L'ultimo inverno e altre storie

di _Sherazade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultimo inverno ***
Capitolo 2: *** Il Tulipano Rosso di Natale ***
Capitolo 3: *** Una domenica diversa dal solito ***
Capitolo 4: *** Il mostro della foresta ***
Capitolo 5: *** La prima gita di Lilian ***



Capitolo 1
*** L'ultimo inverno ***


Genere: Introspettivo, Slice of life
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Nessuna
Categoria: Storie originali - Generale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt: Neve

 

L'ultimo inverno




Avevo il viso rigato dalle lacrime.
Quel nuovo anno era partito davvero male, e la cosa che mi spaventava di più era che eravamo solo all'inizio.


Il lavoro non andava bene, anzi, andava malissimo.
Ci avevo creduto, mi ero rimboccata le maniche accettando anche orari e turni assolutamente ridicoli, e, alla fine del contratto, non mi avevano concesso il rinnovo.
Come avrei fatto a costruirmi un futuro, se ad ogni lavoro, per quanto mi impegnassi, si ripeteva sempre la solita storia?
Come potevo avere fiducia in me stessa se non riuscivo nemmeno a tenermi il più pidocchioso degli impieghi?


Come se non fosse bastato, la persona in cui avevo creduto, che mi aveva fatta innamorare e cadere ai suoi piedi, si era rivelata essere la peggiore delle bestie.
Odiavo Ottavio per ciò che mi aveva fatto, e odiavo ancora di più me stessa per esserci cascata come una pera cotta.
Io non ero che una delle tante, e mentre io fantasticavo su una vita insieme, lui passava di letto in letto senza porsi alcun problema.
Ero contenta di aver posto la parola “Fine” a quel rapporto, ma non potevo proprio dire di esserne uscita bene.


Ero triste, disillusa e pronta a gettarmi nel baratro della disperazione.
Guardai nell'armadietto degli alcolici e afferrai la bottiglia di Whisky per prenderne un piccolo sorso. Avevo bisogno di qualcosa che mi scaldasse e che mi facesse scordare, anche solo per poco, delle mie disgrazie.
Buttai lo sguardo verso la porta finestra e notai qualcosa di strano. La tenda leggermente scostata mostrava quella che sembrava essere una pioggia di piumini.
Posai la bottiglia sul tavolo e mi avvicinai alla porta finestra: stava nevicando.
Adoravo l'inverno, specie per la neve. Quell'inverno non aveva piovuto molto, e di neve non v'era stata alcuna traccia. Vedere quei candidi fiocchi posarsi a terra e ricoprire tutto con quel manto immacolato, mi fece sorridere.
La neve ricopriva tutto.
Cancellava le orme, cancellava le impronte.
Quando nevicava, uno strano silenzio si impossessava della città.
Non uno di quei silenzi inquietanti, ma uno di quelli che non ti fa salire l'angoscia da film horror.
Mi accovacciai sul freddo pavimento, e rimasi a guardarla per un tempo indefinito, incurante di quello che accadeva intorno a me.
“La neve cancella tutto,” dissi a bassa voce mentre la nevicata si faceva sempre più fitta, “ma presto o tardi, tutto tornerà di nuovo in superficie,” realizzai amaramente, pensando di nuovo ai miei problemi.
“Ma quando la neve si scioglie,” disse mia sorella, sedendosi accanto a me e porgendomi una tazza fumante di tè, “è segno che la primavera è alle porte, preannunciando così un nuovo inizio”.
Lei mi sorrise.
Non disse nient'altro. Non mi compatì come avevano fatto altri dicendomi le solite frasi fatte, provando a consolarmi, facendomi però deprimere ancora di più.
Erano bastate quelle semplice, seppur sciocche, parole, e io mi sentivo un po' meno peggio.


Melissa si sedette semplicemente al mio fianco, e insieme, guardammo la neve che cadeva fino a che non si accesero i lampioni.



 
L'angolo di Shera ♥


Eccomi con questa breve apparizione (anche se spero di non lasciar passare eoni prima di scrivere ancora). Ho ripreso con la challenge di Jadis, e ho deciso di riprendere con la stagione in corso: l'inverno... o quello che rimane. La primavera è alle porte ;).
Riprenderò presto anche con "Pas si Loin". Ho pronta una storia, devo revisionarla, e devo anche finire di revisionare la seconda di questa raccolta. 
"L'ultimo inverno" era pronto già da qualche giorno ^^

A presto

Shera♥

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Capitolo 2
*** Il Tulipano Rosso di Natale ***


Genere: Introspettivo, Slice of life, Sentimentale
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Het
Categoria: Storie originali - Generale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt: Natale


 




Il Tulipano Rosso di Natale





Era la vigilia di Natale.
Volevo solo starmene per conto mio, e presi la scusa di portare fuori il nostro Wolf per potermi schiarire le idee con l'aria frizzantina della sera.
Ultimamente le cose non mi stavano andavano poi così bene: Raphael, il ragazzo di cui ero innamorata e mio vecchio amico, mi aveva confidato di essersi innamorato di una ragazza.
Mi aveva chiesto un consiglio su cosa fare e su come comportarsi con lei, dato che la ragazza sembrava non essere particolarmente interessata a lui. Seppur a malincuore, cercai di essergli d'aiuto, ma mi sentivo a pezzi.
Avevo sprecato troppe occasioni, e ora lo stavo per perdere.
Ero innamorata di lui da tanto tempo, ma la paura di essere rifiutata e di perderlo anche come amico, mi avevano convinta a reprimere quel sentimento così... “sbagliato”.

Arrivai al parco vicino casa, e lasciai libero Wolf di correre tra la neve. Almeno lui si sarebbe divertito.
Amavo il Natale, e detestavo sentirmi così male in un periodo che avevo sempre amato alla follia.
Persa in quei pensieri tutt'altro che lieti, non mi accorsi che qualcuno si era avvicinato a me.
- Hey, che cosa ci fai qui? – Era proprio lui: la fonte di tutti i miei sospiri e dolorosi patimenti.
- Ho portato fuori Wolf, direi che ho fatto bene: guardalo come si sta divertendo! - dissi indicando il grosso pastore tedesco che correva libero per il parco deserto. - E tu? Non avevi il cenone con l'intera famiglia riunita per l'occasione? - Il padre di Raphael era inglese, mentre la madre era originaria della Russia; per un periodo avevano vissuto in Francia, ma per lavoro si erano spesso spostati, finendo poi con lo stabilirsi in Italia. Anche i fratelli maggiori di Raphael avevano seguito le orme dei genitori e si erano stabiliti all'estero, ma per le feste facevano ritorno a casa.
- Potrei farti la stessa domanda! Siamo passati tutti dai tuoi per farvi gli auguri e non vedendoti ho chiesto di te. – disse con quel suo solito sorriso che riusciva a scaldarmi il cuore. Il ciuffo lungo e biondo della frangia gli aveva coperto l’occhio destro, e con uno sbuffo lo sistemò. Erano anni che gli dicevo di eliminare il ciuffo, ma lui non voleva sentire ragioni. Forse anche per quello lo trovavo così adorabile, e mi maledii per l'ennesima volta per questo.
Guardammo Wolf correre e rotolarsi nella soffice neve che aveva ricoperto il piccolo parco. Per la prima volta nella storia, nessuno dei due aveva nulla da dire: era una cosa più unica che rara dato che entrambi avevamo sempre qualcosa su cui discutere.
Morivo dalla voglia di chiedergli della ragazza misteriosa, ma avevo anche paura che lui potesse dirmi qualcosa che mi avrebbe sconvolta.
Per qualche strana coincidenza, il regalo che gli avevo comprato era ancora nella mia borsa: avevo acquistato un libro di Anne Rice. Cercava quel titolo da parecchio tempo e non appena lo vidi in libreria, lo comprai senza pensarci due volte.
- Ah! - esclamai. - Ho qui il tuo regalo di Natale. Non è molto, ma sono convinta che ti piacerà. – dissi porgendoglielo ed evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Fu molto stupito, e lo scartò in fretta, mi ricordò quasi un bambino per come aveva reagito. Quando scoprì il contenuto del pacchetto lanciò un “wow” che probabilmente avevano sentito fino all'altro capo del quartiere. Mi gettò le braccia al collo e continuò a ringraziarmi eccitato come non mai.
- Sei fantastica, Astrid! Lo sai per quanto tempo l’ho cercato?
- Certo che lo so, per questo l’ho preso. – Sorrisi felice. Almeno qualcosa di buono ero riuscita a farlo.
- Ora tocca a me, però. Non vorrai certo essere la sola a fare bella figura? Questo è tuo. – Mi porse il pacchetto sul quale, al posto del classico fiocco, c’era un fiore rosso. Non ero una grande esperta, ma doveva essere un tulipano. All’interno del pacchetto c’era un libro sul linguaggio dei fiori.
Qualche anno prima, Raphael mi aveva regalato un libro simile sul significato delle pietre e delle gemme. Mi conosceva molto bene, sapeva infatti che queste cose mi piacevano da morire.
- Grazie Raph! - lo guardai sorridendo, - Non credo di avere molti segreti per te; sai sempre come accontentarmi.
- Già. Che ne dici di fare una passeggiata per scaldarci un pochino? Stare qui fermi ci farà congelare presto o tardi.
Camminammo fino alla grande e maestosa quercia del parco, e lì, Raphael si fermò, facendomi cenno di guardare verso l'alto. Notai subito che c’era qualcosa appeso a uno dei grandi rami e osservando con maggiore attenzione notai che era appeso un rametto di… vischio.
“Ah, ho capito ” pensai, “ è per “lei”! Vuole chiedermi se questa potrebbe essere una buona idea per farla capitolare ”.
- Senti, se la vuoi portare qua non è una cattiva idea, ma non potevi chiedermelo senza fare troppe cerimonie?
Raphael non mi rispose, mi guardò con un misto di stupore e indecisione. Poi mi afferrò e mi baciò, lasciandomi esterrefatta. Che diavolo gli era preso?
- Ma che ti dice la testa? Io sono Astrid!
- Lo so chi sei. – disse lui mettendomi il broncio. – Chi altro dovresti essere?
- Ma allora perché hai baciato me? Io non sono “lei”.
Mi fissò come faceva di solito quando io dicevo una stupidaggine.
- Non mi pare di averti detto che non eri tu la ragazza che mi piaceva. – disse arrossendo fino alla punta delle orecchie.
- Ah. - lo guardai con tanto di occhi, stupita e felice.
- Tutto qua? Mi dici solo “ah”?
- Io... Non me lo aspettavo. - dissi a bassa voce. Lo guardai, e mi venne naturale gridargli poi contro. - Non è che tu mi abbia reso le cose facili! Invece che fare tanto il misterioso avresti anche potuto dirmelo!
- Il fiore, Astrid…
Il fiore? Presi il libro e sfogliai fino a che non lo trovai: il tulipano rosso veniva associato alle dichiarazioni d’amore.
- Beh… ma… io… - “Diglielo” mi dicevo dentro, ma le parole non uscivano dalla mia bocca.
- Tu non hai niente da dirmi? – mi chiese con quella vocina timida e speranzosa che usava quando doveva chiedermi un favore. Aprii la bocca ma ancora non riuscivo ad esprimere l'immensa gioia che stavo provando. Alzai lo sguardo e, incontrando i suoi occhi, qualcosa in me si sbloccò. Quelle parole che avrei sempre voluto dirgli e che per lungo tempo avevo creduto che non sarei mai stata in grado di pronunciare, finalmente scivolarono fuori dalle mie labbra.
- Ti amo anche io. - Lui sorrise, e ci baciammo ancora sotto al vischio, mentre Wolf continuava a correre e a giocare nella neve.



 

 

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Capitolo 3
*** Una domenica diversa dal solito ***


Genere: Introspettivo, Slice of life, Sentimentale
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Het
Categoria: Storie originali - Generale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt: Influenza

 
 
Una domenica diversa dal solito



Mi svegliai con quel fastidioso cerchio alla testa che non sembrava intenzionato a svanire nelle ore a venire.
Avevo gli occhi cerchiati ed arrossati: avevo dormito davvero male la notte appena passata, e mi sentivo febbricitante.
Mi chiesi come fosse possibile sentirsi così male dopo aver passato una giornata così magnifica. Il giorno precedente era stato davvero splendido, perfetto, e io mi sentivo bene... Mi guardai allo specchio e notai una ragazza in uno stato che dire pietoso era un complimento.
I capelli sparati, gonfi e arruffati, facevano di me la classica strega delle fiabe, di quelle molto cattive che avrebbero gettato volentieri i bambini nel forno, o nel calderone, a seconda della dieta.
Gli occhi erano gonfissimi, e cominciai pure a lacrimare: sia perché stavo male, sia per il nervoso.
Presi il cellulare e, anche se un po' riluttante, scrissi un SMS da inviare al mio fidanzato:

 
“Ciao amore, perdonami ma mi sa che oggi dovremo saltare. Mi sono svegliata con l'influenza, e non vorrei contagiarti. Sto davvero malissimo e non sarei di grande compagnia. Mi dispiace, ti prometto che ci rifaremo.
Ti amo, Melly”


Avrei tanto voluto passare quella domenica pomeriggio in sua compagnia, ma non ero proprio nelle condizioni ideali.
Da quando ci eravamo messi insieme, ci eravamo visti tutte le domeniche, ma non potevo proprio fare altrimenti.
Il mio corpo era percorso dai brividi, la testa mi scoppiava e mi sentivo addosso la febbre.
Non mangiai nulla, avevo pure lo stomaco chiuso. Mi buttai a letto nella speranza di potermi riprendere al più presto.


Erano le tre, o forse le tre e mezza, quando suonò il cellulare. Era un SMS del mio amore, lo sapevo perché avevo personalizzato anche la suoneria dei suoi messaggi.

 
“Sorpresa!”


Mi ci volle qualche secondo per capire. Mi alzai, cercando di reggermi in piedi come meglio potevo, infilai le babbucce e percorsi il corridoio fino ad arrivare al citofono.
Contro ogni previsione, lui era accorso a visitarmi. Era preoccupato e non voleva lasciarmi sola.
Nonostante fossi ridotta davvero male, con un aspetto terrificante, il moccio al naso e la voce nasale, lui continuò a chiamarmi “Principessa”, dicendomi che non ero poi così terribile, e che si sarebbe preso cura di me.
Io sapevo di non essere poi così “bella” in quel momento, ma lui non me lo fece pesare.
Passammo il pomeriggio a vedere film, mentre lui mi coccolava, carezzandomi con dolcezza la testa, chiedendomi di continuo come stessi, se volessi qualcosa da bere o da mangiare, controllandomi la febbre e obbligandomi a mandare giù le medicine per guarire al più presto.
Non era stata una domenica come le altre: di solito uscivamo per ammirare il paesaggio, o per andare in qualche bar a prenderci una bella cioccolata calda.
Non era stata una domenica come le altre, ma, anche se ero preda dei mali di stagione, mi sentii un po' meglio.
Sapevo a chi dovevo quella piccola spinta verso la guarigione, del resto, si dice che l'amore possa curare ogni male.
Prima di andarsene, il mio amore mi abbracciò e mi baciò la fronte.
“Guarisci presto, mia Principessa”.
“Con le tue premure, guarirò senz'altro”.

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Capitolo 4
*** Il mostro della foresta ***


Genere: Soprannaturale,
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Het
Categoria: Storie originali - Soprannaturale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt:
Montagna
 

Il mostro della Foresta


 
"Quel che temiamo più di ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente."
-Theodor W. Adorno -


Approfittando della settimana di ferie, Alicia e Frank avevano pensato che sarebbe stato bello fare una bella gita in montagna tutti insieme.
“Prendiamo una villetta in affitto: in questo paese, anche se ci sono degli ottimi impianti sciistici, i prezzi sono davvero abbordabili”, aveva detto lei. “È da tanto che non andiamo in vacanza tutti insieme, ed è un miracolo che finalmente, abbiamo tutti delle ferie nella stessa settimana”. Alicia sapeva essere molto convincente. Io e Rigel ci scambiammo un'occhiata dubbiosi se cedere o meno, ma non appena ci mostrarono la foto di quello chalet, me ne innamorai e, presa dall'entusiasmo, accettai.
Prenotammo subito, e la sera prima della partenza non riuscii a dormire per la felicità.


Quando arrivammo nel piccolo paese di montagna, rimanemmo tutti a bocca aperta: c'era neve ovunque, nell'aria si sentiva un buon profumo di fresco, le cime delle montagne che ci circondavano splendevano sotto al sole, e il piccolo chalet sembrava essere uscito da una di quelle riviste di vacanze molto costose.
Era una favola, e io non vedevo l'ora di lasciare giù le nostre cose e di andare subito in pista per sciare.
Avremmo dovuto anche fare la spesa, ma decidemmo di spostare quell'incombenza al giorno successivo: la sera saremmo andati a festeggiare fuori in una pizzeria locale che godeva di ottima fama. Da casa ci eravamo portati da bere e qualcosa da sgranocchiare, per questo potevamo andare subito a divertirci.
Passammo delle ore davvero piacevoli, e anche la cena fu assolutamente deliziosa. Quando toccai il letto, quella sera, crollai quasi immediatamente.
Feci però dei sogni strani che mi inquietarono: vidi una strana creatura che mi seguiva per il bosco, grugnendo e lanciando grida che parevano quasi umane. Mi svegliai di soprassalto e con la tachicardia. Per un momento, mi parve quasi di veder riflesso nello specchio davanti al nostro letto, la stessa bestia dei miei incubi. Lo spavento fu tale che lanciai un grido disperato svegliando sia il mio fidanzato, che Alicia e Frank, che dormivano nella stanza accanto.
“Non ti sarai lasciata condizionare dalla storia di quel vecchio?” mi chiese Frank sghignazzando.


Eravamo proprio appena usciti dalla pizzeria quando incontrammo nella piazza il vecchio Hans. Era un pittoresco signore che viveva ai confini del bosco, e si dicevano strane cose sul suo conto.
Alcuni sostenevano addirittura che Hans fosse il fantasma del padre di una ragazza di nome Regina, sparita tragicamente molti secoli prima.
“Lasciate quella casa finché siete in tempo!” gridò lui indicandoci e sbraitando con tutta la forza di cui era capace.
Rimanemmo un po' sconcertati, ma cercammo di ignorarlo.
“La bestia non è ancora sazia!” continuò il vecchio. “Scappate lontani, o non tornerete mai più a casa!”. Io e Alicia ci guardammo negli occhi, un po' spaventate da quelle parole e dall'enfasi mostrata dall'anziano signore.
“Non lasciatevi intimorire”, ci disse uno dei camerieri della pizzeria che, sentendo il vocione di Hans, era uscito per controllare la situazione. Il ragazzo si avvicinò al vecchio, parlottarono un po' e Hans se ne andò. Io e Alici tirammo un sospiro di sollievo nel vedere il vecchio che si allontanava senza fare storie. “Lo so che è un po' strano, ma non è un cattivo soggetto. Non avete nulla da temere”.
Mossi dalla curiosità, Frank e Rigel, gli chiesero i spiegarci il perché del comportamento dell'anziano signore, e così scoprimmo la leggenda locale della bella Regina e del mostro della foresta.


Regina era la bella figlia del capo villaggio. Era una ragazza dolce e gentile con tutti. Generosa e volenterosa: era sempre disposta a dare una mano a chiunque si fosse trovato in difficoltà.
La sua era una vita felice, fino a che non venne scelta come nuova sposa della bestia.
Da anni, nel folto della foresta, viveva una creatura vorace e maligna che da tempo attaccava il bestiame dei poveri contadini.
Un giorno, però, mentre la belva si stava godendo la sua ultima preda, vide Regina passeggiare nel bosco con un'amica in cerca di funghi.
Non aggredì le due ragazze, ma si recò al villaggio proponendo una tregua: la ragazza in cambio della pace. La bestia promise di non attaccare più nessuna mucca, capra o gallina.
Il padre di Regina si rifiutò di cedergli la ragazza, ma i suoi concittadini erano stanchi dei continui furti ad opera della bestia.
“E se un giorno dovesse pretendere altre ragazze?” chiese allora uno dei contadini.
“Se avrò lei, nessuna delle vostre figlie dovrà temermi”. Ci volle una lunga riunione, ma alla fine, con il cuore spezzato, il vecchio padre di Regina, acconsentì per il bene comune di concedere la mano della sua amatissima figlia.
Regina, seppur spaventata, andò incontro al suo sposo, salutò il suo amato babbo in lacrime e si lasciò per sempre il suo amato villaggio alle spalle, ignara di cosa le sarebbe capitato.


Ma il padre di Regina non poteva sopportare il grave torto subito, e riuscì a convincere i suoi compaesani e ribellarsi e a salvare la ragazza che, di certo, stava soffrendo per il loro egoismo.
Armati di quel poco che potevano usare contro l'orribile bestia, gli abitanti del villaggio di montagna si recarono verso la dimora della bestia. Erano pronti ad abbattere la porta, ma questa era già aperta al loro arrivo.
“Regina!” chiamò allora il padre di lei, ma non udirono risposta o lamenti provenire né dal piano inferiore della grande dimora, né dal piano superiore.
Gli uomini, cominciarono a preoccuparsi quando ad un tratto sentirono un lamento, e le pareti cominciarono a grondare di sangue.
Spaventati, gli abitanti lasciarono la villa, sentendo però l'eco delle grida disperate di Regina.
“Perché mi avete fatto questo?” la voce spezzata dalle lacrime.
Il padre, sentendo la voce della figlia, si voltò, ma non vide la sua adorata bambina, ma solo il suo spirito evanescente sulla soglia della casa.
“Cosa abbiamo fatto?” si chiese lui accasciandosi a terra.


La leggenda diceva che dopo quell'episodio, nessuno ebbe più il coraggio di avvicinarsi alla casa infestata per molto tempo, e che il padre di Regina, sparì dal villaggio, tormentato dal rimorso per ciò che aveva permesso agli altri di fare. Della bestia nessuno ne seppe più nulla, ma qualcuno diceva che quell'essere aveva placato la sua fame e che non si sarebbe più fatto vedere per molto, molto tempo.
La villa rimase disabitata fino a che, una cinquantina d'anni prima, una ditta non buttò giù l'antica dimora per erigere lo splendido chalet, quello in cui noi alloggiavamo.




Lì per lì, rimanemmo un po' sconcertati, ma poi, sia Frank che Rigel, ci rassicurarono, e tornammo a casa. Prima di addormentarmi, non ci stavo neanche pensando, ma qualcosa era scattato nella mia testa.
“Coraggio. Ricordati ciò che ci ha detto il ragazzo della pizzeria: sono solo leggende. A volte sei troppo credulona e impressionabile”.
“Forse hai ragione, Rigel. Non devo più pensarci”. Cercai di sorridere, ma già sapevo che non avrei più chiuso occhio.
“Prova a dormire”, mi disse Alicia alzandosi dal nostro letto e avanzando verso la porta, “Domani ci aspettano altri divertimenti” mi fece l'occhiolino e richiuse la porta. Non vedevo l'ora di gustare quella buona cioccolata che preparavano al rifugio, ma mi sentivo ancora frastornata.
Rigel fu molto carino con me, e rimanemmo a parlare per un po', lui mi abbracciò e si addormentò attaccato a me, promettendomi che mi avrebbe protetta da qualunque mostro.
Sorrisi per la sua meravigliosa dolcezza, ma non riuscii comunque a riaddormentarmi.
Solo quando si levò il sole, potei finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma ero così stanca che, anche se mi ero alzata, lavata e vestita, non appena toccai il divano in salotto, mi addormentai di botto.


Quando mi risvegliai, scoprii con orrore di essere rimasta sola nello chalet. Trovai però un biglietto che mi avevano lasciato Rigel e Alicia: “Dormivi così bene che non abbiamo avuto il cuore di svegliarti. Non dopo questa terribile nottata. Siamo scesi al paese per fare scorte, non preoccuparti che torniamo presto.
Baci”.


Avrei voluto non preoccuparmi, ma non appena mi stiracchiai, notai subito che avevo qualcosa di strano addosso: qualcuno mi aveva fatto indossare un antico abito da sposa.
“Questa non è certo opera di Rigel o di Alicia. Nemmeno Frank lo farebbe...”, pensai fra me e me.
“Sei tornata, finalmente!” una voce profonda e terrificante da dietro le mie spalle mi riportò a quella realtà.
Mi voltai di scatto, nonostante la paura, ma dietro di me non c’era niente, non c'era nessuno.
“Brutta cosa la suggestione!” dissi a voce alta, sospirando per il sollievo.
“Ti ho dovuta aspettare a lungo, e ora non scapperai più!” disse ancora quella voce, era ancora più potente e riecheggiava per tutta la stanza. Mi alzai di scatto, portandomi la mano sul cuore, come se potessi difendermi da quel qualcosa che mi stava facendo davvero provare una paura che mai, prima di allora, avevo provato.
“Chi è là? Frank, se sei tu non è divertente! Ragazzi, lo scherzo è bello quando dura poco!”
Nessuno rispose.
Avevo paura che il cuore potesse uscire fuori dal mio petto, per quando erano forti i suoi battiti.
Mi guardai attorno e notai il coltello che Alicia doveva aver usato per spalmare burro e marmellata sul pane. Non era affilato, ma avrei comunque potuto difendermi da chiunque avesse deciso di farmi del male. Lo afferrai e lo tenni dritto di fronte a me, guardandomi nervosamente intorno cercando di capire da dove provenisse la voce che mi aveva terrorizzata.


Indietreggiai guardandomi continuamente intorno, cercando di raggiungere al più presto la porta di ingresso ma una mano mi si posò sulla spalla, ed io sussultai. Tremante, vi buttai lo sguardo: un ammasso di peli e delle unghie lunghe, anzi no, degli artigli affilati che mi avevano bloccato ogni possibile movimento. Per un istante sperai che fosse finta quella orrenda mano, ma capii che era dannatamente reale.
“Non scapperai stavolta.”
Sentii un fiotto di aria calda corrermi giù per il collo: era il suo respiro.
Avrei anche potuto farmela addosso, non m'importava. Mi sentivo mancare: ero spacciata.
Non mi voltai, non volevo vederlo, perché probabilmente, dalla paura non sarei più riuscita a scappare.
Corsi verso la porta d’ingresso e cercai , inutilmente, di aprirla. Per quanta forza ci mettessi, non si muoveva di un solo millimetro.
“Dannazione, stupida porta. Non voglio restare qui!”cercai di buttarla giù, ma era del tutto inutile. Sentii il suo passo pesante che mi stava per raggiungere, così tentai la fuga attraverso le finestre.
“E che cazzo! Apriti, dannatissima finestra!” ma sembravo destinata a non lasciare quel maledetto chalet.
Mi guardai attorno: sentivo il respiro della creatura, ma non la vedevo, così, decisi di correre al piano superiore, e di buttarmi poi dalla finestra: la neve avrebbe attutito la caduta.
Preferivo una frattura a quella belva. Corsi decisa verso la rampa, ma dopo pochi passi fatti su per le scale, sentii le sue mani irsute afferrarmi le caviglie e trascinarmi verso il basso.
Lanciai un grido disperato, ma la cosa non turbò l'essere che infestava la casa. Mi voltai e lo vidi: rimasi così traumatizzata che non riuscii ad emettere più alcun suono.
Una bestia alta più di due metri, ricoperta di un folto pelo scuro, e il volto di un lupo famelico. Dalla bocca piena di denti aguzzi, pendeva un rivolo di calda bava che mi cadde sulla gamba.


Non appena i nostri occhi si incontrarono, lui lanciò un potente ululato, così forte e assordante che le finestre si ruppero, e i vetri si sparpagliarono un po’ ovunque; alcuni di questi piccoli frammenti arrivarono fino a noi e mi ferirono.
Sentimmo un rumore provenire da fuori, e questo giocò a mio favore. La belva sparì, probabilmente voleva controllare chi fosse arrivato, o non poteva farsi vedere da altri. A me non importava perché fosse sparita, mi importava solo del fatto che quella era la mia occasione per fuggire.
Presi quel poco coraggio che avevo, e cercai di fuggire verso una delle stanze, sperando di poter lasciare finalmente lo chalet.
“Non puoi scappare” Sghignazzò lui con quella voce che mi faceva accapponare la pelle.
Raggiunsi la camera da letto, e mi chiusi la porta alle spalle. La chiave era inserita nella toppa, ma sapevo che non sarebbe bastato a fermarlo, così spostai più mobili possibili per sbarrare l’ingresso e guadagnare così del tempo.
Ho paura” pensai terrorizzata mentre sentivo i suoi passi pesanti sempre più vicini. “Cosa posso fare?”
Mi guardai attorno, e mi vidi riflessa nello specchio. Ma non ero io, era Regina.
Vidi la giovane ragazza in lacrime di fronte a me, e capii che mi trovavo nella sua stanza. Tutto attorno a me era diverso, e venni come trascinata nella villa che si ergeva in quel luogo fino a cinquant'anni prima. Mi trovavo nella vecchia villa della belva, e quello, pensai voltandomi verso il letto matrimoniale, era il loro talamo nuziale.
“Povera Regina, che destino orribile…” dissi ad alta voce, tremante al pensiero di ciò che la povera fanciulla aveva dovuto subire.
“Lo stesso destino che capiterà a te!” mi rispose lui, materializzatosi nella stanza. Urlai e chiusi gli occhi. Sentii qualcosa di caldo all’altezza dei reni, come un liquido viscoso che si espandeva, e io mi sentii scivolare in uno strano sonno…


“Abigail, Abigail svegliati!” urlò Rigel scuotendomi.
“No! Il mostro, scappate!” urlai tenendo gli occhi chiusi.
“Abigail, calmati, era solo un incubo. Dai apri gli occhi.” mi feci coraggio e li aprii. Era tutto normale, Rigel, Alicia e Frank erano lì, davanti a me con un'espressione spaventata. Io ero ancora sdraiata sul divano, e i miei vestiti erano quelli di sempre.
“Ma… Io… C’era il mostro e mi…”. Gli altri mi guardarono perplessi.
“Vi prego, riportatemi a casa. Non voglio rimanere qui un minuto di più!” urlai in preda all’isteria.
“Ma, Abigail... era solo un incubo...” cercò di tranquillizzarmi Alicia, dicendomi che era tutto passato e che non era accaduto nulla, ma io sapevo che non era così.
Sentivo la caviglia che mi faceva male, e avevo notato un graffio proprio là dove la bestia mi aveva afferrata quando avevo cercato di scappare usando le scale, trascinandomi con forza verso il piano inferiore.
Rigel mi guardò, e capì che avevo davvero bisogno di tornare a casa. Mi sorrise e mi chiese di accompagnarlo in camera per fare le valigie.
Lui non disse nient'altro perché sapeva che non ero in grado di parlare di ciò che mi stava realmente turbando, mi baciò sulla fronte, e mi rassicurò, dicendomi che mi avrebbe portata al mio ristorante cinese preferito, non appena fossimo tornati a casa.
“Sei sicura di non volerci ripensare?” mi chiese Alicia.
“Sì, scusatemi, ma non riesco proprio a rimanere in questo chalet”. Sapevo che avrebbero pensato che ero strana, ma non potevo descrivergli a parole tutto quello che era successo. Aveva dell'incredibile, e lo sapevo, e le loro parole non avrebbero potuto tranquillizzarmi in alcun modo.
Ci salutammo sull'uscio, e sentii un caldo soffio sul collo, mi voltai verso lo specchio e notai la mano della belva sulla mia spalla.
“Allora Abi, andiamo?” chiese Rigel, prendendomi la mano.
“Sì, torniamo a casa”, mi voltai e sorrisi sollevata dopo aver visto sparire l'ombra del mostro.
Mentre raggiungevamo l'auto, intravidi fra i pini l'ombra dell'uomo del villaggio, Hans.
Mi guardò e sorrise, sparendo proprio come aveva fatto il mostro qualche istante prima.
“Abigail...?”
“Arrivo!”


Non seppi mai tutta la verità di quella villa e dei suoi strani ospiti, ma ero certa di una cosa: non ci sarei mai più tornata.





 

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Capitolo 5
*** La prima gita di Lilian ***



Genere:  Slice of life
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Nessuna
Categoria: Storie originali - Generale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt: Sci o snowboard

 


La prima gita di Lilian




«Lilian, vieni in salotto, tra poco è pronto!» Cristoforo buttò lo sguardo nella cameretta della figlia. Notò con un po' di apprensione che la piccola se ne stava seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto. La valigia era stata svuotata, e i vestiti e tutto l'occorrente per l'imminente gita era stato sparpagliato per terra.
«Va tutto bene, Lilian?» chiese l'uomo avvicinandosi a lei. La bambina annuì, ma i suoi occhioni lucidi gridavano l'esatto opposto.
«La mamma non ti aveva aiutato a preparare i bagagli per la gita?».
«Sì, ma non mi piacevano più i vestiti e volevo cambiarli... forse è troppo tardi per sistemare tutto. Forse è meglio che stia a casa domani». Cristoforo capì subito che sua figlia era preoccupata per il viaggio: sarebbe stata lontana da casa per la prima volta senza il suo papà e senza la sua mamma. La piccola all'inizio si era dimostrata entusiasta all'idea di quella gita in montagna, e ancora di più all'idea che avrebbero seguito un breve corso di sci, ma negli ultimi giorni, Lilian si era spenta e non aveva più parlato di quel viaggio. Lui e la moglie avevano capito che qualcosa non andava, ma speravano che la cosa si sarebbe risolta da sola.
«Se volevi cambiare qualcosa bastava chiederlo, senza disfare i bagagli» le disse il padre con gentilezza. «Ti aiuterò comunque, anche se non credo che siano i vestiti il problema. Cosa ti preoccupa, pulcino?».
Dapprima, Lilian scostò lo sguardo, poi si voltò di nuovo verso il padre con i lacrimoni che le occultavano la vista.
«Mina mi ha preso in giro perché non so andare né sugli sci né sullo snowboard» confessò la bambina che sembrava essere sul punto di scoppiare in un pianto dirotto.
«Non devi preoccuparti per questo.» cercò di consolarla il padre. «Credi che tutti i tuoi compagni sappiano già farlo?»
«No, però... lei continuava a prendermi in giro. È stata molto cattiva».
«E tu non darle ascolto. Sono certo che anche Mina non saprà fare cose che invece tu conosci a menadito. Ad esempio... Mina sa riconoscere i funghi commestibili da quelli velenosi?»
«No, a Mina non piace andare per i boschi».
«Visto? Questo tu lo sai fare, e sei anche molto brava!» Lilian sorrise e abbracciò il padre.
«Però...»
«Cosa?»
«E se non ci riuscissi?»
«A sciare?» chiese Cristoforo, e la figlioletta annuì. «L'istruttore è lì per insegnarvi. Non devi essere preoccupata per questo».
«Ho paura di non essere brava quanto gli altri e di farmi male, papà». L'uomo abbracciò la figlia e la rincuorò ancora.
«La prima volta che ho portato la mamma in montagna c'era la neve: volevo insegnarle a sciare ma lei non l'aveva mai fatto ed era davvero preoccupata».
«La mamma?» Cristoforo rise. Sì, sua moglie, una donna tutto d'un pezzo che sembrava che nulla la potesse scalfire, aveva la sua bella dose di paure, manie e segreti.
«Oh sì. Dovevi vederla com'era in ansia. Non mi lasciava solo per un solo istante, e non voleva uscire dalla baita».
«E poi com'è andata? La mamma ha sciato?»
«Sì, ed è caduta molte volte, non ero un bravissimo insegnante» Lilian sorrise immaginando la madre in quella situazione. «Ma come puoi vedere, la mamma è sopravvissuta. Si è lasciata guidare, ha superato le sue paure, e ha imparato a usare gli sci. Se ci è riuscita lei con un pessimo maestro, vuoi che non ci riesca tu con il migliore istruttore dell'impianto?»
«Davvero è il migliore?»
«Certo! Mi sono informato. Vedrai che riuscirai a imparare e a sbalordire tutti: sei proprio come la tua mamma del resto». La bambina ritrovò allora il sorriso.
«Se cadrò mi rialzerò, proprio come ha fatto la mamma, e diventerò bravissima, così Mina non mi prenderà più in giro» .
«Brava la mia ragazza! Ora andiamo in salotto, o tua mamma si arrabbierà moltissimo».
«E la valigia?»
«Ci penseremo dopo. Ora andiamoci a lavare le mani e corriamo a tavola!»
«Papà?»
«Sì?»
Lilian lo abbracciò forte forte: «Grazie, ora mi sento meglio.»
Cristoforo sorrise, incrociando lo sguardo della moglie che li aveva osservati intenerita dal corridoio.

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