scrivania e m fiondo verso l’uscita dello chalet.

“Ora o mai più, Anya” annuncio ad alta voce, passando velocemente accanto alla hall e uscendo sul portico. Alle mie spalle sento un ‘sì’ carico di entusiasmo e non riesco a trattenere un sorriso. Sento una strana energia propagarsi per tutto il mio corpo, ed è eccitante. Anya ed io ci infiliamo in macchina e partiamo spedite verso un’unica direzione: Sky Crew.

//

Parcheggio ad una velocità inimmaginabile e in pochi secondi sono subito fuori dall’auto. Sento Anya borbottare qualcosa, ma sono già troppo lontana per capire cosa mi stia dicendo. In tutta sincerità, nemmeno mi interessa. Non so bene cosa mi stia succedendo, ma ho solo una cosa in mente, e non ho intenzione di perdere altro tempo. In breve raggiungo l’edificio principale della Sky Crew e mi fiondo al bancone dell’ingresso. Da lontano scorgo una figura familiare che appena mi vede si illumina in un sorriso e mi accoglie con un ‘hey’ particolarmente sorpreso.

“Ciao Bellamy” dico in fretta, cercando di nascondere il fiatone. “Cerco Clarke, sai dirmi dove posso trovarla?” gli chiedo impaziente. Lui annuisce senza fare domande e sposta lo sguardo sullo schermo del computer di fronte a sé, con espressione particolarmente concentrata, scrutando attentamente le informazioni che gli spuntano. Il cuore comincia a battermi freneticamente, in preda all’ansia e all’eccitazione. Le mie gambe fremono, desiderose di poter scattare verso la prossima destinazione. La mia testa è già lì.

“Dovrebbe aver appena finito il turno delle 11, credo che potrai trovarla al noleggio” mi informa infine Bellamy, regalandomi un altro sorriso. Lo ringrazio infinitamente e ci salutiamo, prima di uscire di corsa dall’edificio. Centro noleggio, perfetto. So dove si trova, e so come arrivarci. Non c’è pericolo che io mi perda tra i boschi stavolta. Cerco di fare il più veloce possibile, senza però dare troppo nell’occhio. Lungo la strada incontro parecchia gente, è tutto molto affollato. Lincoln aveva proprio ragione, sembra essere arrivata un sacco di gente nuova quassù, e immagino che il lavoro sia parecchio pesante per i ragazzi. Tra le tante persone che supero al mio passaggio, intravedo un viso familiare, a dir poco impossibile da dimenticare. Murphy, se non ricordo male. Credo mi abbia riconosciuta anche lui, perché non appena incontra il mio sguardo, alza quasi impercettibilmente la mano e mi saluta con un cenno. Sul suo volto non scorgo alcun tipo di ambiguità, o ammiccamento, anzi. Sembra addirittura una persona completamente diversa dal ragazzo fastidioso e insistente che ho conosciuto la mia prima volta alla Sky Crew. La sua espressione sembra serena e pacifica. Ricambio il cenno e abbozzo un sorriso, ma non mi soffermo più di tanto. Il centro noleggio è a due passi ormai, il mio obbiettivo è vicino.

“Lexa!” sento, non appena metto piede dentro la struttura. Mi volto di scatto in direzione della voce e vedo un Jasper particolarmente entusiasta. Agita vistosamente il braccio verso di me, non contenendo un enorme sorriso. Ricambio timidamente il saluto, un po’ sorpresa da tanto entusiasmo. Il noleggio è pieno di gente, e infatti, in pochi secondi, l’attenzione di Jasper viene richiamata da un paio di ragazzi con delle tavole da snowboard in mano. Mi guardo un po’ intorno e scorgo Monty alle prese con una famiglia di turisti, intenti a scegliere la misura adatta dei caschi. Più indietro, credo di intravedere Octavia, che si fa largo tra i clienti per raggiungere l’uscita. Non appena mi vede, mi si fionda addosso.

“Lexa! Che sorpresa, che ci fai qui?” mi chiede, non appena ci liberiamo dall’abbraccio.

“Cerco Clarke” rispondo secca, senza tanti giri di parole. La sua espressione cambia, le spunta uno strano sorrisetto in volto.

“È appena tornata dal turno con i bambini, è sul retro” mi spiega, facendo segno col pollice alle sue spalle. “A proposito, tra cinque minuti comincia il mio, devo scappare” annuncia di fretta. Ci salutiamo velocemente e scappa via come un fulmine. Prendo un gran respiro e mi dirigo verso il punto in cui ho visto spuntare Octavia poco prima. Sulla sinistra, lontano dalla folla, noto la scritta ‘privato’ sopra una porta di legno. Deve essere lì. Senza pensarci due volte, afferro la maniglia ed entro.

“Clarke?” comincio a chiamare, assicurandomi di non aver sbagliato porta e trovare qualcun altro. La stanza è poco illuminata, assomiglia ad un magazzino, c’è attrezzatura ovunque, ma credo si tratti anche di una sorta di spogliatoio. Ci sono diversi borsoni sotto delle panche di legno, e appendiabiti lungo le pareti.

“Arrivo!” sento rispondere da dietro una tenda in fondo alla stanza. È lei. Il cuore salta un battito e comincio a sentirmi male. Respira, Lexa. Vedo spuntare una chioma bionda. Clarke sposta la tenda con il gomito, intenta a sistemarsi i capelli in un’acconciatura improvvisata. Appena alza lo sguardo verso di me si blocca un istante e sgrana gli occhi.

“Lexa?” chiede sorpresa, regalandomi comunque un sorriso. Non riesco a credere a quanto riesca ad essere bella anche in questo momento, con addosso una tuta da sci tolta per metà e legata temporaneamente sui fianchi, i capelli scombinati, il volto visibilmente provato dalla stanchezza. Sono talmente ipnotizzata dalla sua vista, che non mi accorgo di aver completamente ignorato ciò che ha detto.

“Che ci fai qui? Come sei…” prova a chiedermi lei. Ma ancora una volta non le do il tempo di finire la frase. Come pervasa da una furia improvvisa, mi avvicino a lei e punto subito alle sue labbra. Clarke rimane sensibilmente immobile, chiaramente sopraffatta da tutto. Non so davvero cosa mi sia preso, e quasi mi dispiace di essere stata di nuovo così avventata, ma ogni volta che l’ho davanti a me, perdo completamente la ragione. La mia inusuale foga sorprende un po’ anche me, non credo di aver mai baciato nessuno con così tanto desiderio. Non so dirlo con precisione, ma credo che dentro questo bacio ci sia tutto. Felicità, desiderio, paura, rabbia. Tutto. E ciò che mi spinge a non fermarmi è la reazione del corpo di Clarke, che comincia a rilassarsi. Le sue mani si sono posate sui miei fianchi, e automaticamente i nostri corpi si sono avvicinati ulteriormente. Le labbra di Clarke cominciano a rispondere a tono alla mia violenza, e il bacio diventa sempre più carico di passione. Ci allontaniamo soltanto per prendere aria, ed è lì che mi accorgo di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo.

“Ei… respira” mi dice lei in un sospiro. Entrambe sorridiamo. Comincio a riposizionare i pezzi del puzzle nella mia mente e provo a rendermi conto di tutto quello che è successo.

“Mi dispiace, non volevo aggredirti così” tento di spiegare, rivolgendole uno sguardo imbarazzato. Per tutta risposta, senza battere ciglio, Clarke mi si avvicina sorridente e mi stampa un bacio sulle labbra.

//

Sono passate almeno un paio d’ore dal nostro incontro particolare nel retro del noleggio, ma non riesco ancora a togliermi dalla testa le sue labbra. Clarke ha deciso di anticipare la sua pausa pranzo e mi ha invitata a seguirla in un piccolo ristorante a due passi dalla Sky Crew. Non ci siamo dette molto dopo il bacio, anzi, abbiamo subito cambiato argomento con la scusa dell’ora di pranzo. Ma temo con ansia il momento in cui affronteremo la questione, perché stavolta dobbiamo farlo. Non possiamo continuare a regalarci questi momenti per poi fare finta che non sia mai successo nulla. Abbiamo mangiato con calma, ci siamo prese il nostro tempo. È stato tutto molto piacevole, ci siamo divertite a prendere in giro il cameriere, che non riusciva a riempirci i bicchieri senza far cadere un po’ di vino sulla tovaglia. La sua risata mi ha riempito il cuore. I suoi occhi si sono soffermati più volte sulle mie labbra, e non sono riuscita a trattenere questo pensiero per me, facendola arrossire con una stupida battuta. L’imbarazzo tra noi c’è, ma in qualche modo riusciamo sempre a minimizzarlo, per fortuna.

Dopo aver pranzato, ci siamo spostate sul portico del locale e ci siamo sedute su una delle tante panche libere a disposizione. Lei fuma una sigaretta e io osservo il panorama di fronte a noi. La giornata è parecchio bella, il cielo è decisamente sereno e la temperatura è un po’ più sopportabile rispetto a quella degli ultimi giorni. L’odore del fumo di sigaretta mi fa arricciare un po’ il naso, ma a lungo andare mi ci abituo del tutto.

“Allora, Heda, che ti è preso oggi?” sbotta ad un tratto Clarke. La domanda mi coglie un po’ di sorpresa, e all’inizio rimango di sasso. Ecco, è arrivato il momento di parlare. Sospiro.

“Non lo so” comincio, mantenendo lo sguardo verso l’orizzonte. “Inizialmente l’idea era quella di venirti a trovare e passare un po’ di tempo insieme” provo a spiegarle, cercando di dare spiegazioni anche a me stessa. Che intenzioni avevo? Dove volevo arrivare con quello scatto di follia allo chalet? Devo ancora mettere tutto in ordine nella mia testa.

“Oh, sentivi già la mia mancanza?” mi chiede con una vocina odiosa, facendo una smorfia divertita. Le do un colpetto col gomito e scuoto la testa. Sebbene in parte abbia ragione, non sminuirei il tutto ad una semplice nostalgia.

“So che sarai molto impegnata in questi giorni, ed è la mia ultima settimana qui. Volevo approfittare di tutto il tempo a disposizione” ammetto, distogliendo prontamente lo sguardo, come se la vista davanti a noi mi chiamasse all’attenzione ogni volta che provo a dire qualcosa di serio. Sento Clarke commentare con un debole ‘mh’ prima di vedere una nuvola di fumo espandersi accanto a me. Credo aspetti che continui, ma mi ci vuole ancora qualche secondo per prendermi di coraggio ed andare avanti.

“Non so cosa mia stia succedendo, Clarke… dal momento in cui ti ho vista la prima volta, dentro di me è scattato qualcosa. È come se tu fossi entrata di prepotenza nelle mie vene e lentamente ti fossi fatta strada dritta fino al cervello. E adesso, ogni volta che ti vedo, non riesco più a trattenermi, qualsiasi cosa tu faccia”. Rimango sorpresa dalle mie stesse parole. Ma ormai è fatta, devo tirare fuori tutto. “Per la prima volta dopo tanto tempo sento di aver trovato qualcuno che riesce a darmi qualcosa a cui pensare, che non sia tutto il casino che c’è nella mia vita. Quando sto con te mi sento completamente a mio agio, non ho bisogno di innalzare muri, non ho bisogno di nascondermi, sto bene. E so di non essere completamente pazza, so che non è tutto solo nella mia testa… ma allo stesso tempo è difficile capire cosa ti passi per la mente, sei sempre così gentile e allegra, non so mai come interpretare il tuo comportamento”. Mi blocco improvvisamente. Credo di non saper come continuare, ho troppe cose che mi girano in testa e non riesco a pensare per bene. Clarke si schiarisce la gola. Provo a rivolgerle un’occhiata, ma con sorpresa noto che adesso è lei a fissare l’orizzonte, persa in chissà quale pensiero.

“Mi dispiace averti messa in difficoltà, è la prima volta che qualcuno non riesce a capire le mie intenzioni.” Commenta, con un sorriso amaro. “Devo confessare che tutto questo è una novità per me, un nuovo mondo che sto imparando ad esplorare, e non ho idea di cosa fare” continua, mantenendo un tono basso, quasi fosse notte fonda e stesse attenta a non svegliare nessuno. “Per cui, sono grata per questi tuoi gesti folli, in realtà mi stanno aiutando a capire tutto quello che sento dentro di me da un po’”. Stavolta abbozza un sorriso e mi rivolge un’occhiata veloce. Avverto il cuore in gola. Questa è la conferma che non è tutto frutto della mia immaginazione, che non lo è mai stato, che non si tratta di semplice gentilezza da parte sua. “Non sei l’unica ad essere rimasta folgorata in quel bar, quella sera. All’inizio pensavo fosse soltanto l’eccitazione di conoscere gente nuova, ma poi mi sono ritrovata ad avere il tuo nome impresso nella mente e ho avvertito una strana forza che mi spingeva continuamente verso di te. Ovviamente Raven è stata molto d’aiuto nel farmi capire il significato di tutto quello che mi sta succedendo, ma ho vissuto anch’io nel terrore in questi ultimi giorni. Non è facile essere spavaldi quando la cosa che ti spaventa di più al mondo è seduta proprio davanti a te” conclude in un fil di voce, abbassando il capo.

“Io ti spavento?” chiedo un po’ incredula, poggiando una mano sul suo braccio. Lei si volta lentamente e la sua espressione è combattuta.

“Sì…” mi risponde, regalandomi un debole sorriso. Mi si scioglie il cuore. “Non so mai cosa fare quando sono con te, ho sempre paura di sbagliare tutto”.

“Sii semplicemente te stessa. È proprio questo quello che mi piace” le suggerisco, indicandola dall’alto verso il basso con un movimento spontaneo della mano. Tento di sdrammatizzare e alleggerire il carico di emozione che c’è nell’aria, e sembro riuscirci. Clarke trattiene una risata e mi da un leggero spintone.

“Cosa facciamo adesso?” mi chiede lei, tornando seria. Il suo sguardo è magnetico, per un attimo mi ci perdo. Ma so bene cosa intende. È una domanda che mi faccio da un po’.

“Tu che vuoi fare?”. Alzo un sopracciglio, in attesa di una sua risposta. Lei strizza gli occhi e fa una smorfia.

“Molto furba, Heda” commenta, alzandosi. Non posso non lasciarmi scappare un ghigno. Mi alzo anch’io e rimaniamo in piedi l’una di fronte all’altra in silenzio per qualche secondo.

“Fidati di me, Clarke. Andrà tutto bene” le dico, quasi inconsciamente, guardandola negli occhi. Lei rimane visibilmente toccata da queste parole e sembra trattenere il respiro. Con un leggero movimento, allungo il braccio e le prendo la mano. Stringo debolmente e abbozzo un sorriso. Il suo sguardo è particolarmente intenso, mi sento come spogliata interamente e osservata come mai nella mia vita. Clarke si avvicina lentamente e nel modo più delicato possibile posa le sue labbra sulle mie.

“Mi fido di te, Lexa” sussurra. Non capisco più niente.

Note:
Tornano alcuni personaggi secondari (anche se per poco) e spero di poterli inserire meglio nel futuro. In questo capitolo mi sono voluta concentrare più sul rapporto di Lexa e Clarke, mettendole di fronte a tutto ciò che sentono l’una per l’altra.
Mi sono lasciata ispirare parecchio dalla musica dei Pvris per questo capitolo, specialmente dalla canzone “Smoke”, e in parte anche da “Mind Over Matter” (da cui il titolo della storia), proprio per il profondo significato intrinseco di alcune delle parole che usano.
Per chi ha potuto cogliere, mi sono lasciata ispirare anche dalla WayHaught e dal loro scambio di battute nella 1x09 (Wynonna Earp, vi consiglio di iniziarlo, se non lo avete ancora fatto u.u)
Spero che la storia continui ad entusiasmarvi come ha fatto finora, al prossimo capitolo! XO

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Clarke POV
Non penso di essermi mai sentita così allegra. C’è una strana elettricità nell’aria, la respiro a pieni polmoni, l’avverto sulla pelle. Da quando io e Lexa ci siamo salutate, non ho smesso un attimo di sorridere. Appena ho rimesso piede al noleggio per prepararmi al turno pomeridiano, i ragazzi mi hanno guardata con curiosità, hanno notato subito qualcosa di diverso in me. Per fortuna Jasper e Monty non hanno insistito più di tanto, ma Octavia mi è stata addosso tutto il tempo che ho passato nello spogliatoio. Dalla sua eccessiva curiosità ho capito che sapeva che Lexa mi stava cercando stamattina, e le sue domande sono state particolarmente mirate. Ho cercato di essere il più evasiva possibile, ma ho dovuto darle per forza un paio di informazioni per riuscire a staccarla dal mio braccio. Un po’ mi mette a disagio condividere qualcosa che ancora non è del tutto chiaro nemmeno a me, ma sono troppo esaltata per dargli peso. Non perdo altro tempo e raggiungo il gruppo di ragazzini del turno pomeridiano alla pista principale con parecchio entusiasmo in corpo, e comincio subito con le prime regole di base. Sono tutti estremamente attenti e pronti a mettersi in gioco, e io non vedo l’ora di vedere cosa sono in grado di fare. È sempre una gioia veder eseguire al meglio ogni tuo insegnamento, soprattutto quando dietro un semplice ragazzino curioso si può nascondere un talento naturale.

“Bene, chi vuole provare a scendere per primo?” chiedo, incrociando le braccia e scrutando ognuno di loro con un ghigno. Si guardano tutti tra di loro per un attimo, scambiandosi sguardi d’insicurezza. D’un tratto dal gruppo si stacca un ragazzo biondo, che avanza con il casco sotto braccio e un’espressione forzatamente decisa in volto. Avrà sì e no tredici anni, e il modo in cui serra la mandibola mostra tutta l’insicurezza che sta cercando di nascondere, ma allo stesso tempo la voglia che ha di spingersi oltre questo limite. Mi intenerisco un po’ a quella vista, ma faccio un passo avanti soddisfatta della sua iniziativa spontanea e gli do una leggera pacca sulla spalla. Lui alza la testa per rivolgermi un debole sorriso.

“Come ti chiami?” gli chiedo sottovoce.

“Aden” mi risponde lui, deglutendo pesantemente.

“Ok, Aden. Non preoccuparti, sarò sempre accanto a te. Ricordati di frenare gradualmente, se senti di stare andando troppo veloce” gli dico, facendogli l’occhiolino. Lui annuisce e procede ad indossare il casco.

“Bene ragazzi, adesso Aden ci farà vedere cosa ha imparato dalla lezione di oggi. Io scenderò con lui, e poi voglio ciascuno di voi pronto a fare la prima prova, d’accordo?” annuncio a voce un po’ più alta, rivolgendo loro sempre un gran sorriso. Annuiscono tutti, e sui loro volti leggo un po’ di sollievo. Tipico. A volte basta che qualcun altro si immoli per rilassare gli animi e prendersi di coraggio. Mi sistemo sulla mia tavola, aggancio i piedi, e dopo un mio cenno Aden comincia la sua discesa, con una postura molto più che buona. Lo seguo ad una distanza funzionale, in modo da vedere per bene ogni suo movimento, ma anche per essere pronta ad intervenire il prima possibile in caso di necessità. Sorprendentemente il ragazzo esegue tutto con precisione e attenzione, i suoi movimenti sono fluidi e le uniche incertezze che noto sono nella frenata. A quanto pare sembra preferire quella sulle punte piuttosto che quella sui talloni. Non posso che essere estremamente soddisfatta della sua prova, e non perdo tempo a congratularmi con lui, dandogli il cinque e facendogli i miei complimenti. Sul suo volto spunta un sorriso enorme, avverto proprio tutta la sua gioia in quell’espressione. Probabilmente neanche lui immaginava di andare così bene la prima volta, deve essere una soddisfazione particolare. Un po’ come mi sono sentita io la prima volta che ho preso in mano una chitarra. A quel tempo bastarono un paio di spiegazioni da parte di mio padre per farmi riuscire ad eseguire i primi accordi. Per un attimo torno indietro di parecchi anni, e rivedo ancora chiaro nella mente il volto piacevolmente sorpreso di mio padre, che guarda la sua bambina imparare a suonare la chitarra in maniera piuttosto impressionante. Ricordo il modo in cui mi faceva i complimenti tutte le volte che riuscivo a riprodurre tutto quello che mi insegnava, il modo in cui mi spronava ad esercitarmi, a non smettere mai di “deliziare l’aria con le note”. Capisco bene come possa sentirsi Aden in questo momento. Scommetto che è la prima volta che vede cosa può fare con le sue capacità, e sicuramente non vede l’ora di scoprire cos’altro può imparare. Forse è un po’ presto per dirlo, ma questo ragazzino promette bene, e ho intenzione di tenerlo d’occhio di persona per tutto il tempo che passerà qui da noi. Non mi è mai capitato di prendere così a cuore uno dei miei allievi, ma mi rivedo molto in lui e voglio poterlo guidare nel suo percorso, come mio padre fece con me.

A scuotermi dalle mie riflessioni silenziose ci pensa una voce alle mie spalle, che spunta dal nulla, facendomi sobbalzare.

“Ei! Può servire una mano qui?”. Raven sorride e si porta le mani sui fianchi, in attesa di una risposta.

“Hai già finito il turno?” le chiedo un po’ sorpresa, guardandola con espressione dubbiosa. Sarebbe fin troppo capace di mandare via tutti per finire prima.

“Sì, abbiamo iniziato un po’ prima, per cui mi sono regalata gli ultimi dieci minuti” mi risponde lei, facendo spallucce.

“Mmm mi fido” commento dopo un paio di secondi. Per tutta risposta lei mi fa la linguaccia e si avvicina a me e ad Aden, mentre ci mettiamo in fila per risalire la pista.

“Allora, cos’è questa storia di te e Lexa che ve la svignate, eh?” comincia Raven sottovoce, visibilmente entusiasta, dandomi piccoli colpetti con il gomito. Rimango di sasso per un attimo. Era scontato che fosse qui principalmente per questo.

“Vedo che le voci girano in fretta” commento, alzando gli occhi al cielo.

“Beh, non abbastanza, dato che io lo sto sapendo solo adesso”. Il suo tono è un po’ polemico. Ovviamente.

“Cosa volevi, un telegramma esclusivo?” le rispondo, cercando di farle notare quanto sia ridicolo il suo ragionamento.

“Di certo potevi aggiornarmi in tempo reale!” insiste lei, alzando leggermente la voce. Prontamente l’ammonisco con uno ‘shh’, dato che siamo circondate da altre persone, e di certo a loro non interessa cosa succede nella mia vita privata.

“Te ne avrei parlato stasera di ritorno a casa, ho avuto una giornata alquanto frenetica” le spiego, cercando di giustificarmi in qualche modo. Un po’ ha ragione, è pur sempre mia sorella, e anche se per la maggior parte del tempo ci diamo fastidio a vicenda, avrei dovuto accennarle almeno qualcosa. Passano alcuni secondi di silenzio. “Mi dispiace di non averti avvertita subito” aggiungo infine, inclinando il capo verso di lei, e guardandola con espressione da cucciolo dispiaciuto. Lei strizza gli occhi e mi fa una smorfia.

“Non credere di passarla liscia, principessa” commenta, incrociando le braccia e alzando il mento. Trattengo una risata e scuoto la testa. Era ovvio che non fosse realmente arrabbiata, scommetto che puntava soltanto a farmi sentire in colpa, come sempre. Molto furba. E io ci casco sempre.

“Allora, hai intenzione di raccontarmi cosa è successo o devo farmelo spettegolare da Octavia?” ricomincia lei poco dopo. Sapevo non si sarebbe arresa facilmente. Non è di certo il luogo migliore in cui parlarne però, anche se so che Raven non mi darà tregua se decido di rimandare la conversazione a stasera, per cui mi metto il cuore in pace e prendo un grande respiro.

“È venuta a trovarmi stamattina, alla fine del mio primo turno, e mi è letteralmente saltata addosso” comincio, abbassando ulteriormente la voce. L’espressine di Reven è indescrivibile. È rimasta a bocca aperta e ha commentato istintivamente con un ‘wow’. “Già… ho deciso di portarla fuori a pranzo, e abbiamo parlato un po’, cercato di chiarirci le idee su tutta questa situazione” continuo, rivolgendo lo sguardo di fronte a me, un po’ pensierosa.

“E quindi? State insieme o no?” mi chiede Raven, sempre più curiosa, notando il mio silenzio.

“Non lo so. Credo di sì?”

“Ma che fai, lo chiedi a me? Sei incredibile, Clarke” commenta lei esasperata, scuotendo la testa. Dio, che confusione. Vorrei soltanto riuscire a rifletterci per bene. Da quando io e Lexa ci siamo salutate oggi, non ho avuto un attimo di tempo tutto per me per fermarmi e realizzare quello che è successo. Ovviamente so che ormai non ci sono più dubbi su ciò che entrambe proviamo l’una per l’altra, però vorrei capire se abbiamo seriamente definito qualcosa. Non sono mai stata così ridicolamente confusa. Mi sa proprio che dovrò al più presto organizzare un altro incontro. Organizzare un altro incontro… Dio, ma che mi prende? Appuntamento. Devo portarla fuori ad un appuntamento.

“Ei? Ci sei?” mi chiede Raven, strattonandomi leggermente dalla spalla. Devo essere rimasta in silenzio per parecchio tempo. E devo anche essermi pesantemente persa nei miei pensieri, perché mi ritrovo già in cima alla pista, con Raven che mi guarda accigliata.

“Sì, scusami… ne parliamo meglio stasera, abbiamo da fare adesso” le rispondo, riprendendo in mano la situazione. Raven sbuffa, ma mi segue comunque verso i ragazzi che ci aspettano. Sarà un lungo pomeriggio.

//

Non abbiamo mai finito così tardi in questa stagione. Raven si è anche appisolata durante il viaggio di ritorno a casa. È appena l’ora di cena, ma la stanchezza si fa sentire come non mai anche adesso. Per fortuna guidare mi ha tenuta abbastanza vigile, e inevitabilmente ho avuto tempo per rimuginare sull’incredibilmente strana giornata che ho avuto oggi. Da quando Lexa si è presentata alla Sky Crew è stato tutto un susseguirsi di emozioni frenetiche, che non ho avuto il tempo e il modo di incamerare e capire fino in fondo. Vedermela comparire lì, in quello stanzino, così all’improvviso, mi ha lasciata totalmente impreparata. Ero anche in condizioni indecenti, chissà cos’avrà pensato in quel momento… ricordo solo quegli enormi occhi verdi fissarmi con un’intensità mai notata prima. Per un attimo ho temuto che fosse successo qualcosa di brutto, e che ce l’avesse con me per qualche assurdo motivo. Non avrei mai immaginato di trovarmela addosso subito dopo. Ricordo la velocità con cui si è fiondata davanti a me e mi ha preso il viso tra le mani per baciarmi. Al solo pensiero mi vengono ancora i brividi. Per quanto fossi spiazzata, non ho potuto non cedere all’ondata di emozioni che mi hanno travolta. Credo di non aver mai baciato nessuno così intensamente, con così tanta voglia. Le sue labbra sono qualcosa di puramente straordinario, non perderei mai un’occasione per baciarle. Vagare tra questi dettagli mi lascia senza respiro, non riesco proprio a controllare tutto quello che provo ogni volta che la mia mente si sofferma su di lei e su tutto ciò che la riguarda. Quale strano incantesimo mi hai fatto, Lexa?

Appena mettiamo piede in casa, mamma ci accoglie entusiasta, anche se sul suo volto noto un po’ di stanchezza. La cena è già in tavola e non potrei essere più contenta. Raven sembra non essersi svegliata ancora del tutto, infatti inciampa un paio di volte prima di sistemarsi definitivamente in cucina. La seguo subito a ruota e mi fiondo sul cibo che ho davanti a me.

“Siamo affamate, vedo. Giornata pesante?” commenta mamma, guardandomi divertita.

“Decisamente, sono distrutta. Però ho trovato un ragazzino molto promettente, sono molto soddisfatta” rispondo, non curandomi di avere ancora la bocca piena.

“È una cosa ottima, devi tenerlo d’occhio” mi dice lei, contenta.

“Non so come fai a farlo tutti i giorni” interviene Raven all’altro  capo del tavolo con voce assonnata, intenta a riempirsi il piatto.

“Beh, fino alla settimana scorsa le cose erano più tranquille, i miei turni erano meno della metà. Ma dopo oggi credo che saremo così pieni fino a gennaio”. Al solo pensiero mi sento ancora più stanca.

“Spero che siate riusciti a rintracciare i vostri veri impiegati. Non ho intenzione di fare la vostra schiavetta un’altra volta” mi informa Raven, puntandomi la forchetta contro. Le rispondo con una smorfia. Mamma si gode lo spettacolo, ci guarda battibeccare, come praticamente fa ogni giorno da più di dieci anni. Penso che ormai abbia perso totalmente le speranze e non perda neanche più tempo a separarci. Anche perché non otterrebbe chissà quali risultati. Raven continua a fissarmi con uno strano sguardo, mentre mastica lentamente. Mi fa paura. Se la conosco bene, ha in mente qualcosa di imbarazzante da chiedermi. Tirerà fuori sicuramente qualcosa di decisamente privato. Deve essersi accorta della mia espressione terrorizzata, perché le spunta un fastidiosissimo ghigno sulle labbra. Devo fermarla in qualche modo. Senza pensarci due volte, mi butto sulla prima cosa che mi viene in mente.

“Non mi hai detto cosa ha fatto con Anya oggi”. Raven rimane di sasso, spalanca la bocca e mi rivolge un’occhiataccia.

“Eri troppo impegnata a sbavare parlando di Lexa” risponde lei a tono.

“Lexa?”. La voce di mamma si sente fin troppo bene, ma cerco di far finta di nulla e mantengo l’attenzione fissa su Raven.

“Cambi subito argomento? Hai qualcosa da nascondere?” la provoco insistentemente. Lei trattiene una risata e incrocia le braccia.

“Fermi tutti. Lexa Woods?” ritenta mamma, cercando di riportarci all’attenzione. Quanto vorrei non aver sentito le sue parole così chiaramente. Quanto vorrei andarmi a nascondere adesso. Inevitabilmente sento il mio viso prendere fuoco e non ho il coraggio di incrociare lo sguardo con nessuno.

“Proprio lei, Abby” risponde Raven, con tono saccente e un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia. Non posso non rivolgerle uno sguardo omicida.

“Clarke?”. Il tono di mamma sembra più sorpreso che arrabbiato. Devo farmi coraggio e affrontare anche questa cosa. Ma Raven la pagherà prima o poi. È vero, era questione di tempo ormai, ma di certo avrei deciso io il momento giusto per parlarne, e il modo soprattutto. L’arbitrarietà di Raven non smetterà mai di sorprendermi e mettermi in difficoltà. Sospiro pesantemente e mi volto verso mamma, cercando di non cedere subito all’intensità del suo sguardo.

“Sì mamma, Lexa Woods” comincio, senza realmente sapere cos’altro aggiungere.

“Beh, e c’è qualcosa che devo sapere al riguardo?” chiede lei, realmente incuriosita. Noto anche un debole sorriso, credo sia tranquilla.

“Credo mi piaccia… anzi, lo so per certo” ammetto, completamente travolta dall’imbarazzo.

“Sei totalmente persa per lei, altroché” interviene Raven, con molta nonchalance. Istintivamente alzo gli occhi al celo, ma noto che mamma ha abbassato lo sguardo e trattiene una risata.

“Ma tu non avevi sonno?” dico a denti stretti, visibilmente infastidita.

“Ok ok, tregua. Raven, grazie per l’informazione, ma non era necessario. E Clarke, è una cosa bella, non devi vergognartene” interviene mamma, fortunatamente. La sua voce è autoritaria, ma estremamente tranquilla e serena. Avverto addirittura una nota di dolcezza quando si rivolge a me. Mi sento già meno tesa. Percepisco un peso opprimente liberarmi il petto, e prendo un gran respiro, elettrizzata da questa reazione tanto positiva. Raven invece ha abbassato lo sguardo, sembra un cucciolo bastonato. Le parole di mamma le hanno sempre fatto questo effetto. Credo proprio sia l’unica che riesca a metterla a cuccia per davvero, da sempre. Nemmeno papà riusciva ad avere tanto potere su di lei, anzi, era più probabile che fosse Raven ad averlo in pugno.

“Grazie mamma, significa molto per me” le dico con un fil di voce, rivolgendole un sincero sorriso.

“Sei la mia bambina, la tua felicità è la mia felicità” mi risponde, allungando il braccio verso di me e afferrandomi la mano. Mi sorride teneramente e il mio cuore vola. Le sue parole sono come una ventata d’aria fresca, e per poco non mi commuovo. Gli zigomi cominciano a farmi male per quanto sorrido, e mamma ricambia ardentemente.

“E tu…” ricomincia, voltandosi verso Raven. “Non credere che non abbia sentito di Anya, eh”. Ora è proprio Raven ad essere impietrita. Le sue guance si sono colorate vistosamente e ora sono io ad incrociare le braccia e guardarla dall’alto verso il basso. È sempre uno spasso vederla in imbarazzo.

“Sì… beh… cioè…” cerca di rispondere, ma è in evidente difficoltà. Sia io che mamma ci lasciamo scappare una risata.

“Tranquilla, l’avevo capito da un po’. Siete carinissime insieme” ammette mamma, facendole l’occhiolino. Raven è visibilmente imbarazzata, ma non riesce a trattenere un sorriso. “Oddio, e io vi ho anche lasciati da soli per il Ringraziamento!” sbotta ad un tratto mamma. La realizzazione di quelle parole la lascia incredula per qualche istante, mentre io e Raven sghignazziamo consapevoli. Entrambe cerchiamo di tranquillizzarla, facendole notare che allora era troppo presto per arrivare a fare chissà cosa, e che in ogni caso c’era anche Lincoln con noi, per cui sarebbe stato alquanto sconveniente. Il fattore Lincoln sembra convincerla, e alla fine lascia del tutto perdere il discorso Ringraziamento. In cambio però, data l’atmosfera, ci dedichiamo all’argomento ‘ragazze’ per quasi tutto il resto della serata, condividendo alcune informazioni con mamma, tra domande reciproche e varie considerazioni. Ovviamente è venuto fuori anche il problema dell’imminente partenza di Anya e Lexa, e dell’inevitabile separazione. Gli animi si sono spenti un po’, ma le parole di mamma sono state di enorme incoraggiamento. Ci ha persino suggerito di cominciare ad organizzarci per scendere in città qualche giorno. Io e Raven siamo rimaste più che felicemente sorprese di vederla così coinvolta, così appassionata alle nostre vite. È davvero esaltante sapere che tua madre ti supporta talmente tanto da mettersi lì con te ad escogitare soluzioni per permetterti di vivere al meglio la tua situazione sentimentale. Forse è il suo modo di fare ammenda per il passato, per tutto quello che non ha mai fatto quando stavo con Finn (il periodo non è stato dei migliori). O forse è soltanto migliorata esponenzialmente dalla morte di papà, e sta finalmente riuscendo a lasciarsi andare un po’ di più in questo tipo di argomenti. Sapere che la mia sessualità non la disturba minimamente è ancora più appagante. Certo, sarebbe stato strano il contrario, dato che per Raven non c’era stata nessuna reazione negativa, al tempo. Eppure, dentro di me, il timore dell’ignoto mi ha sempre un po’ frenata, da quando ho capito tutto. L’ansia purtroppo gioca sempre brutti scherzi.

Restiamo in cucina a parlare per non so quanto tempo, spaziando tra gli argomenti più disparati, dall’amore al lavoro, da semplici pettegolezzi a vecchi ricordi. Dopo aver finito di asciugare gli ultimi bicchieri appena lavati, decido che è arrivato il momento di godermi un po’ di riposo. Mamma ci da la buona notte e si congeda per prima. Raven ha appena riposto l’ultimo piatto nella dispensa e con uno sguardo mi fa capire che è decisamente pronta ad andare a letto anche lei.

“Ei, sis” mi dice, prima di sparire oltre la porta della cucina. “Scusa per il coming out forzato” sussurra, con espressione realmente dispiaciuta. Sarà la stanchezza ad addolcirla. Lo apprezzo comunque.

“Non fa nulla, prima o poi sarebbe successo comunque” le rispondo, facendo spallucce. Ci scambiamo un debole sorriso.

“Ah, e comunque, sarà troppo presto per te, ma io mi sono già data da fare” annuncia con tono saccente, prima di congedarsi con un cenno della mano e sparire dietro l’angolo. Rimango di sasso per un momento.

“Cosa??”. In meno di un secondo mi fiondo fuori dalla cucina e la raggiungo sulle scale. “Dici sul serio?” le chiedo, palesemente scioccata. Lei non dice nulla, ma annuisce semplicemente, come se non fosse successo nulla, come se non avesse appena sganciato una bomba atomica.

“Oh cazzo. E quando??” provo ad indagare, curiosa come non mai. Non riesco nemmeno a crederci, il mio cervello si è improvvisamente svegliato, non vedo l’ora di sapere tutto.

“Scordatelo, Suor Maria Fasulla. Sono troppo stanca per stare dietro al tuo entusiasmo” mi risponde lei, in tono decisamente esausto. La delusione sul mio volto è evidente, ma Raven non mi degna neanche di uno sguardo quando si chiude la porta della camera alle spalle, lasciandomi spiazzata in mezzo al corridoio. Mi sistemo in camera mia ancora incredula per quello che è successo negli ultimi cinque minuti, cercando di capirci qualcosa da sola. Ma l’unica cosa che può aver senso è il perché. Perché hanno deciso di passare allo step successivo, dopo così poco tempo? In fin dei conti, Raven è sempre stata molto seria su questo punto. L’unica motivazione sensata è quella di volersi concedersi il momento prima della partenza, in previsione di una separazione prolungata. Più ci penso e più mi sento ridicola a rimuginare sull’attività sessuale di mia sorella. Ma il pensiero di tutta questa situazione mi porta a riflettere su di me. Dovrei buttarmi anch’io e approfittare del poco tempo che mi resta con Lexa, o dovrei aspettare? Se solo penso a lei in determinate circostanze, mi viene la tachicardia. Dio, come riuscirò a dormire adesso? Con l’immagine di Lexa che si spoglia davanti a me, il suo viso, i suoi occhi, le sue labbra. Dannazione. Devo riuscire a distrarmi, ma ormai è praticamente impossibile. Mi resta solo un’ultima cosa da fare. Non posso concludere la giornata senza sentirla un’ultima volta.

“Non vedo l’ora di rivederti. Buona notte, Heda”

Fatto. Mandato. Mi sono tolta questo pensiero. Ora spero di riuscire a prendere sonno, anche perché il mio corpo ne ha proprio bisogno. Poso il cellulare sul comodino, ma non appena allontano la mano, lo schermo si illumina e il telefono vibra.

“Domani è più vicino di quanto pensi. Buona notte, Sky Girl”

Lo stomaco si riempie di farfalle e sento rimbombare il battito del cuore nelle orecchie. Sono cotta.

Note:
Torniamo un po' dentro la testa di Clarke, giusto per dare un'occhiata a come sta reagendo lei a tutto questo ;)
Capitolo un po' più "calmo", più incentrato su tutto ciò che Clarke sta cercando di capire dopo l'ultima volta. Ma c'è sempre Raven a spezzare l'atmosfera con un po' della sua energia lol
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire la storia con passione, soprattutto chi si ferma due minuti in più per lasciarmi una recensione, lo apprezzo tantissimo.
Spero che qesto dodicesimo capitolo sia stato di vostro gradimento, alla prossima :) XO

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Clarke POV

“You give me something to talk about…                     Tu mi dai qualcosa di cui parlare…
…something to talk about                                             …qualcosa di cui parlare
You give me something to think about                         Mi dai qualcosa a cui pensare
That’s not the shit in my head…”                                Che non sia il casino che ho in testa…

Stamattina mi sono svegliata con queste parole in testa. Giusto un paio di frasi, messe lì a girare e rigirare continuamente nel mio cervello. Ho aperto gli occhi all’improvviso e mi sono automaticamente fiondata giù dal letto per metterle per iscritto, non ho nemmeno badato all’orario. Ho sentito proprio il bisogno di inciderle su carta, dargli una forma, un senso. È stata una sensazione strana, una cosa che non provavo da un po’ di tempo. Mi sono sentita stranamente carica. Questa cosa mi è successa soltanto per una cosa: una canzone. Credo di aver avuto una specie di illuminazione, un’idea per cominciare un nuovo testo. Mi sono ripetuta quelle parole in testa più e più volte, ho cercato di renderle più orecchiabili, di non lasciarle nella loro semplicità, di aggiungere qualche ripetizione, una sorta di eco, una musicalità. Ho preso subito in mano la mia chitarra e ho provato a buttare giù un paio di accordi, cercando di trovare delle parole adatte per continuare. È stata una mattinata particolarmente produttiva, non mi succedeva davvero da tanto tempo. Mi sono sentita così elettrizzata, così immersa nel mio piccolo mondo. Quando ho buttato l’occhio all’orologio sul comodino sono rimasta un po’ sorpresa di scoprire che erano solo le 8:00. Sono sicura di essere stata con la chitarra in mano per almeno un’ora. Era come se non fossi affatto stanca, pronta per cominciare una nuova giornata al meglio. Ho avvertito una strana energia dentro di me.

//

Svegliarmi così presto anche nella mia unica mattinata libera della settimana mi avrebbe innervosita da morire in qualsiasi altra occasione, ma sorprendentemente la cosa non mi ha affatto disturbata stavolta. Anzi, ho approfittato per fare una doccia più lunga e rilassante, senza Raven che bussasse insistentemente alla porta del bagno per tutto il tempo. Il silenzio di casa mi ha dato modo di rimuginare sul mio scatto di creatività. Ora come ora, se rifletto per bene sul significato di quelle parole, mi sembrano così familiari. So di averle già sentite, so che mi riguardano in qualche modo…
Mi si ferma il cuore per un attimo, quando arrivo alla soluzione dell’enigma.

“Lexa…” sussurro, non riuscendo a trattenere un sorriso. Lexa mi ha detto qualcosa del genere ieri, sì. Ora capisco come mai mi siano rimaste così impresse. Non immaginavo mi avrebbero coinvolto talmente tanto da farmi svegliare all’alba per scriverci una canzone. Credo che la cosa sia più grave di quanto mi aspettassi. Mi sto cacciando in un guaio molto serio, uno da cui non credo di sapere come uscire ormai. Eppure, non ho intenzione di tirarmi indietro, sento che ne vale la pena, che questa cosa può davvero funzionare. Butto uno sguardo sull’orologio della cucina, mentre decido se prepararmi un caffè, e noto che non è affatto male come orario per una colazione fuori. Senza pensarci due volte afferro il cellulare e comincio a scrivere.

“Tra mezz’ora sono da te, ti porto fuori a colazione. Fatti trovare pronta ;) “

Poso il telefono sul tavolo e aspetto. Comincia a venirmi un po’ d’ansia. Forse è troppo presto. Forse sta ancora dormendo. Dannazione, avrei dovuto salutarla almeno. Mi sento un totale disastro. Prendo un respiro profondo e tento di placare l’ondata di negatività che mi sta travolgendo. Non mi sono mai sentita così, questa cosa mi lascia di stucco ogni volta. Se penso a tutte le volte in cui mi sono ritrovata in situazioni simili, non ricordo di aver mai reagito in questo modo. Ho avuto diverse storie nella mia vita, ma paragonate a questo preciso momento della mia vita sembrano tutte così ridicole. Non che neghi tutto quello che ho avuto in passato, ma davvero mi sembra così assurdo il paragone. Ogni volta che pensavo di aver trovato qualcuno che mi piacesse davvero, oltre all’euforia del momento ho sempre avvertito come una strana morsa bloccarmi in qualche modo, come se non mi sentissi mai del tutto convinta delle mie sensazioni. Ricordo che ogni volta pensavo ‘e se non fosse la cosa giusta per me?’ e alla fine mi ritrovavo ad avere sempre ragione. Affrontavo tutte le relazioni con questo peso fastidioso addosso. È pur vero che riuscivo comunque ad ignorarlo e a vivere ogni situazione con il sorriso in faccia, ma la sera mi ritrovavo a farmi sempre la stessa domanda. Ogni appuntamento, ogni uscita, ogni festa erano sempre preceduti da ansia, come se in qualche modo mi sentissi forzata. Era come se non riuscissi a respirare, come se avessi perennemente delle braccia attorno al collo che mi impedissero di prendere aria pulita, di vivere serenamente. Con Lexa non è così. Riesco a sentirlo. Quando penso a lei mi viene solo voglia di vederla e passare del tempo insieme. Quando penso a lei, sento di poter respirare. Non ho mai sentito i miei polmoni così pieni di vita.

“Volentieri, Sky Girl. Ti aspetto.”

Quasi rischio di saltare giù dalla sedia, appena il telefono vibra. Ero talmente immersa nei miei pensieri che mi è preso un colpo. Appena leggo quelle parole tiro un sospiro di sollievo e sorrido. È fatta. Scatto in piedi e mi procuro subito carta e penna per lasciare un biglietto a Raven. Ho intenzione di prendere il pick-up di papà, ed è meglio comunicarlo, prima che si scateni il panico in casa se non dovessero trovarlo in garage.

Sono fuori con Lexa, ho preso il pick-up. E non pensare che la conversazione di ieri sera sia finita, appena arrivo a casa voglio sapere TUTTO.
-Clarke

//

Non è una giornata particolarmente soleggiata, anzi, sembra che il cielo sia ancora coperto di nuvole grigie. Stanotte deve aver nevicato parecchio, il paesaggio è di nuovo tutto bianco. Sebbene teoricamente non ce ne sia bisogno, ho deciso comunque di uscire con gli occhiali da sole. Di prima mattina mi fanno sempre comodo, soprattutto quando devo guidare in mezzo a tanta neve. Non posso negare di sentirmi lo stesso un po’ ridicola, dato che non c’è nemmeno un raggio di sole, ma più tardi le mie iridi ne saranno riconoscenti. Lexa invece è bellissima, anche tutta imbacuccata com’è al momento, davanti al portico dello chalet. Deve essere un tantino sensibile al freddo che fa quassù, da quello che ho notato in questi giorni. Oggi indossa dei buffi occhiali da vista (non credo di averglieli mai visti addosso) e ha il volto quasi interamente coperto da un’enorme sciarpa rossa che le arriva fin poco sopra il naso. Porta anche un cappellino nero di lana con una ‘H’ bianca stampata sopra, che le copre le sopracciglia. Praticamente le si vedono soltanto gli occhi. Quegli occhi verdi stupendi. Le sorrido ampiamente quando entra nella vettura.

“Dove mi porti?” tenta di chiedermi appena metto in moto il pick-up, ma la sua voce viene quasi completamente attutita dalla sciarpa, e l’unica cosa che mi arriva alle orecchie è un vago tentativo di comunicazione. Devo sforzarmi un po’ per interpretare la sua domanda. Ci metto qualche secondo di troppo prima di rispondere. Lei si è già voltata verso di me in attesa di una mia qualsiasi reazione.

“Scusa, non ho afferrato molto bene con tutta quella lana che hai in bocca” le dico ridendo. Automaticamente lei sposta la sciarpa e alza leggermente il mento per liberarsi completamente il viso.

“Chiedevo dove stessimo andando” dice con tono basso, un po’ imbarazzata.

“Beh, sicuramente in un posto dove possiamo fare in modo che ti riscaldi un po’” le rispondo, non nascondendo una nota di ironia. Lexa trattiene una risata e scuote la testa.

“Perché no. Che ne dici di andare direttamente in spiaggia, così puoi stare tranquillamente sotto il sole?” commenta lei, alzando le sopracciglia e indicandomi il volto. Rimango colpita da questa sua risposta tanto pronta.

“Touché” mi limito a dire, non trattenendo un sorriso. Sembra soddisfatta della sua vittoria, il sorriso che le spunta sulle labbra lo conferma.

“Sai davvero come farti rispettare, eh? Non mi stupisce che tu abbia persino un cappello con l’iniziale del tuo soprannome da dura” continuo, cercando di mantenere gli occhi sulla strada il più possibile. Il mio tono è volutamente provocatorio, non mi do ancora per vinta. Lexa sembra un po’ confusa, mi guarda con espressione strana.

“In realtà quella sta per ‘Hogwarts’” risponde, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Rimango decisamente sorpresa. Hogwarts? Harry Potter? Seriamente? Credevo di non poter trovare altri motivi per adorare questa ragazza ancora di più. Eppure, eccomi qui, a bocca aperta davanti a lei, ancora incredula dopo la sua risposta.
Senza rendermene conto siamo già arrivate a destinazione. Parcheggio il pick-up nel primo posto disponibile e spengo il motore. Lexa guarda fuori dal finestrino e poi si gira di scatto verso di me. La sua espressione è un misto di confusione e sorpresa. Non dice nulla e si volta di nuovo verso l’insegna dello Shrieking Bar.

“Sei per caso una romanticona, Clarke Griffin?” mi chiede con un ghigno sul volto, incrociando le braccia. Sento il cuore saltare un battito e un calore improvviso pervadermi il corpo. Non ho molto tempo per trovare una risposta sensata.

“Pff… è che qui fanno un ottimo caffè” dico, cercando di nascondere l’imbarazzo. Ecco, è in momenti come questi che ringrazio di avere addosso degli occhiali da sole. Non indugio ulteriormente e scendo dal pick-up.  Lexa mi segue poco dopo e si posiziona al mio fianco, prima di dirigerci verso l’ingresso del locale. Appena entriamo vengo investita da un profumo intenso di caffè e non posso che respirarlo a pieni polmoni. Tolgo gli occhiali da sole e li ripongo distrattamente dentro la borsa.

“Avevi ragione, già l’odore è delizioso” sento dire accanto a me. Lexa si guarda intorno curiosa, con un sorriso dolcissimo stampato in faccia. Si è tolta la sciarpa e l’ha infilata dentro una delle tasche del suo lungo cappotto nero. Devono essere delle tasche molto grandi, perché la sciarpa entra quasi del tutto, lasciando ciondolare fuori solo una ventina di centimetri. Vederla così mi lascia incantata per qualche istante. Quegli occhiali le danno un’aria così diversa, così dolce, mi sento quasi sciogliere. Il modo in cui le stanno addosso, in cui le scivolano e la costringono a spingerli su continuamente, la montatura buffa, con il suo color caramello, che si sposa perfettamente con il verde dei suoi occhi. Il tutto mi ipnotizza. Senza nemmeno rendermene conto mi avvicino a lei, e con un movimento delicato le aggiusto la montatura sul naso, intercettando la sua mano già pronta per compiere il medesimo movimento. Ci guardiamo negli occhi. C’è un attimo di imbarazzo. Faccio un passo indietro.

“Scusa, ti stavano…” balbetto, abbassando lo sguardo.

“Sì, dovrei farli stringere” commenta lei, abbozzando un sorriso. Sospiro. “E non serve che ti scusi” continua, dandomi un colpetto col gomito.

“Vieni, sediamoci” le dico sorridente. Scelgo uno dei tavoli attaccati al muro e ci accomodiamo. Vengono quasi subito a prendere le nostre ordinazioni, e in poco tempo siamo già con due tazze fumanti in mano e un paio di fette di torta di mele davanti a noi. Le guance di Lexa hanno subito preso colore dopo i primissimi sorsi di cioccolata, e sinceramente la trovo ancora più carina. Si è tolta il cappello appena si è seduta, e lo tiene sul tavolo, accanto al suo braccio.

“Hogwarts, quindi?” chiedo pensierosa, dopo un lungo sorso di caffè. Lexa mi guarda e annuisce, incerta sulle mie intenzioni. Con la tazza ancora tra le mani, mi appoggio del tutto allo schienale dietro di me e comincio a scrutarla con attenzione. Non so dire se il rossore più intenso sulle sue guance sia dovuto alla temperatura della sua cioccolata, o ad altro.

“Che c’è?” mi chiede, visibilmente in difficoltà. Strizzo un po’ gli occhi e faccio una smorfia.

“Fino ad oggi avrei detto Serpeverde, ma credo proprio che tu sia una Corvonero. Sì, decisamente” le dico, indicando brevemente il suo cappello. Il suo corpo si rilassa a vista d’occhio, e un debole sorriso le spunta sul volto.

“Non ti facevo un’appassionata di Harry Potter” commenta, avvicinando la tazza fumante alla bocca.

“Per favore, hai davanti una tra le più fedeli Grifondoro” le rispondo, con una punta d’orgoglio nella voce. Lexa trattiene una risata e mi rivolge uno sguardo così intenso e dolce che mi dimentico come si respira. Quegli occhi saranno la mia morte. Questa ragazza lo sarà. Il suono della sua debole risata riecheggia ancora nelle mie orecchie, e il cuore mi si scioglie completamente. Il mio sguardo si posa automaticamente sulle sue labbra per un breve istante, per poi tornare su di lei, che non ha smesso un secondo di guardarmi. Comincio a sentire parecchio caldo, l’aria attorno si è fatta più pesante, e io mi sento come dentro una bolla. Il tempo sembra essersi fermato, tutto attorno a noi è immobile, ci siamo solo io e lei, l’una di fronte all’altra, l’una persa nello sguardo dell’altra. Se non sentissi il mio corpo pesare una tonnellata, a quest’ora sarei già in piedi, piegata verso di lei, a baciare quelle labbra stupende, noncurante di ciò che ci sta intorno, di chi ci sta intorno. Mi sento talmente ipnotizzata, che non mi accorgo quando cominciamo ad avere compagnia.

“Anya?” le sento dire ad un tratto. Vengo riportata bruscamente alla realtà da una voce fin troppo familiare alle mie spalle.

“Eccovi qui! Avete scelto il tavolo più lontano di tutti”. Raven. Un’ondata di frustrazione mi pervade e non posso trattenere un sospiro infastidito. Mi volto leggermente alla mia sinistra e vedo Anya e Raven in piedi, accanto al nostro tavolo, che ci salutano sorridenti. Anya ha un’espressione un po’ mortificata sul volto, consapevole della situazione che hanno appena creato con la loro comparsa qui. Raven invece ha un ghigno fastidiosissimo stampato in faccia. Devo contare mentalmente fino a dieci per reprimere l’istinto omicida che mi è salito.

“Allora, c’è spazio anche per noi?” chiede subito Raven, portandosi le mani sui fianchi. Non posso che guardarla male, prima di annuire e farle spazio per sedersi. Anya prende posto accanto a Lexa, che al momento sembra più confusa che infastidita. Entrambe si scambiano due parole, e Anya sembra ancora più imbarazzata.
“Come mai anche voi qui?” chiedo, mostrando il più forzato dei sorrisi.

“Eravamo da queste parti e ho visto il pick-up qui fuori, così abbiamo deciso di passare a salutare” risponde Raven, facendo spallucce e rivolgendo la massima attenzione sul menù davanti a lei. Per evitare di risponderle male prendo un lungo sorso di caffè. Lexa mi guarda con un sorriso dispiaciuto. Deve aver capito quanto fastidio mi stia dando questa situazione. In breve tempo Anya e Raven fanno le loro ordinazioni, e per forza di cose cominciamo a parlare del più e del meno. La tensione svanisce dopo i primi minuti (merito anche di tutta la caffeina ingerita), e gli animi si rilassano notevolmente. La mattinata passa velocemente, senza rendercene conto stiamo almeno due ore sedute al tavolo a parlare. Anya e Raven si sono stuzzicate per gran parte del tempo, lasciandoci intendere fin troppe cose della loro vita privata. Lexa non ha parlato molto, ma la sua risata si è sentita più volte, e io non sono mai rimasta così tanto tempo ad osservarla. Quando sorride il volto le si illumina completamente, gli zigomi sono più accentuati, le labbra si distendono senza perdere il loro volume, il naso si arriccia leggermente e le alza un po’ gli occhiali. Ma gli occhi, quelli sono i veri protagonisti. Quel verde intenso brilla ancora di più, e io mi perdo ogni volta. Le basta un sorriso per catturare completamente la mia attenzione. Tra di noi ci sono stati diversi sguardi imbarazzati, e per un attimo mi sono sentita catapultata alla prima sera che ci siamo conosciute. Stesso posto, stessa compagnia (più o meno), stessa attrazione. È stata una sensazione sconvolgente, ma piacevole. Piano piano comincio a realizzare tutto quello che sento quando sono con lei.

Lexa POV

Certo non mi aspettavo che la mattinata avrebbe preso questa piega, ma devo ammettere che non è stato così spiacevole come sembrava all’inizio. La presenza di Anya e Raven si è rivelata una nota positiva, e persino Clarke è riuscita a sciogliersi un po’. Quando sono arrivate, per un attimo ho temuto il peggio. Clarke era talmente tesa che credevo potesse scoppiare da un momento all’altro (cosa del tutto comprensibile). Anya ha tentato di spiegarmi quante volte ha provato a dissuadere Raven dall’entrare nel locale, ma non è riuscita a trattenerla. Non l’ho mai vista scusarsi così tante volte. La cosa mi ha fatto sorridere, non ho mai visto Anya così impotente davanti a situazioni del genere. Raven deve essere una bella testa calda, si danno del filo da torcere a vicenda. È stato uno spasso vederle punzecchiarsi per tutto il tempo, anche se avrei preferito evitare di sentire certi particolari privati. Clarke ed io ci siamo scambiate diversi sguardi, ed è stato un sollievo vederla rilassarsi dopo un po’. L’atmosfera era decisamente migliore.

Finalmente usciamo dal bar. Clarke e Anya si sono subito accese una sigaretta, mentre Raven si è allontanata di qualche passo per rispondere al telefono. Fuori fa ancora parecchio freddo, la neve non sembra affatto essersi sciolta nemmeno un po’, anche se ora comincia a spuntare qualche raggio di sole. Non perdo tempo ad indossare la sciarpa e il cappellino, mettendo subito le mani in tasca, anche se vorrei resistere e combattere il freddo. È assurdo che non mi sia ancora abituata a queste temperature. Clarke si avvicina a me e mi sorride.

“Freddo, eh?” mi chiede, trattenendo una risata. L’unica risposta che le do è una spallata, mentre scuoto la testa. Lei ride, e a me vengono i brividi. Il suo viso è stupendo. Ma l’atmosfera magica viene bruscamente interrotta da una Raven alquanto agitata, che si avvicina a noi con espressione allarmata.

“Clarke, dobbiamo andarcene adesso, non c’è tempo per spiegare...” comincia, attirando l’attenzione di tutte. Mi domando cosa possa essere successo, sembra qualcosa di importante. Io e Anya ci scambiamo uno sguardo confuso. Clarke ha assunto un’espressione seria, ma rimane immobile. Raven non fa in tempo ad aprire di nuovo bocca che qualcuno al posto suo prende parola.

“Ciao, Clarke” sentiamo dire. Una figura spunta alle spalle di Raven, che appena sente la sua voce chiude gli occhi e abbassa il capo, come a dire ‘troppo tardi’. Un ragazzo coi capelli lunghi si fa strada verso Clarke, guardandola con una strana luce negli occhi e un sorrisetto stampato in faccia. Avverto un movimento poco piacevole nello stomaco e comincio a percepire tensione nell’aria. Questa persona non mi piace, ha uno sguardo pesantemente intenso, emana delle strane vibrazioni. Improvvisamente non mi sento più a mio agio, avverto tutta l’elettricità che ci sta intorno e involontariamente stringo i pugni. Anya si accorge del mio cambiamento d’umore e tenta di capire cosa mi stia succedendo. Ma io non bado molto alle sue parole, è come se non la sentissi nemmeno. I miei occhi sono puntati su questo ragazzo, la mia concentrazione è tutta su di lui e su Clarke, sullo spazio che ha abbondantemente invaso e su ogni suo singolo movimento. Comincio a sentire parecchio caldo, sento l’agitazione che si fa strada dentro di me e so che rischio di esplodere, non appena lui dovesse fare un passo di troppo. Per un momento realizzo l’incredibile senso di protezione che ho verso Clarke, e ne rimango del tutto sorpresa. Ma i miei occhi rimangono fissi su di lui e su quel suo ghigno tanto spavaldo che continua ad avere. Quando penso che potrei intervenire comunque, senza aspettare che uno dei due faccia una qualsiasi mossa, Clarke parla. Il mio cuore riceve un duro colpo, e mi sento mancare il respiro.

“Finn”

Note:
Mi scuso per la lunga attesa, ma purtroppo non avuto il tempo di concentrarmi per bene su questo capitolo.
Le frasi all'inizio del capitolo sono prese dalla canzone "St. Patrick" dei Pvris, a cui mi sono ispirata per tutto il Clarke POV.
Spero che il colpo di scena finale vi sia piaciuto (ci vuole un po' di drama lol)
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire questa storia.
A presto XO

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Lexa POV

Due giorni terribili. Non credo di essermi mai sentita così tesa e di malumore in tutta la mia vita. Eppure sono stata parecchio male in passato, per i motivi più disparati, ma la sensazione spiacevole che ho avuto in corpo in questi ultimi giorni è stata diversa. Non so dire cosa sia nello specifico, ma passo dal sentirmi ferita all’essere ansiosa, dal fastidio all’abbattimento totale. Nonostante Clarke abbia cercato di giustificare la sua assenza e totale mancanza di disponibilità, non riesco proprio a tranquillizzarmi. L’arrivo inaspettato di Finn ha scosso un po’ tutti, soprattutto lei, e lo capisco, anche se faccio un po’ di fatica ad accettarlo. So che lei ha definitivamente chiuso con lui, so che ha voltato pagina e non vuole più avere nulla a che fare con lui, ma so anche quanto ha sofferto per la loro storia, per come sono andate le cose, per come sono finite...più o meno. So bene il tipo di legame che abbiamo io e Clarke, dentro di me so che tra noi c’è qualcosa di profondo, ma non riesco a scacciare via la paura che ho di perderla. D’altronde, ci conosciamo solo da quasi due settimane, potrebbe sembrare troppo poco a chiunque. Vorrei davvero non pensarci, ascoltare solo quello che sento nel cuore, ma a volte il potere della mente è talmente forte da farti percepire reale anche la più improbabile delle cose.

Il mio cervello ha sempre avuto questo problema, quando entrano in gioco l’ansia e la paura riesco a convincermi di qualsiasi cosa, e stavolta credo di essermi convinta che tra Clarke e quel Finn ci sia ancora qualcosa in sospeso. Anya ha cercato di farmi ragionare il più possibile, e c’era anche riuscita, ma a me basta un niente per farmi sprofondare nel baratro del dubbio. La cosa che non sopporto poi è l’astio ridicolo che ho sviluppato per Clarke ogni volta che mi arriva un suo messaggio, anche se la maggior parte delle volte si scusa per non avere tempo per vederci e per la situazione che si è inevitabilmente creata con la presenza di Finn a Mount Weather. Capisco bene il peso di tutto quello che sta succedendo, ma il mio malessere si accentua ancora di più ogni volta che mi dice che è meglio se non vado a trovarla a lavoro ‘per evitare ulteriori situazioni di disagio’. Non ha tutti i torti, ma penso pure che tra un paio di giorni tornerò in città e non possiamo nemmeno passare il tempo che ci rimane insieme. La cosa mi fa imbestialire. L’unica cosa che mi tira un po’ su sono i momenti in cui Raven passa il suo tempo qui allo chalet, facendo impazzire Anya, aggiornandoci il più possibile su tutto quello che succede alla Sky Crew, aggiungendo spontaneamente qualche dettaglio dell’aria che tira in casa sua. Sebbene il suo principale scopo sia quello di rallegrarmi un po’ con gli aneddoti più divertenti della giornata, parlare di Clarke e di quanto per ora non sia più tanto in sé non mi aiuta affatto. Dalle sue parole ho evinto che nemmeno Clarke sta vivendo questa cosa tanto bene, torna a casa stressata, sta sempre sulla difensiva, non affronta più le sue lezioni con l’entusiasmo di sempre.

“È come se si fosse spenta” aggiunge Raven, guardando un punto fisso tra le sue dita intrecciate a quelle di Anya.

Mi si stringe il cuore a quelle parole. Immaginare Clarke senza quel suo caratteristico perenne sorriso stampato in faccia mi rattrista parecchio. Sospiro, cercando di distogliere lo sguardo dalle due ragazze di fronte a me. Il modo in cui si stringono l’una nell’altra, in cui si godono la reciproca presenza, mi causa una spiacevole sensazione nello stomaco, e non posso non mandare giù il nodo che mi si è automaticamente formato il gola. Clarke mi manca, terribilmente tanto.

“E Finn?” mi azzardo a chiedere dopo qualche secondo di silenzio, cercando di sembrare il più neutrale possibile. Anya mi rivolge uno sguardo preoccupato, mentre Raven sembra più dispiaciuta che altro.

“Sta sempre in giro, pronto ad avvicinarsi a lei non appena Clarke finisce un turno”. Deglustico, mantenendo lo sguardo fisso su Raven, che nota la mia tensione e continua. “Ma lei lo congeda subito, non ha mai sopportato la sua insistenza. Dopo la loro discussione di martedì, Clarke gli ha chiaramente detto che non sarebbe più tornata sull’argomento, ma lui non sembra darsi per vinto” ci spiega. Avverto una nota di fastidio nella sua voce, non deve piacerle molto Finn, o almeno, non più. Ma credo che sia principalmente una sorta di inevitabile senso di protezione per la sorella, dopo tutto quello che ha vissuto con lei.

“Non pensi che dovresti andare da lei?” interviene ad un tratto Anya, con un tono un po’ insicuro. Sia Raven che io le rivolgiamo lo sguardo, entrambe sorprese.

“È l’unica cosa che mi ha chiesto di non fare, non ho intenzione di aggiungere problemi” le rispondo, sentendo il mio stomaco contorcersi. Scuoto leggermente la testa e distolgo lo sguardo.

“Lexa, l’unico problema qui è questo ragazzo. Sono sicura che la tua presenza non potrà mai essere un problema per Clarke, lo vediamo tutti quanto ci tiene a te” cerca di spronarmi lei, utilizzando uno dei toni più dolci che abbia mai sentito.

Le sue parole non sembrano poi così insensate. È vero che Clarke non mi ha mai dato motivo di pensare che non apprezzasse la mia compagnia, o la mia vicinanza, anzi. Allora perché evitarmi per due giorni interi? Perché scrivermi quei messaggi? Perché chiedermi di starle lontana? Fondamentalmente è quello che ha fatto, seppur con parole diverse. Non capisco.

“Se posso dirti la mia, credo che nemmeno Clarke capisca bene di cosa abbia veramente bisogno adesso. È stata del tutto sopraffatta da questa situazione, e scommetto che ti sta tenendo lontana perché cerca di proteggerti” sbotta Raven, quasi come mi avesse letto nel pensiero.

“Che vuoi dire?” le chiedo confusa, ma molto interessata alla sua teoria. Lei mi rivolge uno sguardo incerto e sospira pesantemente prima di cominciare a parlare.

“Quando lei e Finn hanno cominciato ad avere seri problemi, le cose erano talmente tese che chiunque gli stesse vicino rischiava di beccarsi i peggiori insulti, se non peggio. Purtroppo Finn ha sempre avuto problemi di autocontrollo, e ci sono delle cose che lo fanno scattare, e diciamo che lo rendono una persona non particolarmente piacevole…” spiega lei, spostando lo sguardo tra me ed Anya. “L’ultima volta che ho assistito ad uno di quei momenti mi sono beccata uno spintone non proprio delicato solo per aver cercato di mettermi tra di loro”. Il suo sguardo ora si è abbassato, perso tra le coperte sopra le sue gambe, e la sua voce si è affievolita. Anya le si è avvicinata ancora di più, stringendole dolcemente il braccio. “Per fortuna non ha mai fatto del male a Clarke. È sempre stato come se nella sua testa tutti stessimo cercando di portargliela via, come se lei fosse un oggetto prezioso a cui nessuno poteva avvicinarsi, nonostante lui non ne avesse per niente cura ormai”.

Il vuoto che mi si è creato nello stomaco comincia a farmi male. Mi accorgo di aver trattenuto il respiro per quasi tutto il tempo. Dentro di me sento crescere la rabbia e il disgusto. Com’è possibile che una persona del genere riesca ad atteggiarsi con tanta tranquillità dopo tutto quello che ha fatto? Con quale coraggio si presenta qui, come se nulla fosse? Fin dal primo momento in cui l’ho guardato in faccia ho sentito che qualcosa in lui non andava, senza nemmeno sapere chi fosse. E purtroppo o per fortuna il mo istinto non sbaglia mai. Con velocità inaspettata mi alzo dal letto senza dire una parola. Anya e Raven scattano sorprese e mi guardano confuse.

“Cosa fai?” mi chiede Anya, con tono decisamente preoccupato.

“Non ho intenzione di starmene qui a far passare il tempo inutilmente, sapendo con che razza di essere Clarke deve avere ancora a che fare” le rispondo, mettendomi velocemente scarpe e cappotto, senza preoccuparmi di darle le spalle.

“Ma sono già le sette, e fuori è parecchio buio da un po’. Magari non la trovi nemmeno a lavoro” tenta di controbattere lei, ma non riesco a dare retta nemmeno ad una parola di quello che mi dice. Non mi importa quanto buio sia fuori, quanto tardi possa essere. So che lei sarà lì, e so che ci sarà anche lui ad aspettare la chiusura della struttura, ormai è ovvio.

Prima di uscire rapidamente dalla stanza, noto l’espressione compiaciuta sul volto di Raven e non posso che caricarmi ancora di più di coraggio. Questa situazione non va bene. Clarke non sta bene, io non sto bene, e questa lontananza non fa che peggiorare le cose, invece di alleggerirle. È assurdo sperare che le cose si sistemino da sole, soprattutto quando il problema principale è un ragazzo emotivamente instabile e parecchio insistente. Non esiste che Finn si avvicini ancora a Clarke, questa cosa deve finire, e deve finire adesso.

Metto in moto la macchina con decisione e parto verso la Sky Crew. Fuori sembra passata la mezzanotte per il buio che c’è, ma non faccio troppa fatica a trovare il sentiero che porta alla mia destinazione. Le luci dell’edificio principale e delle altre strutture tutte attorno sono ancora accese e mi fanno da guida fino allo spiazzo del parcheggio. Ci sono ancora diverse macchine posteggiate, tra le quali riesco a riconoscere quella di Carke. Perfetto, è ancora qui. Non perdo tempo a scendere dalla macchina e a farmi strada verso la struttura. Controllo l’orario in velocità e noto con sollievo che sono le sette solo adesso, e quindi Clarke sarà ancora probabilmente al noleggio. Accelero il passo e cerco di mantenere la mente lucida. Non so bene cosa sto facendo, non so cosa le dirò appena la vedrò, non so bene quali siano le mie intenzioni. Non so nemmeno se riuscirò ad anticipare Finn ed impedire un ulteriore confronto. L’unica cosa di cui sono certa è che voglio vedere Clarke, ne ho bisogno. Ho bisogno di sapere che sta bene, ho bisogno di vedere con i miei occhi le sue condizioni. Voglio prendere una posizione decisa in tutta questa situazione. Voglio starle accanto. Voglio essere con lei in tutto questo, voglio aiutarla, rassicurarla, proteggerla. Il suo bene è l’unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento.

Appena metto piede dentro il noleggio, quello che vedo mi scatena un intero incendio dentro.

“Allontanati subito da lei”.

 La mia voce esce quasi come un ringhio. Il mio sguardo è puntato su Finn, che si è voltato verso di me al suono della mia voce. La sua mano stringe il braccio di Clarke, che approfitta della sua distrazione per scrollarsi dalla presa. Entrambi mi guardano sorpresi, ma Clarke ha una strana luce negli occhi. Sul suo volto leggo preoccupazione. La situazione è evidente: Finn è riuscito ad arrivare prima, o forse è stato qui tutto il tempo ad aspettare che Clarke finisse di lavorare; lui ha cominciato ad ossessionarla per qualunque cosa stia cercando di ottenere da lei ed è così che sono arrivati a scontrarsi. Non so con quale forza io stia riuscendo a mantenere la calma. Non riesco nemmeno ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se solo non avessi deciso di venire fin qui ed entrare in questa stanza.

“Lexa…” riesce a dire Clarke con un fil di voce, guardandomi negli occhi. Istintivamente scatto verso di lei e mi metto tra i due, non considerando minimamente l’altra presenza nella stanza.

“Stai bene?” le chiedo preoccupata, squadrandola velocemente dalla testa ai piedi per assicurarmi che sia tutto ok.

“E tu chi diavolo sei?” sento alle mie spalle. Il mio corpo si irrigidisce d’un tratto e il mio sguardo si fa sempre più duro. Serro la mandibola e mi volto lentamente per trovarmi faccia a faccia con Finn, che mi osserva infastidito, con uno strano sguardo, quasi animalesco.

“Finn, non cominciare” mi anticipa Clarke, afferrandomi per il polso e cercando di farsi vedere da dietro la mia spalla. Il contatto mi fa venire i brividi e quasi non mi accorgo che il mio cuore ha cominciato a battere freneticamente. Ma non posso distrarmi in questo momento. La mia attenzione ritorna rapidamente sulla persona davanti a me, il mio sguardo rimane duramente puntato su di lui, e il mio coro si mantiene immobile tra i due.

“Credo che dovresti andartene” gli dico in tono calmo, ma gelido. Lui per tutta risposta si lascia andare ad una risata completamente priva di umorismo e comincia a scrutarmi attentamente.

“Lexa, non c’è bisogno…” prova a dirmi Clarke, avvicinandosi a me.

“E io invece credo che sia tu quella che deve togliersi dai piedi, sai, non abbiamo finito” comincia lui, tentando di farsi spazio, spingendomi di lato. Il suo tentativo però va a vuoto. I tanti anni di arti marziali mi hanno dato una forza abbastanza notevole, sufficiente da mettermi di prepotenza davanti a lui e bloccarlo sul suo posto, prima di poter fare qualsiasi altro passo verso Clarke. L’espressione sul volto del ragazzo si fa incredula, ma al tempo stesso furiosa.

“Ma che diavolo…”

“Sta’ lontano da lei” gli dico seriamente, non distogliendo lo sguardo da lui nemmeno un secondo. Il suo viso si irrigidisce, la sua mandibola si serra visibilmente e la tensione gli si posa tutta sulle spalle. Il suo sguardo si sposta da me a Clarke, come se cercasse di trovare un modo per uscire vincitore da questa situazione.

“Finn, è meglio se te ne vai, davvero… non abbiamo più niente da dirci” interviene Clarke, mantenendo un tono di voce tranquillo, ma decisamente esausto. Dalle sue parole traspare stanchezza e mi si forma un nodo alla gola a pensare a tutta la pesantezza che sicuramente sta provando in questo momento. La sua mano non ha ancora allentato la stretta sul mio polso e in qualche modo gliene sono grata. Anche in una situazione spiacevole come questa, sentirla così vicina a me mi fa stare bene. E forse riesce a dare un po’ di sollievo anche a lei, che sembra volersi aggrappare con tutte le sue forse a qualcosa. A me.

L’espressione di Finn muta lentamente, da furiosa e impaziente a confusa e sconfitta. Sembra quasi un’altra persona, come se quel demone rabbioso che sembrava essersi impossessato di lui lo stesse lasciando andare, rivelando un ragazzo sprovveduto, con nient’altro che delusione negli occhi.

“Al diavolo” commenta lui dopo parecchi secondi di tensione silenziosa, scuotendo la testa e allontanandosi verso l’uscita, per poi sparire nel buio della sera.

Alla chiusura definitiva della porta mi volto verso Clarke, osservandola con ancora un po’ di preoccupazione, ma decisamente più tranquilla ora che siamo rimaste solo noi due. Lei mi guarda e sospira. I suoi occhi sono tristi e lucidi, quel blu meraviglioso viene gradualmente offuscato dalle lacrime che cominciano a formarsi. La presa sul mio polso si indebolisce, fin quando non sparisce del tutto. Per un attimo mi si ferma il cuore. L’assenza totale di contatto mi impietrisce, mi sento quasi sgretolare lentamente, mentre penso che forse ho sbagliato ad intromettermi, forse ho oltrepassato dei limiti a cui non mi sarei neanche dovuta avvicinare. Ma non ho tempo di rimuginare troppo su questi pensieri che all’improvviso Clarke si sporge verso di me e affonda il viso sul mio petto, appoggiando alla stessa altezza i suoi pugni stretti. Inizialmente rimango un po’ sorpresa, ma non appena la sento trattenere i primi singhiozzi non perdo tempo a cingerla in un abbraccio, stringendola a me come se avessi paura che potesse scivolare via da un momento all’altro. La sua reazione è di totale liberazione, comincia a piangere silenziosamente, ma ad ogni singhiozzo corrisponde un sussulto del suo corpo che mi provoca delle fitte nel cuore. La mia mano ha cominciato ad accarezzarle dolcemente i capelli, mentre appoggio delicatamente il mento sul suo capo, dondolando impercettibilmente sul posto.

“Va tutto bene, Clarke” le sussurro.

//

Sebbene abbia deciso di ordinare un po’ di tutto, dai cheeseburger ai tacos, dalla pizza al cinese, Clarke non ha ancora toccato nulla. Non ha aperto bocca per tutto il tragitto in macchina, nemmeno alle diverse fermate che ho deciso di fare per occuparmi della cena. Il volto perennemente rivolto verso il finestrino, con lo sguardo perso su quel poco che si riusciva a vedere del paesaggio grazie alle luci lungo i viali. Il silenzio assordante che traspariva abbandono totale alla stanchezza. Non mi sono voluta azzardare a interrompere quel silenzio nemmeno una volta. I suoi occhi rossi e gonfi mi hanno trattenuta dal fare qualsiasi commento o domanda al riguardo. Forse è proprio questo che intendeva Raven con “è come se si fosse spenta”. E la sensazione che provo è di totale impotenza.

Arrivate davanti casa sua, scendiamo dalla macchina, lei si porta avanti, con le chiavi già in mano, pronta ad aprire la porta. Io la seguo lentamente, mantenendomi sempre un paio di passi indietro, incerta su come comportarmi. Il sacchetto con la cena in una mano e lo sguardo basso, un po’ in imbarazzo per tutta la situazione. È stata una serata piena di emozioni, anche tra le più terribili. Clarke è visibilmente provata, ha prosciugato quasi tutte le riserve di lacrime che aveva in corpo, e nonostante tutto si è ricomposta con una forza incredibile. Non pensavo che l’avrei mai vista in queste condizioni, ma ora più che mai sento che il mio posto è accanto a lei, in qualsiasi momento. Anche se lei dovesse respingermi ed escludermi nel tentativo di proteggermi, non la lascerei sola nemmeno un istante. Non lo vorrei fare nemmeno adesso in realtà, anche se so bene quanto sia esausta e quanto le farebbe bene una bella dormita. Però ho già fatto abbastanza per stasera, non ho intenzione di oltrepassare altri limiti senza che ce ne sia davvero la necessità, rischierei solo di peggiorare ulteriormente le sue condizioni, ed è l’ultima cosa che voglio.

Al click della serratura alzo lo sguardo, pronta a congedarmi in qualsiasi momento, porgendo lentamente la busta con la cena verso di lei. Clarke osserva il mio gesto e poi alza lo sguardo su di me. Senza dire nulla mi prende la mano e mi trascina dentro con lei.

Note:
Chi non muore si rivede lol sembra passato un secolo dall'ultima volta che ho aggiornato, e fondamentalmente è quasi come se lo fosse.
Purtroppo sono stata a lungo trattenuta dallo studio, impegnata con diversi esami, e non ho avuto nemmeno il tempo di pensare ad altro.
Ieri sera mi sono presa di coraggio (dopo aver finito gli esami e due giorni di pausa lol) e sono riuscita a rimettermi in pista ;)
Spero davvero che l'attesa infinita non abbia smorzato gli animi e che questo capitolo sia degno di questa ripresa tardiva :)
Fatemi sapere che ne pensate, qualsiasi cosa abbiate da dire (anche insultarmi per avervi temporaneamente abbandonati lol) sono pronta ad ascoltarvi!
Ringrazio tutti quelli che non hanno mai perso la speranza, e chi continua a seguire questa storia, con passione o meno :) grazie davvero! It means a lot to me <3
Alla prossima XO

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Lexa POV

Il tipico tempo autunnale è tornato a farsi vedere, l’aria si è leggermente riscaldata, la neve non cade da qualche giorno, e giuro di aver intravisto qualche foglia colorata tra gli alberi che spuntato da dietro la finestra della mia camera. Forse è proprio per questo che i ragazzi hanno deciso di organizzare un falò prima della nostra partenza di domani. Ebbene sì, domani a quest’ora Lincoln, Anya ed io saremo nella nostra casa a litigare su quale serie tv guardare, probabilmente aspettando con ansia il ragazzo tanto simpatico che consegna le pizze. Casa nostra mi manca, è vero, e anche la mia routine, la biblioteca, i miei libri, le serate al TonDC… mi mancano persino le visite di Nyko e il suo meraviglioso pastore tedesco Danvers. Non ci vediamo spesso, ma è l’unico vero amico che ho all’infuori di Anya e Lincoln. Eppure, al solo pensiero che sia ormai la fine di questo viaggio mi si chiude lo stomaco. Tutta questa nostalgia che sento non fa che lottare contro la voglia di restare ancora un po’ qui su queste montagne sperdute, in compagnia delle persone che ho conosciuto, e soprattutto di Clarke. Clarke…

Mando giù il nodo che mi si è formato in gola e continuo a piegare e sistemare i vestiti sul letto. Sono quasi le sette, e non mi sono ancora nemmeno cambiata per rendermi presentabile alla serata. L’ansia mi ha portata a fare tutt’altro, e in questo caso mi ha trasformato in una perfetta commessa da negozio di abbigliamento. Anya ha già bussato almeno tre volte nell’ultima ora, cercando di mettermi fretta, ma la cosa non ha fatto altro che agitarmi maggiormente. Più il tempo passa e più ci avviciniamo a domani, alla partenza, e io non sono ancora emotivamente pronta. Cosa mi è successo in queste due settimane? Cosa significa per me tutto quello che ho vissuto qui? Non mi sono mai sentita così diversa in vita mia. Ho passato gli ultimi anni a chiudermi in me stessa, a sforzarmi enormemente per essere socievole il minimo indispensabile, per dare una possibilità a questo mondo che mi ha sempre tolto tutto ciò che avevo di più caro e importante. Ho combattuto per avere ciò che ho adesso, anche se nell’ombra e nel dolore. E invece adesso comincio a vedere la luce, e la cosa mi terrorizza, anche se mi fa sentire incredibilmente viva. Queste due settimane hanno completamente ribaltato la mia vita, l’hanno scossa nel profondo, come se mi avessero risvegliata da un lunghissimo sonno. Il tempo che ho passato qui è stato incredibilmente rinfrescante, la mia mente non si è mai sentita così libera come adesso. E so benissimo cosa sia stato ad aiutarmi in questo percorso, o meglio, chi.

Eppure non riesco a togliermi dalla testa la confusione che le parole e i gesti di Clarke mi hanno lasciato l’altra notte.

//

-Due notti fa-

Senza aprire bocca Clarke mi trascina fino alla cucina. Accende la luce, chiude la porta, apre il frigo e si ferma qualche secondo a fissarne il contenuto, prima di allungare una mano e afferrare un paio di birre. Non so bene cosa pensare, ma l’espressione che ora ha sul volto è del tutto impossibile da decifrare, un misto tra stanchezza, dolore, ma anche tranquillità e non curanza. L’apatia sembra essersi impossessata di lei, si muove quasi per inerzia. Poggia le birre sul tavolo, si avvicina a me, mantenendo lo sguardo basso, prende le buste con la cena e comincia a uscirne tutto il contenuto.

“Puoi sederti” mi dice ad un tratto, intenta ad aprire i contenitori del cibo cinese. La sua voce è particolarmente roca.

Con un po’ di indecisione mi siedo sulla prima sedia che trovo accanto a me e cerco di mantenere il mio battito cardiaco ad una velocità non troppo elevata. Tutta questa situazione è strana, non mi sento particolarmente a mio agio con questo silenzio imbarazzante. Eppure, ora sono io che non riesco a spiccicare parola.

“Grazie di tutto, Lexa…”

Alzo istintivamente lo sguardo e trovo immediatamente quello di Clarke. È la prima volta che mi guarda da quando mi sono presentata alla Sky Crew. Il suo volto ha cambiato un po’ espressione, ora sembra provare emozioni, i suoi occhi sono ancora lucidi e arrossati, ma l’angolo della sua bocca si inclina leggermente e un debole sorriso, seppur amaro, le si forma in viso. Il mio cuore riceve una scossa e comincia a galoppare. Per una attimo mi sento togliere il respiro, ma prontamente ricambio il sorriso e scuoto leggermente la testa.

“Figurati… fame?” le chiedo speranzosa, tentando di alleggerire un po’ l’atmosfera cambiando argomento. Lei sposta lo sguardo tra me e il cibo davanti a noi e annuisce. Sembra essere grata del mio gesto.

In pochissimo tempo ci ritroviamo a mangiare quasi tutto quello che c’è sul tavolo, accompagnandoci con diverse birre (in realtà Clarke più di una, io sono ancora alla prima), e a parlare di cose impensabili. Ci spostiamo in camera sua per facilitare il suo cambio di vestiti “troppo scomodi per stare a casa”, portandoci sempre dietro le nostre bottiglie. Non c’è voluto molto prima che Clarke cominciasse a mostrare i primi segni di una bella sbronza. Dopo i primi accorgimenti fattile in modo scherzoso, e il suo rifiuto categorico, ho deciso che l’avrei lasciata fare. Forse era quello di cui aveva bisogno dall’inizio: trovare un modo per dimenticare momentaneamente gli eventi di quella sera. E quale modo migliore di un po’ di alcol in compagnia? Forse è stato questo a spingerla a trascinarmi dentro casa sua. Molto probabilmente sapeva già che avrebbe voluto consolarsi con un bel po’ di alcol, ma farlo da sola sarebbe stato ancora più distruttivo. Non so bene come pensarla al momento, non mi fa impazzire di gioia il fatto che voglia ricorrere a questi metodi, ma in fondo non sono nessuno per poterla giudicare. Io in primis ho avuto esperienze simili. Se non altro almeno ci sono io qui con lei a tenerla d’occhio e prendermi cura di lei in caso ce ne fosse il bisogno.

“E poi BOOM, la porta si apre e tu sbuchi fuori come per magia!” mi dice con un filino di entusiasmo di troppo, mimando una faccia sorpresa e allargando le braccia come per mostrarmi la magia.

Non riesco a non trattenere una risata, vederla in questo stato mi dispiace, ma in qualche modo riesce comunque ad essere buffa, soprattutto quando cerca di tenersi in equilibrio mentre gironzola per la stanza. Mi alzo dal letto e mi avvicino a lei, allungando una mano verso la sua bottiglia.

“Ok, credo che tu abbia finto l’intera scorta di birra di tutta la montagna” provo a dirle con un sorriso, cercando di afferrare la bottiglia dalle sue mani. Per tutta risposta Clarke si scansa, ridendo di gusto, e mi allontana non proprio delicatamente con una mano sul petto.

“Fermo lì, soldato” mi dice, squadrandomi dall’alto in basso. Trattengo nuovamente un sorriso e cerco di stare al suo gioco. “Cosa mi dai in cambio?” mi chiede, strizzando gli occhi. Non ho idea di cosa risponderle. Non so se ridere o essere seria. Tutta questa situazione sta decisamente degenerando.

“Ehm… tutto quello che vuoi?” mi azzardo a dirle indecisa. Lei ci pensa su un attimo e poi sfoggia uno dei suoi sorrisi più belli.

“Ottima risposta, soldato” commenta, porgendomi gentilmente la sua birra. Scuoto la testa divertita e mi sposto verso il comodino per allontanare definitivamente quella bottiglia da lei.

“Sai, lui non rispondeva mai così…” ricomincia dopo non molto, cambiando tono di voce. Il mio corpo si irrigidisce di colpo. Eccoci… sta parlando di Finn. Temevo questo momento da tutta la serata. “Era sempre tutto come voleva lui. Aveva lo strano potere di incantarmi con le parole, riusciva a convincermi a fare tutto”. Mi volto verso di lei e la trovo seduta sul bordo del letto accanto a me. Ha lo sguardo basso e le sue dita giocano a stropicciare il tessuto delle coperte. Molto lentamente mi avvicino a lei e mi siedo. “Una volta ha rotto il naso ad un tizio per strada che mi aveva fatto l’occhiolino, sostenendo che oltre a quel gesto avesse anche detto cose poco carine su di me, nonostante io non lo avessi visto aprire bocca…anche in un’occasione come quella riuscì a convincermi che quel poveretto aveva torto marcio e lui voleva solo proteggermi da un maniaco”.

La sua voce mi rapisce completamente, e anche se l’argomento non è di certo tra i miei preferiti, non riesco a smettere di ascoltarla assorta.

“Credevo che tutto questo tempo lo avesse allontanato per sempre. Credevo di star ricominciando una nuova vita finalmente. I suoi messaggi avevo imparato ad ignorarli, così come le sue chiamate. E poi lui si presenta qui e io mi sento completamente distrutta…” la sua voce si spezza. Alcuni secondi di silenzio e poi un singhiozzo. “Perché riesce ancora a farmi questo effetto? Perché ha ancora questo potere su di me?”. Ora ha alzato lo sguardo, è con me che sta parlando. È a me che sta chiedendo queste cose. I suoi occhi sono pieni di lacrime e le trema il labbro inferiore. Il mio cuore riceve un brutto colpo a quella vista. Istintivamente le mie braccia la raggiungono e l’avvicino a me. Clarke comincia a piangere e io cerco di stringerla ancora più forte per farle sentire che io ci sono, che sono qui con lei, che non ho intenzione di lasciarla sola. Ma non posso stare zitta, non ha bisogno solo di contatto fisico, servono delle parole che riescano a darle un minimo di serenità, e quelle parole possono venire solo da me in questo momento.

“Hai vissuto un incredibile amore romantico, una favola a tutti gli effetti, con la bella principessa e l’affascinante principe. Ma non è stata più di questo, una favola. Alla fine si è rivelata per quel che era, un’illusione. E la tua mente è ancora legata a quell’idea fantastica che avevi di voi due. Ciò che però conta adesso è il tuo cuore. L’unica cosa a cui puoi dar retta adesso è solo quello… segui la via che ti mostra, non avere paura di lasciarti andare. Lascia decidere al cuore quali ricordi conservare e quali abbandonare per il tuo bene”.

Non so neanche con quale coraggio io sia riuscita a dire queste cose. Appena ho aperto bocca le parole sono uscite da sole, senza nemmeno doverci pensare. Per un attimo vengo investita in pieno dal mio stesso discorso. Mi ritorna il mente la Lexa diciannovenne, perdutamente innamorata della sua affascinante principessa, talmente cieca d’amore da non rendersi conto dell’illusione che la sua mente stava creando, tanto da non permetterle di avere il controllo sulla sua stessa vita, sulle sue scelte, sui suoi principi. Non ho idea di come allora io sia riuscita a rendermi conto di tutto ciò e di come sia riuscita a intraprendere una nuova strada. A quel tempo nessuno mi fece un discorso così, nessuno con lo stesso bagaglio di emozioni era lì per farmelo. Ora capisco davvero appieno quelle parole. Un nuovo inizio non è un’altra persona al tuo fianco. Non è questione di chi altro hai accanto pronto a farti dimenticare il passato e ad aiutarti a costruire un altro futuro. Un nuovo inizio è un patto. Un patto che fai con te stesso, un impegno, una dimostrazione di coraggio. E l’unico aiuto che ti serve è quello che sei disposto a darti da solo, quando capisci che, per quanto ti senti schiacciato a terra, la tua unica possibilità è quella di alzarti e ricominciare a vivere. Ed è proprio questo quello che serve a Clarke adesso. Non sono io a dover cambiare la sua vita, deve essere lei stessa a volere un cambiamento definitivo. E può farlo soltanto convincendo se stessa.

Il silenzio nella stanza viene interrotto dal sospiro di Clarke, che lentamente si scioglie dall’abbraccio per guardarmi negli occhi. In quei meravigliosi zaffiri riesco a leggere talmente tante cose che non so cosa sia esattamente a spingerla ad avvicinare il suo viso al mio, con un’intenzione più che chiara.

“No…” la fermo prontamente, cercando di essere il più delicata possibile. Lei rimane un attimo sorpresa, con un’evidente espressione accigliata sul volto. Io combatto contro me stessa per evitare che il tremore della mia voce mi tradisca.

“Sei troppo vulnerabile al momento, non ti farebbe alcun bene… non voglio essere una causa in più del tuo dolore” le spiego, prendendole le mani e accarezzandole delicatamente il dorso con i pollici. I nostri occhi rimangono connessi tra di loro per alcuni secondi, dopodiché Clarke inspira profondamente e abbassa lo sguardo. Dentro di me sento una tempesta di emozioni contrastanti. È la cosa giusta, vero? Avrei dovuto lasciarla sfogare? Cosa succederà adesso? La paura di perderla per sempre comincia ad insidiarsi profondamente dentro di me e senza rendermene conto mi ritrovo a trattenere il respiro, in attesa della prossima mossa di Clarke.

Quando alza lo sguardo verso di me leggo solo tristezza e stanchezza nei suoi occhi. Deglutisco pesantemente, stringendo quasi impercettibilmente le sue mani.

“Resteresti con me stanotte?” mi chiede infine. Il mio cuore sprofonda in un mare di sollievo. Le parole mi si bloccano in gola, ma riesco comunque a regalarle un sorriso, e questo la rassicura visibilmente. Le sue spalle si rilassano e i suoi occhi si illuminano nuovamente.

Con calma entrambe ci alziamo dal letto. Clarke mi trova dei vestiti comodi con cui dormire e non perdo troppo tempo a cambiarmi, mentre lei è già distesa a letto su un fianco, con gli occhi chiusi e il respiro pesante. Credo si sia già addormentata. Vederla così mi fa sentire strana, come se al posto delle farfalle ci fosse un intero zoo nel mio stomaco. Non riesco a trattenere un sorriso. Il più silenziosamente possibile mi sistemo accanto a lei, coprendola per bene con le coperte extra ai piedi del letto. All’improvviso la vedo muoversi e avvicinarsi a me, sempre con gli occhi chiusi e l’espressione dormiente. Si stringe il più possibile a me, affondando il viso nel mio collo, e continuando a dormire. Mi scappa un debole sorriso al pensiero di tanta tenerezza. Non posso far altro che cingerla con le mie braccia e lasciarle un piccolo bacio sulla fronte.

“Non vado da nessuna parte”

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“Ok Lexa, se non sei pronta entro cinque minuti, giuro che ti trascino in macchina in pigiama”.

La voce di Anya mi riporta bruscamente alla realtà e d’istinto mi volto verso l’orologio sul comodino: 7.00 pm. Sbuffo pesantemente e comincio a vestirmi con le prime cose utili che trovo sistemate sul letto. Stavolta, sotto precedente consiglio di Raven, ricordo di portarmi dietro una coperta. Si prospetta una lunga serata, meglio essere preparati.

“Ei Lexa, non diment…” comincia proprio lei, sbucando dal bagno comunicante. Non le do nemmeno il tempo di finire che sollevo la coperta che ho in mano e gliela mostro.

“Fatto” le rispondo con un occhiolino. Lei sorride, annuisce e sparisce in camera di Anya.

Lincoln alla fine non è più tornato dalla sua breve escursione con Octavia e Bellamy, e immagino che abbiano deciso di fermarsi direttamene alla Sky Crew per i preparativi del falò. Non mi sarebbe dispiaciuto poter dare una mano io stessa, ma Clarke e gli altri hanno insistito affinché noi fossimo solo ospiti. Ricordo persino qualcosa riguardo Murphy che si è offerto spontaneamente come volontario per pensare alla legna e al fuoco, il che mi ha decisamente sorpresa.

“Sono pronta!” urlo ad Anya dopo l’ennesimo sollecito ad uscire. “Spengo le candele e arrivo”.

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Clarke POV

Sono quasi le sette e mi sento totalmente impreparata. Io e Octavia abbiamo provato senza sosta nell’ultimo quarto d’ora, ma continuo ad essere perplessa. Quando lei, Lincoln e Bellamy sono tornati dall’escursione, l’ho praticamente sequestrata e portata nel retro per provare le canzoni che ho scelto per stasera. Lei non ha fatto altro che ripetermi che sono perfette e che verranno benissimo, ma io sono troppo nervosa, non riesco a razionalizzare.

“Clarke, davvero, devi darti una calmata, andrà tutto bene” prova a rassicurarmi nuovamente, inclinando la testa di lato, in attesa di una mia risposta. Sospiro.

“Va bene, puoi andare, sei libera” le dico, abbozzando un sorriso e facendole un cenno verso la porta. Lei scatta in piedi e corre fuori senza farselo ripetere due volte. Mi scappa una risata. Abbasso lo sguardo e ricomincio a pizzicare le corde della mia chitarra. Ora che sono sola posso provare l’ultima canzone che ho in mente di suonare a fine serata. Questa è quella che ho scritto io. La canzone che è nata da una specie di sogno, da delle semplici parole che mi ronzano in testa da parecchi giorni ormai, quella che finalmente sono riuscita a finire in tempo per la partenza dei ragazzi, di Lexa. Lexa…

No. Non posso permettermi di pensarci adesso. Se mi lascio sopraffare dalla tristezza, sono rovinata. E rischio di rovinare la serata a tutti, per cui, stringi ancora un po’ i denti Clarke, questa serata deve essere magica.

You’re a miracle…”

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“Clarke, Bellamy mi ha detto di rivolgermi a te per delle panche in più”.

La voce di Murphy mi prende totalmente alla sprovvista appena esco dalla porta principale del noleggio, tanto da saltare in aria dallo spavento. Lui indietreggia istintivamente e per un attimo mi guarda spaesato.

“Scusami, non ti avevo visto” farfuglio, cercando di regolare il respiro. “Comunque sì, dentro ne trovi un paio” gli rispondo, indicando la porta alle mie spalle. Murphy abbozza un sorriso e annuisce, passandomi accanto. Io mi sistemo per bene la sciarpa attorno al collo e getto lo sguardo in lontananza davanti a me, dove il fuoco del falò è già abbastanza alto e le persone cominciano ad arrivare. Ammiro con soddisfazione il tutto, lasciandomi incantare per un momento da quest’immagine così familiare e calorosa. Ho sempre amato i falò, di tutti i tipi, sin da piccola. D’estate mamma e papà organizzavano sempre qualche serata sulla spiaggia con i loro amici più cari, e ricordo che quelle occasioni erano la scusa perfetta per passare del buon tempo insieme, mangiando, bevendo, e soprattutto cantando, dal tramonto fino a notte fonda. Adoravo quelle sere. E ho cominciato ad apprezzarle ancora di più dopo l’arrivo di Raven nella nostra famiglia. Insieme organizzavamo sempre degli spettacolini tutti nostri, credendoci giovani cantanti famose in uno dei loro concerti. Quando i miei hanno avviato l’attività qui a Mount Weather, le uniche serate libere erano concentrate allo Shrieking Shack o a casa di qualcuno. Solo dopo la morte di papà abbiamo deciso di dedicare tutte occasioni di svago alla tradizione del falò. È proprio in questo modo che abbiamo imparato a conoscerci tutti per bene, ed è sempre stato un ottimo modo per celebrare anche le più piccole occasioni. Un po’ come l’arrivo di nuovi amici… o la partenza di questi ultimi.

Il mio treno di pensieri viene fermato dalla vista inaspettata di qualcosa. Di qualcuno, per meglio dire. Sono appena arrivate delle persone, e riesco a capire chi sono grazie a Lincoln. La sua figura alta e slanciata spicca su tutti gli altri, e con un paio di passi si avvicina a una delle tre ragazze appena arrivate, cingendola in un abbraccio fin troppo fraterno. Lexa.

È arrivata. Ci siamo.

“Clarke!” mi sento chiamare da quella direzione. Octavia è salita su una delle panche accanto a Lincoln e con un sorriso a settantadue denti mi fa segno di raggiungerli.
Ovviamente si sono girati tutti nella mia direzione e, sebbene a questa distanza non riesca a vederli, sento addosso tutti i loro sguardi. Il cuore comincia a martellarmi nel petto e sento le guance riscaldarsi velocemente. Stringo la presa sul manico della chitarra e mi faccio strada verso la piccola folla di gente che si è formata in pochi minuti. Ci saranno al massimo una ventina di metri dal noleggio al punto preciso del falò, ma mi sembra di impiegarci delle ore ad arrivare lì. Mentre cammino, vedo scorrere tutto a rallentatore, il mio cuore non smette di galoppare, e la mia testa comincia a vagare tra mille pensieri. Ad ogni passo vedo accorciarsi la distanza, ma allo stesso tempo percepisco il tempo che rallenta. È una sensazione stranissima. Una sensazione che termina nell’esatto istante in cui arrivo davanti a Lexa e i suoi meravigliosi occhi verdi si fondono con i miei.

“Ei…” le dico senza distogliere un attimo lo sguardo da lei, non trattenendo l’enorme sorriso che mi è stampato in faccia.

“Ei…”

“Ooookay, che ne dite se ci sediamo? Prima che l’aria si riempia di cuoricini” interviene Anya, afferrando il braccio di Lexa e trascinandola verso la prima panchina disponibile. Octavia e Lincoln cercano vanamente di trattenere una risata, mentre Raven mi dà una leggera gomitata.

“Bell’entrata in scena, Romeo. La prossima volta se vuoi ti suggerisco il resto della battuta” mi dice divertita. Le rivolgo un’occhiataccia e le do uno spintone, prima di prendere posto nel mio solito angolo e preparare gli strumenti. I miei occhi cercano costantemente quelli di Lexa, e li incontrano brevemente un paio di volte. È bellissima. Non ha nulla di speciale addosso, ma è comunque sempre più bella. Ha gli occhiali stasera. Lei non esce mai con gli occhiali. L’unica volta che l’ha fatto era per questioni di fretta, e li ha tenuti su tutto il giorno solo perché le ho detto che a me piacevano molto. Non posso che pensare che l’abbia fatto proprio per questo. E non mi stupirebbe, non dopo quello che è successo a casa mia dopo lo spiacevole confronto con Finn. Per un attimo mi ritorna in mente la sensazione delle braccia di Lexa attorno a me, del suo calore, delle sue frasi dolci mentre il sonno mi trascinava nell’oblio. Mi sento il cuore in gola. Percepisco il mio viso andare a fuoco e mi sento un po’ in imbarazzo. Cosa significa tutto questo? Perché il mio cervello si azzera quando me la ritrovo davanti? Perché il mio corpo reagisce così al solo pensiero di noi due accanto? Sto davvero perdendo la testa.

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Lexa POV

“She broke down and let me in”                        “Si è lasciata andare e mi ha lasciato entrare”

Il modo in cui Clarke sta suonando stasera è diverso. Le ho visto interpretare diverse canzoni da quando la conosco, ma stasera c’è qualcosa di particolare, di straordinario.

“Made me see where I’ve been”                        “Mi ha fatto vedere dove sono stato finora”

Le sue dita sembrano sfiorare appena le corde, mentre esegue alla perfezione quella che è una canzone bellissima. La musica mi rapisce completamente, così come il suo modo di cantare, quasi tutto il tempo con gli occhi chiusi, con brevi occhiate ad Octavia per condividere quella che sembra un’esperienza al di fuori da tutto ciò che può definirsi normale.

“Been down one time                                          “Sono stato giù una volta
Been down two times…                                        Lo sono stato due volte…
Never going back again”                                      Non tornerò mai più indietro”

Sapevo che Clarke fosse brava, ma non avevo idea avesse tutto questo talento. Suona con una leggerezza tale da sembrare una professionista. Le si legge sul volto che questa è la sua passione più grande, nonostante il modo in cui impiega il suo tempo tra il lavoro all’Accademia e la stagione invernale qui a Mount Weather. Il momento in cui Octavia comincia a seguirla in questa melodia stupenda è quasi magico. Entrambe ora si scambiano sorrisi soddisfatti e ci regalano una delle performance più belle della serata. La mia testa vaga tra mille pensieri, il mio cuore assorbe ogni singola vibrazione e la trasforma in puro piacere. Sono stata a diversi concerti, ma mai nessuno è riuscito a trasmettermi tanta passione, tanta bellezza e tante emozioni così come questa serata. Mi guardo intorno e con mia sorpresa noto che quasi tutti hanno gli occhi chiusi e dei piccoli sorrisi stampati sui loro volti, mentre tengono il tempo con un piede o con la testa. Ognuno sta vivendo quest’esperienza con una genuinità che non avevo mai visto. Persino Murphy sorride mentre beve la sua birra e tiene il tempo sulla bottiglia con le dita. Vengo bruscamente distratta dall’applauso spontaneo che parte all’improvviso. La canzone è finita, Clarke e Octavia si danno il cinque e subito dopo vengo raggiunta dall’azzurro di quegli occhi che sembravano avere fretta di trovarmi. Sento le mie guance prendere fuoco e non riesco a trattenere un sorriso.

“Beh, non si può negare che con le mani ci sappia fare”.

Mi si gela il sangue.

“Anya!” sbotto in preda all’imbarazzo più totale.

“Che c’è? Non ho detto nulla di male” mi risponde lei tra le risate. “Era da un po’ che non ti vedevo così sconvolta, è esilarante” continua lei con aria saccente. Non le risparmio una gomitata tra le costole.

“Ti prego Raven, mettile una museruola” dico, ancora infastidita.

“Mmh potrebbe essere un oggetto interessante da indossare…” risponde Anya, con molta non-chalance.

“Oh mio… sei incredibile!” quasi urlo. Da quando Anya ha ripreso con questo genere di battute? Le cose tra lei e Raven devono andare davvero bene, non ci sono altre spiegazioni. Entrambe se la ridono di gusto, lasciandomi nel più totale e scomodo imbarazzo. Quando mi volto trovo Clarke che mi osserva curiosa e divertita. Quel suo sorriso è qualcosa di semplicemente stupendo e per l’ennesima volta mi ci perdo.

“Ok ragazzi, questa era l’ultima canzone, adesso…”

“In realtà…ci sarebbe ancora un ultimo pezzo che vorrei fare stasera” interviene Clarke, interrompendo Octavia. Per un attimo cala il silenzio. Sul volto di Octavia si legge chiaramente confusione, ma questo non la ferma dal fare un passo indietro e dare a Clarke il suo spazio per quest’ultima inaspettata esibizione. Il mio corpo si rilassa nuovamente, conscio di ciò che sta per avvenire: Clarke suonerà ancora. Mi raddrizzo per bene sulla panca dove sono seduta, pronta ad ascoltare e ad assorbire ogni suono, ogni singola nota. Clarke si sistema sul suo tronco e tentenna. Ha il capo abbassato e non riesco a vedere il suo volto, ma riesco a percepire l’agitazione. La vedo prendere grossi respiri e scuotere la testa. È un po’ strano. Clarke è sempre stata a suo agio con queste cose, che si tratti di cantare, di suonare, di raccontare storie o improvvisare siparietti esilaranti con chiunque le capiti attorno (di solito Raven). La sua ansia nasconde qualcosa. Non posso fare a meno di preoccuparmi. Ancora qualche secondo e comincia a pizzicare le prime corde. Non conosco questa canzone, non credo di averla mai sentita. Attorno a me c’è il silenzio più totale, sono tutti completamenti assorti. Un suono quasi impercettibile alle mie spalle cattura la mia attenzione per un attimo. Raven si è portata la mano alla bocca e i suoi occhi sono spalancati. Che succede?

“You give me something to talk about                    “Mi dai qualcosa di cui parlare
Something to talk about…”                                    Qualcosa di cui parlare…”

Anya si è voltata verso Raven ed entrambe si scambiano uno sguardo d’intesa. Ma che diamine…

“I know it’s chemical that make me cling to you             “So che è qualcosa di chimico ad aggrapparmi a te
Ooh I need a miracle to get away from you”                   Oh, ci vorrebbe un miracolo per allontanarmi da te”

Le ragazze hanno notato la mia curiosità, ma nessuna delle due parla. Intanto Clarke continua a cantare ed è la cosa più bella che io abbia ma sentito. La musica, la melodia, le parole, tutto. Ma so che c’è qualcosa, e voglio capire cosa sta succedendo.

“Cosa mi nascondete? Raven?” chiedo bisbigliando. Entrambe si scambiano un ultimo sguardo, dopodiché Raven sospira e parla. Non appena le parole escono dalla sua bocca, un’ondata di emozioni mi travolge. Il mio cervello va in tilt per un attimo, e l’unica cosa che sento a ripetizione è quella frase: l’ha scritta lei.

“Ooh, ooh, you give me something to talk about            “Ooh, ooh, tu mi dai qualcosa di cui parlare
Something to talk about                                               Qualcosa di cui parlare
Ooh, u-uh, you give me something to think about           Ooh, u-uh, mi dai qualcosa a cui pensare
That’s not the shit in my head                                       Che non sia il casino che ho in testa
You’re a miracle”                                                          Sei un miracolo”

Ora ha tutto senso. Perfettamente. Ogni singola frase ha appena acquistato un significato talmente profondo da lasciarmi senza parole. Questa canzone l’ha scritta Clarke. Non so quando, non so perché, ma l’ha fatto, e questo ne è il risultato. Quando mi aveva detto di aver smesso di comporre da un po’ di tempo, pensavo che fosse una cosa troppo dolorosa per lei. Eppure eccola qui stasera, con una canzone bellissima, piena di significato e passione, cantata con forza e delicatezza allo stesso tempo. Quelle parole… per un attimo mi perdo nei miei pensieri, in cerca di un ricordo, di qualcosa che mi aiuti a capire perché mi suonano così familiari. Poi la memoria mi colpisce con violenza tutto d’un tratto e mi torna in mente ogni cosa. Ho detto io quelle parole. Clarke ha ricordato una mia frase detta in un momento super imbarazzante e l’ha trasformata in una canzone. Questo vuol dire solo una cosa.

“Transparent hands were at my neck                                  “Mani invisibili erano attorno al mio collo
Oh but I love the way you make me breathe instead            Oh, ma amo il modo in cui invece tu mi fai respirare
Take in your chemicals                                                      Capisco ciò che hai di speciale
You are a miracle                                                              Sei un miracolo
And I’m not spiritual, but please stay                                   E non sono un tipo spirituale, ma ti prego resta
‘Cause you’re a glimpse of bliss                                          Perché sei un assaggio di felicità
A little taste of heaven”                                                      Un piccolo assaggio di paradiso”

Questa canzone è per me. Senza nemmeno accorgermene ho cominciato a piangere. Non capisco come possa essere successo, non è da me. Sento solo scorrere una singola lacrima giù per le guance che ormai vanno a fuoco da diversi minuti. In quelle parole sento tutto il dolore di Clarke, la sua voglia di combattere, di non voler soltanto sopravvivere, ma vivere.

“I know you’re gone now, but I still wait for you”     “So che non ci sei più, ma io continuo ad aspettarti”

Questa canzone è per me. Ed è insieme un grido di speranza e una canzone di commiato. Dobbiamo tornare alle nostre vite, ma niente ci impedisce di viverle insieme.

Note:
Eccoci di nuovo qui, con i buoni propositi che sono andati a farsi benedire lol Mi scuso infinitamente con tutti quelli che si aspettavano un aggiornamento molto più celere, ma con l'università non puoi mai sapere quanto tempo puoi permetterti, e a forza di rimandare si arriva a dover aspettare mesi. Non posso promettervi nulla riguardo al prossimo aggiornamento, dato che tra qualche mese dovrei laurearmi e sono piena di impegni praticamente ogni giorno, so please have mercy.
Questo capitolo, come si può notare, è più lungo del solito, e spero non risulti un peso. Questa scelta è dovuta al fatto che siamo ormai alla fine di questa storia e mi sembrava giusto chiudere con qualcosa di più sostanzioso. Ebbene sì, questo è ufficialmente l'ultimo capitolo, ma tranquilli, come avrete potuto già capire, non è ancora la fine definitiva: ho intenzione di concludere il tutto con un epilogo. Quindi non disperate, non ancora ;)
Ma veniamo alla parte musicale: il primo brano che Clarke esegue è "Never Going Back Again" dei Fleetwood Mac (https://www.youtube.com/watch?v=sKj1EFeU-cM), che è stata anche riproposta nella seconda stagione di Glee, canatata da Artie (https://www.youtube.com/watch?v=uTcyg5Dz06c), scegliete la versione che preferite, io personalmente sono più affezionata alla cover, ma è sempre bene sapere le origini di certe canzoni :) per quanto riguarda il pezzo "originale" che Clarke canta per Lexa mi sono ispirata ad una canzone che trovo stupenda, che come avete potuto constatare ha un testo molto significativo e pieno di sentimento, e si intitola "St. Partick", dei PVRIS (https://www.youtube.com/watch?v=MeVhQ69qyhY), band di cui ho già proposto altri brani all'interno dei capitoli precedenti e che ha anche ispirato il titolo. La versione che vi propongo è quella acustica, perché la trovo molto più adatta a come immagino Clarke esprimere i suoi sentimenti, ma potete anche ascoltare quella originale, se vi piace la potenza del rock (https://www.youtube.com/watch?v=j2SWk859CEU).
Piccolo accorgimento, da grande Sanvers shipper non potevo fare a meno di citare qualcosa che ne avesse a che fare, infatti il nome del cane di Nyko è Danvers (ovviamente riferito ad Alex Danvers in Supergirl). Come è già successo in precedenza per la citazione sulle WayHaught, mi faceva piacere inserire qualcos'altro che mi appassiona, in questa specie di breve crossover lol
Detto ciò, ringrazio tutti per la pazienza e per la fedeltà a questa storia, spero non vi deluda fino all'ultimo.
Alla prossima, Love you all <3

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