Super: Zero to Hero

di Val__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** SuperAnsia ***
Capitolo 2: *** SuperSgamato ***
Capitolo 3: *** SuperFuga ***



Capitolo 1
*** SuperAnsia ***


Super: Zero to Hero

1. SuperAnsia

Nella vita di tutti i giorni molte persone divengono Eroi.
Ci sono gli eroi dell'ultimo minuto, come il vicino di casa che spiglia dal ramo più alto dell'albero il palloncino della marmocchia di turno, eroi di mestiere, come pompieri o poliziotti che hanno devoluto parte della loro vita al prossimo, eroi caritatevoli, che donano montagne di vestiti o persino soldi ai meno fortunati ed altri benefattori di vario genere, che si impiegherebbe ore ad elencarli tutti. Persone insomma, che fanno del loro meglio con quello che le capacità umane concedono loro, senza i classici super poteri degli eroi sul grande schermo o rappresentati in fumetti e libri.
Ci sono Eroi super che salvano il mondo nel loro quotidiano e poi ci sono i ”Super “ del genere di Russel.

Russel non era nessuno di speciale, era solo un sedicenne come ogni altro e con tanta ansia da potervi riempire un intero vagone.
Le ansie del ragazzo erano comuni per la sua età: compiti in classe, qualche screzio con dei compagni di classe ed alcuni di classi superiori alla sua, la canonica cotta per qualcuno fuori dalla sua portata e poi c'erano le sue Superansie.
Russel era sempre riuscito a mimetizzarsi bene in mezzo alla gente, ma quella sera di dicembre la dama bendata non doveva essere stata dalla sua.



Nonna Alya era di per sé una donna difficile da accontentare, ma quando si trattava di mettersi a tavola, non c'era verso di convincerla a cenare senza almeno un pezzo di pane accanto al piatto, che dovesse poi restare intoccato fino a giorni e giorni dopo e diventare duro come una roccia non era importante. Il pane doveva esserci, perché mica erano dei poveracci!
Al contrario zia Rose voleva solo mangiare in santa pace ed i pane-roccia rischiavano spesso di essere usati come arma impropria quando tale pace veniva interrotta dalle solite lamentele. Morale della storia, per evitare una guerra civile, Russel era dovuto uscire al gelo invernale per recuperare un pezzo di pane al minimarket non troppo lontano da casa.

Attrezzato con il piumino pesante ed una delle sue solite felpe imbottite, tirata su fino a coprirgli il naso, camminava velocemente e con la testa infossata tra le spalle, cercando di evitare il congelamento.
Entrò nel negozio sospirando. Se solo non fosse stato una schiappa a sasso, carta, forbice avrebbe potuto mandare suo cugino Brody al suo posto come penitenza, e invece era toccato a lui.
Camminò in fretta verso il settore alimentare ed afferrò il primo pezzo di pane a portata d'occhio per poi volgersi verso le casse con un ennesimo sospiro che, interrotto alla vista delle ultime persone che avrebbe voluto vedere, si trasformò in un verso sorpreso.
A scatenargli il panico erano stati tre ragazzi nella corsia alle sue spalle, Russel li conosceva per via di un piccolo incidente causato ovviamente dai suoi... Superproblemi.
Non era stata colpa sua... beh, era tecnicamente lo era, ma chi non avrebbe accidentalmente lanciato un banco addosso a qualcuno con tutte le intenzioni di stare per darle ad un tizio proprio di fronte a lui? ...Un sacco di persone. Russel compreso, ma sul momento la situazione era stata una fonte di panico così intensa che il banco che stava usando come scudo si era praticamente catapultato contro i ragazzi prossimi alla rissa e Russel era così diventato bersaglio di occhiatacce e minacce silenti che per il momento, forse per mancanza di opportunità, non erano degenerate in nient'altro. Il fatto era che proprio non ci teneva a dargliela questa opportunità, ma trovarsi solo in un supermercato di notte, di certo non lo aiutava molto.
Tirò svelto il cappuccio della felpa sopra la testa, lasciando il volto scoperto solo quanto gli bastava per vedere dove stava andando e, nonostante si rendesse conto di quanto fosse sospetto, si diresse alla cassa pregando di non attirare attenzioni indesiderate.
Sentiva lo stomaco tremare dal nervoso, ma cercava di contenersi e non combinare casini almeno per quella volta.
Ad aiutarlo nella sua impresa di invisibilità c'era il fatto che la manager del negozio, amica molto stretta di zia Rose, non fosse presente al momento e con una preoccupazione in meno, quella di sentire il suo nome urlato dall'altra parte del negozio ed i vari convenevoli che ne conseguivano, riuscì a rilassarsi un minimo.
A quell'ora il negozio era quasi vuoto e riusciva a scorgere alcuni degli impiegati prepararsi alla chiusura. L'unica fonte di trambusto era una piccola bambina che scorrazzava per la corsia degli snack, con la madre non troppo lontana a dargli le spalle.
La piccola regalò a Russel un sorriso dolcissimo che il ragazzo cercò di ricambiare.
All'improvviso però, le voci dei tre ragazzi si fecero vicine e le loro figure sbucarono dal lato opposto della corsia, proprio dinanzi a Russel, che si ritrovò a fissare interessato un pacchetto di marshmallows pur di fingere indifferenza, lanciando loro solo una breve e casuale occhiata, in tempo per vederli accovacciarsi di fronte a qualcosa, spingendo accidentalmente il carrello al centro della corsia. Il caso volle che allo stesso momento la bambina, che ancora strepitava senza riceve attenzioni dalla madre, avesse deciso di lanciarsi in una scivolata nello stesso punto.
Ora, Russel non era un amante dei bambini, ma nello spavento della situazione, proprio quando la bambina aveva cominciato a gridare, accettando il suo destino di schiantarsi contro del solido metallo, Russel gesticolò in direzione del carrello come se dovesse scansare un mosca per poi vederlo cambiare bruscamente direzione e colpire lo scaffale proprio accanto alla madre della ragazzina, in procinto di girarsi.
Dopo lo schianto ci fu un momento di silenzio in cui Russel realizzò quello che aveva fatto.
La persona più sospetta del negozio aveva appena scansato violentemente una mosca in sincronia con la devastazione di un intero scaffale.
Sia la donna che i tre ragazzi stavano guardando perplessi il carrello, mentre la bambina, fino a quel momento congelata sul posto, cominciò a piangere disperata, spaventata e confusa.
Grazie al cielo tutto quel trambusto spostò l'attenzione di tutti su di lei e Russel poté filarsela discretamente verso le casse, passando ovviamente per un'altra corsia.

Aspettò pazientemente dietro un'anziana signora, che apparentemente doveva fare la spesa per un'intera nazione, per ben venti minuti.
“Se nonna Alya lo lascia seccare sarò molto offeso questa volta!” pensò esasperato, lanciandosi continuamente sguardi alle spalle.
Fortunatamente il trio non era più nel negozio.
Sfortunatamente proprio in quel momento li aveva visti uscire e fermarsi sulla panchina dall'altra parte della strada gesticolando tra di loro e mangiando patatine.
Li stava ancora guardando con angoscia quando il cassiere lo richiamò.
< Devi pagare? > chiese con una punta di inerzia nella voce.
Russel si girò di scatto.
“Aki!” pensò trattenendo un sorriso spontaneo.
Passò il pane al ragazzo, guardandolo di sott'occhio e distogliendo lo sguardo a tratti.
Non si conoscevano e non avevano mai parlato più di quanto fosse necessario per concludere una vendita, ma Russel lo trovava sempre molto interessante da osservare.
I suoi capelli erano sempre arrangiati in modo diverso, che fossero dritti a spazzola con una montagna di gel o con solo la frangia tirata su da davanti agli occhi con una spilla colorata, gli donavano sempre. Gli occhi scuri quanto i capelli avevano un taglio leggermente affilato, sempre caratterizzati da uno sguardo svogliato. Ancora più interessanti erano gli innumerevoli piercing sul suo volto. Uno per entrambe le sopracciglia, uno proprio sopra il labbro, uno o due per orecchio ed infine, Russel giurava di averne visto anche uno sulla lingua. Insomma un tipo bizzarro a primo impatto, ma la cosa che più gli piaceva non era parte del suo aspetto.
< Sono due e cinquanta > borbottò stanco Aki, riportando alla realtà Russel che, un po' scosso e cercando di fargli risparmiare più tempo possibile, tirò fuori il prezzo esatto in monetine, posandogliele in mano e facendone inavvertitamente scivolare alcune dietro la cassa. Aki si chinò a raccoglierle sbuffando e, nel rialzarsi batté la testa prima contro il banco < Ahi! > e poi di nuovo contro il cassetto aperto della cassa, facendo piovere a terra ancora più monetine. < Ahi! ...di nuovo! > si lamentò nuovamente.
Russel si trattenne a malapena.

La prima volta che aveva visto uno dei numeri di Aki era corso fuori dal negozio ed era scoppiato nella risata più forte di sempre.
La verità era che Aki era la persona più sfortunata di sempre e Russel lo adorava.
Fino a quel momento lo aveva visto far prendere il volo ad una decina di carrelli cercando di sistemarli al loro posto, fare cadere un intero scaffale di carta igienica, scivolare due volte di fila sullo stesso punto in cui aveva appena passato lo straccio ed altri folli avvenimenti che avevano migliorato l'umore di Russel innumerevoli volte.

< Umm... non so se posso venire dietro la cassa ad aiutarti... mi dispiace... > balbettò Russel, cercando di non fare trasparire il suo divertimento < Stai... stai bene? > chiese, perché ad essere sinceri il suono della sua testa sulla superficie dura del banco era stato preoccupantemente forte.
< Sì... sì. Distruggere qualsiasi cosa tocco è un talento a cui sono abituato... > sbottò sarcastico, e Russel non si trattenne più.
La risata cominciò come apparentemente innocua, ma piano piano sfociò in una incontenibile ed interminabile risata che lo portò addirittura alle lacrime e dovette sedersi a terra per non rischiare di cadere.
Ancora non del tutto calmo si asciugò le lacrime e sprofondando dall'imbarazzo provò a cercare le parole per spiegarsi sperando di non averlo offeso, ma non fece tempo ad aprire bocca che vide Aki guardarlo dall'alto, i gomiti appoggiati al bancone, con un sorriso divertito che sembrava più un ghigno e che non sembrava combaciare bene con il carattere mostrato fino a quel momento.
< Scusa! Non me lo aspettavo per niente! > si scusò Russel, alzandosi dal pavimento ancora con un mezzo sorriso stampato sul volto.

Alla fine Aki si fece aiutare a raccogliere le monetine e Russel sembrava aver ritrovato la sua quiete, fino a quando non spostò lo sguardo fuori dove i suoi “amici” ancora non si erano decisi a muoversi, nonostante il freddo e l'ora tarda.
< Ti aspettano? > chiese Aki, non sapendo come interpretare le occhiate che Russel continuava a buttare ai tre ragazzi.
< Oddio spero proprio di no! > si lasciò scappare lui rabbrividendo.
< Capisco... > iniziò il ragazzo < Vuoi passare da dietro? > chiese poi indicando una stanza sul retro che doveva essere il magazzino.
< Non credo sia permesso l'accesso ai clienti... > obbiettò Russel sperando che non fosse davvero tanto ingenuo da fidarsi di un tizio qualunque, prima per raccogliere i soldi da dietro la cassa e poi per un involontario tour al magazzino.
< Tu sei Russel, no? > a sentire il suo nome si girò d'istinto, guardando il cassiere perplesso.
< Il nipote di Rose... l'amica della manager >.
Lui annuì, riprendendo a respirare regolarmente.
< Allora nessun problema! > concluse con un ghigno soddisfatto.
Russel lo seguì non avendo ragioni di rifiutare, trattenendo l'ennesima risata quando per poco Aki non finì contro un muro dopo essere inciampato su di una scopa.
< Grazie... Aki > disse lanciando un'occhiata molto evidente al cartellino con il nome, sorridendo per mascherare la finta. Una volta fuori dalla porta fece di tutto per non girarsi indietro. Mentire gli riusciva bene, ma quella sera il suo sorriso non faceva altro che allargarsi e mostrarlo sarebbe voluto dire sembrare un idiota, molto molto felice, ma comunque un idiota.

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Siparietto di Val

Ehilà! Erano secoli che non mi dedicavo ad una scrittura un po' più impegnativa come questa, ma sono contenta di essere tornata! *w*
Negli ultimi giorni ho avuto un'esplosione improvvisa di creatività e mi ci sono lanciata face first! (perdonate i miei mezzi inglesismi)
Mi piacerebbe aggiornare regolarmente, tipo un capitolo ogni Giovedì o uno si ed uno no, ma il tutto dipenderà dal mio orario di lezioni e, più avanti nel tempo, dal mio livello di sclero nei periodi d'esame.
Spero abbiate trovato questo primo capitolo interessante! Se avete un po' di tempo adorerei sapere cosa ne pensate con una recensioncina, giusto per motivarmi un po' di più a stare sveglia a scrivere alle tre di notte quando ho lezione alle sette il giorno dopo... già... ma non siamo qui per giudicare le mie pessime scelte!
Vi auguro una buonissima serata/giornata/notte (dipende da quando state leggendo questo siparietto) e ci si "vede" alla prossima! Kisses <3

Val__

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Capitolo 2
*** SuperSgamato ***


Super: Zero to Hero

2. SuperSgamato

Quel lunedì mattina era iniziato come tutti gli altri, eppure, qualcosa sembrava fuori posto.
< Oggi non è dalla tua, bambino > tirò fuori dal nulla nonna Alya, proprio mentre Russel si sedeva a tavola per colazione.
< Woah... calma nonna, non è nemmeno uscito di casa e già gliela tiri? > intervenne Brody, tirando qualche pacca, quasi troppo pesante, sulla schiena di Russel come per consolarlo.
< Perché? Che succede oggi? > domandò lui serio.
< E io cosa dovrei saperne, ti sembro un'indovina? > borbottò allora lei mangiucchiando i suoi biscotti rinsecchiti e senza zucchero.
Russel guardò il suo cappuccino perplesso.
Non c'era da scherzare sui presentimenti della nonna. Era una donna a cui piaceva far rispettare le sue regole (e brontolare, adorava brontolare), non aveva molto tatto, con lei ci si beccava per il minimo affare e la sua pazienza era infinita solo quando voleva lei, ma quando aveva le sue intuizioni, anche se avresti preferito avesse torto marcio, era sempre puntualissima.

< Magari ha sbagliato... > borbottò Russel sovrappensiero mentre, in macchina con il cugino di ritorno da scuola cercava un buon pretesto per abbassare la guardia.
< Magari con la vecchiaia... succede! >aggiunse.
Brody sogghignò lanciandogli un'occhiata, fermandosi dietro l'auto davanti a loro.
Trovare un traffico del genere vicino a casa non era insolito, considerato che abitavano affianco alla stazione del paese e le code dietro le sbarre in attesa del passaggio del treno di turno potevano essere interminabili.
< Speriamo solo non sia niente di grave o... di mortale > ragionò tra sé e sé, osservando la coda che iniziava a formarsi anche dietro di loro dallo specchietto. < Una fila del genere è normale? > chiese poi < Non siamo così vicini al passaggio a livello, possibile che la fila cominci là? >.
Brody alzò le spalle < Un treno in ritardo? > ipotizzò. < O l'inizio delle tue sventure... > finì lanciandogli un'occhiata divertita.
< Sta zitto! Non si scherza con i suoi... presentimenti > lo rimproverò Russel, mimando le virgolette con le dita. Brody sorrise, spegnendo il motore dell'auto, che per lo più era un furgoncino, e girandosi verso di lui. Russel si aspettava le sue solite parole di incoraggiamento e già vedendo il suo sorriso gentile cominciò a rilassarsi. < Russ, non- > la sua frase si interruppe all'improvviso e la sua espressione cambiò in uno sguardo preoccupato rivolto davanti a loro.
< Che succede? > chiese, trattenendo il respiro ed agitandosi sul sedile per riuscire a vedere quello che anche Brody stava vedendo. < Che succede! > ripeté non ricevendo risposta dal più grande e tirando le maniche della felpa già sformata, dall'ansia.
< Non lo so... non capisco... > cercò di spiegarsi perplesso. < Li vedi? Cosa stanno facendo? > aggiunse indicando più avanti nella fila.
Russel puntò lo sguardo nella direzione indicatagli dal cugino ed una sensazione di inquietudine mista a confusione si fece largo tra i suoi pensieri. Rabbrividì forte.
Uno strano duo in nero si faceva largo lungo l'interminabile fila di auto, accostandosi al finestrino di ognuna per porre qualche sorta di domanda e proseguire immediatamente all'auto successiva fino ad arrivare al furgoncino di Brody.
C'era qualcosa di strano ed in un certo senso sbagliato in loro. Russel riusciva a riconoscere la prima come una donna dai capelli biondi e corti sotto le orecchie e il secondo come un uomo, moro e dai capelli estremamente corti sulla nuca, mentre erano tenuti più lunghi davanti, entrambi sulla ventina, ma i loro visi erano... confusi. Non sarebbe riuscito a descriverli non importa quanto a lungo li avrebbe fissati e questo lo rendeva parecchio a disagio e diffidente, nonostante il tono di voce ed il modo di porsi non fosse dei più minacciosi al momento.
La ragazza bussò al finestrino del guidatore ed ancora prima di aprir bocca, i suoi occhi si posarono su Russel, decisi.
< Russel Foster? > pronunciò scandendo attentamente il suo nome e studiando la sua espressione prima di continuare. < Devi venire con noi>.
Il ragazzo saltò sul posto, trattenendo uno squittio impaurito.
Lo sportello dalla sua parte si aprì ed il secondo dei due individui sospettosi, lo afferrò per il braccio, fermo, ma non con violenza e lo prelevò dall'auto prima che potesse obbiettare, dirigendolo verso l'origine di quella lunghissima coda, dove un'auto scura, parcheggiata in mezzo alla strada li stava aspettando.
Russel non riuscì a reagire, ma voltandosi indietro, confuso e paralizzato dalla paura, notò suo cugino non perdere un secondo prima di uscire dal furgoncino e seguire la ragazza fino all'auto, contestando e richiedendo spiegazioni fino all'ultimo secondo, per poi essere liquidato e mollato sul ciglio della strada con un'espressione di puro terrore e gli occhi lucidi. E fu quest'ultimo tratto a far reagire finalmente Russel.
Brody non piangeva. Mai.
Brody era quello che lo consolava e gli stava vicino durante le sue crisi, restava calmo e razionale fino all'ultimo e lo aiutava a pensare ad una soluzione quando serviva.
Brody non mollava e non gli permetteva di mollare, ma in quel momento, mentre la macchina si allontanava sempre di più, Russel lo vide privo di opzioni per la prima volta.

< Che... che cosa succede? Dove mi state portando? > si fece finalmente sentire, sentendo le lacrime sul punto di sfuggire al suo controllo.
< Resta calmo ragazzo, è solo per il tuo bene, davvero > spiegò sbrigativamente lei.
< Che cosa? Che cosa è per il mio bene? E chi cavolo siete? > parlò velocemente Russel, mantenendo quanta più distanza da di loro possibile.
< Lei è Bones, puoi chiamarmi Sand. Ti stiamo portando in un posto sicuro > spiegò il ragazzo, con un tono leggermente spazientito. < Sappiamo cosa sei, ti stiamo solo portando al sicuro > finì.
Un altro brivido si fece strada lungo la schiena di Russel. Si era fatto sgamare.
Generazioni e generazioni della sua famiglia nascoste e camuffate tra le persone comuni e lui era quello che si era fatto sgamare. E adesso? Non lo sapeva. Nessuno aveva mai saputo cosa accadeva ai Super che venivano scoperti, nessuno era mai riuscito a raccontarlo, ma qualunque fosse stata la risposta, stava per scoprirla.
A quel punto trattenere le lacrime non gli avrebbe portato nulla se non mantenere quel briciolo di orgoglio e dignità a cui nemmeno teneva. Scoppiò in un pianto silenzioso, lo sguardo basso, fisso sul sedile davanti a lui e le lacrime che scendevano copiose lungo le guance.
< Ehi! Nonononono! > cominciò allarmato Sand, cercando di avvicinarsi a lui. < Non avere paura! Va tutto bene... davvero! > sembrava... dispiaciuto ed il suo tono si era molto più addolcito rispetto alla rigida presentazione di solo un momento prima. Russel non si mosse, se non per un scatto impaurito nel vederlo avvicinarsi.
< Che succede Sandy? > chiese allarmata Bones sentendo del trambusto dal posto del guidatore. < Sta... sta piangendo e adesso cosa faccio? > le rispose con una punta di disperazione, per poi riprendere a volgersi a Russel < Non piangere per favore... >.
Ma in quel momento piangere era l'unica cosa che si sentiva di fare e schiacciandosi ancora di più contro la portiera riuscì a mormorare un tenue e singhiozzato < Lasciami stare > che senza la presenza di un tono rabbioso più che dare un effetto minaccioso, pareva come il lamento di un bambino molto stanco e nervoso.
< Lascialo sfogare... > provò a consolarlo la collega. < Sempre meglio di quelli che calciano e si ribellano >. Sand la guardò con uno sguardo colmo di sensi di colpa e con un sospiro angosciato riprese le distanze da Russel, non mancando però di tenerlo d'occhio per un secondo.
Il ragazzino rialzò lo sguardo, puntando gli occhi sul suo riflesso nel finestrino.
Lo sguardo rassegnato, i capelli biondi troppo lunghi con l'immancabile frangia a coprirgli parte del viso, gli occhi grandi e chiari con le lunghe ciglia bagnate dal pianto.
Femminuccia” ripeté fra sé e sé. Quel soprannome l'aveva perseguitato fino a quel momento, colpa del suo carattere arrendevole ed i lineamento troppo androgini. Persino nonna Alya lo chiamava Pappa-molle per il suo vizio di piangere troppo spesso e per la minima cosa, ma per lui era il modo migliore di sfogarsi e non imbattersi in una delle sue crisi. Persino in quel momento era riuscito a calmarlo. E con un misto di accettazione e tranquillità, Russel chiuse gli occhi e si addormentò.

Fu svegliato dalla voce di Sand che chiamava il suo nome con rinnovata serietà e dal suono secco dello sportello del guidatore che sbatteva.
< Siamo qui > lo avvertì, come se Russel avesse idea di dove fosse “qui”.
Smontò dall'auto senza storie, ancora con diffidenza, per poi ritrovarsi davanti ad un enorme edificio dall'aspetto pulito e moderno, come l'università di Brody, vista una mezza volta e solo di sguincio, ma che gli aveva dato un'impressione professionale.
< Benvenuto al Sant Marinette: istituto di ricerca, contenimento e addestramento > fece Bones, con un gesto ampio che sarebbe stato molto drammatico, non fosse stato per il tono piuttosto stanco, come se quella presentazione fosse parte di una qualche procedura che aveva ripetuto più e più volte < Ora ti registreremo e spiegheremo la robaccia standard... seguimi > continuò aprendo l'altissimo cancello in acciaio, decorato con varie figure di serpenti arrotolati tra le sbarre che fungeva da entrata principale e che pareva pesare un quintale.
Russel proseguì con un smorfia, i serpenti non erano proprio i suoi animali preferiti e considerato il fatto che il cancello era il primo elemento di benvenuto all'interno dell'istituto, la trovava un scelta piuttosto inquietante.
Una volta entrato, con il suono del pesante cancello che si richiudeva alle sue spalle, sentì nuovamente quella sensazione di disagio e impotenza che lo aveva accompagnato per tutta la giornata e specialmente per tutta la durata di quell'ultimo risvolto che essa aveva preso.
Avanzarono attraverso il lungo giardino su di un sentiero di ghiaia che portava finalmente all'ingresso, circondato di fiori di diversi tipi dai colori più brillanti che avesse mai visto, ed alberi con rami spessi ed ampie foglie dall'aspetto sano, non che Russel si intendesse di giardinaggio, certo, ma sembrava evidente che le piante venissero curate con costanza.
L'edificio d'altra parte, malgrado l'aspetto nuovo e fresco, presentava su alcuni lati degli spessi rampicanti, fioriti e di bell'aspetto che gli davano un ché di antico, contrastante con il resto.
Dietro l'edificio principale, un'altra struttura si presentava, anch'essa tutt'altro che ridotta nelle dimensioni, ma comunque nascosta dalle prominenti scale antincendio, metalliche e facili da notare in contrasto con il resto dell'edificio. Certo, per chi lavorava lì dentro le esercitazioni anti-calamità dovevano essere uno spasso.
Prima di oltrepassare l'uscio, decise di guardarsi intorno discretamente un'ultima volta, udendo in lontananza un rumore piuttosto familiare, fragoroso e dal ritmo costante, ma senza determinarne la provenienza. Durò per qualche lungo secondo, per poi sfumare rapidamente, lasciando nuovamente spazio alla quiete.
Fece un respiro profondo. Non seppe bene il perché, ma dal suo risveglio era come se il suo cervello fosse stato impostato su “modalità sopravvivenza”. Forse dopo essersi calmato e riposato, la posizione gli si era rivelata meno drammatica del previsto, oppure, più semplicemente, essersi trovato rinchiuso in un angolo gli aveva dato motivo di tirare fuori gli artigli. Non sapeva bene cosa pensare. L'ansia era ancora lì. La paura? Sempre al suo posto. L'unica novità era il formarsi di un'idea ad ogni dettaglio rivelatogli su quel posto, certo, non era un piano fatto e completo, ma era una scintilla che era disposto ad alimentare per scatenare un vero e proprio incendio pur di levarsi da quel casino. Il piano B era il solito piano di sempre: mentire e negare fino alla morte.

All'interno dell'edificio venne sorpreso da un'ampia scalinata proprio davanti a lui. Occupava gran parte della stanza, lasciando spazio solo per due porte, evidentemente di legno, ma dipinte di un argento, con dei motivi più scuri e piacevolmente scintillante, ai lati di essa. Scale e corrimano erano bianchi e decorati con gli stessi serpenti visti in precedenza. Dovevano essere un tema ricorrente e molto amato dal proprietario dell'istituto, perché non appena si voltava rischiava di trovarsene uno davanti, prendendosi conseguentemente un colpo ogni due minuti.
Proprio mentre metteva il piede sul primo gradino, la porta alla sua destra si aprì ed una figura con la stessa divisa nera di Sand e Bones, richiamò la loro attenzione < Sandy... hai tempo? > chiese il ragazzo. Bones afferrò in fretta il volto di Russel, girandolo verso di lei, con fare protettivo, ma nonostante il gesto fulmineo, il biondo riuscì a notare come il viso del nuovo arrivato fosse confuso e indescrivibile quanto quello degli altri due in nero. Ciononostante vederlo affiancarsi a Sand non gli aveva causato alcun problema nel distinguerli. Era come se, nonostante le loro fattezze fossero offuscate, e nonostante avessero entrambi i capelli scuri e all'incirca la stessa l'altezza, i loro tratti rimanessero totalmente riconoscibili da quelli di ogni altro.
Sand lanciò uno sguardo a Russel, come per assicurarsi che fosse ancora docile quanto il momento prima. < Vai avanti Bonnie, ti raggiungo subito > disse.
Bones rispose con un cenno della testa ed un sorriso ad entrambi i ragazzi.
Saliti tutti e ventimila gli scalini (non li aveva contati veramente, ma il desiderio di morte che provava arrivato in cima aveva portato il ragazzo ad ipotizzare un numero simile), Bones condusse Russel verso l'ennesima porta, questa volta automatizzata e dotata di pulsanti... un sacrosanto ascensore.
Nonostante il sollievo di non dover più fare uno scalino, il disagio non era ancora sparito e ad ogni piano il cuore nel suo petto si faceva sempre più martellante.
Venne poi condotto attraverso una serie di corridoi, ognuno dei quali pareva essere dannatamente somigliante a quello precedete, per arrivare finalmente a quella che sembrava la sua destinazione. Orientarsi in quel posto doveva essere una tortura.
Bones aprì la porta davanti a loro con la stessa grinta che caratterizzava la sua andatura spedita, tenendo la porta e richiudendola dietro di loro una volta che anche Russel l'ebbe attraversata.
La stanza pareva stretta persino a confronto con i vasti corridoi, con, attaccata alla parete, una larga scrivania in legno, dall'aspetto solido e strabordante di così tanti fogli e cartelle, che persino i cassetti faticavano a restare chiusi. Sopra di essa una vistosa tendina copriva per metà una enorme finestra che sembrava affacciarsi su di un'altra stanza, mentre davanti a questa giacevano un paio di sedie girevoli nere, dal colore brillante, come nuove. Alla destra di tutto quel disordine, l'ennesima porta faceva la sua comparsa, solo con un volto differente da quello delle altre fino a quel momento. Non aveva la sfumatura argentata con i decori, né sembrava fatta di legno. Di sicuro più massiccia a giudicare dal materiale metallico che la componeva, con la serratura di una forma tanto particolare, da farsi notare nell'immediato. Completamente a prova di scasso.
Russel resto in piedi accanto ad essa, studiandola nervoso, mentre la ragazza cercava frettolosamente in mezzo alle montagne di carta.
< Niente... probabilmente ce n'è una copia in ufficio > parlottò tra sé e sé.
Con uno sbuffo frugò nelle tasche del giubbino nero che, ad uno sguardo più attento si rivelò essere piuttosto spesso, compreso di un'imbottitura che Russel non seppe bene identificare e ne estrasse un oggetto dalla forma tanto particolare che ad ogni occhiata, sembrava mutare le sue caratteristiche.
Lo inserì nella serratura della porta più massiccia che emise uno scatto.
…Quella COSA era una chiave?
Aprì la soglia con un cigolio poco rassicurante, estrasse nuovamente la “chiave” e la sistemò alla bene e meglio sulla scrivania stracolma, facendo cenno a Russel di accomodarsi all'interno. < Aspettami qui, per cortesia > cominciò Bones, seguendolo all'interno.
La stanza era di un bianco quasi accecante che la faceva apparire ancora più grande di quanto fosse. Una finestra dai vetri troppo scuri per vedere qualcosa era posta sul muro a contatto con la stanza precedente. Al centro vi era un tavolo bianco, di dimensioni troppo piccole per l'ampiezza che lo circondava ed ai suoi lati, due sedie erano accomodate una di fronte all'altra: una più comune, con schienale e base a sedere neri ed una struttura in metallo, mentre l'altra più somigliante ad una poltrona.
Venne fatto sedere su quest'ultima, non prima che l'avesse studiata con diffidenza.
Si appoggiò con cautela allo schienale, senza prestare attenzione ai movimenti rapidi di Bones, fino a quando... bip!
I suoi polsi furono come attirati da un magnete ai braccioli della poltrona, mentre due ganci spuntarono ai lati di questi per intrappolarli.
Russel sussultò, rivolgendo alla ragazza uno sguardo spaventato.
< Resta qui e restaci calmo, va bene? >.
NO CHE NON VA BENE!” pensò.
Sentì un enorme nodo formarsi alla bocca dello stomaco. La mandibola, serrata per il nervoso, cominciava a tremargli. Non riusciva a rispondere.
Bones restituì il suo sguardo < Non guardarmi così... andrà tutto bene, promesso > tentò un sorriso rassicurante. Doveva aver notato il suo disagio.
Uscì dalla stanza poco dopo, seguendolo con gli occhi fino all'ultimo.
Lui fece lo stesso. Non distolse lo sguardo per un secondo.
La porta si chiuse e la crisi di Russel iniziò.

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Siparietto di Val

Ehilà! Sono riuscita ad aggionare senza aspettare anni!
Urrà per meee! Spero di continuare così! *w*
Questo capitolo è un po' molto descrittivo, ma diciamo che serviva tutto. Io non amo le sfilze descrittive, ma per esempio la cara signorina che mi sopporta da tipo mezza vita, nonché mia migliore amica, adora inquadrare i luoghi e le situazioni il più pari possibile a come le vede l'autore e adora la robaccia che è uscita in questo capitolo. Questione di gusti insomma!
L'unica mia speranza è di non avervi appesantito l'anima!
In ogni caso vi auguro una mmmmeravigliosa giornata/sera/notte!
Lasciate una recensioncina se la storia vi spiaciucchia!
Ci si "vede" alla prossima! Kisses <3

Val__

*Sgamare = beccare (non so se è dialetto o cosa, ma lo scrivo in ogni caso per evitarvi una ricerca su Google.
**Non so neanche se esiste Saint Marinette, ma facciamo finta di niente...

Non so quale astruso codice html ho sbagliato, ma il sito non vuole concedermi di
allineare le freccia a destra (o almeno, io la vedo sempre a sinistra quella maledetta) è.é

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Capitolo 3
*** SuperFuga ***


Super: Zero to Hero

3. SuperFuga


Era un problema.
Un enorme, immenso problema.
Seguendo Bones per l'istituto era riuscito a convincersi a non mollare.
Certo, l'istituto era il triplo della sua scuola, ma confidava nelle sue capacità di orientamento. Poteva trovare una strada fuori da lì.
L'unica incognita ora era... come accidenti liberarsi ed uscire da quella stanza folle?

La situazione era stressante.
Cinque minuti dopo l'uscita di scena della ragazza in nero, Russel sentiva ancora una volta le lacrime pungergli gli occhi.
Sentiva il suo cuore battere incredibilmente forte ed il respiro mutare in un affannoso ansimare.

“Non adesso, ti prego non adesso”

Cercò di deglutire, ma la gola secca e lo stomaco attorcigliato non lo aiutarono nell'impresa.
Cercò di respirare lentamente, ma il ritmo dolorosamente rapido dei suoi battiti aumentavano la sua ansia ad ogni pulsazione.

“Non ci riesco. Non ce la faccio da solo”

Voleva calmarsi. Voleva disperatamente calmarsi, ma ogni suo tentativo sembrava vano.
Sentì quella familiare sensazione di arrendevolezza impadronirsi nuovamente di lui, senza che potesse fare nulla per evitarlo. Poteva solo lasciarsi andare al pianto ed aspettare che finisse. E così fece.
Chiuse gli occhi, mentre un forte brivido lo scosse.
La scrivania e la sedia davanti a lui, come anche quella su cui era seduto, volarono in aria senza che lui potesse trattenere un grido, soffocato solo da un singhiozzo che non fece altro che trasformare le poche lacrime in un pianto disperato.
Gli sembrò di andare avanti per ore, quando un rumore inatteso stroncò la crisi, lasciandolo confuso e sospeso a mezz'aria, prima che la gravità tornasse alla sua normale funzione.
Atterrò violentemente sullo schienale della sedia, restando a testa in giù, con il tavolo ribaltato a pochi centimetri da lui. Aprì gli occhi trovandoselo davanti, con le gambe dell'oggetto rivolte verso di lui.
Tra un singhiozzo e l'altro, sentiva le orecchie fischiargli in modo assordante ed il panico sembrò aumentare... poi notò il bottone.
Rosso e lampeggiante, proprio sotto i suoi occhi.
Fino a quel momento nascosto sotto il tavolo, dalla parte opposta alla sua, ora era lì, a portata di mano... o meglio, di piede.
Sollevò la parte inferiore del corpo e buttando il peso in avanti, portò le gambe il più avanti possibile, finché non riuscì a premere il pulsante con la punta del piede destro.
Sentì uno scatto. Era libero!
Un sorriso affiorò d'istinto. Finì in una capriola per poi raddrizzarsi, asciugandosi il volto con la manica della felpa.
Da bambino era sempre stato molto elastico e, anche se con il tempo una sconfortante rigidezza si era impossessata dei suoi legamenti, era grato di non essere diventato una tavolozza di legno in tutto e per tutto.
Si guardò intorno cercando una qualunque via d'uscita, come un condotto di areazione. Strano a dirsi, ma non era la prima volta che si ritrovava a sgattaiolare in una di essi.
Portò lo sguardo a sinistra e quello che vide lo fece saltare per la sorpresa. La seconda sedia era rimasta conficcata nella finestra oscurata, due delle gambe avevano completamente sfondato il vetro, mentre dell'imbottitura fuoriusciva da uno dei cuscini.
Russel rabbrividì. Quella in cui si trovava sembrava tanto una di quelle stanze degli interrogatori rappresentate nei polizieschi che Zia Rose adorava guardare il sabato sera, impossibile che quel vetro fosse così fragile da essere sfondato da una semplice sedia. Quanto forte l'aveva lanciata esattamente?

“Non pensarci Russel... è ok, non lo farai più”

Incrociò le braccia al petto come in un abbraccio rassicurante prima di proseguire.
Non poteva perdere altro tempo. Bones sarebbe potuta tornare in qualsiasi momento.
Estrasse la sedia dallo strano vetro con molta fatica, facendo cadere piccoli pezzi trasparenti ai suoi piedi con un tintinnio, per poi sbirciare attraverso i varchi che si erano formati.
Inutile dire che ciò che vide dall'altra parte era un casino.
La crisi di Russel aveva raggiunto anche quella sorta di ufficio: la scrivania era capovolta su un lato, con tutti i fogli sparsi negli angoli più remoti, mentre le due sedie non erano nemmeno nella sua visuale... ma dove diamine le aveva spedite?
Esplorò con gli occhi la stanza attentamente finché un oggetto dalla forma bizzarra non attirò la sua attenzione: la chiave. Atterrata per grazia divina sana e salva proprio sul fianco della scrivania rovesciata. Ovviamente però... Non c'era modo di raggiungerla.
Tirò un sospiro, seguito da un respiro profondo e concentrato. Le sue orecchie ancora in preda ad un fischio acuto di certo non ne sarebbero state contente, ma per una volta sentì la necessità di non dare ascolto a quel chiassoso limite.
Non aveva problemi nell'usare quel suo potere per le piccole cose come quella di aprire una porta, portare a se un oggetto o trascinarne un altro, ma il solo atto di adoperarli, per qualsivoglia motivo, gli metteva addosso un'ansia non da poco.
Ferire qualcuno con la sua strana abilità era la sua più grande paura (a gara per il primo posto con la paura dei serpenti che non si era certo attenuata durante quella spiacevole visita).
Fissò l'oggetto, dedicandovi tutta la sua attenzione. Puntò il dito nella sua direzione per strascinarlo verso la serratura, appena visibile dalla su angolazione, finché un rumore deciso non confermò l'imbocco nella toppa.
A quel punto si scostò dalla finestra, posizionandosi dietro la porta, per poi visualizzare nella sua mente la chiave girare. La porta si aprì con uno scatto.
Saltò fuori dalla stanza con urgenza e cominciò a correre il più lontano possibile.
Aveva bellamente mandato a quel paese il suo piano per uscire di lì con calma ed orientandosi graziosamente ed abilmente. Era passato al piano B: correre disperato finché non riacquistava un minimo di sicurezza. Sembrò funzionare quando si ritrovò in un dedicatissimo sprint lungo un corridoio parecchio esteso. i suoi nervi sembrarono sciogliersi ed il bruciore che il respiro affannoso gli stava provocando lo fece sentire vivo, salvo, ma a due passi della fine del corridoio, una figura in nero sbucò da dietro l'angolo, scattando sorpresa alla sua vista.
Russel cercò di inchiodare ed invertire la direzione, ma ne risultò una scivolata epocale, che sarebbe finita rovinosamente se non fosse stato per un gesto inaspettato del figuro in nero che lo afferrò con prontezza prima che si sfracellasse a terra.
Si guardarono per qualche istante che sembrò un eternità, immobili in quel casqué improvvisato. Il ragazzo che lo reggeva perplesso era piuttosto alto e, come da norma, il suo viso appariva confuso, eppure Russel si sentì di riconoscerlo come il tizio che aveva chiamato Sand all'entrata, facendolo allontanare da lui e Bones.
Impallidì vistosamente, prima di cercare di divincolarsi dalla presa, con il risultato opposto.
< Woah! Calmo! Che succede? > fece ancora più confuso il ragazzo in nero, rimettendolo sui suoi piedi e stringendolo più a sé.
Russel sollevò lo sguardo, in panico < Voglio andare a casa... per favore fammi andare a casa > pregò con voce tremolante.
Esisteva un limite per quante crisi di pianto una persona poteva permettersi in un solo giorno... doveva esserci, ma in ogni caso... Russel di sicuro non ne era a conoscenza.
Il ragazzo davanti a lui allentò la presa, posando gentilmente le mani sulle sue spalle, ed inclinando la testa per riuscire a guardarlo negli occhi < Non sei in pericolo qui, questo lo sai? > provò gentilmente, ma per quanto suonasse rassicurante, Russel non voleva convincersi a dare fiducia a nessuna di quelle persone. Quel posto era strano, moderno e somigliava troppo all'immagine che il suo cervello associava ad una facoltà di ricerca, e diventare una cavia o un soggetto d'esame non era di sicuro in cima alla sua bucket list.
Scosse la testa vigorosamente < Per favore lasciami andare a casa > ripeté affranto.
Il ragazzo continuava a guardarlo, con lo sguardo sempre più afflitto e colpevole.
< Io non avrei l'autorità per darti il permesso... > cominciò < ma... > un rumore di passi spediti dietro di loro lo interruppe e Russel non fece in tempo a reagire, che l'altro, prendendolo per il polso, aveva iniziato a trascinarlo spedito verso una porta piuttosto anonima a metà corridoio.
La aprì con fermezza, evitando con grazia di fare alcun rumore, per poi farlo entrare.
Russel si guardò intorno in quello che pareva essere uno sgabuzzino, per poi tornare a guardare il ragazzo in nero, quando avvertì un tocco gentile sulla guancia.
< Buona Fortuna > sorrise furbo, in un'espressione ammiccante. Gli tirò su il cappuccio della felpa, nascondendo il suo viso il più possibile, per poi chiudendosi la porta alle spalle, sparendo dalla sua vista.
Russel si trovò per qualche secondo solo, in uno sgabuzzino, circondato da scope, ad arrossire come le protagoniste degli young adult che si ritrovava a leggere con le amiche di Brody.
D'improvviso delle voci interruppero quel momento di confusione.
< Fortuna! > chiamò quella che riconobbe come la voce di Bones < Mi sono persa il biondino... l'hai visto in giro? > chiese con una notevole nota di ansia.
Seguì un momento di silenzio, nel quale il ragazzo in nero doveva aver negato, perché Bones proseguì sospirando < Dove diavolo è finito... aiutami a cercarlo per favore. Controlla nei laboratori, io vado verso le aule >.
Senti entrambi allontanarsi in direzioni diverse e senza rendersi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, inspirò profondamente per poi buttare tutto fuori.
Aprì la porta e, questa volta con più calma, cercò di uscire da quel pasticcio.

Bones si aggirava per l'istituto, stressata come mai prima.
Prima volta in assoluto in tre anni di servizio che se ne lasciava scappare uno. Queste erano cose che faceva Sandy, non lei!
Lei era quella meticolosa, che metteva una pezza ai disastri degli altri, non quella che si allontanava dieci minuti e si ritrovava con l'ufficio in uno stato immondo ed un fuggitivo chissà dove a spasso per l'edificio!
Cercò per tutto l'istituto, ma del biondino neanche l'ombra. A quanto pare era un ninja provetto.
Ormai con i nervi a fior di pelle si fermò in mezzo al corridoio, le mani tra i capelli in un gesto disperato. Chiuse gli occhi e si concentrò sul silenzio che la circondava per raffreddarsi.
Non poteva essere sparito. Quel posto era un mezzo labirinto, doveva essere ancora lì.
Riaprì gli occhi in uno scatto, riprendendo il passo spedito. Prima o poi doveva succedere. Non era perfetta e doveva accettarlo, anche lei sbagliava e doveva assumersene le responsabilità.
Fece marcia indietro, dirigendosi verso la presidenza, convinta nel farsi aiutare a risolvere il problema, ma un rumore la sorprese alle spalle.
Si girò fulminea, identificando la fonte del trambusto. La biblioteca.
Giunta davanti alla porta si guardò intorno, notando immediatamente uno dei libri a terra, intorno a lei il silenzio assoluto. Non si udiva nemmeno un respiro e le parve istintivamente innaturale.
Raccolse il libro da terra e non appena portò lo sguardo al libro, avvertì, con la coda dell'occhio, una sagoma alle sue spalle correre verso l'ingresso. Si girò così in fretta da colpire lo scaffale alle sue spalle, avvertendone la caduta, solo quando il peso la costrinse a terra. Sussultò preparandosi ad un impatto brutale, che però non arrivò. Solo un paio di libri precipitarono, rimbalzandole contro.
L'intera libreria e molti dei libri erano immobili, sospesi nella caduta.
Riportò lo sguardo verso la entrata della libreria, dove il biondino, munito di cappuccio a coprirgli gran parte del volto, stava indicando con una mano tremante nella sua direzione.
Aveva letto troppe volte il fascicolo del ragazzo per non cogliere la situazione.
Russel Foster, sedici anni, nessun precedente che fosse noto, figlio unico, sotto la custodia di Rose Foster... niente di degno di nota in lui, non fosse per la sua abilità, il suo dono.
Al contrario di molti casi precedenti al suo, sembrava saper usare il suo potere come un'estensione del proprio corpo.
Vederlo all'opera la meravigliò più di qualsiasi filmato gli scout o le altre fonti avessero potuto fornire.
Il biondino sollevò la mano senza smettere di tremare, non seppe dire se per il continuo stato di ansia da cui pareva essere preda o se per lo sforzo di sollevare qualcosa di tanto pesante.
La libreria tornò in piedi, oscillando. I libri tornarono precisi al loro posto su di essa.
Bones rimase immobile, aspettando la prossima mossa del ragazzo, che dopo averle riservato una veloce occhiata, scattò lungo il corridoio.
Bones non si mosse di un millimetro, un lieve, ma spontaneo sorriso si fece spazio sul suo volto. Per una volta, poteva permettersi uno sbaglio.

Russel continuò a correre, dannandosi per aver ascoltato la sua coscienza ed aver salvato il suo aguzzino dal peso della conoscenza, o per meglio dire dall'essere quasi stata sepolta tra pesanti libri che di sicuro gli avrebbero fatto guadagnare più tempo.
“Sia maledetta la mia stupida coscienza” continuò a ripetersi fino a quando non fu sicuro di non aver più nessuno alle calcagna.
Si massaggiò le tempie, tentando di raccapezzarsi nonostante il tremendo pulsare del suo cervello. Quel posto era il labirinto più elaboratamente irritante di sempre.
Pensava di potersi orientare, ma in quel momento la voce della disperazione cominciava a suggerirgli di arrendersi e, proprio quando stava per cedere, la speranza gli si presentò sotto forma di enorme rampicante verde.
Si affacciò alla finestra dalla quale aveva avvistato la pianta, speranzoso, per poi avvistare proprio quello che stava cercando. La scala antincendio.
Non aveva la minima idea di come tornare alla serpentesca entrata principale, ma ricordava di aver notato come gli spessi rampicanti fioriti fossero posizionati alla perfezione per prestarsi ad una comoda, nonché pericolosissima ascesa sino alle scale metalliche ai lati dell'edificio.
Ignorando il suo buonsenso, che in quel momento gli stava urlando di non fare cavolate, aprì la finestra e si calò con successo sulle scale, atterrando forse troppo rudemente sulle ginocchia.
Scese in fretta scalino dopo scalino, sperando di non essere colto sul fatto da nessuno e chiedendosi, in un moto di lucidità come mai avesse visto così poche persone in un istituto di quel genere. Come poteva essere così scarsa la sicurezza?
Decise di non pensarci.
Arrivò al cancello, tentando di aprirlo con fatica e rinunciando, in favore di un'arrampicata alla meno peggio, balzando dall'altro lato per poi correre in direzione del rumore familiare e dal ritmo costante che aveva riconosciuto prima arrivato in quell'inferno di posto.
Era sicurissimo. Quello che aveva sentito era senza alcun dubbio il rumore di un treno che si muoveva dolcemente sulle rotaie, come in una partenza.
Doveva esserci una stazione nelle vicinanze.
Non fece tempo a domandarsi come arrivarci che un autobus si fermò davanti a lui per pura coincidenza.
Russel batté gli occhi un paio di volte, prima di salire e rivolgersi all'autista.
< C'è una stazione nelle vicinanze? > domandò con il cuore in gola.
L'autista, un uomo di mezz'età con un cappello di un arancione sgargiante che falliva nel coprirgli la prominente calvizie, annuì, facendogli segno di sedersi.
< Resta davanti, quando arriviamo ti faccio segno di scendere! > propose.
Russel obbedì, di nuovo sul punto di piangere, questa volta per il sollievo.

Arrivò in stazione che non poteva credere ai suoi occhi.
L'unico treno in partenza, dall'unico binario in quella misera fermata, arrivava non troppo lontano da casa sua. Se fosse riuscito a chiamare Brody, sarebbe riuscito a farsi portare a casa, al sicuro, peccato che il suo cellulare fosse rimasto nella borsa che non aveva avuto la prontezza di afferrare durante quel mezzo rapimento.
Decise che ci avrebbe pensato in un altro momento. Fece il biglietto con i soldi che grazie al cielo non aveva usato in caffetteria quello stesso giorno e in fretta salì sul treno, incredulo su come la giornata più nera di sempre fosse stata in un certo senso tra le più fortunate in vita sua.
Tutte quelle coincidenze non potevano essere un caso.
Si sedette all'interno di uno dei vagoni, del tutto disabitato, lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino, sovrappensiero.
Il panico lo sorprese con una fitta allo stomaco, quando avvistò due figuri neri proprio fuori dalla carrozza, parlare con il controllore con urgenza. Il loro volto era confuso e l'uniforme la stessa vista in precedenza, ma era sicuro non si trattasse di Bones e Sand, poiché non riusciva a collegare le poche fattezze che era in grado di distinguere in loro, ai due che si ritrovava davanti.
Fece per guardarsi intorno ansioso, trovandosi davanti un viso gentile, che lo colse di sorpresa.
< Qualche problema, giovane? > domandò l'anziana signora che silenziosamente aveva preso posto di fianco a lui, nonostante i posti liberi fossero tutt'altro che rarefatti.
Russel non seppe come rispondere, passando lo sguardo in modo frenetico tra lei e i due fuori dal finestrino.
< Eh sì, sembra una bella grana > constatò lei, tirando fuori dalla graziosa e spaziosa borsa un'enorme coperta di pile, di un verde discutibile.
Lui non rispose e troppo impegnato a seguire qualche ragionamento astruso per tirarsi fuori dall'ennesima situazione, non si rese conto all'ultimo momento di come la signora lo avesse avvolto stretto nella coperta, nascondendolo del tutto.
< Bada di non muoverti troppo, non vorrai far finire nei pasticci una vecchia signora come me >.
Russel non si mosse, nemmeno quando avvertì dei passi pesanti percorrere il vagone e riprese a respirare regolarmente solo quando, avvertito l'inizio della corsa, si sentì finalmente salvo.
Un altro colpo di fortuna.
< La ringrazio > iniziò il ragazzo, prendendosi solo in quel momento il tempo per osservarla attentamente. Gli occhi gentili erano di un nocciola particolarmente chiaro ed i capelli ingrigiti erano aggraziatamente raccolti un uno chignon, senza nemmeno un ciuffo fuori posto. La sua fragile figura era avvolta in uno scialle di lana, come quelli che nonna Alya portava in giro per casa, da questo, un vestito di un rosa sgargiante faceva capolino.
< Sembravi aver avuto una giornataccia > spiegò. Dal suo sguardo pareva ne sapesse più di quanto non sembrasse, ma decise di non approfondire, più per codardia che altro.
< Non immagina nemmeno... > mormorò tra sé e sé.
< Mi dispiace sentirlo > annuì lei. < Ho un regalo per te, per illuminarti la giornata > fece gentile.
Russel si girò, incuriosito < Un regalo? >.
La signora annuì ancora. Estrasse dalla borsa una piccola scatola di legno dall'aspetto raffinato e l'aprì con attenzione, porgendola a Russel che la prese tra le mani, scoprendola piena di caramelle all'arancia. Ne prese una, restituendo quella sorta di scrigno all'anziana, che però lo fermò con un gesto della mano.
< Puoi tenerla... consideralo un porta fortuna > strizzò l'occhio la donna, raccogliendo le sue cose con ordine ed avviandosi verso l'uscita, poco prima che la voce automatizzata chiamasse la fermata successiva.
Russel le sorrise ringraziandola nuovamente e salutandola con garbo.
Quell'incontro particolare lo aveva rasserenato e per il resto delle fermate restò a fissare il paesaggio, rigirandosi la scatolina dall'aspetto prezioso tra le mani.

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Siparietto di Val

Ehilà!
Dopo mille anni ho aggiornato! Allelujaaa!
Mi sono super concentrata su una mini-long per un contest e accidentalmente ho deciso di farne una long e mi sono distratta tutta la vita! èAé
Questo capitolo mi ha avuto. Ho fatto una fatica a correggerlo inimmaginabile, ultimamente ho un po' di crisi e faccio fatica a scrivere, quindi per il prossimo capitolo potrei non essere molto tempestiva...
Sapere cosa ne pensate sarebbe molto carino, quindi se la storia vi spiaciucchia per favore fatemelo sapere con una recensione, a volte motiva molto sapere che c'è effettivamente qualcuno che legge e apprezza! :3
Vi auguro una mmmmmeravigliosa giornata/serata/notte e visto che ci sono anche una buonissima Pasqua sperando di sopravvivere ai parenti vari!
Ci si “vede” alla prossima! Kisses <3

Val__

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